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51 - Lettera A Tito. Lettera A Filemone, R. Manes

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ROSALBA MANES, nata a San Giovanni Ro­

tondo 1'8 agosto 1977, è consacrata neii'Ordo vir­


ginum della diocesi di San Severo ( FG) dal 200 l.
Dopo il baccellierato in filosofia e in teologia
presso la Pontificia Università Gregoriana, ha con­
seguito la licenza in Sacra Scrittura presso il Pon­
tificio Istituto Biblico e il dottorato in Teologia Bi­
blica presso la Pontificia Università Gregoriana.
Ha svolto corsi di Sacra Scrittura presso I'ISSR
Beata Vergine del Soccorso di San Severo ( FG) ,
I'ISSR Giovanni Duns Scoto di Nola ( NA) e il Cen­
tro di teologia per laici deii'ISSR Ecclesia Mater di
Roma. Insegna presso l'Istituto Teologico San Pie­
tro di Viterbo. Ha collaborato con i Periodici San
Paolo nell'edizione della Nuova Bibbia per la Fa­
miglia.

Copertina:
Progetto grafico di Angelo Zenzalari
NUOVA VERSIONE
DELLA BIBBIA
DAI TESTI ANTICHI

51
Presentazione
:\UO\'A VEHS.LO~E DELLA lllBBlA DAl TESTJ A,'iTlCilT

L a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone


sulla scia di una Serie inaugurata dall'editore a mar-
gine dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della
Bibbia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato
nel 1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli
obiettivi, arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità
contemporanee.

I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere


le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla
lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità
letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un
lato rendere conto dell'andamento del testo e, dall'altro, soddi-
sfare le esigenze del lettore contemporaneo.
L'aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la
scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il
testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di
venire incontro all'interesse, sempre più diffuso e ampio, per
una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, ne-
cessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente
ad esse.
Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo li-
vello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre
informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti
nei diversi manoscritti antichi, l'uso e il significato dei termini,
i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che
spingono a preferime una e altre questioni analoghe. Un secon-
do livello, dedicato al commento esegetico-teologico, presenta
le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli
aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno,
il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto
dialogico.

Particolare cura è dedicata all'introduzione dei singoli libri,


dove vengono illustrati l'importanza e la posizione dell'opera
nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche
PRESENTAZIONE 4

fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine,


la storia della sua trasmissione.
Un approfondimento, posto in appendice, affronta la pre-
senza del libro biblico nel ciclo dell'anno liturgico e nella vita
del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo
nella sua collocazione "originaria", ma anche nella dinamica
interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebra-
zione liturgica costituisce l'ambito privilegiato.

I direttori della Serie


Massimo Grilli
Giacomo Perego
Filippo Serafini
Annotazioni di carattere tecnico
M '0\ A \'EHS I01\E DEl .LA lllBllL\ DAI TEST LAl\TIClll

Il testo in lingua antica


Il testo greco del Nuovo Testamento stampato in questo volu-
me è quello della ventisettesima edizione del Novum Testamen-
tum Graece curata da B. Aland - K. Aland - J. Karavidopoulos
- C.M. Martini (1993) sulla base del lavoro di E. Nestle (la cui
prima edizione è del 1898). Le parentesi quadre indicano l'in-
certezza sulla presenza o meno della/e parola/e nel testo.
La traduzione italiana
Quando l'autore ha ritenuto di doversi scostare in modo signi-
ficativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i seguenti
accorgimenti:
i segni • , indicano che si adotta una lezione differente da
quella riportata in greco, ma presente in altri manoscritti o
versioni, o comunque ritenuta probabile;
le parentesi tonde indicano l'aggiunta di vocaboli che appaiono
necessari in italiano per esplicitare il senso della frase greca.
Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si
allontanasse troppo dall'originale ebraico o greco, tenendo però
conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi dif-
fuso e abbastanza affermato.
I testi paralleli
Se presenti, vengono indicati i paralleli al passo commentato
con il simbolo l l; i passi che invece hanno vicinanza di contenuto
o di tema, ma non sono classificabili come veri e propri paralleli,
sono indicati come testi affini, con il simbolo •!•.
La traslitterazione
La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con
criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferi-
mento alla pronuncia del vocabolo, ma all'equivalenza formale
fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.
L'approfondimento liturgico
Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati),
rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani,
quindi alla versione CEI del2008.
Per ulteriori approfondimenti legati al presente volume
e all'intera Serie si veda H·sito www.nuovaversionedellabibbia.it
LETTERAA TITO
Introduzione, traduzione e commento

a cura di
Rosalba Manes

~
SAN PAOLO
Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 27u. Revised Edition, edited by Barbara
Aland, Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger in
cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, Miinster/Westphalia,
© 1993 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2011


Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
www.edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.
Corso Regina Margherita, 2- 10153 Torino

ISBN 978-88-215-6854-1
INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

Già il Frammento Muratori 1 (seconda metà del II secolo), che


riflette la posizione della Chiesa di Roma, rivela il giudizio posi-
tivo attribuito alla lettera a Tito e alle due lettere a Timoteo e le
accoglie nel canone delle Scritture del NT. Viene supportata così
la cattolicità delle lettere inviate non solo alle comunità, ma anche
a singoli individui, ritenendole «scritte per l'affetto e per l'amore,
e tuttavia ispirate dall'onore della Chiesa cattolica e dall'ordina-
mento della disciplina ecclesiastica» (Frammento Muratori, righe
60-63). A questo canone fa eco Ireneo di Lione nella prefazione
del suo Contro le eresie.
Dapprima la lettera a Tito, nel1703 ad opera di D.N. Bardot, e
poi anche le due missive a Timoteo, nel 1726/1727 ad opera di P.
Anton, ricevettero il nome di «lettere Pastorali» perché indirizzate
a due intimi collaboratori di Paolo, pastori delle comunità eccle-
siali di Efeso e di Creta. Esse si prefiggono non tanto la diffusione
del Vangelo, quanto la cura delle comunità evangelizzate, durante
l'assenza dei missionari. Del loro carattere peculiare erano consa-
pevoli anche gli antichi, come sant'Agostino, che scrive: «Queste
tre lettere dell'Apostolo deve tener ben presente colui al quale,
nella Chiesa, viene affidata la mansione di dottore» (La dottrina
cristiana 4,16,33).
La lettera a Tito e le due lettere a Timoteo sono dette «tritopao-
1 Uno dei più importanti documenti per la storia. primitiva del canone del NT, che prende

il nome dallo storico italiano che identificò e studiò il manoscritto nel 1740.
INTRODUZIONE 10

line», poiché contengono un'enfasi particolare sulla strutturazione


delle comunità e sembrano riflettere una maturazione delle comu-
nità cristiane, per distinguerle dalle «protopaoline» (l Ts; Gal; Fil;
Fm; 1-2Cor; Rm), la cui paternità paolina non è messa in dubbio,
e dalle "deuteropaoline" (2Ts; Col; Et), che presentano circostanze
diverse e sviluppano il pensiero di Paolo alla luce di una concezione
più vasta della Chiesa verso la fine del I secolo.
È probabile che le Pastorali fossero già conosciute verso la fine
del I secolo, dal momento che ad esse sembrano alludere la seconda
lettera di Pietro, la lettera di Clemente Romano, le lettere di Ignazio
di Antiochia, la lettera di Policarpo ai Filippesi, il Pastore di Erma,
la lettera a Diogneto e le opere di Giustino.
Sorprende la convergenza della lettera a Tito con le due a Timo-
teo dal punto di vista sia letterario sia teologico. La loro redazione,
infatti, lascia supporre che siano state concepite come un corpus.
Nell'ordine tradizionale delle lettere di Paolo, che si fonda sulla
loro lunghezza decrescente e dove le lettere scritte a singoli in-
dividui seguono le lettere indirizzate alle Chiese, la lettera a Tito
appare dopo le due lettere a Timoteo. L'ordine più antico però,
attestato, p. es., nel Frammento Muratori e nell'Ambrosiaster (un
commentario delle lettere di Paolo datato intorno al380 d.C., che
prima dell'umanista Erasmo da Rotterdam veniva attribuito ad
Ambrogio, vescovo di Milano), è quello che elenca la lettera a Tito
prima delle due a Timoteo.
L'ordine che vede la lettera a Tito collocata prima degli scritti a
Timoteo lascia supporre che, a motivo della sua ampia introduzio-
ne, la lettera a Tito sia stata collocata come prefazione al corpus
delle Pastorali: la prima lettera a Timoteo riprenderebbe i temi della
lettera a Tito per ampliarli e la seconda lettera a Timoteo comple-
terebbe la prima e al tempo stesso se ne distaccherebbe, a motivo
del genere letterario testamentario, caratterizzato dall'abbondanza
di personalia (notizie personali).
Dopo essere stata considerata per molto tempo uno scritto di
«teologia minore», a motivo delle differenze che presenta con le
grandi lettere di Paolo, la lettera a Tito viene oggi rivalutata e
stimata come un'attualizzazione del messaggio dell'apostolo, che
Il INTRODUZIONE

si colloca nella tensione tra la fedeltà alle origini e l'attenzione a


dialogare con la società e a sincronizzarsi con i movimenti di un
mondo che cambia, per aiutare i credenti a progredire nell' assun-
zione di una specifica identità cristiana.
In questo volume la lettera a Tito è abbinata a quella a Filemone
a motivo della loro vicinanza all'interno del canone del Nuovo
Testamento. La lettera a Filemone, infatti, pur appartenendo al
gruppo delle protopaoline appare dopo le Pastorali, a motivo della
sua brevità e per il fatto di essere annoverata tra le lettere personali,
indirizzate a singoli e non a comunità.

ASPETTI LETTERARI

La lettera, pur essendo indirizzata a un singolo, ha un carattere


più ufficiale che personale. Essa si presenta nella veste di un'istru-
zione su cosa e come il ministro debba insegnare in una comunità
minacciata dalla falsa dottrina, per custodire la fede nella salvezza
divina che è per «tutti gli uomini» (2, 11) e salvaguardare la natura
dell'identità cristiana attraverso il primato delle «opere buone»
(2,7.14). La lettera, più che polemizzare contro la falsa dottrina,
richiama l'autorità sulla quale la vera è fondata: Dio, Gesù, Paolo,
il successore di Paolo. Contiene un discorso edificante che punta a
dimostrare come la vera conoscenza e la fede si manifestino nelle
opere e nelle virtù; vuole, inoltre, muovere alle «opere buone» (alla
lettera: «opere belle»).
Dal punto di vista stilistico, la lettera presenta un'ampia con-
centrazione di forme verbali imperative e contiene tre modi di or-
ganizzare il testo: esortazioni, codici comportamentali, esposizioni
dottrinali. Si tratta dunque di uno scritto tessuto su una trama e un
modello epistolare, su cui s'innesta a sua volta materiale diverso
per forma, contenuto e provenienza. La lettera a Tito presenta delle
somiglianze con le istruzioni etiche dei filosofi, riproposte come
modelli nelle scuole di retorica e raccolte in elenchi di virtù e vizi,
oltre a cataloghi di doveri. Quanto al suo genere più specifico,
essa non è una lettera di genere parenetico o esortativo, perché chi
INTRODUZIONE 12

scrive in nome di Paolo non dà esortazioni etiche a Tito, ma ordini


da eseguire e norme di comportamento che questi deve trasmette-
re agli altri. Questo testo epistolare si presenta piuttosto come un
mandatum, simile ai mandata principis (lettere ufficiali), dal carat-
tere innovativo che ne fa uno scritto assimilabile a decreti, editti e
ordinanze, che l'amministrazione pubblica del periodo ellenistico
diffondeva nell'Impero in forma di lettere circolari.
La lettera presenta un Paolo "rivisitato" e appare come una sor-
ta di collage d'autore, uno scritto cioè che nella forma di lettera
circolare raccoglie una complessità di espressioni letterarie che
vanno dalle esortazioni ai codici domestici, sociali, ecclesiali e agli
enunciati teologici, imbastite con materiale squisitamente paolino
e materiale liturgico preesistente dalla forte connotazione pasquale
(come frammenti di catechesi giudeo-cristiane o protocristiane,
formule di professione di fede che costituiscono il nucleo del credo
cristiano, dossologie).
Più in dettaglio la lettera si presenta suddivisa nelle seguenti
sez10m:

1,1-4 Il prescritto. L'orizzonte della predicazione di Paolo


l ,5-3, Il Il corpo epistolare
1,5-16 Il ruolo centrale del ministro. L'aiuto per re-
stare saldi nella fede
1,5-9 Presbiteri ed episcopo
l, l 0-16 La presenza di dissidenti
2,1-15 Disposizioni etiche particolari ed esposizione
teologica del mistero pasquale
2, l La direttiva centrale per Tito
2,2-10 Il codice comunitario
2, 11-14 Il fondamento soteriologico
2,15 Il monito conclusivo a Tito
3, 1-7 Disposizioni etiche generali ed esposizione
teologica dell'evento battesimale
3,1-2 Esortazioni a carattere generale
3,3-7 L 'effusione dello Spirito e i suoi effetti
3,8-11 L' «utile» e l' «inutile»
13 INTRODUZIONE

3,12-15 Il postscritto. Il frutto delle «opere buone»


3,12-14 Ipersonalia
3,15 Il saluto finale

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

La lettera ci offre interessanti squarci sulla vita della comunità


protocristiana: la nascita dei ministeri, il costituirsi di una tradizione
dinamica, la necessità di custodire la fede da possibili devianze,
l'esigenza di "abitare" il mondo e inserirsi nella fitta rete dei suoi
equilibri sociali e istituzionali. Se nelle lettere protopaoline il cri-
stiano è impegnato a trascendere il mondo attuale, nella lettera a
Tito egli invece è istruito dalla grazia divina a vivere «nel presente»
(2,12).
La teologia della lettera subisce la provocazione dei dissidenti,
pressante preoccupazione che attraversa l'intero scritto. Si tratta
di un gruppo interno alla comunità caratterizzato da tendenze che
richiamano la gnosi, un complesso di dottrine filosofico-religiose
a carattere sincretistico, apparse nel Vicino Oriente nel II secolo
d.C. La gnosi si caratterizza per la tendenza a un marcato dualismo
tra Dio e il mondo, predica la liberazione dalla materia, limita la
salvezza a una ristretta cerchia di eletti destinati da Dio a ricevere
tale dono, nega l'incarnazione reale del Cristo. Questa dottrina fu
combattuta dagli scrittori cristiani del II secolo. Anche se si tratta
di un sistema documentato soltanto in un periodo successivo alla
comparsa del cristianesimo, tracce di terminologia gnostica appaio-
no in alcuni testi polemici del NT, come quelli presenti nella lettera
a Tito. Siamo quindi di fronte a una gnosi incipiente di provenienza
giudaica, che predica genealogie, miti e favole.
Per far fronte agli errori dottrinali ed evitare stili di vita non
compatibili con il Vangelo, l'autore della lettera combina l'etica
con la teologia. Nella sua visione l'etica cristiana è cristologi-
ca, si alimenta cioè del mistero dall'incarnazione, vero codice di
umanizzazione e di bellezza per ogni uomo. La vita nuova nello
Spirito, inaugurata dallavacro battesimale e attuata per mezzo del
INTRODUZIONE 14

dono che Cristo fa di se stesso, opera nell'uomo un potenziamento


della sua attitudine al bene; così le «opere buone» del cristiano
appaiono come il risultato dell'opera di Dio nella vita dell'uomo
e sono esse stesse epifania della bellezza e della bontà divina nel
mondo.
La teologia della lettera è pertanto incentrata sulla cristologia
che attinge a un vocabolario nuovo, come attesta il titolo sot~r,
«salvatore». Attribuito sia a Dio che a Gesù Cristo, esso rappresenta
una novità non solo per la duplice attribuzione, sia al Padre che al
Figlio, ma anche perché sostitutivo di «signore», presente invece
nelle altre lettere paoline. Il termine «salvatore», proveniente dal
lessico ellenistico dove era impiegato per l'imperatore, diventa il ti-
tolo distintivo di Gesù Cristo che in Tt 2,13 è detto, con una formula
insolita e del tutto innovativa, «nostro grande Dio e salvatore».
Quindi la cristologia della lettera a Tito può essere definita sote-
riologica. Appaiono poi concetti quali «grazia», «bontà», «amore
per gli uomini» impiegati come personalizzazione dei sentimenti
di Dio verso l 'uomo attraverso l'opera di Cristo. Il mistero dell'in-
carnazione del Cristo è presentato nella lettera come «epifania»,
manifestazione di Dio agli uomini, che comunica la salvezza dal
peccato e colloca in una vita nuova. Il tema dell' «epifania» o della
manifestazione divina attesta la medesima origine ellenistica. Si
distinguono due manifestazioni del Cristo nella lettera: una prima,
nel passato, che coincide con l'evento storico dell'incarnazione
e della redenzione operata dal Cristo; una seconda, escatologica,
attesa per il futuro. Viene, inoltre, presentato l'aspetto permanente
della prima manifestazione del Cristo in quanto essa si realizza ora
mediante la predicazione del Vangelo. La cristologia della lettera
a Tito si condensa in alcune espressioni o formule riprese dalla
professione di fede tradizionale o da brani catechetici (cfr. Tt 2,11-
14; 3,3-7) che rivelano l'iniziativa gratuita ed efficace di Dio che
salva non per i meriti dell'uomo, ma per sua misericordia, e che si
realizza nell'effusione dello Spirito.
Possiamo paragonare l'impianto teologico della lettera a un'el-
lisse con due fuochi. Uno dei due fuochi è rappresentato dalla cele-
brazione del mistero pasquale, dove si condensa l'azione di Dio in
15 INTRODUZIONE

Gesù Cristo salvatore che offre se stesso per amore degli uomini, al
fine di purificarli e farne il suo popolo, consacrato al bene. L'altro
fuoco attorno a cui ruota la teologia della lettera è rappresentato
dalla celebrazione del battesimo, dove la misericordia di Dio si
concretizza nell'effusione abbondante dello Spirito per mezzo di
Gesù Cristo, che giustifica l 'uomo e lo rende erede dei beni eterni.
L'ambito in cui l 'uomo fa esperienza dell'epifania salvifica di-
vina per mezzo di Gesù Cristo e dove si riceve lo Spirito Santo è
quello della comunità dei credenti, assimilata a una famiglia. La
comunità cristiana è presentata da un lato come luogo di educa-
zione e formazione, in cui l'insegnamento e l'esempio, conforme
alla sana dottrina trasmessa dagli apostoli, hanno un ruolo molto
importante; dall'altro come spazio esposto alle minacce di etero-
dossia cui bisogna adoperarsi con ogni mezzo per resistere. Il mo-
dello familiare della Chiesa appare negli elenchi di qualità umane
richieste ai responsabili della guida della comunità. Sia all'episcopo
che al presbitero, preposti per garantire il buon ordine e l'ortodossia
nella comunità locale, si richiede che abbiano dato buona prova
di sé nell'educazione dei figli e nella conduzione della propria
famiglia. Seguono poi nella lettera altri cataloghi rivolti ad altre
categorie della compagine ecclesiale. Da questi elenchi emerge il
profilo del cristiano, caratterizzato da un'etica delle relazioni giuste
ed equilibrate.

DESTINATARI, AUTORE E DATAZIONE

Pur essendo stata attribuita sin dal III secolo a Paolo di Tarso
(Eusebio, nella sua Storia della Chiesa 3.3.3, pone le Pastorali tra
i cosiddetti libri homologoumenoi, cioè autenticamente paolini),
la lettera a Tito oggi è considerata un prodotto della «tradizione
paolina», una lettera di Paolo solo quanto al pensiero e all'autorità,
messa a punto però da un autore-redattore esperto di pseudepigra-
fia2. La possibilità che alcune lettere del corpus paolino non siano
2 Fenomeno letterario che consiste nel porre un testo scritto da un autore anonimo sotto
il nome e l'autorità di un personaggio notoriamente conosciuto.
INTRODUZIONE 16

state scritte o dettate da Paolo ma redatte da qualcuno dei suoi


discepoli, non incide negativamente sulla valutazione letteraria,
teologica ed esegetica di questi scritti che rimangono canonici, cioè
ispirati. Il fenomeno della pseudepigra:fia nasce dalla reale premura
di conservare un insegnamento ritenuto particolarmente prezioso e
punta a realizzare una sorta di prolungamento della personalità di
un personaggio, atto a diffonderne l 'insegnamento e promuoverne
l'autorità, nonché a ribadire la verità del patrimonio tradizionale in
circostanze di vita mutate rispetto alle origini storiche normative o
fondanti. Il patrocinio del· personaggio e l'autorevolezza invocata
tramite l'imitazione stilistico-letteraria è in funzione della verità
del patrimonio tradizionale.
Nel caso specifico della lettera a Tito, sia il destinatario che il
mittente potrebbero essere una finzione letteraria, posta al servizio
del contenuto. Quanto al personaggio ·di Tito, esso non è mai men-
zionato negli Atti; è invece uno dei più noti nella seconda lettera ai
Corinzi, dove si apprende di un viaggio di Paolo a Troade in Ma-
cedonia, durante il quale avrebbe dovuto incontrare Tito. In l Cor
16 Paolo, che si trova a Efeso, progetta un viaggio in Macedonia
per andare a Corinto e trascorrervi l'inverno. Poi però la seconda
lettera ai Corinzi ci informa che egli non andò a Corinto, ma in
Macedonia dove incontrò Tito che non aveva trovato a Troade.
Tito era stato lasciato poi a Creta (isola che vantava di esser stata
evangelizzata da Paolo e Tito) al fine di mettere in ordine ciò che
mancava e insediare presbiteri. Paolo evangelizzò Creta nei tre anni
in cui insegnò a Efeso, prima del viaggio a Corinto. Stando a Tt
3,12 è a Nicopoli, città della Macedonia, a nord di Filippi, che Paolo
incontra Tito (come attesta anche 2Cor 7,5-6). È molto probabile
che l'autore della lettera a Tito pensi alla sua lettera come scritta
da Efeso, prima di mettersi in viaggio per la Macedonia.
Varie sono le ipotesi relative alla data di composizione dello scritto.
Stando ali 'ipotesi della redazione precoce, la lettera sarebbe autentica,
scritta cioè da Paolo, tra il 58 e i161 d.C.; per l'ipotesi della redazione
frammentarista, invece, lo scritto sarebbe il risultato di una giustap-
posizione di biglietti-frammenti vari, realizzata da un anonimo nel
II secolo; infine, secondo l'ipotesi della redazione tardiva-pseudepi-
17 INTRODUZIONE

grafica, sarebbe stata redatta tra il 100 e i1120 da un anonimo, che


intenzionalmente avrebbe scritto sotto il nome di Paolo.
Nel presente lavoro spieghiamo l'origine della lettera a Tito a
partire dall'ipotesi pseudepigrafica, fenomeno diffuso nel cristiane-
simo antico. Tale ipotesi si fonda sui caratteri linguistici delle lettere
Pastorali che divergono dalle lettere protopaoline; sui personalia,
frammenti di carattere epistolare e autobiografico che forniscono
un quadro storico non conciliabile con quello che risulta dalle altre
lettere paoline e dal racconto degli Atti degli Apostoli; sul feno-
meno della discontinuità, relativa soprattutto alla cristologia e alla
soteriologia presente nelle lettere protopaoline. La pseudepigrafia
si caratterizza perciò come uno strumento utile a coniugare la ne-
cessità di appellarsi a un'autorità comune e fronteggiare i conflitti
interni alla comunità, con il bisogno di tenere ben presenti le origini
dell'identità cristiana in un contesto sociale, culturale ed ecclesiale
ormai diverso da quello degli inizi della predicazione evangelica.
Il luogo di composizione della lettera a Tito va individuato in
Macedonia e la sua redazione è da collocare dopo il martirio di
Paolo ad opera di un autore anonimo (forse un giudeo-cristiano
aperto all'evangelizzazione dei pagani), che si avvale del nome
dell'apostolo per garantire la più ampia circolazione ai suoi scritti
e che potremmo chiamare il «Paolo pseudepigrafo». Si tratterebbe
di un uomo dotato di grande familiarità con le lettere dell'apostolo
e con la sua teologia. Data la sua prospettiva ecclesiale, potrebbe
essere stato un pastore della Chiesa, di certo esperto di cristologia e
di vita ecclesiale. Custode della tradizione paolina, appassionato al-
lo sviluppo delle comunità fondate dall'apostolo, l'autore-redattore
della lettera a Tito avrebbe selezionato il numeroso materiale che
aveva a disposizione (frammenti di inni, codici familiari, cataloghi
di vizi e virtù, le tradizioni battesimali e i personalia) facendolo
confluire nello scritto in modo personalizzato e innovativo.
Inserita nel solco della tradizione paolina, la lettera a Tito rappre-
senta la testimonianza da una parte della fecondità del patrimonio
teologico e spirituale di Paolo; dall'altra, della creatività dei disce-
poli nell'inculturare il suo pensiero in uno scenario storico ormai
nuovo, al fine di rivitalizzare il messaggio cristiano.
INTRODUZIONE 18

TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Il testo della lettera a Tito, insieme a quello delle due lettere a


Timoteo, manca nel papiro Chester Beatty II {SJ)46) scritto verso il
200 e nel codice Vaticano (B) del IV secolo. Questa assenza però si
potrebbe spiegare per motivi contingenti: sembra che il copista del
papiro Chester Beatty II {SJ)46) non avesse a disposizione un numero
sufficiente di fogli per completare l'opera, mentre gli ultimi fogli
del codice Vaticano (B) sarebbe andati perduti. Il papiro Rylands
5 {SJ)32), anche questo datato intorno al200, invece, contiene alcuni
versetti della lettera, come Tt 1,11-15; 2,3"'-8.

Elenco dei manoscritti per il testo di Tito citati nel commento


Papiro Colt 5 {SJ)61 ) scritto attorno al 700 e conservato alla Pier-
pont Morgan Library di New York.
Codice Sinaitico (K), scoperto nel monastero di Santa Caterina
sul Monte Sinai; risale al IV secolo; la maggior parte dei suoi fogli
sono conservati alla British Library di Londra.
Codice Alessandrino (A), del V secolo; conservato alla British
Library di Londra.
Codice di Efrem riscritto (C), scritto in maiuscolo e risalente al
V secolo. Il nome deriva dal fatto che la pergamena, che in origi-
ne conteneva tutto l'ATe il NT, fu riutilizzata nel XII secolo per
scriverei alcune opere di Efrem siro; il codice è conservato alla
Bibliothèque Nationale di Parigi.
Codice Claromontano (D), scritto in maiuscolo e risalente al V
secolo, contiene le lettere paoline; è conservato alla Biliothèque
Nationale di Parigi.
Codice di Augia (F), del IX secolo; il nome è quello della località
in cui fu copiato, il monastero dell'isola di Reichenau sul lago di
Costanza, chiamata Augia in latino; attualmente è conservato al
Trinity College di Cambridge.
Codice di Borner (G), del IX secolo; conservato a Dresda nella
Sachsische Landesbibliothek.
Codice della Laura del monte Athos {'P), dell'VIII-IX secolo;
prende il nome dal luogo in cui è conservato.
19 INTRODUZIONE

Manoscritto greco 14 (33), scritto in minuscolo e risalente al IX


secolo, e conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi.
Manoscritto greco di Lambeth Palace 1185 (642), scritto in mi-
nuscolo e risalente al XV secolo, è conservato alla Lambeth Palace
Library.
Manoscritto greco 300 di S. Caterina al Sinai (1881), scritto in
minuscolo e risalente al XN secolo.

La dizione «testo bizantino» indica quello riportato dalla mag-


gioranza dei manoscritti greci esistenti; essa viene usata perché si
tratta del testo adottato dalla Chiesa di Bisanzio a partire dal IV
secolo.

BIBLIOGRAFIA

Commenti
BASSLER J.M., l Timothy, 2 Timothy, Titus, Abingdon, Nashville
(TN) 1996.
CALVIN J., 1,2 Timothy and Titus, Crossway Books, Wheaton (IL)
- Nottingham 1998.
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I1POLTITON

A TITO
TITO 1,1 22

1 1nauÀoç OouÀoç 8eou, àn6crroÀoç OÈ 'Irtcrou XplO'TOU


KaTà n{crnv ÈKÀEKTWV 8EOU KaÌ ÈntyVWO'lV cÌÀrt8daç

1,1 Servo di Dio (1iouÀ.oc; 6Eofl)- Si tratta (cfr. Dn 6,21) e i profeti (cfr. Ger 25,4; Ez
di una qualifica singolare nell'ambito dei 38,17;Am 3,7; Zc 1,6). InAt 16,17, invece,
prescritti paolini. Di solito appare l'espres- il titolo «servo di Dio» non serve a ricono-
sione «servo di Cristo» o ancora più spesso scere un ministero ufficiale, ma per indicare
«servo di Gesù Cristo». Paolo utilizza il ti- la dedizione di Paolo e Sila a Dio, come
tolo «servo di Cristo» a proposito di se stes- in Dn 3,93 LXX (TM 3,26) dove Shadrak,
soinRrn l,l;Gall,lOeFill,l ediEpafra Meshak, Abednego sono detti «servi del
in Col 4,12. Il termine «servo» nell'anti- Dio altissimo».
chità designava colui che, privo della sua Apostolo di Gesù Cristo (à:rroo-roÀ.oc; 1iÈ
libertà e dei diritti che spettavano a un citta- 'lTJoou XpLo-rou)- Alcuni manoscritti ri-
dino, era ritenuto un oggetto. L'espressione portano XpLo-rou 'lTJoou invece di 'lTJoou
«servo di Cristo» viene impiegata da Paolo XpLo-rou e il codice Claromontano (D)
e da altri autori del NT per sottolineare il nella versione originale riporta XpLo-rou
fatto che i cristiani, grazie all'opera salvi- e omette 'lTJOOu. Va detto però che i "nomi
fica di Cristo, sperimentano il passaggio sacri" si prestano a modifiche da parte de-
dal servire il peccato al servire colui che gli scribi per motivi religiosi o per assimi-
libera dal peccato. L'espressione «servo di lazione alle formule liturgiche. Tuttavia il
Dio», invece, ricorre solo in Tt 1,1 e in Gc titolo adottato dal vocabolario dell'autore
l, l come auto-designazione dell' aposto- delle Pastorali è 'lTJoou XpLo-rou. Questo
lo. In l Pt 2, 16 i cristiani in generale sono secondo titolo, assai frequente nell'episto-
detti «servi di Dio», e in Ap 7,3 troviamo lario paolino (cfr. Rm l, l; l Cor l, l; 2Cor
l'espressione «servi del nostro Dio» appli- 1,1; Ef l, l; Col l, l; lTm l, l; 2Tm 1,1),
cata ai centoquarantaquattromila segnati. Il mette in luce che il ministero di Paolo non
titolo però proviene dali' AT che lo applica è una sua iniziativa personale: è Cristo a
soprattutto a Mosè (Nm 12,7; 2Re 18,12; chiamarlo e a immetterlo nel processo sal-
Dn 9,11; Ne 9,14; 10,30; lCr 6,34; 2Cr 1,3; vifico che realizza la promessa della vita
24,9). N eli' AT il «servo (ebraico, 'ebed) di eterna.
Dio» è colui che cura gli interessi di Dio, Radicato nella fede (Ka:-rò: n(onv) - Per
è una persona speciale come Abram (cfr. quanto riguarda la preposizione Ka:-rlf con
Sall05,42), Davide (cfr. Sal89,4), Daniele l'accusativo consideriamo l'anfibologia, la

PRESCRITTO. L'ORIZWNTE DELLA PREDICAZIONE DI PAOW (1,1-4)


La lettera a Tito si apre con un prescritto (l'indirizzo che compare in genere
all'inizio di ogni lettera antica) dal carattere programmatico, il più ampio e artico-
lato delle lettere Pastorali sia nella presentazione di Paolo e della sua autorità, sia
nella descrizione del compito affidato a Tito. Sorprende il contatto con il prescritto
di Rrn l, 1-7 con cui condivide la prolissità nel delineare il profilo dell'apostolo.
Mentre nella lettera ai Romani si pone l'accento sulla cristologia, nella lettera
a Tito si insiste sullo stretto nesso tra l'apostolo e il successore, tra l'origine e
l "'oggi" della vita ecclesiale.
Il prescritto, che consta della superscriptio (l'indicazione del mittente, vv. 1-3),
dell' adscriptio (indicazione del destinatario, v. 4a) e della salutatio (saluti iniziali,
23 TITO 1,1

