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Miracola Salvatore - Vita Di San Lorenzo 2017

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Sac.

Salvatore Miracola

S. Lorenzo
da
Frazzanò

San Marco D’Alunzio 2016

1  
 
TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Parrocchia San Nicolò di Bari


Via Risorgimento, 64
98070 San Marco d'Alunzio (Me)
tel. 0941797045
In Copertina: S. Lorenzo nella Villa Pacis di San Marco
D’Alunzio

2  
 
Alla "San Lorenzo Confezioni"
di Filippo Miracula e famiglia
nel 30° anniversario di Fondazione
che, come San Lorenzo,
si è messa a servizio della Comunità
realizzando strutture sanitarie
per gli ammalati e gli anziani:
Villa Pacis S. Francesco
Villa Pacis S. Andrea.

3  
 
4  
 
PRESENTAZIONE
Nell'agosto 2016, i ragazzi dell’Associazione “gioventù
Frazzanese” hanno organizzato un convegno, in prossimità delle
feste del Santo Patrono, da titolo “San Lorenzo….. uno di noi!”, in
quella occasione la Dott. Shara Pirrotti, la Dott. Concettina
Gianguzzi e l’Arc. Don Salvatore Miracola hanno presentato la loro
opera in merito alla figura del Santo concittadino e Patrono. Il
sottoscritto, moderando il convegno e apprezzando le accurate
ricerche dei tre relatori, invitava ad approfondire sempre più la
figura del Santo e del suo territorio.
Don Salvatore Miracola, da sempre attento studioso e innamorato
della sua terra natia, ha raccolto l’invito ed ecco questa nuova
edizione del libro “Frazzanò e il suo Santo” arricchito da tanti nuovi
elementi e notizie.
Con cura e perizia, il lavoro di Don Miracola arricchisce le
conoscenze della vita del Santo e dei luoghi dove ha vissuto e fa
luce su alcuni punti poco studiati in merito alla toponomastica e
all’antico borgo di Frazzanò.
La ricerca delle origini dei luoghi e delle tradizioni è necessaria per
recuperare la memoria di ciò che a volte si smarrisce per
superficialità o per incuria.
Frazzanò, pur essendo un piccolo agglomerato di case, ha sempre
avuto un grande ruolo nella storia per la presenza del grande
Monastero di San Filippo di Fragalà e dei monaci Basiliani.
Il piccolo centro, abitato da gente semplice e laboriosa, si identifica
al suo Concittadino più famoso, appunto, San Lorenzo; li tutto parla
di Lui o a Lui fa riferimento, come magistralmente don Miracola ci
racconta nel volume.
Per non scadere nel fanatismo religioso, sarebbe opportuno,
rileggere la vita del Santo nell’oggi della nostra storia per scoprire
tutte le peculiarità e le sfaccettature di questo illustre paesano
Santo.
Egli innamorato di Cristo Servo si fece prossimo a tutti.
Affascinato dalla bellezza del Vangelo fu infaticabile predicatore
della Parola che salva.
Arricchito del dono del Sacerdozio fu Pastore zelante e amoroso.

5  
 
Bisognoso della Misericordia di Dio con Umiltà e Penitenza la
chiedeva al Padre e la concedeva a quanti a lui facevano
riferimento.
Con Amore e stupore sempre vivo non smetteva mai di pregare e
adorare il Signore Gesù Crocifisso.
Questo è San Lorenzo da Frazzanò un uomo di Dio che visse per
dare gloria al suo Signore.
La comunità Frazzanese dovrebbe immergersi nel cuore di questo
Santo e chiedere aiuto per potere amare il Signore come lui, per
annunziare il Vangelo nella testimonianza giornaliera come Lui, nel
cercare con sincera umiltà la via della Santità come Lui, nel
chiedere e dare misericordia e perdono come Lui.
Mi auguro che lo scritto di don Miracola serva a tutti i frazzanesi
per innamorarsi di Dio seguendo l’esempio di San Lorenzo
Concittadino e Patrono della nostra Frazzanò.

Arc. Don Antonino Carcione

6  
 
PREMESSA
Dopo l’uscita del libro “Frazzanò e il suo Santo” scritto in
occasione dell’850° anniversario della morte di San Lorenzo,
viene alla luce la seconda nella quale vengono inseriti alcuni
avvenimenti della vita di S. Lorenzo che nella prima edizione
erano accennati. Su Lorenzo molto ancora si può ricercare e
far conoscere; per questo metto a disposizione di tutti questi
aggiornamenti per poter fare una riflessione completa su
questo Santo che nella storia della chiesa in Sicilia, assieme
ad altri Santi come Nicolò di Alcara, Silvestro da Troina,
Cono da Naso, etc., hanno dato una svolta dopo la
dominazione musulmana.
Nel Libro del Siracide cap. 44, 1.10-15, così leggiamo:
"Facciamo l'elogio di uomini illustri, dei padri nostri antenati
nelle loro generazioni. Questi furono uomini di fede, e le loro
opere giuste non sono dimenticate. I loro corpi furono sepolti
in pace, ma il loro nome vive per sempre. I popoli parlano
della loro sapienza, l'assemblea ne proclama la lode."
Queste parole possiamo riferirle a Lorenzo da Frazzanò.
Anche il Padre Francesco Aprile1 dice:
"Di questo Santo ogni cosa fu ammirabile.
La Nascita fu palesata dal suono prodigioso d’una campana.
Indi da una voce profetica, che manifestava esser nato in
quella notte un Uomo, che doveva esser vaso d’elezione, e
illustre per la moltitudine dei prodigi.
Fanciullo d’anni cinque divenne candidato della penitenza.
Fuggiva le vane conversazioni: e dai Buoni ne sceglieva
ottimi esempi.
Per rivelazione avutane dagli Angeli, predisse la vicina morte
del vescovo di Troina, e d’essere nel numero de’ Predestinati.
Avendo dato esempi di eroica virtù nella mortificazione e
nella contemplazione delle cose Divine.

                                                                                                                       
1
Francesco Aprile, Della Cronologia universale della Sicilia libri tre,
1725, p. 505.
7  
 
Liberò dalla peste la Città di Reggio.
Operò innumerabili miracoli.
Predisse l’ora della sua morte tre giorni prima.
Lasciò ereditaria la virtù dei suoi prodigi nelle sue Reliquie,
che spiravano soavissimo odore."
La sua santità incominciò a manifestarsi nella sua
fanciullezza, ma si sviluppò nel Monastero che è stato un
luogo di preghiera dove molti monaci trascorrevano la vita nel
silenzio e nella meditazione e da dove sono usciti molti santi.
Il culto per S. Lorenzo è antichissimo e vuole la tradizione
che risalga a subito dopo la sua morte. Questa devozione fu
così radicata nella vita dei frazzanesi che nel 1398 il Comune
fece scolpire nelle sue armi il frassino, simbolo di Frazzanò, e
l’immagine del Santo.
Lorenzo è uno dei maggiori esponenti del monachesimo
basiliano in Sicilia, e con San Filippo d’Agira, San Nicolò
Politi, San Silvestro da Troina, San Cono da Naso e tanti altri
Santi vissuti nel Monastero di San Filippo di Fragalà2, forma
un quadro esauriente del livello spirituale delle popolazioni
dei Nebrodi intorno all’anno mille.
Lorenzo, fu grande in vita e, subito dopo la sua morte, a furor
di popolo fu acclamato Santo. Da ben 850 anni i suoi devoti
gridano ancora: “Viva S. Lorenzo, grazie S. Lorenzo”.

                                                                                                                       
2
Miracola Salvatore, Il Cristo Pantocratore e i Santi Demenniti, 2014
8  
 
NASCITA DI LORENZO
Frazzanò nel XII secolo era un gruppo di case attorno ad una
chiesa, la Chiesa di S. Nicola che si trovava nello spiazzo oggi
piazza S. Antonio.
In questo piccolo borgo, agli inizi del XII secolo, nella
periferia del paese, in una piccola casa, vivevano Cosimo
Ravì e Costanza Canzaloro, persone umili e semplici, dedite
al lavoro dei campi, cristiani e virtuosi, di una religiosità
ammirabile. Il loro unico grande sogno era di avere un figlio
come dono del cielo. Questo loro desiderio dopo pochi anni di
matrimonio si avverò. Durante la gravidanza Costanza si
sentiva agile e devota più del solito e insieme col marito, già
prima della nascita del figlio, si prodigavano a progettarne il
suo futuro.
Nell’anno 1120 Costanza partorì contemplando nelle doglie la
passione di Cristo, e al bambino fu dato il nome di Lorenzo.
In quella notte le campane del tempio di S. Nicolò3 suonarono
a festa e, quando il suono cessò, si udì la voce di un vegliardo
che diceva: “In questa gloriosa notte è nato un vaso
d’elezione la cui fama per i miracoli si spanderà per tutto il
mondo, corroborando gli animi nella fede cristiana, si
chiamerà Lorenzo e sarà un grande predicatore; è il figlio di
Cosimo e Costanza. Così Lucia, la sua nutrice, i parenti e i
paesani saranno famosi.4“
Quella notte Cosimo, l’umile e laborioso sposo di Costanza,
tornava dal mulino che si trovava sulla sponda del fiume
Fitalia con un sacco di farina sulle spalle curve e risaliva
lentamente la ripida erta della strada che conduceva al paese.
Al suono improvviso della squilla festosa, fermò un poco il
                                                                                                                       
3
La Chiesa di S. Nicolò di Bari secondo quanto afferma Monsù si trovava
nella contrada che oggi si chiama “Quartiere vecchio S. Lorenzo” ed era
una Chiesa che veniva officiata con il rito greco; si dice che sia stata
costruita da coloni greci che fondarono il borgo. Essa fu distrutta, sempre
secondo il Monsù, da una frana che si abbatté nella contrada nel 1663.
4
Maja F. A., L’Isola di Sicilia, Passeggiata, manoscritto, f.325.
9  
 
passo stanco e volse gli occhi alle casette della piccola
Frazzanò, quasi sdraiate sull’impervio costone della valle.
Cosimo, sorpreso e smarrito, vide nella notte buia uno
sfolgorante splendore di luce indugiarsi sopra il tetto della sua
piccola casa nel vecchio quartiere del Canale. Il suo cuore
incominciò a battere forte, aumentò il passo e, spedito, riprese
il cammino con rinnovata lena e presto raggiunse la casetta
bianca. Appena entrato, vide il bimbo fra le braccia della
madre e due lacrime di gioia solcarono il suo viso. Ringraziò
il Signore e prese il piccolo Lorenzo fra le sue braccia, lo
sollevò verso il cielo e ringraziò il Signore per questo grande
dono.
Prima di continuare la vita del Santo, cerchiamo di capire la
configurazione di questo paese. Nel territorio che si configura
con l'odierna Frazzanò, erano presenti diversi nuclei abitati:
1) Briga o Brigatore: Ai tempi dell'invasione saracena esisteva
un gruppo di case nella contrada oggi chiamato Palescina e
che ai tempi del Monsù si chiamava Brigatore: fu
abbandonato durante l'invasione Saracena.
2) Palastricò: In questa contrada vi era un agglomerato di case
e ciò si desume dal ritrovamento di mattoni e muri.
3) Militirò: si pensa che si trovasse nella contrada chiamata
Prajo, dove furono rinvenuti molti sepolcri con ossa umane.
Sicuramente, questi piccoli agglomerati scomparvero durante
l'invasione Saracena e gli abitanti si unirono in un altro luogo
che poi si chiamò Frazzanò per la presenza di alberi di faggio
in quel luogo.
L'originario sito di Frazzanò si estendeva dal quartiere Serro
(sotto il Castello Belmonte) allargandosi verso il Monastero di
Fragalà: fu scelto questo luogo perché lì si trovavano due
sorgenti d'acqua che potevano servire la popolazione: l'acqua
del Canale e l'acqua di San Lorenzo. Nel XVI secolo una
frana distrusse parte dell'abitato verso il Monastero ed esso si
estese verso Mirto, configurandosi così come è oggi.

10  
 
Alla periferia dell'abitato vi è la contrada Canale e il nome
deriva dalla fontana dello stesso nome che è al limite estremo
delle case. Questa contrada si chiamava anche Piano di San
Lorenzo Vecchio. Infatti fino al 1500 circa in quel luogo vi
era una chiesa dedicata a San Lorenzo e questo toponimo
nacque per distinguere questo piano da quello dell'odierna
chiesa di S. Lorenzo, costruita verso il 1550. La località si
chiamava anche Piano della Fiera Vecchia per distinguerlo
dallo spiazzo circostante alla fonte Canale, scelto in seguito
perché in quel posto avesse luogo il mercato dei maiali per la
festa di San Lorenzo il 10 agosto.

11  
 
INFANZIA
Frazzanò, quindi, nel XII secolo era un gruppo di case attorno
ad una chiesa, la Chiesa di S. Nicola che si trovava nello
spiazzo oggi piazza S. Antonio; faceva parte della Contea di
San Marco5.
Come dicevamo, in questo piccolo borgo, agli inizi del XII
secolo6, nella periferia, in una piccola casa, nacque il bambino
e ad esso fu dato il nome di Lorenzo.
Le vie del cielo però non coincidevano con le aspettative che
Cosimo e Costanza avevano per il futuro del loro amore.
Narra ancora la tradizione che essendo la madre priva di latte,
Lorenzo fu affidato ad una nutrice, Lucia, donna devota e
virtuosa, amica della penitenza, nemica di ciarle e vanità, la
quale custodì ed allevò con amore il bambino. Ella fu la
seconda madre per Lorenzo, non soltanto per la sua crescita
corporale, ma principalmente per l’acquisizione delle virtù
cristiane che, fin dalla più tenera età incominciò a trasmettere
nel cuore e nella mente del bambino. Conduceva spesso
Lorenzo in Chiesa facendolo assistere alle sacre funzioni ed
educandolo all’ascolto della parola di Dio.
Grande era la sua meraviglia vedendo come il bambino si
comportava nella casa del Signore e come salutava il
Salvatore del mondo con gli occhi e la testa.
Lucia, rimasta colpita ed ammirata da questi gesti, pregava il
Signore per il bambino, convinta che Dio avrebbe operato in
lui meraviglie e lo ringraziava per il grande privilegio che le
aveva fatto dicendo: “Oh Signore, vedo che avete scelto
questo bambino per metterlo al vostro servizio e per fare
                                                                                                                       
5
Monsù L., Vita ammirabile si S. Lorenzo da Frazzanò, Palermo 1813, p.
7
6
“Una precisazione ulteriore dei suoi dati cronologici riesce oltremodo
difficile per le sensibili discordanze di opinione tra i vari autori che hanno
scritto della sua vita. (Gianguzzi Concettina, La vita di S. Lorenzo di
Frazzanò di Francesco Ambrogio Maia, in Archivio Storico Messinese,
vol. 64, Messina 1993, pp. 49, 50)
12  
 
grandi cose; siate benedetto; è tutto Vostro. Io ve lo offro.
Non sono degna di allattarlo, ma visto che me lo avete
affidato, rendetemene tale.”
Anche Cosimo e Costanza e tutti i paesani ne erano stupefatti;
fu tale la loro meraviglia che a quella vista non potevano
contenere la commozione e rivolgevano alla madre e alla
nutrice parole di augurio. Molti desideravano toccare il
bambino in segno di ammirazione, ma se ne astenevano per
rispetto e riverenza e dicevano: “pensate cosa sarà da grande”.
All’età di quattro anni Lorenzo rimase orfano prima della
madre e dopo circa un anno anche del padre; il bimbo ne fu
molto scosso, ma con animo pronto, si rassegnò al volere di
Dio. Questo triste episodio della sua fanciullezza contribuì
molto alla formazione del suo carattere; da quel momento si
sforzò di essere un tipo solitario, fuggendo i suoi compagni e
non partecipando ai loro giochi; preferiva invece ritirarsi in
Chiesa per pregare e partecipare alle sacre funzioni,
accompagnando la preghiera con digiuni e penitenze.
Lucia da quel momento divenne a tutti gli effetti per Lorenzo
la sua seconda madre, in quanto il fanciullo non aveva parenti,
essendo tutti morti. Il bambino ogni qualvolta si recava in
Chiesa era attento nell’ascolto degli Uffici Divini, mettendosi
in un angolo genuflesso, in religioso silenzio, recitando da
solo le giaculatorie e facendo continuamente comunioni
spirituali per essere sempre vicino a Gesù Sacramentato.
“Il fanciullo ai segni mirabili che salutarono il suo felice
Natale rispose ben presto con assiduità diuturna adorando
l’Immagine di Cristo Crocifisso nella chiesa di S. Nicola.
All’età di cinque anni cominciò a tormentare il suo tenero
corpo col cilizio e con i flagelli”.7
Faceva tutto questo con discrezione per non farsi mai vedere
da alcuno.
Un giorno Lucia constatando che si flagellava a sangue,
temendo per la sua salute, lo sgridò aspramente; ma Lorenzo
                                                                                                                       
7
Fragale G., San Lorenzo da Frazzanò, Frazzanò, 1960. p.5
13  
 
con molta calma le spiegò dicendo che “tutti siamo obbligati
ad aiutare i peccatori con le nostre mortificazioni e a
suffragare i morti, specie i genitori.”
Volendo però continuare a fare penitenza e nello stesso tempo
non dispiacere la nutrice, pregò il Signore affinché lei non se
ne accorgesse. Dio lo esaudì. Durante la notte, quando Lucia
dormiva, Lorenzo continuava ad alzarsi dal letto e, mettendosi
in ginocchio, si lacerava le tenere carni flagellandosi con
rosette di ferro, mentre il suo pensiero andava alle sofferenze
di Cristo in croce. La mattina dopo, per virtù divina, le ferite
scomparivano ed a Lorenzo ritornavano le forze. Lorenzo
questa penitenza la fece in tutta la sua vita.
Spesso, inoltre, visitava da solo le Chiese e, fermandosi
estasiato davanti al tabernacolo, pregava a lungo; partecipava
alle funzioni sacre con grande devozione dando esempio ai
suoi coetanei e agli adulti.

