IL CORPO NELL’ANTICO TESTAMENTO
STUDIO LESSICOGRAFICO DEI LEMMI BIBLICI
RELATIVI
I. INTRODUZIONE
Qualsiasi ermeneutica, per sfuggire all’arbitrio dei fenomeni di
identificazione e proiezione, deve necessariamente includere una
ricostruzione, un’analisi ed un’interiorizzazione delle categorie
culturali – e dunque linguistiche, se parliamo di ermeneutica di
un testo letterario – del contesto sociale che ha prodotto l’oggetto
in analisi. In un oggetto dalla genesi vertiginosamente complessa
quale il testo biblico veterotestamentario, questa esigenza, pur
profilandosi come necessariamente insufficiente quanto ad
esaustività, non perde affatto la sua validità.
Questo studio origina dunque da tale prospettiva. Nella
consapevolezza della centralità del concetto teologico di ‘corpo’
per la comprensione cristiana del messaggio neotestamentario, e
della posizione cardinale di questo stesso concetto nel segno
della novità evangelica, cercheremo dunque di portare alla luce
l’aspetto linguistico/semantico della problematica attraverso
un’analisi dei lemmi veterotestamentari ad essa correlati.
La domanda sottesa – per la quale ci prefiggiamo qui come
obiettivo una indagine limitata alla sola prospettiva dell’analisi
dell’orizzonte linguistico –, potebbe esplicitarsi in questa
formula: quale prospettiva concettuale/linguistica, nei linguaggi
degli autori biblici veterotestamentari, gravitava attorno al campo
semantico che, nelle lingue euro-moderne, indichiamo con il
concetto di ‘corpo’? Quale spostamento del medesimo campo è
apprezzabile nelle versioni euro-moderne del testo biblico
veterotestamentario? Semasiologicamente, quali differenze
possiamo ricostruire tra il concetto euro-moderno di corpo e i
nuclei concettuali veterotestamentari traduttologicamente ad esso
correlati, a partire da un’analisi linguistica?
Nelle traduzioni moderne del testo biblico, il concetto-lemma
moderno di “corpo” traduce essenzialmente il greco LXX
σῶμα. Ma l’italiano “corpo”, l’inglese “body”, o il tedesco
“körper” – et cetera –, esprimono un concetto moderno, concetto
che non trova corrispondenza nel lessico ebraico ed aramaico del
testo biblico.1
1
cfr. ROBINSON 1952, p. 30
Diverrà chiaro il fatto – già noto, ma non ancora del tutto
illuminato nelle sue varie sfumature – che non soltanto gli ebrei
di epoca veterotestamentaria non disponevano di un termine
corrispondente al nostro “corpo”, ma che un forte scarto
concettuale è rilevabile già nella versione greca dei LXX2.
Anticipiamo la principale divergenza: il corpo-moderno fa la sua
apparizione concettuale dotandosi di una consistenza ontologica
specifica ricavata esclusivamente dal suo divergere
fenomenologico da una realtà psichica3. A questo concetto-
oggetto, si oppone una vasta e complessa fenomenologia
somatica, ricavabile dal testo biblico veterotestamentario, che
potremmo compendiare funzionalmente come ‘corpo-antico’; la
principale differenza dal corpo-moderno, è l’impossibilità di
individuare una oggettualità ed una consistenza ontologica
univoca e specifica nell’apparizione del corpo-antico, data dalla
impossibilità di contrapporvi una realtà psichica di pari
consistenza oggettuale4.
Questa evoluzione linguistica – che manifesta apertamente una
maturazione ed una discontinuità nella concezione della
costituzione antropologica stessa – troverebbe ulteriore conferma
se analizzata parallelamente nella sua vicenda greca.
Nell’impossibilità evidente di estendere la ricognizione all’ampio
corpus in questione – dagli omeridi al medio-platonismo –
rimandiamo a studi già esistenti5 e ad ulteriori approfondimenti.
2
FITZMEYER 1968, p. 173
3
GALIMBERTI 1983, pp. 31-sgg
4
cfr. HUSSERL 1931, pp. 68-71; 139-150
Un momento fondamentale nella storia di questa evoluzione, è la
letteratura paolina: la centralità teologica del σῶμα in Paolo va
compresa anche e necessariamente nella sua novità semantica e
linguistica.
J.A.T. Robinson, nel suo studio The Body. A Study in Pauline
Theology6, mostra l’influsso della cultura semitica nella
concezione della costituzione antropologica rilevabile negli
scritti paolini. Centrale in questa dinamica, è il concetto di σῶμα
in relazione a quello di σάρξ : nell’elaborazione paolina il
σῶμα7 diviene nozione inclusiva, polivalente ma non equivoca,
entro la quale possiamo trovare «tutti i dati essenziali della fede
cristiana»8. Σῶμα perviene a questo rinnovamento teologico-
linguistico attraverso l’essenzialità del suo differenziarsi dalla
σάρξ9 : lo scarto significativo di questa differenza ontologica,
operato nella teologia paolina, si profila in quanto tale prendendo
le mosse dal contesto culturale ebraico, specificamente nella sua
realtà scritturale veterotestamentaria, nella quale «non era
avvertita la necessità di tale distinzione»10.
5
GALIMBERTI, U., Il corpo, in «Biblioteca di psichiatria e psicologia clinica», Feltrinelli,
Milano 1983;
SICHKARYK, I., Corpo (σῶμα) come punto focale nell’insegnamento paolino, Editrice
Pontificia Università Gregoriana, Roma 2011;
LYS, D., La chair dans l’Ancien Testament «Bâsâr», Éditions Universitaires, Parigi 1967
6
ROBINSON 1952
7
In primis, nella nozione di Σώμα Χριστού
8
Ibid., p. 23
9
Ibid, p. 39-40
10
Idib, p. 70
Per capire in profondità questa dinamica differenziale, nella sua
doppia portata linguistica e teologica, è necessario fare chiarezza
sul retroterra linguistico che l’ha influenzata e permessa: nella
sua radice veterotestamentaria, come vedremo, si renderà
centrale l’analisi del termine שׂר ָ ָב, testimone fondamentale di
quell’orizzonte semantico che, nella versione greca e nella
letteratura neotestamentaria, genererà tanto σῶμα quanto σάρξ .
Nella versione greca, σῶμα è l’esito di una varietà di termini
ebraici11, i quali hanno portato il traduttore a riconoscere il
concetto di ‘corpo/ σῶμα’ a partire dal contesto testuale e
funzionale nel quale di volta in volta questi termini compaiono 12.
Come vedremo olre, in nessun caso nel testo ebraico compare il
concetto veicolao dai termini corpo/σῶμα.
La differenza, profilandosi come ‘mancanza’, ovvero come
assenza di un oggetto concettuale, è significativa fino forse
all’incolmabilità della distanza. D’altra parte, questa
incolmabilità è la ragione stessa di questo studio, e non ci
sottrarremo al tentativo di chiarificarla.
L’esistenza di un lemma singolo nelle lingue europee moderne a
testimoniare ed indicare il concetto di ‘corpo’ – e parliamo qui
innanzitutto di corpo umano –, presuppone la percezione di una
unità funzionale ed oggettuale nell’apparire della corporeità.
11
possiamo contarne 14: ּגִשֶׁ מ, מְשָׁ ְרתִ ים, ְּג ִוּי ָה, ֵּגוָה, ּגַן,שְׁאֵ ר, ֶפגֶר, נְ ֵבלָה, ּגּופָה, עֹור, נֱפֱשׁ, טַפ, ַחי ִל,בָשָׂ ר
12
SCHWEITZER-BAUMGARTEL 1969, pp. 660-662
Questa è la principale differenza semantica che segna lo scarto
tra lingue e concezioni moderne ed ebraico biblico per quanto
concerne la comparsa dell’idea di corporeità nel suo darsi
individuato.
Il corpo nel suo darsi come ‘oggetto’, nel suo cosificarsi (il
manifestare una “thingness”, secondo Gundry13), nel suo essere
res, nel suo apparire come unità, la cui perdita di funzionalità
unificata – per sottrazione, per divisione – ne corrompe
sostanzialmente l’essenza, rendendolo ‘altro’, in ebraico manca
del tutto.
Il corpo nel suo darsi unitario ed oggettificato, nell’Antico
Testamento è esclusivamente cadavere.
Di fatto, tra i lemmi citati, i più vicini all’idea di corpo come
oggetto unitario sono ּגּופָה14 e ְּג ִוּי ָה15, che indicano sempre il
cadavere16, la carcassa, il corpo morto17 – tranne in due
occorrenze eccezionali di ְּג ִוּי ָה18 , dove indica il corpo di creature
di visione19.
La vicenda del termine ְּג ִוּי ָהè effettivamente più complessa di
quanto studiosi – anche di primo piano – abbiano rilevato.
M. Buber, in una lettera a Schoeps, traduce l’espressione goy
kadosh di Es 19:6 non come “nazione santa”, ma come “corpo
13
Cfr. GUNDRY 1976, p.15.
14
STRONG 1480
15
STRONG 1472
16
CLINES 1993, « » ּגּופָה, p. 335
17
CLINES 1993 « » ְּג ִוּי ָה, p. 334
18
Da 10,6; Ez 1,11.23
19
MORK 1971, p. 35
santo”, sottolineando la derivazione di goy e geviyah dalla stessa
radice, גוה20. Lo stesso fa il Gaon di Vilna, considerando le
nazioni come ‘corpi’, e gli individui che le costituiscono in
quanto ‘membra’.
Ma ְּג ִוּי ָהè il femminile di וֵּג, ‘spalle/schiena’. וֵּג, come aramaismo,
è passato anche a significare ‘mezzo, metà’, per analogia tra
‘schiena’ e ‘tronco’21 – considerando il tronco come elemento
centrale e mediano. Questo nucleo concettuale, ha prodotto per
accrescimento22 ְּג ִוּי ָה, nel senso di corpo, ovvero la realtà fisica
individuale che ha il suo centro nel tronco.
Come si può vedere chiaramente da questi passaggi, non c’è
analogia radicale tra il corpo in quanto concetto moderno dotato
di unità funzionale e le vicende semiotiche degli esiti della radice
וג.
Robinson esprime ellitticamente lo stesso concetto facendo
notare l’inadeguatezza del termine ְּג ִוּי ָהa caricarsi della nozione
moderna di ‘corpo’, dicendolo «privo di accezione teologica»23.
Probabilmente, questa impossibilità a caricarsi di una
significazione teologica, è dovuta a quel fenomeno che andremo
chiarificando nel nostro studio: l’impossibilità di ritrovare nel
linguaggio veterotestamentario una accezione figurale, unitaria,
20
cfr. KRELL 2003, p. 40
21
B.D.B. p. 156
22
STRONG 1472
23
ROBINSON 1952, p. 30.
cfr. anche ROLLA 1972, p.18.
cosale di ‘corpo’ come quella che abbiamo contraddistinto come
corpo-moderno24.
Bisogna inoltre sottolineare che le occorrenze del termine ְּג ִוּי ָה
sono 13 in tutto l’AT, contro le 273 del termine שׂר ָ ָב.
Evidentemente, si tratta di un lemma percepito come secondario.
Un dato ulteriore lo acquisiamo nel rilevare come nell’ebraico
moderno, il corpo umano sia האדמ גוף/ הגופ, termine che – nella
sua variante antica/biblica, ּגּופָהcompare soltanto in 1Cronache
10:12, con il significato di ‘cadavere’.
È stata l’insorgere dell’esigenza di significazione della
concezione ‘moderna/unitaria’ di corpo a far preferire una radice
secondaria (se non marginale), proprio perché i nuclei semantici
espressi tanto da בָשָׂ רquanto da ְּג ִוּי ָהvengono percepiti come
inadeguati a veicolare questo concetto affatto nuovo.
Il caso dei due passi di Daniele ed Ezechiele citati25 ci sembra
particolarmente indicativo. Compaiono qui ִָּיתֹו ֣ “[ ּוגְוE il suo
corpo”] ְּגוִּי ֹתֵ יהֶם/ “ [ ְּגוִי ֹתֵ יהֶ ֽנָהi loro corpi”]: non c’è ragione
narratologico-testuale o semantica dirimente per la quale qui il
lemma vada inteso nel senso ampio di “figura umana”, senso che
in verità le traduzioni finiscono qui per suggerire, traducendo con
un generico ‘corpo’. Anzi, l’apparire nei versi immediatamente
precedenti e successivi di parti anatomiche descritte
separatamente – faccia, occhi, braccia, ali… – tenderebbe
piuttosto ad escluderlo, e a suggerire che si riferisca al
“tronco/porzione mediana” della figura di queste creature di
24
cfr. GERLEMAN 1971, p. 327
25
Da 10,6; Ez 1,11.23
visione, aderendo perfettamente al significato etimologico del
lemma ebraico stesso26.
Al contempo, la scelta del raro ְּג ִוּי ָהal posto di un ipotetico שׂר
ָ ָב, ci
offre altre precise deduzioni: la conferma della vicinanza tra
l’uso di בָשָׂ רe il concetto di “carne”, decisamente inadatto per
indicare la consistenza materica di queste creature, che figurano
composte piuttosto di “rame, fuoco, crisolito, folgore…”; e, nel
caso in cui il valore rappresentativo del termine-concetto ְּג ִוּי ָה
potesse analogicamente coprire l’area semantica dell’apparizione
di un corpo-figura, l’esistenza di un termine ( ְּג ִוּי ָהappunto)
potenzialmente adatto ma effettivamente non utilizzato per
indicare l’apparire rappresentativo-figurale della persona umana
in quanto corpo.
La scelta di ָב ָשׂרad indicare l’individuo nel suo effettivo
manifestarsi27 è quindi legata alle possibilità di significato
intrinseche del campo semantico del lemma בָשָׂ רstesso, al di là di
qualsiasi opzione rappresentativa.
Appare così tanto inesatta quanto giustificata la scelta della LXX
di tradurre ָב ָשׂרcon σῶμα, in quanto più prossimo equivalente28.
Ciò detto, è subito necessario sottolineare il carattere puramente
analogico di questa equivalenza: בָשָׂ רnon essendo e non potendo
essere ‘corpo’, significa infatti ‘carne’29; soltanto per estensione,
26
cfr. BDB p. 156; STRONG 1458-1459-1460; la medesima radice produce i concetti di
‘porzione intermedia’, ‘schiena’, ‘tronco’ (porzione mediana del corpo).
27
evitiamo appositamente qualsiasi espressione vicina a ‘manifestarsi corporeo’ per non
incorrere nell’equivoco dell’intensione moderna dell’espressione
28
cfr. MORK, 1971, pp. 35-36
29
BRATSIOTIS 1970, pp. 1731-1766; SCHWEIZER-BAUMGARTEL 1967, pp. 1283-1288;
il concetto può arrivare ad includere la comparsa di un
individuo30 (sebbene non in quanto ‘dotato di corpo’, bensì
‘manifestantesi nella/in quanto carne’ – ci torneremo).
L’uomo nel suo manifestarsi, è carne. In ebraico, nell’AT,
l’uomo non è e non ha un corpo-figurale – la figuralità latrice
della coerenza dell’unitarietà caratteristica del già citato concetto
di ‘corpo-moderno’.
Passiamo ad un’analisi dettagliata delle occorrenze di בָשָׂ ר, per
metterne in luce la relazione con il termine σῶμα ed il concetto
moderno di ‘corpo’.
Il testo ebraico di riferimento – dal quale abbiamo tratte tutte le
citazioni – è la BHS [Biblia Hebraica Stuttgardensia].
Il testo greco segue l’edizione critica Septuaginta, Editio altera
(Rahlfs-Hanhart), Deutsche Bibelgesellschaft, 2006.
Il testo latino, è quello della Nova Vulgata.
Le citazioni del testo italiano, seguono la versione CEI 2008.
WOLFF 1971, pp. 40-47.
30
Cfr. R. CADEVO, Corporeità, 309. DEB, 368. H. HAAG, Dizionario Biblico, 221. J.L.
MCKENZIE, Dizionario biblico, 161-162. S.V. MCCASLAND, Body, 451; G. NOLLI, Lessico Biblico,
262. H. SEBASS, Carne, 203-204.
II. שׂר
31
ָ ָב
1 – Occorrenze
Nell’AT, ָב ָשׂרcompare circa 270 volte.
31
STRONG 1320
Il GLAT riporta «circa 270 volte – di cui tre volte in aramaico
biblico (DN 2,11; 4,9; 7,5), più una volta al plurale (PRV 14,
30)»32.
Il DTAT riporta 270 occorrenze del termine, più 3 nella forma
armaica b ͤ šar (DN 2,11; 4,9; 7,5)33.
Lo stesso numero – 270+3 – viene riportato dal GLNT34, da Lys35,
Wolff36, il VOT37, Caza38.
Diversamente, Rolla39, Seebass40, Mork41, contano 266 volte.
Seguendo il 270+3, i passi ebraici si suddividono nel seguente
modo:
GEN 33 1SAM 4 OS 1
ESO 14 2SAM 3 GIOE 1
LE 61 1RE 4 AM –
NU 17 2RE 6 MI
DE 13 IS 17 1
GIOS – GER 10 AG 1
GIUDIC 6 EZ 24 ZAC 4
32
BRATSIOTIS 1970, in GLAT, «שׂר ָ » ָבp. 1733
33
GERLEMAN 1971, in DTAT, vol. I, «» בָשָׂ ר, p. 326
34
SCHWEIZER-BAUMGARTEL-MEYER 1960, «σάρξ κτλ», in GLNT, vol. XI, p. 1283
35
LYS 1967, pp. 18-19
36
WOLFF 1974, p. 40
37
ANDERSEN-FORBES 1989, « » בָשָׂ רp. 296
38
CAZA 1986, p. 542
39
ROLLA 1972, p. 18
40
SEEBASS 1970 «Carne», in DCB, p. 204
41
MORK, 1971, p. 33
MAL EC 1CR
– 5 1
SAL LAM 2CR
16 1 1
GIOB DA
18 2
PROV NE
4 2
Si riscontra una presenza trasversale del termine in tutta la
letteratura veterotestamentaria. Una statistica cronologica
dell’utilizzo del termine è stata affrontata – per esempio – da
Lys42, ma Bratsiotis dice che questo genere di tentativi si siano
rivelati sostanzialmente infruttuosi43.
Per questo, considereremo ָבשָׂרcome capace di veicolare un
significato sostanzialmente e storicamente unitario: non
trascurando l’aspetto frequenziale e contestuale, certamente
significativo, ma piuttosto considerandolo come latore di
un’evoluzione linguistica integrativa, non-discontinua.
2 – Significati
Di seguito, intraprendiamo un’analisi di tutte le singole
occorrenze del termine ָב ָשׂרnell’AT.
42
LYS 1967, pp. 15-18
43
BRATSIOTIS 1970, p.1734
Ci è sembrato un lavoro indispensabile per superare l’estrema
‘fissità’ restituita dalle voci dei principali dizionari – teologici e
non – a proposito dei significati di questo lemma. Le varie aree
semantiche indicate – pur essendo naturalmente generalmente
accettabili – non ci sembrano tener conto di casi particolarmente
ambigui, casi liminali, casi eccezionali. Inoltre, rischiano di
vertere su un incasellamento preventivo che ha il sapore
dell’interpretazione più o meno arbitraria.
Il GLAT propone, in sintesi, questa ripartizione:
- ‘carne’, quale sinonimo dal significato più esteso di ,ְׁש אֵר
ָּד ם,עֹור.
- ‘carne’ intesa come alimento (umano o animale, letterale
o figurato)
- ‘corpo’, cioè l’elemento corporale nella sua interezza,
quale sinonimo di ‘ גויהcorpo’, ‘ גּפpeso’, ‘ גבלהcarcassa’
- Parte muscolare del corpo, spesso unita ad altre parti
dello stesso
- ‘pelle’
- eufemismo per ‘pube’
- espressione per indicare il legame di parentela
- בשׂר כל, ‘tutta la carne’
- ‘uomini’
- ‘carnale’
Pur potendo ritenere questa ripartizione generalmente accettabile,
ne risulta una difficoltà nel restituire l’intuizione del senso
originario/letterale che il parlante/scrivente aveva in mente
nell’utilizzare questo termine. Se, vertendo il lemma in una
qualsiasi altra lingua – e specialmente in una lingua moderna –
non si può certo prescindere dall’utilizzo di un ventaglio di
termini singoli più o meno ampio, locuzioni, interpretazioni
fraseologiche, non di meno si deve tralasciare l’idea che il lemma
originario fosse in grado di veicolare senza soluzione di
continuità un nucleo semantico agile, morfologicamente
strutturato come in grado di coprire od indicare direttamente tutti
i significati che le traduzioni hanno individuati.
Tutti i principali studi, riconoscono a בָשָׂ רuna gamma di
significati piuttosto ampia. Come preannunciato, e come
cercheremo da qui in avanti di dimostrare, l’ampiezza della
gamma ci sembra sintomo della differenza significativa dovuta
allo slittamento evolutivo dei paradigmi culturali – e, quindi
linguistici ed appercettivi, dallo scrivente antico al
traduttore/ermeneuta moderno.
Pensiamo che un’analisi puntuale, organizzata in una gamma
meno ristretta di possibilità interpretative, e, soprattutto, l’analisi
differenziale di alcuni passi critici o particolarmente significativi,
possa servire meglio a quanto ci siamo proposti di individuare.
Sottolineiamo: in alcuni casi, la categorizzazione che
proponiamo non restituisce un criterio metodologico unitario.
Abbiamo ritenuto più opportuno analizzare certe occorrenze a
partire non dal concetto-moderno potenzialmente più adatto per
tradurli ma, ad esempio per quanto riguarda ָבשָׂרcome ‘corpo’,
dall’analisi della catena traduttologica che ha prodotto questo
esito nelle lingue europee moderne. L’errore più insidioso è, a
nostro avviso, quello che si compierebbe cercando
corrispondenze a partire dalla gamma linguistica e concettuale
euro-moderna, al posto di aprirsi alla comprensione – prima ed al
di là di qualsiasi opzione traduttologica – dell’oggetto linguistico
specifico veterotestamentario e delle concezioni e particolari
sguardi culturali che l’hanno prodotto.
Ancora una precisazione: abbiamo deciso di raggruppare i
significati possibili cercando di risalire al senso ‘letterale’ e non
metaforico, prescindendo da tentativi di distinzione dirimente
delle due possibilità, nella convinzione che in nessun caso un
utilizzo metaforico possa prescindere dal senso letterale, e che la
metafora sia sempre e solo resa possibile dalle potenzialità latenti
in questo ultimo.
2.1 - ָבשָׂרcome sostanza carnea del corpo vivo (umano o
animale)
Il concetto di ‘sostanza carnea’ è quello usualmente inteso con
l’italiano ‘carne’, e nel parallelo latino căro, carnis.
Sottolineiamo che nell’uso latino, căro può indicare anche: la
‘polpa’ della frutta; la parte ‘midollare’ del tronco d’albero44.
Σάρξ, σαρκός è il termine greco che più vi si avvicina. Anche
nella LXX, è la traduzione principale di ָבשָׂרin quanto sostanza
carnea del corpo vivo. Così come nel latino, può indicare anche
la polpa della frutta e la polpa dell’albero. È probabile la sua
derivazione dal proto-indoeuropeo *twerḱ45, intagliare, tagliare,
sfogliare progressivamente, asportare, attraverso il greco σαίρω,
con lo stesso significato: Σάρξ indicherebbe quindi la sostanza
carnea in quanto legata ma ‘asportabile, separabile’ dalle ossa.
Per la parte commestibile del corpo degli animali – ma quasi
sempre se intesa in questo suo senso alimentare – il greco
presenta invece κρέᾰς, κρέως/κρέᾰτος [dal protoindoeuropeo
*kréwh₂s46, ‘sangue’ da cui il latino crudus e l’italiano ‘crudo’].
Veniamo ora ad un’analisi puntuale di tutti i brani nei quali בשׂר
compare secondo questa accezione.
GN 2:21
«Allora il Signore Dio fece scendere un torpore
sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle
costole e rinchiuse la carne al suo posto»
44
«căro , carnis», in L&S 1879
45
MALLORY-ADAMS 2006, p. 157
46
BEEKES 2010, p. 774
Ebr: ָּב ָׂש ֖ ר
Gr: σάρκα
Lat: carnem
Il gesto del ‘richiudere’ [ ] ָסגַרe la traduzione con σάρξ, indicano
con certezza il riferimento alla sostanza carnea del corpo vivo.
GN 2:23
«Allora l'uomo disse: / "Questa volta essa / è carne
dalla mia carne / e osso dalle mie ossa. / Perché
dall'uomo è stata tolta"»
Ebr: ְִּבָׂשרי ּו ָבָׂש ֖ ר
ִ֑ מ
Gr: σὰρξ ἐκ τῆς σαρκός μου
Lat: caro de carne mea
Il parallelo con le ossa rende l’idea della composizione: corpo
umano come composto di queste due distinte componenti. בשׂר
qui viene ad indicare indistintamente la sostanza carnea – anche
altrove troveremo per esempio l’espressione ‘occhi di ’בשׂר, o
l’impossibilità di distinguere in ‘ בשׂרmuscoli’ e ‘pelle’, o altri
tessuti.
GN 2:24
«Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre
e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne»
Ebr: א ֶָחֽד ְלבָָׂש ֥ ר
Gr: εἰς σάρκα μίαν
Lat: [erunt] duo in carne una
Per quanto evidentemente si tratti di un uso metaforico e poetico,
di significativo rilievo teologico, ci sembra che anche le
traduzioni indichino univocamente un senso letterale riferito alla
carne del corpo umano vivo (per vivo intendiamo soprattutto: nel
suo manifestarsi vivente). Per renderci conto della precisione di
questa identificazione, possiamo vagliare traduzioni alternative a
partire da altri esiti comuni di בשׂר: un solo corpo, un solo uomo,
una sola pelle, un solo essere vivente, et cetera. Per ragioni che,
anche dal solo punto di vista logico-traduttologico, prescindono
la mera consuetudine (l’espressione è entrata nell’uso liturgico, e
divenuta proverbiale), ci sembra sia impossibile non riferire
queste traduzioni alternative al senso stretto del potenziale
letterale della prima – sostanza carnea – soprattutto alla luce
dell’allusione unitivo-procreativa della generazione.
