Introduzione Al Diritto Amministrativo Canonico (J)
Introduzione Al Diritto Amministrativo Canonico (J)
- La prima questione da porsi intraprendendo lo studio accademico di questa disciplina riguarda pertanto la
sua identificazione epistemologica: dove si colloca, ed a quale titolo, il Diritto amministrativo canonico
nel vasto orizzonte delle discipline giuridiche canoniche? Quali ne sono, in altre parole, i presupposti — e
conseguentemente — lo statuto? Da dove, cioè, deve partire il discorso che porta a trattare la materia ed
in quale contesto ciò deve avvenire? Che cosa, poi, la disciplina deve offrire ai suoi studiosi e cultori in
termini di risultato concretamente perseguito? Quale la sua utilità pratica ed applicativa?
- Non è mistero come la dottrina amministrativistica canonica attualmente disponibile abbia optato per
soluzioni diversificate e non certo equivalenti, né per logica di trattazione, finendo per prospettare
discipline piuttosto differenti, per quanto denominate nello stesso modo, come ben sperimentano gli
studenti delle Facoltà giuridiche ecclesiastiche che si accostano alla materia.
CAPITOLO 1
GIURIDICITÀ E DIRITTO
- Il Diritto amministrativo, infatti, risulta uno sviluppo possibile non di ogni tipologia ordinamentale
giuridica ma preferibilmente di quelle a più alto impatto normativo generale ed a più forte centralità ed
attività dello Stato. Se e come Chiesa cattolica rimane questione da verificare e, se del caso, circostanziare
adeguatamente. (1)
- Ne deriva la possibilità e necessità di riconoscere l’identità espressamente strumentale del Diritto nei
confronti della vita sociale o comunitaria (a seconda della qualità e prossimità, almeno ideale, dei rapporti
intersoggettivi), in una prospettiva di espressa natura pacificatoria tanto verso il passato: Ius contra
noxium (= il danno già ricevuto), che verso il futuro: Ius contra conflictum (= il danno potenziale che
s’intende evitare)! Infatti: non sono nati prima i “diritti” (right/iura) ma la protezione dai danni subiti (=
Actiones) ... o probabili (= Ordiantiones)! E’ il conflitto — reale o potenziale — che genera il Diritto! Il
Diritto, anzi, istituzionalizza la stessa “struttura del conflitto”, formalizzando e gestendo proprio «lo
schema strutturale del conflitto tra gli interessi e tra i gruppi». (12)
- Atti e fatti sono il “motore” del vivere umano: costituiscono cioè quelle “variazioni” dello status quo
socio-relazione che, alterando i diversi equilibri tra le persone (e, spesso, le loro cose), inducono alla
ricerca di nuovi assetti, capaci di far fronte ai mutamenti che gli uomini (o la realtà stessa che li circonda)
pongono continuamente in essere.
- Atti e fatti, per la loro attitudine a modificare assetti ed equilibri socio-relazionali attraverso l’attuarsi o il
verificarsi di qualche mutamento possono essere cumulativamente racchiusi nel concetto di “eventi”,
intesi estensivamente come “variazioni dello status relazionale fino ad allora in atto”. L’evento, tuttavia, in
quanto tale non rileva concretamente se non in ragione della qualificazione (= riconoscimento o
attribuzione di significato) che ciascuno ne dà secondo il proprio specifico punto di vista (di persona,
ruolo o funzione). (16)
- Potrebbe trattarsi di [a] un semplice fatto naturale, oppure di [b] un incidente, oppure di [c] una uccisione,
o di [d] un suicidio. L’evento (pregiudizialmente, ancora né atto né fatto) “uomo morto” in sé e per sé non
ha “significati” propri, intrinseci, che gli competano per essenza o natura, indicandone già gli elementi
fondanti per la sua comprensione: un “morto” è semplicemente un “morto” (al di là di ogni tautologia).
- Concretamente: nel caso in cui l’evento “uomo morto” fosse individuato come [a] semplice fatto o
accadimento naturale (= decesso) il suo significato giuridico sarebbe piuttosto ridotto, configurando un
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semplice “fatto giuridico” di cui rendere edotto il competente Ufficio di anagrafe civile in modo che
quanto concerne lo “stato” della persona come tale (= defunto), dei suoi congiunti (= vedova/orfani), dei
beni connessi (= proprietà), ecc. possa venire aggiornato e riconfigurato per il futuro (= successione).
- Nel caso, invece, in cui l’evento “uomo morto” fosse individuato come atto/condotta (umano)
occorrerebbe spingersi oltre per coglierne ulteriori elementi significativi: atto “proprio” ([b] imprudenza,
[d] suicidio) o atto di qualcun altro? se l’atto va ascritto a qualcuno, si tratta di un [c] atto volontario (=
omicidio) o [b] involontario (= incidente)?
- Alla delineazione del significato dell’evento collaborerebbero comunque anche altri elementi e fattori
quali sono le circostanze: il suicida era una persona sana e matura o un malato psichico, oppure un
depresso? L’ucciso era un gioielliere rapinato, un rapinatore inseguito, un soldato in guerra, un
pregiudicato di mafia o un ciclista investito, un lavoratore privo di “protezioni” oppure distratto/
imprudente? (17-18)
- Non solo il fatto o l’atto in sé a “creare” Diritto, secondo una lettura semplicistica del principio “ex facto
oritur ius”, ma la loro qualificazione in chiave giuridica!
