Luchino Visconti Milano,
2 novembre 1906 – Roma, 17 marzo 1976)
Si ispira al realismo poetico dei francesi che negli anni ’30 era stato molto in auge; il più famoso è Jean Renoir, ed è il
figlio del pittore impressionista Pierre-Auguste Renoir, di cui Visconti è stato aiuto-regista e che fa prevalentemente
film di critica sociale (es: Toni, film della fine degli anni ’30, il protagonista è un italiano che lavora nelle viti francesi,
Renoir ci mostra che lui è molto più saggio e positivo dei padroni francesi, uno di questi sta per violentare un’operaia
spagnola che lo uccide e Toni se ne prende la responsabilità, verrà poi ucciso da un poliziotto francese). È un film di
critica del capitalismo, perché Renoir è un socialista, marxista, regista del fronte popolare (l’unione del partito
socialista e comunista che ha governato la Francia fine anni ’30 e inizi anni ’40; grande momento di vivacità culturale e
riforme sociali).
Tornato in Italia gira il primo film Ossessione (1943) con l’attore Massimo Girotti, il bello del cinema italiano, utilizzato
da Blasetti in ruoli di eroe forte, robusto. Visconti lo usa in modo assolutamente anti retorico. È la storia di un uomo
povero che vagabonda per l’Italia del nord, in particolare la foce del Po tra Ravenna e Ferrara. Diventa amante
dell’attrice Clara Calamai, magra e felina, e da lei convinto a uccidere il marito in una trattoria dove lui aveva chiesto
lavoro. È un film importante perché ci mostra il maschio Massimo Girotti come un personaggio fragile, che si lascia
manipolare da questa donna; nel film c’è un’enigmatica parentesi in cui il protagonista per sottrarsi all’influsso nefasto
della donna, convive con un suo amico spagnolo in amicizia, ma Visconti con vari accorgimenti ci fa capire che tra i due
c’è una relazione->si sgretola il personaggio maschile virile che il fascismo aveva esaltato.
Si dice che questo sia un film pre-neo realista ma non si rifà alla realtà come quelli di De Sica, è un film poetico,
sognato, è come se il personaggio vivesse una sorta di incubo, anche gli atteggiamenti sono decadentistici. Si
caratterizza per un clima realistico ma con aspetti di morbosità, di intensità sensuale, basata sull’attrazione erotica che
questi due personaggi vivono, in cui a dominare è questa dark lady, un’eroina nera, personaggio soprattutto del
cinema noir americano, giallo torbido, tra l’altro il film è tratto dal romanzo “il postino suona sempre due volte”,
basato anche sulla cinematografia francese. Questo ragazzo viene dunque convinto da questa donna a commettere il
delitto ma lei resta uccisa durante una fuga in macchina e lui finirà in prigione. Nella scena finale, dopo l’incidente, il
poliziotto mette una mano sulla spalla di Girotti, come a consolarlo anche per la morte della compagna. (Marlon
Brando si ispira a Girotti, in “Un tram che si chiama desiderio” è un macho dominato anche egli dalla donna, sono
bacati, fragili, si spezzano).
Il suo unico film Neo-realista è La terra trema del 1948, ispirato al capolavoro del Verismo I Malavoglia di Giovanni
Verga, un libro che descrive la sconfitta di questo pescatore che si chiama ‘Ntoni. È una sconfitta perché ‘Ntoni vuole
mettersi in proprio perché è sfruttato dagli imprenditori della pesca (mafiosi) anche se nel libro non si parla di mafia
perché era in gestazione, si parla di gente che lucra sul lavoro altrui. ‘Ntoni cerca di sfuggire al ricatto dei padroni, ma
non ce la fa e deve tornare sotto padrone, con tutti i sarcasmi di quelli che lo riaccettano come “servo”, ma soprattutto
la sua famiglia di sfalda->la sorella diventa una prostituta, la madre sta per morire ecc (nel film di Visconti). Per fare
questo film ci sono voluti 8 mesi. Visconti in parte si è fatto finanziare dal Partito Comunista (era amico di Togliatti) e in
parte se li è fatti dare dalla sua industria familiare, la Carlo Erba. La fotografia è stata assegnata ad Aldo Graziati che
viveva in Francia, uno dei più grandi direttori di fotografia al mondo. Avrebbe dovuto essere il primo film di un "trittico
della miseria" e avrebbe dovuto descrivere, nell'ordine, la lotta dei pescatori, dei minatori nelle zolfare e dei contadini
che lottano per liberarsi dalla schiavitù. La trilogia si sarebbe conclusa con una galoppata da far tremare la terra,
appunto, lungo i terreni conquistati ai latifondisti. In definitiva, Visconti riuscì a realizzare solo il primo capitolo.
