La sfera
emotivo-affettiva
emozione
non è una “reazione psicofisica
(che coinvolge sia il corpo sia la mente),
piacevole o spiacevole, a eventi esterni e interni.
Le emozioni sono insomma le risposte che ognuno di noi
dà alle percezioni di differenti stimoli, sulla base anche
della propria esperienza
la scienza divide queste risposte in 4 diverse tipologie
• risposte fisiologiche, che alterano la frequenza respiratoria e
cardiaca, la pressione del sangue o la pelle;
• risposte tonico-posturali, come ad esempio la tensione o il
rilassamento del corpo;
• risposte comportamentali, ossia che incidono sul comportamento;
• risposte espressive, a loro volta suddivise in mimico-facciali (con
variazioni nella voce e nei gesti) e di tipo linguistico (che
influenzano le scelte lessicali e sintattiche).
L’emozione quindi consiste in una serie di modificazioni
che avvengono nel nostro corpo sia a livello fisiologico,
alterazioni respiratorie e cardiache, sia di pensieri, ad
esempio: “… che paura… ” o “… non c’è speranza…”, sia
reazioni comportamentali, come il fuggire o gridare o
alterazioni della mimica facciale, che il soggetto utilizza in
risposta a un evento.
Diverse teorie sulle emozioni…ma…
La distinzione sulla quale sono tutti d'accordo
è quella tra
emozioni di base e le emozioni complesse
La teoria di EKMAN
Questo psicologo americano racconta di essere stato in un remoto villaggio sulle
alture della Papua Nuova Guinea per studiare gli abitati del posto e verificare se
fosse possibile riscontrare anche tra loro le stesse emozioni provate da altri popoli.
Gli indigeni, i Fore, popolo pre-letterario, alla vista di Ekman che mangiava del cibo
a loro sconosciuto rimasero stupiti. In particolare uno di loro rimase a guardare
Ekman con una particolare espressione.
Lo studioso entusiasta della loro reazione, fotografò l’espressione di disgusto
evidenziata sul volto di questo membro della tribù e scrisse: “La fotografia illustra che
l’uomo è disgustato dalla vista e dall’odore del cibo che io consideravo appetitoso”.
Fu proprio seguendo questa Tribù che Ekman poté notare
come le espressioni di base fossero universali perché
riscontrabili in popolazioni diverse, anche in quella dei Fore
che è isolata dal resto del mondo.
Così decise di stilare una lista di emozioni divise in primarie
e secondarie.
Emozioni Emozioni
PRIMARIE SECONDARIE
Le emozioni primarie sono quelle che
sono emozioni innate originano
e sono riscontrabili in dalla combinazione
qualsiasi popolazione, delle emozioni primarie
per questo sono definite e si sviluppano con la
primarie ovvero universali crescita dell’individuo e
con l’interazione sociale
Le emozioni primarie o di base sono:
• 1. rabbia, generata dalla frustrazione che si può manifestare attraverso
l’aggressività;
• 2. paura, emozione dominata dall’istinto che ha come obiettivo la sopravvivenza
del soggetto ad una situazione pericolosa;
• 3. tristezza, si origina a seguito di una perdita o da uno scopo non raggiunto;
• 4. gioia, stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri;
• 5. sorpresa, si origina da un evento inaspettato, seguito da paura o gioia;
• 6. disprezzo, sentimento e atteggiamento di totale mancanza di stima e
disdegnato rifiuto verso persone o cose, considerate prive di dignità morale o
intellettuale;
• 7. disgusto, risposta repulsiva caratterizzata da un’espressione facciale specifica
Le seconde sono delle emozioni più complesse e hanno bisogno di più elementi esterni o
pensieri eterogenei per essere attivate:
• allegria, sentimento di piena e viva soddisfazione dell’animo;
• invidia, stato emozionale in cui un soggetto sente un forte desiderio di avere ciò
che l’altro possiede;
• vergogna, reazione emotiva che si prova in conseguenza alla trasgressione di
regole sociali;
• ansia, reazione emotiva dovuta al prefigurarsi di un pericolo ipotetico, futuro e
distante;
• rassegnazione, disposizione d’animo di chi accetta pazientemente un dolore,
una sfortuna;
• gelosia, stato emotivo che deriva dalla paura di perdere qualcosa che appartiene
già al soggetto;
• speranza, tendenza a ritenere che fenomeni o eventi siano gestibili e
controllabili e quindi indirizzabili verso esiti sperati come migliori;
• perdono, sostituzione delle emozioni negative che seguono un’offesa percepita
(es. rabbia, paura) con delle emozioni positive (es. empatia, compassione);
• offesa, danno morale che si arreca a una persona con atti o con parole;
• nostalgia, stato di malessere causato da un acuto desiderio di un luogo lontano,
di una cosa o di una persona assente o perduta, di una situazione finita che si
vorrebbe rivivere;
• rimorso, stato di pena o turbamento psicologico sperimentato da chi ritiene di
aver tenuto comportamenti o azioni contrari al proprio codice morale;
• delusione, stato d’animo di tristezza provocato dalla constatazione che le
aspettative, le speranze coltivate non hanno riscontro nella realtà.
