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Appunti Ferri

Il documento presenta il programma di un corso di dogmatica sul mistero della Trinità. Viene introdotto il metodo di studio e il soggetto del corso, che è il Dio rivelato in Gesù Cristo secondo la fede cristiana. Vengono quindi illustrate le sezioni del corso, che tratteranno vari aspetti della rivelazione biblica e della tradizione patristica e conciliare riguardo alla Trinità.
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Appunti Ferri

Il documento presenta il programma di un corso di dogmatica sul mistero della Trinità. Viene introdotto il metodo di studio e il soggetto del corso, che è il Dio rivelato in Gesù Cristo secondo la fede cristiana. Vengono quindi illustrate le sezioni del corso, che tratteranno vari aspetti della rivelazione biblica e della tradizione patristica e conciliare riguardo alla Trinità.
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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R.

Ferri

Premessa al corso
Il corso è diviso in due parti, una istituzionale, suddivisa in 5 sezioni, dove saranno illustrate le basi
della dogmatica ed una monografica, incentrata sul De Trinitate di AGOSTINO.

1. Introduzione metodologica. Sarà illustrato il soggetto del corso ed il metodo di studio.


2. Parte biblica (AT). Il punto di partenza è la rivelazione di Dio nella SS, che ci ha permesso di
conoscere l’identità trinitaria di Dio. Cristo è il compimento della Rivelazione, poiché è Cristo
stesso che rivela l’aspetto trinitario della immanenza divina. Si compirà un excursus sulle
promesse vetero-testamentarie, compiute in Cristo.
3. Parte biblica (NT). L’evento pre e post-pasquale, cuore della rivelazione trinitaria di Dio.
1° Semestre
2° Semestre
4. La Chiesa. Essa è il luogo in cui la rivelazione è approfondita, in quanto accoglie la rivelazione
di Dio in Gesù Cristo e la annuncia ad un mondo, partendo dal contesto socio culturale in cui la
Chiesa era inserita, nel confronto con la cultura greco-romana e giudaica. Sono i Padri della
Chiesa che compiono l’iniziale e fondamentale incultura mento ed approfondimento, che giunge
alle formulazioni dogmatiche dei primi Concili ecumenici, dove è definita la fede trinitaria della
Chiesa. L’opera di approfondimento non si ferma ai primi 4 concili, ma prosegue fino alla tarda
età patristica e medioevale, dove sarà approfondita la figura di SAN TOMMASO.
5. Parte monografica. Studio del De Trinitate di AGOSTINO.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

1. Introduzione metodologica
Premessa
Il testo “commento alle sentenze di PIETRO LOMBARDO” di SAN TOMMASO, offre utili indicazioni
metodologiche. È il testo con cui TOMMASO inizia il suo insegnamento presso l’università di Parigi,
ed inizia citando Sir 24,40 (oggi non presente nella Bibbia, poiché Sir 24,40 è presente nella
Vulgata di San Girolamo) in cui si legge: “Ego sapientia effudi flumina: ego quasi frames aquae
immensae defiuo: ego quasi fluvius Dorix, et sicut aquaeductus exivi del Paradiso - Io, la sapienza,
versai dei fiumi; io defluisco come la corrente trasversale dell’acqua immensa; io come il fiume
Dorix e come un acquedotto, sono uscita dal Paradiso”. Il soggetto è la Sapienza divina. Essa è
come un grande fiume che esce dal Paradiso per irrigare il giardino delle piante. TOMMASO compie
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un ulteriore passaggio, identificando la Sapienza divina con Xto, secondo 1Cor 1,24: “ ma per
coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio”,
interpretando Sir alla luce di 1Cor, identifica la Sapienza che esce come fiume dal Paradiso per
irrigare il mondo, in Cristo, Sapienza di Dio, costituito tale anche per noi, che in quanto Sapienza ci
manifesta i segreti di Dio. Così TOMMASO conclude che non è possibile conoscere i segreti di Dio
se non grazie al Verbo, al F, che incarnandosi ha permesso la conoscenza dei segreti di Dio, che per
loro natura, resterebbero inaccessibili. Il Cristo non è venuto, per testimoniare l’esistenza di Dio, ma
per rivelarci i segreti di Dio, della sua vita intima, come possa essere P, F e SPS . TOMMASO si
chiede cosa siano questi fiumi e risponde che essi sono i flussi delle processioni eterne con cui il F
procede dal P e dallo SPS. Questi fiumi un tempo erano confusi negli enigmi delle SS (AT), in cui il
Dio creatore AT è già Uno e Trino, e questa impronta è presente nel creato. I riferimenti alla Trinità
nell’AT sono enigmatici, non espliciti, ma il F ha versato questi fiumi, grazie ai quali ha reso chiaro
il mistero della Trinità. Ciò che prima era nascosto o presente a livello di una semplice traccia e
quindi difficilmente decifrabile sia nella creazione, sia nell’AT, viene ora reso esplicito e manifesto
dal Verbo (Sapienza incarnata) che comunica i segreti della vita divina. La rivelazione di Dio non
cade nel vuoto, ma è accolta da una umanità che è già alla ricerca di Dio, ∃ un’apertura al mistero di
Dio, in relazione alle tracce di Dio presenti nella creazione, il cui enigma è dipanato dalla pienezza
della rivelazione in Cristo, senza il quale non sarebbe stato possibile conoscere la Trinità di Dio.
Inciso. La conoscenza della Trinità di Dio è fondata sulla comunicazione che Dio ha fatto di se
stesso nella storia della salvezza, culminata nella figura del Cristo, depositata nella Scrittura ed
accolta nella fede. L’approfondimento intellettuale di tutto questo è possibile solo permanendo e
dimorando in Cristo. Dio non può essere mai considerato come un oggetto di studio, ma è piuttosto
come un soggetto, nel quale vivere, essere, esistere.

Il Soggetto della Dogmatica


Il soggetto è il Dio rivelato in Gesù Cristo, la cui fede, la Xsa esprime nella professione del Credo
“noi crediamo in un solo Dio, P, F e Spirito Santo”. Questo non esclude che ∃ altre vie per
conoscere Dio, quali approcci filosofici e religiosi, ma qui si parte dall’esperienza di fede cristiana,
questo per due motivi, uno ermeneutico (la precomprensione di fede della Xsa, non si parte da
zero) e l’altro teologico (Sostenere che Dio è P, F e SPS , è impossibile se non fosse stato rivelato
dal Cristo ed accolto successivamente nella fede). Noi crediamo in un solo Dio ma tale Dio è anche
P, F e SPS, che sono due affermazioni connesse, ma distinte. Credere in un solo Dio è una
confessione di fede monoteista, in un Dio che è uno e uno solo (monos, uno solo). Tale
confessione è comune con l’Ebraismo e l’Islam, tuttavia la nostra professione di fede non termina a
questo punto, poiché oltre nel credere in un solo Dio, prosegue nel credere che Egli è anche P, F e
SPS, che rappresenta la specificità cristiana, la sua originalità, come monoteismo trinitario.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

MONOTEISMO
Monoteismo non è un termine biblico, ma è stato coniato dagli della storia delle religioni. La prima
volta, fu utilizzato alla metà del ‘600, coniato dall’inglese H. MORE, che analizzando le diverse
religioni presenti nel mondo, indicò come monoteismo, quelle religioni che si differenziavano dal
politeismo non solo da un punto di vista quantitativo (un Dio, vari dei), piuttosto da un punto di
vista qualitativo (una sorta di esclusivismo, in cui il Dio della religione monoteista escludeva la
possibilità che vi fossero altri dei). Nel 1700 gli illuministi, considerando le varie religioni,
ritennero le monoteiste non solo più evolute rispetto le politeiste, quanto più conformi ai dettami
della ragione. VOLTAIRE afferma che il politeismo è stato la prima religione degli uomini, prima che
la ragione fosse abbastanza illuminata per riconoscere, invece, un solo essere supremo. La filosofia
positivista dell’800, assume questa posizione, ed il suo massimo esponente, COMTE, individua nella
storia tre stadi di sviluppo della ragione:
ü
Teologico (quello delle religioni).
o Feticismo (culto dei feticci, popoli primitivi).
o Politeismo.
o Monoteismo.
ü
Metafisico (quello della filosofia).
ü
Positivo (il suo).

Antropologia culturale
Nasce usando le categorie di COMTE.
TAYLOR, un fondatore, divide la storia delle religioni in tre grandi periodi, in evoluzione tra loro:
Ø
Animismo (Venerazione degli elementi della natura, come fossero dei).
Ø
Politeismo (di matrice ellenistica).
Ø
Monoteismo (basato sell’ebraismo).
A fine ‘800 e nella prima metà del ‘900, dall’antropologia culturale, nasce la scuola del
“monoteismo originario” i cui principali esponenti sono LANG e SCHMIDT. Essi asserirono che il
monoteismo non è posto alla fine di un cammino evolutivo, in quanto già alcune popolazioni del
passato veneravano un essere superiore, da ciò il monoteismo è qualcosa che caratterizza l’umanità
sin dalle origini. RAFFAELE PETTAZZONI, tra il 1930 – 1950, si oppone alla tesi del monoteismo
originario e propone che il monoteismo e il suo affermarsi è legato ad alcune personalità religiose,
come Abramo, Gesù, Maometto. Non è possibile un monoteismo originario, ne un processo
evolutivo, ma il monoteismo si afferma attraverso una rivoluzione religiosa, ovvero un evento
storico, a seguito dell’intervento di un personalità religiosa, che produce un cambiamento religioso
di un popolo. Un personaggio grazie al quale si afferma una visione di Dio che è completamente
diversa di quella di prima. PETTAZZONI scrisse la voce monoteismo nell’enciclopedia Treccani.

INFLUSSO DELLA FILOSOFIA GRECA


L’unicità di Dio è un problema posto anche all’interno della filosofia greca. Il cristianesimo
individuò, come proprio interlocutore, piuttosto del rozzo paganesimo, proprio la filosofia greca,
che era giunta all’idea di un Dio molto più elevata, il dio dei filosofi contro gli dei della mitologia,
dell’Olimpo. Essa elabora l’idea di un dio uno – tutto, diverso dagli uomini per figura e pensiero,
PARMENIDE (filosofo stoico) sosterrà dell’essere che fa riferimento alla sua unità. PLATONE afferma
un dio, indicato come il sommo bene, l’uno, l’idea più perfetta. ARISTOTELE identifica questa figura
divina, col motore immobile, pensiero di pensiero, colui che tutto muove senza essere mosso. Già in
questi filosofi vi è un riferimento esplicito all’unità di Dio, ma ciò non è sufficiente per asserire che
sia monoteismo esplicito. PLOTINO è il maggior esponente dell’unità di Dio, del Dio – uno, al
vertice di tutto, seguito dal nous (intelletto) e anima. Nella filosofia greca il concetto del divino è
molto ampio, infatti lo stesso PLOTINO afferma che il divino va oltre l’uno. Neanche in Plotino,
quindi vi è il concetto di monoteismo poiché esiste una visione gerarchica del mondo divino, l’uno
non è l’unico dio, ∃ ≠ mediatori, a lui subordinati, ma anch’essi divini.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

RIVELAZIONE ABRAMITICA
È in Israele che si ha un monoteismo esplicito, fondato sulla rivelazione di Dio, un evento nuovo,
senza precedenti, caratterizzato da tre elementi:
1) Unicità Dio. Egli è altro rispetto al mondo, non è un elemento del mondo.
2) Prossimità di Dio. Egli è si altro, ma rivelandosi si fa prossimo al suo interlocutore.
3) Idea di creazione. Non presente nella filosofia greca.
La relazione tra Dio e il mondo è vissuta nei termini della creazione, finché Dio è confuso con il
mondo, l’idea di creazione non è possibile.

La tradizione cristiana
Ø
Sap 13, 1-9 (dalle opere di Dio si riesce a riconoscere l’artefice)
Ø
Rm 1,20 (l’inescusabilità dei pagani, benché sapienti delle cose del mondo, non sono giunti
a Dio, adorando idoli, non riconoscendolo nel creato).
La costituzione Dogmatica Dei Filius, del CV I, asserisce la fede nell’unico Dio creatore del cielo e
della terra, che vi sia un solo Dio, che è possibile arrivare a Dio mediante il creato. Essa evidenzia
l’esistenza di un’altra via, supernaturalis, la rivelazione di Dio: “piacque a Dio nella sua sapienza e
bontà (concetti invertiti nella Dei Verbum, del CV II, per mettere in risalto l’orizzonte agapico)
rivelare se stesso”. Riprendendo, la Summa Theologiae di TOMMASO nella quale si legge: “anche
riguardo a quello che intorno a Dio si può indagare con la ragione, fu necessario che l’uomo fosse
ammaestrato per divina rivelazione perché una conoscenza razionale di Dio non sarebbe stata
possibile che per pochi, dopo lungo tempo e con una mescolanza di errori”. Quindi Dio ha rivelato
cose di se che sarebbero accessibili alla ragione (la sua unicità), dato che l’uomo ci può giungere
attraverso la considerazione del creato. La Dei Filius, quindi asserisce che Dio, per farsi conoscere
facilmente da tutti, con assoluta certezza e senza alcun errore (viene detto in positivo ciò che
TOMMASO afferma in negativo), ha rivelato di se stesso, anche quanto era accessibile alla ragione.
L’uomo, in quanto creatura di Dio è capax Dei e nella profondità del suo essere, è in grado di
riconoscere l’esistenza e l’unicità. Ma la percezione chiara, dell’unicità di Dio è avvenuta nella
storia con la rivelazione che Dio ha iniziato con Abramo.

Critica neopagana
L’illuminismo contrapponeva al politeismo il monoteismo, intendendo quest’ultimo come qualcosa
di migliore rispetto al precedente. Nella contemporaneità (a partire dal 1800), si verifica il processo
inverso, con la critica al monoteismo perché l’unicità di Dio, nega il valore all’alterità, alla libertà,
alla pluralità ed era associato a situazioni storiche contraddistinte da intolleranza e oppressione e
considerato, in una visione autoritaria della religione, come qualcosa che favorisce la conflittualità.
Anche NIETZSCHE ha esaltato il politeismo a discapito del monoteismo (Così parlò Zaratustra,
L’Anticristo) in quanto causa dell’interruzione della danza dell’alterità che invece è costitutiva della
vita, dell’esistenza stessa, definendolo monotono – teismo, che impoverisce l’uomo. I Padri della
Chiesa, consideravano la vita divina come un danzare continuo tra P, F e SPS.

IL MONOTEISMO TRINITARIO
L’originalità della professione di fede Xna in un monoteismo trinitario, ha la sua origine in Gesù
Cristo, verbo del P, parola ultima e definitiva (Eb 1,1-4). La rivelazione del Dio Trinitario avviene
con la figura del Cristo, le sue parole, le sue opere, le sue azioni, la sua vita, la sua persona poiché è
soltanto il Cristo che ci manifesta il volto di Dio come Abbà, P, comunicandoci lo SPS. A sua volta,
la rivelazione del P nello SPS, illumina il voto di Gesù come quello del F unigenito inviato nel
mondo per la nostra salvezza. La Dei Verbum scrive che la rivelazione di Dio non è qualcosa di
astratto ma che si articola attraverso un intimo intreccio di gesti e parole, queste senza i gesti
sarebbero astratte ed i gesti senza le parole sarebbero ambigui, infatti le parole costituiscono
l’ermeneutica dei segni.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

L’evento Pasquale
È l’evento pasquale la rivelazione ultima, escatologica di Dio nella sua unità e trinità, è l’originalità
del Xmo rispetto gli altri monoteismi: Dio, nel F, si fa uomo. L’evento Pasquale ci schiude una
possibilità di conoscenza di quella che è la vita intima di Dio, fino a quel momento inaccessibile.
CCC 234: “Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della vita della fede cristiana”.

Precisazioni metodologiche
1. Il monoteismo nasce e si sviluppa come contrapposizione e negazione del politeismo,
conferendo al termina monoteismo, una accezione generica e negativa, che ne ha segnato la
storia, al punto che per dargli una connotazione positiva, è necessario specificarlo
(monoteismo di rivelazione, Abramitico, cristiano, trinitario, ecc).
2. Il monoteismo è culto ad un Dio “Uno ed Unico”.
Unità e unicità, non sono la stessa cosa, da un punto di vista storico il monoteismo “positivo” inizia
con la rivelazione ad Abramo, proseguendo con la storia della salvezza di Israele, in cui è compiuta
l’esperienza dell’unicità di Dio e riflessione sull’unità di Dio, tematizzato nell’AT come Signore e
creatore. Dio è uno in quanto indiviso in se stesso, dove l’unità di Dio non è numerica ma “unità
trascendentale”. Il monoteismo rivelato ha come punto di partenza a rivelazione ad Abramo e la sua
comprensione procederà evolvendosi nella storia della salvezza. La rivelazione che Dio fa di se
stesso in Cristo richiede un ripensamento della comprensione del concetto di l’unità e l’unicità
vetero – testamentaria (Es 3,14 – Io sono colui che sono), altrimenti ciò che il Cristo ha detto,
sembrerebbe un’appendice accessoria alla nozione di unità e unicità di Dio. In Gv 8,24 Gesù dice
“se non credete che io sono morirete nei vostri peccati” oppure in Gv 14,6 “io sono la via, la verità
e la vita. Nessuno viene al P se non per mezzo di me”, utilizzando il nome con il quale Dio si è
manifestato a Mosè , usa il tetragramma riferito a se stesso. Inoltre Gv 10,30 “Io e il P siamo uno”,
costringe a ripensare all’unità e all’unicità di Dio, è una provocazione che spinge a ripensare
all’unità di Dio, dopo l’evento Gesù. Il dato vetero – testamentario rimane, ma la novità della
rivelazione in Cristo introduce nell’intimo stesso della vita di Dio.

LA CHIESA
La comunità cristiana è il luogo dove si ha accesso e partecipazione all’evento di Cristo, alla Parola
di Dio, ai Sacramenti, ai carismi, ecc. La vita cristiana è vita trinitaria e la Chiesa è il luogo dove
fare esperienza del Dio trino ed uno. Essa non è una entità astratta, ma è una realtà nel tempo e nella
storia e che cammina con l’umanità e nell’umanità, nel contesto socio – culturale del tempo. È
solidale con tutto ciò che riguarda l’uomo e la sua storia (Lumen Gentium 1 “la Chiesa condivide le
gioie, le speranze, le tristezze, le angosce degli uomini di oggi”).

IL RAPPORTO CON LA SOCIETÀ


Il contesto è la sfida che la società e la cultura, propongono alla fede cristiana. Esso non è da
recepire in maniera acritica, ne deriverebbe una teologia depotenziata, ma non è da rifiutare a priori.
Il CV II, con grande sapienza, indica la strada del discernimento e invita a scrutare i segni dei
tempi. Il contesto moderno, propone tre sfide socio – culturali:
1) Ateismo ed indifferentismo religioso.
2) Ritorno del sacro.
3) Pluralismo religioso.

1. ATEISMO ED INDIFFERENTISMO RELIGIOSO


F della modernità (‘500/600), si sviluppa in Europa, all’interno di una civiltà cristiana, la cui critica
è caratterizzata da:
Ø
Emancipazione dalla tutela religiosa. KANT, “Chi ti dice non pensare e paga? L’esattore
delle tasse. Chi ti dice non pensare ma ubbidisci? Il militare. Chi ti dice non pensare ma
credi? L’ecclesiastico”. Tali istituzioni, avevano contribuito, nel tempo, a mantenere l’uomo
in stato di inferiorità, occorreva liberarsi da queste tutele in modo che l’uomo possa

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

sviluppare sino in fondo le potenzialità della propria ragione.


Ø
Difesa dalla conflittualità che le religioni recano in se. Le guerre di religione avvenute tra
il ‘500 e il ‘600, generarono la necessità di trovare criteri etici che prescindessero
dall’appartenenza religiosa. Il cristianesimo è avvertito come qualcosa che viola la libertà
del singolo, i suoi diritti. Queste critiche dimostrano una scarsa conoscenza del Xmo,
tuttavia, esse ci devono spingere a fare un esame di coscienza (i cristiani avevano presentato
una immagine appannata, offuscata di Dio e di uno dei misteri centrali della fede, la Trinità
e questo aveva favorito l’insorgere di tali critiche).

2. RITORNO AL SACRO
Non significa un ritorno al Cristianesimo, anche se sembra contraddire la precedente. Un’altra area
socio – culturale dove si evince un risveglio del sacro, di religiosità in senso lato. Di fronte a queste
istanze siamo chiamati a svolgere il nostro compito di discernimento e presentare, l’autentico volto
del Dio cristiano, che oltre spiegare se stesso, spiega l’uomo all’uomo (GS 22).

3. PLURALISMO RELIGIOSO
La novità di oggi è che le altre religioni sono diventate contemporanee sia storicamente che
geograficamente, in virtù del fenomeno dell’emigrazione e della globalizzazione. Parlando del
monoteismo si è fatto riferimento ad una visione progressiva delle religioni, partendo dal
politeismo, per giungere al monoteismo. Oggi non è più possibile un progresso, perché le varie
religioni convivono tra loro.
Metodologia della teologia trinitaria
La teologia trinitaria ha un suo metodo proprio, specifico, cambiato radicalmente negli ultimi 50
anni. Prima la teologia era divisa in trattati, il De Deo uno e il De Deo Trino. Tale impostazione si
è imposta con l’Aeterni Patris di LEONE XIII, ma ne è precedente e risale al ‘500/’600 e si
riconduce alla Summa Theologiae di TOMMASO. Nel Medio Evo non esistevano dei trattati di
teologia, la materia teologica era insegnata seguendo come testo base “le sentenze di PIETRO
LOMBARDO”, che nel XII, sistematizza il sapere teologico in un’opera di quattro libri. Il commento
dei docenti a tale opera era il corso istituzionale di teologia nelle università medioevali. Nel 1° libro
affrontava il concetto di Dio uno e trino, senza separazione tra unità e Trinità. Tutti i dottori, i
maestri medioevali hanno scritto un commento alle sentenze di PIETRO LOMBARDO, tra cui anche
TOMMASO. Il suo commento sulle sentenze era stato talmente penetrante che dopo di lui veniva
spesso utilizzato il suo commento come base per l’insegnamento, per poi essere sostituito dal
commento alla Summa Theologiae. TOMMASO nella Summa non voleva fare due trattati, il De Deo
uno e il De Deo Trino.

De Deo uno e De Deo Trino


La prima parte della Summa studia Dio nella sua unità, nella sua Trinità e come creatore, quindi non
due parti separate. I commentatori moderni del ‘500 separano quella che era una trattazione unica in
due trattati, utilizzando le categorie della modernità. Il De Deo uno consisteva in un trattato di
teodicea, esistenza di Dio, prove dell’esistenza e la sua natura divina, terminando con la conferma
razionale, della rivelazione iniziata con l’AT. Il punto di partenza è un ragionamento metafisico.
il De Deo Trino, trattando la Trinità, ha come punto di partenza la prospettiva della fede e del dato
rivelato, piuttosto un procedimento razionale. La rivelazione è intesa in senso dottrinale (con una
serie di affermazioni riconducili agli articoli del Credo), per giungere alla non contraddittorietà di
tale rivelazione con i risultati raggiunti nel De Deo uno. Dio si rivela come trino, ma tale
rivelazione non contraddice quelle caratteristiche di Dio che erano già state dimostrate, secondo un
procedimento razionale, De Deo uno. Il discorso sulla Trinità è ridotto ad un semplice trattato,
isolato rispetto agli altri trattati teologici. La modernità separa nettamente l’ambito della fede e
l’ambito della ragione scientifica, da cui il De Deo uno e il De Deo Trino, costituiscono due trattati
separati e metodologicamente opposti. Il De Deo uno parte dalla ragione per giungere alla fede

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

come conferma di quanto la ragione ha già dimostrato, mentre il De Deo Trino parte dalla fede
argomentando con la ragione quanto la fede ha consegnato. La Summa è strutturata in modo che:
1. Considera ciò che attiene all’essenza divina. L’esistenza di Dio, come egli sia o meglio
come non sia, la scienza, la potenza, la volontà di Dio. La speculazione di TOMMASO è fatta
in senso negativo, perché non è possibile conoscere l’essenza divina in questa vita, neanche
con la rivelazione di Gesù Cristo. Seguendo la via negativa si può sapere di Dio come non è,
non come è, Dio è infinito in quanto si nega la sua finitezza. Fu DIONIGI L’AEROPAGITA ad
utilizzare la teologia negativa per parlare di Dio e ripreso da TOMMASO che afferma che in
questa vita, possiamo essere uniti a Dio come a colui che è del tutto sconosciuto.
2. Distinzione delle persone.
3. Il procedere delle creature da Dio.

LA NUOVA VISIONE TEOLOGICA


La divisione in due trattati, col secondo in un piano inferiore, termina nel ‘900, sotto la spinta di:
1. CARL BURT (anni ‘30, protestante).
2. CARL RAHNER (anni ‘50, cattolico).
3. I teologi dell’evento pasquale (anni ‘70/80).

1. CARL BURT
Ha il grande merito di aver rimesso al centro della teologia, la rivelazione intesa come l’evento
Gesù Cristo. Ha scritto la dogmatica ecclesiale. Afferma che la teologia deve partire da Cristo
poiché è in Lui che Dio si è rivelato. BURT è un riformato luterano, affermando che può dirsi
veramente teologo solo colui che penetra con l’intelletto le realtà visibili che la rivelazione di Dio
mostra come di spalle. Teologo è chi pensa, con l’intelletto quelle realtà che Dio ha fatto conoscere
di se, partendo dall’evento Cristo, dalla sua croce e non dal creato per giungere al creatore. Ecco
perché la sua teologia è denominata “Theologiae crucis”, si giunge a Dio passando per la croce.
BURT, discepolo di LUTERO, sottolinea il primato della rivelazione, chiedendosi qual sia il posto che
il concetto di Trinità deve avere nella teologia. Secondo lui è il primo, sconfessando la divisione
dottrinale in De Deo uno e il De Deo Trino. Il punto di partenza della riflessione teologica è la
dottrina trinitaria, perché è Cristo – Dio che si è rivelato P, F e SPS, parlando della trinità di Dio
come unità nella trinità, trinità nell’unita, triunità, per evitare di anteporre l’unità rispetto la
trinità e viceversa, i concetti devono coincidere. ∃ altri modi di parlare di Dio, le dottrine
filosofiche, ma se si vuole intraprendere una teologia cristiana o si parte dalla trinità o si è fuori.

2. RAHNER
Dopo il CV II, l’idea era quella di costituire una nuova Summa Theologiae e fu chiesto ai maggiori
teologi del tempo, di fornire un contributo, raccolto nell’opera collettiva “Misterium Salutis”. A
RAHNER è chiesto un contributo sul metodo teologico – trinitario. Il suo articolo si intitola “Il Dio
trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza”. Egli parte dalla
prospettiva dei Padri greci secondo i quali era necessario iniziare dalla “oiconomia”, la storia della
salvezza, per giungere alla “teologhia”, la contemplazione di Dio in se stesso. Non è possibile
giungere immediatamente alla contemplazione di quella che è la vita divina in se, senza partire dalla
rivelazione che Dio ha fatto di se nella storia della salvezza, dalla sua auto comunicazione. RAHNER
per superare la separazione dei due trattati, parte dalla storia della salvezza per giungere, ad una
comprensione ontologica del mistero della Trinità. Il centro di questo articolo, è l’assioma
fondamentale di RAHNER: “La trinità economica è la trinità immanente e viceversa”. Il suo punto
di partenza è una constatazione semplice, “I cristiani, nonostante la loro esatta professione nella
Trinità, sono quasi dei monoteisti nella pratica della loro vita religiosa”, infatti il Credo è sempre
stato professato, confessato, pronunciato correttamente, quindi dal punto di vista formale i cristiani
sono tutti trinitari ma, di fatto, nella pratica, sono monoteisti. Il catechismo stampato afferma la fede
nella trinità ma il catechismo della mente, del cuore, quello vissuto dai fedeli, un po’ meno.
Due i sintomi che evidenziano questa situazione:
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1. Parlando dell’incarnazione, si sostiene che Dio si è fatto uomo. Secondo RAHNER si è


perso il senso della Trinità in quanto è il F che si fa uomo e non il P o lo SPS.
2. La missione di Gesù. La sua vita, le sue opere, la Pasqua, considerati solo come eventi
salvifici, molto meno da un punto di vista rivelativo. Prevale la dimensione soteriologica,
ma è incarnandosi, morendo e risorgendo, che ha rivelato l’autentico volto di Dio.
RAHNER partendo da questa constatazione fenomenologica, giunge ad una considerazione teologica,
individuando due tesi:
1) Se Dio avesse voluto, una qualunque delle tre persone divine, si sarebbe potuta incarnare
Questa tesi è presente nella Summa di TOMMASO ed evidenzia la sua preoccupazione in relazione al
fatto, che qualcuno possa considerare l’incarnazione come qualcosa di obbligato per Dio, una
necessità di incarnarsi da parte del F di Dio. L’incarnazione così come la creazione non è un atto
necessario da parte di Dio ma, libero e gratuito. Per salvaguardare la libertà e la gratuità
dell’incarnazione, TOMMASO dice: “E va bene, se Dio avesse voluto, una qualsiasi delle tre persone
divine si sarebbe potuta incarnare, ma di fatto si è incarnato il F”. RAHNER critica il metodo che
viene utilizzato nel fare teologia, quella che lui chiama una “teologia delle ipotesi irreali”. La
realtà è che il è F che si è incarnato, il partire da una teologia di ipotesi irreali conduce
all’irrilevanza della Trinità in quanto viene offuscato il senso trinitario di Dio. Sostenere che una
qualsiasi delle tre persone si sarebbe potuta incarnare, è non cogliere la specificità, la proprietà di
ciascuna delle persone, la teologia si fa a posteriori, non a priori.
2) Le opere della Trinità ad extra sono indivise
Con “ad extra”, si indica ciò al di fuori di se. Tutto ciò che la Trinità ha compiuto, la creazione, la
storia della salvezza, l’incarnazione, etc, lo fa in modo indiviso (AGOSTINO). Non è pensabile ad
un’azione della Trinità in cui una delle persone agisca e le altre no. Ma se le opere di Dio ad extra,
se sono indivise, si coglie a fatica la trinitarietà, ovvero l’agire distinto del P, del F e dello SPS, si
rischia di non cogliere la distinta operatività delle tre persone nell’agire ad extra. Questo assioma
salvaguarda l’assunto che l’azione di Dio, uno e trino ad extra, non è mai di una persona
indipendentemente dalle altre, esse nel loro agire agiscono insieme, le tre persone agiscono insieme
ad extra, pur rimanendo distinte, in comunione reciproca.

Azione ad extra ed ad intra di Dio – L’assioma fondamentale


La tesi dell’agire di Dio ad extra è fondata sulla vita di Dio ad intra, dove in Dio tutto è uno e
l’unico elemento di distinzione è dato è dato dalla relazione, l’unità di Dio non si oppone alla
relazione delle persone. Questo modo di fare teologia però in qualche modo prescinde dalla storia
della salvezza, per cui RAHNER per ricomporre l’enunciato, esprime l’assioma fondamentale: “la
trinità economica è la trinità immanente e viceversa”. La Trinità economica, che si rivela nella
storia della salvezza, l’auto comunicazione di Dio la vita divina ad extra è la Trinità immanente,
la theologhia, la vita di Dio in se stesso, la vita divina ad intra. Dio è P, F e SPS dall’eternità, se
non si fosse rivelato a così non si sarebbe saputo, ma non saperlo, non implica che Dio non sia P, F
e SPS. L’assioma, la Trinità economica è la Trinità immanente, afferma che Dio ad extra si
manifesta nella storia della salvezza così come egli è in se stesso, trinità immanente, ovvero P, F e
SPS. Conseguentemente, l’unica via di accesso alla conoscenza della vita intima di Dio ad intra è la
Trinità economica. RAHNER afferma che fare una teologia che non parta formalmente ed
esplicitamente dalla storia della salvezza, dal concreto darsi, comunicarsi di Dio, è una teologia che
per lo meno parte da un presupposto sbagliato. Dio si rivela a noi in quello stesso modo in cui egli
sussiste in se stesso, come P si comunica a noi per mezzo del F nello SPS.