Per la lavorazione, iniziata nel novembre del 1947, Visconti ricorse solamente ad attori non professionisti. Sono infatti
gli abitanti di Aci Trezza (Catania) che davanti alla macchina da presa parlano in lingua siciliana e vivono la loro dura
esistenza quotidiana. Il film è scisso tra la cultura letteraria del regista e questo intento di descrivere le condizioni reali
di questa gente povera, è un realismo deviato->c’è questa ipoteca culturale molto forte, per questo Fellini diceva che
l’unico neo-realista era Rossellini, gli altri sono dei seguaci della grande letteratura realista. Questa contraddizione la
vediamo nella voce fuori campo che commenta gli eventi, il testo di questa voce è molto letterario, che stride col
dialogato del film che è in dialetto stretto. Questo documenta la matrice culturale del regista e una sua concezione del
sociale che vede la questione dei poveri dominata dall’alto. Solo l’intellettuale può inquadrare un certo contesto,
quindi si crea questo distacco che è inevitabile. Questo modo di fare della voce fuori campo è in rapporto con la
leadership dall’alto del PCI dell’epoca ->Togliatti comandava tutto, non erano le masse che si autodeterminavano;
c’erano gli intellettuali del partito che dicevano cosa si doveva fare.
In Visconti ci sono 2 filoni concettuali: 1. Il conflitto di classe (lotta poveri vs ricchi- la terra trema) 2. Il corpo dell’essere
umano che vive una crisi->crisi del decadere (come nel film “le notti bianche”)
Visconti grande musicofilo lirico, fa film drammatici con molta musicalità lirica e alterna una grande produzione (La
Terra trema, Ossessione) e una piccola produzione (Le notti bianche)
Bellissima (1951) -> film drammatico con Anna Magnani e Walter Chiari che parla del cinema, il migliore che parla di
questo argomento mai realizzato in Italia (METACINEMA). Cinecittà è protagonista della scenografia. Un annuncio della
radio dà notizia che il regista Alessandro Blasetti cerca a Roma una bambina per una parte in un film. Ciò fa accorrere
a Cinecittà una folla di madri, tra le quali la popolana Maddalena Cecconi (Magnani) con la figlioletta Maria, per la
quale la donna sogna un'ascesa sociale, tramite una carriera di artista alla quale lei aveva inutilmente aspirato in
gioventù. C’è un incontro con un regista (interpretato da Blasetti). C’è la presa in giro del ruolo del regista autoritario
(Blasetti se la prese lo stesso). Visconti era molto autorevole, quasi autoritario (Il Gattopardo: operaio licenziato perché
passò davanti l’obiettivo mentre lui stava preparando la scena).
La bambina non è particolarmente bella né talentuosa, ma ha un viso buffo. La madre cerca di raccomandarla ad un
uomo che lavorava lì (Walter Chiari), che cerca di sedurla. Durante il provino la bimba, goffa e timida, scoppia a
piangere, suscitando le risate della troupe. Solo a questo punto, Maddalena capisce di aver preteso dalla bambina cose
che non voleva né poteva fare, di aver speso inutilmente il denaro che serviva per la famiglia, e di aver messo anche in
crisi il rapporto con il marito. Una volta tornati a casa la bambina viene richiamata ma la madre rifiuta. Abitavano
vicino ad un cinema-arena, con voce di Burt Lancaster in sottofondo. Nella strada di casa c’è il circo da cui si sente la
musica, inizio della catarsi con pianto di lei. Volto della Magnani che passa dal sogno alla rassegnazione. Musiche che
rimandano al sogno del mondo dello spettacolo, che svela gli inganni con i suoi stessi strumenti. Cinecittà è
inquadratura di uno schermo, a sottolineare l’ambizione di ognuno, la feritoia è come un piccolo schermo. La
teatralizzazione reale svela l’inganno del cinema riducendo al minimo l’artificiosità della finzione.