- Tra le possibili — e comunque effettive — qualificazioni esistenziali cui gli eventi possono andare
soggetti quella giuridica è senza dubbio una delle maggiormente rilevanti a livello socio-istituzionale, non
tanto per la frequenza della sua espressione da parte della maggioranza delle singole persone quanto,
piuttosto, per le sue conseguenze e ricadute sulla e nella relazionalità sociale, cui le persone e le
collettività o aggregazioni umane non possono sottrarsi. È nel vivere “sociale” che si crea — in modo
pressoché spontaneo ed “autentico” — la giuridicità proprio come elemento fisiologico e strutturante di
tal modo di co-esistere. Partendo da queste premesse — del tutto costitutive — si comprende come di fatto
si giunga a qualificare giuridicamente un evento quando gli si riconosca (diverso da “gli si attribuisca”)
la potenzialità d’intervenire nelle relazioni socio-istituzionali mutandone pubblicamente (=socialmente)
l’assetto o l’equilibrio. (19)
- Il Diritto riguarda e gestisce tutto ciò che ha la capacità d’influenzare le relazioni tra soggetti appartenenti
allo stesso Ordinamento (socio-istituzionale), mutandone in qualunque modo la situazione relazionale
precedente, così che la nuova posizione relazionale di almeno uno dei soggetti (o oggetti) implicati sia
almeno e cumulativamente: a) pubblicamente riconoscibile, b) relazionalmente rilevante, c)
istituzionalmente sanzionabile, per chiunque degli altri soggetti appartenenti all’Ordinamento. (20-21)
- Il Diritto, così, cresce e si configura in modo del tutto naturale all’interno delle organizzazioni sociali
(come lo scheletro all’interno di un organismo vivente “superiore”) secondo un dinamismo ad esse
connaturale, come quello che nei viventi porta alla progressiva differenziazione e specializzazione di
cellule inizialmente pluripotenziali in “tessuti” sempre più specifici e funzionali da cui si sviluppano
progressivamente i vari “organi” la cui crescita armonica coincide di fatto con lo sviluppo e la crescita del
vivente stesso. Chiave e presupposto essenziale di tale dinamica è il crescere del numero di elementi
(cellule nei viventi, membri nelle aggregazioni sociali) all’interno degli organismi stessi, fino alla loro
piena stabilizzazione nell’equilibrio di una complessità unitaria e dinamica, qual è un organismo vivente
(superiore) o una aggregazione sociale istituzionalizzata. (23)
«se la Chiesa-corpo di Cristo è compagine organizzata, se comprende in sé detta diversità di membra e di funzioni, se “si riproduce”
nella molteplicità delle Chiese particolari, allora tanto fitta è in essa la trama delle relazioni che il Diritto c’è già, non può non
esserci. Parlo del Diritto inteso nella sua globalità ed essenzialità, prima ancora delle specificazioni, derivazioni o applicazioni di
ordine propriamente canonico» (GP 2°, Allocutio, 1983).
- Ogni confessione religiosa, infatti, si struttura ed organizza al proprio interno secondo logiche relazionali
(sia statiche che dinamiche) che rispondono alle caratteristiche portanti della Confessione stessa. (27-28)
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Oggetti ed eventi giuridici ecclesiali
- Oggetti ed eventi spesso di natura spirituale (= grazia, salvezza, santità) e trascendente (= Spirito santo,
Dio) che di per sé non si rendono presenti alla Chiesa già pre-qualificati come “giuridici” [...] né in tal
modo sono stati ad essa indicati o consegnati dal suo fondatore [...] ma che la Chiesa stessa — all’interno
delle proprie dinamiche teologico-spirituali — ha ritenuto dover “qualificare” come espressamente
“giuridici” proprio in ragione della loro portata pubblicamente riconoscibile, relazionalmente rilevante
ed istituzionalmente sanzionabile, nella e per la vita stessa della Comunità cristiana, secondo la
testimonianza — paradigmatica e fondante — del c.d. Concilio di Gerusalemme di Atti 15. Senza tuttavia
che tale qualificazione possa in alcun modo apparire teologicamente estrinseca, trattandosi a pieno titolo
di attività credente (= fides quærens actionem)
- Tanto le vicende legate allo sviluppo dottrinale del dogma (= norma fidei) che quelle connesse allo
sviluppo disciplinare istituzionale della vita ecclesiale (= norma communionis) sono assolutamente chiare
in questa linea interpretativa. È stata infatti la Chiesa, assistita e condotta dallo Spirito santo, ad
individuare e fissare i “punti di non-ritorno” della propria identità dottrinale e funzionale: dogma e Diritto!
Nessun altro avrebbe potuto farlo legittimamente ed efficacemente, tanto più dall’esterno. (32-33)
- Ciò servirà a “costruire” in modo appropriato e “nativo” la presente sistematizzazione e presentazione del
Diritto amministrativo canonico senza doverlo “esemplare” su quello di nessun Ordinamento statuale né
contemporaneo né storico, a differenza di quanto operato dalla maggior parte della dottrina canonistica
attuale in merito. Allo stesso tempo non sarà neppure necessario — né utile — cercare “fondazioni”
teoretiche (né filosofiche né teologiche) a supporto dell’esistenza, consistenza ed identità del Diritto
canonico. (36)
CAPITOLO 2
IDENTITÀ E QUALIFICAZIONE DEL DIRITTO CANONICO
Approccio storico-fenomenico
- finché il primo nucleo di discepoli del Signore risorto contava qualche decina di soggetti (cfr. At 1,15) già
provenienti da una convivenza di alcuni ed in parte legati da rapporti di parentela (cfr. At 1,12-14)
rapporti, ruoli, referenze non offrivano specifiche difficoltà. Non di meno ad ogni accrescimento della
Comunità col Battesimo di migliaia di persone (cfr. At 2,41.48; 6,7; 11,22) si aprivano nuovi ambiti di
attività cui la stessa Comunità di Gerusalemme doveva far fronte attraverso una crescente differenziazione
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dei ruoli/ministeri ed una progressiva organizzazione funzionale certamente non previsti da Gesù né prima
né dopo la Pasqua e nemmeno immaginabili da parte degli Apostoli né prima né dopo la Pentecoste. (38)
- Tanto più che dai testi evangelici, e neotestamentari in genere, si coglie con chiarezza come le “consegne”
di Gesù agli Apostoli [...], il suo “mandato”, non avessero né carattere giuridico, né pretese di tal genere,
avendo natura prettamente teologica e spirituale, come ben visibile nell’apparizione pasquale per
eccellenza (39)
- Ciò per cui cristo ha costituito la sua Chiesa è la missione di annunciare il Vangelo ad ogni creatura perché
tutti — aderendovi consapevolmente — possano essere salvi (cfr. Rm 10,17). La sostanza e la circostanza
di questo evento fontale — e quindi istituzionalmente costitutivo — sono però tali da non consentirne
alcuna riduzione a termini meramente “giuridici”: né secondo le coeve categorie concettuali, né secondo
le nostre attuali concettualizzazioni.