14  
 
STUDI A TROINA
Giunto all’età di sei anni, Lorenzo manifestò alla nutrice il
desiderio di imparare a leggere e a scrivere perché provava
una santa invidia per coloro che erano istruiti e potevano
leggere la Bibbia e recitare l'Ufficio Divino.
Lucia fu molto contenta di questo desiderio, ma sapeva che
non era facile trovare un precettore a Frazzanò o nei dintorni.
L’unica persona che poteva aiutarla era l’Abate di S. Filippo
di Fragalà, Gregorio,. Lucia si recò al Monastero e parlò
all'Abate di questo desiderio di Lorenzo; Gregorio le consigliò
di mandarlo nel Monastero Basiliano di Santa Domenica8 in
Troina. In esso i monaci impiegavano la loro opera
nell’ammaestrare la gioventù non solo nelle verità della fede,
ma anche nelle scienze umane.
Rientrata in casa, Lucia riferì al ragazzo ciò che l’Abate le
aveva detto e gli chiese se era disposto di andare a Troina,
allontanarsi dal suo paese e dai suoi amici. Lorenzo con
grande gioia accolse la proposta, anche se gli veniva difficile
lasciare gli amici ma principalmente la nutrice.
Arrivato il giorno della partenza, dopo essersi accomiatato da
Lucia, chiedendole perdono per tutto quello che le aveva fatto
soffrire, salutò piangendo tutti gli amici, i quali anche loro
piangevano per tenerezza, si aggregò ad un frate del
Monastero che si recava a Troina e insieme s’incamminarono.
Fu un viaggio lungo e difficile per la sua tenera età e per le
difficoltà del percorso, ma lo affrontò con gioia.
Lucia rimase affranta; l’unica sua consolazione era il pensiero
che Lorenzo si sarebbe dedicato al servizio di Dio e che
avrebbe sempre pregato per lei.
Giunto a Troina, Lorenzo fu affidato a Fra Giovanni, Abate di
Santa Domenica, che si prese cura di lui per quanto
                                                                                                                       
8
Nel 1662 i monaci del Monastero di Ebulo, che era fuori Troina,
versando quest’ultimo in cattive condizioni, si trasferirono in quello di
Santa Domenica in Troina. Questo fu distrutto dal terremoto del 1693, ma
fu ricostruito e accanto venne edificata la Chiesa di S. Silvestro.
15  
 
riguardava le lettere latine e la religione e gli assegnò come
istruttore per le lettere umane il lettore Nicolò.
In poco tempo imparò a servire la messa greca e latina e si
sforzava di imitare i monaci nell’orazione e nella penitenza,
ubbidendo a tutti e dimostrandosi già maturo e responsabile.
La bravura e l’intelligenza di Lorenzo si manifestarono subito,
tanto che l’ammirazione per questo bambino si sparse presto
non solo nel Monastero, ma anche nell’intera città di Troina.
Con il passare degli anni la sua fama si diffuse anche nei paesi
vicini ed arrivò fino a Frazzanò.
Tutti si rallegrarono per questa bella notizia e alcuni amici
decisero di andarlo a visitare; un giorno, di buon mattino
partirono affrontando le difficoltà del viaggio, portando con
loro alcuni monaci di Fragalà e la nutrice Lucia. Giunti nel
Monastero di Santa Domenica, si abbracciarono teneramente
con Lorenzo e piangendo lo guardavano con ammirazione,
rimasero meravigliati per ciò che vedevano e come le persone
lo amavano. Lucia, ringraziò il Signore per il dono di questo
figlio adottivo e per il cui amore aveva affrontato questo
lungo, scomodo e difficile viaggio. Lorenzo si commosse
anche lui, li ringraziò e, accompagnandoli alla porta della
città, assicurò loro che li avrebbe pensati sempre nelle sue
preghiere.
Anche il Vescovo Nicefaro, Abate del Monastero Basiliano di
S. Michele Arcangelo9 in Troina, che si trovava ad un paio di
chilometri dalla città, sentendo parlare del bambino, si
incuriosì e vi andò in incognito per osservarlo e conoscerlo.
Trovò Lorenzo in Chiesa mentre serviva la messa e gli
                                                                                                                       
9
Questo Monastero fu costruito nel 1081 alla periferia di Troina, sopra un
colle distante tre chilometri dalla città, dal Conte Ruggero il quale come
primo Abate nominò Roberto, suo consanguineo. Il 1081 fu un anno
particolarmente agitato per le incursioni saracene a Catania e Ruggero
volle questo Monastero in ringraziamento per la vittoria sugli Arabi e da
allora esso divenne uno dei più famosi monasteri Basiliani edificati in
Sicilia. Oggi dell’edificio rimangono pochi ruderi poiché fu abbandonato
dai monaci nel 1700 per passare al nuovo convento di San Michele.
16  
 
sembrò di vedere un angelo per la sua modestia e semplicità.
Finita la messa lo fece chiamare e, dopo aver parlato con lui,
restò ammirato per la sua umiltà, vivacità e modo di trattare le
persone, per la santità del fanciullo e anche perché era dotato
di un grande amore per la cultura e per le lettere greche e
latine. Il Santo Vescovo vide nel fanciullo la stoffa da cui
sarebbe potuto venire un sacerdote e, dopo aver lasciato il
bambino, si recò dall'Abate di S. Domenica e lo pregò perché
indagasse sulla volontà di Lorenzo se volesse o meno
prendere i voti. L’Abate, nei mesi seguenti, seguì il ragazzo
senza farsi accorgere e anche lui si convinse che poteva essere
un buon monaco. Fece questa proposta a Lorenzo, il quale,
dopo lunghe preghiere e penitenze, rispose di essere contento
di diventare monaco sotto la regola di S. Basilio e con umiltà
accettò di seguire l’Abate che, secondo le regole dell’Ordine,
avrebbe dovuto sottoporre il giovane a dure prove per capire
se la sua era vera vocazione. Molte furono queste prove,
facendolo soffrire con asprezze e tirannie. Dopo poco tempo
però si accorse che quel ragazzo era veramente chiamato da
Dio e gli chiese cosa intendesse fare della sua vita. Lorenzo
rispose dicendo: “Io ambisco l’abito di San Basilio per essere
vero monaco, l’ultimo dei suoi monaci.” e, detto ciò, poggiò
la fronte a terra affidandosi alla volontà di Dio e dei superiori.
L’Abate chiese anche ai monaci del suo Monastero se erano
d’accordo a far vestire il giovane dell’abito monacale.
Anch’essi furono contenti e il primo giorno di festa con la
presenza del popolo, dei monaci di Santa Domenica,
dell’Abate e del Vescovo Nicefaro lo vestirono con l’abito di
S. Basilio.
Dopo aver fatto il tirocinio sempre a Santa Domenica fece la
Professione Religiosa alla presenza del Vescovo Nicefaro,
professandosi con i tre voti di castità, povertà e obbedienza.
Il padre Abate nonostante fosse convinto della preparazione di
Lorenzo a ricevere gli Ordini Sacri, celando questa sua
convinzione e facendo l’avvocato del diavolo, chiamò il

17  
 
giovane e lo rimproverò dicendogli che non era ancora pronto
a fare questo passo e gli occorreva pregare di più e fare
penitenza. Lorenzo si licenziò dall’Abate con il cuore in
tumulto e non sapendo cosa fare, andò in Chiesa a pregare e
chiedere al Signore la grazia di capire quale era la sua
vocazione e farlo diventare più conforme a lui nella preghiera
e nella mortificazione; dopo un poco lo raggiunse il Maestro
dei Novizi che, facendo anche lui l’avvocato del diavolo, lo
apostrofò dandogli dell’ignorante e del superbo. Lorenzo
sopportò anche questa tentazione; andò nella sua cella e vi si
chiuse dentro rimanendovi in essa e uscendo solo per andare
in Chiesa per gli Uffici Divini. Intensificò la preghiera,
crescendo nelle cristiane virtù e mortificando il suo corpo.
Dopo un certo periodo di tempo l'Abate lo richiamò e gli disse
che era disposto ad ordinarlo Sacerdote. Lorenzo si rallegrò
nello spirito e si preparò al sacerdozio dedicandosi allo studio
e al lavoro manuale e rimanendo sempre disponibile verso
tutti.

18  
 
ORDINAZIONE SACERDOTALE
Dopo la sua professione con i tre voti di castità, povertà e
obbedienza, Nicefaro, conoscendo le ottime qualità e la
santità di Lorenzo, esortò l’Abate a promuoverlo agli Ordini
Minori.
Finalmente l’Abate lo ammise alla professione e Lorenzo,
colmo di gioia, ringraziò il Signore per quel gran dono che gli
faceva; la sua preghiera divenne più intensa e le sue penitenze
aumentarono. Poiché però gli Abati allora non avevano il
privilegio di ordinare sacerdoti i Monaci, ciò toccò al
Vescovo di Troina il quale, dopo averlo esaminato nelle
lettere greche e latine, gli conferì la Tonsura e i Quattro
Ordini Minori. Lorenzo sentendosi indegno di così grande
dono raddoppiò le mortificazioni; per la sua umiltà e
disponibilità ad essere a servizio degli altri, i Confratelli lo
chiamavano “Schiavo”. Prima di ricevere gli Ordini Maggiori
era solito dormire su un pagliericcio di lana; dopo averli
ricevuti, per umiltà e per aumentare la penitenza corporale,
donò il lettuccio di lana ad un ospite e incominciò a dormire
sopra le tavole. La sua giornata durava venti ore e ne
concedeva solo quattro al riposo notturno. La santità della vita
del giovane Lorenzo finalmente indusse l’Abate ed il Vescovo
a promuoverlo al Sacerdozio.
Ricevere questo Sacramento per Lorenzo fu un dono
grandissimo che il Signore gli donava manifestandogli tutto il
suo amore di Padre. Si preparò a questo giorno con la
penitenza e la preghiera e, sentendosi indegno di essere il
ministro di Cristo, pregava incessantemente nostro Signore
Gesù Cristo perché gli concedesse la grazia di meritare questo
grande dono.
Divenne Sacerdote all’età di venti anni, il 22 di ottobre, e da
quel giorno aumentò la preghiera e la mortificazione, l’unione
con Dio e le opere di carità. Egli sembrava un Serafino senza
alcunché di terreno. Da quel momento il suo letto fu la nuda
terra. Dopo l’ordinazione, non abbandonò la preghiera e la
19  
 
penitenza e si dedicò appassionatamente alla predicazione del
Vangelo. Lo spirito e l’efficacia della sua predicazione,
derivati non solo dai suoi studi ma anche e soprattutto dalla
sua santità, riuscivano a commuovere se stesso e gli altri.
Innumerevoli erano i peccatori che ritornavano sulla retta via,
si avvicinavano alla confessione e alla comunione.
Esercitando anche il Sacramento della Confessione tutti
accorrevano a lui per accusarsi dei propri peccati ed espiare le
proprie colpe con una dura penitenza. La santità della vita si
manifestò anche con l’operare molti miracoli: guarì gli storpi,
i ciechi e tutti quelli che erano affetti da varie malattie.
Questo però non piaceva al demonio il quale, ogni notte, si
presentava a lui in varie forme, ma Lorenzo lo scacciava
semplicemente facendosi il segno della Croce e invocando il
nome di Gesù e Maria.
I suoi biografi affermano che, sia il Vescovo sia l’Abate,
osservando il volto scintillante di Lorenzo, ne gioivano e fra
loro dicevano: “Abbiamo fatto una stravaganza, ordinando un
Angelo sacerdote”.
Sentendo ciò, Lorenzo piangeva e solo l’ubbidienza lo
rasserenava.

20  
 
UOMO DI PENITENZA
Per accrescere la sua perfezione spirituale, Lorenzo si cinse di
cilicio, moltiplicando le veglie di preghiera durante la notte e
le penitenze corporali con continue mortificazioni senza mai
stancarsi, dicendo che “Essendo sostenuti da Dio dobbiamo
servire per essere difesi dall’infernale tentatore.”.
L’unico pensiero che lo guidava era l’Immagine di Gesù
Cristo e di S. Basilio, fondatore del suo ordine monastico.
Rivolgendosi al proprio corpo così lo ammoniva: “O corpo,
guai a te se ti lasci andare, dunque accontentati di giacere
nudo, vestito solo della grazia del Crocifisso. S. Basilio,
benché vecchio ed infermo, dormiva sulla nuda terra
preferendo, attraverso le mortificazioni e la penitenza, essere
libero dalle attrazioni della carne per essere simile a Gesù
Cristo, il quale non ha avuto alcun letto fuorché tre ore sulla
croce, dove fu tenuto da tre chiodi, toltigli i quali, ebbe riposo
sulla nuda terra del sepolcro. Cristo ebbe per capezzale un
mucchio di spine e io mi accontento di un sasso e continuo a
fuggire il demonio flagellandomi. Dunque corpo, se mi sei
amico accontentati della terra che, per la grandezza di Dio,
diventerà oro di gloria per abbracciarti con essa.”10
Era un grande sacrificio per Lorenzo coricarsi sul nudo
terreno, specialmente d’inverno col freddo pungente, ma egli
non si lasciò mai vincere dalle tentazioni. S’inginocchiava,
pregava e, se la tentazione del diavolo non si allontanava, si
flagellava a sangue e perché non se ne accorgessero i monaci,
piangeva tanto che con le lacrime lavava tutte le macchie,
rinnovando così la grazia che gli era stata concessa nella casa
di Lucia quando era bambino. I monaci si accorgevano
comunque di come Lorenzo tormentava il suo corpo e,
ammirati, ringraziavano Dio.

                                                                                                                       
10
Monsù L., Vita ammirabile di San Lorenzo da Frazzanò, Palermo 1830,
p. 11
21  
 
In questo periodo gli pervenne la notizia della morte della
nutrice. Lorenzo ne fu molto addolorato e, come Gesù pianse
la morte dell’amico Lazzaro, anche lui si ritirò nella sua cella
piangendo amaramente nonostante la ritenesse già in
Paradiso; faceva suffragi per la sua anima e pregava Dio
perché le desse la pace eterna.
Grandissima era la devozione con cui celebrava la messa,
momento di unione con Dio e di edificazione per i fedeli che
vi partecipavano. Si preparava unendo il suo spirito a quello
di Gesù sofferente e dopo la celebrazione rimaneva molto in
preghiera e in meditazione. La Santa Messa non era lunga e
noiosa, ma si preparava lungamente e dopo di essa stava in
preghiera per molto tempo.11

                                                                                                                       
11
Monsù L., Vita ammirabile di San Lorenzo da Frazzanò, Palermo 1830,
p. 13
22  
 
PREVEDE LA MORTE DI
NICEFARO
“Una notte, mentre vegliava nella contemplazione divina,
ebbe questa meravigliosa visione: due giovani dal volto
luminosissimo erano vestiti con abiti preziosi, ma solenni. Le
loro parole erano rivolte al presule di Troina, Nicefaro.
Lorenzo ascoltò chiaramente queste parole: «Vieni, fratello,
perché il Signore ti chiama».
La mattina del giorno seguente Lorenzo si recò timoroso dal
Vescovo e gli raccontò la visione. Il Presule restò sorpreso e
meravigliato; pensando al messaggio che Lorenzo gli
annunciava, non poté trattenersi dalle lacrime. Lorenzo, come
vide che aveva le lacrime agli occhi, gli disse: «Ti prego,
Signore, perché piangi? con questo annunzio ti vengono
offerti grandi motivi di gioia. Ecco, sei invitato al godimento
della luce eterna e desideratissima, a quei gaudii celesti e
felicissimi di gloria».
Il Vescovo, rasserenato ed ammirando ugualmente la
grandezza d’animo, rispose: «Te beato Lorenzo, a cui Iddio
ha manifestato i suoi segreti ed ha indicato con chiarezza la
fine della mia vita».
Ed egli: «Questa rivelazione, Pastore reverendissimo, viene
concessa non per la dignità del grado, ma affinché i custodi
della fede cattolica ed i prelati zelanti ed i perfetti servitori di
Gesù Cristo non emigrino da questa vita all’altra prima di
ricevere l’avviso di questo ultimo cammino, così che possano
essere ritrovati più preparati degli altri alla morte che è
preziosa al cospetto di Dio».
Il Vescovo lo abbracciò e, presolo per mano, si incamminò
con lui verso la chiesa; qui si confessò e ricevette la Santa
Eucarestia dalle mani di Lorenzo e, dopo un’intensa
preghiera raccomandandosi a Dio, si ritirò nella sua camera
riservata e aspettò sorella morte ripensando alla frase che

23  
 
Lorenzo aveva sentito nella visione: «Veni frater qui Dominus
vocat te».
Ed in questa azione egli fu tanto più diligente quanto era più
alto il grado di dignità per cui emergeva e più grande il
beneficio di essere stato ammonito in tempo del suo ultimo
trapasso.”12
La notte stessa entrò in agonia e rese l’anima a Dio invocando
i nomi di Gesù e Maria.
Lorenzo rimase accanto a lui fino alla fine, lo sistemò sul
letto, chiamò gli altri monaci, gli ufficiali della città, i nobili e
i preti, l’Abate di Santa Domenica e di S. Elia e il popolo per
vegliarlo e pregare per lui.
Il giorno dopo, furono celebrati i funerali con la
partecipazione di una folla immensa che pregava per la sua
anima e ringraziava il Signore per il dono di questo Vescovo.

