Thomas Taylor
SCRITTI SU PLATONE E SUL PLATONISMO
Traduzione dall’inglese e revisione dei testi a cura di Mystes
Introduzione
Piero Fenili
3 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Thomas Taylor (1758-1855)
4 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
5 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Indice
Piero Fenili, Introduzione, pag. 5
Cap. 1 - Introduzione alla filosofia e agli scritti di Platone,
pag. 11
Cap. 2 - Spiegazione di alcuni termini platonici, pag. 93
Cap. 3 - Il credo del filosofo neoplatonico, pag. 103
Cap. 4 - Introduzione ai misteri degli egizi dei caldei degli
assiri, pag.111
Cap. 5 - Introduzione a Plotino, pag.121
Cap. 6 - Dissertazione sulla vita e la teologia di Orfeo, pag.
143
Cap. 7 - Giamblico: Introduzione alla vita di Pitagora, pag.
159
Cap. 8 Thomas Taylor: The Platonist, pag. 199
6 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
7 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Introduzione
Thomas Taylor, detto “il Platonico” (the Platonist) nacque a Londra nel
1758 da genitori modesti ma rispettati. All’età di dieci anni venne
ammesso alla St. Paul School, dimostrando un precoce interesse per la
filosofia. Precoce fu anche il suo innamoramento, all’età di dodici anni,
nei confronti della fanciulla che sarebbe diventata sua moglie.
Un libro di avviamento alla matematica, trovato in casa, suscitò in lui, da
vero Pitagorico, un vivo interessamento anche verso tale disciplina.
Proseguendo negli studi, egli era solito dedicare il giorno al greco ed al
latino e le ore notturne alla matematica, mentre la sera la riservava a
corteggiare Miss Morton, che avrebbe poi sposato contro l’intenzione del
padre di lei, che avrebbe preferito destinarla ad un uomo più ricco.
Per sopperire alle necessità di vita della coppia, Taylor lavorò dapprima
come usciere e quindi presso la Lubbock’s Bank, soffrendo sempre di una
cronica mancanza di denaro e, non di rado, per la penuria di cibo.
Queste scoraggianti condizioni di vita non valsero però a distoglierlo dai
suoi studi prediletti ed egli divenne presto capace di leggere Aristotele
nell’originale. A tale riguardo soleva dire che aveva piuttosto imparato il
greco attraverso la filosofia greca, che quest’ultima mediante il greco.
Sempre utilizzando le ore notturne sottratte al sonno poté dedicare grande
attenzione anche ai commentatori di Aristotele e si immerse quindi con
entusiasmo pari, se non addirittura maggiore, nello studio di Platone.
Sul cammino platonico da lui imboccato non tardò ad incontrare anche
Plotino ed infine Proclo. Di quest’ultimo trovò così profonda la
dissertazione sulla Teologia di Platone, da doverla rileggere tre volte
prima di poterne intendere l’arduo significato.
I sei anni trascorsi in questo faticoso regime di vita finirono però con il
logorare la sua salute, finché un certo George Cumberland si interessò a
lui e, con l’intervento di altri amici, gli procurò le occasioni che gli
permisero di lasciare fa banca e di guadagnarsi da vivere con un lavoro
letterario. Ebbe così inizio l’attività del Taylor come autore di scritti e
traduzioni concernenti la sapienza classica, nel corso della quale, per
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Scritti su Platone e sul Platonismo
citare alla rinfusa, egli si occupò di Ocello Lucano, Platone, Aristotele,
Plotino, Apuleio, Giamblico, Proclo, degli Inni Orfici e degli Oracoli
Caldaici, ecc. (un elenco cronologico dei suoi scritti si trova in Thomas
Taylor, the Platonist di William E. A. Axon, “The Library”, July and
August 1890, dal quale ricaviamo le presenti sparse notizie biografiche).
Per questa attività, che talvolta lo costringeva a periodi di intensissimo
sforzo, venne in genere retribuito assai male. Una volta, dopo una di
queste logoranti corvée intellettuali, il suo agente letterario, parlando con
un libraio, disse che una tale impresa sarebbe bastata a spezzare il cuore
di un uomo, al che il suo interlocutore rispose che nulla poteva spezzare il
cuore di Thomas Taylor.
La sua intima, convinta e mai nascosta adesione ai grandi temi della
sapienza classica gli attirò diversi strali. Un certo T. J. Mathias lo bollò
come “velleitario restauratore di un incomprensibile misticismo e di
superstiziose assurdità pagane”. Isaac Disraeli, il letterato genitore
dell’onnipotente primo ministro della regina Vittoria, Benjamin Disraeli,
scrisse di lui che “era sorto un moderno Platone in Mr. Thomas Taylor, il
quale in accordo con la filosofia platonica professa pubblicamente il
politeismo!”. E nella novella satirica Vaurien rincarava la dose,
descrivendo il filosofo platonico nel suo studio - dal soffitto del quale
pende un lucido globo di vetro argentato che riflette con intensità i raggi
del sole - seduto proprio al centro dell’intenso splendore ed attento a
ruotare il suo sedile in conformità al movimento del sole, suo dio, in
modo da poterlo seguire regolarmente nel suo moto nel corso della
giornata.
Ma al di là della facile satira resta il fatto che nessuna mente, dal tempo
del filosofo rinascimentale Pletone, fu maggiormente soffusa della vera
essenza del neoplatonismo di quella di Thomas Taylor.
Isaac Disraeli, definendo Taylor un “moderno Platone” finiva poi per
accostarlo, involontariamente ma giustamente, proprio a Gemisto Pletone,
che perfino nel cognome si presentava quasi come un altro Platone (quasi
Platonem alterum, giusta l’espressione risalente a Marsilio Ficino). In tal
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Scritti su Platone e sul Platonismo
modo l’eredità ideale che collega Taylor a Pletone non potrebbe essere
suggerita in modo più chiaro.
L’opera di Taylor resta un monumento della sua austera devozione nei
confronti dell’antica sapienza, coltivata senza alcun intento di profitto e
soltanto nella convinzione, condivisa con Platone, che la filosofia
costituisce il più grande bene che la divinità ha elargito all’uomo.
Visse poveramente in un Paese ed in un’epoca protesi verso la ricchezza e
mai si piegò a lusingare il favore popolare con il rendere i suoi scritti più
facili ed accessibili. Lasciò invece che l’oro contenuto in essi potesse
venir portato alla luce solo scavando con fatica ed impegno.
Thomas Taylor morì nel 1835 a Walworth. Alcuni giorni prima della sua
scomparsa domandò se per caso fosse apparsa in cielo una cometa.
Avutane risposta affermativa, disse: “Allora dovrò morire, sono nato con
essa e morirò con lei”.
PIERO FENILI
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Scritti su Platone e sul Platonismo
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Scritti su Platone e sul Platonismo
INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA E AGLI SCRITTI DI
PLATONE
"La filosofia", dice Ierocle, "è la purificazione e la perfezione della
vita umana. È la purificazione, in effetti, dell'irrazionalità materiale
e del corpo mortale; è la perfezione, in quanto è la conquista della
nostra felicità e il ritorno alla somiglianza divina. La Virtù e la
Verità si occupano di questi due aspetti: la prima elimina la
smodatezza delle passioni, la seconda introduce la forma divina in
coloro che sono naturalmente adatti a riceverla".
Di questa filosofia, così definita, che può essere paragonata a una
piramide luminosa che termina nella Divinità e che ha come base
l'anima razionale dell'uomo e le sue concezioni spontanee e non
deviate, Platone può essere giustamente chiamato il capo
principale e lo ierofante, attraverso il quale, come la luce mistica
nei recessi più profondi di qualche tempio sacro, essa ha brillato
per la prima volta con occulto e venerabile splendore. Di tutta
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Scritti su Platone e sul Platonismo
questa filosofia si può davvero dire che è il bene più grande di cui
l'uomo possa essere partecipe: infatti, se ci purifica dalle
contaminazioni delle passioni e ci assimila alla Divinità, ci
conferisce la felicità propria della nostra natura. Perciò è facile
osservare la sua preminenza su tutte le altre filosofie; dimostrare
che le altre filosofie, laddove si oppongono ad essa, sono in errore;
che, nella misura in cui contengono qualcosa di scientifico, sono
alleate ad essa; e che, nel migliore dei casi, non sono che rivoli
derivati da questo vasto oceano di verità.
Far capire che la filosofia di Platone possiede questa importanza,
che la sua dignità e la sua sublimità sono ineguagliabili, che è la
genitrice di tutto ciò che nobilita l'uomo e che è fondata su principi
che né il tempo può cancellare, né i sofismi sovvertire, è il disegno
principale di questa Introduzione.
Per realizzare questo progetto, presenterò al lettore, in primo
luogo, i lineamenti dei principi della filosofia di Platone. L'impresa
più che nuova è ardua, poiché l'autore deve percorrere sentieri non
battuti da più di mille anni e portare alla luce verità che per un
periodo così lungo sono rimaste nascoste. Il lettore non si stupisca
quindi della solitudine dei sentieri attraverso i quali cercherò di
condurlo, né della novità degli oggetti che gli si presenteranno
durante il viaggio: forse potrà fortunatamente ricordare di aver già
percorso la stessa strada, che le scene gli erano un tempo familiari
e che il paese attraverso il quale sta viaggiando è la sua terra
natale. Se, però, la sua vista è offuscata e la sua memoria è
oscurata (perché gli oggetti che incontrerà possono essere visti solo
dagli occhi più penetranti) e la sua assenza da essi è stata molto
lunga, implora il potere della saggezza, dalle nebbie mortali per
purificare i suoi occhi, affinché possa vedere distintamente Dio e
l'uomo.
Anche noi, implorando l'assistenza dello stesso potere illuminante,
iniziamo il viaggio solitario.
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Scritti su Platone e sul Platonismo
Tra tutti gli insegnamenti di Platone, quello relativo al principio
primo delle cose, trascende, su questo argomento in sublimità la
dottrina di altri filosofi di una diversa scuola, in quanto questa
causa suprema di tutto trascende le altre cause. Infatti, secondo
Platone, il Dio supremo, che nella Repubblica chiama il Bene e nel
Parmenide l'Uno, non solo è al di sopra dell'anima e dell'intelletto,
ma è addirittura superiore all'essere stesso. Quindi, poiché ogni
cosa che può essere conosciuta, o di cui si può affermare qualcosa,
deve essere connessa con l'universalità delle cose, mentre la causa
prima è al di sopra di tutte le cose, è molto appropriatamente detta
da Platone come perfettamente ineffabile. La prima ipotesi di
Parmenide, quindi, in cui tutte le cose di questo immenso principio
sono negate, si conclude come segue:
-"L'Uno dunque non è sotto nessun aspetto.
-Così sembra.
-Quindi non è in modo tale da essere Uno, perché così sarebbe
l'essere e parteciperebbe dell'essenza; ma come appare, l'Uno non
è Uno, nè E’, se si vuole credere in un ragionamento di questo
tipo.
- Così sembra.
- Ma può una cosa appartenere o essere affermata di ciò che non
è?
- Come potrebbe?
- Non gli appartiene dunque alcun nome, né discorso, né scienza,
né senso, né opinione. Non sembra che possa esistere. Quindi non
può essere né nominato, né pronunciato, né concepito
dall'opinione, né conosciuto, né percepito da alcun essere.
- Così sembra".
E qui va osservato che questa conclusione sul principio supremo
delle cose, che è perfettamente ineffabile e inconcepibile, è il
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Scritti su Platone e sul Platonismo
risultato di una serie scientifica di negazioni, in cui non solo si
negano tutti gli esseri sensibili e intellettuali, ma persino le nature a
lui più trascendentalmente affini, la sua prima e più divina
progenie. Infatti, ciò che distingue in modo così eminente la
filosofia di Platone dalle altre è che ogni sua parte è improntata al
carattere della scienza. I volgari, infatti, proclamano che la Divinità
è ineffabile; ma poiché non hanno la conoscenza scientifica che lo
sia, questa non è altro che una percezione confusa e indistinta della
più sublime di tutte le verità, come quella di una cosa vista tra il
sonno e la veglia, come la Feacia per Ulisse quando naviga verso
la sua terra natale,
che si stendeva davanti a lui indistinta e vasta,
come un ampio scudo in mezzo alle distese d'acqua. (Omero,
Iliade)
In breve, una percezione non scientifica della natura ineffabile
della Divinità assomiglia a quella di un uomo che, osservando il
cielo, afferma che l'altitudine della parte più alta supera quella
dell'albero più alto ed è quindi incommensurabile. Ma vedere
questo scientificamente, è simile ad un rilevamento di questa parte
più alta dei cieli da parte dell'astronomo; perché egli, conoscendo
l'altezza dei mezzi che ci separano da essa, sa anche
scientificamente che essa trascende in altezza non solo l'albero più
alto, ma anche le altezze dell'aria e dell'etere, la luna e persino il
sole stesso.
Indaghiamo dunque in che cosa consista l'ascesa all'ineffabile e in
che modo si compia, secondo Platone, a partire dall'ultimo stadio,
seguendo il profondo e curiosissimo Damascio come guida in
questa ardua indagine. Facciamo in modo che il nostro discorso sia
comune anche agli altri principi e alle cose che procedono da essi
fino all’ultimo gradino, e che, partendo da ciò che è perfettamente
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Scritti su Platone e sul Platonismo
effimero e noto ai sensi, saliamo fino all'ineffabile e stabiliamo in
silenzio, come in un riparto, le parti di verità che lo riguardano.
Stabiliamo quindi il seguente assioma, con il quale, come su un
veicolo sicuro, possiamo viaggiare con sicurezza da qui a lì. Dico
dunque che il non indigente è naturalmente precedente
all'indigente. Infatti, ciò che è privo di un altro è naturalmente
adattato dalla necessità a essere sottomesso a ciò di cui è privo. Ma
se sono reciprocamente privi l'uno dell'altro, essendo l'uno
indigente dell'altro sotto un aspetto diverso, nessuno dei due sarà il
principio. Perché il non indigente è più adatto a ciò che è
veramente il principio. E se manca di qualcosa, in base a ciò non
sarà il principio. È tuttavia necessario che i principi siano proprio
questi. L'indigente, quindi, appartiene a questo, e non si deve
assolutamente dire che c'è qualcosa che lo precede. Questo,
tuttavia, sarebbe riconosciuto se avesse un qualche legame con il
povero di tutto.
Consideriamo allora il corpo (cioè una sostanza triplicemente
estesa) dotato di qualità, perché è la prima cosa da noi
concretizzabile ed è sensibile. È dunque questo il principio delle
cose? Ma le cose sono due: il corpo e la qualità che è nel corpo.
Quale di queste è dunque per natura anteriore? Entrambe sono
prive delle loro parti proprie; e anche ciò che è in un soggetto è
privo del soggetto stesso. Dovremmo allora dire che il corpo stesso
è il principio della prima essenza? Ma questo è impossibile.
Perché, in primo luogo, il principio non riceve nulla da ciò che è
posteriore a se stesso. Ma il corpo, diciamo, è il destinatario della
qualità. Quindi la qualità è una sussistenza in connessione con
essa, non deriva dal corpo, poiché la qualità è presente con il corpo
come qualcosa di diverso. In secondo luogo, il corpo è in ogni caso
divisibile; le sue diverse parti sono separate l'una dall'altra e il tutto
è privo di tutte le parti. Essendo mancante, quindi, e ricevendo il
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Scritti su Platone e sul Platonismo
suo completamento da cose che sono anch’esse manchevoli, non
sarà del tutto privo di qualcosa di cui necessita.
Inoltre, se non è uno ma è unito, richiederà, come dice Platone, una
connessione. È anche qualcosa di comune e informe, essendo per
così dire di una certa materia. Richiede, quindi, un ornamento e
una forma, affinché non sia semplicemente corpo, ma un corpo con
una certa qualità particolare; come, ad esempio, un corpo di fuoco,
o un corpo terrestre, e, in breve, un corpo ornato e investito di una
qualità particolare. Perciò le cose che vi accedono lo completano e
lo abbelliscono. Ciò che vi aderisce è dunque il principio? Ma ciò è
impossibile. Perché non è in sé, né sussiste da solo, ma è in un
soggetto in cui è anche confuso. Se, tuttavia, qualcuno affermasse
che il corpo non è un soggetto, ma uno degli elementi di ciascuno,
come ad esempio l'animale nel cavallo e nell'uomo, allora anche
cadauno sarà mancante dell'altro, cioè di questo soggetto e di ciò
che è nel soggetto; o piuttosto saranno assenti l'elemento comune,
l'animale, e le peculiarità, come il razionale e l'irrazionale.
Infatti, gli elementi sono sempre manchevoli l'uno dell'altro, e ciò
che è composto da elementi è senza tutti gli elementi. In breve,
questa natura sensibile, che ci è così manifesta, non è né corpo,
perché non muove di per sé i sensi, né qualità, perché non possiede
un interstizio commisurato al senso. Quindi, ciò che è oggetto della
vista non è né corpo né colore; ma il corpo colorato, o il colore
corporeo, è ciò che è motivo della vista. E universalmente, ciò che
è sensibile, che è corpo con una qualità particolare, è causa del
senso. Da ciò risulta evidente che la cosa che eccita il senso è
qualcosa di incorporeo. Infatti, se fosse corpo, non sarebbe anche
oggetto di senso. Il corpo richiede quindi ciò che è incorporeo e ciò
che è incorporeo, il corpo.
Ma come è possibile? Perché l'immobile contiene una moltitudine
altrettanto numerosa quanto il mobile? Inoltre, una separazione
immobile deve necessariamente sussistere prima di una
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Scritti su Platone e sul Platonismo
separazione semovente. L'immoto, dunque, è allo stesso tempo uno
e molti, è allo stesso tempo unito e separato, e una natura di questo
tipo è chiamata intelletto. Ma è evidente che l'unito è naturalmente
precedente e più onorevole del separato. Perché la separazione è
sempre mal vista all'unione; e non, al contrario, l'unione alla
separazione.
L'intelletto, tuttavia, non ha l'unità pura come il suo opposto.
Infatti, la forma intellettuale è imprescindibile con il separato,
attraverso l'insieme di se stessa. Perciò ciò che è in un certo senso
l’unità richiede è ciò che è semplicemente unito; e ciò che sussiste
con un altro è privo di ciò che sussiste da solo; e ciò che sussiste
per partecipazione, di ciò che sussiste per essenza. Poiché
l'intelletto, essendo auto-sussistente, si esprime come unito e allo
stesso tempo separato. Perciò sussiste in base a entrambe le cose.
Si produce quindi da ciò che è semplicemente unito e solo unito.
Prima di ciò che è formale c'è quindi ciò che non è circoscritto e
non è distribuito in forme. E questo è ciò che chiamiamo l'unito, e
che i saggi dell'antichità chiamavano essere, possedendo in una
sola contrazione la moltitudine, sussistendo prima dei molti.
Arrivati dunque fin qui, riflettiamo un po' e consideriamo con noi
stessi se l'essere è il principio indagato di tutte le cose. Infatti cosa
ci sarà che non partecipi dell'essere? Non potremmo forse dire che
quest’essere, sarà secondario all'uno, e che partecipando dell'uno
diventa unito a lui? Ma insomma, se concepiamo l'uno come
qualcosa di diverso dall'essere, se l'essere è anteriore all'uno, non
parteciperà dell'uno. Sarà quindi solo molti, e questi saranno
infiniti. Ma se l'uno è con l'essere, e l'essere con l'uno, e sono
coordinati o divisi l'uno dall'altro, ci saranno due principi, e si
verificherà l'assurdità di cui sopra.
Oppure parteciperanno l'uno all'altro, e ci saranno due elementi.
Oppure sono parti di qualcos'altro, costituiti da entrambi. E, se
questo è il caso, cosa sarà che li porta all'unione l'uno con l'altro?
18 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Infatti, se l'uno unisce l'essere a se stesso (è ciò che si può dire),
l'uno si attiverà anche prima dell'essere, per richiamare e convertire
l'essere a se stesso. L'uno, quindi, sussisterà da se stesso sempre
perfetto prima dell'essere. Inoltre, il più semplice è sempre
precedente al più composto. Se dunque sono ugualmente semplici,
ci saranno due principi, oppure uno dei due sarà un composto.
Quindi il semplice è perfettamente incomposto ed è anteriore a
questo, che deve essere o uno o non uno; e se non uno, deve essere
o molti o nulla. Ma rispetto al nulla, se significa ciò che è
perfettamente vuoto, significherà qualcosa di vano. Ma se significa
l'arcano, non sarà nemmeno ciò che è semplice. In breve, non
possiamo concepire alcun principio più semplice dell'uno. L'uno,
quindi, è in tutto e per tutto anteriore all'essere.
Questo è dunque il principio di tutte le cose, e Platone, ricorrendo a
questo principio, non ha avuto bisogno di nessun altro nei suoi
ragionamenti. Infatti, l'arcano in cui si conclude questa nostra
ascesa non è il principio del ragionamento, né della conoscenza, né
degli animali, né degli esseri, né delle unità, ma semplicemente di
tutte le cose, essendo posto al di sopra di ogni concezione e di ogni
sospetto che possiamo formulare. Perciò Platone non indica nulla
al riguardo, ma nega tutte le altre cose, tranne l'uno, a partire
dall'uno. Infatti, nega che l'uno sia all’ultimo posto, e quindi non
nega l'uno. Inoltre, oltre a ciò, nega anche questa negazione, ma
non l'uno. Nega anche il nome e la concezione, e ogni conoscenza,
e ciò che si può dire di più, l'intero stesso e ogni essere. Ma che ci
sia l'unito e l'unico, e, se si vuole, i due principi legati e l'infinito.
Platone, tuttavia, non fa mai una negazione dell'uno che è al di là
di tutti questi. Così nel Sofista lo considera come l'unico
precedente all'essere, e nella Repubblica come il bene al di là di
ogni essenza; allo stesso tempo rimane l'unico. Ed è conosciuto ed
efficace, o sconosciuto e ineffabile?
19 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
O forse in un certo senso sono tutte queste cose o la negazione di
queste? Perché con la negazione si può dire che si afferma
l'ineffabile. E ancora, per la semplicità della conoscenza sarà
conosciuto o previsto, ma per la composizione sarà perfettamente
sconosciuto. Quindi non sarà percepito nemmeno per negazione. E
insomma, nella misura in cui si ammette che sia uno, sarà in
coartazione con le altre cose, che sono oggetto. Perché secondo la
posizione è il vertice delle cose che sussiste. Allo stesso tempo, in
esso c'è molto dell'ineffabile e dell'ignoto, del non coordinato e di
ciò che è privo di posizione, ma questi sono accompagnati da una
rappresentazione dei contrari: e i primi sono più eccellenti dei
secondi. Ma in ogni luogo le cose pure sussistono prima dei loro
contrari, e quelle non mescolate rispetto a quelle mescolate. Infatti,
o le cose più eccellenti sussistono nell'uno essenzialmente, e in un
certo senso anche i contrari di queste saranno lì allo stesso tempo;
oppure sussistono secondo la partecipazione, e derivano da ciò che
è al primo posto. Prima dell'uno, dunque, c'è ciò che è
semplicemente e perfettamente ineffabile, senza posizione, non
coordinato e incapace di essere percepito, verso il quale anche
l'ascesa del presente discorso si avvia velocemente attraverso le
indicazioni più chiare, non omettendo nessuna di quelle nature che
si trovano tra la prima e l'ultima delle cose.
Tale è dunque l'ascesa al Dio supremo, secondo la teologia di
Platone, conservando venerabilmente la sua ineffabile lontananza
da tutte le cose e la sua trascendenza, che non può essere
circoscritta da alcuna energia gnostica, e allo stesso tempo
dispiegando le vie che conducono verso l'alto e accendendo quel
vertice luminoso dell'anima, per mezzo del quale essa è congiunta
con l'inesprimibile.
Da questo principio veramente ineffabile, esente da ogni essenza,
potenza ed energia, deriva immediatamente, secondo Platone, una
moltitudine di nature divine. Che sia proprio così, lo riconoscerà il
20 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
lettore che comprende ciò che è già stato detto, ed è pienamente
dimostrato da Platone nel Parmenide, ciò che sarà evidente
all'intelligente lettore dalle note su quel Dialogo. Oltre a ciò che ho
già detto, osserverò che questa dottrina, che si fonda sulle
concezioni più sublimi e scientifiche della mente umana, può
essere chiaramente dimostrata come un principio legittimo di
Platone da ciò che egli afferma nel sesto libro della sua
Repubblica.
Infatti, egli afferma, nei termini più chiari e inequivocabili, che il
bene, o il principio ineffabile delle cose, è super-essenziale, e
mostra, mediante l'analogia del sole con il bene, che ciò che la luce
e la vista sono nel mondo visibile, la verità e l'intelligenza sono nel
mondo intelligibile. Come la luce, dunque, procede
immediatamente dal sole e sussiste interamente secondo un modo
o una proprietà solare, così la verità o la progenie immediata del
bene, deve sussistere secondo un idioma super-essenziale. E poiché
il bene, secondo Platone, è lo stesso dell'uno, come è evidente nel
Parmenide, la progenie immediata dell'uno sarà la stessa del bene.
Ma la progenie immediata dell'uno non può essere altro che
un'unità.
Da ciò si deduce necessariamente che, secondo Platone, la
discendenza immediata del principio ineffabile delle cose sono le
unità super-essenziali. Esse differiscono tuttavia dal loro immenso
principio per il fatto che egli è super-essenziale e ineffabile, senza
alcuna aggiunta; ma questa moltitudine divina è partecipata dai
diversi ordini dell'essere, che sono inviati e prodotti da essa.
Quindi, essendo connessi alla moltitudine attraverso questa
partecipazione, sono necessariamente subordinati all'uno.
Non meno mirabilmente e platonicamente, Simplicio, nel suo
Commento a Epitteto, osserva a questo proposito quanto segue:
"La fonte e il principio di tutte le cose è il bene, perché ciò che
tutte le cose desiderano e a cui tutte le cose tendono, è il principio
21 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
e il fine di tutte le cose. Il bene inoltre produce da sé tutte le cose,
prime, medie e ultime. Produce quelle che sono prime e prossime a
sé, simili a sé; una bontà, molte bontà, una semplicità e unità che
trascende tutte le altre, molte unità, e un principio di molti principi.
L'uno, il principio, il bene e la divinità sono la stessa cosa, perché
la divinità è la prima e la causa di tutte le cose. Ma è necessario
che il primo sia anche il più semplice, poiché tutto ciò che è
composto e che ha una moltitudine è posteriore all'uno. E la
moltitudine e le cose che non sono buone desiderano il bene come
se fosse al di sopra di esse; e in breve, ciò che non è esso stesso il
principio proviene dal principio.
Ma è anche necessario che il principio di tutte le cose possieda la
massima e totale potenza. Infatti, l'ampiezza della potenza consiste
nel produrre da sé tutte le cose e nel dare sussistenza ad esse, simili
e dissimili. Perciò l'unico principio produce da sé molti principi,
molte cose semplici e molte bontà. Infatti, poiché tutte le cose
differiscono le une dalle altre e si moltiplicano con le loro
differenze proprie, ciascuna di queste moltitudini è derivata dal suo
principio proprio. Così, per esempio, tutte le cose belle, ovunque e
in qualunque modo si trovino, sia nelle anime che nei corpi,
derivano da un'unica fonte di bellezza. Così anche tutto ciò che
possiede simmetria, e tutto ciò che è vero, e tutti i principi, sono in
un certo senso collegati al primo principio, in quanto sono principi
e fonti di bontà, con un'appropriata subordinazione e analogia.
Ciò che l'unico principio è per tutti gli esseri, ciascuno degli altri
principi è per la moltitudine. E poiché ogni moltitudine è
caratterizzata da una certa differenza, è impossibile che non si
estenda al suo principio proprio, che illumina una sola e medesima
forma relativa a tutti gli individui di quella moltitudine.
Certamente l'uno è il capo di ogni moltitudine; e ogni peculiarità
dei molti deriva ai molti dall'uno. Tutti i principi parziali, quindi,
sono stabiliti in quel principio che è un tutto e sono compresi in
22 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
esso, non con l'intervallo e la moltitudine, ma come parti del tutto,
come la moltitudine è nell'uno e il numero nella monade. Infatti,
questo primo principio è tutto ciò che precede tutto; e molti
principi si moltiplicano intorno all'unico principio, e nell'unica
bontà si fissano molte bontà.
Perciò, le cose che sono prodotte dal primo bene, in quanto
connaturate ad esso, non recedono dalla bontà essenziale, poiché
sono immobili e immutabili, e sono eternamente stabilite nella
stessa beatitudine. Allo stesso modo non sono private del bene,
perché sono essi stessi bontà. Tutte le altre nature, invece, essendo
prodotte dall'unico bene e da molte bontà, poiché si allontanano
dalla bontà essenziale e non sono stabilite in modo inamovibile
nella bontà divina, per questo motivo possiedono il bene secondo
la partecipazione".
Da questa sublime teoria risulta subito evidente il significato
dell'antica teologia egiziana secondo cui Dio è tutte le cose. Infatti
il primo principio, [6] come giustamente osserva Simplicio nel
passo sopra citato, è tutte le cose anteriori a tutte; cioè comprende
tutte le cose causalmente, essendo questo il modo più trascendente
di comprensione. Poiché dunque tutte le cose, considerate come
sussistenti causalmente nella divinità, sono trascendentalmente più
eccellenti di quanto non lo siano se considerate come effetti che
precedono la divinità, per questo si dice che quell'insieme potente e
onnicomprensivo, il primo principio, è tutte le cose prima di tutte;
la priorità indica qui l'esenzione dalla trascendenza. Come la
monade e il centro di un cerchio sono immagini, per la loro
semplicità, di questo più grande dei principi, allo stesso modo ci
fanno vedere perspicuamente la sua comprensione causale di tutte
le cose. Infatti, tutto il numero può essere considerato come
sussistente in modo occulto nella monade, e il cerchio nel centro;
questo centro occulto è lo stesso in ciascuno di essi con la
sussistenza causale.
23 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Che questa concezione della sussistenza causale non sia un'ipotesi
escogitata da questi ultimi platonici, ma un vero e proprio dogma
di Platone, è evidente da ciò che egli dice nel Filebo: in quel
Dialogo, infatti, afferma espressamente che in Giove sussistono un
intelletto reale e un'anima reale secondo la causa. Anche Feracide,
nel suo Inno a Giove, recita come segue: Giove è cerchio,
triangolo e quadrato, centro e linea, e tutte le cose prima di tutte.
Da queste testimonianze risulta sufficientemente evidente
l'antichità di questa sublime dottrina.
E qui è necessario osservare che quasi tutti i filosofi, prima di
Giamblico (come ci informa Damascio), affermavano sì che c'è un
Dio primario, ma che gli altri dei avevano una posizione essenziale
ed erano divinizzati da illuminazioni provenienti dall'uno. Inoltre,
affermavano che esiste una moltitudine di unità principali, che non
sono sussistenze perfette, ma unioni illuminate dalla divinità,
impartite alle essenze dagli dèi più elevati. Questa ipotesi, tuttavia,
non è conforme alla dottrina di Platone come è evidente dal suo
Parmenide, in cui mostra che l'uno non sussiste in sé. Come
abbiamo osservato con Proclo, nelle note a quel Dialogo, ogni cosa
che è causa di se stessa ed è autosufficiente, ed è detta essere in sé.
Quindi, poiché la potenza produttrice comprende sempre, secondo
la causa, ciò che produce, è necessario che ciò che si produce
comprenda se stesso in quanto causa, e sia compreso da se stesso
in quanto causato; e che sia allo stesso tempo causa e causato, ciò
che comprende e ciò che è compreso. Se dunque una sussistenza in
un altro significa, secondo Platone, l'essere prodotto da un'altra
causa più eccellente (come abbiamo mostrato nella nota a p. 133,
vol. III), una sussistenza in sé deve significare ciò che è auto-
generato e prodotto da sé. Se dunque l'uno non è auto-sussistente in
quanto trascende questo modo di sussistenza, e se è necessario che
ci sia qualcosa di auto-sussistente, ne consegue che questa deve
24 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
essere la proprietà caratteristica di ciò che procede
immediatamente dall'ineffabile. Ma che ci debba essere qualcosa di
autonomo è evidente, poiché se non si ammette questo non ci sarà
una vera efficienza in nessuna cosa.
Inoltre, come osserva bene Damascio, se ciò che è subordinato per
natura è tende alla perfezione, come l'anima umana, tanto più lo
sarà l'anima divina. Ma se ciò è vero per l'anima, sarà vero anche
per l'intelletto. E se è vero per l'intelletto, sarà vero anche per la
vita: se è vero per la vita, è anche per l'essere; e se è per l'essere,
anche per le unità al di sopra dell'essere. Infatti, la perfezione,
l'autosufficienza e ciò che è stabilito in se stesso, sussisteranno
molto di più nelle nature superiori che in quelle subordinate. Se
dunque queste sono in queste ultime, lo saranno anche nelle prime.
Intendo la sussistenza di una cosa in sé, essenzializzata in sé; e tali
sono l'essenza e la vita, l'intelletto, l'anima e il corpo. Il corpo,
infatti, pur non sussistendo, sussiste da sé; e per questo appartiene
al genere della sostanza, e si distingue dall'accidente, che non può
esistere indipendentemente da un soggetto.
Le nature indipendenti sono dunque la progenie immediata
dell'uno, se è lecito chiamare così le cose, che dovrebbero piuttosto
essere chiamate dispiegamenti ineffabili nella luce dall'ineffabile;
perché la progenie implica una causa produttrice, e l'uno deve
essere concepito come qualcosa di ancora più eccellente di tutto
ciò. Da questa moltitudine divina autonoma e perfetta e auto-
produttiva, procede, secondo Platone, una serie di nature perfette,
cioè di esseri, di vite, di intelletti e di anime, nell'ultimo anello
della quale, una serie luminosa, egli include anche l'anima umana;
indipendente dall'ordine demoniaco: perché quest'ordine, come egli
afferma chiaramente nel Convivio, "si colloca nel grado
intermedio tra il divino e l'umano, riempie lo spazio vuoto e
collega insieme tutta la natura intelligente". E qui al lettore che
non è penetrato nelle profondità della filosofia di Platone, gli
25 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
apparirà senza dubbio paradossale che si dica che un qualsiasi
essere si produca da solo e che allo stesso tempo proceda da una
causa superiore. La soluzione di questa dilemma è la seguente: "La
produzione essenziale, ovvero quell'energia attraverso la quale
qualsiasi natura produce qualcos'altro per il suo stesso essere, è il
modo di produzione più perfetto, perché se ne vedono le vestigia
nell'ultima delle cose; così il fuoco impartisce calore, per la sua
stessa essenza, e la neve freddezza”.
In breve, si tratta di un produrre di quel tipo in cui l'effetto è ciò
che è perchè la causa è in secondo luogo. Poiché dunque questo
modo di produzione, essendo il più perfetto di tutti gli altri, ha
origine nelle nature più elevate, apparterrà di conseguenza in primo
luogo a quelle potenze autonome, che procedono immediatamente
dall'ineffabile, e da esse deriveranno tutti gli ordini successivi di
esseri. Ma questa energia, in quanto caratterizzata dall'essenziale,
sarà necessariamente diversa nelle diverse cause produttrici.
Quindi, da ciò che sussiste, al vertice delle nature indipendenti,
procederà sì una serie di esseri indipendenti, ma poi questa serie
sarà secondaria rispetto a quella che è la sua causa primaria, e
l'energia con cui si produce sarà secondaria a quella della sua
causa. Così, per esempio, l'anima razionale produce se stessa (in
quanto natura autosufficiente) ed è prodotta dall'intelletto; ma è
prodotta dall'intelletto in modo immutabile e da se stessa in modo
transitorio, poiché tutte le sue energie esistono nel tempo e sono
accompagnate dal movimento. Pertanto, se l'anima contiene
l'intelletto per partecipazione, è prodotta dall'intelletto, ma se è
indipendente è prodotta da se stessa. In breve, per quanto riguarda
ogni cosa indipendente, il vertice della sua natura è prodotto da una
causa superiore, ma l'evoluzione di quel vertice è la sua stessa
energia spontanea; e, attraverso questa, diventa indipendente e
perfetta.
26 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Che l'anima razionale, in quanto razionale, produca se stessa, può
essere chiaramente dimostrato come segue: "Ciò che è in grado di
impartire qualsiasi cosa superiore e più eccellente in qualsiasi
genere di cose, può facilmente impartire ciò che è subordinato e
meno eccellente nello stesso genere; ma il benessere, a quanto
pare, è più elevato e più eccellente del semplice essere. L'anima
razionale conferisce il benessere a se stessa, quando si coltiva e si
perfeziona, e si richiama e si sottrae al contagio del corpo. Per
questo motivo, conferirà anche l'essere a se stessa. E questo con
grande correttezza; perché tutte le nature divine e le cose che
possiedono la capacità di trasmettere qualcosa in primo luogo agli
altri, iniziano necessariamente a fare ciò se stesse. Di questa
potente verità il sole stesso è un esempio illustre, poiché illumina
tutte le cose con la sua luce ed è egli stesso luce, fonte e origine di
ogni splendore. Quindi, poiché l'anima dà vita e movimento alle
altre cose, essa darà vita e movimento a se stessa molto di più e
con una priorità molto maggiore.
Da questa magnifica, sublime e scientifica dottrina di Platone,
riguardante il principio arcano delle cose e la sua progenie
immediata, consegue che questa causa ineffabile non è l'artefice
immediato dell'universo, in quanto, come ho osservato
nell'Introduzione al Timeo, non per un difetto, ma al contrario per
la trascendenza della potenza. Tutte le cose, infatti, sono
ineffabilmente dispiegate da lui in una sola volta, nella luce; ma i
mezzi divini sono necessari alla costruzione del mondo. Infatti, se
l'universo fosse prodotto immediatamente dall'ineffabile, sarebbe,
secondo quanto abbiamo osservato sopra, ineffabile anche in
misura secondaria. Ma poiché non è affatto così, esso trae la sua
esistenza immediata principalmente da una divinità di carattere
operativo, che Platone chiama Giove, secondo la teologia di Orfeo.