- Da questo genere di considerazioni, che rimangono del tutto introduttorie ed esemplificative, si trae
tuttavia la condizione che le norme di comportamento comunitario di cui la Chiesa ha sentito pressoché
immediatamente la necessità ed urgenza di dotarsi in modo anche formale — al di là dell’ambito
dogmatico (= il depositum fidei), di quello morale (cioè: la sottomissione della vita personale al
comandamento dell’amore) e liturgico — non solo possono rivestire piena giuridicità, ma possono pure
qualificare tale giuridicità in senso comunitario-istituzionale. Il Diritto canonico, infatti, riguarda in
modo del tutto intenzionale proprio e specificamente l’essere stesso della Ecclesia in quanto
“Comunità dei credenti in Cristo”. Dove l’accento è sulla Comunità e non sui singoli suoi membri:
l’Ecclesia, infatti, è “assemblea convocata” ed opera in modo unitario.
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- In questa prospettiva è anche necessario tener presente come la forte e costitutiva identità istituzionale
dell’Ordinamento canonico lo differenzi in modo sensibile dalla generalità degli Ordinamenti giuridici
statali moderni e contemporanei, in ragione soprattutto dell’origine divina — anziché socio-politica —
della Chiesa stessa, secondo la volontà ed il mandato di Cristo... origine che non rileva — a questo fine —
per la sua intrinseca “divinità” quanto invece per la sua etero-determinazione rispetto alla Chiesa stessa:
ciò che oggi, in base al c.d. principio di autodeterminazione [...], nessuno Stato/Ordinamento
contemporaneo accetterebbe per sé in ragione della convinzione (pregiudiziale) che una etero-fondazione
comporti una conseguente dipendenza in termini di mancanza di sovranità. (47)
- La Chiesa, però, non nasce spontaneamente, dal basso, come frutto di — pur articolare — dinamiche
sociali volte a gestire la complessità del dover vivere insieme tra “estranei” amministrando/dosando le
sempre misere risorse esistenziali disponibili per gli uomini (come negli Ordinamenti civili). Al contrario,
essa è caratterizzata ab origine da una forte connotazione elettiva ed identitaria basata sulla
consapevole e volontaria adesione ad una realtà pre-esistente ed indisponibile: il kerygma di salvezza.
Non per nulla, ciò che la Chiesa ha disciplinato dalle proprie origini neo-testamentarie fino all’attuale
giuridicità di stampo codiciale [...], è solo ciò che riguarda la sua identità di “Comunità dei discepoli di
Cristo” e — subordinatamente — il rapporto dei singoli fedeli con la Comunità stessa.
- Nella Chiesa non è quindi possibile adottare in modo più o meno diretto ed immediato l’idea
costituzional-civilstica moderna di veri diritti individualistici incondizionati (tendenzialmente “erga
omnes”) basati sulla tutela immediatamente azionabile di quanto ciascuno “possiede” in sé e per sé in
modo “originario”, pre-sociale e pre-istituzionale (= il “suum” del c.d. realismo giuridico classico) ...
- Al contrario: l’Ordinamento canonico protegge — soltanto e specificamente — la fruizione del comune e
peculiarissimo patrimonio ecclesiale (cfr. Can. 213) in base allo specifico status e ministerium di ciascun
fedele (e non dei fedeli soltanto), riconoscendo “posizioni” o “prerogative” attive e/o passive
giuridicamente vincolanti. (49)
- Ciò non contraddice affatto l’identità del Diritto già individuata nella conflittualità (ius ob noxium) per
cui è il conflitto a creare (la necessità de) il Diritto ma, semplicemente, dà rilevanza (nella Chiesa)
soltanto a specifici conflitti: quelli sostanzialmente legati alla collocazione e funzione ecclesiale-
istituzionale dei diversi soggetti (tanto personali che pluripersonali) come sono — di fatto — status,
munera, Officia, ministeria ... delicta. Si consideri in merito come siano stati proprio i momenti di
maggior difficoltà e crisi comunitario-istituzionale (ed identitaria) quali: persecuzioni, eresie, scismi, a
costringere la Chiesa a stabilire — sempre — nuove norme di condotta a tutela dell’autentica vita
ecclesiale, anche proprio nelle delicatissime materie della predicazione della Parola di Dio, insegnamento
teologico, catechesi e Magistero (= chi, come, a quali condizioni, con quale legittimazione) e dei
Sacramenti (= quali, quando, come, a chi, quali ministri, ecc.). (50-51)
- È infatti necessario porre in risalto come il concetto stesso di Diritto sottintenda una costitutiva
dimensione non solo (e non tanto) di pluralità di soggetti (anche due soltanto), ma espressamente di
pubblicità dei loro reciproci rapporti: tale, infatti, è per sua stessa natura il Diritto (a differenza dei rapporti
amicali o familiari: “intersoggettivi”, ma non “sociali”). Di fatto un Diritto (= “Law” e non “right”) che
sia ontologicamente “privato” è una contraddizione in termini.
«alla fin fine, le sorti della dimensione pubblica (amministrativa) della Chiesa, e, dunque, di un Diritto
amministrativo nella Chiesa, sono paradossalmente legate alle sorti della dimensione privata, dei diritti
soggettivi in essa; che là dove vi è solo “pubblico” non vi è, né vi può essere, “giustizia della cosa
pubblica” (amministrativa); e che questa resta mortifica là dove il “privato” è mortificato: a riprova che
pubblico e privato simul stabunt, simul cadunt».
- Una tale posizione, però, non risulta compatibile con quanto sin qui illustrato proprio a livello di
elementi e fattori costitutivi dell’Ordinamento giuridico canonico in se stesso (tanto dal punto di vista
ecclesiologico che da quello storico-giuridico). Tale semplicistico bipolarismo contrappositorio, non
corrisponde al carattere comunitario-istituzionale dell’Oridianmento ecclesiale attestato fin dalle prime
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fasi della propria vita e storia, tanto più se fondato e compreso — secondo il Vaticano 2° — all’interno
della categoria biblico-teologica del “Popolo di Dio” (cfr. LG, 9-17) e non più della — precedente —
“societas inæqualium” all’interno della quale — Sì — potevano scorgersi legittimità dialettico-
oppositorie, al punto da contemplare una potestà “pubblica” (nelle “societates perfectæ”, come la Chiesa
in sé) ed una “privata” (nelle “societates imperfectœ”, come gli Istituti religiosi o le associazioni).