                                                                                                                       
12
Ottavio Gaetani, Vitae Sanctorum Siculorum, apud Cirillos, Palermo
1657, tomo II, pp. 172-176.
24  
 
PERMANENZA AD AGIRA
Alcuni giorni dopo questi avvenimenti, due Abati basiliani,
uno di S. Filippo di Fragalà, chiamato Gualtiero, e l’altro di S.
Filippo di Agira, detto Erasmo13, sentendo della fama di
santità di Lorenzo, si recarono nel Monastero di S. Michele
Arcangelo di Troina dove viveva il Santo, per conoscerlo e
per imitare la sua ascetica.
L’Abate di San Michele li accolse con gioia e li presentò a
Lorenzo. Essi rimasero innamorati del suo modo di vivere e
vissero con lui in questo Monastro per diverso tempo.
Pregavano insieme, notte e giorno, come avevano insegnato
gli antichi padri basiliani. Un giorno l’Abate Erasmo fu
richiamato nel suo Monastero di Agira14 per urgenti motivi,
però non voleva allontanarsi da Lorenzo. Pregò allora l’Abate
Giovanni, superiore di Lorenzo, che concedesse al Santo il
                                                                                                                       
13
Monsù Lorenzo, Vita di San Lorenzo, Palermo 1813, a p. 18 scrive che
questi due abati, provenienti dal Nord e, a causa di una violenta tempesta,
furono spinti sulla spiaggia di S. Marco nei pressi del Monastero S. Pietro
Deca, sentendo parlare della santità di Lorenzo, decisero di andare nel
Monastero dove dimorava per fare vita in comune con lui.
Il Monsù, nel suo manoscritto "Leggenda storica...", p. 187, così scrive: "
Dalla vita di San Lorenzo di Frazzanò si scorge, che l'Abate Gualterio sortì
alla luce in Frazzanò circa il mille, e trenta di Cristo, desso si conferì in
Troina a visitare San Lorenzo, di cui apprese delle virtù, e dagli Diplomi
concessi al Cenobio di Fragalà, dal Conte Ruggiero, si adduce essere
qual'uno di santa vita, per li notarii virtù e fù modello d'esemplarità appo i
cenobiti, che numerosi esistevano al suo tempo, e resi sotto vita comune,
sotto l'obbedienza del superiore, e dopo scorsa una vita penata, e singolare
tra i monaci, ne venne tolto lo stame, e si trasferì nel Paradiso nel
Monastero di Fragalà l'anno 1174."
14
Il Monastero di Agira fu centro spirituale del monachesimo bizantino in
Sicilia e venne diretto da grandi autorità tra cui i santi Niceforo, Gualtieri
ed Erasmo. Tanto ne è prova che i protagonisti delle Vite dei Santi
dell’VIII e del IX secolo, appartenenti tutti a famiglie agiate di origine
greca (influenza del basilianesimo) che potevano assicurare ai propri figli
cultura ed erudizione sacra di alto livello, facevano sempre capo, da ogni
punto della Sicilia e oltre, al Monastero di San Filippo di Agira, noto come
il più eccelso focolaio di intellettuali cristiani dell’isola.
25  
 
permesso di andare con lui e vivere per alcuni anni nel suo
Monastero. L’Abate Giovanni, sapendo che Lorenzo avrebbe
seguito l’ispirazione divina, lo lasciò libero di scegliere.
Erasmo andò da Lorenzo e lo pregò di compiacerlo sia per
stare insieme sia perché i monaci di Agira avrebbero tratto
profitto dalla sua presenza. Lorenzo fu contento di seguire
Erasmo ad Agira e, dopo aver abbracciato e salutato l’Abate e
i monaci, s’incamminò con Erasmo verso il Monastero di S.
Filippo. Anche l’Abate Gualtiero lo seguì. I monaci li
accolsero con grande commozione e, secondo le loro usanze,
lavarono i piedi a Lorenzo e agli Abati; nel mentre il monaco
cuciniere preparò una pietanza con dei legumi, secondo il loro
solito, offrendola ad essi in segno di festa. Nel Monastero
quella notte non si dormì, ma tutti si sedettero attorno a
Lorenzo ascoltando le sue sante parole e pregando con lui.
Tutta la popolazione di Agira si avvicinò a Lorenzo per
ascoltarlo, confessarsi e ricevere le sue grazie. A lui
accorrevano anche dai paesi vicini. Lorenzo, vedendo quel
gran concorso di popolo, decise di attuare un desiderio che
aveva da diversi anni: edificare una chiesa dedicata a S. Lucia
V. e M. 15 in ricordo della nutrice Lucia, che per lui era stata
madre e maestra di santità. Propose ciò al popolo che lo
ascoltava,16 e tutti furono entusiasti di questo desiderio del

                                                                                                                       
15
Afferma Provitina"La chiesa S. Lucia Vergine e Martire fu edificata,
intorno al 1070, dal monaco basiliano S. Lorenzo da Frazzanò, in un punto
magnificamente panoramico dell’odierno quartiere di S. Margherita e
venne ricostruita dopo il crollo avvenuto a seguito del terremoto del 1693.
Il 27 maggio 1976, a seguito di regolare autorizzazione vescovile, venne
diroccata alla presenza del locale Comandante dei Carabinieri Mar.
Umberto Ferrara; sotto il suo pavimento c’era una considerevole quantità
di ossa umane. Ai numeri civici del tempo 230 e 232 di via Diodorea,
dove prima si trovava la chiesa di S. Lucia la cui patrona si venera oggi in
S. Margherita, è stata edificata una casa di civile abitazione." (Provitina
F.M., Agira, ed. Spes, Palermo 1987, p.215)
16
Monsù G.,Vita Ammirabile di S. Lorenzo di Frazzanò, Manoscritto,
p.33
26  
 
Santo e in poco tempo edificarono la chiesa e alcuni fedeli la
dotarono di molti beni e di arredi sacri.
Lorenzo dimorò in questo Monastero per cinque anni, duranti
i quali non si fermò a predicare solo agli abitanti di Agira, ma
si recava nei paesi vicini; percorse anche il Val di Noto e
arrivò fino a Piazza (oggi Piazza Armerina). Quando si
addentrò in questa città si accorse che vi era molta
superstizione; decise di fermarsi diversi giorni per riportare i
cristiani sulla retta via. Qui esisteva una chiesa detta di S.
Maria di Gorgo nero, dove si trovava una sorgente: in essa le
persone praticavano molte superstizioni e riti magici. La
leggenda, racconta che fuori le mura della città, nel piano
attualmente compreso tra la Chiesa dei Teatini e la Torre del
Patrisanto, esisteva uno stagno gorgogliante di acque sulfuree.
Questo stagno veniva utilizzato per dirimere le liti o per
stabilire una verità. Nel primo caso i due litiganti, per
dimostrare la loro ragione, gettavano nello stagno ognuno una
tavoletta di legno. Se la tavoletta affondava, quello che l'
aveva gettata aveva torto; al contrario, se galleggiava, aveva
ragione. Nell'altro caso le donne che credevano di aspettare un
bambino, si avvicinavano allo stagno e inspiravano
profondamente. Se venivano colpite da malore o stordimento
erano certamente gravide; in caso contrario, no. Praticamente
veniva utilizzato come test di gravidanza. Alle acque
venivano quindi attribuiti il potere di scoprire gli spergiuri e
quello di fornire responsi. Nella Chiesa dei Teatini esiste
un'antica tela raffigurante la Madonna del Gorgo Nero.17
Erroneamente, in seguito, i Padri Teatini, che abitarono
accanto alla chiesa, la intesero dedicata a S. Lorenzo
Martire.18 Con la sua parola suadente e con i prodigi che

                                                                                                                       
17
Scritto da Sebi Arena
18
Madonna del Gorgo Nero. Gaetano Masuzzo, Cronologia civile ed
ecclesiastica di Piazza e dintorni, 2008: "Tra le 100 chiese elencate nel
mio volume Cronologia civile ed ecclesiastica di Piazza e dintorni del
2008, avevo posto tra le 5 chiese urbane abbattute anche quella intitolata
27  
 
faceva, Lorenzo smentì tutti i loro errori e molti si
convertirono e da allora chiamarono questa chiesa
“dell’Uomo Santo”.

                                                                                                                                                                                                                                                     
alla Madonna del Gorgo Nero. Questa era una delle due chiesette situate
nel Borgo del Patrisanto, oggi Piano Teatini, prima fuori le antiche mura
della Città. Notizie di questa chiesa si hanno a partire dal VI - VII sec.
quando il borgo era abitato da gente greca. Per questo motivo la chiesa,
prima dedicata genericamente a S. Maria, iniziò a essere chiamata Chiesa
della Madonna del Gorgo Nero. Alla Madonna fu dato questo nome
perché poco vicino la chiesetta c'erano alcune sorgenti di acqua termale e
solfurea, quindi acqua nera e puzzolente, che il popolo chiamava "Gorgo
Nero". L'acqua di queste sorgenti confluiva nelle vasche della zona
sottostante ove veniva utilizzata per bagni termali e terapeutici nella cura
della pelle. Per questo motivo la zona venne chiamata "Altacura" poi
trasformatosi anche in "Taccura". Di questo pozzo e di altri presenti nel
nostro territorio ne parla anche il geologo francese Dèodat de Dolomieu di
passaggio nella nostra città nel 1791: "A Piazza... su una piccola piazza
all'interno della città c'era una cavità da cui usciva un vapore bituminoso
e sulfureo... alla ricostruzione... vi si ricostruì sopra un basamento in
muratura che porta una croce...".
28  
 
IN UNA SPELONCA DELL’ETNA
Lorenzo rimase ad Agira per cinque anni, ma nel suo cuore
c’era sempre il desiderio di vivere per un certo periodo una
vita eremitica; come Gesù volle ritirarsi in un luogo deserto
almeno per quaranta giorni dove vivere in preghiera e facendo
penitenza per raffinare sempre di più il suo spirito.
Chiese allora agli Abati il permesso di allontanarsi dal
Monastero ed avutolo s’incamminò verso le falde dell’Etna
per affinare di più il suo spirito con la penitenza e il digiuno.
Camminò verso quei luoghi aspri e sconosciuti, guidato dallo
Spirito Santo, salendo e scendendo monti, attraversando
foreste, guadando fiumi e, scesa la notte, si ritirò in una
tenebrosa spelonca dove vi rimase per quaranta giorni e
quaranta notti, pregando e digiunando, allontanando ogni
tentazione del diavolo col segno della Croce. Quanto più le
forze gli venivano a mancare tanto più la grazia di Dio lo
rendeva forte.
ALBERO CON TRE RAMI
Al termine dei quaranta giorni uscì dalla spelonca e si accorse
di trovarsi davanti ad un albero carico di odorosi frutti che la
Provvidenza aveva fatto spuntare per non far mancare nulla
all’uomo che si affidava a Dio. Quell’albero aveva tre rami a
forma di croce, in uno abbondavano odorosi fiori, nell’altro
bellissime mele ancora acerbe, nell’ultimo soavissimi frutti
già maturi; di questi, Lorenzo ne raccolse uno e lo mangiò
rendendo grazie a Dio.
Cerchiamo di dare un significato a questo prodigio:
Vi sono molti tipi di Croce.
Tra i vari tipi due hanno attirato la mia attenzione: la croce
Armena e la Croce albero della Vita.
Quella Armena è come la croce latina, ma sugli angoli dei
quattro bracci è rappresentato il trifoglio, simbolo della
Trinità. Il popolo armeno associa alla croce la bellezza e la
gioia. E ogni croce è personalizzata perché ciascuno partecipa
in modo unico al sacrificio e alla risurrezione di Cristo.
29  
 
Eppure quella piccola croce fiorita, che ha l’abbraccio della
Trinità, quella croce armena piena di colore e di gioia,
racconta un’altra storia: la storia di un popolo, quello cristiano,
capace di far fiorire la bellezza da ogni cosa anche dalla morte.
La Croce albero della vita è una croce i cui bracci sono
forgiati ad albero, con foglie, fiori e frutti. L’uomo non può
“redimersi da solo” e soltanto Dio può ripristinare le “giuste
relazioni”. Se Adamo si era illuso di mettersi al posto di Dio,
Gesù Cristo ricostruisce la “relazione filiale perfetta con il
Padre”, abbassandosi, diventando “servo” e percorrendo “la
via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce”; quella
stessa croce che diventa così “il nuovo albero della vita”.
L'albero della vita appare, associato all'idea del Paradiso
nell'Apocalisse:
"In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del
fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e
produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a
guarire le nazioni." (Apocalisse 22,2)
"e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio
lo priverà dell'albero della vita e della città santa, descritti in
questo libro." (Apocalisse 22,19)
 
Luigi Maria Grignion de Montfort   nel "Il segreto di   Maria"
rappresenta la devozione religiosa come 'il vero Albero della
Vita', da coltivare nel cuore per ottenere il frutto Gesù. Il
sogno di Dio è che il mondo sia un grande giardino, dove
alberi spogli fioriscono con i fiori della fraternità, della
giustizia, della generosità, della pace, della vita.
Per questo il cammino di ogni Santo è segnato dal simbolo
della croce su cui fiorisce una pianta. Pianta che rappresenta
ognuno di noi, la nostra vita senza Cristo che risulta vuota,
spoglia. L’albero che con il suo legno richiama il legno della
croce attraverso la quale Gesù si è donato a noi per amore.
L’albero che con i suoi rami tende verso l’alto, verso Dio, e ci
ricorda che anche noi dobbiamo elevarci per arrivare agli
splendori del cielo ma per fare ciò dobbiamo imparare a vivere
30  
 
con uno stile nuovo che ci porta a far fiorire e crescere la
nostra fede.
Sicuramente questa è stata l'esperienza di Lorenzo.
Quell'albero che gli appare in forma di croce, ma fiorito e
carico di abbondanti e odorosi frutti, rappresenta la sua
sofferenza nella croce ma anche la gioia che Dio gli dà dopo
ogni sofferenza. Lorenzo si è recato alle pendici dell'Etna,
rimanendo in una grotta per quaranta giorni facendo penitenza,
digiuni e mortificazioni fisiche per sconfiggere il diavolo, il
male e il mondo e conseguentemente risorgere alla vita nuova
di Cristo. L'albero che vide Lorenzo aveva tre rami, uno con le
foglie, l'altro con frutti acerbi e il terzo pieno di frutti maturi.
Lorenzo dopo la morte a se stesso e al peccato, incomincia un
cammino che lo porterà ai frutti maturi, cioè alla Santità.
Mentre ritornava nella spelonca vide un uomo terribile e
orrendo in viso, con i capelli lunghi e il corpo nudo, che gli si
fece innanzi e lo incoraggiò a non aver paura, dicendo che era
stato mandato da Dio per consolarlo e santificarlo. Questo
Santo Uomo era un eremita della Calabria che viveva in una
spelonca dell’Etna. Dopo che ebbe sentito queste parole,
Lorenzo si gettò ai suoi piedi, ma il Santo eremita lo fece
rialzare e lo invitò a pregare il Signore assieme a lui. Lorenzo
gli chiese da quanto tempo si trovasse sulla montagna in
penitenza e quando apprese che da ben sei anni faceva vita
eremitica, ne fu molto ammirato e volle rimanere con lui per
potersi edificare con l’ascolto delle sue parole e con la sua
esperienza. Dopo alcuni giorni, Lorenzo lo lasciò per ritornare
nella sua spelonca. L’eremita lo salutò con queste parole:
“Buona strada hai preso Lorenzo, figlio mio diletto, il
Signore ti conservi nella sua grazia, ed in quella ti confermi, e
drizzi i tuoi sentieri nel prospero e tranquillo viaggio, siano
benedetti la tua madre e padre, che sì benedetto frutto han
fatto.”19