Il lettore intelligente ammetterà prontamente che questo principio è
così lontano dall'essere sprezzante per la dignità del Supremo, che
27 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
al contrario la esalta, e conserva in modo adeguato l'essenza
trascendenza dell'ineffabile. Se dunque presumiamo di celebrarlo,
poiché, come abbiamo già osservato, è più consono stabilire nel
silenzio quelle parti dell'anima che osano ansiosamente esplorarlo,
dovremmo esaltarlo come il principio dei principi e la fonte della
divinità, o, nel linguaggio reverenziale degli Egizi, come una
divinità tre volte sconosciuta. [7]
Molto lodevole e degna di essere imitata da tutti i posteri è la
venerazione che i grandi antichi tributarono a questo immenso
principio. L'ho già notato nell'Introduzione al Parmenide e ora mi
limiterò a osservare che, in conseguenza di questa profonda e
piissima venerazione del primo Dio, non si azzardarono nemmeno
a dare un nome al vertice di quel più alto ordine di divinità che è
chiamato Intelligibile. Per questo, dice Proclo, nei suoi manoscritti
sul Cratilo: "Non tutti gli dèi hanno un appellativo; infatti, per
quanto riguarda la prima divinità, che è al di là di tutte le cose,
Parmenide ci insegna che è ineffabile; e i primi generi degli dèi
intelligibili, che sono uniti all'uno e sono chiamati occulti, hanno
molto dell'ignoto e dell'ineffabile. Infatti, ciò che è perfettamente
effimero non può essere unito al perfetto ineffabile; ma è
necessario che la progressione degli intelligibili termini in
quest'ordine, in cui sussiste il primo e ciò che è chiamato con nomi
propri. E’ da lì che si dispiegano le prime forme intelligibili e la
natura intellettuale degli intelligibili. Ma le nature precedenti,
essendo silenziose e occulte, sono conosciute solo dall'intelligenza.
Perciò tutta la scienza telestica che energizza teurgicamente
ascende fino a quest'ordine. Orfeo dice anche che questo è
chiamato per primo con un nome dagli altri dèi, poiché la luce che
ne deriva è conosciuta e denominata dagli dèi intellettuali".
Con non meno magnificenza che pietà, Proclo parla così
dell'ineffabile principio delle cose. "Ora, se mai, allontaniamo da
noi stessi la conoscenza multiforme, eliminiamo tutta la varietà
28 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
della vita e, in perfetta tranquillità, avviciniamoci alla causa di
tutte le cose. A tal fine, non solo l'opinione e la fantasia siano in
pace, né le sole passioni che ostacolano il nostro impulso
anagogico verso la prima, ma anche l'aria e l'universo stesso
siano fermi. E che tutte le cose ci estendano in maniera tranquilla
alla comunione con l'ineffabile. E, stando in piedi, dopo aver
trasceso l'intelligibile (se riusciamo), e con gli occhi quasi chiusi,
adorando per così dire il sole che sorge, poiché non è lecito a
nessun essere guardarlo intensamente, osserviamo il sole da cui
proviene la luce degli dei intelligibili, che emerge, come dicono i
poeti, dal seno dell'oceano; e ancora, da questa tranquillità divina
che scende nell'intelletto, e dall'intelletto che usa i ragionamenti
dell'anima, riferiamo a noi stessi quali sono le nature da cui, in
questa progressione, considereremo il primo Dio.
E celebriamolo, per così dire, non per aver fondato la terra e i
cieli, né per aver dato sussistenza alle anime e alle generazioni di
tutti gli animali; poiché ha prodotto anche questi, ma tra le ultime
cose. E prima di queste, celebriamolo come se avesse portato alla
luce l'intero genere intelligibile e intellettuale degli dei, insieme a
tutte le divinità sopra-mondane e mondane, come il Dio di tutti gli
dei, l'Unità di tutte le unità, e al di là del primo, come più
ineffabile di tutto il silenzio, e più sconosciuto di tutta l'essenza,
come santo tra i santi, e nascosto negli dei intelligibili". Tale è la
pietà, la sublimità e la magnificenza della concezione con cui i
filosofi platonici parlano di ciò che in realtà è ineffabile sotto ogni
aspetto, quando presumono di parlarne, estendendo le ineffabili
parti dell'anima all'ineffabile percezione dell'incomprensibile.
Da questa sublime venerazione di questa natura terribile, che, come
si nota negli estratti di Damascio, indusse i più antichi teologi,
filosofi e poeti a tacere del tutto su di essa, nacque la grande
riverenza che gli antichi tributarono alle divinità anche di carattere
mondano, o alle quali i corpi sono sottomessi, considerandole
29 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
anch'esse come partecipi della natura dell'ineffabile, e come tanti
anelli della vera catena d'oro della divinità. Così vediamo
nell'Odissea, quando Ulisse e Telemaco stanno rimuovendo le armi
dalle mura del palazzo di Itaca, Minerva che li precede con la sua
lampada d'oro riempie tutto il luogo di una luce divina,
Davanti a lei Pallade Atena portava una lampada d'oro e proiettava
una luce incantevole. Telemaco si accorse che certamente era
presente uno degli dèi celesti,
“In verità qualche dio, di quelli che reggono l'ampio cielo è
dentro di noi". Ulisse risponde: "Taci, frena il tuo intelletto (cioè
smetti di eccitarti intellettualmente) e non parlare".
Infine, da tutto ciò che è stato detto, deve risultare subito evidente
a chiunque non abbia l'occhio mentale completamente accecato,
che nella teologia di Platone non può esistere una trinità, in alcun
modo analoga alla Trinità cristiana. Perché il Dio supremo,
secondo Platone, come abbiamo ampiamente dimostrato con prove
irrefutabili, è così lontano dall'essere una parte di una triade
consustanziale, che non può e non deve essere identificato con
nessuna cosa; ed è così perfettamente esente da ogni molteplicità,
che è persino al di là dell'essere; e trascende così ineffabilmente
ogni relazione e abitudine, che il semplice parlarne è in realtà un
atto sovversivo, e la conoscenza regalata all'ignoranza. Che cosa
sia questa trinità nella teologia di Platone, che senza dubbio ha
dato origine a quella cristiana, sarà evidente all'intelligenza in base
alle note sul Parmenide e dagli estratti di Damascio. E questo per
quanto riguarda la dottrina di Platone sul principio delle cose e la
sua genealogia immediata, la cui grande importanza, non dubito,
sarà una opportunità per proseguire con questa conversazione.
In seguito, seguendo Proclo e Olimpiodoro come nostre guide,
consideriamo il modo secondo il quale Platone ci insegna
concezioni mistiche di nature divine: poiché egli sembra non aver
perseguito su questi temi la stessa concezione dottrinale; ma egli
30 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
sviluppa la verità su di loro a volte secondo un'energia divinamente
ispirata, e altre volte dialetticamente. A volte annuncia
simbolicamente i loro modi di dire ineffabili, altre volte ricorre a
loro da immagini, e scopre in loro le cause primarie di intere verità.
Per esempio nel Fedro, dialogo evidentemente ispirato, avendo
scambiato l'intelligenza umana per un potere migliore, quello della
mania divina, egli dispiega molti arcani riguardanti gli dei
intellettuali, liberali e mondani. Ma nel Sofista discute
dialetticamente sull'essere la sussistenza degli esseri superiori,
mettendo in dubbio le opinioni di filosofi più antichi di lui,
mostrando così come tutti gli esseri derivano dalla loro causa e dal
primo essere, e quell'essere stesso partecipa di quell'unità che è
esente da tutte le cose, che è passiva, [8], ma non quella stessa,
essendo soggetta e unita a quella, ma non essendo quella che è
primariamente una. Anche in modo simile, nel Parmenide, egli
illustra dialetticamente le progressioni dell'essere dall’Uno,
attraverso la prima ipotesi di quel dialogo, e questo, come egli là
afferma, secondo la più perfetta spiegazione di questo metodo. E di
nuovo nel Gorgia, racconta la favola riguardante i tre fabbricanti e
la loro assegnazione demiurgica. Nel Simposio parla d'amore; e nel
Protagora, della distribuzione di animali mortali da parte degli dèi;
in modo simbolico quando nasconde la verità sulle nature divine,
dando indicazioni che aprono la mente al più genuino dei suoi
lettori.
Platone, afferma che qualunque cosa partecipi di qualsiasi cosa si
dice sia passiva rispetto a ciò che partecipa, e le partecipazioni
stesse sono chiamate da lui passioni. Ancora una volta, è
necessario menzionare la dottrina impartita attraverso le discipline
matematiche, e la discussione delle azioni divine con discorsi etici
o fisici, molti dei quali possono essere contemplati nel Timeo, altri
nel dialogo chiamato Politicus, e molti possono essere visti
distribuiti in altri dialoghi; anche qui, coloro che sono desiderosi di
31 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
conoscere le decisioni divine attraverso le immagini, useranno il
metodo più evidente. Così, per esempio, il Politicus oscura la
creazione nei cieli. Ma le figure dei cinque elementi, consegnate
nelle proporzioni geometriche nel Timeo, rappresentano nelle
immagini gli idiomi dei che presiedono sulle parti dell'universo. E
le divisioni dell'essenza dell'anima in quel dialogo sono un riflesso
degli ordini totali degli dei. A questo possiamo anche aggiungere
che Platone parla di politica, assimilandola alle nature divine e
adornandola del mondo intero e dei poteri che contiene. Tutti
questi, dunque, attraverso la similitudine con i mortali alle
preoccupazioni divine, ci mostrano in immagini le progressioni, gli
ordini e le invenzioni di questi ultimi. E questi sono i modi della
dottrina teologica impiegati da Platone.
"Ma quelli", dice Proclo, "trattano le preoccupazioni divine in
modo indicativo, o parlano simbolicamente e favolosamente, o
attraverso le immagini. E di coloro che apertamente annunciano
le loro concezioni, alcuni inquadrano i loro discorsi secondo la
scienza, altri secondo l'ispirazione degli dei. E colui che desidera
vedere le preoccupazioni divine attraverso i simboli è Orfico, e, in
breve, si accorda con coloro che scrivono favole rispettando gli
dei. Ma chi lo fa attraverso le immagini è Pitagorico. Le discipline
matematiche sono state inventate dal pitagorico al fine di una
reminiscenza di preoccupazioni divine, a cui attraverso questi
come immagini, si sforzano di ascendere. Essi infatti riferiscono i i
numeri e le figure agli dei, secondo la testimonianza dei loro
storici. Ma il carattere entusiastico, o di colui che è divinamente
ispirato, rivela la verità stessa riguardante gli dei essenzialmente
e si colloca perspicuamente tra i più alti iniziati. Costoro, infatti,
non pensano di dover commentare gli ordini divini, o i loro modi
di dire, ai loro familiari in modo velato, ma annunciano i loro
poteri e il loro numero in conseguenza dell'essere mossi dagli dei
stessi. La tradizione delle preoccupazioni divine secondo la
32 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
scienza è l'illustre prerogativa della filosofia platonica. Platone
soltanto, come mi sembra di tutti sentito in tutti quelli che abbiamo
conosciuto, ha tentato metodicamente di dividere e mettere in
ordine la progressione regolare dei generi divini, la loro
differenza reciproca, i modi di dire comuni degli ordini totali, e i
significati distribuiti in ciascuno."
Ancora una volta, poiché Platone usa le favole, consideriamo in
primo luogo da dove gli antichi sono stati indotti a inventare
favole, e in secondo luogo, qual è la differenza tra le favole dei
filosofi e quelle dei poeti. In risposta alla prima domanda allora, è
necessario sapere che gli antichi impiegavano favole che
riguardavano due cose, vale a dire la natura e la nostra anima. Li
impiegavano guardando alla natura e all’origine delle cose, come
segue. Le cose non appariscenti sono conseguenti dalle cose
apparenti e dalle nature incorporee dei corpi. Per vedere la
disposizione ordinata dei corpi, comprendiamo che un certo potere
incorporeo li presiede; per quanto riguarda i corpi celesti, essi
hanno una certa forza motrice che li muove. Come vediamo quindi
che il nostro corpo è mosso, ma non è più così dopo la morte,
osserviamo che è un certo potere incorporeo che lo muoveva.
Quindi, percependo crediamo cose incorporee e non apparenti da
cose apparenti e corporee, e che le favole vennero adottate, che
potremmo venire da cose apparenti a certe nature non apparenti;
come, per esempio, che ascoltando storie di adulteri, legami, e
lacerazioni degli dei, castrazioni del cielo, e simili, non possiamo
restare soddisfatti con il significato apparente di tali particolari
come, ma procede sull’apparenza, e indagare il vero significato. Da
questo modo, quindi, guardando alla natura delle cose, sono stati
impiegati favole.
Consideriamo poi quale sia la differenza tra le favole dei filosofi e
quelle dei poeti. Ognuna di esse ha dunque qualcosa in cui
abbonda di più e qualcosa in cui è carente rispetto all'altra. Così,
33 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
per esempio, la favola poetica abbonda del fatto che non dobbiamo
accontentarci del significato apparente, ma considerare la verità
nascosta. Infatti, chi, dotato di intelletto, crederebbe che Giove
desiderasse avere rapporti con Giunone, sulla terra, senza aspettare
di entrare nella camera da letto? Così la favola poetica trasborda, in
quanto afferma cose che non ci permettono di fermarci
all'apparenza, ma ci portano a esplorare la verità nascosta. Ma ha il
difetto di ingannare un po’ tutti. Per questo motivo Platone trascura
le favole di questo tipo e bandisce Omero dalla sua Repubblica,
perché i giovani, ascoltando tali favole, non sarebbero in grado di
distinguere ciò che è allegorico da ciò che non lo è.
Le favole filosofiche, al contrario, non ingannano chi non va oltre
il significato apparente. Così, per esempio, affermano che ci sono
punizioni e fiumi sotto la terra: e se ci atteniamo al significato
letterale di queste non saremo ingannati. Ma sono deficitari in
questo: poiché il loro significato apparente non ferisce, spesso ci
accontentiamo dell’apparenza e non esploriamo la verità latente.
Possiamo anche dire che le favole filosofiche riguardano i nemici
dell'anima. Infatti, se fossimo solo intelletto e non avessimo alcun
legame con la fantasia, non avremmo bisogno di favole, perché
preferiamo sempre le nature intellettuali. Se invece fossimo
completamente irrazionali e vivessimo secondo la fantasia, e non
avessimo altra energia che questa, sarebbe necessario che tutta la
nostra vita fosse favolosa. Possedendo invece intelletto, opinione e
fantasia, le dimostrazioni vengono fatte in vista dell'intelletto; per
questo Platone dice che, se sei disposto ad eccitarti secondo
l'intelletto, avrai dimostrazioni legate con catene adamantine; avrai
la testimonianza e da tutto questo trarrai vantaggio.
Platone rifiuta inoltre il modo molto tragico dell’uso della
mitologia da parte dei poeti antichi, che ritenevano opportuno
stabilire un'arcana teologia sugli dèi, e per questo escogitavano
peregrinazioni, castrazioni, battaglie e lacerazioni degli dèi, e molti
34 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
altri simboli sulle nature divine che questa teologia nasconde; egli
rifiuta questo modo, e afferma che è in tutto e per tutto estraneo
all'erudizione. Ma considera più persuasivi e più adatti alla verità
quei discorsi mitologici sugli dèi che affermano che la natura
divina è causa di ogni bene, di nessun male, e che è priva di ogni
alterazione, avendo in sé la fonte della verità, e non diventando mai
causa di alcun inganno per gli altri. Per tali tipi di teologia Socrate
si pronuncia nella Repubblica.
Tutte le favole di Platone, quindi, che custodiscono la verità in
occulto, non hanno nemmeno il loro apparato esteriore apparente
in disaccordo con le nostre anticipazioni disciplinate e non deviate
della divinità. Portano inoltre con sé un'immagine della
composizione mondana in cui sia la bellezza apparente è degna
della divinità, sia una bellezza più divina di questa è stabilita nelle
vite e nei poteri nascosti delle cause.
Inoltre, affinché il lettore possa vedere da dove e da quali dialoghi
si possono raccogliere principalmente i dogmi teologici di Platone,
presento la seguente traduzione di ciò che Proclo ha mirabilmente
scritto su questo argomento.
"La verità (dice) sugli dèi pervade, per così dire, tutti i dialoghi
platonici, e in tutti si diffondono concezioni venerabili, chiare e
soprannaturali della grande filosofia, in alcuni in modo più
adombrato, ma in altri in modo più evidente; concezioni che
esaltano coloro che sono in grado di parteciparvi, all'essenza
immateriale e separata degli dèi. E poiché in ogni parte
dell'universo e nella natura stessa, il demiurgo di tutto ciò che il
mondo contiene ha stabilito delle somiglianze con l'essenza
sconosciuta degli dèi, affinché tutte le cose si convertano alla
divinità grazie alla loro alleanza con essa, allo stesso modo sono
dell'idea che l'intelletto divino di Platone combini le concezioni
sugli dèi con tutta la sua progenie, e non lasci nulla privo della
menzione della divinità, affinché dall'insieme della sua progenie si
35 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
possa ricavare una reminiscenza delle nature assolute, da
impartire agli autentici amanti delle cose divine”.
"Ma se è necessario presentare al lettore quei dialoghi, tra i tanti,
che ci svelano principalmente la disciplina mistica sugli dèi, non
sbaglierò a classificare tra questi il Fedro e il Fedone, il Convivio
e il Filebo, e insieme a questi il Sofista e il Politico, il Cratilo e il
Timeo. Perché tutti questi sono pieni di questa dottrina, e
soprattutto della scienza divina di Platone. Ma io metterei in
secondo piano, fatti salvi questi dialoghi, la favola del Gorgia e
quella del Protagora, così come le affermazioni sulla provvidenza
degli dèi nelle Leggi, e le cose che vengono dette sulle Parche, o
sulla madre delle Parche, o sulle circolazioni dell'universo, nel
decimo libro della Repubblica. Inoltre, se volete, potete mettere al
terzo posto quegli Episodi attraverso i quali possiamo elevarci
alla scienza delle nature divine. In essi, infatti, si fa menzione dei
tre re e si espongono molti altri dogmi divini degni della teologia
platonica. È quindi necessario, a proposito di questi, esplorare in
essi ogni ordine degli dèi.”
Così, dal Filebo, possiamo ricevere la scienza dell'unico bene e dei
due principi primi delle cose (il limite e l'infinito) e la triade che ne
deriva. Troverete infatti tutte queste distinzioni trasmesseci da
Platone in quel dialogo. E dal Timeo puoi ottenere la teoria sugli
intelligibili, una narrazione divina sulla monade demiurgica e la
verità più completa sugli dèi mondani. Dal Fedro puoi apprendere
tutti i generi intelligibili e intellettuali e gli ordini liberali degli dèi,
che si trovano in prossimità delle sfere celesti. Dal Politico si può
ottenere la teoria della generazione nei cieli, dei periodi
dell'universo e delle cause intellettuali di questi periodi. Inoltre dal
Sofista si può apprendere l'intera generazione sublunare e il
linguaggio degli dèi cui è assegnata la regione sublunare che
presiede alle generazioni e alle corruzioni. E per quanto riguarda
ciascuno degli dèi, possiamo ricavare molte concezioni sacre dal
36 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Convivio, molte dal Cratilo e molte dal Fedone. Infatti, in ognuno
di questi dialoghi si fa più o meno menzione dei nomi divini, dai
quali è facile, per coloro che sono esenti nelle preoccupazioni
divine, scoprire con un processo di ragionamento gli idiomi di
ciascuno.
"È necessario, tuttavia, evidenziare che ciascuno dei dogmi si
accorda con i principi platonici e con le tradizioni mistiche dei
teologi antichi. Infatti, tutta la teologia greca è figlia della dottrina
mistica di Orfeo; Pitagora, in primo luogo, apprese da Aglaofemo
le origini degli dei, ma Platone, in secondo luogo, ricevette dagli
scritti pitagorici e orfici una scienza perfetta sulle divinità. Infatti,
nel Filebo, riferendo ai Pitagorici la teoria delle due forme di
principi (il limite e l'infinito), li chiama uomini che abitano con gli
dèi e che sono veramente beati. Filolao, dunque, il pitagorico, ci ha
lasciato per iscritto mirabili concezioni su questi principi,
celebrando la loro comune progressione in esseri e la loro
concezione separata. Anche nel Timeo, cercando di insegnarci gli
dei sublunari e il loro ordine, Platone si rivolge ai teologi, li
chiama figli degli dei e li rende padri della verità divina. Infine,
dichiara gli ordini degli dèi sublunari secondo la progressione
fornita dai teologi dei re intellettuali. Inoltre, nel Cratilo segue le
tradizioni dei teologi per quanto riguarda l'ordine delle processioni
divine. Ma nel Gorgia adotta il dogma omerico, per quanto
riguarda le ipostasi triadiche dei demiurghi. E, in breve, ogni volta
che parla degli dèi si attiene ai principi dei teologi, rifiutando la
parte tragica della finzione mitologica, ma stabilendo le prime
ipotesi in comune con gli autori di favole.
"Forse, però, qualcuno potrebbe obiettare che non esponiamo in
modo adeguato la teologia di Platone, che è dispersa in tutti i suoi
scritti, mentre ci sforziamo di mettere insieme diversi particolari
tratti da suoi dialoghi, come se ci studiassimo di raccogliere molte
cose in un’unica raccolta, invece di ricavarle tutte da un’unica
37 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
fonte. Infatti, se questa fosse la nostra intenzione, potremmo anche
riferire diversi dogmi a diversi trattati di Platone, ma non avremo
in alcun modo una dottrina progressiva sugli dèi, né ci sarà alcun
dialogo che ci presenti una processione perfetta e completa dei
generi divini e la loro coordinazione reciproca. Ma saremo simili a
coloro che si sforzano di ottenere un tutto dalle parti, per mancanza
di un tutto precedente[9] alle parti, e di ottenere il perfetto, dalle
cose imperfette, quando, al contrario, l'imperfetto dovrebbe stare
nella causa prima della sua generazione nel perfetto. Il Timeo, per
esempio, ci insegnerà la teoria dei generi intelligibili, e il Fedro
sembra presentarci un resoconto regolare dei primi ordini
intellettuali. Ma dove sarà la coordinazione degli intellettivi agli
intelligibili? E quale sarà la generazione delle seconde nature dalle
prime? In breve, in che modo la progressione degli ordini divini
avvenga a partire dall'unico principio di tutte le cose, e come nelle
generazioni degli dèi si coniugano gli ordini tra l'uno e il numero
perfetto, non siamo ancora in grado di dimostrarlo.
"Inoltre, si potrebbe dire, dove sarebbe la venerabilità della vostra
vantata scienza sulle nature divine? Perché è assurdo chiamare
platonici questi dogmi, che sono raccolti provenienti da più parti e
che, come riconoscete, sono la traduzione di nomi stranieri nella
filosofia di Platone; né siete in grado di dimostrare l'intera verità
sulle nature divine. Forse, anzi, diranno che alcuni personaggi,
succeduti a Platone, hanno lasciato nei loro scritti, e trasmesso ai
loro discepoli, una forma perfetta di filosofia. Voi, dunque, siete in
grado di produrre dal Timeo un'intera teoria sulla natura; dalla
Repubblica, o dalle Leggi, i dogmi più belli sulla morale, e che
tendono a una forma di filosofia.
Da solo, quindi, se trascuri l’opera di Platone, che contiene le cose
migliori della prima filosofia e che può essere chiamato il vertice
di questa sapienza, sarai privato della più perfetta conoscenza degli
esseri, a meno che tu non sia così edotto da vantartene a causa di
38 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
finzioni favolose, anche se l'analisi di cose di questo tipo abbonda
di molto del probabile, ma non del dimostrativo. Inoltre, nei
dialoghi platonici, cose di questo tipo sono riportate solo in modo
accidentale, come la favola del Protagora, che è inserita a favore
della scienza politica e delle dimostrazioni che la riguardano. Allo
stesso modo, la favola della Repubblica è inserita per la giustizia e
quella del Gorgia per la temperanza. Platone, infatti, unisce le
narrazioni favolose alle indagini sui dogmi etici, non per amore
delle favole, ma per il disegno principale, affinché non solo si
eserciti la parte intellettuale dell'anima, attraverso la contesa delle
ragioni, ma affinché la parte divina dell'anima riceva più
perfettamente la conoscenza degli esseri, attraverso la sua simpatia
con le preoccupazioni più mistiche. Infatti, da altri discorsi
assomigliamo a coloro che sono tenuti a ricevere la verità; ma dalle
favole siamo colpiti in modo ineffabile, e richiamiamo le nostre
concezioni non adulterate, venerando le informazioni mistiche che
esse contengono.
"Perciò, come mi sembra, Timeo ritiene opportuno che noi
produciamo i generi divini, seguendo i creatori di favole come figli
degli dèi, e sottoscrive che essi generano sempre nature secondarie
da quelle primarie, anche se parlano senza prove. Questo tipo di
discorso, infatti, non è dimostra nulla, ma è figlio dell'ispirazione
divina, ed è stato usato dagli antichi, non per necessità, ma per
convinzione, non per la nuda disciplina, ma per la simpatia con le
cose stesse. Se siete disposti a speculare non solo sulle cause delle
favole, ma anche su altri dogmi teologici, troverete che alcuni di
essi sono presenti nei dialoghi platonici per motivi etici e altri per
considerazioni fisiche. Nel Filebo, infatti, Platone parla del limite e
dell'infinito, del piacere per una vita secondo l'intelletto. Infatti,
ritengo che questi ultimi siano speciali. Nel Timeo il discorso sugli
dèi intelligibili è assunto a motivo della fisiologia. Per questo
motivo, è necessario che le immagini siano conosciute dai relativi
39 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
paradigmi, ma che i paradigmi delle cose materiali siano
immateriali, i paradigmi dei sensibili, intelligibili, e quelli delle
forme fisiche, separate dalla natura.
Nel Fedro, Platone celebra il luogo super-celeste, la profondità
sub-celeste e ogni genere sotto di esso per amore della mania
d’amore; il modo in cui avviene la reminiscenza delle anime e il
passaggio di queste da un luogo all’altro. Ovunque, però, il fine
principale, per così dire, è fisico o politico, mentre le concezioni
sulle nature divine sono introdotte o per immaginazione o per
perfezionamento. Come può, dunque, una teoria come questa
essere più venerabile e soprannaturale, e degna di essere studiata al
di là di tutto, se non è in grado di mostrare l'intero in sé, il perfetto,
tutto ciò che è precedente negli scritti di Platone, privo di tutto,
fittizio e non spontanea, non possiede un ordine genuino, di
fantasia, come in un dramma?
"A questa obiezione risponderò in modo giusto e preciso. Dico
solo che Platone parla degli dèi in modo sempre conforme alle
opinioni antiche e alla natura delle cose. E a volte, in effetti, a
causa degli argomenti proposti li riduce ai principi dei dogmi, e
quindi, come da un luogo di eccelsa osservazione, contempla la
natura della cosa da dibattere. A volte stabilisce la scienza
teologica come fine principale. Nel Fedro, infatti, il suo argomento
riguarda la bellezza intelligibile e la partecipazione della bellezza
che pervade tutte le cose, mentre nel Convivio riguarda l'ordine
amatorio.
"Ma se è necessario considerare, in un dialogo platonico, il tutto
perfetto, intero e connesso, che si estende fino alla teologia, forse
affermerò un paradosso, che sarà evidente solo ai nostri intimi.
Dovremmo però osare, visto che abbiamo iniziato, e affermare
contro i nostri avversari, che il Parmenide e le concezioni mistiche
di questo dialogo realizzano tutto ciò a cui aspiriamo. In questo
dialogo, infatti, tutti i generi divini procedono in ordine dalla causa
40 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
prima e mostrano la loro reciproca processione l'uno dall'altro.
Quelli che sono più elevati, connessi con l'uno e di natura primaria,
hanno una forma di sussistenza caratterizzata dall'unità, occulta e
semplice; quelli che sono ultimi si moltiplicano, si distribuiscono
in molte parti, eccellono in numero, ma sono inferiori in potenza a
quelli di ordine superiore; e quelli che sono intermedi, secondo una
proporzione conveniente, sono più compositi delle loro cause, ma
più semplici della loro progenie. In breve, tutti gli assiomi della
scienza teologica appaiono perfettamente in questo dialogo; e tutti
gli ordini divini sono mostrati sussistenti in connessione. Così che
questa non è altro che la celebre generazione degli dèi e la
processione di ogni tipo di essere dall'ineffabile e la sconosciuta
causa del tutto. [Il Parmenide, dunque, accende negli amanti di
Platone l'intera e perfetta luce della scienza teologica. Ma dopo di
ciò, i dialoghi citati distribuiscono parti della disciplina mistica
sugli dèi, e tutti, come posso dire, partecipano della sapienza
divina, ed esaltano le nostre concezioni spontanee riguardo alla
natura divina].
Ed è necessario riferire le parti di questa disciplina mistica a questi
dialoghi, e questi ancora all'unica e perfetta teoria del Parmenide.
Perché così, come mi sembra, vedremo discendere il più imperfetto
dal perfetto, e le parti dal tutto, ed esporremo ragioni assimilate
alle cose di cui, secondo il Timeo platonico, sono interpreti. Questa
è dunque la nostra risposta all'obiezione che potrebbe essere mossa
contro di noi; e così rimandiamo la teoria platonica al Parmenide;
così come il Timeo è riconosciuto da tutti coloro che hanno un
minimo di intelligenza come contenente l'intera scienza della
natura".
Tutto ciò che qui viene affermato da Proclo sarà immediatamente
ammesso dal lettore che comprende i contorni che abbiamo qui
esposto sulla teologia di Platone; Proclo oltretutto è un maestro
completo del significato mistico del Parmenide; e confido troverà
41 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
sufficientemente spiegato, attraverso l'assistenza di Proclo,
nell'introduzione e nelle note a quel dialogo.
Il prossimo importante dogma platonico in ordine di tempo è la
dottrina delle idee, di cui il lettore troverà già molto esposto nelle
note sul Parmenide, tanto che qui resta poco da aggiungere. Quel
poco, tuttavia, è il seguente: Il divino Pitagora, e tutti coloro che
hanno legittimamente accolto le sue dottrine, tra i quali Platone
occupa il posto più illustre, tutti costoro affermarono che ci sono
molti ordini di esseri, cioè intelligibili, intellettuali, dianoetici,
fisici, o in breve, essenze vitali e corporee. Infatti, la progressione
delle cose, la soggezione che naturalmente sussiste a tale
progressione e il potere della diversità in generi coordinati danno
sussistenza a tutta la moltitudine di nature corporee e incorporee.
E’ stato detto, quindi, che ci sono tre ordini in tutta l'estensione
degli esseri: l'intelligibile, il dianoetico e il sensibile; e che in
ognuno di questi sussistono idee caratterizzate dalle rispettive
proprietà essenziali delle nature da cui sono contenute. E per
quanto riguarda le idee intelligibili, esse sono situate, insieme alle
cause produttrici, paradigmatiche e finali delle cose in un ordine
conseguente, tra le nature divine.
Infatti, se queste tre cause a volte concorrono e si uniscono tra loro
(come dice Aristotele), senza dubbio ciò non avviene nelle opere
più basse della natura, ma nelle cause prime e più eccellenti, che
per la loro esuberante fecondità hanno un potere generativo di tutte
le cose e, per il fatto di convertire e rendere simili a sé le nature
che hanno generato, sono i paradigmi o gli esemplari di tutte le
cose. Ma poiché queste cause divine agiscono per se stesse e per la
loro bontà, non mostrano forse anche la causa finale? Poiché
dunque le forme intelligibili sono di questo tipo, e sono le guide di
tanto bene al tutto, esse danno compimento agli ordini divini, pur
sussistendo in gran parte intorno all'ordine intelligibile contenuto
nell'artefice dell'universo. Ma le forme o idee dianoetiche imitano
42 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
quelle intellettuali, che hanno una posizione anteriore, rendono
l'ordine dell'anima simile a quello intellettuale e comprendono tutte
le cose in misura secondaria.
Queste forme viste nelle nature divine possiedono un potere
costruttivo, mentre per noi sono solo gnostiche e non più
demiurgiche, a causa della chiusura delle nostre ali o della
degradazione delle nostre potenze intellettuali. Infatti, come dice
Platone nel Fedro, quando le potenze alate dell'anima sono perfette
e inclini volo, essa abita in alto e, insieme alle nature divine,
governa il mondo. Nel Timeo afferma chiaramente che il demiurgo
ha impiantato queste forme dianoetiche nelle anime, in proporzioni
geometriche, aritmetiche e armoniche; ma nella Repubblica (in una
sezione del VI libro) le chiama immagini degli intelligibili; e per
questo non disdegna di chiamarle intellettuali, nonostante siano
esemplari di nature sensibili. Nel Fedone dice che queste sono per
noi le cause della reminiscenza, perché le discipline non sono altro
che reminiscenze di forme dianoetiche medie, dalle quali le
potenze produttive della natura, essendo derivate e ispirate, danno
vita a tutti i fenomeni mondani.
Platone, tuttavia, non considerava le cose definibili, o nel
linguaggio moderno le idee astratte, come gli unici universali, ma
prima di questi stabiliva quei principi produttivi di scienza che
risiedono essenzialmente nell'anima, come è evidente dal Fedro e
dal Fedone. Anche nel X libro della Repubblica esalta quelle forme
separate che sussistono in un intelletto divino. Nel Fedro afferma
che le anime elevate al luogo super-celeste vedono la stessa
giustizia, la stessa temperanza e la stessa scienza; infine, nel
Fedone dimostra l'immortalità dell'anima con l'ipotesi di forme
separate.
Siriano, nel suo commento al 13° libro della Metafisica di
Aristotele, dimostra in difesa di Socrate, Platone, dei Parmenidei e
dei Pitagorici, che le idee non sono state introdotte da questi
43 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
uomini divini secondo il significato abituale dei nomi, come era
opinione di Crisippo, Archedemo e di molti stoici minori; infatti le
idee si distinguono per molte differenze dalle cose che sono
denominate dalla consuetudine. Né sussistono, dice, insieme
all'intelletto, allo stesso modo di quelle esili concezioni che sono
chiamate universali astratti dai sensibili, secondo l'ipotesi di
Longino: [12] perché se ciò che sussiste non è sostanziale, non può
essere consustanziale all'intelletto.
Secondo questi uomini, le idee non sono nemmeno nozioni, come
Cleante ha affermato in seguito. L'idea non è nemmeno una
ragione definita, né una forma materiale, perché queste sussistono
nella composizione e nella divisione e sfiorano la materia. Le idee
sono nature perfette, semplici, immateriali e imparziali. E che
meraviglia c'è, dice Siriano, se separiamo cose così distanti tra
loro? E non imitiamo nemmeno Plutarco, Attico e Democrito, i
quali, poiché le ragioni universali sussistono perennemente
nell'essenza dell'anima, ritenevano che queste ragioni fossero idee;
infatti, sebbene le separino dall'universale nelle nature sensibili,
tuttavia non è corretto unire in una sola e medesima cosa la ragione
dell'anima e un intelletto come il nostro, con forme paradigmatiche
e immateriali e intelletti demiurgici. Ma, come dice il divino
Platone, è compito della nostra anima raccogliere le cose in un
unico processo razionale, e possedere una reminiscenza di quegli
eventi trascendenti che un tempo vedevamo quando governavamo
l'universo insieme alla divinità.
Anche Boezio, [13] il peripatetico al quale è opportuno affiancare
Cornuto, pensava che le idee fossero uguali agli universali nelle
nature sensibili. Tuttavia, se questi universali sono anteriori ai
particolari, non sono anteriori in modo tale da essere privati dai
modi che possiedono rispetto ad essi, né sussistono come cause dei
particolari, prerogative delle idee; o se sono posteriori ai
particolari, come molti sono soliti chiamarli, come possono essere
44 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
di origine posteriore, non avendo alcuna sussistenza essenziale, e
quindi ma non sono altro che esili concezioni, sostenere la dignità
di idee costruttive?
In che modo dunque, dice Siriano, sussistono le idee secondo i
filosofi contemplativi amanti della verità? Rispondiamo:
intelligibilmente e secondo la tetrade, nell'animale stesso, o
nell'estremità dell'ordine intelligibile; ma intellettualmente e
decadicamente, nell'intelletto dell'artefice dell'universo; infatti,
secondo l'Inno Pitagorico, "il numero divino procede dai ritiri della
monade non decadente, fino a giungere alla tetrade divina che ha
prodotto la madre di tutte le cose, il destinatario universale,
venerabile, che investe circolarmente tutte le cose con il legame,
inamovibile e ininterrotto, e che è chiamato la sacra decade, sia
dagli dèi immortali che dagli uomini nati sulla terra".
E tale è il modo della loro esistenza secondo Orfeo, Pitagora e
Platone. O, se è necessario esprimersi in un linguaggio più
familiare, dell’intelletto sufficiente a se stesso, che è una causa
perfettissima e che presiede all'insieme dell'universo e attraverso di
esso governa tutte le sue parti; ma nello stesso momento in cui
forma tutte le nature mondane e le beneficia con le sue energie
provvidenziali, conserva la propria purezza divina e immacolata; e
mentre illumina tutte le cose, non si confonde con le nature che
illumina.
Questo intelletto, dunque, comprendendo nel profondo della sua
essenza un mondo ideale, ricco di tutte le varie forme, esclude
dalla sua energia la privazione della causa e la sussistenza casuale.
Ma poiché conferisce ogni bene e ogni possibile bellezza alle sue
creazioni, converte l'universo a se stesso e lo rende simile alla
propria natura onniforme. Anche la sua energia è come la sua
intellezione; ed essa comprende tutte le cose, poiché è la più
perfetta. Perciò non c'è nulla che rientri tra i veri esseri che non sia
compreso nell'essenza dell'intelletto; ed esso stabilisce sempre in
45 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
sé delle idee, che non sono diverse da sé e dalla sua essenza, anzi
le danno compimento e introducono nell'insieme delle cose una
causa che è al tempo stesso produttiva, paradigmatica e definitiva.
Infatti, essa dà energia in quanto intelletto, e le idee che contiene
sono paradigmatiche, in quanto forme; ed fornisce energia da se
stessa, e secondo la propria esuberante bontà. Questi sono i dogmi
platonici relativi alle idee, che i sofismi e l'ignoranza possono sì
disconoscere, ma non potranno mai confutare.