- Ciò tuttavia non toglie che anche all’interno dell’Ordinamento canonico abbiano una specifica
cittadinanza i termini ed i concetti — tecnici — di “pubblico” e “privato”, seppure con accezioni ed
implicazioni piuttosto specifiche. (65)
- pubblico e privato costituiscono soltanto pseudo-concetti utili a rendere più agevole la
sistematizzazione scientifica della giuridicità ecclesiale senza dover necessariamente attribuir loro
una portata realmente sostanziale quali concettualizzazioni di base della giuridicità stessa,
soprattutto all’interno della Chiesa. (66)
CAPITOLO 3
DIRITTO CANONICO
E PROSPETTIVA ISTITUZIONAL-PERSONALISTA
Elementi costituzionali
- diventa ora necessario approcciare in modo più esplicito e diretto l’Ordinamento giuridico della Chiesa
per coglierne i fattori e le logiche che lo strutturano e reggono in modo nativo ed originario rispetto a
qualunque altra aggregazione o istituzione umana.
Missione e Chiesa
- L’indicazione magisteriale in merito è inequivocabile e costante, soprattutto negli ultimi decenni: la
Chiesa esiste per annunciare il Vangelo, come espresso dal Concilio Vaticano 2° nella Costituzione
dogmatica Lumen Gentium (n. 17), ben ribadito in via operativa dal Decreto “Ad Gentes” (n. 5) e
riproposto con sicurezza da Paolo 6° nella “Evangelii Nuntiandi” dopo il Sinodo dei Vescovi del 1974
sull’evangelizzazione nel mondo moderno: [...]
- Di fatto già a partire dal Nuovo Testamento, tra coloro che accolgono la predicazione evangelica nasce
una comunione che si accresce attraverso la vita sacramentale: Battesimo come “introduzione” in questa
comunione, Eucaristia come vincolo sacramentale di comunione, Penitenza come restaurazione della
comunione perduta, ecc.
- Tale comunione, tuttavia, non è finalizzata a se stessa: la Chiesa, infatti, è una comunione di fede che si
concretizza ben presto in comunione di carità e di annuncio.
- La Chiesa, però, non sorge spontaneamente “dal basso”, per l’iniziativa degli ascoltatori di Cristo alla
stregua di un circolo culturale o di una scuola di pensiero. È Cristo, invece, che ha conferito agli Apostoli
una precisa missione.
- Il primo compito della Chiesa è dunque l’annuncio evangelico! La struttura ontologica della Chiesa è
missionaria: rivolta cioè all’annuncio del kerygma di salvezza. Gli Apostoli, prima che guide e
maestri, sono annunciatori e testimoni. La Chiesa, così, nasce dalla missione e per la missione. (76)
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- Da tale missione e dalla sua necessaria attuazione intra-storica ha preso progressivamente inizio e forma la
Chiesa, secondo le dinamiche proprie della istituzionalizzaione che consolida e trasmette (= traditio)
quanto ricevuto (= carisma) in circostanza assolutamente irripetibili (= la persona di Gesù Cristo).
- La nuova prospettiva che ne emerge rende finalmente percepibile un elemento di portata davvero
“costituzionale” ormai irrinunciabile per fondare e delineare all’interno dell’Ordinamento ecclesiale anche
un vero e proprio “Diritto amministrativo” specificamente “canonico”: la differenza irriducibile tra i due
modelli aggregativo-istituzionali di “societas” e “communitas”. (80-81)
Appartenenza ed adesione
- Per meglio capire la consistenza e portata della distinzione tra appartenenza ed adesione, giova fare
riferimento alla concretizzazione più emblematica dell’appartenenza giuridica: quella che si realizza nella
società politico-statale (che trova la sua forma più tipica nella “cittadinanza”) in quanto connessa
necessariamente a rapporti che s’impongono ai soggetti ab extrinseco, anche contro la loro espressa
volontà. Tale legame non è in sé oggetto di opzione per i singoli, lasciando loro soltanto la possibilità
(eventuale) di decidere “dove” risiedere, ma non certo “se” appartenere, con tutte le annesse conseguenze.
- Per conto, un’aggregazione di stampo comunitario si caratterizza per la sua ulteriorità o eccedenza
rispetto alla singola persona: offre cioè un “di più” che il singolo apprezza e sceglie liberamente di porre
in atto. In questo caso la base aggregativa non è di carattere fenomenico impersonale (= territorio, etnia,
cultura, economia, politica) ma personale, ideale, ed elettivo: c’è qualcosa che la persona coglie come
meritevole della sua attenzione ed a cui dedica qualcosa di sé. In più: mentre l’appartenenza è un vero e
proprio “fatto”, l’adesione è un vero e proprio “atto”, una scelta e, quindi, un impegno personale.
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- In questa prospettiva, mentre la logica societaria mira al consolidamento di un bene comune (previo ai
singoli e tale da ridurne potenziali conflitti) quella comunitaria mira invece alla costruzione di un futuro
comune (ulteriore ai singoli e non conflittivo) cui nessuno potrebbe giungere senza il coinvolgimento di
energie e risorse non disponibili che per libera scelta di condivisione personale ed a cui tutti e ciascuno
abbiano finalizzato le proprie risorse ed energie in vista di una realizzazione comune che motivi ed
indirizzi lo stesso sforzo strutturale e funzionale della comunità
- In tale contesto la Chiesa stessa pensò a sé e si propose come “societas necessaria”: esattamente al pari
degli Stati ottocenteschi dai quali però doveva adeguatamente differenziarsi (= superiorem non
recognoscens) per potersi poi rapportare “alla pari” attraverso il sistema concordatario.