                                                                                                                       
19
Shara Pirrotti, Vita di un eroe medievale siciliano, pp. 142-143
31  
 
RITORNO A FRAGALÀ
Alcuni giorni dopo, mentre era in estasi guardando il cielo,
sentì una voce che gli diceva: “Lorenzo, Lorenzo, alzati e
ritorna alla tua Patria nativa, poiché hai già vissuto
abbastanza in solitudine.”
Lorenzo capì che era il Signore che parlava e gli diceva di
ritornare a Frazzanò, rispose a questa voce: “Eccomi pronto.”
Si alzò e, preso il bastone e il breviario, scese dal monte Etna
per ritornare al suo paese nativo. Giunto ai piedi del monte,
nelle vicinanze di Bronte, essendo già notte, raccolse alcuni
frutti ed erbe e, sedendosi accanto ad una sorgente, si
rifocillò; poi si raccolse in preghiera, com’era solito. Questa
fonte ancora oggi si chiama “Acqua di S. Lorenzo”.
Poiché era ormai sera, si fermò a trascorrere la notte a Bronte;
fu durante questa sosta che all’improvviso l’Etna iniziò la sua
attività eruttiva minacciando il paese; gli abitanti, conoscendo
la fama di Lorenzo, si recarono da lui per chiedergli aiuto, e
grazie alla sua intercessione il fiume di lava si placò. A
memoria di questo evento Giuseppe Dinaro dipinse una tela
oggi conservata nella chiesa di San Blandano. In essa è
raffigurato il santo in saio da monaco basiliano, genuflesso
con la mano destra al petto e lo sguardo rivolto in alto verso
un angelo benedicente apparso su una nube. La scena si
svolge in un paesaggio roccioso arricchito da una rada
vegetazione; sullo sfondo l’Etna erutta lava e fuoco che
circondano l’abitato e incendiano la vegetazione. In basso un
libro aperto e un angioletto che mostra un cartiglio con
un’iscrizione. In alto la colomba dello Spirito Santo. Il dipinto
fu commissionato nel 1827 da Giuseppe Auriti, abate
basiliano del monastero di Santa Maria di Bronte, costruito
accanto alla preesistente chiesa di San Blandano dopo il
terremoto del 1693. Nel cartiglio, dipinto alla base dello
stesso, si legge: “Quest’immagine che tu vedi del
gloriosissimo S. Lorenzo da Frazzanò dell’Ordine del Nostro
Santo Padre S. Basilio Magno, fu fatta dipingere nell’anno
32  
 
1827 dal Rev.mo Abate D. Giuseppe Auriti da Bronte, Dottore
in S. Teologia, spinto da fervido amore e a perenne memoria
di tutti i Brontesi liberati dal fuoco dell’Etna, quand’Egli
menava vita solitaria alle falde dello stesso monte.”
Il Giorno dopo, poco dopo l’alba s’incamminò verso il
Monastero di S. Filippo d’Agira per salutare i monaci. Qui
arrivò alcuni giorni dopo. Giunto nei pressi del Monastero di
Agira avvenne un fatto prodigioso: “Sul tardi si approssimò
per le contrade di Agira e recinto del Monastero ed
all’improvviso si udì gran fragore e strepito di campane di
esso ascetorio, e meravigliatosi i religiosi uscirono tutti dal
santo luogo atterriti, e videro che come un angelo del
paradiso molto umile e devoto si portava Padre Lorenzo....
Non vi è penna che può descrivere l’allegrezza di tutti.
Entrato nel Monastero si portò nella chiesa e buttato faccia a
terra con tanta devozione che intenerì tutti i religiosi”.20
I monaci e i cittadini, udendo suonare le campane, si
domandavano quale avvenimento fosse accaduto. Mentre
guardavano, lungo la via, videro Padre Lorenzo che si
avvicinava loro come un Angelo del Paradiso e lo accolsero
con grande gioia. Lorenzo si inginocchiò davanti all’Abate e
gli baciò la mano, abbracciò i confratelli e, dopo aver salutato
il popolo, si recò in Chiesa, dove, con la faccia a terra
cominciò a pregare con molta devozione. Molta gente accorse
a lui per ascoltare dalla sua viva voce la Parola del Signore e
lo pregarono di rimanere un poco con loro. Ci narrano i suoi
biografi che le persone che andavano a trovarlo erano tanto
numerose che risultava impossibile ospitarle in Chiesa,
pertanto Lorenzo era costretto a parlare loro in aperta
campagna. La sua parola era così convincente che molti
peccatori ritornavano sulla retta via. Con la sua presenza
diede molta consolazione agli infermi, guarendoli dalle loro
malattie.

                                                                                                                       
20
Monsù, op. cit. p.34
33  
 
Il mattino dopo Lorenzo celebrò la S. Messa per tutto il
popolo accorso e dopo il Vangelo predicò con tanto spirito,
tanto da far piangere tutti e molti peccatori si convertirono.
Rimase con i frati alcuni giorni, dopo di che s’incamminò
verso la sua Frazzanò lasciando tutti dispiaciuti.
La strada più breve per arrivare a Fragalà era sicuramente
quella che, passando da Troina, arrivava al Monastero di S.
Elia e si dirigeva a Fragalà. Sicuramente Lorenzo, per una
ispirazione divina, decise di passare da Maniaci in quanto il
Signore aveva altri progetti per lui. La sera giunse a Maniace
e pernottò nella gangia annessa alla chiesa di S. Maria sotto la
regola di S. Basilio e di S. Teodoro Studita.
Alcuni giorni dopo, nel suddetto Monastero di S. Maria,
arrivò anche Nicolò d’Adrano.

34  
 
VIAGGIO DI LORENZO E NICOLO'
La chiesa di S. Maria in Maniace, che era sotto la regola di S.
Basilio e di S. Teodoro Studita, era una dipendenza di S.
Filippo di Fragalà, ed è qui che avvenne l’incontro di S.
Lorenzo da Frazzanò con S. Nicolò Politi21 adornese verso il
1160. La prima meta di Nicolò, dopo essere fuggito da casa,
fu una grotta dell’Etna in località Aspicuddu.
Il padre non si era rassegnato alla scomparsa del figlio e lo
aveva sempre cercato con insistenza ed ostinazione.
Finalmente gli era stato riferito che un giovane dalle fattezza e
dell’età di Nicolò era stato intravisto nei pressi
dell’Aspicuddu sul monte Etna; subito formò una squadra di
persone per andare a cercarlo. Nicolò, accortosi di quanto
stava avvenendo, non ebbe dubbi, lasciò tutto e, armato solo
del suo bastone, si mise di nuovo in viaggio. Giunse presso
l’abitato di Maniace e qui trovò ospitalità nel monastero
basiliano del luogo, quello dedicato alla santa Madre di Dio,
facendo un incontro che lo avrebbe segnato per tutta la vita,
quello con il padre basiliano Lorenzo da Frazzanò. E facile
immaginare il sollievo provato da Nicolò grazie
all’accoglienza riservatagli da quei frati, soprattutto a livello

                                                                                                                       
21
Nacque nella città d'Adernò (oggi Adrano - Catania) nel 1117 dal nobile
casato dei Politi. Venne presto considerato un santo: col segno della croce
scacciava i lupi che assalivano gli ovili, sanava le pecore, intercedeva per
la guarigione dei malati. Nel giorno delle nozze, imposte dai genitori,
fuggì iniziando a solo 17 anni la vita eremitica. Fino a quando divenne
monaco laico nelle vicinanze del Monastero basiliano del Rogato, dove
visse per il resto della vita. Ogni sabato, percorrendo un impervio sentiero,
si recava dalla grotta dove dimorava al Monastero per confessarsi e
ricevere l'Eucaristia. Il 12 agosto del 1167 Nicolò rientrò alla grotta
esausto. Poco dopo un angelo gli rivelò che la sua anima sarebbe salita in
Cielo due giorni dopo la festa dell'Assunta. Martedì 15 Agosto si recò al
Monastero per confessarsi e ricevere per l'ultima volta l'Eucaristia. Salutò
tutti i monaci, affidandosi alle loro preghiere. All'alba del 17 Agosto 1167
Nicolò, dopo una notte in preghiera, con la croce fra le braccia, fu accolto
dal Signore. (www.santiebeati.it)
35  
 
spirituale, dopo tante durissime prove affrontate in estrema
solitudine. Qui egli poté accostarsi ai sacramenti e trovò nel
giovane padre Lorenzo una valida guida per il suo cammino.
Il quarto giorno Nicola e Lorenzo si incamminarono verso la
meta che dovevano raggiungere.
I due, infatti, partirono verso la parte settentrionale dei monti
Nebrodi, percorrendo insieme la gran parte del viaggio
finché, arrivati nei pressi del Pizzo di Moèle, non giunse l’ora
di dividersi: Lorenzo sarebbe rientrato nell’abbazia di Fragalà,
Nicola, su consiglio dell’amico Lorenzo, sarebbe sceso lungo
la vallata rocciosa del fiume Ghida, dove avrebbe potuto
trovare un rifugio sicuro e , soprattutto, avrebbe avuto la
possibilità di frequentare il monastero di Santa Maria del
Rogato, posto sul versante sinistro della vallata, un monastero
presso il quale dimorava il padre Cusmano di Alcara, un
monaco che per la sua cultura e per la sua profondità
spirituale era soprannominato “Il Teologo”. I due amici si
abbracciarono non senza la speranza di potersi rivedere.
Nicolò, già provato per i tre anni di stenti, era sfinito per il
lungo viaggio.
Due erano le strade che potevano percorrere: La regia
Trazzera Troina - S. Marco e la Regia Trazzera Randazzo
Patti con deviazione a Floresta.
La strada che collegava Maniaci a Fragalà (S. Marco)
costituiva la spina dorsale fondamentale per raccordare le
regioni dei Nebrodi con quelle dei Peloritani e spingersi dal
centro della Sicilia al Nord. Era infatti collegata, da un lato,
alla “via puplica” che partiva da Randazzo, congiungeva
Montalbano a Galati (dove era un trivio detto “del Mueli”) e,
dopo aver raggiunto S. Marco, proseguiva intersecando la
strada marittima che collegava S. Marco a Naso, a S. Fratello
e a Caronia. Da questa strada si dipartivano una serie di
percorsi paralleli e perpendicolari che consentivano di

36  
 
raggiungere Enna, Troina e altre località della Sicilia nord e
centro orientali22.
Lorenzo e Nicola quindi presero questa strada e durante il
cammino Lorenzo Istruiva Nicola “con santi e divini
colloqui”.
La tradizione ci tramanda che, giunti in una landa rocciosa ed
arida, Nicolò era sfinito per la sete e, pieno di fede, invocava
l'aiuto divino per far trovare loro una fontana a cui dissetarsi.
Anche Lorenzo invocò l’aiuto di Dio, e una voce lo “avvertì
di percuotere con il bastone una pietra, dalla quale fece
sgorgare una sorgente che dissetò i due viandanti e in seguito
i viandanti riferirono che era capace anche di guarire le
malattie”23: questo luogo secondo la tradizione si trova al
confine del territorio di Floresta, nel comune di Tortorici,
chiamato “Acqua Santa”. Ancora oggi questa sorgente,
inglobata in una cappella, è meta di pellegrinaggi comunitari.
Poiché ormai era vicina la notte, i due eremiti trovarono
rifugio in una grotta che si trovava nelle vicinanze della
sorgente e qui si fermarono per riposarsi. Dormirono solo
poche ore; pregarono insieme recitando l’ufficio divino e
comunicandosi tutte le gioie spirituali che il Signore dava
loro.
Il mattino seguente ripassarono “dall’acqua Santa”
dissetandosi e si incamminarono verso la loro meta.
Arrivati nei pressi del Pizzo di Mueli giunse l’ora di dividersi:
Lorenzo gli suggerì il Calanna dove poteva stabilirsi per
essere al sicuro e, soprattutto, avrebbe avuto la possibilità di
frequentare la Grangia di S. Maria del Rogato dove ogni
sabato poteva confessarsi e fare la comunione. Qui dimorava
il Padre Cusmano di Alcara, un monaco che per la sua cultura

                                                                                                                       
22
Pirrotti Shara, Il monastro di S. Filippo di Fragalà, Messina 2008, pp.
96-97
23
Ottavio Caietani, Vitae Sanctorum Siculorum”, Palermo, 1657,
Tipografia Cirillo.
37  
 
e per la sua santità era soprannominato “il Teologo”. Si
salutarono con la speranza di potersi rivedere.
Questo è quanto sappiamo. Una riflessione però dobbiamo
farla su "l'Acqua Santa".
Diversi sono i punti convergenti che fanno riferimento a
questo momento della vita di Lorenzo e Nicolò e che ci
portano a dire che quest'acqua è nel luogo in cui oggi si
celebra la Festa delle Verginelle dell'Acqua Santa.
Per conoscenza riportiamo ciò che oggi si racconta delle tre
Vergini.
“Narra un antica leggenda che in località Acquasanta, nel
territorio del comune di Tortorici (ME), un moro aggredì tre
vergini. Una delle tre morì. Le altre due, miracolate, si
salvarono. Sul luogo della tragedia venne costruita una
cappella al cui interno è un pozzo di acqua sulfurea. Ogni
prima domenica di agosto, è meta di pellegrinaggio di donne
che hanno fatto voto e che, accompagnate da tre vergini, a
piedi nudi, digiune ed in numero dispari, giungono al pozzo
ed enunciano la propria supplica, nella speranza che l’acqua
bolla nuovamente in segno di ascolto.”
Altre fonti riportano, invece, che tre fanciulle, andate col
padre nel bosco, sarebbero state massacrate a colpi di scure da
uno sconosciuto, per non aver voluto cedere agli illeciti
desideri di questi. Sul luogo del delitto, dopo qualche giorno,
sarebbe sgorgata una fonte miracolosa, capace di curare molti
mali.
La località, a quota 1300 m. sulla sponda destra del fiume
Flascio, si può raggiungere a piedi, a cavallo e con auto che
bisogna posteggiare a circa 500 m. dal luogo in cui sorge la
Chiesa.
A circa 600 m. più in alto si trova una cappelletta (“a casotta”)
composta di due vani. Nel primo è stato realizzato un pozzetto
con arco semi circolare che contiene dell'acqua giallastra,
verosimilmente di natura sulfurea, che gorgoglia quando il
pellegrino si inginocchia in preghiera con animo puro. Nella

38  
 
seconda si trovano gli ex voto: trecce di capelli, nastri, abiti,
stampelle ed altro.
Nel ritornare verso la Chiesa i pellegrini hanno cura di seguire
il percorso segnato all'andata con piccoli mucchi di pietra (“i
munsidditta”); non potendosi tale fatto ricondurre alla
devozione deve ritenersi che i pellegrini di un tempo facessero
ricorso a tali segni per non smarrire la strada per nebbia o
altro.
Alla messa, un tempo, assistevano anche le verginelle (“i
virgineddi”); ragazze in numero dispari e non in età di peccato
che vestivano una tunica nera e corona di fiori alla testa.
Provvedeva al loro trasporto e a fornirle di quanto necessario
nella giornata colui che aveva fatto il voto, di solito
proveniente dai paesi di Tortorici, Galati Mamertino, Longi,
Frazzanò, S. Marco D’Alunzio, Randazzo, Santa Domenica
Vittoria, Floresta, Montalbano, Bronte, Adrano, Maletto,
Acireale ed altri ricadenti nell'ambito del Parco dei Nebrodi e
dell'Etna.
Giunti sul luogo santo, dopo aver recitato delle preghiere
all’interno della chiesetta dedicata alle Tre Vergini, ci si reca
alla sorgente dove chi aveva fatto promessa scioglie il voto
lasciando presso la fonte il proprio pegno. La credenza è che,
se il pellegrinaggio viene fatto con viva fede, l’acqua inizia a
bollire e il prodigio in favore degli infermi si esaudirà.
Vediamo adesso i punti che ci portano a dire che questa è
l'acqua di cui si parla nella vita di San Lorenzo:
1. La Chiesa, nello “stato della città e Diocesi di Patti, del
1912”, apparteneva alla Parrocchia Maria SS. Assunta di
Castell’Umberto e viene descritta come “Chiesa S. Nicolò
Politi e Verginelle dell’Acqua Santa (fuori dell’abitato),
nell’ex feudo Acqua Santa”.
2. I devoti che ogni anno si recano lì per la festa sono di molti
paesi, ma un buon gruppo viene da Adrano e ogni anno
molte fanciulle adranesi si vestono da Vergini.