GN 41:2
«Ed ecco salirono dal Nilo sette vacche, belle di
aspetto e grasse e si misero a pascolare tra i giunchi»
Ebr: יא ֹת
֣ ָּב ָׂש ֑ ר ּוב ְִר
Gr: ἐκλεκταὶ ταῖς σαρξὶν
Lat: [pulchrae et] crassae nimis
Né la LXX né la Vulgata traducono qui letteralmente l’ebraico,
che dice ‘di grassa carne’. Il greco riporta ἐκλεκταὶ – ‘scelte’
nella carne, con dativo di limitazione –. Il contesto è chiaro,
esprimendo una valutazione di tipo alimentare – le vacche grasse
verranno mangiate da quelle magre.
L’apprezzamento sulla qualità dell’animale, viene evidentemente
espresso sulla parte edibile: ‘grassa’ qui sta per florida, di molta
carne.
GN 41:3 / 41: 4 / 41:18 / 41:19 analoghi a GN 41:2
ES 4:7
« Egli disse: "Rimetti la mano nel seno!". Rimise in
seno la mano e la tirò fuori: ecco era tornata come il
resto della sua carne»
Ebr: ]ְָׂשרֹו [ָׁש ֖ בָה
ֽ ִּכ ב
Gr: εἰς τὴν χρόαν τῆς σαρκὸς αὐτοῦ
Lat: similis carni reliquae
Letteralmente, nell’ebr. la mano ritorna [ ָׁש ֖ בָה, da ׁשּוב47,
‘ritornare, tornare indietro’] ְָׂשרֹו
ֽ ִּכ ב, ‘come la carne sua’ – stato
costrutto. In greco, viene aggiunto χρόαν, che indica proprio il
colorito, l’apparenza della pelle – εἰς con accusativo, moto a
luogo figurato con idea di conformazione – e χρόαν viene
riferito alla sua σαρκὸς, che è il testimone diretto di בשׂר.
Il dato principale è che la mano – non differentemente dal resto
della sua carne – è fatta di בשׂר, e la בשׂרè anche la parte visibile.
Non ci sembra possibile identificarla con la sola ‘pelle’, poiché,
nel passo, la mano viene ad essere lebbrosa [ – צ ַָרעַתlebbra],
qualcosa che anche visivamente non si limita ad interessare la
parte superficiale di un arto: – בשׂרe non – עֹורci sembra qui
pienamente giustificato in quanto ‘carne’.
47
STRONG 7725
LV 13:10
«ed egli lo esaminerà; se vedrà che sulla pelle c'è un
tumore bianco, che questo tumore ha fatto imbiancare
il pelo e che nel tumore si trova carne viva»
Ebr: ַ ֖חי ָּבָׂש ֥ ר
Gr: τῆς σαρκὸς τῆς ζώσης
Lat: caro viva
Si tratta di un passo complesso quanto alla ricostruzione del
senso letterale48.
ַּבְׂש אֵ ֽת ַ ֖חי ָּבָׂש ֥ ר ּומִ ֽ ְח ַי ֛ת: la LXX interpreta la מcome preposizione,
rendendo ἀπὸ τοῦ ὑγιοῦς τῆς σαρκὸς τῆς ζώσης ἐν τῇ
οὐλῇ, interpretando come una ‘crescita di tessuto vivo in eccesso
nel mezzo della cicatrice [ἐν τῇ οὐλῇ]’.
La Vulgata glissa, rimandando tutto al ‘Plaga leprae’ del verso 9.
οὐλῇ rende l’ebr., ְׂש אֵת, riferito a ‘[ ֶ ֣נגַעpiaga’, nel senso del
luogo generico del sintomo visibile preso in considerazione]. ְׂש אֵת
letteralmente andrebbe inteso come ‘punto rialzato/evidenziato’:
K.J.V. traduce swelling, ‘gonfiore’.
48
cfr. LANGE 1899, p. 352; MILGROM , pp. 784-785; 825-826. Anche prescindendo dal
riconoscimento della patologia in questione, le osservazioni che muoviamo intorno al dato
centrale – l’espressione – ַ ֖חי ָּבָׂש ֥ רrestano coerenti ed in accordo con gli studi citati.
L’interpretazione letterale, e quindi le relative traduzioni,
dipendono dall’identificazione della malattia in questione – di
fatto impossibile.
Il dato importante, è l’asse ַ ֖חי ָּבָׂש ֥ ר/ τῆς σαρκὸς τῆς ζώσης: qui
בשׂרè inteso nel senso più materico e individuato/circoscritto
possibile, riferendosi evidentemente ad una porzione di carne
circoscritta, irrorata e viva49. Particolarmente, questo lo si ricava
֔ : la ‘[ ְׂש אֵתdivenuta bianca’ - ֙] ְל ָבנָה
dal precedente ָּבעֹור ְל ָבנָה֙ ְׂש אֵת־
si trova ָּבעֹור֔ , ‘sulla pelle’, oppure è divenuta bianca
limitatamente alla sua parte composta di pelle – e quindi la ְׂש אֵת
possiede una עֹור –, e la diagnosi procede proprio dal
ritrovamento di una בשׂרindividuata differenzialmente rispetto
alla עֹור: ‘carne viva’, contrapposta a ‘pelle’.
LV 13:11 analogo a LV 13:10
LV 13:13
«questi lo esaminerà; se vedrà che la lebbra copre tutto
il corpo, dichiarerà mondo colui che ha la piaga:
essendo tutto bianco, è mondo»
49
cfr. MILGROM , p. 784
Ebr: ְּבָׂשרֹו ָּכל־
֔
Gr: πᾶν τὸ δέρμα
Lat: eo quod omnis in candorem versa sit, et idcirco homo
mundus erit
L’ebr. qui usa una formula [ ] בשׂרָּכל־che vedremo
successivamente come peculiare, idiomatica, ma con un
significato totalmente differente.
Questo caso è emblematico della possibilità di fraintendere בשׂר
come ‘corpo’. Evidentemente, la lebbra – piaga – riguarda la
carne, manifestandosi sulla pelle, come abbiamo visto nei passi
precedenti. ‘Corpo’ va qui inteso metonimicamente come
‘carne’, e non nel suo senso figurale. Secondo il suo senso
figurale, il corpo deve includere tutti i tessuti, visibili – pelle,
capelli, occhi, et cetera – ed interni – organi, ossa, et cetera –, e
trascenderli in un’unità funzionale organica, indicante la
manifestazione individuale/personale e nessuna parzializzazione
della stessa. Benché nelle lingue europee moderne i lemmi che
veicolano il concetto-moderno di ‘corpo’ abbiano la possibilità
metaforica di indicare – come in questo caso – per esempio la
‘carne’, non di meno veicolano primariamente il corpo figurale.
Questa bivalenza, ovviamente assente nell’ebraico בשׂר, può
creare una fortissima ambiguità.
Letto nel testo masoretico, così come nel parallelo greco [ πᾶν τὸ
δέρμα], il passo è del tutto privo di questa ambiguità.
Il latino è trascurabile, adottando una perifrasi ampia.
LV 13:14 / 13:15 / 13:16 / analogo a LV 13:10
LV 13:18 / 13:24 / analogo a LV 13:13
Per potere analizzare il passo seguente – e ciò, naturalmente, ci
sarà utile in molti passi successivi, ed indispensabile per una
comprensione generale dell’area semantica coperta tanto dal
termine בשׂרquanto dagli altri lemmi corporali fondamentali che
incontreremo –, si rivela necessario un excursus rapido quanto
focalizzato sul termine ֶ ֣נפֶׁש.
* * * * * * *
2.1a – נֶפֶׁש50
L’ebraico נֶפֶׁשha i suoi corrispondenti in tutte le lingue
semitiche51. Il verbo נפשׁal niphal, significa «respirare».
50
STRONG 5315
51
BERGSTR. EINF. 185; FONZAROLI, AANLR VIII/19, 1964, 246-248; 263; 275 seg.
Dizionari e studi specifici52 articolano il seguente prospetto di
significati:
- Gola/fauci; alito/respiro [significato fondamentale e
letterale]
- Fame; sete (di vendetta); richiesta, desiderio [termini con
significato pulsionale, orientato dinamicamente verso una
soddisfazione]
- concetto di anima associato a: il desiderio; la fame o la
sazietà; una condizione attiva di odio od amore; l’atto del
vivere
- la vita nel suo: salvarsi; preservarsi; conservarsi; essere
minacciata;
- La vita nel suo complesso
- Essere vivente/uomo, nel contesto de: la legge; le
enumerazioni;
- Uso pronominale
Compare inoltre in alcune locuzioni fisse [es: מת נפש,
‘cadavere’].
Gli studi citati indicano come sicuri il significato concreto di
‘gola/fauci’, e ‘respiro’ – dedotto dal verbo נפשׁni.
Si noti che gli altri principali testimoni dei fondamentali
componenti la costituzione antropologica tripartita tradizionale –
volutamente, qui, non entriamo nello specifico –, נשׁמהe רוח, così
come per il greco πνεύμα e ἄνεμος ed il latino spīrĭtŭs (ănĭma è
52
DUSSAUD 1935; MURTONEN 1958; LYS 1959; WOLFF 1974, pp. 25-48; cfr. GINSBURGH 2008
un calco greco), mantengono sempre un significato letterale
concreto connesso al soffio d’aria, respiro.
Anche nei passi in cui נֶפֶׁשva tradotto ‘anima/vita’ o ‘essere
vivente’, è evidente la vicinanza di tale significato a ‘respiro’, del
quale è testimone fisico la gola, in una delle sue funzioni
fondamentali [es. 1RE 17, 21.22, e soprattutto GN 2,7, in
evidente connessione con il respiro in quanto alito della vita,
testimoniata fisicamente dall’atto del respirare].
Dai passi citati e da GN 1,20.21.24; 9,10.12.15.16; LV 11,10.46;
EZ 47,9, si deduce che il significato di נֶפֶׁשin quanto ‘respiro’ è
ancora noto all’AT, benché nel senso stretto e letterale venga
usato raramente53. A queste occorrenze, si aggiungono le tre di
נפשׁniphal, ES 23,12; 31,17; 2SAM 16,14 , con significato
analogo.
Parallelamente, il connesso significato concreto di ‘gola’, è
chiaramente attestato in due passi dei Salmi [SAL 69, 2; 124,
4.5] e in Giona 2,6. Inoltre, in due passi profetici [IS 5,14; AB
2,5], troviamo la נֶפֶׁש/‘gola’ in quanto capace di aprirsi e lasciare
passare al suo interno (‘fauci’) – questo significato è comprovato
da Dürr54 e nel suo parallelo ugaritico da Tromp55.
Ciò che è interessante notare, è il potenziale metonimico dei due
significati letterali di ‘respiro’ e ‘gola’, e della loro
interconnessione. In tutte le aree semantiche proposte dai
dizionari per la corretta comprensione dei significati del termine
53
cfr. WESTERMANN 1971, in DTAT, vol. II, « » ֶ ֣נפֶׁש, pp. 69-71
54
cfr. WESTERMANN 1971, p. 69
55
TROMP 1969
נֶפֶׁש, è possibile trovare una connessione diretta – seppur
metaforica – con uno dei due significati letterali – o, meglio, con
il risultato teorico della interconnessione dei due.
Nei passi in cui נֶפֶׁשviene tradotto fame56, vediamo la possibilità
letterale di intendere ‘gola’, come nell’italiano ‘fare gola’ indica
un dinamismo appetitivo, gola come metonimia della fame,
brama, necessità.
Come nell’italiano ‘fare gola’, o ‘prendere per la gola’, il termine
letterale connesso al significato concreto resta esplicito nella
perifrasi, così in ebraico נֶפֶׁשperdura nel suo senso
concreto/letterale – che, ripetiamo, ci sembra piuttosto un
‘termine medio’, concettualmente come concretamente, tra
‘respiro’ e ‘gola’.
Esattamente in questo senso, ci sembra vadano letti i passi in cui
נֶפֶׁשveicola il senso del ‘desiderio/richiesta/piacere’57.
Prendiamo come esempio significativo 1SAM 2,35, dove
leggiamo l’espressione secondo il mio cuore e il mio desiderio,
ebr.: ּו ְבנַ ְפִׁש ֖ י ִּב ְלב ִָב֥י. Il senso è chiaro, c’è un moto volitivo, un
56
come DT 23,25 «potrai mangiare uva secondo la tua fame»; OS 9,4 «poiché il loro pane
è solo per la loro fame»; PR 12,10 «il giusto ha comprensione per la brama del suo
bestiame» [analoghi: PR 10,3; 16,26]; IS 29,8 «Avverrà come quando un affamato sogna di
mangiare, ma si sveglia con lo stomaco vuoto» [ נַפְׁשֹו֒ ו ְֵר ָ ֣יקה, lett: ‘ma la sua gola / נֶפֶׁשè
ancora vuota’]
57
come: DT 21,14 : «Se in seguito non ti sentissi più di amarla, la lascerai andare a suo
piacere» - ; ְלנַפְָׁש֔ ּה
1SAM 2,35 : «Dopo, farò sorgere al mio servizio un sacerdote fedele che agirà secondo il
mio cuore e il mio desiderio» - ; ּו ְבנַ ְפִׁש ֖ י ִּב ְלב ִָב֥י «avete ripreso ognuno gli schiavi e le
schiave, che avevate rimandati liberi secondo il loro desiderio» - ; ְלנַ ְפָׁש ֑ ם
Et cetera.
appetito, un dinamismo pulsionale, e נֶפֶׁשviene qui reso in
italiano con ‘desiderio’. Il metaforico ‘cuore’, resta nel suo
significato concreto e letterale, senza perdere la carica
metaforico-poetica dell’originale, dato che riscontriamo
un’equipollenza nel potenziale metonimico del ‘cuore’ tra i due
idiomi58. I termini concreti che sorreggono l’espressione
metaforica, sono il ‘cuore’ e la ‘ ’נֶפֶׁש, che possiamo,
analogamente, intendere come ‘gola’. Ma, mentre ‘cuore’
nell’italiano – nelle lingue europee moderne – supporta ancora
questa carica metaforica, non altrettanto può farlo un qualsiasi
significato concreto/letterale per נֶפֶׁש, sia esso ‘gola’, ‘respiro’,
etc. Da qui, la perifrasi sempre presente in traduzione nei passi
che portano questo senso desiderativo/pulsionale.
Un caso molto vicino a quanto stiamo cercando di indicare, è
l’italiano ‘anelito’, con il significato di ‘aspirazione
ardente/brama’: sostantivo dal latino anhelo, ‘respirare
affannosamente’ – e simili. La facoltà desiderativa trova la sua
situazione concreta, analogica, nell’atto concreto del respirare –
già caricato di un senso eccedente dalla sua forma intensificata.
In breve, non stiamo dicendo che נֶפֶׁשsignifichi ‘gola’, o
‘respiro’, ma che il suo significato concreto-letterale, mancante
tanto in greco59 quanto nelle lingue europee moderne, fosse un
modo particolare di ‘concettualizzare/reificare/identificare’ un
aspetto concreto dell’azione della gola in quanto veicolo del
respiro, e che in tutte le varie ‘sfumature’ traduttologiche che le
58
qui: ֵלבָב, da לֵב, ‘cuore’, con identico significato
59
1 SAM 2,35 e passi analoghi, riportano un ambiguo ψυχή che suona piuttosto come
‘calco’ di נֶפֶׁשin quanto termine problematico, piuttosto che come ‘traduzione’
lingue europee moderne sono costrette a indicare per esaurire le
possibilità di significazione del lemma ebraico, questo senso
letterale/concreto non venga escluso, bensì utilizzato in quanto
esplicito veicolo metaforico.
E questo ci sembra ben testimoniato anche nell’espressione
idiomatica «Se tale è il vostro sentimento» - [ נַפְְׁש ֶ֔כם ֵיׁ֣שאִם־2RE
9,15]; così come in ES 23,9, «voi conoscete la vita dello
straniero», di cui Westermann dice «Probabilmente anche qui c’è
sullo sfondo il significato di “desiderare, pretendere”, e ci si
riferisce al desiderio di essere trattato umanamente»60.
Parimenti, QO 6,7 «Tutta la fatica dell'uomo è per la bocca e
tuttavia la sua brama non è mai sazia», dove bocca è
concretamente ל ִ ְ֑פיהּו, e un altrettanto concreto significato per
ַהֶּנ ֖ פֶׁשchiuderebbe bene il circuito metaforico paradossale [‘e
tuttavia la sua “gola” non è mai sazia’]. Westermann su questo
passo: «il passo dimostra che anche in epoca posteriore non si è
del tutto dimenticato il significato concreto di “gola, fauci”»61.
Ulteriormente significativi, sono i passi in cui נֶפֶׁשviene tradotto
‘anima’. Data l’ambiguità di cui sopra a proposito del termine
ψυχή a questo riguardo, ci riferiamo soltanto ad ‘anima’ come
esito italiano e paralleli nelle traduzioni in lingue europee
moderne, prescindendo dal senso specifico che questo termine di
volta in volta viene ad assumere (senso estrinsecabile soltanto
60
cfr. WESTERMANN 1971, p. 71
61
Ibid.
entro un dato contesto significante – filosofico, teologico, et
cetera).
In una ventina di questi passi, נֶפֶׁשè unito a ָאוָה62, in locuzioni che
esprimono il ‘desiderare’. In breve, non si tratta qui dell’ ‘anima’
quale realtà ontologica specifica, statica, ma in questa
connessione ricorrente viene esplicitato un aspetto specifico del
significato di נֶפֶׁש, ancora una volta dinamico/desiderativo: e così,
in traduzione, l’anima ‘brama, desidera, si volge al piacere’. Al
posto dell’anima in quanto realtà statica, abbiamo qui una –
meno aristotelica – locuzione di movimento, appetito, una realtà
dinamica.
Analogamente, il desiderio dell’affamato viene riferito alla נֶפֶׁש, e
nella traduzione affidato a locuzioni come «non vi è un fico che
il mio cuore desideri» - ְִּות֥ה
ָ [ נַפְִֽׁשי אMIC 7,1].
«La traduzione con “anima” in questi passi è solo una
soluzione di ripiego»63
Con ‘in questi passi’, Westermann si riferisce indifferentemente
ai passi della ‘ נֶפֶׁשaffamata’ – in senso più o meno metaforico – e
della נֶפֶׁשcome ‘brama, avidità, mozione pulsionale’.
Si riscontrano anche passi dove, pur testimoniando un senso
dinamico-pulsionale, dove il senso è quello della ricerca di una
soddisfazione esplicitamente metaforica – per esempio
nell’allegoria profetica –, non di meno il senso letterale è
62
STRONG 183; cfr. DTAT p. 72
63
Ibid., p. 72
utilizzato nella variante più materica e concreta possibile: «per
lasciare vuota la נֶפֶׁשdell’affamato» - versione CEI: «per lasciare
vuoto lo stomaco dell'affamato [e far mancare la bevanda
all'assetato] »64.
Vi è poi un gruppo di passi (fondamentali per la ‘stabilizzazione’
dell’asse “נֶפֶׁש- ψυχή – anima”), nei quali נֶפֶׁשsi unisce a
vocaboli della radice מרר, ‘essere amaro’65.
Prendiamo GB 27,2 «Per la vita di Dio, che mi ha privato del mio
diritto, per l'Onnipotente che mi ha amareggiato l'animo» - lett.
‘ha reso amara la mia נַפְִֽׁשי הֵמַ ֥ר- ’נֶפֶׁש.
Questi passi testimoniano di una corruzione, un
depotenziamento, una degradazione di qualcosa che era –
normalmente – integro. Qualcosa è decaduto dal suo stato
normale. Con una lettura che non sembra esente da un certo
heideggerismo, si è spesso recentemente ripetuto che l’uomo
biblico manifesti il suo proprium più effettivo nell’amarezza, nel
dolore, nell’esasperazione; «non è per nulla casuale che proprio
la formula fissa נפשׁ מרindichi qualcosa che è tipico per capire la
נֶפֶׁשdell’AT»66. Senza pronunciarci ulteriormente su questo
facciamo notare che al ben nutrito gruppo di passi in cui la נֶפֶׁש
risulta degradata, depauperata, afflitta, non ne corrisponde affatto
uno simile nel quale l’anima si esalti, rallegri, provi gioia.
64
Is 32,6
65
di cui 10 nella formula fissa – נפשׁ מרGDT 18,25; 1SAM 1,10; 22,2; 2SAM 17,8; IS 38,15;
EZ 27,31; GB 3,20; 7,11; 10,1; PR 31,6
66
ibid., p. 74
«Rallegra la vita del tuo servo», è detto da un supplice
implorante [SAL 86,4], e questo è il massimo.
Proponiamo una lettura alternativa.
La salute è il silenzio del corpo, lo sanno tutti, specialmente i
malati. Ora, nella nostra esperienza generale, si ammala talvolta
un organo, talvolta un altro, ed il silenzio di cui sopra sarà rotto
dalla voce dell’organo che principia a farsi sentire.
Supponendo il grado massimo di reificazione, ovvero
identificazione/definizione organico-oggettuale, per il quale –
come abbiamo più volte ripetuto – siamo sprovvisti del termine,
per il lemma נֶפֶׁש, immaginiamo di conseguenza che lo stato
‘pienamente vitale’, ovvero la salute massima di questo, coincida
precisamente con il suo silenzio, con la possibilità minima di
discrezione della sua manifestazione.
L’iperattività di un organo – o, per estensione, di una funzione
vitale, è sempre sintomatica, e quindi significativa ma innocua
soltanto se episodica ed apicale. Se la passione può essere
parossisticamente tachicardica, certamente non può esserlo
impunemente un qualsiasi innamoramento.
Se ipotizziamo la massima organicità, ovvero il massimo grado
di concretezza corporea, per il significato letterale del termine
נֶפֶׁש, possiamo spiegare così la discrepanza riscontrabile
nell’abbondanza di passi ‘negativi/difettivi’ e la mancanza di
passi ‘positivi/esaltativi’: la נֶפֶׁשè parte dell’uomo, nel suo
manifestarsi concreto, carneo, corporale; il suo silenzio è la sua
salute, il suo degradarsi è la sua malattia.
Resta da considerare il vasto gruppo di passi nel quale נֶפֶׁשviene
tradotto nelle lingue europee moderne con ‘vita’ [life, leben, et
cetera]. Citiamo ancora Westermann:
«emerge un fatto sorprendente: נֶפֶׁשnon significa ‘vita’
nel senso generale e molto vasto con cui il termine
viene usato nelle lingue europee moderne. […] L’uso è
invece rigorosamente concentrato entro i confini del
vivere; נֶפֶׁשè la vita in contrapposizione alla morte»67
Questo rigore si chiarifica ulteriormente nel notare che la נֶפֶׁש
come ‘vita’ compare sempre in due gruppi principali di
significato: nel primo, troviamo passi in cui si tratta della
salvezza o conservazione della vita; nell’altro, della minaccia od
annientamento.
Ci sembra corretto supporre che ciò dipenda dalla manifestazione
dinamica fenomenologicamente inerente alla נֶפֶׁשnel suo senso
concreto di cui sopra. La vita è testimoniata da processi di
manifestazione dinamica – emblematicamente: il respiro – ed il
suo interrompersi dall’assenza degli stessi.
Per comprendere – e ogni eventuale difficoltà dipenderà
esclusivamente dall’assenza di un termine di riferimento
equivalente e concreto nelle lingue europee moderne rispetto a
– נֶפֶׁשcome, a nostro avviso, sia possibile ‘mantenere’ il
significato primo/concreto/letterale del lemma anche quando
questo viene a significare concetti ed oggetti inerenti ad aree
67
Ibid., p. 84
semantiche secondarie e lontane, non ci limiteremo ad indicarlo
come uno slittamento metaforico – seppur questo ci paia essere il
dinamismo principale – ma proveremo ad indicarne l’evoluzione
semiologica utilizzando alcune categorie dello studioso
americano C. S. Peirce.
Tutte le idee, dice Peirce68, possono essere raggruppate nelle tre
categorie della Firstness, Secondness, Thirdness.
«La Primarietà [Firstness] è il modo d’essere di ciò che
è come è, con certezza e senz’alcun riferimento a
qualsiasi altra cosa.
La Secondarietà [Secondness] è il modo d’essere di ciò
che è come è, con riguardo ad una seconda cosa ma
senz’alcun riferimento a una qualsiasi terza cosa.
La Terziarietà [Thirdness] è il modo d’essere di ciò che
è come è, mettendo una seconda e una terza cosa in
relazione fra di loro»
Peirce illustra la sua idea di Primarietà indicando il colore
scarlatto delle livree reali, o la durezza di un qualsiasi oggetto
quale possibilità la cui realizzazione farà sì che tale cosa ci
appaia simile ad una pietra.
Per la Secondarietà, introduce le idee di sforzo e resistenza: «Uno
sforzo è tale solo in virtù del suo essere contrastato: non vi è
implicato alcun terzo elemento».
Quanto alla Terziarietà:
68
cfr. PEIRCE 1993, pp. 242-247
«Nella sua forma pura, la Terziarietà è la relazione
triadica esistente tra un segno, l’oggetto del quale esso
è segno, e il pensiero interpretante, che è un segno
anch’esso, considerato come costituente il modo
d’essere d’un segno. Un segno svolge una mediazione
tra il segno interpretante e il suo oggetto. L’elemento
terziario è qualcosa che mette un elemento primario in
relazione con un secondario».
Applicando queste categorie all’oggetto-concettuale נֶפֶׁש,
otteniamo: secondo la sua Primarietà, נֶפֶׁשè il nostro
‘intraducibile’, ciò che – assolutamente al di là di qualsiasi
effettiva corrispondenza verificabile con un oggetto reale e
discreto – non può essere privato di alcuna delle sue
caratteristiche fondamentali senza smettere di essere sé stesso.
In ordine alla sua Secondarietà, נֶפֶׁשè il suo manifestarsi
dinamico come qualcosa che viene contrastato, che è sé stesso in
relazione alla possibilità di un perdersi: precisamente ciò che
accade nell’evoluzione semasiologica del concetto stesso, senza
che questa evoluzione si produca anche a livello lemmatico.