STRESS e ANSIA (funzionale e disfunzionale)
STRESS
Deriva da una parola latina che significa
STRINGERE
Lo stress è la risposta psicofisica ad una quantità di compiti
(cognitivi, emotivi o sociali)
percepiti come eccessivi
STRESSORI
L’ Organismo genera delle tensioni per reagire agli stimoli
(interni ed esterni),
Queste tensioni vanno costantemente RIEQUILIBRATE
OMEOSTASI
(principio di equilibrio),
Per conservare le proprie caratteristiche morfologiche e fisiologiche
Ex. temperatura
Ciò ha portato a pensare che esista un modo comune di reagire allo
stress indipendentemente dal tipo di evento stressante.
Tale reazione è costituita da tre fasi distinte:
1) REAZIONE DI ALLARME caratterizzata da modificazioni fisiche quali
l’aumento della frequenza cardiaca, l’aumento della attività delle ghiandole
salivari, l’aumento della temperatura, della pressione sanguigna, la tensione
muscolare.
2) RESISTENZA quando il soggetto si riprende dall’allarme iniziale e cerca di
adattarsi alla situazione nuova. Tutto sembra apparentemente sotto controllo,
mentre il realtà il soggetto impegna le proprie risorse fisiche e mentali nel
tentativo di sedare lo stress.
3) ESAURIMENTO in cui il soggetto, sottoposto a nuovo stress, non è più in grado
di rispondere in modo adattato.
Uno degli effetti dello stadio di esaurimento è una ridotta resistenza alle malattie
Se valuto negativamente un fatto accaduto o che sta per accadere, ritenendolo
potenzialmente pericoloso…mi chiederò se posso affrontarlo, ciò determina
insicurezze e timori che influenzeranno la risposta all’evento STRESS
SE LO VALUTO COME FATTO CHE SONO IN GRADO DI GESTIRE…LO
STRESS SI ABBASSA
• La ripetuta esposizione a situazioni frustranti provoca quello che
viene chiamato stress disfunzionale da non confondere con lo
stress che serve a mantenerci attivi e vigili che prende il nome di
stress funzionale.
• Subire stress per periodi prolungati può provocare disturbi quali
l’ipertensione, l’ulcera, alcune forme di cardiopatia e tumore. Le
reazioni fisiologiche causate dallo stress diminuiscono le difese
organiche alle malattie e ne facilitano l’insorgenza.
La persona sotto stress cambia la percezione di sé : prova
complessi di inferiorità e di impotenza, sopravvaluta
persone e situazioni, perde fiducia in sé e nella sua
capacità di incidere sugli eventi. Diventa insicura, ansiosa
e demotivata.