1 1Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo- radicato nella


fede degli eletti di Dio e nella conoscenza della verità,

possibilità cioè di interpretarla in due modi si oppone apertamente a «ciò che si spaccia
diversi, intendendo Ka:ta nel senso di corri- per conoscenza ma non lo è» (ljJEuowvulloç
spondenza e conformità: «in accordo e armo- yvwOLç) di cui si parla in l Tm 6,20. Nel NT
nia», oppure nel senso finale di ELç, «pem. La ricorre anche in l Tm 2,4 dove la conoscen-
versione CEI del2008 traduce l'espressione za della verità appare piuttosto come una
Ko:tà Tr[onv con «portare alla fede», solu- finalità dell'apostolato. Si trova anche a
zione da noi non seguita perché stando al Qumran, Inni (l QH) 18,27-29: «Ma a colo-
contesto si tratterebbe piuttosto di aiutare a ro che partecipano della tua verità, hai da-
perseverare nella fede. La missione di Tito to l'intelligenza [affinché ti conoscano per
consiste infatti nel continuare un'opera che l'etemi]tà; e a seconda della loro conoscen-
è già avviata. za vengono onorati, l'uno più dell'altro. E
Degli eletti di Dio (ÈKÀ.EKtwv 9Eoiì) - Gli così il figlio dell'uo[mo ... ] ha moltiplicato
«eletti di Dio» potrebbero essere il popo- la sua eredità grazie alla conoscenza della
lo dell'antica alleanza, o uomini e donne tua verità e secondo la sua sapienza e [la
già divenuti cristiani o, infine, gentili non sua capacità di comprendere] [sarà glorifi-
ancora convertiti a Cristo. Nel primo ca- cato]». Questo testo celebra l'onnipotenza
so l'autore-redattore presenterebbe la vita di Dio e al tempo stesso la sua «accessibi-
cristiana come normale evoluzione della lità» per l'uomo nel concedergli di pene-
fede nel Dio di Abramo. Nel secondo, trare i suoi segreti e nel farsi conoscere.
inviterebbe i credenti a un radicamento Nell'espressione, quindi, la conoscenza
maggiore nella fede cristiana. Nel terzo, non è un fatto puramente intellettuale, ma
si tratterebbe di una vera chiamata alla un'esigenza etica. In Tt 1,1 essa amplia ul-
conversione radicale. Confrontando que- teriormente l'orizzonte dell'apostolato di
sta referenza con Rm 8,33 e Col 3,12 ap- Paolo. Il Ko:[ potrebbe essere epesegetico
pare chiaro che con l'espressione «eletti ( aggiùnge una spiegazione a ciò che prece-
di Dio» ci si voglia riferire ai cristiani, de) e descrivere la fede degli eletti vissuta
mettendo un'enfasi particolare su colui in seno alla Chiesa: la «conoscenza della
che li ha scelti. verità» sarebbe il risultato della trasmis-
E nella conoscenza della verità (Ko:i sione della tradizione e dell'insegnamento
ÈTI[yvwow &:J..,eElo:ç)- Quest'espressione degli apostoli.

v. 4b ), si presenta anche come un sommario prospettico, dove vengono enunciati


diversi temi soteriologici che ricorrono in tutte le Pastorali e che avranno uno svi-
luppo più esteso nel corpo della lettera stessa (cfr. 2,11-14; 3,3-7). Esso contiene
una vera e propria teologia de li' apostolato che, facendo leva sull'esaltazione della
figura di Paolo e sulla credibilità del suo insegnamento, vede nell'esemplarità
dell'apostolo la via maestra per camminare nella «sana dottrina» che da Cristo
discende alla Chiesa di tutti i tempi, grazie al ministero degli apostoli e dei loro
successori. Il prescritto, posto all'inizio della lettera, ha la funzione di fornire
!'identikit del mittente e del destinatario (ambedue fittizi per via del ricorso alla
pseudepigrafia), di creare una comunicazione empatica tra i due interlocutori e di
introdurre proletticamente il contenuto e l'intento della lettera.
TITO 1,2 24

Tfjç KaT' EÙcrÉ~Etav 2 Èn' ÈÀniòt ~wfjç aiwviou,


~v È1tf1YYEtÀaTO Ò à\jJeuO~ç 8eòç npò xp6vwv aiwv{wv,
3 ÈcpavÉpwcrev OÈ Katpoiç iòiotç TÒv Àoyov aÙTou

Autentica vita religiosa - La conoscenza dell'oggetto di questa speranza, che è pro-


della verità è collegata alla EÒOÉI3euxv («vera prio la vita eterna che Gesù Cristo salvatore
religiosità» ), il delicatO rispetto nei confron- dona a quanti credono in lui. Conferma ne è
ti della sfera del divino che regola anche i il fatto che in Tt 2, 13 vi è un unico articolo e
rapporti umani nel mondo civile e nella co- un unico aggettivo che regge «speranza>> ed
munità ecclesiale. «epifania della gloria>>, a mostrare che con
1,2ln vista della speranza (Èn' ÈÀ.nLliL) -Al- «speranza>> si vuole intendere il contenuto
cuni manoscritti riportano Èv invece di Èn', di questa virtù, cioè la manifestazione della
ma l'espressione Èv ÈÀn(I>L («nella speran- gloria del Salvatore.
za>>) non esiste altrove nel NT, mentre Èn' Da sempre (npò xpovwv alwv[wv)- Questa
ÈÀ.n(I>L («in vista della speranza>>) ricorre più locuzione, presente anche in 2Tm l ,9 e che
volte nell'epistolario paolino. Risulta però la versione CEI del 2008 traduce letteral-
difficile stabilire se con il termine «speran- mente «fin dai secoli eterni», richiama il
za» l'autore voglia designare l'attesa fidu- npò KataPoÀ.ijç KOOj.lOU («prima della crea-
ciosa basata sulla promessa di Dio, oppure zione del mondo») di Gv 17,24 ed Ef l ,4,
l'oggetto della speranza, il Cristo salvatore dove più che riferirsi a un tempo quantifica-
e la manifestazione della sua gloria. Se con- bile, si vuole esprimere la volontà salvifica
sideriamo la preposizione greca Èn( possia- immutabile ed eterna di Dio di farci parteci-
mo capire che l'autore non sta parlando più pi della sua vita. Questa formula non è una
di un possibile orizzonte in cui s'inserisce definizione temporale che rimanda a una
l'apostolato di Paolo, come potrebbe essere data precisa, ma un ebraismo che esprime
l'atteggiamento della speranza, ma di una la rilettura delle promesse messianiche alla
finalità, cioè della manifestazione ultima luce della fede in Gesù Cristo. Per questo

1,1-3 La superscriptio
Dopo quella della lettera ai Romani, si tratta della superscriptio più lunga del
NT. Essa presenta tre elementi: il mittente (fittizio) che è «Paolo», i suoi titoli
(«servo di Dio» e «apostolo di Gesù Cristo») e uno sviluppo che spiega ulterior-
mente i titoli e che è rappresentato dali' orizzonte della fede, della conoscenza
della verità e della vita eterna.
Servo di Dio. Il primo titolo impiegato per presentare Paolo svolge la duplice
funzione di indicare sia il carattere ministeriale del suo ufficio apostolico sia la sua
dedizione a Dio: «la sostituzione di "Dio" al posto di "Gesù Cristo" dà a questa
designazione un valore accessibile anche ai pagani; essa tende inoltre a mettere
l'apostolo allivello di Mosè e degli altri servi di Dio nell'AT (cfr. Dn 9,10-11),
specialmente in relazione con il "servo di Dio" d'Isaia; essa mostra infine che
Paolo non fa differenza tra il Padre e il Figlio» (Spicq, 220).
In Rm l, l; Gal l, l Oe Fil l, l il titolo «servo di Cristo» mette l'accento sull' ap-
partenenza radicale a Cristo e la dedizione piena nell'annuncio del Vangelo. Il
cambiamento da «servo di Cristo» a «servo di Dio» potrebbe non essere signi-
ficativo, oppure potrebbe essere intenzionale per esprimere il fatto che Paolo
25 TITO 1,3

intimamente unita a un'autentica vita religiosa, 2in vista


della speranza della vita eterna che Dio, che non mente,
ha promesso da sempre ... 3Ma nel proprio tempo egli ha
scegliamo di tradurre con l'italiano «da o dell'incongruenza di nessi sintattici. Per
sempre», che esprime durata e continuità, questo traduciamo: «Ma nel proprio tempo
più che precisione cronologica. L'autore egli ha manifestato la sua parola mediante la
sottolinea con questa formula la straordi- predicazione ... », a differenza della versio-
naria continuità all'interno dell'unica storia ne CEI del 2008 che corregge l'anacoluto
di salvezza, creando uno stretto nesso tra il inserendo la congiunzione e traducendo «e
presente della comunità di Creta, il passa- manifestata al tempo stabilito nella sua pa-
to delle promesse messianiche e il passato rola mediante la predicazione».
(meno remoto) della predicazione dell'apo- Ha manifestato (È<jlo:vÉpwaEv)- Si tratta di
stolo Paolo. un aoristo puntuale che evoca un momento
1,3 Ma - Sembrerebbe che la particella av- storico preciso: la predicazione apostolica di
versativa liÉ introduca al v. 3 la continuazione Paolo. Nel corpus paolina il verbo ljlo:VEpow
antitetica del v. 2b; invece, nella costruzione («manifestare») è sinonimo di n1TOKO:ÀU1TTW
manca il KO:L di congiunzione che mostri che (<<rivelare»), come si vede dalla ripresa che
quanto Dio ha manifestato è la vita eterna Rm 3,21 fa di Rm 1,17. Quest'uso sinoni-
che aveva promesso: la proposizione relativa mico dei due verbi viene continuato anche
di 1,2b è seguita da un'affermativa al v. 3 nella tradizione paolina per delineare la rive-
che non ha rapporto con la frase precedente. lazione di Dio in Gesù Cristo, che si compie
Infatti, ciò che è nascosto e promesso («la nell'annuncio del Vangelo.
vita eterna») in l ,2 non è identico a ciò·che è Nel proprio tempo (Ko:Lpot Lc'hoL) -
rivelato («la parola») in 1,3. Siamo pertanto L'espressione, oltre a bilanciare i xpovoL
in presenza di un anacoluto, vale a dire di un o:iwv(oL del v. 2, esprime il riferimento
costrutto incompleto a causa della mancanza al tempo della pienezza (cfr. l Tm 2,6),

vuole rimarcare la continuità tra il suo ministero e quello di queste grandi figure
dell' AT. Nell' AT, infatti, il «servo di Dio» è colui che cura gli interessi di Dio, è
una persona speciale come Abram, Mosè, David, Daniele e i profeti. Anche in A p
15,3l'espressione viene applicata a Mosè. Se Mosè è colui che incarna la Legge e
la Scrittura lo definisce «servo di Dio», probabilmente nella lettera a Tito questa
espressione è utilizzata per indicare l'autorità di Paolo nel dare al popolo di Dio
le giuste norme per vivere la nuova alleanza con Dio sancita in Gesù Cristo. Paolo
è il nuovo Mosè. Per le prime comunità cristiane era Gesù il nuovo Mosè (cfr. il
Discorso della montagna in Matteo); per le comunità della terza generazione è
Paolo che comunica ai credenti la legge di Cristo.
Oppure potremmo dire che utilizzando il termine «servo di Dio», in linea
con la tradizione primitiva, l'autore vuole esprimere l'alto significato della piena
assimilazione di Paolo a Cristo che, stando ali' elogio a Cristo di Fil 2,7, pur
essendo Dio, ha assunto la condizione di servo, adempiendo la profezia di Isaia
sul «servo di YHWH».
Apostolo di Gesù Cristo. È il titolo classico delle auto-designazioni paoline
che egli, a più riprese nella sua corrispondenza epistolare, ha dovuto difendere
TITO 1,3 26

o
Èv KflpuyJ.tan, ÈmcrrEu811v Èyw Kar' Èmray~v
rou crwrfjpo<; ~J!WV 8EOU,

durante il quale la proclamazione della Salvatore (m.rr~p)- Si tratta di un termine


salvezza mediante il kerygma diviene caro alle Pastorali, che rivela la presenza
ripetutamente e storicamente attualità e di una terminologia mutuata da categorie
realtà. ellenistiche e ricorre dieci volte, di cui sei

da quanti mettevano in dubbio l'origine apostolica del suo personale ministero,


contestandogli il fatto di non esser stato nel numero di quanti avevano seguito
Gesù durante la sua esistenza terrena e di aver fatto parte invece di coloro che
avevano perseguitato la sua Chiesa. Il titolo conferisce autorità all'insegnamento
racchiuso nel breve scritto seguente e, sulla scia delle lettere protopaoline, sotto-
linea una duplice realtà: l'idea del vincolo tipico del capo della comunità, che si
pone nella sequela di Paolo, e la sua stessa legittimazione da parte dell'Apostolo.
.L'orizzonte della fede. La fede dei credenti non è tanto ciò che l'autore/re-
dattore della lettera si propone, ma l'orizzonte dell'apostolato della tradizione
paolina, il suo punto di partenza. Il messaggio della lettera a Tito non è finalizzato
a suscitare la fede, ma ad essere in comunione con la fede che già dimora presso
i cristiani di Creta. Compito di Tito è dare alla fede cristiana radici ancor più
pro(onde. Coloro che, avendo abbracciato la fede in Gesù Cristo, ricevono la loro
identità da Dio in virtù dei suoi doni e della sua chiamata che sono irrevocabili
(cfr. Rm 11,29), sono detti «eletti di Dio». Tale espressione richiama il tema bi-
blico dell'elezione che, partendo dal libro del Deuteronomio, attraverso i profeti,
approda nell'ambito del NT e sfocia nella figura del Cristo che fa degli «eletti» il
popolo di sua conquista purificato e riscattato (cfr. Tt 2,14).
La conoscenza della verità e la vita religiosa è un altro orizzonte dell'apo-
stolato di Paolo. L'autore collega intimamente la fede alla verità. Conoscere la
verità è il risultato della trasmissione della tradizione e dell'insegnamento degli
apostoli. La sequela della verità viene presentata come via di fecondità. L'autore
collega la «conoscenza della verità» a una «autentica vita religiosa» (eusébeia),
mostrando che conoscere la verità della fede non è un fatto puramente intellettuale,
ma implica una dimensione profondamente etica. Si pone così l'accento sulla
necessità che la fede e la prassi quotidiana coincidano. La fede cristiana si qua-
lifica pertanto in virtù del connubio tra l'elemento dottrinale e la sua espressione
etica, che informa il vivere del credente e che lo modella in base a valori validi
in quanto garantiti da Dio stesso.
La speranza della vita eterna. Il fine ultimo dell'annuncio cristiano è la «vita
eterna>> (cfr. lTm 1,16; 6,12.19; 2Tm 1,10; Tt 3,7). Non si tratta solo di un orien-
tamento al futuro, ma di un "marchio" del presente, perché il pensièro della vita
eterna, oltre a proiettare il cristiano verso un avvenire lontano, ha anche l'effetto
di accompagnarlo e sostenerlo nel suo pellegrinaggio terreno. Il dono della vita
27 TITO 1,3

manifestato la sua parola mediante la predicazione di cui sono


stato incaricato secondo l'ordine di Dio salvatore nostro -

riferite a Dio (cfr. lTm 1,1; 2,3; 4,10; Tt esso rivela un trasferimento delle funzioni
1,3; 2,10; 3,4} e quattro a Gesù (cfr. 2Tm soteriologiche da Dio a Cristo e l'indisso-
1,10; Tt 1,4; 2,13; 3,6). Usato in modo in- lubile unità tra i due nella loro volontà e
differenziato per il Padre e per il Figlio, azione salvifìca.

eterna non è un ritorno a una vita anteriore, ma è creazione nuova, condivisione


della vita divina, cui si giunge attraverso il dinamismo della storia della salvezza,
l'evoluzione crescente degli interventi di Dio a favore dell'uomo. Appare qui un
altro polo importante dell'annuncio paolino: la prospettiva escatologica, che illu-
mina l'orizzonte di senso e rivela il fine ultimo. Dio stesso appare come il garante
della predicazione di Paolo, trasmessa alle comunità sotto forma di tradizione
paolina. L'autore qualifica Dio con un aggettivo insolito, apseud~s, «colui che non
mente», forse per far emergere con più forza le incoerenze presenti all'interno di
una comunità composta da persone che non amano la verità (cfr. Tt 1,12).
L 'annuncio che rende visibile la promessa. L'espressione kairois idiois («nel
proprio tempo») di l ,3, presente anche in l Tm 2,6 e 6, 15, è strettamente connessa
alla precedente locuzione idiomatica prò chronon aionion («da sempre» o «da se-
coli·etemi») del v. 2b. Ciò che era fuori dal tempo entra nel tempo e dalla promessa
(che non si vede e si può solo credere) si approda alla sua manifestazione visibile.
Anche se ciò che era nascosto e promesso in l ,2 («la vita eterna») non è gramma-
ticalmente identico a ciò che è rivelato in l ,3 («la parola>>), viene tracciato tuttavia
un arco tra la protologia e l'escatologia, al centro del quale l'accento è messo sulla
rivelazione del contenuto centrale della predicazione apostolica. Il compimento di
questa promessa rimanda al «proprio tempo», dove gli interventi salvifici di Dio a
favore dell'uomo trovano la loro piena maturazione: l 'incarnazione del Figlio suo,
la sua passione, morte e risurrezione, l'invio dello Spirito, e anche quell'evento
di salvezza che è la predicazione apostolica. Il verbo «manifestare» offre quindi
concretezza alla promessa eterna di Dio collegandola alla rivelazione della parola
dell'apostolo. La parola eterna di Dio prende corpo nell'annuncio affidatQ a Paolo,
che assume un ruolo centrale e fondante nella vita della Chiesa. La predicazione
apostolica realizza le promesse divine e assume un carattere quasi sacramentale di
realtà di compimento, di realtà che realizza ciò che annuncia, sull'esempio della
predicazione dei profeti dell' AT e del Cristo stesso. Il Verbo eterno continua a
incarnarsi e a manifestarsi nell'annuncio cristiano, la cui autorità non proviene
dall'uomo ma dal comando di Dio che sceglie di designare l'apostolo per tale
servizio. Nella visione della lettera a Tito, pertanto, la rivelazione è strettamente
legata al Vangelo di Paolo e al suo annuncio. La predicazione apostolica riceve
qui una rilevanza soteriologica e così lo stesso Paolo, che viene "canonizzato"
come parte integrante del dinamismo della rivelazione e della storia della salvezza.
TITO 1,4 28

4 Tfr<pYVT]O'l(f> TÉKV(f> Karà KOlV~V rdcrnv, xaptç KaÌ EÌp~VT]


àrrò 8Eou rrarpòc; KaÌ Xptcrrou 'IT]crou rou crwrfjpoc; ~}JWV.

5 TOUTOU xaptv IÌrrÉÀmov O'E ÉV Kp~rn, \va rà Àdrrovra


ÉmÒtop8wcrn KaÌ KaTaO'T~crnç Karà ITOÀlV rrpEO'~UTÉpouç,
W<; Éyw O'Ol ÒlETaça}JT]V, 6 Ei dç ÉcrnV IÌvÉyKÀT]TO<;,

1,4 A Tito (TL'tqJ)- Del tutto sconosciuto manoscritti, imitando il saluto delle due let-
alle narrazioni degli Atti degli Apostoli, ap- tere a Timoteo, contengono la formula tema-
pare più volte nell'epistolario paolino (2Cor ria xocpLc;, H.eoç, elp~VT) («grazia, misericor-
2,13; 7,6.13.14; 8,6.16.23; 12,18; Gal2,1.3), dia, pace»). È preferibile la forma sintetica,
dov'è annoverato tra i più intimi e apprezzati attestata dal codice Sinaitico (l(), dalla prima
collaboratori dell'apostolo. · mano del codice di Efrem riscritto (C), dal
Autentico figlio (YV1JOLqJ tÉKVqJ)- L'espres- codice Claromontano (D), dal codice di Au-
sione richiama il legame di paternità spiritua- gia (F) e altri; essa è in linea con il modello
le di Paolo nei confronti di Tito. L'aggettivo delle epistolepaoline (cfr. Rm 1,7; ICor 1,3;
yvt]awç era usato per distinguere un figlio 2Cor 1,2; Fill,2; Fm 3; Ef 1,2; Coll,2).
secondo la carne da un figlio adottivo. Salvatore nostro- Il manoscritto di Lambeth
Grazia e pace (xocpLç Ka.l eLp~VTJ)- La for- Palace 1185 (642) omette tou awtf)poc; ipwv
mula di saluto si presenta nella sua forma per motivi stilistici (perché ricorre già al v.
sintetica. Il codice Alessandrino (A) e altri 3) o teologici (allo scriba sarà parso inappro-

1,4 L'adscriptio e la salutatio


Al v, 4 compare finalmente il destinatario (fittizio) della lettera e l'augurio
che il mittente gli rivolge e che conclude il prescritto: si tratta di Tito. L'autore lo
collega a Paolo attraverso il legame della filiazione spirituale, un tema presente
nelle lettere protopaoline dove l'apostolo manifesta la coscienza della sua paternità
(cfr. l Cor 4,15; Fm l 0). Il legame viene qualificato da due aggettivi: «autentico»,
relativo a <<figlio», e «comune», relativo a «fede». Essi, oltre a rivelare il profondo
affetto e la piena armonia di Tito con Paolo, manifestano la continuità tra il mini-
stero dell'apostolo e quello del suo successore, legittimando così il ruolo di Tito
e offrendo «una dichiarazione "ufficiale" sul successore insediato dall'apostolo
e incaricato del proseguimento dell'azione apostolica>> (Oberlinner, 28). L'enfasi
sul legame di generazione spirituale che intercorre tra Paolo e Tito, suo collabo-
ratore, è rafforzato dalla costatazione della comunione nella fede. La comunione
(greco, koinonia) che unisce Tito a Paolo diviene normativa, ergendosi a criterio
che «decide tra ciò che è legittimo e ciò che non lo è, tra chi è "erede" e chi non
lo è» (Redalié, 147).
Mentre nella prima e seconda lettera a Timoteo la salutatio prevede la grazia,
la misericordia e la pace, ispirandosi alla triade presente nella formula trinitaria
paolina più nota di 2Cor 13,13, in Tt 1,4 invece appaiono come doni salvifici
solo la grazia e la pace connesse alla loro duplice origine: «Padre», che è il titolo
dato a Dio, e « salvatore nostro», che è il titolo dato a Gesù Cristo. Il binomio dei
29 TITO 1,6

4a Tito, autentico figlio nella fede comune, grazia e pace da Dio


Padre e da Cristo Gesù salvatore nostro.

5Al momento della mia-partenza ti ho lasciato a Creta, perché tu


continuassi a regolare ciò che restava da fare e costituissi in ogni
città presbiteri, come io ti ho ordinato, 6prestando attenzione a che la

priato o ambiguo applicare il titolo a Gesù). tarlo, cioè un termine che appare qui come
•:• 1,1-4 Testi affini: Rm 1,1-7 unica occorrenza nel NT. L'unica altra atte-
1,5 Ti ho lasciato (a1TÉÀ.L11ov oE)- Alcuni stazione risale a un'iscrizione del II sec. a.C.
manoscritti suggeriscono Ko:'tÉÀL11ov in luogo Costituissi - Il verbo Ko:9(onuJ.L («costi-
di al!ÉÀL lTOV ma quest'ultimo è piÙ probabi- tuire», «preporre») è un verbo tecnico
le, perché attestato nei migliori testimoni e che appartiene al linguaggio istituzionale
perché raro nel NT (cfr. Eb 4,6.9; 10,26) a dell'investitura ufficiale o della consegna
differenza di KO:'tÉÀ.L11ov che è più frequente. di un incarico importante (cfr. Mt 24,45; Le
Entrambi i verbi composti banno lo stesso 12,14.42; At 7,10.27; Eb 5,1; 7,28; 8,3).
significato di «lasciare partire». lo (Éyw)- Il pronome personale di prima
Perché tu continuassi a regolare (errLOLOpSWon) persona singolare è enfatico e tende a evi-
-Il verbo È1TLOLOp96c..> significa <<raddrizzare», denziare il primato di Paolo all'interno del-
<<riportare sulla retta via», quindi <<mettere in lo sviluppo ecclesiologico della comunità
ordine»; è un hapax legomenon neotestamen- cristiana.

doni salvifici nella lettera a Tito sembra quasi voler fare simmetria con il binomio
divino, rappresentando il Padre e il Figlio nel loro agire salvifico. Dio è qualificato
come «Padre» secondo una formula classica nell'epistolario, mentre sorprende il
titolo «salvatore nostro» attribuito a Cristo; ci si aspetterebbe, infatti, il classico
«signore», tipicamente paolino.

IL CORPO EPISTOLARE (1,5-3,11)

1,5-1611 ruolo centrale del ministro: l'aiuto per restare saldi nella fede
Dopo aver proclamato solennemente nel prescritto epistolare l'autorità legit-
tima e indiscussa di Paolo e la credibilità del suo ministero, seguono le istruzioni
che Paolo dà a Tito. Le circostanze del soggiorno di Tito sull'isola di Creta fun-
gono da cornice per mettere in scena questa.fiction epistolare che si apre con una
serie di istruzioni desunte dal genere della «deontologia professionale» tipica
dell'etica ellenistica (1,5-9). Segue poi l'identikit dei dissidenti (1,10-16), che
~ppresentano, insieme alla necessità di stabilire presbiteri in ogni città dell'isola,
la preoccupazione pastorale principale della lettera. Poiché mai nel NT si fa rife-
rimento a un'attività missionaria di Paolo a Creta, la scelta dell'isola come luogo
fittizio dell'attività di Tito potrebbe esser stata dettata dalla volontà di affidare ai
due discepoli di Paolo, Tito e Timoteo, incarichi da svolgere in differenti terre di
missione (Creta ed Efeso).
TITO 1,7 30

}.Haç yuva:tKÒç à:v~p. rÉKVa: EXWV mora, }l~ ÈV Ka:rT)yopi~


à:owda:ç ~ à:vun6ra:Kra:.
7 Òd yàp 't'ÒV ÈltlO'KOltOV à:vÉyKÀTJ't'OV ElVa:\

wç 6€0U OÌKOVO}.LOV, }l~ a:ÙSaÒT), }l~ òpy{Àov, }l~ napotvov,


}l~ nÀ~K't'TJV, }l~ a:ÌOXpOK€pÒij, 8 à:ÀÀÒ: <p1ÀO~€VOV
<ptÀaya:Sov OW<ppova: Ò{Ka:\OV 00'\0V ÈyKpa:rij,
l, 7 Episcopo - Il brusco passaggio dal- nella traduzione si ricorre a calchi dal gre-
la figura del 1TpEapunpoç («presbitero» ), co, essendo ogni equivalente italiano ina-
di' cui si trattava nei vv. 5-6, a quella deguato. Le funzioni dell'episcopo sem-
dell'È1TLOKo1Toç («episcopo») attesta forse brano coincidere con quelle dei presbiteri,
che i due termini al momento della reda- com'è confermato dalla connessione sta-
zione della lettera erano ancora fluttuanti bilita tramite il y&.p («infatti»). Può darsi,
a motivo dell'imprecisione degli incari- però, che all'interno del collegio presbi-
chi, almeno a Creta. Per questa ragione terale, l'episcopo svolgesse una funzione

1,5-9 Presbiteri ed episcopo


Nella pericope appare la necessità di ricondurre l'organizzazione della comu-
nità eristiana al discepolo di Paolo e a Paolo stesso, allo scopo di legittimare la sua
struttura ecclesiologica. L'interesse maggiore è rivolto all'apostolo e all'episcopo,
che rappresentano l'origine dello sviluppo ecclesiologico. Appare in filigrana l'idea
della tradizione: Tito deve trasmettere istruzioni che a sua volta ha ricevuto da Paolo.
Tìto, erede di Paolo. Tito succede a Paolo nella direzione della comunità cri-
stiana di Creta e riceve il testimone dalle mani stesse dell'apostolo. Ora spetta a
lui continuare e portare a compimento ciò che Paolo ha impiantato. Questo pone
l'accento sulla stima di cui Tito gode agli occhi di Paolo, ma anche sull'enorme
responsabilità di assumere in toto la difficile eredità del suo maestro e padre. Paolo
parte, ma lascia di sé ciò che il suo discepolo ha assimilato attraverso il loro contatto
(ciò significa il verbo apoleipo usato al v. 5). Nella lettera il suo viaggio sembra uno
dei tanti intrapresi negli anni della sua missione; in realtà, dietro la cortina del genere
pesudepigrafico, si cela una partenza d'altro genere. L'apostolo ha ormai «sciolto le
vele» (cfr. 2Tm 4,6); quindi l'artificio.della.fiction epistolare ha il potere di richia-
marlo in vita e dargli ancora voce perché le fondamenta della Chiesa non vacillino,
ma restino salde, ora che anche il suo successore sta per <<partire» (cfr. Tt 3,12).
Un duplice compito. Tito dovrà dispiegare tutte le energie del suo ministero
continuando l'opera organizzativa intrapresa da Paolo e nominando presbiteri.
Il termine «presbitero» (che in greco significa «[più] anziano») nel giudaismo
era impiegato per le autorità locali o di tutto il popolo a Gerusalemme. Esso
non appare nel corpus paulinum se non nelle Pastorali, dove designa un ufficio
e non una classe d'età. La necessità di nominare presbiteri attesta il successo
dell'evangelizzazione realizzata da Paolo e l'espansione del fenomeno della
cristianizzazione. Il compito affidato a Tito di costituire presbiteri in ogni
città risulta impegnativo se si pensa che Creta era detta ekatompolis, cioè
31 TITO 1,8

persona sia irreprensibile, marito di un'unica donna, con figli credenti


che non diano adito all'accusa di vita dissoluta o di insubordinazione.
70ccorre infatti che l'episcopo, quale amministratore di Dio, sia

irreprensibile, non sia arrogante né iracondo, né dedito al vino, né


violento, né avido di guadagno disonesto; Bpiuttosto ami praticare
l'ospitalità, ami il bene, sia assennato, giusto, santo, padrone di sé,
superiore legata a un'autorità governativa. 1,8 Padrone di sé - Il termine ÉyKpatfì
Amministratore di Dio (8eoiì oLKoVOfloc;) - richiama un requisito importante pres-
Si tratta di un termine tecnico che designa so gli stoici, i Terapeuti d'Egitto e gli
i responsabili della Chiesa e pone l'accento esseni, che ritenevano il dominio di sé
sull'identità del compito ministeriale (cfr. come la base di ogni altra virtù. Più in
lCor 4,1-2; lPt 4,10). Il genitivo di appar- generale, il lessico qui usato riflette echi
tenenza 8eoiì qualifica l'identità degli ammi- della dottrina etica tipica della filosofia
nistratori e ne esige l'esemplarità. ellenistica.

isola «dalle cento città» (cfr. Omero, Iliade 2,649; Orazio, Odi 3,27,33-34).
L 'io di Paolo. Qui non è il discepolo che istruisce il suo successore, ma Paolo
stesso, per rilevare così il punto di partenza della traditio e la dipendenza delle
due generazioni successive dal modello paolino. Secondo la visione tipica della
tradizione paolina è l'apostolo che innesca il meccanismo di trasmissione del mi-
nistero apostolico su cui si fonda la Chiesa. Di fronte a lui, tutti gli altri ministeri
passano in secondo piano.
Una deontologia professionale per i presbiteri. Inizia in l ,6 il profilo del pre-
sbitero e dell'episcopo che mostra numerose affinità con lTm 3,1-7 e 5,17-21. I
cataloghi che compaiono in questa sezione risentono dello spiccato guSto etico
tipico delle liste presenti nella letteratura ellenistica. Le Pastorali condividono
questo gusto e in esse l'etica appare come la visibilità dell'effetto della salvezza
nella sfera spazio-temporale, l 'inculturazione della salvezza nel mondo. I catalo-
ghi non sono specifici ma hanno carattere generale, come si evince già dal primo
requisito necessario per discernere un possibile presbitero. Essere «irreprensibi-
le», infatti, è una virtù generica e onnicomprensiva, come anche l'essere «marito
di un'unica .donna» e padre di «figli credenti». Si insiste sulle caratteristiche
esemplari che il candidato e la sua famiglia devono avere e la casa appare come
microcosmo della Chiesa. Saper dirigere la propria famiglia diviene il certificato
di garanzia per una corretta gestione della comunità ecclesiale. La spiegazione è
ben enunciata in lTm 3,5: «Se uno non sa governare la propria famiglia, come
potrà aver cura della Chiesa di Dio?». Colui che si prepara ad assumere il ruolo
di presidenza all'interno della comunità cristiana dev'essere un ottimo educatore
e avere un comportamento esemplare. Il candidato piuttosto che essere chiamato
a una morale particolare deve essere rappresentativo dei valori cristiani.
Una deontologia professionale per l'episcopo. La comparsa dell'episcopo· può
suggerire l'interscambiabilità dei due ruoli (presbitero ed episcopo), non ancora ben
TITO 1,9 32

9 àvn:x6}lcvov rou Karà r~v òtòax~v moTou J...6you, tv a


n
ÒUV<XTÒç K<XÌ 1t<Xp<XK<XÀElV ÈV Tfj ÒlÒ<XO'K<XÀlQ: Tfj UYl<XlVOUOD
K<XÌ roùç àvnÀÉyovraç ÈÀÉYXElV.
10 EÌOÌV yàp JtOÀ.ÀOÌ [KaÌ] Ò:VUJtOT<XKTOl, }l<XT<XlO.ÀOyot

Kaì q>pcvamhm, }la.Àtom oi ÈK rfjç nEptro}lfjç,


1,9 Parola degna di essere creduta lettere Pastorali (cfr. lTm 1,10; 2Tm 4,3; Tt
(motou A6you)--' La formula 1TLOtÒç ò Àoyoç 1,9; 2, l) ed esprime la conformità della loro
ricorre frequentemente nelle lettere Pasto- dottrina alla tradizione apostolica. L' «esse-
rali (cfr. lTm 1,15; 2,15; 3,1; 4,9; 2Tm re sano» (che acquista il senso traslato di
2,11; Tt 3,8): attesta il carattere ispirato di «essere saldo» in Tt l, 13) è in antitesi con
un insegnamento oppure è impiegata per l' «essere malato» di l T m 6,4, che riman-
contrastare interpretazioni bibliche errate. da alla perdita della verità e ali' apostasia.
Nella sana dottrina - Anche la combina- L'espressione «sana dottrina» diventa così
zione ùyux.(vouoa o~liaoKaÀLa è tipica delle sinonimo di verità e di fede ortodossa.

precisati, oppure una specificazione assai particolare del secondo ministero, che si pone
su un livello più alto rispetto agli altri. Anche ali' episcopo è chiesto di essere «irrepren-
sibile», trasparente, per poter rappresentare i credenti, ed essere vero «amministratore
di Dio», adempiendo la sua volontà e gestendo con diligenza la vita della comunità. Nel
profilo dell'episcopo appaiono numerosi hapax legomena neotestamentari (parole cioè
di cui c'è una sola occorrenza nel NT). Il profilo raccoglie dapprima requisiti esposti
per via negativa, che contraddicono l'immagine del buon capo: espressioni della de-
bolezza del carattere (come alcolismo, frivolezza) e comportamenti anti-comunionali
(come iracondia, violenza, avidità). La rassegna delle qualità positive è fatta mediante
il ricorso alle virtù tipiche del mondo ellenistico. L'ospitalità forse è una reazione ali' at-
teggiamento di particolarismo, presente in alcuni testi dell' AT (come Ester e Giuditta)
e che poteva annidarsi nell'ambito di comunità multiculturali; ci si pone in continuità
con l'insegnamento enunciato dal NT in Mt 25,35.43; Eb 13,2; lPt 4,9. La passione
per il bene richiama l'espressione più alta delle qualità etiche di un uomo, ma rimanda
anche al termine philtigathos («amante del bene») che era un titolo onorifico presso le
comunità greche delle coste settentrionali dell'Asia Minore e del Bosforo. La saggezza
è vista come capacità di valutare persone ed eventi; essa esige non solo uno spessore
morale, ma anche una personalità dotata di grande maturità umana. La giustizia e
la santità costituiscono un binomio che esprime le qualità dell'uomo rispettoso del
prossimo e di Dio. Infine la padronanza di sé, concetto estraneo ali' AT ma presente
in Filone (Le leggi speciali 4,122) e in Giuseppe Flavio (Guerra giudaica 2,82 § 120)
come espressione di un'etica che controlla la concupiscenza, appare un requisito utile
a un'ascesi che, lungi dal disincarnare chi la pratica, spinge l'uomo ad avere autorità
su di sé e sulla realtà circostante. L'ultimo requisito è squisitamente ecclesiale: l'essere
totalmente imbevuto dell'insegnamento trasmesso (v. 9). Il radicamento nella predi-
cazione apostolica e in tutto il «deposito» degli insegnamenti trasmessi è il segno più
credibile della successione, è la garanzia della continuità con il ministero degli apostoli,
è il terreno dove è impiantato l'edificio della Chiesa.
33 TITO 1,10

9ancorato alla parola degna di essere creduta che è conforme all'inse-


gnamento ricevuto, perché sia capace di esortare a rimanere nella
sana dottrina e al tempo stesso di confutare coloro che vi si oppongono.
10Vi sono infatti, soprattutto tra coloro che vengono dalla

circoncisione, molti insubordinati, parolai e ingannatori,


1,10 La congiunzione KIXL («e») dopo se ancora troppo attaccati alle prescrizioni
no Ho( («molti»), attestata nella tradizio- della Legge.
ne manoscritta, va ritenuta un' aggjunta Paro/ai e ingannatori (~ota.ta.LoÀ.oyoL Ka.t
successiva conforme all'uso linguistico <Ppeva.n6.ta.L)- I due termini greci sono hapax
classico. legomena (ricorrono solo qui nella Bibbia)
Coloro che vengono dalla circoncisione- La e servono per qualificare il gruppo di «in-
perifrasi ot ÉK tf)ç nepLtOj.Li')c;, già impiegata subordinati» (civun6ta.KtoL), presente all'in-
da Paolo (cfr. Rm 4,12; Ga12,12; Col4,11), terno della comunità e recalcitrante rispetto
rimanda ai cristiani di origine giudaica, for- all'autorità costituita.