Come abbiamo riscontrato, נֶפֶׁשviene inteso in quanto ‘vita’ in
relazione al suo annientarsi – e quindi al suo salvarsi: ricordiamo
lo sbilanciamento negativo testimoniato dal gran numero di passi
in cui la נֶפֶׁשviene ‘diminuita, degradata’, ai quali non
corrisponde un parallelo gruppo di ‘accrescimento, esaltazione’.
La comprensione Secondaria di נֶפֶׁשin quanto inserito in una
dialettica di sforzo/resistenza, produce un significato ulteriore,
una concettualizzazione discreta dell’oggetto-sforzo in quanto
tale, che si sovrappone al significato concreto/letterale senza
cancellarlo.
Secondo la Terziarietà, ogni significato Secondario – anche
potenziale – sovrappostosi all’oggetto-Primario viene sussunto,
sempre attraverso (e non ‘contro’) la Primarietà, in un livello
segnico e semiologico superiore: a questo livello, appartengono –
teoricamente: la prassi naturalmente non concede questa
discrezionalità (proprio per via della Primarietà non-negata) –
quei passi nei quali נֶפֶׁשgiunge a significare ‘vita’ nel senso
personale più stretto – dunque più discreto ed astratto –, e quindi
‘io, persona, individuo, uomo’69 – e, per perifrasi eufemistica,
‘cadavere’70.
* * * * * * *
69
‘io’: GN 19,19.20; 27,4.25; 49,6; 2SAM 18,13; 1RE 20,32; IS 1,14; GER 4,19; 5,9.29; 9,8;
EZ 4,14; et cetera; ‘tu’: GN 27,19.31; IS 51,23; PR 3,22; 24,14; et cetera; ‘egli/ella’: SAL
25,13; 109,31; PR 29,10; QO 6,2; et cetera; ‘noi’: NUM 31,50; riflessivo: IS 58,3; GER 26,19;
et cetera; ‘voi’: GB 16,4; riflessivo: LV 11,43.44; 16,29.31; 20,25; 23,27.32; NM 29,7; GER
37,9; et cetera; ‘essi/esse’: IS 3,9; 46,2; riflessivo: LAM 1,19; EST 9,31
70
LV 19,28; 21,1; 22,4; NUM 5,2; 6,11; 9,6.7.10.11.13; AGG 2,13; et cetera
LV 17:11
«Poiché la vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho
concesso di porlo sull'altare in espiazione per le vostre
vite; perché il sangue espia, in quanto è la vita»
Ebr: ]הַָּבָׂש ֮ר [נֶפֶׁש
Gr: [ψυχὴ] πάσης σαρκὸς
Lat: [anima] carnis
Procediamo sulla base di quanto detto a proposito del termine
נֶפֶׁש. L’errore principale nel quale qui si può cadere, è la
concezione della נֶפֶׁש/‘vita’ come fatto unitario, discreto,
ipostatizzato. Qui la נֶפֶׁש/vita viene presentata in una delle sue
modalità fenomeniche – come ָּד ם71 / ‘sangue’. È chiarissimo – al
di là del grado di carica metaforica – che il parallelo si instauri
sull’aspetto dinamico del significato di נֶפֶׁש, reverberato nella
peculiarità simbolica del sangue, quella di essere – come tale – in
movimento: non esiste un sangue fermo, il sangue fermo diviene
altra cosa, è esperienza comune.
Riguardo ai successivi ‘per le vostre vite’ ed ‘in quanto è la vita’,
ai quali accenniamo brevemente per la connessione soltanto
indiretta con il nostro oggetto-principale, שׂרָ ָב, rileviamo soltanto
come, acclarata l’ambiguità lasciata aperta dalle traduzioni
71
STRONG 1818
ψυχὴ/vita, si apra una larga varianza interpretativa capace di
decidersi soltanto se inserita in un contesto teologicamente
determinato.
A questo proposito, per produrre un esempio, nella storia del
giudaismo rabbinico נֶפֶׁשcoprirà una carriera di successo,
divenendo per molti72 termine specifico (e venendo anche
biblicamente letto come tale) e tecnico del lessico antropologico:
נֶפֶׁשessendo ‘anima naturale’, fondamento animico per altre
dimensioni più elevate73.
È evidente come tale lettura sia indice dell’apertura ad una
significazione ulteriore tramite collocazione in un sistema ampio,
non evincibile dal solo testo biblico, che introduce un elemento
non tanto esegetico quanto ideazionale e creativo.
LV 19:28
«Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi
farete segni di tatuaggio. Io sono il Signore»
Ebr: ְַׂשר ֶ֔כם
ְ ִּב ב
Gr: ἐν τῷ σώματι ὑμῶν
72
Per esempio per il חסידות, la filosofia dei seguaci del BeSht.
73
cfr. SAMUEL 2007, pp. 256-258
Lat: carnem vestram
Seguendo l’ordine narrativo dei testi biblici, questa è la prima
occorrenza in cui בָשָׂ רviene tradotto con σώμα. In verità, non
vediamo alcuna esigenza traduttologica stringente per preferire
questa traduzione a σαρξ. Ragioni di differente ordine –
teologico, poetico, et cetera – esulano dai confini di questo
studio.
ֶׂשרט
ֶ è effettivamente ‘incisione’, e si allude qui a pratiche
autolesionistiche di scarificazione: שׂרָ ָב- σαρξ – carne ci sembra
una catena che sarebbe qui in grado di veicolare un significato
letterale coerente.
L’uso di σώμα potrebbe essere giustificato logicamente da un
senso di figuralità corporale in ordine all’apparire, al rendersi
visibile: non in quanto ‘corpo-uno’, ma in quanto l’azione
dell’incidere o del tatuare riguarda la carne in quanto superficie
visibile (‘pelle’ sarebbe logico ma insufficiente per quanto
riguarda la scarificazione), e questa si presenta qui in quanto
‘indifferenziata’ riguardo alla specifica operazione considerata.
LV 21:5 analogo a LV 19:28
NM 12:12
«essa non sia come il bambino nato morto, la cui carne
è già mezzo consumata quando esce dal seno della
madre»
Ebr: ח ֲִצ֥י בְָׂש ֽרֹו
Gr: τὸ ἥμισυ τῶν σαρκῶν αὐτῆς
Lat: medium carnis ejus
L’episodio è quello della lebbra di Maria. Le parole sono il
discorso diretto di Aronne che supplica Dio rivolgendosi a Mosè.
Utilizza la descrizione del corpo del bambino abortito come
parallelo per indicare la piaga lebbrosa che aveva colpito Maria.
Vale dunque quanto detto sulla carne colpita da lebbra, come in
ES 4:7.
GDC 8:7
«Gedeone disse: "Ebbene, quando il Signore mi avrà
messo nelle mani Zebach e Zalmunna, vi strazierò le
carni con le spine del deserto e con i cardi"»
Ebr: אֶת-ְּבַׂש ְר ֶ֔כם
Gr: τὰς σάρκας ὑμῶν
Lat: carnes vestras
Qui si presenta nel suo senso più materico e letterale.
2RE 5:10 / 2RE 5:14
«Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: "Và,
bagnati sette volte nel Giordano: la tua carne tornerà
sana e tu sarai guarito"»
«Egli, allora, scese e si lavò nel Giordano sette volte,
secondo la parola dell'uomo di Dio, e la sua carne
ridivenne come la carne di un giovinetto; egli era
guarito»
Ebr: ִּכ בְַׂש ֛ ר/ ְּבָׂשרֹו
֗ / ְּ֛בָׂשרָך
ְ
Gr: ἡ σάρξ σού / ἡ σὰρξ αὐτοῦ ὡς σὰρξ παιδαρίου
Lat: caro tua / caro ejus, sicut caro pueri parvuli
Sappiamo da 2RE 5:1 che Nàaman è afflitto da lebbra [ ]צ ַָרע. Vale
il discorso che abbiamo più volte ripetuto sulla carne lebbrosa.
Qui la ‘carne’ viene effettivamente lavata: la situazione è
effettivamente notevolmente complicata dalla condizione
patologica, ma non di meno possiamo fare notare come qui שׂר ָ ָב,
nella sua matericità priva di ogni figuralità, includa tutti i tessuti
irrorati, pelle compresa. L’affezione patologica, anche in questo
caso, richiede l’utilizzo di שׂר
ָ ָבnella sua massima inclusività.
GB 4:15
«un vento mi passò sulla faccia, /e il pelo si drizzò
sulla mia carne...»
Ebr: ְּבָׂש ִ ֽרי ][ַֽׂש ע ַ ֲ֥רת
Gr: σάρκες
Lat: [pili] carnis meae
‘Sulla mia carne’ è letterale. Possiamo sottolineare ancora il
valore esteso/inclusivo di שׂר
ָ ָב: se in italiano i ‘peli’ si drizzano
per lo più ‘sulla pelle’, in ebraico è del tutto normale che si
drizzino ‘sulla carne’.
GB 6:12
«La mia forza è forza di macigni? / La mia carne è
forse di bronzo?»
Ebr: ְּבָׂש ִ ֥רי
Gr: σάρκες
Lat: caro
La carne di bronzo è un’immagine che richiama una realtà
scultorea. Giobbe richiama antifrasticamente l’attenzione sulla
sua debolezza. L’inclusività qui è massima (non sembra certo
discriminare la pelle o le ossa), ma la carica poetica è
evidentemente alta, e non vediamo ragioni per tradurre/intendere
‘corpo’ o concetti vicini – come di fatto non accade né per la
LXX né per la Vulgata.
GB 7:5
«Ricoperta di vermi e croste è la mia carne, /
raggrinzita è la mia pelle e si disfà»
Ebr: ְּבָׂש ִ ֣רי
Gr: τὸ σῶμα [μου]
Lat: caro mea
Come negli altri casi in cui ci imbattiamo nella descrizioni di
sintomi patologici, la ricostruzione del senso letterale è molto
ardua – tra gli altri problemi: la verosimile identificazione
dell’affezione in questione.
Nessuna delle traduzioni ricalca puntualmente il senso letterale,
ma vengono operati evidenti adattamenti lirici – soprattutto nel
segno dell’elisione di alcuni elementi presenti nel testo ebraico, il
quale recita:
– ָ֘ל ַ ֤בׁשqui nel senso di ‘ricoprire’ ‘è coperta’
‘ – ְּבָׂש ִ ֣ריla mia carne’
– ֭ ִרָּמ הgeneralmente tradotto con ‘vermi’ [come in GB 17:14;
21:6], come termine medico forse imparentato con l’arabo
ramaya ‘divenire corrotto, putrido [detto di ferita]’ 74. Gerolamo:
putredine vermium; Vulgata: putredine.
‘ – ע ָ ָ֑פר וגישe un grumo/crosta [ ּגּוׁש- hapax] ‘di polvere/terra
secca’ [] ָעפָר
עֹורי
֥ ִ – ‘la mia pelle’
– ָרגַעverbo dal significato polivalente, complesso, che indica uno
stabilirsi, fare ingresso con una forza significativa: in IS 51:15 il
Signore indica Sé stesso come colui che divide i mari, e ָרגַעè il
verbo di questa divisione; in GER 50:34, è il verbo con cui il
Signore porta pace alla terra. Un parallelo situazionalmente
negativo ma formalmente in analogia, può essere inteso come
‘disturbare/perturbare’. Qui indica l’ ‘aprirsi’, lo ‘screziarsi’ della
pelle disseccata.
– ַוִּיָּמאֵ ֽסda מַָאס, ‘rigettare, espellere’. Verosimilmente qui indica
l’atto dello ‘spurgare’, sempre riferito alla pelle piagata.
74
CLINES 1989, p. 251
Unica nota problematica, la divisione carne/pelle. Si tratta però
di una situazione esplicitamente poetica, la notazione
anatomica è sfuggente o, meglio, irrilevante.
GB 10:4
«Hai tu forse occhi di carne / o anche tu vedi come
l'uomo?»
Ebr: ֵינ֣י
ֵ ָבָׂש ֣ ר ַהע
Gr: viene adottata una perifrasi
Lat: oculi carnei
Il connettivo ‘o’ [ebr: ]אִםva qui inteso come disgiunzione
inclusiva, ‘vel’ e non ‘aut’. ‘Avere occhi di carne’ e ‘vedere
come l’uomo’ sono espressioni parificate, analoghe, del
medesimo segno.
I due ‘segni di umanità’, l’occhio di שׂר
ָ ָבe la vista dell’ אֱנ֣ ֹוׁש, in
greco vengono resi con βροτὸς e ἄνθρωπος. βροτὸς è l’uomo
in quanto mortale: il riferimento di Giobbe è alla fragilità,
condizione e punto di vista dell’uomo ‘di carne’, il mortale.
La carne- בָשָׂ רè l’elemento materico dell’occhio- ַעי ִן.
GB 13:14
«Voglio afferrare la mia carne con i denti / e mettere
sulle mie mani la mia vita»
Ebr: בְָׂש ִ ֣רי
Gr: τὰς σάρκας μου
Lat: carnes meas
Qui si presenta nel suo senso più materico e letterale.
GB 14:22
«Soltanto i suoi dolori egli sente / e piange sopra di sé»
Ebr: ְּ֭ב ָׂש רֹו
Gr: αἱ σάρκες αὐτοῦ
Lat: caro ejus
La versione italiana è molto lontana dal senso letterale, e sparisce
del tutto il riferimento esplicito alla carne, presente invece sia
nella LXX che nella Vulg.
In ebraico יִכ ָ ְ֑אב ע ָָל֣יו ְּ֭ב ָׂש רֹו, compaiono la preposizione ‘[ עַלsopra’]
e il verbo ָּכַאב, con il senso di ‘essere nel dolore’, riferito a ְּב ָׂש רֹו,֭
‘la sua carne’.
“piange sopra di sé”, inoltre, manca della forma riflessiva, e
letteralmente indicherebbe il ‘gemere’ [ ]ָאבַלdella sua נֶפֶׁש.
In greco, abbiamo il verbo ἤλγησαν [ἀλγέω] riferito alle
σάρκες αὐτοῦ, traduzione letterale.
Lo scarto logico del traduttore italiano non tradisce il senso
letterale del ‘dolere della carne’, ma lo verte in forma implicita.
GB 21:6
«Se io ci penso, ne sono turbato / e la mia carne è
presa da un brivido»
Ebr: ְּ֝ב ָׂש ִ֗רי
Gr: [μου] τὰς σάρκας
Lat: carnem meam
La traduzione è letterale. La carne è presa [verbo ]ָאחַזda un
tremore [ – פַָּלצּותgreco ὀδύναι].
GB 33:21
« quando la sua carne si consuma a vista d'occhio / e le
ossa, che non si vedevano prima, spuntano fuori»
Ebr: ְּבָׂש ֣רֹו
Gr: αἱ σάρκες
Lat: caro ejus
Ancora una volta, la carne è intesa come tessuto molle, tutto ciò
che ricopre le ossa.
GB 33:25
«allora la sua carne sarà più fresca che in gioventù, /
tornerà ai giorni della sua adolescenza»
Ebr: ְּבָׂש ֣רֹו
Gr: [αὐτοῦ] τὰς σάρκας
Lat: caro ejus
Qui la carne è evocata come testimone visibile
dell’invecchiamento, e quindi anche della forza e del vigore della
gioventù. Da sottolineare la bivalenza – implicita – tra ciò che di
questo vigore è apprezzabile alla vista e ciò che si può esprimere
nel gesto: la בשׂרè tanto la sede da cui si sprigiona la forza,
quanto ciò che di questa sede si offre alla vista. Ma, pur in quanto
tale, manca affatto l’idea di figuralità, il complesso della carne in
quanto corpo; anzi, l’accento implicito sul vigore
perduto/riacquistato, tende principalmente ad alludere alla
muscolarità.
GB 41:15
«Le giogaie della sua carne son ben compatte, / sono
ben salde su di lui, non si muovono»
Ebr: מְַּפל֣י
ֵ בְָׂש ֣רֹו
Gr: σάρκες δὲ σώματος αὐτοῦ
Lat: Membra carnium ejus
Si tratta di un passo interessante. Descrive il corpo formidabile
del Leviatan. Pur data l’impossibilità di definire in modo
dirimente cosa siano ‘le giogaie della carne’, in ebraico :ְַּפל֣י ֵ ָׂש ֣רֹו מ
– מַ ָּפלquasi un hapax, comparendo soltanto due volte – forse da
נָפַל, ‘cadere’, qui nel senso di ‘pendere’, ovvero di parti
concepibili come unità a sé stanti. Nell’unica altra occorrenza,
Amos 8:6, מַָּפלindica la parte scartata del grano (la pula).
L’idea è quella della saldezza delle membra, espressa dai verbi
– דָ ֵ ֑בקּוriferito alle מְַּפל֣י
ֵ – בְָׂש ֣רֹוe κεκόλληνται – riferito alle
σάρκες δὲ σώματος αὐτοῦ.
Il greco traduce quasi alla lettera, ed esprime bene la differenza
tra queste componenti di carne e ‘il corpo’ / ‘esso stesso’, come
composto anche di queste stesse – che stanno salde ‘su di lui’ –
֝ ָע ָ֗ליו. σάρκες δὲ σώματος αὐτοῦ indica l’appartenere di queste
‘carni’ al di lui σώμα, segnando l’appartenenza delle seconde al
primo. La differenza fondamentale, è l’introduzione dell’idea di
σώμα/corpo nella versione greca.
ֵ מ75 con ‘membra’, aderisce di più alla
Il latino, pur traducendo ְַּפל֣י
lezione ebraica, utilizzando un riflessivo là dove il greco
introduce l’idea di σώμα: Membra carnium ejus cohaerentia sibi.
SAL 38:4
«Per il tuo sdegno non c'è in me nulla di sano, / nulla è
intatto nelle mie ossa per i miei peccati»
Ebr: ]מְת ֹםאֵין־
֣ [ ִּ֭ב בְָׂש ִרי
Gr: [οὐκ ἔστιν ἴασις] ἐν τῇ σαρκί μου
Lat: [Non est sanitas] in carne mea
La versione italiana riporta uno scarto semantico di natura
poetico-interpretativa. Tanto la lezione greca quanto quella
latina, riportano la ‘carne’ dell’ebraico. Anche la KJV, a titolo
esemplare, recita “There is no soundness in my flesh”, letterale.
Questo è uno dei passi che vengono annoverati tra i potenziali
casi in cui בשׂרrivelerebbe in sé un’afferenza semantica
potenziale ad una soluzione pronominale: a nostro avviso, questo
non ha ragioni intrinseche, ma soltanto opzioni poetiche.
Notiamo, ancora, il parallelo ֶעצֶם/בשׂר, ‘carne/ossa’.
75
Stato costrutto di [ מַָּפלSTRONG 4651]
SAL 38:8 analogo a SAL 38:4
SAL 84:3
« L'anima mia languisce / e brama gli atri del Signore. /
Il mio cuore e la mia carne / esultano nel Dio vivente»
Ebr: ְָׂשרי
֑ ִ ּוב
Gr: ἡ σάρξ μου
Lat: caro mea
Che il cuore e la carne possano ‘esultare’ [ ֝י ְ ַרְּננ֗ ּו, da ָרנַן, verbo che
indica un’espressione sonora e liberatoria, non lontana dal pianto
di gioia] ce lo assicura il contesto poetico. Nelle 54 occorrenze
veterotestamentarie di questo verbo, lo troviamo associato a una
molteplicità interessante di soggetti: le nazioni, le stelle, il popolo
di Dio, la lingua, il cuore, i cuori…
Osservandoli, cercando una chiave di lettura per il verso in
questione, ci sembra di poter concludere che la sfumatura che
rende possibile le esultanze del ‘cuore’ e della ‘carne’, sia il loro
potenziale vitale/dinamico: non sono ‘ossa’.
Come abbiamo ormai avuto più volte modo di osservare, בשׂר
veicola un certo potenziale vitale che le ossa non hanno. Il cuore
e la carne sono in stretta relazione con il sangue. בשׂרè quella
parte dell’uomo che ne dimostra la vita – più che ‘contenere’:
opzione che, pur apparendo decisamente legittima, manca in
definitiva di testimoni scritturali –, meglio: il suo esprimersi in
atti vitali.
Il ‘cuore’ duplica questo concetto, introducendo la sua ulteriorità
simbolica; diciamo ‘duplica’, perché troveremo più volte
l’asserzione che prevede il cuore essere fatto di בשׂר.
SAL 109:24
«Le mie ginocchia vacillano per il digiuno, / il mio
corpo è scarno e deperisce»
Ebr: ְָׂשרי
ִ֗ ּו֝ ב
Gr: ἡ σάρξ μου
Lat: caro mea
La versione italiana adotta una perifrasi introducendo il concetto
di corpo, che non si trova né nella LXX né nella Vulgata.
Letteralmente, l’ebraico: ְָׂשרי
ִ֗ ָּכחׁ֥ש ּו֝ ב
ַ מִ ָּֽׁשמֶן, ‘la mia carne è carente
di grasso [’]ֶׁש מֶן.
SAL 119:120
«Tu fai fremere di spavento la mia carne, / io temo i
tuoi giudizi»
Ebr: ְָׂשרי
ִ֑ ב
Gr: τὰς σάρκας μου
Lat: carnes meas
Questo passo si allinea agli altri già visti dove la carne è soggetto
di tremito, brividi. Viene considerata ancora una volta come
oggetto unitario con la pelle.
IS 9:19
«Dilania a destra, ma è ancora affamato, / mangia a
sinistra, ma senza saziarsi; / ognuno mangia la carne
del suo vicino»
Ebr: [ ְּבַׂשר־ ] זְר ֹ֖עֹו
Gr: τὰς σάρκας [τοῦ βραχίονος αὐτοῦ]
Lat: carnem brachii sui
La versione italiana è un’interpretazione libera. Letterali rispetto
all’ebraico, e concordi, la LXX e Vulgata traducono ‘carne del
braccio’.
IS 17:4
«In quel giorno verrà ridotta la gloria di Giacobbe
e la pinguedine delle sue membra dimagrirà»
Ebr: ְּבָׂשרֹו
֖
Gr: τὰ πίονα τῆς δόξης αὐτοῦ
Lat: carnis ejus
In questo caso, è la LXX ad aggirare il senso letterale. La lezione
ebraica letteralmente vede il diminuire del ‘grasso della carne’ –
espressione già trovata in SAL 109:24.
Viene ripetuto il sostantivo δόξα del primo periodo: sostituisce il
concetto di ‘floridità della carne’ con πίονα τῆς δόξης,
‘abbondanza della gloria’.
La Vulgata mantiene ‘carne’.
La versione italiana adotta una perifrasi, introducendo ancora una
volta ‘membra’ al posto di ‘carne’.
IS 49:26
«Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori,
si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto»
Ebr: ְּבָׂש ָ֔רם אֶת־
Gr: τὰς σάρκας αὐτῶν
Lat: carnibus suis
Abbiamo qui una rara occorrenza plurale di בשׂר. In nessun caso,
il significato appare in qualche modo latore di una accezione
particolare.
DN 1:15
«terminati questi, si vide che le loro facce erano più
belle e più floride di quelle di tutti gli altri giovani che
mangiavano le vivande del re»
Ebr: יאי
֖ ֵ ָּב ָׂש ֑ ר ּוב ְִר
Gr: ταῖς σαρξὶν
Lat: [vultus eorum] corpulentiores
Si trova qui la medesima espressione di GN 41:2, letteralmente
‘grasse nella carne’.
L’espressione è riferita qui a ֙מ ְַראֵיהֶם, letteralmente ‘le fattezze’,
non esattamente ‘i volti/le facce’. בשׂרquindi è riferito
all’apparire del corpo, relativamente alla sua possibilità di
dimagrire od ingrassare. Ancora una volta, abbiamo un senso
estensivo di בשׂר, ma privo della figuralità unitaria che ritroviamo
nel concetto-lemma moderno di ‘corpo’.
ZC 14:12
«Questa sarà la piaga con cui il Signore colpirà tutti i
popoli che avranno mosso guerra a Gerusalemme:
imputridiranno le loro carni, mentre saranno ancora in
piedi; i loro occhi marciranno nelle orbite; la lingua
marcirà loro in bocca»
Ebr: ְּבָׂשרֹו
֗
Gr: αἱ σάρκες αὐτῶν
Lat: caro
‘Carne’ qui è in parallelo con ‘occhi’, ‘lingua’. L’azione del loro
‘degradare’ è espressa dallo stesso verbo, ָמקַק. Ciò suggerisce
l’affinità nella percezione della בשׂר, come degli occhi e della
lingua, come ciò che del corpo ha possibilità di ‘marcire’.
2.2 – “Pelle della carne”
Vi sono sei versetti del capitolo 13 del Levitico – capitolo di
prescrizioni mediche sulla lebbra – nei quali ricorre l’espressione
‘pelle della carne’ [LV 13:2 ְּבָׂש ר ֹ֙ו בְעֹור־, ‘sulla pelle della sua
carne’, etc].
LV 13:2
CEI: sulla pelle del corpo
Ebr: ְּבָׂש ר ֹ֙ו בְעֹור־
Gr: ἐν δέρματι χρωτὸς αὐτοῦ
Lat: cute et carne
LV: 13:3 [a]
CEI: sulla pelle del corpo
Ebr: ְּב עֹֽור־ ֠ ַהָּבָׂשר
Gr: ἐν δέρματι τοῦ χρωτὸς αὐτοῦ
Lat: in cute
LV 13:3 [b]
CEI: alla pelle del corpo
Ebr: ְּבָׂש ֔רֹו מֵע֣ ֹור
Gr: ἀπὸ τοῦ δέρματος τοῦ χρωτός
Lat: cute et carne
LV 13:4
CEI: sulla pelle del corpo
Ebr: ְּבָׂש ֗רֹו ע֣ ֹורְּב
Gr: ἐν τῷ δέρματι τοῦ χρωτός
Lat: in cute
LV 13:38
CEI: sulla pelle del corpo
Ebr: ְּבָׂשרם בְעֹור־
ָ֖
Gr: ἐν δέρματι τῆς σαρκὸς αὐτοῦ
Lat: in [cujus] cute
LV 13:39
CEI: sulla pelle del loro corpo
Ebr: ְּבָׂשרם בְעֹור־
ָ֛
Gr: ἐν δέρματι τῆς σαρκὸς αὐτοῦ
Lat: in cute
LV 13:43
CEI: della pelle del corpo
Ebr: ע֥ ֹור ָּבָֽׂשר
Gr: ἐν δέρματι τῆς σαρκὸς αὐτοῦ
Lat: -
Ciò che in italiano è qui sempre reso come ‘pelle del corpo’, in
greco ha due esiti: mentre pelle/ עֹורè sempre reso con δέρμα,
בשׂרviene alternativamente tradotto con χρώς/χρωτός [termine
di difficile traduzione: è pelle, ma in quanto ‘superficie del
corpo’76] ovvero σαρξ/σαρκὸς. בשׂרcompare qui due volte al
plurale, consecutivamente, e la traduzione sembrerebbe virare da
χρωτός a σαρκὸς in ragione di questa varianza. Ma l’ultima
occorrenza della serie, traduce בשׂרsingolare con σαρξ. Alla luce
di ciò, non vediamo ragioni grammaticali dirimenti per questa
soluzione alternativa.