La condizione opposta allo stress è il comfort: produce
distensione e serenità, orgoglio e consapevolezza dei
propri meriti, autonomia e sicurezza, predispone alla
creatività e all'originalità
L’ANSIA
Uno degli Stati emotivo-affettivi più importante
- Non è una malattia ma può diventarlo
- Esiste un’ansia FISIOLOGICA che varia da individuo
a individuo necessaria per lavorare,
studiare…(spinta)
ANSIA FISIOLOGICA vs ANSIA PATOLOGICA
1) Ansia fisiologica non ha nessun effetto negativo
sulle capacità cognitive ed affettive
2) Ansia patologica produce nel soggetto uno stato
di disagio tale da interferire nella sua vita
quotidiana
Ex. BUS (riuscirò a prenderlo, TENSIONE; come faccio a
prenderlo, INCERTEZZA)
STRESS REAZIONE A STIMOLI ESTERNI, PRODOTTA
SOPRATTUTTO DAL MODO IN CUI IL SOGGETTO INTERPRETA
COME PERICOLOSI GLI STIMOLI CHE PER LUI HANNO
VALORE
ANSIA PAURA SENZA OGGETTO, a differenza
della paura sperimentiamo ansia quando avvertiamo inquietudine
per un pericolo imminente ma non c’è un oggetto reale a
provocarlo
L’ansia può attivare delle difese inconsce, ovvero dei meccanismi di
difesa come:
REGRESSIONE : di fronte ad emozioni, conflitti, e difficoltà troppo
forti l'individuo tende a ritornare su posizioni già collaudate e
ritenute più sicure.
Si tratta in genere di un ritorno a forme di pensiero e modalità
relazionali precedenti nello sviluppo del soggetto.
RIMOZIONE: il soggetto che utilizza questa strategia esclude i
pensieri e le emozioni dalla coscienza.
SPOSTAMENTO: scaricare un impulso su un oggetto sostitutivo, di
solito, meno minaccioso e ansiogeno dell’oggetto originale.
E’ frequente che una persona arrabbiata con un superiore non
esprima direttamente il proprio stato d’animo, ma sposti la sua
rabbia verso un obiettivo maggiormente accettabile.
PROIEZIONE: un modo per bloccare pensieri ed impulsi
inaccettabili consiste nell’attribuirli ad un’altra persona. La
proiezione colloca le responsabilità di un individuo al di fuori e
rimuove la colpa e il conflitto che un certo comportamento
avrebbe, in caso contrario, causato.
NEGAZIONE: consiste nel negare la realtà di un fatto doloroso o
ansiogeno o nell’escluderne inconsciamente un aspetto disturbante.
Tale meccanismo può essere utile di fronte all’impatto fisico o
psichico della malattia; può avere una funzione protettiva,
impedendo che l’individuo sia sopraffatto dall’ansia e da altre
emozioni negative.
La negazione portata all’eccesso è pericolosa, perché non rende il
malato cosciente della gravità della malattia e rende difficile la
terapia.
La sfera emotivo-affettiva
Qual è il rischio per l’operatore?
Il burn-out
Il burn-out è un rischio che corrono tutte
quelle figure caricate da una duplice fonte di
stress,
quello personale e quello della persona
aiutata.
CHI COLPISCE?
In particolare colpisce
• i medici e le altre figure sanitarie, compresi volontari e studenti,
• gli addetti ai servizi di emergenza, tra cui poliziotti e vigili del
fuoco,
• psicologi, psichiatri e assistenti sociali,
• sacerdoti e religiosi (in particolare se in missione),
• insegnanti ed educatori,
• tecnici della riabilitazione psichiatrica,
• avvocati, ricercatori.
BURN OUT – COSA SIGNIFICA?
Il termine, in inglese, significa "bruciarsi“.
Questi soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di
"logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di
energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato.
In tali condizioni può anche succedere che queste persone si facciano
un carico eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano,
non riuscendo così più a discernere tra la propria vita e la loro.
BURN OUT – COSA COMPORTA?
Il burn-out comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un
atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta
realizzazione personale.
Il soggetto tende a sfuggire l'ambiente lavorativo assentandosi sempre più
spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare
frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti
delle persone delle quali dovrebbe occuparsi.
