Appunti Trinita Esonero
Appunti Trinita Esonero
INTRODUZIONE
1. IL SIGNIFICATO E IL LUOGO TEOLOGICO DELLA FEDE IN DIO
TRINITÀ
Il corso vuole essere praticamente un commento al credo. La nostra fede è trinitaria.
Gesù non dice di battezzare nei nomi, ma nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito
Santo. Non sono tre dei, ma uno. Un’unità nella distinzione delle tre persone.
Siamo allora al nucleo centrale e fondativo della nostra fede. Indica anche il verso dove,
il futuro della nostra vita. Verso dove siamo diretti? La Trinità. L’essere con Cristo nel
seno del Padre, nell’unità dello SS.
Si partirà dalla rivelazione, vedendo come Lui si è rivelato, poi come si è compreso nella
chiesa. Infine vedremo come oggi la ricerca interseca le domande moderne.
Questo studio sarà teologico ma non esclude il fatto che anche altri studino Trinità
(filosofia, scienza, fisica…)
Se chiedi alla gente quali sono le verità fondamentali del Cristianesimo troverai i dubbi.
Quasi nessuno dirà come verità fondamentale la Trinità.
—> Il primo assetto: Dio è uno e uno solo —> monoteismo (da disambiguare) (oggi il
monoteismo non è più pacifico. Occhio che il monoteismo cristiano è diverso da islam e
ebraismo)
—> Il secondo assetto: Il nostro Dio è Unico e che come tale è Padre, Figlio e SS (non è
che prima è uno e poi si divide. L’essere Trinità non viene dopo ma connota l’unità. Il
monoteismo nostro allora è totalmente diverso da Islam e Ebraismo) (la distinzione non viene
dopo l’Unità).
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Non si può usare il termine monoteismo con ingenuità, pensando che dire un solo Dio sia
una cosa uguale per tutti. Non è indifferente come intendi il termine monoteista. Coda
passa in rassegna tre distinte discipline in cui vi è il monoteismo:
- storia delle religioni,
- filosofia,
- rivelazione ebraica
Fin dagli albori, non è mai mancata nella storia sociale umana, un riferimento al sacro. La
religione è un fenomeno umano. Ogni cultura ha tematizzato in una forma un rapporto
con un essere trascendente. Nella storia delle religioni del ‘600 si conia il termine
“monoteismo” per opporre a “politeismo” (in realtà il contrario di poli è enoteismo, che
vuol dire uno, mentre si dice “mono”, che significa uno e uno solo).
Coda pone in rassegna le tendenze.
La prima prospettiva dentro la storia delle religioni, ha seguito la teoria darwiniana.
L’evoluzionismo fa passare dalle specie inferiori a superiori, e tale logica si è passata nella
religioni.
Questa teoria si scontra col fatto di dare lettura ideologica hegeliana e di non riconoscere il
coesistere di forme diverse.
Un’altra lettura dice che il monoteismo non sarebbe l’arrivo della religione, ma piuttosto
all’inizio e passerebbe per la degradazione. All’inizio di ogni religione ci sarebbe un
logos/archè, che non è stato mantenuto nella purezza.
Oltre tali due posizioni, si riconosce che ciò che ha dato inizio alle tradizioni monoteiste è
sempre stata un’irruzione del divino nella storia che si rivela ad un popolo. Quindi in
realtà la questione non è solo umana.
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personale. Manca poi la distinzione chiara di Dio dal mondo. Il concetto di creazione poi è
nuovo del cristianesimo. La materia per i greci è eterna. Solo la creazione Permette di
capire la differenza tra dio e mondo.
I greci non arrivano al monoteismo allora perché Dio non è soggetto.
È rivelata la questione. Abramo è ritenuto il padre di tutte e tre le grandi religioni. L’evento
imprevedibile della rivelazione di Dio ad Abramo inaugura un evento nuovo. Il monoteismo
biblico si afferma e manifesta nella storia e dentro la storia. Dio si rivela gradualmente
come unico Dio nella vicenda storica di Abramo e dei patriarchi. Non sono verità
estrinseche da me da sapere, ma è dentro la storia dei patriarchi e poi mia. La storicità
entra in modo intrinseco nel monoteismo. Il monoteismo non è una teoria perché non
rimane ferma indipendentemente dalla storia di chi incontra Dio.
Caratteristiche del monoteismo rivelato:
- Dio instaura un dialogo, parla ad Abramo
- alterità di Dio rispetto al mondo. È trascendente. Non è creatura;
- gratuita prossimità all’uomo e al mondo. È trascendenza ma si prende cura. È altro ma è
prossimo;
- signoria universale su mondo e storia e nella creazione;
- nullità degli altri dei. (La consapevolezza monoteista matura piano piano)
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bistecca, ma il cibo adeguato alla sua capacità di nutrirsi. Se avesse
detto ad Abramo di amare per i nemici e pregare per i carnefici,
sarebbe stato incomprensibile.
“Io sono colui che sono” Esodo 3, 14.
In N.T. l’io sono, si dischiude come un fiore nell’io sono di Gesù. Gesù
dice io e il Padre siamo uno. Gesù tante volte dice “io sono… la vite,
la luce….”, e la gente si scandalizza del fatto che dice di sè “io sono”.
Dicono che bestemmia perché pretende di avere la stessa identità
personale di Dio.
Io (identità) e il Padre (alterità) siamo uno (unità). Unità e alterità
assieme.