La Vulgata traduce ‘cute’, o ‘cute et carne’, giustapponendo e
perdendo l’interdipendenza del genitivo.
La versione italiana ‘pelle del corpo’, interpreta בשׂר,
probabilmente per evitare da un lato l’omissione del lemma,
dall’altro l’espressione ‘pelle della carne’, letteralmente esatta
ma inusuale.
Questa possibilità concettuale perduta, denota uno scarto forte
nel potenziale semiologico del lemma בשׂר: in assenza del
concetto di ‘corpo’, la pelle viene riferita logicamente a בשׂר, qui
da intendersi ancora una volta come sommatoria dei tessuti molli.
Nel tradurre ‘corpo’, il senso non viene affatto tradito o alterato,
ma, con il lemma moderno, entra la possibilità di una
significazione ulteriore – come già detto, dell’ordine della
‘figuralità’ – affatto assente nel senso originale.
76
STRONG 5559
2.3 – כָּל- ָבּשָׂרespressione idiomatica
In circa 40 versetti, troviamo l’espressione כָּל- ָבּשָׂר, letteralmente
‘ogni carne / tutta la carne / la totalità della carne’.
Nella maggior parte delle occorrenze, l’espressione copre un
significato vicino a ‘tutti gli esseri viventi’.
Nel GLAT, tra i significati specifici di כָּל- ָבּשָׂר, viene indicato
“tutto il corpo” 77; analizzando le occorrenze specifiche, vediamo
che questa traduzione non restituisce l’essenza specifica
dell’espressione, e si apre a fraintendimenti.
Per questo motivo e per l’ampia varietà di sfumature nella
significazione di questa espressione, riteniamo indispensabile
un’analisi dettagliata delle occorrenze.
GN 6:12.13.17.19 / 7:15.16.21 / 8:17 / 9:11.15.16.17
6:12 «Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta,
perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla
terra»
77
BRATSIOTIS 1970, p. 1735
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
6:13 « Allora Dio disse a Noè: "È venuta per me la fine
di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di
violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra»
Gr: παντὸς ἀνθρώπου
Lat: universae carnis
6:17 « Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla
terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è
alito di vita; quanto è sulla terra perirà»
Gr: πᾶσαν σάρκα
Lat: omnem carnem
6:19 « Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai
nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con
te: siano maschio e femmina»
Gr: πάσης σαρκός
Lat: universae carnis
7:15 «Vennero dunque a Noè nell'arca, a due a due, di
ogni carne in cui è il soffio di vita»
Gr: πάσης σαρκός
Lat: ex omni carne
7:16 « Quelli che venivano, maschio e femmina d'ogni
carne, entrarono come gli aveva comandato Dio: il
Signore chiuse la porta dietro di lui»
Gr: πάσης σαρκὸς
Lat: ex omni carne
7:21 « Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra,
uccelli, bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano
sulla terra e tutti gli uomini»
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
8:17 «Tutti gli animali d'ogni specie che hai con te,
uccelli, bestiame e tutti i rettili che strisciano sulla
terra, falli uscire con te, perché possano diffondersi
sulla terra, siano fecondi e si moltiplichino su di essa»
Ebr: [ָּבעֹוף
֧ כָּל [אִ ְּת ָ֜ךאֲ ֶֽׁשר־ ]ה ֶ ָ֛רמֶ ׂש ּו ְבכָל־ ּובְַּב הֵמָ ֛ה-בָּשָׂר
]ַהחַָּי֨ הָּכל־
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: [Cuncta animantia] (…) ex omni carne [tam in
volatilibus quam in bestiis et universis reptilibus, quae
reptant super terram]
9:11 «Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà
più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né
più il diluvio devasterà la terra»
Gr: [οὐκ ἀποθανεῖται] πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
9:15 « ricorderò la mia alleanza / che è tra me e voi
/ e tra ogni essere che vive in ogni carne / e non ci
saranno più le acque / per il diluvio, per distruggere
ogni carne»
Ebr: ָּכל־ ָּבָֽׂשר/ ]כָּל [ ַחָּי ֖ה חַָּי֔ ה ֶ ֣נפֶׁש ָּכל־-בָּשָׂר
Gr: πάσῃ σαρκί / πᾶσαν σάρκα
Lat: omni anima vivente quae carnem vegetat / universam
carnem
9:16 «L'arco sarà sulle nubi / e io lo guarderò per
ricordare l'alleanza eterna / tra Dio e ogni essere che
vive in ogni carne / che è sulla terra»
Ebr: ]כָּל [ ַחָּי ֖ה נֶ ֥פֶׁש ָּכל־-בָּשָׂר
Gr: πάσης ψυχῆς ζώσης ἐν πάσῃ σαρκί
Lat: omnem animam viventem universae carnis
9:17 «Disse Dio a Noè: "Questo è il segno dell'alleanza
che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla
terra"»
Gr: πάσης σαρκός
Lat: omnem carnem
Questo passo, narrativamente unitario, vede la comparsa
insistente dell’espressione כָּל- ָבּשָׂר. L’interpretazione delle
traduzioni greca e latina è quasi perfettamente regolare: πᾶς-
πᾶσα - πᾶν + σὰρξ / omnis – universa + caro. Soltanto in GN
6:13, viene tradotto ἄνθρωπος: per questo caso particolare, non
vediamo ragioni lessicali dirimenti, ma soltanto una libera
interpretazione. L’italiano, traduce ‘uomo’ due volte: in GN 6:13
– come nella LXX – ma anche in 6:12, dove il greco mantiene
σὰρξ.
Vediamo come כָּל- ָבּשָׂרvenga associato ad una varietà di concetti
e sfumature. Seguendo le traduzioni, individuiamo le seguenti
possibilità interpretative:
- Tutti gli uomini / l’umanità
- Tutti gli animali / la vita animale
- Uomini ed animali congiuntamente
Il nodo problematico è l’impossibilità di concepire il concetto
‘ogni carne’ – nelle lingue moderne – come avente un significato
indipendente rispetto alle tre possibilità elencate.
Al contempo, le versioni antiche sono attente a rispettare la
lezione originale, mantenendo – come abbiamo visto – quasi
sempre il calco letterale di ָּב ָׂש ֖ ר/carne. Del resto, quando il testo
ָ ה.
recita espressamente ‘tutti gli uomini’, sceglie כָּל- ָָאדֽם
Resta l’ambiguità, per la quale di volta in volta si ‘decide’ per la
prima, la seconda o la terza delle possibilità interpretative.
A nostro avviso, resta una interessante possibilità interpretativa –
e non traduttologica: si tratta di una prospettiva ermeneutica della
realtà del tutto assente nelle concezioni moderne, e
conseguentemente non vi sono termini adatti – ulteriore e in
grado di compendiare tutte queste sfumature che rendono
impossibile pervenire ad una unità semantica coerente e non
ambigua del termine.
Il concetto moderno più vicino a quanto cercheremo ora di
individuare, è quello di ‘specie’.
Traducendo ‘specie’ in tutti i 12 versetti presi qui in
considerazione, si nota una certa coerenza logica.
Ora, noi ipotizziamo che ci si riferisca qui ad una logica di
individuazione differente da quella che la civiltà moderna ha
finito per assumere.
La nostra tesi è che, nella concezione ebraico-
veterotestamentaria, il lemma בָשָׂ רindichi la ‘carne’ in quanto
possibilità di manifestazione di una realtà individuale secondo la
sua specie. Così: un uomo è una realtà individuale che si
manifesta secondo la ָב ָשׂר-umana; un cavallo, un realtà individuale
che si manifesta secondo la בָשָׂ ר-equina.
In GN 9:16 si legge « ]כָּל [ ַחָּי ֖ה נֶ ֥פֶׁש ָּכל־- » ָבּשָׂר: l’ ‘equivoco
dell’anima/ ’נֶ ֥פֶׁשdi cui abbiamo già detto sopra, diventa quindi
‘equivoco di individuazione’. La נֶ ֥פֶׁשè l’animazione – non
l’anima – vitale/individuale della בָשָׂ רdi un individuo. Così, l’ente
specifico, è individuo nel senso della limitazione individuale
della ָב ָשׂרa cui appartiene: la נֶ ֥פֶׁשè quindi aspecifica, è il
dinamismo vitale della realtà individuale, la quale è tale in
quanto limitazione di una בָשָׂ רspecifica.
L’assenza del concetto di corpo-figurale si spiega così come
assenza di una realtà individuale sovra-corporale che non sia la
ָ ָבstessa. Il corpo-figurale è un concetto necessario soltanto
שׂר
quando la ‘carne’ [ma naturalmente dobbiamo qui intendere: ]בָשָׂ ר
non basta ad individuare una realtà significativa – a sé stante, e
quindi capace di dirsi in quanto ‘una’.
LV 17:14
«perché la vita di ogni essere vivente è il suo sangue, in
quanto sua vita; perciò ho ordinato agli Israeliti: Non
mangerete sangue di alcuna specie di essere vivente,
perché il sangue è la vita d'ogni carne; chiunque ne
mangerà sarà eliminato»
Ebr: ָּבָׂש ר ָּכל־
֗ [x3]
Gr: πάσης σαρκὸς [x3]
Lat: omnis carnis / universae carnis / carnis
L’insistenza sul sangue, che richiama principalmente l’idea di
‘carne’, forza il traduttore ad ampliare il lessico per tradurre ciò
che tanto in ebraico come in greco ed in latino viene espresso con
un unico termine. Traducendo soltanto ‘carne’, si perderebbe il
senso più ampio della specie, il senso inclusivo che si ottiene
invece traducendo ‘ogni essere vivente’.
Il fatto che tutto ciò – e molto altro, come continueremo a vedere
– venga in ebraico significato attraverso un unico lemma, va
costantemente tenuto presente per tentare di avvicinarci ad una
corretta individuazione dell’area semantica da esso
originariamente coperta.
NM 16:22
«Ma essi, prostratisi con la faccia a terra, dissero: "Dio,
Dio degli spiriti di ogni essere vivente! Un uomo solo
ha peccato e ti vorresti adirare contro tutta la
comunità?"»
Ebr: ]ָרּוח ֹת אֱֹלהֵ ֥י
֖ כָּל ְל [ה-בָּשָׂר
Gr: θεὸς τῶν πνευμάτων καὶ πάσης σαρκός
Lat: [Deus spirituum] universae carnis
2.3a – רּו ַח78
Per רּו ַח, vale molto di quanto già detto a proposito di [ נֶפֶׁש2.1a],
ed in tale contesto va compreso quanto diremo.
Indichiamo qui soltanto alcune linee fondamentali intorno al
lemma in questione, relativamente all’interesse che il suo
orizzonte semantico riveste nella possibilità della delineazione
del concetto di corpo/corporeità.
Molto ‘prima’ di giungere a significare spirito (‘spīrĭtŭs,
spiritūs’), [ רּו ַחsost. ebr. ed aramaico biblico] indica il «vento,
78
STRONG 7307
respiro». Più precisamente, non indica la realtà ontica di questi
enti – affatto impalpabili –, quanto piuttosto la percezione della
forza dell’urto dell’aria (sia essa vento o respiro) su un corpo
umano79.
I significati di ‘aria in movimento’80, difettano del presupposto
fondamentale: la mancanza di un termine per indicare l’ “aria”
nel suo esistere statico81.
È probabile invece la natura onomatopeica del termine, proprio
come prodotto dell’azione/attrito del vento-respiro82.
Un dato fondamentale per la nostra ricerca, è la precedenza
ontologica della ָבשָׂרsul רּו ַח. In tutti i passi che raccontano un
processo di ‘animazione’ (sarebbe meglio dire: vitalizzazione), la
condizione di questa animazione operata attraverso l’innesto del
רּו ַחè la pre-esistenza della ָבשָׂר83.
L’idea veicolata è quella di dipendenza: la ָבשָׂרcontiene, è
veicolo del soffio- רּו ַח. Non vi sono passi nei quali il רּו ַח
connesso ad un individuo umano pre-esista o giunga ad esistenza
separata. In questo senso, quando è connesso all’uomo, il
significato più proprio di רּו ַחè il processo respiratorio specifico
79
ALBERTZ-WESTERMANN 1971, p. 654
80
JOHNSON 1947, p. 27; VAN IMSCHOOT 1934, p. 554
81
KOHLER 1912, p. 12
82
THOMAS 1935, p. 311-313; LYS 1962, pp. 19 sg.
83
L’esempio più chiaro è EZ 37:6
nel quale si manifesta la vitalità dinamica dell’individuo84 -
essendo invece נְָׁש מָה85 il ‘respiro normale’.
Alcuni autori86 hanno proposto di distinguere il respiro- רּו ַחdal
respiro- נְָׁש מָהsulla base dell’intensità dello stesso [il primo,
respiro affannoso; il secondo, respiro lieve]; tuttavia, questo è
smentito da passi quali IS 42:14, dove il verbo נַָׁשםindica
l’affanno respiratorio della donna nell’atto di partorire.
Piuttosto, la connessione vento-respiro, ed il fatto che רּו ַחvenga
sempre associato a verbi di movimento (nelle due forme del moto
e della messa in moto), mostrano come la radice sia connessa ad
un’idea di volontà, finalità, operatività direzionata. È in questo
senso che רּו ַחdiviene simbolo – ed in spesso in via del tutto
poetica e metaforica – dell’azione di Dio87.
La relazione azione di Dio-manifestazione del רּו ַחè però
smorzata e polemizzata dallo stesso testo biblico88, e non può
dunque desumersi una ipostatizzazione ‘rigida’ in vie
esclusivamente testuali.
Il carattere di intenzionalità, sussunto fino a timbri quasi-
ipostatici con l’apparire della monarchia89, deriva
metonimicamente dalle caratteristiche fenomenologiche del
respiro e del vento. Su questa base semantica, si sono formati i
significati secondari-tardivi del termine רּו ַח.
84
ALBERTZ-WESTERMANN 1971, p. 661
85
STRONG 5397
86
cfr. SNAITH 1947, p. 144
87
cfr. ALBERTZ-WESTERMANN 1971, pp. 658-660
88
1RE 19:11-sg.
89
cfr. l’analisi del ruah Jhwh, in ALBERTZ-WESTERMANN 1971, pp.674-676
Partendo da questo apprezzabile scarto semantico, la LXX
traduce רּו ַחcon una vasta gamma terminologica.
In circa due terzi dei casi, però, mantiene πνεῦμα, ατος, che ne
costituisce il corrispettivo etimologico – pur essendo, in ambito
ellenistico, già sovraccarico di un grande portato filosofico ed
ideologico, certamente in parte recepito già dal traduttori della
LXX. La varietà di accezioni contenute nell’evoluzione
veterotestamentaria del termine – sulla base fondamentale della
qualità di intenzionalità che abbiamo indicata – viene comunque
rilevata e restituita nei restanti esiti traduttologici, categorizzabili
in:
- Prossimi al significato fondamentale [es: ἄνεμος, πνοή]
- Legati all’espressione di condizioni interiori [es: θυμός,
ὀλιγόψυχος]
- Termini antropologici [es: νοῦς, αίμα, Ψυχή]
Centrali per il nostro studio sono due osservazioni.
La prima: in nessun caso, רּו ַחè entità separabile/separata, e
conseguentemente non è il centro/principio dell’individuazione
umana: la persona non è mai tale secondo il suo רּו ַח. Il רּו ַחumano
inerisce nella ָבשָׂר, e fenomenologicamente si manifesta sempre
attraverso di essa.
La seconda: se la ָבשָׂרpuò manifestarsi – come abbiamo visto –
come realtà indifferenziata [e quindi come potenza di ogni
differenziazione/individuazione], il רּו ַחnon è mai tale: in
relazione all’uomo, vi è רּו ַחsempre connesso ad una realtà
individuale. Il differenziarsi della ָבשָׂרnel luogo della
manifestazione individuale – la carne che manifesta il ‘corpo’
della persona – è il ‘momento’ deputato alla manifestazione del
רּו ַח. Adottando questa prospettiva, diviene chiaro come non si
intendano dufferenti “sostanze” o “parti costitutive”, ma un unico
‘io’ nel differenziarsi delle sue manifestazioni.
NM 27:16 analogo a NM 16:22 [identica espressione]
GB 34:15
«ogni carne morirebbe all'istante / e l'uomo
ritornerebbe in polvere»
Ebr: ָּבָׂש ר ָּכל־
֗
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
L’interpretazione esatta di questo versetto, presuppone domande
di tipo teologico. Prima fra tutte, il segno esatto della
congiunzione tra i due periodi: congiuntivo o disgiuntivo. Come
già segnalato, specialmente nel libro di Giobbe, l’uso di – ָבשָׂרe
di molti termini correlati – conosce una varianza molto più libera,
verosimilmente in ordine all’adozione di un timbro poetico.
Ciò detto, le interpretazioni logicamente possibili si riducono a 3:
- ‘Ogni carne’ come ‘ogni uomo’
- ‘Ogni carne’ come ‘ogni essere vivente’
- ‘Ogni carne’ come ‘ogni animale escluso l’uomo’
Naturalmente, nessuna di queste ipotesi è ‘la corretta
interpretazione’, proprio per l’impossibilità di rendere una
interpretazione soddisfacente in via traduttologica – come già più
volte sottolineato. Vale quanto detto a proposito dei passi dei
capitoli 6-9 di Genesi.
SAL 136:25
«Egli dà il cibo ad ogni vivente: perché eterna è la sua
misericordia»
Ebr: ָּב ָׂש ֑ ר ְלכָל־
Gr: πάσῃ σαρκί
Lat: omni carni
Letteralmente ‘ad ogni carne’. Così, traducono LXX e Vulgata.
Intendendo ָב ָשׂרcome abbiamo detto – condizione materica di
manifestazione della vita indifferenziata, o specie-specifica –, la
versione italiana ‘ad ogni vivente’ diviene perfettamente
comprensibile. Non sarebbe comprensibile se continuassimo ad
intendere “ ָב ָשׂרdal basso”, ovvero soltanto come materia carnea
del corpo. Come abbiamo visto, e come vedremo oltre nel
dettaglio, ָב ָשׂרè anche la carne del corpo morto, e la carne come
oggetto dell’alimentazione – umana e non. Se si comprende il
termine “dall’alto”, si vedrà chiaramente come la בָשָׂ רin quanto
condizione materica di manifestazione della vita indifferenziata
(o sovra-individuale/pre-individuale), includa la materia carnea
dell’ “un-corpo”.
SAL 145:21
«Canti la mia bocca la lode del Signore / e ogni vivente
benedica il suo nome santo, / in eterno e sempre»
Ebr: ָּ֭ב ָׂשר ָּכל־
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
LXX e Vulgata mantengono ‘carne’. ‘Vivente’/ ‘essere
vivente’ vale quanto detto per il passo precedente.
Osservando per via negativa: כָּל- ָבּשָׂרè tenuta alla lode
eterna del Santo Nome; non [ הַ ֽחַָּיה֙ ָּכל־che sarebbe ‘ogni
vivente’ alla lettera]; non ‘[ הְַּב ֵה ָ֔מה ָּכל־ogni animale’]; non
כָּל- ָאדָ ם.
Trattandosi di vocaboli frequentissimi, centrali,
necessariamente va supposta – alla luce di queste
differenziazioni esistenti – una rilevante divergenza
concettuale. L’intercambiabilità riscontrata nella versione
italiana – e nelle versioni euro-moderne in generale – ne
offusca le differenze.
IS 40:5
«Allora si rivelerà la gloria del Signore / e ogni uomo
la vedrà, / poiché la bocca del Signore ha parlato»
Ebr: כָּל-ָבּשָׂר
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
IS 40:6 analogo a IS 40:5
IS 49:26
«Allora ogni uomo saprà / che io sono il Signore, tuo
salvatore, / io il tuo redentore e il Forte di Giacobbe »
Ebr: כָּל-ָבּשָׂר
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
Abbiamo già analizzato la prima metà di questo versetto
relativamente al primo dei significati di בָשָׂ ר. Questa
vicinanza è significativa: si faticherebbe inutilmente,
cercando nell’italiano un termine adatto a compendiarli
entrambi.
Non è nemmeno sufficiente cercare di ‘spiegare’ il riferirsi
all’umanità in quanto ָב ָשׂרcome accento sulla ‘condizione
mortale/effimera’ della creatura umana: come abbiamo visto
e continueremo a vedere, la בָשָׂ רè destinataria dell’alleanza, è
capace di cantare la gloria del Signore, è forte, è essa stessa
gloriosa. Anche il greco, interpretando σὰρξ, manca del
tutto di questa interpretazione: βροτός è un termine
ricorrente, ma slegato dall’apparizione del concetto di
σὰρξ.
IS 66:16 analogo a IS 49:26
IS 66:23
« In ogni mese al novilunio, / e al sabato di ogni
settimana, / verrà ognuno a prostrarsi / davanti a
me, dice il Signore »
Ebr: כָּל-ָבּשָׂר
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
‘Ognuno’ sembrerebbe riferirsi a ‘tutti gli uomini’.
Letteralmente viene però accentuato il senso indifferenziato.
Come nei brani analizzati di GN 6-9, la parola ed il giudizio
divini, vengono rivolti alla בָשָׂ ר, con una sfumatura di
accentuazione dell’universalità che spesso si perde nelle
versioni delle lingue euro-moderne.
IS 66:24 analogo a IS 66:23
GER 12:12
«Su tutte le alture del deserto giungono
devastatori, / poiché il Signore ha una spada che
divora, / da un estremo all'altro della terra; / non
c'è scampo per nessuno »
Ebr: ְלכָל־ ָּבָֽׂשר
Gr: πάσῃ σαρκί
Lat: universae carni
Vale quanto detto per IS 66:23. Naturalmente, ‘nessuno’ è
qui forma negativa di ‘tutti’.
GER 25:31
«Il rumore giunge fino all'estremità della terra, /
perché il Signore viene a giudizio con le nazioni; /
egli istruisce il giudizio riguardo a ogni uomo, /
abbandona gli empi alla spada. / Parola del
Signore. »
Ebr: ְלכָל־ ָּבָֽׂשר
Gr: πᾶσαν σάρκα
Lat: omni carne
La versione italiana interpreta, mentre LXX e Vulgata restano
letterali. Il parallelo istituito è tra ‘ogni carne’ e ‘le nazioni’ [
ַּבּגֹו ִ֔ים, da ] ּגֹוי. Abbiamo già ampiamente visto come רכָל־
֙ ָּבָׂשin
alcuni passi si debba intendere come – al minimo dell’inclusività
– tutti gli uomini e tutti gli animali. L’interpretazione nei casi
riguardanti i destinatari del giudizio divino, ci sembra di natura
prettamente teologica: non si registra di fatto alcuna varianza
lessicale.
GER 32:27
«Ecco, io sono il Signore Dio di ogni essere vivente;
qualcosa è forse impossibile per me?»
Ebr: כָּל- ָבּשָׂר
Gr: πάσης σαρκός
Lat: universae carnis
Rispetto al passo appena analizzato, l’interpretazione della
versione italiana è qui nel segno della più ampia inclusività.
Testualmente, la formula è invece identica.
GER 45:5
«E tu vai cercando grandi cose per te? Non cercarle,
poiché io manderò la sventura su ogni uomo. Oracolo
del Signore. A te farò dono della vita come bottino, in
tutti i luoghi dove tu andrai»
Ebr: עַל־ ָּבָׂש ֙ר ָּכל־
Gr: ἐπὶ πᾶσαν σάρκα
Lat: super omnem carnem
Ancora una volta, quando si tratta della בשׂרintesa come oggetto
di un’azione potenzialmente od espressamente negativa da parte
di Dio [giudizio giustapposto ad immagini di condanna od esito
negativo, sventura o rovina], la versione italiana tende a limitare
l’interpretazione ai soli esseri umani, mentre LXX e Vulgata
restano letterali.
EZ 21:4
«Ogni vivente vedrà che io, il Signore, l'ho incendiato e
non si spegnerà»
Ebr: כָּל- ָבּשָׂר
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: universa caro
Questo passaggio sembra contraddire la consuetudine
traduttologica italiana [ed euro-moderna in genere] appena
individuata. Ma il profeta si sta rivolgendo alla “selva del
mezzogiorno”, su cui pesa la predizione di un incendio da parte
del Signore. Il fatto che la selva sia evidentemente popolata
soprattutto di animali, rende intuitivo che ‘tutta la carne’ invitata
alla testimonianza sia qui inclusiva degli stessi.
EZ 21:9 / 21:10
«Se ucciderò in te il giusto e il peccatore, significa che
la spada sguainata sarà contro ogni carne, dal
mezzogiorno al settentrione»
«Così ogni vivente saprà che io, il Signore, ho
sguainato la spada ed essa non rientrerà nel fodero.»
Ebr: ָּכל־ ָּב ָׂש ֑ ר/ ָּב ָׂש ֑ ר ָּכל־ אֶל־
Gr: ἐπὶ πᾶσαν σάρκα / πᾶσα σὰρξ
Lat: ad omnem carnem / omnis caro
“in te” è riferito a “il paese di Israele”. L’italiano varia da ‘carne’
a ‘vivente’, LXX e Vulgata mantengono ‘carne’. Si tratta
dell’unico caso in cui l’oggetto del giudizio – qui nella massima
universalità, indicata anche dall’espressione ‘dal mezzogiorno al
settentrione’ – anche in italiano viene riferito espressamente alla
‘carne’.