Il burn-out si accompagna spesso ad un deterioramento del benessere
fisico, a sintomi psicosomatici come l'insonnia e psicologici come la
depressione.
BURN OUT – COME MISURARLO?
Per misurare il burn out ci sono diverse scale ma è da
ricordare la scala di Maslach: un questionario di 22 items,
ossia domande, atte a stabilire se nell'individuo sono
attive dinamiche psicofisiche che rientrano nel burn out.
A ogni domanda il soggetto interessato deve rispondere
inserendo un valore da 0 a 6 per indicare intensità e
frequenza con cui si verificano le sensazioni descritte
nella domanda stessa.
BURN OUT – LE FASI
Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta
generalmente seguendo quattro fasi:
1. La prima è quella dell'"entusiasmo idealistico"
che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di
tipo assistenziale.
2. Stagnazione: il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e
di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue
aspettative non coincidano con la realtà lavorativa.
L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di gratificazione legati
alla professione iniziano a diminuire.
3. Frustrazione: il soggetto affetto da burn-out avverte
sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di
insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato,
oberato di lavoro e poco apprezzato;
spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga
dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti
aggressivi verso gli altri o verso se stesso.
4. Apatia: l'interesse e la passione per il proprio lavoro si
spengono completamente e all'empatia subentra
l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte
professionale".
Le cause del burn out
• Sovraccarico di lavoro: quando la persona percepisce un carico di
lavoro eccessivo (le richieste lavorative sono così elevate da
esaurire le energie individuali al punto da non rendere possibile il
recupero),
quando, anche in presenza di un carico ragionevole, il tipo di lavoro
non è adatto alla persona (si percepisce di non avere le abilità per
svolgere una determinata attività) e quando il carico emotivo del
lavoro è troppo elevato.
• Senso di impotenza: il soggetto non ritiene che ciò che fa riesca ad
influire sull'esito di un determinato evento.
• Mancanza di controllo: quando l'individuo percepisce di avere
insufficiente controllo sulle risorse necessarie per svolgere il
proprio lavoro oppure quando non ha sufficiente autorità per
attuare l'attività nella maniera che ritiene più efficace.
• Riconoscimento: quando si percepisce di ricevere un
riconoscimento inadeguato per il lavoro svolto.
• Senso di comunità: quando crolla il senso di appartenenza
comunitario all'ambiente di lavoro, ovvero quando si percepisce
che manca il sostegno, la fiducia reciproca ed il rispetto e le
relazioni vengono vissute in modo distaccato ed impersonale.
• Assenza di equità: quando non viene percepita l'equità
nell'ambiente di lavoro in ambiti quali, ad esempio,
l'assegnazione dei carichi di lavoro e della retribuzione o
l'attribuzione di promozioni e avanzamenti di carriera.
• Valori contrastanti: quando si vive un conflitto di valori
all'interno del contesto di lavoro, la persona non
condivide i valori che l'organizzazione trasmette.
• Facile identificazione del personale con la malattia.
Le conseguenze del burnout
A livello individuale
• Atteggiamenti negativi verso i clienti/utenti
• Atteggiamenti negativi verso se stessi
• Atteggiamenti negativi verso il lavoro
• Atteggiamenti negativi verso la vita
• Calo della soddisfazione lavorativa
• Calo dell'impegno verso l'organizzazione
• Riduzione della qualità della vita personale
• Peggioramento dello stato di salute
Le conseguenze del burnout
A livello organizzativo
• Aumento dell'assenteismo
• Aumento del turnover
• Calo della performance
• Calo della qualità del servizio
• Calo della soddisfazione lavorativa
IL CONFLITTO
Il conflitto può essere definito come la presenza, nel comportamento
di un individuo, di assetti motivazionali contrastanti rispetto alla
meta.
In altri termini il conflitto in psicologia indica uno scontro tra ciò che
una persona, o il proprio gruppo di appartenenza, desidera e
un'istanza interiore, interpersonale o sociale che impedisce la
soddisfazione del bisogno, dell'esigenza o dell'obiettivo connessi a
tale desiderio.