39  
 
3. Nel quadro che diversi anni addietro è stato rubato vi era
l’effige di S. Nicola di Alcara.
4. Il sito si trova accanto alla regia trazzera che da Maniace
portava a Galati e ad Alcara.
5. La tradizione chiama “le tre vergini dell’Acqua Santa” e non
“le tre sante vergini dell’Acqua”. Quindi è l’Acqua Santa e
non le vergini. E’ Santa perché fatta scaturire da un Santo,
cioè S. Lorenzo per dissetare S. Nicola.
Durante la sua vita Lorenzo ha legato il suo nome oltre che a
questa sorgente, anche ad altre:
1. Quando concluse la penitenza sul Monte Etna, si alzò e,
preso il bastone e il breviario, scese dal monte per ritornare
al suo paese nativo.
Giunto ai piedi del monte, nelle vicinanze di Bronte,
essendo già notte, raccolse alcuni frutti ed erbe e, sedendosi
accanto ad una sorgente, si rifocillò; poi si raccolse in
preghiera, com’era solito, fino all’alba. Questa fonte ancora
oggi si chiama “Acqua di S. Lorenzo”.
2. Dopo la sua morte i devoti vegliarono il corpo per alcuni
giorni, dopo di che si dovette decidere della sua sepoltura: i
Frazzanesi lo volevano seppellire nella Chiesa del paese, i
monaci invece nella Chiesa del Monastero.
La decisione la prese Lorenzo il quale, quella notte, apparve
in sogno al figlio del Governatore del paese
manifestandogli il suo desiderio: un Monaco Basiliano
avrebbe curato la sua Sepoltura nella Chiesa di Tutti i Santi
e, trascorso il periodo dell’essicazione del corpo, sarebbe
stata riaperta la tomba e sarebbero state divise le sue
spoglie mortali; ai monaci il sacro capo, ai frazzanesi il
corpo.
Il giorno dopo il giovane riferì ai monaci e ai frazzanesi il
sogno, secondo le sue intenzioni, il Santo Corpo del Beato
Lorenzo, con molto onore e grande venerazione ed alla
presenza di una innumerevole folla, fu seppellito nella sua
Chiesa di Tutti i Santi.

40  
 
Da quella sepoltura, dopo pochi giorni, si sentì uscire un
fragrante e soave odore e il Signore volle riconoscere la
santità di Lorenzo facendo scaturire accanto alla chiesa di
Tutti i Santi un’acqua limpidissima e chi ne beveva, veniva
liberato da qualsiasi malattia, specie dalla peste.
Quest’acqua scorre ancora e viene chiamata “Acqua di S.
Lorenzo”
3. Un'altra fonte si trova nella Regia Trazzera che porta a
Maniaci e Troina sotto il Pizzo Mueli e viene chiamata
"Acqua di San Lorenzo": questa fontana ricorda il Viaggio
che Lorenzo fece con Silvestro da Troina a Fragalà; arrivati
sotto il "Pizzo di Mueli" Silvestro ebbe sete e Lorenzo con
il Bastone batté sulla roccia e ne zampillò acqua
freschissima e purissima.
4. Un evento prodigioso avvenne nel 1347.
In quegli anni imperversava la peste in tutta la Sicilia,
mietendo vittime senza distinzione di età e di condizione,
tanto che in tre anni questo morbo dimezzò gli abitanti
dell’isola. In questo infausto periodo, San Lorenzo liberò il
suo paese natio e coloro che a lui ricorrevano, servendosi di
un’acqua miracolosa che sgorgò per prodigio divino. Come
riconoscenza del pericolo scampato, i fedeli innalzarono
una chiesetta accanto a quella sorgente miracolosa che per
molti secoli divenne meta di pellegrinaggi di ammalati che
si affidavano alla protezione del Santo per essere guariti dai
loro mali.
Il Magrì afferma che accanto a questa fonte vi era un albero
di gelso nero al quale venivano attaccati “come mostre
delle grazie ottenute e come trofei appesi dai guariti del
trionfator della morte di votive tabelle, fasce, ligature,
capelli, stampelle, cuffie ed altre spoglie”. I frazzanesi
furono riconoscenti a S. Lorenzo tanto che nel 1398,
scolpendo lo stemma comunale, oltre ad incidere il frassino,
simbolo di Frazzanò, impressero anche l’immagine del
Santo.

41  
 
Però per la superficialità di alcune non devote donnicciole
che resero la fontana dell’acqua miracolosa un pubblico
lavatoio, essa sparì e non ricomparve nemmeno dopo aver
scavato la terra da dove essa zampillava.
Di essa rimase solo la denominazione del luogo San
Lorenzo Vecchio.

42  
 
PERMANENZA A FRAGALÀ
Giunto a Fragalà entrò nel Monastero dove fu accolto con gioia
dai monaci. Andato in Chiesa si prostrò davanti al Santissimo e
a S. Filippo e partecipò alla compieta.
Dopo aver cenato, i monaci lo accompagnarono nella sua
cella, dove c’era soltanto un pagliericcio, un tavolo, uno
sgabello e un Crocifisso appeso al muro.
Il giorno seguente tutti i paesani, sentendo dell’arrivo di
Lorenzo, salirono al Monastero per rendergli omaggio e Lui,
approfittando dell’occasione, predicò ed ascoltò le loro
confessioni esortandoli a dedicarsi “al servizio di Dio ed alla
salute dell’anima.”
“L’inferno non poteva soffrire le tante conversioni che per
mezzo della predicazione aveva ottenuto, disperato cercò di
crucciarlo e atterrirlo in varie figure, con urli e grida i quali
tutti disperatamente al segno della croce fuggivano come
polvere al vento. Egli tratteneva un cranio spolpato sempre
presente, dove osservava in quale stato miserabile dovea
venire la carne umana et predicava spesso sulla morte.”24
Rimase nel convento alcuni giorni, dopo di che si recò al suo
paese “Frazzanò”; qui i suoi paesani lo accolsero con gioia e
gli fecero grande festa; ognuno, sapendo che non aveva più
parenti, voleva invitarlo a casa sua per ospitarlo, ma lui
rifiutava, preferendo dormire nelle chiese e si cibava di erbe
selvatiche. Ogni giorno predicava nelle chiese del piccolo
centro e celebrava la S. Messa. Tutti i paesani lo ascoltavano
estatici e molti si convertirono confessando i propri peccati.
La sua fama si diffuse subito nei paesi vicini tanto che tutti
accorrevano a Frazzanò per ascoltarlo, confessarsi e
convertirsi a Cristo.
Molti ricevettero la guarigione dello spirito ma anche la
guarigione del corpo e ciò avveniva quando Lorenzo li

                                                                                                                       
24
Pirrotti Shara, Il monastro di S. Filippo di Fragalà, Messina 2008, p. 32
43  
 
benediceva con un segno di Croce. Faceva venire la vista ai
ciechi, la loquela ai muti, la salute agli storpi.
Trascorreva la giornata nella preghiera, nella riflessione, nella
penitenza e nella predicazione. Al sonno riservava solo poche
ore della notte.
Ogni notte, ci racconta la tradizione, si recava in contrada
Praio dove c’era una sorgente e si flagellava (si faceva "a
Giusippina") con delle cordicelle che sulle punte avevano
degli anelletti di ferro. Al termine si lavava con l’acqua della
sorgente e le sue carni ritornavano ad essere come prima. Al
mattino rientrava al Convento o al paese e nessuno si accorse
mai di queste penitenze, come avveniva quando era bambino.
Questa contrada veniva chiamata con denominazioni
particolari: Acqua di San Lorenzo, Pietra del Praio, Vallone
della Nulla.
Qui nel 1743 l'Arciprete Papa costruì una Chiesa dedicata alla
SS. Trinità che in seguito, a causa di una frana, fu distrutta.
Un sabato, Lorenzo, ricordandosi della promessa fatta a
Nicolò Politi, si recò ad Alcara nella chiesa di S. Maria del
Rogato dove trovò i monaci e Nicolò. Dopo aver salutato i
monaci e abbracciato Nicolò, celebrò la S. Messa con molta
devozione, rimase lì tutto il giorno pregando e recitando
l’Ufficio Divino e verso sera si accomiatò da loro ritornando a
Fragalà.
Una notte mentre era in preghiera, ebbe una visione durante la
quale il Signore gli chiedeva di costruire nell’abitato di
Frazzanò una Chiesa dedicata a S. Alfio Martire.25
Subito si alzò dirigendosi verso il paese. Giuntovi, la gente lo
accolse con applausi e, pieni di rispetto, gli baciavano la
mano. Lorenzo si recò subito in Chiesa e raccontò ai fedeli il
sogno che aveva fatto. Terminato il racconto, si ritirò in un
angolo della chiesa e qui rimase raccolto in preghiera fino a
quando non si presentarono alcune persone, le quali si

                                                                                                                       
25
Idem p. 30
44  
 
dimostrarono disponibili nell’aiuto per la costruzione della
nuova Chiesa.
Lorenzo allora uscì dalla Chiesa con loro e, dopo aver
designato il luogo dove essa doveva sorgere, invitò tutto il
popolo a collaborare.
Tutte le persone, anche le donne e i bambini, si prodigarono,
alcuni portando pietre, calce e legname; altri trasportando
terra e altri ancora portando acqua per la fabbrica.
Chi non poteva fare un lavoro manuale, portava da mangiare
agli operai o denari per le cose che occorrevano.
Lorenzo rimase con loro lavorando e predicando il Vangelo di
giorno; pregando e riposando di notte.
In poco tempo la Chiesa fu completata e Lorenzo la fece
benedire dall’Abate di S. Filippo di Fragalà. 26
Nel Monastero di Fragalà Lorenzo dimorò fino alla morte,
tranne per pochi periodi che dedicò alla predicazione nei paesi
di Sicilia e di Calabria, servendo i fratelli con la predicazione,
celebrando la messa, confessando, amministrando i
sacramenti, convertendo gli infedeli, fortificando i cattolici,
consolando gli afflitti.
Con Lorenzo, per un periodo di tempo, visse nel Monastero
anche Silvestro da Troina27, il quale si distinse in modestia,
                                                                                                                       
26
Idem p. 37 “Questo tempio fu eretto da S. Lorenzo nel 1136 e rimase
poscia quale gancia dei Padri Basilisti, con miscela dei devoti accorrenti in
essa servitù; perdurò in atto fino al 1630 circa. Oggi tiene la
denominazione la contrada della campagna, prossima all'abitato, esistendo
sorgiva laterale della quale si servono i lavandai; nel sito di esso trovasi un
torchio oliario della Chiesa S. Lorenzo, avendo fondo inferiore e dritto
dell'acqua per atto notar Lorenzo Pagano li 20 settembre 1786. Qui
domenica delle palme si costumava, per legato, di sortire la processione
con palmi e rami di ulivo e si conferiva alla matrice, dove cantavano messa
cantata i componenti il clero e poscia dividevano boccellate di pane a
sborso di legato perpetuo; oggi non più sin ab antico; notizia rivelata nelli
tratti storici di Magrì Antonino patriotto, paggini dimezzati e corrosi quasi
illeggibili ed inutili.”
27
Silvestro (1110 – 1164) nato a Troina; di lui non si sa molto, ma sono
giunti fino a noi i racconti di vari episodi prodigiosi che lo videro
45  
 
disciplina e penitenza. I due si erano conosciuti a Troina
durante il periodo degli studi, anche se Silvestro viveva nel
Monastero di S. Michele Arcangelo e Lorenzo in quello di
Santa Domenica. Silvestro, anche se proveniva da una ricca
famiglia, preferì la vita austera che facevano i monaci
dell’Ordine di S. Basilio e presto fece parlare di sé e dei suoi
meriti. Dopo aver ricevuto l’abito monacale, non volle mai
celebrare messa perché, credendosi indegno, si accontentava
di servire gli altri anziché essere servito.
Assieme a Lorenzo divenne guida spirituale per i monaci e i
novizi ma in particolare per Conone Navacita 28, originario di
Naso.
                                                                                                                                                                                                                                                     
protagonista; entrato in giovane età nel Monastero di San Michele, si
distinse per la sua spiccata carità. Sulla base d’argento del prezioso fercolo
che lo raffigura, è incisa una costante tradizione che narra dell’aiuto dato
ad un vecchio mendicante, rivelatosi poi per il Signore Gesù. Gli storici
locali raccontano che in un’ora si recò a Catania, a venerare S. Agata
martire nel giorno della sua festa; il prodigio consiste nel fatto che il
Monastero era distante dalla città etnea quaranta miglia e lui era a piedi sia
all’andata che al ritorno. Verso il 1155 si recò a Roma in visita al nuovo
papa Adriano VI, il quale lo ordinò sacerdote. Al ritorno, fermatosi a
Palermo, guarì il giovane Guglielmo, figlio del re di Sicilia, Guglielmo I
(1154-1156), ciò gli procurò una vasta fama di santità e rientrato a Troina
venne eletto Abate. Dopo qualche anno si ritirò, desideroso di una
maggiore ascesi, costruendosi una cella accanto ad un oratorio dedicato a
S. Bartolomeo, a breve distanza dal Monastero. Morì il 2 gennaio 1164 a
Troina. Il suo culto “ab immemorabili”, fu confermato da papa Giulio III
(1487-1555), la sua festa liturgica è il 2 gennaio; nel giorno della sua festa
una suggestiva processione di uomini a cavalcioni di muli bardati e carichi
di alloro, si reca al suo sepolcro e ciascuno depone un ramoscello di alloro
sulla sua tomba. (www.santiebeati.it)
28
Cono, o Conone, Navacita nacque a Naso (Messina), nel 1139, figlio del
conte normanno Anselmo, governatore della città. Ancora ragazzo
abbandonò la casa, le ricchezze e si ritirò nel locale convento di San
Basilio. Conone, dopo l'ordinazione, continuò a manifestare segni di
vocazione all'eremitaggio e, col permesso dei superiori, si ritirò in una
grotta, che prese il nome di Rocca d'Almo. Ben presto la sua fama di
santità superò i confini di Naso. Richiamato al Monastero dai suoi
superiori, fu eletto Abate. In seguito, al ritorno a Naso da un
46  
 
Cono proveniva dal Monastero di S. Basilio29 di Naso, dove
era andato a vivere per seguire la regola di S. Basilio, anche
se i genitori erano contrari perché avevano delle mire diverse
per l’avvenire del figlio.
Nel Monastero di S. Basilio vestì gli abiti religiosi e
incominciò ad amare il sacrificio, la penitenza e in perfetta
ubbidienza gradì anche i servizi più umili e faticosi.
Fatta la professione solenne venne mandato al Monastero di
S. Filippo da Fragalà dove alla guida di Silvestro da Troina,
ma soprattutto di Lorenzo, visse ancora più intensamente la
vita religiosa distinguendosi sempre nella pratica delle virtù e
mostrando attitudini allo studio con notevoli risultati.
Tale fu il progresso, che Lorenzo non esitò un istante a
proporgli di accedere al Sacerdozio, cosa non comune a quei
tempi negli Ordini Monastici perché questo Ministero veniva
concesso solo a quei pochissimi aspiranti che fossero maturi
nelle lettere umane e nella teologia.
Cono, per la sua grande umiltà, si reputava indegno e rifiutò la
proposta, ma, successivamente, obbligato da Lorenzo e dai
Superiori, accettò i Sacri ordini.
Dal momento che amava la vita contemplativa, dopo aver
chiesto il permesso al Padre Superiore, andò a vivere nella
grotta di Rocca d’Almo, nei pressi di Naso, dove, seguendo
l’esempio di Lorenzo, si nutriva di erbe selvatiche, dormiva
sulla nuda terra e si dedicava alla preghiera e alla penitenza.

