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FollieriE. ISantiDell'ItaliaGreca

Il documento descrive i santi venerati nell'Italia greca medievale. Erano principalmente santi dell'ecumene bizantina come martiri, monaci e Padri della Chiesa. Tuttavia molti santi erano originari dell'Italia greca, come Agata ed Euplo di Catania e Lucia di Siracusa. Alcuni, come Gregorio di Agrigento, erano storici e oggetto di culto sia in Sicilia che a Costantinopoli. Il documento menziona anche i martiri di Lentini e la controversa Vita di Leone vescovo di Catania.

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FollieriE. ISantiDell'ItaliaGreca

Il documento descrive i santi venerati nell'Italia greca medievale. Erano principalmente santi dell'ecumene bizantina come martiri, monaci e Padri della Chiesa. Tuttavia molti santi erano originari dell'Italia greca, come Agata ed Euplo di Catania e Lucia di Siracusa. Alcuni, come Gregorio di Agrigento, erano storici e oggetto di culto sia in Sicilia che a Costantinopoli. Il documento menziona anche i martiri di Lentini e la controversa Vita di Leone vescovo di Catania.

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ENRICA FOLLIERI (†)

I SANTI DELL’ITALIA GRECA1

Per oltre mezzo millenio – dalla conclusione delle campagne dei


generali di Giustiniano nel 555 d. C. all’epilogo della conquista nor-
manna nel 1071 – vaste regioni d’Italia appartennero politicamente
all’Impero romano d’Oriente, quell’entità statale che con una espres-
sione non felice, ma ormai generalmente accettata, si è soliti chia-
mare Impero bizantino. Da quell’Impero e dalla sua civiltà esse rice-
vettero un’impronta – più o meno profonda, visibile e duratura se-
condo i luoghi e le loro vicissitudini storiche – nella lingua, nella
cultura letteraria ed artistica, nella vita sociale, nell’organizzazione
del culto e nelle tradizioni religiose e spirituali 2.
I santi venerati nell’Italia greca del Medioevo furono perciò nel-
l’insieme quelli appartenenti all’ecumene bizantina : nei calendari e
nei libri liturgici italogreci, come nelle raccolte di Vitae in prosa e
nelle rappresentazioni iconografiche prodotte nelle regioni d’Italia

1
Si ristampa qui un contributo pubblicato nel catalogo della mostra Oriente
cristiano e santità tenutasi a Venezia, nella Biblioteca nazionale Marciana, dal lu-
glio al novembre 1998, p. 93-108 e ripubblicato nella Rivista di studi bizantini e
neoellenici, 34, 1997, p. 3-36; nella prima ripubblicazione, che riprendiamo qui,
sono state aggiunte, nelle note, i riferimenti bibliografici essenziali e apportate
precisazioni e addizioni.
2
Per la storia dell’Italia bizantina mi limiterò a citare : J. Gay, L’Italie méri-
dionale et l’empire byzantin depuis l’avènement de Basile Ier jusqu’à la prise de Bari
par les Normands (867-1071), Paris, 1904 (Bibliothèque des Écoles françaises
d’Athènes et de Rome, 90); V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell’I-
talia meridionale dal IX all’XI secolo, Bari, 1978; il III volume della Storia d’Italia
diretta da Giuseppe Galasso, pubblicato nel 1983 dalla UTET (Torino), nella qua-
le sono raccolti contributi di vari autori (André Guillou, Filippo Burgarella, Vera
von Falkenhausen, Francesca Luzzati Laganà, Umberto Rizzitano, Valeria Fiora-
ni Piacentini, Salvatore Tramontana) sotto il titolo generale Il Mezzogiorno dai
Bizantini a Federico II. Un’altra opera collettiva uscita, nella collana Antica madre
curata da Giovanni Pugliese Carratelli, appena un anno prima di quella citata,
ma a differenza di essa sontuosamente illustrata, va sotto il titolo generale I Bi-
zantini in Italia (Milano, 1982). Qui i vari argomenti sono stati affidati a singoli
specialisti : per la storia politica e sociale a Vera von Falkenhausen (p. 1-136); per
la storia dell’arte a Raffaella Farioli Campanati (p. 137-426) e a Valentino Pace
(p. 427-494), per la produzione libraria a Guglielmo Cavallo (p. 495-612), per
quella letteraria a Marcello Gigante (p. 613-651), per la monetazione a Franco
Panvini Rosati (p. 653-669).

.
96 ENRICA FOLLIERI

che fecero parte dell’Impero di Bisanzio, dominano le grandi figure


della santità orientale : i martiri, i monaci, i Padri della Chiesa 3.
Ma sono numerosi anche i santi originari dell’Italia greca 4. Mol-
ti fra loro hanno goduto culto nel cuore dell’Impero bizantino, oltre
che nei luoghi dove sorse in principio la devozione in loro onore. Le
Vitae di alcuni, scritte in greco per lo più in Sicilia, si leggono anche
in manoscritti orientali. Sono i martiri catanesi Agata 5 ed Euplo 6, la
siracusana Lucia 7, Pancrazio vescovo di Taormina 8, tutti sicuramen-
te storici – a parte gli abbellimenti leggendari di cui gli agiografi ne
arricchirono le biografie – e già venerati in Sicilia e fuori tra il V e il
VI secolo 9. Più recente, ma non meno sicuro storicamente, è Grego-
rio vescovo di Agrigento, vissuto verosimilmente tra il VI e il VII se-
colo, la cui romanzesca Vita, scritta in greco fra il 750 e l’830 da un
egumeno del convento orientale di S. Saba in Roma, Leonzio10, fu
rielaborata nel secolo X a Costantinopoli da un discepolo di Areta di
Cesarea, Niceta Davide Paflagone11. Va ricordato inoltre il gruppo
leggendario dei martiri di Lentini, Alfio, Filadelfo, Cirino e compa-
gni12, per cui un anonimo monaco italogreco compose un vero e pro-
prio romanzo agiografico databile al secolo VIII o all’inizio del IX13,

3
Cf. E. Follieri, Il culto dei santi nell’Italia greca, in La Chiesa greca in Italia
dall’VIII al XVI secolo. Atti del convegno storico interecclesiale (Bari, 30
apr.-4 magg. 1969), II, Padova, 1972 (Italia sacra, 21), p. 553-577. Per la bibliogra-
fia delle Passiones, delle Vitae e delle Laudationes in lingua greca sono fondamen-
tali i repertori : F. Halkin, Bibliotheca hagiographica graeca, 3 éd., I-III, Bruxelles,
1957 (Subsidia hagiographica, 8a) (poi qui citata BHG); Id., Novum Auctarium Bi-
bliothecae Hagiographicae Graecae, Bruxelles, 1984 (Subsidia hagiographica, 65)
(poi qui citato BHG Nov. Auct.). Per gli scritti agiografici in lingua latina si fa ri-
ferimento a : Socii Bollandiani, Bibliotheca Hagiographica Latina, I-II, Bruxelles,
1898-1899 (Subsidia hagiographica, 6) e a H. Fros, Bibliotheca Hagiographica Lati-
na... Novum Supplementum, Bruxelles, 1986 (Subsidia hagiographica, 70) (poi ci-
tati rispettivamente BHL e BHL Nov. Suppl.).
4
G. Da Costa-Louillet, Saints de Sicile et d’Italie méridionale aux VIIIe, IXe et
Xe siècles, in Byzantion, 29-30, 1959-1960, p. 89-173; E. Follieri, I santi della Cala-
bria bizantina, in Calabria bizantina. Vita religiosa e strutture amministrative. Atti
del primo e secondo incontro di studi bizantini, Reggio Calabria, 1974, p. 71-93.
5
BHG 36-38b; BHG Nov. Auct. 36-37e.
6
BHG 629-630p; BHG Nov. Auct. 629-630e.
7
BHG 995-996; BHG Nov. Auct. 995-995g.
8
BHG e BHG Nov. Auct. 1410-1412.
9
Cf. F. Lanzoni, Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII
(an. 604), Faenza, 1927 (Studi e testi, 35), II, p. 624-628; 632-636; 617.
10
BHG e BHG Nov. Auct. 707-707e; edizione recente, con traduzione e com-
mento, a cura di A. Berger, Leontios Presbyteros von Rom, Das Leben des heiligen
Gregorios von Agrigent, Berlino, 1995 (Berliner Byzantinische Arbeiten, 60).
11
BHG 708.
12
Cf. F. Lanzoni, op. cit., II, p. 629-631.
13
BHG 57-62, 2021; BHG Nov. Auct. 57-62.

.
I SANTI DELL’ITALIA GRECA 97

dal quale fu tratto un compendio tramandato in manoscritti orienta-


li dei secoli XI e XII14.
Una narrazione sulla martire Agrippina venerata a Mineo e
un’altra su s. Leone vescovo di Catania si leggono nel «Menologio
imperiale», la raccolta di Vite di santi compilata nel secolo XI a Co-
stantinopoli per l’imperatore bizantino Michele IV Paflagone15. Per
Agrippina l’autore del Menologio imperiale attinse al solo testo dedi-
cato alla martire esistente al tempo suo, ossia la succinta notizia
contenuta nel libro liturgico destinato alla memoria quotidiana dei
santi del giorno, il Sinassario, notizia derivante a sua volta da un in-
no attribuibile al secolo IX16 ; per Leone ebbe presente la romanze-
sca Vita del vescovo catanese, uno degli scritti più problematici e
singolari che l’agiografia siciliana abbia tramandato17.
Un vescovo di Catania di nome Leone è realmente vissuto tra la
fine del VI secolo e l’inizio del VII : ma l’autore della Vita di Leone
colloca il vescovo nell’epoca degli imperatori iconoclasti Leone III e
Costantino V, ossia nel periodo compreso tra il 720 e il 741. Inoltre il
vero protagonista della narrazione non è il vescovo, ma il mago Elio-
doro, che solo alla fine Leone riesce a sconfiggere. La maggior parte
del racconto è dedicata alle scellerate imprese operate da Eliodoro
con i suoi sortilegi, che sconvolgono non solo la città di Catania, ma
l’intera Sicilia e perfino Costantinopoli. Materializzazione e scom-
parsa di uno splendido cavallo bianco, trasformazione di sostanze
vili in oro e successivo ritorno del prezioso metallo allo stato primi-
tivo, visioni ingannevoli, corruzione di fanciulle di buona famiglia,
trasferimenti istantanei dalla Sicilia a Costantinopoli – dove il mago
dovrebbe essere giudicato per i suoi misfatti – e da Costantinopoli
alla Sicilia, spegnimento di tutti i fuochi della città imperiale così da
ridurne gli abitanti alla fame, prodigiosa evasione dalle mani del
carnefice, turbamento di una funzione liturgica officiata da Leone
con l’imitazione di muli scalcianti e sfrenati. Anche la vittoria di
Leone su Eliodoro ha qualcosa di magico, opponendo magia bianca
e magia nera : il vescovo, dopo essersi raccolto in preghiera, rag-
giunge Eliodoro nel nartece della chiesa, gli avvolge al collo la sua
stola sacerdotale, lo trascina alle terme, lo getta nel fuoco e lo tiene

14
BHG 62e.
15
BHG e BHG Nov. Auct. 2018; BHG 981e. La datazione del «Menologio im-
periale» al secolo XI, proposta da F. Halkin nel 1939 e contemporaneamente da
A. Ehrhard, è stata di recente confermata da F. D’Aiuto, Nuovi elementi per la da-
tazione del Menologio Imperiale : i copisti degli esemplari miniati, in Rendic. Acca-
demia Naz. dei Lincei, Cl. scienze morali, storiche e filologiche, s. IX, vol. VIII,
fasc. 4, 1997, p. 715-747.
16
Cf. E. Follieri, Santa Agrippina nell’innografia e nell’agiografia greca, in By-
zantino-Sicula, 2, 1979 (= Miscellanea in memoria di G. Rossi Taibbi), p. 209-259.
17
BHG 981.