Recepimento e critica dell’assioma


I teologi contemporanei hanno recepito l’assioma, criticandone però il viceversa, che non è stato
accettato perché non è completamente corretto affermare che la Trinità immanente è quella
economica.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

1. Perché i due termini non sono identici, poiché la Trinità economica è si la Trinità
immanente, ma si comunica gratuitamente e liberamente a noi. Nel senso che si potrebbe
stabilire una perfetta identità tra le due se i due concetti coincidessero esattamente ma
l’aggiunta che viene fatta (gratuitamente e liberamente) pone già una distinzione tra le due.
La CTI, in un suo documento, precisa che questo rapporto tra le due Trinità va inteso come
un rapporto di identità e di distinzione nel senso che la Trinità immanente, pur
manifestandosi, nello stesso tempo trascende quella che è la comunicazione stessa.
L’identità delle due Trinità va intesa come dell’unico vero Dio, colui che in se stesso è
eternamente P, F e SPS e si dona a noi, rivelandosi in quanto tale (identità tra le due Trinità).
Allo stesso tempo, occorre salvaguardare la distinzione tra la vita divina in se stessa e la
comunicazione che Dio fa di se stesso, cioè la libertà di Dio, che non aveva bisogno di
manifestarsi trino per essere trino. Identificando i due piani e si riduce la Trinità immanente
a quella economica, cioè che Dio ha bisogno di rivelarsi trino per essere trino. La Trinità
economica non esaurisce la Trinità immanente, il viceversa appiattisce l’identità di Dio nella
storia e non coglie la tensione escatologica insita nella Rivelazione, affermare che la Trinità
immanente (cioè quello che Dio è in se stesso) si dia tutto nell’economia, è togliere questa
tensione escatologica. Il discorso del viceversa limita l’aspetto della libertà/gratuità della
rivelazione di Dio in quanto creerebbe quasi la necessità da parte di Dio di rivelarsi per
essere trino.
2. Il viceversa non tiene conto che Dio, per comunicarsi, si è incarnato. Il Verbo, assumendo
un corpo, ha mantenuto la sua”Forma Dei”ma si è abbassato per assumere la nostra
umanità. La divinità rimane ed è tuttavia solo in virtù di questo abbassamento che è per noi
attingibile la conoscenza di Dio, egli assumere il nostro linguaggio, la nostra umanità, si
svuota, kenosi. I Padri greci la chiamavano la “divina condiscendenza”. Dio, per farsi
conoscere, è sceso al nostro livello rendendosi accessibile a noi, per ciò la Trinità
immanente non può essere ridotta alla Trinità economica. Si può affermare che la Trinità
economica è la trinità immanente, quindi la prima parte dell’assioma, poiché è Dio P che si
rivela a noi e si dona per mezzo del F nello SPS, ma non è possibile affermare il contrario in
quanto Dio non è solo e necessariamente la sua rivelazione per noi. La CTI si esprime nel
rapporto tra le due Trinità, utilizzando i termini del Concilio di Calcedonia cioè che il
rapporto tra le due va inteso in modo da evitare la separazione e la confusione.

Conclusione
Da un punto di vista metodologico, la separazione di cui parla la CTI è l’idea della separazione tra i
due trattati del De Deo Uno e De Deo Trino, superata dall’assioma di Rahner. Inoltre la separazione
delle due Trinità conduce ad un Dio assolutamente inconoscibile in se stesso. L’assioma coglie
l’identità tra ciò che Dio ha rivelato di se stesso e ciò che egli è in se stesso. D’altra parte, la CTI
invita a scongiurare il pericolo della confusione tra le due con il viceversa, se si identifica la Trinità
immanente con quella economica, si crea una confusione tra quello che è Dio in se stesso e la sua
rivelazione, non preservando la trascendenza di Dio, dove la sua rivelazione non esaurisce l’identità
di Dio in se stesso. Da un punto di vista metodologico, l’assioma di Rahner costituisce un punto
importante in quanto dimostra che non può affermare niente su quello che Dio è in se stesso se non
si parte, dalla sua rivelazione nella storia della salvezza.

3. TEOLOGIA DELL’EVENTO PASQUALE


Alla fine del XX secolo, negli anni ‘70 – ‘80, vi è una grossa riflessione sull’evento Pasquale di
Gesù. Sia BURT che RAHNER, partiti dalla rivelazione, avevano messo in evidenza l’importanza
della storia della salvezza, anche se in maniera astratta. I teologi del ‘900 (cattolici, protestanti,
ortodossi, ecc), abbandoneranno discorsi formali e teorie astratte, per giungere alla concretezza
dell’evento pasquale nelle SS.

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Teologia protestante
I teologi riformati, sottolinearono molto l’importanza dell’evento pasquale, dando la prevalenza alla
crocifissione. MOLTMANN, scrive “Il Dio Crocifisso”, opera in cui la sua riflessione teologico –
trinitaria, si fonda sul crocifisso.

Teologi cattolici
LAFONT, scrive un volume dal titolo provocatorio “Si può conoscere Dio in Gesù Cristo?” in
polemica con la manualistica precedente, che argomentava su Dio prescindendo dalla figura di Gesù
Cristo, mentre, secondo lui, la teologia trinitaria si basa su Gesù Cristo, come unica via di accesso
alla conoscenza di Dio.

Von Balthasar
Scrive un’opera dal titolo “Mysterium Pascale”, in cui analizza teologicamente il triduo pasquale,
identificando la cosiddetta teologia dei tre giorni, divisa in tre parti:
1. Venerdì Santo. Passione e morte.
2. Sabato Santo. Discesa agli inferi.
3. Domenica di Pasqua. Resurrezione.
La focalizzazione sull’evento pasquale, produce una maggiore attenzione alla rivelazione in chiave
storico – salvifica, come affermato in precedenza da BURT e RAHNER in maniera più formale,
assumendo in pienezza lo “scandalo della Croce”, evento che crea imbarazzo ai primi cristiani, nel
confronto con i giudei ed i pagani. Questo imbarazzo, noi cristiani moderni lo abbiamo perso. La
moderna riflessione teologica, configura l’evento pasquale come dono, nel quale il P consegna il F e
il F si consegna agli uomini, donando lo SPS, quindi la Pasqua è interpretata nel dinamismo
interpersonale di consegna delle persone divine, uno scambio reciproco, ma nell’unità. La realtà
intima di Dio, l’agape, è accessibile dalla Pasqua. La via per conoscere l’identità di Dio uno e trino
ci è data in Cristo, al di fuori di lui, per l’uomo, non è possibile cogliere la Trinità. È Cristo l’evento
definitivo della Rivelazione, dell’auto comunicazione di Dio nella storia, che è resa contemporanea
a ciascuno di noi dall’azione dello SPS agente nella Chiesa. L’uomo non è spettatore, la rivelazione
presuppone l’apertura dell’uomo a Dio, cosicché Dio semini in un terreno già pronto ad accoglierla.
L’uomo ha una originaria apertura alla trascendenza, che si è espressa in forme ed esperienze
religiose diverse, già prima di Cristo, testimoniato anche dalla SS in Sap 13 e Rm 1,20. Già la
filosofia greca, iniziando con la ricerca dell’arché, del principio di tutte le cose, è testimone di
questa apertura dell’uomo al trascendente, innescando la riflessione alla ricerca della conoscenza su
Dio, alla fede, che per iniziativa di Dio, gratuitamente e liberamente auto rivelatosi, risponde a
questo desiderio di conoscenza e lo supera. Non commettiamo l’errore di pensare che siccome
l’uomo ha il desiderio di Dio in se, allora Dio si manifesta, riducendo la rivelazione a semplice
compimento del desiderio dell’uomo. La rivelazione di Dio non solo compie, ma va oltre, supera il
desiderio dell’uomo. Analogamente per il Cristo, che se fosse semplicemente il compimento delle
attese dell’AT non sarebbe stato messo in croce, ma la croce ci attesta che il compimento ha
superato le attese, è andato talmente oltre le attese, da non essere compreso. La rivelazione, quindi
ha presupposto l’apertura dell’uomo a Dio, che procede per tappe, in quanto Dio non si rivela tutto
e subito, ma segue il cammino dell’uomo. L’unico Dio comincia a rivelarsi ai Patriarchi (ABRAMO),
poi a MOSÈ, poi al popolo di Israele, fino ad arrivare alla figura del Cristo, con cui si manifesta la
definitiva testimonianza escatologica della rivelazione di Dio, che il NT ci trasmette.

LA CONOSCENZA DI DIO NELLA FEDE


La conoscenza di Dio nella fede si articola in tre forme:
1. Nozionale. Il dato della fede. Il Credo condensa la dottrina, esprimendo la conoscenza di
Dio compreso e creduto nella fede.
2. Esistenziale. La conoscenza di Dio trasmessa dalla famiglia, dalla comunità ecclesiale a cui
si appartiene, una conoscenza di tipo esperienziale, che comprende anche il nostro rapporto
con Dio, nella preghiera, nell’accesso ai sacramenti.

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3. Mistica. È un dono, un carisma concesso ad alcuni e come tale edifica la Chiesa.


Sono tre forme di conoscenza, non rigidamente sequenziali, ne contrapposte.

Il Corso di Dogmatica I
La riflessione teologica, verterà sul dottrinale (nozionale), con un metodo storico ed ontologico:
Ø
Storico. La rivelazione di Dio avviene nella storia.
Ø
Ontologico. Essa non è una semplice ricostruzione storica, ma occorre compiere il passaggio dalla
Trinità economica alla Trinità immanente.

TAPPE DEL CORSO


1) Economia. La conoscenza di Dio, uno e trino, è possibile dalla sua rivelazione nella storia
della salvezza, culminata nel Cristo, nell’evento pasquale. Dalla rivelazione che Dio fa di se
stesso è possibile cogliere quella che è l’identità di Dio in se, ovvero P, F e SPS.
2) Economia → Teologhia. Prologo di Gv, “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio”. Il passaggio dalla economia (Dio per noi) alla theologhia (Dio in se) è
presente nel NT, con Gv e negli inni di PAOLINI, non sono invenzioni a posteriori. Se Dio si
è rivelato P, F e SPS è perché è in se stesso è così. La Pasqua svela la realtà della vita divina,
che è agapica, di comunione, di donazione.
3) Teologhia → Economia. La manifestazione di Dio avviene in tappe, si rivela ad ABRAMO, a
MOSÈ, ecc. Il popolo di Israele non ha consapevolezza della Trinità di Dio poiché questa
consapevolezza è acquisita all’interno dell’evento Cristo, ma Dio è uno e trino dall’eternità e
quindi anche il Dio che si rivela ad Israele è il Dio eternamente uno e trino. Partendo dalla
pienezza della rivelazione, che ha dischiuso l’accesso alla realtà divina immanente, si
riconsidera l’economia con una prospettiva cristologica, con cui rivedere tutte le tappe della
storia della salvezza nella prospettiva del Dio uno e trino, come fecero diversi Padri della
Chiesa, interpretando l’AT alla luce della pienezza della rivelazione del NT.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri


2. Parte Biblica (Antico Testamento)
Introduzione
La pienezza della rivelazione che Dio fa di se stesso è il Cristo, che propone se stesso come
l’inviato del Dio di Israele. Per comprendere a pieno il significato della progressività della
rivelazione, è necessario analizzarne le varie tappe, attraverso cui Dio ha progressivamente rivelato
se stesso al popolo di Israele. Se Cristo è il compimento dell’attesa si dovrà partire dal senso di
questa attesa, anche se il Cristo è un compimento che supera l’attesa stessa.

Le caratteristiche della rivelazione che Dio fa di se stesso al popolo di Israele


1) Iniziativa di Dio. La rivelazione è tale poiché implica l’iniziativa di Dio, non è un cammino
uomo → Dio, ma di Dio → uomo. Dio non si rivela come una forza cosmica, impersonale,
ma utilizza caratteristiche personali, ad esempio quando “chiama”.
2) Carattere Progressivo Della Rivelazione. È la “divina condiscendenza”. Dio si pone a
fianco dell’uomo e ne segue i tempi di crescita, c’è una sorta di pedagogia divina nella quale
Dio rispetta i tempi e le lentezze dell’uomo. Dio si rivela con determinate caratteristiche ad
ABRAMO, con altre a MOSÈ, ma anche nella diversità delle forme, non sono contrapposte tra
loro, ma occorre coglierne la coerenza interna.
3) Armonia e Organicità. I diversi aspetti della rivelazione non si contrappongono tra loro.
4) Destinatario. Dio si rivela ad interlocutore preciso (singole persone, gruppi, tribù, ecc).
5) Tensione Escatologica. È la tensione verso il futuro, infatti ogni tappa non è mai compiuta
in se stessa, ma apre già al futuro, ad una promessa, quando Dio si rivela a qualcuno in tale
rivelazione promette qualcosa per il futuro. La rivelazione è un qualcosa che rimane sempre
aperta sino al suo compimento ultimo, Gesù Cristo, che non annulla la tensione escatologica
(assioma fondamentale di RAHNER) poiché tende al momento in cui Dio sarà tutto in tutti.

Rivelazione Vetero-Testamentaria
Il nome di Dio è indicato con due termini: El ed il tetragramma YHWH, che segnano il passaggio
dalla monolatria al monoteismo. I patriarchi identificano Dio come El, che significa genericamente
Dio. Poi nella SS diviene Elohim un plurale di maestà, l’eccellenza di Dio e non significa più dei.

VOCAZIONE DI ABRAMO
Gn 12,1-9, ABRAMO è un pastore, chiamato da Dio a lasciare la terra dei suoi padri per dirigersi
verso un luogo che Dio gli indicherà. Dio si rivolge personalmente ad ABRAMO, che viveva in un a
tenda ed era abituato a muoversi con i cicli stagionali. Non immaginiamo un uomo, cui Dio
sconvolge la vita, per lasciare tutto quella che ha e per andare chissà dove. La novità consiste nel
fatto che Dio rompe la sua quotidianità. ABRAMO deve fidarsi di un Dio che lo chiama, che si rivela
in modo personale, pur rimanendo trascendente. Dio è altro dall’uomo, dalla natura, dal mondo.
La trascendenza di Dio è indicata dall’evoluzione del nome di Dio
1) El. ABRAMO utilizza un nome comune, El, perché non conosce il nome di colui che si è
rivelato, preservando la trascendenza di Dio, come con GIACOBBE in Gn 32,28. La
rivelazione del nome, avrebbe messo Dio, nelle sue mani. Come per i popoli pagani, che
possedendo i propri dei, potevano pretendere, chiedere ed ottenere. Il Dio rivelato non da il
suo nome, divenendo il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Nonostante questa
rivelazione ed il rapporto personale instaurato coi patriarchi, non si può ancora parlare di
monoteismo, quanto di monolatria, da monos, uno e latreia, culto, culto ad un unico Dio.
ABRAMO e il suo clan accolgono la rivelazione dell’unico El, ma non è l’unico Dio della
tribù di ABRAMO, ISACCO e GIACOBBE, c’è il politeismo.
2) YHWH. Il passaggio successivo è l’Esodo, la rivelazione a MOSE. Dio si rivela in maniera
differente, mentre con i patriarchi si rivela nella quotidiana semplicità della vita di pastori,

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

con l’esodo Dio si manifesta attraverso grandi gesta. Dio guida la storia e si costituisce un
popolo con una alleanza, è infatti con la teofania sinaitica che Israele diviene un popolo,
unito dall’alleanza con YHWH, prima era un accozzaglia di tribù sparse. Inoltre finalmente
Dio rivela il suo nome a MOSÈ, attraverso il tetragramma.
YHWH – tetragramma sacro
Etimologicamente si rifà al verbo essere, ma non in senso metafisico, assente nella cultura semitica,
ma più praticamente di nel senso di vivere, esistere, operare. È un nome impronunciabile, ad
eccezione del Sommo Sacerdote nel giorno dello Yom Kippur, e quando letto nella SS, pronunciato
Adonai, cioè mio Signore. Il contesto in cui è pronunciato il tetragramma è Es 3,1-15, la chiamata di
MOSE, un contesto di liberazione del suo popolo. Dio si presenta come El, il Dio dei suoi padri, che
prende l’iniziativa per scendere e liberare il suo popolo e condurlo alla terra promessa. Da questo
intervento di Dio dipende la missione di MOSÈ, “Va, ti mando dal faraone, fai uscire il mio
popolo”, “Chi dovrò dire, che mi manda?”, “Io sono colui che sono”. La risposta di Dio è un nome
che non è un nome. Tradotto in greco con “l’essente”, in latino “Ego sum cui sum”, una possibile
traduzione in italiano “io ero, sono, sarò”, da una parte rivela, ma dall’altra preserva la
trascendenza di Dio, come in Es 33,17ss, quando MOSÈ chiede di vedere la gloria di Dio, che gli
mostra solo le spalle (posteriora Dei).

MONOJAWISMO
Il nome di Dio non è un nome astratto, ma entra concretamente nella azioni che egli compie per il
suo popolo. Anche nella rivelazione a MOSÈ non è ancora possibile parlare di un monoteismo
esplicito quanto di un monojawismo, cioè un unico Jahwè. È un passaggio in avanti rispetto la
monolatria, quando con El rivelatosi ad ABRAMO vi erano anche gli dei delle altre tribù. In Es 15,
nel canto di vittoria dopo il passaggio nel Mar Rosso “ha gettato in mare cavallo e cavaliere …”,
veniva esaltata la figura di Jahwè che con braccio potente aveva liberato il suo popolo e
riconosciuto come l’unico Jahwè, mentre gli dei egizi, nulla hanno operato, mentre il loro popolo
annegava. Jahwè guida il popolo e lo conduce alla salvezza, gli dei degli egiziani non hanno fatto
niente. Anche in 1Re 18,20ss, è presente una professione di fede monojawista, nello scontro tra il
profeta ELIA e i sacerdoti di Baal. L’unicità di Dio è provata dall’intervento potente di Dio nella
storia, di fronte al non intervento di cosiddetti altri dei. Per cui, all’interno dell’AT, si assiste ad un
ulteriore passaggio che conduce, sempre più, ad un monoteismo esplicito. In Dt 6 vi è lo Shemà
Israel dove Dio si presenta come uno, l’unico, un Dio geloso. In Dt 4,39, “Sappi dunque oggi e
conserva bene nel tuo cuore che il Signore stesso è il Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra e non
ve n’è altri”, C’è un’affermazione assoluta dell’unicità di Dio, una affermazione esplicita del
monoteismo, approfondita all’epoca dell’esilio. In Is 44,6 è presente un’affermazione monoteista,
“Io sono il primo e l’ultimo, fuori di me non ci sono dei”. L’esilio, ha aiutato il popolo di Israele a
cogliere questo aspetto, se Dio continua ad operare anche in terra straniera, allora Dio è l’unico e
continua ad operare anche attraverso i sovrani stranieri, strumenti nelle mani di Dio (CIRO definito
Unto). Parallelamente all’affermazione del monoteismo esplicito, si afferma il concetto di
creazione, concetti strettamente legati tra loro, in quanto, l’affermazione della esistenza di un unico
Dio, questi è anche l’artefice della creazione. Fino a quando Dio è legato ad una terra, ad un popolo
circoscritto, preciso, ∄ l’idea di un Dio unico che crea tutto, che il mondo perché non è il mondo, è
assolutamente altro. Monoteismo e creazione camminano di pari passo.

GLI ATTRIBUTI DI DIO


1. Santo e Misericordioso. Due aspetti distinti e connessi. La santità di Dio afferma l’alterità
rispetto le creature, è Santo in quanto separato, trascendente, la sua identità è sconosciuta.
inoltre indica la perfezione morale di Dio, Lv 11,44 “siate santi perché io sono santo”. Se da
un lato il termine santità indica la trascendenza, dall’altro, con il termine misericordia, si
indica la prossimità di Dio nei confronti dell’uomo. Dio è ricco di misericordia in quanto si

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prende cura dell’uomo e Israele sperimenta la misericordia di Dio dall’Esodo in avanti. 2


termini per indicare misericordia:
ü
Esed. È l’atteggiamento di bontà. Dio stringe l’alleanza con il popolo infedele ma egli
rimane fedele a se stesso. È l’aspetto maschile.
ü
Rahamin. È l’amore della madre per i figli.
2. Gloria. È il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Più che un attributo è una
modalità attraverso la qual Dio si manifesta, ad esempio la colonna di nube, grigia di giorno
e luminosa di notte in modo da poter guidare il popolo verso la terra promessa.
3. P Inizialmente l’AT non indica Dio come P Per i popoli antichi esisteva un rapporto
genealogico tra il fondatore di una città, di un popolo e Dio. Roma fu fondata da ROMOLO e
REMO, figli di REA SILVIA e di MARTE. Un mito simile è analogo per tutti i fondatori delle
città antiche, tutti erano figli di un Dio (Troia). Il fondatore di una città era un semidio, da
cui scaturiva un rapporto genealogico tra gli abitanti e un certo Dio, infatti i Romani, si
ritenevano figli – discendenti di MARTE. Per tutto questo nell’AT, Dio non è mai chiamato
P, in modo da evitare questa mentalità pagana, politeistica. Inoltre è salvaguardata la
trascendenza di Jahwè, che è Dio e basta, non P di Israele, come MARTE, che è un Dio
confuso con il mondo. È al tempo del profeta OSEA che si i incomincia ad usare
l’appellativo di P, non in senso generativo, ma elettivo, metaforico, Dio è P di Israele in
quanto ha scelto questo popolo stipulando con esso una alleanza. Si utilizza il termine P per
uscire da questa categoria di alleanza, troppo giuridica. GIOVANNI PAOLO II, in una sua
catechesi, aveva parlato di Dio come madre, ma BENEDETTO XVI, ha precisato che lo ha
fatto non in quanto Papa, quindi come voce del magistero, ma come teologo. BENEDETTO
XVI consiglia di non utilizzare il termine madre, in quanto Dio non viene mai qualificato
così ne nell’AT, ne nel NT. Gli unici appellativi utilizzabili sono quelli presenti nella SS,
che ci sono stati rivelati. Come cristiani siamo figli nel F, ovvero figli adottivi, in quanto il
F, in se, è uno solo.
4. Sposo. È un termine che allude al rapporto coniugale, infatti tra moglie e marito esiste un
patto una alleanza. Esempio classico è Il profeta OSEA, che su ordine del Signore, sposa una
prostituta sacra, come analogia del rapporto tra Dio e il suo popolo, dove Dio continua ad
amarlo nonostante le sue infedeltà. Il tema della sponsalità e approfondito dal profetismo
successivo, con Ger, Ez, Is, Ct.
5. Spirito. In ebraico, Ruah, il soffio, esprimente il respiro della vita. Dio comunica all’uomo
attraverso il suo soffio, come si evince in Gen 1 e 2. Dio soffia nelle narici dell’uomo
abilitandolo alla ricezione, creando una comunicazione tra se e l’uomo, soggetto
privilegiato. L’uomo ha la capacità di incontrare Dio e lo Spirito rappresenta l’azione ad
extra di Dio. Lo Spirito si lega a determinati personaggi: MOSÈ, Giudizi, re, profeti.
6. Parola. In ebraico Dabar, esprimente “ciò che dice”. La parola di Dio è viva, ed attua ciò
che viene espresso, come in Gn 1, “Dio disse … e avvenne , fu fatto”. La Parola di Dio, crea,
produce, è un azione ad extra per la vita del popolo.
7. Sapienza. Si sviluppa dopo il ritorno dall’esilio, quando non c’è più profetismo. Nella
letteratura sapienziale è qualcosa di simile alla parola, ma se ne differenzia poiché la
Sapienza è personificata. Dio guida il mondo attraverso la sua sapienza.

LA SOFFERENZA NELLA LETTERATURA SAPIENZIALE


Il libro di GIOBBE rappresenta una sorta di crisi dell’immagine di Jahwè nell’Israele post esilico.
GIOBBE timorato di Dio, un uomo santo, che possiede tutto ciò che si possa desiderare, cade in
disgrazia, senza aver fatto nulla. Con lui entra in crisi l’economia della retribuzione, tipica del Dt,
“Se Israele si comporta bene riceverà da Dio benedizioni ma se dovesse capitargli qualcosa di
brutto è perché ha peccato”. GIOBBE sa di non aver peccato e grida a Dio che risponde “Dov’eri tu
quando ponevo le fondamenta della terra?” ribadendo la sua trascendenza, Egli non può essere
ridotto a schemi umani. GIOBBE risponde, “Ho esposto cose troppo superiori a me senza

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discernimento, che io non comprendo ….. io ti conoscevo per sentito dire ma ora i miei occhi ti
vedono”. Il tema della sofferenza e della prova, sono presenti anche in Isaia 42-53, dove emerge la
figura del servo sofferente, una figura proiettata al futuro, più grande di un profeta, “… disprezzato
e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, era disprezzato e non ne avevamo
alcuna stima, eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori …. è
stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità … per le sue piaghe siamo stati
guariti.”. Gli esegeti sono divisi su chi sia questo servo sofferente. La letteratura sapienziale
ribadisce la trascendenza di Dio e l’impossibilità dell’uomo di comprendere con le sue categorie
umane.

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3. Parte Biblica (Nuovo Testamento)


Premessa
L’evento pre – pasquale inerisce l’esistenza di Gesù, dalla sua predicazione, ai segni antecedenti la
Pasqua fino l’evento pasquale in se, con passione, morte, resurrezione ed effusione dello SPS . La
predicazione e l’evento pasquale, sono strettamente connessi, altrimenti se ci si limitasse ad una
considerazione del Gesù storico, prescindendo dalla Pasqua, faremmo di Gesù, solo un maestro di
sapienza, come ce ne sono stati tanti altri nel corso dell’umanità. D’altro canto, se ci si soffermasse
solo sull’evento pasquale, senza considerare la premessa pre-pasquale, si risecherebbe di
trasformare la Pasqua in un mito, quello della vittoria della vita sulla morte. La parte neo-
testamentaria sarà articolata in tre momenti:
1) Gesù Pre – Pasquale. La predicazione rivelativa del Dio, uno e trino, ovvero i gesti, le
parole, le azioni che rivelano l’identità del P, di se stesso come F e dello SPS.
2) Momento Pasquale. L’evento pasquale come atto del P, del F e dello SPS.
3) Riflessione Teologica. Approfondimento dell’evento, nel corpus PAOLINO e GIOVANNEO,
con cui la comunità apostolica, illuminata e guidata dallo SPS , approfondisce quanto Dio ha
rivelato di se nell’evento.
1. Gesù Pre – Pasquale
È la predicazione, le azioni, i gesti, la preghiera di Gesù nel suo ministero terreno. Il tema della sua
predicazione è il Regno di Dio. Nei Vg, il Regno è riferito alla Signoria di Dio, non è ne un
territorio – luogo dove un re o Dio esercita il dominio – potere, ma esprime la sua regalità nel
tempo, nella storia, nella creazione. Il Regno:
1. Il Regno è qualcosa di futuro. Nel P nostro, “ … venga il tuo Regno”.
2. Le beatitudini. “beati i puri di cuore perché possederanno il Regno”, nel futuro.
3. Dimensione presente. Mc 1,15, “il Regno è vicino, convertitevi e credete al Vangelo”.
4. Le parabole. Le parabole della crescita, in Mt 13, inserite nelle 7 parabole del Regno, in
cui il Regno è paragonato a un granello di senapa, al lievito nella pasta, dove è germe già
presente, ma è realtà in potenza, che deve ancora svilupparsi.
L’annuncio del Regno di Dio è connesso alla persona di Gesù, che ha un rapporto singolare con
Dio. Gesù si rivolge a Dio, chiamandolo Abbà, ad eccezione dell’urlo sulla Croce del Sal 22,2, “Elì,
2
Elì, lemà sabactàni?”, “ Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” e non prega mai insieme
ai discepoli. Vi è un dislivello, nel rapporto che Gesù ha con Dio, rispetto ai discepoli, Egli non dice
mai P nostro ma P mio e P vostro, Dio mio e Dio vostro. Quando nei Vg è presente l’espressione “O
Pater” andrebbe tradotta con la parola aramaica Abbà, in quanto Gesù, come gli ebrei del suo
tempo, parlava aramaico. JEREMIAS ha identificato l’uso della parola Abbà, una parola infantile.
Studi recenti lo hanno smentito, perché in greco, questa parola usata dai bambini è resa con
“papas”, per cui rimane il mistero della traduzione resa con “pater”, ma comunque è un termine
d’uso familiare. JEREMIAS ha constatato anche, che l’espressione Abbà per rivolgersi a Dio, non è
mai stata utilizzata nel giudaismo prima di Gesù. L’uso di questa parola, da parte di Gesù, indica,
una unione intima, un rapporto unico, speciale, che testimonia la coscienza filiale. Gesù evidenzia la
paternità universale di Dio secondo un duplice aspetto:
1. Il privilegio degli ultimi. Che da questi, si estende a tutti gli uomini.
2. La gratuità. Essa supera i meriti, presunti o reali dell’uomo e non è paternalismo.
Il CARDINAL MARTINI, in occasione del Giubileo del 2000, scrisse una lettera nella quale
sottolineava l’aspetto non paternalistico di Dio, “Dio è P e non un nonno, che qualsiasi sia il
capriccio del nipote lo accontenta, ma un P che chiama alla responsabilità. Questa dimensione
emerge chiaramente nella predicazione di Gesù: tutti siamo chiamati a questa responsabilità ma, in
particolar modo è chiamato il F con l’evento della Croce dove il P, sino in fondo, non esercita una
paternità personalistica in quanto Gesù muore in Croce. L’atteggiamento di Dio verso l’uomo è

16
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri
““
quello di una paternità che suscita responsabilità, concretezza dell’impegno. Dio è misericordioso
quando viene riconosciuto il proprio peccato”.

Identità di F
Quando Gesù annuncia Dio come Abbà, annuncia se stesso come F L’identità filiale emerge in
controluce dal titolo Abbà, è una medaglia a due facce, da una parte Gesù rivela il suo rapporto con
il P, dall’altra parte rivela se stesso come F La categoria con la quale i contemporanei di Gesù
leggono la sua figura è quella di profeta. Gesù non è soddisfatto di questo titolo, lo ritiene
inadeguato in quanto non è soltanto un “annunciatore”. Il titolo di Messia Gesù non se lo attribuisce
mai in prima persona e quando gli altri glielo attribuiscono lo accetta con riserva perché non voleva
essere identificato col liberatore politico di Israele, ruolo che non accetta.

TITOLO DI F DELL’UOMO
Questo titolo cristologico, oggi non utilizzato, è molto utilizzato da Gesù stesso:
Ø 31
Giudice Escatologico. Mt 25,31. Quando il F dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli
angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.
Ø 22
Il primo annuncio della Pasqua. Mc 8,31 // Lc 9,22. Il F dell’uomo, deve soffrire molto,
essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere
il terzo giorno.
Ø
Il suo ministero.
ü 10
Mc 2,10 // Lc 5,24. Ora, perché sappiate che il F dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati
sulla terra.
ü 28
Mc 2,28. Perciò il F dell’uomo è signore anche del sabato.
ü 58
Lc 9,58. E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma
il F dell’uomo non ha dove posare il capo»..
ü 38
Mc 8,34 // Lc 9,26 . Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa
generazione adultera e peccatrice, anche il F dell’uomo si vergognerà di lui, quando
verrà nella gloria del P suo con gli angeli santi».
F dell’Uomo è un’espressione ricorrente dell’AT, essa si trova soprattutto nel profeta Ez, dove compare 93
volte (Ez 2,1.3.6.8; 3,1.3.4.10.16.25), è l’espressione con cui YHWH si rivolge al profeta, riferendosi alla
condizione di fragilità del profeta stesso. La riflessione cristologica della Chiesa apostolica l’ha poi usata,
sulla base di Dn 7,13, per riferirsi alla glorificazione di Cristo, attestando un rimando apocalittico. Nel NT
ricorre circa 80 volte nei Vg , At 7,56, Eb 2,6 e Ap 1,13; 14,14. Contrariamente al titolo di Cristo, che Gesù
non pronuncia mai, l’attribuzione di F dell’Uomo è utilizzata da Gesù, in aramaico bar enasha, per riferirsi a
sé in maniera indiretta. L’espressione F dell’Uomo è considerata come un modo discreto al quale Gesù
ricorre per rivendicare la sua messianicità senza indurre false aspettative (di tipo politico) tra i suoi
ascoltatori. La utilizza in contesti diversi:
ü in relazione all’idea del trionfo escatologico (Mc 8,38).
ü in relazione all’ineluttabilità delle sue sofferenze (Mc 8,31).
ü in relazione alle sue pretese messianiche (Mc 2,27-28).
L’uso di questa espressione rimane enigmatico a molti degli ascoltatori (Gv12,34).

Letteratura intertestamentaria
È la letteratura religiosa, fuori dal canone ebraico, presente al tempo di Gesù, situata quindi tra i due
Testamenti, dal libro della Sapienza del 40 a.C., alla 1Ts del 50 d.C.
La figura del F dell’Uomo catalizza le attese dell’AT, è associato:
ü
Al giudizio finale. Dn 7, una sorta di giudice escatologico.
ü
Al titolo di Messia.
ü
Al servo sofferente. Deutero Isaia.
Il F dell’Uomo è una figura vicinissima a Dio, nonostante il monoteismo assoluto giudaico. Quando
il Xmo è predicato tra i gentili, in contesto ellenistico, il titolo di F dell’Uomo perde significato,
perché non è compreso al di fuori della sua cultura di origine. Nel II secolo d.C. IGNAZIO DI
ANTIOCHIA descrive Gesù Cristo come F di Dio, per indicare la sua divinità e come F dell’Uomo,
17
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

per indicare la sua umanità. Quando Gesù utilizza il termine F dell’Uomo, i suoi contemporanei
capivano che alludeva a Dn 7, mentre i greci no.