                                                                                                                                                                                                                                                     
pellegrinaggio in Terra Santa, elargì ai poveri la ricca eredità del padre e si
ritirò nella grotta di San Michele. La città era afflitta da un morbo
contagioso: i nasitani si rivolsero allora all'Abate che li liberò dalla
malattia: del miracolo vi è ricordo nello stesso stemma della città. Morì a
97 anni: era il 28 marzo 1236, Venerdì Santo. Canonizzato nel 1630, san
Cono è patrono di Naso, i cui abitanti ancora oggi davanti alle reliquie
pronunciano l'invocazione «Na vuci viva, razzi i san Conu».
(www.santiebeati.it)
29
Era una grangia di Naso, dipendente dal Monastero di S. Filippo di
Fragalà.
47  
 
INCONTRO CON L'ABATE SABA
La devozione per San Pantaleone a Bordonaro affonda le sue
radici all’epoca in cui nelle alture della vallata si insediarono
in epoca bizantina i monaci greci Basiliani, cioè i seguaci di
San Basilio il grande, il padre della chiesa greca che visse tra
l’anno 330 e il 379 fondando tantissimi monasteri. I Padri
Basiliani che tanta storia occupano nella nostra terra di Sicilia
erano monaci, con dei cuori ardentemente religiosi; arrivarono
nelle nostre terre, per vicende drammatiche che dall'Oriente li
costrinsero ad emigrare nella vicina Calabria; e ancora
respinti, approdarono in Sicilia, apportandovi una primavera
culturale e religiosa. Dovunque si stabilissero, portavano con
sé il culto dei loro Santi; tanto che nel nostro culto entrò
anche quello del santo martire Pantaleone. Edificarono tanti
conventi in varie zone della Calabria, e della Sicilia. La storia
ci tramanda che nel monastero di Bordonaro esisteva una
vasta biblioteca con libri antichissimi; i più andarono perduti
altri si trovano nella Biblioteca regionale ed in quella
Paniniana (al seminario). I monaci basiliani nel 1812 vollero
estendere il culto del martire Pantaleone anche alla comunità
parrocchiale vicina, per questo motivo dalla contrada Badia
vennero giù al casale di Bordonaro facendo conoscere il culto
di San Pantaleone. I Bordonaroti furono pieni di gioia ed
oltre al culto della Madonna delle Grazie accettarono di buon
grado anche quello di San Pantaleone riconoscendolo come
patrono e protettore. Il resto del lavoro lo fecero gli argentieri
Messinesi che rivestirono l’antica statua in legno di pioppo
con una bellissima balza d'argento. Bordonaro è fiera di avere
come patrono questo grande Santo, non c'è altra comunità in
diocesi che lo onori come protettore.
Scholarios, uomo di fiducia del Conte Ruggero, con i beni
ricevuti dallo stesso, riedificò nel 1114 il Monastero
dedicandolo,come dicevamo, a San Pantaleo e divenne
l’Egumeno dei Monaci prendendo il nome di Saba. Era di una
nobile famiglia greca, molto erudito, vessato nella
48  
 
giurisprudenza, ricco di codici greci e proprietario di molte
tenute in Calabria e in Sicilia. Fu anche abate di S. Maria di
Massa, Monastero fondato da suo fratello F. Nicodemo. Qui
trascorreva i suoi giorni servendo il Signore con i suoi tre
figli, ordinati Sacerdoti,Teodoro già Protonotaro del Regno e i
due Giovanni.
Arrivato Lorenzo a Bordonaro, si fermò in questo Monastero,
dove rimase alcuni mesi predicando il Vangelo e operando
miracoli.
Lorenzo divenne amico Spirituale di Saba che già era
avanzato negli anni.
Avvicinandosi il giorno della sua morte, Saba scrisse il suo
testamento e volle che Lorenzo lo sottoscrivesse.
In questo testamento redatto nell'anno 6622 dalla creazione
del mondo, si legge:
"Lorenzo peccatore, monaco e Sacerdote testifica e
sottoscrive."
"Laurentius peccator monachus et sacerdos testificans
subscribsit".

49  
 
TOPONOMASTICA DI LORENZO
IN CALABRIA
Lo zelo apostolico di Lorenzo lo portò a predicare il Vangelo
non solo in Sicilia, ma, sentendo il bisogno di annunziarlo ad
altri popoli e spinto dal desiderio di rivedere i molti eremiti
incontrati sia sulle falde dell’Etna sia in altri monasteri, decise
di recarsi in Calabria.
«Per ispirazione celeste, attraversò il mare e si recò in terra di
Calabria, visita gli ascetori sparsi per gli Appennini e ad ogni
perfezione li infiamma»30:
Si fermò a vivere nel Monastero di Santa Domenica di
Gallico, denominato in alcuni documenti con l’appellativo
“della strada” perché sorgeva presso una via che da Gallico
sale sull’Aspromonte e che fu per molto tempo la più celebre
e la più frequentata strada fra la marina e la montagna.
"Il territorio fra Pentedattilo e Amendolea fu per secoli posto
sotto l’influenza del monastero greco del santissimo Salvatore
di Messina; nell’ambito di questa diretta influenza sorse
l’importante centro di S. Lorenzo che ricorda, credo, nel
nome, il santo asceta italogreco Lorenzo, nativo di Frazzanò
in provincia di Messina e abate del monastero di s. Filippo di
Fragalà collegato con il ss. Salvatore; egli fu anche abate del
monastero greco di s. Domenica di Gallico vicino Reggio."31
Qui Lorenzo si fermò diversi anni, durante i quali si dedicò
alla predicazione, all’istruzione religiosa, alla conversione
degli erranti, continuando o corroborando l’opera compiuta,
sia in Sicilia che in Calabria, dai santi vescovi calabresi Luca
di Isola e Luca di Bova.
Fra' Lorenzo, considerato dalla gente un uomo santo, si dedica
all’istruzione religiosa e richiama alla fede quanti, in quegli
anni tristi, si erano allontanati dalla Chiesa.

                                                                                                                       
30
Narbone Alessio, Istoria della letteratura siciliana, vol. VIII, p. 21
31
Note sulla cultura del territorio grecanico....
50  
 
E lì, parlando in pubblico con sommo ardore dell’animo e
competenza dottrinale, ricondusse di nuovo sulla retta via non
poche persone che si erano allontanate dai retti sentieri della
fede cattolica. Ciò che insegnava con le parole, lo rafforzava
spesso con i chiari segni dei miracoli che operava tutto
intorno per il potere che Dio gli trasmetteva.
Qui operò molte conversioni e guarì molti infermi, dando la
parola ai muti, l’udito ai sordi, la vista ai ciechi, la salute ai
lebbrosi, e riportava in salute gli ammalati con forme di
malattia incurabili, liberava gli indemoniati, ridava la luce a
persone prive della luce degli occhi, donava la parola ai muti
e a chi non aveva la lingua, il potere di udire ai sordi, il vigore
ai debilitati, guariva persone colpite da elefantiasi o da altra
infezione: al punto che nessun beneficio, che potesse essere
giustamente concesso, si chiedeva a lui invano.
Pertanto la santità di Lorenzo e la fama dei suoi miracoli si
diffuse con grande rinomanza non soltanto in Calabria, ma
anche nelle altre parti del mondo.
Anche Antonio Sapone, nel suo libro “S. Alessio in
Aspromonte”, citando un documento, scrive: “…il Monastero
di S. Lorenzo o Santa Domenica di Gallico….”32; forse fu
chiamato S. Lorenzo a motivo della sua permanenza in questo
Monastero.
Sarebbe interessante indagare se la sua fama non abbia
influito anche sull’origine della denominazione di San
Lorenzo, una importante città della calabrese vallata del
Melito, cioè della monastica Valletuccio, sottoposta per circa
duecento anni all’Archimandritato del Santissimo Salvatore di
Messina, a cui era soggetto anche quello di San Filippo di
Fragalà33. Nel territorio di questa cittadina vi era il

                                                                                                                       
32
Sapone Antonino, “S. Alessio in Aspromonte…”, città del sole, 2001, p.
92
33
Vorrei riportare una Storia scritta dal Prof. Francesco Romanò su San
Lorenzo e Dasà:
51  
 
“Monastero di S. Lorenzo” che secondo la tradizione fu
costruito nel XII secolo da monaci provenienti dal territorio
dell’Etna e molto probabilmente dal nostro S. Lorenzo.
Nel Territorio della Bassa Calabria vi sono diverse chiese e
località chiamate S. Lorenzo e tutti gli studiosi di questi ultimi

                                                                                                                                                                                                                                                     
"Tanti visitatori e studiosi nel corso dei secoli si sono interessati ai due
monasteri basiliani di Ciano e di Dasà. Nella zona esistevano due
conventi basiliani: quello di Ciano (il più importante) e quello di Dasà.
Circa la querelle se sia sorto prima il Monastero di Ciano o quello di S.
Lorenzo di Dasà, ancora una parola definitiva non si può pronunciare,
tuttavia penso che forse abbia ragione il Farina nel ritenere quello di Dasà
come un’emanazione del convento di Ciano e quindi posteriore
(risalirebbe agli inizi del 1200). Crocenti ed altri storici locali danno
invece la primogenitura a Dasà. Sulla fondazione del convento di S.
Lorenzo, purtroppo, non esiste finora una documentazione attendibile.
Scrive Crocenti: ”Scarne ed insicure sono le testimonianze che lo
riguardano. Si sa di esso che fu fondato intorno al mille e che era dotato di
vasti beni e di altrettanto vasta giurisdizione. I Basiliani lo fondarono ai
piedi della collina su cui i Normanni poi costruirono la loro fortezza di
Arena, in posizione quanto mai salubre ed amena. Questi cenobiti
lasciarono impronta notevole della loro opera, poiché alla Valle, per la
quale furono unico faro finché in Arena non si stabilirono i Normanni,
diedero quella impronta greca che è evidente nella onomastica e
toponomastica. I centri urbani e rurali ebbero tutti un nome greco e greci
furono i nomi delle piante e delle opere dell’uomo. S. Lorenzo si estinse
nella seconda metà del Settecento e fino al 1739 erano sue Grange, Santa
Chiara di Monteleone (Vibo V.), S. Maria di Moladi e S. Maria di
Serrata”.
Ecco ora cosa scrive Enzo Farina nella citata relazione a proposito del
convento di S. Lorenzo: “La figura carismatica e le opere di questo Abate
(S. Pietro Spina) accrebbero la fama del convento (di Ciano) che ben
presto divenne troppo angusto per poter accogliere altri novizi. Nacque,
probabilmente, così l’idea di fondarne un altro a poca distanza, su un
rilievo nei pressi di Dasà. Il primo Abate di questo convento fu S.
Lorenzo. Ci sentiamo, pertanto, di affermare che l’insediamento di Dasà
(contrariamente a quanto sostenuto dal Crocenti e da altri storici) fu
posteriore a quello di Ciano (inizi XIII secolo). Come quest’ultimo,
godette dei favori e delle elargizioni dei Concublet di Arena. S. Lorenzo,
nato probabilmente a Dasà verso la fine del 1100, visse anch’egli
“santamente“ insieme ai suoi compagni.
52  
 
secoli fanno riferimento a San Lorenzo Martire forse
ingannati dal fatto che la festa di S. Lorenzo dopo la sua
morte fu celebrata il 10 Agosto in ricordo della traslazione
delle sue ossa al Monastero di Fragalà e alla chiesa Madre di
Frazzanò come diremo dopo. Però il 10 Agosto è la festa
liturgica di San Lorenzo martire e quindi nei secoli successivi
le persone e gli studiosi, perdendo il ricordo originario
dell’avvenimento, hanno fatto riferimento a S. Lorenzo
Martire.
Il Russo ricorda anche S. Lorenzo di Arena, che visse a
cavallo del sec. XI e XII, ma mancano notizie
particolareggiate34; forse potrebbe trattarsi del nostro Santo.
Il padre basiliano Apollinare Agresta, vissuto nel 1600 scrisse
una famosa “Vita di S. Basilio Magno”e dice: “Sopra un
promontorio presso alla Terra di Dasà, sorge l’Abbazia,
appellata di S. Lorenzo similmente Monaco basiliano, che con
altri suoi compagni, fece quivi vita cenobitica, e Santamente
visse, e morì. Questo cenobio fu eretto dal suddetto Gran
Conte di Arena, e dotato di grosse rendite”.
Del Monastero di S. Lorenzo di Dasà non si hanno molte
notizie, contrariamente a quello di Ciano.

                                                                                                                       
34
Russo Francesco, Storia della Chiesa in Calabria, dalle origini al
Concilio di Trento, Volume 2, Rubbettino, 1982.
53  
 
LIBERA REGGIO DALLA PESTE
Lorenzo, mentre dimorava a Gallico fu chiamato dai reggini
per liberarli dalla peste che inesorabilmente falcidiava vittime
in città:
“In quel tempo la città di Reggio, che si trova dall’altra parte
dello stretto, di fronte a Messina, fu turbata da grandi bufere.
Dopo di esse seguì una grave e dura pestilenza che colpì e
condusse alla morte i maggiorenti della città e moltissimi
nobili. Il capitano della città ed il Vescovo di Messina35
capirono che quel male era superiore ad ogni umano
medicamento e che non restava nessun rimedio in alcuna cosa
se non nella liberalità e nella potenza divina; allora quegli
stessi capi assieme alla nobiltà ed al popolo di ambedue le
città, siccome era vivida la fama della vita integra e dei
miracoli di Lorenzo, accorrono a lui con animo sommesso e
versando moltissime lacrime. E si buttano ai suoi piedi e lo
supplicano con grande pianto: dato che è caro a Dio ed a lui
consacrato, con le sue preghiere pieghi la maestà divina così
che, ricordandosi della misericordia e della bontà, liberi quella
città ed i cittadini da un contagio così virulento e mortifero e
da un così grave flagello della giustizia divina. Le preghiere e
l’infelice condizione dei supplici spinsero Lorenzo ad
acconsentire.” 36Lorenzo s’intenerì per la commossa e
insistente richiesta e, mosso a compassione, andò nella loro
città.
Giunto in centro si atterrì nel vedere morti dappertutto,
bambini allattare dal seno di madri morte, cani arrabbiati
mangiare carni umane.
Seguendo l’esempio di Giona a Ninive, invitò gli abitanti,
uomini e donne, grandi e piccoli e persino gli animali a
digiunare e a vestire il sacco. Tutti obbedirono, si

                                                                                                                       
35
In quegli anni a Reggio non vi era il Vescovo, ma dipendeva da
Messina.
36
Pirrotti Shara, Il monastro di S. Filippo di Fragalà, Messina 2008,
54  
 
confessarono e dopo tre giorni di digiuno, astinenza e
processioni, il Signore, per intercessione di Lorenzo, esaudì le
loro preghiere e la città fu salva.
Quella notte Lorenzo ebbe una visione: Sul monte vicino alla
città vi erano tre Chiese diroccate, distrutte dagli infedeli e
sepolte dalle macchie e una voce lo invitava a riedificarle;
Lorenzo interpretò questo sogno come volontà di Dio e il
giorno dopo, durante l’omelia, si rivolse al popolo con
accalorate parole mettendo in evidenza che il Signore voleva,
per ringraziamento dello scampato pericolo, che si
riedificassero le Chiese, dedicandole alla SS. Trinità. Tutti
furono concordi con lui e subito partirono verso il luogo
indicato.
Giunti sulla cima del monte, in mezzo alle macchie, trovarono
una Chiesa dedicata all’Eterno Padre con ancora alcune
pitture. Non lontano ne videro una seconda dedicata al Figlio
ed in una macchia intravidero un altro tempio dedicato allo
Spirito Santo.
Grande fu la meraviglia e la gioia del popolo che subito, con
l’aiuto del Duca e dei nobili, riedificò le tre Chiese della SS.
Trinità e che in poco tempo diventarono meta di
pellegrinaggi.
Comprendere oggi dove fossero queste tre chiese diventa
difficile, ma possiamo fare delle supposizioni.
Queste tre chiese erano sul colle «che per la sua vicinanza,
sovrasta alla città».
Sopra la città vi sono quattro colli oggi detti di Pentimele,
Eremo, Condera e Modena; quest’ultimo ospita un celebre
santuario mariano di presunte origini bizantine; ma il secondo
ne ospita uno ancora più celebre, quello della Madonna della
Consolazione, Protettrice di Reggio, fondato nel secolo XVI,
ma probabilmente sui resti di un precedente luogo di culto;
pertanto, in mancanza di altre notizie, occorre ipotizzare che

55  
 
Modena o, più probabilmente, l’attuale Eremo, sia il colle
indicato da Lorenzo.37
Un’altra ipotesi, riferitami da Carlo Longo, è quella che fa
riferimento alla chiesa del SS. Salvatore38.
                                                                                                                       