.
98 ENRICA FOLLIERI

dentro alle fiamme fino a che il mago è ridotto in cenere, mentre la


stola e la mano del vescovo restano illese.
Nella Vita di Leone di Catania Augusta Acconcia Longo, che ne
ha pubblicato di recente la versione più antica18, ha riconosciuto –
nonostante le censure operatevi dopo la vittoria degli iconoduli –
uno scritto di tendenza iconoclasta, composto verisimilmente all’e-
poca del secondo iconoclasmo, sotto Leone V (813-820) o Michele II
(820-829). Ad essa si oppone ideologicamente la Vita, già citata19,
dell’altro vescovo siciliano, Pancrazio di Taormina, redatta probabil-
mente tra il secolo VIII e l’inizio del IX, quindi in epoca di poco pre-
cedente quella della Vita di Leone. Al contrario di questa, la Vita del
vescovo di Taormina è di ispirazione nettamente iconodula. La con-
trapposizione fra questi due scritti, scrive Augusta Acconcia Longo,
«suggerisce l’impressione che la polemica fra le due opposte fazioni
fosse notevolmente accesa anche in Sicilia» 20.
Si deve inoltre rilevare quanto si dice nelle Vitae di Leone e di
Pancrazio a proposito dell’origine dell’autorità episcopale che i ri-
spettivi protagonisti rivestono. Leone, originario di Ravenna, è elet-
to vescovo, dopo la morte del vescovo di Catania, Sabino, dal popolo
stesso della città siciliana; Pancrazio, futuro primo vescovo di Taor-
mina, riceve la consacrazione episcopale nella sua terra nativa, il
Ponto, dall’apostolo Pietro in persona. La sua leggenda si collega
perciò con quel ciclo di leggende greco-sicule dei secoli VIII-IX, nate
in ambiente italogreco, intese a mostrare i legami delle chiese sici-
liane con Roma – come sottolineò in uno studio importante Évelyne
Patlagean – in un’epoca di forti contrasti tra la sede pontificia e l’im-
peratore bizantino per la difesa delle immagini, la giurisdizione al-
meno ecclesiastica sugli antichi patrimoni dell’Illirico e dell’Italia
meridionale, l’autorità universale in materia di dogma 21. Tuttavia, se
l’ottica di questi testi è filoromana – l’osservazione è di Salvatore
Pricoco –, «il sentimento centrale e generatore muove forse dal con-
testo provinciale, dall’aspirazione delle diocesi siciliane a costruirsi
un blasone di antichità e nobiltà apostolica» 22.

18
A. Acconcia Longo, La Vita di s. Leone vescovo di Catania e gli incantesimi
del mago Eliodoro, in Rivista di studi bizantini e neoellenici, n. s., 26, 1989, p. 3-98.
19
Vedi sopra, nota 8.
20
A. Acconcia Longo, La Vita di s. Leone vescovo di Catania... cit., p. 55.
21
E. Patlagean, Les moines grecs d’Italie et l’apologie des thèses pontificales
(VIIIe-IXe siècles), in Studi medievali, III Serie, 5, 1964, p. 579-602.
22
S. Pricoco, Un esempio di agiografia regionale : la Sicilia, in Santi e demoni
nell’alto Medioevo occidentale (secoli V-XI). XXXVIII Settimana di Studio del Cen-
tro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 7-13 aprile 1988, Spoleto, 1989, I,
p. 319-376, precisamente p. 344; ristampa, sotto il titolo Monaci e santi di Sicilia,
in Id., Monaci, filosofi e santi. Saggi di storia della cultura tardoantica, Soveria
Mannelli, 1992, p. 239-295, precisamente p. 265.

.
I SANTI DELL’ITALIA GRECA 99

A questo ciclo appartengono anche i testi relativi alle origini epi-


scopali di Siracusa (chiesa fondata da san Marciano) 23, e a quelle di
Lipari e di Lentini (collegate con i già citati Alfio, Quirino e compa-
gni) 24 ; la perduta primitiva leggenda di Stefano vescovo di Reggio 25,
consacrato anch’egli da Pietro, stando alla Vita di san Pancrazio, e
solo più tardi collegato con l’apostolo Paolo 26 ; e inoltre la già citata
Vita di Gregorio vescovo di Agrigento 27.
Anche la Vita di un santo monaco, Filippo, fondatore ed eponi-
mo del monastero di Agira, su un’altura in vista dell’Etna, si può ri-
ferire al medesimo ciclo 28 : Filippo, nativo della Tracia, riceve a Ro-
ma la consacrazione sacerdotale dalle mani stesse del papa, e da lui
è inviato in missione ad Agira con il compito di scacciarne i demoni
installativisi – scrive l’agiografo – fin dal tempo della conquista di
Gerusalemme da parte di Nabucodonosor. Filippo resterà celebre
infatti per secoli, sino all’età moderna, come «persecutore di demo-
ni» 29. La Vita di Filippo è stata giudicata giustamente il testo più re-
cente nella serie agiografica nella quale si colloca : essa non deve ri-
salire ad età anteriore alla metà del secolo IX, e forse fu composta
addirittura alla fine di quel secolo 30.
Tale datazione è comprovata dal fatto che la Vita di Filippo
d’Agira non figura nelle raccolte delle vite estese (i «menologi») re-
datte nel cuore del mondo bizantino. Le grandi raccolte agiografiche
bizantine – salvo qualche rarissima eccezione, come quella del «Me-
nologio imperiale» sopra citato, collezione del resto assolutamente
sui generis – sono praticamente conchiuse nel corso del secolo IX 31;
da esse traggono in sostanza lo schema e il contenuto dei loro rias-
sunti i compilatori dei testi raccolti nel Sinassario, che operano tra
la fine del IX secolo e i primi decenni del X 32.

23
BHG e BHG Nov. Auct. 1030.
24
BHG 57-62e; BHG Nov. Auct. 57-62.
25
A. Acconcia Longo, Santi greci della Calabria meridionale, in Calabria bi-
zantina. Testimonianze d’arte e strutture di territori, Soveria Mannelli, 1991, p. 211-
230, in particolare p. 211-218.
26
BHG 1668.
27
Vedi sopra, nota 10.
28
BHG 1531; BHG Nov. Auct. 1531-1531b.
29
Il domenicano Tommaso Fazello fu testimone di alcune guarigioni di in-
demoniati operate dal santo nel 1541 : cf. S. Pricoco, Da Fazello a Lancia di Brolo.
Osservazioni sulla storiografia siciliana e le origini del cristianesimo in Sicilia, in Il
Cristianesimo in Sicilia dalle origini a Gregorio Magno, Atti del Convegno di studi
organizzato dall’Istituto teologico-pastorale «Mons. G. Guttadauro», Caltanissetta,
1987, p. 19-39, precisamente p. 22.
30
Cf. S. Pricoco, Un esempio di agiografia regionale... cit., p. 362-364; Id.,
Monaci e santi di Sicilia... cit., p. 281-283.
31
Cf. E. Follieri, Il culto dei santi nell’Italia greca... cit., p. 559.
32
L’edizione classica del Sinassario di Costantinopoli è quella curata dal bol-

.
100 ENRICA FOLLIERI

Non sono però tali raccolte le sole fonti cui attingono i sinassari-
sti : essi utilizzano certamente sia calendari e libri liturgici locali,
come ad esempio il calendario di Cipro, sia testi letterari, come
l’opera di Eusebio di Cesarea sui martiri della Palestina. In tale am-
pio lavoro di compilazione non sfuggì loro tutto un gruppo di scritti
agiografici di provenienza italogreca, composti o almeno divulgati
troppo tardi per entrare nei menologi, ma ancora in tempo per esse-
re messi a frutto nei sinassari 33. A questi appartengono i romanzi
agiografici tradotti dal latino di Lucia e Gemignano 34, di Erasmo
martire a Formia 35, di Cesario e Giuliano martiri a Terracina 36, di
Apollinare vescovo di Ravenna 37, così come le altre romanzesche
narrazioni, attribuibili a un periodo compreso tra l’VIII e il IX seco-
lo e composte in greco, che hanno come protagonisti vescovi di Sici-
lia e di Calabria, quali il leggendario vescovo Nicone martire con 199
discepoli presso Taormina 38, Berillo e Severo vescovi di Catania 39,
Zosimo vescovo di Siracusa 40, Stefano vescovo di Reggio e martire 41.
L’introduzione nel menologio e nel sinassario costantinopolita-
no delle Vite e delle commemorazioni di questi santi d’Italia ha avu-
to come conseguenza la formazione a Bisanzio di una copiosa inno-
grafia liturgica dedicata alla maggior parte di essi 42. Tra gli innografi
che composero tali inni si distinsero, nel corso dell’intero secolo IX,
Teofane il «Graptòs», Giorgio di Nicomedia, e soprattutto Giuseppe
l’«Innografo» per antomasia, nato in Sicilia intorno all’816 ma pro-
fugo dall’isola verso la Grecia ancora giovinetto a causa dell’invasio-
ne araba e morto settuagenario a Costantinopoli 43.

landista H. Delehaye, Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae e codice Sir-


mondiano... adiectis synaxariis selectis, Bruxelles, 1902 (Propylaeum ad Acta Sanc-
torum Novembris) (poi citato Syn. Eccl. Cp.). Sulla cautela con la quale si deve
usare tale prezioso libro liturgico mette bene in guardia A. Luzzi, Studi sul Sinas-
sario di Costantinopoli, Roma, 1995 (Testi e studi bizantino-neoellenici, VIII),
p. 1-4.
33
Cf. E. Follieri, Il culto dei santi nell’Italia greca... cit., p. 560.
34
BHG 2241.
35
BHG e BHG Nov. Auct. 602.
36
BHG 284-285e; BHG Nov. Auct. 285f.
37
BHG 2038.
38
BHG e BHG Nov. Auct. 1369; Syn. Eccl. Cp. 555-557.
39
Syn. Eccl. Cp. 551-552 : 557.
40
Se ne possiede solo una versione latina, BHL 9026 : ma cf. Syn. Eccl. Cp.
411-412, 568, 573.
41
BHG 1668; Syn. Eccl. Cp. 800, 804; nuova edizione critica del sinassario in
A. Acconcia Longo, Santi greci della Calabria meridionale... cit., p. 228-230.
42
Sull’argomento in generale si veda : E. Follieri, Santi occidentali nell’inno-
grafia bizantina, in Atti del convegno internazionale sul tema : L’Oriente cristiano
nella storia della civiltà, Roma, 1964 (Accad. Naz. dei Lincei, Problemi attuali di
scienza e di cultura, Quaderno, 62), p. 261-271.
43
Cf. E. Follieri, Il culto dei santi nell’Italia greca... cit., p. 561-562.

.
I SANTI DELL’ITALIA GRECA 101

Dei «canoni» composti da Giuseppe è particolarmente interes-


sante quello dedicato alla memoria di s. Fantino di Tauriana, un an-
tico santo calabrese celebrato soprattutto per il suo sepolcro tauma-
turgico 44. Il dossier in lingua greca di Fantino «il Vecchio» – così
spesso oggi chiamato per distinguerlo da un omonimo più recente –
consiste in una Vita e in una raccolta di Miracoli conservati esclusi-
vamente in manoscritti italogreci 45. La Vita è preceduta dal nome
dell’autore, Pietro vescovo «occidentale», non altrimenti noto, e dal
medesimo autore si è ritenuto in genere – se pur con qualche riserva
– che fossero stati composti i venti miracoli che seguono la Vita. Ma
il canone di Giuseppe fa allusione soltanto agli episodi presentati
nella raccolta di miracoli, anzi, più precisamente, a quelli compresi
tra i primi diciotto fra essi. Essi «evidentemente circolavano in mo-
do indipendente dal resto del dossier del santo». L’osservazione è di
Augusta Acconcia Longo, alla quale va il merito di aver definitiva-
mente dimostrato il carattere composito del dossier di Fantino di
Tauriana : in esso una sezione a sè risulta costituita dai miracoli I-
XVIII, che furono noti all’Innografo; il vescovo Pietro compose sola-
mente la Vita di Fantino – un testo quanto mai generico, nel quale in
sostanza si dà risalto specialmente alla qualifica del protagonista,
«cavallaro», ossia guardiano di cavalli – e due miracoli di carattere
autobiografico (quelli oggi collocati al 19o e al 20o posto nelle serie
dei uay¥mata), nei quali egli narra la protezione accordatagli dal santo
in occasione di un suo viaggio a Costantinopoli con un’ambasceria
siciliana presso l’imperatore «Leone l’eretico» 46. Col sussidio della
Chronographia di Teofane l’episodio si colloca nel primo anno del re-
gno di Leone IV (salito al trono il 24 settembre 775), e l’opera di Pie-
tro, verosimilmente vescovo di Siracusa, si data alla fine del primo
iconoclasmo 47.
Ma di molti santi venerati nell’Italia greca non vi è ricordo alcu-
no né in scritti in prosa né in inni liturgici composti nel cuore
dell’Impero : essi rimasero ignoti, per quanto si sa, a Bisanzio, e nu-
merose agiografie ad essi relative, databili, grosso modo, in un pe-
riodo compreso fra l’VIII secolo e i primi anni del XIII, sono docu-
mentate solo in codici italogreci; di alcune poi sopravvivono soltan-
to versioni in latino.

44
Editio princeps : E. Follieri, Un canone di Giuseppe Innografo per s. Fanti-
no «il vecchio» di Tauriana, in Revue des études byzantines, 19, 1961, p. 130-151.
45
BHG e BHG Nov. Auct. 1508-1509.
46
A. Acconcia Longo, La Vita e i Miracoli di s. Fantino di Tauriana e l’identifi-
cazione dell’imperatore Leone «eretico», in Rivista di studi bizantini e neoellenici,
n. s., 32, 1995, p. 77-90.
47
A. Acconcia Longo, art. cit. nella nota precedente, p. 87-90.