TITOLO DI F DI DIO
Gesù non lo utilizza. Nell’AT, Dio è P in senso metaforico, quindi si tratta di una figliolanza
debole, per Gesù non ha senso usarlo. Il titolo F di Dio e F dell’Uomo assumono un significato
diverso, in un contesto giudaico o ellenistico, in ambito cristiano – ellenistico, F di Dio fa
riferimento alla natura divina mentre F dell’Uomo alla sua umanità (IGNAZIO DI ANTIOCHIA), in
ambito giudaico F di Dio era un titolo poco importante rispetto al titolo di F dell’Uomo.

™xous…a, Exousia
La relazione particolare di Gesù con il P, caratterizza la sua esistenza, facendo di Gesù qualcosa di
diverso rispetto ai “normali” profeti, conferendogli autorità, l’Exousia. Con cui compie azioni,
opere, segni, miracoli esclusivi di Jahwè, creando scandalo tra i Giudei, perché lo poneva allo
stesso piano di Jahwè. Questa autorità di Gesù è fortemente scandalosa riguardo:
ð
La legge. Pur non abolendola, pretende di avere la stessa autorità di Dio su di essa, ad
esempio affermandosi come Signore del sabato (Mc 2,28//Mt 12,8//Lc 6,5), non rispettare il
sabato, comportava la pena di morte (Es 31, 14-15).
ð
Il tempio. Gv 2,19; Mt 26,61//Mc 14,58 “lo distruggerò e lo ricostruirò in tre giorni”. È il
luogo sacro degli Ebrei, che sostituiva la tenda del deserto (shekinah). Quando Gesù si
sostituisce al Tempio, si presenta come la presenza di Dio in mezzo agli uomini, la nuova
shekinah, procurandosi la condanna dei sacerdoti, che avevano ben chiaro cosa intendesse.

PRO-ESISTENZA
È la caratteristica della esistenza di Gesù, un essere per il P che si riflette, in un essere per gli altri,
Mc 10,45//Mt 20,28, “il F dell’Uomo non è venuto per essere servito ma per servire”.

LO SPIRITO SANTO
Il Gesù pre – pasquale, non ha molti riferimenti in relazione con lo SPS (silenzio pneumatico).
Ø
Il Battesimo. Mc 1,9-11//Mt 3,13-17// Lc 3,21-22. Dove si assiste alla epifania
(manifestazione) della colomba. I Vg si esprimono mediante metafore, per cui lo spirito non
è materializzato, ma rappresentato come una colomba, come lingue di fuoco. Lo Spirito, in
quanto tale, non ha una consistenza.
Ø
Mt 12,28 “Se scaccio i demoni nello Spirito di Dio è chiaro che è giunto a voi il Regno di Dio”, è
messa in evidenza una dinamica trinitaria.
Ø 28
Mc 3,28-29. È il passo della bestemmia contro lo SPS, “ In verità io vi dico: tutto sarà
29
perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie; ma chi avrà
bestemmiato contro lo SPS non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna”. La
difficoltà nella comprensione del passo, consiste che non è indicata la bestemmia contro SPS
Ø 11
Mc 13,11. “ E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di
quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare,
ma lo SPS”. Gesù conforta i discepoli, promettendo lo SPS in tempo di persecuzione.

2. Momento Pasquale
ERMENEUTICA DELLA CENA PASQUALE
1. Gesù è consapevole del suo destino, sa che deve morire e lo preannuncia ai suoi discepoli:
ü
1° annuncio. Mc 8,31//Mt 16,21//Lc 9,22.
ü
2° annuncio. Mc 9,31//Mt 17,22-23//Lc 9,43-44.
ü
3° annuncio. Mc 10,32-34//Mt 20,17-19//Lc 18,31-33.
Gesù è consapevole delle conseguenze andando a Gerusalemme, infatti più volte dirà “è
necessario”. Questa necessità rientra nel piano di salvezza del P e passa attraverso il

18
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

V
sacrificio di Gesù, . Gesù aderisce liberamente con la sua umana libertà, è con questa consapevolezza e
volontà che celebra la Pasqua con i suoi discepoli, come segno – anticipazione di quanto accadrà di li a
V V
poco, ovvero la . La nostra Messa è un memoriale, non della cena ma della , proprio come fa Gesù
coi discepoli.
2. Le parole utilizzate da Gesù nello spezzare il pane e assumere il vino, “Prendete e
mangiatene tutti questo è il mio corpo spezzato per voi”. Il per noi è il massimo
compimento della pro – esistenza della vita di Gesù. Gesù sesso da il significato di quello
che sarebbe accaduto sulla Croce.
L’evento pasquale è da leggere come definitiva rivelazione di Dio P, F e SPS.

L’EVENTO PASQUALE
La Pasqua è causa della nostra salvezza e allo stesso tempo, pienezza della rivelazione che Dio fa di
se stesso. Duplice dimensione dell’evento pasquale:
a) Come atto del P Azione distinta del P, F e SPS.
b) Come atto del F L’evento pasquale è considerato nella sua integralità: passione, morte,
resurrezione, effusione dello SPS . Non è possibile dividere tali momenti ma distinguere il
momento di kenosis, lo svuotamento – abbassamento, nella passione e morte dall’elemento
della gloria, la resurrezione.

1) Evento Pasquale come atto del P


È il massimo della rivelazione che Gesù fa nella sua esistenza terrena dell’Abbà.
1) Visione espiatoria sacrificalista. È la visione secondo cui il P ha bisogno di un riscatto
dovuto al peccato
V dell’uomo, dato che l’uomo non è in grado di pagarlo, lo paga il F Nel
passato la è stata considerata, come atto della giustizia vendicativa e dell’ira punitiva di
Dio. Ma nei Vg non c’è nulla di ciò, ∄ il concetto di pagare una tassa a satana, ma è puro
atto di amore, offerta di salvezza e non conseguenza dell’ira divina.
2) Il silenzio dell’Abbà. Nei momenti di difficili di Gesù, tace. Nel momento della Croce
2
l’Abbà tace, sembra abbandonare il F, che recita il Sal 22,2, “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, “
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Solo dopo la morte, il P interviene nella
risurrezione, attestata come opera del P sin dai primi annunci apostolici, come testimonianza
della veridicità di quanto il F ha detto e ha fatto nel corso della sua esistenza terrena.

2) Evento Pasquale come atto del F


La morte in Croce è una scelta consapevole, non capita in modo accidentale. Gesù sa bene, che
andando a Gerusalemme, va incontro alla morte e lo sceglie liberamente. Lo cronaca dei fatti,
dall’arresto al Getzemani al processo di PILATO, sembra autorizzare la lettura, in cui Gesù sia nelle
mani degli aguzzini, mentre è lui il vero protagonista, perché è lui che ha scelto liberamente di
andare incontro a questa fine e di conformare la propria libertà al progetto del P, donando la sua vita
per gli altri. Gesù in Gv 10,18 dice, “Nessuno mi toglie la vita ma io la offro da me stesso”. Gesù sa
di avere il potere di offrire la propria vita e poi di riprenderla, anche se è consapevole che questo
potere non lo riguarda in senso esclusivo perché, “Questo Comando l’ho ricevuto dal P mio”. È una
scelta fatta per fedeltà al P e per amore verso gli uomini. Gesù è solidale con gli uomini sino alla
morte, ma la morte in Croce ha un senso particolare, poiché indica, sino in fondo, quanto è vasto
l’amore di Dio nei nostri confronti. Oggi si è perso il senso e lo scandalo della morte in Croce,
infatti dopo 2000 anni di crocifissi per adornare le chiese, le case, come monili, è scomparsa la
cognizione della durezza della croce al tempo di Gesù:
Ø
Punto di vista sociologico. I cittadini romani liberi, se condannati a morte, erano decapitati,
come accaduto a S. PAOLO. La morte in croce era riservata agli schiavi e ai sobillatori
politici, per cui era una morte infamante, non degna di un uomo. Gesù, morendo in croce, si
fa solidale con gli ultimi, coloro che erano esclusi dai diritti, non riconosciuti uomini.

19
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Ø
Punto di vista religioso. L’essere appeso al legno, At 21,22, era la morte degli scomunicati,
di coloro che avevano commesso un delitto grave contro l’alleanza e quindi estromessi
dall’alleanza tra Dio e il suo popolo. Nella mentalità ebraica la croce, l’esser appeso ad un
legno, costituiva la morte più infamante di tutte. Così facendo, Gesù, si fa solidale con gli
esclusi dall’alleanza.
Nei Vg emergono bene questi due aspetti, che Gesù si fa solidale con gli ultimi della società e con
gli esclusi dall’alleanza. Il fatto stesso che la crocifissione avviene fuori le mura della città santa
all’interno della quale era presente il tempio, è indice di questo fatto.
Ø
La solitudine di Gesù. Egli è abbandonato prima dalle folle, 2
poi dai discepoli, poi dagli
apostoli e poi da Dio (Sal 22,2, “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, “ Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?”. Gli Ebrei, declamando il primo versetto di un salmo, indicavano tutto il
salmo in questione, infatti il primo versetto era considerato come il titolo.
I contenuti del Sal 22, fanno emergere:
o La sofferenza del giusto. L’invocazione di dolore a Dio da parte di un giusto e non
di un peccatore.
o La storia della salvezza. “In te confidarono i nostri padri e tu li hai liberati, a te
gridarono e furono salvati”.
o La prefigurazione del calvario. “Si fanno beffa di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo, sono slegate tutte le mie ossa, si dividono le
mie vesti e sulla mia tunica gettano la sorte”.
o Richiesta di aiuto. “Ma tu Signore non stare lontano, mia forza vieni in mio aiuto”. o
La lode. “Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea”.
Nel salmo Dio interviene salvando e liberando quest’uomo.
I Padri della Chiesa hanno interpretato il versetto declamato da Gesù sulla croce, non come un
abbandono da parte del P, quanto un richiamo alla salvezza espresso da tutto il salmo. I teologi
contemporanei, sia cattolici che protestanti, hanno cercato di superare l’esegesi patristica
interpretando l’AT alla luce del NT, ovvero interpretando il salmo alla luce dell’esperienza di Gesù,
in quanto non è Gesù per il salmo ma il salmo per Gesù. Non è possibile leggere ed interpretare
queste parole di Gesù esclusivamente in base al senso che avevano nell’AT, occorre andare oltre
cogliendo tutta la durezza dell’esperienza del “non intervento”. Infatti, a differenza del salmo, il P
non interviene, Gesù muore in croce, non viene risparmiato. Questo, non giustificano la lettura di un
grido di disperazione da parte di Gesù, perché, nonostante l’abbandono, esse ci testimoniano la
fedeltà e l’amore di Gesù nei confronti del P Gesù, pur nell’esperienza dell’abbandono, rimane
fedele fino in fondo al P, infatti le parole del salmo, non sono le ultime parole di Gesù in Croce,
come si legge in Lc 23,34 “P, perdona loro perché non sanno quello che fanno” e Lc 23,46 “P,
nelle tue mani consegno il mio spirito”. In questo modo, Gesù, è solidale sia con gli ultimi, che con
coloro che hanno sperimentato “la notte oscura dello Spirito”, il non intervento di Dio. Ma questa
esperienza di non intervento di Dio non significa l’assenza di Dio, ad esempio solo dopo la morte di
MADRE TERESA DI CALCUTTA si è saputo che anche lei aveva vissuto gran parte della sua esistenza
in una situazione di aridità spirituale, rimanendo, fedele a Dio. Solo dopo che Gesù ha assunto sino
in fondo il calice amaro della passione, si ha la perfetta attestazione della sua figliolanza nella
8
resurrezione, Eb. 5,8 “ Pur essendo F, imparò l’obbedienza da ciò che patì”, la resurrezione come
opera del P e del F, che testimonia questo legame inscindibile tra i due, Gv. 10,17 “Per questo il P
mi ama in quanto io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo”. Il paradosso predicato da Gesù
25
è espresso bene in Mt 16,25 “ Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà
la propria vita per causa mia, la troverà”, è solo donando la vita sino in fondo, come ha fatto lui,
che la si salva.

L’evento Pasquale come atto trinitario


L’azione dello SPS non è esplicita nella passione. Ma ∃ un riferimento implicito in Gv 19,28, “Ho
16
sete” (in riferimento Sal 22,16 “ Arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata
20
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

al palato, mi deponi su polvere di morte”). Nel Vg di Gv questo “ho sete”, ha sicuramente un senso
teologico. Gesù, più volte, si presenta come l’acqua viva, in Gv 7,37-39, è fonte dello SPS,
37
“ Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha
38
sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno
39
fiumi di acqua viva». Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui:
infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato”. L’acqua viva in
Gv è lo SPS. Nei sinottici il grido dell’abbandono è riferito al P, in Gv “ho sete” è la sete che Gesù
ha dell’acqua viva. Così, parallelamente all’esperienza del non intervento del P, vi è il non
intervento dello Spirito, infatti morendo in Croce, non avverte il conforto di quello Spirito che l’ha
guidato ed illuminato nel suo ministero dal battesimo in poi. In Gv. la morte di Gesù non è esalare
l’ultimo respiro, piuttosto di consegnare lo Spirito. Ai piedi della Croce, Maria e Giovanni sono il
germe della Chiesa futura ed è a loro che consegna lo Spirito che aveva promesso. L’evento
pasquale è un evento trinitario, in cui è mostrata la distinzione nell’unità e l’unità nella distinzione.
La distinzione delle persone del P e del F, è testimoniata dall’abbandono del P col F in croce, la
comunione tra le tre persone è testimoniata dalla resurrezione, in cui il P resuscita il F e nel F risorto
effonde la pienezza dello SPS, che guida la comunità apostolica nei decenni successivi l’evento
stesso. All’interno della fede monoteistica di Israele, si dischiude questo nuovo accesso all’identità
più intima di Dio il quale, nell’unità, è P, F e SPS.

Riflessione apostolica sull’evento pasquale


La riflessione apostolica sull’evento utilizza le categorie sapienziali, a disposizione della cultura
ebraica, una riflessione non accademica ma radicata nella vita della comunità, la comunità
apostolica vive la propria esistenza in una dimensione trinitaria a cominciare dal battesimo.
inizialmente conferito nel nome di Gesù, At. 1-2, ad un battesimo avente una formula trinitaria
mutuata dal mandato missionario di Mt 28,19-20, “Andate e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del P, del F e dello Spirito Santo”. La vita della comunità, è vissuta nella
comunione ecclesiale, di matrice trinitaria.

3. Riflessione teologica
Corpus Paolino
PAOLO utilizza diverse formule trinitarie, nei saluti iniziali e finali di diverse sue epistole, dove
13
distintamente nomina il P, il F e lo SPS, ad esempio 2Ts 2,13-14 “ …, perché Dio vi ha scelti
14
come primizia per la salvezza, per mezzo dello Spirito santificatore e della fede nella verità. A
questo egli vi ha chiamati mediante il nostro Vangelo, per entrare in possesso della gloria del
Signore nostro Gesù Cristo.”. Qui PAOLO, condensa il ritmo trinitario della vita cristiana.
FIGLI ADOTTIVI NEL F
In virtù dello SPS siamo figli nel F e chiamiamo Dio “Abbà, padre”, non per natura, in quanto solo
il F può, ma per grazia. Gli ebrei consideravano la figliolanza divina, elettiva, noi cristiani, adottiva.

TRINITÀ ECONOMICA ↔ TRINITÀ IMMANENTE


Nel corpus PAOLINO ∃ testi in è descritto il passaggio da una trinità economica ad una trinità
immanente, dall’attività di Dio ad extra, per noi, ad una ad intra, relativa alla vita divina in se.
Ø 15
Inno cristologico di Col 1,15-17 “ Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta
16
la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili
e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create
17
per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”,
dove Cristo è icona del P, che nessuno ha mai visto, primogenito di tutta la creazione, dove
il F è tale per generazione e non per creazione, che è compiuta attraverso il F e in vista del F,
qui Gv utilizza le categorie metafisiche di ARISTOTELE, identificando il F come causa
efficiente e finale della creazione, in quanto il P crea attraverso il F.

21
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Ø 10
1Cor 2,10 “ Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce
bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.”. Lo Spirito scruta le profondità di Dio. È
presente l’analogia, per cui come le profondità dell’uomo sono conosciute dallo Spirito
dell’uomo, così i segreti di Dio sono conosciuti solamente dallo Spirito di Dio.

Corpus Giovanneo
Gv approfondisce l’identità divina del F, come logos, dello SPS e un ripensa l’unità divina, come P,
F e SPS, attraverso i concetti di missione, gloria, agape.

L’IDENTITÀ DEL F – LOGOS DEL P


Nella bibbia, il termine logos è proprio di Gv, con cui identifica il Cristo, come parola del P. Il
concetto di logos è proprio della filosofia greca, non è un concetto di derivazione ebraica.
ERACLITO, stoico, utilizza la categoria di logos come principio di unità e di intelligibilità del cosmo,
il principio ordinatore del caos primordiale, immanente al mondo, che gli da unità, ma resta
impersonale. Il logos nella teologia GIOVANNEA, non è legato però alla filosofia stoica, ma più al
concetto di sapienza dell’AT, quindi non un principio cosmologico ed impersonale, ma una
mediazione di Jahwè, del Dio vivente, del Dio persona. Negli scritti sapienziali dell’AT, però non è
utilizzato il temine logos bensì sophia, da cui Gv, utilizzando il termine logos, più che la sapienza
divina AT, indica la categoria di rivelazione divina. Qualunque sia la fonte del termine logos, stoica
o vetero – testamentaria, per comprendere chi sia il logos GIOVANNEO, bisogna guardare all’evento
Cristo, da cui scaturisce un nuovo senso di logos che riprende e trascende le categorie precedenti.

PROLOGO DI GV – GV 1,1-18
Gv inizia dalla vita immanente, intima di Dio. Guardando a Gesù riesce a contemplare in profondità
il rapporto tra il logos eterno ed il P, in quanto la vita di Gesù è sempre rivolta verso il P, nella
preghiera, nei suoi atti, mostrando che il suo essere era un essere in relazione con l’Abbà.
Ø 1
In principio era il Verbo (→ Gn 1,1 “Bereshit bara Elohim et hashamayim ve’et ha’arets”,
“In principio Dio creò il cielo e la terra”, Gv vuol indicare che non è un principio
temporale ma atemporale, cioè in Dio, nella sua eternità), e il Verbo era presso Dio (presso,
rivolto, orientato – Dio, o theòs, il P) e il Verbo era Dio (Dio, theòs, dio generico, in senso
di divinità). Gv mostra il Verbo – logos come distinto dal P, che in quanto distinto, può
essere rivolto verso lui, evidenziando la distinzione e la relazione tra le persone divine.
Ø 2 3
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è
stato fatto di ciò che esiste. (dalla vita immanente a quello economica della creazione, con il
P che agisce per mezzo del logos) ….
Ø ð 14
Il centro del prologo E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi
(“Kai o logos sarx egeneto kai eskhnwsen en hmin”, “Kai o logos sarx egeneto kai
eskhnwsen en hmin”, “mise la sua tenda in mezzo a noi”, riferendosi alla shekinah del
deserto, Es 14,20;40,34-38; Lv 9,23-24; Numeri 14,10;16,19.42, ovvero la presenza reale di
Dio tra noi) e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del F unigenito che viene
dal P, pieno di grazia e di verità. Il logos, non è soltanto una mediazione della creazione ma
“sarx egeneto, carne divenne”, segno del legame molto più forte tra Dio e il mondo. Il logos
che prima era nella gloria di Dio, ora assume la bassezza dell’esistenza terrena umana. Per
carne, “sarx”, Gv non intende la fisicità dell’uomo bensì la sua umanità, nella sua interezza,
sottolineando la dimensione della fragilità, di caducità, di debolezza. …..
Ø 18
Dio, nessuno lo ha mai visto: il F unigenito, che è Dio ed è nel seno del P, è lui che lo ha rivelato.
Gv conclude, è il F unigenito che manifesta il P attraverso l’incarnazione.

L’IDENTITÀ DELLO SPS


Paraclito, “παρακλητος, paracletos”, “chiamato presso, invocato”, in latino “ad vocare”, da cui ad-
vocatus, cioè “avvocato”, inteso come “chiamato in aiuto, difensore, soccorritore”, per

22
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

estensione “consolatore”. Il contesto in cui si usa questo termine è quello processuale, indica “colui
che sta al lato dell’accusato” per difenderlo.
Nei 5 discorsi del Paraclito, tramite “un gioco” di invii, è evidenziata la relazionalità al cuore della
vita Trinitaria:
16
1) 14,16-17. Io pregherò il P ed egli vi darà un altro Consolatore (il primo Paraclito è lo
stesso Gesù, che viene in aiuto, mentre l’altro è lo SPS , distinto rispetto a Gesù e al P, ma
17
mandato sia dal P che dal F) perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il
mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli
dimora presso di voi e sarà in voi.
26
2) 14,26. Ma il Consolatore, lo SPS che il P manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni
cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
26
3) 15,26. Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal P, lo Spirito di verità che
procede dal P, egli mi renderà testimonianza;
7
4) 16,7-11. Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne
8
vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E
quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.
9 10
Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado dal P e non
11
mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato
12
5) 16,12-15. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il
13
peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché
14
non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi
15
glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il P possiede è
mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.

L’UNITÀ DI DIO ATTRAVERSO LE CATEGORIE DI MISSIONE, GLORIA, AGAPE


Missione
Nella cultura semitica, la missione implicava la presenza di colui che invia, generalmente il re, in
colui che è inviato a suo nome, il messaggero, che lo rappresenta. In analogia, nella economia della
salvezza, l’invio del F da parte del P, implica che nel F è presente colui che lo manda. Vi una
circolarità all’interno delle persone divine della Trinità.

Gloria
Il termine che nell’AT esprime il concetto di gloria è kabōd, che implica l’idea di peso. Il peso di
un essere nell’esistenza definisce la sua importanza, il rispetto che ispira, per cui la sua gloria.
kabōd, riferito a Dio, non ne indica l’essenza, ma il modo di manifestarsi in tutto il suo splendore, il
rivelarsi nella sua maestà, potenza e santità. La gloria di YHWH, ha il carattere della
manifestazione, soprattutto nella creazione, nei fenomeni naturali e nelle apparizioni. Nel NT, la
gloria di Dio è presente in Gesù. Rispetto al kabōd AT, il concetto neotestamentario di gloria riceve
nuova prospettiva escatologica. Nella koinè, l’espressione della kabōd, è resa con i termini :
A. Τιµή, timê. Indica il riconoscimento della posizione e della dignità dell’altro
B. Δόξα, doxa. Sinonimo del precedente, ma nella Bibbia è riservato a Dio, riferendosi alla
impressiona creata dalla magnificenza.
Per Gv, Gesù manifesta la gloria attraverso i 7 segni che compie nel suo ministero:
1. Le nozze di Cana. 2,1-12
2. Parola di vita. 4,43-54
3. La guarigione del paralitico. 5,1-47
4. La moltiplicazione dei pani. 6,1-15
5. Gesù cammina sulle acque. 6,16-21
6. Il cieco nato. 9,1-41
7. La rianimazione di Lazzaro. 11,1-54

23
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Ma è nell’evento pasquale che la gloria è elevata al livello più alto, dove il P glorifica il F, è una
dinamica di reciproca glorificazione, che implica l’essere uno nell’altro. Tale rapporto di
glorificazione coinvolge anche lo SPS, come mostrato nell’ultimo discorso del Paraclito,Gv 16,14
14
“ Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà”.
In questo dinamismo di reciproca glorificazione risiede:
1. L’unità tra P, F e SPS.
22
2. L’unità dei credenti con Dio. Gv 17, 22-23 “ E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data
23
a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me,
perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati
come hai amato me”.

AGAPE
Àgape, in greco ἀγάπη, agápē, in latino caritas, è l’amore disinteressato, fraterno, smisurato, lo
slancio, l’entusiasmo dell’amore verso un altro o una qualunque particolare attività, a differenza
della philia, il sentimento di amicizia e eros, l’attrazione carnale.
8
La chiara identificazione di Dio con l’amore è 1Gv 4,8-11, “ Chi non ama non ha conosciuto Dio,
9
perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo
10
il suo F unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo
stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo F come vittima di espiazione
11
per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli
altri”. Quello che nell’AT era un atteggiamento di misericordia di Dio nei confronti del popolo,
adesso rivela quello che è Dio in se, ad intra, nel rapporto tra le persone divine, ad extra, con
l’uomo. Dio è misericordioso e amorevole nei confronti dell’umanità perché è in se stesso agape. Il
nome rivelato nell’Es si apre ad un significato nuovo, è il Dio è per noi.

CONCLUSIONE DEL 1° SEMESTRE


La riflessione GIOVANNEA ci ha condotti nell’intimo della vita divina. Con lui si chiude la riflessione
iniziata con l’AT, in quanto l’unico Dio rivelatosi ad ABRAMO, a MOSE, ai profeti, in Cristo rivela il
dinamismo della sua stessa vita intima, un dinamismo di amore tra P, F e SPS. Il dato della
rivelazione, è stato approfondito con la ragione, con una riflessione che ha una dimensione
essenzialmente storica, da cui non si può prescindere, perché l’identità di Dio, rivelato in Cristo, è
avvenuta al’interno di un cammino storico. La Chiesa è chiamata, mantenendo il riferimento
normativo della rivelazione in Cristo e trasmessa dal NT, a compiere un progressivo
approfondimento intellettuale, che ha costituito il cammino della riflessione teologica, sfociato nelle
formulazioni dogmatiche dei Concili e dal Magistero della Chiesa, punti di riferimento
imprescindibili. Questa progressività, ha risposto a due sfide principali che la comunità cristiana è
stata chiamata ad affrontare sin dall’inizio:
Ø
Ad intra. Rispondere ai tentativi di comprensione mal riusciti, eresie primi IV secoli, che hanno
spinto ad approfondire il dato rivelato, per rispondere a queste interpretazioni.
Ø
Ad extra. È il dialogo con la cultura. Il cristianesimo nasce nel giudaismo, in contesto
ebraico, ma ne esce incontrandosi con la cultura greco – romana, che non possiede le
categorie semitiche di espressione. La teologia nasce come sforzo di dialogo.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

4. La Chiesa (II Semestre)


L’evento pasquale è il culmine della rivelazione di Dio nella storia, che assume un ruolo
importante. È l’auto comunicazione che Dio fa di sé stesso nella storia della salvezza (οικονοµια,
oikonomia) che rende possibile conoscerne l’identità in sé stesso, cioè nella vita divina e
immanente. La riflessione teologica, approfondisce attraverso la storia sia il dinamismo della
Rivelazione che il significato dell’evento in sé. Due sono le sfide della riflessione:
1. Ad intra. Le eresie trinitarie. Azioni, errori, interpretazioni riduttive della rivelazione.
2. Ad extra. Istanze e domande dal mondo pagano – ellenistico.
Declinare il cristianesimo all’interno di un contesto ebraico è diverso che farlo in una cultura
completamente estranea. Divenne necessario rendere accessibile la Rivelazione a queste culture,
non per dire qualcosa in più del dato rivelato, quanto piuttosto cercare di interpretare ed esprimere il
dato rivelato in una maniera ad essi comprensibile. Per cui si stabiliscono i criteri per una corretta
ermeneutica del contenuto della rivelazione:
1. L’Apostolicità (NT).
2. La cattolicità (l’interpretazione della Xsa).
3. I dogmi cristologici - trinitari dei primi Concilii, che costituiscono i punti fermi. Questi
dogmi sono le sponde del fiume entro cui muoversi per dare delle giuste e corrette
interpretazioni del dato rivelato.

Le epoche della riflessione storico-dogmatica


a) Il periodo pre-niceno (I – III sec.). Prima del Concilio di Nicea (325), la fede trinitaria era
vissuta in ambito liturgico - sacramentale e testimoniata (martiri). Emergono anche i primi
tentativi di approfondimento speculativo, le precisazioni linguistiche sull’unità e la Trinità di
Dio. Nascono i primi errori, le prime deviazioni dottrinali, superate all’interno di una
dialettica ecclesiale che non necessita di un Concilio come avverrà successivamente con
Nicea dove verrà stabilito un Credo, un Simbolo di fede.
b) Da Nicea al Medioevo (IV – XIII sec., circa 1000 anni). Periodo in cui si assiste ad un
grande approfondimento speculativo dell’identità trinitaria di Dio. È l’epoca della Patristica
e della Scolastica. Si rinnova la terminologia del pensiero ontologico greco, si sancisce e si
elabora in modo terminologicamente corretta l’equidivinità, cioè che il P, il F e lo SPS siano
ugualmente Dio, attraverso i termini “sostanza” o ousia (per l’unità di Dio) e il concetto di
“persona” o hypostasis (per la distinzione in Dio).
c) La modernità (XIV – XIX secolo). La svolta antropocentrica. Il soggetto diventa centrale
dal punto di vista filosofico e teologico ed inizia l’isolamento del trattato trinitario (la
manualistica). La manualistica fa perdere fecondità del pensiero patristico – scolastico,
limitandosi a schematizzare ciò che è stato elaborato in precedenza, senza alcuno sforzo
innovativo, anzi isolando di fatto il trattato trinitario all’interno della trattazione teologica in
generale. La riflessione teologico trinitaria inciderà sempre meno a livello accademico, sarà
ripresa dalla mistica, dai carmelitani (S. CATERINA DA SIENA). Romanticismo e Idealismo
recupereranno la Trinità, ma con una riflessione filosofica, dandone una lettura parziale.
d) La contemporaneità (XX secolo). Fermento per gli studi trinitari (BARTH, CVII,
RAHNER).

25
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

A. PERIODO PRE-NICENO
È il periodo in cui la Xsa manifesta e testimonia la propria fede nel Dio uno e trino, con la sua vita,
espressa a livello sacramentale e liturgico, non c’è una riflessione teologica sull’unità e trinità di
Dio. Gli apologisti ed i martiri, mettono in evidenza come la fede trinitaria sia qualcosa di
fortemente vissuto nella liturgia battesimale, infatti il credo è nella forma tripartita (interrogativa o
affermativa) e nella liturgia eucaristica.
ð
IPPOLITO DI ROMA. La preghiera cristiana deve avere una struttura trinitaria.
ð
GIUSTINO. Esplicita nei sacramenti (liturgia battesimale e eucaristica), la dimensione
trinitaria: l’azione del P per mezzo del F e dello SPS, “Nel nome di Dio, il Padre e Signore
di tutte le cose, e di Gesù Cristo, nostro salvatore e dello Spirito Santo”. Nella Apologia II a
Marco Aurelio, affermerà che vi sono semi di verità della rivelazione presenti nella sapienza
antica, i λόγοι σπερµατικοὶ, logoi spermatikoi, i semina verbi.
ð
S. POLICARPO. Vescovo di Smirne (discepolo di Gv) intorno al 155, gli atti del suo martirio,
riportano una preghiera trinitaria rivolta al P, ringraziandolo di prendere parte al calice del F
nell’incorruttibilità dello SPS, “(…)ti benedico e ti glorifico per mezzo dell’eterno e celeste
gran sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio, per il quale sia gloria a te con Lui e lo Spirito
Santo ora e nei secoli futuri. Amen”.
ð
S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA. Ci ha lasciato testimonianze circa la vita della Xsa e anche senza una
approfondita riflessione teologica, parlerà dell’unitarietà della Trinità.

I simboli di fede
Ogni comunità cristiana aveva i suoi (Gerusalemme, Roma, Antiochia, ecc.) laddove i contenuti
erano gli stessi in quanto si esprimeva la fede nel P, nel F e nello SPS, ma le forme erano diverse
(dialogiche, espositiva; ogni comunità sottolineava aspetti diversi) poiché ogni simbolo era
arricchito dell’esperienza di ogni singola comunità cristiana. Nella seconda metà del II sec. emerge,
causa le eresia, una prima riflessione teologica ad intra e causa della ricezione della rivelazione in
culture diverse da quella ebraica di origine, una riflessione ad extra.
L’atteggiamento della Xsa è diverso:
Ø
Contrapposizione. IRENEO DI LIONE – gnosi. Affermazione della verità rivelata contro altre
interpretazioni.
Ø
Dialogo. ORIGENE – altre culture. Accoglienza di categorie altre per stabilire un canale di
comunicazione

S. Ireneo
Vescovo di Lione e discepolo di POLICARPO, ha un legame molto forte con la tradizione apostolica.
† nel 202 d.C. e lascia un’opera importantissima, l’Adversus Haereses. IRENEO scrive contro gli
gnostici i quali pretendevano di penetrare nel mistero di Dio a prescindere dall’evento Gesù Cristo,
dalla fede, dalla Chiesa. Lo gnosticismo (→ appunti Grappone pag. 19-22,24 e Sabetta I pag. 5,21),
tipicamente orientale, è un fenomeno sincretista, tra elementi pagani, cristiani, misterici, orientali,
con la risultante di una visione cosmologica complessa. Nacquero varie scuole gnostiche:
ü
MARCIONE. Contrappone AT e NT.
ü
BASILIDE.
ü
VALENTINO. Contro cui scrive l’Adversus Haereses.