Poiché per i <<presbiteri» si usa il plurale e per l' «episcopo» il singolare, alcuni
hanno pensato che la struttura ecclesiale comportasse un presbitero scelto tra i suoi
colleghi per fare da «episcopo», cioè da supervisore alla comunità. Ma con ogni
probabilità siamo di fronte a una fluttuanza di vocabolario dovuta all'imprecisione
degli incarichi; per cui il termine «episcopo» sarebbe un altro titolo del <<presbitero»
poiché entrambi hanno il compito di presiedere e quello di insegnare.
La parola degna di fede. L'ultimo requisito per l'episcopo viene esplicitato
dal senso della proposizione finale del v. 9, che esprime un ulteriore compito del
responsabile: assicurare che la comunità dimori nella «sana dottrina>> e occuparsi
di coloro che la respingono. Una comunità ecclesiale è la Chiesa di Gesù Cristo
quando si nutre dell'insegnamento apostolico. Laddove esso è rigettato, vi è ete-
rodossia e auto-espulsione dalla Chiesa. La «parola degna di fede» richiama il
v. 3, dove la «parola>> della predicazione di Paolo manifesta il progetto salvifico
eterno di Dio «che non mente».
1,10-16 La presenza di dissidenti
La comunità di Creta non si presenta omogenea, ma è caratterizzata da gruppi
eterogenei. È con questa realtà che il responsabile deve fare i conti. Pertanto, alla
descrizione delle qualità che aiutano a rimanere nella verità e a promuoverla, segue
l'identikit di chi alla verità ha preferito la menzogna. È chiaro qui il riferimento a
un gruppo proveniente dal giudaismo (cfr. vv. 10.14) che, per denaro, è disposto
a ingannare la gente, ribellandosi a Dio. Questo gruppo, che si caratterizza per il
rifiuto della verità e per l'ipocrisia che mostra nell'osservare precetti di purità assai
rigorosi, è decisamente condannato: la menzogna è una «gramigna>> poiché mira
a distruggere intere famiglie. Per ovviare a questo sfacelo il responsabile della
comunità deve insegnare il corretto modo di vita cristiana per tutte le categorie di
uomini correggendo con fermezza «perché siano saldi nella fede» (v. 13).
Quelli che vengono dalla circoncisione. L'autore denuncia la presenza tra i
cristiani di Creta di gente che, ancorata al passato e alla gloria del particolarismo
TITO 1,11 34

11ouç Òd frrlO'TOJ.ll~ElV, OlTlVEç O.Àouç oiKouç àvarpÉ1tOU0'1V


ÒtÒaO'KOVTEç Q: }l~ ÒEi aicrxpou KÉpÒouç xaptV. 12 ElltÉV nç f~
aùrwv iòtoç aùrwv npo<p~rf1ç· KpflrEç àEÌ $Eucrrat, KaKà
eflp{a, yacrrÉpEç àpyai. 13 ~ }laprup{a aUTfl f:crrìv à.Àfle~ç. òt'
~v ahiav EÀEYXE aùroùç ànoTO}lWç, l'va uytatVWO'lV f:v rft
nicrrEt, 14 J.l~ npocrÉxovrEç 'Iouòa'iKoiç J.lueotç Kaì f:vro.Àaiç
àvepwnwv ànocrrpE<pOJ.lÉvwv r~v à.À~eEtav. 15 navra
Kaeapà roiç Kaeapoiç· roiç ÒÈ J.lEJ.11aJ.lJ.1ÉV01ç Kaì ànicrr01ç

1,11 Chiudere la bocca - Il verbo il suo autore rivela l'intento di conferire un


ÈtrL<TtOilL(ELv («chiudere la bocca») è un ha- peso particolare al detto citato.
pax legomenon biblico, che forse rimanda Bugiardi (ljleiìo'taL) - Questo appellativo
al provvedimento ufficiale di privare qual- conferito ai Cretesi è avvalorato dali' esisten-
cuno della facoltà di insegnare o comunque za del verbo Kpt]'tL(ELV («fare il Cretese»),
di esercitare qualsiasi tipo di influenza sulla coniato appunto per indicare uno stile di vita
comunità, a causa della discrepanza con tutto basato sulla menzogna. La nomea di bugiar-
ciò che prevede la «sana dottrina>>. di era legata al fatto che essi sostenevano di
1,12 Uno di loro (nç Èl; aù'twv)- Per con- essere i depositari della tomba di Zeus.
fermare il giudizio negativo espresso sui Brutte bestie (KaKIÌ &rjp(a)- L'espressione
dissidenti, l'autore cita a mo' di argomento associa i Cretesi ad animali pericolosi, la cui
di autorità una frase del poeta cretese Epi- presenza minaccia la vita degli altri. Forse è
menide di Cnosso, estratto dai suoi Oracoli. un'allusione al Minotauro, mostro per metà
Essa appartiene al genere della xpe(a («detto, uomo e per metà toro, che si cibava di carne
massima»), citazioni note a tutti gli studenti umana e che fu ucciso da Teseo, dopo esser
perché parte integrante del curriculum degli stato chiuso in un labirinto da Minosse, re
studi primari nel mondo greco. di Creta.
Profeta- La caratterizzazione trpO<jl~'tTJç per Ventri pigri (yao'tÉpeç &.pya()- L'espressio-

che poneva Israele al di sopra delle nazioni grazie all'alleanza sancita con la cir-
concisione, non è in grado di accogliere l'annuncio dell'universalità della salvezza
e cerca di costruire una fede a proprio uso e consumo. Al v. 14 appare l'accusa
contro i ribelli di dare credito a miti giudaici e precetti di uomini menzogneri.
Forse si intravvedono le avvisaglie di una gnosi cristiana (cfr. quanto annotato
nell'Introduzione, 13).
Il detto di Epimenide. Appare al v. 12la prassi, molto diffusa nell'antichità, di ap-
pellarsi a un personaggio noto per offrire un ulteriore sostegno alle proprie posizioni.
Così anche l'autore della lettem cita un detto di cui non menziona l'autore, poiché
si suppone che sia molto noto. Gli scrittori del NT, infatti, si appropriano a volte di
citazioni pagane per sottolineare la verità da loro presentata e metterla a servizio
della parola di Dio. Così il redattore della lettem a Tito riporta un detto del famoso
poeta Epimenide di Cnosso. Fornisce poi, tramite la formula «questa testimonianza
è vera», l'indicazione che quello appena citato è un testo conosciuto dai suoi lettori.
Di fronte al dilagare della menzogna, il responsabile deve intervenire ripren-
35 TITO 1,15

11ai quali bisogna chiudere la bocca perché gettano lo scompiglio


in intere famiglie, insegnando ciò che non si deve, per amore di
un guadagno disonesto. 12Uno di loro, proprio un loro profeta,
ha detto: «l Cretesi sono sempre bugiardi, brutte bestie, ventri
pigri». 13Questa testimonianza è vera. Perciò riprendili con
rigore perché siano saldi nella fede 14e non diano retta a miti
giudaici e a precetti di uomini che voltano le spalle alla verità.
15Tutto è puro per i puri, ma per quanti sono contaminati e senza

ne si riferirebbe al fatto che i Cretesi erano che voltano le spalle alla verità>> (Év'toÀ«'Lç
schiavi del piacere, specie quello legato al av9pW1TWV cX1TOO'tpEcjlOf.LÉVWV 'tftV cXÀ~9H«V),
cibo e, approfittando della generosità degli l'espressione rimanda a speculazioni tipiche
altri, non lavoravano. dei sistemi gnostici che contraddicono il nu-
1,13 Questa testimonianza è vera (~ cleo originario della fede cristiana (cfr., in
iJAXp'tup(a «UtTJ Éa'tlv IIÀ.TJ9~ç) - Si tratta di proposito, Introduzione, 13).
una formula asseverativa, simile a ma'tòç ò Precetti - Alcuni manoscritti al posto di
À6yoç (cfr. nota a 1,9), che rafforza quanto Év'toÀa( leggono yeVEaÀOyL«L («genealogie»)
appena affermato e ha un valore analettico- forse.per influenza di 1Tm 1,4 dove «miti e
prospettico. Con essa l'autore esprime la sua genealogie interminabili» sono il contenuto
approvazione a questa parola «profetica» e delle false dottrine.
giustifica la necessità da parte del responsa- 1,15 Tutto è puro per i puri (lT(lV'ta Ka9apà
bile di comunità di disporre di tutta la sua 'to'Lç Ka9apo'Lç) - È la citazione di un pro-
autorità agendo «con rigore» (à1To't6f.Lwç) verbio assai diffuso, che compare in Filone,
per «regolare», mettere in ordine (Tt 1,5), Seneca, Plotino e che è forse impiegato per
evitando il dilagare di devianze dottrinali. -sottolineare l'inconsistenza dell'osservanza
1,14 Miti giudaici ('Ioulia:CKo( f.LU9oL) ..,. In- di particolari e complesse prescrizioni ali-
sieme alla successiva: «precetti di uomini mentari, rituali, ecc.

dendo i dissidenti «con rigore» per mostrare il loro peccato e aiutarli a ravvedersi.
L'unico rimedio ali' errore è l'attaccamento alla «sana dottrina>> (v. 9) o alla «fede»
(v. 13). Per esser certi di non uscire fuori strada occorre essere ancorati all'inse-
gnamento trasmesso dagli apostoli, rigettando sistemi di pensiero che, essendo
sganciati dalla fede cristiana, non hanno superato il vaglio della tradizione.
Tutto è puro per i puri. Compare al v. 15 una nuova massima. Se la prima al
v. 12 serviva a screditare i dissidenti a motivo della loro proverbiale propensione
alla menzogna, la seconda punta a fornire il criterio del superamento del cristia-
nesimo su una delle diverse accezioni del giudaismo: la libertà interiore rispetto
alle prescrizioni rituali e a forme ascetiche che non si accordano con la fede in
Gesù. L'autore collega la purità a una qualità morale per cui si tratterebbe dei «puri
di cuore» di Mt 5,8. Ma l'elemento decisivo per scoprire l'identità dei «puri» è
fornito da Tt 2,14: «Egli [Gesù Cristo] ha dato se stesso per noi, per riscattarci da
ogni iniquità e purificare un popolo di sua conquista, zelante nelle opere buone». I
«puri» sono «coloro che confidano nella redenzione a opera di Gesù Cristo, i quali
TITO 1,16 36

oùòèv Ka9ap6v, à:ÀÀà }.lE}.ltavral aùrwv .Kaì ò vouç Kaì ~


ouvdòrtolç. 16 9Eòv Ò}.loÀoyouolV EiòÉva1, roiç òè: épy01ç
à:pvouvra1, ~ÒEÀUKroì ovrEç Kaì à:nE19Eiç Kaì npòç néiv épyov
à:ya9òv à:ÒOK1}.l01.

2 I:Ù ÒÈ: ÀcXÀEl ii npÉ1tE1 'tft ùy1a1VOUO'n ÒlÒaoKaÀ{~.


1

llpEo~uraç Vrt<paÀ{ouç rlva1, O'E}.lVOU<;, O'W<ppovaç,


2

ùy1aivovraç rfi n{arEl, rfi à:yann, rft ùno}.lovfi· 3 npEo~unòaç


WO'aU'tW<; Èv Ka'taO''t~}.lan ÌEponpEltEiç, }.lft Òla~OÀOU<; }.lft oiv~

1,16 Detestabili- L'aggettivo pc')EÀUK'tOL è dottrina>>, il segno distintivo di coloro che si


un hapax del NT; il sostantivo della stessa sottomettono davvero a Dio e alle sue disposi-
radice pc')ÉÀUYIUX («abominio») evoca nei testi zioni, la prova dell'ortodossia di un credente.
apocalittici la profanazione del tempio an- 2,1 Tu invece (aù 1\É)- Si tratta di un'espres-
nunciata da Daniele (cfr. Mt 24,15). sione enfatica, volta a mostrare la contrap-
Qualsiasi opera buona (11iiv ~ov ayoc96v)- posizione tra i dissidenti e il capo della co-
L'espressione ricorre numerose volte nelle Pa- munità. Nelle lettere Pastorali è UI1 segnale
storali e indica l'adesione concreta alla «sana di cambiamento all'interno dell'esposizione

grazie alla sua morte si sentono un popolo di nuova costituzione» (Oberlinner,


68). La fede in Cristo redentore purifica, l'assenza di fede invece orienta verso
stili di vita che danneggiano gli uomini. Si ribadisce qui la bontà della creazione,
espressa in modo più esplicito in l Tm 4,3-4, e il primato della purezza del cuore
di chi si conforma all'insegnamento enunciato da Gesù (cfr. Mt 5,8; 15,11.18).
L 'incoerenza dei dissidenti. Ultima espressione della tendenza alla menzogna
da parte dei dissidenti è l'incoerenza: fanno della «conoscenza di Dio» un tratto
distintivo (o esclusivo) della loro identità (giudaizzante o gnostica), ma nei fatti
si rivelano lontani da Dio. La loro conoscenza di Dio, proclamata pubblicamente
(il verbo homologéo è quello della professione di fede) a mo' di vanto, richiama
«la conoscenza della verità», orizzonte dell'apostolo enunciato nel prescritto, ma
si discosta nettamente da essa a causa della-disobbedienza alle autorità costituite.
I dissidenti, infatti, non agiscono in modo conforme alla «sana dottrina» e non
adottano un comportamento esemplare. La profonda scollatura tra il dire e il fare
rivela la presenza in loro del relativismo etico e di una religiosità "fai da te", che li
rende simili agli idolatri. L'etica od ortoprassi, di cui il responsabile si fa garante
all'interno della comunità, appare quindiil criterio per distinguere l'ortodossia
dalla eterodossia e la cartina al tornasole di adesione autentica alla fede in Cristo.

2,1-lS Disposizioni etiche particolari ed esposizione teologica del mistero


pasquale
Il c. 2 si apre con un comando espresso in tono polemico (v. 1). Si introduce il
secondo termine di un'antitesi: se i dissidenti insegnano ciò che non si deve, viene
37 TIT02,3

fede niente è puro. Anche la loro mente e la loro coscienza


sono contaminate. 16Confessano di conoscere Dio a parole, ma
lo rinnegano coi fatti, rivelandosi detestabili, disobbedienti e
incapaci di compiere qualsiasi opera buona.

2 Tu invece insegna ciò che è conforme alla sana dottrina:


1

gli uomini anziani siano sobri, seri, assennati, saldi nella


2

fede, nell'amore e nella pazienza. 3Anche le donne anziane si


comportino santamente; non siano maldicenti né schiave del

epistolare, cfr. 1Tm 6,11; 2Tm 3,10.14; 4,5. Kcxtuot~IJ.UtL Lepo1lpE1lE'Lc;) - Il comporta-
Insegna - Il verbo ÀIIÀkw, che significa let- mento richiesto alle anziane è qualificato
teralmente «parlare», viene inteso qui nel con un aggettivo dal sapore cultuale. Infatti,
senso di «insegnare». L'uso di questa voce il termine tepo11pe11~ç letteralmente significa
verbale nel corpus del NT è assai autorevole, «conveniente al sacerdote», ma nel nostro
in quanto è riferita a Dio, ai profeti e agli testo acquista il senso di «santo» o «pio»,
apostoli. come è attestato anche nella letteratura ex-
2,3 Si comportino santamente (É v trabiblica, soprattutto in Filone.

tolta loro questa facoltà, mentre il capo della comunità, che è ancomto alla sana dot-
trina, deve perseverare nell'insegnamento senza lasciarsi intimidire. Se l'identikit dei
dissidenti è presentato in modo stringato, quasi a non voler dedicare loro più tempo
del necessario, la descrizione dello stile dei credenti che vivono secondo la «sana
dottrina>> è invece assai più ricca e articolata. «Paolo» non si rivolge direttamente
alle categorie che compongono la comunità ecclesiale, ma si avvale del leader, «Ti-
to», per applicare le sue disposizioni. In 2,2-10 abbiamo un mandato, che consiste
nell'enunciare norme momli; in 2,11-14 segue una giustificazione dottrinale, che
aiuta l'intelligenza della fede ad aderire alle direttive apostoliche. In 2,15 compare
un'esortazione al capo che ricapitola il suo compito e ne mostm l'importanza. Le
norme del c. 2 non sono generali o generiche; sono piuttosto enunciate secondo le
diverse età, secondo i generi e secondo la condizione. Le categorie prese in esame
sono quattro: gli uomini anziani, le donne anziane, i giovani, gli schiavi.
2,1 La direttiva centrale per Tito
Il v. l svolge una triplice funzione: introduce il contmsto rispetto alle posizioni
degli eretici di 1,10-16, si presenta come il titolo dell'intero capitolo e costituisce
una sorta di inclusione con 2,15.
2,2-10 Il codice comunitario
La pericope è una parenesi rivolta alla comunità sotto forma di «codice co-
munitario» o «codice corpomtivo». Al v. 2, infatti, inizia un catalogo di sei virtù,
che risente dell'influsso della tmdizione etica, propria della filosofia popolare
ellenistica, e che rifluirà in seguito negli scritti di epoca sub-apostolica. La prima
categoria a essere interpellata è quella degli uomini anziani. Ad essa sono riferite
TIT02,4 38

rroÀÀ'f> ÒEÒouÀW}lÉvaç, KaÀoòtòao'KaÀouç, 4 iva crw<ppovi~wow


-ràç VÉaç <plÀavÒpouç Eival, <plÀO't'ÉKVOUç 5 crw<ppovaç àyvàç
OÌKOUpyoÙç à:ya8aç, UltO't'a<1<10}lÉVaç 't'O'iç ÌÒtotç à:vÒpamv, lVa
}l~ Ò Àoyoç 't'OU 8EOU ~Àacr<pT)}lfj't'al. 6 Toùç VEW't'Épouç wcrau-rwç
rrapaKaÀEl crw<ppovE'iv 7 rrEpì rravm, crmu-ròv rrapEXO}lEvoç
rorrov KaÀwv Epywv, È.v 't'ft ÒtÒacrKaÀi~t à:<p8opiav, <1E}lVO't'T)'t'a,
8 Àoyov òytfj à:Ka-rayvwcr-rov, iva ò è~ èvavdaç È.v-rparrft }lTJÒÈv

(Piuttosto) insegnino il bene- Il nome compo- le (cfr. l'uso del corrispondente sostantivo
sto KaÀOOiliiWKaÀOç («maestro di bene», «mae- àyve(a <<puritiD) in ITm 4,12; 5,2).
stro di virtù))), impiegato in senso predicativo e Dedite alla famiglia- Al posto di oLKoupyoUç
parallelo ad altri aggettivi riferiti alle donne an- (alla lettera, «operatrici domestiche))), voca-
ziane, è un hapax legomenon attestato solo qui. bolo di cui si hanno solo pochi esempi (cfr.
2,4 Ad amare il marito e i figli (qnM.vopouç Prima lettera di Clemente 1,3), molti ma-
elvaL, <jlLÀo-rÉKvouç)- Le due indicazioni for- noscritti e le correzioni apportate nel codice
nite alle giovani spose sono anch'esse hapax Sinaitico (l() e nel codice Claromontano (D)
legomena, cioè particolarità della lettera a leggono oLKm)pouç («custodi della casa))).
Tito dai significati strettamente interconnes- Riteniamo che questa seconda tradizione te-
si, poiché entrambi i termini sono composti stuale, essendo ben attestata nei classici, sia
con il lemma <jlLÀ-. una correzione successiva e consideriamo
2,5 Caste- L'aggettivo àyv6ç (letteralmente più probabile la lezione oLKoupyouç perché
«irreprensibile))) proviene dalla sfera cultica presente nei manoscritti migliori e /ectio dif-
ed esprime in primis il senso di purità, ma fici/ior (la «lettura più difficile)), secondo le
nel corpus delle Pastorali si riferisce anche regole della critica testuale, è preferibile).
alla correttezza in campo morale e sessua- La parola di Dio (o Àéyoç -roil 6eoil) -

nonne che riguardano il modo di essere (devono essere seri, sobri, assennati); altre
riguardano invece il modo di incarnare la fede (devono essere saldi nella fede,
nell'amore e nella pazienza).
Saldi nella fede, nel/ 'amore e nella pazienza. L'espressione «essere saldo»,
presente anche in 1,9.13, ha una chiara connotazione antiereticale e indica un'ade-
sione piena e senza errori alla retta fede. Quindi si richiede agli anziani una con-
dotta che sia contrassegno di fedeltà e di obbedienza. La <<pazienza» che appare da
ultima in questo catalogo potrebbe equivalere alla «speranza», che in lCor 13,13
costituisce, con la fede e l'amore, la triade dei doni spirituali maggiori. Forse si è
preferito inserire il termine «pazienza» per il fatto che, ·nell'anziano che sopporta
il peso della vita, essa è una conseguenza della speranza.
La·santità di vita. Alle donne anziane è richiesto un comportamento santo, che
coinvolga la totalità della loro vita, spaziando in tutti gli aspetti della quotidianità
(come abitudini alimentari personali e caratteristiche della relazione e del dialogo
interpersonale) e facendo di questa una sorta di cattedra, da cui insegnare alle
giovani ciò che conviene. Il loro insegnamento relativo al bene (la kalodidaskalia)
ha una dimensione familiare che tocca anche la sfera comunitaria e si risolve in
un'autentica edificazione della famiglia e della Chiesa.
39 TIT02,8

vino; (piuttosto) insegnino il bene, 4così che ammoniscano le


giovani ad amare il marito e i :figlì, 5ad essere assennate, caste,
dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché
la parola di Dio non sia disprezzata. 6Esorta ancora i più giovani
a essere assennati, 7in ogni circostanza offrendo te stesso come
esempio di opere buone, con integrità di dottrina, dignità,
8linguaggio sano e incensurabile, perché il nostro avversario

Qui l'espressione è da intendersi non nel ambiti: nel campo artistico esso indica un
senso di sacra Scrittura, ma piuttosto nel sen- bozzetto o un timbro che imprime un marchio
so espresso dalla formula «Sana dottrina»(~ nell'argilla, in quello giuridico indica la regola
uyunvooou 1i~OuaKIXÀLU) di 2,1, come accade fissa o la sentenza, in campo etico invece indi-
anche in l Tm 6, l per il binomio «il nome di ca l'archetipo vivente che occorre imitare. Qui
Dio e la dottrina» {tò OVO~U tOU eeou KUL è chiara l'accezione morale del termine.
~ 1i~ooaKo:Hu). 2,8 Incensurabile - Il vocabolo
2,7 Offrendo te stesso (aeuutòv 1Tupex4J.evoç) &:Ko:t&.yvwatoç, che è un hapax del NT, ap-
- L'impiego ridondante del pronome rifles- partiene al lessico giuridico e può indicare
sivo aeo:ut6v col participio presente medio l'innocenza dichiarata al termine di un pro-
di 11o:péxw («offrire») rispecchia l 'uso della cesso, dopo aver riscontrato l'assenza della
lwinè (la lingua greca comune diffusa ali' epo- colpa, oppure una persona irreprensibile.
ca nel bacino orientale del Mediterraneo e che Avversario- L'espressione ò Él; Évo:vt(uç
si presenta come una semplificazione della con cui l'autore definisce il tipo del dissiden-
lingua classica) e ha lo scopo di rafforzare te rievoca l'immagine del vento impetuoso
l'applicazione personale dell'esortazione. che si abbatte minaccioso (cfr. Mt 14,24; Mc
Esempio {t&rrov)- Il termine compare in più 6,48; At 27,4).

Amore sponsale e materno. Seguono nel codice i requisiti tipici della donna
credente sposata, che si caratterizza essenzialmente per l'amore al marito e ai figli.
Da essi emerge un 'alta concezione della fedeltà coniugale che esige la sottomissione.
Malgrado il contatto con la tradizione dei codici domestici presenti nel NT (cfr. Col
3, 18; Ef 5,22; 1Pt 3, 1-6), in Tt 2 la sfera domestica viene superata perché ciò che
fonda l'esortazione alle mogli a essere sottomesse ai loro mariti non si trova nella
relazione coniugale, ma nella necessità di evitare che l'assenza di sottomissione sor-
tisca effetti negativi sull'intera comunità. Rispetto agli altri codici domestici del NT,
in Tt 2 manca l'elemento della reciprocità (che richiede ali 'uomo un comportamento
corrispondente). Qui forse prevale maggiormente la preoccupazione di ricondurre la
donna tra le pareti domestiche, dopo che in una prima fase del cristianesimo, come
attesta Rm 16, la donna si era dedicata a una evangelizzazione itinerante, cosa che
poteva destabilizzare l'equilibrio familiare.
·Ai giovani. Sorprende la laconicità dell'esortazione rivolta agli uomini più
giovani. L'invito a essere assennati, comune anche agli anziani e alle giovani,
mostra che questa direttiva dev'essere ritenuta vincolante per tutti. La stringatezza
con cui si descrive questa categoria è un artificio retorico impiegato al fine di far
emergere la figura di Tito.
TIT02,9 40

EXWV ÀiyElV 1tEpÌ ~}JWV cpauÀOV. 9 L\ouÀouç ÌÒtotç ÒE01tOt'atç


Ù1toraooeo6a1 è.v mxo1v, euapÉO't'ouç dva1, ll~ àvnMyovraç,
10 }J~ VOO'<pl~O}JÉvOUç, llià ltCXO'aV ltlO't'lV È:vÒElKVU}JÉVOUç

àya6f1v, 1va r~v òtòaoKaÀ{av ~v mu own;poç ~}JWV 6eou


KOO'}JWO'lV è.v mxow.
11 'E1tE<pavf1 yàp ~ xaptç rou 6eou O'Wt'flptoç ltCXO'lV àv6pw1t01ç

2,9 In tutto - Dalla costruzione della fra- che può riferirsi all'attività del gioielliere
se greca non è chiaro a cosa si riferisca che «incastona per ornamento una pietra
l'espressione E:v 11iioLv, se al verbo «essere preziosa su un anello di metallo prezioso
sottomessi», che precede, o al verbo «essere per metterla in mostra sul dito» (Casalini,
compiacenti», che segue. Anche se il signifi- 372), nel testo acquista il senso traslato di
cato non cambia di molto, optiamo per la pri- «fare onore», testimoniare cioè con la vita
ma soluzione, «essere sottomessi in tutto», ciò che si crede.
che introduce la dinamica schiavi-padroni. 2,11 Si è resa visibile (E1!EcjlaVT}) - Il verbo
2,10 Non rubino (!.Li] vomjn(IJII.Évouç)- Il ver- Émcjla(vw è raro nel NT. Nella Settanta signi-
bo voocjl ((w («allontano» o <<privo qualc\Ìllo fica «splendere», «sorgere», mentre l'agget-
di qualcosa») al medio acquista il significato tivo ÉmcjlaviJ<; ricorre nel senso di «splendi-
di «appropriarsi indebitamente» (cfr. Seno- do», «brillante». L'uso più frequente, tuttavia,
fonte, L 'educazione di Ciro 4,2,42). Qui è presente per lo più in 2 e 3 Maccabei, è in
usato in modo assoluto, come in At 5,2.3 a contesti militari. Fatta eccezione della lettera
proposito di Hanania che, dopo aver ven- a Tito (cfr. 3,4), il verbo compare nel NT solo
duto il suo podere per darne il ricavato agli in Le l,79 e in At 27,20, dove, riferendosi in
apostoli, si era appropriato di una parte del entrambi i casi agli astri, sta a esprimere una
ricavato della vendita. manifestazione luminosa, capace di rischia-
Per fare onore ((va ... KOOf.LWoW)- Il verbo rare. Ma, mentre in At 27,20 il soggetto del
Koof.LÉw («ordinare», «ornare», «abbellire»), verbo sono il sole e le stelle del cielo, in Le

L 'archetipo cristiano. Torna in primo piano il capo della comunità e la centra-


lità dell'incarico a lui affidato. Si evoca un altro strumento pedagogico per istruire
la comunità, oltre a quello di fornire orientamenti comportamentali precisi: l' esem-
plarità della vita. Tito può istruire la comunità in un duplice modo: con le parole e
con le opere. Egli deve presentare se stesso come «esempio di opere buone» che
ali 'interno della lettera sono il segno distintivo della retta fede. L'esemplarità di vi-
ta è uno degli elementi caratteristici delle lettere Pastorali: per l'episcopo (cfr. lTm
3,2-7; Tt 1,7-9), per i diaconi (cfr. l Tm 3,8-12) e per i presbiteri (cfr. Tt 1,5-6).
Essa non svolge solo una funzione parenetica, ma appartiene al dinamismo vitale
della successione apostolica: Tito dev'essere modello, alla maniera dell'apostolo.
Si ribadisce, inoltre, che il suo modo di insegnare dev'essere «incensurabile». Egli
deve dedicarsi alla cura della «parola», cioè della predicazione, affidata a lui in
un modo tutto speciale. Curare la «parola» con l'esemplarità di vita rappresenta
l'arma più efficace contro l'avversario.
Agli schiavi. Segue a sorpresa un'esortazione che sembra fuori posto, for-
41 TITO 2,11

resti confuso, non avendo nulla di male da dire contro di noi.


