Giovanni Pettinato - Il Mistero Della Vita Insegnato Dai Sumeri
Giovanni Pettinato - Il Mistero Della Vita Insegnato Dai Sumeri
«An, il signore, illuminava il cielo, mentre la terra era al buio, e nel Kur lo sguardo non
penetrava; dall’abisso non si attingeva acqua, nulla si produceva, nella vasta terra non
venivano scavati solchi; (...) cielo e terra erano legati l’uno all’altra formando un tutt’uno;
non si erano ancora sposati; la luna non splendeva ancora, l’oscurità si estendeva
dappertutto; (...) gli dei del cielo, gli dei della terra non esistevano ancora». Così un ignoto
poeta e scriba sumero tentava, oltre 4000 anni fa, di spiegare il mistero della creazione del
mondo. Il testo proviene da Nippur, nel Vicino Oriente, e insieme a svariate centinaia di
altri frammenti concorre a formare il corpus dei testi sumerici oggi conosciuti, ora
parzialmente editi in un pregevole testo, uscito per i tipi della Utet nella collana “Classici
delle Religioni” per la cura di Giovanni Pettinato, docente di Assirologia alla Sapienza di
Roma.
UN PANORAMA COMPLETO
Il volume, intitolato “Mitologia sumerica”, fornisce un panorama sistematico e per la prima
volta completo dell’universo mitologico, escatologico e ontologico dei Sumeri, la
popolazione che forse più di ogni altra può essere considerata demiurga della civiltà
moderna. Abitanti nella cosiddetta “Mezzaluna fertile” - la terra, cioè, corrispondente alla
Mesopotamia, tra l’Irak e il Libano, che trovandosi tra i due fiumi Tigri ed Eufrate, fu la
culla dell’umanità ad oltre cinque millenni dal presente -, i Sumeri regalarono al mondo la
prima urbanizzazione (a Uruk), crearono il primo Stato della storia e inventarono la
scrittura. Una civiltà straordinaria che conobbe in un periodo di tempo relativamente
limitato uno sviluppo sia culturale che tecnologico eccezionale, le cui motivazioni sono
ancora oggi, nonostante le molte scoperte archeologiche fatte negli ultimi decenni, per
tanti aspetti oscure.
TAVOLETTE CUNEIFORMI
I testi religiosi che tramandano gli elementi del complesso universo mitologico sumerico
sono giunti sino a noi sfidando il tempo su tavolette incise a caratteri cuneiformi (cioè a
forma di cuneo) con uno stilo di canna. Questo sistema di scrittura fu inventato dai Sumeri
intorno la fine del quarto millennio a.C., e fu poi adottato anche dalle altre popolazioni
confinanti per registrare la loro propria lingua. Tra essi, gli Eblaiti, gli Hittiti, gli Hurriti, gli
Elamiti. I Sumeri, sembra lapalissiano, parlavano e scrivevano il sumero, ma la lingua
utilizzata nella cultura tre millenni prima di Cristo in Mesopotamia era un idioma semitico
molto diverso: l’accadico, detto anche assiro-babilonese, nome che deriva dalla città-stato
di Akkad, fondata verso la metà del terzo millennio a.C. e capitale di uno dei primi grandi
imperi dopo l'alba della storia umana. L’accadico era una vera e propria “lingua franca”,
paragonabile al francese diplomatico, al latino al tempo dell’Impero o all’inglese dei giorni
nostri. I testi in accadico giunti fino a noi sono di varie tipologie: si va dagli archivi
amministrativi alle ricevute di acquisto, dai trattati alle leggi, dai censimenti alle cronologie
di re, dalle lettere alle preghiere, dai “dizionari” (elenchi di parole straniere con relativa
traduzione) ai testi matematici e astronomici, fino ai poemi epici. I più tardi datano dal
primo secolo, quando l’accadico era già estinto come lingua parlata, sostituito
dall'aramaico. Nonostante l’abbandono dell’idioma nell’utilizzo comune, il sistema culturale
mesopotamico non cessò di emanare la propria influenza sulle genti circostanti. Questa
influenza si fece sentire soprattutto nel campo religioso e mitologico, tanto che leggendo
alcuni racconti (alcuni risalenti a 4500-4000 anni fa) tramandatici dall’epica sumerica,
troviamo sorprendenti analogie e somiglianze con quanto narrato nella Bibbia.
Corrispondenze che forse - anzi sicuramente - non sono affatto casuali.