Da questo mondo intelligibile, ricco di idee onniformi, il mondo
sensibile, secondo Platone, erompe in continuazione, dipendendo
dall’intelletto artefice, come l'ombra dalla sostanza formatrice.
Infatti, poiché una divinità con caratteristiche intellettuali è il suo
artefice, e sia l'essenza che l'energia dell'intelletto sono stabilite
nell'eternità, l'universo sensibile, che è l'effetto o la produzione di
tale energia, deve essere consustanziale alla sua causa, o in altre
parole, deve essere una perpetua emanazione da essa. Ciò sarà
evidente se si considera che ogni cosa generata è generata o per
artificio o per natura o secondo potenza. È necessario, quindi, che
ogni cosa che opera secondo natura o arte sia anteriore alle cose
prodotte; e le cose che operano secondo potenza abbiano le loro
produzioni coesistenti con esse stesse; così come il sole produce
luce coesistente con se stesso; il fuoco, produce calore; e la neve,
produce il freddo.
Se dunque l'artefice producesse l’universo con l'arte, non lo
farebbe semplicemente essere, ma essere in qualche modo
particolare; perché ogni arte produce forma. Da dove deriva
dunque l'essere del mondo? Se lo avesse prodotto dalla natura,
poiché ciò che fa per natura imprime qualcosa di sé alle sue
produzioni, e l'artefice del mondo è incorporeo, sarebbe necessario
che il mondo, figlio di tale produzione, fosse incorporeo. Non resta
dunque che il demiurgo ha prodotto l'universo con la sola potenza;
ma ogni cosa generata dalla potenza sussiste insieme alla causa che
46 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
la determina e la contiene: e quindi una produzione di questo tipo
non può essere distrutta se la causa produttrice non viene privata
della sua potenza. L'intelletto divino, dunque, che ha prodotto
l'universo sensibile, lo ha fatto coesistere con se stesso.
Questo mondo che dipende dal suo artefice divino, che è egli
stesso un mondo intelligibile pieno di idee archetipiche di tutte le
cose, considerato secondo la sua natura corporea, scorre e avanza
continuamente verso l'essere e, rispetto al suo paradigma, non ha
alcuna stabilità o realtà d'essere. Tuttavia, considerato come
animato da un'anima divina, come ricevente le illuminazioni di
tutti gli dèi sopra-mondani e come ricettacolo esso stesso di
divinità a cui sono sospesi i corpi, è detto da Platone nel Timeo un
dio benedetto. Anche il grande corpo di questo mondo, che sussiste
in una perpetua dispersione ed estensione temporale, può essere
propriamente chiamato un tutto con una sussistenza totale, a causa
della perpetuità della sua durata, anche se questa non è altro che
un'eternità che scorre. Per questo Platone lo chiama un insieme di
interi; per gli altri interi che sono compresi nel suo significato, le
sfere celesti, la sfera del fuoco, l'insieme dell'aria considerata come
un unico grande globo, tutta la terra e tutto il mare. Queste sfere,
che gli scrittori platonici chiamano parti con una sussistenza totale,
sono considerate da Platone come aggregazioni perpetue. Infatti, se
il corpo di questo mondo è perpetuo, lo saranno anche le sue parti
più grandi, a causa della loro stretta alleanza con esso, e affinché
gli interi con una sussistenza parziale, come tutti gli individui, si
collochino nell'ultima gradazione delle cose.
Anche il mondo, considerato come un grande insieme, è chiamato
da Platone animale divino, così anche ogni parte in esso contenuto
è un mondo, possedendo in primo luogo un'unità auto-perfetta;
procedendo dall'ineffabile, per mezzo della quale diventa un dio; in
secondo luogo, un intelletto divino; in terzo luogo, un'anima
divina; e in ultimo, un corpo divinizzato. Ciascuno di questi
47 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
insiemi è la causa produttrice di tutta la moltitudine in esso
contenuto, e per questo si dice che è un tutto anteriore alle parti;
perché, considerato come dotato di una forma eterna che mantiene
insieme tutte le sue parti e dà all'insieme perpetuità di sussistenza,
non è privo di tali parti per la perfezione del suo essere. Il fatto che
questi interi che si trovano così in alto nell'universo siano animati,
deve obbedire a una necessità geometrica. Infatti, come osserva
bene Teofrasto, gli interi avrebbero meno autorità delle parti, e le
cose eterne di quelle corruttibili, se fossero privati del possesso
dell'anima.
E ora, dopo essere ascesi in maniera avventurosa, ma non
presuntuosa, all'ineffabile principio delle cose, e restando con gli
occhi chiusi nei vestiboli dell'adytum, abbiamo scoperto che non
potevamo annunciare nulla su di lui, ma solo evidenziare i nostri
dubbi e le nostre delusioni, e dopo essere scesi nella sua occulta e
venerabilissima progenie, e dopo aver attraversato il luminoso
mondo delle idee, tenendoci stretti alla catena d'oro della divinità,
abbiamo terminato il nostro procedere verso il basso nell'universo
materiale e nei suoi interi non decadenti, fermandoci un attimo a
contemplare la sublimità e la magnificenza del quadro che questo
viaggio presenta alla nostra vista. Qui vediamo il vasto impero
della divinità, un impero che termina verso l'alto con un principio
così ineffabile che ogni linguaggio potrebbe sovvertirne il senso, e
verso il basso con il vasto corpo del mondo. Subito dopo questo
immenso ignoto, vediamo un potente principio onnicomprensivo
che, essendo vicino a ciò che è in tutto e per tutto incomprensibile,
possiede molto dell'ineffabile e dell'ignoto. Da questo principio dei
principi, in cui tutte le cose sussistono casualmente assorbite dalla
luce super-essenziale e coinvolte in profondità insondabili,
vediamo una splendida progenie di principi, tutti largamente
partecipi dell'ineffabile, tutti improntati ai caratteri occulti della
divinità, tutti dotati di una traboccante pienezza di bene.
48 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Da queste cime abbaglianti, da queste fioriture ineffabili, da queste
propagazioni divine, vediamo poi dipendere l'essere, la vita,
l'intelletto, l'anima, la natura e il corpo; monadi sospese da unità,
nature divinizzate che procedono da divinità. Ognuna di queste
monadi è anche il capo di una serie che si estende da sé fino
all'ultima delle cose, e che mentre procede da, allo stesso tempo
rimane in, e ritorna al suo capo. E tutti questi principi e tutta la loro
progenie sono infine centrati e radicati per le loro sommità nel
primo grande onnicomprensivo. Così tutti gli esseri procedono e
sono compresi nel primo essere; tutti gli intelletti emanano da un
primo intelletto; tutte le anime da una prima anima; tutte le nature
sbocciano da una prima natura; e tutti i corpi procedono dal corpo
vitale e luminoso del mondo. Infine, tutte queste grandi monadi
sono comprese nella prima, dalla quale si dispiegano alla luce sia
esse che tutte le loro serie dipendenti. Quindi questa prima è
veramente l'unità delle unità, la monade delle monadi, il principio
dei principi, il Dio degli dei, una e tutte le cose, eppure una prima
di tutte.
Tali sono, secondo Platone, i voli audaci del vero filosofo, tale la
scena unica e magnifica che si presenta alla sua vista. Salendo su
queste altezze luminose, le tendenze spontanee dell'anima verso la
divinità trovano da sole l'oggetto adeguato del loro desiderio; solo
qui l'indagine trova finalmente riposo, il dubbio si estingue nella
certezza e la conoscenza si perde nell'ineffabile.
E qui forse qualche grave obiettore, la cui piccola anima è sì acuta,
ma non vede nulla con una visione sana e robusta, dirà che tutto
questo è molto magnifico, ma che si eleva troppo in alto per
l'uomo; che è solo l'effetto dell'orgoglio spirituale; che nessuna
verità, né morale né teologica, è di qualche importanza che non sia
adattata al livello delle capacità più meschine; e che tutto ciò che è
necessario che l'uomo sappia riguardo a Dio o a se stesso è così
chiaro, che basta volere per scoprirlo. In risposta a questa
49 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
cantilena, che non è altro che una cantilena prodotta dalla più
profonda ignoranza e spesso accompagnata dalla più deplorevole
invidia, domando: il precetto delfico "CONOSCI TE STESSO" è
forse un mandato banale? Può essere eseguito da ogni uomo? O
qualcuno può conoscere correttamente se stesso senza sapere il
grado che occupa nella scala dell'essere? E può farlo senza sapere
quali sono le difficoltà che supera e quali sono quelle da cui è
superato? E può saperlo senza conoscere il più possibile di quelle
difficoltà trattasi? E l'obiettore sarà così coraggioso da dire che
ogni uomo è all'altezza di questo arduo compito? Che colui che si
precipita dalla fucina o dalle miniere, con un'anima distorta,
schiacciata e ammaccata dalle basse arti meccaniche, e presume
follemente di insegnare teologia a un pubblico illuso, è padrone di
questa sublime, importantissima scienza?
Per quanto mi riguarda, non conosco verità così evidenti, così
accessibili a ogni uomo, assiomi, quei principi auto-evidenti della
scienza che sono evidenti per la loro stessa luce, che sono le
concezioni spontanee e non deviate dell'anima, e alle quali chi non
aderisce merita, come giustamente osserva Aristotele, o pietà o
correzione. In breve, se questo deve essere il criterio di tutta la
conoscenza morale e teologica, che dovrebbe essere
immediatamente ovvia per ogni uomo, che deve essere colta
dall'ispezione più attenta, a che servono i seminari di
apprendimento? L'istruzione è ridicola, la fatica dell'indagine è
oziosa. Confiniamo subito la saggezza nelle prigioni della follia,
richiamiamo l'ignoranza dalle sue barbare lande e chiudiamo le
porte della scienza con sbarre di ferro.
Dopo aver fatto una panoramica generale del grande mondo,
scendendo dall'universo intellegibile a quello sensibile, scendiamo
ancora, aderendo a quella catena d'oro che è legata alla vetta
dell'Olimpo e alla quale sono sospese tutte le cose, fino al
microcosmo uomo. L'uomo, infatti, comprende in sé parzialmente
50 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
tutto ciò che il mondo contiene divinamente e totalmente. Perciò,
secondo Platone, l’uomo è dotato di un intelletto che sussiste
nell'energia ed è dotato di un'anima razionale che proviene dallo
stesso padre e dalla stessa divinità vivificante che furono le cause
dell'intelletto e dell'anima dell'universo. Ha anche un veicolo
etereo analogo ai cieli e un corpo terrestre, composto dai quattro
elementi, con i quali è infine coordinato.
Per quanto riguarda la sua parte razionale, poiché in essa consiste
l'essenza dell'uomo, abbiamo già mostrato che è di natura auto-
motiva e che sussiste nell'intelletto, che è immobile sia nell'essenza
sia nell'energia, ed è di natura mobile ed è mossa. In conseguenza
di questa sussistenza intermedia, l'anima mondana, da cui derivano
tutte le anime parziali, è detta da Platone nel Timeo un mezzo tra
ciò che è indivisibile e ciò che è divisibile riguardo ai corpi, cioè
l'anima mondana è un mezzo tra l'intelletto mondano e l'intera vita
corporea di cui il mondo partecipa. Allo stesso modo, l'anima
umana è un mezzo tra un intelletto demonico prossimo, stabilito al
di sopra della nostra essenza, che essa eleva e perfeziona, e quella
vita corporea che è presente nel nostro corpo e che è la causa della
sua generazione, nutrizione e incremento. Questo intelletto
demoniaco è chiamato da Platone, nel Fedro, teoretico e
governatore dell'anima. La parte più alta dell'anima umana è quindi
il vertice della potenza dianoetica, o potenza che ragiona
scientificamente; e questo vertice è il nostro intelletto. Poiché,
tuttavia, la nostra stessa essenza è caratterizzata dalla ragione,
questo nostro vertice è razionale e, sebbene sussista nell'energia, ha
un'unione con le cose stesse.
Sebbene sia dotata di energia e contenga intelligibili nella sua
essenza, tuttavia, a causa della sua alleanza con la natura discorsiva
dell'anima e della sua inclinazione verso ciò che è divisibile,
manca di una perfezione dell'essenza e di un'energia intellettuale
profondamente indivisibili e unite, e gli intelligibili che contiene
51 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
degenerano dalla natura trascendentemente piena e auto-luminosa
dei primi intelligibili. Perciò, per ottenere una conoscenza
perfettamente unitaria, chiede di essere perfezionata da un
intelletto la cui energia sia sempre vigile e costante; e i suoi
intelligibili, per diventare perfetti, hanno bisogno della luce che
procede da intelligibili separati. Aristotele, quindi, paragona molto
opportunamente gli intelligibili del nostro intelletto ai colori,
perché questi riflettono lo splendore del sole, e chiama un intelletto
di questo tipo intelletto capace, sia per la sua subordinazione a un
intelletto essenziale, sia perché riceve la piena perfezione della sua
natura da un intelletto separato. La parte intermedia dell'anima
razionale è chiamata da Platone dianoia, ed è quella potenza che,
come abbiamo già detto, ragiona scientificamente, derivando i
principi del suo ragionamento, che sono assiomi, dall'intelletto. E
l'estremità dell'anima razionale è l'opinione, che nel Sofista è
definita come quella potenza che conosce la parte finale della
dianoia. Questa potenza conosce anche l'universale nei dettagli
sensibili, come per esempio che ogni uomo è un bipede, ma
conosce solo la parte di una cosa e ne ignora il perché del suo
essere: la conoscenza di quest'ultimo tipo è di competenza della
potenza dianoica.
Questa è la divisione di Platone della parte razionale dell’uomo,
che egli considera molto giustamente come il vero uomo; l'essenza
di ogni cosa consiste nella sua parte più eccellente.
A questa segue la parte irrazionale, il cui vertice è la fantasia, ossia
quella potenza che percepisce ogni cosa accompagnata da figure e
intervalli; e per questo può essere chiamata intelligenza figurata
[greco: noesis]. Questa potenza, come osserva splendidamente
Giamblico, raggruppa, per così dire, e modella tutte le potenze
dell'anima, eccitando nell'opinione le illuminazioni dei sensi e
fissando nella vita che si estende con il corpo le impressioni che
discendono dall'intelletto. Perciò, dice Proclo, quest’ultimo ripiega
52 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
sull'indivisibilità del vero intelletto, si conforma a tutte le specie
informi e diventa perfettamente ogni cosa, da cui dipende la
potenza dianoetica e la nostra ragione indivisibile. Quindi,
l'intelletto è anche tutto ciò che è passivamente, e per questo
Aristotele lo chiama intelletto passivo. Ad esso subordinato
esistono l'ira e il desiderio, il primo simile a un leone furioso e il
secondo a una bestia dalle molte teste; il tutto è delimitato dal
senso, che non è altro che una percezione passiva delle cose, e per
questo motivo Platone dice giustamente che è piuttosto una
passione che una conoscenza, poiché la prima è caratterizzata dalla
vigilanza e la seconda dall'energia.
Inoltre, affinché l'unione dell'anima con questo corpo terrestre
grossolano si realizzi in modo adeguato, secondo Platone sono
necessari due veicoli come mezzi di comunicazione, uno etereo e
l'altro aereo; di questi, il veicolo etereo è semplice e immateriale,
mentre quello aereo è semplice e materiale; e questo corpo terrestre
denso è composito e materiale.
L'anima, quindi, permanendo come mediana tra la nature
immateriale e quelle divise dei corpi, produce e organizza queste
ultime, ma detiene in sé le cause anteriori da cui procede. Quindi
riceve in precedenza, alla maniera di un esemplare, le ragioni
caratteristiche come sua causa anteriore; inoltre possiede per
partecipazione, come un fiore di nature prime, le cause della sua
sussistenza. Quindi contiene nella sua essenza forme immateriali di
cose materiali, incorporee di forme corporee ed estese di estensioni
distinte per intervallo. Contiene inoltre gli intelligibili alla maniera
di un'immagine, e riceve parzialmente le rispettive forme
imparziali, quelle che sono variamente uniformi e quelle che sono
immobili, secondo una condizione auto-motiva. L'anima è dunque
tutte le cose, ed è elegantemente detta da Olimpiodoro una statua
onniforme: perché contiene le cose che sono prime per
53 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
partecipazione, quelle che sono posteriori alla sua natura, alla
maniera di un esemplare.
Essendo sempre in movimento; un movimento che non è eterno,
ma temporale, perché ciò che è propriamente eterno, e tale è
l'intelletto, è perfettamente stabile e non ha energie transitorie, per
cui è necessario che i suoi moti siano periodici. Il movimento,
infatti, è una certa mutazione da alcune cose in altre. E gli esseri
terminano con moltitudini e grandezze. Essendo dunque questi
ultimi definiti, non può esserci né una mutazione infinita, secondo
una linea retta, né ciò che è sempre mosso può procedere secondo
una progressione finita. Perciò ciò che è sempre mosso procederà
dallo se stesso a se stesso, formando così un moto periodico.
Perciò anche l'uomo, e questo vale anche per ogni anima mondana,
usa periodi e risoluzioni della propria vita. Infatti, essendo soggetta
al tempo, si eccita transitoriamente e possiede un moto proprio. Ma
ogni cosa che è in movimento perpetuo e partecipa del tempo,
ruota periodicamente e procede dal tempo al movimento. E quindi
l'anima, possedendo il moto ed eccitandosi secondo il tempo, avrà
sia periodi di moto che di ritorno allo stato originario.
Inoltre, poiché l'anima umana, secondo Platone, rientra nel numero
di quelle anime che talvolta seguono le divinità mondane, per il
fatto di venire subito dopo i demoni e gli eroi, gli assistenti
perpetui degli dèi, essa possiede il potere di scendere quando vuole
nella generazione, o nella regione sublunare, e di risalire dalla
generazione all'essere eterno. Infatti, poiché non rimane con la
divinità per un tempo infinito, non sarà nemmeno unita ai corpi per
tutto il tempo successivo. Infatti, ciò che non ha un inizio
temporale, sia secondo Platone che secondo Aristotele, non può
avere una fine; e ciò che non ha una fine, è necessariamente senza
un inizio. Risulta dunque che ogni anima deve compiere periodi,
sia di ascesa dalla generazione, sia di discesa nella generazione; e
che questo non verrà mai meno, attraverso un tempo infinito.
54 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Da tutto ciò consegue che l'anima, pur abitando sulla terra, è nella
condizione di decaduta, un'apostata dalla divinità, un esule dal
globo della luce. Per questo Platone, nel VII° libro della
Repubblica, considerando la nostra vita con riferimento
all'erudizione e alla mancanza di essa, ci narra il mito della caverna
sotterranea, assimilando gli uomini che sono stati confinati lì fin
dall'infanzia, legati da catene in modo da essere solo in grado di
guardare davanti a sé l'ingresso della caverna in direzione della
luce, ma incapaci, a causa della catena, di girarsi. Suppone inoltre
che abbiano la luce di un fuoco che arde molto al di sopra delle
spalle; e che tra il fuoco e gli uomini immobilizzati ci sia una
strada, lungo la quale è stato costruito un basso muro. Su questo
muro si vedono uomini che portano utensili di ogni tipo e statue di
legno e di pietra che rappresentano uomini e animali. E di questi
uomini alcuni parlano e altri tacciono. Per quanto riguarda gli
uomini imprigionati in questa grotta, essi non vedono nulla di loro
stessi o degli altri, né di ciò che portano addosso, se non le ombre
formate dal fuoco che li proietta sulla parte opposta della grotta.
Suppone anche che la parte opposta di questa prigione abbia un'eco
e che, di conseguenza, gli uomini imprigionati, quando sentono
qualcuno parlare, immaginino che non sia altro che l'ombra
riflessa.
Qui, in primo luogo, come abbiamo osservato nelle note su quel
libro, la strada in alto tra il fuoco e gli uomini imprigionati,
significa che c'è una certa ascesa nella caverna stessa da una vita
più abietta a una più elevata. Con questa ascesa, dunque, Platone
intende la contemplazione degli oggetti dianoetici nelle discipline
matematiche. Poiché le ombre nella caverna corrispondono alle
ombre degli oggetti visibili, e gli oggetti visibili sono le immagini
immediate delle forme dianoetiche, o di quelle idee di cui l'anima
partecipa, è evidente che gli oggetti da cui sono formate queste
ombre devono corrispondere a quelli dianoetici. È necessario,
55 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
quindi, che la potenza dianoetica che si esercita su di essi, tragga i
principi dai loro doni latenti e li contempli non come immagini, ma
come sussistenti in se stessi in un'involuzione imparziale.
Poi dice che "l'uomo che deve essere condotto fuori dalla caverna
vedrà più facilmente ciò che i cieli contengono e i cieli stessi, di
notte ammirando la luce delle stelle e della luna, e non soltanto
guardando di giorno il sole e la luce del sole". Con ciò intende
evidenziare la contemplazione degli intelligibili, poiché gli astri e
la loro luce sono immagini degli intelligibili, in quanto tutti
partecipano della forma del sole, così come gli intelligibili sono
caratterizzati dalla natura del bene.
Dopo la contemplazione di queste immagini, e dopo che l'occhio si
è abituato attraverso di essi alla luce, essendo necessario nella
regione visibile vedere il sole stesso all'ultimo posto, così, secondo
Platone, l'idea del bene deve essere vista per ultima nella regione
intelligibile. Inoltre, aggiunge divinamente, che è difficile da
vedere, perché possiamo unirci ad essa solo attraverso
l'intelligibile, nel cui vestibolo è vista dall'anima in ascesa.
In breve, il freddo, secondo Platone, può essere riportato sulla terra
alla somiglianza divina, che ha abbandonato con la sua discesa, ed
essere in grado dopo la morte di risalire al mondo intelligibile,
attraverso l'esercizio delle virtù catartiche e teoretiche; le prime
virtù la purificano dai difetti della natura mortale, e le seconde la
elevano alla visione del vero essere: in questo modo, come dice
Platone nel Timeo, "l'anima, divenuta sana e integra, arriverà alla
forma del suo abito incontaminato". La catartica, tuttavia, deve
necessariamente precedere le virtù teoretiche, poiché è impossibile
indagare la verità mentre si è soggetti alla perturbazione e al
tumulto delle passioni. L'anima razionale, infatti, che si trova a fare
da tramite tra l'intelletto e la natura irrazionale, può associarsi
senza ripugnanza all'intelletto che la precede, solo quando diventa
pura liberandosi dalla passività con le nature inferiori. Con le virtù
56 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
catartiche, quindi, diventiamo sani di spirito, in conseguenza della
liberazione dalle passioni come malattie; e diventiamo integri e
interi con la riassunzione dell'intelletto e della scienza come nostre
parti proprie; tutto ciò avviene con la verità contemplativa. Anche
Platone ci insegna chiaramente che la nostra fuga dalla natura
elevata può essere sanata; nel suo Teeteto definisce la filosofia
come una fuga dai mali terrestri, dimostrando con ciò che le
passioni sono connaturate solo ai mortali. Nello stesso dialogo dice
anche che "i mali non possono essere eliminati, né sussistono
presso gli dèi, ma ruotano necessariamente intorno a questa
dimora terrena e alla natura mortale".
Coloro che sono soggetti alla generazione e alla corruzione
possono anche essere colpiti in modo contrario alla natura, che è
l'inizio dei mali. Ma nello stesso dialogo aggiunge il modo in cui la
nostra fuga dal male deve essere compiuta. “È necessario", dice,
"volare da qui verso lassù; il volo è una similitudine
dell’ascensione verso la divinità, per quanto è possibile all'uomo;
e questa similitudine consiste nel diventare giusti e santi insieme
all’esercizio della prudenza intellettuale". "Infatti, è necessario
che colui che vuole fuggire dai mali si allontani innanzitutto dalla
natura mortale, poiché non è possibile per coloro che sono
immersi in essa evitare di essere riempiti dai mali che la
accompagnano. Pertanto, con la fuga dalla divinità e la
descrizione delle ali che ci possono sollevare in alto, verifichiamo
di essere caduti in questa dimora mortale e siamo così entrati in
relazione con i mali, abbandonando invece la passività per la
natura mortale e facendo germogliare le virtù, con la metafora
delle ali torniamo alla dimora del bene puro e vero e al possesso
della felicità divina. L'essenza di molti, infatti, sussistendo come
mezzo tra le nature demoniache, che hanno sempre una
conoscenza intellettuale della divinità, e gli esseri che non sono
mai adatti per natura a comprenderla, sale verso le prime e
57 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
scende verso le seconde, attraverso il possesso e l'abbandono
dell'intelletto. Infatti, attraverso la condizione anfibia della sua
natura, conosce sia la somiglianza divina che quella umana.”
Quando l'anima, dunque, ha recuperato il più possibile la sua
perfezione incontaminata, mentre permane nella terra, grazie
all'esercizio delle virtù catartiche e teoretiche, dopo la morte del
corpo ritorna, come dice nel Timeo, all'astro affine da cui è
decaduta e gode di una vita beata. E poi, come dice nel Fedro,
essendo alata, governa il mondo insieme agli dèi. E questo è
davvero il fine più sublime delle sue fatiche. Questo è ciò che
Platone chiama, nel Fedro, una grande gara e una potente speranza.
Questo è il frutto più perfetto della filosofia, che la rende familiare
e la riconduce alle cose veramente belle, la libera da questa dimora
terrena come da una certa caverna sotterranea della vita materiale,
la eleva agli splendori eterici e la colloca nelle isole dei beati.
Da questo resoconto dell'anima umana consegue necessariamente
il principio platonico più importante, ossia che la nostra anima
contiene essenzialmente tutta la conoscenza e che qualsiasi
conoscenza acquisita nella vita presente, in realtà non è altro che
un ricordo di ciò che aveva appreso un tempo. Questo recupero è
chiamato da Platone molto opportunamente reminiscenza, non in
quanto associato a un effettivo ricordo nella vita presente, ma in
quanto effettivo riappropriarsi di ciò che l'anima aveva perso
attraverso l'unione con il corpo. Alludendo a questa conoscenza
essenziale dell'anima, che la disciplina evoca dai suoi rifugi
dormienti, Platone dice nel Sofista: "che conosciamo tutte le cose
come in un sogno, e ne siamo di nuovo ignari, secondo una
percezione vigile". Anche per questo, come osserva bene Proclo, è
evidente che l'anima non attinge alla sua conoscenza per mezzo dei
sensibili, e non scopre il tutto e l'uno dalle cose parziali e divisibili.
Infatti, non è corretto pensare che cose che non hanno alcuna
sussistenza reale siano le cause principali della conoscenza per
58 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
l'anima; e che cose che si oppongono l'una all'altra e sono ambigue
precedano la scienza che ha un'unica sussistenza; né che cose
variamente mutevoli siano generatrici di cose che sono stabilite
nell'unità; né che elementi indefiniti siano le cause dell'intelligenza
definita. Non è dunque opportuno che la verità delle cose eterne sia
ricevuta dal molteplice, né la discriminazione degli universali dai
sensibili, né il giudizio su ciò che è buono dalle nature irrazionali;
ma è necessario che l'anima entri in se stessa, indaghi su se stessa
le ragioni vere e buone ed eterne delle cose.
Abbiamo detto che la disciplina risveglia la conoscenza sopita
dell'anima; e Platone riteneva che ciò avvenisse in particolare con
la disciplina matematica. Perciò, a proposito dell'aritmetica
teoretica, egli afferma che essa fornisce un aiuto non indifferente
alla nostra ascesa verso l'essere metafisico e che ci libera
dall’errore e dall'ignoranza della natura sensibile. Anche la
geometria è considerata da lui come la più utile alla conoscenza del
bene, quando non è perseguita per scopi pratici, ma come mezzo di
ascesa verso un'essenza intelligibile. E pure l'astronomia è utile per
indagare sull'artefice di tutte le cose e per contemplare in splendide
immagini il mondo ideale e la sua causa ineffabile. Infine, la
musica, se studiata correttamente, è funzionale alla nostra ascesa,
cioè quando staccandoci dal mondo sensibile ci dedichiamo alla
contemplazione dell'armonia ideale e divina. Tuttavia, a meno che
non si impieghino le discipline matematiche, lo studio di queste
ultime è giustamente considerato da Platone come imperfetto e di
poco valore.
Il vero fine dell'uomo, secondo la sua filosofia, è l'essere simile
alla divinità, nella massima perfezione di cui la natura umana è
capace, e tutto ciò che contribuisce a questa perfezione è da
perseguire con ardore; ma tutto ciò che ha una tendenza opposta,
per quanto necessario ai desideri e alle comodità della mera vita
animale, è relativamente poco utile e vile. Perciò è necessario
59 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
elevarsi rapidamente dalle cose visibili e udibili a quelle che sono
viste solo dall'occhio dell'intelletto. Quindi, le scienze
matematiche, se studiate correttamente, muovono la conoscenza
intrinseca dell'anima, risvegliano la sua intelligenza, purificano il
suo potere dianoetico, richiamano le sue forme essenziali dai loro
recessi dormienti, rimuovono l'oblio e l'ignoranza che sono
congeniali alla nostra nascita al mondo sensibile e dissolvono i
legami derivanti dalla nostra unione con una natura irrazionale. Per
questo Platone, nel settimo libro della sua Repubblica, ha detto con
grande efficacia che "l'anima, grazie a queste discipline, ha un
organo purificato e illuminato, che è accecato e sepolto da studi di
altro tipo, un organo che vale la pena di salvare meglio di
diecimila occhi, poiché la verità diventa visibile solo attraverso di
esso".
La dialettica, tuttavia, o vertice delle scienze matematiche, come
viene chiamata da Platone nella sua Repubblica, è quella disciplina
maestra che ci conduce in particolare all'essenza intelligibile. Di
questa primizia delle scienze, che è essenzialmente diversa dalla
logica volgare, ed è la stessa di quella che Aristotele chiama la
prima filosofia e sapienza, ho ampiamente parlato nell'introduzione
e nelle note al Parmenide. Basti dunque osservare in questa sede
che la dialettica si distingue dalla scienza matematica per il fatto
che quest'ultima scaturisce dalla prima ed è priva di ipotesi. La
dialettica ha il potere di conoscere gli universali; ascende al bene e
alla causa suprema di tutto; e considera il bene come il fine della
sua elevazione; la scienza matematica, invece che fabbrica per sé
per prima principi definiti, dai quali evince le cose conseguenti a
tali principi, non tende al principio, ma alla conclusione. Perciò
Platone non elimina il sapere matematico dal novero delle scienze,
ma lo afferma di rango successivo a quell'unica scienza che è il
vertice di tutte; né lo accusa di ignorare i propri principi, ma lo
considera come se li ricevesse dalla scienza maestra, la dialettica, e
60 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
che, possedendoli senza alcuna dimostrazione, da questi dimostra
le sue proposizioni conseguenti.
Per questo Socrate, nella Repubblica, parlando del potere della
dialettica, dice che essa circonda tutte le discipline come un recinto
difensivo, ed eleva coloro che la usano al bene stesso e alle prime
unità; che essa purifica l'occhio dell'anima, si stabilisce nei veri
esseri e nel principio unico di tutte le cose, e termina infine in ciò
che non è più ipotetico. Essendo dunque la forza della dialettica
così grande e i fini di questa via così possenti, essa non deve
assolutamente essere confusa con gli argomenti che si limitano a
usare l'opinione, poiché la prima è custode delle scienze e il
passaggio ad essa avviene attraverso di esse, mentre la seconda è
perfettamente priva di scienza disciplinare. A ciò si aggiunga che il
metodo di ragionamento fondato sull'opinione riguarda solo ciò
che è apparente; il metodo dialettico di Platone, invece, si sforza di
giungere all'uno in sé, impiegando sempre a questo scopo gradini
di ascesa, e infine si conclude splendidamente nella natura del
bene. È quindi molto diverso dal metodo meramente logico, che
presiede alla fantasia dimostrativa, è di natura secondaria e si
compiace solo di discussioni polemiche. La dialettica di Platone,
infatti, impiega per lo più divisioni e analisi come scienze primarie,
imitando la progressione degli esseri dall'uno e la loro conversione
ad esso. Allo stesso modo utilizza talvolta definizioni e
dimostrazioni, e prima di queste il metodo definitivo, e prima di
questo ancora la divisione. Al contrario, il metodo meramente
logico, che si limita all'opinione, è privo dei ragionamenti
incontrovertibili della dimostrazione.
Quello che segue è un esempio del metodo analitico della dialettica
di Platone. L'analisi è di tre specie. Una è un'ascesa dai sensibili ai
primi intelligibili; una seconda è un'ascesa attraverso le cose
dimostrate e dimostrate dal basso, fino alle proposizioni non
dimostrate e immediate; e una terza procede dalle ipotesi ai
61 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
principi non ipotetici. Della prima di queste specie, Platone ha dato
un esempio mirabile nel discorso di Diotima nel Convivio. Infatti,
egli ascende dalla bellezza dei corpi alla bellezza delle anime; da
questa alla bellezza delle giuste discipline; da questa ancora alla
bellezza delle leggi; dalla bellezza delle leggi all'ampio mare della
bellezza (in greco: to polu pelagos tou kalou); e così procedendo
arriva infine al bello stesso.
La seconda specie di analisi è la seguente: È necessario fare della
cosa indagata l'oggetto di una ipotesi; rilevare le cose che le sono
antecedenti; e dimostrarle a partire dalle cose posteriori, risalendo
a quelle antecedenti, fino ad arrivare alla prima cosa e alla quale
daremo il nostro assenso. Ma partendo da questa, scendiamo
sinteticamente alla cosa indagata. Questo è un esempio tratto dal
Fedro di Platone. Si chiede se l'anima è immortale; e poiché
l’immortalità è ipoteticamente ammessa, si chiede nel punto
successivo se è sempre in movimento. Dimostrato questo, si chiede
se ciò che è sempre mosso è semovente; dimostrato questo, si
considera se ciò che si muove da se è il principio del moto, e poi se
è il principio non è generato. Ammesso che questo sia un fatto
riconosciuto, e che anche ciò che è generato sia incorruttibile, la
dimostrazione si è così ottenuta. Se c'è un principio, esso è
incorrotto e incorruttibile. Ciò che è mosso da sé è il principio del
movimento. L'anima si muove da se. L'anima quindi (cioè l'anima
razionale) è incorruttibile, incorporea e immortale.
Della terza specie di analisi, che procede da ciò che è ipotetico a
ciò che non è ipotetico, Platone ha dato un bellissimo esempio
nella prima ipotesi del suo Parmenide. Infatti, partendo dall'ipotesi
che l'uno è, procede attraverso una serie successiva di negazioni,
che non sono privative dei loro soggetti, ma generative di cose che
sono per così dire i loro opposti, finché alla fine elimina l'ipotesi
che l'uno sia. Infatti, nega ogni discorso e ogni appellativo. E così
evidentemente nega non solo che sia, ma anche la negazione.
62 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Infatti, tutte le cose sono posteriori all'uno: le cose conosciute, la
conoscenza e gli strumenti della conoscenza. E così, partendo
dall'ipotesi, finisce in ciò che non è ipotetico e che è veramente
ineffabile.
Avendo esposto una panoramica generale, sia del mondo che del
microcosmo uomo, concluderò questo resoconto dei principali
principi di Platone, con i lineamenti della sua dottrina sulla
Provvidenza e sul Fato, poiché si tratta di un argomento della
massima importanza e le difficoltà in cui è trattato sono
felicemente rimosse da quel principe dei filosofi.
In primo luogo, dunque, la Provvidenza, secondo la concezione
comune, è la causa del bene per i soggetti dei quali ha cura; e il
Fato è la causa di una certa connessione con le nature generate.
Ammesso questo, consideriamo quali sono le cose collegate. Tra
gli esseri, alcuni hanno la loro essenza nell'eternità, altri nel tempo.
Ma per gli esseri la cui essenza è nell'eternità, intendo quelli la cui
energia e la cui essenza sono eterne; e per gli esseri essenzialmente
temporali, intendo quelli la cui essenza è sempre in generazione, o
in divenire, anche se ciò avviene in un tempo infinito. Tra questi
due estremi poniamo le nature che, sotto un certo aspetto, hanno
un'essenza permanente e migliore della generazione, o una
sussistenza fluente, ma la cui energia è misurata dal tempo. È
infatti necessario che ogni processione dalle cose prime alle ultime
avvenga attraverso il giusto mezzo. Il mezzo, quindi, tra questi due
estremi, deve essere o quello che ha un'essenza eterna, ma
un'energia ridotta dal tempo, o, al contrario, quello che ha
un'essenza temporale, ma un'energia eterna. È impossibile, tuttavia,
che quest'ultima abbia una qualche sussistenza; se si ammettesse
questo, infatti, l'energia sarebbe anteriore all'essenza.
Il mezzo, quindi, deve essere quello la cui essenza è eterna, ma
l'energia è temporale. E i tre ordini che compongono questo primo
mezzo e l'ultimo sono: l'intellettuale, lo psichico (o quello che
63 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
appartiene all'anima) e il corporeo. Infatti, da quanto abbiamo già
detto a proposito della gradazione degli esseri, è evidente che
l'ordine intellettuale è stabilito nell'eternità, sia per l'essenza che
per l'energia; che l'ordine corporeo è sempre in fase di generazione,
o di avanzamento verso l'essere, e questo o in un tempo infinito, o
in una parte del tempo; e che l'ordine psichico è sì eterno per
l'essenza, ma temporale per l'energia. Dove classificheremo allora
le cose visto che, essendo distribuite in luoghi o in tempi diversi,
hanno una certa coordinazione e simpatia tra loro attraverso la
connessione? È evidente che devono essere classificate tra le
nature semoventi e corporee. Infatti, tra le cose che sussistono al di
là dell'ordine dei corpi, alcune sono migliori sia del luogo che del
tempo; e altre, sebbene si muovono secondo il tempo, sembrano
essere del tutto prive di qualsiasi legame con il luogo.