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102 ENRICA FOLLIERI

Fra tali scritti ve ne sono che consistono in traduzioni di leggen-


darie narrazioni latine, come la Passione di san Mauro, un martire
che è detto – come rivela il nome – originario della Libia, ed ebbe
particolare culto a Gallipoli 48 ; come la Passione dei discussi martiri
romani Giovanni e Paolo 49 e quella di Ermete, Alessandro, Evenzio e
Teodulo martiri a Roma sotto Traiano 50. Si deve però rilevare che
quando di un testo si conoscono redazioni in greco e in latino talvol-
ta non è facile riconoscere la priorità di una tradizione rispetto al-
l’altra. É tale il caso della Passione dei santi lucani Vito, Modesto e
Crescenzia, martiri sotto Diocleziano 51. Il culto di Vito è antico, poi-
chè la chiesa a lui intitolata a Roma sull’Esquilino – poco lontano
dall’attuale chiesa dei SS. Vito e Modesto – risaliva al IV secolo, e
portò fino al secolo IX l’appellativo in Macello, dal vicino Macello di
Livia 52. Ma la narrazione di cui il fanciullo Vito è il protagonista, col
pedagogo Modesto e la nutrice Crescenzia, è ricca di elementi leg-
gendari, con numerose apparizioni di angeli e con l’episodio – tante
volte ricorrente nella letteratura agiografica – della mano del perse-
cutore paralizzata nell’atto di colpire il santo. Il rapporto esistente
fra le varie versioni latine e greche (queste ultime ancora inedite) è
stato risolto di recente da Salvatore Pricoco, che ha dimostrato esse-
re originale la tradizione in lingua greca 53.
Tra le produzioni degli agiografi italogreci alcune hanno un ca-
rattere completamente fantastico. Per la Passione dei santi Cassio-
doro, Senatore, Viatore e Dominata esistono più scritti relativamen-
te antichi, tre greci e uno latino, dipendente questo da uno dei testi
greci 54. «Tous les trois sont inédits – et dignes de l’être», scrisse lapi-
dariamente nel 1902 il bollandista Hippolyte Delehaye 55. Si tratta in
realtà di una narrazione che è puro frutto di fantasia, composta cer-
tamente in Calabria tra il secolo VIII e l’XI, e costruita con estrema
probabilità sulla base di un’iscrizione dalla quale sono stati tratti i
nomi, ben noti storicamente, di Cassiodorus Senator e del console
Viator, cui si è aggiunto, chissà per quale fraintendimento, quello di
«Dominata» : conclusione alla quale invano cercò di reagire chi ten-
tò di difendere l’esistenza storica dei quattro martiri, le cui presunte

48
BHG 2267.
49
BHG e BHG Nov. Auct. 2191.
50
BHG 2168.
51
BHG 1876-1876c; BHL 8711-8715; BHL Nov. Suppl. 8711-8714.
52
Cf. S. Pricoco, Un esempio di agiografia regionale... cit., p. 323, nota 13;
Id., Monaci e santi di Sicilia... cit., p. 244, nota 13.
53
S. Pricoco, Monaci e santi di Sicilia... cit., p. 244-245, nota 16.
54
BHG e BHG Nov. Auct. 1622-1623c; BHL Nov. Suppl. 7575a.
55
H. Delehaye, Saint Cassiodore, in Mélanges Paul Fabre, Parigi, 1902, p. 40-
50, precisamente p. 41; ristampa in Id., Mélanges d’hagiographie grecque et latine,
Bruxelles, 1966 (Subsidia hagiographica, 42), p. 179-188, precisamente p. 180.

.
I SANTI DELL’ITALIA GRECA 103

reliquie sarebbero state conservate nella cattedrale di San Marco Ar-


gentano e poi nella SS. Trinità di Venosa 56.
Non meno fantastica è la leggenda della vergine siciliana Mari-
na, nata, secondo l’anonimo agiografo, nel 1062, al tempo in cui
Ruggero conte di Sicilia metteva in fuga dall’isola gli empi Agareni 57.
Sul modello della protagonista di un altro ben noto romanzo agio-
grafico, quello di Marina-Marino 58, la Marina siciliana si veste da
monaco, non però per seguire, come quella, il proprio padre in un
cenobio maschile, ma per potersi imbarcare senza intralci verso la
Terra santa : ennesima ripresa del tema della «femme déguisée en
homme». L’editor princeps del testo greco, Giuseppe Rossi Taibbi, ha
messo giustamente in rilievo il carattere del tutto leggendario di
questo scritto, composto verisimilmente in Sicilia nel secolo XII.
Un capitolo nuovo dell’agiografia italogreca è costituito dalle Vi-
tae dei santi monaci siculo-calabresi che fiorirono tra la fine del
IX secolo e i primissimi anni del XIII. Queste Vitae monastiche,
composte a partire dal completamento della conquista araba della
Sicilia, «non hanno nulla in comune – scrive Augusta Acconcia Lon-
go – con l’agiografia italogreca del secolo precedente...» :

Non vi è più spazio per leggende eroiche di martiri o biografie di


santi vescovi, frutto di comunità ecclesiastiche cittadine che creano
modelli di santità per celebrare e nobilitare le origini delle chiese loca-
li ovvero per legittimarne le pretese di supremazia... Il protagonista
dominante nell’agiografia italogreca di questo periodo è il monaco,
spesso incolto, che non possiede niente, che non è legato a niente, tra-
scinato dagli eventi che lo spostano da una regione all’altra, e che tut-
tavia non abbandona mai la speranza e il senso concreto dell’esisten-
za, aggrappandosi con sempre rinnovate energie ai luoghi dove riesce
a trovare scampo. Abituato alla fatica, al digiuno, a ogni tipo di priva-
zione, e pronto a dispensare il poco che possiede a chi è più affamato
di lui... accompagna la santità e la vocazione ascetica con virtù più
concrete : le capacità organizzative, la sollecitudine verso i bisogni dei
propri cari e dei propri vicini, e doti di umanità e di diplomazia che gli
consentono di trattare, circondato di unanime considerazione, con gli
umili e con i potenti 59.

56
F. Russo, I Santi Martiri Argentanesi Cassiodoro, Viatore, Senatore e Domi-
nata. Storia e critica, Grottaferrata, 1952; Id., I martiri Argentanesi e le origini del
vescovato di San Marco Argentano, in Id., Scritti storici calabresi, Napoli, 1957,
p. 311-330.
57
BHG e BHG Nov. Auct. 1170.
58
Si veda la voce Marina/Marino, a cura di J.-M. Sauget, in Bibliotheca sanc-
torum, VIII, Roma, 1967, c. 1165-1170.
59
A. Acconcia Longo, Santi monaci italogreci alle origini del monastero di
S. Elia di Carbone, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, n. s., 49-50,
1995-1996, p. 148-149.

.
104 ENRICA FOLLIERI

Questa agiografia monastica, si può aggiungere, nasce dal ceno-


bio e del cenobio – nel quale spesso rimane confinata – vuole essere
celebrazione, esaltandone il protagonista, che risplende con la sua
virtù, la sua saggezza e il suo carisma taumaturgico in un’epoca di
grave turbamento sociale ed economico.
Anche in queste Vitae – ovviamente di qualità letteraria e docu-
mentale assai varia – si incontrano elementi topici propri del genere
agiografico; vi è quasi immancabilmente presentato l’iter seguito re-
golarmente dal monaco nel suo cammino verso la perfezione, dal ce-
nobio al romitorio e poi di nuovo al cenobio; ma gli sfondi delle nar-
razioni e i personaggi che le animano offrono spesso allo storico una
serie di indicazioni utili per ricostruire gli ambienti, le mentalità, le
vicende che caratterizzarono gli ultimi secoli della presenza bizanti-
na in Italia e i primi tempi della dominazione normanna 60.
La più antica fra tali Vitae è quella di sant’Elia da Enna, detto il
Giovane per distinguerlo dall’antico profeta biblico Elia 61. Essa fu
scritta – nota l’editore moderno della Vita, Giuseppe Rossi Taibbi –
fra il 930 e il 940, qualche decennio dopo la morte del santo, av-
venuta nel 903 62. L’autore, anonimo, fu certamente un monaco, pro-
babilmente appartenente al cenobio che Elia aveva fondato in Cala-
bria nella regione delle Saline, non lontano da Seminara, intorno
all’884. La Vita appare opera di un dotto, delle cui molte letture si ri-
conoscono gli echi in numerosi luoghi : egli ebbe familiari – oltre
l’Antico e il Nuovo Testamento – la Vita di Antonio scritta da Atana-
sio di Alessandria, gli scritti di Teodoreto di Cirro, le Vitae dei mona-
ci di Palestina composte da Cirillo di Scitopoli, gli scritti dei Padri –
Basilio, Gregorio di Nazianzo, Giovanni Crisostomo. La narrazione,
pur accogliendo elementi storici, è nella prima parte – scrive Salva-
tore Pricoco – «un fantasioso romanzo agiografico» 63 ; essa sembra
un prodotto di transizione tra le opere degli agiografi italogreci del-
l’età precedente e la nuova agiografia monastica.
Elia, nato ad Enna da genitori illustri e pii, a soli otto anni ottie-
ne da Dio il dono della preveggenza. Una apparizione notturna gli
annuncia che raggiungerà l’Africa prigioniero, che vi sarà servo, e
condurrà alla fede molti in quella terra. I genitori, intimoriti, gli vie-

60
Ancora importante, benchè in qualche punto superata, l’opera di S. Borsa-
ri, Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell’Italia meridionale prenormanne,
Napoli, 1963.
61
BHG e BHG Nov. Auct. 580.
62
G. Rossi Taibbi, Vita di Sant’Elia il Giovane, Palermo, 1962 (Istituto sicilia-
no di studi bizantini e neoellenici. Testi, 7), p. XVIII.
63
S. Pricoco, Un esempio di agiografia regionale... cit., p. 366; Id., Monaci e
santi di Sicilia... cit., p. 285.

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I SANTI DELL’ITALIA GRECA 105

tano di uscire dalla città; ma la profezia deve avverarsi. Un giorno


che i genitori sono lontani da casa, alcuni coetanei vanno a trovare il
fanciullo e lo convincono ad uscire dalla città con loro; tutti vengo-
no catturati dai pirati Saraceni, e trascinati sulla loro nave. Elia ca-
de in preda allo sconforto : ma in sogno gli appare un cavaliere bian-
covestito, che si rivela come Anania discepolo di Cristo, e gli predice
che egli e tutti i suoi compagni saranno presto liberati. Anania, il
battezzatore di Paolo, è in realtà, scrive l’agiografo, secondo l’etimo-
logia, l’«offerta della grazia di Dio». La liberazione infatti non tarda,
ad opera di una velocissima nave proveniente da Siracusa, che so-
praffà i Saraceni e salva i prigionieri. Dopo tre anni una nuova rive-
lazione esorta il fanciullo a raggiungere l’Africa : ciò si realizza pre-
sto per una nuova incursione di Saraceni che ancora una volta cat-
turano Elia, lo portano in Africa e lo vendono a un Cristiano,
conciapelli di mestiere. Questi si affeziona ad Elia e lo mette a capo
della sua casa. Ma il demonio, invidioso qual’è del bene, cerca di ri-
durre in suo potere Elia con la nostalgia dei suoi familiari; risultato
vano questo tentativo, fa sì che la moglie del padrone si invaghisca
del giovane e lo tenti, come la moglie di Putifarre fece col casto Giu-
seppe. Come Giuseppe, Elia la respinge; come Giuseppe, viene ca-
lunniato dalla donna davanti al marito; come Giuseppe, è severa-
mente punito e imprigionato, ma alla fine la sua innocenza trionfa,
la donna è scacciata ed Elia è onorato.
Riscattatosi, Elia medita di recarsi in Terra santa; una nuova
apparizione soprannaturale lo incoraggia a farlo e gli annuncia che
d’ora in poi sarà dotato del potere di guarire ogni malattia e infermi-
tà. Ciò puntualmente si realizza : i miracoli operati da Elia induco-
no alcuni Saraceni a chiedere il battesimo. Accusato, processato,
imprigionato, Elia, ancora una volta incoraggiato da una voce divi-
na, è liberato in maniera soprannaturale. Può quindi raggiungere
Gerusalemme, e qui ottenere la tonsura da Elia, il patriarca della
Città Santa, ricevendo da lui anche il nome monastico. Comincia la
vita consacrata di Elia, che lo condurrà, dopo una serie di pellegri-
naggi ai luoghi santi della Palestina, dell’Egitto, della Siria, ad un
nuovo approdo in Sicilia, ad una nuova peregrinazione verso la Gre-
cia a causa dei vittoriosi attacchi dei Saraceni contro l’isola, e infine
alla fondazione del cenobio calabrese. L’ultimo viaggio di Elia, or-
mai vecchio e sofferente, ha come meta Costantinopoli, su invito
dell’imperatore Leone VI; ma il santo non riesce a raggiungere la
città imperiale, perchè si spegne a Tessalonica, dopo aver annuncia-
to, con un’ennesima profezia, il saccheggio della città macedone da
parte degli Arabi. Il suo corpo, incorrotto, sarà trasportato dal disce-
polo Daniele in Calabria, nel cenobio delle Saline. A questo cenobio
poi l’imperatore Leone VI avrebbe assegnato, narra l’agiografo, pos-
sedimenti e copiose rendite.