9Gli schiavi siano sottomessi in tutto ai loro padroni, siano
compiacenti e non li contraddicano; 10non rubino, ma dimostrino
fedeltà assoluta, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio,
salvatore nostro.
II Si è resa visibile infatti la grazia di Dio, che porta la salvezza

1,78-79 si tratta del sole che sorge dall'alto zia di Dio, soggetto di molteplici azioni nei
per rischiarare (Èmcjléiva.L) chi è nelle tenebre versetti successivi, appare qui personificata.
e nell'ombra della morte: Cristo. La com- Sia la cultura ellenistica sia la visione anti-
parsa di Gesù sulla terra, intesa come evento cotestamentaria concordano nel considerare
escatologico, è designata come manifesta- quest'espressione come allusiva di Dio stes-
zione della x.«ip Lç («grazia») di Dio o della so. Per Filone, p. es., non è possibile parlare
X.PTJOT6TTJç («bontà») o della <jiLÀo:v9p1A>1!(o: direttamente della manifestazione di Dio,
(«amore per gli uomini»), come in Tt 3,4. La poiché la mente umana non è in grado di
forma Ène<jl«iVTJ («si è resa visibile») usata in afferrare la causa, ma è preferibile parlare
2,11 è un indicativo aoristo passivo che espri- della manifestazione di uno dei suoi attributi,
me un'azione puntuale: il favore di Dio si è come appunto la x.«ipLç.
manifestato in un momento storico preciso. Che porta la salvezza (owT~pLoç) -Un cor-
Infatti -Alcuni manoscritti omettono il y«ip rettore del codice Claromontano (D), il codi-
forse a causa di negligenza scribale. Il y«ip ce della Laura del monte Athos ('1'), il codice
può avere qui un carattere di coordinazione greco 14 (33), quello di S. Caterina al Sinai
con valore causale, dato che sembra moti- 300 ( 1881) e il testo bizantino inseriscono
vare le istruzioni contenute in 2,1-10. Esso l'articolo f) dinanzi all'aggettivo owT~pLOç
ha quindi un valore retrospettivo come in Tt («salvifico»), collegandolo al soggetto: «la
1,7; 3,3; 3,9; 3,12. grazia salvifica di Dio»; la prima mano del
LagraziadiDio(i) x.«ipLç Tou 9eou)-Lagra- codice Sinaitico (N) e diversi manoscritti lati-

se a dare maggiore enfasi all'importanza della sottomissione e del silenzio, in


chiave apologetica contro i dissidenti. L'intenzione dell'autore è di proporre la
solidità delle strutture sociali come tratto distintivo delle comunità cristiane, per
presentare la Chiesa come fattore stabilizzante per la società. I tratti caratteristici
di uno schiavo autenticamente discepolo di Gesù sono la fedeltà e l'affidabilità
nell'amministrare il patrimonio del suo padrone. Emerge così dal testo una visione
secondo cui, testimoniando la fede, gli schiavi mostrano la loro disponibilità ad
accettare la propria posizione sociale come conforme alla volontà di Dio.
2,11-14 Il fondamento soteriologico
Dopo il piccolo regolamento che cerca di disciplinare i vari stati di vita in 2,2-
1O, segue il fondamento che lo sorregge, o meglio la motivazione cristologica da
cui esso sgorga. Nei vv. 2-1 O si enuncia «ciò che è conforme alla sana dottrina»,
cioè l'agire derivante da una giusta conoscenza, nei vv. 11-14 si chiarisce invece
il contenuto della «sana dottrina», cioè i fondamenti dell'insegnamento che Tito
deve trasmettere. I cambiamenti di natura letteraria che appaiono jn 2, Il mostra-
TITO 2,12 42

121talÒ€UOUcra ft}léiç, iva cÌpVYJO'cX}l€VOl TIJV cÌcrÉ~fl(XV KaÌ ràç


KOO'}ltKàç bn9u}l{aç crwcpp6vwç KaÌ ÒtKa{wç Kaì €Ùcr€~wç
~~O'WllfV ÈV 't~ vuv aìwvt, 13 rrpocròex6}l€VOl rf!v }laKap{av è:Àrr{òa

ni hanno il sostantivo in apposizione: «salva- mostrando così il <<presente» come tempo in


tore» (greco, aw'tf)poç) invece deli' aggettivo; cui la salvezza è donata.
altri testimoni (codice di Augia [F), codice di 2,12 E ci insegna (muoeuouatt ru.uxç)- Il
Bomer [G), oltre ad alcuni manoscritti lati- verbo trttLc'ieuw («insegnare») designa nella
ni e all'edizione della Vulgata promossa da Settanta l'azione con cui Dio ha fatto uscire
papa Clemente) adottano l'espressione ricor- dall'Egitto e guidato nel deserto il suo po-
rente nel corpus delle Pastorali Toiì awTf)poç polo in vista della libertà. Anche Paolo im-
ipwv, «nostro salvatore». Si tratta di evidenti piega il verbo come la Settanta nel senso di
correzioni che scelgono il sostantivo awT~P «imporre una disciplina», «correggere» (cfr.
per creare un parallelismo con l'espressione l Cor Il ,32; 2Cor 6,9). In Ef 6,4, ali 'inter-
del v. 13. Il termine awT~pLoç nel NT ricor- no del quadro dove è tratteggiata la morale
re solo qui. Neli'AT lo ritroviamo anche in domestica, l'autore fornisce ai padri di fami-
Sap 1,14, dove si dice che le generazioni glia un criterio di riferimento particolare per
del mondo sono awT~pLoL («salvifiche»). allevare i propri figli: «l'educazione e la di-
Le generazioni degli uomini, quindi, suc- sciplina del Signore» (trttLOeLtt Kttl voullea(u
cedendosi, contribuirebbero a conservare il Kup(ou). Il senso di «correzione» appare in
mondo e la vita in esso. Il fatto che l'autore Eb 12,7.10. In 2Tm 2,25 il verbo è accom-
della lettera a Tito per esprimere la dimen- pagnato dal sostantivo trpttiiTT]ç, «dolcezza»,
sione salvifica della grazia ricorra non a un esempio rappresentativo della visione delle
verbo, ma a un aggettivo, sottolinea il carat- Pastorali che vedono l'educazione come
tere «permanente» di questa salvezza che la un'attività il cui fine è il comportamento
grazia apporta, la sua attualità e continuità, esemplare.

no l'inizio di una nuova sequenza all'interno di una stessa unità (2,1-15). Con
2, l Ob si opera la transizione dallo stile del codice comportamentale o parenesi
(presente in 2,1-10) alla dichiarazione teologica (più precisamente soteriolo-
gica), che ha il compito di fondare il comportamento richiesto ai membri della
comunità e fornire una motivazione storico-salvifica (2,11-14). I verbi passano
dal presente all'aoristo. Cambiano gli attori: Dio, Gesù e noi. Dalla seconda
persona singolare si passa alla terza persona singolare. Anche la prima persona
plurale diventa frequente (cinque occorrenze) in questa unità, sebbene essa sia
apparsa solo incidentalmente nell'unità precedente (2,8.1 0). 2,11-14 si presenta
come un brano redatto in forma di confessione, che riunisce elementi provenienti
da tradizioni diverse (categorie morali ellenistiche, linguaggio cultuale greco-
romano e vocabolario anticotestamentario) e in questo senso mostra una certa
autonomia e indipendenza.
L 'epifania della grazia di Dio. Il verbo «rendere visibile» (greco, epiphaino),
ripreso poi in 3,4 dove ricorre la stessa forma (epephane, indicativo aoristo pas-
sivo), suggerisce il carattere repentino dell'apparizione ed esprime un chiaro
riferimento al mistero dell'incarnazione. Con l'espressione «a tutti gli uomini»
43 TIT02,13

a tutti gli uomini 12e ci insegna a rinnegare l'empietà e i


desideri del mondo, a vivere con sobrietà, giustizia e vera
religiosità nel presente, 13nell' attesa della beata speranza,

I desideri del mondo (tà.c; KOOf.LLKà.ç ma il contenuto della fede, l'oggetto del!' at-
€m9UJ.L(o:c;)- Il termine KOOf.LLKOc; (<<terreno», tesa. Troviamo impiegata qui la figura re-
«mondano») appare come estremamente torica della metonimia, che nel nostro caso
negativo, in quanto esprime ciò che è con- è uno scambio di nome dove il contenente
trario, opposto a Dio. Eb 9,1 lo utilizza per sta per il contenuto. «Speranza» starebbe
distinguere il santuario della prima alleanza per ciò che si spera, cioè l'oggetto della
(IXyLDv KOOf.LLKov), fatto da mani d'uomo, do- speranza. La frase di Tt 2, 13 ha un tono
ve entrava il sacerdote per il culto e il som- ebraicizzante e si avvicina molto a Gb 2,9
mo sacerdote per l'espiazione, dal «luogo» [LXX]: «attendendo la speranza della mia
in cui Cristo entrò nella nuova alleanza: il salvezza» (TTpOOOEJCOf.LEVOç t~V €J..n(oo: tfìç
cielo (v. 24). awt1Jp(o:c; f.LOU), dove si esprime la fiducia
Con sobrietà, giustizia e vera religiosità di Giobbe nell'intervento prossimo di Dio.
(aw(jlpovwc; Ko:t OLKo:(wc; Ko:t EÒaEJlWc;) - I Una vicinanza con il nostro testo è presente
tre avverbi greci rimandano a una triade di poi in Gal 5,5, dove Paolo parla dell'attesa
virtù ben conosciuta nel mondo classico che (1ÌTTEKOEJC6f,IE9o:) della «speranza della giusti-
compare, p. es., nei Memorabili di Senofon- ficazione» (ÉÀn(oo: OLKo:LoauvT]c;).
te, a proposito del filosofo Socrate (Memora- Beata- L'aggettivo f.LO:KapLOc; («beato») è
bili 4,8, 11) e anche nei Sette contro Te be di frequente nella Scrittura, specie in Siracide,
Eschilo, a proposito di Tiresia (Sette contro Matteo e Luca, che ricorrono al genere lette-
Tebe 610-611). rario dei macarismi o beatitudini, tanto caro
2,13 Speranza - Con il termine ÉÀ.n(c; non al Salterio. Ma a differenza di tutte le altre
si designa né un atteggiamento né una virtù, occorrenze, dove il termine fa sempre riferi-

appare la dimensione universale del progetto salvifico di Dio in consonanza con


la visione presente anche in lTm 2,1.4.6. La grazia di Dio che si è manifestata
presenta quattro caratteristiche: proviene da Dio; è «salvifica» (qualità che ricorda
l'attribuzione a Cristo dell'appellativo «salvatore») e «universale», cioè per tutti;
si presenta come capace di «insegnare» - opera che il Risorto condivide con gli
uomini, affidandola ai predicatori del Vangelo come Paolo (cfr. Tt 1,3) -;è per
«noi», per i credenti, coloro che si impegnano a imparare. La pedagogia della
grazia presenta un duplice aspetto: quello negativo della rinuncia alle passioni
mondane e quello positivo di un nuovo stile di vita. Rinnegando le passioni,
l'uomo non è più schiavo del peccato per vivere nella grazia, coltivando i valori
della sapienza, della giustizia e di quella pietà che corrisponde alla religiosità più
genuina. L'opera pedagogica della grazia si realizza così nel promuovere nella
storia presente del credente le stesse qualità di Dio.
Tra due tempi. Appaiono i due poli della vita cristiana: il presente dell'etica,
segnato dalla prima epifania, come tempo che scorre e passa, e il futuro esca-
tologico della beatitudine e della gloria, segnato dalla seconda epifania, che è
eterno. Tra i due tempi si colloca l'attesa e la speranza che è detta «beata>> perché
TIT02,14 44

KaÌ È:m<paVElav tfjç ÒO~fl<; 'tOU }lE)'<iÀOU 6e:ou KaÌ crwtfjpoç ~}lWV
'Irtcrou Xptcrrou, 14 oç eOwKEV Éauròv ÙrrÈp ~}lWV, iva Àurpwcrrtrat
~}lfr<; cÌltÒ rracrrt<; cÌVO}ltaç KaÌ Ka6ap{crn Éaur'f> ÀaÒV 1tEp10U010V,
~flÀWnlV KaÀWV Epywv.

mento all'uomo, nelle lettere Pastorali esso difficoltà maggiore a livello testuale appare
è applicato due volte a Dio (cfr. ITm l, Il; nella resa della catena di genitivi che seguo-
6, 15) e qui alla «speranza» che è dono di Dio. no «gloria». Non è chiaro se si tratta di una
Cioè della manifestazione (Ka:l èm<!KivELa:v) duplice manifestazione della gloria, di Dio
- L'assenza dell'articolo davanti a e di Gesù Cristo (nel qual caso si dovreb-
Èmcpcfve ~a: v induce a ritenere che l' ogget- be tradurre: «della gloria del nostro grande
to sperato sia proprio «la manifestazione Dio e del salvatore Gesù Cristo»), oppure
della gloria di Gesù Cristo». In tal caso la dell'unica manifestazione di Gesù Cristo,
congiunzione (Ka:() potrebbe essere epese- definito «nostro grande Dio e salvatore».
getica di T~v j.la:Ka:p[a:v ÈÀTILlia: («la beata I termini 9E6c; «Dio» e own]p «salvatore»,
speranza>>): la «speranza>> consiste nella costituiscono un binomio usato dai Giudei
<<Ill.anifestazione». Saremmo così in presen- in riferimento a YHWH. Insieme sono attestati
za di un'endiadi, fenomeno dove la con- anche in Plutarco (Camillo l 0,6). Inoltre nel
giunzione è impiegata per coordinare due NT il termine èm<!Kive~ («manifestazione»)
idee di cui l 'una è in rapporto di dipendenza non è mai applicato al Padre e mai un autore
concettuale dali' altra. del NT parla di un'epifania duale del Padre e
Della gloria del nostro grande Dio e salvato- del Figlio. Anche nell'apocalittica giudaica,
re Gesù Cristo (Tftt; lit}çT]t; TOU llEYcXÀOU eeoiì dove sono menzionate alcune apparizioni di
Ka:l ow'tftpoc; ~j.lWV 'l1Jooiì Xp~oToiì)- La YHWH e del Messia, non è mai detto che essi

ha per oggetto la seconda venuta di Cristo. Essa riceve lo stesso attributo di Dio
e si potrebbe dire che la «beata speranza» è Cristo stesso, che rivelerà al tempo
stabilito la gloria del Padre.
Il «nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo». L'espressione «grande Dio e
salvatore» risveglia la memoria storica del popolo d 'Israele riportandolo all'esodo.
Questo evento centrale nella Scrittura è il paradigma dell'opera salvifica di Dio,
che ha riscattato il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto, ed è anche il paradigma
della salvezza operata dal Cristo, nuovo Mosè che, morendo in coincidenza con
la Pasqua ebraica, realizza un nuovo esodo. In 2, 14, poi, è come se si spezzasse
l'ordine cronologico del racconto epifanico, ormai proteso ~ futuro, per rievocare
un episodio trascorso che torna vividamente alla memoria: «ha dato se stesso per
noi». Dal futuro della «manifestazione della gloria» nella venuta del Cristo si
verifica una sorta di.flashback, per trasferirsi con la mente a un momento passato
della storia, segnato da una consegna, da un dono. In Tt 2, 14la voce del discepolo
fa spazio al maestro, perché sembra che qui sia Paolo a parlare, con un'espressione
a lui tanto cara, presente nella lettera ai Galati, ma che ricorre poi in altri passi
dell'epistolario paolino divenendo una formula che conferisce al testo un tono
squisitamente liturgico. Nel prescritto di Galati, Paolo parla del Signore Gesù
Cristo come di colui che «diede se stesso per i nostri peccati» (1,4). In Gal2,20
45 TIT02,14

cioè della manifestazione della gloria del nostro grande Dio


e salvatore Gesù Cristo. 14Egli ha dato se stesso per noi,
per riscattarci da ogni iniquità e purificare un popolo di sua
conquista, zelante nelle opere buone.

appariranno insieme. Queste considerazioni, di questa tendenza al fine di neutralizzarla.


insieme all'assenza della ripetizione dell'ar- 2,14 Un popolo di sua conquista- L' espres-
ticolo prima di awtf)poc;, ci sembra indichino sione greca €cxutQ ÀllÒv 1TEpLOUOLOV (alla let-
chiaramente l'equazione del primo genitivo tera, «un popolo scelto per sé») ricorre in
con il secondo, che offre una descrizione alcuni testi anticotestamentari della Settanta
aggiuntiva rispetto al primo. Quindi ritenia- (cfr. Es 19,5; Dt 7,6; 14,2; 26,18) e traduce
mo che l'espressione <<Ilostro grande Dio e l'ebraico 'am s<gullti. La s<gullti corrispon-
salvatore» sia da attribuirsi alla persona di de alla porzione che il re, dopo la vittoria,
Gesù Cristo. sceglieva per se stesso, prima che l'esercito
Grande Dio (I.LÉycxç ee6ç) -Tale espressione fosse ammesso alla spartizione del bottino;
appare solo qui nel NT, anche se in alcu- detto di Israele, questo termine designa la
ni passi l'aggettivo «grande» è applicato a speciale ragione di appartenenza del popolo
Gesù (cfr. Le 1,32; 7,16; Eb 4,14; 10,21; a YHWH. Tutti i testi dell' AT dove compare
13,20). In diverse iscrizioni dell'epoca elle- l'espressione fanno riferimento al contesto
nistica, la formula «grande Dio» o «Dio» e dell'alleanza e del decalogo e rimandano
«salvatore» appare nei titoli con cui si qua- all'elezione del popolo di Israele. In 2Sam
lificano le divinità pagane, oppure gli impe- 7,23, p. es., appare l'idea del riscatto che
ratori che erano anch'essi divinizzati. L'im- Dio ha realizzato per fare di Israele il «suo
piego nella lettera potrebbe essere un'eco popolo>>.

Paolo scrive: «La vita che ora io vivo nella carne, la vivo nella fede, quella nel
Figlio di Dio che mi amò e diede se stesso per me». Tt 2,14 evoca quindi l'idea
della morte di Gesù e rinvia all'annuncio legato alla tradizione dell'ultima cena
(cfr. Le 22,19-20; lCor 11,23-25), con le sue connotazioni di rappresentatività,
di sacrificio e di riconciliazione.
Il riscatto. Una delle azioni che compie il Cristo nei confronti degli uomini
è il riscatto. Per comprendere la portata di quest'opera ampiamente descritta nel
NT occorre interpellare la legislazione ebraica. In conseguenza di una gravissima
situazione economica un uomo aveva due possibilità per continuare a vivere in
Israele: vendere la propria terra, per procurarsi il denaro per saldare i debiti, oppu-
re, nel caso più estremo, vendere se stesso come schiavo a causa dell'impossibilità
di saldare in altro modo. In entrambi i casi, la legislazione ebraica prevedeva
l'intervento di ungo'el (un parente prossimo insignito del diritto di riscatto) che,
nel primo caso, aveva il compito di riscattare la proprietà terriera (Lv 25,23-25),
perché restasse possesso della famiglia, e, nel secondo, doveva riscattare l 'uomo
caduto in schiavitù (Lv 25,47-49), perché la famiglia rimanesse intatta. È il caso
di Rut: sua suocera Noemi mette in vendita il campo del marito e colui che doveva
riscattatlo avrebbe dovuto acquistare il campo e anche Rut «per far sussistere il
nome del morto sulla sua eredità» (cfr. Ru 4,3 .5). Il riscattatore cede il suo diritto
TIT02,15 46

15Tai3-ra ÀaÀEt KaÌ rrapaKaÀEt KaÌ ÉÀE:'(XE }JETIÌ rraCJY)ç È:m-rayfjç·


}JTJÒEiç crov rrEptcppovdrw.

3 1'Yrro}.lt}JVDO'KE aùroùç à:pxaiç €çovcriatç ùrroracrcrEcr8at,


rrEt8apxE'iv, rrpòç rrfrv Épyov à:yaeòv hoi}.lovç EÌvat, 2 }.lf1ÒÉva
~Àacrcpf1}JE'iv, à:}.laxovç EÌvat, È:mEtKE'iç, rréicrav È:vÒEtKVV}JÉvovç
rrpaurf1-ra rrpòç mxv-raç à:v8pwrrovç.

2,15 Queste cose- Il pronome •ama è anafo- forma un climax, cioè un graduale cresc~n­
rico, rimanda cioè a quanto enunciato prece- do, e sottolinea la necessità di un intervento
dentemente ai vv. 2-14, e si presenta come la incessante da parte del responsabile della
ripresa e la sintesi dell'espressione «ciò che comunità.
è conforme alla sana dottrina» (& 11pÉ11E L 't'fl 3,1 Essere sottomessi - Il verbo Òl!o'tciaaw,
UYL«LVOUOU liLOOOKIXHQ:) di 2,1. «sottomettere», è impiegato nell'epistolario
Devi dire, raccomandando e rimproveran- paolina nei contesti più svariati, per desi-
do - La triade dei verbi che compare alla gnare la sottomissione del credente alla giu-
fine del capitolo- ÀliÀEL («di'»), 1TapaKaÀEL stizia di Dio (cfr. Rm 10,3), della donna a
(«raccomanda»), EÀEYXE («rimprovera») - suo marito (cfr. Ef 5,21-22; Tt 2,5), degli

a Booz: costui riscatta la terra e la donna, che diventa sua moglie. Anche Cristo
come go 'el riscatta l'umanità ferita dal male del peccato e la sposa facendola
«sua». Non la riscatta con denaro, ma a prezzo del suo sangue. La sposa riscattata
dal Cristo è il popolo cristiano, che è stato reso puro attraverso il sacrificio sulla
croce e che appartiene a lui in una dimensione di intimità e comunione tipica
dell'alleanza, di quel matrimonio tra Dio e il suo popolo che stimola nell'uomo
il fiorire delle «opere buone». Queste sono il segno caratteristico dell'elezione,
la cartina al tornasole della salvezza accolta e del cristianesimo incarnato, garan-
zia di una fede autentica e di una «conoscenza della verità intimamente unita a
un'autentica vita religiosa>> (cfr. Tt l, l). Lo zelo per le opere buone diviene, a sua
volta, l'epifania della dimensione fondamentale della vita cristiana: il dinamismo
della fede che opera per mezzo dell'amore (cfr. Gal5,6). Appare qui la profonda
connessione tra cristologia ed etica. Alle «opere buone» l'autore della lettera
conferisce un valore normativo in rapporto alla fede: sono un segno distintivo,
proprio del cristiano autentico.
2,15 Il monito conclusivo a Tito
A conclusione dell'esposizione dottrinale viene espressa l 'urgenza impellente
di illustrare un tale insegnamento senza esitazione alcuna. All'interno del popolo
cristiano un ruolo speciale spetta a Tito che deve usare «ogni» autorità conferita-
gli. Il v. 15 è così importante nell'economia dell'intera lettera da rappresentare la
chiave di volta funzionale, poiché apporta una sorta di intensificazione o potenzia-
mento della valenza retorica del messaggio. Esso appare una sorta di spartiacque
tra i cc. 1-2, il cui tema dominante è la «sana dottrina», e il c: 3, il cui cuore è
l'esercizio delle «opere buone». Paolo comunica l'urgenza delle istruzioni epi-
47 TIT03,2

15Queste cose devi dire, raccomandando e rimproverando con


ogni autorità. Nessuno ti disprezzi!

3 Ricorda loro di essere sottomessi ai governanti e alle


1

autorità, di essere docili, di essere pronti per ogni opera


buona; 2di non parlare male di nessuno, di non essere litigiosi ma
miti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini.

schiavi ai loro padroni (cfr. Tt 2,9), dei figli tutto il NT in cui il verbo pJ..a.aclllliJ.ÉW si
ai loro genitori (cfr. lTm 3,4 con il sostan- presenta col senso del tutto generico di
tivo ùn01:a.y~). «sparlare», «parlare male», e non designa
Essere docili- Il verbo nELElapxéw, «lasciar~ parole pronunciate contro Dio, ma insulti
si persuadere», «essere docile», presente in indirizzati da un uomo a un suo simile,
At 5,29.32; 27,21, è un hapax legomenon contrariamente all'uso che se ne fa in 2,5
delle lettere Pastorali e, stando agli scritti di («perché la parola di Dio non sia disprez-
Filone, sta a indicare l'atteggiamento di chi zata»).
si conforma a una regola. •:• 3,1-2 Testi affini: Rm 13,1-7; 1Pt 2,13-
3,2 Non parlare male- È l'unico caso in 17

stolari e svela il segreto di ciò che tiene unite l'ortodossia e l' ortoprassi: l'autorità
intesa come canale comunicativo privilegiato. L'espressione «con ogni autorità»
e il monito «nessuno ti disprezzi!» presentano l'autorità di Tito come assoluta. Si
può pensare che a causa dei dissidenti l'autorità apostolica sia contrastata. Perciò
l'autore della lettera la rilancia con forza e con espressioni molto incisive.

3,1-7 Disposizioni etiche generali ed esposizione teologica deU'evento bat-


tesimale
Il c. 3 è per molti versi simile al precedente. Si può riscontrare, infatti, un'im-
postazione parallela: entrambi hanno dapprima un'istruzione parenetica seguita da
un enunciato teologico. L'insegnamento dei due capitoli appare complementare.
Al c. 2 la parenesi. è rivolta alla diverse categorie umane; al c. 3 invece a tutti
i membri della comunità (3,1-2). Come ha fatto nella pericope di 2,11-14, per
fondare solidamente le sue esortazioni, l'autore della lettera a Tito sceglie come
«argomento di autorità» l'essere e l'agire di Dio (3,3-7): poiché Dio è stato così
benevolo con noi, anche noi siamo chiamati a fare altrettanto agli altri attraverso
le nostre opere buone.
3,1-2 Esortazioni di carattere generale
All'inizio del c. 3 si parla della vocazione del cristiano a essere un buon
cittadino, responsabile di fronte all'autorità statale e alle leggi. Incontriamo così
un'esplicita ripresa di Rrn 13,1-7; vi sono anche contatti con l Pt 2,13-17. Entrambi
questi testi contengono il riconoscimento incondizionato dell'autorità stàtale. Ma
la novità presente in Tt 3,1 è la richiesta rivolta al credente di collaborare attiva-
mente al bene comune. Essere cristiani non corrisponde a sovvertire le strutture
TIT03,3 48

37H}JeV yap 1t0t'€ KaÌ ~}lei<; àvOflt'Ol, à:Ttel9eiç, 1tÀavW}J€VOl,


òouÀeuovre:ç Èm9u}Jiatç Kaì ~òovaiç JtOlKiÀatç, Èv KaKi~ Kaì
cp96v(f> Òtayovn:ç, crwyrtroi, }JtO'ouvreç à:ÀÀ~Àouç.
4 ore òè: ~ XPflO't'Ot'fl<; Kaì ~ cplÀavepwRia È1te<pav11 rou

awrijpoç ~}JWV 9eou,

3,3 Anche noi- Attraverso l'espressione Ka.L Fuorviati- Il verbo 11Àa.vaw ha una forte ac-
ipe'ù; (che ricorre altrove nell'epistolario pao- cezione negativa e può significare «essere
lino, cfr. !Cor 6,10-11; Ef2,1-3) viene de- sedotto o ingannato» (cfr. Le 21 ,8; l Cor 6,9;
scritta la condizione dei credenti prima del- 15,33; 2Tm 3,13; Gc 1,16), «essere esposto
la conversione. La lista dei comportamenti al pericolo» (cfr. Eb Il ,38), «smarrirsi» de-
scorretti che segue non è autobiografica; Ha viando dalla retta via (cfr. 2Pt 2,15) della
un valore piuttosto contingente, in quanto verità (cfr. Gc 5,19) e della virtù (cfr. Eb
serve a sottolineare gli effetti salvifici della 5,2); inoltre è usato da Gesù in Mt 18,12 a
venuta di Cristo e a stimolare i destinatari proposito della pecorella smarrita.
della lettera alle «opere buone». Degni di odio- L'aggettivo atuyrrtoc; è raro
Insensati- Il profilo degli uomini prima della nel greco profano e questa è l 'unica occor-
conversione si apre con l'aggettivo &.v6T]toL, renza di tutto il NT; non compare nemmeno
«insensati» (cfr. Rm l, 14; l Tm 6,9), che ri- nella Settanta. Lo rinveniamo nella Prima
manda ali 'incapacità di comprendere le cose lettera di Clemente 35,6, dove i malfattori
divine, come i discepoli di Emmaus in Le sono detti «detestati da Dio», e in Filone,
24,25, che non colgono il senso delle pro- dove le relazioni adulterine sono definite
fezie, e come i pagani in Ef 4,17-18, che «detestate e odiate da Dio» (Il Decalogo
hanno la mente ottenebrata, ignoranti di Dio, 131). Non potendo confrontare Tt 3,3 con
del senso della vita e incapaci di discernere i altri brani neotestamentari, è difficile sta-
valori spirituali (cfr. anche ICor 2,14). bilire se il senso di atuyTjtoc; sia attivo (una

sociali e istituzionali, ma ad assumerle e a migliorarle con una presenza qualificata.