ERESIA VANTENTINIANA
(→ appunti Grappone pag. 20-21). Valentino sosteneva che all’inizio di tutto ci fosse il “P o
Abisso”, un principio imperscrutabile e incomprensibile, che unitosi con “Silenzio” (anch’essa
assolutamente inconoscibile) ha dato vita ad una serie di divinità, in tutto 30 Eoni, che formano
l’insieme del mondo divino chiamato Pleroma (termine preso da Paolo in Col 2,9 - πληρωµα =

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

pienezza). Nell’ultimo Eone, Sophia, scruta il mistero di Abisso (il P) senza passare attraverso la
gerarchia, è una sorta di peccato originale da cui nasce Concupiscenza, la materia informe, espulsa
dal pleroma e costituente il mondo. Per disciplinare e purificare questa materia informe, gli altri
Eoni producono un essere divino, Gesù. Ciò che non è purificato è ordinato da un demiurgo che dà
ordine alla materia ad immagine del Pleroma. Questo demiurgo (un richiamo al Demiurgo di
PLATONE), per i Valentiniani è il Dio dell’AT. Dall’azione di questo demiurgo nascono due classi di
uomini, gli spirituali ed i materiali. La terza classe di uomini, gli psichici, nascono della
purificazione della concupiscenza operata da Gesù. Gli spirituali sono salvi, i materiali sono
dannati, gli psichici sono intermedi, si possono salvare o no. Infatti per loro è concepito un
redentore da Maria (iniziano gli elementi propriamente cristiani, esempio del sincretismo gnostico)
che al momento del battesimo, riceve l’Eone Gesù (adozionismo). Il redentore Gesù, predica e
comunica una γνῶσις (gnósis), la conoscenza, che se ben utilizzata dagli psichici, li salverà. Ma
prima della passione, l’Eone Gesù lascia l’uomo, così colui che muore in Croce è solo un uomo e
non Dio. La croce non ha nessun valore redentivo e non esiste resurrezione, questo evento, non
salva, soteriologicamente ha valore solo la conoscenza. IRENEO si rende conto del pericolo della
gnosi, perchè svuota tutto l’evento della Passione, morte e risurrezione di Cristo, presentando un
cristianesimo sincretista, che univa elementi non cristiani, ma conformi alla mentalità e alla cultura
degli uomini del II sec, un cristianesimo a uso e consumo proprio di gente proveniente da ambienti
pagani, dove erano noti i riti misterico – mitologici. Un cristianesimo che ben si collocava
all’interno di questo orizzonte, con la visione tipica del mondo greco della negatività della materia.

RISPOSTA DI IRENEO
IRENEO risponde contrapponendo alla visione mitologica, la storia della salvezza testimoniata dalla
SS. La sua riflessione trinitaria è una contrapposizione metodologica, perché prende spunto dalla
Trinità economica, dalla storia della salvezza, contro gli gnostici che non partono dalla storia ma dal
mito, dal Pleroma. IRENEO parte dalla Rivelazione che Dio ha fatto di sé stesso per poter dire
qualcosa di Dio e questa Rivelazione avviene nella storia. Cristo è per IRENEO il centro e
ricapitolatore della storia. Egli è il verbo, uscito dal seno del P per donarci lo SPS e radunarci tutti
nel seno del P. Il ritmo della storia della salvezza è trinitario, lo Spirito di Dio ci conduce al Verbo,
il F, unica via che conduce al P. La Trinità opera insieme alla redenzione dell’umanità, come ha
operato per la creazione dell’uomo, laddove F e SPS sono considerati, da IRENEO, le due mani del P
con cui agisce nella creazione e nella storia della salvezza. “L’uomo vivente è la gloria di Dio ma la
vita dell’uomo è la visione di Dio”. espressione famosa di Ireneo. Il F è l’unico in grado di darci la
conoscenza del P perché è il visibile del Padre è l’unico che comprende il P. Solo tramite il verbo
arriviamo al P. Non approfondisce lo SPS. IRENEO si contrappone allo gnosticismo ancorandosi
all’ambito storico - salvifico (nel suo ritmo trinitario) senza approfondire la vita divina immanente
(ad intra).

La scuola Alessandrina
Alessandria d’Egitto, era la capitale culturale dell’Impero Romano, una città cosmopolita, fiorente,
dove si incontravano culture diverse, numerosi e proficui gli scambi commerciali, vi era la grande
biblioteca e qui avvenne la traduzione della LXX. È presente una grande scuola di cultura ebraica,
nella quale FILONE confronta il pensiero ebraico e quello greco. La nascente comunità cristiana
cerca un approccio per il dialogo con il pensiero filosofico. I Padri e i teologi di Alessandria (fine II
sec e inizio III sec) avevano come referente culturale il Platonismo. Si assiste ad un periodo di
rinnovamento filosofico, anche se non si può parlare già di neoplatonismo, dovuto a PLOTINO nel
III secolo. Gli studiosi concordano nel definirlo medio – platonismo, dove emerge la struttura
triadica del divino. È da precisare che i Padri non avevano di fronte le idee sistematizzate da
PLOTINO, ma quelle medio – platoniche. PLOTINO (→ appunti Cicchese pag. 13-14) nelle Enneadi
dà la visione del divino articolato nelle tre hypostasis, influenzando la riflessione trinitaria,
positivamente in Agostino e negativamente nelle eresie. Egli sostiene che ∃ l’UNO, assolutamente

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

trascendente e ineffabile, e di cui non si può dire e aggiungere nulla, altrimenti lo si inserirebbe
nella molteplicità. Questo UNO è di una tale sovrabbondanza che deborda da sé stesso e dà origine
a quel processo di emanazione, che chiama “processione”. L’emanazione è qualcosa di troppo
meccanico, mentre “processione” indica meglio il provenire della seconda ipostasi dalla prima, il
nous o intelligenza. Dall’UNO viene il nous, l’essere, il pensiero di pensiero, è l’insieme del mondo
platonico delle idee. Il nous è divino, ma in quanto seconda ipostasi, è di grado inferiore rispetto la
prima. Nel mondo medio - platonico e poi neoplatonico ogni differenza implica una diminuzione, il
mondo divino è gerarchizzato, l’UNO costituisce il massimo della perfezione mentre il nous, pur
essendo divino in quanto procede dall’UNO, è meno perfetto, perché contiene in sé una diade
(molteplicità), che lo rende gerarchicamente inferiore. Come l’UNO, sovrabbondando origina il
nous, così quest’ultimo deborda da sé stesso, originando una nuova processione (ipostasi), l’anima
che per PLOTINO è l’anima del mondo, situata ad un livello più basso ed inferiore rispetto il nous e
l’UNO. Questa riflessione non era astratta, ma si traduceva nella vita concreta nella ascesi verso
l’UNO. L’uomo, abbandonando ciò che è inutile, a partire dalla corporeità, con un cammino
ascetico (i neoplatonici avevano episodi di estasi), tendevano a perdersi nell’UNO. La Scuola
alessandrina vuole esprimere la fede cristiana nel dialogo con la filosofia ellenistica cercando di
illustrare, attraverso termini tratti da questo mondo, il mistero rivelato in Cristo. Da CLEMENTE
ALESSANDRINO in avanti si ha questo tentativo di esprimere con termini nuovi e con la struttura di
pensiero derivante da questa filosofia il contenuto della rivelazione.

CLEMENTE
(→ appunti Grappone pag. 25 (16-19) e Sabetta I pag. 5). Caposcuola della scuola alessandrina,
Vescovo di Alessandria. Negli Stromata (seconda metà del II sec) afferma che la legge ebraica (AT)
e la filosofia greca, costituivano la preparazione (preparatio evangelica) all’accoglienza del Cristo,
quale pienezza della Rivelazione. È un dialogo evidente tra la fede cristiana e la filosofia. C’è una
grande considerazione della filosofia, la quale viene messa quasi sullo stesso livello dell’AT, i
filosofi pagani alla stregua dei profeti dell’AT, che sono guidati indirettamente da Dio, da una
ragione illuminata dalla verità divina. Per CLEMENTE negare questo significa negare la provvidenza
divina che guida la storia. Egli usa l’immagine di due fiumi che confluiscono nella pienezza della
rivelazione, il Cristo. La legge ebraica e la filosofia greca confluiscono nel cristianesimo quella
fonte nuova che poi trascina le acque più lontano rispetto alle due matrici d’origine. Arriva ad
affermare, che ci sono due AT, quello biblico e quello filosofico, assegnando pari livello ad
entrambe le fonti. È un linguaggio metaforico, CLEMENTE non mette i testi di PLATONE allo stesso
livello dei libri canonici dell’AT, ma compie questa similitudine per dimostrare ai suoi interlocutori,
i pagani ellenizzati, le somiglianze con il cristianesimo. Come gli ebrei sono stati preparati
all’avvento di Cristo con l’AT, così i pagani lo sono stati con la filosofia, ma in entrambi i casi, per
una piena accoglienza di Cristo, va superata la fase preparatoria. Accolta la fede in Cristo, il
compito della filosofia non è esaurito, ma quest’ultima si dimostra valido strumento per
approfondire e difendere la fede. La filosofia greca è insufficiente, al pari dei nomi usati nell’AT,
per arrivare a conoscere Dio:
ð
Filosofia. Uno, Bene, Spirito, Essere.
ð
AT. P, Dio, Creatore, Signore.
Nessun nome fa conoscere Dio in modo appropriato, l’inconoscibile è pensabile solo per mezzo
della grazia divina e del Verbo che procede da Dio, cioè solo in Cristo abbiamo il pieno accesso alla
realtà di Dio, solo con Lui si ha il superamento dell’AT e della filosofia per essere introdotti nel
mistero dell’inconoscibile.

ORIGENE
(→ appunti Grappone pag. 25 (16-19)). Ci sono pervenute di lui, poche opere. Sviluppa
l’impostazione di CLEMENTE, creando nuove categorie teologiche per parlare di Dio. Egli espone la
sua riflessione teologico - trinitaria nell’opera Perì Archôn (De Principiis), di cui RUFINO non ha

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

fatto una traduzione fedele. ORIGENE imposta la sua teologia partendo dalla vita divina e immanente
(diversamente da IRENEO che parte dalla oikonomia, la storia della salvezza), parte da Dio P, chiamato
Dio in sé (autotheos). Il P è l’unico Dio in sé, il F è il secondo Dio (deuterotheos). Solo il P è l’archè, il
principio di tutto, poiché tutto deriva da Lui, compreso il F e lo SPS, che come le creature derivano da
Dio, ma sono distinte da esse in quanto trascendenti. È il primo che afferma la generazione eterna da
parte del P, che ha generato soltanto il F. Egli sottolinea l’unicità della generazione del F rispetto alle
altre cose (è di un punto fermo nella teologia trinitaria), nessun tipo di generazione nel mondo creato
può dirsi generazione eterna, in quanto la generazione implica sempre un punto di partenza. Tanto
eterno è il P quanto eterno è il F, diversamente dal mondo creato, dove P e F non sono nati nello stesso
momento. L’aggettivo eterna distingue i livelli della generazione, in Dio non c’è un origine. L’idea di
generazione è purificata quando riferita a Dio, perché nell’ambito creaturale indica un inizio, che in Dio
∄, perché in Dio ∄ tempo, ma solo eternità. Dio eternamente genera il F. La creazione è qualcosa che
distingue la creatura da Dio, infatti la generazione è solo analogica con l’ambito umano, è espressa in
termini differenti. Nell’ambito creaturale, la creazione è inserita nel tempo, se pensiamo la generazione
negli stessi termini, si rischia di fare del F una creatura. In Dio (ad intra – rapporto F e P) ∄
connotazione temporale, in quanto il F è generato eternamente dal P, per cui senza un inizio nel tempo,
tutto ciò che è in Dio è eterno.

Problemi
Il pensiero di ORIGENE, non porta ad un’eresia, ma ad una visione subordinata. La generazione
eterna, pone una netta distinzione tra l’ambito intra – divino e l’ambito creaturale, ma non si può
parlare propriamente di subordinazionismo, perché il F è completamente nella sfera divina, in
quanto la sua generazione è eterna a differenza del resto del creato che è generato nel tempo.
ORIGENE definisce si, un Dio primo e secondo, ma questo essere secondo, non mette il F nella
creazione perché è eternamente generato dal P. Egli parte dal prologo di Gv 1,3, secondo cui vi è
una mediazione del F nei confronti della creazione, perchè “tutto è stato fatto per mezzo del Verbo”
da cui la generazione del F è atto della volontà del P. La posizione di ORIGENE è delicata, non
perché parla di un secondo Dio, ma per il fatto che assegna al P la volontà di generare il F, oggi è
un’eresia, perchè Dio avrebbe anche potuto non voler generare il F, perchè ogni atto volontario
comporta una libertà, una possibilità di scelta tra un si e un no.

Commento ad Origene
LA DARIA, in Dio vivo e vero, afferma se è vero che ORIGENE ha una posizione che tende alla
subordinazione del F rispetto al P, non si può parlare ancora esplicitamente di subordinazionismo. Il
F, viene si, da un atto volontario del P, ma questo atto è diverso rispetto a tutti gli altri esseri creati,
Lui viene dal P per generazione eterna. ORIGENE è un pioniere, nessuno, prima di lui, aveva tentato
una riflessione di tale portata. Lui distingue i due piani senza cadere nel subordinazionismo:
Ø
Il piano delle cose create dal P.
Ø
Il piano del Verbo. Il F, che è generato eternamente dal P, ponendolo ad un livello altro rispetto a quello
delle creature.
Il F è generato, Gesù Cristo è il F incarnato. Quando si parla del F s’intende il Verbo pre-esistente,
utilizzando il termine giovanneo “unico generato”, monoghenes, per indicare il rapporto tra F e P. Il
subordinazionismo lo abbiamo nella misura in cui il F viene spostato nell’ambito creaturale.

Lo SPS
Esso non è né ingenito (non generato), in quanto nella Trinità solo il P lo è, né generato, in quanto
solo il F è generato dal P. ORIGENE afferma che viene dal P mediante il F, è la posizione attuale
delle Chiese Ortodosse. Lo SPS viene dal P (che è dall’eternità) per mezzo del F, ma in maniera
diversa dalle creature. Come la generazione eterna distingue il piano del F da quello delle creature,
così anche per quanto riguarda lo SPS, esso viene dall’eternità. Lo SPS è dal P per mezzo del F
dall’eternità, per cui anch’Egli ha un’esistenza eterna come il P e il F. Vi è una “linea discendente”

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

poiché il P è Dio in sé, il F è un secondo Dio generato dal P, lo SPS viene dal P per mezzo del F. I
rapporti intra - divini sono eterni e questo non fa risultare ORIGENE, nonostante il rischio di una
visione subordinata della vita divina, un eretico. ORIGENE è in dialogo con i filosofi medio -
platonici, poiché ha avuto lo stesso maestro di PLOTINO, AMMONIO SACCA.

TERTULLIANO
Nel III sec. in occidente, è colui che ha formulato il linguaggio trinitario nella lingua latina. Non è
un P della Chiesa e non è Santo, poiché in vecchiaia è diventato un eretico montanista. Il
Montanismo predicava un’ascesi rigida nell’attesa del Regno millenario di Cristo.

Terminologia nuova
ü
Trinitas. Il termine Trinità non è attestato nella SS.
ü
Persona. Darà un nuovo significato al termine, che in precedenza, in latino, era utilizzato per la maschera
teatrale, la quale serviva ad amplificare la voce e per fissare il ruolo.
È il primo che usa persona parlando di P, F e SPS. È importante sottolineare che il primo ambito
all’interno del quale il termine è stato utilizzato è quello trinitario e non antropologico, anche se in
lingua latina era stato usato in ambito giuridico. Persona è il frutto della civiltà cristiana, l’origine
nasce nell’ambito trinitario e successivamente l’idea di persona da Dio passa all’uomo.
ü
Substantia. Indica l’unità di Dio. Una sostanza, tre persone. Nella lingua greca, per arrivare ad una
formulazione del genere occorreranno diversi secoli.
Confusione terminologica
Le eresie del III sec, sono fondate sulla confusione dei termini utilizzati per parlare di Dio:
ð
Ousia. οὐσία. In latino sostanza. È il participio presente di essere e di per sé significherebbe
essenza e non sostanza. È un termine molto ampio nella lingua greca. ARISTOTELE afferma
nella metafisica, sostanze (ousia) prime e seconde. Le sostanze prime sono gli individui
(Luca), le seconde sono i nomi di specie (uomo, animale, etc.). Indica anche il principio, la
causa. Sostanza può essere intesa come materia, come forma o come sinolo (insieme di
materia e forma). Sostanza può essere intesa come sostrato, ARISTOTELE lo chiama
hypokeimenon, ὑποκείµενον, è simile a hypostasis, ὑπόστᾱσις.
ð
Physis. Φύσις, natura. La sostanza ha una determinata natura, perché la natura indica proprio la
forma di una cosa, l’essenza di una cosa.
ð
Hypostasis. ὑπόστᾱσις. Usato da ARISTOTELE, e successivamente dagli stoici, ha particolare
importanza nella riflessione di PLOTINO. Hypostasis è una sostanza inserita nel dinamismo
delle processioni, cioè una sostanza che deriva da un’altra sostanza. L’ipostasi si identifica
con la sostanza! Nella mentalità degli uomini del III sec., se l’ipostasi è una sostanza è
ammessa l’identità tra ipostasi ed ousia. Hypostasis è una sostanza, che viene da un altra e
che è inferiore alla sostanza da cui viene:
o PLOTINO. Uno → Nous → Anima = 3 ipostasi divine gerarchizzate. L’Uno è
principio di tutto, dalla sua sovrabbondanza procede il Nous la seconda ipostasi. Dal
Nous (il divino inferiore) per abbondanza si determina la terza ipostasi l’Anima del
mondo. Ogni anima è chiamata a tornare verso il Nous che torna all’Uno. Tutto ciò
non avviene per un atto di volontà.
ð
Prosopon. Πρόσωπον. Non è un termine filosofico, significa volto, etimologicamente è ciò
che sta sotto gli occhi. È l’equivalente del latino persona, con la differenza che persona
significa maschera e prosopon volto, solo successivamente in lingua greca prende il
significato di maschera teatrale e quindi di personaggio. Il volto permette di individuare i
singoli, rappresenta l’esterno di una persona e non ciò che sono intimamente. In età
ellenistica individuo, l’uomo nella sua posizione nella società (valenza giuridica). Nell’AT è
utilizzato per indicare il volto di Dio nel NT indica volto o individuo.
ð
Essenza. τὸ τί ἦν εἶναι, to ti ên einai, è ciò che è (Essentia). Per Aristotele fa essere una cosa quello
che è e non un’altra. Indica le determinazioni, specifiche che ne costituiscono la

30
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

natura. L’essenza quindi è il fondamento, ciò che realmente è. Contrapposto a quello di


“accidente”, che sta ad indicare una proprietà che non ne costituisce la natura ed essendo
contingente può mutare nel corso del tempo.
ð
Hypokeimenon. ὑποκείµενον, sostrato (Substantia). Ciò che sta sotto, nascosto all’interno della cosa
sensibile.
Sono termini non biblici, che hanno richiesto uno sforzo interpretativo per non essere usati in modo
ambiguo in teologia. Il problema è per chi è di lingua greca, in ambito latino TERTULLIANO aveva
chiarito sia i termini per indicare l’unità (ousia) e la distinzione (ipostasi) in Dio, che quello di
persona. Nel III sec. c’è forte indeterminazione, perché ousia e ipostasi sono intercambiabili, quasi
sinonimi. La chiarezza dogmatica si avrà quando si userà ousia per l’unità di Dio e hypostasis per le
tre persone divine con il Concilio Costantinopolitano II (553).
ERESIE TRINITARIE DEL III SECOLO
Il problema dell’indeterminatezza dei termini, i quali rendono difficile l’esplicitazione dei contenuti
fondamentali della rivelazione, unito ai presupposti medio – platonici del tempo, fanno emergere
interpretazioni sbagliate, le eresie. Monarchianismo e subordinazionismo.
Monarchianismo
Deriva da Monos-archè, unico principio. Si sottolinea, in maniera eccessiva, l’unità di Dio perdendo
la distinzione tra le tre persone, si salvaguarda il dato della fede cristiana, il monoteismo, non
salvaguardando anche la trinitarietà. È TERTULLIANO che bolla questa eresia col termine
“monarchiano”. I monarchiani sottolineano che Dio è uno e uno solo al punto di non riuscire più ad
esprimere, in maniera chiara, la reale, distinta individualità di P, F e SPS. Cronologicamente è
l’errore più antico, perché si aggancia al discorso ebraico dell’unicità di Dio. È costituito da due
filoni principali il dinamico e il modalista.

Dinamici (dynamis = forza)


I suoi esponenti più in vista sono TEODOTO DI BISANZIO e PAOLO DI SAMOSATA. Il logos e lo
pneuma sono delle semplici forze o energie che vengono dall’unico principio, l’unico ed il solo Dio.
Si sfocia nell’eresia per una non compiuta assimilazione della novità cristiana. Questa forza, il
logos, in particolare, è venuta ad abitare nell’uomo Gesù (l’adozionismo è eresia cristologica) o al
momento del battesimo o al momento della resurrezione, abilitandolo al suo ruolo di Salvatore. Non
c’è una reale distinzione tra P e F e nemmeno una filiazione divina di Gesù (non è un F, ma
un’energia). Dio è quindi uno solo e il logos è semplicemente un’energia che promana.

Modalisti
Il più importante è SABELLIO, si ricordano anche NOETO e PRASSEA. P, F e SPS sono
semplicemente tre modi di rivelarsi di Dio agli uomini e non hanno una consistenza propria.
L’unico Dio che si manifesta in tre modi diversi, ma è un unico Dio. C’è una frattura tra economia e
immanenza, non importa che Dio si è rivelato trino. Questo filone è chiamato anche
Patripassianismo perché se Dio alla fine è uno solo, sulla Croce è il P a soffrire e a morire. È come
se fossero tre facce di un’unica realtà che è Dio. I tre non hanno un’individualità propria, nell’AT si
rivela P, nel NT F e poi Spirito, ma è lo stesso Dio a rivelarsi in modi diversi. Tutto ciò per
salvaguardare l’unità di Dio.
Subordinazionismo
Essi partono dalla distinzione in Dio affermando in maniera netta ed esplicita che il P non è il F, il F
non è il P e lo SPS non è ne il P ne il F. Essi faticano nel rendere ragione dell’unità di Dio. A
differenza dei modalisti, sostengono la reale distinzione tra il P, il F e lo SPS subordinando uno
all’altro secondo lo schema gerarchico: P
Immanenza divina

F Trascendenza (creazione)
Creature,
non Dio
SPS
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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Solo il P è Dio in senso pieno, come l’UNO di PLOTINO. Il F è distinto, collocato su di un gradino
inferiore e lo SPS è un gradino ancora inferiore. Il F non sta allo stesso livello ontologico del P ma è
su quello della creazione (Ario).

Confronto
I modalisti e i subordinazionisti, pongono la rivelazione cristiana all’interno di schemi concettuali e
categorie che forzano la rivelazione. Lo schema monarchiano, perde la distinzione delle tre persone
divine, lo schema subordinazionista perde l’unità della sostanza. Le eresie nascono proprio dal fatto
che i primi cristiani cercano di esporre la propria fede usando delle categorie che sono
comprensibili ai loro interlocutori, correndo il rischio di costringere la fede cristiana all’interno di
queste categorie. Lo sforzo dei grandi teologi sarà quello di utilizzare queste categorie ma
rinnovandole dall’interno (AGOSTINO), dando un significato nuovo, assumendo qualcosa che non
appartiene al dato biblico, ma reinterpretato e arricchito con la profondità della fede. Le eresie
nascono quando si rende il cristianesimo prigioniero di categorie ad esse estranee.

ARIANESIMO
ARIO, nel IV sec, estremizza la posizione di Origene, in una posizione subordinazionista
affermando che il F è generato e creato. Ario connette l’idea di generazione con quella di creazione,
se il F è generato è anche creato e se creato ha un inizio del tempo. Il presupposto è che P e F sono
due ipostasi diverse e dato che ipostasi significa sostanza, ne consegue che si tratta di due sostanze
diverse. I Padri della Chiesa pur subordinando P, F e SPS, non pongono il F nella creazione
(ORIGENE). ARIO afferma che il F è la prima creatura, la più grande, la più importante, ma pur
sempre creatura. La dottrina di Ario può essere riassunta in questa espressione, “c’era un
tempo in cui non era”. Predicatore dal forte carisma nella diocesi di Alessandria d’Egitto, era un
trascinatore di folle, pur non negando che il F fosse Dio, lui lo considerava un Dio inferiore, la
prima creatura. ARIO ambiguamente inseriva definizioni eretiche all’interno di altre completamente
ortodosse da qui la difficoltà a cogliere la sua eresia, proponendo una visione del cristianesimo
conforme alla mentalità del tempo, da qui il suo successo.

LETTERA DEI DUE DIONIGI


Nel III sec. scrive al suo omologo vescovo di Alessandria. Da questa lettera emerge che chi è
ancorato alla retta fede, nonostante una terminologia poco chiara, riesce a far emergere gli errori
delle eresie, individuando lo stretto crinale su cui camminare. Il vescovo DIONIGI DI ROMA (il Papa)
scrive: “A buon diritto, di seguito, parlerò anche contro coloro che dividono, lacerano e rendono
vano l’annuncio più venerando della Chiesa di Dio. La reggenza unica di Dio in tre forze
indeterminate, tre ipostasi e divinità separate”. Queste eresie minavano le radici della fede
cristiana, cioè da una parte l’unico Dio viene distinto in tre semplici forze indeterminate
(monarchianisti) e dall’altra tre ipostasi e divinità separate (subordinazionisti). E continua: “Alcuni
fra quelli che catechizzano e insegnano la parola di Dio guidano a questo sentire”. Non è un
problema teologico, ma catechetico, di coloro che formano i cristiani, del falso modo di interpretare
l’unità e la trinità di Dio. “Costoro per dirla in una parola si trovano in posizione diametralmente
opposta alla convinzione di Sabellio”, cioè i subordinazionisti (SABELLIO era un monarchiano) “…
questi infatti (Sabellio) bestemmia dicendo che il F stesso è il P e viceversa (Patripassiani)”. Perché
per i monarchiani è un unico Dio, il P è il F sono dei modi, delle forze. “Costoro invece
(subordinazionisti) annunciano in un certo modo tre dei dividendo la santa unità in tre ipostasi del
tutto separate ed estranee l’una all’altra”. Perché la conseguenza ultima del subordinazionismo è il
triteismo, separare le tre persone divine, distruggendo il monoteismo. DIONIGI afferma che trinità
non vuol dire tre dei, l’annuncio dell’AT e NT della Trinità divina va compreso all’interno di questa
unicità di Dio, una trinità che si ricapitola e viene riunita in uno, eliminando anche l’ambiguità tra
creazione e generazione. I vescovi nel III sec avevano chiara la situazione, evidenziavano gli errori

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delle due posizioni, indicando il giusto cammino da seguire, con una riflessione teologico - trinitaria
che escluda il discorso della creazione, mantenendo quello della generazione, la trinità di Dio e la
distinzione dei tre, nella loro unità.

Significato della lettera


Queste eresie minavano le radici della fede cristiana:
ð
Monarchianisti. L’unico Dio è distinto in tre semplici forze indeterminate.
ð
Subordinazionisti. Le tre ipostasi in divinità separate.
ð
Non è un problema teologico, ma catechetico, di coloro che formano i cristiani.
ð
Sabellio (monarchiano) bestemmia dicendo che il F stesso è il P e viceversa. Per i monarchiani ∃ un unico Dio, il F è il P e il P è il F, sono dei modi, delle forze.
ð
I subordinazionisti annunciano tre dei, dividendo la santa unità in tre ipostasi del tutto separate ed
estranee l’una all’altra. Conseguenza del subordinazionismo è il triteismo.

Dionigi afferma che trinità non vuol dire tre dei. L’annuncio AT e NT della Trinità divina è
compreso all’interno di questa unicità di Dio:
Ø
una trinità che si ricapitola e viene riunita in uno,
eliminando anche l’ambiguità tra creazione e generazione

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

B. Da Nicea al Medioevo

1. Il Simbolo niceno
L’arianesimo, fu forse l’eresia più pericolosa, poiché aveva molti seguaci. Il problema
dell’Arianesimo, all’interno dell’impero romano, oltre che religioso, era anche di natura sociale.
COSTANTINO dichiarando la religione cristiana come religione lecita, contava sulla struttura
ecclesiastica per un riassetto dell’impero e queste divisioni nella Chiesa, non erano funzionali al suo
progetto. Così indisse il primo concilio ecumenico a Nicea. Da Nicea in avanti, tutti i Concili del
primo millennio, saranno convocati dall’imperatore e non dal Papa. Sono due i testimoni più
importanti del Concilio di Nicea, ATANASIO (diacono ai tempi del Concilio, divenne in seguito
Vescovo di Alessandria) che diventerà l’interprete ufficiale della dottrina del Concilio id Nicea e
EUSEBIO DI CESAREA (storico) filo-ariano.

QUESTIONI DOTTRINALI
Il concilio formula il simbolo di fede che ha come testo base il simbolo battesimale della Chiesa di
Cesarea. È la prima volta che a tavolino, è formulato un simbolo di fede per tutta la Chiesa, in
precedenza ogni comunità ne aveva uno proprio, che rispondeva alle singole esigenze che
emergevano in seno ad esse. Questo simbolo è opportunamente integrato in funzione antiariana,
perché tale era l’obiettivo dichiarato del Concilio.

STRUTTURA DEL SIMBOLO


Il simbolo niceno consta di 3 articoli ed anatematismi:
ð
Il P (Dio P).
ð
Il F (Gesù Cristo):
Ø
Preesistenza. Il F prima dell’incarnazione.
I. Il Logos in Dio in rapporto al P.
II. Il Logos in Dio nel suo rapporto con il mondo.
Ø
Incarnazione. Il F nell’economia della salvezza (nella sua dimensione incarnata).
ð
Lo SPS.
4. Gli anatematismi. Le scomuniche, ovvero le condanne di alcune espressioni di ARIO.
Dato che ARIO poneva il problema in relazione all’identità del F, l’articolo che è maggiormente
sviluppato è quello che riguarda il F.

IL SIMBOLO VERO E PROPRIO


Crediamo
I In un solo Dio, Padre Onnipotente,
Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili;
II e in un solo Signore Gesù
Cristo il Figlio di Dio
IIa [1] generato unigenito dal Padre,
cioè dalla sostanza del Padre,
Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero,
[2] generato e non creato
consustanziale al Padre,
per mezzo del quale tutto è diventato,
ciò che è in cielo e ciò che è in terra
IIb colui (che) per noi gli uomini e la nostra
salvezza è disceso e si è incarnato, si è fatto
uomo, ha sofferto ed è risorto al terzo giorno,
(ed) è salito nei cieli, per venire
a giudicare i vivi e i morti;
III e nello Spirito Santo.
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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

I. Il P
ð
Il simbolo comincia con “Crediamo in”, diversamente da oggi che affermiamo “Credo in”.
Il plurale rappresenta la professione di fede dei Vescovi, è un noi ecclesiale. In greco la
formula “credere in” non è grammaticalmente corretta, perché si diceva o “credere a
qualcuno” o “credere qualcosa”. È usato il “credere in” per esprimere che il contenuto della
fede cristiana non è un oggetto che sta di fronte a me, ma che siamo inseriti nel Dio in cui si
crede. Si vuole eliminare qualsiasi forma di estrinsecismo per sottolineare come la fede
cristiana implichi adesione, il nostro essere inseriti nel Dio in cui si crede.
ð
Segue un’affermazione monoteista, “in un solo Dio”, a cui segue il nome di P, di cui si professa
l’onnipotenza e l’attività creatrice universale (cose visibili e invisibili).
ð
Il 2° e il 3° articolo, manca nella traduzione italiana, iniziano con la e congiunzione (kai):
Noi crediamo in un solo Dio che è P onnipotente e
in un solo Dio che è il Signore Nostro Gesù Cristo
e crediamo in un solo Dio che è SPS.
La congiunzione kai indica che non c’è subordinazione ma coordinazione, perché i tre (P, F
e SPS) stanno sullo stesso piano.
ð
Onnipotente (pantocrator) è un termine preso dall’Ap, indica il Signore di tutte le cose, è una
signoria di tipo personale e non filosofica.
ð
Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili (Col 1) poiché è colui che ha fatto tutte le cose.
La caratteristica di creatore è segnalata in nel 1 articolo del Credo, contro lo gnosticismo. In
questo modo si elimina quella tendenza della concezione ellenistica che svalutava la
materia. Del P, il simbolo, non dice molto altro, poiché le eresie del III sec., erano di natura
cristologica e nessuno aveva mai messo in dubbio la divinità del P.