- Una “necessarietà” della Chiesa che [a] si opponeva al consociativismo funzionale ed “estemporaneo”
delle società statali moderne, [b] derivava — naturalmente — dall’esistenza del “fine societario” stesso
della Chiesa (= la salus animarum) e dal possesso ecclesiale degli strumenti adeguati per perseguire tale
finalità, oltre che [c] dall’irrinunciabilità — morale e teologica — di tale fine.
La dinamica societaria
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- Non desta pertanto stupore che all’interno di un tale paradigma ecclesiale — nel quale la concreta
differenza tra necessarietà e costrittività non risulta sempre cristallina — finisca per essere del tutto
naturale teorizzare — anche — una vera e propria “condizione” individualistica del singolo fedele che gli
permetta di mantenersi (pure) isolato rispetto alla vita ecclesiale come tale, fino anche allo stesso
“contenzioso” (= ius suum) in base al “fine necessario” della società stessa cui — forzosamente —
appartiene proprio a motivo dell’irrinunciabilità ontologico-esistenziale di tal fine. In tal modo il fine
individualistico della propria-salvezza (o anche della propria-santificazione) finisce per non coincidere
più con quello autenticamente ecclesiale (= cum-munus) che è l’annuncio del Vangelo in vista di una vita
cristiana che sia preludio della salvezza eterna.
- In una Chiesa ridotta in tal modo a semplice “arca di salvezza” (individuale) ciascuno può legittimamente
“sgomitare” per reclamare e consolidare il proprio — individualissimo — “spazio vitale minimo” ...
costantemente insidiato dalle pari pretese di tutti gli altri compagni di attraversata verso la meta comune.
È pertanto inevitabile che in tale contesto finiscano per porsi come prioritarie — anche nella Chiesa (sic)
— le “questioni di giustizia” tra tali con-sociati del tutto occasionali.
- Inevitabile anche che gli unici rapporti presi realmente in considerazione siano quelli tra ciascun individuo
e chi esercita potere in/su tale “societas”, indirizzando l’interesse dottrinale e tecnico-giuridico non tanto
ai rapporti “inter pares”, com’è nella maggioranza della pratica giuridica statale, ma quasi esclusivamente
a quelli “gerarchici”: verso/contro, cioè, la c.d. Autorità di governo. (98)
Prospettiva istituzional-personalista
Adesione ed identità ecclesiale
- s’impone ai soggetti stessi ab extrinseco non sia in sé oggetto di decidibilità per i singoli individui, mentre
— al contrario — l’adesione all’Ordinamento canonico, essendo elettiva ed identitaria, rimane del tutto
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volontaria, fino alla piena decidiblità anche della specifica configurazione “rituale” di adesione: la c.d.
Ascrizione rituale dalla quale dipende il Diritto stesso (= Ius proprium) da osservarsi (latino o orientale).
- Non si esprimerà mai con sufficiente chiarezza ed efficacia la profondissima peculiarità della “adesione”
rispetto a qualunque semplice “appartenenza”.
- In tale prospettiva è pure necessario considerare che, mentre lo Stato rispetto alla persona è una sovra-
struttura non necessaria a definire la persona come tale — ed il costituirla “cittadino” non cambia nulla
della persona in sé e per sé — la Chiesa rispetto al fedele risulta, invece, costitutiva offrendo alla persona
stessa “qualcosa” di qualitativamente nuovo. Non vale, infatti, la proporzione “cittadino: Stato = fedele:
Chiesa”, poiché la persona senza la Chiesa non è come la persona senza lo Stato.
- Essere cristiano non “è” come essere italiano o australiano; né essere cattolico è come essere ticinese o
californiano. (105)
- Per la persona lo Stato potrebbe anche non esistere poiché lo Stato (e spesso quello Stato) non aggiunge
nulla alla persona col renderla “cittadino”, non si è infatti persone grazie allo Stato ma prima di esso; [...]
Se, infatti, la Chiesa non esistesse la persona rimarrebbe priva di “risorse” a lei non altrimenti disponibili:
il divenire — grazie alla Chiesa e nella Chiesa — “fedele” aggiunge, infatti, alla persona elementi e
fattori che la rideterminano in profondità andando ben oltre la condizione iniziale di “persona” ed
amplificandone l’identità.
- Proprio la costitutività dell’adesione ecclesiale, d’altra parte, fa sì che i “conflitti di adesione volontaria” si
configurino come specifici istituiti giuridici (penali): eresia, scisma ed apostasia, categorie del tutto
estranee alla giuridicità statale
- Proprio su questa base il Diritto canonico non ammette, di per sé, la “privatezza” (intesa come
individualità escludente) né [a] degli elementi che afferiscono all’appartenenza alla Comunità di fede
ossia: «i vincoli della professione di fede, dei Sacramenti e del governo ecclesiastico» (cfr. Can. 205),
né [b] delle concrete modalità della “sequela Christi” ossia i c.d. stati di vita.
- Ne deriva la possibilità di leggere l’intera esperienza ecclesiale alla luce di due dimensioni costitutive:
[a] quella istituzionale (oggettiva) e [b] quella personale (individuale); dimensioni che si mostrano
quanto mai adatte ad individuare e qualificare lo stesso Ordinamento canonico proprio nelle sue
specificità più caratteristiche. (108)
Persona
- A partire dal Concilio, infatti, la Chiesa cattolica si è posta consapevolmente innanzi ad una vuova
percezione ontologico-metafisica del fedele in quanto “persona”, vedendolo ormai come una realtà
unitaria, costituita di un elemento corporeo e di uno spirituale indivisibili, aperta alla relazione
interpersonale e capace di relazione col Dio trascendente, secondo la miglior riflessione filosofica
“fenomenologica”, “esistenzialista” e “personalista” del secolo scorso, ripresa ed integrata dall’attuale
Antropologia teologica.
- Destinataria dell’attività ecclesiale in sé medesima (tanto spirituale che istituzionale) non è pertanto la sola
“anima” ma la persona integra ed integrale.