«Ricordare» è il compito del capo della comunità che viene presentato all'inizio di
questo nuovo capitolo. Si tratta di un verbo che non ha qui sostanziali differenze di
significato rispetto a «insegnare» ed «esortare». Notiamo nella lettera l 'insistenza
sulla questione dell'autorità che si presenta come garanzia dell'ordine. Il primato
dell'autorità determina, come misura dei rapporti, la sottomissione, che diventa
centrale nelle lettere Pastorali per descrivere le relazioni interpersonali nei vari
ambiti della vita: famiglia, comunità, Chiesa, stato. Subito dopo la sottomissione
che si deve alle autorità, si forniscono disposizioni utili a tessere relazioni sociali
improntate a un rispetto senza riserve.
3,3-7 L'ejjitsione dello Spirito e i suoi effetti
La congiunzione gar del v. 3, che in italiano non viene tradotta, mostra lo stretto
legame con ciò che è detto in precedenza e introduce lo sviluppo soteriologico,
che rappresenta il motivo dell'esortazione racchiusa nei vv. 1-2. Segna, quindi, il
passaggio dalla parenesi alla sua motivazione storico-salvifica.
Salvati per sua misericordia. In 3,3 viene rievocato il passato dei credenti
49 TIT03,4

3Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, fuorviati,


schiavi di ogni genere di passioni e di piaceri, vivendo nella
malvagità e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda.
4Quando però si sono resi visibili la bontà di Dio, salvatore

nostro,. e il suo amore per gli uomini,

persona che nutre odio) o passivo (una per- di «amorevole sentimento o modo d'agi-
sona che suscita odio). Preferiamo tradurre re di Dim> oppure «beni di fortunro> da lui
l'aggettivo in senso passivo, poiché quello concessi, cioè il «benessere>>. In Filone
attivo appare dopo, attraverso l'impiego XPTIIJ'to'tllç ricorre nei cataloghi di virtù, do-
del participio presente ,.nooiìv-reç («che ve spesso è in alternanza con cjiLÀIIvepwn(u
odiano»). (Vita di Mosè 1,249), mentre altrove forma
3,4 Però -'- La particella avversativa 6É del con questo vocabolo un'endiadi, una coppia
v. 4 esprime un'evidente connessione con cioè di sostantivi coordinati per sottolineare
ciò che precede (no-re del v. 3). un concetto (Ambasciata a Caio 73). Egli
La bontà (~ XPTIO'tO'tllç) - Il sostantivo è spesso l'attribuisce a Dio, sulla linea della
attestato per la prima volta in Euripide per Settanta, per indicare l'atteggiamento che
significare «onestà», «rispettabilità», oppure Dio ha verso gli uomini e il suo preferire il
«bontà», «gentilezza», «mitezza». In Plu- perdono alla punizione. Nel NT il termine
tarco la XPTIO'to~ è unita alla cjiLÀIIvepwn(u acquista il significato di «atteggiamento mi-
(«amore per gli uomini>>) quando, parlando sericordiosm> di Dio verso il peccatore (cfr.
di Cicerone, vuole elogiare l'assenza di ogni Rm 2,4; Il ,22).
avidità di denaro (Vite parallele. Demostene L 'amore per gli uomini (~ cjiLM:vepwnl.u)- È
e Cicerone 3,1,887d). Nella Settanta ha il la sapienza ad essere definita cjiLÀ.llv9pwnov
significato di «clemenza regale>>, «pietà>>; nveiì!J.U («spirito amante degli uomini>>) in
nei Salmi si incontra il senso ambivalente Sap 1,6; 7,23. In Sap 12,19, invece, è detto

attraverso uno stile squisitamente paolino che appare soprattutto in Gal 3,1-5
e 1Ts 1,5-10, dove, dinanzi alle deviazioni, l'apostolo invitava a fare memoria
dell'ingresso nella vita nuova. Prima dell'incarnazione del Figlio di Dio, l'uomo
viveva nella condizione di schiavo, descritta con un ritratto a tinte fosche che rende
ancora più sorprendente la trasformazione avvenuta. L'autore, rifacendosi agli
stilemi della predicazione primitiva, ricorre alla terminologia tipica del popolare
catalogo di vizi filosofico. Egli, però, non si ferma al quadro negativo dell'uomo
prima della venuta di Cristo, ma fa riferimento nel v. 4 a un evento spartiacque
che ha guadagnato all'uomo la liberazione e la salvezza.
Alla situazione in cui gli uomini si trovavano a vivere a causa del dilagare del
peccato, il testo contrappone un'enunciazione sull'opera salvifica di Dio e una
professione di fede in Lui. Si parla di un presente tutto salvifico caratterizzato
dall'opera della misericordia. È per un'iniziativa estremamente gratuita da parte
di Dio che l'uomo può essere liberato dalle catene del peccato e ricevere la vita
nuova, effetto del «lavacro di rigenerazione e di rinnovamento>> che è il battesimo.
Molti esegeti hanno visto in 3,4-7 la presenza di un vocabolario dal sapore ionico
TIT03,5 50

5OÙK È~ Épywv t'WV ÉV ÒtKatocrUvn Q: Érrot~O'a}..lEV ~}lEi<; cÌÀÀà:


Kat'à: TÒ aÙTou ÉÀEoç Écrwcre:v ~}..lii<; òtà: ÀouTpou rraÀtyye:ve:criaç
KaÌ à:vaKatvwcre:wç rrvEUJ..laToç àyiou,
ljlLÀiiv9pul1Tov il comportamento dell'uomo Claromontano [D], codice di Augia [F], co-
giusto. Nel primo caso si tratta di una caratteri- dice di Borner [G]) diventa 1:Ò eJ..Eoç a.Òtou.
stica rivelatrice di quell'attenzione di Dio verso Le Pastorali, infatti, non inseriscono in nessun
l'uomo che permette a quest'ultimo di vivere, altro luogo a.Òtou tra articolo e sostantivo; per-
nel secondo è una qualità richiesta all'uomo. tanto la lettura più difficile è stata semplificata,
Filone la considera la <<Via maestra che con- ma senza un motivo valido come dimostra l Pt
duce alla santità» (Virtù 51), sostenendo che l ,3 che ha l'espressione a.Òtou llioç. La lettura
la virtù perfetta è possibile solo se all'amore 1:Ò eJ..Eoç a.Òtou rispecchia piuttosto un ordine
per Dio è congiunto l'amore per l'uomo. Nel semitico e somiglia a Le 1,50.58: si potrebbe
NT il termine ljlLÀIXv9pul1TLa è molto raro: in pertanto supporre che il frequente uso liturgi-
At 28,2 caratterizza la condotta benevola degli co del Magnificat abbia contribuito a modi-
abitanti dell'isola di Malta verso i naufraghi; ficare la lettura nella lettera a Tito. Un'altra
nel nostro versetto rafforza il senso del sinoni- variante è 1:Òv a.Òtou eJ..Eov, scorgendo dietro
mo Xp11<J"t"6trJç. È per amore che Dio interviene la parola il genere maschile. Ma EÀ.eoç non
nel mondo inviando suo Figlio (cfr. Gv 3,16). presenta esempi forti di maschile nel NT ed
3,5 Opere da noi compiute- Clemente Ales- è neutro nella letteratura ellenistica, forse per
sandrino e diversi codici maiuscoli supporta- distinguerlo da ~ÀIXLov («olio»), che all'accu-
a,
no il pronome relativo mentre altri testimo- sativo presenta la stessa pronuncia. La lettura
ni e il testo bizantino lo sostituiscono con il corretta sarebbe quindi 1:Ò a.Òtou ~ÀEoç, mentre
genitivo plurale c:iv supponendo l'attrazione la variante eÀEov sarebbe un atticismo.
del relativo (quando il relativo prende lo stes- Lavacro - La parola Àou1:p6v si trova nella
so caso del termine a cui è legato, anche se Settanta solo in Ct 4,2; 6,6 e in Sir 34,25. In
la sintassi della frase richiederebbe un altro Ct 4,2; 6,6 il termine sta a indicare il guaz-
caso) in riferimento al sostantivo ~pywv. Il zatoio per gli animali; in Sir 34,25 indica la
a,
pronome plurale neutro al caso nominativo, purificazione dopo il contatto con un corpo
sembra essere originale, mentre il relativo c:iv, morto e anche, simbolicamente, la rimozio-
al genitivo, rappresenta un atticismo. ne del peccato attraverso il digiuno. Questa
La sua misericordia- L'insolito ordine delle parola affonda le radici nei tempi di Omero
parole 1:Ò a.Òtou eJ..Eoç («la sua misericordia») ed Esiodo dove indica il «bagno» o l' «acqua
in alcuni testimoni (prima mano del codice per il bagno». Filone sostiene che non basta

o liturgico e hanno parlato di rilettura di un antico inno battesimale, noto presso le


comunità paoline, che celebrava gli effetti salvifici del battesimo, quali l'effusione
dello Spirito e il dono della vita nuova.
L'impiego di termini appartenenti al vocabolario ellenistico, come <<rendere visi-
bile» (greco, epiphainii), «salvatore» (greco, siit~r) e «amore per gli uomini» (greco,
philanthriipia), mostra l'inculturazione del pensiero paolino in categorie nuove.
Con l'espressione «per la sua misericordia» l'autore della lettera a Tito, senza
svalutare la necessità di agire con giustizia, sottolinea fortemente che la rivelazio-
ne di Dio è assolutamente gratuita, prescinde pertanto dalla qualità dell'operare
umano. Egli non contrappone le opere umane alla misericordia divina, ma mette
in luce il primato della seconda sulle prime. Le opere non costituiscono il moti-
51 TIT03,5

5eglici ha salvati non per opere di giustizia da noi compiute


ma per la sua misericordia, mediante un lavacro di
rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo,
pulire il corpo con bagni o.ou-rpo'ì.c;) e purifi- di «cieli nuovi e terra nuova». Si trattereb-
cazioni, ma occorre liberarsi dalle passioni be, quindi, della nascita alla vita eterna. Il
che contaminano la vita (cfr. I cherubini 95). sostantivo à.vaKa(vwoLç («rinnovamento»)
Egli svilupperà il tema della purificazione appartiene invece al vocabolario paolino e,
interiore parlando dei «lavacri della mente» con il suo accento sull'effetto interiore del
(-ro'ì.c; cppovt)oewc; A.ou-rpo'ì.c;). Nel NT il ter- lavacro battesimale, dà un tocco definitivo
mine A.ou-rp6v compare solo in Tt 3,5 e in Ef alla comprensione di «rigenerazione», inter-
5,26 dove allude al battesimo. Esso infatti pretata come risurrezione della carne.
potrebbe essere tradotto anche con «acqua» Nello Spirito Santo (nvequx-roc; ciy(ou)-Alcu-
(come fa la versione CEI del 2008), che è ni testimoni occidentali inseriscono la prepo-
l'elemento contenuto nellavacro. Il battesi- sizione t\ux prima dell'espressione nveuf!«-roc;
mo, però, anche se esteriormente richiama i ày(ou; seguendo tale lezione si dovrebbe tra-
bagni cultuali dei pagani e dei giudei, non è durre: «mediante lo Spirito Santo». Questa
Àou-rp6v nello stesso senso, perché immette correzione è significativa: essa rappresenta
in uno stato di vita nuovo e unico, in cui si un tentativo di chiarificare una costruzione
realizza il perdono dei peccati e si diventa difficile e interpreta nve~-roc; ày(ou come
eredi della vita eterna. spiegazione di t\uì A.ou-rpoiì naÀL yyeveo(aç
Di rigenerazione e di rinnovamento - Il Kal à.vaKaLvooewc;. La variante potrebbe es-
«lavacro» è qualificato secondo lo stile se- sere considerata originaria sulla base di 2Tim
mitico attraverso l'impiego di due genitivi 1,14 ove ricorre l'espressione ti Là nveuf!«-roc;
con valore aggettivale nah yyeveo(ac; K«l ày(ou. Va notato che t\ux ricorre tre volte in Tt
à.vaKaLvwoewc; («di rigenerazione e di rin- 3,5-6, per cui l'omissione davanti a 1TVEqux-roc;
novamento»). Il termine nahyyeveo(a risale ày(ou potrebbe esser stata causata da motivi
alla filosofia pitagorica, dove indica la nuova stilistici. La lettura tiLà nveulla-roc; ày(ou
vita dell'anima in un altro corpo, e a quella assicura al termine finale della lunga catena
stoica, dove designa la restaurazione del co- di genitivi in Tt 3,5 un senso strumentale,
smo dopo la distruzione periodica oppure la ma a noi sembra superflua la presenza della
stagione primaverile. In Mt 19,20 il sostanti- preposizione; pertanto leggiamo 1TVEUfUXTOç
vo presenta un'accezione cosmica e messia- ày(ou come genitivo di origine, oppure come
nica, mentre in Ap 21, l indica l 'instaurazione genitivo di autore.

vo che attira sugli uomini l'intervento salvifico di Dio: esse sono piuttosto una
conseguenza dell'azione divina, che fornisce all'uomo il segno distintivo di una
fede genuina e di una vita autenticamente religiosa.
Creature nuove. La manifestazione gratuita del Dio salvatore consiste nel
salvare gli uomini in un modo assai concreto: attraverso un «lavacro)) per mezzo
del quale lo Spirito Santo comunica la vita nuova. Da sempre si è visto dietro a
questo testo il riferimento a un rito di immersione o aspersione destinato a pu-
rificare la persona e a consacrarla a Dio o a Cristo, chiara allusione al battesimo
dei credenti (cfr. Mc 16, 16). Quando la lettera a Tito chiama il rito battesimale
cristiano «lavacro)), il discorso si fa innovativo, perché trasforma un'istituzione
della vita sociale romana, qual era il bagno pubblico, conferendole un significato
TIT03,6 52

6 oò è'E,ixeev èq) TJ}lcX<; ltÀoucriwç ÒuÌ 'Irtcrou Xptcr-rou


mu crw-rfjpoç TJ}!WV,
7 iva ÒlK<XtwOf.v-reç rfi tKEtVOU xaptn KÀf1pOVO}!Ol

yevrtOW}!EV Ka-r' èJmiòa ~wfjç aiwv{ou.

3,6 Che egli effuse su di noi abbondante- 3,7 Giustificati (1iLKa.Lw9Év'teç) - Il ver-
mente (ét;éx.eev Écp' ~IU'iç nlouo(wç)- Il ver- bo OLKa.Léw («giustificare»), che rimanda
bo ÉKJ(.ÉW (<<riversare») ricorre in Ez 39,29; all'ambito forense, è molto caro a Paolo,
Gl 3,1-2; At 2,17-18; 10,45; Rm 5,5. Esso stando alla sua presenza nelle protopaoline
appartiene al linguaggio tipico di Penteco- (soprattutto in Romani e Galati). Riferito
ste. Lo Spirito, presentato in modo figurato ali 'uomo, sta a indicare che i suoi peccati
attraverso l'immagine dell'acqua versata e sono stati perdonati e che egli è considerato
traboccante, e il verbo all'aoristo, che segna- innocente e giusto agli occhi di Dio.
la un momento storico ben preciso, alludono Perché ... diventassimo ((va. ... yEVT]9WIJ.EV)
con tutta probabilità al battesimo cristiano. -Diversi testimoni come la prima mano del
L'immagine espressa dal verbo ÉKJ(.Éw, che codice Sinaitico (N), il codice Alessandrino
contiene in sé la dimensione abbondante (A), il codice di Efrem riscritto (C), la prima
della comunicazione, combinata all'avver- mano del codice Claromontano (D) e altri,
bio nÀooo(wç («abbondantemente») rivela supportano la lezione del deponente passivo
un pleonasmo, la presenza cioè di parole yeVT]9WIJ.EV (congiuntivo aoristo); invece le
grammaticalmente o concettualmente non correzioni del codice Sinaitico (N), del co-
necessarie, superflue. . dice Claromontano (D), il codice della Lau-

del tutto nuovo. Lo Spirito, che cambia il cuore umano in vista della conversione,
cambierà il corpo umano e anche il mondo umano in vista della risurrezione.
Il testo sottolinea il cambiamento che comincia sin da adesso, dal periodo
post-battesirnale, e che consiste nell'introdurre nell'uomo, che vive inserito nel
mondo e nella storia, il principio della vita nuova spirituale. Questo principio
cambia radicalmente la disposizione dominante dell'uomo e sotto l 'influsso dello
Spirito, permette ali 'uomo di muoversi in direzione di Dio.
Vanno notate le coincidenze terminologiche con i brani profetici che descrivono
il modo in cui lo Spirito di YHWH si effonde su Israele, secondo la versione della Set-
tanta (Ez 39,29; Gl3,1-2); ciò inserisce il conferimento dello Spirito Santo e dell'atto
battesimale all'interno del quadro degli eventi che sono «secondo le Scritture». Il dono
dello Spirito Santo è descritto nella sua effusione sui credenti <<per mezzo di Gesù
Cristo» (3,6). Questo dato arricchisce ulteriormente la cristologia della lettera a Tito,
che si pone nella tradizione confessionale del cristianesimo primitivo ed è legata al
patrimonio ricevuto, cioè ad alcuni testi delle lettere protopaoline, ma presenta anche
un nuovo accento che deriva dalla situazione religiosa e culturale in cui essa si colloca.
La giustificazione. Indica l'assoluzione giuridica che si attua nella croce, attra-
verso il sangue di Cristo; l'evento salvifico è accessibile all'esperienza personale
attraverso la fede. Questa dichiarazione di innocenza non è solo relativa al futuro,
ma è ritenuta già compiuta. Tuttavia essa presenta una sfumatura messianica: è
accordata in vista della nostra ammissione al Regno e ci introduce nella gloria di
53 TITO 3,7

6che egli effuse su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù


.Cristo, salvatore nostro,
7perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi,

secondo la speranza della vita eterna.

ra del monte Athos ('l') e il testo bizantino Secondo la speranza della vita eterna (KaT'
riportano la variante del deponente medio Un(oa (wf)ç alwv(ou)- Risulta difficile sta-
yEOvWf1E06a (congiuntivo presente). Optiamo bilire se l'espressione «vita eterna» Sia da
per l'aoristo che è meglio attestato e che collegare a «eredi» oppure a «speranza». Nel
preferiamo a motivo della sua sfumatura primo caso, l'ereditàè la vita eterna e la con-
ingressiva, che ben si addice alla tematica dizione di erede è qualificata dalla speranza.
dell'eredità e della filiazione divina, assai Nel secondo, la parola «eredi» compare da
centrale nella letteratura paolina. sola, seguita dall'espressione «secondo la
Eredi (KÀTJpov4uJ~)- Il KÀTJPov4wc; nella gre- speranza della vita eterna». In entrambi i casi
cità è !'«erede», sia naturale che testamentario l'eredità è rappresentata dalla vita eterna ma
o anche legale, oppure è l'effettivo possesso- nel primo caso la speranza è un atteggiamen-
re o amministratore di beni avuti in deposito to, nel secondo invece è l'oggetto sperato
fiduciario; qui appare come colui che aspetta come in Tt 1,4 e 2,13. Optiamo per questa
il pieno sviluppo della sua giustificazione: la seconda possibilità di lettura, contrariamente
vita eterna. La figliolanza non si fonda né sul- a quanto fa la versione CEI del 2008 che
la discendenza fisica, né sulla discendenza da traduce: «affinché ... diventassimo, nella
Abramo, ma sulla chiamata e sul dono di Dio. speranza, eredi della vita eterna>>.

Dio. Essere giustificati equivale all'ingresso nello status dei salvati e al tempo stesso
significa ottenere da Dio un decreto di ammissione al regno messianico. Anche se
è chiaro che la giustificazione è effetto dell'agire gratuito e misericordioso di Dio,
che ci permette di beneficiare delle sue promesse, nel discorso sulla giustificazione
contenuto nella lettera a Tito l'ago della bilancia si è spostato rispetto alle lettere
protopaoline. Esso non indica più tanto il tema della salvezza (soteriologia), ma
segna la concezione che il credente, il quale vive pienamente inserito nel mondo
attraverso la sua esistenza storica, ha di sé. La giustificazione rappresenta così anche
la base di partenza per un rapporto positivo con il mondo, fondando l 'universalità del
rapporto che la comunità cristiana deve avere ad extra. Il credente è stato giustificato
senza possedere alcun merito; lo stesso può accadere per i pagani (Redalié, 227).
Se, infatti, è vero che le lettere Pastorali perseguono l 'intento di tracciare, attraverso
«la sana dottrina», una linea di demarcazione netta tra la comunità ortodossa da una
parte e i dissidenti dali' altra, non si può non cogliere anche l'altra grande preoccu-
pazione che le muove: ribadire l'universalità della volontà salvifica di Dio e la sua
concreta attuazione. L'ampio utilizzo del termine «grazia>>, che ricorre nella formula
di apertura di 1,4, in 2,11, in 3,7 e nel saluto finale di 3,15, lascia supporre che si
tratti delleitmotiv dell'intera lettera.
L 'eredità. L'idea di eredità in 3,7 mostra in ultima istanza la ripresa del tema
della figliolanza tanto caro alle lettere protopaoline. Gli eredi sono i figli. Se
l'opera di salvezza realizzata da Gesù mediante l'effusione dello Spirito ha per
TIT03,8 54

8lltcrròç ò Àoyoç· KaÌ ltEpÌ TOUTWV ~OUÀO}lai O'E ~ta~E~atoucr8at,


1va cppovri~wcrtv KaÀG>v Epywv npoicrracr8at oi nEmcrrEUKOTEç
8E<i}· t'aUra Ècrnv KaÀà KaÌ W<pÉÀt}la TO'iç àv8pW1tOtç. 9 }1Wpàç
~è: ~l'JT~crEtç Kaì yEvEaÀoyiaç Kaì EpEtç Kaì 11axaç vo}ltKàç
nEpticrracro· Eicrìv yàp àvwcpEÀE'iç Kaì 116:-ratot. 10 aipEnKÒv
av8pW1tOV }lETa }llaV KaÌ ~EUTÉpav VOU8EcrtaV ltapatTOU,

3,8 Questa parola è degna di fede (mot"òc; o promesso»), con riferimento a Eb 10,23, in
J..Oyoç) - La formula ricorre più volte nelle Ignazio di Antiochia (Ai Tralliani 13,3: 1TLOt"òc;
lettere Pastorali (cfr. !Tm 1,15; 3,1; 4,9; 2Tm o 11a:rf)p, «fedele è il padre») e nel Libro dei
2, Il) e ha un valore analettico-retrospettico, misteri (1Q27) 1,8 (,~"'l"! p:ll, «degna di fe-
si riferisce cioè a quanto detto in preceden- de è la parola»), in un contesto di adempimen-
za e sottolinea il carattere di citazione delle to delle profezie pronunciate dai profeti su
parole precedenti. In tal caso è una formula Israele. In l Tm l, 15 e 4,9 appare l' espressio-
affermativa, con la stessa funzione di assenso ne mmòc; Ò À.6yoç Ka:t mrol]ç clllOOOXfìç iXçLoç
espressa dali' «amen» alla fine di una profes- («questa parola è degna di fede e di totale
sione di fede, di un inno o comunque una accoglienza»), dove l'ampliamento del detto
solenne acclamazione in un'assemblea litur- ha funzione enfatica e rafforzativa.
gica. Formulazioni analoghe all'espressione Bello e utile (Ka:À.à. Ka:t w<IJÉÀLf.La:)- Il bino-
mmòc; ò M)yoç appaiono, p. es., nella Seconda mio è tipico del pensiero greco-romano e lo
lettera di Clemente 11,6 (mmòc; yap Éanv o si ritrova in Senofonte, Memorabili 3,8,3-1 O
È11a:yyEL~voç «fedele infatti è colui che ha e Cicerone, L'oratore 3,178-181.

fine il conseguimento della vita eterna, quale eredità per l'uomo, ciò significa
che il Cristo partecipa all'uomo la sua relazione col Padre, che è una relazione
da figlio. Nella lettera a Tito, anche se la venuta del Signore nella gloria è ri-
mandata rispetto alle protopaoline, appare una visione molto positiva del mondo.
Nel suo orizzonte teologico, tuttavia, la realizzazione del credente avviene solo
a livello escatologico.

3,8-11 L' «utlle» e l' «inutile»


La funzione della formula «questa parola è degna di fede» è di: confermare
l'importanza e la fidatezza dell'annuncio racchiuso nelle dichiarazioni dei vv. 4-7,
che sono di stampo prettamente soteriologico; introdurre nella parenesi ai capi di
comunità il patrimonio formulare tradizionale, consolidando così l'autorità del
responsabile; espletare una funzione apologetica poiché l'affidabilità, indicata
dall'aggettivo pistos, è ciò che qualifica l'annuncio cristiano, impedendo di deviare
dalla dottrina ufficialmente riconosciuta. La formula quindi spiega che la persona
responsabile, all'interno della comunità, della trasmissione di questa <<parola»
non agisce di propria iniziativa, ma su mandato dell'apostolo. Questa marcata
accentuazione della responsabilità affidata a Tito fa risaltare un chiaro intento
antiereticale. Significativo è il fatto che alla confessione faccia immediatamente
55 TIT03,10

8Questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista su


queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di
eccellere nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini.
9Evita invece le sciocchezze, le genealogie, le questioni e le

contese intorno alla Legge, perché sono inutili e vane.


10Dopo una o due ammonizioni sta' lontano da chi è fazioso,

3,9 Genealogie- Il vocabolo yevea:.toy(a: dei gruppi religiosi precisi quali i farisei
proviene dall'ellenismo e sta a indicare (cfr. At 15,5; 26,5), i sadducei (cfr. At
narrazioni della storia biblica ampliate 5,17) o i cristiani stessi (cfr. At 28,22},
dalla presenza di numerose informazioni e oppure, con sfumatura peggiorativa, come
interpretazioni. Un esempio è il Libro dei «fazione», per indicare gruppi in conflit-
Giubilei. to che creano divisioni all'interno delle
Contese- f.UXJCTJ è un termine raro nel NT (cfr. comunità cristiane (cfr. lCor 11,19; Gal
2Cor 7,5; 2Tm 2,23 e Gc 4,1) e può essere 5,20). L'aggettivo, come pure il sostan-
inteso in senso militare, in senso sportivo o tivo, provengono dal verbo a:LpÉw che
anche verbale, come nel nostro caso. significa «scegliere»; quindi indicano la
3,10 Fazioso- L'aggettivo a:LpenK6c; (da tendenza di chi all'interno della comunità
cui deriva l'italiano «eretico») non ricorre cristiana seleziona alcune verità contenute
altrove nel NT; troviamo invece il sostan- nella «sana dottrina», rifiutando le altre
tivo corrispondente a:'Cpecnc; impiegato in ed emettendo opinioni personali del tutto
due modi: come «gruppo», per indicare arbitrarie.

seguito l'accenno alle «opere buone» che, essendo un segno distintivo sia del capo
di comunità sia dei cristiani, sono espressione dell'ortodossia. Esse designano uno
stile di vita che proviene dali' armonia tra condotta esteriore e grazia interiore, un
operare umano dove il «bello» e l' «utile» sono espressioni della volontà di bene
che il credente cerca di realizzare in ogni ambito della vita. Segue poi l'invito
a guardarsi dali' «inutile» ·che contraddistingue il sincretismo dei dissidenti, che
assolutizzano alcuni aspetti trascurando la portata salvifica della sana dottrina.
Centralità del ministero di Tito. In un tempo in cui l'attesa escatologica è
vissuta in modo più disteso ed è necessario fare i conti col protrarsi del tempo e
il convivere con le realtà mondane, il ministro acquista un ruolo centrale. Egli
deve esortare la comunità a vivere il mondo senza fuggirlo, deve aiutare i cristia-
ni a impegnarsi nel presente e a radicarsi nella storia attraverso l'esercizio delle
«opere buone».
L'etica appare quindi all'interno della lettera il terreno fertile dell'ecclesio-
logia, dove ci si muove verso il compimento pieno dell'uomo nella vita eterna.
Improntata alle «opere buone», l'etica è epifania di una salvezza accolta e di
una fede incarnata ed è la manifestazione della somiglianza dell'uomo con Dio.
Quest'etica cristiana può essere definita «estetica» perché punta ad una speciale
visibilità del cristianesimo, testimoniato rispettosamente, ma anche apertamente,
TIT03,11 56

11 d~wç on è:~Écrrpamm oro1oihoç Kaì à:}laprave:t wv


aùroKaraKptroç.

12 "0rav ltÉlJ\jJW 'Apt'ElJcXV 1tpÒç crÈ il TUXlKOV, crJtou~acrov


È:À8e:iv 1tp6ç }.lE e:iç NtKOltO·Àlv, È:Ke:i yàp KÉKplKa
lt<XP<XXEl}.laO'<Xl. 13 ZT)VcXV t'ÒV VO}.llKÒV KaÌ 'A1toÀÀWV
cr1tou~aiwç 1tpo1tElJ\jJov, iva l.lTJ~Èv aùroiç Àe:iltn.

3,11 È ... forviata (ei;€<Ttpa:1T"t"cn)- Il verbo regge l 'indicativo futuro, esprime un periodo
ÉKa-rp€cjlw («invertire, rovesciare») è un ha- indeterminato.
pax legomenon del NT: appare soltanto in Artema ('Ap-re!Jiiv)- È un nome che deriva
questo versetto. Il suo significato si evince dalla contrazione di Artemidoro, «dono di
da testi di medicina e di alchimia, dove in. Artemide». Si tratta di un personaggio che
dica l'operazione di invertire un organo o di non appare altrove nel NT, ma che secondo
effettuare una trasmutazione di metalli, quin- una tradizione successiva dovette far parte
di rimanda a un cambiamento di carattere. del gruppo dei settantadue discepoli e fu il
Applicato ad alcuni membri della comunità, primo vescovo di Listra.
nella forma del perfetto passivo, designa una Tichico (TuXLKov) - Questo nome greco
condizione di totale capovolgimento, distor- equivale all'italiano Fortunato; è uno dei
sione e perturbazione. collaboratori più noti di Paolo (cfr. At 20,4;
3,12 Quando- La congiunzione o-ra:v, che Ef 6,21; Col4,7).

in tutti gli ambiti del vivere. Per l'autore della lettera il credente deve «appari-
re» nel mondo, deve fare in modo cioè che gli altri lo vedano e lo riconoscano,
distinguendosi in forza di un atteggiamento luminoso, trasparente, coerente che
manifesti il fascino della fede e spinga gli altri ad aderirvi.

IL POSTSCRITTO. IL FRUTTO DELLE «OPERE BUONE» (3,12-15)


Secondi gli stilemi dell'epistolografia antica e dell'epistolario paolino, la let-
tera si conclude, prima dei saluti finali, con una panoramica che tocca la sfera
personale e fa parte dei topoi del genere epistolare ellenistico.

3,12-14 Ipersonalitl
L'utilizzo deipersonalia, informazioni a carattere biografico- come l'inten-
zione di passare l'inverno a Nicopoli, di mandare a Creta Artema e Tichico, di
far venire presso di sé Tito-, è all'interno della lettera una strategia che serve a
rendere presente un assente e a rafforzarne i discorsi; suscita, inoltre, l'impressione
che tra il mittente e il destinatario esista una relazione vivace. Paolo era solito, a
conclusione delle sue lettere, fornire informazioni sui suoi progetti e assegnare
degli incarichi. Per accreditare l'autenticità paolina della lettera, il redattore fa
allusioni a circostanze reali della vita di Paolo e dei suoi collaboratori, produ-
cendo cosi l'impressione tipica di eventi storicamente accaduti. Questa tecnica
57 TITO 3,13

ben sapendo che una simile persona è ormai forviata e che


11

continua a peccare condannandosi da sé.

Quando ti avrò mandato Artema o Tichico, cerca di


12

venire in fretta da me a Nicopoli, perché là ho deciso di


passare l'inverno. 13Provvedi con cura al viaggio di Zena, il
giureconsulto, e di Apollo: non manchi loro nulla.

Nicopoli (N U<:cmolw)- Letteralmente «città tradizione fa di lui un vescovo di Diospoli e


della vittoria», era un nome con cui si era so- l'autore degli Atti di Tito.
liti chiamare città costruite per ricordare un Apollo ('A11oUGìv)- Forma abbreviata di
successo militare. Molti hanno identificato Apollonia o Apollodoro, è da identificarsi
questa località con Actia Nicopolis, colonia con il noto retore alessandrino, presente in
romana eretta da Augusto nel 31 a.C. sulle At 18,24; 18,1; lCor 1,12; 3,4.6.22; 4,6;
rive dell'Adriatico in Epiro, per celebrare la 16,12.
sua vittoria su Antonio e Cleopatra ad Azio. Provvedi- Il verbo 1Tpo1TÉj.l1T(J), letteralmen-
3,13 Zena (ZTJviiv) - Contrazione di Ze- te «mandare avanti», diviene un termine
nodoro, «dono di Zeus», è un personaggio tecnico del cristianesimo col senso di
che non troviamo altrove nel NT, ma che, «scortare», «accompagnare» per esprime-
qualificato come 1JOILLK6ç, «giureconsulto», re ogni sorta di manifestazione di affetto
sembra essere distinto da qualcun altro. Una fraterno.

ha l'effetto dì tenere il riflettore puntato su Paolo. La menzione di Nicopoli, p.


es., non trova riscontro in nessun altro dato biografico paolino. Essa servirebbe
pertanto ad ampliare il raggio di azione dell'attività missionaria di Paolo e del
suo successore Tito, amplificandone il carattere paradigmatico. L'idea che emerge
è quella della successione, non solo a Paolo, ma allo stesso Tito, per mostrare
che anche i discepoli diretti di Paolo, nel momento in cui viene scritta la lettera,
appartengono al passato (cfr. Oberlinner, 246).
Questo modo dì concludere la lettera con la menzione del successore di Tito
ci fa gettare un'occhiata sull'epoca «dopo Tito» e conferma l'ipotesi secondo la
quale i veri destinatari del messaggio sono i successori del discepolo di Paolo. Si
potrebbe affermare che questa pericope conclusiva punti a esprimere una chiara
prospettiva ecclesiologica futura. L'idea di successione emerge con chiarezza,
anche se l'avvicendamento delle persone non è preciso.
Delle quattro persone menzionate in 3,12-13, due, «Artema» e <<Zena», ci sono
sconosciuti. «Tichico», originario dell'Asia Minore, sta con Paolo e, secondo At
20,4-5, lo aveva accompagnato da Corinto in Macedonia. È citato anche come
latore di Colossesi (Col 4,7-9) e di Efesini (Ef 6,21-22), scritti della prigionia.
<<Apollo» appare invece abbondantemente nella prima lettera ai Corinzi. Appare
quindi da un lato la continuità rispetto a Paolo, dall'altro la novità del contesto
ecclesiale della terza generazione cristiana.
TITO 3,14 58

14 ~av9avfrwcrav ò€ Kaì oì ~~Ére:pot KaÀwv E.pywv


1tpo\crracr9at EÌç ràç à:vayKa{aç XPEtaç, lV<X ~~ <i>crtV aK<Xp1t01.
15 1\crmX~OV't<Xl OE OÌ ~e:r' É~OU lt<XVt'Eç. cl<11t<XO<X1 t'OÙ<; <j>lÀOUV't<X<;

~~iiç Év 1tl<1t'E1. 'H xaptç ~e:rà rravrwv U~WV.

3,14 I nostri- L'espressione ol lÌI-lÉ't"EpoL greci concludono con «Amen». Divenu-


riferita ai cristiani è un'innovazione vera e ta una prassi ecclesiale diffusa, la parola
propria. La si ritrova con questo significato &.iJ.'l\V esprimeva il pieno assenso all'in-
solo nel Martirio di Policarpo 9,1. temo dell'assemblea liturgica. Essa è as-
Necessità urgenti - La locuzione tà.ç sente in vari e antichi testimoni (papiro
à.va.yKa.(a.ç x;pe(a.ç è classica (cfr. Filone, Colt 5 [q:'l 61 , ma la lettura è incerta], co-
Decalogo 9) e indica i bisogni di prima sus- dice Sinaitico [N], codice Alessandrino
sistenza: mangiare, bere, vestirsi. [A], codice di Efrem riscritto [C], codice
3,15 La Vulgata e alcuni codici minori Claromontano [D] e altri). Quindi è pos-

Destinati a portare frutto. Nel v. 14 emerge l'ideale di un cristianesimo visto


come pienezza, come compimento della statura umana. Si parla di una fede incar-
nata che ha come obiettivo quello di produrre frutti (cfr. Gv 15,5.8.16). Secondo
l'autore i credenti possono vivere con frutto quando, scorgendo i bisogni umani,
li sanno assumere con carità.