II. Il F
ð
“e in un solo Signore Gesù Cristo, F di Dio”. È messa in evidenza la Signoria del F. Questa
espressione non è sufficiente per affermare la piena divinità del F (anche ARIO accettava che
si parlasse di un F di Dio, purché inferiore a Dio stesso). Occorre, allora, trovare degli
ulteriori elementi per affermare che il F di Dio è Dio tanto quanto il P e non subordinato.
v
Sottosezione IIa 1, la preesistenza del F in rapporto al P.
Ø
Il F è generato, unigenito dal P. Vi è un rapporto di generazione unico, singolare,
ed esclusivo perché solo il F è unigenito – monoghenes, non ci sono altri figli. Il
Concilio usa il termine giovanneo “unigenito” di Gv 1,18, monoghenes, µονογενής e
non il paolino “primogenito” di Col 1,15, prototokos, πρωτοτοκος, perché
quest’ultimo si prestava ad un’interpretazione di subordinazione, perciò usando
monoghenes si sottolinea l’unicità del F.
Ø
Per sottolineare questo è introdotto un cioè: “cioè della sostanza del P”. Utilizzando
il termine ousia per evidenziare, che colui che è generato è sempre dalla sostanza di
colui che ha generato. Non si può dare al F una sostanza diversa da quella del P,
proprio perché il rapporto che li lega è di generazione, contro ARIO, perché il F è
generato non creato e quindi della sostanza del P. Il nostro simbolo è diverso in
questo punto, perché è il Niceno-Costantinopolitano.
ð
Per sottolineare il rapporto tra F e P, sono utilizzati ulteriori espressioni bibliche:
Ø
Dio da Dio. Il F è “Dio da Dio” in quanto generato dal P. È una espressione non sufficiente,
poteva essere accettata da ARIO, un Dio principale e uno secondario.
Ø
Luce da luce. Presente in Gv. I padri pre-niceni avevano sviluppato quest’immagine
facendo riferimento alle torce, se da una di queste si stacca una parte per avere una
seconda torcia, la luminosità delle due fiamme è la stessa. Questa immagine è per
indicare che il F è dal P e proprio perché luce da luce, la sua luminosità non è
inferiore a quella del P. Il F è dal P, ma senza implicare una diminuzione. Questo
ARIO non lo accettava, perché il F era, per lui, minore.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Ø
Dio vero da Dio vero. Questo ARIO non lo può più accettare, perchè il F è realmente Dio,
come lo è il P (si vuole sottolineare l’eguaglianza tra P e F).
v
Sottosezione IIa 2, la preesistenza del F in rapporto al creato.
In questa sezione si trovano le due espressioni più importanti e fondamentali di Nicea,
riassuntive del lavoro fatto dai padri. Nel rapporto tra il F eterno e la creazione si riprende il
termine già usato prima e lo si contrappone a quello che indica il rapporto tra Dio e il mondo. Se il
rapporto tra il F e il P è un rapporto di generazione, il rapporto tra Dio e il mondo è quello di
creazione. Così per precisare bene: “generato e non creato e della stessa sostanza del P”.
ð
Generato, non creato. Generazione è altro rispetto al concetto di creazione, sono due livelli
ontologici diversi laddove si parla di generazione si parla di un rapporto di origine dentro
Dio, dentro la vita divina. Quando si parla di creazione si parla di un rapporto che Dio
stabilisce ad extra. La generazione in Dio è qualcosa di diverso dalla creazione, la
generazione è ad intra, la creazione ad extra. La creazione è un atto libero, gratuito e
volontario, la generazione sfugge a questa categoria perché è qualcosa che è in Dio
dall’eternità. Il rapporto tra P e F è all’interno della sfera divina e immanente e non va
confuso con l’opera di Dio ad extra, la creazione.
ð
Homousios. ὁµοούσιος. Consustanziale, della stessa sostanza. Il termine homousios non è
tratto dalla SS, bensì è preso dalla filosofia. I Padri vogliono ribadire il concetto di
generazione e non creazione della stessa sostanza (ousia) di Dio. ARIO sosteneva che il F
non fosse della stessa sostanza del P e diceva che il F era generato e creato. Per rispondere
ad ARIO i Padri conciliari affermano che il F è generato, non creato ed homousios,
consustanziale al P. Questo termine ha suscitato molti problemi nel dopo concilio, data la
sua origine non biblica, ma le intenzioni dei Padri erano quelle di usare il termine in senso
ampio, senza derivazioni filosofiche, per rispondere all’eresia di ARIO.
ð
Il rapporto corretto tra il F e la creazione è quello di una mediazione: “per mezzo del quale
tutto è stato creato”. Il P è creatore, il F, generato dal P, è colui per mezzo del quale tutto è
stato creato. Come il P è creatore delle cose visibili e invisibili, il F è colui per mezzo del
quale tutto ciò è stato creato. C’è distinzione netta tra livello intra-divino della generazione e
quello extra-divino della creazione.
v
Sottosezione IIb, il F nella economia della salvezza.
ð
Si incomincia con l’affermazione “il quale”, cioè lo stesso di cui si è parlato finora (generato, luce da
luce, …) che è “disceso, si è incarnato, si è fatto uomo”.
ð
Poi segue: “è morto, è risorto, il terzo giorno è salito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i
morti”. Questa seconda parte sul F si conclude con il Mistero Pasquale, la morte, la
resurrezione, l’ascensione e il giudizio escatologico. Il simbolo risponde ai ARIO, un attacco
al F, alla sua vita divina e immanente.

III. Lo SPS
ð
L’ultima parte afferisce alla fede nello SPS. Non era stato messo in discussione e perciò non
necessita di un approfondimento. La Chiesa approfondisce alcune aspetti e giunge a fare
delle affermazioni quando deve chiarire situazioni rese ambigue da alcuni (ARIO mette in
dubbio la divinità del F).

IV. Anatematismi
È la sezione dove sono condannate alcune affermazioni di ARIO. Si afferma che se qualcuno
continua a professare le posizioni condannate sarà scomunicato “Anatema sit”, perchè affermazioni
incompatibili con la fede cristiana. Le principali posizioni condannate sono:
ð
C’era un tempo in cui non era.
ð
Che fu creato dal nulla come tutto il resto del mondo.
ð
Fatto di una sostanza (ousia) diversa rispetto al P.
ð
Il F è mutevole come gli esseri creati.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

PROBLEMI IRRISOLTI DA NICEA


Nicea non risolve il problema del rapporto tra ousia e hypostasis, considerati ancora sinonimi,
rimane l’idea che se il F è della stessa sostanza del P è anche della sua stessa hypostasis. Il Concilio
di Nicea se da un lato mette dei punti fermi contro ARIO, dall’altro apre una strada per rispondere a
tre questioni rimaste aperte che impegneranno la Chiesa nei decenni successivi:
1) Chiarimento terminologico, per esprimere senza confusione l’unità e la distinzione in Dio.
2) Chiarimento circa lo SPS.
3) Problema Cristologico. Nel momento in cui con Nicea si afferma la piena divinità del F che
è Dio tanto quanto il P, a livello cristologico si pone la questione circa il riflettere sull’unità
e sulla distinzione tra umanità e divinità in Cristo. Il F ha una divinità uguale a quella del P
ma poi, si incarna.

POST NICEA
È un periodo caratterizzato da tre fasi, in cui ATANASIO, è l’interprete e il difensore di Nicea contro
tutte le interpretazioni che vogliono ridurre i risultati raggiunti dal Concilio.

1° fase dal 325 al 337 (morte di Costantino)


Alcuni vescovi (EUSEBIO DI NICOMEDIA) prendono le distanze dal simbolo niceno. ARIO è
riabilitato con una formula di fede molto generica ed è riabilitato. Muore il vescovo di Alessandria e
gli succede ATANASIO che non vuole reintegrare ARIO nella chiesa, così l’imperatore lo esilia, ma
ciò durerà poco perché dopo poco moriranno sia ARIO che l’imperatore.
ATANASIO permette di capire il motivo perché fu inserito un linguaggio filosofico nel simbolo:
1. I Padri conciliari furono costretti a specificare il “da Dio” aggiungendo che il F era della
stessa sostanza di Dio, distinguendolo dalle altre creature. “Da Dio” è un’espressione
biblica, ma il termine può essere interpretato ambiguamente (ariani). I fautori del partito di
ARIO,“sostenevano che «da Dio», fosse comune a noi e al Logos di Dio, e che in questo non
differisce in nulla da noi”, perché anche noi siamo da Dio come creature, per questo, “i
padri furono costretti a dire più chiaramente che cosa significasse «da Dio», e scrissero che
il F proviene «dalla sostanza» di Dio, affinché non si pensasse che l’espressione da Dio
fosse comune e identica per il F e le cose create, ma si esprimesse la fede che solo il Logos
è «dal P», mentre tutte le altre cose sono create”.
2. “furono costretti a sintetizzare il pensiero delle Scritture, a esprimerlo più chiaramente e a
scrivere che il F è «consustanziale (homousios) al P». In questo modo affermavano che il F
non è solo «simile (homoios)», ma identico”.
L’obiettivo di Nicea è quello di rispondere all’errore di ARIO che pone una differenza di sostanza. Il
significato del simbolo niceno, è essenzialmente quello di riaffermare il fondamento soteriologico
della fede: l’uomo – dice ATANASIO – non poteva essere divinizzato rimanendo unito ad una
creatura se il F non fosse vero Dio. ATANASIO comprende che ARIO mina alla radice della fede
cristiana. Negare la divinità del F significa minare l’intera economia salvifica cristiana. Per
difendere l’autenticità della fede cristiana, si rispondere ad ARIO con i termini del mondo
ellenistico, de-ellenizandoli, cioè utilizzandoli per far esaltare l’originalità del cristianesimo.

2° fase
I successori di COSTANTINO favoriscono gli ariani esiliando i vescovi niceni.

3° fase
L’imperatore GIULIANO L’APOSTATA, nel 361 ristabilisce i culti pagani e fa ritornare gli esiliati. Le
interpretazioni ariane si differenziano, MARCELLO DI ANCIRA si dichiara fedele a Nicea dando però
una lettura modalista del termine homousios.
Tra le diverse eresie di questo periodo, oltre a quella ariana, abbiamo:
ð
Anomei, dal greco “anomoios”. Il F è totalmente dissimile dal Padre, ariani radicali.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

ð
Homeusiani. Il F è simile (homoiusious) nella sostanza al P, ha una i (iota) in più. La iota fa cadere
verso l’arianesimo, ma con una visione subordinata più tenue.
ð
Omeisti. Il F è semplicemente simile al Padre, in modo generico, non simili nella sostanza.
Il problema di fondo è una confusione terminologica che Nicea ancora non ha risolto, finche non si
utilizza un termine per parlare dell’unità di Dio (ousia) e un termine per parlare dei tre distinti
(hypostasis) continueranno a sorgere problemi interpretativi.

IL PROBLEMA DELLA ELLENIZZAZIONE


Gli storici della teologia dibattono sulla ellenizzazione del cristianesimo, perché dopo Nicea, il
cristianesimo è fortemente condizionato da categorie ellenistiche che non troviamo nella Scrittura.
In realtà, si può parlare di Nicea non come una ellenizzazione del cristianesimo ma di una de-
ellenizzazione. Infatti era ARIO, che stava compiendo una ellenizzazione, una riduzione del
cristianesimo dentro una visione di Dio che era quella filosofica medio - platonica. Il problema più
grande rispetto al termine homousios era dato dal fatto che era stato usato per la prima volta dagli
gnostici, poi dal modalista PAOLO DI SAMOSATA, ma l’uso che ne fa del termine fu condannato da
un concilio locale tenutosi ad Antiochia nel 269. Homousios è un termine ambiguo, ma a Nicea
fu usato nel senso che il F, generato dal P, ha la Sua stessa sostanza. ATANASIO sottolinea che il
fine ultimo dei Padri nell’uso del termine homousios, fu in funzione soteriologica – salvifica non
per introdurre nuovi termini. I Padri si erano resi conto che l’eresia ariana minava alla base la fede
cristiana perché vanificava tutto quello che ha fatto il F per noi. Se il F è solo una creatura, non è
possibile diventare figli di Dio ed essere divinizzati, perché un’altra creatura non può divinizzarci e
salvarci. In questa direzione si usano i termini nel Concilio di Nicea, che usò un termine modalista
per sottolineare la funzione anti-ariana. Dopo Nicea qualcuno continua a dare una lettura modalista
in funzione anti antiariana, come ad esempio MARCELLO DI ANCIRA, un Vescovo che diede una
lettura a tal punto modalista da ritenere che Dio P fosse una monade, un’unità assoluta e il Logos
una dynamis (monarchiani dinamici) che ha una funzione in vista solo della creazione, una forza
con cui il P agisce nella creazione. Il Logos è homousios al P, nel senso che è una cosa sola con la
hypostasis del P, quindi si perdono le diverse ipostasi. Il Logos è generato nel momento della sua
incarnazione e quando torna al P, viene riassorbito dal P. Per MARCELLO ha una funzione
assolutamente transitoria. Tra gli ariani nasceranno fazioni anti modaliste, contro l’homousios.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

2. Teologia trinitaria dei Padri Cappadoci


Tra Nicea e Costantinopoli I, i Padri Cappadoci, BASILIO MAGNO, GREGORIO DI NAZIANZO e
GREGORIO DI NISSA, riflettono circa le problematiche rimaste.

Basilio Magno – la natura dello SPS


Come per il F nel II sec, nel corso del IV sec. nascono una serie di riflessioni errate circa la
subordinazione dello SPS, come una sorta di energia o potenza di Dio presente in Cristo e che poi,
da Cristo, è stato dato agli uomini per santificarlo. Lo Spirito, quindi, è semplicemente considerato
come una potenza o una energia divina. È la posizione di EUNOMIO e degli pneumatomachi
(combattono la divinità dello SPS) o macedoniani (Vescovo MACEDONIO). BASILIO MAGNO riflette
sullo SPS scrivendo un trattato difendendone la perfetta divinità (non è soltanto un’energia, ma Dio
stesso). Egli utilizza lo stesso argomento soteriologico che aveva usato ATANASIO riguardo al F,
ovvero lo SPS inabitando in noi ci partecipa della natura divina, ci fa figli nel F. Ci santifica,
qualità che ha per natura ed quindi Dio quanto il P e il F. La Sua santità non la riceve per grazia, ma
è insita nella Sua essenza, ecco perché è chiamato Santo. È Santo per natura come per natura è
Santo il P e il F, ha la stessa natura divina del P e del F. Per sottolineare la perfetta divinità dello
SPS BASILIO cambia la formula dossologica tradizionale:
ð
Tradizionale. “Gloria al P per mezzo del F nello Spirito Santo”.
ð
Basiliana. “Gloria al P insieme al F con lo Spirito Santo” i 3 sono sullo stesso piano divino
1. Ad extra. La prima formula è economica, relativa alla modalità con la quale noi siamo
inseriti nella vita divina (per opera dello SPS siamo uniti al F e nel F andiamo al P).
2. Ad intra. La seconda formula esprime la comunione trinitaria, sottolinea la perfetta
uguaglianza e divinità tra i tre e getta uno sguardo alla vita immanente dove P, F e SPS
condividono la stessa divinità.
Una esprime il dinamismo della partecipazione dell’uomo nella vita divina, l’altra esprime la vita
intima di Dio, la perfetta comunione tra P, F e SPS. Di fronte al problema degli pneumatomachi la
formula di Basilio preserva ed esprime maggiormente la loro equidivinità.

Unità e distinzione in Dio


I Padri Cappadoci affermano che l’essenza di Dio, la Sua natura, rimane per noi insondabile,
incomprensibile, ineffabile, non è possibile comprendere ed esprimere la natura di Dio. Di fronte a
tale mistero ci si può mettere solo in adorazione. Essi sviluppano una teologia molto equilibrata tra
due dimensioni:
Ø
Apofatica. Teologia negativa. Si può dire cosa Dio non è. Si ferma alla trascendenza.
Ø
Catafatica. Teologia positiva. Si può dire ciò che Dio è. Si parte della economia, e
ragionando sul dato di fede tenta un approfondimento.
Una teologia solo apofatica non può dire nulla, una teologia solo catafatica finisce per dire troppo,
attribuendogli cose che non gli appartengono (eresia). BASILIO cerca di trovare delle espressioni che
da una parte esprimano la distinzione tra le tre persone e, dall’altra, la loro unità. Distinguere l’uso
teologico del termine hypostasis rispetto all’uso di ousia. Hypostasis è la sostanza in senso
individuale, mentre ousia è sostanza più in generale. Sostiene, “Ousia sta ad hypostasis come un
nome comune sta ad un individuo particolare, come uomo sta a Pietro”, da ciò ousia indica ciò che
è comune in Dio e hypostasis indica una proprietà particolare, che distingue uno come P, uno come
F e uno come santificatore. Hypostasis indica la proprietà particolare, distintiva, di ciascuno, ousia
indica ciò che è comune (unità) in Dio. Non c’è più sinonimia, ma il paragone creaturale con uomo
- Pietro è un po’ debole, perché questa non si può pensare la distinzione tra ousia e hypostasis come
nome di specie, in quanto “P, F e SPS” non sono tre individui della specie Dio, me è un primo
tentativo di distinzione.

39
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Gregorio di Nazianzo
È chiamato il teologo, raggiunge un equilibrio quasi perfetto tra dimensione apofatica e catafatica.
Lui fonda la distinzione in Dio affermando che dei tre non è possibile che uno sia più dell’altro,
esiste un solo Dio, la cui natura divina è una e quindi i tre sono da pensare senza che sia infranta
questa fondamentale unità di Dio. Apofaticamente descrive la distinzione tra i tre, non è possibile
che uno sia più Dio dell’altro (subordinazionismo), elimina ogni idea quantitativa di Dio. Elimina
anche ogni riferimento spaziale, i tre non sono “cose” poste in sequenza. Indica che la natura divina
non è divisa, la Trinità non è una torta, immaginando le tre persone come tre fette distinte. La
Trinità non è divisa dalla volontà (Dio non vuole) e né è fatta in parti secondo la potenza.
GREGORIO purifica il pensiero, elimina ciò che indica quantità, spazio e divisione in parti. Dio
è indiviso, in Esseri divisi l’uno dall’altro. Considerando la natura divina appare l’unità,
considerando gli esseri relativi alla natura divina, essi sono tre. C’è l’ousia, la natura e le tre
hypostasis. GREGORIO sostiene che tra i tre c’è una perfetta identità ad accezione delle loro
relazioni di origine, infatti ciò che li distingue sono queste relazioni, date dal nome proprio:
ð
P. Nome proprio di colui che non ha origine, è ingenerato.
ð
F. Nome proprio di colui che è generato (monoghenes, Gv 1,18), senza aver avuto inizio.
ð
SPS. Nome proprio di colui che procede (ekporeuomai, Gv 15,26) senza essere generato.
La persona divina è distinta esclusivamente dalle altre in virtù della sua relazione d’origine.
Non si può pensare la distinzione in Dio in base ad altre categorie, ma solo in base alla relazione di
origine. Lo SPS esce dal P ma non per filiazione o per generazione quanto per processione, perché
se fosse generato anziché procedere coinciderebbe con il F. Il F è per generazione, lo SPS per
processione. Queste affermazioni sono possibili basandosi sulla Rivelazione, testimoniate dalla
Scrittura. GREGORIO sistematizza quanto trova nella Scrittura. Nell’unica natura divina, che
garantisce il monoteismo, l’unica distinzione possibile è quella della relazione di origine, il P si
distingue dal F perché è l’unico ingenerato, il F si distingue dagli altri due perché è l’unico generato
dal P, lo SPS si distingue dagli altri due perché è l’unico che procede dal P. Egli afferma, “la
proprietà del P non scompare in quanto genera; la proprietà del F di essere generato non
scompare per il fatto che proviene da colui che non ha origine; lo SPS non si trova confuso nel P e
nel F per il fatto che procede o perché è Dio per quanto gli atei la pensino diversamente”. In
conclusione, c’è una maggior chiarezza terminologica rispetto a BASILIO, infatti ousia è la natura
divina e hypostasis è la persona, per cui P, F e SPS sono tre ipostasi. Elabora queste categorie per
articolare il rapporto tra le due, ponendo l’attenzione sulla relazione d’origine.

40
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

3. Concilio costantinopolitano I
È convocato nel 381 dall’imperatore TEODOSIO, contro gli pneumatomachi, coloro che mettono in
discussione la divinità dello SPS. Sorge come un Sinodo delle chiese orientali con i delegati del
Papa e verrà riconosciuto come ecumenico, cioè recepito da tutta la Chiesa, solo nel Concilio di
Calcedonia del 451, che associa il simbolo di Costantinopoli a quello di Nicea e dichiara che tali
simboli sono indeformabili. Nasce l’esigenza di:
ð ð
Precisare il 3° art. di fede del simbolo Niceno, dove è detto soltanto “e crediamo nello SPS”.
Precisazioni ulteriori sul F.
Come per Nicea, i Padri utilizzano un testo base, un simbolo già esistente, quello della Chiesa di
Roma, il testo fu stato inviato da Papa DAMASO in Oriente qualche anno prima. Tale testo era già
integrato con la formula di Nicea. Le affermazioni del simbolo di Costantinopoli, relative lo SPS,
risentono delle riflessioni di BASILIO, la cui tesi è “canonizzata” dal Concilio (lui era già morto).
Partecipano attivamente al Concilio, GREGORIO DI NAZIANZO, che presiedette il concilio per un
certo periodo e GREGORIO DI NISSA.

IL SIMBOLO COSTANTINOPOLITANO
Crediamo
I. In UN SOLO Dio Padre Onnipotente Creatore
del cielo e della terra, di tutte le cose visibili
ed invisibili;
II. In UN SOLO Signore Gesù Cristo Il Figlio
di Dio l’unigenito
IIa [1] generato [unigenito] dal Padre
Prima di tutti i secoli,
[cioè dalla sostanza del Padre]
[Dio da Dio] , luce da luce, Dio vero da Dio vero;
[2] generato, non creato,
consustanziale al Padre,
per mezzo del quale tutto è stato creato;
[ciò che è in cielo e ciò che è in terra]
IIb IL QUALE per noi gli uomini e per la nostra salvezza
è disceso dal cielo e si è incarnato dallo Spirito Santo
e da Maria Vergine, si è fatto uomo;
fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato
è morto e fu sepolto ed è risorto il terzo giorno
secondo le Scritture;
è salito al cielo e siede alla destra de Padre
e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine
III E NELLO SPIRITO SANTO
(che è) il Signore e da la vita
che procede (ekporeoumenon) dal Padre (ek tou
Patros); che con il Padre e il Figlio deve essere adorato
e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.
nella CHIESA, Una, Santa, Cattolica ed Apostolica.
Confessiamo UN SOLO battesimo per la remissione
dei peccati. Aspettiamo la resurrezione dei morti e
la vita eterna che verrà. Amen.
I. P
“Crediamo in un solo Dio, P onnipotente, creatore del cielo e della terra (tolto dalla parte del F),
“di tutte le cose visibili e invisibili”

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

II. F
ð
In riferimento al Figlio sono eliminate alcune ripetizioni di Nicea ed è ampliata la parte
economica per problemi Cristologici. Contro APOLLINARE DI LAODICEA, che riconosceva
solo la piena divinità del Figlio. APOLLINARE partiva da una visione dell’uomo tripartita,
propria della visione ellenistica, con un uomo formato da corpo, anima e spirito (la parte più
elevata dell’uomo). Nell’Incarnazione, il Verbo divino ha preso il posto dello Spirito
dell’uomo Gesù, che mantiene solo un corpo ed un’anima. L’umanità del Cristo è parziale,
incompleta, mancante della componente (lo spirito) delle tre. APOLLINARE sottolinea molto
l’unità di Cristo, è sua la formula, “una è la natura incarnata del Logos divino”, ma
diminuisce la realtà umana di Gesù compromettendone la piena realtà. Perciò il Concilio
sviluppa maggiormente la parte economica dando dei riferimenti puntuali alla storia di Gesù
per sottolineare la piena divina umanità – Gesù nasce dallo SPS (Dio) e da Maria Vergine
ecco perché vengono aggiunti anche tutti questi aspetti storici.
ð
Il discorso escatologico (siede alla destra del P e il suo regno non avrà fine) è contro
MARCELLO DI ANCIRA (monarchiano), che considera il Logos una dynamis, una potenza del
P che poi, una volta svolto il suo ruolo storico salvifico, alla fine dei tempi sarebbe stata
riassorbita nell’unica sostanza divina. Quindi alla fine dei tempi non c’è più il Logos che
giudica i vivi e i morti e il suo regno avrà fine.
ð
FOTINO radicalizzerà la posizione di MARCELLO. Il Logos – F non ha una sussistenza eterna
perché con la Parusia, παρουσία, il giudizio finale, la funzione del Logos si esaurisce.
Proprio per combattere questa visione i Padri scrivono “è salito al cielo e siede alla destra
del P e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine”. Il regno di
Cristo non avrà fine, il suo ruolo continuerà anche dopo il giudizio.

III. SPS
ð
Questa sezione è redatta ex-novo. Differentemente da Nicea, i Padri riuniti a Costantinopoli
utilizzano solo termini biblici per parlare della divinità dello SPS, in quanto vogliono evitare
tutti quei problemi interpretativi che sono nati dopo Nicea (homousios). Il fine è quello di
affermare l’homousia (stessa sostanza) dello SPS con il P e con il F, cioè il fatto che lo SPS
è della stessa sostanza del P e del F ma senza utilizzare la parola homousios:
Ø
È Signore e da la vita. Lo SPS “è Signore (Adonai – Kyrios), il termine con cui si
designa e si invoca Dio nell’A.T. È il titolo dato a Cristo (Kyrios nel NT). È un modo
indiretto di affermare la stessa natura divina. Lo SPS è Signore, quindi è Dio come il
P e come il F e poiché dà la vita è vivificante. Dio da la vita, quindi è un modo
indiretto di affermare che lo SPS ha la stessa natura divina del P e del F. Lo SPS
partecipa all’opera della creazione ma Egli è colui che da la vita di grazia, la vita
divina. Perché (BASILIO) è lo Spirito che ci incorpora al F e quindi nel F ci unisce al
P, da la vita rendendoci figli nel F e quindi figli del P.
Ø
E procede dal Padre. Come del F si dice che è “Dio da Dio” perché generato dal P,
così lo Spirito è “Dio da Dio” perché “procede” dal P, poiché in Gv 15,26 è indicato
che lo Spirito procede dal P. I Padri conciliari utilizzano il verbo ekporeuomai,
ἐκπορεύσοµαι, (in italiano procedere), sgorgare, scaturire come da una sorgente. Per
dire “dal” P viene usato “ec” parallelamente, come il F è generato “dal” P, lo SPS
procede “dal” P stesso, per evitare ogni fraintendimento subordinazionista. Si
sostituisce la preposizione usata in Gv, parà, παρα, con ec, εc, per metterlo in
perfetto parallelismo con la generazione del F. questa è la differenza rispetto al credo
attuale, dove si afferma che lo Spirito procede dal P e dal F. Questo “dal F” è
un’aggiunta successiva (→ Filioque).
Ø
E con il Padre e il Figlio deve essere adorato e glorificato. Nel testo greco si dice con -
adorato e con - glorificato. L’adorazione è solo per Dio (proskinesis,

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προσκινεσισ), mentre i Santi si venerano. Quindi, dire che lo SPS è adorato significa
dire che è Dio.
Ø
Ed ha parlato per mezzo dei profeti. Dio parla attraverso i profeti, è la dimensione
pneumatologica della vocazione profetica. Lo Spirito che ha parlato per mezzo dei
profeti prepara ad accogliere l’evento Cristo. Si sente l’influsso dei Padri Cappadoci
in queste definizioni, in quanto si afferma la perfetta divinità dello SPS ricorrendo
solo a termini biblici.
Ø
La Chiesa è opera dello SPS. La Chiesa non rappresenta un quarto articolo (persona)
della Trinità, è parte dell’articolo dello SPS, infatti si usa il verbo confessiamo e non
crediamo, perché non si crede nella Chiesa ma nella Trinità, e attraverso di essa, si
vuole illustrare l’azione dello SPS nella storia della salvezza. Dopo aver affermato la
perfetta divinità dello SPS, attraverso la Chiesa si vuole dimostrarne l’azione, l’opera
nella storia della salvezza, perché l’opera dello SPS è la salvezza. Il confessare la
Chiesa “una, santa, cattolica ed apostolica” è il completamento dell’articolo, perché
la Chiesa è il luogo dove agisce lo SPS, partecipando agli uomini la vita divina di
Cristo per mezzo del battesimo che ci inserisce in Cristo e della remissione dei
peccati fino alla consumazione nel Regno dei Cieli

4. Definizioni dei primi due Concilii


Questi due primi concili ecumenici definiscono, in maniera chiara:
1. P, il F e lo SPS sono Dio.
2. P, il F e lo SPS hanno la stessa sostanza (ousia).
3. La distinzione in Dio tra P, F e SPS è la relazione di origine (GREGORIO DI NAZIANZO).
Ciò che distingue, in Dio, P F e SPS è che il P è ingenerato, il F è l’unico generato
(monoghenes), lo SPS procede (ekporeuomai) dal P.

POST CONCILIO – TOMUS DAMASI


Il Concilio di Costantinopoli, non fornisce una chiara distinzione terminologica tra ousia (sostanza)
e hypostasis, in quanto non usa termini filosofici. Tuttavia questo linguaggio è presente nel Tomus
Damasi, lettera scritta dal Vescovo di Roma DAMASO, al Vescovo PAOLINO DI ANTIOCHIA nel 382,
in cui vi è una professione di fede, in cui si usa “sostanza” per affermare l’unità di Dio. In maniera
ancora più chiara, sempre nel 382, in una lettera che i vescovi radunati a Costantinopoli dopo il
Concilio hanno inviato a Papa DAMASO, vi è la distinzioni dei due termini così come è pensata dai
padri Cappadoci, ousia (sostanza) per l’unicità di Dio (P, F, SPS sono una sola sostanza) e
hypostasis per le tre persone. Finalmente c’è chiarezza nei termini dottrinali, che elimina le tesi di
SABELLIO, che confonde le ipostasi e sopprime le proprietà personali e gli errori delle altre eresie
che dividono sostanza, natura e divinità, aggiungendo alla Trinità una natura posteriore creata o di
diversa sostanza. In Dio c’è una sola sostanza (ousia) divina e tre distinte (nella relazione
d’origine) persone (hypostasis). Il concilio svoltosi a Roma tra la fine del 377 e l’inizio del 378 assunse
una dimensione molto più ampia, quasi ecumenica. Vi prese parte anche il presule PIETRO DI
ALESSANDRIA. La motivazione immediata che ne sollecitò la convocazione fu il pressante appello di
BASILIO DI CESAREA ai fratelli d’Occidente, e personalmente anche a DAMASO, perché si pronunciasse
sugli errori dottrinali di EUSTAZIO DI SEBASTE e di APOLLINARE DI LAODICEA e sulla situazione della
sede episcopale di Antiochia, che vedeva contrapposte le pretese di PAOLINO (riconosciuto e protetto da
DAMASO) e MELEZIO (appoggiato da BASILIO). È questa la prima assise conciliare romana che si occupa
intenzionalmente di questioni dottrinali e disciplinari relative all’Oriente cristiano. I risultati di questa
assemblea sono tramandati nel cosiddetto Tomus Damasi (Ecclesiae Occidentalis, pp. 281-96; P.L., XIII,
coll. 354-65; versione greca in TEODORETO, Historia ecclesiastica V, 10-11, pp. 295-302), in sostanza una
lettera sinodale indirizzata a PAOLINO vescovo di Antiochia. Si legge infatti in TEODORETO (Historia
ecclesiastica V, 10, pp. 295-97) che agli Orientali fu trasmessa la notizia che l’eresia di APOLLINARE
(limitazione dell’integrale umanità di Cristo) era stata condannata in un documento (tomus), definito a Roma
in un concilio cui aveva partecipato anche PIETRO DI ALESSANDRIA. Questo tomus è articolato in due serie

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

di ventiquattro anatematismi: quelli della prima serie (nrr. 1-8) sono introdotti dalla formula
“anathematizamus”, quelli della seconda (nrr. 10-24) si aprono con “si quis [non] dixerit” e si chiudono con
“anathema sit”. Vi si riaffermano solennemente i principi della fede nicena (nrr. 1, 20, 21, 24) e si
condannano le deviazioni dottrinarie ariane ed eunomiane, apollinariste, macedoniane, sabelliane, fotiniane;
vi è inoltre tra la prima e la seconda serie un canone (nr. 9) che tratta dello scisma di Antiochia, il problema
che più da presso interessava BASILIO. Gli anatemi nrr. 3, 16, 17, 20 riguardano ARIO ed EUNOMIO (ariano
radicale, o “anomeo”) che, sia pure con diverso linguaggio, affermavano il F e lo SPS essere creature; i nrr.
4, 22, 23 i macedoniani i quali rifiutavano la divinità dello Spirito; il nr. 5 FOTINO DI SIRMIO, discepolo di
MARCELLO DI ANCIRA, per il quale il Logos era potenza (dynamis) divina non personalmente sussistente,
una manifestazione del Padre nell’economia della creazione; i nrr. 6, 7, 13, 14, 15 le tesi cristologiche di
APOLLINARE DI LAODICEA (che non è mai citato espressamente, forse per una sorta di rispetto da parte di
DAMASO per i suoi trascorsi di difensore della fede nicena) il quale escludeva dall’essenza di Cristo la
ragione (nous), o anima superiore, in quanto soggetto capace di autodeterminazione; il nr. 8 l’eresia di
SABELLIO (monarchianismo modalista o patripassianismo) per la quale il F altro non era che un modo con il
quale Dio si era manifestato nella redenzione cosicché sulla croce in realtà aveva patito il P.