Gesù non riafferma solo il monoteismo dei padri, ma introduce
l’interiorità della vita di Dio. Rimane il monoteismo, ma si apre dal
suo interno nella forma trinitaria.
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Dio).
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Si perde il fatto che la Trinità rinnova il concetto di monoteismo di cui dicevamo prima. È
una scissione dolorosa. Come se la scrittura non potesse dire nulla sulla ragione. Questa era
la divisione fino al CVII.
La distinzione tra de deo uno e de deo trino secondo la tradizione l’avrebbe fatta Tommaso.
Lo trovavano nella summa teologiae… noi sfateremo il mito quando si arriva a Tommaso.
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La manualistica divisa crolla dopo il CVII.
Uno dei grandi a fare questo è Rahner. Lui ha proposto “assioma fondamentale”, ovvero
l’affermazione fondamentale che va fatta per fare in modo serio teologia trinitaria. Questo è
un punto di non-ritorno per la teologia. Tutti gli autori del tempo hanno fatto una recensione a
questa dichiarazione. Rahner scoperchia il vaso di Pandora e rompe coi due trattati, facendo
crollare un’impostazione che andava avanti da secoli.
Qual è l’assioma fondamentale?
“La Trinità economica è la Trinità immanente, e viceversa”
Economico è letteralmente il modo in cui si dispone la propria casa e le proprie cose. Noi
parliamo di economia della salvezza quando intendiamo il modo in cui la Trinità ha
disposto le cose nella sua casa (mondo) e le ha portate avanti in vista dell’Alleanza. (È la
storia della salvezza. La trinità per come si mostra nella storia).
Immanente è ciò che è stabile, in sè, Dio al di là della sua relazione con il mondo.
Rahner dice che la trinità economica è quella immanente intendendo che la Trinità si è
fatta conoscere per com’è e che non si è fatta conoscere diversamente da ciò che è in sè.
Dio ha comunicato la verità di ciò che lui è in sè. Rahner aggiunge poi “VICEVERSA”. Dire
che la trinità immanente è quella economica ha scatenato molto critiche.
Preso alla lettera la formulazione manda all’aria la formulazione su Dio dei trattati classica (
de deo uno, de deo trino). Prima l’essenza era diversa dal rivelarsi. Il Dio immanente era
filosofia, mentre il dio economico era solo nella storia della salvezza. Rahner dice che il
Padre Figlio e SS non è diverso da ciò che Dio è in sè. Non si dice a noi in un modo ma poi in
sè è altro.
Sul viceversa anche noi abbiamo dei dubbi.
La genesi è l’irrilevanza pratica e teorica della Trinità nel vissuto cristiano e poi la
separazione tra l’aspetto soteriologico e quello rivelativo. La Pasqua era vista come evento
salvifico e non come evento in cui Dio si rivela. Non si disgiunge l’aspetto economico da
quello immanente. Da quello che Dio fa si capisce chi è. Rahner fa poi due esempi di due
tesi teologiche fino ad allora prese in modo pacifico. Sono punto A e punto B.
A) La questione dell’incarnazione
si enuncia solo. A pag 92-93.
Fino a pochi decenni fa nella teologia cattolica era data per pacifica
una tesi teologica anche se non c’era un pronunciamento del
magistero. Era tesi di Tommaso data poi per sicura. Si diceva che
“qualsiasi delle tre persone divine avrebbe potuto incarnarsi”. Di
diritto potevano incarnarsi anche le altre due anche se di fatto lo ha
fatto uno. È una tesi che dal 1200 al 1960 ritenuta vera è falsa. Se il
Figlio si incarna dice qualcosa di Dio, e che la differenza personale
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si palesa nel modo di agire. Se si incarna la II persona del Figlio, ci
dice qualcosa dell’esistenza eterna del Figlio. Le creature hanno la
postura del figlio perché si ricevono nel tempo, come il figlio che si
riceve da sempre. Nell’incarnarsi chi si incarna? Chi attraverso cui
tutto è creato.
A) Le critiche al “viceversa”
Le critiche più feroci sono state sul viceversa. Mentre si deve dire che
la trinità economica è quella immanente non si può dire il contrario.
Ovviamente ciò che noi possiamo conoscere di giusto di Lui perché
Lui c’è l’ha rivelato non può essere tutto ciò che Dio è in sè. La
nostra conoscenza vera è finita ma Lui è infinito.
È sempre metodologico e porta un’altro grande fulcro teologico: la messa a tema dell’evento
pasquale come auto-comunicazione di Dio.
Si dice evento e non mistero. Dice storicità. È atto escatologico, definitivo, totale della
comunicazione di sè di Dio.
Mettere al centro la Pasqua come nucleo dal quale tutto parte ha diverse motivaizioni.
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3.3.1 Le ragioni e le figure
Le cause che hanno spinto il rinnovamento.
- attenzione allo svolgersi effettivo e concreto dello svolgersi della storia della rivelazione.
La Storia ha valore nella rivelazione
- non solo la storia della rivelazione ma soprattutto la storia di Gesù. Grade spessore qui.
- il significato rivelativo della passione e morte e non solo soteriologico.
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PARTE BIBLICA
(Primo Testamento)
3. JHWH, IL DIO UNICO VIVO E VERO (questo super
importante)
3.1 Un sintetico sguardo diacronico
Diacronico vuol dire guardare un fenomeno nel tempo passo per passo. Sintetico è uno
sguardo che tiene per tutto per trovarne le categorie…
Coda dice un sintetico sguardo diacronico. Il monoteismo non è avvenuta di colpo.