3,15 Il saluto finale


Il saluto della lettera è estremamente breve e impersonale a differenza di tutte
le altre lettere dell'epistolario paolino e si limita ali' essenziale. Esso è indirizzato,
59 TITO 3,15

141mparino così anche i nostri a distinguersi nelle opere buone per


le necessità urgenti, per non essere gente incapace di portare frutto.
15Ti salutano tutti coloro che sono con me. Saluta quelli che ci

amano nella fede. La grazia sia con tutti voi!

sibile spiegare la variante supponendo la «la Macedonia») o sui latori della lettera
tentazione da parte dei copisti di aggiun- ( «Artema» o «Zena» e «Apollo»). Si trat-
gere una conclusione liturgica. Dopo il ta di lezioni non originali, che puntano ad
testo della lettera, come accade anche per accrescere il bagaglio delle informazioni.
le due lettere a Timoteo, in pochi mano- Dietro a questa prassi potrebbe nascon-
scritti per lo più tardivi (VIII-IX sec.) ap- dersi la preoccupazione di conferire alla
paiono delle precisazioni: su Tito («primo lettera pseudepigrafa delle coordinate uti-
vescovo ordinato per Creta»); sul luogo di li a collocarla all'interno della cronologia
composizione della lettera («Nicopoli» o paolina.

secondo il costume dell'epistolografia classica, al destinatario non dal mittente, ma


da tutti coloro che sono con lui. Poi il destinatario riceve, a sua volta, l'incarico
di trasmettere i saluti a tutta la sua comunità. Avviene così una sorta di scambio
tra «Paolo» e «Tito» che non sono solo i capi delle comunità, ma anche i loro
rappresentati.
Sorprende l'assenza di una definizione cristologica all'interno della formula di
benedizione, che di solito è sempre presente nel corpus paolino. Questa mancanza
può forse essere spiegata con la notevole portata cristologica che assume nella
lettera a Tito il termine charis, «grazia».
LA LETTERA A TITO
NELL'ODIERNA LITURGIA

La lettera a Tito custodisce, pur nella sua brevità e nel suo


impianto fondamentalmente parenetico, temi, immagini e
locuzioni molto cari alla liturgia fin dagli albori cristiani: pensiamo
al saluto finale che sigilla le raccomandazioni di Paolo: «La grazia
del Signore sia con tutti voi!» (3,15). Ciascuno dei tre capitoli,
il primo nel suo incipit (1,1-4), il secondo in chiusura (2,11-14),
il terzo nella parte centrale (3,4-7), oltre ad avere ispirato alcuni
antichi Prefazi, fa da sfondo a varie orazioni e monizioni.
Il primo nucleo fondamentale che fa dello scritto neotesta-
mentario una interessante fonte eucologica è il nesso teologico tra
manifestazione della verità da parte del Padre (l ,3) e apparizione
della bontà di Dio (3,4) in Gesù Cristo, che secondo la sua mi-
sericordia «ci ha salvati con un'acqua che rigenera e rinnova nello
Spirito Santo» (3,5 è un chiaro riferimento al sacramento del
battesimo) .. Vi è quindi una connaturale consonanza con i misteri
celebrati nel periodo natalizio- giorni epifanici per antonomasia-,
e una profonda affinità ai percorsi tanto battesimali quanto pe-
nitenziali (il testo di 3,4-7 può essere scelto come seconda lettura
per il battesimo degli adulti fuori della vigilia di Pasqua).
Scegliendo di seguire le indicazioni dell' Ordo Lectionum
Missae possiamo trovare un sicuro orientamento anche per la
conoscenza delle preghiere presenti nel Messale e nei Rituali. La
lettera a Tito fa la sua prima comparsa nella Natività del Signore,
Ad Missam in nocte. La pericope scelta va dal v. 11 al v. 14 del c. 2
dove l'annuncio della grazia di Dio, apparsa per la salvezza di tutti
gli uomini, è il cardine di una riflessione morale cristologicamente
LA LETTERA A TITO NELL'ODIERNA LITURGIA 62

radicata. La traduzione italiana: del Prefazio di Natale l, ove si


dice: «È apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del
tuo fulgore», compie una scelta importante, decidendo di utilizzare
il verbo «apparire» (non presente nel testo latino) e creare così
un intenso controcanto a 2, 11. Lo stupore e la gratitudine per il
dono ricevuto nella celebrazione spinge la comunità cristiana a
testimoniare «nella vita l'annunzio della salvezza» (così prega
il sacerdote nell'orazione dopo la Comunione), facendo propria
quella conformazione a Cristo, figlio di Dio, che si attua nella
Liturgia Eucaristica: è questo un procedere assolutamente
affine allo scritto paolino, così pressante nell'appello a vivere
«nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della
gloria» di Cristo (2, 13). È facile intuire come questo «attendere»
sia l'atteggiamento proprio del cristiano, che la liturgia d'Avvento
aveva già ricordato nei primi tre giovedì con un'antifona alla
Comunione esplicitamente tratta da 2,12-13. Penso sia importante
notare che il brano ora esaminato contiene l'icastica affermazione
che si riferisce a Cristo che «ha dato se stesso per noi>> (2,14).
Uno dei recuperi più belli che la liturgia fa di queste parole -ben
al di là del tempo di Avvento o di Natale - , lo abbiamo nella
Preghiera eucaristica dei fanciulli Il, che partendo dal testo della
Vulgata «qui dedit semet ipsum pro nobis (''che ha dato se stesso
per noi")» contestualizza ritualmente le parole dicendo: «qui
in manus nostras dedit se ipsum ("che si consegnò nelle nostre
mani")». Proseguendo nel Lezionario di Natale, Ad Missam in
aurora, viene proclamata come seconda lettura la pericope di 3,4-
7. «Egli ci ha salvati»: la forza e portata di questa affermazione è
straordinaria, e, seppur il Messale non ne riprenda il testo che in una
antifona di introito per una Messa rituale, la celebrazione natalizia
nel suo insieme ci spinge a comprendere come il cardine della
salvezza sia l'incarnazione del Cristo. L'assemblea risponderà con
il Credo riconoscendo che «per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dal cielo», inchinandosi profondamente (così prevede il
Messale) mentre recita le parole: «e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria». Il riferimento paolino
all'effusione dello Spirito Santo (3,5) permette di collocare le
63 LA LETTERA A TITO NELL'ODIERNA LITURGIA

festività natalizie nell'alveo del mistero pasquale: «Se Cristo


non è risorto dai morti vana è la vostra fede» (lCor 15,17). Sarà
poi l'orazione sulle offerte a riprendere gli ultimi versetti della
pericope: alle parole «affinché ... diventassimo eredi della vita
eterna» (3, 7) la comunità implora il Padre di poter partecipare alla
«vita immortale» del Cristo uomo e Dio.
Dando un'occhiata al Lezionario dei Santi non poteva certo
mancare, il 26 gennaio, nella memoria dei santi vescovi Timoteo
e Tito, la possibilità di utilizzare come prima lettura i primi
cinque versetti del c. l, nei quali l'apostolo si rivolge «a Tito, mio
vero figlio nella medesima fede» (v. 4). È proprio a partire dai
primissimi versetti di questo capitolo che sono state composte due
perle dell'eucologia attuale, presenti esplicitamente nei formulari
delle Messe e Orazioni per varie necessità. Il tema sviluppato
è attinto dal v. l e riguarda la conoscenza della verità che dà
salvezza, ossia Cristo. Nel Prefazio della Messa per l'unità dei
cristiani il sacerdote prega dicendo: «In lui hai portato gli uomini
alla conoscenza della tua verità e hai formato la Chiesa, suo
mistico corpo, nell'unità di una sola fede e di un solo battesimo».
Nella Messa per l'evangelizzazione dei popoli, ancora più
esplicitamente e con ulteriore riferimento al c. 3, la prima Colletta
prega esordendo in questo modo: «0 Dio, tu vuoi che tutti gli
uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della tua verità ... ».
Il Prefazio e la Colletta appena citati meritano di essere letti e
goduti per intero: ancora una volta la prima e più preziosa fonte
per la preghiera della Chiesa è la Scrittura, vero scrigno di preziosi
tesori. Come la breve lettera a Tito.
LETTERA A FILEMONE
Introduzione, traduzione e commento

a cura di
Rosalba Manes
Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 27u. Revised Edition, edited by Barbara
Aland, Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger in
cooperation with the lnstitute for New Testament Textual Research, Miinster/Westphalia,
© 1993 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.
INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

La lettera o biglietto a Filemone si presenta come lo scritto più


breve del corpus paolino e anche del canone cristiano con un totale
di 335 parole. È, inoltre, la lettera che più di ogni altra risente di un
tono personale e confidenziale. Non toccando i grandi temi della
teologia paolina, questo breve scritto in forma epistolare non rice-
vette molta considerazione. Pur essendo presente già nel II secolo
nel corpus paulinum di Marcione, stando alla testimonianza di Ter-
tulliano, e nel Frammento MuratorP, non godeva di grande stima
presso gli antichi: Girolamo la riteneva priva di spunti edificanti,
Giovanni Crisostomo (344 o 354-407) e Teodoro di Mopsuestia
(ca. 350-428) la utilizzavano in funzione polemica. Nella Chiesa
siriaca la lettera a Filemone fu in parte omessa o rifiutata come
non paolina. Lo scritto acquistò importanza a partire dal IV secolo
a causa di una questione scottante e di estrema importanza per gli
studiosi del mondo antico, quale quella della posizione degli schiavi
cristiani e il loro rapporto con i padroni. Da allora in poi si prese
ad apprezzare anche le espressioni di· affetto e familiarità in esso
contenute. La lettera a Filemone appare nel canone dopo la lettera a
Tito, essendo disposta secondo un ordine decrescente di lunghezza
(44 stichi!) nel gruppo delle lettere private o personali, che segue
quello delle lettere indirizzate alle comunità.

1 Testo datato intorno al 200 a.C. che documenta gli scritti del NT noti all'epoca alla

Chiesa di Roma; prende il nome dallo studioso Ludovico Antonio Muratori che studiò
questo manoscritto nel 1740.
INTRODUZIONE 68

Poiché nella lettera Paolo si definisce «prigioniero di Gesù Cri-


sto» (vv. 1.9), essa è da collegarsi con Filippesi, Efesini e Co-
lossesi, tra le «lettere della prigionia». Ma il contatto più forte è
con Colossesi con la quale il biglietto a Filemone condivide nomi
come Timoteo, Epa:fra, Marco, Aristarco, Dema, Luca, Onesimo
e Archippo. Ciò che cambia è l'ordine e la caratterizzazione delle
figure. Mentre nella lettera ai Colossesi a ogni nome è collegata
una breve designazione, nella lettera a Filemone la specificazione
riguarda solo Epafra, detto «compagno di prigionia». Il contatto
tra le due lettere, inoltre, è dato dalla ricorrenza di alcuni temi co-
muni, come quello della epignosis o conoscenza (Fm 6; Col l ,9;
2,2; 3,10), della rinascita spirituale (Fm 10.16; Col2,12-14), della
nuova condizione (essere «nel Signore») che connota il rapporto
schiavo-padrone, e infine della prigionia di Paolo (Fm 1.9 .23; Col
4,3.18). Questo stretto contatto si potrebbe spiegare supponendo
che le due lettere, prima di essere separate nel canone, fossero
tenute insieme come corrispondenza di Paolo con la comunità cri-
stiana di Colossi. Anche Ef 6,5, l Tm 6,1-2 e Tt 2,9 condividono
con Colossesi e Filemone il tema del rapporto tra schiavi e padroni
alla luce dell'evento Cristo.

ASPETTI LETTERARI

La lettera contiene una richiesta indirizzata da Paolo a Filemo-


ne, per cui figura come lettera di raccomandazione e appartiene al
genere deliberativo della retorica classica. Pur essendo breve, la
missiva non manca degli elementi tipici dell'epistolografia classi-
ca e presenta un'articolazione essenziale che comprende anzitutto
il prescritto (Fm 1-3), dove possiamo individuare la superscriptio,
cioè la presentazione del mittente (v. la), l'adscriptio, ossia la
menzione del destinatario (vv. l b-2) e la salutatio, contenente i
saluti iniziali (v. 3). Nel prescritto si può individuare la presenza
di un committente (Timoteo) e di più codestinatari (Affia, Archip-
po e la comunità domestica di Filemone), elementi che rivelano
il carattere comunitario del biglietto. Il prescritto, pur ricalcando
69 INTRODUZIONE

lo schema tradizionale, rivela la sua originalità ricorrendo alle


protessi o anticipazioni: prima fra tutte è l'impiego di désmios
(prigioniero) che anticipa uno dei temi centrali della lettera, la
condizione di prigionia in cui versa Paolo, e l'impiego di alcuni
derivati di agape (amore), altro tema che attraversa la lettera.
Dopo l'esordio (vv. 4-9), che contiene i ringraziamenti (vv. 4-7),
e l'insinuatio (vv. 8-9), dove Paolo prepara la richiesta, appare
la tesi o propositio generale (v. 10) in cui l'apostolo esplicita la
sua richiesta. Poi seguono le prove (vv. 11-18) volte a garantire
l 'utilità dell'accoglienza della richiesta: l 'utilità di Onesimo per
Filemone (v. 11), l'utilità di Onesimo per Paolo (vv. 12-14), la
nuova condizione di Onesimo (vv. 15-16) e l'autogaranzia paolina
(vv. 17-18), cioè l'impegno di Paolo a pagare di propria tasca i
danni arrecati a Filemone dali' assenza di Onesimo. Seguono la
conclusione argomentativa o peroratio (vv. 19-20), che ricapitola
quanto si è cercato di dimostrare e mira a ottenere il coinvolgi-
mento emotivo dell'ascoltatore e una determinata decisione e/o
azione, e il postscritto (vv. 21-25), riconoscibile per il motivo
della "assenza-presenza" epistolare (v. 22), con cui Paolo spera
di poter raggiungere, quanto prima, la comunità di Filemone, per
i saluti dei committenti (vv. 23-24) e la benedizione conclusiva
(v. 25).
Questo biglietto è un capolavoro di strategia comunicativa: esso
fa uso di strumenti tipici della retorica classica, come l'ethos (le
doti di carattere, la condotta e la moralità dell'oratore), il pathos
(le passioni e i sentimenti da suscitare neli' ascoltatore) e la retorica
forense per un'evidente finalità persuasiva. La forza comunicativa
dello scritto viene anche dali 'uso costante dei pronomi personali,
dall'ingegnoso gioco di parole sul nome dello schiavo fuggito (vv.
l O-Il) e dalla raffinata costruzione dei pensieri.
Nella lettera sono state individuate anche formulazioni che
rispecchiano o alludono a norme legali del mondo romano: que-
sto accade, p. es., al v. 10, al v. 12 e a proposito del rapporto di
«comunione» (v. 17) tra Paolo e Onesimo, che presenterebbe i
tratti di una societas, un'associazione consensuale dove i soci
sono alla pari.
INTRODUZIONE 70

Il biglietto a Filemone presenta molte somiglianze con due let-


tere di Plinio il Giovane, vissuto sotto il regno di Traiano (98-117
d.C.), al suo amico Sabiniano, scritte una per chiedere il favore
nei confronti di uno schiavo fuggitivo e una per ringraziarlo del
perdono accordato a questi. Sia Plinio che Paolo intercedono presso
il padrone, facendo leva sulla sua bontà, si appellano ai legami che
li uniscono al padrone dello schiavo e non nascondono i disagi
provocati dalla fuga di quest'ultimo. Mentre Plinio adduce moti-
vazioni meramente umane, Paolo aggiunge la variante cristologica
che eleva le relazioni e fornisce un incentivo in più alla misericor-
dia: l'essere in Cristo, vera ragione la cui conseguenza ultima è di
trasformare uno schiavo in un «fratello amato» (v. 16).
Si è spesso discusso sulla natura della lettera che qualcuno ha
considerato privata. Il carattere pubblico di questo scritto invece si
evince dai saluti, che sono estesi a più di una persona e includono
una Chiesa domestica, e dalla presenza di termini come «collabo-
ratore», «sorella», «compagno di lotta» che rimandano a un con-
testo ecclesiale. L'appello di Paolo e il problema delle relazioni
sociali inoltre coinvolgono tutta la comunità cristiana e non solo
il singolo.
Lo scritto si presenta anche come lettera di accompagnamento
poiché Paolo rimanda Onesimo insieme con Tichico, latore della
lettera ai Colossesi (cfr. Col4,7-9).

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

Il cuore della lettera è l'accorato appello di Paolo a Filemone ad


accogliere e perdonare lo schiavo Onesimo, che era andato via di
casa, a riconoscere la sua nuova condizione di fratello nella fede,
e addirittura a rinunciare a ogni diritto su di lui, restituendogli
la libertà e permettendogli di restare vicino a Paolo. L'Apostolo
gioca sul significato del nome di Onesimo, cioè «utile», che dice
la sua identità. Ovunque Onesimo andrà, svolgerà la sua missione
di rendersi utile, sia che resti con Paolo, sia che tomi da Filemone.
La lettera non contiene dottrine etiche o teologiche, ma offre uno
71 INTRODUZIONE

spaccato sulla vicenda della prigionia di Paolo, sulla concretezza del-


la sue relazioni personali con gli amici e collaboratori e sul principio
cristologico su cui esse si basano. Essa inoltre apre una finestra sulla
questione della schiavitù nel mondo antico. Negli scritti del NT la
schiavitù non costituisce un problema, ma rientra nell'ordine sociale
costituito. Qui invece pur non essendo esplicitamente abolita, viene
decisamente rivisitata. Le prescrizioni giuridiche dell'antichità pre-
vedevano dure sanzioni per uno schiavo fuggito e ripreso. Il diritto
obbligava Paolo a restituire a Filemone la sua "proprietà". Dinanzi
a tale prescrizione Paolo poteva solo appellarsi alla sua autorità di
apostolo e alle dinamiche della carità proprie del cristianesimo: la
lettera punta al connubio tra disposizioni giuridiche e conseguenze
etiche della comunione di fede tra cristiani. Paolo non si propone
di demolire le strutture sociali esistenti predicando la liberazione
degli schiavi e attuando un programma di riforma, ma scende fino
alle radici dell'annuncio evangelico. Egli propone l'uguaglianza di
tutti gli uomini, non come frutto della legislazione umana, ma come
conseguenza necessaria della sottomissione di tutti ali 'unico Signore
Gesù Cristo. In virtù di questa comune identità l'apostolo suggerisce
il perdono, l'accoglienza e l'amore che unisce due uomini e li rende
fratelli in forza del battesimo.
La dinamica comunicativa e retorica della lettera punta a eviden-
ziare l'antitesi tra due sistemi di valori: tra il rapporto all'autorità
nel mondo civile (prigionia di Paolo, schiavitù di Onesimo, debito
di Onesimo nei confronti del suo padrone) e il rapporto ali' autorità
«in Cristo» (i diritti che Paolo può esercitare su Filemone e il suo
schiavo, gli obblighi dei due verso l'apostolo, il debito di Filemone
verso Paolo, la prigionia di Paolo a causa del Vangelo, il valore
dell'anzianità di Paolo, la generazione di Onesimo da parte di Pao-
lo), e anche tra le relazioni umane nel mondo civile (i rapporti di
parentela, il tema delle viscere, la richiesta di ospitalità rivolta da
Paolo a Filemone, un tempo limitato) e le relazioni umane «in Cristo»
(il conforto delle viscere dei santi, l 'utilità di Onesimo, la fraternità
tra Paolo, Filenrone e Onesimo, l'accoglienza dello schiavo da parte
del suo padrone, la fiducia piena dell'apostolo nella risposta di Fi-
lemone, un tempo illimitato). Mentre i rapporti nel mondo civile si
INTRODUZIONE 72

fondano sulla gerarchia ed esigono obbedienza, quelli «in Cristo» si


basano sulla fraternità e procurano comunione. Il passaggio è dalla
dominazione alla fraternità. Abbiamo quindi il registro gerarchico
(l'autorità si risolve in preghiera), quello topologico (dalla prigione
alla casa), quello anatomico (il tema delle viscere che sono confor-
tate, che generano credenti, che gioiscono). Questi registri mostrano
l'intenzionalità della lettera: l'accoglienza. Filemone è invitato ad
accogliere sia Onesimo, all'interno di valori trasformati, sia Paolo
come ospite al momento della sua liberazione.
Colpisce la presenza di una teologia degli affetti. Paolo defini-
sce Onesimo suo «figlio che ha generato in catene», che gli è caro
come il suo proprio «cuore», che gli sarebbe gradito tenere presso
di sé, per farsi curare da lui, ma che decide di rimandare, non senza
averlo raccomandato molto caldamente come «fratello carissimo».
Al di là del motivo occasionate della lettera, si percepisce in
controluce la celebrazione della novità del messaggio evangelico,
«vino nuovo» che esige, da parte di chi lo accoglie, «otri nuovi»,
cioè la trasformazione di tutte le situazioni di vita dove esso dev'es-
sere versato. Attraverso una situazione contingente, Paolo propone
a Filemone e, attraverso di lui, a tutti i credenti, il comandamento
dell'amore, da concretizzare in atteggiamenti di vera fraternità. Nel
dinamismo della fede condivisa «in Cristo» i rapporti interperso-
nali mutano e si ispirano ali' operosità dell'amore, che si manifesta
nell'accoglienza dell'altro come «fratello», un'accoglienza capace
di spezzare le catene e rimettere in libertà, anzitutto sul piano spi-
rituale prima che materiale.

DESTINATARI, AUTORE E DATAZIONE

L'autenticità della lettera, messa in questione da F.C. Baur e


dalla scuola di Tubinga che la considerava un «romanzo fittizio»
incentrato sul tema della schiavitù in età postpaolina, non è oggi
discussa a motivo della forma, dello stile e della scelta squisita-
mente paolina dei vocaboli.
Essa ha come destinatario principale Filemone che l'apostolo
73 INTRODUZIONE

chiama suo «amato» e suo «collaboratore». Nelle parole di Paolo


s'intravede un uomo facoltoso, tanto da mettere a disposizione la
sua casa all'intera comunità e da avere un «alloggio», o meglio una
«camera per ospiti» (Fm 22), di cui Paolo vorrebbe usufruire in
vista della sua scarcerazione. Gli altri destinatari della lettera sono
la sorella Affia, il «compagno di lotte» Archippo e la comunità che
si riunisce nella casa di Filemone. Poiché la lettera ai Colossesi ci
informa che Onesimo e Archippo appartengono alla Chiesa di Co-
lossi (cfr. Col4,9 .17), si può dedurre che anche Filemone, il padro-
ne dello schiavo Onesimo, appartenesse alla medesima comunità.
Paolo è in carcere e nutre il desiderio di riavere la libertà quando
scrive, ma la lettera non presenta nessuna indicazione circa il luogo
di detenzione dell'apostolo. Secondo l'opinione tradizionale Paolo
avrebbe scritto da Roma; c'è anche chi suggerisce la prigionia a Ce-
sarea come momento di redazione dello scritto. Le due ipotesi sem-
brano improbabili a causa della distanza dei due centri da Colossi, una
distanza che rende difficile immaginare come uno schiavo fuggitivo
abbia potuto percorrere indisturbato tanta strada. La distanza, inoltre,
rende improbabile la possibilità per Paolo di progettare una visita a
Colossi a breve scadenza. La lettera fu composta probabilmente a
Efeso tra il 56 e il 57 d.C. Questa ipotesi ha il vantaggio di mantene-
re Paolo e Filemone all'interno di una distanza (circa 150 km) che
spiegherebbe più facilmente il progetto di Paolo di visitare Filemone.

TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

Il testo della lettera a Filemone non appare nel papiro Chester


Beatty II (IP 46), che è il più antico manoscritto dell'epistolario pa-
olino, e nel codice Vaticano (B); si trova però negli altri codici
maiuscoli più importanti.

Elenco dei manoscritti citati nel commento


Codice Sinaitico (N), scoperto nel monastero di santa Caterina
sul Monte Sinai; risale al N secolo; la maggior parte dei suoi fogli
sono conservati alla British Library di Londra.
INTRODUZIONE 74

Codice Alessandrino (A), del V secolo; conservato alla British


Library di Londra.
Codice di Efrem riscritto (C), risalente al V secolo. Il nome
deriva dal fatto che la pergamena, che in origine conteneva tutto
l'ATe il NT, fu riutilizzata nel XII secolo per scriverei alcune opere
di Efrem siro; il codice è conservato alla Bibliothèque Nationale
di Parigi.
Codice Claromontano (D), risalente al V secolo, contiene le
lettere paoline; è conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi.
Codice di Augia (F), del IX secolo; il nome è quello della località
in cui fu copiato, il monastero dell'isola di Reichenau sul lago di
Costanza, chiamata Augia in latino; attualmente è conservato al
Trinity College di Cambridge.
Codice di Bomer (G), del IX secolo; conservato alla Sachsische
Landesbibliothek di Dresda.
Codice 323 scritto in minuscolo e risalente all'XI secolo, con-
servato alla Bibliothèque de Genève.
Codice 945, scritto in minuscolo e risalente all'XI secolo, con-
servato nel monastero del Monte Athos.

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Commenti
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TIPOt Cl> IAHMONA

AFILEMONE
FILEMONE l 78

l llauÀoç {)ÉCJ}.UO<; Xpu:;cofj 'lllCJOU KaÌ Tl}!08Eoç Oà()EÀ<pÒç


<1>1Àtl}!OV1 nf> àyalt'lT~ KaÌ CJVVEpy~ ~}!WV 2 KaÌ ~1t<pt~ Tfi

l Paolo- Lasuperscriptio, cioè l'indicazio- liari. Alcuni collegano l'espressione <<prigionie-


ne del mittente, si apre con il nome di Ifuuloç ro di Cristo GesÙ>> ai culti misterici, forme di
che compare altre due volte nella lettera (Fm religioni orientali da lungo tempo estinte, legate
9.19), una presenza ampia per uno scritto co- al culto di alcune divinità, come lside, la Ma-
sì breve che rimanda al carattere fortemente ter Magna e Mitra, diverse dagli dèi olimpici
personale di questa lettera. impassibili, in quanto soggette alla sofferenza
Prigioniero (~LOC;)- ntermine, corretto nella e alla morte. L'accesso a queste forme religiose
tradizione manoscritta con ootM.oç («servo») dai avveniva attraverso forme di iniziazione intese
codici 323 e 945 o con a:rréaroloç («apostolo») a realizzare un mutamento rituale di condizione
dalla prima mano del codice Claromontano (D), sociale. Tra questi riti era contemplata anche
appare cinque volte nell'epistolario paolino sul- una sorta di arresto preventivo, mediante il
le sedici occorrenze neotestamentarie. L' espres- quale si diveniva prigionieri della divinità e
sione <<prigioniero di Cristo (Gesù)» si trova si aveva accesso a quella specifica esperienza
ancheinEf3,1 (cfr.Ef4,1;2Tm 1,8). Solo nella religiosa. Paolo comunque ricorda con questo
lettera a Filemone Paolo si autodesigna come titolo che la sua condizione di cattività si colloca
<<prigioniero di Cristo Gesù» sin dal praescrip- nell'orizzonte del suo apostolato. Anche la sua
tum (e poi più avanti al v. 9c), rimpiazzando il prigionia per lui è missione: la conversione di
titolo più classico di «apostolo di Cristo Ge- Onesimo è testimonianza che anche le catene
sù». Questo titolo rappresenta una prolessi che sono strumenti per generare alla fede.
rimanda alla condizione di prigionia, uno dei 1imoteo (I'LIJ.C)eeoç)- Viene menzionato come
registri su cui Paolo insiste maggiormente nel- co-mittente della lettera, come accade anche
la lettera. Stando ai contatti che Paolo riesce a per l Tessalonicesi, 2 Corinzi e Filippesi. Si
mantenere in questa condizione, più che di una tratta di uno dei più stretti collaboratori di
prigionia si tratterebbe piuttosto di un regime di Paolo che lo ha accompagnato nella sua attività
semilibertà simile a quello degli arresti domici- missionaria in Macedonia ed è la persona più

La lettera, imbastita secondo gli stilemi dell'epistolografia classica, presenta


un procedere argomentativo piuttosto originale che, libero rispetto alle conven-
zioni della retorica classica, rivela modalità comunicative altamente persuasive.
La sfida della lettera è quella di persuadere un uomo non attraverso l'eloquenza,
né attraverso il linguaggio teoretico dell'alta teologia, ma ricorrendo alla sfera
degli affetti e all'ambito del commercio, alla lingua della sua provenienza socia-
le e professionale, del mondo di cui egli faceva parte (Arzt-Grabner, 277). Tale
linguaggio di tutti i giorni fornisce a Paolo il sostrato su cui costruisce la propria
argomentazione che fa leva sulla relazione: la novità di relazione con il Signore
investe i rapporti interpersonali e li qualifica (fratello, collaboratore, amico). La
lettera a Filemone si presenta pertanto come un biglietto di raccomandazione, dove
la persuasione trae linfa dal legame inscindibile tra le relazioni intraecclesiali e il
loro fondamento cristologico. I rapporti di comunione tra i credenti scaturiscono
infatti dalla condizione nuova in cui essi sono inseriti: l'essere «in Cristo» (vv.
8.20.23) o «nel Signore» (vv. 16.20).
79 FILEMONE2

l Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timoteo


all'amato e nostro collaboratore Filemone, 2alla sorellaAffia,

frequentemente citata nelle lettere paoline (cfr. Collaboratore - La qualifica di auvepy6c;


Rm 16,21; lCor 4,17; 16,10; 2Cor 1,1.19; Fil è data a quanti hanno partecipato in modo
1,1; 2,19; Col l, l; l Ts 1,1; 3,2.6; 2Ts 1,1; lTm stabile o temporaneo con Paolo nell'attività
1,2.18; 6,20; 2Tm 1,2; cfr. anche Eb 13,23). di propagazione del Vangelo e nella cura pa-
Negli Atti degli Apostoli è citato sei volte, sem- storale delle comunità ecclesiali.
pre accanto a Paolo: At 16,1; 17,14.15; 18,5; Filemone - Il nome Filemone, in un senso
19,22; 20,4. Paolo lo chiama a volte «fratello», molto allusivo, significa «desiderato», «ama-
a volte «figlio», a volte «collaboratore» o «col- to», «baciato». Tra i Frigi era nota la leggen-
laboratore di Dio». da di Filemone e Bauci. Storie e racconti di
All'amato (t4ì aya'lfllt4ì) - L'aggettivo ver- personaggi noti che hanno portato tale nome
bale aya'lfllt6c;, assieme al termine ayu'lfll sono presenti in molti autori. Filemone ha ri-
(«amore») che compare tre volte nella lettera cevuto la lettera senz'altro come signore del-
e che rappresenta il motivo principale del- la famiglia (olK6c;); resta però da accertare in
la missiva (Arzt-Grabner, 190), esprime la quale rapporto egli fosse con gli altri membri
cordialità del rapporto che intercorre tra Pao- della sua casa, se la sua comunità domestica
lo e il suo collaboratore. Paolo usa altrove que- fosse a conoscenza dei contenuti della lettera,
sto vocabolo per qualificare i destinatari (cfr. se fosse un semplice destinatario dei saluti di
Rm 1,7) o per rivolgersi alla comunità(cfr. l Cor Paolo e se fosse a conoscenza della prece-
10,14; 15,58; 2Cor 7,1; 12,19; Fil 2,12; 4,1). dente visita di Paolo stesso. lndiscutibile è il
Qui però questa designazione assume i tratti di ruolo che gioca l'intera comunità nella lettera.
una prolessi, perché nella lettera rappresenta il 2 Affia ('Ancjll.u)- Poiché il nome di Affia se-
secondo registro sul quale Paolo fonda la sua gue quello di Filemone, si pensa che si tratti
strategia di persuasione nei confronti di Filemo- di sua moglie. Il nome è molto documentato
ne. Questo particolare rilievo fa sì che l'agape e si trova anche in un'iscrizione sepolcrale
appaia come la norma operativa cristiana per una certa Affia di Colossi.