Quindi le cose che sono governate e connesse dal Fato sono
interamente mobili e corporee. Se questo viene dimostrato, è
evidente che, ammettendo che il Fato sia una causa di
collegamento, dobbiamo affermare che esso presiede alle nature
mobili e corporee. Se, dunque, guardiamo a ciò che è la causa
prossima dei corpi e attraverso cui anche gli esseri si muovono,
respirano e sono mantenuti insieme, troveremo che questa è la
natura, le cui energie devono generare, nutrire e accrescere. Se,
dunque, questa potenza non solo sussiste in noi e in tutti gli altri
animali e piante, ma esiste prima dei corpi separati, per una
necessità molto più grande, un'unica natura del mondo che
comprende ed è motivo di tutti i corpi, ne consegue che la natura
deve essere la causa delle cose connesse, e che per tutto ciò
dobbiamo indagare sul Fato. Quindi, il Fato è la natura, ovvero
quella potenza incorporea che è l'unica vita del mondo, che
presiede ai corpi, che muove tutte le cose secondo il tempo e che
collega i moti delle cose che, per luoghi e tempi, sono distanti tra
loro. È anche la causa della mutua simpatia delle nature mortali e
64 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
della loro congiunzione con quelle eterne. La natura che è in noi,
infatti, lega e connette tutte le parti del nostro corpo, di cui è anche
un certo destino. E come nel nostro corpo alcune parti hanno una
sussistenza principale e altre meno principali, e queste ultime sono
conseguenti alle prime, così nell'universo le generazioni delle parti
meno principali sono conseguenti ai moti di quelle principali, cioè
le generazioni sublunari ai movimenti dei corpi celesti; e il cerchio
delle prime è l'immagine dei secondi.
Non è quindi difficile capire che la Provvidenza è la divinità stessa,
la fonte di ogni bene. Infatti, da dove può venire il bene a tutte le
cose, se non dalla divinità? Così che non si può attribuire altra
causa del bene se non la divinità, come dice Platone. E, in secondo
luogo, poiché questa causa è superiore a tutte le nature intelligibili
e sensibili, è di conseguenza superiore al Fato. Anche ciò che è
soggetto al Fato, è sotto il dominio della Provvidenza; ha il suo
legame con il Fato, ma trae il bene che possiede dalla Provvidenza.
Ed ancora, non tutte le cose che sono sotto il dominio della
Provvidenza sono indigenti dal Fato, perché gli intelligibili sono
esenti dal suo dominio. Il Fato, quindi, ha una profonda familiarità
con le nature corporee, poiché il tempo si connette al movimento
corporeo. Per questo motivo, Platone, osservando tutto ciò, dice
nel Timeo che il mondo è mescolato dall'intelletto e dalla
necessità, e che il primo domina sulla seconda. Infatti, per
necessità qui intende la causa motrice dei corpi, che in altri luoghi
chiama Fato. Tutto ciò con grande correttezza, dal momento che
ogni corpo è costretto a fare tutto ciò che fa e a subire tutto ciò che
subisce; a riscaldare o a essere riscaldato, a trasmettere calore o a
ricevere freddo. Ma la potenza elettiva è sconosciuta alla natura
corporea, cosicché si può dire che il necessario e il non elettivo
siano le peculiarità dei corpi.
Poichè ci sono due generi di cose, l'intelligibile e il sensibile, così
ci sono due regni: quello della Provvidenza, in alto, che regna sugli
65 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
intelligibili e sui sensibili, e quello del Fato, in basso, che regna
solo sui sensibili. La Provvidenza si distingue dal Fato allo stesso
modo in cui la divinità si distingue da ciò che è divino, ma per
partecipazione e non per prima. Infatti, in altre cose vediamo ciò
che ha una sussistenza primaria e ciò che sussiste per
partecipazione. Così la luce che sussiste nell'orbita del sole è luce
primaria, e quella che è nell'aria, è per seconda partecipazione;
quest'ultima è derivata dalla prima. La vita è primariamente
nell'anima, secondariamente nel corpo. Così anche, secondo
Platone, la Provvidenza è la divinità, in quanto il Fato è qualcosa di
divino, ma non un dio: perché dipende dalla Provvidenza, di cui è
per così dire l'immagine. Come la Provvidenza esiste per gli
intelligibili, così il Fato è per i sensibili. E, alternativamente, come
la Provvidenza è per il Fato, così gli intelligibili sono per i
sensibili. Ma gli intelligibili sono il primo degli esseri, e da questi
gli altri derivano la loro esistenza. Infine l'ordine del Fato dipende
dal dominio della Provvidenza.
In secondo luogo, guardiamo alla natura razionale stessa, quando
correggiamo l'imprecisione delle informazioni sensibili, come
quando sappiamo di essere in vista di un inganno, vedendo l'orbita
del sole non più grande di un piede di diametro; o come quando
Ulisse si esprime con esplosioni di rabbia ed esclama: "Sopporta il
mio cuore"; o quando frena le tendenze sfrenate dal desiderio del
piacere corporeo. In tutte queste operazioni, infatti, la natura
razionale sottomette manifestamente i moti irrazionali, sia gnostici
che appetitivi, e se ne libera come da cose estranee alla sua natura.
Ma è necessario indagare l'essenza di ogni cosa, non a causa della
sua perversione, ma dalle sue energie secondo natura. Se dunque la
ragione, quando si eccita in noi come ragione, frena le impressioni
ombrose delle delizie del desiderio licenzioso, punisce il moto
precipitoso del furore e rimprovera i sensi come pieni di inganni,
affermando che
66 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
"Noi non abbiamo nulla di preciso, né vediamo, né sentiamo".
e se dice ciò guardando alle sue ragioni interne, nessuna delle quali
conosce attraverso il corpo o attraverso le cognizioni corporee; è
evidente che, secondo questa energia, si allontana dai sensi,
contrariamente alla decisione dei quali si separa da quei dolori e da
quelle delizie.
L’anima razionale, durante la quiete delle parti inferiori, per mezzo
di un'energia auto-convergente, vede la propria essenza, le potenze
che contiene, le ragioni armoniche da cui è costituita e le molte
vite di cui è il medio termine, e si scopre così un mondo razionale,
immagine delle nature anteriori, da cui procede, ma paradigma di
quelle posteriori che seguono. A questa energia dell'anima
contribuiscono già l'aritmetica teorica e la geometria, che la
allontanano dai sensi, purificano l'intelletto dalle forme di vita
irrazionali di cui è circondata e la conducono alla percezione
incorporea delle idee. Infatti, se queste scienze accolgono l'anima
piena di immagini e non conoscono nulla di sottile se non
influenzato da garbugli materiali; e se chiariscono ragioni che
possiedono un'irrefragabile necessità di dimostrazione, e forme
piene di ogni certezza e immaterialità, e che non chiamano in alcun
modo in aiuto l'imprecisione dei sensi, non purificano
evidentemente la nostra vita intellettuale da cose che ci riempiono
di una privazione dell'intelletto e che impediscono la nostra
percezione del vero essere?
Dopo queste semplici operazioni dell'anima razionale, esaminiamo
ora la sua intelligenza più elevata, attraverso la quale vede le sue
anime sorelle nell'universo, alle quali è assegnata una residenza nei
cieli e nell'insieme della natura visibile, secondo la volontà del
creatore del mondo. Ma al di sopra di tutte le anime, vede essenze
e ordini intellettuali. Infatti, al di sopra di ogni anima risiede un
67 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
intelletto deiforme, che conferisce all'anima anche un abito
intellettuale. Prima di queste, però, vede le monadi divine, dalle
quali tutte le moltitudini intellettuali ricevono le loro attenzioni
unificanti. Infatti, al di sopra di tutte le cose unite, devono
necessariamente esserci cause unificanti; al di sopra delle cose
vivificate, cause vivificanti; al di sopra delle nature intellettuali,
quelle che impartiscono l'intelletto; e al di sopra di tutti i
partecipanti, le nature impartecipabili. Da tutte queste modalità di
elevazione dell'intelligenza deve risultare evidente, a chi non è
totalmente cieco, come l'anima, lasciandosi alle spalle i sensi e il
corpo, veda attraverso le energie proiettive dell'intelletto quegli
esseri che sono del tutto esenti da ogni legame con la natura
corporea.
L'anima razionale e intellettuale, quindi, in qualsiasi modo possa
essere mossa secondo natura, è al di là del corpo e dei sensi. E
quindi deve necessariamente avere un'essenza separata da
entrambi. Ma da ciò risulta evidente che, quando si agita secondo
la sua natura, è superiore al Fato e fuori dalla portata del suo potere
attrattivo; e quando, cadendo nell’apparato del senso e nelle cose
irrazionali e corporee, segue le nature inferiori e vive con esse
come con vicini inebriati, allora insieme a loro diventa soggetta al
dominio del Fato. Inoltre, è necessario che vi sia un ordine di esseri
di tale natura da sussistere per essenza al di sopra del Fato, ma da
essere talvolta classificati sotto di esso secondo le proprie
modalità. Infatti, se ci sono esseri, e tali sono tutte le nature
intellettuali, che sono eternamente stabiliti al di sopra delle leggi
del Fato e che, secondo l'insieme della loro vita, sono distribuiti
sotto le influenze del Fato, è necessario che il mezzo tra questi sia
quella natura che è a volte al di sopra e a volte sotto il dominio del
Fato. Infatti, la processione delle nature incorporee è molto più
agile di quella dei corpi.
68 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Il libero arbitrio dell'uomo, secondo Platone, è una potenza
razionale elettiva, desiderosa del bene vero e di quello apparente,
che conduce l'anima nelle suddette direzioni, attraverso la quale
ascende e scende, cade in errore e agisce con rettitudine. E quindi
la volontà elettiva è la stessa che caratterizza la nostra essenza. In
base a questa forza, ci differenziamo dalla natura divina e da quella
mortale, poiché ciascuna di esse è unica in questa duplice
inclinazione; l'una, per la sua eccellenza, si stabilisce solo nel vero
bene; l'altra, per il suo difetto, nel bene apparente. Anche
l'intelletto caratterizza l'uno, ma il senso l'altro; e il primo, come
dice Plotino, è il nostro re, mentre il secondo è il nostro
messaggero. Siamo quindi assegnati alla potenza elettiva come
mezzo; e avendo la capacità di tendere sia al bene vero che a quello
apparente, quando tendiamo al primo seguiamo la via
dell'intelletto, quando al secondo quella del senso. La potenza che
è in noi non è quindi capace di tutto.
La potenza onnipotente, infatti, è caratterizzata dall'unità e per
questo è onnipotente, perché è una e possiede la forma del bene.
Ma la potenza elettiva è duplice, e per questo non è in grado di
operare tutte le cose; con le sue inclinazioni al bene vero e
apparente, manca di quella natura che è anteriore a tutte le cose.
Sarebbe tuttavia onnipotente se non avesse un impulso elettivo e
fosse solo volontà. Infatti, una vita che sussiste secondo la sola
volontà sussiste secondo il bene, perché la volontà tende
naturalmente al bene, e tale vita rende ciò che è caratteristico in noi
più potente e deforme. Per questo motivo l'anima, secondo Platone,
diventa divina e, in un'altra vita, insieme alla divinità, governa il
mondo.
Sono questi gran parte degli dei principali principi della filosofia di
Platone.
All'inizio di questa Introduzione ho fatto presente che, nel tracciare
i lineamenti di questa filosofia, avrei dovuto condurre il lettore
69 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
attraverso sentieri nuovi e solitari, solitari per l'appunto, visto che
sono stati poco percorsi a partire dal regno dell'imperatore
Giustiniano fino ai giorni nostri; e nuovi appariranno senza dubbio
a lettori di ogni genere, e in particolare a coloro che si sono nutriti
per così dire nel grembo della materia, pupilli dello
sperimentalismo, beniamini del senso, e discendenti legittimi della
razza terrestre che guerreggiò contro gli dei dell'Olimpo. Per
costoro, che hanno guardato il volto oscuro e deforme della loro
matrice fino a diventare incapaci di vedere la luce della verità, e
che sono diventati così indolenti per aver bevuto a dismisura la
coppa dell'oblio, che tutta la loro vita non è altro che una
trasmigrazione di sonno in sonno e di sogno in sogno, come gli
uomini che passano da un letto all'altro, a costoro la strada che
abbiamo tracciato sembrerà un passaggio illusorio e gli oggetti che
abbiamo osservato non saranno altro che visioni fantastiche, viste
solo dall'occhio dell'immaginazione e, quando viste, oziose e vane
come i sogni di un'ombra.
Le argomentazioni che seguono, tuttavia, potrebbero forse
risvegliare dal torpore dei sensi alcuni di coloro che sono meno
letargici degli altri, consentendo loro di sollevare l'occhio mentale
dall'oscuro pantano in cui sono immersi e di intravedere questa
straordinaria verità: esiste un altro mondo, di cui questo non è altro
che un'oscura somiglianza, e un'altra vita, di cui questa non è che
un volubile inganno. Il mio discorso si rivolge quindi a coloro che
considerano l'esperienza soggettiva come l'unico solido criterio di
verità. In primo luogo, questi uomini sembrano ignorare le leggi
invariabili della dimostrazione propriamente detta, mentre i
requisiti necessari di tutte le proposizioni dimostrative sono questi:
che esistano come cause, che siano primarie, più eccellenti,
peculiari, vere e conosciute delle conclusioni. Infatti, ogni
dimostrazione non solo consiste in principi anteriori ad altri, ma
anche in quelli che sono eminentemente primi; poiché se le
70 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
proposizioni dichiarate possono essere dimostrate da altre
assunzioni, tali proposizioni possono sì apparire anteriori alle
conclusioni, ma non hanno affatto diritto all'appellativo di primi.
Altre, al contrario, che non richiedono alcuna dimostrazione, ma
sono di per sé manifeste, sono meritatamente considerate le prime,
le più vere e le migliori. Tali verità indimostrabili erano chiamate
dagli antichi assiomi per la loro maestosità e autorità, così come i
presupposti che costituiscono i sillogismi dimostrativi derivano da
essi tutta la loro forza ed efficacia.
In secondo luogo, sembra che non siano sufficientemente
consapevoli del fatto che la dimostrazione universale è superiore a
quella parziale. Infatti, la dimostrazione più eccellente è quella che
deriva da una causa migliore; ma un universale è più ostensivo ed
eccellente di una causa parziale, è chiaro quindi che l'ardua ricerca
del perché in qualsiasi argomento si arresta solo quando si arriva
agli universali. Se poi desideriamo sapere perché gli angoli esterni
di un triangolo sono uguali a quattro angoli retti, e ci viene
risposto: perché il triangolo è isoscele, chiediamo di nuovo: ma
perché è isoscele? E se si risponde: Perché è un triangolo,
possiamo chiedere di nuovo: Ma perché è un triangolo? Al che
rispondiamo finalmente: perché un triangolo è una figura rettilinea.
E qui la nostra indagine si ferma a quell'idea universale che
abbraccia ogni precedente idea particolare e che non è contenuta in
nessun'altra più generale e completa di essa. Aggiungiamo anche
che la dimostrazione dei particolari è quasi la dimostrazione degli
infiniti; la dimostrazione degli universali è quella dei finiti; e sugli
infiniti non ci può essere scienza. Inoltre, la dimostrazione
migliore è quella che fornisce alla mente la conoscenza più ampia;
ciò è, da solo, il campo degli universali. Possiamo anche
aggiungere che chi conosce gli universali conosce anche i
particolari; ma non possiamo sa ciò dedurre che chi ha la migliore
conoscenza dei particolari conosca qualcosa degli universali.
71 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Infine, ciò che è universale è oggetto dell'intelletto e della ragione,
mentre i particolari sono coordinati alle percezioni del senso.
Ma forse lo sperimentatore dirà che, ammettendo che tutto questo
sia vero, non otteniamo la percezione di questi universali in altro
modo se non attraverso l'intuizione dei particolari e l'astrazione dai
sensibili. A questo rispondo che l'universale, che è l'oggetto
proprio della scienza, non è affatto figlio dell'astrazione; e
l'intuizione non è altrimenti funzionale nella sua esistenza che
come causa eccitante. Infatti, se le conclusioni scientifiche sono
indubitabili, se la verità della dimostrazione è necessaria ed eterna,
l’universale è veramente tutto, e non come quello ottenuto
dall'astrazione, limitato a un certo numero di particolari. Così, la
proposizione che gli angoli di ogni triangolo sono uguali a due
retti, se è indubitabilmente vera, cioè se il la parola “ogni” include
davvero in essa tutti i triangoli, non può essere il risultato di alcuna
astrazione; perché questa, per quanto estesa possa essere, è limitata
e manca di molto alla comprensione universale. Perché allora la
potenza dianoetica conclude con tanta sicurezza che la
proposizione è vera per tutti i triangoli? Se si dice che la mente,
dopo aver immaginato il triangolo da un certo numero di
particolari, aggiunge da sé ciò che manca qualcosa per completare
il tutto, in primo luogo nessuno, credo, dirà che un'operazione del
genere ha avuto luogo nella sua mente quando ha appreso questa
proposizione; e in secondo luogo, se ciò fosse vero, ne
conseguirebbe che tale proposizione è una mera finzione, poiché
non è certo che tutto ciò che viene aggiunto per completare il tutto
sia davvero aggiunto; e quindi la conclusione non sarebbe più
assolutamente necessaria.
In breve, se le parole tutto e ogni, di cui abbonda ogni pagina della
matematica teorica, significano ciò che tutti gli uomini capiscono,
e se gli universali che esse rappresentano sono gli oggetti propri
72 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
della scienza, tali universali devono sussistere nell'anima prima
ancora delle energie del senso. Ne consegue che la supposizione
non serve alla scienza in altro modo se non in quanto produce
credibilità negli assiomi e nelle sue istanze; tutto ciò stimolando la
concezione universale latente nell'anima. I particolari, quindi, di
cui si fa un'enunciazione per produrre scienza, devono essere così
semplici da poter essere immediatamente percepiti e da poterne
mostrare l'universale senza esitazione. I particolari degli
sperimentatori non sono di questo tipo, e quindi non potranno mai
essere fonti di una scienza veramente affermata.
Di questo, però, l'uomo pragmatico sembra essere totalmente
all'oscuro e, di conseguenza, ignora anche che le parti possono
essere conosciute soltanto attraverso l'insieme e che ciò è
particolarmente il caso delle parti quando appartengono a un
insieme che, come abbiamo già osservato, per il fatto di
comprendere in sé le parti che produce, è chiamato insieme prima
delle parti. Così come non meriterebbe affatto l'appellativo di
medico chi tentasse di curare una qualsiasi parte del corpo umano
senza una precedente conoscenza del tutto; così non può conoscere
veramente la vita vegetale delle piante chi non ha una precedente
conoscenza della vita vegetale che sussiste nella terra come un
tutto precedente, perché principio e causa di tutta la vita vegetale
particolare, e chi ancora prima di questo non ha una conoscenza di
quel tutto più grande di questa parte che esiste nella natura stessa;
né, come osserva Ippocrate, può conoscere la natura del corpo
umano chi ignora quale sia la natura considerata come un grande
comprendente tutto.
E se tutto quel che abbiamo detto è vero, e lo è indubbiamente per
ogni indagine fisiologica, quanto più deve esserlo per la
conoscenza di quelle forme incorporee alle quali ci siamo rivolti
nella prima parte di questa Introduzione, e che, provenendo da
interi del tutto privi di corpo, ne sono partecipi, con molta più
73 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
oscurità e imperfezione. Ecco dunque la grande differenza, e
immensa, tra la conoscenza acquisita con gli esperimenti più
elaborati e quella acquisita con il ragionamento scientifico, fondato
sulle libere concezioni, non deviate e auto-luminose dell'anima. La
prima non conduce il suo lettore nemmeno fino a quell'unica natura
della terra da cui sbocciano, come da una radice perenne, le nature
di tutti gli animali e le piante sulla sua superficie e di tutti i
minerali e i metalli nelle sue parti interne. Quest'ultimo
accompagna il lettore attraverso tutti i diversi insiemi mondani fino
a quel grande insieme che è il mondo stesso, per poi condurlo,
attraverso l'ordine luminoso degli insiemi incorporei, a
quell'immenso insieme di insiemi, in cui tutti gli altri insiemi sono
centrati e radicati, e che non è altro che il principio di tutti i
principi e la fonte della divinità stessa. Non meno notevole è anche
la differenza tra le tendenze delle due ricerche, poiché la prima
eleva l'anima alle altezze più luminose e a quel grande ineffabile
che è al di là di ogni altitudine; l'altra, invece, è causa di una
grande calamità per l'anima, poiché, secondo l'elegante espressione
di Plutarco, chiude il suo occhio principale e più luminoso, quello
della conoscenza della divinità. In breve, l'uno conduce a tutto ciò
che di grandioso, sublime e splendido c'è nell'universo; l'altro a
tutto ciò che è piccolo, umile e oscuro. L'una è la genitrice della
pietà più pura e ardente; l'altra ha come autentica progenie
l'empietà e l'ateismo.
Se tali sono le conseguenze, tali le tendenze delle indagini
sperimentali, quando vengono perseguite come criterio di verità, e
l'esperienza quotidiana purtroppo dimostra che lo sono, non ci può
essere altro rimedio a questo enorme male che la filosofia di
Platone. La tendenza di questa filosofia è così eccellente che il suo
autore, per un periodo di oltre duemila anni, è stato universalmente
celebrato con l'appellativo di divino. Tale è anche la sua
importanza, che si può dimostrare, senza molte difficoltà, tra i più
74 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
grandi uomini dell'antichità, dal momento in cui la sua luce
benefica ha illuminato per la prima volta la razza umana; gli
uomini sono stati più o meno imbevuti dei suoi sacri principi, sono
stati più o meno i beneficiati dalle sue verità divine. Ecco per
citarne alcuni tra una moltitudine innumerevole.
Nell’elenco dei detentori del potere sovrano, ebbe per estimatori
Dione il siracusano, Giuliano il romano e Khosrow il persiano,
imperatore; tra i condottieri di eserciti, ebbe Chabrias e Focione, i
valorosi generali degli Ateniesi; tra i matematici, le stelle della
scienza, Eudosso, Archimede ed Euclide; tra i biografi,
l'inimitabile Plutarco; tra i medici, l'ammirevole Galeno; tra i
retori, gli impareggiabili oratori Demostene e Cicerone; tra i critici,
il principe dei filologi, Longino; e tra i poeti, il dottissimo e
maestoso Virgilio. Anche se non altrettanto illustri, ma che si
avvicinano a questi esempi per splendore, si possono senza dubbio
citare personaggi successivi alla caduta dell'impero romano; tutti si
sono formati su questi grandi antichi visti come modelli e, di
conseguenza, hanno attinto solo ai rivoli dei torrenti platonici.
Esempi di eccellenza filosofica, simili a quelli dei Greci, si
sarebbero potuti elencare tra i moderni, se la mano del dispotismo
barbarico non avesse costretto la filosofia a ritirarsi nella più
profonda solitudine, demolendo le sue scuole e coinvolgendo
l'intelletto umano nelle tenebre cimmerie. Nel nostro Paese,
tuttavia, anche se nessuno sembra essersi dedicato totalmente allo
studio di questa filosofia, e chi non lo fa non riuscirà mai a
penetrarne le profondità, abbiamo alcuni brillanti esempi di non
comune competenza relativamente alle parti più accessibili.
I casi a cui alludo sono Shaftesbury, Akenside, Harris, Petwin e
Sydenham. L'esempio di abilità filosofica mostrato da questi
scrittori è splendido, sembra essere l'alba di un mattino sereno, e
dobbiamo solo rammaricarci del fatto che il sole del loro genio si
sia spento prima che noi fossimo allietati dalla sua completa
75 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
espressione. Se avesse brillato con tutta la sua forza, lo scrittore di
questa Introduzione non avrebbe tentato né di tradurre le opere, né
di delucidare le dottrine di Platone; ma sebbene sia sorto con
vigore, non ha disperso le nubi in cui la sua luce è stata
gradualmente coinvolta, e l'occhio invano ha atteso con ansia il suo
raggio meridiano. In breve, i principi della filosofia di Platone
sono, tra tutti gli altri, i più favorevoli alla vera pietà, alla moralità
pura, alla solida cultura e al buon governo. Infatti, essendo
scientifica in tutte le sue parti, e comprendendo in esse tutto ciò
che l'uomo può conoscere in teologia e in etica, e tutto ciò che è
necessario che conosca in fisica, deve di conseguenza contenere in
sé la fonte di tutto ciò che è grande e buono sia per gli individui
che per le comunità, deve necessariamente esaltare mentre
beneficia, e divinizzare mentre esalta.
Abbiamo detto che questa filosofia è iniziata a risplendere per
merito di Platone con uno splendore occulto e venerabile; ed è a
causa del modo occulto in cui è stata da lui esposta, che la sua
profondità non è stata scandagliata fino a molti secoli dopo la sua
apparizione, e quando è stata esplorata, è stata trattata dai lettori
superficiali in modo ridicolo e con disprezzo. Platone, in effetti,
non è l’unico nel presentare la sua filosofia in modo occulto:
questa era lo stile di tutti i grandi dell’antichità; un'abitudine che
non deriva dal desiderio di diventare padroni della conoscenza e
mantenere la moltitudine nell'ignoranza, ma dalla profonda
convinzione che le verità più sublimi vengono profanate quando
vengono esposte chiaramente al volgo. Ciò purtroppo accade,
quando, come giustamente osserva Socrate in Platone, "non è
lecito che il puro sia toccato dall'impuro"; e la moltitudine non è
libera né dai vizi né dalle tenebre della duplice ignoranza. Quindi,
essendo doppiamente impura, è impossibile per il volgo percepire
gli splendori della verità, come per un occhio sepolto nel fango
scrutare la luce del giorno.
76 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
La profondità di questa filosofia non sembra essere stata
perfettamente penetrata se non dai discepoli diretti di Platone,
inclusi i discepoli vissuti cinquecento anni dopo la sua prima
diffusione. Bisogna comunque dire che, sebbene Creante, Attico,
Albino, Galeno e Plutarco fossero uomini di grande ingegno, e
avessero una competenza incomune in materia filosofica, tuttavia
non sembra che abbiano sviluppato la profondità delle concezioni
di Platone; non hanno sollevato il velo che copre il significato
segreto della dottrina platonica, e che la ricopre come le tende che
proteggono il perimetro dei templi dall'occhio profano; e non
hanno visto che tutto ciò che c’è dietro il velo è luminoso, e che gli
spettacoli divini si presentano alla vista che sa vedere. Questo
compito era riservato a uomini che erano nati in un'epoca
successiva, ma che, essendo dotati di una natura simile a quella del
loro maestro, erano i veri interpreti delle sue speculazioni mistiche.
Tra questi, i più importanti sono il grande Plotino, il dottissimo
Porfirio, il divino Giamblico, l'acutissimo Siriano, Proclo, il
massimo dell'eccellenza filosofica, il magnifico Ierocle, il conciso
ed elegante Sallustio e il curiosissimo Damascio. Grazie a questi
uomini, che erano veramente anelli della catena d'oro della
divinità, tutto ciò che c'è di sublime, tutto ciò che c'è di mistico
nelle dottrine di Platone (e sono ricche in misura trascendente), è
stato svelato dall’oscurità e manifestato alla luce più piacevole e
ammirevole. Le loro fatiche, tuttavia, non sempre sono state
interpretate in maniera corretta. La bella luce che essi hanno
benevolmente diffusa ha finora illuminato inosservata la filosofia
nei suoi reconditi rifugi, come una lampada che brilla su qualche
venerabile statua in mezzo a rovine buie e solitarie. La predizione
del maestro si è quindi avverata per ciò che riguarda questi suoi
eccellenti discepoli.
"Infatti, un tentativo di questo tipo", dice, "sarà vantaggioso solo
per alcuni, che da piccole vestigia, precedentemente dimostrate,
77 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
sono in grado di scoprire e dimostrare le parti più difficili. Ma per
quanto riguarda il resto dell'umanità, alcuni navigheranno nel
disinteresse per nulla elegante, e altri di una speranza altezzosa e
arrogante, che a nulla servirà per imparare certe cose eccellenti".
Così, tra questi uomini ammirevoli, gli ultimi e i più legittimi tra i
seguaci di Platone, alcuni di loro, ignorando del tutto gli astrusi
dogmi di Platone e trovando questi interpreti pieni di concetti che
non sono affatto evidenti a tutti negli scritti di quel filosofo, hanno
subito concluso che tali concezioni sono meri gerghi e
rievocazioni, che non sono veramente platonici e che non sono
altro che ruscelli che, pur derivando originariamente da una fonte
pura, si sono inquinati a causa della lontananza dalla loro sorgente.
Altri, che non badano ad altro che alla più squisita purezza del
linguaggio, guardano con disprezzo a tutti gli scrittori vissuti dopo
la caduta dell'impero macedone, come se la dignità e il peso dei
sentimenti fossero inseparabili da una dizione splendida e accurata,
o come se fosse impossibile per gli scrittori eleganti esistere in
un'epoca di decadenza. Ma ciò non è affatto vero: anche se lo stile
di Plotino e di Giamblico non è assolutamente paragonabile a
quello di Platone, la loro personalità si esprime nella profondità e
nella sublimità delle loro concezioni, e viene poco considerata dal
lettore intelligente, come un raggio di sole che dall'occhio si
rivolge volentieri alla luce solare.
Per quanto riguarda lo stile di Porfirio, se consideriamo che era il
discepolo di Longino, da Eunapio definito elegantemente "una
biblioteca vivente e un museo ambulante", è ragionevole supporre
che abbia assorbito una parte dell'eccellenza autoriale del suo
maestro. Che ciò sia avvenuto è abbondantemente dimostrato dalla
testimonianza di Eunapio, che ne elogia in particolare lo stile per la
sua chiarezza, purezza e grazia. "Perciò", dice, "Porfirio, dato che
era parte di una catena mercuriale stato rimasta tra gli uomini,
attraverso la sua varia erudizione, spiegò ogni cosa in perspicuità
78 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
e purezza". E in un altro luogo parla di lui come se abbondasse di
tutte le grazie della dizione, e come l'unico che esibiva e
proclamava le lodi del suo maestro. Per quanto riguarda lo stile di
Proclo, è puro, chiaro ed elegante, come quello di Dionigi
Alicarnasso, ma è molto più copioso e magnifico; quello di Ierocle
è venerabile e maestoso, e quasi eguaglia lo stile dei più grandi tra
gli antichi; quello di Sallustio possiede un'accuratezza e una
pregnante brevità, che non possono essere facilmente distinte dalla
composizione dello Stagirita; infine, quello di Damascio è chiaro e
accurato, e altamente degno di una mente molto indagatrice.
Altri ancora hanno acquisito una vana fiducia, leggendo i
commenti di questi mirabili interpreti, e in breve tempo si sono
considerati superiori ai loro maestri. Questo è stato il caso di
Licinio, Pico, del dottor Henry Moore e di altri pseudo-platonici,
loro contemporanei, che, per combinare il cristianesimo con le
dottrine di Platone, hanno rifiutato alcuni dei principi più
importanti del dotto filosofo e ne hanno pervertiti altri,
corrompendo così uno dei due sistemi e non apportando alcun reale
beneficio all'altro.
Ma chi sono gli uomini da cui questi ultimi interpreti di Platone
sono stati diffamati? Quando e da dove è nata questa
diffamazione? È successo forse quando gli accaniti sostenitori
della trinità cristiana sono fuggiti dalla Galilea ai boschetti
dell’Accademia e hanno invocato, ma invano, l'assistenza della
filosofia? Quando
Il boschetto tremante confessò il suo spavento,
le ninfe dei boschi trasalirono alla vista;
Ilissus si mise a correre all'indietro,
e si rifugiò indignato alla sua fonte.
79 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Perché quel sofista mitridatizzato, Warburton, ha pensato bene di
parlare dei ruscelli inquinati della scuola alessandrina, senza sapere
nulla della fonte a cui quei ruscelli hanno attinto? O forse perché
qualche pesante critico tedesco, che non conosceva altro che un
verbo solfeggiato, ha presunto di brontolare contro questi
venerabili eroi? Qualunque sia la sua fonte e qualunque sia la sua
origine, visto che non sono riuscito a scoprire né l'una né l'altra, è
certo che deve la sua esistenza alla più profonda ignoranza o alla
più abile sofisticazione, e che la sua origine non è meno spregevole
che oscura. Consideriamo infatti per un attimo i vantaggi che gli
ultimi platonici possedevano in più rispetto ai loro moderni
detrattori. In primo luogo, avevano la fortuna di avere il greco
come lingua madre e quindi, essendo dichiaratamente uomini colti,
dovevano capire quella lingua incomparabilmente meglio di
qualsiasi altro uomo rispetto al tempo in cui il greco antico era una
lingua viva. Inoltre, avevano libri da consultare, scritti dagli
immediati discepoli di Platone, che sono andati perduti da più di
mille anni, oltre a molti scritti pitagorici da cui Platone stesso
trasse la maggior parte dei suoi dogmi più sublimi.
Così troviamo che le opere di Parmenide, Empedocle, dell'Elettore
Zenone, Speusippo, Senocrate e molti altri illustri filosofi della più
alta antichità, che erano o autentici platonici o discendenti del
platonismo, e che in terzo luogo unirono la massima purezza di
vita al più penetrante vigore dell'intelletto, sono continuamente
citate da questi eccelsi interpreti. Ora, se si considera che la
filosofia allo studio della quale i grandi uomini su citati dedicarono
la loro vita, sappiamo che si espressero sempre di maniera alquanto
enigmatica; che Aristotele stesso la studiò per vent'anni; e che non
era raro, come ci informa Platone in una delle sue Epistole, trovare
studenti incapaci di comprenderne i principi più sottili anche in un
lungo periodo di tempo; se si considerano tutte queste circostanze,
che cosa dobbiamo pensare dell'arroganza, per non dire
80 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
dell'impudenza, di uomini del XVII°, XVIII° e XIX° secolo, che
hanno osato calunniare i grandi maestri di saggezza?
Cosa dire di quegli uomini per i quali il greco non è una lingua
madre, che non hanno libri da consultare come i volumi di coloro
che essi vituperano, che non hanno mai pensato, neppure in sogno,
di fare della saggezza il grande obiettivo della loro vita, e che in
breve hanno commesso l'errore più nefasto di scambiare la
filologia per la filosofia, e le parole per le cose? Quando questi
osano diffamare uomini che possono essere giustamente annoverati
tra i più grandi e saggi degli antichi, cos'altro si può dire se non che
sono i legittimi discendenti dei Proci pretendenti di Penelope, i
quali, nel linguaggio animato di Ulisse,
le leggi, divine o umane, non riuscirono a smuovere,
né la vergogna degli uomini, né il timore degli dei:
incuranti dell'infamia o della lode,
o della voce eterna della fama nei giorni futuri.
Ma è giunto il momento di presentare al lettore una visione
generale delle opere di Platone, nonché di parlare dei preamboli,
delle digressioni e dello stile del grande filosofo e della seguente
traduzione. Per realizzare il primo di questi punti, mi avvarrò della
epitome del signor Sydenham, prendendomi allo stesso tempo la
libertà di correggerla dove sembra essere errata e di fare delle
aggiunte dove sembra essere povera.
I dialoghi di Platone sono di vario tipo, non solo per quanto
riguarda i diversi argomenti che ne sono oggetto, ma anche per
quanto riguarda il modo in cui sono composti, descritti e la forma
con cui si presentano al lettore. Pertanto, come immagino, non sarà
improprio, seguendo l'ammonimento datoci da Platone stesso nel
suo dialogo chiamato Fedro e imitando l'esempio datoci dagli
antichi platonici, distinguere i vari tipi, dividendoli prima in quelli
81 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
più generali e poi in quelli secondari, fino ad arrivare a quelle
specie minori che denotano in modo particolare e preciso la natura
dei vari dialoghi e da cui dovrebbero prendere le rispettive
denominazioni.
La divisione più generale degli scritti di Platone è tra quelli di tipo
descrittivo e quelli di tipo dogmatico. Nel primo tipo, nulla è
espressamente dimostrato o asserito, viene solo considerata ed
esaminata la questione filosofica; e il lettore è lasciato libero di
trarre le conclusioni e scoprire le verità che il filosofo intende
evidenziare. Tutto ciò si svolge in forma di indagine, o nel modo
della controversia e della disputa. Nel modo della controversia si
svolgono tutti i dialoghi che tendono a sradicare le false opinioni,
sia indirettamente, mettendo l’interlocutore in difficoltà e mettendo
in imbarazzo chi le sostiene, sia direttamente, confutandole. Sulla
via dell'indagine procedono quelli che tendono a suscitare nella
mente opinioni corrette; sia stimolando a perseguire qualche
aspetto della saggezza, e mostrando in che modo indagarla; sia
guidando e aiutando la mente ad avanzare nella ricerca. E questo
avviene attraverso un processo di argomentazioni contrapposte.
I dialoghi dell'altro tipo, i Dogmatici o Didattici, insegnano
esplicitamente qualche punto della dottrina; sia esponendola in
modo autorevole, sia dimostrandola con le vie della ragione e
dell'argomentazione. Nel metodo autorevole la dottrina viene
esposta, a volte dall'oratore stesso in modo magistrale, altre volte
così come gli è stata trasmessa per tradizione da uomini saggi. Il
metodo di insegnamento argomentativo o dimostrativo, utilizzato
da Platone, procede in tutti i modi in forma dialettica, dividendo,
definendo, dimostrando e analizzando; e l'oggetto di esso consiste
nell'esplorazione della sola verità.
In base a questa suddivisione è stato strutturato il seguente schema
o tavola: una divisione in base ai caratteri, come li chiama lui,
degli scritti, diversa da quella esposta nello schema precedente. Per
82 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
la sua antichità e per la sua generale ricezione, abbiamo ritenuto
opportuno inserirla qui di seguito.
Dialoghi
Didattico Speculativo Fisico Logico Pratico Etico Politico
Inquisitivo Ginnico Maieutico Peirastico Agonistico Endeietico
Anatreptico
Il lettore esperto osserverà che l'ultima metà dei dialoghi, secondo
questo schema, è basata su metafore tratte dall'arte ginnica: i
dialoghi, qui definiti ginnici, sono immaginati come simili a
quell'esercizio; quelli agonistici, al combattimento. Nella
suddivisione ultima, infatti, la parola maieutica è una metafora di
altro tipo, spiegata in modo esauriente nel Teeteto di Platone: i
dialoghi maieutici, tuttavia, dovevano assomigliare alla
somministrazione dei rudimenti dell'arte; così come i peirastici
dovevano rappresentare una contesa o una prova di abilità; gli
endeitici erano, a quanto pare, paragonati all'esibizione di un
campione di abilità; e gli anatettici, alla presentazione dello
spettacolo di una sconfitta completa o di una sonora batosta.