Il conflitto è in stretto legame con la frustrazione poiché i desideri, i
bisogni e le esigenze spesso continuano a sussistere anche se sono tra
loro apparentemente inconciliabili o comunque opposti come
avviene, ad esempio, tra la golosità e il mantenere un buon aspetto
fisico o tra la voglia d'indipendenza e la necessità di protezione
nell'adolescente;
il conflitto può essere più o meno cosciente, al limite opposto
inconscio: un adolescente ad esempio spesso rifiuta o nega la
dipendenza dai genitori o da chi si cura di lui, ma al contempo è
cosciente di averne oggettivamente bisogno per la sua sopravvivenza
ovvero di non essere completamente autonomo.
Va distinto un conflitto interiore (nella mente della singola persona)
da un conflitto sociale (tra due o più persone o gruppi)
tenendo anche conto delle varie sfumature del concetto di conflitto
date dalle varie correnti della psicologia.
Conflitto intrapsichico
Viene anche chiamato conflitto intrapersonale; riguarda i desideri o mete
contrastanti di cui il soggetto è normalmente consapevole, mentre,
soprattutto in psicanalisi, si usa il termine di conflitto psichico o conflitto
dinamico per indicare il conflitto tra istanze mentali di una persona ad un
livello non cosciente che solo successivamente può emergere ad un livello
conscio, spontaneamente o a seguito di una psicoterapia, ed essere
verbalizzato, interpretato, interiorizzato e possibilmente risolto.
Generalmente il conflitto intrapsichico interessa aspetti di natura
pulsionale, profondi, esistenziali, intimi alla persona, e quindi soltanto
secondariamente collegati alla sfera sociale.
Conflitto interpersonale
Chiamato anche conflitto infrapsichico, si sviluppa tra due o più
persone quando la soddisfazione di un desiderio o il
conseguimento di un obiettivo da parte del singolo entra in
contrasto con i desideri o gli obiettivi di altre persone.
Può definirsi anche conflitto sociale se interessa due o più gruppi
sociali in lotta tra loro per ottenere risorse esclusive o per uno
scopo prettamente difensivo di conservazione o ancora, in
generale, quando si instaura una situazione competitiva inter-
gruppi. Il conflitto interpersonale riguarda generalmente i
rapporti problematici che intercorrono tra le persone, gli scontri
tra diversi ruoli sociali, quindi è collegato solo secondariamente
agli aspetti intimi o esistenziali della persona.
IL CONFLITTO nella RELAZIONE d’AIUTO
- Ansia
- Conflitto
Possono emergere durante questa tipologia di lavoro…gestirli può essere
molto faticoso.
ESOGENO (relazione con assistito, altri operatori,
organizzazione
CONFLITTO
ENDOGENO
MEDIAZIONE del CONFLITTO
- ESOGENO può essere gestito attraverso
tecniche di MEDIAZIONE del CONFLITTO, hanno
lo scopo di attivare le risorse presenti nella
situazione per evitare rotture insanabili
ENDOGENO più complessi perché
possono sfuggire ad un’attenta analisi
razionale; è utile confronto con altri operatori.
Difficile trovare linee guida per tutti i cassi…in genere è
sempre preferibile NON IGNORARE LE PROPRIE
TENSIONI, IDENTIFICARLE, IMPARARE A
CONOSCERLE, PREVENIRLE E RIELABORARLE.
LA PSICOLOGIA nell’arco della VITA
La nostra esistenza è scandita da
- Tappe
- Compiti da realizzare
il mancato raggiungimento può influenzare negativamente
la qualità di vita individuale
Lo psicoanalista statunitense Erik Erikson ha elaborato una teoria sullo
sviluppo della personalità che prende le distanze dalla tradizione freudiana
per due aspetti:
• 1) l’interesse di Freud per l’individuo si limita alle fasi dell’infanzia e
dell’adolescenza mentre Erikson si occupa anche dell’età adulta e
dell’anziano perché il suo pensiero è rivolto all’intero ciclo di vita.