Israele è arrivato progressivamente alla fede nel Dio unico.
Ci sono 4 grandi epoche nelle quali matura progressivamente il monoteismo
ebraico.
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del monoteismo assoluto?
Nella mentalità antica tutto ciò che accade è riferito sempre come causa prima
al divino e non esistono le cause seconde. (Es. in guerra vince chi ha le divinità
più forti). Si pensa… Adonai è più forte degli dei egiziani ma meno di quelli
babilonesi. È uno scacco religioso. Nella deportazione sorge il nucleo del
profetismo che dicono che si è andati in esilio non perché Adonai sia debole ma
perché il popolo era stato infedele e aveva peccato. Sono stati adulteri.
Allontanarsi da Dio significa avvicinarsi alla morte.
E perché è così?
Perché gli dei degli altri non esistono, e quindi non si può dire che gli dei degli
altri sono più forti, ma che allora era il popolo che era stato infedele.
Da qui si scrive Esodo e Genesi (si tramandava ma ora scrivono) (se Dio è a origine
del mondo è uno)
Dopo Esodo, e l’indicazione del nome questa denominazione cadrà. (Il grido di Gesù di
abbandono… non dice Adonai, ma dice Eli, usa il nome generico di Dio… c’è l’esperienza
di ogni uomo lì, e non solo dei giudeo-cristiani.
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- È un dio che promette, che si impegna per il futuro di Abramo e della discendenza.
Promette discendenza e terra ma promette anche di essere sempre con lui. (Noi
abbiamo in testa un dio che chiede, mentre nell’esperienza dei Patriarchi c’è una
promessa… anche se chiede di andare)
- Il Dio di Abramo rimane misterioso nella storia. C’è e agisce, si fa molto vicino, ma non
è uno come te e rimane trascendente. Conserva tutta l’alterità di fronte al mondo.
- la realtà più significativa è il fatto che si rivela come persona. Si rivela come un
soggetto capace di volontà, passione e amore, al pari di un “io”. Si mostra amico
dell’uomo. È il Dio di Abramo Isacco e Giacobbe. È amico personale nostro.
- il rapporto personale con Abramo si apre ai molti. La prossimità ad Abramo deve
diventare luce per illuminare le genti. Israele è un popolo scelto per dare dio a tutti.
Questo Israele non lo ha mai mandato giù. Non ha mai avuto missionari. È un dio che
vuole darsi a tutti, effusivo e chiederebbe agli ebrei di mediare.
- la risposta adeguata al mostrarsi e al rivelarsi di Dio ad Abramo è la fede. Dio fa
molto per te e a te chiede la fede. Senza il “si” di Abramo, l’alleanza rimane potenzialità.
La rivelazione è piena quando è colta. Se non è colta non è rivelazione. Se nessuno
ascolta non c’è alcuna rivelazione. (La fede non è il tributo da pagare ma ciò che l’uomo
deve fare perché si dia il rapporto)
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la rivelazione del nome di Dio da questo contesto vitale espereienziale e drammatico. Non
è una lezione di metafisica. É dramma.
Per parlare a Mosè Dio gli chiede di togliere i calzari. Mosè si avvicina vedendo un
roveto che non brucia ed è incuriosito. C’è una condizione necessaria per ascoltare
qualcosa di Dio. Non ci si avvicina a Dio come ad uno spettacolo interessante e da
decodificare, ma ci toglie i sandali, cioè togliere ciò che difende da un cammino che
chiede di esporsi. È l’atteggiamento di chi sa che il luogo in cui cammina e santo e
non può calpestarlo.
Riconosci la grazia in cui sei, non è uno spettacolo o qualcosa da possedere.
A Mosè, Dio appare nell’angelo, nella fiamma del roveto e nella parola rivolta a a
Mosè.
L’angelo del Signore è una locuzione che appare spesso in A.T.. è una locuzione per dire
il Signore. Per rispetto alla trascendenza di Dio si dice “angelo del Signore”.
Il simbolo del fuoco è simbolo della santità di Dio. Il Signore è un fuoco divoratore. Se dai
fuoco a qualcosa divora, mentre questo divora ma non consuma. Il contatto con Dio fa
ardere ma non brucia.
È un fuoco che parla dopo che si è fatto vedere in un segno, ma dopo che Lui ha udito.
—————
Mosè ha 5 obiezioni:
- chi sono io per andare davanti al faraone?
(Problemi su sè. Mosè è un assassino scappato che è wanted. É uno che nonna radici, che
non ha pace, che si sente un apolide, un senza casa)
- chi sei tu?
(Incerto sono io, ma qual è il tuo nome… il primo problema è l’io, ma poi dio)
- essi non mi crederanno!
(Obiezione su sè, poi Dio, poi altri). Se non crederanno non vale la pena.
- non posso parlare
(era balbuziente, incapace di fare l’oratore, e il Signore gli risponde consegnandogli un
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fratello, Aronne, che parli per lui) (“il fratello per me sarà bocca e il fratello per me sarà
dio, potenza efficace di Dio accanto a me”)
- ti prego, manda un altro
(Il Signore dice “no, voglio te”. Il Signore vuole operare la salvezza con uno strumento
inadatto).
Questo è il contesto.