Il motivo principale per cui non ci siamo accontentati di questo
resoconto della differenza tra i dialoghi di Platone è stato l'errore
capitale commesso nella prima suddivisione, che naturalmente si
estende anche alla seconda. Questo errore consiste nel dividere i
dialoghi didattici in base al loro argomento, mentre quelli di tipo
investigativo sono divisi in base al modo in cui sono stati
composti. In questo modo le suddivisioni non ricadono, con
correttezza, sotto uno stesso titolo generale. Inoltre, un novizio
delle opere di Platone potrebbe essere portato naturalmente a
supporre che i dialoghi dogmatici o didattici siano tutti scritti nello
stesso modo e che gli altri, quelli di tipo inquisitorio, da noi
chiamati scettici, non abbiano alcun argomento particolare o, se ce
l'hanno, che i loro argomenti siano diversi da quelli dei dialoghi
83 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
didattici e di conseguenza non siano filosofici. Ora, ognuna delle
supposizioni qui menzionate è ben lungi dall'essere vera.
Il filosofo, nel variare i suoi modi e nel diversificare i suoi scritti in
questi diversi tipi, non intende semplicemente intrattenere per la
loro diversità; non intende insegnare, in occasioni diverse, con
maggiore o minore chiarezza e perspicuità; non intende ancora
insinuare diversi gradi di certezza nelle dottrine stesse: ma, da
consumato maestro dell'arte della composizione dialogica, trae
questo metodo dai diversi caratteri degli oratori, come da diversi
elementi nella struttura di questi dialoghi drammatici, o da diversi
ingredienti nella loro miscela, che producono, per così dire, una
genialità e un temperamento particolari in ciascuno di essi.
Nei Dialoghi, Socrate è quasi sempre l'oratore principale, ma
quando si trova in compagnia di qualche sofista arrogante, quando
la modesta saggezza e la chiara scienza dell'uno si contrappongono
alla fiduciosa ignoranza e alla cieca supponenza dell'altro, devono
naturalmente sorgere dispute e controversie, in cui il falso
interlocutore non può non essere confutato o sconcertato. Se non ci
sono altre persone presenti, è sufficiente confonderlo, perché un
uomo del genere non può mai essere confutato nella sua stessa
opinione; ma quando c'è un pubblico intorno che assiste, che
rischia di essere indotto in errore dai sofismi, allora il vero filosofo
deve fare il massimo sforzo e il vano sofista deve essere
sconfessato e smascherato.
In alcuni dialoghi Platone si presenta come un grande maestro
mentre conversa con i giovani delle migliori famiglie del paese.
Quando questi hanno un'indole docile e un animo gentile, il
filosofo ha l'occasione per far germogliare i semi latenti della
saggezza e di coltivare le nobili piante con la vera dottrina, nel
modo affabile e familiare dell'indagine congiunta. A questo si deve
il genio indagatore di tali dialoghi: dove, grazie a un'apparente
parità nella conversazione, si eccita la curiosità o lo zelo del
84 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
semplice estraneo, si incoraggia quello del discepolo e, con
domande appropriate, si aiuta e si spinge la mente alla ricerca della
verità, il vero bene; si stimola la dissuasione, per allontanarci dalle
cose veramente malvagie; si agisce da ostetrico, per far emergere le
nostre concezioni non deviate; e con confutazione, per purificarci
dalla duplice ignoranza.
In altri momenti, l'eroe filosofico di questi dialoghi viene
presentato in una veste più elevata, impegnato in un discorso con
uomini di comprensione più elevata e di mente illuminata. In
questi momenti ha l'opportunità di insegnare in modo più esplicito
e di scoprire le ragioni delle cose: perché a un tale pubblico la
verità è dovuta e tutte le dimostrazioni sono possibili per essere
insegnate. Perciò, nei dialoghi pronunciati alla presenza di queste
persone, sorge naturalmente il genio giustamente argomentativo o
dimostrativo; e questo, come abbiamo già osservato, secondo tutti i
metodi dialettici; in questi casi, fa uso di ragionamenti dimostrativi
e giusti; mentre il novizio si accontenta di argomenti solo ipotetici;
e contro il sofista litigioso spesso impiega quelli che sono
sconcertanti e polemici.
Ma quando la dottrina da insegnare non ammette dimostrazione,
come nel caso della dottrina più antica, che è solo tradizionale e
oggetto di fede, e della dottrina delle leggi, che è ingiuntiva e
soggetta ad obbedienza, il filosofo assume l'aria dell'autorità: nel
primo caso, la dottrina è tramandata tradizionalmente dall'autorità
degli antichi saggi; nel secondo, è pronunciata magistralmente con
l'autorità di un legislatore.
Tutto ciò per quanto riguarda il modo in cui i dialoghi di Platone
sono composti separatamente, e il grado di genialità dato loro nella
composizione. La forma con cui si presentano, o il carattere
esteriore che li contraddistingue, è di tre tipi: o puramente
drammatica, come il dialogo della tragedia o della commedia; o
puramente narrativa, in cui si suppone che una conversazione
85 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
precedente venga messa per iscritto e comunicata a qualche amico
assente; o di tipo misto, come la narrazione nei poemi drammatici,
in cui si recita, a qualche persona presente, la storia di cose
passate.
Avendo così diviso i dialoghi di Platone, rispetto a quella forma o
composizione interiore create dal suo genio; e ancora, rispetto a
quella forma esteriore che li contraddistingue, come i fiori e gli
altri vegetali, con un certo carattere; dobbiamo poi dividerli
rispetto al loro soggetto e al loro disegno; cominciando dal loro
disegno, o fine, perché per questo sono stati scelti tutti gli
argomenti. Il fine di tutti gli scritti di Platone è lo stesso del fine di
ogni vera filosofia o sapienza, la perfezione e la felicità dell'uomo.
L'uomo è dunque il soggetto generale e assoluto; e il primo
compito della filosofia deve essere quello di indagare che cosa sia
quell'essere chiamato uomo, perchè deve essere felice, e quale sia
la sua natura, nella cui perfezione è riposta la sua felicità. Tuttavia,
poiché nella parte precedente di questa Introduzione abbiamo
cercato di descrivere i contorni della dottrina di Platone sull'uomo,
in questa sede non è necessario dire altro su questo argomento.
I dialoghi di Platone, quindi, per quanto riguarda gli argomenti,
possono essere divisi in speculativi, pratici e di natura mista. Gli
argomenti di questi ultimi sono generali, comprendendo entrambi
gli altri, o differenziali, distinguendoli. I temi generali sono
fondamentali o definitivi: quelli fondamentali sono la filosofia, la
natura umana, l'anima dell'uomo; quelli definitivi sono l'amore, la
bellezza, il bene. I differenziali riguardano la conoscenza, in
quanto legata all’esercizio; in essi si considerano due questioni:
una è se la virtù debba essere insegnata; l'altra è se l'errore della
volontà dipenda dall'errore nel giudizio. I temi dei dialoghi
speculativi riguardano o le parole o le cose. Del primo tipo sono
l'etimologia, la sofistica, la retorica, la poesia; del secondo tipo
sono la scienza, il vero essere, i principi della mente, la natura
86 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
esteriore. Gli argomenti pratici si riferiscono o alla condotta privata
e al governo della mente su tutto l'uomo, o al suo dovere verso gli
altri nelle sue diverse relazioni, o al governo di uno Stato civile e
alla condotta pubblica di un intero popolo. Sotto questi tre capitoli
si collocano, in ordine, i soggetti pratici particolari: la virtù in
generale, la santità, la temperanza, la fortezza, la giustizia,
l'amicizia, il patriottismo, la pietà; la mente che governa un
governo civile, la struttura e l'ordinamento di uno Stato, la legge in
generale e, infine, le regole di governo e di condotta pubblica, le
leggi civili.
Così, per dare al lettore una visione scientifica, cioè completa e
allo stesso tempo dettagliata, degli scritti di Platone, abbiamo
cercato di esporre le loro giuste e naturali distinzioni, sia che egli
scelga di considerarli per quanto riguarda la loro forma o essenza
interiore, la loro forma o aspetto esteriore, la loro materia o il loro
fine: cioè, in quei termini più familiari che abbiamo usato in questa
Sintesi, il loro genio, il loro carattere, il loro soggetto e il loro
disegno.
E qui è necessario osservare che, siccome la caratteristica del bene
supremo è quella di essere universalmente benefico, anche se
alcune cose ne beneficiano di più e altre di meno, in conseguenza
della loro maggiore o minore attitudine a riceverlo; allo stesso
modo i dialoghi di Platone sono così ampiamente improntati ai
caratteri del bene sovrano, che sono redatti per beneficiare in una
certa misura anche coloro che sono incapaci di penetrare la loro
profondità.
Possono addomesticare un sofista selvaggio, come Trasmaco nella
Repubblica; umiliare l'arroganza anche di coloro che ignorano la
loro ignoranza; far diventare esperti di politica coloro che non
arriveranno mai alla virtù teoretica; e, in breve, come le
illuminazioni della divinità, ovunque ci sia una possibilità
attitudinale nei loro destinatari.
87 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Dopo questa visione generale dei dialoghi di Platone, consideriamo
i loro preamboli, le digressioni di cui sono ricchi e il carattere dello
stile in cui sono scritti. Per quanto riguarda il primo di questi, i
preamboli, per quanto superflui possano apparire a prima vista, a
un esame più attento si riveleranno necessari al disegno dei
dialoghi che accompagnano. Così i preamboli del Timeo
espongono, in immagini secondo l'usanza pitagorica, la teoria del
mondo; e la prima parte del Parmenide, ossia la discussione delle
idee, è in realtà solo un preambolo alla seconda parte, sulla
speculazione dell'uno; alla quale tuttavia è essenzialmente
preparatoria. Per questo, come dice Plutarco, quando parla del
dialogo di Platone sull'isola atlantica: questi preamboli sono
superbe porte e magnifici cortili con cui egli abbellisce di
proposito i suoi grandi edifici, affinché nulla manchi alla loro
bellezza e tutti siano ugualmente splendidi. Egli agisce, come
osserva bene Dacier, come un grande principe che, quando
costruisce un palazzo sontuoso, adorna (per dirla con Pindaro) il
vestibolo con colonne d'oro. Infatti, è opportuno che ciò che si
vede per primo sia splendido e magnifico, e che, per così dire,
annunci in modo perspicuo tutta la grandezza dell’edificio che si
presenterà poi alla vista.
Per quanto riguarda le frequenti digressioni nei suoi dialoghi,
anch'esse, se accuratamente esaminate, si scoprirà che non sono
meno utili al disegno principale dei dialoghi in cui sono introdotte;
allo stesso tempo, esse offrono alla mente un piacevole riposo dal
lavoro di una severa indagine. Così Platone, con un'arte felicissima
e incantevole, cerca di condurre il lettore al tempio della Verità
attraverso i deliziosi boschetti e le valli delle Grazie. In breve,
questo percorso tortuoso, se considerato attentamente, si rivelerà la
strada più breve per condurre il lettore al fine desiderato: infatti,
per raggiungere questo obiettivo è necessario considerare non la
strada più diritta nella natura delle cose, o astrattamente
88 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
considerata, ma quella più diretta nei progressi della comprensione
umana.
Per quanto riguarda lo stile di Platone, sebbene esso costituisca in
realtà la parte più insignificante nel merito dei suoi scritti, essendo
lo stile in tutte le opere filosofiche l'ultima cosa di cui ci si
dovrebbe occupare, tuttavia anche in questo Platone può
contendere la palma dell'eccellenza ai più rinomati maestri della
dizione. Per questo scopriamo che il suo stile era oggetto di
ammirazione da parte dei migliori scrittori dell'antichità. Secondo
Ammiano, Giove stesso non parlerebbe diversamente, se dovesse
conversare in lingua attica. Aristotele considerava il suo stile come
una via di mezzo tra la poesia e la prosa. Cicerone lo elogia non
meno per l'eccellenza della sua dizione che per la profondità delle
sue concezioni; e Longino lo definisce, per quanto riguarda la sua
lingua, il rivale di Omero. Il principe dei critici lo considera quindi
come se traesse in sé abbondanti flussi dalla fonte omerica e lo
paragona, nella sua rivalità con Omero, a un nuovo antagonista che
entra nell’elenco dei grandi come uno che è già oggetto
dell'ammirazione universale.
Il mio obiettivo principale in questa ardua impresa è stato quello di
spiegare tutti gli astrusi e sublimi sistemi filosofici di Platone, così
come si trovano inseriti nelle sue opere. Sviscerare
minuziosamente l'arte che egli impiega nella composizione di tutti
i suoi dialoghi, e rendere piena giustizia al suo significato in ogni
particolare, deve essere il compito di qualcuno che abbia più tempo
libero e che sia in grado di dare al pubblico le opere di Platone ad
un livello più ampio. Per realizzare questo grande obiettivo, ho
presentato al lettore nelle mie note la traduzione in inglese di tutti i
seguenti commentari e studiosi greci manoscritti su Platone: i
commentari di Proclo sul Parmenide e sul primo Alcibiade e i suoi
studi sul Cratilo; gli studiosi di Olimpiodoro sul Fedone, le Gorgia
89 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
e il Filebo; e i commentari di Platone sul dialogo di Platone e sul
dialogo di Platone.
Ermes sul Fedro. A questi si aggiungono estratti molto copiosi dal
manoscritto di Damascio, Peri Archon, e dalle opere pubblicate di
Proclo sul Timeo, sulla Repubblica e sulla Teologia di Platone. Dei
primi quattro manoscritti, tre dei quali sono in folio, ho copie
complete fatte di mia mano; e dei copiosi estratti degli altri, quelli
di Olimpiodoro sulle Gorgia sono stati da me tratti dalla copia
conservata al British Museum; quelli dello stesso filosofo sul
Filebo, e quelli di Ermes sul Fedro, e di Damascio Peri Archon,
dalle copie della Biblioteca Bodleiana.
Francesco Patrizi è stato uno dei pochissimi, in epoca moderna, a
rendersi conto del grande merito di questi scritti, come si evince
dall'estratto della prefazione alla sua traduzione degli Elementi
teologici di Proclo. (Ferrar. 4to. 1583) Patrizi, prima di questa
traduzione, enumera gli scritti di Proclo, che sono inclusi nel suo
desiderio che tutti i commenti greci manoscritti su Platone siano
resi pubblici.
E qui la gratitudine richiede che io riconosca pubblicamente il
modo molto gentile e liberale in cui sono stato ricevuto
dall'Università di Oxford, dal bibliotecario principale e dai sotto-
bibliotecari della biblioteca Bodleiana, durante il periodo in cui ho
scritto gli estratti sopra menzionati. In primo luogo devo
riconoscere l'attenzione molto cortese che mi è stata riservata dal
dottor Jackson, decano della Chiesa di Cristo. In secondo luogo, la
libertà di frequentare la biblioteca Bodleiana e la sistemazione che
mi è stata offerta dai bibliotecari di quell'eccellente collezione
richiedono un tributo di lode non indifferente. E, soprattutto, il
modo molto liberale in cui sono stato accolto dai compagni del
New College, con i quali ho risieduto per tre settimane e dai quali
ho sperimentato persino l'ospitalità greca, spero che sarà un
90 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
compito difficile per il tempo cancellare dalla mia memoria, come
lo sarebbe per me esprimerlo come merita.
Per quanto riguarda gli errori che potrei aver commesso in questa
traduzione (perché non sono abbastanza vanitoso da supporre che
sia priva di difetti), potrei invocare come scusa il fatto che l'intera
opera è stata eseguita in condizioni di grave infermità fisica e di
indigenza; e che una parte molto considerevole è stata realizzata in
mezzo ad altri problemi personali di non comune entità e ad altre
fatiche inibitorie per un'impresa del genere. Ma quali che siano i
miei errori, non voglio ricorrere ai miei problemi per scusarmi. Mi
scuso per il fatto che gli errori che posso aver commesso in
particolari minori, sono nati dalla mia ansia di cogliere e
promulgare quelle grandi verità della filosofia e della teologia di
Platone che, sebbene siano state nascoste per secoli nell'oblio,
hanno una esistenza coeva all'universo e saranno di nuovo
restaurate e fioriranno per periodi molto lunghi, attraverso tutte le
infinite rivoluzioni del tempo.
In un secondo momento, è necessario parlare delle qualifiche
richieste a un legittimo studente della filosofia di Platone; prima di
ciò, farò notare l'assurdità di supporre che la mera conoscenza
della lingua greca, per quanto grande possa essere, sia da sola
sufficiente a comprendere le sublimi dottrine di Platone; infatti, un
uomo potrebbe anche pensare di poter capire Archimede senza
conoscere gli elementi della geometria, solo perché è in grado di
leggerlo nell'originale. Coloro che nutrono una simile oziosa
speranza farebbero bene a meditare sulla profonda osservazione di
Eraclito, "che la polimatia (erudizione pedantesca) non insegna
l'intelletto" ([greco: Polymathic noon ou didaskei]).
Per studente legittimo della filosofia platonica intendo colui che,
sia per natura che per educazione, è adeguatamente qualificato per
un'impresa così ardua; cioè colui che possiede un'indole
naturalmente buona, è sagace e acuto, ed è infiammato da un
91 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
ardente desiderio di acquisire la saggezza e la verità; che fin
dall'infanzia è stato ben istruito nelle discipline matematiche; che,
inoltre, ha trascorso intere giornate, e spesso la maggior parte della
notte, in profonda meditazione; e, come uno che naviga
trionfalmente su un mare impetuoso, o come uno che trafigge
abilmente un esercito di nemici, ha affrontato con successo una
moltitudine ostile di dubbi; insomma, chi non ha mai considerato
la saggezza come una cosa di poco conto e di facile accesso, ma
come ciò che non si può ottenere senza il più generoso e severo
sacrificio, e il cui valore intrinseco supera ogni bene corporeo,
molto più dell'oceano che della fugace bolla che galleggia sulla sua
superficie. A coloro che sono privi di questi requisiti, che fanno
dello studio delle parole il loro unico impiego e della ricerca della
saggezza solo un aspetto secondario, che si aspettano di diventare
saggi con un'applicazione saltuaria per un'ora o due al giorno, dopo
le fatiche degli affari, dopo essersi mescolati con la massa degli
uomini, ridendo con i gaudenti, dando aria di serietà ai faceti,
acconsentendo tacitamente alle opinioni di tutti, anche se assurde,
e ammiccando alle follie, anche se vergognose e meschine - di
questi - ahimè! il mondo ne è pieno, e a questi le verità più sublimi
devono apparire solo come gergo e fantasticheria, sogni di
un'immaginazione disturbata, o effusioni di una fede fanatica.
Ma tutto ciò non è affatto meraviglioso, se consideriamo che la
doppia ignoranza è la malattia di molti. Infatti, non solo sono
ignoranti rispetto alla conoscenza più sublime, ma ignorano
persino la loro ignoranza. Perciò non sospettano mai la loro
mancanza di comprensione, ma rifiutano immediatamente una
dottrina che appare a prima vista assurda, perché troppo splendida
per i loro ciechi occhi di pipistrello. Infatti, come dice Platone,
credono di capire le verità più alte, mentre in realtà avviene il
contrario. Perciò invito caldamente gli uomini di questo tipo a non
immischiarsi nelle profonde speculazioni della filosofia platonica,
92 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
perché è più pericoloso spingerli a questo tipo di lavoro che
consigliarli di seguire le loro sordide attività con assiduità e di
lavorare per la ricchezza materiale con sempre maggiore alacrità e
vigore, perché in questo modo daranno libero sfogo alle basse
abitudini della loro anima e subiranno più presto quella punizione
che, in questi casi, deve sempre precedere l'illuminazione mentale
ed essere l'inevitabile conseguenza della colpa.
È stato detto bene da Liside, il pitagorico, che inculcare
speculazioni e discorsi liberali a coloro la cui morale è torbida e
confusa è altrettanto assurdo che versare acqua pura e trasparente
in un pozzo profondo pieno di fango e argilla, perché chi lo fa non
fa altro che disturbare il fango e far sì che l'acqua pura si
contamini. Il bosco, come osserva magnificamente lo stesso autore,
(cioè la vita irrazionale o corporea), in cui si nutrono queste
terribili passioni, deve essere prima purificato con il fuoco, con la
spada e con ogni tipo di strumento (cioè attraverso le discipline
preparatorie e le virtù politiche), e la ragione deve essere liberata
dalla sua schiavitù nei confronti del sensibile, prima che qualsiasi
cosa utile possa essere piantata in questi luoghi selvaggi.
Non si può quindi pretendere di esplorare le regioni della filosofia
platonica. La terra è troppo pura per ammettere i sordidi e gli
umili. La strada che conduce ad essa è troppo intricata per essere
scoperta da chi non è abile e preparato, e il viaggio è troppo lungo
e faticoso per essere compiuto dagli effeminati e dai timidi, dagli
schiavi delle passioni e dagli ingannatori delle opinioni, dagli
amanti del senso e dai disprezzatori della verità. I pericoli e le
difficoltà dell'impresa sono tali da non poter essere sopportati se
non dagli avventurieri più resistenti e capaci; e chi inizia il viaggio
senza la forza di Ercole, o la saggezza e la pazienza di Ulisse, sarà
abbattuto dalle bestie selvagge della foresta, o perirà fra le
tempeste dell'oceano; deve subire la trasmutazione da bestia in dio
grazie al potere magico di Circe, o essere esiliato per tutta la vita
93 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
dal fascino trattenuto di Calipso; e in breve deve scendere nell'Ade
e vagare nelle sue tenebre, senza emergere da lì nelle regioni
luminose del mattino, o essere rovinato dalla melodia mortale del
canto delle Sirene. Al viaggiatore più abile, che persegue la strada
giusta con un ardore che nessuna fatica può attenuare, con una
vigilanza che nessuna stanchezza può sorprendere in negligenza e
con una virtù che nessuna tentazione può sedurre, essa mostra per
molti anni l'aspetto dell'Itaca di Ulisse o della madre Italia di Enea;
infatti, non appena intravediamo la terra piacevole che sarà la fine
del nostro viaggio, la vediamo improvvisamente scomparire e ci
ritroviamo ancora lontani dalla costa amata, esposti alla furia di un
mare tempestoso di dubbi.
Abbandonate dunque, o anime striscianti, il progetto infruttuoso!
Seguite con avidità la strada battuta che conduce agli onori
popolari e ai sordidi guadagni, ma abbandonate ogni pensiero di un
viaggio per il quale siete totalmente impreparati. Non vi rendete
conto della grandezza del mare che vi separa dalla costa reale? Un
mare, enorme, orrido, vasto, dove a stento naviga la nave meglio
costruita, e dove Giove ispira le tempeste.
E non potremmo giustamente chiedere, analogamente
all'interrogatorio di Calipso,
Quali navi avete, quali marinai da trasportare,
Quali remi per tagliare la lunga e faticosa strada?
Mi limiterò a osservare che la vita di Platone scritta da
Olimpiodoro è stata allegata a questa traduzione, a preferenza di
quella di Diogene Laerzio, perché la prima è opera di un eminente
platonico, mentre la seconda di un mero storico, che ha fornito
indiscriminatamente al pubblico qualsiasi aneddoto abbia trovato
in altri autori. Se il lettore combina questo breve schizzo della vita
di Platone con ciò che il filosofo dice di sé nella sua VII Epistola,
94 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
sarà in possesso dei più importanti dettagli su di lui che si possono
ottenere attualmente.
95 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
SPIEGAZIONE DI ALCUNI TERMINI PLATONICI
Poiché si potrebbe pensare che siano necessarie delle ragioni per
aver introdotto alcune parole insolite di origine greca, mi limiterò a
osservare che, poiché tutte le arti e le scienze hanno alcuni termini
appropriati a sé stanti, la filosofia, che è l'arte delle arti e la scienza
delle scienze, essendo la padrona di entrambe, ha certamente un
diritto prioritario e di gran lunga superiore in questo privilegio.
Tuttavia, credo di non aver introdotto nessuno di questi termini
senza averli allo stesso tempo sufficientemente spiegati; ma, per
evitare che si verifichi il contrario, per informazione del lettore, si
elencano le seguenti spiegazioni di tutti i termini che sono riuscito
a ricordare, e anche di parole comuni usate dai platonici in un
senso particolare.
Anagogico, [greco: anagogikos]. Condurre in alto.
Demiurgo, [greco: demiourgos], Giove, l'artefice dell'universo.
Dianoetia. Questa parola deriva da [Greco: dianoia], ovvero quel
potere dell'anima che ragiona in modo scientifico, derivando i
principi del suo ragionamento dall'intelletto. Platone è così
insolitamente accurato nella sua dizione che questa parola è usata
molto raramente in un senso diverso da quello primario.
Il divino, [greco: to Theion], è l'essere che sussiste in congiunzione
con l'uno. Infatti, tutte le cose, tranne l'uno, cioè l'essenza, la vita e
l'intelletto, sono considerate da Platone come sospese e secondarie
rispetto agli dèi. Gli dèi, infatti, non sussistono in queste cose, ma
prima di esse, che pure producono e collegano, ma non sono
caratterizzate da queste. In molti punti, tuttavia, Platone chiama i
partecipanti agli dèi con i nomi degli dèi. Infatti, non solo l'ospite
ateniese nelle Leggi, ma anche Socrate nel Fedro, chiama un'anima
divina un dio. "Infatti", dice, "tutti i cavalli e gli aurighi degli dèi
sono buoni". E dopo, ancora più chiaramente, aggiunge: "E questa
è la vita degli dèi". E non solo, ma chiama dèi anche quelle nature
96 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
che sono sempre unite agli dèi e che, insieme a loro, completano
una serie. Chiama spesso dèi anche i demoni, sebbene, secondo
l'essenza, siano secondari e sussistano al di sotto degli dèi. Nel
Fedro, nel Timeo e in altri dialoghi, estende l'appellativo di dèi
fino ai demoni. E, cosa ancora più paradossale di tutto ciò, non
rifiuta di chiamare alcuni uomini dèi; come, ad esempio, l'Ospite
Eleatico nel Sofista. Da tutto ciò, dunque, dobbiamo dedurre che,
rispetto alla parola dio, una cosa che viene così denominata è
semplicemente divinità; un'altra lo è secondo l'unione; una terza,
secondo la partecipazione; una quarta, secondo il contatto; e una
quinta, secondo la similitudine. Così ogni natura super-essenziale è
innanzitutto un dio; ma ogni natura intellettuale lo è secondo
l'unione. E ancora, ogni anima divina è un dio secondo la
partecipazione; ma i demoni divini sono dèi secondo il contatto
con gli dèi; e le anime degli uomini ottengono questo appellativo
per similitudine. Ognuna di queste, tuttavia, tranne la prima, è,
come abbiamo detto, piuttosto divina che un dio; infatti l'Ospite
ateniese, nelle Leggi, chiama l'intelletto stesso divino. Ma ciò che è
divino è secondario rispetto alla prima divinità, così come l'unito lo
è rispetto all'uno; ciò che è intellettuale rispetto all'intelletto; e ciò
che è animato rispetto all'anima. Infatti, le cose più uniformi e
semplici precedono sempre, e la serie degli esseri termina nell'uno
stesso.
Doxastica. Questa parola deriva da doxa, opinione, e indica ciò che
viene percepito dall'opinione, quella potenza che è l'estremità
dell'anima razionale. Questa potenza conosce l'universale nei
particolari, per esempio ogni uomo è un animale razionale; ma non
conosce il perché una cosa è, ma solo ciò che è.
L'Eterno, [greco: To aionion], ciò che ha una sussistenza infinita,
senza alcun legame con il tempo; o, come lo definisce
profondamente Plotino, la vita infinita al tempo stesso totale e
piena.
97 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Ciò che è generato, [greco: to geneton]. Ciò che non ha la totalità
della sua essenza o energia che sussiste contemporaneamente senza
dispersione temporale.
Generazione, [greco: genesis]. Un'essenza composita e multiforme,
unita al tempo. Questo è il significato proprio della parola; ma è
usata simbolicamente da Platone, e anche da teologi più antichi di
Platone, a scopo indicativo. Infatti, come osserva splendidamente
Proclo (nel MS. Commento al Parmenide), "le favole chiamano
generazione l'ineffabile dispiegarsi alla luce attraverso le cause".
Perciò", aggiunge negli Scritti Orfici, "la causa prima è chiamata
tempo; perché dove c'è generazione, secondo il suo significato
proprio, c'è anche tempo".
Ospite, [greco: Xeno]. Questa parola, nel suo significato più ampio
in greco, indica un estraneo, ma propriamente implica uno che
riceve un altro, o è lui stesso ricevuto in un intrattenimento. Nei
dialoghi che seguono, quindi, ogni volta che uno degli oratori
viene presentato come uno Xeno, ho tradotto questa parola ospite,
in quanto più conforme ai dialoghi di Platone, che possono essere
giustamente chiamati ricchi banchetti mentali, e di conseguenza gli
oratori in essi possono essere considerati come tanti ospiti. Perciò
nel Timeo le persone di quel dialogo sono espressamente chiamate
ospiti.
Iparsi, [greco: uparxis]. Il primo principio o fondamento, per così
dire, dell'essenza di una cosa. Quindi è anche il vertice
dell'essenza.
Idioma, [greco: Idioma]. La peculiarità caratteristica di una cosa.
L'immortale, [greco: To athanaton]. Secondo Platone, ci sono molti
ordini di immortalità, che pervadono dall'alto fino all'ultimo delle
cose; l'eco ultima, per così dire, dell'immoralità è vista nella
perpetuità degli interi mondani, che secondo la dottrina dell'Ospite
Eleatico nel Politico, partecipano dal Padre dell'universo. Infatti,
sia l'essere che la vita di ogni corpo dipendono da un'altra causa,
98 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
poiché il corpo non è di per sé naturalmente adatto a connettersi,
ad abbellirsi o a conservarsi. Ma l'immortalità delle anime parziali,
come la nostra, è più manifesta e più perfetta di quella dei corpi
perpetui dell'universo, come è evidente dalle numerose
dimostrazioni che ne vengono date nel Fedone e nel X° libro della
Repubblica. Infatti l'immortalità delle anime parziali ha una
sussistenza più principale, in quanto possiede in sé la causa della
permanenza eterna. Ma prima di entrambe c'è l'immortalità dei
demoni, perché questi non sfiorano la mortalità, né sono pieni della
natura delle cose che si generano e si corrompono. Più venerabile
di queste, e che essenzialmente le trascende, è l'immortalità delle
anime divine, che sono in primo luogo auto-motive, e contengono
le fonti e i principi della vita che è attribuita ai corpi, e attraverso i
quali i corpi partecipano della rinnovata immortalità. Prima di tutte
queste vi è l'immortalità degli dèi: Diotima nel Convivio non
attribuisce ai demoni un'immortalità di questo tipo. Perciò
un'immortalità come questa è separata ed esente dal tutto. Infatti,
insieme all'immortalità degli dèi, sussiste l'eternità, che è la fonte
di ogni immortalità e vita, sia di quella perpetua, sia di quella che
si dissipa nell'inesistenza. In breve, quindi, l'immortale divino è ciò
che è generativo e connettivo della vita perpetua. Non è immortale,
infatti, in quanto partecipe della vita, ma in quanto alimenta la vita
divina e divinizza la vita stessa.
Impartecipabile, [greco: To amethekton]. Ciò che non è
consustanziale a una natura inferiore. Così l'intelletto
impartecipabile è un intelletto che non è consustanziale all'anima.
Proiezione intellettuale, [greco: noera epibole]. Poiché la
percezione dell'intelletto è immediata, essendo un balzo, per così
dire, diretto verso i suoi oggetti propri, questa intuizione diretta è
espressa dal termine proiezione.
L'Intelligibile, [greco: To noeton]. Questa parola in Platone e negli
scrittori platonici ha un significato diverso: in primo luogo, tutto
99 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
ciò che è esente dai sensibili e ha la sua essenza separata da essi, è
detto intelligibile, e in questo senso l'anima è intelligibile. In
secondo luogo, è intelligibile l'intelletto, che è anteriore all'anima.
In terzo luogo, si chiama intelligibile ciò che è più antico
dell'intelletto, che alimenta l'intelligenza ed è essenzialmente
perfettivo di essa; e questo è l'intelligibile che Timeo in Platone
pone nell'ordine di un paradigma, prima dell'intelletto demiurgico e
dell'energia intellettuale. Ma al di là di questi c'è l'intelligibile
divino, che si definisce secondo l'unione divina. E’ intelligibile in
quanto oggetto del desiderio dell'intelletto, in quanto dà perfezione
e lo contiene, e in quanto è completamento dell'essere.
L'intelligibile più alto, dunque, è quello degli dèi; il secondo,
quello che è il vero essere e la prima essenza; il terzo, l'intelletto e
tutta la vita intellettuale; il quarto, l'ordine che appartiene
all'anima.
Logismos, ragionamento. Applicato alla divinità, come da Platone
nel Timeo, indica una causa distributiva delle cose.
In ragione del quale; con riferimento al quale; attraverso il quale;
secondo il quale, dal quale; o nel quale; cioè [greco: di o, uph' ou,
di ou, kath' o, ex ou]. Con il primo di questi termini, Platone è
solito denominare la causa finale; con il secondo la paradigmatica;
con il terzo la demiurgica; con il quarto la strumentale; con il
quinto la forma; con il sesto la materia.
Orecico. Questa parola deriva da [greco: orexis], appetito.
Paradigma, [greco: paradeigma]. Un modello, o ciò che fa
riferimento a una cosa.
Il perpetuo, [greco: to aidion]. Ciò che sussiste per sempre, ma con
un legame con il tempo.
Politico, [greco: politikos]. Questa parola, come giustamente
osserva il signor Sydenham nelle sue note ai Rivali, ha un
significato molto ampio ed esteso nell'uso che ne fanno Platone e
gli altri scrittori antichi di politica: comprende infatti tutti quegli
100 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
uomini di Stato o politici nelle aristocrazie e nelle democrazie, che
erano investiti, a vita o per un certo periodo di tempo, di tutta o di
una parte dell'autorità regale e del relativo potere. Vedi il Politicus.
Prudenza, [greco: Phronesis]. In Platone e negli scrittori platonici
questa parola indica spesso l'abitudine di discernere ciò che è
buono in tutte le azioni morali, e spesso significa intelligenza o
percezione intellettuale. La seguente mirabile spiegazione di questa
parola è data da Giamblico. La prudenza, avendo una sussistenza
precedente, riceve la sua generazione da un intelletto puro e
perfetto. Perciò guarda all'intelletto stesso, è perfezionata da esso e
ha questo come misura e paradigma più bello di tutte le sue
energie. Se noi abbiamo una qualche comunione con gli dèi, è
soprattutto grazie a questa virtù; e attraverso di essa siamo in
sommo grado assimilati a loro. Anche la conoscenza di ciò che è
buono, vantaggioso e bello, e dei suoi contrari, si ottiene grazie a
questa virtù; e il giudizio e la correzione delle opere da compiere
sono diretti da questa virtù. In breve, è una certa guida degli
uomini e dell'intera disposizione della loro natura; riferendosi alle
città e alle case, e alla vita particolare di ciascuno secondo un
paradigma divino, le forma secondo la migliore somiglianza,
cancellando alcune cose e purificandone altre. Così la prudenza
rende i suoi possessori simili alla divinità: Vd. Jamblichus, apud.
Stob. p. 141.
Psichico, [greco: psychikos]. Appartenente all'anima.
Scienza. Questa parola viene definita da Platone a volte come
quella che assegna le cause delle cose; a volte come quella i cui
soggetti hanno un'essenza perfettamente stabile; e insieme a
questo, unisce l'assegnazione della causa al ragionamento. A volte
la definisce ancora come quella i cui principi non sono ipotesi; e,
in base a questa definizione, afferma che c'è una scienza che risale
fino al principio delle cose. Infatti, questa scienza considera ciò
che è veramente principio come non ipotetico, ha per oggetto il
101 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
vero essere e produce i suoi ragionamenti dalla causa. Nella
seconda definizione, egli chiama scienza la conoscenza dianoetica;
nella prima, invece, assegna alla fisiologia l'appellativo di scienza.
L'arte telematica. L'arte relativa alle cerimonie mistiche.
Teurgico. Questa parola deriva da [Greco: Theourgia], ovvero
quell'operazione religiosa che divinizza colui dal quale viene
eseguita, per quanto possibile all'uomo.
Verità, [greco: aletheia]. Platone, seguendo gli antichi teologi,
considera la verità in modo multiforme.
Secondo la sua dottrina, la verità più alta è caratterizzata dall'unità
ed è la luce che procede dal bene, che conferisce purezza, come
dice nel Filebo, e unione, come dice nella Repubblica, agli
intelligibili. La verità che si colloca accanto a questa per dignità è
quella che procede dagli intelligibili e illumina gli ordini
intellettuali, e che riceve per prima un'essenza non configurata, non
colorata e senza contatto, dove si trova anche la pianura della
verità, come è scritto nel Fedro. Il terzo tipo di verità è quello che è
connaturato alle anime e che, attraverso l'intelligenza, entra in
contatto con il vero essere. Infatti, la luce psichica è la terza, quella
che proviene dall'intelligibile; l'intellettuale trae la sua pienezza
dalla luce intelligibile, e la psichica da quella intellettuale. L'ultimo
tipo di verità è quello che è pieno di errori e imprecisioni a causa
del senso e dell'instabilità del suo oggetto. La natura materiale,
essendo così, è in continuo movimento e non è naturalmente adatta
a fermarsi nemmeno per un momento.
La seguente bella descrizione del terzo tipo di verità, quella che
sussiste nelle anime, è data da Giamblico: "La verità, come dice il
nome, si converte agli dei e alla loro energia incorporea; ma
l'imitazione doxastica, come dice Platone, crea immagini, vaga su
ciò che è privo di divinità ed è oscuro. La prima riceve la sua
perfezione nelle forme intelligibili e divine e negli esseri reali che
hanno un'unica e perpetua sussistenza; la seconda, invece, guarda
102 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
a ciò che è informe e non è, avendo una diversa sussistenza, e su
questo la sua forza visiva è smussata. Il primo contempla ciò che
è, ma il secondo assume la forma che appare ai molti. Perciò il
primo si associa all'intelletto e accresce la natura intellettiva cui
noi tendiamo; ma il secondo, guardando a ciò che sembra sempre
essere, va a caccia di follie e inganni". Jamblichus, apud Stob. p.