Senso (1954)Siamo nella terza guerra di indipendenza, 1866 a Venezia. L’Italia è stata sconfitta dall’Austria. C’è una
nobil donna italiana innamorata di un ufficiale austriaco. Per non farlo andare in battaglia paga i medici militari che lo
esonerino. È il primo film a colori di Visconti, a fare la fotografica era stato chiamato Aldo Graziati, detto Aldò, che
aveva curato la raffinata fotografia della “Terra Trema”. Aldò fa buona parte della fotografia, ma purtroppo muore in
un incidente stradale mentre va sul set. Quando Aldò muore le scene vengono girate da Crasker e sono molto
interessanti, perché lui gira un momento del film in cui la protagonista passeggia con l’ufficiale austriaco per i canali di
Venezia. Crasker fa tutto il luccichio delle luci sull’acqua. Lei che sta prendendo una cotta per questo giovane è come
stordita dai luccichii. La fotografia è stupefacente. Crasker ha girato un film intitolato “il terzo uomo”, di un regista
inglese. Questo film era ambientato a Vienna subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.
È interessante vedere come Vienna è ripresa dal basso con i suoi palazzi fatiscenti e il riflesso sui sampietrini, che
possiamo riconoscere anche in Senso con i riflessi sull’acqua. Il film ha un prologo ambientato alla Scala di Milano in
cui la platea è occupata dagli austriaci e la piccionaia dagli italiani. Ad un certo punto dalla piccionaia buttano dei
manifestini tricolori che scendono fino in platea. Le divise bianche degli austriaci con questi pezzetti di carta tricolori e
gli abiti dei popolani genera un tripudio di colori. La musica dovrebbe essere Rigoletto di Verdi. Questo ci fa capire
come Visconti voglia creare un’opera nazionale e popolare, che era anche la Formula di Gramsci che diceva che l’arte
doveva essere nazional-popolare. Questo cerca di fare Visconti pur dall’alto della sua cultura che è di tipo aristocratico.
Il suo film è comunque molto colto. Da un punto di vista visivo si rifà alla pittura dei macchiaioli dell’800 italiano. In
particolare, si ispira a Giovanni Fattori, che è un po' il principe dei macchiaioli e ha dipinto episodi di guerra, ma fa
spesso le truppe in momenti di stasi e non in azione (mentre nel film di esordio, Pasolini ha dato i Classici della pittura
Rizzoli al suo direttore in fotografia Tonino Delli Colli, indicandogli di fare la scena come i dipinti di Masaccio). Il film
vince il Leone d’Oro a Venezia, dove Fellini partecipa con il film La strada.
Vince però Senso. La critica marxista, che era la più importante, ha detto che il film di Visconti rivestiva un valore
assoluto mentre il Film di Fellini era un ripiegamento perché parlava di temi marginali e individuali. I problemi
dell’individuo erano sottovalutati in questo cambiamento di società. La Strada è un film che parla di un individuo,
mentre Senso parla di problematiche complesse e complessive. Questa era la differenza tra i due film. In Senso
abbiamo un doppio finale. il film si concludeva con i soldati austriaci che trascinavano l’ufficiale per le scale, la
protagonista (Alida Valli) lanciava un urlo di disperazione e il film terminava. Vedendo questa scena però secondo
Visconti mancava enfatizzazione. Per questo aggiungono la scena della fucilazione. Visconti amava la lirica, era un
aristocratico che aveva una concezione di tipo dirigistico della cultura (anche se era marxista e comunista), il modo di
girare era estremamente colto e non si abbassava al proletariato. C’è questo concetto di superiorità in lui: amando
questa prospettiva tendeva ad esagerare a volte, come il doppio finale in Senso che è un modo di eccedere.
Sembra quasi che Visconti abbia creato una coreografia, un balletto con una grande perfezione geometrica. Questo
geometrismo si contrappone già al significato del film che è indicato dal titolo. Senso vuol dire venir meno delle
esistenze intellettuali e morali di fronte alla passione di un amore. Infatti, quella donna tradisce il cugino, i compagni
ecc. per amore di quel giovane. Quel finale di morte in forma così geometrica, è la durezza dell’evento storico che la fa
finita con la morbidezza del senso. Se noi vediamo il finale di Roma Città Aperta di Rossellini in cui il prete dice al
fucilato di non aver parlato, Rossellini disse che vedendola gli sembrava priva di pathos. Il prete viene rapito e legato a
una sedia con le gambe aperte e appoggiato frontalmente allo schienale. Fellini mentre girava era seduto come il
prete. Gli sembrava così prova di pathos che ha cominciato a battere sulla sedia per dare il tempo e poi questo suono
lo ha inserito nella scena perché ne scandiva il ritmo.