Costantinopoli II
Il Costantinopolitano II, nel 553, riprende alcune questione cristologiche e chiarisce definitivamente
il linguaggio teologico – trinitario. Nonostante la concezione dell’unità e della trinità di Dio sancita
dai concili del IV secolo, restava il problema della traduzione dei concetti greci nella lingua latina.
Hypostasis in latino veniva reso con il termine substantia, lo stesso termine con cui si traduceva
ousia. Mentre per esprimere il concetto greco di hypostasis si usava il termine persona che in greco
si traduce con prosopon. Il problema nel dogma cristologico di Calcedonia del 451 verrà risolto nel
Concilio Costantinopolitano II del 553: “Chi non confessa che il P, il F e lo SPS hanno una sola
natura (physis) o sostanza (ousia), una sola virtù e potenza, poiché essi sono una Trinità
consustanziale (homousios), una sola divinità da adorarsi in tre ipostasi (hypostasis) o persone
(prosopa), sia anatema”. Da questo momento:
ð
Per l’unita di Dio, si usa il termine natura (physis) o sostanza (ousia) .
ð
per la distinzione in Dio, si usa il termine ipostasi (hypostasis) o persona (prosopa).

PROBLEMI APERTI
Adesso il linguaggio è normativo e chi confonde ousia o ipostasi è scomunicato. Ma definiti
chiaramente i termini, inizia il lavoro a livello teologico, in quanto una volta definito il linguaggio
da usare a livello dogmatico, resta la questione del significato, su cui si interrogheranno i Padri, i
teologi e i dottori medioevali, ovvero:
ð
Il significato in Dio di “sostanza” e “persona”.
ð
Il rapporto tra hypostasis e sostanza.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

5. Il Filioque
Il Concilio Costantinopolitano I non ha precisato, perché non era necessario, il rapporto tra lo SPS e
il F, esso afferma che lo SPS procede (sgorga) dal P, contro gli pneumatomachi. La riflessione
teologica successiva si è però posto il problema del rapporto tra lo SPS e il F. Nascono due visioni
differenti, una della Chiesa orientale ed una occidentale, che all’inizio erano ancora compatibili.
Non aiutò il mutamento culturale del tempo, l’area orientale parla greco e ignora il latino, di contro
in occidente si parla latino e non si conosce più il greco, rendendo il dialogo tra parti difficile.
Teologia Orientale Teologia Occidentale
Apofatica (negativa). Catafatica (positiva).
È legata all’economia della rivelazione. Penetra nel mistero della vita trinitaria “ad intra”.
Parte dalle persone. Dio P genera il F, lo SPS
proviene (sgorga) dal P per mezzo del F, secondo lo
schema lineare: P→F→SPS, ancorato all’economia È più speculativa e cerca di indagare i dinamismi
della salvezza, che sottolinea la monarchia del P della vita intra – trinitaria, partendo dall’idea
quale unico arché. Il principio della fede trinitaria, è dell’unica essenza di Dio (idea dell’unità), che si
la taxis, l’ordine trinitario (P, F e SPS): Il P genera il attua attraverso le relazioni d’origine delle tre
F, partecipa alla propria divinità il F con la persone, da cui il P genera il F, dal loro amore
generazione e la partecipa anche allo SPS per mezzo reciproco procede lo SPS.
del F (ORIGENE), senza cadere in nessuna forma di
subordinazionismo.
Unico Dio in tre persone Tre persone nell’unico Dio.
Schema triangolare (circolare). Filioque
Schema lineare. Per Filium (per mezzo del F). (procede dal P e dal F). La sorgente rimane il P
P
P → F → SPS
SPS
Lo Spirito procede dal P per mezzo del F
F
Lo SPS è considerato l’estremo di Dio.
È nella comunione tra il P e il F che procede lo SPS.
Stretto ancoraggio all’economia della salvezza, lo
È sottolineato il legame d’amore, intimo,
SPS è colui che agisce nella creazione, nella storia
comunionale tra il P e il F (AGOSTINO).
mandato dal F.
Sono due approcci entrambi legittimi ed il problema nasce dalla assolutizzazione:
ð
Confronto. La prospettiva orientale è quella dell’unico Dio in tre persone, quella
occidentale delle tre persone in un unico Dio. Lo schema latino è quello triangolare o
circolare dove nessuna freccia va in direzione del P ma tutto proviene da esso. Lo schema
occidentale è molto attento alla comunione intra - divina e meno all’ordine tra le persone,
come in quello orientale.
ð
Lo schema orientale è per Filium (per mezzo del F).
ð
Lo schema occidentale è Filioque (procede dal P e dal F).

APPROFONDIMENTI SULLO SPS


In occidente, per la formulazione del Filioque, è molto importante la riflessione di AGOSTINO il
quale, nel libro XV del De Trinitate, sottolinea che lo Spirito procede dal P e dal F, ma sottolinea
che la causa principale della processione è il P. Egli dice, “colui che può comprendere la
generazione intemporale del F dal P, intende la processione intemporale dello SPS da ambedue (ab
utroque). AGOSTINO si rende conto di parlare dell’incomprensibile ma se uno è capace di
avvicinarsi a quello che è la generazione a-temporale del F può avvicinarsi a capire della
processione a-temporale dello SPS. Se il P generando il F gli ha dato tutto quello che e se dal P
procede lo SPS, il P generando il F gli ha dato anche di essere il principio dello SPS. Perché

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

altrimenti il passo di Gv 15,26 non avrebbe senso. Il fondamento della visione occidentale è che lo
SPS è il dono comune del P e del F, l’ineffabile comunione “diventa nome proprio ciò che è
comune”, Il P è spirito ed è santo. Lo SPS è la comunione del P e del F. Tutto è donato al F dal P e
nel momento in cui gli dona tutto, gli dona anche la facoltà di essere principio della processione
dello SPS e perciò si può affermare che Esso procede anche dal F, con la priorità del P, in questo
modo si sottolinea sempre la monarchia del P. Lo SPS è comunione del P e del F.

LA QUESTIONE TERMINOLOGICA
Oltre la diversa impostazione teologica, vi è la questione terminologica, causa principale delle
incomprensioni. Il discorso agostiniano è comune a tutti e fino al concilio di Calcedonia la formula
del concilio Costantinopolitano I non è normativa, perchè il concilio non è ecumenico.

Procedere in greco
L’occidente non si sente vincolato da Costantinopoli, in cui è utilizzato il verbo greco ἐκπορεύοµαι,
ekporeuomai, (sgorgare, provenire da una sorgente, scaturire), da Gv 15,26 in cui lo SPS “procede”
dal P. Questo verbo indica scaturire da una sola sorgente, per cui è utilizzabile in riferimento ad una
persona, il P, che nella vita trinitaria è la sorgente, l’origine, il principio senza principio. Da qui
nasce il problema orientale nell’accettare il “procede” dal P e dal F. C’è un altro verbo greco, che
indica procedere, che ha un senso più ampio e meno circoscritto di Ekporeuomai, è proienai,
προϊέναι, così i Padri orientali di lingua greca, quando riflettono sul rapporto dello Spirito con il P e
con il F, se utilizzano un termine biblico ekporeuomai affermano il procedere solo del P, se usano
un termine extra biblico proienai affermano che lo Spirito procede dal P e dal F:
Ø
GREGORIO DI NAZIANZO li distingue:
ð
Ekporeuomai. È la processione dello SPS dal P.
ð
Proienai. È comune sia al F sia allo SPS.
Ø
CIRILLO DI ALESSANDRIA e prima di lui ATANASIO, dice chiaramente “lo Spirito procede
(proeisi) dal P e dal F: è evidente che esso è di sostanza divina, procedendo (proion)
sostanzialmente (ousiodos) in essa e da essa”. Nel commento a Giovanni, CIRILLO afferma
un idea molto vicina a quella di AGOSTINO, quindi nell’unità della sostanza divina lo
Spirito procede dal P e dal F.
Il problema è che in Gv 15,26, è utilizzato il verbo ekporeuomai come nel simbolo di fede, così
quando si recita in greco il simbolo Costantinopolitano I, bisogna dire ekporeuomai, “procede” dal
P. Invece quando i Padri greci spiegano il rapporto tra SPS e F, usano proienai con lo SPS che
“procede”, sostanzialmente, sia dal P che dal F, intendendo la relazione tra SPS e F espressa per
Filium, cioè per mezzo del F.
Ø
MASSIMO IL CONFESSORE. Nel VII secolo cerca di giustificare di fronte ai greci l’uso latino del
Filioque. Evidenzia che si tratta di due posizioni conciliabili:
1. La distinzione fra i due termini “ekporeuomai – proienai”, i latini per sottolineare
l’unità e l’immutabilità dell’essenza, dicono che lo SPS proienai dal P e dal F.
2. Il P è il solo principio senza principio (aitia) della vita trinitaria.
3. Il P e il F sono la fonte consustanziale della processione, usando proienai per lo SPS.

Procedere in latino
In latino, lo Spirito che procede dal Padre (Gv 15,26) è tradotto dall’originale greco con procedit,
che in greco sarebbe proienai, infatti procedit ha un significato più ampio, significa venire avanti.
Quindi legittima in una prospettiva latina la traduzione del termine di Gv 15,26 con proienai,
piuttosto che con ekporeuomai, legittimando la riflessione sullo SPS che procede dal P e dal F.
Quando il concilio Costantinopolitano I è recepito da Calcedonia come ecumenico, la teologia
occidentale aveva già elaborato una sua dottrina dello SPS, usando procedit, con un uso molto più
ampio rispetto all’ekporeuomai della teologia greca. Ciò non significa che l’occidente non ha
chiaro che il P è la fonte della vita trinitaria, AGOSTINO nel De Trinitate manifesta questa esigenza
di salvaguardare la monarchia del Padre, “Lo SP procede dal P a titolo di principio (principaliter) e

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

per mezzo del dono in temporale per questi al F dal P e dal F (comuniter) in comunione”.
AGOSTINO sdoppia il termine latino nei due sensi greci:
ð
Principaliter. Procede dal P (ekporeuomai).
ð
Comuniter. Procede dal P e dal F (proienai).

ARIANESIMO
I Barbari che vengono in occidente, si erano convertiti all’Arianesimo. Quando TEODORICO, re
degli Ostrogoti, arriva in Italia, arriva con gli Ostrogoti tutti ariani. Anche i Longobardi nel VI sec.
sono ariani. In occidente, l’arianesimo era ancora presente e conseguentemente usare lo schema
lineare non sarebbe stato interpretato come un ordine intra - divino, ma una subordinazione. La
precedenza dell’unità della sostanza divina è motivata dalla reazione antiariana occidentale. Lo
schema circolare non si può interpretare in modo subordinazionista, perciò è usato dai Padri latini a
salvaguardia di Nicea e l’homousia delle tre persone divine.
Con Calcedonia, il simbolo Niceno - Costantinopolitano diventa normativo. Tutte queste
interpretazioni teologiche, sia in oriente che in occidente, non modificano il simbolo che rimane
quello che è. Tuttavia, nei simboli occidentali, elaborati in lingua latina, il Filioque è inserito.
Questa formula è già presente in Francia nella metà del V sec, nel simbolo “quicumque”. ∃ diversi
simboli,ma nessuno modifica il Niceno - Costantinopolitano. Nel III Concilio di Toledo (589), di
nuovo si afferma la formula del Filioque, lo SPS procede dal P e dal F. Nei simboli di fede si insiste
sul Filioque per sottolineare contro gli ariani la stessa perfetta divinità delle tre persone.

Il grande scisma
Fino al VII sec. c’è spazio ancora per una reciproca comprensione, ma a causa della lontananza
linguistica, culturale e politica sarà sempre più difficile capirsi e le cose peggioreranno nel corso del
IX sec. La notte di Natale dell’800 Papa LEONE III incorona CARLO MAGNO, questi mira a
costituire una realtà politica alternativa rispetto all’impero bizantino d’oriente. Egli vuole inserire
nel simbolo Niceno-Costantinopolitano il termine Filioque. Papa Leone III acconsente, ma solo nei
territori del’impero carolingio, non a Roma, perché diventerebbe normativo per tutto l’occidente.
L’imperatore d’oriente ritiene CARLO MAGNO un usurpatore e il Filioque nella traduzione latina è
solo una dimostrazione di potenza carolingia. Quando in Oriente si sa dell’inserimento del Filioque,
è denunciata l’interpolazione del simbolo Niceno - Costantinopolitano, perché il Concilio di
Calcedonia lo definisce normativo per la Chiesa, quindi immodificabile.
Nell’858, Il Patriarca di Costantinopoli FOZIO denuncia questa inserzione unilaterale del Filioque
nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano, accusando i latini di inserire due principi nella Trinità, il P
ed il F. Per contrapporsi ai latini estremizza la posizione orientale, affermando che lo SPS procede
solo dal P, ed elimina “per Filium”, assumendo che il F viene dal P per generazione, lo Spirito
viene solo dal P, per processione. La posizione di Fozio, dopo la separazione diventa quasi un
dogma per la tradizione ortodossa, egli elimina la mediazione del F, rendendo insanabili la diatriba
teologica: F

SPS
Nel 1014, Papa BENEDETTO VIII inserisce il Filioque anche nella liturgia romana, rendendolo
normativo. La situazione precipita nel 1054, in periodo di sede vacante, il legato pontificio a
Costantinopoli scomunica il PATRIARCA MICHELE CERULARIO, accusandolo d’aver tolto il Filioque
dal simbolo. Per reazione il Patriarca scomunica il legato pontificio accusando la Chiesa di Roma di
aver modificato il Simbolo. Ha origine così lo scisma oriente – occidente, ricomposto nel 1965
nell’incontro a Gerusalemme tra PAOLO VI e ATENAGORA DI COSTANTINOPOLI, che annulleranno le
scomuniche. Dopo lo scisma, occidente ed oriente procedono teologicamente separati, in occidente
il Filioque diviene articolo di fede. Il Concilio Laterano IV del 1215, afferma “Senza alcuna
diminuzione il F nascendo ha preso la sostanza del P e così il P e il F hanno la stessa
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sostanza. E lo Spirito procede da entrambi”. Nel 1274 il Concilio di Lione II afferma, “Si professa
che lo SPS procede eternamente dal P e dal F, non come da due principi, ma come da un principio
solo, non come da due che lo spirano, ma da un’unica spirazione”. L’occidente è sempre
consapevole del fatto che il principio è uno solo. Dopo il 1054 ci sono stati dei tentativi di
conciliazione ad esempio, con il Concilio di Ferrara - Firenze 1439-1445. Bisanzio, attaccata dai
turchi, cerca l’unità con l’occidente, anche da un punto di vista teologico. Questo Concilio afferma
una formula di unione, in cui “il Per Filium degli orientali è compatibile con il Filioque degli
occidentali”. Tuttavia, questa formula ha avuto una vita breve, infatti dopo la firma, una volta che i
delegati tornano a Bisanzio è ritrattata. Questo credo diviene quello delle chiese uniate, le ortodosse
unite con Roma. Oggi quello che ci separa dagli ortodossi è il problema del Filioque e il primato.
Papa BENEDETTO XIV nel 700 ha esplicitamente confermato, rivolto ai cattolici di rito greco in
comunione con Roma che il Simbolo Niceno-Costantinopolitano rimane senza il Filioque.

I giorni nostri
La situazione attuale è molto variegata, l’ultimo documento importante sulla questione del Filioque,
è “La processione dello Spirito Santo”, del 1995 del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani,
dove si cerca di rendere ragione dei motivi degli uni e degli altri. Il documento afferma che il
Concilio Costantinopolitano I è un punto imprescindibile:
Ø
Il P è il principio senza principio della vita trinitaria, unica fonte della vita trinitaria del F e SPS. La
chiesa cattolica ribadisce questa posizione, in comunione con le chiese ortodosse.
Ø
Lo SPS procede dal P e dal F nella loro comunione e non come una processione dello SPS
dall’essenza divina (da una essenza divina non procede nulla, una persona procede da
un’altra, ma non dall’essenza).
Ø
È riconosciuta la reciprocità delle relazioni trinitarie, lo SPS è inserito all’interno di queste
relazioni reciproche che costituiscono la vita trinitaria.
Un ulteriore problema è dato dal fatto che la Chiesa cattolica è una mentre quella orientale ha
molteplici referenti. Per i cattolici il dialogo è possibile, se gli ortodossi non hanno la posizione
estrema di FOZIO, ma da parte ortodossa, il problema è più complesso.
ð
Il Vescovo teologo LOSSOKIJ afferma che il Filioque è inaccettabile. Da esso derivano le
problematiche della teologia cattolica, concentrata solo sulla figura del Xto
(Cristomonismo), producendo un deficit pneumatologico, una minore riflessione sullo SPS e
conducendo al primato papale di Roma sulle chiese a discapito della comunione ecclesiale.
ð
Teologi moderati,BULGAKOV, hanno ritenuto che le due formule, siano tra loro compatibili.
ð
Il Vescovo teologo EVDOKIMOV, afferma che il Filioque è giustificabile da un punto di vista
storico-salvifico poiché lo SPS è mandato, dal P e dal F, perché in Gv è chiaramente
affermato che anche Gesù manda direttamente lo Spirito. Tuttavia il discorso andrebbe
bilanciato, perché proprio in base a ciò che dice la Scrittura c’è una reciprocità tra F e SPS,
infatti nel simbolo Niceno - Costantinopolitano, il F incarnato nasce dallo SPS e da Maria
Vergine, come raccontato in Lc. Il Filioque, allora, andrebbe equilibrato con uno Spirituque,
ovvero col F generato dal P nello SPS, in modo da mantenere equilibrio nella vita trinitaria.
Nella storia si è considerata la Trinità in una forma diadica, nei rapporti P-F, P-SPS e F-SPS, ma
essendo trino dall’inizio, al di là del problema del Filioque, la Trinità è da pensare trinitariamente.

48
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

6. La Pericoresi
Il Concilio Costantinopolitano II, ha fissato il linguaggio trinitario per quanto riguarda il discorso
della sostanza e delle persone, senza approfondire i concetti e le relazioni tra i termini. I Padri della
chiesa usano il termine pericoresi per esprimere il rapporto tra l’umanità e la divinità di Cristo.
GREGORIO DI NAZIANZO, lo usa in questo senso, la natura umana e la natura divina in Cristo, sono
distinte ma c’è una compenetrazione l’una con l’altra. GIOVANNI DAMASCENO è il primo che lo
utilizza sia in senso trinitario che cristologico. Etimologicamente, dal greco περιχώρησις
(perikhōrēsis, “girare, rotazione”), da περιχωρέω (perikhōreō), da περί (peri, “intorno”) + χωρεω
(khōreō, “andare avanti, viaggio”). Pericoreuo, che significa danzare intorno, mentre pericoreo
significa girare, andare intorno, è sempre un qualcosa di dinamico. La vita trinitaria è questo eterno
movimento delle tre persone. Pericoresi non è un termine biblico, è usato da Anassagora (filosofo
presocratico) per esprimere la compresenza delle varie parti di un tutto. È un termine utilizzato
anche dagli stoici per esprimere la mescolanza tra corpi distinti (es. anima e corpo), dove però
ognuno mantiene la sua proprietà, sono distinti ma anche un tutt’uno. Il DAMASCENO, in tarda età
Patristica, esprime la interpenetrazione che c’è tra le persone divine, approfondendo:
ü
Gv 10,30. “Io e il Padre siamo uno”.
ü
Gv 10,38. “il Padre è in me e io sono nel Padre”.
IL DAMASCENO afferma che ci si trova al limite delle possibilità espressive dell’uomo, nel cercare
una parola che esprima il rapporto tra le persone divine. Esse sono distinte proprio nell’essere l’una
nell’altra, ma come già affermato dai Padri Cappadoci, l’unica distinzione che c’è tra le persone sta
nella distinzione d’origine. “Io e il P siamo uno” è qualcosa di inconcepibile in quanto umanamente
si dovrebbe dire sono due e non uno soltanto. Con il termine perichoresis, il DAMASCENO chiarisce
che le tre persone divine non sono da pensate uno accanto all’altra, ma come una nell’altra. Tra di
loro esiste una compenetrazione senza mescolanza, ognuna rimane distinta dall’altra.
La pericoresi permette di affermare insieme unità e distinzione in Dio, ha in se una doppia valenza:
ð
Statica (reciproca immanenza). Ciascuna persona è nell’altra, L’esistenza di ciascuna persona non è
indipendente rispetto alle altre, ciascuna esiste nell’altra.
ð
Dinamica. La vita divina è un continuo movimento, un eterno muoversi di uno verso l’altra.
La nozione di sostanza indica l’unità di Dio e la nozione di persona indica la distinzione in Dio, il
termine perichoresis, mette insieme tutte e due in un perfetto equilibrio, indistintamente l’unità
nella distinzione e la distinzione nell’unità. Le tre persone esistono una nell’altra ed in quanto in
relazione tra loro “sono”, il P è tale perché relativo al F, il F è tale perché relativo al P e lo SPS è
tale in quanto relativo alla reciproca comunione tra P e F. Nell’essere nell’altra che ciascuna
persona divina è. La perichoresis indica la totale comunicazione che c’è tra le persone divine,
l’individualità è nella loro relazionalità.
Il concetto, non il termine, lo avevano percepito anche i padri latini. ILARIO DI POITIERS, nel IV sec.
parlava di in-esistenza, ciò che è nel P è anche nel F, l’uno deriva dall’altro e ambedue sono una
cosa sola. AGOSTINO nel libro VI del De Trinitate afferma: “nella suprema Trinità una cosa sola è
tanto grande quanto tre cose insieme e due cose non sono maggiori di una”. Se tutto il F è nel P,
allora chi vede il F vede il P. Il rapporto tra le persone divine è il reciproco “essere” dell’una
nell’altra. “Io sono nel P e il P è in me” e così vale per lo SPS, tutte sono una cosa sola, la sostanza
divina è “una” e “indivisa”.
La scolastica traduce il termine greco perichoresis con due termini, perché ∄ un equivalente latino:

ð
Circumincessio. Avanzare in modo dinamico.
ð
Circuminsessio. Sedere, stare sopra o dentro come in abitazione.
BONAVENTURA usa il termine circumincessio che pone contemporaneamente distinzione e unità.
Solamente in Dio si ha la più alta unità con distinzione, senza mescolanza e questa unità senza
separazione, poiché le persone sono una nell’altra. TOMMASO non usa il termine ma usa l’idea.
ANSELMO afferma che le 3 persone sono 1 solo Dio e non 3 dei, poiché 1 sola è la sostanza, 1 sola
l’essenza, 1 la natura, 1 l’eternità, è la relazione di origine che fonda la distinzione personale.

49
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7. Medioevo latino
DIONIGI L’AREOPAGITA
Anche detto lo PSEUDO DIONIGI, fu creduto discepolo di S. PAOLO, in realtà è un autore
neoplatonico. Egli influenzerà il pensiero degli autori medioevali, perché spinge all’estremo la
dimensione apofatica della teologia orientale. Scrive alcune opere di teologia mistica, i nomi divini,
divenuti capisaldi nella riflessione medioevale. Egli riprende la visione neoplatonica in cui l’UNO,
è un principio assolutamente ineffabile sul quale non è possibile dire nulla e la visione gerarchica.

Opere importanti
Ø
La gerarchia celeste. Angelologia. Distingue i cori angelici, così come sono ancora oggi.
Ø
La gerarchia ecclesiastica. È la visione medievale della struttura della Chiesa.

Visione trinitaria
Quando DIONIGI prega la Trinità, evidenzia il massimo dell’apofatismo, con una struttura ricca di
ossimori, “O Trinità super divina, super buona, etc”. C’è una visione mistica, un porsi di fronte al
mistero divino senza che l’intelligenza umana possa nulla.
ð
La teologia medioevale è un riferimento, ma non bisogna tralasciare la Rivelazione, perchè il Verbo
si è fatto carne, Dio nessuno lo ha mai visto, ma il F è venuto a rivelarlo.

RICCARDO DI SAN VITTORE


RICCARDO è canonico dell’abazia di San Vittore. È contemporaneo di S. ANSELMO, assiste nel XII
secolo al passaggio dalla teologia monastica a quella scolastica, che cui si sente l’esigenza di una
fede che richiede l’intelligenza (fides quaerens intellectum), l’esigenza di individuare le ragioni di
ciò di cui si crede. RICCARDO nella sua opera intitolata De Trinitate, afferma che il suo scopo è
quello di trovare con la ragione le rationes necessariae alla fede, che non è semplicemente accolta o
accettate ma su cui si vuole riflettere.

De Trinitate
Non bisogna anacronisticamente dare una interpretazione moderna al discorso delle ragioni
necessarie, la differenza tra RICCARDO e la visione della razionalità moderna, consta nel fatto che
quest’ultima esercita la ragione prescindendo dalla fede, mentre RICCARDO utilizza tutte le
potenzialità della ragione dentro un contesto di fede. Egli vuole trovare le prove, le verifiche
sperimentali e gli argomenti, per dimostrare “il Dio è uno e trino, uno nella sostanza, trino nelle
persone”. RICCARDO cerca di individuare all’interno dell’esperienza umana degli elementi,
immagini, analogie che lo possano aiutare in questo suo sforzo intellettuale. La realtà umana che
trova più congeniale per parlare della Trinità, è l’amore. Ha in mente Agostino, ma va oltre. Parte
dal presupposto di fede, cioè che Dio è uno e trino e cerca di indagare rifacendosi alla 1Gv 4, “Dio è
amore” (Deus caritas est). Se Dio è amore, non può che essere una pluralità di persone, il bene
supremo è totalmente perfetto, vi risiede la pienezza e la perfezione della bontà, dove non può
mancare la somma carità, dal momento che niente è più perfetto della carità. Il punto centrale del
suo ragionamento è che, “di nessuno si dice che possiede la carità, nel vero senso della parola, per
il fatto che ami esclusivamente se stesso e quindi è necessario che l’amore, per essere carità, sia
rivolto verso un altro. Di conseguenza, qualora manchi una molteplicità di persone, non può
esservi alcun posto per la carità”. RICCARDO parte dalla fede, Dio è amore e l’amore, la carità, per
essere perfetto, non può essere esclusivamente rivolto verso se stesso. Se uno ama se stesso ancora
non è nella perfezione, infatti perché l’amore possa dirsi perfetto e quindi carità è necessario che sia
rivolto verso un altro, altrimenti si tratta di egoismo. Se Dio è amore, caritas, questo presuppone
una molteplicità di persone in Dio. La carità suprema deve essere perfetta, quindi, “la carità più
grande consiste nel volere che colui che noi amiamo e dal quale siamo amati, a sua volta, ami un
altro con lo stesso amore con cui è amato da me ed io sono amato da lui. Questo succede anche a

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

livello familiare, tra uomo e donna: il marito che ama la moglie e viceversa, raggiungono il
culmine del loro amore nel voler un terzo (un F) che sia amato dello stesso amore con il quale il
marito ama la moglie e viceversa”. Per RICCARDO, l’amore perfetto, per essere tale, implica
un’apertura ad un terzo che sia amato. La prova della carità perfetta consiste nel desiderare che
l’amore di cui si è oggetto, venga partecipato. La perfezione della carità, allora, esige la Trinità
delle persone perché altrimenti, la carità, non può sussistere nella pienezza della sua totalità:
ü
Colui che ama (P).
ü
Colui che ha amato reciprocamente (F).
ü
Il co-amato (condilectus). (SPS)
Lo SPS, che rende la carità di Dio perfetta.
RICCARDO sostiene che l’essere di Dio coincide con l’amore, “è necessario pertanto, senza dubbio
alcuno, che nella semplicità l’essere e l’amare coincidano”. L’essere di Dio, l’Ego sum qui sum,
coincide con la caritas, con l’amore. L’essere in Dio è insieme uno e trino, perché l’amore implica
una Trinità di persone, senza la quale non può esserci carità perfetta, quindi, Dio non può che essere
caritas al massimo grado. Questa intuizione l’ha avuta per primo AGOSTINO, senza essere arrivato a
questo grado di sviluppo. La dimensione dell’intersoggettività caratterizza la caritas e quindi
l’essere di Dio implica questa pluralità di persone unite da questo amore.

LA RIFLESSIONE DI RICCARDO SUL IL CONCETTO DI PERSONA


La distinzione in Dio, si sviluppa con l’utilizzo del termine persona in hypostasis o prosopon. In
Dio ci sono tre persone e la teologia medioevale si chiede quale sia il concetto di persona. Tale
termine si sviluppa con la figura di TERTULLIANO, quindi in ambito teologico, non antropologico.
Inizialmente identificava la maschera teatrale, ora in teologia è la distinta individualità in Dio. Nel
IV sec. BOEZIO, compie il passaggio del termine dall’ambito trinitario a quello antropologico,
afferma: “la persona umana è una sostanza individuale di natura razionale”. RICCARDO si chiede
se sia possibile utilizzare la definizione di BOEZIO per Dio. Ma si rende conto che utilizzandola, si
cadrebbe nel triteismo, una forma assolutizzata di subordinazionismo, dividendo la sostanza divina
che è una, ma in tre persone. RICCARDO afferma che il termine persona è stato certamente adottato
per ispirazione divina, grazie allo SPS, ma è stato usato più in senso negativo per evitare gli errori
dei modalisti e dei subordinazionisti. Quindi si deve dimenticare il significato originario, per
giungere al suo vero significato, “la persona divina è una existentia”, cioè un sussistere, un
permanere, un essere da. Quando pensiamo a qualcuno, dobbiamo tener presente due elementi,
cosa è e da dove viene, Sistere, è la natura (cosa è), ex è la provenienza, l’origine, da dove viene,
persona è dunque una existentia, è qualcosa che è in sé, provenendo da. Come dicevano i Padri
Cappadoci, il F è F ed è distinto dal P in quanto ha una sua sussistenza perché viene dal P, da lui
generato. Lo SPS è in quanto procede dal P e dal F. In Dio la natura divina è la stessa, ciò che è
diverso è l’origine, l’ex. La pluralità delle persone non riguarda la natura che è la stessa, ma
l’origine specifica di ciascuno dei tre, che li caratterizza e li individua. La definizione che
RICCARDO dà della persona divina: è un’esistenza (ex-istentia) incomunicabile della natura
divina. La natura divina è una ed è comunicata tra le persone divine (perichoresis). L’unica cosa
che è incomunicabile nella trinità e che quindi costituisce, distinguendole, le tre persone divine, è la
loro relazione d’origine. Tutto il resto è perfettamente comunicabile, le tre persone possono
comunicarsi tutto tranne il loro essere. Il F ha tutto in comune con il P, eccetto il fatto che il F è dal
P; lo SPS è tutto comune con il P e il F eccetto il fatto che è dal P e dal F (Filioque), ma il P non è
da nessuno, non ha un ex (motivo per cui questa definizione non verrà presa in considerazione.
RICCARDO ha il merito di aver cercato una definizione di persona divina che non sia quella di
BOEZIO e che ponga al centro quella che è l’unica distinzione che c’è tra le persone divine: la
relazione d’origine. Questa distinzione preserva l’unità di Dio, della sostanza divina e
contemporaneamente la distinzione dei tre. Tutta la natura divina è comunicata tranne l’exsistere
(triteismo), la relazione d’origine dei tre non può essere comunicata (Padri Cappadoci).

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

TOMMASO D’AQUINO
TOMMASO, compone 4 opere sulla trinità;
1. Il commento alle sentenze di PIETRO LOMBARDO.
2. La Summa Contra Gentiles.
3. Le Quaestiones Disputatae De Potentia.
4. La Summa Theologiae. Non completata a causa della sua morte prematura e conclusa dal
suo segretario.