GL 3:1
«Dopo questo, / io effonderò il mio spirito / sopra ogni
uomo / e diverranno profeti i vostri figli e le vostre
figlie; / i vostri anziani faranno sogni, / i vostri giovani
avranno visioni»
Ebr: ָּבָׂש ֙ר ָּכל־ עַל־
Gr: ἐπὶ πᾶσαν σάρκα
Lat: super omnem carnem
Registriamo ancora una volta l’interpretazione ‘uomo’. Pur
risultando perfettamente coerente e comprensibile – il versetto
continua parlando di figli, figlie, anziani, giovani –, resta il fatto
che LXX e Vulgata continuano a tradurre letteralmente, e che
בשׂרnon è ָאדָ ם.
L’interpretazione da noi precedentemente proposta del lemma
בשׂר, ci appare come – ancora una volta – perfettamente coerente,
contestualmente e semasiologicamente.
ZC 2:17
«Taccia ogni mortale davanti al Signore, / poiché egli si è
destato dalla sua santa dimora »
Ebr: ָּב ָׂש ֑ ר ָּכל־
Gr: πᾶσα σὰρξ
Lat: omnis caro
Troviamo per la prima volta ‘ogni mortale’. Si tratta sempre di
un’interpretazione – LXX e Vulgata, riportano sempre ‘carne’ –;
ci sembra qui fondarsi più sul senso di ‘inclusività/universalità’
che su quello di ‘caducità’ – uomini ed animali sono ‘’בשׂר, e
sono ‘mortali’, non tanto ‘mortali in quanto di carne’.
2.4 – בשׂרin quanto ‘cibo’
In 49 versetti, בשׂרsi trova in contesto alimentare, oggetto di
cottura/pratiche culinarie o verbi che indicano l’atto del
mangiare. In ebraico come in italiano, gli esseri umani si cibano
di ‘carne’, quando consumano le parti muscolari o le interiora
degli animali – diversamente dall’inglese, per esempio, che
tramuta la ‘flesh’/carne in ‘meat’, quando è carne animale
destinata all’alimentazione.
Molti di questi versetti riguardano l’atto fisico o figurato del
‘divorare la carne umana’ – da parte di altri uomini, o animali.
In greco, la carne animale destinata all’alimentazione è detta
κρέας, -έως ; quando l’oggetto del mangiare è la carne umana,
la LXX presenta σάρξ, -ός90.
In latino, questa distinzione cade: la Vulgata mantiene sempre
căro, carnis.
In questa accezione, בשׂרviene intesa vicina alla matericità del
senso che abbiamo ritrovato nelle occorrenze del paragrafo 2.1.
Ciò detto, questo senso non esclude affatto – bensì giunge ad
includere, come detto – il profilo semasiologico che abbiamo
tracciato per il lemma a proposito di Genesi, capitoli 6-9.
La ‘carne’, nella sua matericità, è il manifestarsi tipologicamente
differenziale (specie-specifico) di un essere vivente: l’individuo è
il fenomeno vitale che si compone di una בשׂרspecifica.
Così, בשׂרè sempre manifestazione materica, individuata;
mancando di un concetto astratto quale quello di ‘umanità’, il
concetto inclusivo, individualmente indifferenziato, per indicare
tutti gli uomini si formerà con il costrutto ל ָכּ- ; ָבּשָׂרma lo stesso
90
Con l’unica eccezione di DT 28:53, che presenta κρέα
costrutto, indicando la בשׂרnel suo senso più ampio – e quindi
letterale –, viene utilizzato anche per indicare ogni individuo di
ogni specie (uomini ed animali), ovvero la בשׂרad un grado di
specificità precedente la comparsa dell’individuo, precedente
dunque la possibilità di distinguere un ente individuale e singolo
all’interno di una specie che lo identifichi.
Allo stesso modo, all’altro estremo logico del potenziale
semantico del termine, בשׂרarriva ad esprimere la ‘carne’ nel suo
senso più materico.
Ciò che manca, poiché affatto estraneo a questo nucleo
semantico, è l’individuo come concetto-moderno: la ‘carne’, per
quanto individuata, è e resta בשׂר, ovvero quel potenziale
manifestativo che è da considerarsi in sé (concettualmente)
totalmente indifferenziato: così come in natura non si da mai
l’esperienza dell’ “acqua”, concetto astratto logicamente
estrapolato dall’esperienza dell’acqua di un fiume (un certo
fiume), un mare, una fonte... fino all’entità-minima della
‘goccia’.
Fatte queste considerazioni – che coprono esaustivamente la
casistica –, elenchiamo brevemente i passi e relative traduzioni.
GN 9:4
«Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè
il suo sangue»
Gr: κρέας
Lat: carnem
GN 40:19
«Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti
impiccherà ad un palo e gli uccelli ti mangeranno la
carne addosso»
Gr: τὰς σάρκας
Lat: carnes
ES 12:8
«In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al
fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
ES 12:46
« In una sola casa si mangerà: non ne porterai la carne
fuori di casa; non ne spezzerete alcun osso.»
Gr: τῶν κρεῶν
Lat: carnibus
ES 16:3
«Gli Israeliti dissero loro: "Fossimo morti per mano del
Signore nel paese d'Egitto, quando eravamo seduti
presso la pentola della carne, mangiando pane a
sazietà!”»
Gr: τῶν κρεῶν
Lat: carnium
ES 16:8
«Mosè disse: "Quando il Signore vi darà alla sera la
carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà, sarà
perché il Signore ha inteso le mormorazioni, con le
quali mormorate contro di lui»
Gr: κρέα
Lat: carnium
ES 16:12
«"Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro
così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi
sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro
Dio"»
Gr: κρέα
Lat: carnes
ES 21:28
«Quando un bue cozza con le corna contro un uomo o
una donna e ne segue la morte, il bue sarà lapidato e
non se ne mangerà la carne»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
ES 22:30
«Voi sarete per me uomini santi: non mangerete la
carne di una bestia sbranata nella campagna, la
getterete ai cani»
Gr: κρέας
Lat: carnem
ES 29:32
«Aronne e i suoi figli mangeranno la carne dell'ariete e
il pane contenuto nel canestro all'ingresso della tenda
del convegno»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
LV 8:32
«Quel che avanza della carne e del pane, bruciatelo nel
fuoco»
Gr: τῶν κρεῶν
Lat: de carne
LV 11:8
«Non mangerete la loro carne [sogg.: il cammello,
l’irace, la lepre, il porco LV 11:4-7] e non
toccherete i loro cadaveri; li considererete immondi»
Gr: τῶν κρεῶν αὐτῶν
Lat: Horum carnibus
LV 11:11
«Essi saranno per voi in abominio; non mangerete la
loro carne e terrete in abominio i loro cadaveri »
Gr: τῶν κρεῶν αὐτῶν
Lat: carnes eorum
LV 26:29
«Mangerete perfino la carne dei vostri figli e
mangerete la carne delle vostre figlie»
Gr: τὰς σάρκας / τὰς σάρκας
Lat: carnes
NUM 11:4
«anche gli Israeliti ripresero a lamentarsi e a dire: "Chi
ci potrà dare carne da mangiare?”»
Gr: κρέα
Lat: carnes
NUM 11:13
«Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo
popolo? Perché si lamenta dietro a me, dicendo: Dacci
da mangiare carne!»
Gr: κρέα / κρέα
Lat: carnes
NUM 11:18
«Dirai al popolo: Santificatevi per domani e mangerete
carne, perché avete pianto agli orecchi del Signore,
dicendo: Chi ci farà mangiare carne? Stavamo così
bene in Egitto! Ebbene il Signore vi darà carne e voi
ne mangerete»
Gr: κρέα / κρέα / κρέα
Lat: carnes / carnium / carnes
NUM 11:21
«Mosè disse: "Questo popolo, in mezzo al quale mi
trovo, conta seicentomila adulti e tu dici: Io darò loro
la carne e ne mangeranno per un mese intero!»
Gr: κρέα
Lat: carnium
NUM 11:33
«Mosè disse: "Questo popolo, in mezzo al quale mi
trovo, conta seicentomila adulti e tu dici: Io darò loro
la carne e ne mangeranno per un mese intero!»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
DT 12:15
«Ma, ogni volta che ne sentirai desiderio, potrai
uccidere animali e mangiarne la carne in tutte le tue
città, secondo la benedizione che il Signore ti avrà
elargito; chi sarà immondo e chi sarà mondo ne
potranno mangiare, come si fa della carne di gazzella e
di cervo»
Gr: κρέα
Lat: carnium
In italiano, la comparazione del periodo finale ripete ‘carne’,
mentre nell’ebraico è sottointesa.
DT 12:20
«Quando il Signore, tuo Dio, avrà allargato i tuoi
confini, come ti ha promesso, e tu, desiderando di
mangiare la carne, dirai: Vorrei mangiare la carne,
potrai mangiare carne a tuo piacere»
Gr: κρέα
Lat: carnibus
DT 14:8
«anche il porco, che ha l'unghia bipartita ma non
rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la
loro carne e non toccherete i loro cadaveri»
Gr: τῶν κρεῶν αὐτῶν
Lat: carnibus
DT 28:53
«Durante l'assedio e l'angoscia alla quale ti ridurrà il
tuo nemico, mangerai il frutto delle tue viscere, le
carni dei tuoi figli e delle tue figlie, che il Signore tuo
Dio ti avrà dato »
Gr: κρέα
Lat: carnes
DT 28:55
«per non dare ad alcuno di loro le carni dei suoi figli
delle quali si ciberà; perché non gli sarà rimasto più
nulla durante l'assedio e l'angoscia alla quale i nemici ti
avranno ridotto entro tutte le tue città »
Gr: τῶν σαρκῶν
Lat: de carnibus
DT 32:42
«Inebrierò di sangue le mie frecce, / si pascerà di carne
la mia spada, / del sangue dei cadaveri e dei prigionieri,
/ delle teste dei condottieri nemici! »
Gr: κρέα
Lat: carnes
Qui il ‘si pascerà’ allude metaforicamente all’atto del mangiare.
Infatti, l’ebraico utilizza il verbo ָאכַל, termine principale per
indicare questo atto. Concordemente, LXX: καταφάγεται; e
Vulgata: devorabit.
1RE 17:6
«I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera;
egli beveva al torrente»
Gr: κρέα
Lat: carnes
1RE 19:21
«Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li
uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la
carne e la diede alla gente, perché la mangiasse»
Gr: [sottointeso τὰ κρέα(?)]
Lat: carnes
2RE 9:36
«Nel campo di Izreèl i cani divoreranno la carne di
Gezabele»
Gr: τὰς σάρκας
Lat: carnes
GB 19:22
«Perché vi accanite contro di me, come Dio,
e non siete mai sazi della mia carne?»
Gr: σαρκῶν μου
Lat: carnibus meis
GB 31:31
«Non diceva forse la gente della mia tenda: / "A chi
non ha dato delle sue carni per saziarsi?”»
Gr: τῶν σαρκῶν αὐτοῦ
Lat: de carnibus ejus
SAL 27:2
« Quando mi assalgono i malvagi / per straziarmi la
carne, / sono essi, avversari e nemici, / a inciampare e
cadere»
Gr: τὰς σάρκας μου
Lat: [ut edant] carnes meas
Come in DT 32:42, in ebraico l’espressione utilizzata è ְּבָׂש ִ ֥רי אֶת־
֫
ֶלא ֱ֪כ ֹל, quindi letteralmente ‘mangiare la mia carne’.
SAL 50:13
«Mangerò forse la carne dei tori, / berrò forse il sangue
dei capri?»
Gr: κρέα
Lat: carnes
PRV 23:20
« Non essere fra quelli che s'inebriano di vino, / né fra
coloro che son ghiotti di carne»
Gr: κρεῶν
Lat: carnes
QO 4:5
«Lo stolto incrocia le braccia / e divora la sua carne»
Gr: τὰς σάρκας αὐτοῦ
Lat: carnes suas
IS 44:16
«Una metà la brucia al fuoco, sulla brace arrostisce la
carne, poi mangia l'arrosto e si sazia. »
Gr: κρέας
Lat: carnes
IS 44:19
«"Ho bruciato nel fuoco una parte, sulle sue braci ho
cotto perfino il pane e arrostito la carne che ho
mangiato; col residuo farò un idolo abominevole? Mi
prostrerò dinanzi ad un pezzo di legno?"»
Gr: κρέας
Lat: carnes
IS 65:4
«abitavano nei sepolcri, / passavano la notte in
nascondigli, / mangiavano carne suina / e cibi immondi
nei loro piatti »
Gr: κρέα
Lat: carnem
IS 66:17
«Coloro che si consacrano e purificano nei giardini,
seguendo uno che sta in mezzo, / che mangiano carne
suina, cose abominevoli e topi, / insieme finiranno -
oracolo del Signore»
Gr: κρέας
Lat: carnem
GER 7:21
«Dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele:
"Aggiungete pure i vostri olocausti ai vostri sacrifici e
mangiatene la carne!»
Gr: κρέα
Lat: carnes
GER 19:9
Farò loro mangiare la carne dei figli e la carne delle
figlie; si divoreranno tra di loro durante l'assedio e
l'angoscia in cui li stringeranno i nemici e quanti
attentano alla loro vita»
Gr: τὰς σάρκας / τὰς σάρκας
Lat: carnibus /carnibus
EZ 4:14
«Io esclamai: "Ah, Signore Dio, mai mi sono
contaminato! Dall'infanzia fino ad ora mai ho mangiato
carne di bestia morta o sbranata, né mai è entrato nella
mia bocca cibo impuro"»
Gr: κρέας
Lat: caro
EZ 11:3
«sono coloro che dicono: Non in breve tempo si
costruiscon le case: questa città è la pentola e noi
siamo la carne»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
EZ 11:7
«Per questo così dice il Signore Dio: I cadaveri che
avete gettati in mezzo a essa sono la carne, e la città è
la pentola. Ma io vi scaccerò »
Gr: τὰ κρέα αὐτὴ
Lat: carnes
EZ 24:10
«Ammassa la legna, / fà divampare il fuoco, / fà
consumare la carne, / riducila in poltiglia / e le ossa
siano riarse. »
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
Assegnamo questo passo a questa categoria poiché il contesto è
quello – seppur metaforico – di una cottura, più che di un
olocausto o di un sacrificio.
EZ 39:17-18
« Mangerete carne e berrete sangue»
« Mangerete carne d'eroi, berrete sangue di prìncipi del
paese: montoni, agnelli, capri e tori grassi di Basàn,
tutti»
Gr: κρέα / κρέα
Lat: carnem / carnes
DN 10:3
«non mangiai cibo prelibato, non mi entrò in bocca né
carne né vino e non mi unsi d'unguento finché non
furono compiute tre settimane»
Gr: κρέας
Lat: caro
ZC 11:9
«Perciò io dissi: "Non sarò più il vostro pastore. Chi
vuol morire, muoia; chi vuol perire, perisca; quelle che
rimangono si divorino pure fra di loro!"»
Gr: τὰς σάρκας
Lat: carnem
Nell’italiano, non compare ‘carne’. Ebraico: עּותּֽה ְּבַׂש ֥ ר אֶת־ ִאָּׁש ֖ ה
ָ ְר
ֹּתא ַ֕כ ְלנָה, letteralmente ‘mangiare la carne l’uno dell’altro’.
ZC 11:16
«mangerà invece le carni delle più grasse [pecore] e
strapperà loro perfino le unghie»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
2.5 – GN 17:11 / GN 17:13
Trattiamo questi due passi separatamente, in quanto ci offrono la
possibilità di una riflessione preziosa.
GN 17:11
«Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro
e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi»
Ebr: [ְּב ַׂש ֣ ר ֵ ֖את ]ע ְָרלַתְ ֶכ֑ם
Gr: τὴν σάρκα [τῆς ἀκροβυστίας ὑμῶν]
Lat: carnem [praeputii vestri]
GN 17:13
«Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene
comperato con denaro; così la mia alleanza sussisterà
nella vostra carne come alleanza perenne.»
Ebr: ְַׂשר ֶכ֖ם
ְ ִּב ב
Gr: ἐπὶ τῆς σαρκὸς ὑμῶν
Lat: in carne vestra
L’analisi comparata di questi due versetti, mostra come בשׂרsia
‘capace’ – e consapevolmente utilizzato come tale – di quella
estensione di senso che stiamo via via mostrando.
In GN 17:11 notiamo l’utilizzo di בשׂרin senso materico: il
membro (prepuzio )ע ְָרלָהè di carne. בשׂרè la sostanza carnea
del corpo, e viene utilizzato anche per indicare la qualità materica
di parti del corpo specifiche.
Al contempo, l’Alleanza è ְַׂשר ֶכ֖ם
ְ ‘ ִּב בnella vostra carne’, per
sempre. Il segno visibile, materico dell’Alleanza, è la
circoncisione, che è nella/della carne; ma l’Alleanza è ‘per
sempre’, il segno individuale della circoncisione evidentemente
no. L’estensione di senso è il passaggio logico attuato dal
versetto 11 al 13, secondo il quale il senso di בשׂרsi ‘estende’ ad
includere [o, al contrario: ritorna ad includere, disindividuandosi]
la stirpe. Poiché, sappiamo dal testo, l’Alleanza è stipulata con il
popolo.
Analizzando l’espressione idiomatica כָּל- ָבּשָׂר, abbiamo
riscontrata la possibilità semantica inclusiva più ampia del
lemma, quella che copre ogni manifestazione potenziale della
vita incarnata. Partendo da questo senso inclusivo, senza affatto
negarlo, abbiamo riscontrata la possibilità progressiva di
‘specializzazione’ del significato di בשׂר: tutti gli animali,
l’umanità, una specie. Come vedremo successivamente, questa
specializzazione può includere – sempre secondo la stessa
dinamica manifestativo-individuazionale – delle famiglie, nel
senso del legame ‘di sangue’ – di carne, di fatto.
‘Nella vostra carne’ – ְַׂשר ֶכ֖ם
ְ – ִּב בè quindi espressione chiave e
precisa, in un senso specifico che non va intesto come ‘in
ciascuno dei vostri corpi’.
2.6 – Altri passi relativi alla circoncisione
GN 17:11
«Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro
e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi»
Ebr: ע ְָרלַתְ ֶכ֑ם ְּב ַׂש ֣ ר ֵ ֖את
Gr: τὴν σάρκα τῆς ἀκροβυστίας ὑμῶν
Lat: carnem praeputii vestri
GN 17:14
«Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata
circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo
popolo: ha violato la mia alleanza»
Ebr: ע ְָרל ָ֔תֹו ְּב ַׂש ֣ ר אֶת־
Gr: τὴν σάρκα τῆς ἀκροβυστίας αὐτοῦ
Lat: praeputii caro
GN 17:23
«Allora Abramo prese Ismaele suo figlio e tutti i nati
nella sua casa e tutti quelli comperati con il suo denaro,
tutti i maschi appartenenti al personale della casa di
Abramo, e circoncise la carne del loro membro in
quello stesso giorno, come Dio gli aveva detto»
Ebr: ע ְָרלָתָ֗ ם ְּב ַׂש ֣ ר אֶת־
Gr: τὰς ἀκροβυστίας
Lat: carnem praeputii eorum
GN 17:24
«Ora Abramo aveva novantanove anni, quando si fece
circoncidere la carne del membro»
Ebr: ע ְָרל ָ֔תֹו ְּב ַׂש ֣ ר
Gr: τὴν σάρκα τῆς ἀκροβυστίας αὐτοῦ
Lat: carnem praeputii sui
GN 17:25
«Ismaele suo figlio aveva tredici anni quando gli fu
circoncisa la carne del membro»
Ebr: ע ְָרל ָ֔תֹו ְּב ַׂש ֣ ר אֶת־
Gr: τὴν σάρκα τῆς ἀκροβυστίας αὐτοῦ
Lat: – [tempore circumcisionis suae]
GN 17:24
«L'ottavo giorno si circonciderà il bambino »
Ebr: ע ְָרל ָ֔תֹו ְּב ַׂש ֣ ר
Gr: τὴν σάρκα τῆς ἀκροβυστίας αὐτοῦ
Lat: – [circumcidetur infantulus]
EZ 44:7
«Avete introdotto figli stranieri, non circoncisi di cuore
e non circoncisi di carne, perché stessero nel mio
santuario e profanassero il mio tempio, mentre mi
offrivate il mio cibo, il grasso e il sangue, rompendo
così la mia alleanza con tutti i vostri abomini»
Ebr: ב ָָׂ֔ש ר
Gr: σαρκὶ
Lat: carne
EZ 44:9 analogo a EZ 44:7
Per tutti questi passi, valgono le stesse considerazioni fatte al
paragrafo 2.5
2.7 – Giustapposto a: ossa, pelle, corpo, cadavere, nervi,
soffio
- Con ‘osso’
GN 29:14
«Allora Làbano gli disse: "Davvero tu sei mio osso e
mia carne!". Così dimorò presso di lui per un mese»
Ebr: ְָׂשרי ַעצ ְִמ֥י
֖ ִ ָ ֑אָּת ה ּוב
Gr: ἐκ τῶν ὀστῶν μου καὶ ἐκ τῆς σαρκός μου
Lat: Os meum es, et caro mea
GDC 9:2
«Ricordatevi che io sono del vostro sangue»
Ebr: ְַׂשר ֶ ֖כם ַע ְצ ֵמכֶם
ְ ּוב
Gr: ὀστοῦν ὑμῶν καὶ σὰρξ ὑμῶν
Lat: os vestrum et caro vestra
2 SAM 5:1
« Ecco noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne»
Ebr: ְָׂ֥שרָך֖ ַע ְצמְָך
ְ ּֽוב
Gr: ὀστᾶ σου καὶ σάρκες σου
Lat: os tuum et caro tua
2 SAM 19:13 / 19:14
«Voi siete mio osso e mia carne e perché dunque
sareste gli ultimi a far tornare il re?»
«Dite ad Amasà: Non sei forse mio osso e mia carne?»
Ebr: ְָׂשרי ַעצ ְִמ֥י
֖ ִ ּוב
Gr: ὀστοῦν μου καὶ σάρξ μου
Lat: os meum et caro mea
1 CR 11:1
«Tutti gli Israeliti si raccolsero intorno a Davide in
Ebron e gli dissero: "Ecco noi siamo tue ossa e tua
carne»
Ebr: ְָׂ֥שרָך֖ ַע ְצמְָך
ְ ּֽוב
Gr: ὀστᾶ σου καὶ σάρκες σου
Lat: Os tuum sumus, et caro tua
GB 2:5
«Ma stendi un poco la mano e toccalo nell'osso e nella
carne e vedrai come ti benedirà in faccia!»
Ebr: ְּבָׂשרֹו ַעצ ְ֖מֹו
֑
Gr: τῶν ὀστῶν αὐτοῦ καὶ τῶν σαρκῶν αὐτοῦ
Lat: os ejus et carnem
In questi brani, vengono giustapposti ‘ossa’ [sing. ] ֶעצֶםe ‘carne’.
Si profila un’espressione idiomatica: essere ‘ossa e carne’ di
qualcuno, esprime, in senso lato – più relativo ad una dimensione
di ‘popolo’ che ad una dimensione più ristretta di ‘famiglia’ – la
consanguineità [tanto che in GDC 9:2, l’italiano introduce
appunto questo concetto, basato su quello di ‘sangue’, assente nel
T.M.].
Quello che ci interessa maggiormente, è il carattere sommatorio
di queste due realtà: l’espressione, indica un intero, la persona in
quanto composta/simboleggiata dalla unione della carne con le
ossa. L’idea di parentela, appartenenza comune, è iscritta in
questa dinamica: ‘ossa e carne’ come realtà che tocca il nucleo
personale in sé, ciò che di più intimo la persona possiede. E così,
dirsi ‘ossa e carne’ di qualcuno, significa rimettere a lui il proprio
senso di appartenenza.
Il richiamo a Gen 2,23 è immediato: il riconoscimento di Eva da
parte di Adamo, procede proprio come riconoscimento della
consustanzialità delle reciproche ‘ossa’ e ‘carne’. Questo passo è
emblematico dell’ambivalenza prospettica del termine ָבּשָׂר: due
individui, due ‘nomi propri’, condividono al massimo grado la
sostanza stessa che li compone; ambivalentemente, sono e non
sono la stessa cosa. Questa condivisione essenziale, sostanzia una
famiglia, e genererà una stirpe: nella dinamica simbolica,
un’intera specie. Individuo, famiglia, specie, sono determinazioni
prospettiche di una stessa cosa, in una catena di ambivalenze.
Non basta dire ‘di una stessa sostanza’: il riconoscimento di
Adamo muove dal senso di appartenenza reciproca, espresso
attraverso un possessivo esplicito [ ְִּבָׂשרי
֑ ִ ] מdel tutto alieno da
timbri simbolici o dinamiche comparative.
Così, in GB 2:5 – unico tra questi brani che, pur presentando la
coppia di termini, manca della funzione di espressione di
consanguineità –, ‘toccare nelle ossa e nella carne’ esprime
perfettamente l’idea di intimità, nucleo di personalità, di cui
abbiamo detto.
Inoltre, riscontriamo ancora una volta una fortissima
demarcazione fra ciò che è osso/ ֶעצֶםe la בשׂר, da cui i due
seguenti punti fermi:
- ֶעצֶםe בשׂרsi compongono in unità – e sono quindi due
realtà perfettamente distinte, in nulla sovrapposte
- בשׂרnon potrà mai indicare il ‘corpo’ in senso proprio,
essendo il corpo impossibilitato a dirsi tale senza le ‘ossa’.
- Con ‘pelle’
GB 10:11
« Di pelle e di carne mi hai rivestito»
Ebr: ּ֭ובָָׂשר ע֣ ֹור
Gr: δέρμα καὶ κρέας
Lat: Pelle et carnibus
GB 19:20
«Alla pelle si attaccano le mie ossa / e non è salva che
la pelle dei miei denti»
Ebr: ְּבעֹורי
ִ֣ ְָׂשרי
ִ ּ֭ו ִבב
Gr: ἐν δέρματί μου […]αἱ σάρκες μου
Lat: Pelle et carnibus
In ebraico è “alla pelle e alla carne si attaccano”.