Possiamo notarlo, con la fucilazione del padre, dopo il quale scoppia la musica. Un’altra scena clou di cinema alto è
data dal capolavoro di Stanley Kubrick “Orizzonti di gloria”, il più grande film contro la guerra che sia mai stato fatto. È
girato nel 1957 e parla di un episodio della Prima Guerra Mondiale sul fronte franco-tedesco. Un reggimento francese
è costretto a dare l’assalto a una fortezza tedesca. I soldati corrono verso questa fortezza e vengono falciati dalle
mitragliatrici tedesche per cui i pochi che rimangono tornano indietro. Un generale francese, che vede la scena
dall’alto di una collina, ordina all’artiglieria francese di sparare ai soldati francesi perché sono dei vigliacchi. L’artiglieria
si rifiuta e allora l’ufficiale tedesco decide di fare la decimazione. Poi però un colonnello riesce a ottenere che solo 3
soldati scelti dai caporali vengano uccisi. Uno addirittura era un eroe di guerra e viene scelto da un caporale che ce l’ha
con lui per alcuni motivi. Uno è stato ferito gravemente per cui viene portato in barella e un altro è un poveraccio che
si dispera. Il caporale che ha scelto il soldato che è un eroe gli chiede scusa mentre lo lega. Il soldato gli risponde che
non fa niente. Questi 3 vengono legati al palo e fucilati dai loro stessi commilitoni.
Sono 3 quindi c’è una simbologia con la crocifissione. Anche qui vediamo un certo geometrismo come in Visconti
perché il geometrismo stringe gli uomini. Insomma, Rossellini, Visconti e Kubrik fanno queste tre scene che sono scene
clou del loro cinema più alto. Il geometrismo in Visconti è concentrato in quelle ultimissime immagini che addirittura
sono state girate dopo il finale del film e annesse a quest’ultimo per dargli una chiusa più significativa. Il geometrismo
rappresenta la guerra che schiaccia gli uomini che sono entità fragili nelle fauci dell’avvenimento bellico. Nel film di
Kubrik, che è un atto di accusa e di grande veemenza contro la guerra, lui ha dovuto girarlo sull’esercito francese
perché su quello americano non ha potuto. Questo film è stato vietato in Francia fino al 1965 perché diffamava la
Francia in quanto all’inizio c’era la marsigliese. Sembra quasi una provocazione per dire che dietro la libertà francese si
cela tutto questo.
Uomini contro Uomini contro è un film del 1970 diretto da Francesco Rosi, liberamente ispirato al romanzo di Emilio
Lussu Un anno sull'Altipiano. Ambientato nella prima guerra mondiale, quest'opera, di impronta pacifista e
antiautoritaria, mette in luce la follia della guerra, e descrive l'impreparazione e l'arroganza dei comandanti militari
italiani. A proposito di questo film il regista Francesco Rosi ha dichiarato che venne denunciato per vilipendio
dell'esercito, ma che fu assolto in istruttoria.
Il film venne boicottato, per ammissione esplicita di chi lo fece: fu tolto dai cinema in cui passava con la scusa che
arrivavano telefonate minatorie. È un film antimilitarista molto interessante. Non è sul piano di Kubrik ma comunque è
un buon film. È un po' troppo gridato e veemente quindi lo spettatore non riflette. Anche qui c’è un ufficiale giusto che
cerca di salvaguardare i suoi uomini anche da azioni belliche a cui gli altri ufficiali li costringono. Viene condannato alla
fucilazione per essersi opposto ad alcune azioni. Rosi non ha voluto mettere l’estetica su una scena del genere quindi
la scena, per volontà del regista, è buttata lì. Ad avviso del prof però non raggiunge lo scopo che si prefigge. Tra l’altro
Francesco Rosi era assistente di Visconti insieme a Zeffirelli. Sulla scena finale del film di Rosi, l’elemento di
meccanismo geometrico che schiaccia gli esseri umani si vede nel plotone, ma soprattutto nell’elemento ambientale
della cava. La natura è squadrata in quel modo assolutamente antinaturale. In effetti la guerra è contro natura. Tra
l’alto abbiamo avuto modo di vedere come uccidono la truppa semplice, come cani. Nel film c’è un momento in cui
l’umanità si fa viva tra la bestialità ed è quando tutti cantano. L’unico zoom del film si fa sul volto di un soldato che
piange. Il finale è il momento più importante del film.