La rivelazione del nome vuol essere sia etimologica che teologica. Il nome di Dio,
“JHWH” (eie) è legato al verbo “AIA” che è essere, simile al verbo “HAIA” che
significa vivere, esistere, mostrarsi, operare. “EIE” mettere insieme vivere ed essere.
Per gli ebrei qualcosa è perché è vivo. Che qualcuno “è” vuol dire che è vivo e si
mostra, non ci sono le categorie metafisica. “Io sono” significa io sono vivo, mi
mostro, opero.
Sembra allora che JHWH si da tradurre con “egli è”… è un Dio che è all’opera ed è sceso
per liberare. Egli è vivo è presente e si mostra efficace.
“Io sono colui che io sono” diventa “egli è” quando di lui si parla in terza persona.
Nella fase più antica gli ebrei dicevano il nome ma nella fase maccabaica per
rispetto smettono di dire JHWH e iniziano a leggere Adonai.
La Bibbia dei ’70 usa il termine greco Kyryos.
L’ebraico antico non ha le vocali. Il fatto che per tanto tempo non si è detto ha portato a
non sapere più come fosse da pronunciare. I masoreti hanno preso le vocali di Adonai e
lo hanno messo su JHWH e se ne esce Geova. Ma i masoreti non sapevano come
pronunciare. La pronuncia autentica con tutta probabilità è quella conservata dai
samaritani e in altre zone antiche ed è JhWh.
Benedetto XVI dice che i cristiani mai hanno usato il nome JHWH per riferirsi a Dio.
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“Io sono colui che io sono” può avere valenza metafisica? Certo! Dio
chiaramente è l’essere perfetto in sè e non ha bisogno d’altri, ma questo non è
quello che Dio voleva dire a Mosè. Dio non fa metafisica a Mosè, ma dice di
essere vicino a lui, di essergli prossimo e di essere liberatore.
B. La semantica originaria
La semantica originaria evidenzia l’efficace prossimità di Dio come colui che
vuole liberare Israele e chiede fedeltà e amore. Dio rimane misterioso, ma dice
di voler liberare. In tale contesto di voluta relazione si da il nome.
Il nome andrebbe tradotto “io sono colui che è qui con voi e per voi”. Dire sono,
verbo essere dice l’essere vivo e attivo.
Adonai è colui che siede nell’alto ma al tempo stesso piega i cieli e scende per
portarlo dove scorre latte e miele.
Dio si rivela nel liberare. Questo ti mostra la verità del mio nome.
Il verbo essere è all’imperfetto dovrebbe essere tradotto come “sono colui che
era, è e sarà con voi e per voi”.
Il suo intervenire a tuo favore è stato, lo sono adesso e lo sarò anche nel futuro.
Che Adonai ti sia vicino non vuol dire che perda la sua trascendenza però. C’è un
soggetto “io sono” ed un predicato “io sono”. Io sono colui che io sono rimane
sempre un po’ misterioso. Questo è il movimento del primo testamento: Dio si
svela ma la sua rivelazione è sempre un nuovo velamento. La conoscenza si da,
ma non esaurisce mai il mistero. Mentre ti avvicina ti mostra il suo mistero.
Dio consegna il suo nome perché il popolo si rivolga a lui diversamente dalle
altre divinità. È un nome che è un dono. Se il nome è io ti salvo, è un nome
ricco di prossimità, storia e relazione. Questo dono non si trova in “el” o in
“eloim”. Dio si rende nominabile quando in genesi invece aveva dato la
possibilità all’uomo di dare il nome alle cose.
Dio vuole farsi chiamare per nome dalla sua creatura.
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3.4.5 Conseguenze antropologiche e sociali
Studiamo noi.
All’assolutezza a Dio consegue anche l’assolutezza al prossimo. La misericordia che ti è stata
usata per liberarti usala per il fratello.
Glia attributi sono le proprietà più proprie di Dio nel suo agire salvifico. Dio quando opera si
fa vedere così. Gli appellativi invece intendono dire chi sia.
L’endiadi è una figura retorica quando si mettono insieme due appellativi che si
illuminano uno con l’altro.
Dio è santo è misericordioso. Sono due polarità diverse ma non devono mai essere staccate.
“Santo” (kadosh) in ebraico vuol dire “separato da” (la tribù di Levi, non ha preso terra, ma
è stato preso, e separato per il culto). Santità è separare una cosa dal resto per dirne
l’eccellenza.
Dio è per eccellenza santo, è separato, è trascendente. Non è il tuo amichetto.
DA sola questa caratteristica fa pensare ad un Dio lontano. Allora Dio è anche
misericordioso. “Esed” e “rachamin” (il primo maschile e il secondo femminile —>
l’amore di Dio è maschile e femminile). Dio ha esed, ovvero amore di benevolenza,
l’atteggiamento di voler fare bene a qualcuno ed essere fedele. Anche se tu mancherai
rimango fedele. È la virilità/solidità del voler bene. Rachamin dice le viscere della donna
ovvero la parte disposta all’accogliere la vita.
Esed e rachamin dicono vicinanza e prossimità.
Dio è santo e misericordioso. Proprio perché non è come te può essere così misericordioso.
Gli uomini quando vengono traditi spesso non rimangono fedeli.
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per andare incontro al popolo. Il capitolo finisce con Dio che dice che non verrà con ira
davanti all’ingratitudine perché è Dio e non uomo.