LAM 3:4
« Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle,
ha rotto le mie ossa»
Ebr: ְָׂשר ֙י
ִ ְעֹורי ב
ִ֔ ו
Gr: σάρκας μου καὶ δέρμα μου
Lat: pellem meam et carnem meam
Abbiamo già visto, in merito a LV 13, come pelle [ ]עֹורe carne si
possano trattare come concetti distinti – restando quindi בשׂרad
indicare la parte più ‘vitale’, interna ed essenziale – o, come
possa בשׂרcoprire entrambe gli ambiti semantici (come
nell’espressione ‘ossa e carne’, dove l’unità prescinde dalla
distinzione carne/pelle).
Questa combinazione, nelle sue 3 occorrenze, è da considerarsi
secondaria: l’ambito di utilizzo sembrerebbe essere quello
prettamente poetico, forse ad accentuare il carattere
‘combinatorio’ – e, quindi, con un taglio negativo di ‘dis-unità’
potenziale – dei tessuti del corpo umano.
- Con ‘corpo’
PRV 5:11
«e tu non gema sulla tua sorte / quando verranno meno
il tuo corpo e la tua carne»
Ebr: ָׂשר ָ֗ך
ְ ּוְׁש א ֶ ֵֽרָך ְּ֝ב
Gr: σάρκες σώματός σου
Lat: carnes tuas et corpus tuum
Qui è impossibile decidere se siano בָשָׂ רo ְׁש אֵרad essere tradotti
rispettivamente con ‘corpo’ o ‘carne’. La LXX interpreta,
significativamente ‘le carni del tuo corpo’: l’unione dei termini
‘corpo’ e ‘carne’, effettivamente, presenta il problema logico di
decidere cosa sia un corpo senza la carne, e di quale unità
concettuale goda.
ְׁש אֵרpresenta problematiche simili a בָשָׂ ר91, ma si tratta di un
termine decisamente meno frequente: 16 occorrenze.
Diversi lessici, seguendo probabilmente il BDB92, presentano per
il lemma una molteplicità di sfumature, che ci paiono forzature di
carattere traduttologico, ovvero ancorate a ragioni di traduzione
piuttosto che legate all’orizzonte semasiologico del lemma in sé.
Soprattutto nel caso di ְׁש אֵרinteso in quanto “sé”, proposto per
esempio in PRV 11,17, tanto più che qui אֵרְׁשcompare in
parallelo a נֶפֶׁש, concetto meno lontano dall’esprimere un
potenziale riflessivo, riferito ad una persona93.
La scarsa frequenza del termine, ci impedisce ogni ulteriore
valutazione positiva.
91
ְׁש ֵארcome ‘carne del sacrificio’, ES 21:10; come simbolo di ‘forza fisica’, SAL
78:20; come ‘legame di sangue’, LV 18:12.
92
BROWN – DRIVER – BRIGGS 1906, pp. 984-985
93
è d’altra parte probabile che in Prov 11 entri in gioco la datazione del testo, e cioè che il
termine abbia assunto sfumature diverse nel corso del tempo, proprio in ragione
dell’evoluzione parallela di termini quali נֶפֶׁש.
- Con ‘nervi, pelle, spirito’
EZ 37:6 / 37:8
«Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la
carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo
spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore»
«Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne
cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c'era spirito in
loro»
Gr: νεῦρα / σάρκας / δέρμα / πνεῦμά
Lat: nervos / carnes / cutem /spiritum
Questo brano racconta la ‘rianimazione delle ossa’. Sulle ossa
disseccate vengono riposti: i nervi [ ] ִּגדִ֜ ים, la ָּבָׂש ר
֗ , la pelle, il
respiro/spirito [ ] ֖רּו ַח. È forse il brano in cui il senso materico di
בשׂרconosce la sua circoscrizione più limitata, precisa, proprio in
via del potere esclusivo/limitativo di questa addizione.
Più che ricavarne un’indicazione apodittica, ci serve per
confermare che il tessuto irrorato e muscolare è la parte
concettualmente più vicina a בשׂרdelle diverse che il lemma
stesso – come visto – può giungere a significare [prima fra tutte:
la pelle94].
2.8 – Consanguineità
Analizziamo 5 passi nei quali בשׂרè utilizzato per indicare la
consanguineità. Ciò che in italiano viene idomaticamente detto
‘legame di sangue’, in ebraico viene espresso come ‘legame di
’בשׂר.
GN 37:27
«Su, vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia
contro di lui, perché è nostro fratello e nostra carne»
Ebr: בְָׂש ֵ ֖רנּו
Gr: τὸ αἷμα αὐτοῦ
Lat: caro nostra
94
Bratsiotis addirittura indica בשׂרcome “sinonimo dal significato più esteso” di [ עֹורcfr.
BRATSIOTIS 1970, pp. 1733-1734]
Mentre Vulgata utilizza il concetto di ‘carne’ – aderente a T.M. –
la LXX verte sul concetto di ‘sangue’ [αίμα, αἵματος].
Il grado di parentela qui espresso, è esplicitamente e
letteralmente quello di ‘fratello’.
LV 18:6
«Nessuno si accosterà a una sua consanguinea, per
avere rapporti con lei»
Ebr: ְּבָׂש ֔רֹו ְׁש ֵ ֣אר ָּכל־
Gr: πρὸς πάντα οἰκεῖα σαρκὸς αὐτοῦ
Lat: ad proximam sanguinis sui
In questo caso, abbiamo una situazione rovesciata: il latino verte
su ‘sangue’, la LXX riporta ‘i famigliari della sua carne’.
Inoltre, la lezione ebraica non è chiara: ritorna ְׁשאר ֣ ֵ 95, che
abbiamo già incontrato come generalmente capace dei medesimi
significati di בשׂר. Comparendo insieme, sembra esservi una
ridondanza; una possibilità, potrebbe essere l’intendere ְׁשאר ֵ֣
come principio individuato, la carne del corpo della persona, e
בשׂרinteso ad un grado di individuazione inferiore, ovvero come
‘famiglia’. In questo caso, il greco calcherebbe esattamente
95
STRONG 7607
֣ ֵ con οἰκεῖα, e
questa articolazione concettuale, traducendo ְׁשאר
בשׂרcon σαρκὸς.
LV 25:49
«lo potrà riscattare uno dei parenti dello stesso suo
sangue o, se ha i mezzi di farlo, potrà riscattarsi da sé»
Ebr: ְּׁשאר
֧ ֵ ְּבָׂשרֹו ִמ
֛ מִִּמ ְׁשַּפ ח ְּ֖תֹו
Gr: ἀπὸ τῶν οἰκείων τῶν σαρκῶν αὐτοῦ
Lat: [48] Qui voluerit ex fratribus suis, redimet eum, [49] et
patruus, et patruelis, et consanguineus, et affinis
La situazione è simile a LV 18:6, ma l’ebraico si arricchisce di
un termine ulteriore: [ מִִּמ ְׁשַּפ ח ְּ֖תֹוda ‘ – ִמְׁש ָפחָהfamiglia’ (esteso –
tribù)]. Seguendo quanto detto per il passo precedente,
intendiamo: potrà essere riscattato da un ְׁשאר ֣ ֵ della בשׂרdella
ִמְׁש ָפחָה. In un certo senso: un individuo della famiglia della sua
tribù.
NE 5:5
«La nostra carne è come la carne dei nostri fratelli, i
nostri figli sono come i loro figli»
Ebr: ְּבָׂשרנּו ַא ֙ ֵחינ ּ֙ו ִּכ ְבַׂש ֤ ר
ֵ֔
Gr: ὡς σὰρξ ἀδελφῶν ἡμῶν σὰρξ ἡμῶν
Lat: sicut carnes fratrum nostrorum, sic carnes nostrae sunt
Questo brano non indica un legame di parentela, piuttosto lo
“spiega”: essere parenti [qui: appartenere ad uno stesso popolo] è
essere della stessa בשׂר. LXX e Vulgata seguono letteralmente.
IS 58:7
«Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato,
/ nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, / nel
vestire uno che vedi nudo, / senza distogliere gli occhi
da quelli della tua carne?»
Ebr: ְִּ֖בָׂשרָך
ְ ּומ
Gr: ἀπὸ τῶν οἰκείων τοῦ σπέρματός σου
Lat: carnem tuam [ne despexeris]
La Vulgata traduce letteralmente; l’italiano, segue
concettualmente la LXX. Abbiamo per la prima – ed unica –
volta, τὸ σπέρμα per rendere il concetto di parentela veicolato
da בשׂר.
2.9 – Carne per i sacrifici
28 volte, בשׂרviene utilizzato per indicare la carne animale
destinata al culto sacrificale.
ES 29:14
«Ma la carne del giovenco, la sua pelle e i suoi
escrementi, li brucerai fuori del campo, perché si tratta
di un sacrificio per il peccato»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
ES 29:31
«Ma la carne del giovenco, la sua pelle e i suoi
escrementi, li brucerai fuori del campo, perché si tratta
di un sacrificio per il peccato»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes ejus
ES 29:34
«Nel caso che al mattino ancora restasse carne del
sacrificio d'investitura e del pane, brucerai questo
avanzo nel fuoco»
Gr: ἀπὸ τῶν κρεῶν
Lat: de carnibus
LV 4:11
« Ma la pelle del giovenco, la carne con la testa, le
viscere, le zampe e gli escrementi»
Gr: τὴν σάρκα σὺν
Lat: omnes carnes
LV 6:20
«Qualunque cosa ne toccherà le carni [della vittima del
sacrificio espiatorio] sarà sacra»
Gr: τῶν κρεῶν αὐτῆς
Lat: carnes ejus
LV 7:15
«La carne del sacrificio di ringraziamento dovrà
mangiarsi il giorno stesso in cui esso viene offerto; non
se ne lascerà nulla fino alla mattina. »
Gr: τὰ κρέα
Lat: cujus carnes
LV 7:17
«ma quel che sarà rimasto della carne del sacrificio
fino al terzo giorno, dovrà bruciarsi nel fuoco»
Gr: ἀπὸ τῶν κρεῶν
Lat: de carnibus
LV 7:19
«La carne che sarà stata in contatto con qualche cosa di
immondo, non si potrà mangiare; sarà bruciata nel
fuoco»
Gr: κρέα
Lat: caro
LV 7:20
«Chiunque sarà mondo potrà mangiare la carne del
sacrificio di comunione; ma la persona che, immonda,
mangerà la carne del sacrificio di comunione offerto al
Signore sarà eliminata dal suo popolo. »
Gr: ἀπὸ τῶν κρεῶν
Lat: de carnibus
LV 7:21
«Se uno toccherà qualsiasi cosa immonda:
un'immondezza umana, un animale immondo o
qualsiasi cosa abominevole, immonda, e mangerà la
carne d'un sacrificio di comunione offerto al Signore,
quel tale sarà eliminato dal suo popolo»
Gr: ἀπὸ τῶν κρεῶν
Lat: carnibus
LV 8:17
«Ma il giovenco, la sua pelle, la sua carne e le feci,
bruciò nel fuoco fuori dell'accampamento, come il
Signore gli aveva ordinato»
Gr: τὰ κρέα αὐτοῦ
Lat: carnibus
LV 9:11
«La carne e la pelle le bruciò nel fuoco fuori
dell'accampamento»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
LV 16:27
«Si porterà fuori del campo il giovenco del sacrificio
espiatorio e il capro del sacrificio, il cui sangue è stato
introdotto nel santuario per compiere il rito espiatorio,
se ne bruceranno nel fuoco la pelle, la carne e gli
escrementi»
Gr: τὰ κρέα αὐτῶν
Lat: carnes eorum
NUM 18:18
«La loro carne sarà tua; sarà tua come il petto
dell'offerta che si fa con la agitazione rituale e come la
coscia destra»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
NUM 19:5
«poi si brucerà la giovenca sotto i suoi occhi; se ne
brucerà la pelle, la carne e il sangue con gli
escrementi»
Gr: τὰ κρέα αὐτῆς
Lat: carnibus ejus
DT 12,27
«la carne e il sangue, sull'altare del Signore tuo Dio; il
sangue delle altre tue vittime dovrà essere sparso
sull'altare del Signore tuo Dio e tu ne mangerai la
carne»
Gr: τὰ κρέα / τὰ δὲ κρέα
Lat: carnem / carnibus
DT 16,4
«Non si veda lievito presso di te, entro tutti i tuoi
confini, per sette giorni; della carne, che avrai
immolata la sera del primo giorno, non resti nulla fino
al mattino»
Gr: ἀπὸ τῶν κρεῶν
Lat: de carnibus ejus
1SAM 2:13
«Quando uno si presentava a offrire il sacrificio,
veniva il servo del sacerdote mentre la carne cuoceva,
con in mano un forchettone a tre denti»
Gr: τὸ κρέας
Lat: carnes
1Sam 2:15
«Prima che fosse bruciato il grasso, veniva ancora il
servo del sacerdote e diceva a chi offriva il sacrificio:
"Dammi la carne da arrostire per il sacerdote, perché
non vuole avere da te carne cotta, ma cruda"»
Gr: κρέας / sottoint.
Lat: carnem
GER 11:15
«Voti e carne di sacrifici allontanano forse / da te la
tua sventura, / e così potrai ancora schiamazzare di
gioia? »
Gr: κρέα
Lat: carnes
OS 8:13
«Essi offrono sacrifici / e ne mangiano le carni, / ma il
Signore non li gradisce; »
Gr: κρέα
Lat: carnes
AG 2:12
«Se uno in un lembo del suo vestito porta carne
consacrata e con il lembo tocca il pane, il companatico,
il vino, l'olio o qualunque altro cibo, questo verrà
santificato? No, risposero i sacerdoti»
Gr: κρέας
Lat: carnem
GDC 6:19
«Allora Gedeone entrò in casa, preparò un capretto e
con un'efa di farina preparò focacce azzime; mise la
carne in un canestro, il brodo in una pentola, gli portò
tutto sotto il terebinto e glielo offrì»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
GDC 6:20
«L'angelo di Dio gli disse: "Prendi la carne e le
focacce azzime, mettile su questa pietra e versavi il
brodo"»
Gr: τὰ κρέα
Lat: carnes
GDC 6:21
«Allora l'angelo del Signore stese l'estremità del
bastone che aveva in mano e toccò la carne e le
focacce azzime; salì dalla roccia un fuoco che consumò
la carne e le focacce azzime e l'angelo del Signore
scomparve dai suoi occhi»
Gr: τῶν κρεῶν / τὰ κρέα
Lat: carnes / carnes
2.10 – Brani in cui ָבשָׂרviene tradotto ‘corpo’
Questa categoria, per quanto possa sembrare singolare,
ermeneuticamente parlando serve perfettamente il nostro scopo:
comprendere l’area semantica potenziale del termine ָבשָׂר, e non
indagarne le possibili traduzioni – se non in quanto operazione
utile allo scopo principale.
Così, l’esito euro-moderno ‘corpo’, apparirà in quei luoghi nei
quali la figuralità dell’oggetto corporeo è messa in maggiore
risalto.
Fino ad ora, non abbiamo trovato passi nei quali, in modo
dirimente, una eventuale interpretazione/traduzione di ָבשָׂרcon
‘corpo’ appaia preferibile alle altre possibili
interpretazioni/traduzioni. Analizziamo ora quei versetti nei quali
questa via è stata invece effettivamente percorsa dai traduttori
moderni.
Sarà indispensabile portare l’attenzione sulla versione LXX, per
vedere se questo esito è stato in qualche modo ‘preparato’ – o
percorso in parallelo – dalla traduzione/interpretazione greca.
In modo particolare, sarà interessante focalizzare l’attenzione
sull’eventuale intensificarsi della comparsa del lemma σῶμα,
testimone chiave poiché semasiologicamente molto vicino
all’euro-moderno ‘corpo’.
Notiamo: σῶμα, nell’analisi fino ad ora effettuata, è comparso
soltanto in una occasione come traduzione di ָבשָׂר: GB 7,5.
ES 30:32
«Non si dovrà versare sul corpo di nessun uomo e di
simile a questo non ne dovrete fare: è una cosa santa e
santa la dovrete ritenere»
Ebr: ָאדָ ם֙ ְּב ַׂש ֤ ר עַל־
Gr: ἐπὶ σάρκα ἀνθρώπου
Lat: Caro hominis
Sappiamo da ES 30:25 che si sta parlando di un olio santo,
ovvero un olio dedicato alla consacrazione rituale96. Vi è una
precisa distinzione – anche lessicale – tra l’olio igienico
dell’unzione privata ( ) סּוְךe quello dell’unzione rituale ( ) ְמַׁשח, e
questo passo ricade nella seconda tipologia. L’unzione rituale, di
origine nomadica e sacrificale, probabilmente derivata dall’uso di
96
֔ק ֹדֶ ש מְִׁש חַת־ ֶׁ֚ש מֶן
spalmare il grasso animale sull’altare dei sacrifici97 – di cui si ha
traccia non soltanto presso gli israeliti ma anche presso gli
Egiziani [Giudici 9:8,15; 1 Samuele 9:16; 10:1; 2 Samuele 19:10;
1 Re 1:39,45; 2 Re 9:3,6; 11:12] – era un rituale destinato
all’elezione regale98 o sacerdotale99. La modalità del rituale,
prevede l’unzione del corpo o della testa.
Nel caso della testa, non viene mai specificata l’unzione dei
capelli o della barba100.
Tecnicamente, diviene indistinguibile l’unzione della carne (e
sappiamo dalla nostra analisi che ָבשָׂרè termine potenzialmente
inclusivo della ‘pelle’ – sulla quale naturalmente ricade l’olio
dell’unzione) e l’unzione di un corpo.
LXX e Vulgata traducono letteralmente: ‘carne’.
L’italiano riporta ‘corpo’, ma è un’interpretazione peculiare,
assente in altre versioni moderne (esempio KJV: “Upon man's
flesh”).
97
ROBERTSON SMITH 2002, pp. 233, 383
98
Il rituale è di probabile provenienza egizia, ma se ne ha traccia considerevolmente antica
anche presso i cananei – vedi Lettere di Tell el-Amarna, Lettera 37 in JEREMIAS 2012
99
Sulla dipendenza e derivazione dell’unzione sacerdotale da quella regale, e sulla
probabile origine cananea della pratica adottata in ambito biblico, si veda DE VAUX 1960,
pp. 111-113
100
Nel Salmo 133, l’olio sparso sul capo [ ] ה ָ֗ר ֹאׁש עַל־scende sulla barba, e sull’orlo della
veste: si tratta di un’immagine poetica, non ci sono evidenze che il rituale prevedesse
l’unzione diretta della barba o della veste. Sulla simbologia di questo e simili passi, e sui
significati mistici della barba e delle vesti in contesti poetici, esiste una tradizione specifica
che origina dallo Shi'ur Qomah e, in seguito, dalla letteratura Zoharica. cfr. LOEWE 1965;
SWEENEY 2013
LV 6:3
«Il sacerdote, indossata la tunica di lino e vestiti i
calzoni di lino, toglierà la cenere, in cui il fuoco avrà
ridotto l'olocausto sull'altare, e la deporrà al fianco
dell'altare»
Ebr: ְּבָׂש רֹו֒ עַל־
Gr: περὶ τὸ σῶμα αὐτοῦ
Lat: [Vestietur…]
Nella nuova traduzione, manca del tutto il riferimento esplicito al
termine ָבשָׂר, che era presente in versioni precedenti: Diodati,
“vesta la sua carne delle mutande line”.
Sono due gli oggetti della vestizione: [ ַ֗בד מ ִּ֣דֹוtunica di lino] e
[ ַב ֮ד ּומִ ֽ ְכנְסֵיletteralmente ‘sottoveste’101]. Il fatto che, nel T.M., il
riferimento al capo da indossare sopra la ָבשָׂרsia esplicitamente
al secondo indumento [greco: περισκελὲς102; latino:
feminalibus], fa pensare al significato di ָבשָׂרnel suo uso
metonimico per ‘pudenda’ – categoria che affronteremo oltre.
Diodati e LXX [che traduce σῶμα] optano per
un’interpretazione congiunta della vestizione, introducendo un
‘corpo’ che nel T.M. è di fatto assente.
101
STRONG 4370 – מִ ְכנָס
102
Termine controverso – cfr. RAMSAY 1875 – ma l’etimologia sembrerebbe indicare
qualcosa che viene fasciato intorno alle gambe [ περὶ - σκέλος ]
Per un caso analogo ma con una significativa variante, si veda
oltre LV 16:4.
LV 14,9
«Il settimo giorno si raderà tutti i peli, il capo, la barba,
le ciglia, insomma tutti i peli; si laverà le vesti e si
bagnerà il corpo nell'acqua e sarà mondo»
Ebr: ְּבָׂשרֹו אֶת־
֛
Gr: τὸ σῶμα αὐτοῦ
Lat: corpore
σῶμα / corpus / corpo: questa volta, l’opzione ‘corporale’ è
percorsa da tutti i traduttori. L’atto del lavarsi, e le azioni
riguardanti le operazioni igieniche in generale, non possono che
riguardare la superficie del corpo; in realtà, tecnicamente
parlando, non si può lavare che lo strato esteriore della pelle:
tanto la ‘carne’ quanto ‘il corpo’, sarebbero utilizzati per
estensione103. In questo passo è interessante notare come, a
partire dal contesto, l’azione di purificazione non possa
riguardare altro che il tessuto molle/pelle/carne, poiché
consecutiva ad una rasatura del capo e di “tutti i peli”.
103
Valutando l’opzione riflessiva del lavar-si, pur individuando un “sé”, tecnicamente
descrive un’azione formalmente indistinguibile: non vi è differenza esteriore tra ‘lavarsi’ e
‘lavare il proprio corpo’ cfr. SICHKARYK 2011, p. 114 nota 209
LV 15:13.16 /16:24.26.28 / 17:16 / 22:6 / NUM 8:7 / 19:7.8
Tutti questi passi, riguardano una pratica di lavaggio e
purificazione del ‘corpo’ analoga a quella di LV 14,9.
Qui, la Vulgata traduce ָבשָׂרcon ‘corpus’, e la LXX con σῶμα.
Fanno eccezione:
LV 16:24.28 Vulgata ‘carnem’;
NUM 8:7 Vulgata ‘carnis’.
Questa continua commistione, in definitiva, risulta basarsi
sull’equivalenza semantica di ‘corpo/pelle/carne’, relativamente
a questi passi. ָבשָׂרviene qui interpretato talvolta come
σῶμα/corpus, ma non smette di poter essere letto primariamente
come ‘carne’. È ָבשָׂר/carne ad essere interpretato come
‘σῶμα/corpus’, e non ‘carne’ ad essere incluso nelle potenzialità
dei concetti ‘σῶμα/corpus’.
LV 16:4 analogo a LV 6:3
2RE 4:34
«Quindi salì, si distese sul ragazzo; pose la bocca sulla
bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani nelle
mani di lui e si curvò su di lui. Il corpo del bambino
riprese calore.»
Ebr: ְּבַׂש ֥ ר
Gr: ἡ σὰρξ
Lat: caro
Logicamente parlando, è la carne dell’uomo a poter essere più o
meno calda in relazione alla vitalità. LXX e Vulgata traducono
letteralmente. La versione italiana interpreta – per estensione –
con ‘corpo’.
SAL 16:9
«Di questo gioisce il mio cuore, / esulta la mia anima; /
anche il mio corpo riposa al sicuro»
Ebr: ָׂשרי
ִ֗ ְּ֝ב
Gr: ἡ σάρξ μου
Lat: caro mea
Incominciamo col notare che sia LXX che Vulgata mantengono
‘carne’. Il ‘corpo’ italiano scorre con logica perfetta. In questo
passo in modo particolare, ci pare assolutamente plausibile il
fatto che se la lingua dello scrivente avesse contenuto un lemma
perfettamente ‘sovrapponibile’ all’idea di ‘corpo-moderno’, qui
avrebbe trovato una positura esatta. Dal nostro punto di vista,
stante l’analisi condotta fino ad ora, la ‘mancanza’ di questo
termine risulta ancora maggiormente inverata dall’utilizzo di
ָבשָׂר. La traduzione greca, che preferisce σάρξ a σῶμα, e quella
latina che opta per ‘caro’ su un ipotetico ‘corpus’, tutelano
l’interpretazione letterale.
L’utilizzo ipotetico di ‘carne’ in italiano in questo contesto
specifico – dove la nota dominante è quella della
‘sicurezza/salvezza’ – avrebbe posto l’accento sull’idea di
fragilità della condizione mortale, accento che è certamente
presente tra gli usi biblici del termine [ ָבשָׂרvedremo oltre un
paragrafo specifico], ma non è la sua nota dominante; anzi,
possiamo dirla circoscritta e secondaria.
PRV 4:22
« perché essi sono vita per chi li trova / e salute per
tutto il suo corpo»
Ebr: ְּבָׂשרֹו ּֽו ְלכָל־
֥
Gr: πάσῃ σαρκὶ
Lat: universae carni
Vale quanto detto per SAL 16:9.
PRV 14:30
«Un cuore tranquillo è la vita di tutto il corpo, /
l'invidia è la carie delle ossa»
Ebr: ָׂשרים
ִ ֭ ְב
Gr: ἀνὴρ
Lat: carnium
In passi poetici come questo, si trovano le interpretazioni più
libere e associative, possibili per via della forte carica metaforica
del testo – ‘ ֵל֣ב/cuore’, così come ‘ ֲעצ ָ֣מֹות/ossa’, evidentemente
non sono usati in senso anatomico.
Mentre la Vulgata traduce letteralmente, per la prima volta
compare il greco ἀνὴρ – ‘uomo’ – come traduzione di ָבשָׂר. In
realtà, non si tratta direttamente di una traduzione, ma di una
interpretazione del verso a partire dal suo senso complessivo.