37
Minuto Domenico, Profili di Santi nella Calabria bizantina,Reggio
Calabria, Pontari, 2002, p. 102.
38
Longo Carlo, La Chiesa di Pepe…, Reggio Calabria 1980: L'originario
luogo di culto fu edificato forse nel corso del X secolo dedicato al
Santissimo Salvatore; unico ricordo ne è la "via del Salvatore" che si
congiunge alla Chiesa; fu la parrocchia della periferia reggina come
Chiesa dittereale, cioè Chiesa succursale della Cattolica dei Greci, allora
ubicata in Piazza Italia ed unica parrocchia del centro cittadino. L'esistenza
della Chiesa del Salvatore è già attestata da documenti della metà del XI
secolo e probabilmente è da identificare con una delle tre chiese poste
sulla collina che "per la sua vicinanza sovrasta la città" di cui si legge nella
vita di San Lorenzo di Frazzanò, che fu a Reggio intorno al 1158.
Dell'originale edificio bizantino rimane il pregevole parato murario molte
volte rimaneggiato, emergente dal suolo per circa due metri, decorato con
archi e nicchie, che mostra ancora dei graffiti: un nome in greco, forse
firma di un muratore, disegni e simboli apotropaici.
Col terremoto del 1783 crollò la facciata, qualche metro più avanzata
rispetto all’attuale, e la Chiesa rimase per alcuni decenni abbandonata,
finché, alla metà del XIX secolo il terreno dove essa sorgeva con tutti i
ruderi fu acquistato da un pasticcere reggino, Paolo Albanese, chiamato
"Paulu Pipi", che dette il suo nome alla Chiesa, a Krèsiê Pipi. Egli infatti
restaurò i ruderi esistenti, ne rialzò le murature di circa tre metri, rifece la
facciata ed il campanile, e dedicò il luogo di culto al suo santo patrono,
chiamandolo San Paolo e dotandolo di una statua del santo che ancora
oggi si conserva.
Il terremoto del 1908 fece ancora una volta crollare la facciata ed il
campanile e sulle strutture edilizie rimaste intatte una squadra di soccorso
americana costruì una Chiesa baraccata, ricoperta di lamiere, "a krèsiê
landa", che servì ancora una volta come parrocchia col titolo di San Paolo
per i vasti insediamenti baraccati sorti sulle colline orientali della città. Nel
frattempo fu costruito un nuovo edificio cultuale per quella vasta
parrocchia, l’attuale Chiesa di San Paolo alla Rotonda, e nel 1935 essa si
trasferì in quella nuova sede.
La Chiesa del Trabocchetto perdette il titolo voluto da Paulu Pipi e fu
denominata l'Immacolata Madre dei Poveri, dato che vi furono trasferiti gli
arredi e le devozioni che avevano sede in due chiesette delle vicinanze,
distrutte anch'esse dal terremoto, quella dell'Immacolata, dalla quale
56  
 
Così mi scrive: “Allora, quando il centro abitato si estendeva
da porta Mesa a nord - pressappoco presso l'attuale chiesa di
San Giorgio - a porta San Filippo sul Capolinace a sud -
attuale piazza Carmine -, dal mare a ovest fino al castello e
all'attuale tracciato di via Possidonea a est, l'unica collina che
sovrastava la città era la collina del Trabocchetto o del
Salvatore, dove effettivamente si trovavano fino alla fine del
secolo XVI tre chiese: Santa Maria della Candelora alle
Fornaci, Santa Lucia e, infine, San Salvatore. Solo
quest'ultima, dopo l'abbandono della zona divenuta lazzaretto
durante la peste del 1576-77, fu restaurata e nelle murature di
essa si leggono tutti i segni del palinsesto che vanno
dall'epoca bizantina - uso di mattoni romani e bizantini,
riempiegati nel sec. X? - al secolo XII-XIII - muratura a
cloisonnée - al restauro tardo cinquecentesco con sostituzione
delle tre absidi, attestate nella documentazione, con l'unica
ampia abside semicircolare ancora esistente. Le murature
tardo medievali possono essere collegate col restauro
effettuato dal santo. Un'ipotesi plausibile in mancanza di
alternative.
Mons. Annibale D'Afflitto nella sua seconda Visita Pastorale
a Reggio nel 1597, scrive che nella contrada chiamata Ruda,
distante dalla città circa un miglio, vi erano tre chiese: S.
Caterina, SS. Salvatore e S. Spirito. Parrebbero essere queste

                                                                                                                                                                                                                                                     
proviene la statua ottocentesca della Madonna, e quella della Madonna dei
Poveri, dalla quale giunse l'omonimo quadro settecentesco.
Negli anni 1979 - 1980 per iniziativa di fr. Carlo Longo, fu demolita la
fatiscente baracca e con il lavoro e il sostegno economico degli abitanti del
rione, fu ristrutturato tutto l'edificio, salvando tutte le strutture murarie
esistenti ed integrando solamente le parti mancanti. La Chiesa così
restaurata fu consacrata dall'Arcivescovo Aurelio Sorrentino il 30
novembre 1980.
La Chiesa, unico cimelio bizantino esistente quasi integro nella città di
Reggio Calabria, il 22 marzo 2001 fu visitata da S.S. Bartolomeo I,
patriarca ecumenico di Costantinopoli, durante il suo pellegrinaggio ai
luoghi sacri della grecità di Calabria e Sicilia.
57  
 
le tre chiese anche se quella di S. Caterina fosse chiamata
così.39
Ritorniamo alla storia della vita di S. Lorenzo: con queste
opere Lorenzo suscitava la rabbia del demonio che sempre

                                                                                                                       
39
ACTA ECCLESIAE RHEGINENSIS 1, ANNIBALE D'AFFLITTO,
SECONDA VISITA PASTORALE (1597-1600), TOMOII - La città, A
cura di Antonino Denisi, Laruffa Editore, 1983.
338, VlSITATlO ECCLESIAE S. CATHERINAE DE RUDA
Die 17 mensis ianuarii MDC
Supradicta die, prosequendo visitationem, accessit S.R.D. ad hanc
ecclesiam quae est posita sub moenia civitatis, in contrata vulgo
nuncupata Ruda, et distat a civitate ad medium miliare. Et ipsius ecclesiae
curam gerit magister Marcellus Valentino, qui colligit eleemosinas et
celebrare facit in ea omnibus diebus dominicis et foestivis et quolibet die
Lunae. Et ad praesens fuit inventus (1389 v) cappellanus rev. pr. Claudius
Garufi, cum deputatione salarii ducatorum decem et septem.
Est supradicta ecclesia longitudinis palmorum 20 et latitudinis 13. Extat in
ea altare cum imagine gloriosae virginis s. Catherinae lignea, ex scultura
in quodam tabernaculo ligneo depicto et fuit aedificata a nonnullis devotis
ex eleemosinis. Caret reditibus et patrono.
VISlTATlO ECCLESIAE S. SALVATORIS SEU LO PILERI
Visitationem prosequendo, S.R.D. accessit ad ecclesiam praedictam s.
Mariae de Pileri, quae est posita in contrata Ruda, et fuit edificata pro
vicinis devotis comoditate audiendi missam. Et non fuerunt inventi
magistri, sed eius curam gerit Iohannes Bernardus Busurgi, qui detinet
cappellanum et providet de necessariis.
Missas celebrat ad praesens ven. pr. Antoninus Zangari, cum deputatione
salarii ducatorum 26.
Praesens ecclesia distat a civitate ad miliare; est longitudinis palmorum 40
et latitudinis 22. Extat in ea unum altare cum icona depicta gloriosissimae
Virginis de Pilaro, in quo celebratur.
VlSITATlO ECCLESIAE S. SPIRITUS
Eadem die, prosequendo S .R.D. visitationem, accessit ad supradictam
ecclesiam s. Spiritus, positam in contrata Ruda; et distat a civitate ad
miliare cum dimidio. Fuit constructa a convicinis devotis, a quibus anno
quolibet eliguntur duo magistri, in solemnitate Pentecostis, qui curam
gerunt ecclesiae et eligunt cappellanum amovibilem, cum deputatione
salarii ducatorum 31. Et celebratur in ea quotidie. Et fuerunt inventi
magistri Ioseph Cumbo et Iohannes Bernardus Morisciano et cappellanus
ven. pr. Philippus Malavendi.
58  
 
cercava di distruggere tutto ciò che egli costruiva, ma lui con
la sua umiltà, facendosi il segno della Croce, riusciva a
vincere Satana e a schiacciare ogni tentazione.
Lorenzo, dopo aver visto riedificati i tre Templi dedicati alla
SS. Trinità, convincendosi che la sua presenza non era più
necessaria, decise di tornare nel convento di Santa Domenica.
“Dopo aver compiuto ciò, Lorenzo, con buona pace dei
reggini, preparò il ritorno alla chiesa di Santa Domenica.
Mentre si trovava ancora a Reggio, si recò da lui un vecchio
venerando che prima gli si inchinò davanti e poi cominciò a
dirgli: «Padre santo, questa notte mi è apparso il Signore Gesù
Cristo che sedeva con maestà regale su di un trono
elevatissimo, stellare, attorniato da mille migliaia di servitori
e un milione di creature celesti gli stavano accanto. Egli,
rivolto ad alcuni di quegli spiriti, disse: ˝Convocate presso di
noi Lorenzo˝.»
Essi, in tanti, corsero volando da te e dopo affettuosissimi
baci ti manifestavano la notizia. Poi ti prendevano e ti
ponevano davanti a Gesù Cristo Signor nostro. Egli ti
abbracciò con grande gioia nel volto e disse: ˝Lorenzo mio
carissimo, le tue preghiere sono state da me esaudite.
Pertanto, a causa tua e dei tuoi meriti gli ossessi dagli spiriti
più orribili ne verranno liberati con grandissima facilità, gli
ammalati e gli infermi saranno guariti, insomma nessuno sarà
oppresso da una così grande vessazione della malattia o del
diavolo che le tue intercessioni non lo possano liberare˝”.
Quel vecchio avendo avuto in sogno questa visione, la narrò a
Lorenzo. Ed egli, che si trovava davanti ad una grande
moltitudine di persone, alzò devotamente gli occhi al cielo e
disse: “Figlioli dilettissimi, vi invito a stare lieti e ad affidarvi
con speranza salda e sicura alla clemenza ed alla bontà divina.
Nessun tormento e nessun genere di notevole malattia si
diffonderà in questa città; infatti Dio accompagna con amore
perfetto i buoni ed i retti di cuore”.

59  
 
La folla accolse queste parole con gratitudine e
immediatamente tutti si prostrarono a terra, sollevarono il
volto verso l’alto e resero grazie e lodi prima a Dio e poi a
Lorenzo.
E’ per queste parole che i cittadini di Reggio ritengono di
essere sempre protetti da Dio per intercessione della Madonna
della Consolazione.
Lorenzo si incammina verso Santa Domenica in Gallico e qui
giunto continuò a vivere con gli altri confratelli predicando il
Vangelo.
Alcuni mesi dopo andò a trovarlo un austero eremita, che
viveva da molti anni sulle vette dell’Appennino; egli teneva in
mano un bastone che recava in cima una croce. “Ti saluto –
disse a Lorenzo – o Padre Santo e Venerabile”. Egli recava
l’invito del suo Abate, perché accettasse di andare a celebrare
la messa di Pasqua nel loro eremo.
Il Santo, accogliendo l’invito si recò all’eremo impiegando tre
giorni, uno per andare, uno per stare con loro ed uno per
tornare. Per giungervi, dovette salire fin sulla cima
d’Aspromonte (chiamato «monte asperrimo») e scendere
nell’altro versante.
«Infatti, superata la cima del monte, incontrò alcuni asceti
dediti alle pratiche divine; li salutò tutti con grande umiltà e li
abbracciò. Poi chiese da quanto tempo si fossero sottoposti
alla penitenza in quel monte asperrimo ed in una solitudine
così completa. Gli risposero che erano lì da otto anni, e che
erano giunti dall’Etna»40.
Questo episodio è molto importante, non soltanto perché ci
indica un perfetto scambio ascetico fra le due sponde dello
Stretto, rappresentate dall’Etna con San Filippo di Agira e
dall’Aspromonte con tutti i suoi Monasteri, ma soprattutto
perché ci informa sulle origini del più celebre santuario della
Calabria meridionale e della Sicilia orientale, Santa Maria di

                                                                                                                       
40
Pirrotti Shara, Vita di un eroe medievale, Messina 2003.
60  
 
Polsi41 (le indicazioni del percorso montano del Santo lo
designano senza equivoci42), a cui tradizionalmente viene
                                                                                                                       
41 Il Santuario della Madonna di Polsi (noto anche come Santuario della
Madonna della Montagna, in dialetto reggino A Maronna ra muntagna) è
un santuario mariano situato presso la frazione di Polsi del comune di San
Luca, in provincia di Reggio Calabria. È circoscritta fra i monti di una
vallata nel cuore dell'Aspromonte a 865 m s.l.m. ed è attraversata dalla
fiumara del Bonamico che, attraversando anche il paese di San Luca,
conclude il suo corso nelle acque del mar Ionio. Nel periodo che va da
primavera ad ottobre, la zona intorno all'area sacra si anima con una
consistente presenza di pellegrini, provenienti da tutta la provincia di
Reggio Calabria e dalla Sicilia. Sulla Madonna di Polsi si raccontano molte
leggende. Una di queste vuole che nel IX secolo alcuni monaci bizantini, in
fuga dalla vicina Sicilia a causa delle incursioni saracene, si spinsero nel
cuore dell'Aspromonte, ai piedi di Montalto, dove fondarono una piccola
colonia ed una Chiesa A causa dell’estremo disagio procurato dalla
lontananza con i più vicini villaggi, il sito fu però poi abbandonato.
Un'altra leggenda, diffusissima, racconta che nell'XI secolo un pastore di
nome Italiano, oriundo dalla cittadina di Santa Cristina d’Aspramonte,
intento a cercare un toro smarrito in località Nardello, scorse l'animale che
dissotterrava una croce di ferro; gli apparve quindi la Beata Vergine col
Bambino che disse: Voglio che si erga una Chiesa per diffondere le mie
grazie sopra tutti i devoti che qui verranno a visitarmi.
Tutt'oggi all'interno del santuario vengono conservate la statua della
Madonna della Montagna di Polsi, scultura in tufo di notevole bellezza e
lucentezza, la Santa Croce e vari cimeli tra i quali la bara del principino di
Roccella.
42
“Il brano della vita di San Lorenzo di Frazzanò ci indica, credo, l’origine
del Monastero di Polsi, che così risulterebbe fondato nel secolo XII da
eremiti provenienti dall’Etna. Infatti, per arrivarci da Gallico, seguendo
cioè la strada più breve e più nota, bisogna superare la cima più alta della
montagna (Montalto), così come viene detto nella vita di S. Lorenzo, che
colloca anche il luogo del Monastero in asperrimo monte, aggettivo che
sembra riecheggiare il nome di Montalto, denominato in età medievale
come Serro d’Aspromonte.” (Leanza Sandro, Calabria Cristiana, I. dalle
origini al Medio Evo, Rubbettino, Soveria, 1999, p. 345).
“L’origine del Monastero di Polsi nella prima metà del secolo XII, quale
ritengo indicata in un brano della vita di S. Lorenzo di Frazzanò, presenta
un’altra via per varcare l’Aspromonte e giungere nel territorio di Pietro
Cappa, più vicina a Reggio e allo stretto, quella della vallata del Gallico; il
Santo, mentre dimorava nel Monastero di S. Ciriaca di Gallico, detto
61  
 
attribuita la data di fondazione nell’anno 1144, del tutto
congruente con questo racconto.
Pertanto, il pellegrinaggio di Lorenzo a Polsi può essere
considerato il più antico esempio di una pia pratica che da
secoli coinvolge annualmente una immensa folla di Calabresi
e di Siciliani43.
L’incontro fra Lorenzo e gli eremiti di Polsi sarà avvenuto
attorno all’anno 1152, dieci anni prima della morte terrena del
Santo. Il bastone crucifero è tradizionalmente usato dagli
asceti italo greci così come riporta l’iconografia di San
Bartolomeo di Simeri.
E tuttavia, dato che l’appellativo del Monastero di Polsi allude
assai probabilmente all’Esaltazione della Veneranda Croce, si
potrebbe supporre che l’eremita portasse con sé l’insegna
della sua dimora lavritica.
Dopo aver celebrato la Pasqua nel Monastero di Polsi, ritornò
a Santa Domenica dove rimase per un breve periodo, poi,
salutati i monaci, fece ritorno in Sicilia. Sbarcato nei pressi di
Messina, attraverso le montagne, si incamminò verso Troina
per visitare i monaci del Monastero di Santa Domenica, dei
quali conservava un bellissimo ricordo in quanto essi lo
avevano aiutato nella sua fanciullezza a crescere in virtù e
santità.
Il suo cammino durò tre giorni durante i quali camminò per i
boschi, riposandosi alcune ore, cibandosi di erbe selvatiche e
pregando. Il terzo giorno arrivò a Troina e, quando entrò nel
                                                                                                                                                                                                                                                     
significativamente “della Strada”, riceve la visita di un eremita, che scende
dalla montagna lungo la strada e lo invita a celebrare la Pasqua nell’eremo.
Per raggiungerlo, il Santo deve varcare il giogo del monte, che è detto
asperrimo e trova una “lavra” abitata da solitari che dichiarono di esservi
giunti otto anni prima dall’Etna, cioè dal territorio di S. Filippo di Argirò.”
(Minuto Domenico, sulla frequentazione del territorio aspro montano di
Pietro Cappa in età altomedievale, in BOLLETTINO DELLA BADIA
GRECA DI GROTTAFERRATA, vol. LIII, 1999, Roma 2000)
43
Minuto Domenico, Profili di Santi nella Calabria Bizantina, Reggio
Calabria, Tip. Pontari, 2002
62  
 