Le notti bianche del 1957 è una piccola opera che rappresenta il libro di Dostoevskij, ambientato a San Pietroburgo->
Notti bianche perché la luce del sole dura fino alle 4 del mattino. C’è un giovane impiegato che passeggia per la città,
incontra una donna bionda e capisce che si sta per buttare dal ponte, lui la salva, diventano amici e lui se ne innamora.
Lei si stava uccidendo perché il marito l’aveva lasciata, quest’uomo si capisce che è completamente opposto
all’impiegato. Impiegato-> uomo sensibile, fragile, debole; Marito della donna-> uomo sicuro di sé, prepotente e
violento. Nel momento in cui la donna ha un trasporto verso l’impiegato ritorna con il marito. Il film viene girato in
bianco e nero a Livorno (ricorda San Pietroburgo) e Cinecittà. Il direttore della fotografia è Rotunno, grande direttore di
fotografia, è il punto di mediazione tra la fotografia semplice e barocca, ricca. Ha ricostruito i riflessi dei canali con
delle tele cerate su cui ha adagiato dei riflessi luministici.
L’impiegato è Mastroianni. La donna rimane orfana e vive con la nonna che è Maria Schell. I due si trovano in una
balera, si ballava il rock n’ roll, è una scena in cui Mastroianni si scioglie mentre è imbarazzato con questa ragazza, ci
sono dei ballerini professionisti e le scene del ballo ricordano una serie di quadri di Renato Guttuso, che ha fatto dei
quadri sul rock n’ roll, la versione del dopo-guerra si chiamava “Boogie Woogie”. Mastroianni manifesta la sua
liberazione attraverso questo ballo assurdo che lui improvvisa. In Visconti ci due elementi: la lotta di classe (in senso
marxista) e il corpo (la fisicità dell’individuo), in Notti bianche vediamo il secondo. Scena Finale-> Nel libro arriva una
lettera dall’ex marito e lei ritorna da lui, spiegando all’impiegato la situazione ma il finale va per le lunghe. Nel film
invece Visconti racchiude il tutto in 2-3 scene: Su un ponte compare la sagoma del marito e questo provoca in lei
sorpresa e disperazione, corre verso il marito e poi torna da Mastroianni piangendo, spiegando cosa è successo.
Mastroianni rimane solo, c’è un cane che si avvicina e lo accarezza-> questo è un “più” di Visconti, è come se fosse una
metafora del detto “solo come un cane”.
Rocco e i suoi fratelli del 1960 è un grande film, il più contestato e censurato di Visconti, in parte per le
numerose sequenze violente, ma soprattutto per il suo contenuto politico, per la feroce critica al progresso che per il
regista, come lo fu d’altronde anche per Verga, non è sinonimo di benessere. C’è una famiglia di lucani che va a
Milano, dove lavorano come operai, ma qui ci sono molte tentazioni e alcuni prendono una cattiva strada. Rocco è il
giovane della famiglia, quello più corretto ed equilibrato, è anche il più bello->intrepretato da Alain Delon. Ha una
bellezza sia fisica che interiore. Il fratello Simone è interpretato da Renato Salvatori. Visconti passa attraverso la
lezione di Dostoevskij che ha scritto L’idiota, in cui il principe Myškin, un ragazzo bello e buono, è considerato
dall’autore un idiota, ma nel senso etimologico, non stupido, ma un uomo che non comprende la realtà perché è
troppo buono, invece bisogna essere un po’ maliziosi per capire la realtà.