Ciò detto, occorre segnalare la bipartizione del verso, che si
compone di due periodi correlati; questo, instaura un parallelo tra
ָׂשרים
ִ ‘ ֭ ְבle carni’ e ֲעצ ָ֣מֹות, ‘le ossa’ – e l’utilizzo (raro) di ָבשָׂרal
plurale, rinforza questo parallelo. Come abbiamo più volte
notato, è frequente l’uso di indicare la materialità corporale
umana come composto di ‘carne ed ossa’. Questo parallelo
giocato su tale bipartizione complementare, cade del tutto con
l’introduzione del concetto di ‘corpo’ o ‘uomo’ a tradurre ָבשָׂר.
Parimenti, rinforza la necessità di intendere ָבשָׂרcome ‘carne’.
QO 2:3
«Ho voluto soddisfare il mio corpo con il vino, con la
pretesa di dedicarmi con la mente alla sapienza e di
darmi alla follia, finché non scoprissi che cosa
convenga agli uomini compiere sotto il cielo, nei giorni
contati della loro vita»
Ebr: ְּבָׂשרי אֶת־
ִ֑
Gr: τὴν σάρκα μου
Lat: carnem meam
Ancora una volta, vale quanto detto per SAL 16:9.
Ci accorgiamo ancora una volta come l’esperienza biblica del
‘corpo’, specialmente quando restituita nelle narrazioni in prima
persona, equivale all’esperienza della propria ‘ ָבשָׂר/ carne’.
QO 11:10
«Caccia la malinconia dal tuo cuore, / allontana dal tuo
corpo il dolore, / perché la giovinezza e i capelli neri
sono un soffio »
Ebr: ְִּבָׂשרָך
ֶ֑ מ
Gr: ἀπὸ σαρκός σου
Lat: a carne tua
Segnalando ancora una volta il contesto poetico, il ‘dolore’ ha
forse più diritto di risiedere nella ‘carne’ – e lì essere percepito –
di quanto la malinconia ne abbia a prendere luogo nel ‘cuore’.
‘Corpo’ è una traduzione altamente interpretativa, non percorsa
né da LXX né da Vulgata.
QO 12:12
«Quanto a ciò che è in più di questo, figlio mio, bada
bene: i libri si moltiplicano senza fine ma il molto
studio affatica il corpo»
Ebr: ָּבָֽׂשר
Gr: σαρκός
Lat: carnis
Vale l’osservazione fatta per QO 2:3 l’esperienza biblica del
‘corpo’, specialmente quando restituita nelle narrazioni in prima
persona, equivale all’esperienza della propria ‘ ָבשָׂר/ carne’.
ISA 10:18b
«Esso consumerà anima e corpo / e sarà come un
malato che sta spegnendosi»
Ebr: ָּב ָׂש ֖ ר ְועַד־
Gr: ἕως σαρκῶν
Lat: ad carnem
Il testo greco recita ἀπὸ ψυχῆς ἕως σαρκῶν. Il forte portato
culturale che circonda questa coppia di termini, porta
naturalmente a tradurli ‘anima e corpo’. L’ebraico presenta נֶפֶׁשe
ָבשָׂר. Sul primo, abbiamo già detto.
Ipotizzando di tradurli ‘il respiro della vita e la carne’, avremmo
forse un testo letteralmente più aderente.
EZ 10:12
«Tutto il loro corpo, il dorso, le mani, le ali e le ruote
erano pieni di occhi tutt'intorno; ognuno dei quattro
aveva la propria ruota»
Ebr: ְּ֙בָׂשרם
ָ
Gr: –
Lat: omne corpus earum
Il ְּ֙בָׂשרם
ָ in posizione di testa rispetto ad una serie elenchica che
conta: dorsi, mani, ali, ruote, farebbe effettivamente pensare –
per la prima volta – ad un corpo inteso nella sua piena figuralità,
nel suo apparire come una unità manifestativamente e
funzionalmente eccedente rispetto alla sommatoria delle parti.
Considerando però EZ 1:11, che aveva anticipata la descrizione
di queste creature di visione, notiamo come il ‘corpo’ venga
indicato con il termine ְּגוִי ֹתֵ יהֶ ֽנָה [ ְּגוִָּיה, ‘i loro corpi’, nel testo].
Su questo termine, abbiamo già date indicazioni.
Inoltre, l’intenzione particolare del versetto in questione è quella
di segnalare come queste ‘parti’ dei corpi delle creature, siano
tutte “piene di occhi”: l’immagine di questi occhi incastonati
nelle membra, rimanda alla idea di ‘carne’, intesa come materia
costitutiva di queste membra ‘occhiute’ stesse.
Pur restando lontana una ‘soluzione’ dirimente del passo – si
tratta pur sempre di una visione, con caratteristiche estremamente
lontane dall’esperienza comune – ci sembra che anche qui ָבשָׂר
possa rimandare direttamente al suo primo significato, ‘carne’,
inteso come ‘materia di cui sono composte le membra di un
essere vivente’ – per quanto lontana dalla tipologia tissutale di un
umano. ָבשָׂר, ancora una volta, non indica ‘un essere vivente’, né
tanto meno il suo ‘corpo’, ma la sua matericità intesa
qualitativamente ed estensivamente.
2.11 - ָבשָׂרcon senso eufemistico per indicare le pudenda
e la regione del pube
L’uso eufemistico, in alcuni casi, è esplicito e chiaro. Ci sembra
evidente che il potenziale semantico in grado di permettere un
tale eufemismo proceda dalla possibilità reale di ָבשָׂרdi
significare la ‘carne’, e non dalla eventuale di significare ‘il
corpo’.
Come vedremo oltre, comparirà con una certa frequenza anche
l’espressione ‘circonciso nella carne’, ad avvalorare questo
ambito semantico.
ES 28, 42
« Farai loro inoltre calzoni di lino, per coprire la loro
nudità; dovranno arrivare dai fianchi fino alle cosce»
Ebr: ע ְֶר ָו֑ה ְּב ַׂש ֣ ר
Gr: χρωτὸς
Lat: carnem turpitudinis suae
La LXX utilizza χρώς, χρωτὸς, termine molto vicino a ‘carne’,
ma – come abbiamo già visto – utilizzato soprattutto per
indicarne la superficie visibile, la carne del corpo nel suo offrirsi
alla vista . Questo è perfettamente aderente con l’allusione alle
pudenda, in quanto parti che è necessario coprire per sottrarle alla
vista.
ע ְֶר ָו֑ה ְּב ַׂש ֣ רletteralmente è vicino a ‘la nudità della carne/la carne
nuda’. Questa espressione non ritornerà più: nei seguenti passi,
comparirà soltanto ָבשָׂר. Forse è proprio per via di questa
espressione ‘accresciuta’, che la Vulgata traduce – liberamente –
con “carnem turpitudinis”, anch’essa utilizzata soltanto in questa
occasione.
LV 15,2.3
«Parlate agli Israeliti e riferite loro: Se un uomo soffre
di gonorrea nella sua carne, la sua gonorrea è
immonda»
«Questa è la condizione d'immondezza per la gonorrea:
sia che la carne lasci uscire il liquido, sia che lo
trattenga, si tratta d'immondezza»
Ebr: ְּבָׂשרֹו
֞ / מְִּבָׂש ֔רֹו
Gr: ἐκ τοῦ σώματος αὐτοῦ
Lat: – / carni ejus
Il termine ‘gonorrea’ è un’interpretazione medica a partire dalla
sintomatologia descritta. Letteralmente, מְִּבָׂש ֔רֹו ָז֣בsignifica ‘un
flusso/uno scolo dalla sua carne’.
LV 15:19
«Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il
flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette
giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla
sera »
Ebr: ְָׂשרּה
֑ ָ ִּב ב
Gr: ἐν τῷ σώματι αὐτῆς
Lat: –
Abbiamo un caso analogo a LV 15:2: letteralmente, ‘un flusso
dalla sua carne’ - ְָׂשרּה ז ָ ֹ֖בּה
֑ ָ ִּב ב. Qui, l’uso eufemistico addita ad
una realtà esatta e priva di alcuna ambiguità.
La Vulgata utilizza una perifrasi ad indicare la manifestazione
sintomatologica senza nominare (direttamente o indirettamente)
la parte del corpo in questione [“patitur fluxum sanguini”].
LV 16:4
«Si metterà la tunica sacra di lino, indosserà sul corpo i
calzoni di lino, si cingerà della cintura di lino e si
metterà in capo il turbante di lino»
Ebr: ְּבָׂש רֹו֒ עַל־
Gr: ἐπὶ τοῦ χρωτὸς αὐτοῦ
Lat: verenda
Si tratta di un ulteriore passo esplicito nell’uso eufemistico. La
Vulgata ne disvela il lato eufemistico, traducendo “verenda”.
2RE 6:30
«Quando udì le parole della donna, il re si stracciò le
vesti. Mentre egli passava sulle mura, lo vide il popolo;
ecco, aveva un sacco di sotto, sulla carne»
Ebr: ְּבָׂשרֹו עַל־
֖
Gr: ἐπὶ τῆς σαρκὸς αὐτοῦ
Lat: ad carnem
Ancora un eufemismo esatto. La LXX traduce con σαρξ: avendo
già utilizzato σώμα e χρώς, mostra la massima plasticità in
questo contesto eufemistico.
2.12 – ‘Carne’ in contrapposizione ad una realtà ‘più alta’ o
‘più bassa’
2CR 32,8
«Con lui [Sennacherib, re di Assiria] c'è un braccio di
carne, con noi c'è il Signore nostro Dio per aiutarci e
per combattere le nostre battaglie»
Ebr: ָּבָׂש ר ז ְ֣רֹו ַע
֔
Gr: βραχίονες σάρκινοι
Lat: brachium carneum
IS 31:3
«L'Egiziano è un uomo e non un dio, / i suoi cavalli
sono carne e non spirito»
Ebr: ָּב ָׂש ֖ ר
Gr: σάρκας
Lat: caro
GER 17:5
«Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, / che pone
nella carne il suo sostegno / e il cui cuore si allontana
dal Signore»
Ebr: ָּב ָׂש ֖ ר
Gr: σάρκα
Lat: carnem
EZ 11:19
«Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò
dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra
e darò loro un cuore di carne»
Ebr: ָּבָֽׂשר לֵ ֥ב/ ְִּבָׂשרם
ָ֔ מ
Gr: ἐκ τῆς σαρκὸς αὐτῶν / καρδίαν σαρκίνην
Lat: de carne eorum / cor carneum
“Dal loro petto” – letteralmente è ‘dalla loro ’ ָּבָֽׂשר. LXX e
Vulgata mantengono il senso letterale.
EZ 36:26 analogo a EZ 11:19
Analizzando questi passi congiuntamente, possiamo muovere
alcune osservazioni.
Sia che ָבשָׂרvenga contrapposto ad una realtà più elevata, come
una manifestazione divina [2CR 32,8; IS 31:3; GER 17:5] sia che
venga contrapposto ad una realtà più umile – il cuore ‘di carne’
che sostiuisce quello ‘di pietra’ [EZ 11:19; EZ 36:26] –, ָבשָׂרda
corpo sostanzialmente alla realtà umana, o a realtà poste sul
livello di quella umana. Il ‘livello superiore’, non considera una
realtà superiore inerente alle possibilità dell’umano (ad es: una
realtà spirituale), bensì la sfera del divino, la ‘realtà’ di Dio.
Nei due passi di Ezechiele, il ‘cuore di pietra’ è indicato come
condizione degenerata, impropria dell’umano. La ‘carne’ non ha
nulla di deteriore: anzi, è la condizione più propria e più piena
dell’umano, restaurata dal dono di Dio.
2.13 – Casi particolari
Trattiamo ora una serie di casi particolari: versetti nei quali il
termine ָבשָׂרcompare con un utilizzo peculiare, o in un contesto
particolarmente significativo ai fini del nostro lavoro di
comprensione/ricostruzione del suo valore semasiologico
originario.
2.13.1 – NUM 18:15
«Ogni essere che nasce per primo da ogni essere
vivente, offerto al Signore, così degli uomini come
degli animali, sarà tuo; però farai riscattare il
primogenito dell'uomo e farai anche riscattare il primo
nato di un animale immondo»
Ebr: ָּבָׂש ר לְ ֽכָל־
֞
Gr: ἀπὸ πάσης σαρκός
Lat: cunctae carnis
Questo passo apparterrebbe – nella nostra ripartizione – al
paragrafo 2.3
La traduzione italiana è fortemente interpretativa. Il soggetto
‘ogni essere’, traduce ֶפטֶר ָּכל־, letteralmente vicino a ‘ogni cosa
che apre’ [da ָפטַר, ‘dividere, separare’104]. Anche il ‘nascere’
manca: viene desunto da ֶ֠רחֶם, l’utero [‘viscere’]. Il senso letterale
indica chiaramente la primogenitura. ָּבָׂש ר לְ ֽכָל־ ֶ֠רחֶם
֞ : l’intensione
universale ed inclusiva è esplicitata dalla comparsa della
specificazione “così degli uomini come degli animali”.
La peculiarità di questo passo ci sembra confermare quanto
abbiamo rilevato a proposito della ‘indifferenzialità’ della ָבשָׂר:
essa produce individui, i quali sono portatori di una differenza
specie-specifica (animale, umana, etc), in un progressivo
differenziarsi (popolo, tribù, famiglia, etc) che arriva a produrre
l’individuo ‘uno’. Questa accezione ‘partitiva’ è suggerita dalla
forma specifica con la quale viene qui indicata la divisione: “così
degli uomini come degli animali”, in ebraico espressa con la
preposizione ְב ָּבָאד֥ם
ָ ּובְַּב ה ָ ֵ֖מה.
La prima metà del versetto non ‘indica’ semplicemente la
primogenitura, ma ne articola la dinamica che ne individua la
specificità. Il termine ‘primogenito/primogenitura’, ְּבכֹור,
compare infatti nella seconda metà del versetto, soltanto dopo
104
STRONG 6362
che la specificità (ontologica, teologica) è stata ‘mostrata’ nella
sua dinamica produttiva.
2.13.2 – DT 5:26
«Poiché chi tra tutti i mortali ha udito come noi la voce
del Dio vivente parlare dal fuoco ed è rimasto vivo? »
Ebr: ָּבָׂש ר כָל־
֡
Gr: σάρξ ἥτις
Lat: omnis caro
Concentriamoci sul “come noi”: esso è riferito al popolo
pellegrino nel deserto. L’idea veicolata è che il ‘popolo’ [l’idea
sottointesa nel ‘noi’] sia una parte della ָבשָׂר. L’uso al singolare
di ָבשָׂר, permette di concepirla di un tutto. L’idea di noi-popolo,
diviene una manifestazione coerente e parziale di questo tutto. Il
pronome interrogativo e la forma comparativa, rimandano
all’idea di ulteriori suddivisioni coerenti della [ ָבשָׂרa prescindere
dalla effettiva qualificazione di queste stesse – popolo di Mosé in
opposizione ad altri popoli; uomini in opposizione ad animali;
altre suddivisioni interne all’umanità; et cetera] come tutto/unità,
alle quali il noi-popolo si sta idealmente riferendo.
Come abbiamo visto [par. 2.7], il modo proprio di esprimere
consanguineità è riferirsi alla ְׁש אֵר- ; ָבשָׂרorgani come il cuore,
gli occhi, le braccia, sono ‘fatti di’ ; ָבשָׂרcon ָבשָׂרsi può intendere
una specie animale, tutti gli animali, i soli uomini, et cetera. Tutte
queste distinzioni, rafforzano un principio organizzativo: la
dipendenza ed iscrizione di tutte queste ‘ripartizioni’ possibili
secondo e nella ָבשָׂר. ָבשָׂרsi profila come realtà di ordine
superiore, inclusiva di tutte queste sotto-divisioni. Ma il riferirsi,
per esempio, ad un ‘cuore di ’ ָבשָׂר, appartenente ad un uomo che
è esso stesso ‘parte’ della ָבשָׂר, porta alla conclusione della
dipendenza parallela della carne dell’individuo in quanto tale e
quella dei suoi propri organi nella loro singolarità, come
dipendenza “dalla ” ָבשָׂר: ogni cuore, è in questo modo un cuore
della ָבשָׂר, così come ogni uomo è uomo in ordine alla ָבשָׂר, ed
ogni ‘carne di parentela’ [ ] ְׁש אֵרè tale in quanto appartenente alla
ָבשָׂר.
2.13.3 – GB 12:10
«Egli ha in mano l'anima di ogni vivente / e il soffio
d'ogni carne umana»
Ebr: [ ְּבַׂשר־ ָּכל־ ] אִ ֽיׁש
Gr: παντὸς ἀνθρώπου
Lat: universae carnis hominis
Segnaliamo una complicazione apportata da questo versetto.
Anche la Settanta ci sembra riflettere questa specificità,
interpretando con ἄνθρωπος.
La complicazione è la apparente contrapposizione di ‘ogni
vivente’ e ‘carne umana’ [ ְּבַׂשר ָּכל־/ ] ָ ֑חי ָּכל־, ed ancora la
contrapposizione parallela che conseguentemente si instaura tra
‘anima’ e ‘soffio’ [ ֗רּו ַח/ ] ֶ ֣נפֶׁש.
Non si vede come si possa intendere il ‘soffio della carne umana’
separato da ‘ogni vivente’.
Sottolineiamo come per la prima volta, la ָבשָׂרvenga riferita ad
אִ ֽיׁש. Sembrerebbe un parallelo con valore inclusivo: una
reiterazione del medesimo concetto da due punti prospettici
distinti, più che la congiunzione di due condizioni distinte. אִ ֽיׁשè
‘fatto di’ ָבשָׂר, così come – abbiamo visto –, il cuore, la mano…
Si tratta di livelli/gradi di manifestazione di un unico referente
ontologico.
Questo unicum e la difficoltà dell’interpretazione esclusiva, ci
portano comunque ad optare per una considerazione
estremamente libera/poetica dell’utilizzo del linguaggio onto-
antropologico in questo passo specifico.
2.13.4 – SAL 56:5 [ripetuto identico in SAL 56:12]
«In Dio, di cui lodo la parola, / in Dio confido, non
avrò timore: / che cosa potrà farmi un uomo?»
Ebr: ָבָׂש ֣ ר
Gr: σάρξ
Lat: caro
In questo passo, si rivela pienamente la difficoltà di una corretta
interpretazione – e piena restituzione – del termine ָבשָׂר.
Per la prima volta, lo troviamo reso in italiano con ‘un uomo’.
LXX e Vulgata mantengono la lezione letterale.
Interpellando i passi precedenti – ed il contesto del salmo nella
sua interezza – abbiamo indizi indispensabili per
l’interpretazione: vv. 2-3 “l'uomo mi calpesta, / un aggressore
sempre mi opprime” “Mi calpestano sempre i miei nemici,
molti sono quelli che mi combattono”.
Evidentemente, ciò che l’orante percepisce come insidia ed
indica con ָבשָׂר, è un uomo/un nemico105.
D’altra parte, il senso letterale permette un’ambiguità, una
bivalenza: il senso inclusivo, per il quale l’orante stesso
potenzialmente rientra qualitativamente nelle possibilità indicali
del termine – anche egli, in fondo, è ָבשָׂר.
105
È possibile - ma privo di sufficienti evidenze - che בָשָׂ רabbia assunto nell’uso un
retaggio ‘negativo’, come significato tardivo. Poniamo, in ogni caso, l’accento sulla
tardività di questa eventuale accezione: come abbiamo più volte notato, l’accezione
fondamentale del termine in generale nel contesto veterotestamentario, va dal potenziale
neutro all’estremamente positivo
2.13.5 – SAL 63:2
« O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, / di te ha
sete l'anima mia, / a te anela la mia carne, / come terra
deserta, / arida, senz'acqua. »
Ebr: ְָׂשרי
ִ֑ ב
Gr: ἡ σάρξ μου
Lat: caro mea
Così come ‘la mia gola’ - – נַפ ְִׁ֗ש יprova sete, in esplicito
parallelo, ‘la mia carne’ anela - ָּכמּה ֣ ַ . Il verbo utilizzato106,
compare soltanto in questa occorrenza: il suo significato è
incerto. “Anelare”, lo rende genericamente.
Il parallelo reso in traduzione italiana ci appare fuorviante,
traducendo נֶפֶׁשcon ‘anima’ piuttosto che con ‘gola’.
Il dato più interessante, è una ulteriore conferma di qualcosa che
abbiamo più volte riscontrata e sottolineata: ָבשָׂרcome luogo
dell’esperienza umana più propria e totalizzante.
Il senso più ampio ed inclusivo – che abbiamo ormai imparato a
riconoscere – che ָבשָׂרveicola, rispetto alle possibilità semantiche
dell’italiano ‘carne’, permette in questo passo di intendere
direttamente una realtà più estesa di quella che si indicherebbe
con ‘la carne di un corpo umano’. L’esperienza dell’orante, non
106
STRONG 3642
‘diviene’ metonimicamente esperienza dell’uomo inteso come
umanità: semplicemente, lo è.
2.13.6 – GN 6:3 / SAL 78:39 – carne come condizione mortale
«Allora il Signore disse: "Il mio spirito non resterà
sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà
di centoventi anni"»
Ebr: ָבָׂש ֑ ר
Gr: σάρκας
Lat: caro
«ricordando che essi [i figli di Efraim] sono carne, / un
soffio che va e non ritorna»
Ebr: ָבָׂש ֣ ר
Gr: σάρξ
Lat: caro
Trattiamo questi passi unitamente, poiché permettono una
interessante doppia riflessione.
Innanzitutto, il concetto di carne esplicitamente connesso alla
idea di mortalità / condizione mortale, compare soltanto in questi
due casi. Questo concetto avrà uno sviluppo teologico
importante107, ma è molto significativo rilevare come nel testo
veterotestamentario questa concezione non occupi affatto una
posizione rilevante, se non come concetto tardivo108.
Inoltre, in entrambe questi passi, carne / ָבשָׂר/ σάρξ / caro
compare in relazione a רּו ַח/ πνεῦμα / spiritus , ma in una forma
piuttosto problematica: se in GN 6:3, la condizione mortale è
espressa proprio come realtà correlata alla vita come animazione
della carne da parte dello spirito divino, in SAL 78:39 –
attraverso una terminologia identica – è la carne stessa ad essere
spirito/soffio, e questo è il segno della sua impermanenza.
2.13.7 – SAL 102:5
« Per il lungo mio gemere / aderisce la mia pelle alle
mie ossa »
107
Sulle basi bibliche di questo indirizzo, vedi FABRIS 2014, pp. 74-95; ci premuriamo
comunque di fare notare come, secondo questa lettura, il testo biblico presenti
antropologie fortemente contrastanti, ed il segno ‘negativo’ della condizione mortale nella
sua connessione con la corporeità sia fortemente circoscritto, comparendo specialmente
nel Qoelet, in Giobbe, nella Sapienza; inoltre, non si registra – nell’ebraico – uno scarto
lessicale dirimente, non vi sono termini specifici latori di queste timbriche negative, le
quali sono, piuttosto, eventualmente desumibili attraverso un’interpretazione teologica
delle premesse contestuali
108
Vide supra, nota 105
Ebr: ְָׂשרי
ֽ ִ ִלב
Gr: τῇ σαρκί μου
Lat: carni meae
Come rilevato in ES 4:2, la ragione per la quale è possibile la
traduzione con ‘pelle’ è puramente fenomenologica, e non
strettamente lessicale. Rileviamo ancora una volta l’inclusività
del significato di ָבשָׂר, capace di significare anche ‘la pelle’ non
tanto come possibile variante di una molteplicità di declinazioni,
ma come concetto inclusivo: ָבשָׂרnon è un concetto ‘anatomico’;
il grado ontologico suo proprio, nel quale trova la pienezza ed il
fulcro della sua significazione, è quello della manifestazione
della specie vivente. Da questa area semantica, discende nelle sue
manifestazioni fenomenologiche fino ad includere l’una-carne
della realtà individuale, non distinguendosi anatomicamente in
modo specifico se non nella contrapposizione con ‘le ossa’.
2.13.8 – EZ 16:26
«Hai concesso i tuoi favori ai figli d'Egitto, tuoi
corpulenti vicini, e hai moltiplicato le tue infedeltà per
irritarmi»
Ebr: ָבָׂש ֑ ר ִּגדְ ֵל֣י
Gr: μεγαλοσάρκους
Lat: magnarum carnium
Questa strana espressione, unicum veterotestamentario,
sembrerebbe da intendersi nel suo senso più letterale,
quantitativo – e così traducono LXX e Vulgata.
2.13.9 – EZ 23:20
«Arse di libidine per quegli amanti lussuriosi come
asini, libidinosi come stalloni»
Ebr: ֲמֹורים֙ ְּבַׂשר־ ֲאֶׁש ֤ ר
ִ ְּבָׂשרם ח
ָ֔
Gr: ὧν ἦσαν ὡς ὄνων αἱ σάρκες αὐτῶν
Lat: quorum carnes sunt ut carnes asinorum
La traduzione ‘lussuriosi’, svolge – interpretando il testo – la
simbologia dell’asino109.
Letteralmente, ‘la cui carne è come la carne dell’asino’
[trascurando il plurale].
Interessante per il nostro studio è l’intensione della ָבשָׂרcome
veicolo più proprio della manifestazione specie-specifica
caratteristica. Una specie, una razza, un popolo, si connotano
109
SCHNEIDER 1980, pp. 129-148
nelle loro manifestazioni attraverso il segno – dinamico – della
loro ָבשָׂר.
III. RELAZIONE σῶμα - ָבשָׂר
1 - Il senso di «σῶμα»110 nella LXX
Σῶμα111 ricorre 141 volte nella versione greca LXX: 117 nei
libri canonici, 24 nei deuterocanonici.
L’analisi di HATCH-REDPATH – pur assunta (acriticamente?)
da studi successivi112 – presenta non pochi punti oscuri, errori,
aporie.
Seguendo questa analisi, σῶμα traduce 14 parole ebraiche:
“ – חַילschiavi”113 [GN 34:29]
110
STRONG G4983
Probabilmente, la radice del termine è σώζω [STRONG G4982] , dal precedente σῶς
(contratto per l’arcaico σάος "sicuro"); salvare, proteggere (in senso letterale o figurato):
— guarire, preservare, stare bene, essere integro.