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L’Istituzione
- Come sin qui abbondantemente illustrato, ciò che il Diritto canonico interviene a normare sono
principalmente le modalità specifiche secondo cui chi nella Chiesa ha responsabilità deve
predisporre, organizzare e custodire l’annuncio, la testimonianza e l’esperienza vitale del Vangelo
all’interno della legittima “successione apostolica” che custodisce l’una fides e l’unum depositum
consegnati da Cristo ai suoi discepoli, nel pieno rispetto della dimensione irrinunciabilmente
personale dell’adesione e vita di fede di ciascuno.
- In coerenza a questa linea fondativa si pone quanto espresso nel primo Principio guida per la revisione
codiciale che, se manda al nuovo Codice «definire e tutelare i diritti e gli obblighi di ciascun fedele verso
gli altri e verso la società ecclesiastica» [...] «in quanto [tali diritti ed obblighi] si riferiscono al Culto di
Dio e alla salvezza delle anime»
- “Culto di Dio” e “salvezza delle anime”, pertanto, sono i termini ad quos dei definiendi diritti e
doveri dei fedeli: né interessi, né utilità o vantaggi particolaristici/individualistici, generali, generici
e di qualunque tipo ...
- Non si tratta pertanto di “diritti” che il singolo possa “vantare” nei confronti di qualcuno
singolarmente né della Chiesa come tale nel suo insieme, ma di una vera necessità intrinseca e
strutturante l’identità stessa della Chiesa che proprio in questo campo gioca la sua esistenza, in una
dimensione ontologica ben prima che prestazionale e/o debitoria.
I soggetti
- In tale prospettiva occorre prendere atto che, in realtà, l’attenzione tecnico-giuridica fondamentale
nella Chiesa s’indirizza non tanto all’Istituzione o alla Gerarchia o alle persone dei fedeli come tali,
ma alla corretta individuazione del concreto “soggetto” che opera ecclesialmente nelle diverse e
specifiche circostanze ed attitivà di rilievo istituzionale-giuridico.
- Potrebbe giovare in questa prospettiva considerare proprio come il c.d. “diritto” — senza dubbio
fondamentale — per i fedeli come tali di ricevere dai Pastori i beni spirituali della Chiesa non possa essere
compreso né concettualizzato in rapporto ad un co-rispettivo — solo presuntissimo — “dovere” degli
stessi Pastori . Quella dei fedeli non è infatti una vera “facultas” (exigendi) — e neppure una semplice
“utilitas” — cui i Pastori debbano ottemperare in quanto loro specifico “dovere” secondo le singole
richieste. I fedeli, infatti, hanno anche — e prima di tutto! — il vero e proprio “dovere” specificamente
regolamentato nelle proprie soglie minime di attingere a tali beni attraverso il servizio dei “sacri ministri”;
un “dovere” non facilmente declassabile da “giuridico” a “morale” solo a causa della sua non reale
verificabilità/sanzionabilità.
Visione istituzional-personalista
- In tal modo il binomio “istituzione-persona” risulta adatto a declinare l’aspetto invariante (=istituzionale)
della vita secondo il Vangelo in rapporto a quello assolutamente variante (= personale) concretamente
realizzato e perseguito da ogni e ciascun battezzato, evidenziando nella componente istituzionale non un
“quid” autonomo ed autoreferenziale con cui i fedeli sarebbero quasi costretti a confrontarsi, ma la
semplice formalizzazione di ruoli e funzioni che concretizzano l’esercizio articolato ed ordinato del
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ministeriale sacerdotium che LG, al n. 10, presenta come funzionale alla comune condizione di ogni
battezzato.
CAPITOLO 4
CHIESA, PERSONE E DIRITTI
Questioni preminari
Vangelo e diritti
- la possibilità stessa: è davvero possibile all’interno della Comunità di fede cristiana — e secondo la norma
evangelica stessa (sic) — ipotizzare un “cuique suum” di qualcuno, tale da poter essere opposto/negato a
qualcun altro dei fratelli di fede?
- dal punto di vista teologico l’unico “suum” che, evangelicamente, ciascuno può porre in evidenza è la —
sempre — personalissima adesione vitale al Vangelo.
- La Chiesa stessa infatti riconosce e rivendica come propriamente “nativi” soltanto: la predicazione del
Vangelo a tutte le genti, i beni materiali necessari al compimento della sua missione, la possibilità di
sanzione le condotte di vita più radialmente contrarie al Vangelo stesso, cui va aggiunta la celebrazione del
Culto pubblico e dei Sacramenti.
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I “diritti” nella Chiesa
Il contesto dei “diritti dei fedeli”
- Per non essere sviata da referenze non adeguate, la questione dei “diritti dei fedeli” va vista
principalmente all’interno del vero contesto ecclesiale in cui prese consistenza ed esigette soluzioni: non
la “stagione” socio-culturale dei diritti umani (fondamentali e/o di Diritto naturale) ma lo Ius publicum
ecclesiasticum internun che vedeva la Chiesa “Societas iuridice perfecta” contenere entro i propri confini
tante “societates imperfectæ” nelle quali il regime di governo ordinario era del tutto individualistico: la
“potestas dominativa” (detta anche “privata”) attraverso la quale veri e propri “Superiori” dirigevano —
anche/proprio attraverso la coscienza — le vite intere di veri e propri “sudditi”
- Al contempo proprio l’esercizio di una potestas privata nei rapporti “gerarchici” strutturatisi lungo il
Medio Evo aveva portato a svariati eccessi di assoluta arbitrarietà da parte dei Superiori ecclesiastici i
quali pretendevano di essere obbediti senza esitazione alcuna, all’interno di una dottrina teologico-
spirituale che non ammetteva distinzioni tra Morale e Diritto, tra coscienza e libertà... tutto in vista/
funzione della coscienza (e dignità personale), senza la quale non si danno né fede né santità.
- In tale contesto il ricorso intra-ecclesiale alla categoria dei “diritti fondamentali” [...] ha giocato un ruolo
primario nella revisione canonica post-conciliare, divenendo addirittura uno degli emblemi della nuova
concezione-condizione ecclesiale, [...] e contrassegnando vari elementi e fattori di tale revisione: primi tra
tutti i “Principii guida” per la revisione codiciale che parlano ripetutamente di “diritti” ma in modo
assolutamente disorganico e disomogeneo, non senza l’impressione di una prevalenza di principio,
rispetto a concettualizzazioni adeguatamente solide e mature.