PROLOGO. PAOLO, IL PRIGIONIERO DI GESÙ CRISTO (1-3)


Il prescritto (cioè l'indirizzo iniziale presente in ogni lettera antica) consta di
una sola ampia frase senza verbi e segue il protocollo classico dell'intestazione
epistolare. Infatti, come ogni prescritto paolino, i vv. 1-3 contengono la superscrip-
tio, cioè la presentazione del mittente (v. la); la adscriptio, cioè il riferimento al
destinatario (v. l b-2) e la salutatio che racchiude i saluti iniziali (v. 3). Anche se
il praescriptum ricalca uno schema ben preciso, appaiono tuttavia delle varianti
che conferiscono a un biglietto indirizzato a un singolo un tratto marcatamente
comunitario: la presenza di un co-mittente, Timoteo, e di codestinatari, Affi.a,
Archippo e la comunità domestica di Filemone. L'originalità di questo prescritto
rispetto ai canoni protocollari classici è data anche dalla presenza di due protessi
(anticipazioni) significative: il tema della prigionia e il legame di amore che unisce
i credenti in Cristo che attraversano l'intera lettera.
Qualificandosi come il «prigioniero di Cristo Gesù», Paolo allude allo stato
di incarcerazione in cui versa, ma parla soprattutto della sua prigionia come della
FILEMONE3 80

à:l5eÀcpft Kaì 'Apxirrrr(f> r<f> oucrrpanw-rn ~}JWV Kaì rft Kar' oÌK6v
OOU ÈKKÀflOl~, 3 xapu; Ù}llV KO:Ì €Ìp~Vf1 Ò:ltÒ 8eOU rrarpÒç ~}JWV KO:Ì
Kup{ou 'lf1crou Xptcrrou.
4 Eùxaptcrrw r<f> 8e<f> }JOU rravrore }lVelO:V crou 1t010U}l€VO<;

Archippo ('Ap:x.( 1T1T<tJ)- Menzionato anche in la difesa del Vangelo. La metafora militare
Col4,16, è ritenuto da Teodoro di Mopsue- evocherebbe le difficoltà incontrate da Paolo
stia il figlio di Filemone; da Giovanni Criso- e la presenza di avversari del Vangelo.
stomo piuttosto un suo amico. Questa incer- Alla comunità che si raduna nella tua casa
tezza mostra che sin dali 'antichità i rapporti ('tfi KIX't'oiK6v aou ÈKKÀ.lJO~)- L'espressione
tra Filemone e Archippo non erano noti. fa riferimento alla realtà delle «Chiese dome-
Compagno di lotta (aoo'tp1Xnt.ln]~;)- Il voca- stiche» attestate negli Atti degli Apostoli, ma
bolo non è un termine tecnico, ma è impiega- anche altrove nell'epistolario paolino (come
to in senso figurato e indica il legame di stret- la «casa» di Aquila e Priscilla in Rm 16,5 e
ta collaborazione che intercorre traArchippo quella di Ninfa a Laodicea in Col4,15). Si
e Paolo, come nel caso di Epafrodito in Fil trattava di una realtà che somigliava per molti
2,25. Desunto dal lessico militare, il termine versi al collegiumfamiliae e al collegium quod
aggiunge una sfumatura di significato al più est in domo presenti nel mondo romano. Que-
classico auVEpy6ç («collaboratore»), sottoli- sti collegia riunivano i membri di unafamilia
neando il coinvolgimento di Archippo nella (per lo più schiavi e liberti di nobili o di ricchi)
missione di Paolo, e soprattutto la condivisio- per motivi funerari, ma anche assistenziali e
ne dell'aspetto più ostico di questa missione: religiosi. Come i collegia, anche le comunità

sorte riservata a colui che è inviato per annunciare il Vangelo di Cristo; infatti, al
v. 13 egli menziona le «catene del Vangelo». Il titolo con cui Paolo si autopresenta
anticipa un tema ricorrente nella lettera. L'apostolo, infatti, in uno scritto così
sintetico, allude ben cinque volte alle sue catene (vv. 1.9.10.13.23) per mostrare
che le sue sofferenze sono a servizio del Vangelo, e sono un'esperienza concreta
e significativa in cui si manifesta la sua attività apostolica. Per Paolo le catene
prima ancora di essere materiali sono quelle dell'amore con il quale il Cristo lo
ha conquistato; perciò sono simbolo della sua unione intima con Lui.
Il prigioniero di Cristo interpella con il suo biglietto diversi fratelli della Chie-
Sil di Colossi: primo fra tutti Filemone, che è detto «amato» e «collaboratore»,
espressione che non va intesa in senso esclusivamente formale, ma che sottolinea
piuttosto un legame di profonda amicizia. Tuttavia non sappiamo come i due si
fossero conosciuti. Seguono poi Affia, della quale non viene fornita alcuna infor-
mazione, e Archippo, chiamato «compagno di lotta».
Il prescritto presenta un clima irenico e, al tempo stesso, drammatico, mo-
strando da un lato l'effetto negativo dell'annuncio del Vangelo, che è l'esperienza
dolorosa delle catene, del carcere e delle lotte; dall'altro, l'effetto positivo, cioè
l'esperienza salutare dell'istaurarsi di vincoli di amicizia e di comunione.
81 FILEMONE4

ad Archippo nostro compagno di lotta e alla comunità che si


raduna nella tua casa: 3grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e
dal Signore Gesù Cristo.
4Rendo grazie al mio Dio nel ricordarmi sempre di te nelle

cristiane erano gruppi a dimensione umana, personalizzazione e dice sintonia affettiva


dov'era possibile un rapporto personale tra i tra Paolo e Dio, una sintonia che l'Apostolo
membri, dove l'appartenenza era su base vo- vuoi trasmettere anche al suo destinatario
lontaria e le riunioni erano collegate a rituali di preferenziale.
tipo cultuale e a pasti comunitari. Una Chiesa Sempre- L'avverbio mivtote, molto diffu-
domestica, però, a differenza del collegium, so nei formulari paolini, grammaticalmente
non comprendeva solo i componenti di una può riferirsi sia al ringraziamento di Paolo,
famiglia, la sua composizione sociale era me- sia al ricordo che egli nutre nei confronti di
no omogenea ed era priva di quella gerarchia Filemone. Il senso tuttavia non cambia: il
delle funzioni che era propria dell'organizza- continuo ricordo di Filemone rende conti-
zione istituzionale dei collegio. nuo anche il ringraziamento e viceversa. Il
4 Rendo grazie (EU)(1XpLatt3) - Il verbo ricordo costante del destinatario nel pen-
EU)(IXpLaté(J), poco presente nella Settanta, siero del mittente, che permette di sentirsi
rimanda alla dimensione della lode e del uniti al di là della distanza esteriore, è un
ringraziamento personale. motivo ricorrente dello stile epistolare el-
Al mio Dio (tl\ì EIEI\ì j.lou)- Il pronome j.lOU lenistico, e più precisamente delle lettere
(alla lettera, «di me») esprime una forte di amicizia.

La salutatio (formula di saluto) della lettera al v. 3 è molto essenziale; presenta


una simmetria tra i doni da una parte («grazia e pace») e i donatori dali' altra («Dio
nostro Padre e Signore Gesù Cristo»).

ESORDIO. FILEMONE, IL RITRATTO DEL CRISTIANO AUTENTICO (4-9)


L'esordio appare sproporzionato rispetto all'economia del biglietto: sei versetti
su un totale di venticinque. La sua ampiezza rivela la sua importanza all'interno
della strategia retorica della lettera: un esordio infatti ha il compito di suscitare
interesse e disponibilità nei destinatari, mediante l 'uso della captatio benevolen-
tiae che favorisce una comunicazione positiva tra mittente e destinatari. Introdotto
dalla formula di apertura tipica dei ringraziamenti paolini che si esprime attraver-
so il verbo «ringraziare» (eucharistéo), l'esordio non appare improvvisato, ma
ben costruito sia per lo stile che per i contenuti e si chiude con una formula che
contiene il verbo «chiedere» (parakaléif), presente anche al v. l O dove introduce
la pericope successiva.
Il proemio contìene un ringraziamento a Dio da parte di Paolo (vv. 4-7) e l'in-
sinuatio (vv. 8-9), che prepara il terreno allaperoratio dei vv. 19-20 (cfr. Introdu-
zione, pp. 64-65). Come detto, l'apostolo qui fa ricorso alla captatio benevolentiae,
FILEMONE5 82

È1tÌ TWV 1tpOO'EUXWV l.l.OU, 5 àKOUWV O'OU TJÌV àyaltTJV KaÌ TJÌV
ltlO'TlV, ~v EXEtç npòç TÒV KUp10V 'ITJO'OUV KaÌ Eiç navTaç Toùç
ay{ouç, 6 onwç ~ K01VWV{a Tfjç ltlO'TEWç O'OU ÈVEpy'JÌç yÉVTJTa1
è:v è:myvwaEtnavTòç àya8ou TOU è:v ~1.1iv Eiç XptaT6v.
7 xapà:v yà:p noÀÀJÌv Éaxov Kaì napaKÀTJatv è:nì Tft àyann aou,

0"[1 Tà: O'ltÀayxva TWV ay{wv àvanÉnauTa1 Òtà: O'OU, àOEÀ<pÉ.

5 Del tuo amore e della fede che hai per si (nel codice Alessandrino [A], codice di
il Signore Gesù e per tutti i credenti ('r~v Efrem riscritto [C] e la prima mano del codi-
&ya'ITTJV 1<:1xt t~v 'IT(anv ~v exELc; 11pòc; tòv ce Claromontano [D]) a correggerla con e le;,
KupLov 'IT]oouv Ka:Ì. elc; 11avta:c; toùc; &.y(ouc;) che ritroviamo· nell'espressione successiva
- La costruzione della frase è insolita. Il («verso tutti i credenti»). Il mutamento delle
secondo membro della triade cristiana ori- preposizioni è probabilmente una variazione
ginaria - fede (1!Lonc;), speranza (ÉÀ'ITLç), stilistica deliberata, per dare maggiore forza
amore (&ya'ITTJ)- manca e il terzo, l'amore, all'enunciato.
è finito al primo posto. Inoltre, abbiamo Per tutti i credenti (e le; 11avta:c; toùc; &.y(ouc;)
una disposizione in ordine chiastico dei -L'appellativo ayLOL (alla lettera, «Santi»)
singoli elementi: alla 'ITLonc; («fede») di designa i cristiani richiamando lo statuto del
Filemone corrisponde tòv KUpLov 'IT]oouv popolo di Dio nell'AT (cfr. Es 19,5-6; Lv
(«Signore Gesù»), specificando il rapporto 19,2). L'aggettivo 11avnc; (<<tutti») conferisce
del credente con Cristo; all'&ya'ITTJ («amo- alla frase uno stile pleroforico, che esprime
re») corrisponde l'espressione 11avta:c; toùc; cioè pienezza e che tende ad amplificare il
&.y (ouc; («tutti i credenti»), specificando il bene di cui è capace Filemone.
rapporto del credente con i fratelli. 6 Di tutto il bene, che si fa tra noi - Alla
Per il Signore Gesù (11pÒc; tòv KUpLov difficile espressione 11a:vtòc; &ya:8ou tou ev
'IT]ooiìv) - L'uso della preposizione 11p6c; ~j.L'ì.v la tradizione manoscritta ha apportato
(«verso») per esprimere la fede <<Jlel Signo- numerosi cambiamenti: il codice di Augia
re Gesù» è raro nell'epistolario paolino (cfr. (F) e il codice di Bomer (G) aggiungono
l Ts l ,8). Si comprende così nella tradizione Epyou dopo 'ITIXVt6ç («di ogni Opera buona
manoscritta la tendenza di alcuni amanuen- che si compie tra noi»), in accordo con Col

un mezzo stilistico che, attraverso l'impiego della preghiera di ringraziamento e


l'invocazione, ha la funzione di creare un'atmosfera di empatia, tale da favorire
l'ascolto e suscitare l'adesione dei destinatari. Quanto al linguaggio, Paolo si ispira
alla tradizione biblica del Salterio. Il ringraziamento e la preghiera sono centrati su
Filemone, che viene lodato per la sua fede in Cristo e il suo amore per i credenti.
La preghiera appare uno strumento importante per accorciare la distanza tra il
mittente e il destinatario: il ricordo costante nella preghiera permette a Paolo di
essere vicino alle comunità e ai loro singoli membri. Dal punto di vista stilistico,
l'esordio è caratterizzato dalla presenza dell'iperbole (figura stilistica che consiste
nel sovraccaricare un significato per accentuare l'attendibilità di un'affermazione),
che si riscontra nell'impiego dell'aggettivo pas (<<tutto») e dell'avverbio pantote
(«sempre») e che si pone sempre a servizio della captatio benevolentiae.
Il motivo della gioia e della consolazione di Paolo. Il ritratto di Filemone è
83 FILEMONE7

mie preghiere, 5perché sento parlare del tuo amore e della fede
che hai per il Signore Gesù e per tutti i credenti. 6La
comunione della tua fede possa divenire efficace nella
conoscenza di tutto il bene, che si fa tra noi per Cristo. 7Ho
tratto grande gioia e consolazione dal tuo amore, fratello,
poiché il cuore dei credenti è stato confortato grazie a te.

1,10; il codice Alessandrino (A) e il codice di della fede in Cristo Gesù e dell'accoglienza
Efrem riscritto (C) omettono l'articolo toil; del comandamento dell'amore. L'espressio-
molti codici riportano il pronome personale ne tù anM.yxva twv ày(wv civanÉncxutcxL,
di seconda plurale Òf.lì.v («tra voi») invece che significa alla lettera «le viscere dei san-
che ti!J,i.v («tra noi»), per mantenere la forma ti hanno trovato riposo», tende a spiegare,
allocutiva. Quanto al tema della conoscen- attraverso un'immagine incisiva, l'effetto
za del bene, esso ricorre ampiamente nella consolante e pacificante che l'atteggia-
letteratura giudaica e lo troviamo anche a mento squisitamente cristiano di Filemone,
Qumran (cfr. Regola della Comunità [lQS] improntato alla fede e all'amore, ha sortito
1,2 e 4,26). negli altri membri della comunità. Il verbo
7 //cuore dei credenti è stato confortato (tÙ civancxt!w («riposare») può indicare il riposo
011MYJ(VIX tWV ày(wv cXVIX11É111XIl't1XL)- Il so- o rilassamento fisico o spirituale (cfr. Mt
stantivo anÀAlYJ(va, da noi reso con «cuore», 11 ,28-29), oppure la tranquillità e la pace
indica letteralmente le «viscere». Si tratta di interiore, frutto della gioia e della consola-
una metafora squisitamente biblica impie- zione (cfr. lCor 16,18; 2Cor 7,13; Fm 20).
gata per parlare del totale coinvolgimento Scegliamo di tradurre: «il cuore dei credenti
dell'uomo nella dinamica della simpatia e è stato confortato» invece di: «i santi sono
dell'amore (cfr. 2Cor 6,12; 7,15; Fil 1,8; stati profondamente confortati», come fa la
2,1). Nella lettera a Filemone appare tre versione CEI del 2008, per mostrare la con-
volte (vv. 7.12.20) e rimarca l'aspetto affet- nessione del vocabolo anM.yxvcx con il caso
tivo della comunicazione epistolare nonché di Onesimo (cfr. v. 12). Ci sembra, infatti,
il legame profondamente autentico e fami- che il suo uso nell'esordio anticipi il tema
liare, che si instaura tra i credenti in virtù centrale della lettera.

tratteggiato con cura e lascia emergere una propensione al bene che punta alla
completezza della maturità cristiana: l'amore e la fede di Filemone si estendono
fino ad abbracciare la dimensione verticale («per il Signore Gesù») e quella oriz-
zontale, relativa al rapporto con i fratelli della comunità («per tutti i credenti»).
La proposizione del v. 6 introduce un cambiamento del tono della preghiera, che
da ringraziamento si fa supplica, ed esplicita il contenuto della stessa.
Al v. 7, dopo aver parlato del comportamento di Filemone in modo generico,
come si potrebbe parlare di ogni cristiano autentico, Paolo entra nello specifico
e fa riferimento all'aiuto che questi ha dato alla comunità e che ha prodotto in
lui «grande gioia e consolazione». Filemone con la sua attitudine ha confortato il
cuore dei credenti. L'autenticità della sua testimonianza è motivo di rivitalizza-
zione della carità fraterna e di nuovo vigore spirituale all'interno della comunità
ecclesiale. Questa fede, essendosi originata in un ambiente dove si opera il bene,
FILEMONEH 84

8 ~tò ltoÀÀ~v Èv Xptor<f) mxppfJoiav €xwv ÈmraooEtv oot


rò à:vijKov 9 lhà r~v à:ya7tfJV }liiÀÀov 7tapaKaÀw, rotouroç
WV wç llauÀoç 1tpEO~Ut'l")ç VUVÌ ÒÈ: KaÌ ÒÉO}ltOç Xptorou
'll"JOOU'

7tapaKaÀW OE 1tEpÌ t'OU È}JOU t'ÉKVOU, OV ÈyÉvvl")oa Èv roiç


10

ÒEO}lOiç, 'OV~O'l}JOV,

8 La franchezza- Il termine mxppTJOLOC indica pratiche. In Fm 9a, invece, si presenta in


la libertà di dire tutto. Negli autori politici forma assoluta e riappare con il pronome
greci designa la libertà di parola del citta- personale aE in Fm IO con il significato di
dino nella democrazia attica. In Paolo dice «chiedere qualcosa a qualcuno».
il ricorso, pieno di fiducia, all'autenticità, Vecchio (npEaPutT]c;) - Il termine con il
all'autorità e alla credibilità del suo mini- quale Paolo si qualifica in questo versetto
stero apostolico. è ben attestato nella tradizione manoscritta
Di ordinarti (ÉmtuaaELv aoL)- Il verbo e non richiede congetture o emendamen-
Ém tuaa(J) («comandare») è un termine tec- ti, ma presenta una difficoltà nella tradu-
nico per indicare il diritto apostolico di im- zione a motiyo di una duplice possibilità
partire istruzioni. interpretativa. Potrebbe riferirsi all'età
9 Preferisco chiedere ('rrocp1XKoc.M3)- Il verbo dell'apostolo e significare «anziano»
di solito introduce esortazioni o istruzioni (persona di età compresa tra i SO e i 60

non può non essere dinamica, fattiva, cioè pronta a tradursi in fatti. In tal modo
Paolo impiega la gratitudine e la gioia per puntare alla captatio benevolentiae.
Dall'ordine alla richiesta. Paolo deve persuadere, ma vuole anche che la deci-
sione di Filemone nasca spontaneamente e non sappia di costrizione. Non si appella
alla sua autorità apostolica, di cui mostra di essere ben consapevole, ma fa leva sul
legame di amicizia e sul vincolo che si è consolidato attraverso la collaborazione
di Filemone al suo ministero. Con una frase participiale («così qual io, Paolo, sono:
vecchio e ora anche prigioniero di Cristo Gesù», v. 9) richiama l'attenzione sulla
sua persona, impiegando una strategia retorica per sortire l'effetto sperato nel suo
interlocutore. Ciò che spinge Paolo a formulare la sua richiesta è la parresia, la
franchezza che appartiene agli apostoli dopo l'effusione dello Spirito e li spinge a
non temere nessun ostacolo che si oppone alloro annuncio. La piena franchezza
di Paolo viene dal suo ruolo di pastore che rende normativa ogni sua disposizione.
Tuttavia egli decide di relegare sullo sfondo tutto ciò che è ufficiale per dare spazio
solo alla legge dell'amore insegnata dal Signore Gesù, che supera ogni altra legge
umana. È a questa legge che Filemone anzitutto deve sottomettersi.

LA TESI. L'INTERCESSIONE PER FILEMONE (lO)


Il v. l Osembra una ripetizione di quanto detto ai vv. 8-9; in realtà rappresenta
la tesi generale della lettera, una tesi non specifica, incoativa: Paolo supplica Fi-
85 FILEMONE 10

8Per questo, pur avendo in Cristo tutta la franchezza di


ordinarti ciò che andrebbe fatto, 9preferisco chiedere in nome
dell'amore, così qual io, Paolo, sono: vecchio e ora anche
prigioniero di Cristo Gesù;

ti prego dunque per mio figlio, che ho generato in catene,


10

Onesimo,

anni) ed essere impiegato per far leva sui ad arrestare la sua missione, contrasta con
sentimenti di Filemone; oppure potrebbe la forza di un ministero che trascendendo
designare una funzione: il ruolo di «anzia- i limiti fisici presenta la fecondità come
no inviato». Optiamo per la prima inter- sua costante. L'espressione con cui Paolo
pretazione con cui Paolo esprime il pathos presenta Onesimo («figlio mio»), riceve
retorico. In questo caso vuvlliè Ka.( («e ora la sua chiarificazione dalla proposizione
anche») non avrebbe funzione avversativa, relativa dove, con un linguaggio traslato,
ma rafforzativa-causale. le «catene» (c'ieoi.J.olc;) richiamano non so-
lO- Ti prego dunque per mio figlio, che ho lo l'esperienza della prigionia, ma anche
generato in catene (na.pa.Ka.À.W oe nepl 'tOiì le doglie del parto e alludono al proces-
Èi.J.OU 'tÉKVOU OV ÉyÉVVTJOa. ÉV 'tOLc; liEOIJ.OLc;) so di generazione spirituale espresso dal
-La tesi presenta il paradosso della condi- verbo yevvac.> (cfr. 1Cor 4,15; Gal 4,19;
zione di Paolo: la forza delle catene, volte 1Ts 2,7-8).

lemone per Onesimo, ma non sappiamo ancora per cosa di preciso. La presenza
di questa richiesta fa del biglietto a Filemone una «lettera di raccomandazione»,
tipica del genere deliberativo della retorica classica.
La paternità spirituale. Per parlare della relazione con coloro che hanno ricevuto
da lui l'annuncio del Vangelo, Paolo predilige l'immagine paterna o materna. Sceglie
quindi come unità di misura del suo ministero il rapporto antropologico che fonda
l'identità e la crescita di ciascuno, quello tra genitori e figli (cfr. lTs 2,7; Gal4,19),
e parla della realtà della sua paternità. Paolo, infatti, nelle sue lettere, rivendica di
essere non solo fondatore di comunità o maestro dei credenti, ma anche <<padre» nel
senso più pregante del termine. Tale realtà, che si colloca su un piano non biologico
ma spirituale, non è tanto conseguenza di un particolare incarico, quanto piuttosto
di una vita di unione feconda con Cristo. Nella prospettiva paolina come un uomo e
una donna unendosi generano una nuova vita, così la creatura che si unisce a Cristo,
scegliendolo al di sopra di tutto, genera figli alla vita di fede. Ai Corinzi Paolo dice
infatti: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti
padri; io invece vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo» (lCor 4,15).
Nella prima lettera ai Corinzi lo strumento di questa nascita e figliolanza spirituale è
«il Vangelo», mentre nella lettera a Filemone sono «le catene». I due aspetti in realtà
coincidono, perché le catene di cui parla Paolo sono le catene che porta a causa del
Vangelo (v. 13). È l'annuncio del Vangelo che apre questa via di fecondità spirituale.
FILEMONE Il 86

11 vuvì OÈ [KaÌ] O'OÌ KaÌ È:}JOÌ EUXPTJO't'OV,


t'OV ltOt'É 0'01 axpTJO't'OV
12 ov àvÉnEJ.l\jJa oo1, aùr6v, rour' eonv rà È:J.là onÀayxva·

11 Utile... inutile (aXPt]mOV. . . ElJxp110"tOV) - era iix_p'I]O"toc; cioè non cristiano (dove l'alfa
Per fornire Wl primo motivo di credibilità alla avrebbe valore privativo), e l'altro invece la
sua tesi, Paolo ricorre a Wl 'isolessia (ripresa sua condizione di cristiano qualificata come
della stessa parola in Wl ambito grammatica- eiJxpTjiJ"toç, cioè «buon cristiano». Il gioco fone-
le differente), Wl gioco di parole, ispirato dal tico /ixprptoc;leiJxprp,;oc; (achrist6sleuchrist6s),
nome di Onesimo, che tradotto letteralmente, che appare anche in Wl testo molto noto nella
significa «i 'utile». Con lUla sottile ironia Pao- Chiesa primitiva, il Pastore di Erma, plUlta a
lo gioca tra gli aggettivi /ixp110"toc; «inutile» e dimostrare che la nuova utilità di Onesimo,
EiJXPt]moc; «utile» per sottolineare l'utilità di maggiore di quella che aveva prima della fuga,
Onesimo per Filemone. Poiché i due aggettivi dipende dal suo essere «in Cristo», cioè dalla
richiamano per assonanza il nome «Cristo» sua nuova condizione di battezzato.
(XPT]IJ"téc; veniva pronlUlciato christ6s per ita- Un tempo ... ora (no"tÉ ... vuv()- Questa
cismo già nel I secolo d.C.) potrebbero anche contrapposizione è un motivo della predi-
essere stati impiegati per indicare l'Wlo il pe- cazione e dell'insegnamento proto-cristiano,
riodo prima della conversione, in cui Onesimo che segue lo schema dialettico della parenesi

Chi annuncia il Vangelo, attraverso il seme della Parola, ricrea i cuori e permette
l'istaurarsi di rapporti che vanno oltre i vincoli di sangue, per formare quella realtà
di grazia che è la famiglia spirituale.

RICHIESTA A FILEMONE PER ONESIMO E RISPETTIVE PROVE.


LA FRANCHEZZA DI PAOLO E IL VALORE DELL'AMICIZIA (11-18)
Dopo le espressioni permeate d'affetto, come «amato», «fratello» e i compli-
menti dei vv. 5-7, Paolo prepara la richiesta ricorrendo ad alcune prove che ne
possano fornire la ragionevolezza. Se ne possono identificare essenzialmente quat-
tro: l'utilità di Onesimo per Filemone al v. Il, l'utilità di Onesimo per l'apostolo
ai vv. 12-14, la condizione nuova in cui è venuto a trovarsi Onesimo ai vv. 15-16
e l' autogaranzia paolina ai vv. 17-18. Le prove sono basate sul pathos, puntano
cioè ad evocare nel destinatario sentimenti ed effetti sperati. È il momento che
nel discorso deliberativo prende il nome di probatio.
L'intercessione di Paolo a favore di Onesimo è preceduta da prove imbastite
mediante ùna tecnica comunicativa che punta a suscitare l'effetto del ritardo,
perché sembra che l'apostolo non voglia arrivare al punto: vi è il ricorso alla di-
plomazia a motivo della delicatezza dell'argomento. L'impiego di questa tecnica
serve il progetto di Paolo: egli non vuole presentare la sua richiesta, senza aver
prima presentato gli argomenti che aiutino il destinatario a mostrarsi ben disposto.
Inoltre, questa tecnica ci rivela che egli dà la priorità non tanto ai problemi da
risolvere, quanto al modo con cui trattarli. Paolo, infatti, ritiene meno importante
dire a Filemone quale decisione concreta prendere in rapporto al suo schiavo, che
modificare la visione che egli ha di Onesimo. Paolo ritarda la richiesta per aiutare
il suo destinatario a staccarsi da quello che nelle situazioni è contingente e valutare
87 FILEMONE 12

quello che un tempo ti fu inutile, ma ora è


11

utile a te e a me. 12Te lo rinvio, lui, che è il mio cuore.

battesimale paolina (cfr. Rm 6,21-22; Gal («che è il mio cuore»), importante a chiarire la
1,23; Coll,21-22; Tt 3,3-4). natura della relazione che lo unisce a Onesimo.
12 - Questo versetto non è documentato Te lo rinvio - Il verbo CÌVÉ1!Ef1ljla. è un aoristo
uniformemente nei manoscritti. Alcuni co- epistolare, cui si ricorre nelle lettere al posto del
dici (come il codice di Efrem riscritto [C] presente quando il mittente si colloca nel tempo
e il codice Claromontano [D]) aggiungono in cui lo scritto sarà letto dal destinatario.
npooÀajXliÌ (<<aecoglilo») alla fine della ftase, per Il mio cuore ('tà. Èl-là. anA.clnva.) - Que-
inserire già qui il contenuto della richiesta che ap- sta espressione, che in alcuni testi come
pare al v. 17. Scegliamo tuttavia la lezione della 4 Maccabei 14,13 sta per <<figli», evoca una
prima mano del codice Sinaitico (l't) e del codice relazione affettiva profonda e vitale che raf-
Alessandrino (A) perché ci sembra che Paolo forza quanto detto al v. l Ocon nept TOiì Èl-loiì
voglia raffoizare il relativo che apre la frase con TÉKvou, <<per mio figlio». Onesimo non solo è
il pronome dimostrativo a.ùt6v per aggiungervi stato generato da Paolo, ma è divenuto parte
poi, come una formula di identificazione, un della sua persona, a simboleggiare l'apice
nuovo sintagma: 'tOilr' EatLV TÌx ÉlJÌt 011À4yxva. della relazione padre/figlio.

gli aspetti fondamentali e le relazioni importanti, senza le quali i problemi e le


soluzioni perderebbero la loro pertinenza.
Nell'esposizione delle prove, per preparare la richiesta, Paolo gioca molto con
i pronomi personali sottolineando il rapporto io-tu, che assume poi i tratti del rap-
porto creditore-debitore, attraverso un gioco di rimbalzo. Tutta la preparazione
avviene giocando sul piano della relazione. Paolo fa leva sulla particolarità del
rapporto con Filemone, attraverso riferimenti a ricordi condivisi e a esperienze
comuni, instaurando una comunicazione allusiva, una sorta di linguaggio privato
che esprime una connivenza. Inoltre, rimarcare il rapporto io-tu si pone al servizio
della strategia persuasiva che Paolo adotta per rendere Filemone ben disposto nei
confronti del suo schiavo. L'enfasi intenzionale sulla dinamica di rimbalzo tra l'io e
il tu punta a rafforzare il vincolo di conoscenza e amicizia con Filemone, facendogli
prendere man mano coscienza della sua responsabilità. La lettera non è una semplice
richiesta. Il suo stile rimanda all'intercessione, mentre il contenuto è obbligante. Il
fatto che Paolo non sia più esplicito non è legato solo alla convenienza di stile. Se
la prima parte ha a che vedere con l'obbedienza di Filemone a Paolo, la seconda
ha la funzione obbligante. Paolo fa capire a Filemone che egli desidera significare
più di quanto detto esplicitamente. La lettera non è quindi un programma di azione
sociale o un manifesto rivoluzionario. Le azioni e le parole di Paolo a proposito del
«caso Onesimo» sono un segno, un atto pubblico ~;he punta a regolare la situazione.
La richiesta dell'apostolo veicola pertanto uno stile che non si pone come
facoltativo ma normativo: i rapporti personali che sussistono tra Filemone e Paolo
devono essere estesi anche a Onesimo. Il continuo gioco io-tu sortisce l'effetto di
rinsaldare il legame che li unisce: legame tra fratelli, tra padre e figlio, tra maestro
e discepolo. In virtù di questo legame, non sarà difficile per Filemone comprendere
FILEMONE 13 88

13OV Éyw É~OU.ÀOJ.lllV 1tpÒ<; ÉJ.laU'tÒV Ka'tÉXElV, iva ÙnÈ:p


O'OU J.101 ÒlaKOVft ÉV 't'Ol<; ÒEO'}lOl<; 'tOU EÙayyE.ÀtOU,

13 Avrei voluto - La forma verbale tecnico impiegato per parlare del carattere
É~ouÀ.OI!TJV esprime un desiderio oggetti- sacrale del diritto d'asilo, per il quale la divi-
vo alla cui realizzazione però si rinuncia. nità sequestra chi è entrato in un luogo sacro.
Trattener/o - Il verbo KIXtÉXW è un termine Nelle catene (che porto) per il Vangelo (Év

anche il "non detto" della richiesta di Paolo, sì da poterlo attuare con successo.
Impiegando il canale comunicativo io-tu, Paolo fa leva sul pathos che nel biglietto
a Filemone tocca il suo apice: dopo la richiesta di Paolo, Filemone non potrà non
ricevere Onesimo come fratello.
Per toccare il cuore di Filemone, Paolo attinge alle sorprendenti risorse del
linguaggio e traccia il nuovo profilo spirituale del suo «figlio» al v. Il, a partire
dall'etimologia di Onesimo che vuoi dire «utile», <<Vantaggioso». Egli sviluppa il
contrasto tra il passato di Onesimo e la sua condizione attuale giocando sull'asso-
nanza fonetica tra gli aggettivi «inutile» (achrestos) e «utile» (éuchrestos; cfr. nota
al v. Il). Attraverso il gioco linguistico o anfibologia, Onesimo viene presentato
come qualcuno che un tempo era «inutile» perché non conosceva Cristo, ma dopo
la sua trasformazione egli è divenuto «utile» grazie alla presenza di Cristo nella
sua vita, grazie al suo servizio nella comunità, in vista di una collaborazione «nelle
catene del Vangelo» di Paolo (cfr. nota al v. 13) e del ritorno a casa di Filemone.
11 mio cuore. Torna al v. 12 lo speciale tono di tenerezza che caratterizza le
parole di Paolo in questa lettera. Nei vv. 12-14 egli inserisce la seconda prova a
favore di Onesimo: questi gli è stato molto utile, soccorrendolo nella sua condizio-
ne di prigioniero. Paolo rinvia lo schiavo al suo padrone Filemone, ma lascia tra-
sparire tutto il dolore che gli procura questa decisione. Partendo Onesimo è come
se fosse partito insieme a lui anche il suo stesso cuore. L'espressione dell'affetto
che nutre per Onesimo raggiunge davvero l'apice: vi è coincidenza tra l'oggetto
dell'amore e l'azione stessa dell'amare nell'espressione «te lo rinvio lui, che è
il mio cuore». È come se tutto l'amore di Paolo fosse riversato su Onesimo. Si
tratta perciò di un'espressione paradossale, che riprende e dà enfasi allegarne di
paternità e figliolanza che ùnisce Paolo e Onesimo e che conferisce concretezza
ai vincoli di comunione che nascono in virtù del Vangelo.
Paolo avrebbe voluto (e potuto) tenere questo «figlio» con sé, non solo per
l'affetto ma anche per la necessità di un aiuto concreto. In una situazione di disagio
come quella della prigionia, infatti, la vicinanza di Onesimo avrebbe senz'altro
recato giovamento a Paolo e alla causa del Vangelo. L'Apostolo inoltre spiega la
presenza di Onesimo al suo fianco anche come una rappresentanza di Filemone.
In modo indiretto Paolo elogia Onesimo che, lungi dall'essere considerato un
89 FILEMONE 13

Avrei voluto trattenerlo presso di me, perché mi


13

servisse al posto tuo nelle catene (che porto) per il Vangelo.