Nel Primo testamento la caratteristica del padre è centrale, ma a volte gli vengono dati
caratteri anche femminili.
È una metafora più tardiva rispetto alla prima. È metafora anche questa. Si sviluppa
nell’esilio e post-esilio. I profeti dicono al popolo che non è vero che dio è debole, ma
che hanno tradito l’alleanza. L’alleanza umana più profonda è il matrimonio. I due
diventano una carne sola. I profeti prendono il matrimonio e ne fanno metafora per
dire che rapporto vuole Adonai col popolo. Israele deve essere una sposa fedele e non
adultera.
(Osea viene mandato a prendere per moglie una prostituta sacra, ma lei scappa e diventa adultera. Dio
manda Osea a riprenderla e lo invita a rimanere fedele. Dio quando dice ad Osea di riprendersi la moglie
adultera al chiama col nome delle donne vergini dicendo in qualche modo che l’amore di Dio rende il
cuore vergine) Quanto è tenace l’amore di Dio! Ridà la verginità a chi lo ha tradito.
Secondo la Bibbia ebraica la vetta più alta è il cantico dei cantici. Il cantico dei cantici è un
poema tra sposo e sposa e coro. Non c’è Dio, ma diventano simbolo di Dio e popolo.
Coda richiama ancora. Qui come quando dicevamo prossimità e alterità. Più dici che è
santo (separato) più è prossimo (misericordioso).
Le mediazioni più importanti sono dall’alto perché vengono da DIo. In realtà anche
quelle dal basso dipendono da quelle dall’alto. Tra tutte le mediazioni dall’alto due in
particolare hanno mediazione specifica: la parola e lo spirito.
Parola e Spirito non sono pensate come due persone qui, ma diventano sempre
più importanti. Sono le due esperienze di comunicazione più importanti ovvero la
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parola e l’empatia.
Verso la fine del primo testamento c’è poi un punto esterno: parola/sapienza/spirito
vengono presentati quali come personificati (sapienza 8 —> dove sapienza sembra
qualcuno che ha architettato tutto).
Adesso vedremo alcune figure mediatrici:
- gloria
- spirito
- parola
La gloria di dio, in ebraico “cavod” significa pesante. Non solo il peso fisico ma il peso
del valore. Quando dio si manifesta lo fa in un modo che ne dice la grandezza,
eccedenza, il peso. Si dice la santità assoluta percepita dall’uomo.
La gloria è la manifestazione dell’eccellenza di Dio. Dio si mostra con una
manifestazione che fa vedere smisuratezza.
Ad esempio la nube numinosa. Il luogo per eccellenza che è segno della gloria? Il tempio
ma anche Sion. (Samuele quando entra per consacrare il tempio deve uscire perché una nube scende
sul tempio e gli impedisce di vedere. Dio prende possesso. Così anche gli altri sacerdoti successivi quando
entrano mettono l’incenso per ricordare quell’evento)
In tutte le religioni si intuisce il fatto che respirare, l’essere in vita, ha a che fare col
sacro. Nelle altre religioni si parla di forza o di divino.
Nel caso di Israele l’esperienza comune del Sacro si colora dei caratteri personali.
L’energia vivificante che Adonai vuole mettere nel popolo, Israele la pensa
come un’effusione escatologica dello spirito su tutti. Lo spirito si è posato su
Mosè, Elia… alcuni… allora Israele pensa che il compimento della storia
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avverrà con l’effusione dello Spirito su tutti. Allora tutti lo conosceranno non
per la legge ma per una conoscenza interiore. Piano piano matura nella
coscienza di Israele che l’effusione escatologica dello spirito avverrà
attraverso l’opera del messia. Il messia avrà il compito di preparare il popolo in
modo che Adonai possa dare il suo spirito a tutti.
Tra tutte le parole, la legge, le 10 parole, sono parole di vita. Se osserverai queste parole
mettendole in pratica vivrai.
5.4.3 La Sapienza
La Sapienza è una figura tardiva, che si lega alla cultura greca. Il saggio per la
cultura greca è chi conosce il cammino e sa come andarci. Conosce il fine della vita
e conosce anche la strada per dare buon frutto.
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PARTE BIBLICA
(Nuovo Testamento)
Pag 262
La morte per Gesù non arriva come un evento imprevisto. Man mano che Gesù inizia
il ministero pubblico riceve subito le ostilità delle autorità. Man mano che procede i
nemici sono più agguerriti. Gesù se ne rende conto e ad un certo punto si accorge del
disegno di morte che essi hanno per Lui (3 annunci di passione). Gesù capisce che l’esito
del suo ministero sarà tragico.
Gesù si renderà conto piano piano che la morte che preparano per lui è quella di croce, di
coloro che sono lontani da Dio.
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(Si dice che i giovani vogliono essere protagonisti della chiesa. Sarebbe narcisismo. Non vogliono che i
preti si tolgano la sedia e prenderla loro. Vogliono stare insieme sul palco. Un figlio vuole meno giochi ma
giocare con papà e mamma. Renderli protagonisti può essere un modo per renderli narcisisti come
facciamo noi e li lasciamo soli. Devi progettare insieme)
Gesù non vuole essere pro-tagonista, il primo che agisce, perché nella trinità non funziona
così, non è che uno agisce se gli viene lasciato spazio.