- ... quanto si riteneva necessario considerare non erano tanto i “diritti soggettivi” cui si riferivano le
dottrine giuridiche europeo-continentali ottocentesche, né quelli “umani” in voga al tempo, quanto invece
una necessaria nuova concezione e rimodulazione della generale modalità di governo ecclesiale giunta
fino a quel momento, volendo escludere di principio qualunque tipo “arbitrarietà” nell’operato dei c.d.
Superiori.
- nell’adozione della formula “iura subiectiva (vera et propria)”, non va neppure trascurata l’assoluta
incongruità — espressa in tale circostanza e mai revocata da alcuno — di voler tutelare veri e propri
“diritti soggettivi” attraverso gli strumenti tipici della giurisdizione amministrativa (quindi: speciale) la
quale, di per sé, non è competente per gli illeciti — solitamente connessi ai “diritti soggettivi” — per i
quali era già data Azione (almeno rescissoria) presso il “Giudice ordinario”. Più radicalmente — invece —
attraverso il riconoscimento, la formalizzazione e la tutela, di ciò che allora fu chiamato in tal modo
s’intendevano curare le piaghe dell’autoritarismo e dell’arbitrarietà del governo ecclesiale, spesso
umiliante nei confronti delle persone come tali.
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- Palesemente, pertanto, tali “diritti” non sono e non valgono tanto in sé e per sé (= per i fedeli), ma quale
soglia invalicabile posta a chi esercita governo nella Chiesa . Ciò infatti, su cui si voleva intervenire non
erano gli Atti illeciti: gli unici che sia possibile porre contro i “diritti soggettivi”, ma quelli illegittimi!
- D’altra parte, se l’appartenere alla Chiesa-societas (necessaria) è una questione estrinseca (come per
l’appartenenza alla Stato moderno/contemporaneo) allora è inevitabile riconoscere ad ogni singolo
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individuo quanto (all’interno di quel paradigma) gli appartenga in base ai presupposti — un tempo —
illuministici e — oggi — assolutamente liberali: totale libertà e diritti fondamentali, comprimibili solo in
ragione del bene comune gestito (attraverso la Legge) dalla massima Autorità ordinamentale che, però,
dev’essere la più lontana possibile proprio come garanzia strutturale per ciascun singolo indistintamente
che la Legge sia “uguale per tutti”.
- Quanto sin qui criticamente illustrato non comporta tuttavia la negazione che anche nel Diritto canonico
esistano vere posizioni e prerogative individuali espressamente tutelate attraverso un’immediata
azionabilità giudiziale la cui consistenza — per quanto solo funzionale e derivata (dal punto di vista
ontologico) — è del tutto paragonabile sotto il profilo strettamente giuridico a quella di molti dei c.d.
diritti soggettivi presenti negli Ordinamenti statali contemporanei: veri diritti (= rights) quanto ad
effettività e tutela funzionali.
- Per di più: quelle protette dall’Ordinamento canonico non sono solo [a] posizioni (funzionali) ma anche
[b] attività e [c] relazioni che vedono la persona del fedele come protagonista. In tal senso le “libertà”
sono attività che il fedele può liberamente compiere all’interno della Chiesa.
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- Che poi fin dall’inizio, ed ulteriormente, l’oggetto unico di tali Istanze giudiziali fossero il Provvedimenti
definitivi dei Dicasteri della Curia Romana è chiaro in tutte le norme che si sono succedute in oltre
quarant’anni, così come anche:
— l’individuazione dell’unico possibile “convenuto” in Causa: i Dicasteri della Curia Romana
(“adversus decisionem competentis Dicasterii”) e
— l’oggetto unico del petitum: l’annullamento del Provvedimento in questione.
- Di fatto tali ambiguità perdurano tutt’oggi basandosi anche sulla non adeguata distinzione concettuale tra:
[a] veri e propri “Atti di potestà ecclesiastica” e [b] “atti della potestà ecclesiastica” intesi come condotte
concrete tenute da che esercita — anche — potestà ecclesiastica (= comportamenti fattuali concludenti), in
modo da riuscire a distinguere operativamente tra:
— [a1] “conflitti per Atti di potestà ecclesiastica” (= Causæ administrativæ) e
— [b1] “conflitti per comportamenti di chi esercita potestà ecclesiastica” (= Causæ iurium)
oppure ancora distinguere — secondo lo stesso criterio — tra:
— [a2] Atti di governo ed
— [b2] attività di chi governa
ponendo il discrimine tra:
— [a3] quanto appartiene all’attività di governo come tale
(= Uffici ecclesiastici, organizzazione e funzionalità ecclesiale, procedimenti amministrativi, vigilanza)
— [b3] quanto appartiene, invece, al patrimonio giuridico dei diversi soggetti ecclesiali.
«non tutti gli Atti e le decisioni emanati da un soggetto titolare della potestà di governo possono considerarsi
Atti di governo».
- Non di meno in dottrina rimangono sostanzialmente indistinti — e conglomerati — ai fini della “tutela dei
diritti” dei fedeli: atti illeciti, fatti illeciti, attività illecite, attività illegittime, doveri funzionali, atti
invalidi, operati ingiusti, atti illegittimi, azioni illegittime, atti viziati.
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“legale” ma che si presenti non rispondente a tutti i requisiti di “ottimalità” preventivamente esigiti/
imposti dalla Legge
- L’Atto gravoso per il quale il Codice latino prevede la possibilità sia di Remonstratio che di successivo
Recursus hierarchicus si presenta, invece, come Atto sia lecito che legittimo in riferimento alla Legge (=
infra et secundum Legem) per quanto non adeguato in riferimento al destinatario, al quale si riconosce il
diritto di opporre resistenza chiedendone, almeno, la revisione in base agli elementi da lui stesso addotti
nella propria lettura di fatti e circostanze che motivano la richiesta di modifica.