.
106 ENRICA FOLLIERI

Secondo Guido Guidorizzi, nella prima parte della Vita di Elia il


Giovane si lascia scorgere nitidamente una trama fiabesca ricondu-
cibile alle analisi di Vladimir Propp :
Dal punto di vista dei personaggi, egli scrive, abbiamo un eroe
fanciullo, dotato di poteri straordinari (il dono della profezia), un an-
tagonista invidioso (il demonio e in subordine la moglie del conciapel-
li), un aiutante meraviglioso (il cavaliere biancovestito).
Ma, come avverte Propp, «ciò che più conta nella fiaba non sono
tanto i personaggi quanto le funzioni che costituiscono l’intreccio» :
Ora, isolando le funzioni narrative di questa Vita, il rapporto con
la trama fiabesca emerge con particolare evidenza; sul piano delle
funzioni, si possono circoscrivere chiaramente i temi della missione
da compiere (indicata nella profezia iniziale), del divieto (i genitori
impediscono ad Elia di allontanarsi dalla città perchè la profezia non
si compia), dell’infrazione (per due volte Elia aggira il divieto), del-
l’allontanamento (la deportazione in Africa; l’iterazione di questo te-
ma è un altro elemento tipico del racconto fiabesco), della prova...
dell’intervento di un aiutante divino... della vittoria sull’antagonista...
della realizzazione del compito iniziale... Tutto ciò è organizzato in un
intreccio ben preciso ed organico, nel quale si esaurisce il racconto di
un segmento di vita del protagonista : la sua vita «laica», che lo predi-
spone a quella monacale, dove Elia troverà il perfetto compimento
della sua umanità 64.
La seconda parte della Vita di Elia da Enna ha, a differenza della
prima, copiosi riferimenti storici. Il «Leitmotiv» che vi risuona è
quello della minaccia degli Arabi; ad essa si riferiscono le ripetute
profezie del santo, che si collocano in corrispondenza con precisi av-
venimenti : la vittoria dei Bizantini nelle acque di Milazzo nell’ago-
sto 880, la sconfitta da essi subita nell’estate dell’881, l’assalto sara-
ceno contro Reggio del settembre 888, la conquista della città da
parte dell’Ismaelita Bulambès, la conquista di Taormina del 1o ago-
sto 902, infine il sacco di Tessalonica del 31 luglio 904. Il tema del
carisma taumaturgico di Elia è ampiamente sfruttato : l’agiografo
abbonda nella narrazione dei miracoli compiuti dal protagonista in
vita e dopo la morte, e concludendo dichiara di aver narrato questi
fatti «avendoli scelti fra molti; e infatti ve ne sono in verità molti al-
tri» 65.
Di un altro Elia ci è giunta la Vita : egli è noto come Elia lo Spe-
leota dalla spelonca, posta nei pressi di Melicuccà in Calabria, dove

64
G. Guidorizzi, Motivi fiabeschi nell’agiografia bizantina, in P. L. Leone (a
cura di), Studi bizantini e neogreci. Atti del IV Congresso nazionale di studi bizanti-
ni, Lecce-Calimera, aprile 1980, Galatina, 1983, p. 457-467, precisamente p. 461-
462.
65
Ed. Rossi Taibbi... cit., cap. 76 (p. 120-121).

.
I SANTI DELL’ITALIA GRECA 107

il santo monaco raccolse la sua comunità 66. Elia lo Speleota, nativo


di Reggio, è più giovane di Elia da Enna : ma il suo biografo ebbe a
propria disposizione informazioni molto più vaghe di quelle di cui
poté usufruire – almeno per la seconda parte della sua agiografia – il
biografo dell’altro Elia. Lo schema della Vita dello Speleota ha qual-
che affinità con quello del suo omonimo, benchè i viaggi che riem-
piono la prima parte del racconto si svolgano in ambito più ridotto :
nascita da pii e nobili genitori, vocazione ascetica, viaggio in Sicilia
con un compagno che non persevera, pellegrinaggio a Roma, ritorno
a Reggio e progressi nella virtù, sotto la guida di un sant’uomo di
nome Arsenio, prima in una località non lontana dalla città, poi
presso il paese di Armo; fuga dei due asceti dalla Calabria dopo aver
previsto, per divina rivelazione, una imminente incursione dei Sara-
ceni, loro approdo e soggiorno a Patrasso, ritorno ad Armo. Questa
parte, arricchita dalla narrazione di numerosi prodigi e di varie peri-
pezie, si conclude con la morte di Arsenio. Ma in essa merita atten-
zione quanto l’agiografo scrive sui rapporti di amicizia e di stima
che legavano Arsenio e il suo discepolo con il celebre Elia di Enna.
Questi anzi, sul punto di partire per Costantinopoli, avrebbe prean-
nunciato a coloro che lo accompagnavano in lacrime che un altro
Elia sarebbe giunto a guidarli sulla via della virtù, e raccomandato
al discepolo Daniele di mandare a chiamare, dopo la sua morte, il
discepolo di Arsenio, perchè questi avrebbe potuto bene governare il
suo gregge. Ciò infatti avviene : morti Elia da Enna e Arsenio, Da-
niele manda a chiamare Elia da Reggio, e con lui si intrattiene, dopo
averne messo alla prova la virtù : ma Elia preferisce poi allontanarsi
per vivere altrove in solitudine. É a questo punto che egli si ritira in
una spelonca nei pressi di Melicuccà, destinata a divenire presto il
centro di una numerosa comunità.
Germaine Da Costa Louillet ha osservato che le relazioni fra
Elia + Arsenio ed Elia + Daniele citate in questo testo appaiono ab-
bastanza sospette. L’agiografo, ella ritiene, avrà messo i due Elia in
rapporto fra loro perchè portavano lo stesso nome e vivevano nella
stessa regione nella stessa epoca, ma non doveva avere su di ciò in-
formazioni precise 67. Meglio però Salvatore Pricoco rileva che il col-
legamento istituito dall’autore della Vita dello Speleota fra i due san-
ti e le due tradizioni monastiche è dovuto ad un consapevole propo-
sito più che alla confusione ingenerata dall’omonimia 68. Certo Elia
da Enna è un termine di confronto cui il biografo di Elia lo Speleota

66
BHG 581.
67
Da Costa-Louillet, Saints de Sicile et d’Italie méridionale... cit. (vedi sopra,
nota 4), p. 117, nota 1.
68
S. Pricoco, Un esempio di agiografia regionale... cit., p. 374 e nota 112; Id.,
Monaci e santi di Sicilia... cit., p. 293 e nota 96.

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108 ENRICA FOLLIERI

fa spesso riferimento, e la stessa data della morte dello Speleota


(11 settembre) è messa in relazione con il dies natalis di Elia da
Enna (17 agosto), perchè lo Speleota, dice la sua Vita, morì 25 giorni
dopo esser andato a venerare il sepolcro del santo suo omonimo nel
giorno della festa di lui.
Nella spelonca Elia passò il resto dell’esistenza, a capo di una
comunità sempre più numerosa, operando prodigi di ogni genere.
Tra l’altro predisse la morte violenta del patrizio Giovanni Byzalon,
stratego di Calabria, ribellatosi all’imperatore. Numerosi sono anche
i miracoli post mortem elencati alla fine. Il racconto termina con la
richiesta di perdono da parte dell’agiografo per aver osato affronta-
re, nella sua ignoranza, un’impresa superiore alle sue forze, e con
l’invocazione della protezione del santo sul suo gregge.
In effetti, la Vita di Elia lo Speleota, pur nella copia dei fatti nar-
rati, presenta pochi elementi riconducibili ad eventi storici precisi.
Le date assolute che si possono collegare con alcuni episodi della
Vita sono le seguenti : anno 888, vittoria navale dei Saraceni a Mi-
lazzo sulla flotta bizantina, e conseguente sacco di Reggio e di altri
centri della Calabria meridionale (si collega con tale evento la fuga a
Patrasso di Elia e del suo padre spirituale Arsenio); anno 903, morte
di Elia da Enna (dopo questa data, secondo l’agiografo, Elia da Reg-
gio sarà l’erede spirituale dell’altro Elia); anni 921/922 (morte violen-
ta del patrizio Giovanni Byzalon, predetta da Elia). Le allusioni che
si trovano qua e là a incursioni di Saraceni in Calabria non si posso-
no datare precisamente, data la frequenza di tali eventi.
A un certo punto della narrazione, l’agiografo ricapitola la cro-
nologia della Vita di Elia, indicando la durata delle varie fasi della
sua esistenza. Queste indicazioni si rivelano però fittizie, perchè so-
no ricalcate su quelle della Vita di sant’Eutimio composta da Cirillo
di Scitopoli; ciò trova conferma dai molti altri luoghi della Vita del
santo calabrese in cui la Vita Euthymii è riprodotta parola per paro-
la 69. Si potrà dunque concludere che Elia è certamente un personag-
gio storico, nato a Reggio tra l’860 e l’870, fondatore del cenobio di
Melicuccà, nella grotta ove ancora ne permane il culto, e quivi mor-
to nel secolo X inoltrato; ma molte delle notizie riportate nella sua
Vita sono di dubbia autenticità.
Un cospicuo gruppo di Vitae agiografiche ha come protagonisti
monaci siciliani del secolo X che iniziarono il loro cammino asceti-
co nel monastero di Agira intitolato a S. Filippo, e poi, varcato lo
stretto di Messina, emigrarono in Calabria 70. La causa della loro par-

69
Questo aspetto della Vita di Elia lo Speleota è stato messo in evidenza da
E. Follieri, La Vita di san Fantino il Giovane. Introduzione, testo greco, traduzione,
commentario e indici, Bruxelles, 1993 (Subsidia hagiographica, 77), p. 104-112.
70
Si vedano : C. Pasini, Vita di s. Filippo d’Agira attribuita al monaco Euse-

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I SANTI DELL’ITALIA GRECA 109

tenza è regolarmente attribuita alle incursioni dei Saraceni e alla


conseguente carestia.
Le sole Vitae di questo gruppo che ci siano pervenute nella loro
originaria redazione in lingua greca sono le due composte da Oreste,
patriarca di Gerusalemme, per i membri di una famiglia siciliana
vissuti nel X secolo : uno degli scritti illustra le vicende del capofa-
miglia, Cristoforo da Collesano, e di uno dei suoi figli, Macario 71;
l’altro è dedicato specialmente alla biografia dell’altro figlio di Cri-
stoforo, Saba, il rappresentante più illustre della famiglia 72. Oreste,
patriarca di Gerusalemme dal 986, morì a Costantinopoli nel 1005
– vi si era recato qualche anno prima per negoziare una pace dure-
vole tra il califfo al-Hakim e i Bizantini 73 –, ma dovette conoscere
personalmente i monaci italogreci di cui scrisse le Vitae, e fu a sua
volta ben noto nell’ambiente calabrese, se il suo nome è citato tra
quelli dei patriarchi defunti in un rotolo liturgico greco oggi a Mes-
sina, il ms. S. Salv. 177 della Biblioteca Universitaria di Messina, co-
piato nella regione di Rossano Calabro poco dopo la sua morte 74.
Secondo quanto narra Oreste nella Vita di Cristoforo e Macario,
Cristoforo, chiamato da una visione alla vita monastica, fu tonsura-
to nel cenobio di Agira. Dopo un certo periodo di tirocinio, l’egume-
no di S. Filippo, Niceforo, gli prescrisse di trasferirsi nella vicina
chiesa dell’arcangelo Michele, a Ctisma, per dedicarvisi alla vita ere-
mitica. Là Cristoforo fu raggiunto dai figli Saba e Macario, aspiranti
a seguire l’esempio del padre, e dalla moglie Kalì, che fondò un mo-
nastero femminile. Uomini e donne accorsero presso di loro per se-
guirne l’esempio. Ma la gravissima carestia provocata dai saccheggi
compiuti dai Saraceni nell’intera Sicilia costringe Cristoforo e i suoi
a lasciare la terra natale e a rifugiarsi in Calabria, dove raggiungono,
nella zona al confine con la Lucania, la regione del Mercurio, costel-
lata di monasteri e di romitori, vi erigono una chiesa dedicata all’ar-
cangelo Michele, e raccolgono accanto ad essa una comunità mona-
stica. Cristoforo affida l’egumenato a Saba, per potersi recare, rea-
lizzando un suo ardente desiderio, in pellegrinaggio a Roma;
durante il viaggio, una violenta tempesta coglie la nave dei pellegri-
ni, ma al canto di un inno alla Ueoto¥kov intonato da Cristoforo il

bio, Roma, 1981 (Orientalia christiana analecta, 214), p. 14-17; S. Pricoco, Un


esempio di agiografia regionale... cit., p. 372-373; Id., Monaci e santi di Sicilia...
cit., p. 290-292.
71
BHG 312.
72
BHG 1611.
73
Cf. V. von Falkenhausen, La Vita di s. Nilo come fonte storica per la Cala-
bria bizantina, in Atti del Congresso internazionale su s. Nilo di Rossano, Rossano-
Grottaferrata, 1989, p. 271-305, precisamente p. 294-295.
74
Cf. A. Jacob, La date, la patrie et le modèle d’un rouleau italo-grec, in Heli-
kon, 22-27, 1982-1987, p. 109-125, specialmente p. 115-121.