Monastero di Santa Domenica, i monaci trasecolarono per la
gioia di vedere il loro piccolo fanciullo diventato adulto e che
adesso tutti chiamavano Santo.
Lorenzo si prostrò a terra davanti all’Abate chiedendo la sua
Benedizione.
Non appena l’Abate lo vide, smunto in viso e dimagrito, gli
ordinò di mangiare per tre giorni le pietanze dei monaci e di
dormire sul pagliericcio.
Il Santo obbedì convinto che attraverso la parola del Superiore
era il Signore che gli chiedeva questo.
“Alcuni giorni dopo, fece ritorno nella sua patria. Arrivato al
Monastero di Fragalà salutò l’Abate e i monaci rimanendo
con loro alcuni giorni partecipando alla preghiera in comune e
raccontando le grandi cose che il Signore aveva fatto per
mezzo di lui nella terra di Calabria. Lorenzo aveva un ultimo
grande desiderio: costruire nella sua Patria una chiesa
dedicata alla SS. Trinità, con il titolo di Tutti i Santi. Sceso in
paese, salutò i Frazzanesi ed espose loro il suo desiderio. Il
popolo ne fu molto contento e tutti decisero di costruire
questa chiesa che ancora oggi esiste. 44
La fama della santità e del nome del beato Lorenzo si
diffondeva in tutta la Sicilia. Da diverse parti accorrevano a
lui demoniaci, invalidi, ammalati che egli rimandava a casa
piene di entusiasmo per l’ottenuta guarigione
Infatti egli con il segno della croce e con le sue fervide
preghiere ristabiliva di nuovo nell’integrità fisica chi ne era
privo, chi dell’udito, chi anche della possibilità di camminare,
avendone rivitalizzato i sensi e le membra. Anche gli spiriti
maligni venivano rapidissimamente scacciati via dai corpi
umani. Pertanto si potrebbe bene adoperare per il beato
Lorenzo quel che Gesù Cristo disse ai discepoli di Giovanni
                                                                                                                       
44
Nel 1970, per volere dell’Arc. Don Giuseppe Pantaleo, fu demolita e
riedificata con il contributo della popolazione. Il 9 agosto 1973, fu
benedetta da Mons. G. Pullano Vescovo di Patti. All’interno si ammira un
dipinto raffigurante il Santo morente di Luigi Maniscalco.
63  
 
Battista: “Riferite a Giovanni ciò che avete udito ed avete
visto: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono
mondati, i sordi odono, i morti risorgono ed ai poveri è
annunziata la buona novella”. “E la santità e la virtù di
Lorenzo non soltanto sanava i corpi, ma giovava anche alle
anime di coloro dal cui corpo aveva espulso le malattie. Infatti
si convertivano a Dio e facevano penitenza e la loro vita
cambiava completamente: si astenevano dai vizi e dalla turpe
abitudine di parlar male degli altri. Ed essi facevano ciò molto
volentieri, quando capivano e dentro di sé sperimentavano
manifestamente che erano da lui scrutati i pensieri interni
dell’animo e i sentimenti perversi e maligni; e che spesso
nelle prediche in pubblico venivano rimproverati, a molti
manifestava i misfatti nascosti. Ma in privato, e in segreto, se
talvolta era necessario ammonire qualcuno, lo faceva proprio
con mirabile carità, pazienza e umiltà d’animo. E certe volte
versava tante lacrime finché quello a cui egli rivolgeva
l’ammonizione si ravvedeva del suo errore e ritornava sul
cammino della virtù.
Le sue parole miravano a questo: a condurre verso una vera
contrizione, alla considerazione della somma bontà e
misericordia di Dio, alla contemplazione della dolorosissima
passione di Gesù Cristo e ad immergersi nella profonda
meditazione della morte di nostro Signore e del preziosissimo
sangue profuso sul legno della croce per la nostra
redenzione.”45

                                                                                                                       
45
Traduzione di Domenico Minuto dal testo latino pubblicato da Ottavio
Gaetani, Vitae Sanctorum Siculorum, apud Cirillos, Palermo 1657, tomo
II, pp 172-176
64  
 
RITORNA SUGLI APPENNINI
Lorenzo rimase nel Monastero di Fragalà fino al giorno in cui
il Signore lo chiamò a sé, qui visse gli ultimi mesi della sua
vita, ma il suo desiderio di annunziare il Cristo lo spinse,
anche se solo per poco tempo, a ritornare nella Calabria.
Infatti nella quaresima del 1162 giunse a Fragalà un asceta
basiliano proveniente dalla Calabria, dal cenobio di Santa
Domenica, dove Lorenzo aveva dimorato per diversi anni;
questi lo invitò a celebrare la Pasqua nel loro Monastero dove
tutti lo ricordavano con molto affetto. Lorenzo, nonostante il
presagio ricevuto, legge in questo invito un'altra prova
d'amore richiestagli da Gesù, e, senza indugi, si incammina
con lui verso la lontana meta. Durante il cammino molte
persone si avvicinavano a lui per ascoltarlo e per chiedere
grazie.
Giunto a Santa Domenica, rimase in questa comunità aiutando
i monaci a prepararsi con molta devozione e con la
predicazione del Vangelo alla Pasqua ormai vicina. Prima
della Pasqua giunse nel Monastero di Santa Domenica un
eremita basiliano, il quale invitò Lorenzo a celebrare la S.
Messa il giorno di Pasqua agli eremiti che si trovavano sulla
montagna.
Lorenzo accettò volentieri; rimase con gli eremiti alcuni
giorni, visitando tutti quelli che vivevano sulle pendici del
monte e celebrando la S. Messa con loro il giorno di Pasqua.
Al ritorno, ripassò a salutare per l'ultima volta i suoi fedeli di
Gallico e i monaci di Santa Domenica.
Rientrato definitivamente a Frazzanò, nell'estate del 1162,
Lorenzo ebbe appena il tempo di veder conclusa la fabbrica
della nuova chiesa di Tutti i Santi, da lui desiderata "ad
honore della Santissima Trinità".

65  
 
ULTIMI MESI A FRAGALÀ
Dopo alcuni giorni di riposo, Lorenzo per rafforzare la
profonda amicizia e l’immenso affetto che aveva per Nicolò
Politi, un giorno di sabato, andò a trovarlo di nuovo al
Rogato.
Appena si videro, i due non si riconobbero in quanto, nel
corso degli anni, la vita di solitudine, le fatiche e le
mortificazioni corporali avevano invecchiato il loro aspetto.
Appena Lorenzo lo riconobbe, gli corse incontro, lo abbracciò
con affetto e gli disse: “Così ti rivedo caro fratello in Cristo?
Ti trovo così invecchiato amato mio Nicolò.”
Nicolò all’udire le parole di Lorenzo, lo riconobbe e con
grande affetto lo abbracciò.
Insieme si recarono nella chiesa e qui rimasero per molto
tempo in preghiera. Usciti incominciarono a raccontarsi le
grandi cose che il Signore aveva fatto in loro e il cammino di
perfezione che avevano percorso.
Lorenzo celebrò la Santa Messa alla quale assistette anche
Nicolò; in quei momenti si sentiva la presenza di Dio che i
due Santi trasmettevano.
Al termine della giornata Lorenzo gli espresse il desiderio di
vedere la caverna dove faceva vita eremitica; questo era un
luogo segreto a tutti, ma Nicolò fu felice di mostrarla a
Lorenzo, il quale rimase attonito nel vederla: somigliava ad
una tana per animali selvatici e in un angolo si trovavano la
catena e il flagello con cui Nicolò si mortificava. Lorenzo
restò ammirato e rivolse all’amico parole di elogio e di
commozione.
Mentre erano in conversazione spirituale si sentì un gran
battito di ali; era un’aquila che portava un pane la cui
fragranza riempì tutta la caverna. Questo uccello, per virtù
divina portava ogni giorno a Nicolò mezza pagnotta ma quel
giorno ne portò una intera per ambedue. Lorenzo la benedisse
e insieme la mangiarono.

66  
 
Trascorsero la notte in preghiera e penitenza e all’alba,
essendo giunto per Lorenzo il tempo di rientrare a Fragalà, si
abbracciarono teneramente e Lorenzo svelò a Nicola un
segreto: “Nicolò, non ti vedrò più su questa terra perché Dio
ha deciso la mia morte entro quest’anno.” Nicolò si
rammaricò a questa notizia e abbracciandolo di nuovo con più
tenerezza gli disse: “Quando arriverai nella Gerusalemme
celeste ricordati di me e prega il Buon Dio perché non mi
abbandoni e che io sia rassegnato a compiere la sua volontà
anche se bramo con ansia l’ora in cui andrò nel suo regno.”.
Al mattino del dì seguente si scambiarono l'abbraccio
dell'addio, Lorenzo benedì Nicola e gli promise ancora un
segno di saluto su questa terra. Nicolò non comprese subito,
ma il 30 dicembre, domenica, allorché alla sera la sua grotta
fu inondata di luce soave e da un profumo di rose, capì che in
quel momento l'Anima di Lorenzo saliva al Cielo e gli
mandava l'ultimo saluto. Lorenzo s’incamminò per lo stretto
sentiero, ritornò al Rogato, salutò Padre Cusmano, rientrò a
Fragalà e, dopo aver baciato la mano all’Abate, chiese ed
ottenne il permesso di poter dimorare nella Chiesetta di Tutti i
Santi, dove vi si stabilì. Qui celebrava la Santa Messa,
ascoltava le confessioni, predicava la Parola di Dio e faceva
molti miracoli. Il fisico però incominciava a risentire delle
continue fatiche ed asprezze a cui era sottoposto, tanto che
camminava a stento; ma lui era contento lo stesso e
glorificava Dio vedendo marcire il suo corpo.
Ogni giorno che passava, si accorgeva che ormai l’incontro
col suo Signore era vicino e nel predicare parlava sempre
della Passione di Gesù.
La fama della sua santità si spargeva per tutta la Sicilia e
molte persone accorrevano a lui per ascoltarlo e per essere
liberati dai mali fisici e morali.46

                                                                                                                       
46
Narbone Alessio, Istoria della Letteratura Siciliana, Tomo VIII, Palermo
1858, p. 21
67  
 
MORTE DI LORENZO
Si avvicinava dunque il tempo predestinato da Dio per il suo
transito da questo mondo all’altra vita. Le forze gli venivano
meno, non riusciva più a camminare e non poteva nemmeno
andare in chiesa per celebrare la S. Messa.
Tre giorni prima della sua morte Lorenzo, a quelli che lo
ascoltavano nella sua cella, la predisse di nuovo con molte
lacrime di contrizione e con molti segni esterni di penitenza.
Supplicava tutti i presenti di aiutarlo con la preghiera nella
sua agonia.
Egli non aveva cose terrene da lasciare se non il suo corpo
alla terra e la sua anima a Dio.
Nel primo dei tre giorni che lo separavano dall’incontro col
suo Signore, egli si licenziò da tutti. Le persone andavano a
visitarlo e lui con molta umiltà chiedeva loro di lasciarlo solo
perché doveva prepararsi al grande incontro.
Il secondo giorno si fece portare nell’attigua Chiesa di Tutti i
Santi continuando ad esortare tutti all’osservanza dei divini
precetti e benedicendoli con fiumi di lacrime.
Ascoltò la S. Messa e si comunicò per Viatico. Riportato nella
cella, che era attaccata alla Chiesa, si pose inginocchiato
davanti al SS. Crocifisso, ma le forze non lo aiutarono e cadde
a terra.
Rimanendo in questa posizione si fece leggere il brano del
Vangelo di S. Giovanni che parla della Passione di Gesù,
mentre con un sasso si batteva il petto, facendo uscire da esso
un rivolo di sangue, per unirlo a quello di Gesù sparso per noi.
“L’ultimo dì, quando il corpo malato
dava a lui un breve riposo
volle il perfido satana
tentarlo sotto mentite spoglie.
Una donna di bellezza sovrana
come fata benefica da fiaba
con dolce sorriso si presenta
e fa offerta di assistere il santo infermo.
68  
 
Padre Lorenzo, sorpreso, ma non smarrito
lentamente si leva;
preso e serrato nel pugno
il suo flagello di ferro
‘Donna vai retro!
Se angelo infernale e tristo
tu non sei, prostrati e adora
l’immagine di Gesù Crocifisso.”
Repente la donna fuggì.
Santo Lorenzo esulta per la vittoria
s’inginocchia e prega…”.47
Giunto finalmente all’ultima ora, chiese nuovamente a tutti
perdono e, giunte le braccia, con gli occhi rivolti al cielo e col
volto bagnato di lacrime, si raccomandò a Dio esclamando:
”In manus tuas Domine, commendo spiritum meum.”
In quell’istante il Crocifisso gli chinò il capo in segno
d’amore (come faceva Lorenzo da bambino quando passava
davanti all’Immagine del Redentore) come volesse dirgli che
lo aspettava in Paradiso.
Non la morte uccise Lorenzo, ma un bacio, un saluto e
l’amore del SS. Crocifisso che con grande dolcezza gli rapì
l’anima.
Spirò all’ora del vespro, alle ore 22, il giorno 30 dicembre del
1162, all’età di 42 anni.
Gli angeli accompagnarono la sua anima in cielo con grande
allegrezza e la campana della Chiesa di Tutti i Santi cominciò
a suonare a festa, facendo sentire la sua voce per tutte le
contrade intorno.
Nello stesso istante il Signore esaudì il desiderio di Nicolò
Politi il quale avrebbe voluto assistere all’ascensione di
Lorenzo in cielo. Così, mentre meditava la Passione di Cristo:
“Il dì segnato gli si fece presente una celeste melodia di Spiriti
beati ed alzando il capo per vedere quel dolce ed armonioso

                                                                                                                       
47
Fragale G., S. Lorenzo da Frazzanò, Frazzanò, 1960, p. 15
69  
 
concerto di Paradiso osserva l’anima del suo Amico che
trionfante veniva portata dagli angeli in cielo.”48
Nicolò gioì nel vedere Lorenzo nella gloria del Signore e gli
affidò la sua anima.
Non appena i frazzanesi sentirono il suono della campana che
annunziava la sua morte, in massa accorsero nella sua cella, si
prostrarono in lacrime davanti al suo corpo privo di vita,
baciandogli mani e piedi ed acclamandolo Beato e Santo.
Vegliarono il corpo per alcuni giorni, dopo di che si dovette
decidere della sua sepoltura: i Frazzanesi lo volevano
seppellire nella Chiesa del paese, i monaci invece nella Chiesa
del Monastero.
La decisione la prese Lorenzo il quale, quella notte, apparve
in sogno al figlio del Governatore del paese manifestandogli
il suo desiderio: un Monaco Basiliano avrebbe curato la sua
Sepoltura nella Chiesa di Tutti i Santi e, trascorso il periodo
dell’essicazione del corpo, sarebbe stata riaperta la tomba e
sarebbero state divise le sue spoglie mortali; ai monaci il
sacro capo, ai frazzanesi il corpo.
Il giorno dopo il giovane riferì ai monaci e ai frazzanesi il
sogno, secondo le sue intenzioni, il Santo Corpo del Beato
Lorenzo, con molto onore e grande venerazione ed alla
presenza di una innumerevole folla, fu seppellito nella sua
Chiesa di Tutti i Santi.
Da quella sepoltura, dopo pochi giorni, si sentì uscire un
fragrante e soave odore e il Signore volle riconoscere la
santità di Lorenzo facendo scaturire accanto alla chiesa di
Tutti i Santi un’acqua limpidissima e chi ne beveva, veniva
liberato da qualsiasi malattia, specie dalla peste. Quest’acqua
scorre ancora e viene chiamata “Acqua di S. Lorenzo”
Dopo otto mesi, esattamente il 9 agosto 1163 con grande
devozione i monaci, alla presenza delle autorità e dei fedeli,
riesumarono il corpo del Santo e, secondo la sua volontà,
divisero le ossa; con sontuosa processione, accompagnato dai
                                                                                                                       
48
Pirrotti Shara, Vita di un eroe medievale, Messina 2003, P. 171
70  
 
monaci, dai sacerdoti e dal popolo, il teschio fu portato nel
Monastero di Fragalà e il resto delle ossa nella Chiesa Madre
di Frazzanò.
L’indomani, 10 agosto, fu celebrata una festa solenne durante
la quale furono sistemate scrupolosamente le sacre reliquie in
uno scrigno.
Vorrei concludere con una frase dell'Aprile citato: "Lasciò
ereditaria la virtù dei suoi prodigi nelle sue Reliquie, che
spiravano soavissimo odore."
Questo è Lorenzo di un’umile terra di Sicilia, Frazzanò, che
vive glorioso in cielo e viene venerato come Santo sulla terra.

71  
 
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