111
In questo paragrafo, quando non diversamente specificato, seguiamo HATCH-REDPATH,
«σῶμα», in A Concordance to the Sptuagint and Other Greek Versions of the Old
Testament, II, Oxford 1897-1906; e SCHWEITZER-BAUMGARTEL 1969, «σῶμα» pp. 660-
662
112
Si vedrà come i seguenti studi riportino degli errori filogeneticamente attribuibili
all’analisi citata: SCHWEITZER-BAUMGARTEL 1969, «σῶμα», in GLNT pp. 659 sgg.;
ROBINSON, J.A.T, The Body. A Study in Pauline Theology, SBT 5, Londra 1952; SICHKARYK,
I., Corpo (σῶμα) come punto focale nell’insegnamento paolino, Editrice Pontificia
Università Gregoriana, Roma 2011
“ – טַףfamiglie”114 [GN 47:12]
“ – נֶפֶׁשpersona”115 [GN 36:6]
“ – עֹורpelle” [GB 19:26]
“ – ּגּופָהcadavere” [1CR 10:12]
“ – נְ ֵבלָהcadavere” [DT 21:23; GS 8:29; 1RE (LXX 3RE)
12:22.24.28.29]
“ – ֶפגֶרcadavere” [GN 15:11; 2RE (LXX 4RE) 19:35; IS 37:36]
“ – ְׁש אֵרcarne” [PR 5:11; 11:17]
“ – ָבשָׂרcorpo” [LV 6:3; v14:9; 15:2.3.13.16.19; 16:4.24.26.28;
17:16; 19:28; 22:6; NM 8:7; 19:7.8; 1RE (LXX 3RE) 21:27; GB
7:5; 41:15; DN 1:15]
“ – ַּגוschiena” [1RE (LXX 3RE) 14:9; NE 9:26; EZ 23:35]
“ – ֵּגוָהschiena” [GB 20:25; 33:17]
“ – ְּגוִָּיהcorpo” [GN 47:18; 1SAM (LXX 1RE) 31:10.12; NA
3:3; NE 9:37; EZ 1:11.23]
ָׁשר ִת֪ים
ְ ְמ116 – “corpo” [1CR 28,1]
“ – ֶּגֶׁשםcorpo” [DN 3:27 (LXX 3:94); 3:28 (LXX 3:95); 7:11;
4:30; 5:21; 7:11]
113
La versione CEI 2008 interpreta “ricchezze”. HATCH-REDPATH traduce ‘schiavi’: secondo lo
STRONG 2428, ַחי ִלtraduce ‘forza lavoro, esercito’.
114
CEI 2008 traduce “bambini”. Così STRONG 2945. Effettivamente, tradurre טַףcon
‘famiglie’ come fa HATCH-REDPATH, ci sembra semplicemente un errore – nel versetto
compare ֵּב ֣ ית ָּכל־, che ha precisamente questo senso.
115
vide supra quanto detto a proposito del significato di נֶפֶׁש.
116
Non ci è affatto chiaro cosa HATCH-REDPATH intenda: [ מְָׁש ְר ִת֪יםverbo al piel, participio
maschile plurale] viene da ָׁש ַרת, “servire”. Nel versetto, l’espressione è הֶַּמ֟ לְֶך אֶת־ הַמְָׁש ְר ִת֪ים
הַַּמ ְחל ְ֣קֹות וְָׂש ֵ ֣רי- CEI 2008 «e i capi delle varie classi al servizio del re». Anche J.A.T
Robinson, non include questa parola nella trattazione dei termini ebraici tradotti con
σῶμα [J.A.T ROBINSON 1952]
In realtà, queste parole non vengono sempre tradotte con σῶμα:
dei 117 casi canonici, corrispondono a 69 occorrenze.
Prendiamo il termine da noi precedentemente analizzato – ָבשָׂר:
esso viene tradotto soltanto 21 volte con σῶμα [circa il 12% dei
casi].
Evidentemente, non esisteva un corrispondente ebraico per il
greco σῶμα. La possibilità per i greci di distinguere σῶμα e
σάρξ, ha generato la confusione che abbiamo diffusamente
cercato di illuminare.
E. Schweizer sottolinea come σῶμα rappresentasse un concetto
non individuato dal pensiero ebraico: l’attribuzione della
funzione di ָבשָׂר, diventa una forma proiettiva, una traduzione
che crea uno scarto di significato evidente – scarto che diviene
critico nel momento (specialmente neotestamentario) in cui
σῶμα assurge ad una posizione dal valore teologico cardinale.
La funzione equivoca del termine, diviene chiara quando
mettiamo a confronto passi nei quali σῶμα viene utilizzato
esplicitamente per indicare realtà molto differenti: ad esempio
per designare schiavi [GN 34:29; 36:6; 47:12; NE 9:37; TV
10:11; 2MAC 8:11]; la parte sotto la testa [EZ 1:11.23]; schiena
[1Re 14:9; NE 9:26; EZ 23.35].
Significativa la probabile evoluzione del significato del termine
dovuta ad un più forte influsso ellenistico: nei libri di Sapienza,
2Maccabei, 4Maccabei, diviene più chiara la distinzione tra
realtà fisica e metafisica, nel contrasto tra mortalità ed ‘io
immortale’ dell’uomo, specialmente nella contrapposizione
corpo/anima, dove il σῶμα gioca un ruolo di primo piano [SAP
2:2-4; 8:20; 2MAC 7:37; 4MAC 10,4; 13:13]117.
La progressione storica dell’evoluzione del concetto di σῶμα nel
mondo greco-ellenistico, diviene ancora più significativa se la
osserviamo nel suo intrecciarsi con le forme e concezioni
neotestamentarie, individuando un tracciato evolutivo coerente.
Se Omero non conosce l’idea di corpo come realtà unitaria ma
soltanto nelle sue manifestazioni organicamente connotate 118, ed
è assiduo nell’assegnare alle realtà materiali ed organiche un
valore superiore a quelle spirituali119, questa prospettiva sparirà
presto nella cultura greco-ellenistica, evolvendosi in un contesto
sostanzialmente dualistico. Sotto l’influsso dell’orfismo, del
pitagorismo e della tradizione misterica, nasce una terminologia
in grado di riflettere una concezione oppositiva di realtà corporali
e realtà animico-spirituali, sotto il segno di una sorta di
liberazione progressiva del ‘sottile’ dal ‘grossolano’. Platone sarà
la tappa fondamentale per la concretizzazione e larga diffusione
di questa concezione120. Alla tradizione platonica, si oppone una
concezione aristotelica, ma fondamentalmente declinando una
concezione ancora dualistica, pur se di segno differente: in
Aristotele, in accordo alla teoria ilemorfica, l’anima diviene
forma secondaria, essendo una cosa sola con il corpo. Ma questo
117
J.A.T ROBINSON 1952 , p.30; SCHWEIZER 1969, p. 662-666
118
GALIMBERTI 1983, pp. 48-50
119
STACEY 1956, pp. 60-61
120
GEVAERT 1974, pp. 50-55
non previene ad una terza realtà – il νοῦς – di poter esistere
‘senza il corpo’121. Il dualismo platonico, dove la separazione tra
realtà corporale e realtà animica è già perfettamente rilevabile in
vita, ha influenzato a tal punto la cultura greca successiva da
profilarsi come fondamento di una tradizione etica di timbro
ascetico – dallo stoicismo in poi – arrivando ad influenzare
direttamente la filosofia Imperiale, lo gnosticismo, il
neoplatonismo122.
Questa divisione non comportava soltanto una antropologia
composita di componenti fisici e psichici, ma era opposizione
anche dal punto di vista qualitativo: il corpo non può fare nulla di
buono, poiché qualitativamente inadatto – a differenza
dell’anima/mente/intelletto, ordinata naturalmente al bene, e,
quindi, al dominio del corpo. L’esercizio attivo di questa
subordinazione, diviene fondamento etico-ascetico, in una linea
che unisce Platone a Plotino123 fino a Seneca.
Questo atteggiamento filosofico aveva ripercussioni pregnanti
sull’ordinamento sociale: la divisione fondamentale della società,
era leggibile come specchio di questo orientamento dualistico,
per il quale si oppongono filosofi e schiavi, essendo il lavoro
corporale affidato esclusivamente agli schiavi in quanto di natura
inferiore124.
Ancora più importante di tutto ciò, è un presupposto implicito di
questa concezione dualistica: il corpo è principio di distinzione,
121
GUNDRY 1976, p. 85
122
FIORENZA-METZ 1970, p. 247
123
Plotino dava l’impressione di «vergognarsi di possedere un corpo», WARE , p.92
124
ROCCHETTA 1990, p. 51
individuazione, piuttosto che segno e veicolo dell’appartenenza,
del legame – famigliare, tribale. Il dualismo diviene capace di
fondare l’esistenza individuata in termini assoluti – essendo il
segno principale della relazione (il corpo) una realtà depotenziata
–, arrivando a predisporre in potenza le possibilità per una
concezione individualistica.
Non si può certo dire che l’evoluzione della concezione
antropologica tra AT e NT rispecchi questo andamento: i
contenuti fondamentali differiscono, così come le forme
procedono autonomamente in modo difficilmente confrontabile
(seppur, come abbiamo rilevato, una dinamica di progressiva
‘spiritualizzazione’ dell’interiorità umana, di influsso ellenistico
diretto, sia rilevabile almeno in Sapienza e Maccabei). Ma la
lingua della LXX, l’innestarsi del greco e quindi della cultura
ellenistica nella traduzione/interpretazione o – deuterocanonici –
nella stesura del testo veterotestamentario, e successivamente
l’intero impianto linguistico neotestamentario, sono campi
privilegiati nei quali osservare questo scontro fatto di
inconciliabilità tra concezioni antropologiche, sistemi etici e
paradigmi linguistici.
Poco oltre, ci soffermeremo brevemente su Paolo: nei suoi scritti
questa dinamica di inconciliabilità raggiungerà il vertice della
problematica.
2 – ָבשָׂר: osservazioni sintetiche
A partire dalle precedenti analisi, muoviamo alcune osservazioni
– di timbro progettuale più che conclusivo.
Certamente, il lemma più vicino al significato originale del ָבשָׂר
biblico, è l’italiano ‘carne’125 – ingl. flesh, ted. Fleisch (dalla
radice sanscrita phalati – ‘dividere-stratificare-spogliare’126).
Questo è testimoniato anche dalla frequenza con la quale ָבשָׂר
viene tradotto con σάρξ nella LXX, caro nella Vulgata.
Il tedesco e l’inglese, traducono σάρξ a partire da una radice che
porta un significato identico al proto-indoeuropeo *twerḱ- che ha
generato il greco σάρξ127.
In questo senso, possiamo a questo punto dire che ָבשָׂרnon
significhi mai corpo; quando si ha questo esito nelle traduzioni
euro-moderne, è il risultato della catena traduttologica che passa
125
Carne traduce il latino căro, carnis, a sua volta esito principale del greco σάρξ . Căro,
carnis traduce parimenti κρέας, κρέως , e probabilmente ne condivide la radice – proto-
indoeuropeo *krewh₂- ; sanscrito kravís [carne cruda, carogna] cfr. MONIER-WILLIAMS
1899, p. 320
126
BOMHARD-KERNS 1994, p. 230
127
HELMUT 2001, p. 656
da ָבשָׂרa σώμα , con tutto lo scarto semantico che abbiamo più
volte mostrato.
Accertato questo, la questione più delicata resta dunque
l’assoluta differenza semasiologica che i lemmi euro-moderni per
‘carne’ veicolano rispetto all’ebraico ָבשָׂר: pur profilandosi,
traduttologicamente, come la scelta in generale più conveniente,
non si da alcuna sovrapponibilità esatta dei due termini.
Gli autori ispirati non discettano sulla composizione
antropologica – fisica o metafisica –, specialmente in un senso
filosofico-sistematico (e quindi statico)128; piuttosto, considerano
l’uomo, secondo ogni ordine di grandezza, come relato alla storia
della salvezza. Questo contesto funzionale, nella cui trama è
necessario ri-pensare anche linguisticamente ogni processo di
significazione, si presenta come un ordito intersecato su tre
livelli: relazione uomo-Dio; uomo-uomo; uomo-creato129.
In particolare, nell’Antico Testamento «si parla di Dio in
relazione all’uomo, e dell’uomo in rapporto a Dio»130.
La concezione antropologica semitica, è «nettamente
monistica»131: a partire dal contesto relazionale-funzionale di cui
abbiamo detto, nominare un organo del corpo umano, significa
quindi considerare la persona espressa nella sua totalità, nella
manifestazione della particolarità intenzionale espressa da tale
organo.
128
SCHEFFCZYK, 1964, pp. 25-26
129
MCKENZIE 1968, pp. 1702-1703
130
MORK 1971, p. 15
131
CAZA 1986, pp. 540
Possiamo parlare di espressione simbolica, nel suo senso più
pieno - quindi: al massimo grado di ambi-valenza 132, dove
funzione spirituale, intenzione, funzione corporale, non
conoscono (non possono conoscere) espressione
fenomenicamente disgiunta . 133
L’inconciliabilità – che facilmente si declina come
incomprensione – tra il pensiero euro-moderno e concezione
semitico-biblica, è espressa da H. Wolff nei termini oppositivi di
concezione «sintetica e stereometrica» [semitica] e concezione
«analitica» [pensiero occidentale]134. Se, per la seconda, il tutto è
costituito dalla somma delle parti – sia come composto statico,
che come manifestazione fenomenica –, per la prima la parte
esprime necessariamente il tutto, in quanto la divisione non
conosce discontinuità, ed ogni differenziazione è nella
qualificazione dell’espressione.
Questo, avviene non soltanto in riferimento agli organi del corpo,
ma parimenti nell’espressione dell’individuo [sia come
espressione fenomenica ed intenzionale, sia come ontogenesi
individuale] rispetto al contesto di appartenenza; contesto dato
dall’insieme delle relazioni che permettono all’individuo di
giungere ad esistenza, e manifestare la propria intenzionalità.
132
GALIMBERTI 1983, pp. 31 sgg.
133
FIORENZA-METZ, 1970, p. 250. Non siamo però in accordo con questi autori quando
segnalano l’attribuzione di funzioni psicologiche ad organi fisici [cfr. ibid.]: piuttosto,
pensiamo che la distinzione delle due sia un processo storicamente – culturalmente e
linguisticamente – successivo.
134
WOLFF 1974, pp. 16-19
Ad ogni livello, ָבשָׂרnon è soltanto una condizione esteriore,
visibile e tangibile, ma indica la «realtà stessa dell’esistenza
dell’uomo»135.
Ed è quindi carne nel senso di mezzo della manifestazione della
relazione tra individuo e personalità corporativa di appartenenza
– sia essa la specie, la tribù, la famiglia, o la sintesi unitiva
capace di generare tutte queste.
Il concetto – pur fondamentale – di ‘personalità corporativa’ nel
contesto biblico, come espresso da H. W. Robinson136,
nell’esprimere la relazione fondamentale tra individuo e
comunità a tutti i possibili livelli – famiglia, gruppo etnico,
nazione – comporta però una prospettiva necessariamente
inesatta: risulta essere un concetto ‘sintetico’, ovvero sussume
una realtà di grado secondario – l’individuo – ad un livello di
specificazione che deve necessariamente precederla – il contesto
dell’appartenenza. Siamo d’accordo con E. Kasemann nel
rovesciare questa prospettiva: l’uomo biblico non è mai
individuum, bensì «proiezione del mondo che lo determina»137.
Così come il cuore, una mano, un organo qualsiasi del corpo,
trova la sua ragione d’essere in quanto parte di un tutto, nelle
pagine del testo biblico le loro manifestazioni sono sempre
segnate da un continuo incastro di ambivalenze: l’organo detiene
un’espressione sua propria, con un timbro ed un colore peculiari,
ma che non conosce discontinuità rispetto ad una progettualità e
ad un’intenzionalità più ampie – quelle del corpo- ָבשָׂר
135
ROCCHETTA 1990, p. 26
136
ROBINSON 1913, pp.27-30; 37-39
137
KASEMANN 1987, p. 6
dell’individuo. Di più: l’intenzionalità dell’individuo, la sua
possibilità volitiva ed espressiva è la ָבשָׂרstessa. Così, il gesto di
un uomo è gesto dell’individuo, della famiglia, della tribù, della
specie: in una parola, della ָבשָׂר. L’ascrizione, di volta in volta, di
un evento specifico – tanto nell’attività quanto nella passività –
ad uno di questi gradi di manifestazione, è una questione di
prospettiva differenziale; prospettiva che non squalifica il timbro
individuale dell’azione o della passione, ma lo inserisce in un
contesto che ha nell’ambivalenza strutturale la sua dinamica
significante più propria. Riteniamo che alcuni temi
veterotestamentari fondamentali, come l’ereditarietà del peccato
di Adamo, e l’eccezionalità misericordiosa della cancellazione
delle “colpe dei padri”, possano trovare una collocazione
prospettica rinnovata in una giusta considerazione dell’orizzonte
semantico del termine ָבשָׂר, come abbiamo tentato di mostrare.
Viagulamuthu138 esprime un interessante doppio parere, nel
sottolineare come ָבשָׂרnon sia affatto termine prossimo a σῶμα,
e come σῶμα possa indicare la “persona” nella sua totalità
soltanto mediante forme retoriche.
La nostra opinione, è che σῶμα e σάρξ, soltanto se presi
unitamente possano restituire il significato reale – originale nella
sua profondità ed ampiezza intraducibili – di ָבשָׂר: σῶμα
potendo indicare la persona nella sua totalità, intenzionalità e
relazionalità, σάρξ mantenendo il senso materico di carne. La
138
VIAGULAMUTHU 2002, p.118
scissione, porta con sé il difetto di qualsiasi analisi: una
ricomposizione necessaria, che, pur restituendo esaustivamente il
contenuto dell’oggetto analizzato, ne perde la coerenza interna
del suo darsi nell’immediatezza, con tutto il portato di indicibilità
di cui soltanto l’oggetto originale resta capace.
Parimenti, il popolo come ‘corpo’139 – concetto che conoscerà
vasta fortuna – biblicamente deve essere inteso nella pienezza
che soltanto il termine ָבשָׂרè in grado di restituire, risultando
definitivamente difettivo tanto nella sua versione di σῶμα
(qualora preso linguisticamente ‘in assoluto’, e non situato nella
polivalenza prevista dal suo uso ellenistico avente un forte
retroterra biblico-giudaico) che nelle accezioni moderne
potenzialmente espresse dal concetto-lemma di ‘corpo’.
IV. APPENDICE
1 – Alcune linee guida - il senso di ָבשָׂרnel retroterra
giudaico paolino
139
Rimandiamo per esempio a quanto detto a proposito di DT 5:26
L’ambivalenza del corpo come realtà fisica e metafisica140,
personale e corporativa, individuale e specie-specifica,
individuale e relazionale – per la quale il σῶμα è già espressione
dello Spirito –, è mantenuta, teologizzata, teorizzata, sviluppata
in larga parte del pensiero teologico cristiano, a partire ed a
fondarsi sul testo paolino141.
L’accezione antica (in quell’ipotetico asse omerico-
veterotestamentario, in opposizione teorica all’asse platonico-
cartesiano verso l’accezione di corpo-moderno) mantiene tutte
queste possibilità, concependo una corporalità come ambivalente,
aperta, e soprattutto non-dualistica.
La vicenda della ‘trasformazione’ di ָבשָׂרin σάρξ / σῶμα , e
finalmente in ‘corpo’, è testimone di questo sviluppo
culturale/concettuale, che si profila anche e soprattutto come
perdita nella possibilità di significazione diretta all’interno
dell’orizzonte semantico del corpo-antico.
Se la maggior parte degli esegeti 142 sono concordi sul fatto che
Paolo qualifichi il σῶμα come ‘persona umana’ nella sua
integrità, questo, a nostro avviso, tenendo presente innanzitutto la
prospettiva aperta dal campo semantico ebraico-
veterotestamentario, viene a definirsi non tanto come prospettiva
140
Qualificabile come ‘ambivalenza’ – ovvero non-dualismo, non-monismo – , per la
sostanziale impossibilità di distinguere il fisico da metafisico nel pensiero ebraico come in
quello greco-antico (omerico). Cfr. GALIMBERTI 1983, pp. 31-40; GALIMBERTI 1987 pp. 19-25;
STACEY 1956, p. 85
141
cfr. ROBINSON 1952, pp. 109-110
142
BULTMANN 1953, p. 187; DUNN 1998, p. 78-79; KASEMANN 1969, p. 34; cfr. PITTA 2006;
ROBINSON 1952, p. 62-64
integrativo/compositiva, bensì composizionale: non considerando
la costituzione antropologica come un composto (di qualsivoglia
natura integrata o composita), bensì nella prospettiva di
ambivalenza ed apertura che la concezione corporale ebraico-
veterotestamentaria era capace di significare.
Nella difficoltà di trovare una terminologia adatta per le «nuove
realtà per le quali la religione paterna non gli offriva sufficienti
termini»143 – nuove realtà di ordine cristologico, evidentemente
-, Paolo – e ciò è fondamentale – costruisce una teologia ed un
lessico teologico nuovi, in una dinamica che parte dai suoi ‘tre
livelli’ di influenza culturale144, non corrispondendo esattamente
a nessuno dei tre – dovendo esprimere concetti e visioni affatto
nuovi. Ma, riguardo ai concetti di corpo-incarnazione-
incorporazione in Cristo145, prende le mosse essenzialmente e
primariamente dal suo retroterra ebraico, non corrispondendo la
sua nozione di σῶμα alla distinzione aristotelica di ὕλη –
μορϕή , in una sostanziale «confusione inconsapevole»147
146
riguardante gli autori di matrice ebraica che, esprimendosi in
greco all’interno dell’influsso ellenistico, testimoniavano una
sostanziale intraducibilità concettuale148.
143
LEKO 1963, p. 28
144
Ebraico, ellenistico, romano – cfr. SICHKARYK 2011, p. 147
145
Sulla sostanziale unitarietà concettuale del corpo-paolino come estensione di
incarnazione e risurrezione corporea del Signore, cfr. ROBINSON 1952, p. 117
146
Cfr. WEISS 1910, p. 161; JEWETT , p. 207
147
STACEY 1956, p. 94
148
Ibid.
2 – בָשָׂרideogrammatico
Aggiungiamo un breve excursus afferente ad una prospettiva
ermeneutica generalmente liquidata come “fantasticheria” nella
letteratura scientifica – opinione che certo non è condivisa da
alcuni eminenti esponenti della cultura rabbinica anche
contemporanea149.
Questa prospettiva ermeneutica meta-linguistica, una delle
principali chiavi della letteratura ebraica kabbalistica, è la lettura
‘ideogrammatica’ delle radici ebraiche – ‘geroglifica’, se
kabbalisticamente. Anche tra gli studiosi occidentali, questa
lettura non ha mancato di prendere piede: Pico della Mirandola,
A. Kircher, J. Leclerc, N. Fréret, Court de Gébelin, formano una
149
Uno su tutti: rav Yitzchak Ginsburgh, (nato il 14 novembre 1944), rabbino affiliato al
chassidismo Chabad, guida del movimento Derek Chaim, fondatore dell’istituto Gal Einai,
rosh yeshivah della Yeshivah Od Josef Chai. Per le sue prospettive sull’argomento, si veda il
suo The Hebrew Letters, Gal Einai 1990.
tradizione che ha il suo vertice nell’opera di Antoine Fabre
d’Olivet150.
L’analisi delle lettere di ָבשָׂרsecondo Fabre d’Olivet151,
procederebbe in questo modo:
– בsegno paterno e virile; immagine dell’azione interiore ed
attiva, in uno spazio protetto [è la preposizione ‘in’]; immagine
di uno spazio produttivo; è la casa, la famiglia, l’istituzione come
“giusta forma”, la giustizia. Dinamicamente inteso, il ruolo
dell’individuo nella collettività di appartenenza, in grado di
significarlo. Come in בן, “figlio”, nel senso di
‘prodotto/risultato’ [la ] ןdi una – בuna famiglia, la casa paterna.
שׂ- segno della durata e del movimento relativi; segno
dell’estensione, dell’estendersi, della conoscenza come desiderio
e relazione; segno del legame che unisce le cose, e le pone in
relazione. Come in נשׁה, “crescere” [ risultato - ן- di
150
Antoine Fabre d'Olivet (Ganges, 8 dicembre 1767 – Parigi, 25 marzo 1825) è stato uno
scrittore, linguista, ricercatore musicale francese. Per quanto riguarda la linguistica, Fabre
d'Olivet può essere considerato come il maggiore rappresentante della teoria
fonosemantica, ma allo stesso tempo anche il meno conosciuto. Le sue principali opere
sono La Langue hébraïque restituée et le véritable sens des mots hébreux rétabli et prouvé
par leur analyse radicale, ouvrage dans lequel on trouve réunis, Barrois & Eberhart, Parigi
1815 – ed. ital. La lingua ebraica restituita, Arché, Milano 2009; Les Vers dorés de
Pythagore, expliqués et traduits pour la première fois en vers eumolpiques français,
précédés d'un Discours sur l'essence et la forme de la poésie, chez les principaux peuples de
la terre, Treuttel & Wurtz, Parigi 1813 – ed. ital. I versi aurei di Pitagora, Luni editrice 2006
151
Seguiamo FABRE D’OLIVET 1815
un’estensione finalizzata - שׂ- verso il divenire ed il possibile –
] ה.
ר- immagine del rinnovamento delle cose quanto al loro
movimento; segno del pensiero in quanto progetto, poiché segno
della testa – significato della lettera scritta per esteso; in quanto
‘testa’, segno dell’individuo.
Fabre D’Olivet analizza inoltre il ‘radicale’ [ בשׂdigramma],
spiegandolo nel suo significato di ‘progressione scalare’, una
progressione non lineare ma fatta di tappe espresse in quanto
vuoti.
Letto ideogrammaticamente, ָבשָׂרdiviene il segno dinamico della
produzione di individui – in tutti i sensi: dalla riproduzione al
processo di individuazione – all’interno di un contesto
significante specifico – razza / popolo / tribù / famiglia.
La ָבשָׂרè il luogo e lo strumento della relazione, e la relazione è
il principio che origina l’individuazione. La carne è il medium
della relazione contestuale che origina l’individuo – anche
fisiologicamente.