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110 ENRICA FOLLIERI

mare si calma prodigiosamente 75. Una incursione di Saraceni in Ca-


labria spinge parte dei monaci, e con essi Cristoforo e i suoi, ancora
più a nord, nel Latiniano, il territorio attraversato dal fiume Sinni.
Qui Cristoforo, in avanzata vecchiaia, muore, e poco dopo muore
anche la moglie Kalì. Saba gli succede nella guida dei monasteri del
Mercurio, del Latiniano e di Lagonegro; poi si trasferisce a Roma e
qui muore, come racconta più ampiamente la sua Vita. Prende allo-
ra la direzione delle comunità monastiche già affidate a Saba suo
fratello Macario, monaco di somma virtù. Egli morì, scrive Oreste,
dieci anni dopo la morte di Saba. Era, si conviene in genere, l’an-
no 1000.
Rilevanza maggiore ha la personalità del monaco Saba, al quale
Oreste ha giustamente dedicato una specifica narrazione. I suoi pri-
mi anni si svolgono all’ombra del padre Cristoforo, che Saba segue
nella scelta monastica; ma ben presto gli viene affidata la direzione
delle comunità che si vanno formando intorno a lui e al padre, pri-
ma in Sicilia, poi in Calabria, al Mercurio, al Latiniano. Come il pa-
dre, Saba compie il pellegrinaggio a Roma, un episodio che Oreste
narra con molti particolari, per sottolinearne il carattere spirituale e
insieme provvidenziale, dall’incontro col monaco proveniente dalle
regioni di Oriente che a Saba si accompagna, alla visione degli apo-
stoli Pietro e Paolo che accanto a Saba presiedono al governo della
nave, alla guarigione per mano di Saba di un ossesso nel tempio del
martire romano Pancrazio ad Albano nei pressi di Roma. La fama di
taumaturgo che circondò Saba è illustrata da Oreste con numerosi
esempi : profezie, guarigioni di corpi e di anime, dominio sulla na-
tura, moltiplicazione di cibi, resurrezione di morti, fatti che spesso
sono corredati da indicazioni precise di luoghi e di persone.
A Saba da Collesano furono affidate anche delicate missioni di-
plomatiche. Romano, catepano d’Italia e di Calabria, lo inviò a Ro-
ma presso Ottone II, re di Germania e imperatore d’Occidente, che
si preparava ad attaccare i possedimenti bizantini – il fatto si colloca
nella prima metà del 981 – con l’incarico di indurlo alla pace. Ma
l’ambasceria non giunse a buon fine, perchè una nuova sanguinosa
scorreria dei Saraceni in Calabria convinse Ottone a muovere con il
suo esercito verso la Longobardia. Più tardi, rifugiatosi Saba con i
suoi monaci, sempre a causa dei Saraceni, nel principato salernita-
no, fu il principe di Salerno che lo inviò a Roma presso il sovrano
sassone – era ora questi Ottone III, figlio del precedente – per otte-
nere il riscatto di suo figlio, ostaggio presso Ottone da tempo. La

75
Su questo episodio cf. E. Follieri, La Salve Regina in greco, in Classica et
mediaevalia : Studies in Honor of Joseph Szövérffy, Washington-Leida, 1986 (Me-
dieval classics : Texts and studies, 20), p. 57-66, precisamente p. 57-58.

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I SANTI DELL’ITALIA GRECA 111

missione ebbe pieno successo, e ciò indusse un patrizio amalfitano a


supplicare Saba perchè ripetesse la medesima richiesta al sovrano
per il proprio figliolo 76. Saba acconsentì, e mentre si accingeva a
partire, una visione gli rivelò che, dopo aver ottenuto la liberazione
del fanciullo, in Roma avrebbe terminato la propria vita. E così av-
venne : Saba morì a Roma, nel monasterio di San Cesario, il 6 feb-
braio del 990.
Gli scritti di Oreste, e specialmente la Vita di Saba, sono fra le
agiografie italogreche più interessanti. Il contenuto rivela in più luo-
ghi il testimone oculare, la forma è raffinata. Purtroppo non ne ab-
biamo ancora una buona edizione critica.
Delle Vitae di tre santi provenienti dal monastero di Agira, e poi
come Cristoforo e i suoi passati nell’Italia continentale, possediamo
solo le versioni in latino : sono Leone-Luca da Corleone 77, Luca di
Armento 78, Vitale da Castronuovo 79. Leone, nato a Corleone in Sici-
lia, rimasto orfano dei genitori chiede di vestire l’abito monastico ad
Agira, ma un santo monaco gli consiglia, prevedendo le future scor-
rerie dei Saraceni, di passare in Calabria. Dopo aver compiuto un
pellegrinaggio a Roma, Leone si presenta a un piccolo cenobio sul
monte Mula, nella Calabria settentrionale, e qui è consacrato mona-
co dall’egumeno Cristoforo col nome di Luca. Luca e Cristoforo fon-
dano quindi un monastero nella regione del Mercurio, e successiva-
mente un altro a Vena, tra le montagne di Mormanno, nella diocesi
di Cassano. Qui, morto Cristoforo, Leone-Luca diviene egumeno, vi-
vendo santamente ed operando prodigi. La Vita non offre per Leone-
Luca nessuna indicazione cronologica : la datazione più verosimile
pare il secolo X.
Luca, detto di Armento dal monastero che egli fondò e diresse
nell’ultima parte della sua vita, era nato a Demenna in Sicilia; nono-
stante l’opposizione dei genitori, volle vestire l’abito monastico, ed
entrò – come tanti suoi contemporanei – nel monastero di S. Filippo
d’Agira. Di qui passò nella Calabria meridionale, attirato dalla fama
di santità che circondava Elia lo Speleota, ma poi, prevedendo una
prossima invasione dei Saraceni, si trasferì a Noa, ai confini tra la
Calabria e la Lucania, e successivamente in un luogo solitario, sulle
rive del fiume Agri. Al monastero di San Giuliano, che egli vi restau-
ra, affluiscono numerosi discepoli ed accorrono malati e questuanti,
che Luca guarisce e benefica. Ma una nuova calamità minaccia la
regione : la spedizione di Ottone I, della primavera del 969, contro i

76
É probabile, come mi comunica Filippo Burgarella, che queste due ultime
missioni siano lo sdoppiamento di un’unica vicenda.
77
BHL 4842.
78
BHL 4978.
79
BHL 8697.

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112 ENRICA FOLLIERI

domini bizantini dell’Italia meridionale. Luca e i suoi discepoli scel-


gono come rifugio un’altra località, posta in una posizione facilmen-
te difendibile : sarà questo il monastero di Armento, dove il santo
passerà gli ultimi anni della sua vita, operando prodigi e fondando o
restaurando chiese e monasteri. In occasione di un’ennesima incur-
sione di Saraceni non esiterà a porsi a capo di un gruppo di monaci,
scelti fra i più robusti, per attaccare e sconfiggere i razziatori, con
una vera e propria battaglia : episodio questo del tutto inconsueto
nelle agiografie monastiche. Luca si spegne santamente il 13 ottobre
984; alla sua morte è presente Saba da Collesano, che gli dà sepoltu-
ra, narra l’agiografo, con le proprie mani con grandi onori 80.
Vitale da Castronuovo era dotto, scrive il suo biografo, nelle
scienze sacre e profane. Vestito l’abito monastico a S. Filippo d’Agi-
ra, vi rimase cinque anni, e poi iniziò una vita errabonda. Compiuto
il tradizionale pellegrinaggio a Roma, si stabilì in Calabria, presso la
città di Santa Severina. Dopo due anni tornò in Sicilia, in un mona-
stero dell’Etna, posto di fronte al monastero di S. Filippo dove si era
fatto monaco; emigrò poi nuovamente in Calabria, passando di luo-
go in luogo : Cassano, Petra Roseti, S. Chirico Raparo, il monte
San Giuliano sono le tappe di questo suo incessante migrare. Passò
quindi al monastero di S. Elia di Missanello; di là si ritirò in una
grotta posta in una valle tra i monti di Turri e d’Armento, e qui rice-
vette la visita di san Luca d’Armento, che risiedeva non lontano, ed
ebbe modo di constatare la santità del suo ospite. Dalla sua vita ere-
mitica lo trassero per breve tempo due monaci, che lo condussero
con loro a Bari a incontrare il catepano Basilio. É questo il solo ap-
piglio cronologico nella Vita di Vitale, ma nemmeno esso fornisce
un’indicazione sicura, giacché i catepani di Bari di nome Basilio og-
gi noti per un’epoca compatibile con la biografia di Vitale sono due,
Basilio Mesardonites (1010-1016) e Basilio Boioannes (1017-1028).
Tornato alla sua grotta, e scoperta nei pressi una diruta chiesetta de-
dicata ai santi Adriano e Natalia, la ricostruì e vi riunì dei monaci,
fondando così un monastero. Allontanatosi anche di lì, si recò prima
nei dintorni di Turri, e poi ancora più a nord, nei dintorni di Rapol-
la, in un luogo silvestre e montagnoso, dove i suoi monaci lo rag-
giunsero e dove morì e fu sepolto.
Anche Vitale possiede il carisma dei miracoli e il dono della pro-
fezia; esercita inoltre una severissima ascesi, passando tutte le notti
immerso nell’acqua. Da notare inoltre come siano ricorrenti in que-
ste Vitae i rapporti tra l’uno e l’altro santo : Saba da Collesano è pre-

80
Su Luca di Armento si veda quanto scrive A. Acconcia Longo, Santi mona-
ci italogreci alle origini del monastero di S. Elia di Carbone cit. (vedi sopra no-
ta 59), p. 132-138, dimostrando l’impossibilità di identificarlo col fondatore del
monastero dei SS. Elia e Anastasio di Carbone.

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I SANTI DELL’ITALIA GRECA 113

sente alla morte di Luca d’Armento, Luca d’Armento fa visita a Vita-


le e ne constata la santità. Sono relazioni che gli agiografi sottolinea-
no, o forse istituiscono, come nel caso dei due Elia, per corroborare,
con una testimonianza autorevole, la santità del protagonista delle
loro narrazioni 81.
Una osservazione analoga si può formulare per la Vita di Nico-
demo di Cellarana, una breve agiografia che l’autore – un non me-
glio noto monaco Nilo – dichiara di aver composto su richiesta di al-
cuni confratelli 82. La trama della Vita di Nicodemo è semplicissima :
nato nel villaggio calabrese di Sigrò presso Palmi, nel territorio delle
Saline, Nicodemo entrò nella vita monastica in un cenobio dedicato
a san Fantino il Vecchio – sito verosimilmente a Tauriana – sottopo-
nendosi alla guida di un santo monaco di provetta virtù. Dopo molti
anni, sospinto da un’incursione di Saraceni, Nicodemo lasciò il ce-
nobio e scelse la vita eremitica sul monte Cellarana, presso Mammo-
la; dopo averne scacciato i demoni, vi eresse un oratorio dedicato a
san Michele. La fama del santo attirò discepoli e una folla di devoti,
che chiedevano il suo soccorso in ogni tipo di necessità. Nel séguito
della narrazione è un susseguirsi di prodigi : guarigioni di ossessi,
punizione di peccatori impenitenti, dominio sugli animali, liberazio-
ne di prigionieri; fin nella morte Nicodemo rivelò il suo carismo tau-
maturgico, poiché il suo volto rimase immutato e risplendette di lu-
ce soprannaturale. Ora, nella Vita di Nicodemo si citano sia Elia da
Enna sia Elia lo Speleota : nella sua umiltà, un paio di volte Nicode-
mo esorta, senza essere però ascoltato, chi gli chiede la liberazione
della possessione diabolica a rivolgersi ai due santi taumaturghi;
una volta poi, recatosi nel monastero dello Speleota per pregare, vi
trova un indemoniato che si trova là da tempo senza ottenere benefi-
cio alcuno. In tutti questi casi l’intervento di Nicodemo è decisivo.
Augusta Acconcia Longo osserva in proposito che episodi del genere
indicano una certa rivalità «taumaturgica» tra il monastero di Cella-
rana e i certamente più famosi monasteri delle Saline e di Melicuc-
cà 83.
Una personalità di primissimo piano tra i santi dell’Italia greca è
quella di Nilo da Rossano, fondatore, alla vigilia della morte (av-
venuta il 25 settembre 1004), del monastero di Grottaferrata alle
porte di Roma – il solo tra i monasteri greci d’Italia ancora oggi esi-
stente. Questo personaggio eccezionale ha avuto in sorte un biogra-
fo altrettanto eccezionale, così che la Vita di Nilo (Nilo il Giovane

81
Si veda ancora lo studio di A. Acconcia Longo citato nella nota preceden-
te, p. 140-145.
82
BHG e BHG Nov. Auct. 2305.
83
A. Acconcia Longo, Santi greci della Calabria meridionale cit. (vedi sopra,
nota 25), p. 224.