Rocco è un pugile dilettante e sta andando verso la carriera da professionista, il fratello vive di espedienti e sta con una
prostituta, Nadia (Annie Girardot), che a un certo punto smette di fare questo lavoro perché è toccata dalla bontà di
Rocco e se ne innamora, ma Salvatori la uccide con un coltello. Uccisione di Annie-> lei grida “mi fai schifo”, Salvatori
cerca di riportarla a sé poi diventa furioso, c’è una situazione di stasi come se lei quasi accettasse di essere uccisa, poi
quando viene colpita capisce che morire non è così bello e si dispera. La famiglia piomba nella catastrofe, Rocco
smette di fare il pugile, l’unico componente della famiglia che si salva è Ciro, un operaio dell’Alfa Romeo. Nell’
immagine di Visconti: Caino-> Salvatori e Abele-> Delon. Vediamo il bambino che si allontana, lo possiamo mettere in
rapporto con i tanti bambini che chiudono i film (Roma città aperta, Umberto D., Ladri di biciclette). Rocco riceve la
confessione del fratello-> Simone torna a casa, Rocco decide di tornare al suo paese perché a Milano non riesce ad
integrarsi, abbraccia il fratello e Simone piange poiché è diventato un assassino e Visconti riprende Rocco (Delon) da
dietro e ci mostra la faccia del fratello disperato. Visconti non ci mostra la faccia di Rocco, secondo il professore,
perché non si fidava a pieno dell’espressività di Delon in questa scena estrema, quindi vediamo il corpo da dietro che
abbraccia il fratello. Salvatori ha una faccia torva, cattiva in qualche misura e Visconti ce lo dimostra. Altra
esagerazione-> quando tutta la famiglia comincia a piangere e disperarsi, è uno degli elementi in cui Visconti va in
surplus di pathos. Scena finale-> vediamo il bambino che gli porta la colazione e questo operaio dice “Rocco era troppo
buono”, poi rientra perché la pausa era finita e si sente la sirena della fabbrica.
Il Gattopardo del 1963 è considerato il vero capolavoro di Visconti, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi
di Lampedusa, un best-seller degli inizi del ’60, e un’operazione culturale essenziale perché: Il libro esce nel 1962 e nel
1963 Visconti produce il film. Siamo nella Sicilia del 1860, il protagonista è interpretato da Burt Lancaster, nei panni del
Principe Fabrizio di Salina, un uomo all’antica e un possidente nobile che si trova in un momento particolare della sua
vita, ed entrano in gioco i due elementi importanti dell’estetica di Visconti:
• la lotta di classe, i cambiamenti nel sociale
•il corpo->l’individuo, corporeità.
Il principe di Salina li vive entrambi perché Il 1860 è il momento in cui i garibaldini arrivano in Sicilia cacciando i
Borboni e la Sicilia passa ad una fase storica diversa-> entra a far parte della monarchia Sabauda e Don Fabrizio assiste
con distacco e con malinconia alla fine dell'aristocrazia. La classe dei nobili capisce che ormai è prossima la fine della
loro superiorità: infatti gli amministratori e i latifondisti della nuova classe sociale in ascesa approfittano della nuova
situazione politica. C’è un cambiamento sia nella società che nella persona-> il principe si rende conto che sta anche
diventando vecchio e che tra poco morirà. Scena clou di 40 minuti: il ballo che il principe dà nella residenza estiva di
Donnafugata.
C’è un valzer inedito di Verdi. In questa scena il principe prende atto che sta decadendo in rapporto con due
personaggi: •Nipote (Tancredi), interpretato da Delon
•Ragazza, figlia del sindaco (Angelica), interpretata da Claudia Cardinale. Il rapporto tra zio e nipote non è basato
solamente sulla differenza di età, ma anche su un confronto: Il principe non si vuole mischiare con le questioni
politiche, dal nipote proviene la famosa frase: «bisogna che tutto cambi perché niente cambi» Il nipote è un
accaparratore, vuole fare soldi, un imprenditore.
Episodio significativo è l'arrivo a Donnafugata di un funzionario piemontese, che offre a Don Fabrizio la nomina
a senatore del nuovo Regno d'Italia. Il principe rifiuta, sentendosi troppo legato al vecchio mondo, dicendo al
cavaliere: "In Sicilia non importa far male o bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente
quello di 'fare'".
Il connubio tra la nuova borghesia e la declinante aristocrazia è un cambiamento ormai inconfutabile: Don Fabrizio ne
avrà la conferma durante un grandioso ballo, al termine del quale inizierà a meditare sul significato dei nuovi eventi e a
fare un sofferto bilancio della sua vita.
Un film che potrebbe stare alla pari de Il Gattopardo è Via col vento (1939).