Si vedranno passione morte e risurrezione come atto unico, prima come atto del
Padre poi come atto del Figlio e infine come atto dello Spirito. Noi non possiamo che
Dobbiamo fare epoché dal nostro modo di considerare la Pasqua di Gesù. La morte di Gesù
sulla croce è il fallimento della vita pubblica. Ogni sua pretesa su di sè e sulla vicinanza del
Padre nella morte trova il fallimento plateale. La morte di Gesù è la sconfessione di quello
che per tre anni aveva detto sul Padre.
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disegno di salvezza (annunci di passione, chicco che muore per dar frutto). Gesù ha
sempre interpretato il suo andare verso la morte come il compimento del progetto di
salvezza maturato nel cuore del Padre. Il Padre non vuole la morte del Figlio, ma il
Padre vuole la salvezza nostra. Lui ci vuole rendere figli e questo può avvenire solo
con l’assunzione del peccato da parte del Figlio. Gesù interpreta così il suo morire:
non come il Padre che vuole che lui muoia ma come obbedienza all’intenzione
salvifica del Padre. La morte non è un atto di giustizia vicaria riparativa. Il Padre
non vuole che qualcuno paghi ciò che gli è dovuto. Il Padre consegna il Figlio
come un atto di amore estremo, come manifestazione della misericordia del Padre
sul mondo. Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio per salvarlo. La venuta di
Gesù nel mondo sono letti come un atto di amore che non condanna ma salva. La
sua morte, è interpretata da Gesù come il gesto di consegna del Padre del Figlio al
mondo. Una consegna che il Padre non ritira, che porta fino in fondo, perché li si da la
salvezza che libera gli uomini.
Se è vero che il nuovo testamento legge la morte del Figlio come un atto di amore del
Padre, dobbiamo essere onesti con lo scandalo. Un Padre così, quando il Figlio
muore, tace. Il Padre tace. Non dice una parola. Nei vangeli la voce già si era udita.
Non interviene non solo per non impedire al Figlio di morire, (1° scandalo —> non
salva da morte ingiusta), ma oltre a ciò non lo consola. (2° scandalo). Non salva ne
gli dice una parola di conforto.
Dio Padre di fatto abbandona Gesù al suo destino. È un verbo all’attivo. Non è solo
Gesù che si sente abbandonato, ma è il Padre che abbandona. È scandalo. Il Padre
che è solo amore, che è uno con il Figlio lo abbandona attivamente nella morte (cfr
442). San Giovanni della Croce ha affermato per primo questo. Dice che c’è
abbandono attivo.
Gesù rimase anche annichilito nell’anima. Ridotto al nulla. Non solo soffre addolorato.
Essendo lasciato dal Padre senza consolazione e confronto. E lasciato nell’aridità.
Nell’abbandono lì compie la cosa più grande salvando l’umanità. In quei momenti il Padre lo
abbandonò affinché scontasse interamente il debito delle umane colpe e unisse l’uomo con
Dio.
Non si può guardare alla croce come una teorema che funziona tranquillamente.
Noi siamo troppo abituati al mistero della croce. Forse col covid ci accorgiamo di
più che c’è il triduo e la pasqua. Avvertiamo poco il dramma che viene ripresentato.
Il Padre abbandona il Figlio. Perché?
Perché proprio facendo così il Padre si manifesta come Abba. È la massima
rivelazione della paternità di Dio.
La morte di Gesù deve far emergere qualche crepa nel nostro modo ideale di vedere
Dio.
Solo comportandosi così l’Abba si manifesta come Padre. Ma perché diciamo così?
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Il silenzio rivela la paternità non paternalistica. La paternità autorizza e fa
crescere. Il paternalismo è un esercizio di autorità che non fa crescere e fa
dipendere le persone.
Io posso evitare una sofferenza ad una persona che amo, alle volte, non per amore
suo ma per amor mio. Un figlio in una situazione di sofferenza inevitabile, alle
volte vede nel genitore il tentativo di toglierlo dal dolore per non soffrire a propria
volta. È un dolore grande non poter far niente per una persona a cui si vuole bene.
Costoso nell’amore è accettare l’impotenza di impedire all’altro di soffrire.
È sottile togliere la sofferenza all’altro per non soffrire io. Io non accetto di patire e
quindi gli tolgo la responsabilità.
Il Padre nel suo non intervento, nel suo silenzio, si presenta come un Abba e
permette al Figlio di andare fino in fondo, dando fino alla fine il dare la vita. Il
Padre è colui che genera, colui che da tutto senza trattenere nulla.
Ora se il Figlio è in tutto simile al Padre, quando Gesù manifesta di essere Figlio di
un Padre che da tutto senza trattenere nulla?
Quando Gesù da tutto senza trattenere nulla. Così mostra il Padre. Gesù si riceve
tutto, e quelle che vede fare dal Padre lo fa anche Lui.
Se il Padre avesse impedito al Figlio di morire gli avrebbe impedito di dare tutto. Il
Padre dando al mondo il Figlio da tutto ciò che ha. Se il Figlio sulla croce non
perde tutto non sarà identico al Padre. Il Figlio per essere Dio che dona tutto,
doveva perdere il Padre per donare tutto. Gesù perde anche il Padre per poterlo
dare a noi, e il Padre non glielo impedisce. Si da tutto quando si perde tutto.
Gesù arriva alla sua pienezza massima nella morte, dove tutto quello che poteva dare
lo ha dato. Il Padre non si sostituisce e non gli impedisce di vivere anche nella sua
umanità il dare tutto. Il Padre permette al Figlio di dare tutto, e il tutto di Gesù è il
Padre ed è per questo necessario che lo perda.