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114 ENRICA FOLLIERI

nel titolo dell’opera, per distinguerlo dall’antico Nilo di Ancira) è


giustamente considerata il capolavoro dell’agiografia italogreca 84.
Composta nel cenobio di Grottaferrata qualche anno dopo la morte
del protagonista, da un discepolo del santo che una tradizione crip-
tense vorrebbe identificare, senza sufficiente fondamento, con Bar-
tolomeo, terzo egumeno dello stesso monastero 85, la Vita di Nilo
emerge tra le altre agiografie italogreche per ricchezza e attendibili-
tà di notizie e per qualità letteraria.
La vicenda personale di Nilo si ricostruisce con relativa precisio-
ne attraverso le indicazioni della Vita e i riferimenti a personaggi ed
eventi storici di cui essa abbonda 86. Nilo, che morirà novantacin-
quenne, nacque a Rossano – una delle più importanti città della Ca-
labria bizantina – nel 910 circa. Dotato di brillante intelligenza e di
vivaci interessi culturali, si distinse presto tra i suoi concittadini; e
non sono queste solo espressioni retoriche, perché le doti di osserva-
zione psicologica e le capacità organizzative di Nilo emergono nel
prosieguo della narrazione. Contratto matrimonio con la più bella
tra le fanciulle di Rossano, ne ebbe una figlia. Ma sui trent’anni, col-
pito da una grave malattia, sentì nascere in sé la vocazione monasti-
ca : lasciò la famiglia – come il diritto canonico bizantino gli con-
sentiva –, lasciò la città natale e, con la guida di un monaco, si dires-
se verso la regione del Mercurio, ai confini tra Calabria e Lucania,
celebre per i suoi romitori e i suoi monasteri. Accolto benevolmente
dagli egumeni del luogo, non poté tuttavia ricevere da loro l’abito
monastico, perché giunse ai monasteri del Mercurio un minaccioso
veto da parte del governatore bizantino. Per questo Nilo si diresse
oltre il confine del tema bizantino di Calabria, nel principato di Sa-
lerno, e fu consacrato monaco nel monastero di San Nazario.
Passati solo 40 giorni a San Nazario, Nilo tornò tra i padri del
Mercurio, fra i quali si legò con particolare affetto al dotto e saggio
Fantino. Dopo una prima esperienza cenobitica, Nilo passa alla vita

84
BHG e BHG Nov. Auct. 1370.
85
Sulla data di composizione e sull’autore della Vita Nili si veda J.-M. San-
sterre, Les coryphées des apôtres, Rome et la papauté dans les Vies des saints Nil et
Barthélemy de Grottaferrata, in Byzantion, 55, 1985, p. 516-543, specialmente
p. 517-520. La tradizione che considera autore della Vita Bartolomeo, già com-
battuta dal bollandista F. Halkin (cf. interventi citati presso Sansterre, art. cit.,
p. 518, nota 6) è stata oggi ulteriormente invalidata dal confronto tra la lingua
della Vita e quella degli inni sicuramente autentici di Bartolomeo : cf. E. Follieri,
L’autore della Vita di san Nilo da Rossano, comunicazione presentata al Convegno
«L’abbazia di Grottaferrata : una millenaria presenza bizantina nel Lazio».
86
Fondamentale per la valutazione di questi elementi della Vita lo studio di
V. von Falkenhausen, La Vita di san Nilo come fonte storica, citato sopra a no-
ta 73.

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I SANTI DELL’ITALIA GRECA 115

eremitica, trasferendosi in una grotta posta alla sommità di un diru-


po : qui vive in ascesi severissima, resistendo valorosamente agli as-
salti del demonio che lo insidia nello spirito e nel corpo. Fantino,
che è sempre pronto, dal suo monastero, a offrirgli aiuto e consiglio,
a un certo momento cade in preda a un’esaltazione di spirito, lascia
il cenobio e prende ad aggirarsi in luoghi deserti profondendosi in
lamenti. Raggiunto una volta da Nilo, gli annuncia che si accinge a
lasciare il Mercurio, verso una terra del Nord, e là finirà i suoi gior-
ni. Fantino così scompare dalla Vita di Nilo, e nulla più ne dice
l’agiografo; sappiamo però da una Vita di Fantino, composta a Tes-
salonica alla fine del secolo X 87, che Fantino si trasferì dalla Cala-
bria nella città macedone, vi visse santamente e vi morì intorno al
974.
Le ripetute incursioni arabe convincono Nilo a lasciare la grotta
del Mercurio intorno all’anno 952 e a ritirarsi verso Sud, in un suo
possedimento non lontano da Rossano, dove sorgeva un oratorio de-
dicato a sant’Adriano. Si riuniscono intorno a lui numerosi aspiranti
alla vita monastica, e si forma così a poco a poco un cenobio. Nilo
accetta questa situazione a malincuore, amante com’è della solitudi-
ne : non consente però mai ad essere il superiore della comunità, ri-
manendone tuttavia il padre spirituale. Il soggiorno a Sant’Adriano
si prolunga fin verso l’anno 978, quando una nuova più grave incur-
sione dei Saraceni induce Nilo a lasciare, con tutta la sua comunità,
la Calabria, e a cercare rifugio nei principati longobardi. Nel 980 cir-
ca il santo giunge a Capua, dove lo accoglie con grandi onori il prin-
cipe Pandolfo I; morto questi nel 981, i signori di Capua chiedono
all’abate di Montecassino, Aligerno, di assegnare a Nilo una delle di-
pendenze del celebre cenobio di San Benedetto. Nilo si trasferisce
così con i suoi nel monastero di S. Michele Arcangelo a Valleluce, e
vi rimane circa quindici anni, finché, preoccupato per il rilassamen-
to spirituale dei suoi monaci e disgustato della condotta del nuovo
abate cassinese Mansone, succeduto al pio Aligerno, decide di la-
sciare Valleluce e scegliere una sede più consona alla povertà mona-
stica. Questa sarà una località arida e inospitale nei pressi di Gaeta,
Serperi. Infine, per sfuggire agli onori che il duca di Gaeta vuole tri-
butargli, Nilo parte anche da Serperi. L’ultima sua tappa è il piccolo
monastero di Sant’Agata, un cenobio greco sito nei domini del conte
di Tuscolo, Gregorio, a dodici miglia da Roma. Gregorio accorre ai
piedi di Nilo, mettendo a sua disposizione tutto ciò che possiede :
ma il santo gli chiede solo una piccola porzione del suo dominio,
perché i suoi monaci possano edificarvi un cenobio. Gregorio ac-

87
BHG Nov. Auct. 2366z (si veda l’edizione citata sopra, a nota 69).

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116 ENRICA FOLLIERI

consente : sul terreno donato da lui, a tre miglia da Sant’Agata, si in-


sedia in maniera precaria, tra i ruderi di una grande villa romana,
parte della comunità di Nilo. Nilo intanto è giunto al suo ultimo
giorno : al vespro con cui si apre la festa di s. Giovanni Evangelista
(25 settembre) dell’anno 1004 egli muore a Sant’Agata, circondato
da un piccolo gruppo dei suoi monaci, tra cui l’egumeno in carica,
Paolo; l’indomani le sue spoglie sono trasportate là dove si è stabili-
to il grosso della comunità, e dove a poco a poco sorgeranno il mo-
nastero e la chiesa di S. Maria di Grottaferrata.
Questo sia pur lungo riassunto non dà che una pallida idea della
trama variegata su cui è ordita la Vita di Nilo : decine e decine sono i
personaggi che la animano, alcuni ben noti da altre fonti, altri sco-
nosciuti, e non sono questi i meno interessanti. Tra i primi, ad esem-
pio, il medico ebreo Donnolo, i cui rimedi Nilo rifiuta, dichiarando,
con una punta polemica, che il suo unico medico è il Dio dei cristia-
ni, Gesù Cristo; fra i secondi Stefano, il discepolo più caro di Nilo,
un giovane buono ma rozzo, che Nilo educa con fatica, ricorrendo
anche alle maniere forti, senza che Stefano se ne risenta. L’abilità
del narratore nel presentare personaggi e nel descrivere episodi è
straordinaria : ne è un esempio il racconto di una scorreria araba
durante il periodo in cui Nilo vive solitario al Mercurio. Stefano è
lontano, al sicuro nel vicino borgo fortificato; Nilo dall’alto della sua
spelonca vede nella valle avvicinarsi i Saraceni, annunciati da una
nuvola di polvere. Si allontana dalla sua grotta, e nella notte sente il
calpestio di un cavallo – o è il demonio? – ora lontano ora vicino. Al
mattino scende alla grotta, e la trova saccheggiata : i Saraceni han-
no portato via perfino una povera tonaca di Nilo, dopo averla riem-
pita delle pere selvatiche sparse al suolo : misero bottino per gente
ancora più misera! Ma di Stefano nessuna traccia, nemmeno nel
monastero di Fantino, anch’esso saccheggiato e deserto. Nilo allora,
convinto che Stefano sia stato catturato dai Saraceni, decide di darsi
prigioniero anche lui : si siede in mezzo alla strada maestra, e atten-
de gli eventi. Infatti da lontano appare un drappello di Saraceni a ca-
vallo. Nilo si alza in piedi, e fattosi il segno della Croce, attende che
si avvicinino. Ma quelli, riconosciutolo da lungi, smontati da cavallo
proseguono a piedi, e giuntigli vicino gli si prostrano innanzi; allora
Nilo li riconosce a sua volta : sono abitanti del borgo che, travestiti
da Saraceni, perlustrano la regione. Il colpo di scena è di indubitabi-
le effetto.
Ciò che si nota nella Vita di Nilo è la rarità di fatti prodigiosi. Ni-
lo ha sì, il carisma della profezia e della chiaroveggenza, ma non gli
sono attribuiti i miracoli così frequenti nelle agiografie bizantine. La
svalutazione del miracolo come testimonianza di santità è esplicita-
mente enunciata dall’agiografo : verso l’inizio della sua opera egli
scrive : «Poiché delle sue molte gesta poche bisogna ricordare...

.
I SANTI DELL’ITALIA GRECA 117

queste ci proponiamo di narrare... : gesta che non presentano gran-


dissimi miracoli o prodigi, all’udire i quali rimangono colpiti gli spi-
riti incolti o i miscredenti, ma fatiche infinite e travagli, quelli di cui
so che si vantava l’apostolo Paolo» 88 ; verso la fine della narrazione
l’autore ripropone il medesimo pensiero, sottolineando insieme la
validità della propria testimonianza : «Noi, che senza nostro merito,
abbiamo mangiato e bevuto con lui, siamo persuasi e sicuri – e lo at-
testiamo davanti a Dio e agli angeli – che il beato Nilo è santo, come
uno dei Padri teofori, ed è superiore a tutti gli uomini di questa ge-
nerazione, abbia fatto miracoli o no. Eppure questa è la domanda
che ci rivolge la maggior parte degli uomini sciocchi, i quali non fan-
no alcun conto della vita degli uomini santi... Invece ciò che mag-
giormente si esige è la vita santa : la copia dei miracoli e il potere di
compierli sono apprezzabili se risplendono con una vita santa; ma
sono da disprezzare, se ad essa non si accompagnano» 89.
La Vita di Nilo non vuol essere soltanto una narrazione storica :
essa ha insieme il carattere di una catechesi, e di una catechesi de-
stinata ai monaci del cenobio di Grottaferrata, ai quali la veste lin-
guistica la riservava in un modo speciale, collocati com’erano in un
contesto umano alloglotto 90. Essi dovevano trarne l’esortazione ad
esercitare tutte le virtù di cui Nilo offriva loro l’esempio : la rinuncia
ad ogni bene e ad ogni affetto terreno, l’amore della povertà, la fedel-
tà alla vocazione, la perseveranza nella preghiera, l’astinenza dal ci-
bo, la resistenza agli assalti del demonio, la pazienza nelle sofferen-
ze, l’umiltà, il perdono, la mitezza, la laboriosità.
Questo ricco contenuto narrativo e spirituale è presentato in
una veste linguistica raffinata, che si vale di un lessico ricchissimo e
di una sapiente euritmia nella struttura delle frasi. Un’opera dunque
molto pregevole anche dal punto di vista puramente letterario.
Il nome di Bartolomeo, terzo egumeno della badia di Grottafer-
rata († 1050 ca.), è illustrato dai numerosi inni liturgici di cui fu au-
tore; ma la sua Vita, composta da un monaco della badia criptense
che è stato identificato – su argomenti piuttosto labili – con Luca,
sesto egumeno di Grottaferrata (dal 1060 al 1072), è opera mediocre,
di scarsa originalità e di attendibilità incerta 91. La patria di Bartolo-
meo vi è indicata genericamente (la «terra di Calabria»), sono assen-
ti riferimenti cronologici e collegamenti con fatti o personaggi stori-

88
Vita Nili, ed. G. Giovanelli, Badia di Grottaferrata, 1972, cap. 14, p. 62.
89
Vita Nili, ed. cit., cap. 95, p. 131.
90
Si veda il bel saggio di F. Luzzati Laganà, Catechesi e spiritualità nella Vita
di s. Nilo di Rossano : donne, ebrei e «santa follia», in Quaderni storici, n. s., 93,
1996, p. 709-737.
91
BHG e BHG Nov. Auct. 233.