Summa Theologiae
TOMMASO ha approfondito in quest’opera, le questioni per gli incipientes, coloro che si
apprestavano allo studio della teologia. La Summa è suddivisa in tre grandi parti:
1. Dio e la creazione. (119 quaestio).
2. La vita morale dell’uomo. (114 quaestio parte I + 189 quaestio parte II).
3. La redenzione. Cristologia e Sacramentaria. (90 quaestio).
ð
Supplemento. Sacramenti e novissimi. (99 quaestio).
ð
Appendice al supplemento. Purgatorio. (2 quaestio). Il
piano è così strutturato:
a) Dio e la creazione. L’uscita delle creature da Dio.
b) Il ritorno delle creature a Dio attraverso la vita morale.
c) La mediazione attraverso la quale avviene questo ritorno data da Cristo e dai sacramenti. La
prima parte può essere divisa in tre parti, per considerare Dio da un punto di vista:
1. Dell’essenza divina. (Quaestio 1 – 26).
2. Della distinzione tra le persone. (Quaestio 27 - 43).
3. Della processione delle creature da Dio. (Quaestio 44 - 119).

Essenza divina
Nelle prime 26 questioni della Summa, TOMMASO traccia per via negativa, ciò che Dio non è,
temporale → eterno, mutevole → immutabile, molteplice → uno. Questa parte, non è un De Deo
uno, ma è una considerazione su Dio fatta da punti di vista diversi. TOMMASO afferma che essa è, di
per sé incomprensibile, non considera il quid est (che cos’è) ma il quomodo non sit (cosa non è).
L’essenza di Dio non è comprensibile, se lo fosse, ridurremmo Dio ad un oggetto. Conoscere
l’essenza di qualcosa vuol dire conoscere la sua definizione, delimitarlo concettualmente. Ma se si
circoscrive Dio, non è più Dio ma è idolo, un oggetto ridotto alle mie capacità di
concettualizzazione. Solo dicendo ciò che Dio non è posso accogliere quello che Dio ha rivelato di
se stesso (la trinità). Dobbiamo ammettere, molto umilmente, che non sappiamo che cosa Dio sia, il
quid est di Dio, neppure dopo la rivelazione di Cristo. Se noi conoscessimo la sua essenza,
potremmo circoscriverlo e descriverlo all’interno di categorie umane, definendolo, ma così non
sarebbe più Dio. Non è possibile conoscere l’essenza di Dio e questo garantisce la Sua
trascendenza. La prima via da percorrere è quella negativa, affermando:
ð
Quaestio 10. Eternità di Dio. Dio è a-temporale, ma in cosa consista l’eternità di Dio non è dato
saperlo.
ð
Quaestio 11. Unità di Dio. Dio è semplice, non è composto. Noi siamo composti da parti,
Dio no. Dio è 1, ma non si può paragonarlo ad un numero, che ha quantità e quantità,
categorie accidentali. In Dio non ci sono accidenti, quindi ne tantomeno può esserci il
numero. L’unità non è unità numerica ma trascendentale, esprimente l’indivisione in se
stesso. Uno = ente indiviso.

Distinzione tra le persone


Tommaso comincia a riflettere su come pensare la Trinità e lo fa seguendo un ordine:
ð
Quaestio 27. Le processioni divine. (2: intelletto e volontà).
ð
Quaestio 28. Le relazioni. (4: P-F, F-P, P-F-SPS, SPS-F-P).
ð
Quaestio 29. Le persone. (3: relazioni sussistenti che ineriscono la natura divina).

52
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Quaestio 27. Le processioni divine


Per parlare di Dio, si deve partire della Rivelazione, della SS. Il problema è l’interpretazione delle
“processioni” di cui ci parla la SS, infatti ARIO, le interpretate, considerandole un’azione che va verso
l’esterno, una casualità, secondo cui il F procede dal P, come un effetto che deriva da una causa, ovvero
che è causato dal P, come un qualcosa di esterno. TOMMASO afferma, ∃ di processioni che sono interne,
“nell’uomo, infatti, possiamo trovare almeno due processioni il cui frutto rimane interno all’uomo e
precisamente la processione del nostro intelletto e della nostra volontà”. Se ciò che penso con l’intelletto
non lo esprimo con la parola rimane nella mia mente, è una processione intellettuale, anche nel caso in
cui io amassi una persona, il sentimento dell’amore rimarrebbe dentro si me se non lo esplicitassi, per
cui “intelletto = parola e volontà = amore”, rimangono interiori all’uomo. In maniera analogica parlando
di Dio, ∃ processioni immanenti, che non implicano un andare verso l’esterno, ma restano interne la
natura divina:
Ø
La generazione del Verbo. Il F (logos, parola di Dio) è processione o azione intellettuale,
immanente, senza riferimento temporale. Il P si riconosce P nel suo Verbo.
Ø
La processione dello SPS (amore). La comunione consustanziale di P e F procede lo SPS.

Quaestio 28. Le relazioni


Una relazione è reale quando nella natura della cosa è implicato il rapporto ad un’altra. Tra P e F c’è una relazione reale perché il
concetto di P, implica un F, ∄ un P senza un F e viceversa. Considerandola da un punto di vista dinamico, si ha la processione, dal
punto di vista dei rapporti si ha la relazione. Alla processione (generazione) corrispondono due relazioni:
ü
Il rapporto P – F. Paternità.
ü
Il rapporto F – P. Figliolanza.
TOMMASO asserisce che è reale ciò che appartiene alla natura di quella cosa, cioè relazioni
intrinseche a un certo ente. Siccome le processioni divine avvengono nella natura divina le
corrispondenti relazioni sono necessariamente reali quindi queste processioni sono reali e si
identificano con la stessa essenza divina delle relazioni.
Relazioni reali in Dio
1. La relazione tra P e F. È una relazione di paternità.
2. La relazione tra F e P. È una relazione di figliolanza.
3. La relazione tra P, F e SPS è spirazione attiva, perché il P e il F spirano lo SPS.
4. La relazione è la processione dello SPS che va verso il P e il F è spirazione passiva.

Quaestio 29. Le persone


TOMMASO rileva l’insufficienza della definizione di persona di BOEZIO, “sostanza individuale di
natura razionale”. L’individuo è ciò che è indistinto in sé stesso e distinto dagli altri. Per i padri
Cappadoci la relazione in Dio è l’elemento distintivo. Le relazioni non sono un accidenti che
inerisce al soggetto, ma sono la stessa essenza divina, quindi esse stesse sussistenti come sussiste
l’essenza divina, da cui persona divina è una relazione sussistente. Tale definizione ha avuto un
grande successo tanto che quella di RICCARDO DI SAN VITTORE è stata ben presto dimenticata.
Nella relazione sussistente o di sussistenza relativa, la sussistenza sta nella relazione reciproca, in
quanto il P sussiste relativamente al F e il F sussiste relativamente al P. TOMMASO, trova la via
media con la quale evita:
ð
Modalismo. Da consistenza alla persone divine, che non sono modi.
ð
Triteismo. Esse sussistono nella relazione reciproca, non sono cose staccate una dall’altra.
La sostanza divina è una sola e la sussistenza dei tre sta nella loro relazione reciproca, l’essenza
divina sussiste in tale relazione, non è altro rispetto alla relazione.
Problema
In Dio ci sono 3 persone e 4 relazioni reali, quindi una di queste non è sussistente. Una relazione è
sussistente, se non può esistere senza il suo correlativo:
1. Non c’è paternità senza figliolanza.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

2. Non c’è figliolanza senza paternità.


Una delle due dello SPS non è sussistente.
3. Il P ed il F sussistono perché spirano lo SPS (Attiva).
4. Lo SPS sussiste perché spirato dal P e dal F (Passiva).
La spirazione attiva non è sussistente, in quanto il P ed il F sono tali anche senza spirare lo SPS,
mentre lo SPS non sussiste se non è spirato dal P e dal F (passiva).
Non c’è P senza F e viceversa e non c’è SPS se non è spirato da entrambi.

La definizione di persona divina come relazione sussistente rappresenta una vetta del pensiero
teologico. TOMMASO sistematizza tutto quello che era stato elaborato in precedenza. È possibile
trovare nelle processioni divine la causa e la ragione della processione delle creature.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

È il5.primoAGOSTINO – DE TRINITATE
autore, che scrive un trattato di teologia trinitaria dopo i due primi grandi concili
ecumenici. ILARIO DI POITIERS aveva scritto il De Trinitate, tra i Concilii di Nicea e Costantinopoli.
AGOSTINO si è documenta leggendo i libri scritti sulla Trinità, in occidente (latino)
di TERTULLIANO, AMBROGIO, MARIO VITTORINO, ILARIO in oriente (greco) GREGORIO DI
NAZIANZO e BASILIO. Quest’opera è la risposta ad un’esigenza ecclesiale, fu la richiesta di altri
Vescovi che lo spinse a comporre l’opera, che è considerata da VON BALTHASAR carismatica,
perché è un dono a vantaggio della Chiesa. Inizia a scriverla nel 399 e la termina tra il 420-421. Nel
412, dopo che aveva scritto i primi 12 libri, dei 15 che compongono l’opera, questi furono rubati e
pubblicati. Vi era, infatti una forte attesa per l’uscita dell’opera. AGOSTINO era un uomo dal
carattere forte, se la prese a male e non era più intenzionato a completare l’opera, ma i suoi amici
vescovi lo convinsero diversamente. È lo stesso AGOSTINO ad informarci che la sua opera presenta
delle lacune a causa di una mancata revisione redazionale. È importante ricordare che per Agostino,
la riflessione teologica non è mai qualcosa di astratto che si può fare a tavolino, prescindendo dalla
vita quotidiana e dall’esperienza, poiché nella sua vita c’è una profonda unità vitale, morale,
spirituale e intellettuale, che è facilmente percepibile nel De Trinitate.

Introduzione
Nelle Confessioni, narra le sue esperienze spirituali ed esistenziali. Nel VII libro, descrive
l’esperienza di Dio che ha fatto prima del battesimo, un’esperienza così forte da segnare la sua vita,
“ammonito da quegli scritti (neoplatonici) a tornare a me stesso, entrai nel mio intimo sotto la tua
guida poiché Tu diventasti il mio soccorritore”. Fu invitato infatti da un sacerdote vicino ad
AMBROGIO a leggere probabilmente le Enneadi di PLOTINO. In quel periodo stava vivendo una
profonda crisi scettica, per cui era convinto che la verità non esistesse. Ma la lettura della filosofia
neoplatonica, lo ha esortato ad abbandonare lo stile di vita che aveva, per ritrovare sé stesso e si
rende conto che vi è stato un aiuto superiore, è Dio che lo ha guidato attraverso gli scritti
neoplatonici, non è solo il frutto di un suo sforzo personale. Scrive infatti, “rientrai in me stesso e
vidi una luce immutabile” che non è come la luce di questo mondo. Attraverso l’anima comprende
la trascendenza dell’esperienza che sta vivendo, vi è una luce altra, rispetto a quella del mondo,
superiore non nello spazio, ma nella trascendenza. È la luce da cui è stato creato, è Dio. Chi conosce
la verità conosce questa luce e chi la conosce, conosce l’eternità, conosce la vera carità, “Oh eterna
verità, vera carità, cara eternità”. Questa esperienza avviene 10 anni prima di iniziare il De
Trinitate, e pone nelle Confessioni quest’allusione trinitaria, “Oh eterna verità …”, che dà l’idea di
circolarità, della perichoresis. L’esperienza di AGOSTINO è l’illuminazione di un attimo, di fronte
all’intensità di questa luce rimane abbagliato. Lui si sente lontano da Dio, “nella regione della
dissomiglianza”, a causa dei peccati e per la debolezza della natura umana, che è l’eco dell’Ego sum
qui sum. Rimasto abbagliato, cambia metafora, utilizzando l’udito. Non più il vedere, ma la fede,
che viene dall’ascolto (Rm 10,17), che richiama al sacramento dell’eucarestia. Dopo aver visto la
luce e dopo aver udito la Verità, AGOSTINO non poteva più dubitare della Sua esistenza,
convincendosi che l’uomo, attraverso la conoscenza delle cose create, ha la possibilità di giungere
alla conoscenza del Creatore. Superata la crisi scettica, si rende conto che da solo non può farcela e
nelle Confessioni, sottolinea, che è aggrappato al Cristo, il mediatore tra Dio e gli uomini. In una
pagina, fa il resoconto di questa esperienza, mettendola a confronto con Es 3,14 (Ego sum qui sum),
con l’eucarestia e con la possibilità dell’uomo di giungere alla conoscenza del Creatore, partendo
dalle cose create. Egli sperimenta nella visione luminosa di un attimo, l’unità dell’essere di Dio.
Dopo, inizia un percorso di purificazione interiore per ritornare a Dio, per ritrovare ciò che ha
provato per un istante. Ma data l’incapacità dell’uomo, ha bisogno di aiuto, il Cristo, il mediatore
che gli permette di ritrovare Dio. È un discorso trinitario, in quanto l’esperienza di Dio si può fare,
mediante il Cristo, vivendo all’interno della Chiesa, Suo corpo, dove compiere questo cammino di

55
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

purificazione. La via dell’interiorità non può essere disgiunta dalla vita comunitaria ed ecclesiale,
perché nella comunione ecclesiale si sperimenta l’amore vicendevole, la carità reciproca.

Libro Soggetto Note


Fine dell’opera
Obiettivo polemico, contro coloro che parlano di
(Manichei - pagani - gnostici)
Dio partendo dalla ragione e non dalla fede
Ermeneutica SS
I
(Metafore, Analogie, Proprio di Dio)
(Regula
Fidei) Rendere ragione alla trinità: 1 solo unico Dio “P, F,
Piano dell’opera
SPS” → dire, credere, pensare = sostanza
Elementi imprescindibili della fede
Unità della sostanza, distinzione delle persone.
cattolica
P, F, SPS (Vita
I (4.7; 5.8) Ad intra Unità divina nella sostanza (x via negativa)
divina immanente)
[II/IV] Trinità
• P. Battesimo, trasfigurazione.
(Regula Ad extra Economia • F. incarnazione, Mistero Pasquale.
della salvezza
Fidei) • SPS. Colomba battesimo.
Distinta operatività. Nella incarnazione (Lc 1,35) operano tutte e 3 le
Trinità (Comunione, incarnazione) persone divine (SPS: scende; P: ombra; F:
nascituro).
Parte dall’essenza (Es 3,14) Luce, verità, essere

Differenza Dio – Noi (essenza al max grado) Noi = ∃ accidenti (contingenza)


V Dio = ∄ accidenti (eterno)

(Intellectus La relazione è la 3 a via


Fidei) Principio non contraddizione nulla di Dio è accidenti, mo non tutto ciò che si può
Arianesimo dire di Dio è sostanziale.
Parlano di Dio solo in termini
Arianesimo A volte si parla di Dio secondo la relazione:
sostanziali
P e F sono eternamente così, ∄ creazione.

Relazione L’essere divino è unico, No = persona, ma = sostanza


Persona (1 essere e 3 persone)
SPS (At 8,20) È dono = relazione ineffabile tra P e F
Il luogo dove fare esperienza di Dio Il vero amore (agapico – oblativo) elimina la
VIII è l’amore, la carità concupiscenza.
(Experientia L’amore fraterno trascende me stesso e mi fa fare
Fidei) L’amore unisce 2 esseri. esperienza di Dio (vedi la trinità).

1Gv 4,7-8 L’amore fraterno viene da Dio, è Dio stesso.


Luogo
Aspetto triadico Amante, amato, amore
Memoria – intelletto – volontà.
Strutture triadiche che dall’uomo (immagine e
IX / XIV Analogie psicologiche
somiglianza) ci conducono come in uno specchio
alla trinità.
Stanchezza del libro VIII dopo aver trovato il
Sintesi luogo ed intravisto la Trinità (amante, amato,
Debolezza spirito umano di fronte amore) → digressione sulle analogie.
l’esperienza (luce)
XV
Inter – soggettivo (relazione amore – soggetti)
Balthasar Intra – soggettivo (analogie, indagine dentro lo
spirito umano).

56
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Struttura ipotizzata dell’opera (Prof. Coda)


Nonostante la struttura redazionale complessa, l’opera può essere divisa in tre sezioni:
1. Regula Fidei. Libri 1-4. La dottrina della fede cattolica. La Trinità è conoscibile dalla auto
manifestazione di Dio in Cristo, accolta da noi nella fede. Partire dalla SS, interpretata alla
luce della tradizione, in cui troviamo l’attestazione della rivelazione della trinità di Dio.
2. Intelligentia Fidei. Libri 5-7. La teologia ha il compito di approfondire il dato rivelato,
illustrare con intelligenza ciò in cui si crede. AGOSTINO illustra la regola della fede.
3. Experientia Fidei. Libri 9-15. L’8° libro può essere considerato solo un passaggio.
AGOSTINO non si accontenta di fare una esposizione intellettuale, ma vuole condurre il
lettore a fare una esperienza di Dio e della fede, come ha fatto lui.
L’inizio è la fede trasmessa dalla Chiesa e depositata nella SS (regula fidei), interpretate all’interno
alla tradizione ecclesiale. A questo si aggiunge l’elaborazione ex intelligentia fidei, al fine di fare
una experientia fidei di Dio.

Prologo
Il prologo è la lettera che AGOSTINO scrive al vescovo AURELIO, in cui descrive le complicate
vicende redazionali. Dopo il furto è deciso a non continuare, anche perché i 12 libri sono stati
pubblicati senza che li revisionasse. Ma i vescovi insistono, l’amico AURELIO anche, e così riprende
scrivere e termina con l’aggiunta di tre libri. L’opera conclusiva, per questo, non ha quella chiarezza
che AGOSTINO gli avrebbe voluto dare.

Libro I
1.1 – Tre specie di errori su Dio
AGOSTINO evidenzia il fine per il quale scrive l’opera: “la nostra fede intende vigilare contro le
false affermazioni di quelli che disprezzano di partire dalla fede (nel momento in cui si vuole
parlare di Dio) e partono da uno sconsiderato, immaturo e perverso amore della ragione”.
L‘obiettivo è polemico, contro coloro i quali intendono parlare di Dio partendo dalla ragione e
rifiutando la fede. AGOSTINO mostra presupposti epistemologici: è un’opera teologica, si parte dalla
fede nella rivelazione per discutere sulla trinità. Egli suddivide queste persone, in tre gruppi:
1) Manichei (stoici). Coloro che applicano a Dio, che è sostanza incorporea e spirituale, ciò
che hanno percepito rispetto alle sostanze corporee creando, di Dio, una immagine
materiale. Il Manicheismo, cui aveva aderito lo stesso AGOSTINO, attribuisce a Dio
caratteristiche materiali.
2) Le religioni pagane. Coloro che applicano a Dio le caratteristiche dell’animo umano.
Ovvero passioni, invidie, gelosie, etc.
3) Gnostici. Coloro che, rifiutando la fede, fanno una serie di congetture su Dio, che gli
impediscono di giungere realmente a Dio, avendone solo un’immagine trascendente. Non
considerano la Rivelazione, creandosi delle mitologie sul mondo divino con un Dio
immateriale e incorporeo. È l’errore più pericoloso, perché speculativo, mentre le altre
categorie partono da qualcosa che esiste (corpi ed anime).

1.2 – La Scrittura aiuta ad elevare l’intelletto


La SS è la base di ogni discorso trinitario, ma sono necessari dei criteri ermeneutici per
l’interpretazione corretta della SS. Essa usa vocaboli di ogni genere parlando di Dio, per far
maturare in qualche modo l’uomo e condurlo a partire dalle cose a lui più vicine verso quelle più
elevate. Nella sua opera precedente, il De doctrina cristiana, ha scritto questi criteri:
1) Metafore. La SS ha espressioni corporee riferite a Dio. Ad esempio il Sal 16 “nascondimi
all’ombra delle tue ali”. Certo il salmista non attribuiva a Dio le ali. È una metafora per
indicare protezione.
2) Analogie. Sono espressioni tratte dal mondo spirituale, dall’animo umano, Es 20,5 “Sono un
Dio geloso”. È molto più di una più semplice metafora. Altre espressioni tipo: Dio è buono,
57
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

la bontà che è Dio supera la nostra di bontà. AGOSTINO scrive, “Ma da ciò che non esiste, la
Scrittura non trasse alcun termine con cui creare allegorie o creare immagini, quindi né in
senso metaforico e né in senso analogico. Pertanto, più perniciosa e vana è la perdizione
cui conduce, allontanando dalla verità, questo terzo genere di errore per il quale si suppone
essere in Dio ciò che non può essere in Dio stesso o in nessun’altra creatura”.
3) Senso proprio di Dio. ∃ nella SS, espressioni più rare per parlare di Dio, non attribuibili al piano creaturale, Es 3,14 “Io
Sono Colui Che Sono” e “Colui che È mi ha mandato a voi”. Manifestano la pienezza dell’essere di Dio, è esclusivamente
di Dio, intesa non in senso metaforico o analogico, ma in senso proprio di Dio.

1.3 – Nutriti dalla fede siamo resi capaci di attingere le realtà divine
È difficile, per noi, pensare a Dio al di fuori della nostra dimensione esperienziale, basata su
categorie temporali, mutevoli, sensibili. Ciò rende difficile penetrare e conoscere la sostanza divina.
Per avvicinarci a Dio è necessario “purificare” il nostro spirito, attraverso un cammino di
purificazione, di purgatio mentis, il cui nutrimento è la fede.

2.4 – Scopo e piano dell’opera


Dopo questa premessa, AGOSTINO descrive lo scopo e il piano dell’opera, “con l’aiuto del Signore
prendiamo la Parola per spiegare (1Pt 3,15 – rendere ragione per quanto si può) e come ci
chiedono i nostri avversari, in che modo, la Trinità, sia un solo, unico e vero Dio e come sia esatto
dire, credere e pensare che il P, il F e lo SPS, siano un’unica medesima essenza o sostanza”.
È importante la progressione dei verbi: dire, credere e pensare:
1. Dire. Fides ex auditu. È il professare con le labbra, l’aspetto della fede.
2. Credere. È l’accogliere nella fede ciò che si dice.
3. Pensare. È l’intelligere. il bisogno di penetrare con l’intelligenza, il rendere ragione
affinché, “in modo che gli avversari non abbiano a pensare di essere tratti in inganno dai
nostri giri di parole, ma sperimentino direttamente [experiantur, experientia fidei. Fare
piena consapevolezza di Dio] che quel bene sommo che si manifesta solo agli spiriti
pienamente purificati”.
Il De Trinitate, non è un’opera puramente speculativa, ma AGOSTINO vuole condurre i suoi lettori a
fare una esperienza concreta di Dio, sempre se disposti. È importante l’aspetto ecclesiale che media
l’esperienza personale, incamminandosi sulla via della carità, perché Dio è carità. AGOSTINO è
conscio però, che non c’è una via più insidiosa di quella della Trinità perché è da una falsa
immagina di Dio derivano tutti gli altri errori. Non capire l’unità della Trinità, porta ad una serie di
errori che fanno crollare la fede cattolica (ARIO). La trinità è una dura prova le possibilità
dell’intelligenza umana e un ambito in cui le certezze vacillano, la ricerca è più difficile, ma portano
alla scoperta più feconda, dell’autentico volto di Dio.

3.5 – Le disposizioni d’animo richieste ai lettori


“Chiunque legge quest’opera, dunque, prosegua con me se avrà la mia stessa certezza, ricerchi con
me se condividerà i miei dubbi; ritorni a me se riconoscerà il suo errore, mi richiami se si avvedrà
del mio. Insieme ci metteremo così sui sentieri della carità, in cerca di Colui del quale è detto:
Cercate sempre il suo volto”. Se Dio è carità, per trovarlo bisogna usare carità. “l’unità della
Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, poiché non c’è altro argomento a proposito del
quale l’errore sia più pericoloso, la ricerca più ardua, la scoperta più feconda. Se poi, leggendo,
qualcuno dirà: "Ciò non è stato bene spiegato, perché io non capisco", se la prenda con il mio
modo di esporre, ma non con la fede”.

4.7 – La dottrina cattolica sulla trinità


AGOSTINO parte dalla SS (AT e NT) e contro ogni tentazione gnostica, opera una lettura canonica in
base alla tradizione.. Il 1° elemento della fede cattolica è che P, F e SPS sono una sola e medesima
substantia, quindi non sono tre dei ma un solo Dio. Afferma l’unità di Dio, dell’unica

58
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

substantia, attraverso la negazione dell’identità personale, l’uno non è l’altro, sottolineando la


distinzione. La metafisica di AGOSTINO, pur partendo da presupposti neoplatonici, li supera quando
sostiene che nell’unità della sostanza divina ci sia una distinzione perché il P non è il F e il F non è
il P. I neoplatonici, invece, quando considerando la diade, Uno – Nous, il nous è al di fuori
dell’Uno, non vi è spazio per la distinzione. AGOSTINO pensa all’unità della sostanza divina, non
come un unità indifferenziata, in cui non c’è spazio per l’alterità ma un unità della sostanza in cui
c’è spazio per il nous. Per affermare la nostra fede, non è possibile negare uno dei due aspetti:
1. Unità della sostanza.
2. Distinzione personale.
La fede cattolica implica che questi due aspetti siano tenuti insieme, qui AGOSTINO non fa
intelligentia fidei, ma semplicemente espone la fede sulla Trinità immanente. Dopo ciò esporrà la
trinità economica (approfondita nel Libro II), ovvero l’azione di Dio ad extra. Non è tutta la trinità
che si incarna nel seno della vergine Maria ma è il F. Evidenzia la distinzione delle operazioni ad
extra, cioè le persone divine agiscono distintamente nella storia della salvezza. Ma, pur agendo
distintamente, operano inseparabilmente, come sono inseparabili nel loro essere. Ciascuno agisce in
maniera propria ma insieme agli altri, “Tuttavia non la Trinità medesima nacque dalla vergine
Maria, fu crocifissa e sepolta sotto Ponzio Pilato, risorse il terzo giorno ed ascese al cielo, ma il
Figlio solamente. Così non la Trinità medesima scese in forma di colomba su Gesù nel giorno del
suo battesimo o nel giorno della Pentecoste, dopo l’ascensione del Signore, si posò su ciascuno
degli Apostoli, con il suono che scendeva dal cielo come fragore di vento impetuoso e mediante
distinte lingue di fuoco, ma lo Spirito Santo solamente. Né infine la medesima Trinità pronunciò dal
cielo le parole: Tu sei il Figlio mio, quando Gesù fu battezzato da Giovanni, o sul monte quando
erano con lui i tre discepoli, oppure quando risuonò la voce dicendo: L’ho glorificato e ancora lo
glorificherò, ma era la voce del Padre solamente che si rivolgeva al Figlio, sebbene il Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo operino inseparabilmente, come sono inseparabili nel loro stesso essere.
Questa è la mia fede, perché questa è la fede cattolica”.

5.8 – Le tre questioni che turbano


AGOSTINO si pone il problema, che alcuni restano turbati dal concetto di Trinità:
1. “alcuni restano fortemente turbati nella loro fede al sentire che si parla di un Dio Padre e
di un Dio Figlio e di un Dio Spirito Santo e che tuttavia questa Trinità non è tre dèi, ma un
solo Dio”. La Trinità non è tre ma un solo Dio. Questo problema l’affronterà nei libri 5-6-7.
intelligentia fidei, compiendo una rivoluzione del quadro categoriale dell’uomo antico.
2. Azione di Dio ad extra. Questione affrontata nei libri 2-3-4, partendo dell’economia,
considera l’azione di Dio nella storia della salvezza (AT), per arrivare al NT, per cogliere il
rapporto tra la distinta operazione di ciascuna persona divina e il loro agire inseparabile,
“Chiedono come intendere ciò, dato soprattutto che i Tre, si dice, operano inseparabilmente
in ogni attività divina e tuttavia è stata udita la voce del Padre che non è la voce del Figlio;
il Figlio solo si incarnò, patì, risorse ed ascese al cielo; solo lo Spirito Santo discese in
forma di colomba”
3. Le difficoltà sulla persona dello SPS.

APPROFONDIMENTO
AGOSTINO prende in considerazione l’agire del P, del F e dello SPS e in questa azione ad extra, al di là delle
singole opere c’è un tratto comune, il P ha mandato il F e lo SPS a compiere delle opere nella storia della salvezza
(NT). Qui troviamo un primo elemento distintivo di questo agire ad extra, mentre il P non è mandato, il F e lo SP
in una pluralità di aspetti, sono mandati. ∃ una parte ad intra, che riguarda la vita divina immanente e una parte ad
extra, che riguarda l’economia della salvezza.

AD INTRA
ð
P, F e SPS. Unità divina in virtù della loro unica sostanza, non sono tre dei ma un unico Dio.
59
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

ð
ð
Il P ha generato il F.
Nell’unità della sostanza divina, ∃ una alterità evinta dal linguaggio negativo:

ü
Il P non è il F.
ü
Il F non è il P.
ü
Lo SPS non è né il P, né il F.
In Dio c’è contemporaneamente, unità della sostanza e alterità. La teologia per essere cristiana,
deve indagare attraverso la ragione, questo che la fede accoglie: noi crediamo in un Dio uno e trino.

AD EXTRA
È il F, non la Trinità che si è incarnato nella vergine Maria, è stato crocifisso e sepolto sotto Ponzio
Pilato. È lo SPS, non la Trinità, che scese in forma di colomba su Gesù nel giorno del Battesimo o
effusa nel giorno di Pentecoste. È il P, non la Trinità, che pronunziò dal cielo le parole “Tu sei il F
mio prediletto” al battesimo di Gesù ad opera di Giovanni o la voce sul monte durante la
trasfigurazione. La SS presenta una distinta operatività delle persone. Quest’agire distinto non
significa che sono tre dei, che agiscono in maniera distinta, ma che P, F e SPS operano
inseparabilmente. Le loro operazioni ad extra sono inseparabile come inseparabili sono le tre
Persone nel loro essere, ad intra. La missione indica una distinzione nelle operazioni ad extra, una
distinzione nell’unità della sostanza perché la missione divina non implica subordinazione e quindi
differenza di sostanza tra chi è mandato e chi manda. Supponendo la separazione del loro agire ad
extra, significherebbe una separazione anche ad intra, quindi non si tratterebbe più di un unico Dio,
ecco il triteismo. Ogni azione non è isolata, ma è un’interazione, come ad esempio, tutte e tre le
persone sono implicate nell’evento della Incarnazione, in Lc Maria
1) Fu adombrata dalla potenza dell’Altissimo.
2) Il F si incarna.
3) Attraverso la potenza dello SPS.
Secondo Agostino, la ragione è chiamata ad indagare, queste questioni difficili che creano dubbi,
parlando di un Dio P, di un Dio F e di un Dio SPS e che questa trinità, non è costituita da tre dei ma
da un solo Dio.

La teologia dello SPS


Il discorso sullo SPS è trasversale nell’opera, non esplicitato. Egli scrive il De Trinitate subito dopo
il Concilio di Costantinopoli I, il cui simbolo non recepito in occidente, per cui la problematica
sullo SPS era ancora aperta, mentre in oriente la riflessione sullo SPS era stata affrontata dai Padri
Cappadoci. Nella Trinità vi è un solo SPS non generato né dal P e né dal F né da entrambi, sebbene
sia lo Spirito del P e del F.

Libro II
5.7 – Il F e lo SPS non sono inferiori al P
Le missioni divine non sono da intendersi in modo subordinazionista, differentemente dagli ariani, i
quali affermano che colui che manda è superiore a chi è mandato. La missione più facile da
individuare è quella del F. È stato mandato, incarnandosi nel mondo. In realtà, già dal momento
della creazione è presente nel mondo, tutto è stato fatto per mezzo di lui, il F è venuto la dove era
già. L’incarnazione è da capire dentro quest’idea.

5.8 - La missione del F consiste nella incarnazione


La missione del F consiste nell’incarnazione. Il F era già nel mondo ma senza la carne, quando è
stato mandato l’ha assunto da donna, quindi l’essere mandato significa l’andare la dove era ma in
una forma nuova. AGOSTINO nei libri 2-3 fa un esame analitico delle teofanie veterotestamentarie
(si è rivelato solo Dio P? F e SPS nell’AT?), che gli fanno mettere in dubbio il presupposto da cui è
partito, cioè il ridurre la missione del figlio solo all’incarnazione. Nel libro IV la risposta sarà no.

60
Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Libro IV
19.25 – Annunci della missione del F
PLATONE sostiene che il rapporto che c’è tra le cose temporali e l’eternità è lo stesso rapporto che
c’è tra fede e verità. Nella posizione platonica però, tra tempo – eternità e fede – verità c’è un
problema nel rapportare questi mondi, cosa che AGOSTINO supera, “Ecco per qual fine il Figlio di
Dio è stato mandato o meglio che cos’è la missione del Figlio di Dio. Tutti i fatti compiuti nel corso
del tempo in seno alle cose che hanno avuto inizio e che nell’eternità hanno avuto la loro origine ed
hanno il loro termine, per costituire la nostra fede, dalla quale siamo purificati per contemplare la
verità, costituiscono o delle testimonianze di questa missione o la stessa missione del Figlio di
Dio”. AGOSTINO supera l’analogia statica di PLATONE, ma tutto diventa dinamico perché tra tempo
– eternità e fede – verità c’è Cristo con la sua missione che fa da tramite tra questi elementi
eterogenei:
ð
Tempo = Economia.
ð
Eternità = Immanenza.
ð
La missione è il punto di congiunzione.