COME LA BIBBIA
Il libro di Pettinato ci conduce per mano a scoprirle. Oltre al mito della creazione,
contenuto nel Genesi, celeberrime sono le somiglianze tra il racconto del diluvio universale
della Bibbia e quello raccontato nel poema epico più antico della storia umana, la sumera
Epopea di Gilgamesh. Il poema (dodici canti in accadico) racconta le vicende di
Gilgamesh, re sumero della città di Uruk vissuto intorno al 2600 a.C. L’eroe si trova alle
prese con Enkidu, essere creato dalla dea Aruru per contrastare il suo potere. Enkidu,
protettore degli animali, viene affrontato da Gilgamesh su denuncia di un cacciatore
infuriato: sapendo che le bestie avrebbero evitato Enkidu se egli avesse conosciuto la
femmina, Gilgamesh lo fece sedurre da una meretrice causandone la rovina. Dopo alterne
vicende, Gilgamesh ed Enkidu divengono amici, ma quest’ultimo trova la morte, gettando
l’eroe nella disperazione. Gilgamesh dunque si lancia alla ricerca di un uomo, Utnapishtim,
che si diceva essere scampato al diluvio universale, e quindi a conoscenza dei segreti
della vita eterna. Le somiglianze tra l’Epopea e la Bibbia sono evidenti: Utnapishtim, vero
e proprio corrispettivo sumero del Noè biblico, era stato infatti avvertito da Ea (dio delle
acque e della sapienza) che Enlil - signore del vento, creatore e governatore del cosmo -
aveva intenzione di distruggere il genere umano con un diluvio. Il racconto è familiare:
Utnapishtim costruì un'arca e vi imbarcò tutta la famiglia, gli animali e gli averi. Il diluvio
durò sette giorni, alla fine, l'arca si incagliò sul monte Nissir. Dopo altri sette giorni, il
vecchio fece uscire una colomba, ma non trovando dove posarsi fece ritorno. Allora liberò
una rondine, ma anche questa fece ritorno. Infine liberò un corvo, e non lo vide mai più.
Utnapishtim e la moglie uscirono dall'arca e fecero sacrifici agli dèi: Enlil in un primo
momento si adirò ma dopo accettò il sacrificio e donò l'immortalità a entrambi, che furono
incaricati di ripopolare la terra gettando al suolo pietre, subito trasformate in uomini
.
UN PANTHEON IMMENSO
Il libro curato da Pettinato non si ferma al mito di Gilgamesh, ma fornisce un quadro chiaro
del complesso panorama mitologico e religioso dei Sumeri nel suo insieme. La società
sumerica, infatti, era profondamente religiosa, nel senso che la religione investiva ogni
aspetto della vita quotidiana. Gli dei e le divinità erano numerosissime: dalle cosiddette
“liste” di Fara e di Abu Salabikh, risultano presenti nel Pantheon non meno di 500 divinità,
e secondo alcuni studiosi, in tutta la Mesopotamia ne erano venerati nel complesso circa
3300, un numero senza dubbio enorme. È evidente che un sistema così complesso e ricco
di varianti locali necessitasse di un minimo di organizzazione, anche se un’unificazione
uniforme non fu mai raggiunta. Tuttavia, sintetizzando, è possibile enucleare alcune
“triadi”, la prima delle quali, composta da An (il Cielo), Enlil (la Terra) e Enki (l’Abisso e le
Acque dolci), comprendeva gli artefici della sistemazione del mondo e i creatori
dell’umanità. Un’altra triade, composta da Nanna (il dio Luna), Utu (il dio Sole) e Inanna (la
dea Venere) era responsabile della divisione del tempo. Tutte queste divinità, unitesi tra di
loro, secondo la cosmogonia sumerica hanno generato il mondo, formato dai tre princìpi
vitali cielo, acqua e terra. Tornando a Gilgamesh, l’eroe compare nel libro non nell’Epopea
(come abbiamo detto, è infatti in accadico: può però essere letta in una comoda edizione
tascabile pubblicata da Adelphi) ma in racconti, di varia tradizione ed epoca, che
costituiscono versioni differenti delle sue gesta, soprattutto quelle che riguardano gli Inferi.
GILGAMESH, L’UOMO
Cosa possono dire questi miti all’uomo che tanti millenni dopo si accinge a leggerli e a
studiarli? Senza dubbio molto. Le storie, le azioni e le passioni delle divinità sono dettate
dalle pulsioni che da sempre hanno spinto in una direzione o nell’altra la vita dell’uomo. La
vicenda di Gilgamesh, il prototipo dell’essere umano in cui tutti noi possiamo riconoscerci,
è molto vicina al sentimento moderno per l'attenzione che dedica ai temi dell'amicizia, del
dolore e della morte. Riesce ad esprimere, attraverso il senso di precarietà dell'esistenza
ed il desiderio d'immortalità, la nostra profonda inquietudine di fronte alla vita. La stessa
inquietudine, senza risposte, che ci possiede da sempre, e che continua a tormentarci
anche all’alba del Terzo Millennio. “Mitologia sumerica”. A cura di Giovanni Pettinato,
Torino, Classici Utet, 2001, pp. 576, euro 56,81 (lire 110.000).