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118 ENRICA FOLLIERI

ci precisi. Vi si dice solo che Bartolomeo, educato da fanciullo in un


monastero, entrò nella comunità di Nilo durante la permanenza del
santo in Valleluce. Morto Nilo, Bartolomeo fu il terzo egumeno di
Grottaferrata, e si dedicò con grande fervore alla costruzione della
chiesa dedicata alla Madre di Dio. Qui il narratore inserisce il rac-
conto di un miracolo operato non da Bartolomeo, ma da un mem-
bro della sua comunità («quale era il Beato, tali erano anche i suoi
sudditi») : l’arresto prodigioso di una colonna che stava per travol-
gere il monaco, e si ferma a un suo comando. A questo prodigio ne
seguono altri : visioni, interventi sulla natura e sulle cattive intenzio-
ni degli uomini. A Bartolomeo è anche attribuita la conversione del
papa Benedetto IX. Dopo la morte di Bartolomeo, alcuni eventi pro-
digiosi – voci misteriose, visioni ultraterrene – segnalano la gloria
celeste del santo.
Vari luoghi di questa Vita ricalcano episodi della tradizione
agiografica italogreca (liberazione di ostaggi, come nella Vita di Sa-
ba, furto di un cavallo come nella Vita di Nilo); ci si è chiesti anche
se si debba dar credito alla notizia secondo cui Bartolomeo sarebbe
entrato nella comunità niliana durante la vita di Nilo, a Valleluce, o
se questo non sia uno dei tanti espedienti usati dagli agiografi italo-
greci per collegare strettamente il protagonista della loro opera con
un altro santo illustre 92.
Nuovi particolari sulla biografia di Bartolomeo si leggono nel-
l’encomio composto dal monaco Giovanni Rossanese in occasione
della traslazione della reliquia del capo del santo in un reliquiario
d’argento (11 novembre 1229) 93 : qui a Bartolomeo si attribuisce co-
me patria Rossano – e ciò dà occasione al Rossanese di tessere le lo-
di di quella che era anche la sua città natale –; si indica con precisio-
ne il cenobio in cui Bartolomeo giovinetto cominciò la sua vita mo-
nastica, quello di Giovanni Calibita presso Rossano : notizie tutte
che appaiono autoschediastiche, ispirate al Rossanese dal desiderio
di glorificare la sua Rossano come patria non solo di san Nilo, ma
anche di san Bartolomeo.
Ancor meno ricca di concretezza è la letteratura agiografica re-
lativa a san Filareto il Giovane, rappresentata da una Vita composta
da un monaco di nome Nilo, che si è cercato di identificare, a mio
giudizio senza successo, con alcuni omonimi, quale l’autore della Vi-
ta di san Nicodemo o Nilo Doxapatres, il teologo greco antilatino di
età normanna 94. In questo scritto si legge che Filareto, nato in Sicilia

92
Cf. A. Acconcia Longo, Il canone di Bartolomeo per la consacrazione della
chiesa di S. Maria a Grottaferrata, in Bollettino della Badia greca di Grottaferrata,
n. s., 47, 1993, p. 133-163, precisamente p. 137.
93
BHG e BHG Nov. Auct. 233b.
94
BHG 1513. Si veda S. Caruso, Sull’autore del Bios di s. Filareto il Giovane :

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I SANTI DELL’ITALIA GRECA 119

da una famiglia contadina, diciottenne al tempo della vittoriosa


campagna del generale bizantino Maniace (1038-1040), che strappò
temporaneamente agli Arabi buona parte della Sicilia orientale, pas-
sò subito dopo in Calabria con i suoi genitori. Stabilitosi con essi nel
villaggio di Sinopoli, nella Calabria meridionale, dove insieme al pa-
dre si dedicò al lavoro dei campi, sentì sempre più potente la voca-
zione alla vita monastica, e ottenuto il permesso dei genitori, entrò,
venticinquenne, nel monastero intitolato ad Elia il Giovane. Accolto
benevolmente dall’egumeno Oreste e ricevuta per il tempo dovuto
l’istruzione necessaria, venne annoverato tra i monaci, e incaricato
di umili uffici : fu prima mandriano, poi ortolano. Nell’orto si co-
struì una capanna, e qui dimorò a tutti nascosto, recandosi al mona-
stero solo per partecipare alla liturgia domenicale, dal monastero ri-
cevendo la sua razione di pane. Ammalatosi, fu trasportato dai con-
fratelli nel monastero; qui morì subito dopo, all’età di 56 anni, e fu
deposto in un sepolcro.
Passati due anni, una luce soprannaturale apparve sulla sua
tomba, ma i monaci, meravigliati, non ne compresero il significato,
fino a che la santità di Filareto non fu rivelata da una donna cieca
che, recatasi a pregare sul sepolcro di Elia senza ottener guarigione,
non ebbe dallo stesso Elia, apparsole, l’invito a chiedere la grazia sul
sepolcro di san Filareto. Nessuno però sapeva nulla di un san Filare-
to, e la donna cieca era alla disperazione; finalmente un monaco si
ricordò delle luci viste sulla tomba, e si comprese che il santo era Fi-
lareto l’ortolano. La donna riacquistò la vista, e dopo di lei molti al-
tri, accorsi alla tomba, ottennero la guarigione. Filareto, sconosciuto
in vita, divenne così celebre dopo morte come taumaturgo.
Tutti questi particolari biografici sono come soffocati da una ri-
dondante fioritura retorica. L’agiografo sa chiaramente ben poco
dell’oscuro monaco Filareto, divenuto famoso solo post mortem, tan-
to che il monastero di Elia il Giovane alle Saline si chiamerà poi il
monastero di Elia e Filareto. Si è voluto collocare esattamente la vi-
ta di Filareto tra il 1020 e il 1076, collegando il riferimento alla cam-
pagna di Maniace in Sicilia, iniziata nel 1038 (l’unico evento storico
citato, con molti particolari, in questa agiografia), con i 18 anni di
Filareto al momento del passaggio in Calabria 95. In realtà il numero
18 è un numero mistico assai frequente nelle agiografie, perché le
lettere greche che lo esprimono (iota ed eta) corrispondono alle pri-
me due lettere del nome greco di Gesù (Ihsoỹv), e sarà meglio evita-

Nilo Doxapatres?, in Epethrıùv th̃v Etaireı¥av Byzantinw̃n Spoydw̃n, 44, 1979-1980,


p. 293-304.
95
S. Caruso, Michele IV Paflagone in una fonte agiografica italogreca, in Studi
albanologici, balcanici, bizantini e orientali in onore di G. Valentini, Firenze, 1986,
p. 261-284, specialmente p. 267.

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120 ENRICA FOLLIERI

re ogni puntualizzazione cronologica, assegnando Filareto generica-


mente al secolo XI. Un altro segnale molto frequente della santità di
un defunto sono le luci che appaiono sulla tomba, un fatto che con-
siste, come è noto, nel comune fenomeno del fuoco fatuo. É interes-
sante constatare ancora una volta il tema, per così dire, della supe-
riorità taumaturgica di un santo (qui Filareto) sull’altro (Elia il Gio-
vane), che abbiamo già incontrato nella Vita di Nicodemo. Qui Elia
il Giovane interviene per conferire, in un certo senso, un avallo alla
santità dello sconosciuto monaco ortolano, e per promuoverne l’as-
sociazione al proprio nome nell’intitolatura del cenobio delle Saline.
Nel X secolo, secondo un recentissimo studio di Augusta Accon-
cia Longo 96, dovette vivere il monaco Giovanni, eponimo del mona-
stero calabrese di S. Giovanni Terista («il Mietitore») presso Stilo,
un cenobio i cui documenti (il più antico a noi pervenuto risale al
1098) sono stati pubblicati nel 1980 97. La memoria di Giovanni «il
Mietitore» è affidata a sinassari e ad innografie italogreche poste
sotto la data del 23 o del 24 febbraio 98, e a due Vitae 99, conservate pe-
raltro in codici tardivi (secoli XVI e XVII), le quali sembrano risalire
a un’epoca non anteriore al secolo XIII medio, e rappresentano una
rielaborazione della tradizione agiografica più antica attestata
nell’innografia : rielaborazione che appare composta con lo scopo di
giustificare il possesso di alcuni beni del monastero calabrese, con i
quali vengono collegati i miracoli operati dal santo.
Secondo le Vitae, Giovanni appartenne a una nobile famiglia ca-
labrese dimorante nella regione di Stilo, ma nacque in Sicilia, per-
ché pirati saraceni, in una incursione in terra calabra, uccisero suo
padre e condussero schiava a Palermo la madre, già incinta. Quando
il fanciullo ebbe quattordici anni, la madre gli rivelò la sua origine, e
lo convinse a raggiungere la Calabria, dove avrebbe potuto ricevere
il battesimo. Così il fanciullo fece : ma approdato presso Stilo susci-
tò il sospetto degli abitanti per i suoi abiti da Saraceno. Condotto dal
vescovo, gli dichiarò il suo desiderio di ricevere il battesimo; messo
alla prova con la minaccia di venir tuffato nell’olio bollente, dimo-
strò la sua retta intenzione, e fu battezzato col nome di Giovanni. La
sua vocazione ascetica ebbe origine in maniera singolare, come si

96
A. Acconcia Longo, S. Giovanni Terista nell’agiografia e nell’innografia, in
Calabria Bizantina. Civiltà bizantina nei territori di Gerace e Stilo, Soveria Mannel-
li, 1998, p. 137-154. Sono grata alla collega Acconcia Longo per avermi comunica-
to questo suo studio prima della stampa definitiva, oltre che per altri utili sugge-
rimenti con cui ha migliorato la redazione primitiva del presente lavoro.
97
S. G. Mercati, C. Giannelli e A. Guillou, Saint-Jean-Théristès, Città del Vati-
cano, 1980 (Corpus des Actes grecs d’Italie du Sud et de Sicile, 5).
98
Si veda A. Peters, Joannes Messor, seine Lebensbeschreibung und ihre Ent-
stehung, Diss. Bonn, 1955.
99
BHG 894, 894a.

.
I SANTI DELL’ITALIA GRECA 121

conviene a un neofita; vista nella chiesa di Stilo tra le altre iconi


quella di san Giovanni Battista, chiese chi mai essa rappresentasse;
gli fu risposto che era quello il santo di cui egli portava il nome, e
che avrebbe dovuto imitare. Si presentò quindi a un monastero poco
lontano da Stilo, e dopo molte insistenze vi fu accolto. Comincia co-
sì l’esperienza monastica del santo, e con essa la sua opera di tauma-
turgo.
Diversa, e certo più antica, è la tradizione rispecchiata negli inni
liturgici per il santo100 : essi sono tràditi dal Vat. gr. 2008, un codice
italogreco donato nel 1101-1102 al monastero di S. Giovanni Terista
di Stilo da uno ieromonaco di nome Leonzio. Si tratta di due canoni
– con altri inni minori –, opera l’uno di Leone di Stilo, l’altro di Bar-
tolomeo di Roma (identificabile probabilmente con Bartolomeo di
Grottaferrata). Qui Giovanni è figlio di madre cristiana e di padre
musulmano, nato in Sicilia e di là avventurosamente fuggito in Cala-
bria; i prodigi che egli compie sono molto più numerosi e vari che
nelle tardive Vitae. Il miracolo più celebre, da cui derivò al santo il
soprannome di «Mietitore», è quello della messe salvata dalla piog-
gia : un prodigio operato in un ambiente campestre. Nell’innografia
Giovanni lo compie, con sforzi immani, prima ancora di ricevere
l’abito monastico, e i suoi beneficati sono i poveri, il cui raccolto è
preservato dalla distruzione. Nelle Vitae invece Giovanni è già mo-
naco, la messe salvata è quella di un benefattore del suo monastero,
il prodigio si attua grazie alla preghiera del santo, e l’episodio si con-
clude con la donazione al monastero del campo dove si è verificato il
miracolo. É ben evidente, in questo episodio-clou, il rimaneggia-
mento operato in età normanna della Vita primitiva di età bizantina
rispecchiata negli inni liturgici.
Le Vitae dei tre santi italogreci che presenterò per ultimi furono
composte quando ormai il potere politico dei Normanni si era sosti-
tuito, nell’Italia meridionale, a quello di Bisanzio. Nel 1071 i Bizanti-
ni dovettero cedere l’ultima città dell’Italia continentale in loro pos-
sesso, Bari; nei due decenni successivi i Normanni completarono la
conquista della Sicilia, che per oltre due secoli era stata sotto il do-
minio degli Arabi. Si avvia, con l’avvento dei nuovi dominatori, un
processo di latinizzazione man mano più accentuato. Ma per lungo
tempo ancora l’eredità culturale e spirituale della grecità medievale
sarà sensibile negli antichi domini bizantini d’Italia.
Il primo dei tre santi italogreci la cui vita si svolse, almeno in
parte, in epoca normanna è un vescovo, Luca, nato (probabilmente

100
Per casi analoghi si veda : E. Follieri, Problemi di agiografia bizantina : il
contributo dell’innografia allo studio dei testi agiografici in prosa, in Bollettino della
Badia greca di Grottaferrata, n. s., 31, 1977, p. 3-14.