20.27 – Il F è consustanziale al P ed è mandato da Lui


La missione del F, non è il semplice fatto storico dell’incarnazione, e non è neanche l’origine
eterna del F dal P, ma è la manifestazione di questa origine eterna nel tempo e nella storia,
“Conseguentemente possiamo capire che la missione del Figlio non si identifica semplicemente con
l’incarnazione del Verbo, ma è il principio che ha determinato l’incarnazione del Verbo e il
compimento da parte di lui, personalmente presente, degli eventi che sono stati registrati”. La
missione è fondata sulla processione eterna, che è il fondamento di quello che avviene nella storia
della salvezza. La missione del F precede l’evento dell’incarnazione, qui recupera l’AT, il F è già
all’azione anche se in maniera non esplicita. La sua missione non si conclude con l’incarnazione.

20.28 – La missione del F è l’incarnazione e la Sua presenza nelle anime


Il Figlio è eternamente generato dal Padre. La missione è essere conosciuto nella sua origine dal P,
ecco l’elemento nuovo, la conoscenza da parte nostra. Il F è eternamente dato dal P e il massimo di
questa conoscenza è avvenuta con l’incarnazione, “il Figlio non è detto mandato per il fatto stesso
che è nato dal Padre, ma quando o si manifesta in questo mondo il Verbo fatto carne, per cui egli
dice: Sono nato dal Padre e sono venuto in questo mondo, o nel corso del tempo è percepito dallo
spirito di qualcuno, nel senso in cui è detto: Mandala, affinché mi assista e condivida il mio lavoro.
Ora ciò che è nato dall’Eterno esiste in eterno”. Nel concetto di missione scompare ogni tipo di
subordinazione. Mentre, la missione dello SPS consiste nella conoscenza che abbiamo della sua
processione dal Padre.

Libro V
AGOSTINO inizia a trattare le questioni più speculative (Intelligentia fidei.), passa alla trinità
immanente. L’argomento dei libri centrali, 5-6-7 è l’unità e la distinzione in Dio, partendo dal dato
di fede, che consegna un Dio uno e trino.
È possibile partire sia dall’unità che dalla distinzione (→ questione del Filioque, pag. 41-44):
Ø
La teologia greca parte dalla distinzione delle persone, per poi parlare dell’unità di Dio.
Ø
La teologia latina parte dall’unità dell’essere divino per speculare sulla distinzione.
AGOSTINO, ha fatto esperienza di Dio come luce, verità ed essere (Ego sum qui sum, Es 3,14), così
lui parte dall’essere di Dio.

2.3 – Dio è l’Essere


Agostino inizia con ciò che non è messo in discussione, ma che è comunemente condiviso:
ð
Dio è sostanza. L’esperienza del nel libro VII delle Confessioni “Ego sum qui sum”.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

ð
Dio è essenza (οὐσία). Non è l’essenza di TOMMASO (quidditas, la forma), ma essere al massimo
grado.
Dio è colui che è al massimo grado. Le altre sostanze o essenze hanno degli accidenti da cui
derivano dei cambiamenti, una cosa che prima non era e poi è. La presenza di accidenti, implica
contingenza, qualcosa che può essere e non essere (tale punto è condiviso anche dagli ariani). Dio è
eterno, immutabile, non è quindi contingente e non ha accidenti, è essenza al massimo grado, infatti
il mutevole non conserva l’essere. AGOSTINO, riprende dalla metafisica neoplatonica, il concetto di
degradazione progressiva dell’essere, lui considera il mondo costituito in “livelli”, ovvero esiste una
gerarchia, che implica una degradazione progressiva dell’essere con Dio al massimo grado. “tutte le
altre essenze o sostanze che conosciamo, comportano degli accidenti, da cui derivano ad esse
trasformazioni grandi o piccole. Dio però è estraneo a tutto questo e perciò vi è una sola sostanza
immutabile o essenza, che è Dio, .... Perché ciò che muta non conserva l’essere, e ciò che può
mutare, anche se di fatto non muta, può non essere ciò che era. Perciò solo ciò che, non soltanto
non muta, ma soprattutto non può assolutamente mutare, merita senza riserve ed alla lettera il
nome di essere” [rilettura di PORFIRIO sull’essere].

3.4 – L’Argomentazione degli Ariani


EUNOMIO, circa 50 anni dopo ARIO, categorizza l’arianesimo con le categorie MF aristoteliche:
ð
Dio = sostanza ≠ accidente.
ð
Gesù ≠ Dio ≠ sostanza (non sono omoousios).
Gli ariani sostengono, “dicono: "Quanto si enuncia o si pensa di Dio, si predica non in senso
accidentale, ma in senso sostanziale. Perciò il Padre possiede l’attributo di ingenerato secondo la
sostanza, come anche il Figlio possiede secondo la sostanza l’attributo di generato. Ma non è la
stessa cosa essere ingenerato ed essere generato. [principio di non contraddizione, applicando la
logica aristotelica, è difficile uscire da questa aporia]. Di conseguenza la sostanza del Padre e la
sostanza del Figlio sono differenti”. Essi usano due termini scritturistici, generato e ingenerato, ma
non è l’unica affermazione nella SS, se si cerca, è possibile trovare, Gv 10,30 “Io e il Padre siamo
una cosa sola, [consustanziali, stessa sostanza] riguarda la sostanza. Perciò unica è la sostanza del
Padre e del Figlio". Ovvero, se questa affermazione non concerne la sostanza, allora c’è qualcosa
che non si attribuisce a Dio secondo la sostanza e non siamo più obbligati ad intendere in senso
sostanziale "ingenerato" e "generato". Similmente si afferma del Figlio: Non stimò una rapina
essere uguale a Dio; uguale in qual senso? chiediamo. Infatti se non è detto uguale in senso
sostanziale, essi ammettono che non tutto ciò che si predica di Dio concerne la sostanza.
Ammettano allora che "ingenerato" e "generato" non si debbano intendere secondo la sostanza. Se
non lo ammettono, perché pretendono che tutto ciò che si attribuisce a Dio ha valore sostanziale,
allora il Figlio è uguale al Padre secondo la sostanza”. Dato che tutto quello che si dice di Dio, lo
si afferma secondo sostanza, se Gesù dice “Io e il P siamo uno”, ne consegue che la sostanza del P e
del F è la stessa. Esiste una aporia insita nella SS, per cui è possibile trovare passi per entrambe le
affermazioni.

5.6 – Le relazioni divine


AGOSTINO è un retore, studia i termini prima in modo semantico – linguistico per poi passare al
piano ontologico – metafisico. Se nulla in Dio è accidenti e non tutto ciò che si predica di Lui si
predica secondo la sostanza, ∃ una terza via:
1. “Dunque in Dio nulla ha significato accidentale, perché in lui non vi è accidente, e tuttavia non
tutto ciò che di lui si predica, si predica secondo la sostanza. Nelle cose create e mutevoli, ciò
che non si predica in senso sostanziale, non può venir predicato che in senso accidentale. In
esse è accidente tutto ciò che può scomparire o diminuire: le dimensioni, le qualità e le
relazioni, come le amicizie, parentele, servitù, somiglianze, uguaglianze e le altre cose di
questo genere; la posizione, il modo di essere, lo spazio e il tempo, l’azione e la passione”.
2. “Ma in Dio nulla si predica in senso accidentale, perché in Lui nulla vi è di mutevole; e
tuttavia non tutto ciò che si predica, si predica in senso sostanziale.”
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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

3. “Infatti si parla a volte di Dio secondo la relazione [Dicitur eni ad aliquid, che corrisponde al
termine aristotelico “pros ti” = relazione verso qualcosa. Aristotele la considera un accidente,
non usa infatti il sostantivo, ma una preposizione, la considera la categoria più debole, è
l’accidente più lontano dalla sostanza]; così il Padre dice relazione al Figlio e il Figlio al
Padre, e questa relazione non è accidente, perché l’uno è sempre Padre, l’altro sempre
Figlio”. A volte si parla di Dio secondo la relazione, il nome di P, implica di per se relazione, perché ∄ P senza F e ∄ F senza
P, quindi Patrem ad Filium et Filius ad Patrem. Questo Ad = Ad aliquid, perché il P ed il F sono in relazione. Nel caso di Dio,
che è ≠ dal creato, ∄ tempo, AGOSTINO estrae la categoria della relazione dalla contingenza, fecendone una categoria fissa, che
non è né accidentale né sostanziale, è quella terza via che stava cercando: il P è sempre P e il F è sempre F. l’eternità di questa
relazione è connaturata a Dio, nel creato, tra P e F ∃ ≠ di anni, cosa che in Dio (P e F) ∄. Non è possibile pensare ad un P senza
F e viceversa. Tali termini non possono essere intesi in senso assoluto, sostanziale, ma neanche in senso accidentale, perchè ciò
implicherebbe contingenza, mutevolezza, ed invece il P è eternamente P del F e il F è eternamente F del P. Dio,
differentemente da ciò che è creato, in cui sono presenti o sostanza o accidenti, non possiede accidenti e ha la sostanza, in un
ordine di attribuzione e di essere relazionale, non accidentale. AGOSTINO trova nella relazione, l’ordine che descrive il
rapporto con l’altro, mantenendo l’identità della sostanza. L’essere divino è unico per il P e per
il F, non sono la stessa persona, ma la sostanza non è diversa.
ð
Se la relazione è “ad se” è sostanziale, se è “ad aliquid” (verso qualcosa) è relativa, “Se invece
il Padre fosse chiamato Padre in rapporto a se stesso e non in relazione al Figlio, e se il Figlio
fosse chiamato Figlio in rapporto a se stesso e non in relazione al Padre, l’uno sarebbe
chiamato Padre, l’altro Figlio in senso sostanziale. Ma poiché il Padre non è chiamato Padre
se non perché ha un Figlio ed il Figlio non è chiamato Figlio se non perché ha un Padre,
queste non sono denominazioni che riguardano la sostanza” Il criterio agostiniano è che i nomi
assoluti si riferiscono all’unità della sostanza divina, i nomi relativi alle singole persone.
ð
∃ ordine sostanziale e uno relazionale. AGOSTINO scardina il pensiero neoplatonico, perchè non
è più incentrato solo sulla sostanza, ma ∃ un ordine equipollente alla sostanzialità, quello
relativo. È una intuizione sconvolgente, sviluppata solo nella modernità. “ciò che si chiama
Padre e ciò che si chiama Figlio è eterno ed immutabile. Ecco perché, sebbene non sia la
stessa cosa essere Padre ed essere Figlio, tuttavia la sostanza non è diversa, perché questi
appellativi non appartengono all’ordine della sostanza, ma della relazione; relazione che non
è un accidente, perché non è mutevole”.
ð
L’errore degli ariani è stato quello di aver schematicamente applicato la logica aristotelica a
Dio, ellenizzando il cristianesimo. AGOSTINO riformula lo stesso quadro categoriale che la
cultura stessa gli ha consegnato, senza forzare la Rivelazione dentro categorie già date a priori.
Se oggi ∃ un’idea “ricca” di relazione, anche a livello antropologico, si deve ad AGOSTINO,
infatti secondo ARISTOTELE, la “relazione”, era la categoria più debole, poiché più lontana dalla
sostanza. Ad esempio, una bottiglia, per ARISTOTELE è una sostanza prima, con i suoi accidenti,
ha qualità (colore), quantità (volume), etc. Ma se la bottiglia è posta in relazione con un
bicchiere, qualsiasi sia la sua posizione relativa (dietro, davanti, di lato), la relazione tra loro
due non incide su ciò che è la bottiglia stessa. La loro “relazione”, non influisce su ciò che “è”
l’ente. AGOSTINO deduce quindi, che in Dio, ∃ attributi assoluti (eternità, bontà), che
riguardano la sostanza e attributi relativi (relazione), che non intaccano la sostanza divina, per
cui P, F e SPS sono una unica sostanza.

8.9 – Alcuni attributi si applicano a Dio in senso sostanziale, altri in senso


relativo, altri in senso figurato
Quando si attribuisce a Dio, termini che hanno significato assoluto, cioè ad se, questi hanno
significato sostanziale, ad esempio bontà, eternità. Quando invece troviamo dei termini ad aliquid
(relazione) questi vanno intesi in senso relativo. “Pertanto teniamo anzitutto ben fermo questo: tutto

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

ciò che a quella eccelsa e divina sublimità si attribuisce in senso assoluto ha significato sostanziale; ciò che si attribuisce nel senso
della relazione non concerne la sostanza, ma la relazione”. È il criterio di teologia trinitaria, un po’ astratto rispetto la teologia
Nicena. Lettera di Papa Dionigi, ∄ discorso di sapienza di P o F, la sapienza è Ad se = assoluto = sostanziale.

8.10 – Un’essenza, tre Persone


AGOSTINO recupera il linguaggio trinitario precedente, in cui inserisce il nuovo concetto di
relazione, “I Greci usano anche la parola ὑπόστᾱσις ma ignoro che differenza pongano tra οὐσία e
ὑπόστᾱσις, e la maggior parte di coloro che fra noi trattano di queste cose, in greco dicono
abitualmente: µίαν ουσίαν , τρεις ὑπόστᾱσεις in latino: unam essentiam, tres substantias”.

9 – Un’essenza, tre Persone


Non è corretto dire un’essenza tre sostanze, traducendo alla lettera dal greco “una ousia e tre
hypostasis”, ma una sostanza e tre persone, come diceva TERTULLIANO, “Ma poiché presso di noi il
linguaggio parlato ha fatto sì che la parola essenza significhi la stessa cosa che la parola sostanza,
non osiamo dire: "un’essenza, tre sostanze", ma: "un’essenza o sostanza e tre persone",
..., In effetti, poiché il Padre non è il Figlio, il Figlio non è il Padre, e lo Spirito Santo, che è anche
chiamato dono di Dio, non è né il Padre né il Figlio, sono tre evidentemente, per questo la Scrittura
dice al plurale: Io e il Padre siamo una sola cosa. Non disse infatti: "è una sola cosa", come
pretendono i Sabelliani, ma: siamo una sola cosa. Tuttavia se si chiede che cosa sono questi Tre,
dobbiamo riconoscere l’insufficienza estrema dell’umano linguaggio. Certo si risponde: "tre
persone", ma più per non restare senza dir nulla, che per esprimere quella realtà”. Ad AGOSTINO il
termine persona, non piace perché non è un termine relativo, ma lo usa perchè con TERTULLIANO è
entrato nella tradizione. Persona è un termine assoluto, che non può esprimere il termine relativo
della relazione, in quanto esprime una individualità.

11.12 - Gli attributi relativi nella Trinità


Spirito e Santo sono due termini assoluti, Dio è Spirito (Gv 4,24), come anche Santo. Lo SPS è lo
Spirito del P e del F, ma la relazione non è presente nel nome “Spirito Santo”, ma come espresso in
At 8,20 è il “dono di Dio”, il nome relativo, “Ma tuttavia lo Spirito Santo, non nel senso della
Trinità ma di una persona della Trinità, quando si chiama Spirito Santo per distinguerlo dalle altre
Persone, si intende relativamente, riferendolo al Padre e al Figlio, perché lo Spirito Santo è Spirito
del Padre e del Figlio [pneumatologia occidentale del filioque]. La relazione stessa però non
appare in questo nome, appare invece nell’appellativo dono di Dio”. Dono è un termine
reciprocamente relativo, tra il donatore e colui che riceve il dono. Lo SPS è l’ineffabile vincolo di
comunione tra il P e il F, è l’intimo di Dio, “Così quando diciamo: "dono del donatore", e:
"donatore del dono", usiamo l’una e l’altra espressione in senso reciprocamente relativo. Lo
Spirito Santo è dunque una specie di ineffabile comunione tra il Padre ed il Figlio, e forse è
chiamato così proprio perché questa stessa denominazione può convenire al Padre e al Figlio.
Infatti per lui è nome proprio quello che per gli altri è nome comune, perché anche il Padre è
spirito, e spirito è anche il Figlio, anche il Padre è santo e santo anche il Figlio. Affinché dunque
una denominazione, che conviene ad ambedue, indichi la loro reciproca comunione, si chiama
Spirito Santo il dono di entrambi [grande intuizione del filioque]”.

Libro VII
AGOSTINO affronta il rapporto tra P e F nei libri V, Vi e termina nel VII.

1.2 – Il F è sapienza da sapienza come luce da luce


“non resta altra alternativa che anche per la sua essenza il F si dica relativamente al P e si giunga
così a questo senso del tutto inaspettato che l’essenza non è essenza o almeno che quando si parla
di essenza è la relazione e non l’essenza che si designa”. L’essenza divina non è intesa in senso
contrapposto alla relazione, perchè c’è una reale identità tra essere e relazione in Dio. Parlando di

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

essenza, si designa conseguentemente la relazione, ma a questo punto si ferma, poiché entra in un


ginepraio. Perchè se l’essenza stessa si prende in senso relativo, si identifica con la relazione, quindi
la stessa essenza non è più essenza. Agostino lascia ai posteri qualcosa su cui riflettere.

Libro VIII
AGOSTINO vuol far fare al lettore “esperienza” della Trinità. Il suo ragionamento incomincia dalla
creazione, in cui cerca i segni del Creatore. Nel I libro afferma che per indagare il volto di Dio
occorre percorrere la vita della carità. Per AGOSTINO sono la carità e l’amore i luoghi nei quali è
possibile fare esperienza di Dio. Per cui volendo trovare una esperienza umana che avvicini a Dio,
deve indagare cosa sia il vero amore. Terminologicamente usa prima dilectio e poi caritas, mai
amor, perché è la carità il vero amore, il resto è concupiscenza. Per giungere al vero amore quindi, è
necessario eliminare ciò che è concupiscenza, la dimensione peccaminosa ed egoistica dell’amore.
Il vero amore è Αγάπη, agape, un amore oblativo, di donazione.

7.10 – Cercare Dio interiormente


AGOSTINO individua l’ambito in cui fare esperienza della Trinità (Experientia fidei), è la carità,
l’amore dove poter fare esperienza di Dio. Il vero amore, non ha aspetto egoistico (concupiscenza),
non ricerca un contraccambio, o gratificazione di se stesso, “Perciò in questa questione sulla Trinità
e la conoscenza di Dio dobbiamo principalmente indagare che cosa sia il vero amore, o meglio, che
cosa sia l’amore, perché non c’è amore degno di tal nome che quello vero: il resto è
concupiscenza”. Dio è amore (1 Gv 4,8), via eros (desiderio), resta agape (oblatività), via cupiditas
(gratificazione), resta caritas (gratuità).

7.11 – Cercare Dio interiormente


L’amore è il luogo nel quale noi possiamo di più avvicinarci a Dio è inutile andare a disperderci
nelle analogie delle cose create, ma occorre andare direttamente al centro dirigendoci non verso
queste tracce creaturali, ma dentro di noi, “perché andar correndo nel più alto dei cieli o nel più
profondo della terra alla ricerca di colui che è presso di noi se noi vogliamo stare presso di lui”.

8.12 - Chi ama il fratello è nato da Dio e lo conosce


AGOSTINO si chiede:
1. Cosa amare? “Nessuno dica: "non so che cosa amare". Ami il fratello ed amerà l’amore
stesso. Infatti conosce meglio l’amore con cui ama che il fratello che ama. Ed ecco che
allora Dio gli sarà più noto che il fratello; molto meglio noto, perché più presente; più noto
perché più interiore; più noto perché più certo. Abbraccia il Dio amore e abbraccia Dio con
l’amore”. Ami Dio per amare il fratello.
2. La carità mi fa vedere la Trinità? “Dio è carità, e chi dimora nella carità, dimora in Dio.
Ma quando vedo la carità, non vedo in essa la Trinità". Ebbene, sì, tu vedi la Trinità, se vedi
la carità. Mi sforzerò, se lo posso, di farti vedere che la vedi: soltanto che la Trinità ci
assista affinché la carità ci muova verso qualche bene. Quando infatti amiamo la carità, la
amiamo come amante qualcosa, per il fatto stesso che la carità ama qualcosa”. Carità =
Trinità. In primo luogo, la carità stessa implica sempre l’amore per qualcosa / qualcuno che
diventa l’oggetto dell’amore. Non può essere un amore fine a se stesso, perchè la carità è un
movimento estatico che va verso l’esterno, verso l’altro, è carità solo se amo il mio
prossimo.
3. Cosa è l’amore fraterno. “Osserviamo quanto l’apostolo Giovanni ci raccomanda l’amore
fraterno: Colui che ama il suo fratello, egli dice, dimora nella luce, e nessuno scandalo è in
lui. È chiaro che egli ha posto la perfezione della giustizia nell’amore del fratello; perché
colui nel quale non c’è scandalo è perfetto. E tuttavia sembra aver taciuto dell’amore di
Dio, cosa che non avrebbe mai fatto se nello stesso amore fraterno non sottintendesse Dio.
Poco dopo infatti, nella stessa Epistola, dice in modo chiarissimo: Carissimi, amiamoci
vicendevolmente perché l’amore viene da Dio; colui che ama è nato da Dio, e conosce Dio.

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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. L’amore fraterno è Dio stesso,
sperimentando questo amore, sperimento Dio. Riprende 1Gv 2,10 “colui che ama suo
fratello dimora nella luce e nessuno scandalo è in lui” e 1Gv 4,7-8 “carissimi, amiamoci
vicendevolmente perché l’amore viene da Dio, colui che ama è nato da Dio e conosce Dio,
chi non ama non ha conosciuto Dio perché Dio è amore”. L’amore fraterno, vicendevole,
senza concupiscenza, non solo viene da Dio ma è Dio stesso, per ciò che nella carità è
possibile fare esperienza di Dio, un Dio trinitario.
AGOSTINO non crea una contrapposizione tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, ma li unifica.
L’amore per il fratello è il luogo in cui fare esperienza di Dio, perchè sperimento un amore che mi
trascende.

10.14 – La Trinità nell’amore


Cosa è l’amore? “Che è dunque l’amore o carità, tanto lodato e celebrato dalle divine Scritture, se
non l’amore del bene? Ma l’amore suppone uno che ama e con l’amore si ama qualcosa. Ecco tre
cose: colui che ama, ciò che è amato, e l’amore stesso”. L’amore suppone:
v
Chi ama. L’amante (P).
v
Chi è amato. L’amato (F).
v
La relazione. L’amore che unisce (SPS).
L’amore ha una dimensione triadica (→ Condilectus, RICCARDO DI SAN VITTORE), ÷ in 3 gradi:
1. Dimensione carnale. (Eros), fisica (Bios).
2. L’amicizia. (Phyleo), dove l’amico ama l’anima (Psyché), La Φιλία, philia, supera l’amore
coniugale che contempla sempre la dimensione della carne, è esclusivamente spirituale.
3. L’amore di Dio. (Agape – Caritas). È oltre il piano spirituale (Pneuma), avvicinandosi alla
fonte più pura, più cristallina, alla Trinità. Sperimentare la carità fa fare esperienza della
Trinità, perchè in Dio – carità, vi è presente la dimensione triadica dell’amore, “amante,
amato e amore”.
A tutti i livelli c’è una dimensione triadica, “È così anche negli amori più bassi e carnali, ma per
attingere ad una fonte più pura e cristallina, calpestiamo con i piedi la carne ed eleviamoci fino
all’anima [dimensione neoplatonica, dualismo corpo – anima]. Che ama l’anima in un amico, se
non l’anima? Anche qui dunque ci sono tre cose: colui che ama, ciò che è amato, e l’amore”.
AGOSTINO è arrivato quasi alla vetta, così fa una pausa, non perché ha trovato quello che cerca, ma
perchè ha trovato il luogo in cui cercarlo e trovarlo, “Ma riposiamo per il momento un po’ la nostra
attenzione, non perché essa ritenga di aver trovato già ciò che cerca, ma come si riposa di solito
colui che ha trovato il luogo in cui deve cercare qualche cosa; non l’ha ancora trovata, ma ha
trovato dove cercarla”.

Libri IX – XIV
Agostino incomincia a trattare le celeberrime analogie o similitudini psicologiche della trinità.
Nello spirito umano, esistono strutture triadiche che, nell’uomo, creato ad immagine e somiglianza
di Dio, ci conducono alla conoscenza, come in uno specchio, della Trinità. Ad esempio “mens,
notitia, amor – memoria, intelletto e volontà”. Se l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di
Dio e nell’uomo sono presenti queste strutture triadiche, tali strutture per analogia, ci permettono di
indagare chi sia Dio – Trinità. La dimensione antropologica nel De Trinitate è molto forte, a livello
filosofico, vi è grande attenzione del soggetto umano, del suo spirito.

Libro XV
È una sintesi di tutto il cammino di AGOSTINO, in cui spiega perchè ha abbandonato nel libro VIII a
sua ricerca della carità, iniziando il discorso delle analogie. Nel libro VIII si era cominciata ad
intravedere la Trinità, perché ci si era rivolti allo spirito umano senza andar fuori di noi stessi in
quanto quello era il luogo dove era più facile sperimentare Dio, tuttavia ancora non ci appariva la
Trinità. Giunti al discorso “amante, amato, amore”, tutto si fa più chiaro. Ma quella luce ineffabile,
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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

che aveva accennato nel I libro, abbaglia il nostro sguardo e avvertendo la debolezza del nostro
spirito, il quale non può ancora raggiungerla. AGOSTINO utilizza gli stessi termini del libro VII delle
Confessioni, in cui descrive la sua prima esperienza di Dio. quindi tutto il discorso sull’amore, ci è
presentato non tanto come una sua speculazione quanto come il frutto di una esperienza vissuta.
L’amante, amato amore è qualcosa che lo abbaglia, facendolo sentire debole, il riposiamoci un po’
del libro VIII, è il frutto di una esperienza spirituale che ha evidenziato tutta la sua debolezza
umana. Così, egli inserisce un cambiamento di percorso tra ciò che aveva cominciato a dire e
quanto detto in concreto, rivolto allo spirito dell’uomo, fatto ad immagine di Dio, un oggetto di
studio a lui più familiare, indagando come il suo spirito sia costituito, senza puntare lo sguardo
direttamente verso Dio. Quindi questa digressione sulle analogie, è causata dalla insostenibilità
dell’esperienza compiuta di Dio, rivolgendosi allo spirito umano, per cercare nelle perfezioni delle
cose create, le perfezioni invisibili di Dio. La strada dell’agape, della caritas, pone al centro la
dimensione inter-soggettiva dell’amore, perché quest’ultimo implica una relazione tra soggetti
diversi, dal libro IX in avanti, rivolgendosi allo spirito, fa un esame intra-soggettivo, cioè una
introspezione dentro uomo, nel suo spirito, sottolineando l’unità, “memoria, intelletto e volontà”,
sono le tre dimensioni del soggetto umano.

6.10 – Le analogie trinitarie nell’uomo


Giunto alla carità, ha tentato di chiarire che cos’è la Trinità, “Se infatti cerchiamo di ricordarci in
quale momento, nel corso di questi libri, la nostra intelligenza ha cominciato ad intravedere la
Trinità, troviamo che fu nel libro ottavo [centralità del libro VIII], Ma quando si giunse alla carità,
che è stata chiamata Dio nelle Sacre Scritture, il mistero si chiarì un poco con la trinità
dell’amante, dell’amato e dell’amore. Ma, poiché quella luce ineffabile [analogia col VII libro delle
Confessioni] abbagliava il nostro sguardo e poiché avvertivamo che la debolezza [∼ infirmitas nel
VII libro delle Confessioni, dove coglie l’Ego sum qui sum (Es 3,14), questa luce è l’essere divino
non c’è un rimando trinitario. Invece in questo libro XV, luce = essere divino = agape (1Gv 4,7-8) =
Trinità (amante, amato, amore)] del nostro spirito non poteva ancora raggiungerla, inserendo una
digressione [la pausa delle analogie psicologiche] tra ciò che avevamo iniziato a dire e ciò che
avevamo deciso di dire, ci siamo rivolti al nostro spirito, secondo il quale l’uomo è stato fatto ad
immagine di Dio, trovandovi un oggetto di studio più a noi familiare, per riposare la nostra
attenzione affaticata [libro VIII] e così ci siamo soffermati dal libro IX al libro XII sulla creatura
che siamo noi per poter, attraverso le cose create, vedere con l’intelligenza le perfezioni invisibili
di Dio. Ed ecco che ora, dopo aver esercitato la nostra intelligenza nelle cose inferiori, quanto era
necessario o forse più di quanto fosse necessario [exercitatio animi, 6 libri], vogliamo elevarci alla
contemplazione di quella suprema Trinità che è Dio e non ne siamo capaci”. La luce ineffabile che
abbagliava lo sguardo, che faceva avvertire la debolezza dello Spirito è l’intuizione della trinità
nell’amore. Luce = agape, attraverso questa luce egli sperimenta l’incapacità di sostenere lo
sguardo, da qui la stanchezza del libro VIII, la debolezza dello Spirito. Per cui AGOSTINO inizia la
digressione sulle analogie, che è causata dalla insostenibilità dell’esperienza compiuta di Dio, per
cui si rivolge a qualcosa di più vicino a se stesso, lo spirito umano, per cercare nelle perfezioni delle
cose create, le perfezioni invisibili di Dio. “Ed ecco che ora, dopo aver esercitato la nostra
intelligenza nelle cose inferiori, quanto era necessario o forse più di quanto fosse necessario,
vogliamo elevarci alla contemplazione di quella suprema Trinità che è Dio e non ne siamo capaci”.
AGOSTINO si dichiara incapace di riprendere il discorso sull’analogia Caritatis, senza fornire però la
risposta di questa sua incapacità.

28.51 – Conclusione e preghiera finale


“Signore nostro Dio, crediamo in te, Padre e Figlio e Spirito Santo. Perché la Verità non avrebbe
detto: Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, se Tu
non fossi Trinità. Né avresti ordinato, Signore Dio, che fossimo battezzati nel nome di chi non fosse
Signore Dio. E una voce divina non avrebbe detto: Ascolta Israele: Il Signore Dio tuo è un Dio
Unico, se Tu non fossi Trinità in tal modo da essere un solo Signore e Dio, ... , Dirigendo la mia
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Dogmatica I – Il mistero di Dio Prof. R. Ferri

attenzione verso questa regola di fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di
potere, ti ho cercato ed ho desiderato di vedere con l’intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto
disputato e molto faticato. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa’ sì che non cessi
di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre la tua faccia con ardore. Dammi Tu la forza di
cercare, Tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una
conoscenza sempre più perfetta. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella,
guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto, ricevimi
quando entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che comprenda te,
che ami te, ... , Parlando di Te un sapiente nel suo libro, che si chiama Ecclesiastico, ha detto:
Molto potremmo dire senza giungere alla meta, la somma di tutte le parole è: Lui è tutto. Quando
dunque arriveremo alla tua presenza, cesseranno queste molte parole che diciamo senza giungere a
Te; Tu resterai, solo, tutto in tutti, e senza fine diremo una sola parola, lodandoti in un solo slancio
e divenuti anche noi una sola cosa in Te. Signore, unico Dio, Dio Trinità, sappiano essere
riconoscenti anche i tuoi per tutto ciò che è tuo di quanto ho scritto in questi libri. Se in essi c’è del
mio, siimi indulgente Tu e lo siano i tuoi. Amen”.

Conclusione
AGOSTINO ci consegna, due tracce di ricerca:
1. È possibile elevarsi alla contemplazione della Trinità che è Dio, anche senza esserne capaci.
2. L’Indagine sullo spirito umano. Le analogie psicologiche.
VON BALTHASAR, da una risposta plausibile, circa l’incapacità di AGOSTINO nel completare la sua
ricerca. Gli mancavano le categorie concettuali per poter sviluppare questa intuizione. La metafisica
neoplatonica in suo possesso, era priva delle categorie che gli sarebbero occorse, poiché era una
metafisica non dialogica, non inter-soggettiva ma intra-soggettiva, fondata sul soggetto umano.
AGOSTINO, era privo delle categorie che gli avrebbero permesso di sviluppare una speculazione
razionale adatta all’intuizione avuta, per cui è stato costretto a fermarsi, non potendo ex novo,
inventare una visione dell’essere ed una serie di concetti, che non erano a sua disposizione. Si
rivolge quindi allo spirito umano, perché li possedeva gli strumenti concettuali adatti per poter
approfondirne la realtà e cercare le analogie della immagine di Dio. Sviluppa così il discorso sulla
carità non più a livello immanente ma economico e nell’ultima parte del libro XV si occupa dello
SPS, in quanto è il vincolo di unione tra le persone del P e del F e che, è diffuso nel cuore dei
credenti in modo da unirli, per mezzo del F, al P. Il luogo dove fare esperienza di Dio è quello della
carità, luogo che non riesce ad approfondire e così prende la via dello spirito umano per vedere in
esso, il riverbero, dell’immagine di Dio.

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