Toi.ç &a~oi.ç TOiì EooyyEHou) -Alla lettera: la causa che ha condotto Paolo in catene;
<<nelle catene del Vangelo». Il genitivo Toiì oppure di scopo o vantaggio: Paolo è in ca-
EooyyEHou può essere considerato come ge- tene a favore del Vangelo. Probabilmente,
nitivo di origine, e quindi il Vangelo sarebbe entrambe le sfumature vanno tenute presenti.

ribelle, è descritto come colui che ha supplito egregiamente all'assenza del suo
padrone. Paolo ricorda a Filemone che Onesimo lo ha sostituito nel suo servizio
durante la prigionia. Lo schiavo di Filemone avrebbe dunque fatto ciò che un
uomo libero, Epafrodito, inviato dalla comunità di Filippi, aveva iniziato a fare
per Paolo durante la prigionia efesina stando a Fil 2,25-30. Sembra che Paolo
ironizzi circa l'assenza di Filemone o che esprima biasimo nei suoi riguardi.
Onesimo, infatti, ha sostituito qualche fratello che la Chiesa domestica presente a
casa di Filemone avrebbe dovuto inviargli per assisterlo nellé sue catene. Questo
sarà letto al v. 19 come ciò che lo rende debitore nei confronti di Paolo. Tuttavia
l'effetto che ne risulta è un elogio alla dia/conia di Onesimo, al suo servizio, che
va oltre l'aiuto personale prestato a Paolo e rientra nel servizio del Vangelo, causa
delle catene dell'apostolo.
Pur potendo trattenerlo, Paolo si appella a Filemone, legittimo proprietario
dello schiavo, senza costrizioni: emerge il concetto secondo cui l'amore può
farsi operante solo a patto che la decisione avvenga nella libertà. In tal modo
Paolo esercita una sorta di paternità spirituale anche nei confronti di Filemone,
usando con lui una strategia di convincimento improntata alla promozione della
sua capacità decisionale e dandogli piena fiducia.
La schiavitù. Può sorprendere che nel NT la schiavitù non sia presente come
realtà problematica ma come un dato di fatto: essa rientra nell'ordine sociale
costituito. Numerose sono le figure di schiavi che appaiono come personaggi nei
racconti evangelici e negli Atti degli Apostoli. Anche nelle parabole di Gesù ri-
corre spesso la menzione degli schiavi (come nella parabola dei talenti, o in quella
dello schiavo [servo] spietato o in quella degli schiavi [servi] inviati per invitare
alle nozze). Il rapporto schiavo-padrone, infatti, viene impiegato come metafora
per esprimere il rapporto dell'uomo con Dio e il rapporto tra due schiavi dice il
rapporto degli uomini fra loro. La novità che porta il NT non incide sullo status
sociale, ma tocca profondamente il piano spirituale: l'uomo che, accogliendo il
Cristo, sceglie di servire Dio, sia egli libero o schiavo, viene liberato dalla schiavi-
tù della corruzione, diventando amico del Cristo, figlio di Dio, erede di Dio. Se la
vera libertà è quella interiore, ogni distinzione fra gli uomini è destinata a cadere:
«non esiste schiavo né libero)) (Gal3,28). Il messaggio cristiano però non scardina
FILEMONE 14 90

14 xwpìç ÒÈ -rfjç crfjç yvw~11ç oùoè:v ~8ÉÀf1cra rrotfjcrat, iv a ~~


wç KaTà à:vayKflV TÒ à:ya86v crou Tl cÌÀÀà KaTà ÉKOUO"lOV.
15 TQ:xa yàp Otà TOUTO €xwp{cr8f1npòç wpav, iva aÌWVlOV aÙTÒV
à:rréxnç, 16 0ÙKÉn wç OouÀov ili' &n:è:p OouÀov, à:O€ÀcpÒv à:yaltflTOV,
}..l<i:Àtcrm È}..lot, rr6cr<p OÈ ~éiÀÀov croì KaÌ Èv crapKÌ KaÌ Èv Kupi<p.

14 Senza il tuo parere (xwplç oÈ -rijç oijç del rapporto tra Paolo e Filemone: l'apo-
yvw~TJc;)- L'uso del termine yvw~TJ («pa- stolo passa dal comando al consiglio, per-
rere», «consiglio») va inteso in implicita ché Filemone passi dal dovere alla gratuità.
contrapposizione a Èm -ra.yij («comando»}, 15 È stato separato (ÈJ(wp(o9TJ)- Il verbo
vocabolo che Paolo utilizza, in forza della è alla forma passiva e potrebbe essere in-
sua autorità apostolica, altrove nell' episto- teso come passivo divino, cioè come un ri-
lario (cfr. lCor 7,6.25.40; 2Cor 8,8.10) e ferimento alla volontà o al disegno di Dio.
che si può desumere dall'impiego del verbo Questo conferisce un carattere teologico alla
Èm-r&oow al v. 8. Paolo passa dal grado di prova. Molti commentatori hanno letto qui
superiore a quello del simile, in una dinami- il motivo del servusfogitivus (schiavo in fu-
ca di amicizia. ga), presente nella legislazione romana, che
Non sapesse di costrizione, ma fosse spon- prevedeva a tal proposito disposizioni seve-
taneo- L'antitesi tra i due sintagmi: Ka.-rà re: chi ospitava un fogitivus era assimilato
àvtiyKT]v (alla lettera, «secondo necessità») e a un ladro e aveva l'obbligo di restituire il
Ka.-rà ÈKo{xnov (alla lettera, «secondo spon- fogitivus entro venti giorni al suo padrone. A
taneità») ribadisce un'evoluzione all'interno chi accoglieva uno schiavo per nasconderlo

la realtà della schiavitù come fatto sociale perché, p. es., la sottomissione degli
schiavi cristiani ai loro padroni è intesa come una testimonianza resa alla bontà
della dottrina cristiana. Quindi ogni tentativo di sovvertire o modificare l'ordine
sociale poteva apparire come una contro-testimonianza del cristianesimo e una
violazione dell'itinerario della santità, che coinvolge le relazioni interpersonali e
i rapporti sociali. Questo attesta, inoltre, che l'incontro tra cristianesimo e diritto
dell'Impero romano non avvenne sul piano della rottura, ma su quello della con-
tinuità e del completamento, tanto più che il diritto romano, diversamente dalla
filosofia greca classica, riconosceva allo schiavo una potenziale uguaglianza con
il suo padrone al punto da concedergli la cittadinanza al momento dell'affranca-
mento. La realtà della schiavitù sarà ammessa pertanto per molto tempo grazie
alla sublimazione religiosa di questa condizione, che diviene l'emblema della
sottomissione docile e dell'ossequio a Dio.
«Accogli/o come me stesso». Paolo adduce a favore di Onesimo una nuova pro-
va dal carattere teologico: la nuova condizione di Onesimo. La prova che appare
nei vv. 15-16 è retta da un'argomentazione a fortiori (regola di retorica secondo cui
quanto vale per una realtà minore s'impone anche per la maggiore): se Onesimo
91 FILEMONE 16

14Ma non ho voluto far nulla senza il tuo parere, perché il bene
che farai non sapesse di costrizione, ma fosse spontaneo.
15Forse per questo è stato separato da te per poco, perché tu

lo r_iavessi per sempre; 16non più però come schiavo, ma molto


più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me,
ma quanto più a te, sia come uomo, sia come credente.

veniva comminata una multa pari al doppio (cfr. Fil 4, 18). Nella forma del congiuntivo
del valore dello schiavo. Ma qualora venisse presente suggerisce una situazione destinata
accertato che l'accoglienza dello schiavo era a durare nel tempo.
concessa in buona fede, non si era ritenuti 16 Schiavo ... fratello- L'antitesi ùou.A.ov -
colpevoli: è questo il caso di Paolo. Diversa &&Mjlov registra l'ingresso di Onesimo in un
era la legge mosaica che stando a Dt 23,16- nuovo status sociale ed ecclesiale.
17 imponeva di non restituire lo schiavo A me ... a te- Il binomio Éj.LOL - oo( mostra la
fuggito al suo padrone ma di tenerlo con sé. possibilità che la natura del rapporto Paolo-
Per sempre- L'avverbio atwvwv è in stretta Onesimo qualifichi anche il rapporto tra Fi-
antitesi con rrpòç wpav («per poco»), a mo- lemone e quello che Paolo vorrebbe ormai
strare la contrapposizione tra la condizione che fosse il suo "ex" schiavo.
di Onesimo che precede la conversione e Come uomo ... come credente- L'ultimo ac-
quella che la segue. costamento: Év oapd (letteralmente, «nella
Lo riavessi- Il verbo &rrÉxw è tipico del lin- carne») - Év Kup(~ (letteralmente, «nel Si-
guaggio commerciale e amministrativo, do- gnore») sottolinea la necessità di modellare
ve indica la quietanza o il saldo di un conto le relazioni sociali in base a quelle ecclesiali.

è fratello «carissimo» per Paolo, quanto più lo è del suo padrone Filemone. Il v.
15 è l'unico passo in cui, con discrezione, Paolo accenna alla partenza di Onesimo.
Dal testo appare che lo schiavo non sia fuggito, ma sia stato solo separato dal suo
padrone per un breve periodo per poi essergli riconsegnato "a tempo indetermina-
to". Questa separazione si è rivelata non negativa, ma provvidenziale. Il tempo del
distacco equivale all'ingresso nella vita nuova cui si accede mediante la fede cri-
stiana. Il v. 16 è, così, costruito su coppie di termini che segnano la possibilità di un
cambiamento nella dinamica delle relazioni tra Filemone e Onesimo. Paolo auspica
il passaggio da una situazione di distanza tra i due a una di vicinanza e solidarietà.
Alla partenza, Onesimo non era che uno schiavo; al ritorno invece è un uomo libero
perché catturato da Cristo, colui che rende libero ogni uomo. La fede lo trasforma,
anche se esteriormente egli deve continuare a vivere nella vecchia situazione. È la
comune appartenenza al Signore Gesù che supera le categorie «servo/schiavo» e
«padrone» per istaurare categorie familiari, come quella di «fratello».
Dopo aver identificato Onesimo col suo cuore, Paolo lo identifica con la sua
persona. In una maniera che è a tratti più velata, a tratti più esplicita, Paolo vuo-
le portare Filemone a conoscere e a convalidare la nuova condizione di vita di
FILEMONE 17 92

17 Ei oòv }.lE EXEl<; KOlVWVOV, npooÀa~ou aÙt'ÒV wç è}lé.


18 Ei ~é n ~~lKYJO'ÉV O'E ~ Ò<pEtÀEl, t'OUt'O è}JOÌ èÀÀoya.

17 Dunque - La congiunzione o~v è un («prendere con sé», «accogliere») ricorre


chiaro segnale che indica nel testo la ripresa quattro volte nel corpus paolina sulle dodici
del tema principale, dopo aver dato spazio a occorrenze del NT. Qui si presenta all'impe-
osservazioni intermedie. rativo per esprimere un monito che fa leva
Amico (KoLvwv6ç) - Il termine, dalla con- sul rapporto che intercorre tra Filemone e
notazione fortemente giuridica, rimanda al Paolo, espresso nei termini di una relazione
rapporto che intercorre tra soci o partner che familiare o di intimità. Qui viene finalmente
intraprendono una stessa impresa. L'impresa esplicitata la richiesta di Paolo per Onesimo,
in questo contesto richiamerebbe l'assem- che rivela l'intenzionalità sottesa al bigliet-
blea liturgica o, meglio, l'intera esperienza to: una buona accoglienza da parte del suo
spirituale cristiana. padrone. L'espressione «accoglilo come me
Accogli/o come me stesso (11poa}.aj3oiì airtòv stesso» ha suggerito ad alcuni che Paolo si
wç E~É)- Il verbo composto 11poaÀIXIJ.I3Uvw appelli all'istituzione giudaica a carattere

Onesimo, che neutralizza le rigorose prescrizioni dell'antico diritto degli schiavi.


Secondo il sistema sociale del tempo, se Onesimo fosse tornato dal suo padrone,
avrebbe dovuto subire gravi sanzioni, ma Paolo suggerisce a Filemone la via
dell'accoglienza.
Paolo chiede a Filemone, che ha confortato il cuore dei santi (v. 7), di confor-
tare anche il suo cuore. Accogliere Onesimo equivale ad accogliere il cuore di
Paolo (v. 12), accogliere la persona di Paolo (v. 17).
Il testo opera un'identificazione progressiva di Onesimo a Paolo: egli è «figlio»
di Paolo, è sostituto di Filemone presso Paolo prigioniero, è fratello amato di
Paolo, è fratello amato di Filemone, ed è sostituto di Paolo presso Filemone.
Un linguaggio contabile. L'ultima prova che Paolo dà a favore di Onesimo
nei vv. 17-18 è quella dell' autogarimzia, la sua disponibilità cioè a rimborsare i
danni causati dalla fuga di Onesimo. Per presentare la sua richiesta Paolo adotta
ai vv. 17-20 una lingua che risuoni familiare a Filemone: quella della contabi-
lità e del commercio. Egli svuota i termini tecnici di questo linguaggio del loro
abituale significato per conferire loro una valenza completamente nuova. Tra le
dinamiche di relazioni che intercorrono tra gli uomini, Paolo sceglie il terreno
della contabilità per collocarlo all'interno di una prospettiva cristiana. Onesimo,
in qualità di schiavo, appartiene alla sfera del commercio: uno schiavo si compra,
si vende, non riceve salario. Produce ricchezza, ma di essa non può usufruire.
È costretto a lavorare gratis. Rinviando Onesimo al suo legittimo proprietario,
l'apostolo rinuncia ad accampare diritti sul figlio da lui generato, pur potendoli
rivendicare in qualità di maestro. Nel giudaismo, infatti, il discepolo era tenuto
93 FILEMONE 18

17 Se
dunque tu mi consideri un amico, accoglilo come me stesso.
18Ese in qualche cosa ti ha offeso o è in debito, metti tutto sul
mio conto.

giuridico dello siillab, dove un emissario tore di qualcosa») presenta l'accezione tipica
compie un atto di rilevanza giuridica a bene- di alcune parabole di Matteo e Luca (cfr. Mt
ficio del mittente. Questo inviato si presenta 18,28.30; Le 7,41; 16,5.7); qui si riferisce a
come la persona stessa. Per questo Onesimo una perdita materiale, che Filemone ha subi-
sarebbe l'alter ego di Paolo. to per la fuga del suo schiavo Onesimo e per
18 Ti ha offeso- Il verbo liliLKÉw («fare tor- la quale Paolo si impegna a rispondere in un
to», «commettere ingiustizia») appare circa modo giuridicamente vincolante.
dieci volte nell'epistolario paolino soprat- Metti tutto sul mio conto ('muto È~J.Ql ÈH.6ya)
tutto nell'ambito di rapporti interpersonali - Il verbo èUoyllw significa «mettere sul
e sociali. Esso quindi indica non tanto un conto». Richiama una prassi presente anche
danno materiale, quanto un disordine re- nel commercio, dove si rilasciava una fattura
lazionale. che fosse promemoria in vista dell'estinzio-
È in debito - Il verbo c'KjleO..w («essere debi- ne del debito.

a prestare al suo rabbi i servizi di uno schiavo. Impegnandosi a pagare i debiti


di Onesimo, egli rinuncia anche ai suoi diritti su Filemone. Paolo ammette che
l'assenza di Onesimo ha potuto arrecare danno a Filemone ed è disposto egli stesso
a provvedere quando gli dice: «se in qualche cosa ti ha offeso o è in debito, metti
tutto sul mio conto». Il rimborso non è da collegare necessariamente a un furto
da parte di Onesimo, perché già la semplice fuga nel rapporto padrone-schiavo
era stimata una frode ai possedimenti del proprietario. Nella visione di Paolo
l'amore non è in antitesi con la giustizia. Ricorrendo a una velata ironia, che ci
si può permettere con gli amici, Paolo dissuade Filemone dalla freddezza dettata
dal calcolo e lo persuade della necessità di accantonare le proprie ragioni e vivere
un rinnovamento della mentalità.
Paolo spiega così che, all'interno dei legami inaugurati dal Cristo, tutto ciò
che è quantificabile diventa dono, qualcosa che è gratis. Alla logica del commer-
cio che regola i rapporti nella società civile subentra la logica dell'amore, del
rispetto, della fiducia che regolano la comunità cristiana. Per questo il linguag-
gio contabile perde la sua pregnanza e fa spazio a quello della comunione, che
non indica solo un legame tra i credenti, ma dice anche la realtà dinamica della
partecipazione ad un obiettivo comune. Questa koinonia avviene attraverso il
dono di sé e mostra che è proprio il dono che procura il guadagno più grande.
Attraverso questa trasfigurazione della relazione tra creditore e debitore, segnata
dal superamento della mentalità del commercio nell'ottica dell'amore e della
gratuità, Paolo aspetta che Filemone vada oltre la richiesta da lui formulata e
compia un atto di fede.
FILEMONE 19 94

19 Èyw llauÀoç Éypa$a -rft È}lft Xe1pt, Èyw à:no-r{ow· iva


}l~ ÀÉyW 001 On K<XÌ Oe<XUTOV }l011tpOOO<pelÀe1<;.
20 vaì à:l'ieÀ<pÉ, èyw oou òvat}l'Y)V èv Kupi(f>· à:vanauo6v }lOU

-rà onÀayxva èv Xp1o-r~.

21 llm01Bwç -rft Ùlt<XKOft OOU EypalJJa 001, eil'iwç On K<XÌ ÙltÈp


Q: ÀÉyW lt01~0€1<;. 22 a}l<X l'iÈ K<XÌ É"tOl}l<X~É }.101 çev{av· ÈÀJtl~W
yàp onl'i1à -rwv npooeUXWV Ù}lWV X<Xp1oB~OO}l<X1 Ù}ltV.

19 Lo scrivo di mio pugno, io, Paolo (Éyw Pagherò io stesso- Il verbo alTO'tLVW («sal-
IIa.iìÀ.Oc; ~ypa.ljla. •fl Éf1fl XELPL)- Ricorrendo dare il debito», «ripagare»), hapax legome-
al linguaggio tecnico commerciale, Paolo non paolino e neotestamentario, è un tennine
sottoscrive una dichiarazione fonnale di giuridico impiegato nei contratti che indica
pagamento. La fonna ~ypa.ljla. («scrivo») è il proprio impegno al risarcimento.
un aoristo epistolare ed è seguita dalla for- Per non dirti che (Cva. 1-1~ 'J..Éyw aoL)- Si
mula dell'autografo, che ricorre in alcune tratta di una proposizione finale ellittica, una
lettere come indicazione riferita ai saluti o sorta di parentesi che funge da epidiorthOsis,
comunque alla conclusione della missiva. cioè da correzione accrescitiva di quanto det-
Forse l'impiego di un tale registro lessicale to in precedenza.
è in funzione dell'enfasi che egli dà al suo 20 Sì- Il va.( serve per rafforzare l'asserzio-
impegno personale nel saldare il debito. ne e per introdurre il verbo seguente.

UN SOLLIEVO AL CUORE IN CRISTO (19-20)


Paolo termina la sua argomentazione ricapitolando i temi principali esposti
con una conclusione argomentativa, dove appone la sua firma («lo scrivo di mio
pugno, io, Paolo») per sottoscrivere la propria richiesta per Filemone. Sa che
qui è messa in gioco la sua personale efficacia apostolica. Per questo si attende
di essere ascoltato da Filemone e fa appello al suo amore, alla sua capacità di
fare il bene, che tanta gioia ha procurato all'interno della comunità di Colossi,
e anche alla sua obbedienza. Paolo vuole la liberazione di Onesimo ma non lo
dice mai apertamente. Da sapiente pedagogo desidera che sia Filemone a trarre
le conseguenze. Egli ha posto le premesse, sta a Filemone trame le conclusioni.
Nei vv. 19-20 si inserisce la peroratio o conclusione argomentativa. Continua il
linguaggio commerciale e vengono ripresi i due temi centrali della lettera, quello
incentrato sul Signore e quello delle «viscere».
Debitore o creditore? Paolo evoca il pagamento di una multa per mostrare
fin dove può spingersi il suo coinvolgimento in favore di Onesimo e la forza di
un legame sostitutivo che appare ai vv. l Oe 17. Saldare i debiti altrui è l' espres-
sione che Paolo mutua dall'ambito del commercio per esprimere il suo affetto
paterno nei confronti di Onesimo. Poi Paolo menziona un altro debito: quello
che ha Filemone nei suoi confronti. Il debito di se stesso che ha Filemone verso
Paolo potrebbe evocare la sua conversione ad opera dell'apostolo, ma sembra più
95 FILEMONE22

19Lo scrivo di mio pugno, io, Paolo: pagherò io stesso. Per non
dirti che anche tu mi sei debitore e proprio di te stesso!
20 Sì, fratello! Possa io rallegrarmi di te nel Signore; dà questo

conforto al mio cuore in Cristo!

21 Ti
scrivo fiducioso nella tua docilità, sapendo che farai anche
più di quanto ti chiedo. 22Nel frattempo preparami un alloggio,
perché spero, grazie alle vostre preghiere, di esservi restituito.

Possa io rallegrarmi - La forma òva:LIJ.TJV mone non può che confortare le «viscere»
(letteralmente «ch'io sia felice»), unica oc- di Paolo.
correnza nel NT, è uno dei rari ottativi; espri- 22 Alloggio- Il termine /;fv(a:, di cui qui si
me il desiderio intenso di Paolo e prepara un ha l'unica occorrenza negli scritti di Paolo,
appello riassuntivo. Il verbo in greco inoltre indica sia l'accoglienza ospitale che l'allog-
presenta una sonorità che evoca il nome di gio (cfr. At 28,23).
Onesimo. Esservi restituito- La forma xa:pLo6~00IJ.O:L
Cuore - Riappare il termine 01rMyxva: at- (dal verbo xa:p((O!J.CXL, «donare») è un passivo
traverso il quale si perviene a un sillogismo: teologico al futuro; essa indica l'intervento
se Filemone ha confortato le «viscere» dei di Dio che risponde alle preghiere dei cre-
credenti (cfr. v. 7) e Onesimo rappresenta denti e compie la speranza di Paolo di essere
le «viscere» di Paolo (v. 12), allora File- liberato dalle catene della prigionia.

attendibile che egli faccia riferimento al bene profondo che Filemone riceverà
accogliendo Onesimo.
Nel Signore. Dopo aver regolato la questione giuridico-finanziara, saldando
il debito, Paolo mostra il nuovo orizzonte di senso nel quale desidera che File-
mone entri per passare dal calcolo alla fraternità, un orizzonte qualificato dalle
espressioni «nel Signore» e «in Cristo». Paolo esorta Filemone a compiere questa
"conversione" che avrà il risultato della gioia espressa dal verbo onaimen («possa
rallegrarmi»).

EPILOGO. I SALUTI (21-25)


Il verbo «scrivo» (égrapsa) inaugura il postscritto della lettera che contiene il
motivo dell' apousia-parousia (assenza-presenza) epistolare, che mette a fuoco il
rapporto interpersonale tra mittente e destinatari e con cui Paolo spera di potersi
ricongiungere al più presto alla comunità di Filemone. Si tratta forse di un artificio
per sollecitare maggiormente Filemone a non rifiutargli il favore chiesto. Seguono
poi l'invio dei saluti e alcune parole di congedo.
La venuta di Paolo. Come per dare prova della sua piena fiducia in Filemone,
Paolo prospetta una sua visita imminente. L'annuncio della venuta del mittente
presso il destinatario è un motivo letterario che appartiene allo schema della
comunicazione epistolare, così come la richiesta dell'ospitalità, e che riftuisce
FILEMONE23 96

23 'Acrmx~Et'al
CJE 'Enacppfrç Ò CJUVCX1Xl!MWTOç l!OU Èv Xptcrr<f}
'ITJcroo, MfrpKoç, 'Apicrrapxoç, 8TJl!frç, AouKfrç, oì cruvepyoi l!OU.
24

25 'H xaptç TOO Kup{ou 'ITJCJOO Xptcrroo l!E'tà: TOO ltVEUl!CXTOç Ùl!WV.

23 Epafra ('Ena.cppaç) - Compare anche che se con qualifiche e ordine di presentazio-


in 1,7 e 4,12-13. Originario di Colossi, ha ne leggermente diversi. Si tratta di un altro
evangelizzato questa città e si è occupato di elemento- dopo quello dell'ubicazione della
Laodicea e Gerapoli. casa di Filemone (e di tutta la comunità che
Compagno di prigionia (auva.LXJJ.IiÀ.Wtoç) vi si raduna) a Colossi- che collega la lette-
- Si tratta di un termine composto che ap- ra ai Colossesi a quella a Filemone. Quanto
partiene al gergo militare, compare solo a Marco, si tratterebbe del Giovanni detto
nell'epistolario paolino (in Rm 16,7 a pro- Marco di At 12,12.25 e 15,37, cugino di
posito di Andronico e Giunia e in Col4,10 a Barnaba (Col 4,10), compagno degli inizi
proposito di Aristarco) e va oltre la metafora della missione di Paolo (At 13,1-15,39; cfr.
per indicare lo stato di prigionia comune. 1Cor9,6; Gal2,1.9.13). l due fanno prima da
24 Marco, Aristarco, Dema, Luca (MiipKoç, trait d'union tra Pietro e Paolo nella tensione
'Ap(ata.px.oç, L\llfliìç, .t\oUKiiç)- Dopo Epa- attestata in Gal 2, poi si separano da Paolo
fra, Paolo menziona altri suoi collaboratori, che continua il suo viaggio con Sila mentre
che compaiono anche nella lista dei saluti essi intraprendono la missione cui accenna
della lettera ai Colossesi (cfr. 4,10-14), an- At 15,37-39. In 2Tm 4,11 Paolo, che si tro-

nelle lettere di amicizia. L'amicizia stessa, infatti, per sua natura provoca la
nostalgia, richiede che ci si incontri e desidera occasioni per trascorrere del
tempo insieme. Paolo allora si annuncia non per indagare sull'esito della sua
riçhiesta, ma perché si realizzi il desiderio della comunità che prega per la sua
liberazione. Paolo richiede ospitalità: chiede quindi anche per sé quanto ha
chiesto per Onesimo.
Lo scritto a Filemone aiuta il lettore ad effettuare un tragitto dalla prigione alla
casa. Lo spostamento spaziale che riguarda Paolo tende a realizzare sul piano co-
gnitivo la trasformazione dei valori dei personaggi coinvolti: trovare accoglienza
nella casa di Filemone da parte di Paolo sancisce il passaggio dalla scala dei valori
del mondo a quelli cristiani. Inoltre, l'annuncio della visita di Paolo conferisce al
messaggio racchiuso nella lettera una pienezza di senso, in quanto la lettera non
97 FILEMONE25

Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù,


23

24con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori. 25La


grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito.

va in carcere, chiede a Timoteo di condurgli abbandonato Paolo e si è diretto a Tessaloni-


Marco definendolo «utile per il ministero». ca. Negli Atti di Paolo e in altri testi cristiani
Aristarco, fa parte anch'egli della lista della della tradizione successiva Dema è un avver-
lettera ai Colossesi dove presenta la stessa sario di Paolo. L'ultimo nome menzionato
qualifica data ad Epafra in Fm 23: «compa- nell'elenco è Luca, detto «caro medico» in
gno di prigionia». In At 19,29 è detto «com- Col4, 14. In 2Tm 4, Il è in prigione con Pa-
pagno di viaggio» di Paolo insieme a Gaio; olo e attende di essere processato. Secondo
in At 20,4 è inserito nella lista di quelli che la tradizione sarebbe stato il redattore del
accompagnano Paolo in viaggio da Corinto Vangelo che porta il suo nome, redattore che
verso la Siria; infine, in At 27,2 è il nome dev'essere lo stesso degli Atti degli Apostoli.
di un Macedone di Tessalonica, compagno 25 Con il vostro spirito - La fonnula !J.Età
di Paolo nell'ultimo viaggio verso l'Italia. toiì 1TVE:Uf.LO:toc;; Ùf.L<iìv sottolinea l'aspetto
Il terzo personaggio che appare nei saluti comunitario e cultuale dell'espressione di
è Dema, presente in Col 4,10 dopo Luca. congedo e corrisponde alla conclusione della
Egli è menzionato anche in 2Tm 4, l O come lettera ai Filippesi (4,23), anch'essa scritta
qualcuno che, preso dalle cose del mondo, ha dal carcere.

è che il sostituto testuale della presenza fisica dell'apostolo nella sua comunità.
Il riferimento alla sua prossima venuta rende ancora più normativo il messaggio
veicolato dalla lettera.
I saluti finali. Presentano molte somiglianze con la sezione conclusiva della
lettera ai Colossesi: Sono infatti entrambe scritte dallo stesso luogo e indirizzate
alla stessa Chiesa. Portate a Colossi da Tichico, menzionano entrambe circostanze
molto simili relative alla prigionia di Paolo e contengono una lista quasi identica
di saluti personali. Questo stretto contatto si potrebbe spiegare supponendo che
le due lettere, prima di essere separate nel canone, fossero tenute insieme come
corrispondenza di Paolo con la comunità cristiana di Colossi.
In conclusione, con una formula liturgica, Paolo invoca su Filemone e sulla
Chiesa domestica, che si raduna nella sua casa, la grazia del Signore.
LA LETTERA A FILEMONE
NELL'ODIERNA LITURGIA

La lettera a Filemone, nella sua brevità, custodisce con


straordinario equilibrio la finezza umana e spirituale di Paolo,
capace di trasfigurare un fatto di cronaca in un appassionato
annuncio evangelico. Negli antichi Sacramentari - costituitisi a
partire dal VII secolo -, non abbiamo traccia della presenza di
questo "biglietto" ed è soltanto l'attuale Ordo Lectionum Missae
a collocarlo stabilmente all'interno della Liturgia della Parola
domenicale e feriale. Un dono poco appariscente ma assai prezioso,
evocato da molti altri testi del Messale e dei Rituali, che senza
citarlo esplicitamente ne portano traccia quando considerano il
dono della fraternità umana in rapporto al mistero di Cristo.
La XXXIII domenica del Tempo Ordinario, anno C, offre per
la proclamazione i vv. 9b-10.12-17, ove Paolo esorta Filemone a
riconoscere in Onesimo non più uno schiavo fuggitivo ma il fratello
carissimo, dato nel Signore. Lo stravolgimento della prospettiva
è straordinario, conformemente a quanto affermato anche in l Cor
7,22: una vera e propria conversione, che libera dalla schiavitù
umana per legare alle catene di Cristo. In questo senso insiste
proprio la Lectio Evangelii, tratta da Le 14,25-33, che chiede al
discepolo di reinterpretare le proprie relazioni affettive e sociali
a partire dalla sequela del Signore, alla luce del mistero della
croce, che è certo donazione assoluta di sé ma è anche accoglienza
assoluta dell'altro. Paolo sottolinea molto questo aspetto, perché
non chiede a Filemone di perdonare Onesimo ma di "ri-averlo",
cioè di possederlo volentieri e non per forza, secondo la logica dei
legami evangelici. La Colletta propria del Messale romano, fin
LA LETIERAA FILEMONE NELL'ODIERNA LITURGIA 100

dall'inizio della celebrazione indica all'assemblea questa strada,


rivolgendosi a Dio con queste parole: «0 Padre, che ci hai donato
il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli
di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera
libertà e l'eredità eterna».
La lettura prevista il giovedì della XXXII settimana amplia la
pericope di alcuni versetti rispetto alla lettura festiva (vv. 7-20) e,
con grandissima eloquenza ed efficacia, propone come Graduale
il Salmo 145(146) che loda il Signore perché «rende giustizia
agli oppressi, dà il pane agli affamati ( ... ), libera i prigionieri».
Possiamo così capire meglio, anche grazie alle poche righe della
Lettera, la portata teologica ed ecclesiologica di alcune preghiere
ed esortazioni presenti nella Liturgia Eucaristica affinché «una sola
carità riunisca l'umanità diffusa su tutta la terra>> (Prefazio della
SS. Eucarestia Il). Dopo la presentazione dei doni il sacerdote si
rivolge al popolo dicendo: «Pregate fratelli e sorelle perché questa
famiglia, radunata nel nome di Cristo, possa offrire il sacrificio
gradito a Dio Padre onnipotente» e più oltre, durante i Riti di
Comunione aggiunge: «In Cristo, che ci ha resi tutti fratelli con la
sua croce, scambiatevi un segno di riconciliazione e di pace». Non
potrebbero essere queste le parole con le quali Paolo - idealmen-
te -, avrebbe potuto apostrofare Filemone e Onesimo durante la
Santa Cena?
INDICE

Presentazione pag. 3

Annotazioni di carattere tecnico )) 5

LETTERA A TITO )) 7

INTRODUZIONE )) 9
Titolo e posizione nel canone )) 9
Aspetti letterari )) 11
Linee teologiche fondamentali )) 13
Destinatari, autore e datazione )) 15
Testo e trasmissione del testo )) 18
Bibliografia )) 19

A TITO )) 21
Prescritto. L'orizzonte della predicazione di Paolo (1,1-4) )) 22
Il corpo epistolare (1,5-3,11) )) 29
Il postscritto. Il frutto delle «opere buone» (3,12-15) )) 56

LA LETTERA A TITO NELL'ODIERNA LITURGIA )) 61

LETTERA A FILEMONE )) 65

INTRODUZIONE )) 67
Titolo e posizione nel canone )) 67
Aspetti letterari )) 68
INDICE 102

Linee teologiche fondamentali pag. 70


Destinatari, autore e datazione » 72
Testo e trasmissione del testo » 73
Bibliografia » 74

AFILEMONE » 77
Prologo. Paolo, il prigioniero di Gesù Cristo (1-3) » 79
Esordio. Filemone, il ritratto del cristiano autentico (4-9) » 81
La tesi. L'intercessione per Filemone (lO) » 84
Richiesta a Filemone per Onesimo e rispettive prove.
La franchezza di Paolo e il valore dell'amicizia (11-18) )) 86
Un sollievo al cuore in Cristo (19-20) » 94
Epilogo. I saluti (21-25) » 95

LA LETTERA A FILEMONE NELL'ODIERNA LITURGIA » 99

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