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122 ENRICA FOLLIERI

tra il 1035 e il 1040) nella Calabria meridionale, a Melicuccà, nella


località resa celebre dal cenobio di Elia lo Speleota101. Ma Luca non
entra nel cenobio : dopo una prima gioventù esemplare, è consacra-
to sacerdote e poi vescovo nella sede di Isola (oggi Isola di Capo Riz-
zuto). L’anonimo autore della Vita esalta specialmente l’efficace ca-
techesi del santo prelato e celebra l’opera di apostolato da lui svolta
anche in terra di Sicilia, senza curarsi degli atei nemici (si allude
con questa espressione ai Saraceni, certo ancora presenti nell’isola
al momento in cui Luca vi giunse)102 ; desiderò poi di recarsi a Co-
stantinopoli ma, non avendo potuto attuare questo suo disegno, tor-
nò in Calabria e la percorse operando prodigi in vari luoghi : una pe-
sca miracolosa, la punizione di uno spergiuro cui si paralizza la ma-
no, guarigioni di ammalati, esorcismi contro il demonio, difesa da
un feroce lupo, e via dicendo. Altri prodigi – soprattutto guarigioni –
seguirono la morte del santo, avvenuta, scrive l’agiografo, il 10 di-
cembre del 1114.
Luca vive in un ambiente ove si parla greco, si prega in greco, si
venerano santi greci e si visitano chiese e monasteri loro dedicati.
Ma un episodio ha un valore paradigmatico per mostrare i tempi
nuovi e le tensioni sempre più sensibili tra i seguaci della Chiesa di
Costantinopoli – tali si considerano in genere i Greci d’Italia – e
quelli della Chiesa di Roma : la disputa di Luca con i Latini. Luca
contesta le loro usanze liturgiche (l’uso del pane azimo nella Messa,
l’abitudine di battezzare in qualsiasi giorno), e suscita l’ira dei suoi
interlocutori : questi cercano di dar fuoco alla capanna entro cui Lu-
ca celebra la Messa, ma Luca resta illeso. É anche certo significativo
che fu un «Franco» colui il quale, dopo aver ottenuto la guarigione
sulla tomba del Santo, piombò in una più grave malattia per aver
persistito nell’insolentire i sacerdoti e nell’imporre loro gravi bal-
zelli.
Figura di molto maggiore rilievo è quella di Bartolomeo da Si-
meri, il cui nome è legato alle due più insigni fondazioni monastiche
italogreche di età normanna : il monastero di S. Maria Odigitria
presso Rossano, poi detto del Patìr, e il SS. Salvatore di Messina. La
Vita di Bartolomeo103, pervenutaci anonima, fu scritta forse da un il-
lustre omileta italogreco, Filagato Cerameo, autore anche di un di-
scorso funebre in suo onore104.

101
BHG 2237.
102
Vedi Pricoco, Un esempio di agiografia regionale... cit., p. 376 e nota 116;
Id., Monaci e santi di Sicilia... cit., p. 294 e nota 100.
103
BHG 235. Edizione critica recente, con introduzione, traduzione italiana
e note : G. Zaccagni, Il Bios di san Bartolomeo da Simeri (BHG 235), in Rivista di
studi bizantini e neoellenici, n. s., 33, 1996, p. 193-274.
104
BHG e BHG Nov. Auct. 236.

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I SANTI DELL’ITALIA GRECA 123

Il protagonista di tale Vita era nato da una distinta famiglia


nel piccolo villaggio calabrese di Simeri, ed era stato battezzato
col nome di Basilio. Giovinetto, si diede allo studio delle Sacre
Scritture, e sentì nascere dentro di sé la vocazione alla vita mona-
stica. Lasciata quindi di nascosto la casa paterna, si recò presso
un asceta, Cirillo, che viveva non lontano da Simeri a capo di un
piccolo cenobio, e da lui ottenne l’abito monastico, cambiando il
nome in quello di Bartolomeo. Desideroso di sempre maggiore
perfezione, il giovane monaco si mise in viaggio, col proposito di
arricchire il suo spirito avvicinando altri uomini virtuosi, finché
decise di scegliere la vita eremitica, prendendo dimora in una an-
gusta grotta, in una località montuosa e selvaggia. Scoperto da al-
cuni cacciatori (comune topos agiografico che prelude alla rivela-
zione di un santo eremita), Bartolomeo vide accorrere presso di sé
schiere di visitatori, finché acconsentì a riunirli in una comunità,
che prese dimora in un vecchio asceterio fondato tempo addietro,
sulle colline nei pressi di Rossano, da un monaco Nifone. Mentre
la comunità si accresceva di giorno in giorno e fioriva spiritual-
mente e materialmente, Bartolomeo sentiva sempre più forte il ri-
chiamo della vita solitaria : ma una apparizione della Vergine lo
esortò a rinunciare alla vita contemplativa, e a fondare una «scuo-
la di anime» : sarà questo il monastero dedicato alla Theotokos
Odigitria, poi detto del Patìr. Bartolomeo ebbe collaboratore nel-
l’impresa Cristodulo, personaggio importante alla corte normanna,
poiché era l’ammiraglio della flotta del re Ruggero II. Da questo
momento la nuova fondazione si sviluppa sempre più : Bartolo-
meo, ormai consacrato sacerdote, in un viaggio a Roma ottiene
dal papa Pasquale II una bolla che assicura al monastero del Patìr
la necessaria indipendenza dal vescovo del luogo; in un successivo
viaggio a Costantinopoli, inteso a rifornire di libri e di arredi sacri
la sua fondazione, è accolto con grande onore dagli imperatori
Comneni Alessio ed Irene, riceve ricchi doni da loro e da uno dei
più autorevoli membri della corte imperiale, Basilio Calimeris.
Quest’ultimo gli dona anche un monastero di sua proprietà sul
monte Athos : Bartolomeo ne riordina la disciplina, e al momento
di ripartire per il Patìr vi designa un reggente.
Al ritorno in Calabria, una grave prova attende Bartolomeo :
due monaci dell’abbazia benedettina della Trinità di Mileto lo ac-
cusano di fronte al re Ruggero di sperpero per proprio uso del de-
naro che riceve, e inoltre di eresia. Convocato in Messina dinanzi
al Re e al Senato, Bartolomeo non si difende; condannato al rogo,
chiede solo di poter celebrare prima la Messa nella chiesa di
S. Nicola della Punta, presso la città; ma al momento del-
l’Elevazione appare una colonna di fuoco che si alza dai piedi del
santo fino al cielo, mentre angeli lo servono. Il prodigio sconvolge

.
124 ENRICA FOLLIERI

l’intera città di Messina e lo stesso re. Ruggero, pentito, supplica


Bartolomeo di esprimere un desiderio : Bartolomeo chiede allora
che nel luogo dove era stata preparata la pira sia elevato un tem-
pio col nome del Salvatore. Sorge così in Messina il grandissimo e
ricco monastero del SS. Salvatore, come egumeno del quale Barto-
lomeo designa Luca, ieromonaco nel monastero del Patìr. Giunto
alla conclusione di un’esistenza santa e operosa, Bartolomeo pre-
vede l’imminenza della morte, e si spegne serenamente nel mona-
stero della Theotokos Odigitria il 19 agosto del 1130.
La Vita di Bartolomeo, scritta in una lingua elegante da un
agiografo dotto, identificabile, come si è detto, con Filagato Cera-
meo, è un testo importante per la storia del monachesimo greco
d’Italia sotto i Normanni. L’elemento prodigioso vi è presente (la
colonna di fuoco che si accompagna più di una volta alla figura
del santo, l’apparizione della Vergine, la moltiplicazione di pani in
periodo di carestia, la liberazione inaspettata della barca del mo-
nastero catturata da pirati saraceni), ma in maniera molto discre-
ta. Assai di più l’agiografo insiste sulle virtù del protagonista, sulla
sua capacità organizzativa, sulle sue doti di abile diplomatico che
gli consentono di trattare con successo col papa di Roma, con
l’imperatore di Costantinopoli, col re normanno.
Non parla affatto di prodigi, ma di virtù e di dottrina nelle
scienze umane e divine, la Vita di Cipriano, ricordato come Ci-
priano di Calamizzi dalla località vicina a Reggio di Calabria dove
sorgeva il monastero di S. Nicola di cui fu egumeno105. Nato a
Reggio, Cipriano fu affidato fanciullo a diversi maestri e istruito
nella Sacra Scrittura; inoltre dal padre, che era medico, apprese la
scienza medica. Ma le cose del mondo non lo attiravano : entrò
perciò ben presto in un monastero dedicato al Salvatore non lon-
tano dalla sua città natale, e vi ricevette non solo la tonsura mo-
nastica, ma anche l’ordine sacerdotale. Desiderò poi di ritirarsi in
solitudine in una sua proprietà nella quale sorgeva una chiesa inti-
tolata alla martire Parasceve; ma la sua fama di esperto nella
scienza medica e in quella dello spirito attirò verso di lui molta
gente afflitta da mali fisici e spirituali, e il luogo si popolò di una
moltitudine di monaci e laici. Venuto a morire l’egumeno del mo-
nastero di San Nicola sito in Calamizzi, per desiderio dei monaci
e per il volere del vescovo di Reggio, Tommaso, Cipriano benché
riluttante fu chiamato alla direzione di quel cenobio; e in tale ve-
ste si adoperò infaticabilmente per ristrutturare anzitutto la chiesa
monastica, e poi tutti gli edifici pertinenti al monastero; continuò

105
BHG 2089.

.
I SANTI DELL’ITALIA GRECA 125

inoltre a dispensare le sue cure di medico esperto a quanti, dalla


Calabria e dalla Sicilia, si rivolgevano a lui e a prodigare consigli
e incoraggiamenti a coloro che soffrivano nello spirito; difese inol-
tre il monastero da coloro che, in quei tempi turbinosi, aspiravano
a danneggiarlo. Giunto in avanzata vecchiaia e conoscendo per ce-
leste rivelazione la data della sua morte, volle visitare tutte le di-
pendenze del monastero, per dare ai monaci le sue ultime diretti-
ve e congedarsi da loro. E infine, tornato al monastero «si addor-
mentò nel sonno dei giusti». Col consenso del vescovo di Reggio,
Giraldo, i monaci di S. Nicola seppellirono il corpo di Cipriano,
con grande solennità, dentro la chiesa.
I nomi dei due vescovi di Reggio qui citati, Tommaso e Giraldo,
consentirono a Daniel Stiernon di precisare meglio di quanto non si
fosse fatto prima la cronologia di Cipriano : Tommaso è attestato
nel 1179 e nel 1182, Giraldo si colloca tra il 1210 e il 1216 circa106. Se
ne conclude che san Cipriano di Calamizzi nacque a Reggio nella
prima metà del XII secolo e morì nel cenobio di Calamizzi verso il
1210-1215.
Su altri santi italogreci abbiamo notizie molto esigue. La breve
Vita greca di san Conone da Naso, in Sicilia, nato nel XII secolo sot-
to il re Ruggero II e morto, a quanto pare, il 28 marzo del 1236, non
si è conservata che nella traduzione latina eseguita nel secolo XVI
da Francesco Maurolico e rimaneggiata nel secolo XVII dal gesuita
Ottavio Gaetani107. Di una versione addirittura in lingua volgare par-
la il medesimo Gaetani per la Vita del monaco siciliano Lorenzo da
Frazzanò, morto nel 1162108.
Di molti si sono salvati appena i nomi, registrati nelle scarne an-
notazioni marginali dei libri liturgici usati nell’Italia meridionale :
Calogero monaco, il monaco Gerasimo di Tucco, Leone di Africo,
Arsenio di Reggio, Tommaso di Reggio archimandrita di Terreti109.
Qualcosa di più sappiamo su Luca vescovo di Bova, autore di alcuni
opuscoli, cui fu dedicato un breve inno in un codice italogreco del
secolo XIV110. Per qualcuno non sono sopravvissuti se non la tradi-
zione locale e il culto popolare. Nessuna agiografia ci è giunta, nes-
suna innografia, nessuna nota in libri liturgici per il monaco Ciriaco
di Buonvicino (in diocesi di San Marco Argentano, nella Calabria

106
D. Stiernon, Saint Cyprien de Calamizzi († vers 1210-1215). Notule chrono-
logique, in Revue des Études byzantines, 32, 1974, p. 247-252.
107
O. Gaetani (Caietanus), Vitae Sanctorum Siculorum ex antiquis graecis la-
tinisque monumentis, II, Palermo, 1657, p. 200-201; Animadversiones, p. 67.
108
O. Gaetani, op. cit., II, p. 172-176.
109
Cf. E. Follieri, Il culto dei santi nell’Italia greca... cit., p. 570-571.
110
Cf. E. Follieri, Il culto dei santi nell’Italia greca... cit., nota 3 a p. 571.

.
126 ENRICA FOLLIERI

settentrionale) : possediamo su di lui soltanto una discussa citazio-


ne in una carta italogreca del 1042, il ricordo del cenobio a lui intito-
lato in documenti dei secoli XV-XVII, e la relazione di una tardiva
invenzione di reliquie111; la sua memoria è oggi affidata solo alla fer-
vente devozione locale.

Enrica FOLLIERI

111
B. Cappelli, Una data per la vita di s. Ciriaco di Buonvicino, in Bollettino
della Badia greca di Grottaferrata, n. s., 26, 1972, p. 131-142.

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