136.
103 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
104 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
105 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
IL CREDO DEL FILOSOFO NEOPLATONICO
Pubblichiamo il “Credo del filosofo neoplatonico” di Thomas Taylor,
colui che è stato definito, non senza enfasi, “Il moderno Platone”,
“L’apostolo del Paganesimo” e “Il sacerdote pagano dell’Inghilterra”
(cfr. Manly P. HALL. Introductory essay a: THOMAS TAYLOR, The
theoretic arithmetic ofthe Pythagoreans, Samuel Weiser, New York, 1972,
p.VI). (Il “Credo” è stato pubblicato per la prima volta sulla rivista
IGNIS n. 2 1991)
1) CREDO in una causa prima di tutte le cose, la cui natura è così
immensamente trascendente da essere anche al di sopra
dell’essenza; e che di conseguenza ad essa non si possa a rigore
dare un nome, non se ne possa parlare e non se ne possa concepire
un’opinione, né possa essere conosciuta o percepita da un qualsiasi
essere.
2) Credo, comunque, che qualora fosse lecito dare un nome a ciò
che è veramente ineffabile, sarebbe più adeguato chiamarlo l’Uno
e il Bene, il primo per indicare che si tratta del principio di tutte le
cose ed il secondo perché si tratta del desiderio ultimo di tutte le
cose.
3) Credo che questo principio immenso abbia generato in modo
che siano più simili ad esso quelle cose che per prime ne derivano
e gli sono prossime, come il calore che procede immediatamente
dal fuoco è più simile al calore del fuoco e più simile la luce che
emana immediatamente dal sole è più simile a quella che il sole
essenzialmente contiene. Pertanto questo principio genera
direttamente molti principii da sé.
4) Credo quindi che poiché tutte le cose differiscono tra loro e si
moltiplicano n virtù delle loro specifiche differenze, ciascuna di
106 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
queste moltitudini dipende dal proprio principio corrispondente. In
conseguenza, tutte le cose belle, sia nelle anime o nei corpi,
dipendono da un’unica fonte della bellezza. E tutto ciò che
possiede simmetria, ciò che è vero, e tutti i principii sono per un
certo verso maturati al primo principio per il loro essere principii,
secondo un’appropriata gerarchia ed analogia. E tutti gli altri
principii sono compresi in questo primo principio, non secondo
intervallo o moltitudine, ma come parti nel tutto e come numeri
nella monade.
Questo principio non è determinato come ciascuno degli altri; per
questo, uno è il principio della bellezza, un altro quello della verità,
ed un altro di qualsiasi altra cosa, ma esso è semplicemente il
principio. Non il principio degli esseri, ma il principio dei
principii, essendo necessario che la proprietà caratteristica del
principio, alla stessa maniera delle altre cose, non abbia principio
dalla moltitudine, ma sia raccolta nella monade come in un vertice
che è il principio dei principii.
5) Credo quindi che quelle cose che vengono generate dal primo
bene in conseguenza del loro essere connaturate ad esso, non
recedono dalla bontà essenziale, dal momento che sono
inamovibili ed inalterate e stabilite eternamente nella stessa
beatitudine. Tutte le altre nature, tuttavia, essendo generate da un
singolo bene e da molte bontà, dal momento che cadono al di fuori
dalla bontà essenziale e non sono stabilite in modo inamovibile
nella sua divina natura, posseggono per tale ragione il bene
soltanto per partecipazione.
6) Credo che tutte queste cose, se considerate dal punto di vista
causale sussistenti in questo immenso principio, sono in modo
trascendente maggiormente eccellenti che se vengono considerate
quali effetti che da esso procedono; questo principio può essere
107 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
propriamente ritenuto essere tutte le cose ed antecedente a tutto;
tale antecedenza significa assoluta trascendenza. Come un numero
può essere ritenuto sussistere occultamente nella monade, ed il
cerchio nel centro, così questo essere occulto esiste in ogni cosa in
modo causale.
7) Credo che il modo più giusto di venerare questo grande
principio dei principii sia di estendere in silenzio le ineffabili
produzioni dell’anima alla sua ineffabile appercezione; e che se è
lecito celebrarlo, deve essere celebrato come l’oscurità tre volte
sconosciuta, il dio di tutti gli dei, l’unità di tutte le unità, più
ineffabile di ogni silenzio, più occulto di ogni essenza, più sacro di
ogni cosa sacra e nascosto nella sua prima progenie, gli dei
intelligibili.
8) Credo che le nature che sussistono da sole sono la prole
immediata di questo principio, se è lecito chiamare in tal modo gli
enti che dovrebbero piuttosto essere chiamati ineffabili
spiegamenti nella luce dell’ineffabile.
9) Credo che le forme incorporee o idee insite in un intelletto
diviso sono o paradigmi o modelli di ogni casa che sussiste
perpetuamente secondo natura. E che queste idee sussistono in
primo luogo negli intelletti più alti, in secondo luogo nelle anime
ed infine nelle nature sensibili; sussistono in ognuna di queste
nature, avendo il carattere delle proprietà essenziali degli esseri in
cui sono contenute. E possiedono un potere paterno, generativo,
tutelare, connettivo, perfettivo ed unificante, e nelle cose divine un
potere operativo e gnostico! Nella natura un potere operativo ma
non gnostico; e nelle anime umane nella loro condizione attuale, a
causa della degradazione dell’intelletto, un potere gnostico ma non
operativo.
108 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
10) Credo che questo mondo, che dipende dal suo artefice divino e
che è esso stesso un mondo intelligibile, colmo delle idee
archetipiche di tutte le cose, fluisce in perpetuo e sempre procede
verso l’essere e, in confronto con il suo paradigma, non possiede la
stabilità e la realtà dell’essere. Considerato tuttavia come animato
da un’anima divina e come ricettacolo delle divinità da cui
dipendono i corpi, esso viene giustamente chiamato, da Platone, un
dio beato.
11) Credo che il grande corpo di questo mondo che sussiste nella
dispersione perpetua dell’estensione temporale, può propriamente
essere chiamato un tutto con una sussistenza totale, oppure il tutto
del tutto, a causa della sua durata perpetua, anche se essa non è
altro che un flusso eterno. Gli altri mondi che esso contiene sono le
sfere celesti, la sfera dell’etere, l’intera aria considerata come una
vasta sfera, l’intera terra e l’intero mare. Queste sfere sono parti
aventi la sussistenza di un tutto ed in virtù di tale sussistenza sono
perpetue.
12) Credo che non tutte le parti dell’universo siano in grado di
partecipare in modo uguale alla provvidenza divina, ma alcune di
esse ne godono eternamente ed altre temporaneamente, alcune
primariamente ed altre secondariamente; perché essendo l’universo
un tutto perfetto, deve avere una prima, una media ed un’ultima
parte. Ma le sue prime parti, avendo una sussistenza maggiormente
eccellente, debbono esistere sempre in conformità alla natura,
mentre le sue ultime parti debbono esistere talora in accordo con la
natura e talora in disaccordo con essa. Pertanto i corpi celesti, che
sono le prime parti dell’universo, sussistono perpetuamente in
accordo con la natura, sia come sfere in sé complete, sia come
moltitudine (di esseri) ad esse collegata; e l’unica alterazione che
109 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
possono subire consiste in un mutamento di figura e in una
variazione di luminosità in periodi differenti. Nella zona sublunare,
tuttavia, mentre le sfere degli elementi, in considerazione della loro
completezza, si accordano sempre con la natura, le relative parti
hanno una esistenza talvolta conforme alla natura e talvolta
difforme da essa, per il motivo che solo in questo modo il circolo
della generazione rivela tutta la verità che contiene. Io credo,
quindi, che i differenti periodi in cui avvengono questi
cambiamenti vengono molto giustamente chiamati da Platone
periodi di fertilità e sterilità. Ciò perché in questi periodi si verifica
la fertilità o la sterilità di uomini, animali e piante; in modo che nei
periodi fertili l’umanità sarà piò-numerosa e nel complesso
superiore mentalmente e fisicamente agli uomini del periodo arido.
Un ragionamento simile deve essere esteso anche agli animali
irrazionali ed alle piante. Credo che anche per l’umanità la
conseguenza più spaventosa di un periodo sterile consiste nella
mancanza di una teologia scientifica e nella negazione
dell’esistenza della diretta progenie della causa ineffabile di tutte le
cose.
13) Credo che come il mondo, considerato come un grande
onnicomprensivo Tutto, è un divino essere animato, così
costituisce un mondo anche ciascuno degli enti che esso contiene;
un mondo che possiede in primo luogo una unità in sé perfetta, che
procede dall’ineffabile e per mezzo del quale diventa un dio,
secondariamente, un intelletto divino ed in terzo luogo un corpo
divinizzato. Credo che ciascuno di questi enti è la causa che
produce tutta la moltitudine che esso contiene e che per questo
motivo è detto essere una totalità antecedente le parti; perché è
ritenuto possedere una forma eterna che tiene unite le sue parti e
conferisce all’intero una sussistenza perpetua, e non è bisognoso di
alcuna parte in virtù della perfezione del suo essere. E credo che
110 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
consegua, in forza di una necessità geometrica, che questi enti, che
si collocano così in alto nell’universo, debbano essere animati.
14) Credo quindi che dopo l’immenso principio dei
principii nel quale tutte le cose sussistono causalmente, immerse
nella luce super-essenziale ed involte in profondità
incommensurabili, proceda una serie magnifica di principii, tutti
ampiamente partecipi dell’ineffabile, tutti segnati con gli occulti
caratteri della divinità e tutti in possesso di una pienezza
traboccante di bene. E che da queste vette abbaglianti, da queste
ineffabili fioriture e da queste divine promanazioni dipendono
l’essere, la vita, l’intelletto, l’anima, la natura e il corpo: monadi
che dipendono dalle unità, nature deificate che dipendono dalle
deità. Ciascuna di queste monadi è il principio di una serie che si
estende fino all’ultima delle cose e che, mentre ne procede, allo
stesso tempo vi dimora e vi fa ritorno.
Quindi tutti gli esseri procedono dal primo e sono compresi in
esso; tutti gli intelletti sono emanati dal primo intelletto; tutte le
nature sbocciano da una prima natura; e tutti i corpi procedono dal
vivente e luminoso corpo del mondo. Tutte queste grandi monadi
sono comprese nella prima, dalla quale loro e le serie di esseri che
ne dipendono sono tratti alla luce. E pertanto la prima Unità è
veramente l’unità delle unità, la monade delle monadi, il principio
dei principii, il dio degli dei, l’uno e il tutto e tuttavia l’uno
anteriore a tutto.
15) Credo anche che l’uomo è un microcosmo che
comprende in sé parzialmente ogni cosa che il mondo contiene
divinamente e totalmente. Pertanto egli è dotato in un intelletto che
continua ad esistere in atto, e di un’anima razionale che procede
dalle stesse cause dalle quali procedono l’intelletto e l’anima
dell’universo. E perciò credo che egli sia parimenti dotato di un
111 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
ente etereo analogo a quello dei cieli, e di un corpo terrestre
composto di quattro elementi correlato con quello eterico.
16) Credo che la parte razionale dell’uomo, nella quale
consiste la sua essenza, costituisca un autonomo principio di
movimento e che abbia sussistenza tra l’intelletto, che è immobile
sia in essenza che in atto, e la natura che muove e viene mossa.
17) Credo che l’anima umana così come ogni anima
presente nel mondo si avvale di periodi ciclici e di reintegrazioni
della sua propria vita. In conseguenza del suo essere commisurata
dal tempo, essa agisce e possiede un movimento proprio. Ma ogni
cosa che viene perpetuamente mossa e partecipa del tempo, ritorna
ciclicamente, procedendo da uno stesso principio e verso il
medesimo.
18) Credo anche che l’anima umana, rientrando nella
categoria di quelle anime che qualche volta seguono le divinità del
mondo per via del suo collocarsi immediatamente dopo i daimoni e
gli eroi che sono sempre al cospetto degli dei, possiede un potere
di discendere indefinitamente nella regione sublunare e di risalire
di là al vero essere. In conseguenza di ciò, l’anima che vive sulla
terra si trova in una condizione di caduta, in un’apostasia della
divinità ed in un esilio dalla sfera della luce. Essa può essere
risanata mentre vive in terra e resa capace, dopo la morte, di
ascender nuovamente al mondo intelligibile, soltanto dall’esercizio
delle virtù catartiche teoretica, la prima purificandola dalla
contaminazione della natura mortale e la seconda elevandola alla
visione del vero essere. Una tale anima ritorna, dopo la morte, alla
sua stella affine dalla quale è caduta e gode di una vita beata.
112 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
19) Credo che l’anima umana contiene in essenza ogni
conoscere e che qualsiasi conoscenza essa acquisti nella presente
vita non sia altro che un riacquistare ciò che essa aveva già
posseduto e che l’impegno conoscitivo rievoca dai suoi ascosi
recessi.
20) Credo anche che l’anima subisca in futuro un castigo
per i crimini commessi nella vita presente; ma questa punizione è
proporzionata ai crimini e non eterna, in quanto la divinità punisce
non per collera o vendetta, ma al fine di purificare l’anima
colpevole e ripristinarla nella perfezione che è propria della sua
natura.
21) Credo inoltre che nel dipartirsi dalla presente vita
l’anima, se non adeguatamente purificata, passerà in altri corpi
terrestri; e che se passa in un corpo umano diviene l’anima di esso.
Ma se trasmigra nel corpo di una bestia, essa non diviene l’anima
di essa ma viene esternamente connessa con l’anima bestiale allo
stesso modo in cui i daimoni preposti sono connessi al genere
umano nelle loro benefiche operazioni, poiché la parte razionale
non diventa mai l’anima della natura irrazionale.
22) Credo infine che le anime che vivono in conformità alla
virtù saranno felici in diversi aspetti; e che, una volta separate dalla
natura irrazionale e purificate da ogni corporeità, saranno unite agli
dei e governeranno il mondo intero insieme alle divinità dalle quali
esso è stato fatto.
113 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
INTRODUZIONE AI MISTERI DEGLI EGIZI DEI CALDEI
DEGLI ASSIRI
Mi sembra che ci siano due categorie di persone per le quali la
presente opera deve essere considerata di valore inestimabile: gli
amanti dell'antichità e gli appassionati di filosofia e religione
antiche. Per i primi deve essere inestimabile, perché è ricca di
informazioni derivate dai saggi dei Caldei, dai profeti Egizi, dai
dogmi Assiri e dalle antiche conoscenze di Hermes; e a questi
ultimi per le dottrine in esso contenute, alcune delle quali, originate
da Hermes Trismegisto, furono conosciute da Pitagora e Platone e
furono le fonti della loro filosofia; altre sono profondamente
teologiche e svelano i misteri dell'antica religione con
un'ammirevole concisione di dizione e un inimitabile vigore ed
eleganza di concezione. A ciò si può aggiungere, come motivo di
eccellenza, che è la più copiosa, la più chiara e la più soddisfacente
difesa esistente della genuina teologia antica.
Questa teologia, le cui operazioni sacre chiamate teurgia sono qui
sviluppate, è stata per la maggior parte, dopo la sua distruzione,
rilevata solo nelle sue corruzioni tra le nazioni barbare, o durante il
declino e la caduta dell'impero romano, con il quale, sopraffatta
dalle deturpazioni, cadde gradualmente, fino a scomparire
completamente da quella che è chiamata la parte nobile del globo.
Tutto questo susciterà nel lettore intelligente i seguenti
interrogativi, che sono un'epitome di ciò che è stato altrove più
ampiamente discusso da me su questo argomento, e che
dimostrano anche che la religione dei Caldei, degli Egizi e dei
Greci non era meno che scientifica ma anche più sublime.
114 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
In primo luogo, questa teologia celebra l'immenso principio delle
cose come qualcosa di superiore persino all'essere stesso; come
esente dall'Insieme delle cose, ma di cui tuttavia è ineffabilmente
la fonte; e non ritiene quindi opportuno enumerarlo con alcuna
triade o ordine di esseri. Anzi, si scusa per aver dato l'appellativo
della più semplice delle nostre concezioni a ciò che è al di là di
ogni conoscenza e di ogni concezione, chiamando questo principio
o concezione l'uno e il bene; con il primo di questi nomi indica la
sua semplicità trascendente, e con il secondo la sua sussistenza
come oggetto di desiderio per tutti gli esseri. Infatti, tutte le cose
aspirano al bene. Allo stesso tempo, però, afferma che questi
appellativi non sono in realtà altro che partizioni dell'anima, che,
stando per così dire nei vestiboli della divinità, non annunciano
nulla che riguardi l'ineffabile, ma indicano solo le sue tendenze
spontanee verso di esso, e appartengono piuttosto alla discendenza
immediata del primo Dio che allo stesso Uno.
Quindi, come risultato di questa venerabilissima concezione del
supremo, quando ci si prova non solo a denominarlo, benché
ineffabile, ma anche ad affermare qualcosa della sua relazione con
le altre cose, considera come sua peculiarità preminente il fatto di
essere il principio dei principi; essendo necessario che la proprietà
caratteristica del principio, allo stesso modo delle altre cose, non
ha nulla in comune con la moltitudine, ma si raccolga al vertice in
una monade, che è il principio di tutti i principi.
Il ragionamento scientifico da cui si deduce questo dogma è il
seguente. Poiché il principio di tutte le cose è l'uno, è necessario
che la progressione degli esseri sia continua e che non intervenga
alcun vuoto né nelle nature incorporee né in quelle corporee. È
anche necessario che ogni cosa che ha una progressione naturale
proceda per similitudine. In conseguenza di ciò, è necessario che
ogni principio produttore generi un numero dello stesso ordine,
cioè della natura, un numero naturale; l'anima, l’uno psichico (cioè
115 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
appartenente all'anima); e l'intelletto un numero intellettuale.
Infatti, se qualsiasi cosa possieda il potere di generare, genera i
simili prima dei dissimili, ogni causa deve rilasciare alla sua
progenie la propria forma e la propria peculiarità caratteristica; e
prima di generare ciò che dà sussistenza alle progressioni, lontano
e separato dalla sua natura, deve costituire cose vicine a sé secondo
l'essenza, congiunte con essa attraverso la similitudine. Da queste
premesse è dunque necessario, poiché esiste un'unità, principio
dell'universo, che questa unità produca da sé, prima di ogni altra
cosa, una moltitudine di nature caratterizzate dall'unità, e un
numero massimo di tutte le cose alleate alla sua causa; e queste
nature non sono altro che gli Dei.
Secondo questa teologia, dunque, dall'immenso principio dei
principi, in cui tutte le cose sussistono causalmente, assorbite dalla
luce super-essenziale e coinvolte in profondità insondabili, procede
una splendida progenie di principi, tutti largamente partecipi
dell'ineffabile, tutti improntati ai caratteri occulti della divinità,
tutti dotati di una traboccante pienezza di bene. Da queste cime
abbaglianti, da questi fiori ineffabili, da queste propagazioni
divine, dipendono l'essere, la vita, l'intelletto, l'anima, la natura e il
corpo; monadi sospese, nature deificate che procedono dalla
divinità. Ognuna di queste monadi, inoltre, è a capo di una serie
che si estende da sé fino all'ultima delle cose e che, mentre procede
dona, allo stesso tempo rimane e ritorna al suo capo. E tutti questi
principi, e tutta la loro progenie, sono infine centrati e radicati per i
loro vertici nel primo grande principio onnicomprensivo. Così tutti
gli esseri procedono e sono compresi nel primo essere: tutti gli
intelletti emanano da un primo intelletto; tutte le anime da una
prima anima; tutte le nature sbocciano da una prima natura; e tutti i
corpi procedono dal corpo vitale e luminoso del mondo. Infine,
tutte queste grandi monadi sono comprese nella prima, dalla quale
si dispiegano alla luce sia esse che tutte le loro serie dipendenti.
116 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Perciò questa prima è veramente l'unità delle unità, la monade
delle monadi, il principio dei principi, il Dio degli Dei, una e tutte
le cose, e anche una prima di tutte.
Nessuna obiezione di un qualche peso, nessun argomento se non
quelli sofistici, può essere sollevato contro questa teoria sublime,
che è così congeniale alle concezioni non corrotte della mente
umana, che può essere trattata con ridicolo e disprezzo solo in
epoche degradate, aride e barbare. L'ignoranza e l'empia frode,
tuttavia, hanno finora cospirato per diffamare quelle opere
inestimabili in cui questo e molti altri dogmi grandiosi e importanti
si trovano; e la teologia degli antichi è stata attaccata con tutta la
furia folle dello zelo ecclesiastico e con tutti i lampi imbecilli di
un'arguzia deviata, da uomini le cui concezioni sull'argomento,
come quelle di un uomo tra il sonno e la veglia, sono state torbide
e selvagge, fantastiche e confuse, assurde e vane.
In effetti, è vero che dopo la grande causa incomprensibile di tutto,
esista una moltitudine divina che coopera con questa causa nella
produzione e nel governo dell'universo, è sempre stato ed è tuttora
ammesso da tutte le nazioni e da tutte le religioni, per quanto
possano differire nelle loro opinioni riguardo alla natura delle
divinità subordinate e alla venerazione che deve essere loro
tributata dall'uomo; per quanto barbare possano essere le
concezioni di alcune nazioni su questo argomento, se confrontate
con quelle di altre. Perciò, dice l'elegante Massimo di Tiro, "vedrai
una sola legge e affermazione in tutta la terra, che c'è un solo Dio,
re e padre di tutte le cose, e molti dei, figli di Dio, che governano
insieme a lui". Questo dicono il greco e il barbaro, l'abitante del
continente e colui che abita vicino al mare, il saggio e lo
sprovveduto. E se ti spingi fino alle sponde estreme dell'oceano,
anche lì ci sono degli Dei, che sorgono molto vicino ad alcuni e
tramontano molto vicino ad altri.
117 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
La divinizzazione di uomini morti e l'adorazione di uomini come
dèi non fanno parte di questa teologia, se considerata secondo la
sua genuina purezza. Si potrebbero addurre numerosi esempi della
verità di ciò, ma citerò a questo scopo, come testimoni ineccepibili,
gli scritti di Platone, i Versi d’Oro di Pitagora e il Trattato di
Plutarco su Iside e Osiride. Tutte le opere di Platone, in effetti,
dimostrano la verità di questa filosofia, ma ciò è particolarmente
evidente nelle sue Leggi. I versi aurei ordinano di onorare prima
gli dei immortali, come sono disposti dalla legge; poi gli eroi
illustri, sotto il cui appellativo l'autore dei versi comprende anche
gli angeli e i demoni, propriamente detti; e infine i demoni
terrestri, cioè gli uomini buoni che superano in virtù il resto del
genere umano. Ma onorare gli dèi come sono disposti dalla legge
significa, come osserva Ierocle, venerarli come è disposto dal loro
demiurgo e padre; e questo significa onorarli come esseri non solo
superiori all'uomo, ma anche ai demoni e agli angeli. Quindi,
onorare gli uomini, per quanto eccellenti possano essere, come dei,
non significa onorare gli dei secondo il rango in cui sono collocati
dal loro Creatore; perché è confondere la natura divina con quella
umana, e quindi agire direttamente in contrasto con il precetto
pitagorico. Anche Plutarco, nel suo trattato sopra menzionato,
mostra con grande forza e chiarezza l'empietà di adorare gli uomini
come dèi.
"I pagani avevano una così grande consapevolezza della necessità
di compiere atti appropriati di culto divino", dice il dottor
Stillingfleet, "che alcuni di loro hanno scelto di morire, piuttosto
che darli a ciò che non credevano essere Dio". Abbiamo una storia
notevole a questo proposito in Arriano e Curziot a proposito di
Callistene. Quando Alessandro giunse a un tale grado di vanità da
desiderare che gli venisse tributato il culto divino, e la questione fu
avviata di proposito tra i cortigiani, o da Anassarco, come dice
Arriano, o da Cleo, come dice Curzio; e fu proposto il modo di
118 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
farlo, cioè con l'incenso e la prostrazione, Callistene si oppose con
veemenza, in quanto ciò avrebbe confuso la differenza tra il culto
umano e quello divino, che era stato mantenuto inviolabile tra di
loro. Il culto degli dei era stato mantenuto nei templi, con altari,
immagini, sacrifici, inni, prostrazioni e simili; ma non è affatto
opportuno, dice, che noi confondiamo queste cose, né innalzando
gli uomini agli onori degli dei, né abbassando gli dei agli onori
degli uomini. Infatti, se Alessandro non avrebbe permesso ad
alcuno di usurpare la sua dignità regale con i voti degli uomini,
quanto più giustamente gli Dei potrebbero disdegnare che un uomo
si appropriasse dei loro onori. E Plutarco afferma che i Greci
ritenevano una cosa meschina che qualcuno di loro, inviato in
ambasciata presso i re di Persia, si prostrasse davanti a loro, perché
questo era permesso solo in segno di adorazione divina. Perciò,
dice, quando Pelopide e Ismene furono inviati da Artaserse,
Pelopide non fece nulla di indegno, ma Ismene lasciò cadere a terra
il suo anello e, chinandosi, si pensava che facesse la sua
adorazione; il che era un'idea tanto buona quanto quella dei gesuiti
che consigliano di tenere il crocifisso in mano ai mandarini mentre
fanno le loro adorazioni nei templi pagani in Cina.
Anche Conone si rifiutò di fare la sua adorazione, come disonore
per la sua città; e Isocrate accusa i Persiani di averlo fatto, perché
in questo modo mostravano di disprezzare gli dei piuttosto che gli
uomini, prostituendo gli onori ai loro principi. Erodoto cita Sperchi
e Bulis, che non poterono essere portati con la massima violenza a
rendere adorazione a Serse, perché era contro la legge del loro
Paese rendere onori divini agli uomini. E Valerio Massimo dice
che "gli Ateniesi misero a morte Timagora per lo stesso motivo;
era così forte in loro l'apprensione che il modo di adorare i loro dei
dovesse essere conservato sacro e inviolabile". Anche il filosofo
Sallustio, nel suo Trattato sugli dei e sul mondo, dice: "Non è
irragionevole supporre che l'empietà sia una specie di punizione, e
119 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
che coloro che hanno avuto una conoscenza degli dei, eppure li
hanno disprezzati, in un'altra vita saranno privati di questa
conoscenza. Ed è necessario che la punizione di coloro che hanno
onorato i loro re come dei consista nell'essere espulsi dagli dei”.
Quando l'ineffabile trascendenza del primo Dio, considerata come
il grande principio della religione pagana dai migliori teologi di
tutte le nazioni, e in particolare dai suoi più illustri promulgatori,
Orfeo, Pitagora e Platone, fu dimenticata, questa dimenticanza fu
senza dubbio la causa principale della divinizzazione dei morti da
parte dei Pagani. Se avessero rivolto correttamente la loro
attenzione a questa trascendenza, avrebbero percepito che essa è
così immensa da superare l'eternità, l'infinito, l'autosussistenza e
persino l'essenza stessa, e che queste appartengono in realtà a
quelle venerabili nature che sono, per così dire, svelate per la
prima volta alla luce dalle insondabili profondità di quell'ignoto
veramente mistico, sul quale ogni conoscenza è restituita
all'ignoranza. Infatti, come osserva giustamente Simplicio, "è
necessario che colui che sale al principio delle cose indaghi se è
possibile che ci sia qualcosa di migliore del principio supposto; e
se si trova qualcosa di più eccellente, si deve fare di nuovo la
stessa indagine su quello, finché non si arriva alle concezioni più
alte, di cui non abbiamo più nulla di venerabile. Né dobbiamo
fermarci nella nostra ascesa finché non troviamo questo. Non c'è
infatti motivo di temere che la nostra progressione avvenga
attraverso un vuoto inconsistente, concependo qualcosa sui principi
primi che sia più grande e più trascendente della loro natura.
Infatti, non è possibile che le nostre concezioni facciano un salto
così grande da eguagliare, e tanto meno superare, la dignità dei
principi primi delle cose". E aggiunge: "Questa, dunque, è una
delle migliori estensioni [dell'anima] verso Dio [altissimo] ed è,
per quanto possibile, irreprensibile; cioè sapere fermamente che,
attribuendogli le più venerabili eccellenze che possiamo concepire
120 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
e i nomi e le cose più sante e primarie, non gli attribuiamo nulla
che sia adatto alla sua dignità. È sufficiente, tuttavia, per ottenere il
nostro perdono [per il tentativo], che non possiamo attribuirgli
nulla di superiore".
Se non è possibile, dunque, formarsi alcuna idea all'altezza della
dignità della progenie immediata dell'ineffabile, cioè dei principi
primi delle cose, quanto meno le nostre concezioni possono
raggiungere quella tenebra tre volte sconosciuta, nel linguaggio
reverenziale degli Egizi, che è persino al di là di questi? Se i
pagani, dunque, avessero considerato come dovevano questa
trascendenza del Dio supremo, non avrebbero mai presunto di
equiparare la natura umana a quella divina e, di conseguenza, non
avrebbero mai adorato gli uomini come dei. La causa di questa
empietà, tuttavia, non è da imputare alla loro teologia, ma alla loro
dimenticanza del più sublime dei suoi dogmi e alla confusione che
questa dimenticanza necessariamente comportava.
Ma torniamo al presente lavoro. Ad alcuni che conoscono gli scritti
di Porfirio, che sanno che egli si colloca tra i migliori platonici e
che per la sua eccellenza fu chiamato da loro il filosofo, può
sembrare strano che egli fosse così poco esperto di misteri
teologici e così ignorante delle caratteristiche degli esseri superiori
all'uomo, come può sembrare dalla sua epistola ad Anebo. Che in
realtà non fosse così sprovveduto e ignorante, è evidente dal suo
mirabile “Trattato sull'astinenza dal cibo animale” e dalla sua
opera sugli Intelligibili. La sua apparente ignoranza, quindi, deve
essere stata assunta allo scopo di ottenere una soluzione più
perfetta e copiosa dei dubbi proposti nella sua epistola, di qu
121 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
anto avrebbe altrimenti ricevuto. Ma se da un lato si ammette
questo, dall'altro si deve osservare che egli era inferiore a
Giamblico nella scienza teologica, il quale eccelleva talmente tanto
in questo genere di conoscenze, da non essere superato da nessuno
e da essere eguagliato da pochi. Per questo fu chiamato da tutti i
platonici successivi il divino, allo stesso modo di Platone, "al
quale", come osserva l'acuto imperatore Giuliano, "era posteriore
solo nel tempo, ma non nel genio".
Le difficoltà che comporta la traduzione di quest'opera in inglese
sono necessariamente grandi, non solo per la sua sublimità e
novità, ma anche per i difetti dell'originale. Tuttavia, ho cercato di
rendere la traduzione il più fedele e completa possibile; e mi sono
occasionalmente avvalso delle annotazioni di Gale, non potendo
farlo continuamente, perché per la maggior parte, quando si tratta
di filosofia, egli si dimostra un impreciso, impertinente e sgarbato
chiacchierone.
122 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
123 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
PLOTINO
Introduzione
Può sembrare meraviglioso che la lingua, che è l'unico metodo per
trasmettere le nostre concezioni, sia allo stesso tempo un ostacolo
al nostro progresso in filosofia; ma la meraviglia cessa quando
consideriamo che essa è raramente studiata come veicolo di verità,
ma è troppo spesso stimata per se stessa, indipendentemente dalla
sua connessione con le cose. Questa osservazione è notevolmente
verificata nella lingua greca che, essendo l'unica depositaria
dell'antica saggezza, è stata, purtroppo per noi, il mezzo per
nascondere, in una vergognosa oscurità, le ricerche più profonde e
le verità più sublimi. Che le parole non abbiano altro valore se non
quello di essere asservite alle cose, deve essere sicuramente
riconosciuto da ogni mente liberale, e sarà contestato solo da chi ha
trascorso il fiore della sua vita, e consumato il vigore della sua
comprensione, in critiche verbali e sciocchezze grammaticali. E, se
così fosse, ogni amante della verità studierebbe una lingua solo per
procurarsi la saggezza che essa contiene, e senza dubbio
desidererebbe che la sua lingua nativa la trasmettesse agli altri.
Infatti, poiché tutta la verità è eterna, la sua natura non può mai
essere alterata dalla trasposizione, anche se con questo mezzo la
sua veste può essere variata e diventare meno elegante e raffinata.
Forse anche a questo inconveniente si può porre rimedio con una
seducente coltivazione; almeno, l'incapacità particolare di alcuni
non deve scoraggiare gli sforzi ben intenzionati di altri. Chiunque
legga le vite degli antichi eroi della filosofia deve convincersi che
essi studiavano le cose più che le parole, e che la Verità era l'unico
oggetto finale della loro ricerca; e chi desidera emulare la loro
gloria e partecipare alla loro saggezza, studierà le loro dottrine più
che il loro linguaggio, e valuterà la profondità della loro
124 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
comprensione ben oltre l'eleganza della loro composizione. Il
fascino nativo della Verità sarà sempre sufficiente ad allettare la
mente veramente filosofica; e colui che ha scoperto i suoi rifugi si
sforzerà sicuramente di fissare un segno che permetta agli altri di
individuarli.
Ma, sebbene i danni derivanti dallo studio delle parole siano
prodigiosi, non dobbiamo considerarli come l'unica causa che
oscura gli splendori della Verità e ostacola la libera diffusione
della sua luce. Diverse maniere e filosofie hanno ugualmente
contribuito a bandire la dea dai nostri regni e a rendere i nostri
occhi offesi dalla sua luce celeste. Non dobbiamo quindi
meravigliarci se, indignata dal cambiamento e vedendo l'impero
dell'ignoranza salire a un dominio illimitato, si sia ritirata dalle
tenebre dilaganti e si sia nascosta nelle regioni tranquille e
divinamente lucide della mente. Basta infatti dare un'occhiata alle
attività moderne per convincersi di quanto poco siano legate alla
saggezza. Infatti, descrivere la natura di un luogo particolare, la
forma, la situazione e la grandezza di una certa città; tracciare i
percorsi di un fiume fino alla sua sorgente, o delineare l'aspetto di
un'amena montagna; calcolare la finezza dei fili del baco da seta e
disporre i colori sgargianti delle farfalle; in breve, inseguire la
materia attraverso le sue infinite varietà e vagare nei suoi oscuri
labirinti, è l'impiego della filosofia in voga. Ma sicuramente le
energie dell'intelletto sono più degne del nostro interesse rispetto
alle operazioni del senso; e la scienza degli universali, permanenti
e fissi, deve essere superiore alla conoscenza dei particolari, fugaci
e fragili. Dove si può trovare un oggetto sensibile che rimanga
sempre uguale a se stesso, che non si innalzi verso la perfezione o
che non si avvii verso la decadenza, che non sia mescolato e
confuso con il suo contrario, la cui natura fluente nessuna
resistenza può fermare, né alcuna arte può confinare? Dov'è il
chimico che, attraverso l'analisi più accurata, può arrivare ai
125 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
principi dei corpi; o che, anche se fosse così fortunato nella sua
ricerca da individuare gli atomi di Democrito, potrebbe con questo
mezzo dare tregua all’indagine mentale? Perché ogni atomo,
essendo dotato di figura, deve essere composto da parti, anche se
indissolubilmente cementate tra loro; e la causa immediata di
questo cemento deve essere qualcosa di incorporeo, altrimenti la
conoscenza non può avere stabilità e la ricerca non ha fine. Dov'è,
dice il signor Harris, il microscopio che può discernere ciò che è
più piccolo in natura? Dov'è il telescopio che può vedere in quale
punto dell'universo è iniziata la saggezza? Poiché, dunque, non c'è
porzione di materia che non possa essere oggetto di esperimenti a
non finire, abbandoniamo le regioni della mente, dove tutte le cose
sono delimitate in misura intellettuale; dove tutto è permanente e
bello, eterno e divino. Abbandoniamo lo studio dei particolari per
quello generale e completo e impariamo a vedere e riconoscere
tutto ciò che esiste.
In vista di questo auspicabile fine, ho presentato al lettore un
esempio di quella sublime saggezza che sorse dapprima nei collegi
dei sacerdoti egizi e in seguito in Grecia; che fu coltivata da
Pitagora, sotto il misterioso velo dei numeri; da Platone, sotto la
leggiadra veste della poesia; e fu sistematizzata da Aristotele, per
quanto potesse essere ridotta in ordine scientifico; che, dopo
essersi in un certo senso estinta, tornò a risplendere con il suo
splendore incontaminato tra i filosofi della scuola alessandrina; che
fu illustrata dottamente, con stile asiatico e lussureggiante, da
Proclo; che fu spiegata divinamente da Jamblico: e profondamente
espresso negli scritti di Plotino. In effetti, le opere di quest'ultimo
filosofo sono particolarmente preziose per tutti coloro che
desiderano penetrare nelle profondità di questa sapienza divina.
Per la natura eccelsa del suo genio, fu chiamato Intelletto dai suoi
contemporanei e si dice che abbia composto i suoi libri sotto
l'influenza dell'illuminazione divina. Porfirio racconta, nella sua
126 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
vita, di essere stato quattro volte unito da un'energia ineffabile alla
divinità; per quanto tale resoconto possa essere ridicolizzato
nell'epoca attuale, sarà accettato e creduto da chiunque abbia
esplorato a fondo la profondità della sua mente. La facilità e la
veemenza della sua composizione erano tali che, una volta
concepito un argomento, scriveva come posseduto da un daimon
interno, senza prestare molta attenzione all'ortografia o a rivedere
ciò che aveva scritto; infatti, il vigore celestiale del suo intelletto lo
rendeva incapace di preoccupazioni insignificanti e, sotto questo
aspetto, inferiore alla comprensione comune, come l'aquila, che nel
suo volo audace trafigge le nuvole, sfiora la superficie della terra
con meno rapidità della rondine. In effetti, un'attenzione minuziosa
alle inezie non è compatibile con il grande genio di ogni genere, ed
è per questo motivo che la comprensione è assolutamente
necessaria per la scoperta di verità assoluta di grande dignità e di
primaria importanza; infatti, come è possibile mescolarsi molto
con il mondo, senza impregnarsi delle concezioni false e puerili
della moltitudine, e senza perdere quella vera elevazione
dell'anima che disprezza relativamente ogni preoccupazione
mortale? Plotino, quindi, consapevole della scorrettezza dei suoi
scritti derivante dalla rapidità, dall'esuberanza e dall'audace
sublimità dei suoi pensieri, ne affidò la revisione al suo discepolo
Porfirio, il quale, pur essendo inferiore per profondità di pensiero
al suo maestro, per le sue straordinarie capacità linguistiche e
dottrinali fu chiamato per eminenza il Filosofo.