- occorre osservare come non rilevi affatto chi siano i soggetti del contendere ma solo il suo “oggetto”: se si
tratta di “diritti” o di “fatti” — anche tra Istituzioni pubbliche e gerarchiche — la Causa è comunque
contenziosa (= Causa iurium) e se anche ci fossero questioni di “riserva di giurisdizione” in ragione delle
persone, questa deciderebbe solo quale Tribunale adire, ma non il tipo di Causa e correlato Processo, che
rimarrebbe “contenzioso” (ordinario).
- In tale prospettiva risulta chiaro che esiste senza dubbio nella Chiesa una vera tutelabilità dei
“diritti” (= rights) tanto dei singoli che delle collettività (= universitates), una tutela esperibile
attraverso l’Azione giudiziale in cui i possessori di “titolarità” violate possono chiedere l’intervento
del Giudice per [a] verificare la correttezza e fondatezza delle proprie pretese e [b] ristabilire lo
status quo ante rispetto alla eventuale violazione di quanto legittimamente spettante. (169)
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- Qui giunti — per quanto contra communem opinionem (Magistrorum et Magistratorum) —, va
evidenziata la vera origine di questa specifica modalità di tutela dei soggetti nella Chiesa: non la
protezione di “diritti soggettivi” o dell’interesse/bene privato, ma l’esclusione — istituzionale — di
qualunque forma di arbitrarietà dei Provvedimenti di governo ecclesiale.
CAPITOLO 5
ESSENZA MINISTERIALE
DELL’ORDINAMENTO CANONICO
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Tria munera Ecclesiæ e Popolo di Dio
- Occorre infatti recepire in pienezza anche il contesto in cui l’esercizio dei tria munera riceve il proprio
significato: il Popolo di Dio.
- È in questa bi-polarità che si sviluppa l’intero Ordinamento canonico come presentato dal Codice del
1983.
- Il rapporto bi-polare cui ci si riferisce non è affatto antagonistico/contrappositorio […] ma strutturante:
esso infatti assomiglia a quello che fa esistere una “ruota” (a “raggi” come quella della bicicletta). Il
Popolo di Dio forma come il “cerchione” della ruota mentre il ministero apostolico/pastorale è come il
“mozzo” della ruota stessa da cui si diramano (e/o a cui tendono) i vari “raggi” che proprio nella tensione
strutturante tra mozzo e cerchione danno esistenza e funzionalità a quell’insieme dinamico che solo così
può essere considerato la “ruota”, e come tale funzionare.
- È solo, infatti, la co-presenza e la co-relazione che rende possibile l’esistenza (e funzionalità) della nuova
realtà strutturalmente dinamica. Non banalmente: non esiste un “pastore” se non quando esista pure un
“gregge”, ma un “gregge” non è tale se non attraverso la presenza di un “pastore”, diversamente si parla di
“branco”, come si dice degli insieme di animali allo stato brado. Altra immagine evocativa di questo
rapporto costitutivamente bipolare può trarsi dalla Geometria: l’ellisse alla cui esistenza sono
indispensabili due “fuochi”, nessuno dei quali prevalente sull’altro.
- Ne deriva sotto il profilo teoretico e fondativo la riconducibilità diretta tra munus e potestas, ministerium
ed autoritas in una complementarietà strutturale di complicazioni che solo nella continua e reciproca
interazione assicurano e garantiscono ciascuno dei due elementi: Popolo di Dio e pastorale munus,
sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale… gregge e Pastori.
Ministero e potestas
Dal ministero alla potestà
- Non sarebbe azzardato affermare che la vera quæstio sostanziale del rapporto tra Popolo di Dio e
ministero pastorale sia quella […] della corresponsabilità, superando così le strettoie di una troppo
elementare e sterile “giustizia amministrativa” per accogliere invece il necessario apporto di ciascun
fedele alla missione della Chiesa. Apporto che, per non essere arbitrario, necessita della messa a punto ed
esplicitazione dei corretti percorsi decisionali ed attuativi cui ogni fedele in base allo status individuale
[…] ed alla funzione (= munus) esercitata all’interno della Comunità ecclesiale deve poter
responsabilmente partecipare, anche solo al livello di verifica della legittimità sostanziale di quanto deciso
ed operato.
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CAPITOLO 6
IL DIRITTO AMMINISTRATIVO CANONICO
- Di fatto occorre riconoscere come tutto il Diritto positivo ecclesiale che regola la funzione di governo
della Chiesa sia sostanzialmente “Diritto amministrativo”, nonostante non sia possibile nella Chiesa
parlare di un “Diritto dell’Amministrazione (pubblica)”, come invece se ne parla ordinariamente in
riferimento alle norme proprie della “Pubblica Amministrazione (soggetto)” degli Stati in riferimento agli
organi ed Enti (centrali o locali) che costituiscono la stessa struttura e funzionalità dello Stato-soggetto. A
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tal proposito risulta imprescindibile in ambito canonico la distinzione tra “Amministrazione-soggetto/
organo/apparato” (= quella statale) ed “amministrazione-attività”, come rimane — sotto ogni punto di
vista — quella ecclesiale.
- Proprio tale “Amministrazione-attività” ecclesiale può essere definita: l’utilizzo da parte della competente
Gerarchia degli strumenti reali e personali con cui la Chiesa agisce in ordine al conseguimento dei
suoi fini, e conformemente ai principii costituzionali e dottrinali che la condizionano.
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- Tale prospettiva tutoria (= tutela dei diritti) non riesce però ad evitare un’impostazione sostanzialmente
contenziosa di tutto l’ambito amminitrativistico, finendo per strutturare il Diritto amministrativo canonico
in modo pressoché “deduttivo” proprio a partire dal Processo contenzioso amministrativo, attraverso cui il
singolo fedele (o altro “soggetto”) possa ri-ottenere — o farsi “compensare” — il “suum” eventualmente
intaccato dall’operare della “Pubblica Amministrazione Ecclesiastica”, sempre identificabile coi c.d.
Superiori.
- nella Chiesa l’amministrazione sarebbe un’attività più che una struttura (principio di Urrutia).
- La trattazione della parte “dinamica” proposta da questa linea teoretica si articola sostanzialmente su due
tematiche fondamentali:
1) gli Atti amministrativi di governo esecutivo, seppure in senso lato;
2) le Azioni contro la loro illegittimità (= Processo contenzioso amministrativo)
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