Vedi la gente che fa un anno di missione, che potrebbe sembrare un anno perso, ma lo
ritrovi decuplicato.
L’amore è perdere, è uscita da sè. La resurrezione di Gesù avviene dopo tale morte.
Non sei mai tanto te quando non sei te. Quando ti perdi per l’altro.
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3.5.1 La morte di Gesù, espressione della libertà estrema del Figlio
Sicuramente si espone alla passione in obbedienza al disegno del Padre ma non è mai
semplicemente passiva, ma anche attiva. È un’autentica scelta di libertà del figlio:
decide di donare la sua vita: Gv 10,18 “nessuno me la toglie, la offro da me stesso”.
Dentro il disegno malvagio dell’uomo Gesù sta realizzando la sua consegna libera,
questo conferma tutta la sua scelta messianica in cui vuole la salvezza del suo popolo.
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benedizione a noi. “Dio lo fece peccato in favore nostro”. Gesù
muore nell’esperienza del non intervento di Dio, che probabilmente
lo stupisce. Vedere che fallisce e che è schernito lo porta a percepire
il non-senso della vita. Il non-senso è peggio della sofferenza che ha
un motivo. A Gesù è tolto anche questo. Perdere tutto può anche
riempire di senso. Può esserci la gioia del dono totale. Gesù sulla
croce perde la perdita. Non ha nemmeno gioia del fatto di donarsi
per qualcuno che cresce. Gesù perde tutto ma senza percepire la
gioia del dono. È privato, abbandonato anche della gioia della
perdita.
Questo e il grido non implica la disperazione. Il Padre rimane il Tu di
Gesù, anche se non lo sente più, anche se non avverte la gioia del
compiere l’obbedienza, del fare la missione. Questa è filialità. Lo
prega. Non smette di rivolgersi a Lui. C’è affidamento senza riserve.
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Chiara Lubich dice, in clima di scolastica, negli anni ’40, “Gesù
abbandonato è la fede”. Mette insieme abbandono e affidamento. In
tempo in cui fede era assenso dell’intelletto a verità rivelate.
Gesù mostra di essere veramente Figlio. Il centurione dice che quel morire preciso lì
porta a riconoscere che Gesù era il Figlio di Dio. Nel grido il centurione lo riconosce.
Il grido di abbandono è rivelativo dell’identità del Figlio e di Dio Abba. Gesù pur
essendo figlio imparò l’obbedienza da ciò che patì. Gesù guadagna nella sua
maturità il pieno dispiegamento dell’essere Figlio. Di pienezza in pienezza. E nella
morte c’è il fino alla fine.
Gesù è il Figlio perché si è manifestato fin nella morte come colui che non ha
trattenuto nulla, esattamente come ha visto fare dal Padre. Gesù ama fino alla fine
e per questo risorge, perché amare fino ala fine è la vita vera. L’amare fino alla
fine è la cifra dell’essere… altro che la gettatezza o l’essere-per-la-morte.
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Il figlio offre realmente la vita e proprio così la riprende. Non fa finta. L’amore che
più perdi più hai è lo SS.
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Gesù realmente abbandonato, nello Spirito vede la ritiratezza. Lo Spirito non fa
sentire il Padre. Diventa un canale vuoto. Gesù ha sete perché in quel momento Gesù
sta perdendo tutto.
Gesù non è mai stato così unito al Padre come nell’abbandono, perché più perdi più
sei. Lo Spirito nell’abbandono è come una corda che si tende e tiene uniti Padre e
Figlio, che permette a Gesù di assumere il peccato facendo la scelta massima di
amore.
Gesù nel morire, in Giovanni, non dice “spirò”, ma dice “chinato il capo, consegnò
lo Spirito”. Il verbo paradidomi, consegnare diventa tradizione. Con il consegnare lo
Spirito intende dire che consegna lo Spirito Santo al Padre, ma anche a noi tramite
Giovanni e Maria. Gesù non consegna al Padre o a noi, ma ad entrambi. Il Figlio ci
da di essere figli donandoci la relazione con il Padre. Ma chi è la relazione con il
Padre? Lo Spirito! E così ci rende capaci di diventare suoi figli.
Questa effusione dello Spirito è una nuova creazione.
Adesso la prima creazione si comprende: in vista dell’alleanza. L’alleanza, ovvero il
rapporto tra l’umanità e Dio è tale solo con la Pasqua, in quanto l’uomo è abilitato
a corrispondere alla volontà di Dio, perché dall’interno gli è dato quell’amore che è
più forte di ogni peccato. Come può una creatura limitata corrispondere
perfettamente all’alleanza con Dio che è infinito?
Perché con la Pasqua, l’uomo può amare Dio con lo stesso amore che Dio ama noi.
L’amore con cui il Padre ama il figlio e il figlio ama il padre è messo anche in noi.
Ciò che accade tra Padre e Figlio accade anche tra noi e il Padre.
Questo implica il cambiamento dell’amore verso i fratelli. Tra due battezzati, l’amore
con cui si amano è lo stesso amore di Dio. Amo il fratello con lo stesso amore con cui
il Padre ama il Figlio. (Rm 8 —> capitolo più bello su SS).