• 2) Erikson sottolinea l’importanza della società e dell’interazione con il
contesto di vita per cui lo sviluppo della persona è sempre il risultato del
rapporto tra la maturazione fisica, emotiva e cognitiva e le richieste della
società.
Per sottolineare questo costante riferimento all’ambiente di
vita lo studioso ha individuato otto fasi di crescita e di
sviluppo della personalità chiamate psico-sociali.
Ognuna di queste fasi rappresenta un momento critico che
pone l’individuo di fronte a un dilemma il cui
superamento permette il passaggio alla fase successiva.
A ogni passo l’individuo è in grado di instaurare con
l’ambiente nuovi equilibri e le sue relazioni diventano
gradualmente più numerose e complesse.
LE OTTO FASI PSICOSOCIALI
Le fasi individuate da Erikson riprendono, per quel che riguarda l’infanzia, quelle
sessuali di Freud.
• La prima fase è detta della “speranza” e corrisponde alla fase orale di Freud. Nel
primo anno di vita il bambino è posto di fronte alla dicotomia tra fiducia e sfiducia
verso il mondo che lo circonda, tutto dipende dall’affidabilità e dalla presenza della
figura materna, la fiducia nella madre fa sì che il bambino riesca a confidare in tutte
le altre cose.
• La seconda fase è segnata dal “controllo” e dalla “disciplina” corrisponde ai due-tre
anni e alla fase anale. Il bambino in questa fase impara a sottoporre i propri bisogni a
quello che Freud aveva definito “principio di realtà”, acquisendo la capacità di
aspettare per la loro soddisfazione. Nasce l’autonomia e il riconoscimento dei propri
limiti e della necessità di farsi aiutare.
• La terza fase si sviluppa intorno ai quattro-cinque anni e
corrisponde alla fase fallica, è caratterizzata dalla “competenza”.
La maggior padronanza delle situazioni e uno sviluppato
autocontrollo portano a privilegiare l’iniziativa autonoma, questa si
contrappone al senso di colpa nel dover constatare che per
raggiungere i propri fini è necessario spesso far uso di mezzi
aggressivi.
• La quarta fase, dai sei ai dodici anni, corrisponde alla fase di
latenza. Le attività non sono più solo ludiche, il bambino desidera
ottenere la considerazione degli insegnanti ed essere accettato dai
compagni. Se il bambino riesce a superare le difficoltà di questa
fase sviluppa un “senso di operosità e di efficacia”, altrimenti
sperimenta un senso di “inferiorità”.
• Nella quinta fase, dai tredici ai diciotto anni, corrispondente alla
fase genitale di Freud, si contrappongono “identità” e “confusione
di ruolo”. L’individuo può essere consapevole della propria
personalità, delle proprie caratteristiche oppure non essere in
grado di definire ciò che lo differenzia dagli altri e vivere
confusamente le proprie esperienze.
• Nella sesta fase, dai diciannove ai venticinque anni, ha inizio l’“età
adulta”. L’ambivalenza è fra “intimità” e “isolamento”. Il bisogno
di un rapporto intimo non è più indifferenziato ma si esprime con
la scelta di legarsi a una persona. Nasce il rapporto di coppia, chi
non riuscirà a vivere questo senso di intimità si sentirà isolato.
• La settima fase contrappone la “generatività” alla “stagnazione” e
riguarda la fascia dai ventisei ai quarant’anni, è in questa fase che si
esprime la capacità di procreare e di esprimere creatività in ambito
professionale contrapposta alla stagnazione.
• L’ottava fase va dai quarant’anni fino alla vecchiaia; in questa fase
il divario è fra “integrità dell’io” e “disperazione” è il tempo dei
bilanci, della nostalgia, delle riflessioni su ciò che è stata la propria
vita, è anche il momento in cui bisogna cominciare a fare i conti con
l’idea della morte. La disperazione nasce quando l’Io che ripercorre
la propria vita non si sente integrato, non esprime in maniera
coerente la propria individualità.