Il bello
Il disegno del discorso che segue è quello di portarci alla
percezione del bello in sé, anche se legato alla natura corporea; il
bello deve essere il grande fine di ogni vera filosofia, fine che
Plotino ha felicemente raggiunto. A un genio veramente moderno,
per il quale il crogiolo e la pompa d'aria sono solo gli standard
della Verità, un simile tentativo deve apparire ridicolo all'estremo.
127 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Per costoro non c'è nulla di reale se non ciò che la mano può
afferrare o l'occhio corporeo percepire, e nulla di utile se non ciò
che vizia l'appetito o riempie il portafoglio; ma purtroppo le loro
percezioni, come i fragili sogni di Omero, passano attraverso la
porta d'avorio, e di conseguenza sono vuote e fallaci, e non
contengono nulla che appartenga all'anima vigile. A costoro non si
può rivolgere un trattato sul bello, poiché l’oggetto di questo
trattato è troppo elevato per essere afferrato da chi è impegnato
nelle impurità del senso, e troppo luminoso per essere visto
dall'occhio abituato all'oscurità della visione corporea. Ma è
proprio solo per colui che è consapevole che la sua anima è
fortemente segnata dalla rovina a causa della sua unione con il
corpo; colui che si considera, nel linguaggio di Empedocle, come
"L'esiliato del cielo, che si allontana dal globo della luce";
e che desidera ardentemente il ritorno alla sua vera patria; per lui,
come per Ulisse quando combatteva per Itaca,
"Lento sembra il divertimento di muoversi, le ore di rotolare;
La sua casa natale immaginata nel profondo dell'anima" (Omero,
Iliade),
A questo punto è necessario osservare che la nostra ascesa a questa
regione della Bellezza deve avvenire per gradi, poiché, a causa
della nostra associazione con la materia, è impossibile passare
direttamente, e senza un mezzo, a questa perfezione trascendente;
ma dobbiamo procedere in modo simile a coloro che passano dalle
tenebre alla luce più brillante, avanzando da luoghi bui o
moderatamente illuminati a quelli più luminosi. È quindi
necessario che acquisiamo una grande familiarità con le
contemplazioni più astratte e che il nostro occhio intellettuale sia
fortemente irradiato dalla luce delle idee che precede gli splendori
del bello stesso, come la luminosità che si vede sulla cima delle
128 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
montagne prima del sorgere del sole. Né deve sembrare strano che
debba passare un po' di tempo prima che anche l'anima possa
riconoscere la bella progenie dell'intelletto come sua parente e
alleata, poiché, dall'unione con il corpo, ha bevuto a fondo la coppa
dell'oblio e tutte le sue forze energetiche sono rimaste stupefatte
dall'inebriante sorso. Così che il mondo intelligibile, al suo primo
apparire, ci è del tutto sconosciuto e il ricordo dei suoi abitanti è
del tutto perduto; e qui ci torna familiare Ulisse al suo primo
ingresso a Itaca, di cui Omero dice:
"Eppure la sua mente, per la tediosa assenza, si era persa
Il caro ricordo della sua costa natale.
Per ora tutta la terra ha un'altra prospettiva,
Apparve un altro porto, un'altra riva,
E vie lunghe e tortuose e inondazioni e montagne sconosciute
coronate da boschi sconosciuti: fino a quando la dea della saggezza
non ci libererà gli occhi dalle nebbie del sensibile e dirà a ciascuno
di noi, come fece con Ulisse,
Ora solleva i tuoi occhi bramosi, mentre io ti restituisco la
piacevole prospettiva della tua riva natia".
Perché allora con
…la prospettiva chiara,
Le nebbie si disperdono e tutte le cose appaiono".
Supplichiamo dunque umilmente Plotino come guida divina verso
la visione beatifica del Bello stesso e seguiamo le irradiazioni della
saggezza, perché solo in questo possiamo trovare un riposo
perfetto e riparare quelle fessure distruttive dell'anima che il suo
allontanamento dalla luce del bene e la sua caduta nella natura
corporea hanno introdotto.
129 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Ma prima di concludere, ritengo necessario mettere in guardia il
lettore dal mescolare le opinioni entusiastiche moderne con le
dottrine contenute nel discorso che segue:
Non c'è alcuna differenza tra sostanza e ombra e tra l'entusiasmo
antico e quello moderno. L'oggetto del primo era il bene supremo e
la bellezza suprema; ma quello del secondo non è altro che un
fantasma sollevato da un'immaginazione smarrita, che galleggia
nell'instabile oceano dell'opinione, che si diverte con le onde del
pregiudizio e che viene alimentato dall'alito della faziosità. Come
la sostanza e l'ombra, esse possiedono una somiglianza nell'aspetto
esteriore, ma in realtà sono perfettamente opposte; perché l'una (la
sostanza) riempie la mente di un bene solido e duraturo, mentre
l'altra (l’ombra) la riempie di vuote illusioni, che, come le acque
sempre correnti delle Danaidi, scivolano via con la stessa velocità
con cui entrano, e non lasciano dietro di sé altro che i passaggi
rovinosi attraverso i quali sono fluite.
Aggiungo solo che il seguente trattato è concepito come un
esempio (che deve servire di incoraggiamento) del modo in cui
intendo pubblicare tutte le opere di Plotino. L'impresa è, ne sono
consapevole, estremamente ardua e i discepoli della saggezza sono
purtroppo pochi; ma poiché non desidero altra ricompensa per il
mio lavoro se non quella di veder ammortizzate le spese di stampa
e di veder propagata la Verità nella mia lingua madre, spero in quei
pochi mi permetteranno di realizzare i miei desideri. Perché allora,
per riprendere le parole di Ulisse,
"Questa vista è garantita, che la morte istantanea sorprenda
Con un'ombra perenne questi occhi felici! "
La bellezza consiste, per la maggior parte, negli oggetti della vista;
ma è anche ricevuta attraverso le orecchie, dalla sapiente
composizione delle parole e dalla proporzione consonante dei
130 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
suoni; infatti in ogni specie di armonia si trova la bellezza. E se dai
sensi saliamo alle regioni dell'anima, vi scorgeremo studi e uffici,
azioni e abitudini, scienze e virtù, investiti da una porzione di
bellezza molto più ampia. Ma se al di sopra di queste vi sia una
bellezza ancora più elevata, apparirà man mano che avanzeremo in
questa indagine. Che cos'è, dunque, che fa sì che i corpi appaiano
belli alla vista, i suoni belli all'orecchio, la scienza e la virtù belle
alla mente? Non possiamo quindi chiederci in che modo tutti questi
elementi partecipano alla bellezza? Se la bellezza è una sola e
identica in tutti? O se la bellezza dei corpi è di un tipo e quella
delle anime di un altro? E ancora, cosa sono queste ultime?
Oppure, che cos'è la bellezza, se è perfettamente semplice e una?
Infatti, alcune cose, come i corpi, sono indubbiamente belle non
per la natura dei soggetti in cui risiedono, ma piuttosto per una
sorta di partecipazione; ma altre sembrano essere essenzialmente
belle, o belle esse stesse; e tale è la natura della virtù. Infatti,
rispetto agli stessi corpi, essi appaiono belli a una persona e il
contrario della bellezza a un'altra; come se l'essenza del corpo
fosse una cosa diversa dall'essenza della bellezza. In primo luogo,
dunque, che cos'è ciò che, con la sua presenza, provoca la bellezza
dei corpi? Riflettiamo su ciò che attrae con più forza gli occhi degli
osservatori e li rapisce con estasi; se riuscissimo a trovare questo
elemento, potremmo forse usarlo come una scala che ci permetta di
salire nella regione della bellezza e di osservarne
l'incommensurabile estensione.
È opinione generale che una certa commistione delle parti tra loro
e con l'intero, con l'aggiunta del colore, generi quella bellezza che
è l'oggetto della vista; e che solo nella commessura e nella
moderazione consista la bellezza di ogni cosa. Ma da questa
opinione solo il composto, e non il semplice, può essere bello, le
singole parti non avranno una bellezza peculiare, e meriteranno
questo appellativo solo conferendolo alla bellezza dell'insieme. Ma
131 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
è sicuramente necessario che un insieme bello sia composto da
parti belle, perché il bello non può mai nascere dal deforme. Ma da
una simile definizione consegue che i bei colori e la luce del sole,
essendo semplici e non ricevendo la loro bellezza, non possono
essere considerati come un'opera d'arte nella comparazione,
devono essere escluse le regioni della bellezza. D'altronde, in base
a tale ipotesi, come può essere bello l'oro? O lo scintillio della
notte è spettacolo glorioso delle stelle? Allo stesso modo, i suoni
musicali più semplici saranno estranei alla bellezza, anche se in
una canzone interamente bella ogni nota deve essere bella, in
quanto necessaria all'essere dell'insieme. Ancora, dato che,
rimanendo la stessa proporzione, lo stesso volto è bello per una
persona e per un'altra è il contrario, non è forse necessario
chiamare la bellezza della proporzione un tipo di bellezza e il
paragone in sé in un altro modo, dato che la commensura è giusta
per mezzo di qualcos'altro? Ma se trasferendosi a studi belli e a
discorsi giusti, assegneranno come causa della bellezza in questi la
proporzione della misura, che cos'è quello che nelle scienze belle,
nelle leggi o nelle discipline, si chiama proporzione
commensurata? O in che modo le stesse speculazioni possono
essere chiamate reciprocamente commensurate? Se si dice a causa
della concordia intrinseca, rispondiamo che c'è una certa concordia
e consenso nelle anime malvagie, una conformità di sentimenti, nel
credere (come si dice) che la temperanza sia follia e la giustizia
generosa ignoranza.
Sembra quindi che la bellezza dell'anima sia ogni virtù, e che
questa specie di bellezza possieda una realtà molto più grande di
qualsiasi altra bellezza che abbiamo menzionato. Ma in che modo
si può trovare la giusta misura? Perché non è simile alla simmetria
né in grandezza né in numero. E poiché le parti dell'anima sono
molte, in quale proporzione e sintesi, in quale equilibrio delle parti
o concordia di speculazioni consiste la bellezza? Di che tipo è la
132 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
bellezza dell'intelletto stesso, che si astrae da ogni preoccupazione
corporea e conversa intimamente solo con se stesso?
Ripetiamo quindi la domanda: "Che cos'è la bellezza dei corpi? È
qualcosa che a prima vista si presenta al senso, e che l'anima
percepisce familiarmente e abbraccia avidamente, come se fosse
alleata a se stessa? Ma quando incontra la deformità, si allontana
frettolosamente dalla vista e si ritira disgustata dalla sua natura
discordante? Infatti, poiché l'anima nel suo stato proprio si colloca,
nell'ordine delle cose, secondo l'essenza più eccelsa, quando
percepisce un oggetto affine a se stessa, o il semplice vestigio di
una relazione affine, si congratula con se stessa per il piacevole
evento, e mostrandosi stupita per la sorprendente somiglianza entra
in profondità nella sua essenza e, risvegliando le sue potenze
sopite, alla fine ricorda perfettamente i suoi simili e alleati.
Qual è dunque la somiglianza tra la bellezza dei sensi e quella
divina? Perché se c'è una somiglianza, i rispettivi oggetti devono
essere simili. Ma in che modo sono belle le due cose? Chiamiamo
bello ogni oggetto sensibile forse perché partecipa della specie del
bello? Così, poiché tutto ciò che è privo di forma è per natura
predisposto a riceverla; ma nella misura in cui è privo di ragione e
di forma, è inferiore ed è separato dalla ragione divina, la grande
fonte delle forme; e tutto ciò che è completamente lontano da
questa fonte immortale è sicuramente inferiore e deforme. E tale è
la materia, che per sua natura è sempre avversa alle irradiazioni
sovrastanti della forma. Quando, dunque, la forma accede, concilia
in un'amichevole unità le parti che stanno per comporre un tutto;
poiché essendo essa stessa una cosa sola, non è meraviglioso che
l'oggetto del suo potere tenda all'unità, per quanto la natura di un
composto lo consenta? Perciò la bellezza si instaura nella
moltitudine quando i molti si riducono a uno, e in questo caso si
comunica sia alle parti sia al tutto. Ma quando si riceve un
particolare, composto da parti simili, esso si dona al tutto, senza
133 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
allontanarsi dall'uniformità e dall’integrità della sua natura. Così,
in uno stesso momento si comunica all'intero tuto e alle sue diverse
parti; e in un altro momento si limita a una singola cosa, e allora la
prima partecipazione deriva dalle operazioni dell'arte, ma la
seconda dalla formazione della natura. E così il corpo diventa bello
attraverso la comunione soprannaturale che proviene dalla divinità.
Ma l'anima, per il suo potere innato, che non ha nulla di più
potente, nel giudicare i suoi interessi, quando un'altra anima
partecipa alla decisione, riconosce la bellezza delle forme. E, forse,
la sua conoscenza in questo caso deriva dal fatto che adatta il suo
raggio interno di bellezza alla forma, e si affida a questo nel suo
giudizio; allo stesso modo in cui si usa una regola per decidere ciò
che è dritto. Ma come può ciò che è insito nel corpo accordarsi con
ciò che è al di sopra del corpo?
Rispondiamo chiedendo: come fa l'architetto a dichiarare bello
l'edificio applicando alla struttura esterna il tessuto della sua
anima? Forse perché l'edificio esteriore, quando è interamente
privato delle pietre, non è altro che la forma intrinseca, divisa dalla
massa esterna di materia, ma indivisibilmente esistente, anche se
appare nei molti. Quando, dunque, il senso vede la forma nei corpi,
in lotta con la materia, che lega e vince la sua natura contraria, e
vede la forma risplendere con grazia in altre forme, raccoglie
l'insieme disperso e lo introduce in se stesso e nella forma
indivisibile all’interno, rendendolo consonante, congruo e
amichevole alla propria forma intima. Così, per l'uomo buono, la
virtù che risplende in gioventù è bella perché è consona alla vera
virtù che si trova nel profondo dell'anima. Ma la semplice bellezza
del colore nasce quando la luce, che è qualcosa di incorporeo, e la
ragione della forma entrano nelle oscure involuzioni della materia,
irradiano e formano la sua natura oscura e informe.
E dagli altri elementi ottiene l'ordine della forma; perché è più
eminente degli altri ed è il più sottile di tutti, confinando, per così
134 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
dire, con una natura incorporea. Inoltre, pur essendo impenetrabile,
è intimamente accolto dalle altre, poiché trasmette calore, ma non
ammette il freddo. Perciò è la prima natura che si abbellisce di
colori e ne è la fonte per le altre; e per questo motivo risplende
esaltata come una forma immateriale. Ma quando non riesce a
vincere il suo soggetto, partecipando solo a un'esile luce, non è più
bella, perché non riceve l'intera forma del colore.
La musica della voce risveglia l'armonia latente nell'anima, e apre
il suo occhio alla percezione della bellezza, che esiste in molte
cose uguali. E’ proprietà dell'armonia percepita dal senso essere
misurata dai numeri, ma non in ogni proporzione di numero o di
voce, bensì in quella sola che è obbediente alla produzione e alla
conquista della sua specie. E questo per quanto riguarda le bellezze
del senso, che, come immagini e ombre che fluiscono nella
materia, adornano con spettacoli di bellezza il suo essere informe,
e colpiscono i rispettivi sensi con meraviglia e piacere.
§§§
Ma è giunto il momento, lasciandosi alle spalle ogni oggetto di
senso, di contemplare, attraverso una speciale ascesa, una bellezza
di ordine molto più elevato; una bellezza non visibile all'occhio
corporeo, ma manifesta solo all'occhio più luminoso dell'anima,
indipendente da ogni aiuto corporeo. Tuttavia, poiché senza una
precedente percezione della bellezza non è possibile esprimere a
parole le bellezze del senso, e dobbiamo rimanere nello stato di
ciechi, non potremo mai parlare della bellezza delle opere e delle
scienze, e di tutto ciò che è collegato a questi, se privi del loro
intimo possesso. Così non potremo mai parlare sullo splendore
della virtù, se non guardando all'interno senza percepire il bel volto
della giustizia e della temperanza, e senza convincerci che né la
stella della sera né quella del mattino sono altrettanto belle e
luminose.
135 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
E’ necessario percepire oggetti di questo tipo con quell'occhio con
cui l'anima vede queste vere bellezze. Inoltre, è necessario che chi
percepisce questa specie di bellezza sia colto da un piacere molto
più grande e da un'ammirazione più veemente di quella che può
suscitare qualsiasi bellezza corporea, poiché ora comprende la
bellezza reale e sostanziale. Tali effetti, dico, dovrebbero essere
suscitati dalla vera bellezza, come l'ammirazione e il dolce stupore;
il desiderio e l'amore e una piacevole trepidazione. Infatti, voglio
poter dire, che non tutte le anime sono colpite in questo modo dagli
oggetti invisibili, ma solo quelle che hanno la più forte
propensione al loro amore; come accade anche per la bellezza
corporea; poiché tutti percepiscono ugualmente le belle forme
corporee, eppure non tutti ne sono ugualmente attratti, ma solo gli
amanti in misura maggiore.
Può essere lecito interrogare coloro che si elevano al di sopra del
senso, riguardo agli effetti dell'amore nel seguente modo. "Che
cosa soffrite per gli studi belli, le belle maniere, le opere virtuose,
gli affetti, le abitudini e la bellezza delle anime? Che cosa provate
nel percepirvi belli dentro? In che modo vi sentite come in un
furore bacchico, sforzandovi di conversare con voi stessi e di
raccogliervi separati dagli impedimenti del corpo? Non è così che
si estasiano i veri amanti? Ma qual è la causa di questi meravigliosi
effetti? Non è né la figura, né il colore, né la grandezza; ma l'anima
stessa, bella, grazie alla temperanza, non con la falsa lucentezza del
colore, ma con la luminosa capacità e con gli splendori della virtù
stessa. E questo lo sperimentate tutte le volte che volgete lo
sguardo verso l'interno di voi stessi o contemplate l'ampiezza di
un'altra anima, i modi giusti, la temperanza pura, la fortezza
venerabile dal suo nobile volto, la modestia e l'onestà che
avanzano con passo intrepido e aspetto tranquillo e fermo; è ciò
che corona la bellezza di tutte, ricevendo costantemente le
irradiazioni di un intelletto divino.
136 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Sotto quale aspetto, dunque, li chiameremo belli? Perché sono tali
come appaiono, né mai nessuno le ha osservate e non le ha
giudicate realtà. Ma la ragione desidera ancora sapere in che modo
esse causano la bellezza dell'anima; e qual è la grazia in ogni virtù
che brilla alla vista come una luce? Siete dunque disposti a vedere
la parte opposta e a considerare ciò che nell'anima appare deforme?
Perché forse ciò faciliterà la nostra ricerca, se riusciremo a trovare
ciò che nell'anima è insignificante e da cui trae origine.
Supponiamo che un'anima deforme sia un'anima intemperante e
ingiusta, piena di una moltitudine di desideri, preda di speranze
insensate e afflitta da paure oziose; che per la sua natura meschina
e avara sia oggetto di invidia; che si dedichi esclusivamente al
pensiero di ciò che è immorale e basso, che sia legata alle catene
dei piaceri impuri, che viva la vita, qualunque essa sia, propria
delle passioni del corpo; e che sia così totalmente fusa nella
sensualità da stimare gradevole la bassezza e bella la deformità.
Ma non possiamo forse dire che questa bassezza si avvicina
all'anima come un male avventizio, con il pretesto di una bellezza
avventizia, che, con grande danno, la rende impura e la inquina con
molta depravazione; così che non possiede né la vera vita, né il
vero senso, ma è dotata di una vita esile a causa della sua mistura
con il male, e questa è logorata dalle continue depressioni della
morte; non percepisce più gli oggetti della visione mentale, né le è
più permesso di dimorare con se stessa, perché è sempre in fuga
verso le cose oscure, esterne e basse. Quindi, divenendo impura ed
essendo da tutte le parti trascinata nel vortice incessante delle
forme sensibili, si ricopre di macchie corporee e si abbandona
completamente alla materia, contrae profondamente la sua natura,
perde tutto il suo splendore originale e quasi cambia la sua specie
in quella di un altro; proprio come la bellezza è incontaminata
della forma più bella al contrario sarebbe distrutta dalla sua totale
immersione nel fango e nell'argilla.
137 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
La deformità della prima deriva dalla sporcizia interiore, che si
contrae da sola; quella della seconda, dall'ingresso di qualche
natura estranea. Se un tale individuo desidera recuperare la
bellezza di un tempo, è necessario ripulire le parti impure e quindi,
con una purificazione completa, riprendere la sua forma originale.
Quindi, se affermiamo che l'anima, a causa della sua mescolanza,
confusione e commercio con il corpo e la materia, diventa così
vile, la nostra conclusione sarà, credo, giusta. Perché la bassezza
dell'anima consiste nel non essere pura e sincera. E come l'oro
viene deformato dalla pressione di zolle terrene, che non vengono
rimosse prima che all’improvviso l'oro risplenda con la sua
purezza nativa; e poi diventa bello quando si separa da nature
estranee alla sua, e quando si accontenta della propria purezza per
il possesso della bellezza. Così l'anima, separata dai sordidi
desideri generati dall'eccessiva immersione nel corpo e liberata dal
dominio di ogni turbamento, può in questo modo, e solo in questo
modo, cancellare le macchie che ha contratto dall'unione con il
corpo; e così, con la sola sua capacità, espellerà senza dubbio tutta
la turpitudine contratta da una natura così opposta alla sua. Infatti,
come dichiara l'antico oracolo, la temperanza e la fortezza, la
prudenza e ogni virtù, sono le necessarie purificazioni dell'anima; e
per questo i sacri misteri profetizzano oscuramente, ma con verità,
che l'anima non purificata giace nel Tartaro, immersa nella
sozzura. Poiché l'impuro è, per la sua depravazione, amico della
sporcizia, come gli animali immondi, che, per il loro corpo
sordido, si dilettano solo nel fango della terra.
Infatti, che cos'altro è la vera temperanza se non la capacità di non
abbandonarsi ai piaceri corporei, ossia fuggire dal loro legame,
come cose che non sono né pure né figlie della purezza? E la vera
fortezza è non temere la morte, perché la morte non è altro che la
separazione dell'anima dal corpo, e questo non lo teme chi desidera
vincere la morte. Ancora, la magnanimità è il disprezzo di ogni
138 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
preoccupazione mortale; è l'ala con cui voliamo nelle regioni
dell'intelletto. Infine, la prudenza non è altro che l'intelligenza, che
declina sugli oggetti subordinati e dirige l'occhio dell'anima verso
ciò che è immortale e divino. L'anima, così definita, diventa forma
e ragione, è del tutto incorporea e intellettuale, e partecipa
interamente di quella natura divina che è la fonte della bellezza e di
tutto ciò che è alleato del bello e del buono. Perciò l'anima
ricondotta all'intelletto diventa sorprendentemente bella; infatti,
come la fiamma lambente che appare staccata dalla legna che
brucia e illumina le sue parti oscure e fumose, così l'intelletto
irradia e adorna le potenze inferiori dell'anima, che, senza il suo
aiuto, sarebbero sepolte nel buio della materia informe. E
l'intelletto, con tutto ciò che emana dall'intelletto, non è l'estraneo,
ma l'ornamento proprio dell'anima, perché l'essere dell'anima,
quando è assorbito dall'intelletto, è soltanto allora reale e vero. E’
quindi giusto dire che la bellezza e il bene dell'anima consistono
nella loro somiglianza con la Divinità, perché da qui scaturisce
tutta la sua bellezza e la sua attribuzione di un essere migliore. Ma
il bello in sé è ciò che si chiama essere; la turpitudine è di natura
diversa e partecipa più alla non-entità che all'essere.
Forse, il bene e il bello sono la stessa cosa, e devono essere
ricercati con un unico metodo. Al primo posto dobbiamo collocare
il bello e considerarlo alla stregua del bene, da cui emana
immediatamente l'intelletto come bello. Poi dobbiamo considerare
l'anima che riceve la sua bellezza dall'intelletto, e ogni bellezza
inferiore che trae origine dalla forza formatrice dell'anima, sia che
si occupi di azioni e uffici giusti, sia che si occupi di scienze e arti
fisiche. Infine, i corpi stessi partecipano della bellezza dall'anima,
che, in quanto qualcosa di divino e porzione del bello stesso, rende
bello tutto ciò che sovrintende e sottomette, nella misura in cui la
sua capacità naturale lo consente.
139 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Risaliamo dunque al bene stesso, che ogni anima desidera e nel
quale può trovare perfetto riposo. Infatti, se qualcuno conoscerà
questa fonte di bellezza, saprà cosa dico e in che modo è bello.
Infatti, tutto ciò che è desiderabile è una specie di bene, poiché a
questo tende il desiderio. Ma solo coloro che perseguono il vero
bene, che si elevano alla bellezza intelligibile e tendono al bene
stesso, nella misura in cui mettono da parte i paramenti deformi
della materia, con i quali sono connessi in conseguenza della loro
discesa. Così come chi si addentra nei sacri ritiri dei sacri misteri,
prima si purifica e poi si spoglia delle sue vesti, finché a seguito di
tale processo, avendo allontanato tutto ciò che è estraneo al Dio, da
solo vede il principio solitario dell'universo, sincero, semplice e
puro, da cui dipendono tutte le cose, e alle cui perfezioni
trascendenti sono rivolti gli occhi di tutte le nature intelligenti,
come causa propria dell'essere, della vita e dell'intelligenza. Con
quale ardente amore, con quale forte desiderio si infiammerà colui
che gode di questa visione trasportante, mentre cerca con
veemenza di diventare una cosa sola con questa suprema bellezza!
Per questo è stato ordinato che colui che ancora non lo percepisce
lo immagini almeno come buono, mentre colui che gode della
visione è estasiato dalla sua bellezza ed è ugualmente pieno di
ammirazione e di delizia. Per questo motivo, tale persona è agitata
da un salutare stupore; è colpita dall'amore più alto e più vero;
deride gli affetti veementi e gli amori inferiori, e disprezza la
bellezza sensibile che un tempo approvava. Tale è anche la
condizione di coloro che, percependo le forme degli dei o dei
demoni, non stimano più la più bella delle forme corporee. Quale
deve essere, allora, la condizione di quell'essere che vede il bello in
sé?
In sé perfettamente puro, non confinato da alcun vincolo corporeo,
non esistente né nei cieli né sulla terra, né da imitare con le forme
più belle che l'immaginazione possa concepire, poiché queste sono
140 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
tutte avventizie e miste, e mere bellezze secondarie, derivanti dal
bello stesso. Se, dunque, qualcuno dovesse mai vedere ciò che è
fonte di munificenza per gli altri, rimanendo in sé, mentre
comunica a tutti, e non ricevendo nulla, perché possiede una
pienezza inesauribile; e dovesse rimanere così nell'intuizione, da
diventare simile alla sua natura, cosa potrebbe desiderare di più
della bellezza? Perché tale bellezza, essendo suprema in dignità ed
eccellenza, non può non rendere i suoi elettori belli e graziosi.
Aggiungiamo anche che, poiché l'oggetto del contendere per le
anime è la bellezza più alta, dovremmo sforzarci di acquisirla con
ardore incessante, per non essere abbandonati da quella
contemplazione beata che, chi persegue nel modo giusto, diventa
beato dalla visione felice; e che chi non ottiene è inevitabilmente
infelice. Infatti, l'uomo infelice non è colui che trascura di
perseguire i bei colori e le belle forme corporee, che viene privato
del potere e cade dal dominio e dall'impero, ma è solo colui che è
privo di questo possesso divino, per il quale l'ampio dominio della
terra e del mare e l'impero ancora più esteso dei cieli devono essere
abbandonati e dimenticati, se, disprezzandoli e lasciandoseli alle
spalle, intendiamo arrivare alla felicità sostanziale, osservando il
bello stesso.
Quali misure adotteremo allora? Quale mezzo impiegare o quale
ragione consultare per contemplare questa bellezza ineffabile, che
dimora nel santuario più divino senza mai uscire dal suo sacro
rifugio per non essere osservata dall’occhio profano e volgare?
Dobbiamo entrare in profondità in noi stessi e, lasciati gli oggetti
della vista corporea, non vedere più nessuno con gli abituali
occhiali del senso. È necessario, infatti, che chi osserva questa
bellezza allontani lo sguardo dalle forme corporee più attraenti e,
convinto che queste non siano altro che immagini volgari, vestigia
e ombre della bellezza, si slanci con ardore verso la bella origine
da cui derivano.
141 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Infatti, colui che si precipita su queste bellezze inferiori, come se
volesse afferrare la realtà vera, visto che, senza dubbio, esse sono
solo delle immagini superficiali, come l’immagine della favola che
si allunga dietro l'ombra, sprofonderà nell’abisso e scomparirà.
Infatti, aderendo e abbracciando le forme corporee, si precipita,
non tanto nel corpo quanto nell'anima, in una profonda e orribile
oscurità; e così si diventa cieco, come i ciechi delle regioni
infernali, conversa solo con i fantasmi, privo della percezione di
ciò che è reale e vero.
Ed è a questo punto, dunque, che possiamo affermare più
sinceramente: "Partiamo da questa certezza e voliamo verso la
terra deliziosa del nostro padre". [Ma con quali stelle guida
dirigeremo il nostro volo, e con quali mezzi eviteremo il potere
magico di Circe e il fascino attrattivo di Calipso?] E’ ciò che
significa oscuramente la favola di Ulisse, nella quale Circe lo
considerava esule involontario, ingannandolo nel presentargli
continuamente spettacoli piacevoli e nel promettergli di volerlo al
suo soggiorno con tutto ciò che può deliziare i sensi e affascinare il
cuore.
Ma il nostro vero soggiorno, come quello di Ulisse, è il luogo da
cui siamo venuti e dove vive il nostro vero padre. Ma dove si trova
la nave con cui possiamo compiere il nostro viaggio? I nostri soli
piedi non sono all'altezza del compito, dato che ci portano solo da
una parte all'altra della terra. Non potremmo forse dire, ciascuno di
noi,
"Quali navi ho, quali marinai da imbarcare,
Quali remi per tagliare la lunga e faticosa onda".
Ed invano prepareremmo i nostri equipaggi per spingere le nostre
navi e trasportarci in patria. E se li ignorassimo o li trascurassimo,
in quanto inadeguati al compito, e li escludessimo completamente
142 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
dalla nostra vista, avendo ormai chiuso l'occhio corporeo,
dobbiamo pensare ed aprire l’occhio interiore più puro,
quell’occhio che tutti gli uomini possiedono, ma che da solo pochi
è usato. Che cosa vede dunque questo occhio interiore?
In effetti, elevato improvvisamente alla visione intellettuale, non
può percepire un oggetto troppo luminoso. L'anima deve quindi
essere abituata a contemplare prima i bei studi e poi le belle opere,
non quelle che nascono dall'arte, ma quelle che sono il risultato di
operazioni di uomini degni; e accanto a questo è necessario vedere
l'anima, che è la genitrice di questa bellezza. Ma voi chiederete: in
che modo si percepisce la bellezza di un'anima degna? Nel modo
seguente. Rivolgete i vostri pensieri verso il mondo interiore e,
concentrato voi stessi non vi percepirete belli, come un artista il
quale, quando vuole una bella statua, taglia via il superfluo, leviga
e lucida ciò che è grezzo e non si ferma finché non le ha dato tutta
la bellezza che la sua arte è in grado di ottenere. In questo modo
dovrete procedere, tagliando ciò che è di troppo, smussando ciò
che è obliquo e, con la rettifica, dando luce a ciò che è oscuro, e
continuando così a lucidare e ad abbellire la vostra statua fino a
quando il divino splendore della Virtù brillerà su di voi, infine con
la Temperanza in primo piano la santa maestà apparirà alla vostra
vista.
Se vi sarete così purificati, mantenendovi dentro voi stessi, e non
avendo più nulla che impedisca questa unità della mente, e non
avendo più alcuna mescolanza da scoprire all’interno, ma
percependo che tutto il vostro io è una vera luce, e solo luce; una
luce che, pur essendo immensa, non è misurata da alcuna
grandezza, né limitata da alcuna figura circoscritta, ma è ovunque
incommensurabile, in quanto più grande di ogni misura e più
eccellente di ogni quantità; se, percependovi così purificati, e
confidando unicamente in voi stessi, come se non aveste più
bisogno di una guida, fissate ora saldamente la vostra vista
143 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
mentale, perché solo con l'occhio intellettuale si può percepire una
bellezza così immensa. Ma se il vostro occhio è ancora appannato
da qualche sordida preoccupazione e non è completamente
raffinato, mentre è in procinto di ammirare questo spettacolo così
splendente, sarà immediatamente oscurato e incapace di intuire,
anche se qualcuno dovesse convincersi e illudersi di aver raggiunto
lo scopo.
Infatti, è necessario che colui che percepisce e la cosa percepita
siano simili tra loro prima che possa esistere una vera visione. Così
l'occhio sensibile non può mai essere in grado di scrutare il globo
del sole, a meno che non sia fortemente impregnato di fuoco solare
e non partecipi in larga misura al suo raggio vivido. Ognuno deve
quindi diventare divino e di bellezza divina prima di poter guardare
un dio e il bello stesso. Così, procedendo sulla retta via della
bellezza, egli salirà dapprima nella regione dell'intelletto,
contemplando ogni bella specie, la cui bellezza non sarà altro che
le idee stesse; infatti, tutte le cose sono belle grazie alle irradiazioni
successive di queste ultime, perché sono la prole e l'essenza
dell'intelletto. Ma ciò che è superiore a queste non è altro che la
fonte del bene, che ovunque diffonde ampiamente i flussi della
bellezza, e che nel discorso viene chiamata il bello stesso, perché la
bellezza è la sua figlia immediata. Ma se distinguete accuratamente
gli oggetti intelligibili, chiamerete il bello il ricettacolo delle idee;
il bene stesso, che è superiore, la fonte e il principio del bello;
oppure, potete collocare il primo bello e il bene nello stesso
principio, indipendente dalla bellezza che vi sussiste.
144 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
145 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
DISSERTAZIONE SULLA VITA E LA TEOLOGIA DI
ORFEO
Prefazione.
C'è senza dubbio una rivoluzione nel mondo letterario,
corrispondente a quella del mondo naturale. Il volto delle cose
cambia continuamente, e la perfetta e perpetua armonia
dell'universo sussiste grazie alla mutevolezza delle sue parti. In
conseguenza di questa fluttuazione, le arti e le scienze sono fiorite
in epoche diverse del mondo: ma il cerchio completo della
conoscenza umana non è mai esistito, credo, in una sola nazione o
in una sola epoca. Dove le ricerche accurate e profonde sui principi
delle cose hanno raggiunto la perfezione, gli uomini hanno
trascurato, per naturale conseguenza, le disquisizioni sui dettagli; e
dove i particolari sensibili sono stati l'oggetto generale della
ricerca, la scienza degli universali ha languito, o è affondata
nell'oblio e nel disprezzo.
Così la saggezza, oggetto di ogni vera filosofia, considerata come
esplorazione delle cause e dei principi delle cose, fiorì in grande
perfezione prima presso gli Egizi e poi in Grecia. La letteratura
cortese era l'obiettivo dei Romani; e le ricerche sperimentali, che si
moltiplicano senza fine e si accumulano senza ordine, sono
l'impiego della filosofia moderna.
Possiamo quindi concludere che l'epoca della vera filosofia si è
conclusa da tempo. In conseguenza di scoperte naturali molto
estese, il commercio e gli scambi sono aumentati, mentre le
indagini astratte sono necessariamente diminuite: così che le
conquiste moderne non si elevano mai al di sopra del senso, e ogni
cosa che non contribuisca, in un modo o nell'altro, all'accumulo di
ricchezza, alla gratificazione dell'ammirazione infantile o al
perfezionamento del piacere corporeo è disprezzata. L'autore della
seguente traduzione, quindi, non può ragionevolmente aspettarsi
146 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
che il suo lavoro incontri l'approvazione di molti, poiché questi
Inni sono molto antichi e troppo pieni di filosofia greca per piacere
agli ignoranti e ai sordidi. Tuttavia, spera che siano accetti a quei
pochi che hanno attinto la saggezza dalla sua fonte e che
considerano la scienza degli universali come la prima nella natura
delle cose, anche se l'ultima nel progresso della comprensione
umana.
Il traduttore ha adottato la rima non perché sia più gradita al gusto
generale, ma perché la ritiene necessaria alla poesia della lingua
inglese, che richiede qualcosa che sostituisca l'energica cadenza
degli esametri greci e latini. Se si potesse ottenere questo risultato
con qualsiasi altro mezzo, egli rinuncerebbe immediatamente alla
sua predilezione per la rima, che è certamente, se ben eseguita,
molto più difficile del verso comune, come i seguenti Inni devono
dimostrare, in misura eminente.
A questo punto è necessario osservare, per quanto riguarda la
traduzione, che non c'è nulla di più sbagliato nella sua natura o di
più difettoso nella sua esecuzione. Normalmente si ritiene che è
impossibile tradurre un autore antico in modo da rendere giustizia
al suo significato. Se limitassimo il sentimento alle bellezze della
composizione, sarebbe senza dubbio corretto; ma estenderlo al
significato di un autore significa rendere la verità e l'opinione
parziali e incomunicabili. Chiunque, infatti, conosca le lingue
colte, deve essere consapevole di quanto la bellezza di un autore
antico soffra generalmente nella traduzione moderna, anche se
effettuata da uomini che hanno dedicato la maggior parte della loro
vita al solo studio delle parole. Questo fallimento, che più di ogni
altra cosa ha contribuito a portare gli antichi al disprezzo dei non
studiosi, può essere attribuito solo alla mancanza di genio nei
traduttori, poiché il sentimento di Pitagora è particolarmente
applicabile a questi uomini: molti portano la corona del poeta, ma
pochi sono ispirati dallo spirito del Dio. Ma questa osservazione è
147 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
notevolmente verificata nei traduttori della filosofia antica, le cui
rappresentazioni sono per la maggior parte prive di animazione e,
di conseguenza, non sono in grado di esprimere il loro parere.