(Una madre che da la vita per la sua creatura non è ami così tanto madre. Dare la vita
sua per la sua creatura è logica dell’amore, non del mondo. Quando mi svuoto mi sto
riempiendo)
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3.7 L’evento pasquale, evento trinitario
A) Il Figlio unigenito
B) La reciproca glorificazione
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PARTE STORICA
(c’è tanto e da memorizzare)
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3.5.3 La Scolastica medievale
3.5.4 Il significato teologico
4. LA SCOLASTICA MEDIEVALE
4.1 Riccardo di San Vittore e la ripresa della via caritatis di Agostino
4.1.1 «Fides quaerens intellectum»
4.1.2 L’intuizione del “condilectus”
4.1.3 Un nuovo concetto di persona
4.2 Tommaso d’Aquino: la Trinità luce suprema dell’intelligenza dell’essere
4.2.2 L’ispirazione carismatica e le opere di Tommaso
4.2.3 Il superamento del neoplatonismo, la metafisica di Aristotele e il
trascendentale “aliud”
4.2.4 L’Esse per se subsistens e la creazione
4.2.5 Analogia psicologica e processioni
4.2.6 Le persone come relationes subsistentes
4.2.7 Trinità e creazione
4.2.8 Una contemplazione che accende il desiderio e l’attesa
4.3. Francesco d’Assisi e il cristocentrismo trinitario della tradizione
francescana
4.3.1. Francesco e la via del Crocifisso
4.3.2. Il cristocentrismo trinitario di Bonaventura
a) La novità dell’esperienza di Francesco come chiave della teo-
logia
b) Cristo come “medium” universale
c) L’anticipazione di “un nuovo stato della rivelazione”
5. L’EPOCA MODERNA: LA TRINITÀ A PARTIRE DALLA CROCE E DALLA STORIA
5.2.2. La theologia crucis di Lutero
5.4.1. La promessa mancata di Hegel
a) Una duplice novità: il non-essere come chiave del transito dalla
sostanza al soggetto
b) L’istanza ineludibile e il fatale fraintendimento
PARTE SISTEMATICA
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2.2.2. L’epoca moderna
a) L’uomo come soggetto
2.2.3. Nuovi orizzonti
3. PER UNA RIPRESA DELL’ONTOLOGIA DELL’UNITÀ E DELLA TRINITÀ
3.1. Le soluzioni classiche: nella teologia latina e in quella greca
3.1.1. Nella teologia occidentale
3.1.2. Nella teologia orientale
3.2. La crisi del Novecento e le nuove proposte
3.2.1. L’orizzonte della soggettività
3.2.2. L’orizzonte della comunione
3.3. Per una ripresa della questione
3.3.4. La pista tracciata da von Balthasar
3.3.5. In sintesi
4. L’UNITÀ E LA TRINITÀ DI DIO NELLA LOGICA DELLA RIVELAZIONE
4.1. Sul significato biblico dell’unicità e dell’unità di Dio
4.2. Unità relazionale, inclusiva ed effusiva
4.3. Il duplice linguaggio dell’unità di/in Dio
5. L’UNITÀ E LA TRINITÀ DI DIO NEL RITMO DI UN’ONTOLOGIA TRINITARIA
5.1. L’orizzonte dell’ontologia trinitaria
5.1.1. Un compito decisivo per il pensiero
5.1.2. Sul concetto di ontologia trinitaria
5.1.3. Sul rapporto tra rivelazione e ontologia
5.1.4. Una duplice prospettiva, soggettiva e oggettiva
5.1.5. Sul luogo cristologico di un’ontologia trinitaria della persona
5.2. Dalla relazione sussistente alla reciprocità trinitaria
5.2.1. La relazione tra le Persone divine
5.2.2. Analogia psicologica e analogia interpersonale
5.2.3. La dinamica agapica della reciprocità
5.2.4. Una reciprocità reciprocante e trinitaria
5.3. Il non-essere positivo dell’amore
5.3.1. I Greci: non-essere assoluto e non-essere relativo
5.3.2. Agostino: la predicazione del non-essere “in divinis”
5.3.3. Dal non-essere relativo al non-essere relazionale
6. PADRE, FIGLIO, SPIRITO SANTO1
6.1 Il Padre
6.1.1 Nell’economia
Paternità di Dio: evidenza della storia di Gesù
Paternità di Dio: non una metafora arcaica ma verità dell’evento di
Gesù Cristo
6.1.2 Nella vita immanente
Il Padre: principio dell’unità
Il Padre: l’origine è la donazione, reale e totale
Il Padre: protos e eschatos
6.1.3 Conseguenze
Paternità di Dio e ricettività filiale
La Paternità come donazione infinita e la menzogna del peccato
6.3 Lo Spirito Santo
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Un’identità nascosta e complessa
6.3.1 Nell’economia
La vita terrena di Gesù sotto il segno dello Spirito
Lo Spirito Santo nell’evento pasquale
Il rapporto tra Gesù e lo Spirito nel NT: l’unzione
A-priori pneumatologico della cristologia e a-priori cristologico della
pneumatologia
6.3.2 Nella vita immanente
La riflessione dogmatica dei primi secoli
La processione (spirazione) dello Spirito
La questione del Filioque
Il proprium personale dello Spirito Santo: un’identità-relazione
Lo Spirito Santo Amore-Dono
6.3.3 Conseguenze
La dimensione pneumatologica della fede
Due luoghi pneumatologici paradigmatici: l’epiclesi eucaristica e
l’intersoggettività
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