Essi non conservano nulla del fuoco e dello spirito dell'originale.
Forse c'è solo un'eccezione a questa osservazione, ed è il signor
Sydenham (Thomas Sydenham. Medico inglese, ndt): il cui
successo in un'impresa così ardua può essere attribuito solo al fatto
di possedere un genio filosofico e di parafrasare occasionalmente
passaggi che altrimenti sarebbero insensati e inanimati.
Infatti, quando le lingue differiscono così tanto come l'antica dalla
moderna, il metodo più perfetto, forse, per trasferire la filosofia da
una lingua all'altra, è una parafrasi fedele e animata: fedele, per
quanto riguarda il mantenimento del senso dell'autore; e animata,
per quanto riguarda la conservazione del fuoco dell'originale; per
richiamarlo quando è latente e per espanderlo quando è
condensato. Un tale autore si sforzerà ovunque di migliorare la
luce e di scandagliare la profondità del suo autore, di chiarire ciò
che è oscuro e di amplificare ciò che in un linguaggio moderno
sarebbe incomprensibilmente conciso.
Così la maggior parte degli epiteti composti di cui sono costituiti
principalmente gli Inni seguenti, pur essendo molto belli nella
lingua greca, quando vengono tradotti nella nostra perdono tutta la
loro correttezza e forza. Nella loro lingua madre, come in un
terreno prolifico, diffondono le loro dolcezze con piena eleganza;
ma si ritirano come una pianta sensibile al tocco del critico verbale
o del traduttore attento. Chi vuole conservare le loro bellezze
filosofiche ed esporle ad altri in un'altra lingua, deve espandere la
loro eleganza, grazie ai raggi sovrastanti e vivificanti del fuoco
filosofico, e, con il potente soffio del genio, spargere le loro latenti
ma copiose dolcezze.
Se qualche scintilla di questo fuoco celeste sembrerà aver animato
il petto del traduttore, egli si considererà ben ricompensato per la
148 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
sua laboriosa impresa. La filosofia antica è stata per molti anni
l'unico studio del suo tempo libero; in essa ha trovato un tesoro
inesauribile di ricchezza intellettuale e una fonte perpetua di
saggezza e di piacere. Presumendo che tale ricerca debba essere di
grande vantaggio per l'impresa attuale, e provando il più sovrano
disprezzo per la sordida fatica della composizione a pagamento,
non desidera altra ricompensa, in caso di successo, che l'elogio dei
lettori; e non desidera altra difesa, in caso di insuccesso, che la
stima di pochi sinceri e perspicaci.
DISSERTAZIONE SULLA VITA E LA TEOLOGIA DI
ORFEO
La grande oscurità e incertezza in cui è coinvolta la storia di Orfeo
offre ben poca materia per le nostre informazioni; e rende persino
quella poca, imprecisa e precaria. Osservando gli annali delle
epoche passate, sembra che i più grandi geni siano stati soggetti a
questa oscurità storica, come è evidente in quelle grandi luci
dell'antichità, Omero ed Euclide, i cui scritti arricchiscono
l'umanità con perpetue fortune di conoscenza e di piacere, ma le
cui vite sono per la maggior parte nascoste in un impenetrabile
oblio. Ma questa incertezza storica non è così evidente come nella
persona di Orfeo, il cui nome è riconosciuto e celebrato da tutta
l'antichità (eccetto forse il solo Aristotele), mentre della sua vita
non si trova quasi traccia tra le immense rovine del tempo. Infatti,
chi è mai stato in grado di affermare con certezza qualcosa sulla
sua origine, sulla sua età, sui suoi genitori, sul suo Paese e sulla sua
condizione? Solo su questo si può fare affidamento, per assenso
generale, che in passato visse un personaggio di nome Orfeo, il cui
padre era Agro, che viveva in Tracia e che era figlio di un re, che
fu il fondatore della teologia tra i Greci, l'istitutore della loro vita e
della loro morale, il primo dei profeti e il principe dei poeti, lui
stesso figlio di una Musa; che insegnò ai Greci i loro riti e misteri
149 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
sacri e dalla cui saggezza, come da una fonte perenne e
abbondante, sgorgarono la musa divina di Omero, la filosofia di
Pitagora e Platone; e, infine, che con la melodia della sua lira attirò
rocce, boschi e bestie selvagge, fermò i fiumi nel loro corso e
smosse persino l'inesorabile re degli inferi, come dimostrano a
sufficienza tutte le pagine e tutti gli scritti dell'antichità. Dal
momento che questo è un dato di fatto che può essere raccolto da
testimonianze universali, proseguiamo un po' più a fondo la
questione, indagando più accuratamente sulla storia dell'Orfeo
originario e su quella dei grandi uomini che, in epoche diverse,
sono fioriti sotto questo venerabile nome.
Il primo e autentico Orfeo fu poeta in Tracia e, secondo l'opinione
di molti, discepolo di Lino; fiorì, dice Suida, al tempo della
dissoluzione del regno degli Ateniesi. Alcuni affermano che fu
precedente alle guerre di Troia e che visse undici o, secondo altri,
nove generazioni. Ma la parola greca γενεα (salute) o generazione,
secondo Gyraldus, significa lo spazio di sette anni; infatti, se non si
verifica questo, come è possibile che il periodo della sua vita possa
avere un fondamento nella natura delle cose? Plutarco, Eraclito,
Suida e alcuni grammatici sostengono che questa parola significhi
uno spazio di trent'anni; ma tralasciando la discussione di
quest'ultima opinione, data la sua impossibilità di saperne di più,
abbracceremo la prima, secondo la quale Orfeo visse sessantatré
anni; un periodo, se possiamo credere agli astrologi, fatale a tutti, e
soprattutto ai grandi uomini, come nel caso di Cicerone e
Aristotele.
Il nostro poeta, secondo la tradizione, fu fatto a pezzi dalle donne
ciconiane: per questo motivo, Plutarco afferma che i Traci erano
soliti picchiare le loro mogli per vendicare la morte di Orfeo. Per
lo stesso motivo, nella visione di Ero Pamphilio, in Platone, si dice
che l'anima di Orfeo, essendo destinata a tornare in un altro corpo,
preferì quello di un cigno piuttosto che rinascere in una donna,
150 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
avendo concepito un tale odio contro il sesso femminile, a causa
della sua morte violenta. La causa della sua fine è variamente
raccontata dagli autori. Alcuni riferiscono che fu causata dal suo
impegno in amori giovanili, dopo la morte di Euridice. Altri
sostengono che fu distrutto da donne inebriate dal vino, perché era
il mezzo con cui gli uomini rinunciavano al loro legame.
Altri affermano, secondo la tradizione di Pausania, che alla morte
di Euridice, vagando per Aornus, un luogo in Threspotia, dove era
consuetudine evocare le anime dei defunti, dopo aver richiamato
Euridice e non essendo in grado di trattenerla, si auto-distrusse; gli
usignoli costruirono i loro nidi e fecero nascere i loro piccoli sulla
sua tomba, la cui melodia, secondo quanto riportato, superava ogni
altra di questa specie. Altri ancora attribuiscono la sua distruzione
al fatto che avesse celebrato tutte le divinità tranne Bacco, il che è
molto improbabile, dato che tra gli inni che seguono ce ne sono
nove a quella divinità, con appellativi diversi. Altri riferiscono che
fu consegnato da Venere stessa nelle mani delle donne ciconiane,
perché sua madre Calliope non aveva deciso bene tra Venere e
Proserpina, riguardo al giovane Adone. Secondo Pausania fu
colpito da un fulmine; e Diogene lo conferma con i seguenti versi
composti, come afferma, dalle Muse alla sua morte:
Qui, amato dalle Muse, con la lira d'oro, riposa il grande Orfeo;
riposa il grande Orfeo, distrutto dal fuoco.
Inoltre, i sacri misteri chiamati Thresciani derivavano il loro
appellativo dal nostro poeta tracio, perché egli introdusse per
primo i riti sacri e la religione in Grecia; e quindi gli autori dei riti
di iniziazione a quei misteri erano chiamati Orpheotelestæ. Inoltre,
secondo Luciano, Orfeo portò in Grecia l'astrologia e le arti
magiche; e per quanto riguarda il fatto che attirasse alberi e bestie
selvatiche con la melodia della sua lira, Palefato ne dà conto come
segue. “Le folli ninfe dei baccanali, dice, dopo aver portato via con
violenza il bestiame e gli altri beni di prima necessità, si ritirarono
151 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
per alcuni giorni sulle montagne. Allora i cittadini, che aspettavano
da tempo il loro ritorno e temevano il peggio per le loro mogli e
figlie, chiamarono Orfeo e lo pregarono di inventare un qualche
metodo per attirarle dalle montagne. Ma egli, intonando la sua lira,
come nelle orge di Bacco, attirò le folli ninfe dai loro rifugi, che
scesero dai monti portando dapprima ferule e rami di ogni genere
di alberi. Ma agli uomini che furono testimoni oculari di questi
prodigi, sembrò che all'inizio abbattessero i boschi stessi; e da qui
nacque il racconto della sua vita.
Ma la fama di Orfeo era così grande che i Greci lo divinizzarono;
Filostrato racconta che la sua testa dava oracoli a Lesbo e che,
separata dal corpo dal presagio tracio, fu trasportata insieme alla
sua lira nel mare, lungo il fiume Hebrus. In questo modo, dice
Luciano, cantando per così dire la sua orazione funebre, alla quale
le corde della sua lira, spinte dai venti, davano un'armonia
rispondente, fu portata a Lesbo e sepolta. Ma la sua lira fu sospesa
nel tempio di Apollo, dove rimase per un periodo di tempo
considerevole. In seguito, quando Neanto, figlio del tiranno
Pittaco, scoprì che la lira attirava con la sua armonia alberi e bestie
selvatiche, ne desiderò ardentemente il possesso; e dopo aver
corrotto il sacerdote con del denaro, prese la lira di Orfeo e la
sostituì con un'altra simile nel tempio. Ma Neanto, ritenendo di non
essere al sicuro in città di giorno, se ne andò di notte, nascondendo
la lira nel suo petto e iniziando a suonare. Ma, essendo un giovane
rozzo e non istruito, confondeva gli accordi; tuttavia,
compiacendosi del suono e credendo di produrre un'armonia
divina, si considerava il benedetto successore di Orfeo.
Tuttavia, nel bel mezzo del suo trasporto, i cani vicini, svegliati dal
rumore, si avventarono sull'infelice arpista e lo fecero a pezzi. La
prima parte di questa favola è spiegata in modo eccellente da
Proclo nei suoi commenti (o piuttosto frammenti di commenti) alla
Repubblica di Platone; un'opera che raccomando vivamente ai
152 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
liberali, per la grande luce che offre alla recondita teologia dei
Greci. Orfeo, dice, a causa della sua perfetta erudizione, sarebbe
stato distrutto in vari modi; perché, a mio avviso, gli uomini di
quell'epoca comprendevano in parte l'armonia orfica, non potendo
ricevere una scienza universale e perfetta. Ma la parte principale
della sua melodia fu ricevuta dagli abitanti di Lesbo; e per questo,
forse, si dice che la testa di Orfeo, quando fu separata dal corpo, fu
portata a Lesbo. Favole di questo tipo, quindi, sono riferite
riguardo a Orfeo, non diversamente da Bacco, dei cui misteri era
sacerdote. Fin qui Proclo, e così tanto per quanto riguarda il primo
Orfeo o Trace.
Il secondo Orfeo era un arcadico o, secondo altri, un ciconiano,
originario di Bisaltia, in Tracia, e si dice che sia più antico di
Omero e della guerra di Troia. Componeva favole chiamate
(μυθοποιια) ed epigrammi ed è, secondo Gyraldus, l'autore degli
inni che seguono, anche se io preferisco riferirli a Onomacrito, o al
quarto Orfeo, di Crotone. Il terzo Orfeo era di Odrysius, una città
della Tracia, vicino al fiume Hebrus; ma Dionisio, in Suidas, nega
la sua esistenza. Il quarto Orfeo era di Crotone, fiorì al tempo di
Pisistrato, intorno alla cinquantesima Olimpiade, ed è senza dubbio
l'autore degli Inni insieme a Onomacrito. Scrisse i Decennalia, i
δεκαετηρια e, secondo Gyraldus, le Argonautiche, che oggi si
conservano sotto il nome di Orfeo, con altri scritti chiamati Orfici,
ma che, secondo Cicerone, alcuni attribuiscono a Cecrope il
Pitagorico. L'ultimo Orfeo fu Camarinæus, un eccellente
versificatore, e lo stesso secondo Gyraldus, la cui discesa agli
inferi è universalmente nota. E questo per quanto riguarda la vita di
Orfeo.
Sezione II
153 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Procediamo ora con la sua teologia; passando dall'oscurità della
congettura alla luce della chiara evidenza; e dagli intricati labirinti
della favola ai deliziosi sentieri della verità.
E qui devo informare il lettore, che dedurrò sempre le mie
informazioni dagli scritti dei platonici posteriori come le uniche
fonti di conoscenza genuina relativa questa indagine antica e
sublime.
I sistemi ordinari della mitologia sono qui del tutto inutili; e chi
tentasse di chiarire la teologia o gli inni di Orfeo con un'ipotesi
moderna, si troverebbe in una situazione ridicola, come di chi
pretendesse di trovare l'origine di un torrente copioso, seguendolo
fino alle sue ultime e più intricate involuzioni. Conformemente ai
pregiudizi moderni, l'autore delle Lettere sulla mitologia si sforza
di dimostrare che gli Inni orfici divinizzano le varie parti della
natura, non considerate come animate da intelligenze diverse, ma
come varie modificazioni della materia inerte e senza vita. Questa
ipotesi è senza dubbio facilmente accettata dai filosofi attuali, la
maggior parte dei quali nega l'esistenza di qualsiasi entità
incorporea; e i migliori, che riconoscono un unico Essere supremo
immateriale, escludono l'intervento di intelligenze subordinate nel
governo del mondo, sebbene questa dottrina sia perfettamente
filosofica e allo stesso tempo coerente con la filosofia. La credenza
dell'uomo che non riesce ad andare più in là del senso, deve
necessariamente limitarsi alle apparenze. Tale modo di pensare
introduce un terribile abisso nell'universo del sapere e tratta la
divinità come una sostanza divisa in ogni particella di materia e
mutata nelle infinite varietà di forme sensibili. Per l'antico filosofo,
invece, la divinità è una fonte immensa e perennemente esuberante,
i cui flussi hanno originariamente riempito e continuamente
rifornito il mondo di vita. Perciò l'universo contiene nel suo ampio
seno tutte le nature, le divinità visibili e invisibili, l'illustre stirpe
dei daimon, il nobile esercito delle anime eccelse e degli uomini
154 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
resi felici dalla saggezza e dalla virtù. Secondo questa teologia, la
potenza dell'anima universale non solo si diffonde ma viene anche
conosciuta. Mentre alcune cose partecipano dell'essere in modo
inespressivo, altre la vita, altre ancora sono dotate di poteri
senzienti; alcune possiedono la facoltà ancora più elevata della
ragione; altre, infine, sono tutte vita e intelligenza.
Ma eleviamoci un po' più in alto e contempliamo gli argomenti con
cui i platonici stabiliscono la dottrina orfica dell'esistenza e
dell'attività delle intelligenze subordinate. Ragionano con essi. Di
tutti gli esseri è necessario che alcuni si muovano soltanto, che altri
siano interamente mossi; e che gli esseri situati tra questi due,
partecipino degli estremi, e si muovano e che siano mossi. Tra i
primi per dignità e ordine ci sono le nature che si muovono
soltanto; poi le seconde, quelle che si muovono a causa di altri;
quindi le terze, quelle che si muovono e sono mosse; e le quarte,
quelle che sono mosse soltanto. Ora, la seconda classe di queste, o
le nature automotrici, poiché la loro perfezione consiste nella
transizione e nella mutazione della vita, deve dipendere da una
causa più antica che sussiste perennemente la stessa; e la cui vita
non è in contatto con le oscillazioni del tempo, ma è costituita
nell'essenza stabile dell'eternità. E’ necessario che la terza classe
delle intelligenze, che muovono e sono mosse, dipenda da una
natura auto-motiva. Infatti, un essere automotore è la causa del
movimento di coloro che sono mossi da un altro, così come ciò che
è immobile infonde in tutti gli esseri il potere di muoversi. E
ancora, ciò che è solo mosso deve dipendere da quelle nature che
sono sì mosse da un altro, ma che sono esse stesse dotate di una
forza motrice. È necessario, infatti, che la catena degli esseri sia
completa; ogni luogo è collegato da mezzi appropriati e si deduce
in una serie ordinata e perpetua, dal principio agli estremi. Tutti i
corpi appartengono quindi a quelle nature che si muovono soltanto,
e sono naturalmente passivi; poiché sono privi di ogni energia
155 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
intrinseca, a causa della loro natura fiacca, che partecipa della
divisione, della grandezza e del peso.
Tra gli incorporei, alcuni sono divisibili, mentre altri nr sono del
tutto privi per quanto riguarda l'ordine più basso degli esseri.
Perciò le cose che sono divise intorno al peso morto dei corpi,
siano esse qualità materiali o forme, appartengono agli ordini della
natura in movimento, e allo stesso tempo sono mosse. Infatti,
poiché sono incorporee, partecipano di una facoltà motrice; ma
poiché sono divise anche intorno ai corpi, sono per questo motivo
esenti dalla perfezione corporea; sono piene di inattività materiale
e richiedono l'energia di una natura automotrice. Dove troveremo
dunque questa essenza automotrice? Nelle cose che sono estese in
grandezza, gravate dal peso materiale e che risiedono
inseparabilmente nei corpi, perciò devono necessariamente o
muoversi da sole o essere mosse da altri. Ma è necessario, come
abbiamo già osservato, che ancor prima di questo ordine sussista
l'essenza del movimento. E quindi concludiamo che esiste un'altra
natura esente dalla passività e dall'imperfezione dei corpi, esistente
non solo nei cieli, ma anche negli elementi sempre mutevoli, da cui
deriva principalmente il moto dei corpi. Questa natura non è altro
che l'anima, da cui gli animali traggono la loro vita e la loro forza
motrice, e che offre persino un'immagine di auto-movimento
all'ordine instabile dei corpi.
Se dunque l'essenza del movimento è più antica di quella che è
mossa da un'altra, e l'anima è in primo luogo auto-motiva, l'anima
deve essere più antica del corpo e tutti i moti corporei devono
essere soggetti all'anima e alla sua energia intrinseca. È quindi
necessario che i cieli, con tutti i loro contenuti sconfinati e i loro
vari moti naturali (un moto circolare è naturale per questi corpi),
siano dotati di anime governanti, essenzialmente più antiche dei
loro corpi rotanti. Secondo i filosofi platonici, quindi, queste anime
che distinguono ordinatamente l'universo e le sue parti in esso
156 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
contenute, dalla loro intrinseca causa di movimento danno vita e
movimento a ogni corpo inanimato. Ma è necessario che ogni
essenza motrice muova tutte le cose razionalmente o
irrazionalmente, cioè secondo le leggi uniformi e infallibili della
ragione o secondo l'impulso brutale di una natura irrazionale.
L'ordine costante osservato nei movimenti periodici dei corpi
celesti, la convenienza delle loro posizioni e le leggi mirabili con
cui sono dirette le loro rivoluzioni, indicano chiaramente che i loro
moti sono governati da una natura razionale. Se dunque un'anima
intellettuale e razionale governa l'universo, e se ogni cosa
eternamente mossa è sotto l'influenza direttiva di tale anima, non
potremmo sapere se essa possiede questo potere intellettuale,
perfetto e benefico, per partecipazione o per essenza? Perché se in
essenza, è necessario che ogni anima sia dotata di intelletto, dal
momento che ogni anima è naturalmente auto-motiva.
Ma per partecipazione, deve esistere un'altra natura più antica
dell'anima, che opera interamente a partire dall'energia; e la cui
essenza è l'intelligenza, a causa di quella concezione uniforme
degli universali in cui è contenuta essenzialmente. Perché è anche
necessario che l'anima, essenzialmente razionale, riceva l'intelletto
per partecipazione, e che l'energia intellettuale sia di due tipi: una
sussiste primariamente nell'intelletto divino, l'altra sussiste
secondariamente nell'anima propria. Si può anche aggiungere la
presenza dell'illuminazione intellettuale nel corpo, che viene
ricevuta con la massima perfezione finché la sua natura instabile e
oscura consente. Infatti, come è possibile che gli orbi celesti si
muovano circolarmente per sempre in un ordine definito,
conservando la stessa forma e lo stesso potere immutabile, se non
partecipando di una natura intellettuale. L'anima è infatti il
fornitore costante del moto; ma la causa della stasi perpetua,
dell'identità e della vita uniforme, che riduce il moto instabile a una
157 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
rivoluzione circolare e a una condizione eternamente uguale, deve
essere più antica dell'anima.
Il corpo, infatti, e tutto ciò che è oggetto di senso, appartiene
all'ordine delle cose mosse da un altro. Mentre l'anima è auto-
movente, e comprende in sé, in modo connesso, tutti i moti
corporei. E prima di questo c'è l'intelletto immobile. E qui è
necessario osservare che questa natura immateriale non deve essere
concepita come simile a qualcosa di inerte, priva di vita e di
spirito, ma come la causa principale di tutti i moti e la fonte di ogni
vita; così come di ciò il cui flusso ritorna perennemente in se
stesso, come di ciò che sussiste in altri e ha, per questo,
un'esistenza secondaria e imperfetta.
Tutte le cose, quindi, dipendono dall'unità, attraverso la
mediazione dell'intelletto e dell'anima. L'intelletto ha un'essenza
uniforme, ma l'anima ha una forma mentale νοειδήσ, vivifica il
corpo del mondo, o vitale ζωτικός. La causa prima di tutto è sì
anteriore all'intelletto, ma l'intelletto è il primo destinatario di una
natura divina; e l'anima è divina, nella misura in cui riflette
l’intellettuale. Ma il corpo che partecipa di un'anima di questo tipo
è divino, nella misura in cui la natura del corpo lo consente.
L'illustrazione della luce intellettuale, infatti, pervade il principio
delle cose fino agli estremi, e non si oscura del tutto neppure
quando entra nelle involuzioni della materia e si fonde
profondamente nel suo oscuro e fluente ricettacolo.
Perciò possiamo ragionevolmente concludere che non solo
l'universo, ma anche ciascuna delle sue parti eterne è animata e
dotata di intelletto, ed è simile all'universo nella sua capacità.
Infatti, ognuna di queste parti è un universo se paragonata alla
moltitudine che contiene e a cui è legata. C'è dunque, secondo la
teologia orfica e platonica, un'anima dell'universo; e dopo di essa
qualcos’altro che, partecipando a quest'anima generale, dispongono
all'ordine tutte le parti dell'universo; e un intelletto che è
158 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
partecipato dalle anime, e un Dio supremo, che comprende il
mondo nella sua natura infinita, e una moltitudine di altre divinità,
che distribuiscono le essenze intellettuali, insieme alle loro anime
dipendenti, e tutte le parti del mondo, e che sono le fonti perpetue
del suo ordine, unione e contenuto. Non è infatti ragionevole
supporre che ogni produzione della natura abbia il potere di
generare un suo simile, ma che l'universo e le essenze primarie non
possiedano più abbondantemente una simile capacità di
procreazione; poiché la sterilità può appartenere solo alle nature
più abiette e non a quelle più eccellenti.
In conseguenza di questo ragionamento, Orfeo riempì tutte le cose
di Dei, subordinati al demiurgo del tutto Δημιυργῷ ognuno dei
quali svolge l'ufficio destinato dal suo capo superiore alla sua
divinità. Perciò secondo la sua teologia ci sono due mondi, quello
intelligibile e quello sensibile. Da qui anche i suoi tre principi
demiurgici: Gioviano, Dionisiaco e Adonico, Δίας, Διονυσιακὴ,
Αδωναϊκὴ, da cui procedono molti ordini e differenze di dèi,
intellettivi intelligibili, sovra-mondani, mondani, celesti, autori
della generazione. E tra questi, nell'ordine, gli Dei custodi,
demiurgici, elevatori e comprensivi; perfezionatori di opere,
vivificatori, immutabili, assoluti, giudiziari, purganti, ecc. e oltre a
questi, a ciascuna divinità particolare, aggiunse una moltitudine
particolare di angeli, daimon ed eroi. Proclo, che riferisce
l'opinione di Orfeo e dei teologi, dice:
"Ogni Dio ha una moltitudine affine di angeli, eroi e daimon.
Infatti ogni Dio presiede alla forma di quella moltitudine che
riceve la divinità".
Egli considerava anche una differenza di sesso in queste divinità,
chiamandone alcune maschili e altre femminili; la ragione di
questa distinzione Proclo, con la sua solita eleganza e sottigliezza,
la spiega così.
159 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
"La divisione tra maschio e femmina comprende in sé tutte le
pienezze degli ordini divini. Poiché la causa della potenza stabile e
dell'identità, il leader χὸρηγος dell'essere, e ciò che investe tutte le
cose con il primo principio di conversione, è compreso nell'ordine
maschile. Ma ciò che genera da sé tutte le varie progressioni e
partizioni, le misure di vita e le potenze prolifiche, è contenuto
nella divisione femminile. E per questo motivo anche Timæus,
convertendosi a tutti gli dèi, con questa divisione delle nature
generate, abbraccia i loro ordini universali. Ma una divisione di
questo tipo è particolarmente adatta e appropriata alla presente
teoria, perché l'universo è pieno di questa duplice specie di Dei.
Per cominciare dagli estremi, il cielo corrisponde alla terra,
nell'ordine e nella proporzione tra maschio e femmina. Poiché il
moto dei cieli conferisce proprietà e poteri particolari a cose
particolari. Ma d'altra parte la terra, ricevendo gli influssi celesti,
diventa gravida e produce piante e animali di ogni genere. E degli
Dei esistenti nei cieli, alcuni si distinguono per la divisione
maschile, altri per quella femminile; e gli autori della generazione,
essendo essi stessi privi di nascita, sono alcuni di quest'ordine e
altri di quello, poiché il coro demiurgico abbonda nell'universo. Ci
sono anche molti canali, per così dire, di vita, alcuni dei quali
presentano la forma maschile e altri quella femminile. Ma perché
insistere su questo particolare? Poiché dalle unità assolute, siano
esse dotate di una forma maschile o femminile, vari ordini di esseri
fluiscono nell'universo".
Thomas Taylor: The Mystical Initiations or Hymns of Orpheus,
with a preliminary Dissertation on the Life and Theology of
Orpheus, London, 1787, traduzione e revisione a cura di Mystes
160 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
161 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
GIAMBLICO: INTRODUZIONE ALLA VITA DI
PITAGORA
Se si considera che Pitagora è stato il padre della filosofia, le
memorie autentiche della sua vita non possono non essere
straordinariamente interessanti per ogni amante della
sapienza, e in particolare per coloro che venerano le dottrine
di Platone, il più genuino e il migliore dei suoi discepoli. E
che le seguenti memorie di Pitagora di Giamblico siano
autentiche, è riconosciuto da tutti i critici, poiché sono per la
maggior parte derivate da fonti di altissima antichità e
qualità; e laddove le fonti sono conosciute, c'è ragione di
credere, per il grande valore e la rispettabilità del biografo,
che le informazioni siano perfettamente accurate e veritiere.
Del biografo, infatti, Giamblico, è noto a tutti gli studiosi del
platonismo che tutti i platonici che gli sono succeduti lo
162 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
hanno degnato dell'appellativo di divino; e dopo l'encomio
fattogli dall'acuto imperatore Giuliano, "che era posteriore a
Platone nel tempo, ma non nel genio " , ogni ulteriore elogio
sarebbe superfluo, così come è spregevole e vana la
diffamazione che ne fanno certi critici moderni. Infatti,
questi omoni che guardano solo alla sua carenza stilistica, e
non alla grandezza del suo intelletto, percepiscono solo gli
aspetti secondari della sua opera, e perciò non intravedono
nemmeno la sua superiore eccellenza. Notano
minuziosamente le macchie che sono sparse sui raggi di sole
del suo genio, ma non ne sentono il calore vivificante, non
ne vedono lo splendore abbagliante.
Di quest'uomo straordinario esiste una vita scritta da
Eunapio, la cui sostanza ho riportato nella mia Storia della
restaurazione della teologia platonica e alla quale rimando il
lettore inglese. Al momento mi limiterò a selezionare da
quell'opera i seguenti dati biografici relativi al nostro
Giamblico: egli discendeva da una famiglia altrettanto
illustre, fortunata e ricca. Il suo paese era Calcide, una città
della Siria, che si chiamava Cele. Si associò ad Anatolio, che
era discepolo di Porfirio, ma lo superò di gran lunga nelle
sue conquiste e salì al vertice della filosofia. Dopo essere
stato per qualche tempo legato ad Anatolio, trovandolo
probabilmente insufficiente a soddisfare i vasti desideri della
sua anima, si dedicò a Porfirio, al quale (dice Eunapio) non
era in nulla inferiore, se non nella struttura e nella potenza
della composizione. I suoi scritti, infatti, non erano così
eleganti e aggraziati come quelli di Porfirio: non erano né
gradevoli, né perspicaci, né privi di impurità di dizione.
E sebbene non fossero del tutto oscuri e perfetti, tuttavia,
come Platone ha già detto di Senocrate, egli non sacrificò
alle Grazie Mercuriali. Perciò è ben lontano dal trattenere
163 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
con piacere il lettore che si limita a osservare il suo stile
letterario, ma piuttosto distoglierà e allontanerà la sua
attenzione, frustrando le sue aspettative. Tuttavia, sebbene la
parte superficiale delle sue concezioni non sia ricoperta dai
fiori dell'eloquio, la loro profondità è ammirevole e il suo
genio è davvero sublime. E ammettendo che il suo stile
abbondi in di quei difetti che sono stati notati dai critici, mi
sembra tuttavia che la decisione dell'anonimo scrittore greco
a proposito della sua Risposta all'Epistola di Porfirio, sia più
o meno applicabile a tutte le altre sue opere. Egli dice infatti
"che la sua dizione in quella Risposta è concisa e definita, e
che le sue concezioni sono piene di efficacia, eleganti e
divine".
Giamblico godette in misura eminente del favore della
divinità, a causa della sua esaltazione della giustizia, e si
procurò una numerosa schiera di collaboratori e discepoli,
che giungevano da tutte le parti del mondo, allo scopo di
partecipare alle lezioni di saggezza che sgorgavano così
copiosamente dalla sacra fonte della sua mente meravigliosa.
Tra questi c'era Sopater di Siria, abilissimo nel parlare e
nello scrivere, Eustasio di Cappadocia e, tra i Greci, Teodoro
ed Eufrasio. Tutti costoro erano eccellenti per virtù e
capacità, così come molti altri suoi discepoli, che non erano
molto inferiori ai primi in eloquenza; tanto che sembra
meraviglioso come Giamblico potesse occuparsi di tutti loro,
con una tale gentilezza di modi e benignità d'animo come
dimostrava continuamente.
Eseguiva alcuni attività particolari relativi alla venerazione
della divinità da solo, senza i suoi amici e discepoli; ma era
inseparabile dai suoi familiari nella maggior parte delle sue
operazioni. Nella sua alimentazione imitava la semplicità
frugale dei tempi più antichi e, durante il pasto, dava lezioni
164 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
ai presenti con il suo comportamento e li riempiva di nettare
con la dolcezza dei suoi discorsi.
Un celebre filosofo di nome Alipio, profondamente esperto
di dialettica, fu contemporaneo di Giamblico, ma era di
statura così piccola da avere l'aspetto di un maialino.
Tuttavia, le sue grandi capacità compensavano ampiamente
questo insignificante difetto. Infatti, si potrebbe dire che il
suo corpo si annientava nell'anima; così come il grande
Platone dice che i corpi divini, a differenza di quelli mortali,
sono situati nelle anime. Così anche di Alipio si potrebbe
affermare che era migrato nell'anima e che era contenuto e
governato da una natura superiore all'uomo. Questo Alipio
aveva molti seguaci, ma il suo modo di filosofare si limitava
a conferenze e dispute private, senza mettere per iscritto
nessuna delle sue lezioni. Perciò i suoi discepoli si
rivolgevano volentieri a Giamblico, desiderosi di attingere
abbondantemente ai flussi esuberanti della sua mente
inesauribile. La fama di ciascuno di loro aumentava
continuamente, tanto che una volta si incontrarono
casualmente come due stelle splendenti e furono circondati
da una così grande folla di uditori da sembrare un rumoroso
museo.
Mentre Giamblico in queste occasioni desiderava piuttosto
di essere interrogato che di proporre lui stesso una domanda,
Alipio, contrariamente alle aspettative di tutti,
abbandonando le discussioni filosofiche e vedendosi
circondato da una moltitudine di uomini, si rivolse a
Giamblico e gli disse: "Perchè, o filosofo, è ingiusto il ricco,
o l'erede dell'ingiusto? Perché in questo caso non c'è una via
di mezzo". Ma Giamblico, che notò l'acutezza della
domanda, rispose: "O uomo più meraviglioso di tutti, questo
modo di considerare se qualcuno eccelle in esteriorità è
165 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
estraneo al nostro metodo di filosofare; poiché noi
chiediamo se un uomo abbonda in quella virtù che gli è
propria e che si addice a un filosofo". Dopo aver detto
questo, se ne andò e nello stesso tempo tutta la folla
circostante si disperse immediatamente. Ma Giamblico,
quando era solo, ammirava l'acutezza della questione e
spesso ricorreva privatamente ad Alipio, che ammirava
molto per il suo acume e la sua sagacia; tanto che, dopo la
sua morte, scrisse la sua vita. Questo Alipio era alessandrino
di nascita e morì nel suo paese, per vecchiaia; dopo di lui
Giamblico, lasciò dietro di sé una grande dottrina filosofica,
la quale grazie al seguito dei suoi successori neo-platonici,
produsse risultati copiosi e notevoli.
Per un resoconto degli scritti teologici di Giamblico,
rimando il lettore alla mia già citata Storia della
restaurazione della teologia platonica; e per un'accurata
informazione critica su tutte le sue opere, alla Bibliotheca
Graeca di Fabricius.
Della Vita di Pitagora, è necessario osservare che l'originale
ci è stata trasmessa in uno stato molto imperfetto, in parte
per i numerosi errori verbali del testo, in parte per la
mancanza di connessione tra le cose narrate, e in parte
perché molti particolari sono riferiti in luoghi diversi, con le
stesse parole; cosìcche è molto probabile la congettura di
Kuster, uno degli editori tedeschi di quest'opera, secondo la
quale essa non sarebbe pervenuta in forma perfetta a
Giamblico, ma sicuramente dopo numerose manipolazioni
che hanno di sicuro adulterato l’originale manoscritto.
Nonostante tutti i suoi difetti, tuttavia, è, come ho già
osservato, un'opera molto interessante; e i benefici
inestimabili che la sua diffusione è destinata a produrre sono
inestimabili. E poiché due dei più celebri critici tedeschi,
166 Thomas Taylor
Scritti su Platone e sul Platonismo
Kuster e Kiessling, hanno dato due splendide edizioni di
quest'opera, è evidente che devono essere stati
profondamente colpiti dal suo valore e della sua importanza.
Per quanto riguarda i frammenti etici pitagorici, ogni elogio
è superfluo se si considera che, indipendentemente dal fatto
che sono stati scritti da pitagorici molto antichi, sono stati
una delle fonti da cui Aristotele stesso ha tratto la sua
consumata conoscenza della morale pitagorica, come sarà
subito evidente confrontando la sua Etica Nicomachea con
questi frammenti.
Per quanto riguarda la raccolta delle Sentenze Pitagoriche
contenuta in questo volume, è quasi superfluo osservare che
esse sono eccellenti; ed è profondamente deplorevole che,
essendo andati perduti gli originali greci delle Sentenze di
Sesto, ne sia rimasta solo la fraudolenta versione latina del
Presbitero Ruffino. La definisco una versione fraudolenta,
perché Ruffino, volendo persuadere il lettore che queste
Sentenze sono state scritte da un vescovo di nome Sisto, ha
in molti punti pervertito e contaminato il significato degli
originali. Nella selezione, tuttavia, che ho fatto di queste
Sentenze, ho cercato, e spero non invano, di dare il senso
genuino delle Sentenze, evitando le barbare e inquinate
interpolazioni di Ruffìno. Se il lettore inglese possiede la
mia traduzione delle Sentenze di Demofilo e quella di Mr.
Bridgman delle Sentenze auree di Democrate e delle
Similitudini di Demofilo, sarà in possesso di tutte le
Sentenze pitagoriche esistenti, ad eccezione di quelle di
Sesto che non sono state tradotte, a causa dello stato molto
impuro e spurio in cui si trovano attualmente.
Ritengo inoltre necessario osservare che la vita pitagorica
qui delineata è un esempio della massima perfezione in virtù
e saggezza che può essere raggiunta dall'uomo nello stato
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Scritti su Platone e sul Platonismo
attuale. Perciò, essa mostra la pietà non contaminata dalla
follia, la virtù morale non contaminata dal vizio, la scienza
non mescolata dai sofismi, la dignità della mente e dei modi
non accompagnata dall'orgoglio, una sublime magnificenza
nella teoria, senza alcuna degradazione nella pratica, e un
vigore dell'intelletto che eleva il suo possessore alla visione
della divinità, e quindi divinizza mentre esalta.
L'originale dell'incisione della testa di Giamblico sul
frontespizio si trova alla fine di un volumetto composto da
traduzioni latine del De Mysteriis di Iamblichus, di Proclo
sul primo Alcibiade di Platone, Genev. 1607. Questa
incisione è stata aggiunta perché mi è sembrato probabile
che questo originale sia stato copiato da una gemma antica.
E poiché non è impossibile che lo fosse, se non è autentica, è
almeno ornamentale.