Bronzi Votivi Etruschi A Figura Animale
Bronzi Votivi Etruschi A Figura Animale
DOTTORATO DI RICERCA IN
Scienze e Tecnologie per l’Archeologia e i Beni Culturali
CICLO XXIII
Dottorando Tutore
Dott.ssa Arbeid Barbara Prof. Bruni Stefano
Anni 2008/2010
Introduzione p. 7
Apparati p. 323
Bibliografia p. 325
Fonti letterarie antiche p. 371
Referenze fotografiche p. 373
Tavole I - XXXIII
Les images votives sont organiques, vulgaires, aussi désagréables
à contempler qu’elles sont abondantes et diffuses.
Elles traversent le temps.
Elles sont communes à des civilisations fort disparates.
Elles ignorent le clivage du paganisme et du christianisme.
En réalité, cette diffusion même constitue leur mystère et leur singularité épistémologique:
objets rebattus pour l’ethnologue,
les images votives semblent tout simplement inexistantes pour l’historien de l’art.
Leus médiocrité esthétique, leur caractère de poncif, de stéréotype,
les met à l’écart de toute ‘grande’ histoire du style.
Mais cette insignifiance forme écran, fomente un rebut de l’observation.
Il ne faut pas dire insignifiance, mais malaise et mise en crise:
malaise devant la vulgarité organique des images votives;
mise en crise du modèle esthétique de l’art, issu des académies et de la critique normative;
mise en crise du modèle positiviste de l’histoire comme chaîne narrative continue
et roman familial des ‘influences’.
Les formes votives sont capables à la fois de disparaître pendant des temps très longs
et de réapparaître quand on les attend le moins.
Elles sont capables, tout aussi bien, de résister à toute évolution perceptible.
Georges Didi-Huberman
Introduzione
1
Vd. Van Straten 1981, p. 67. Più di recente, limitatamente al mondo classico, si rimanda alle voci del
ThesCRA relative alla preghiera e alle offerte votive, cui si rimanda anche per la rassegna bibliografia relativa
alla letteratura precedente: ThesCRA, III, Prayer, Gr. [D. Jakov, E. Voutinas], pp. 105-141; ThesCRA, III, Prayer,
Etr. [A. Maggiani, S. Rafanelli], pp. 142-150; ThesCRA, III, Prayer, Rom. [E. Voutinas, V. Fyntikoglou], pp. 151-
179; ThesCRA, I, Dedications, Gr. [J. Boardman et alii], pp. 269-318, in particolare pp. 269-281; ThesCRA, I,
Dedications, Rom. [E. Simon et alii], pp. 327-450. Da ultimo, sul dono votivo in Etruria, come documentato
dalle dediche, vd. Maras 2009. Vastissima la bibliografia sulla religione etrusca, di cui non è possibile rendere
qui conto esaustivamente, e per cui si rimanda alla sintesi di Torelli 2000, con letteratura precedente.
2
Per una rassegna delle offerte documentate nel mondo greco vd. ThesCRA, I, Dedications, Gr. [J. Boardman et
alii], pp. 269-318, in particolare pp. 293-317. Per le diverse tipologie di offerte presenti nei santuari etruschi,
vd. la rassegna proposta in Santuari d’Etruria 1985, pp. 24-25, cui si aggiunga adesso ThesCRA, I, Dedications,
Rom. [E. Simon et alii], pp. 359-373, con letteratura. In particolare, sugli aspetti economici della dedica, vd.
Snodgrass 1989-1990.
7
È possibile cogliere i devoti e le devote etruschi nei diversi atteggiamenti della
preghiera e del dono alla divinità: così ce li mostrano numerose rappresentazioni nelle
ceramiche e nella piccola plastica fittile, ma soprattutto nei bronzetti votivi, che ci
restituiscono le vive immagini di oranti, con i palmi delle mani rivolti verso l’alto o verso il
basso a seconda che la preghiera sia rivolta agli dei celesti o a quelli inferi, e di offerenti che
porgono contenitori di cui ignoriamo ormai il contenuto, ma anche frutta, fiori, piccoli
animali.3 Se le loro preghiere sono destinate a restare per noi, salvo pochissime eccezioni, 4
mute, le diverse categorie delle offerte votive ci vengono restituite in gran numero dai
contesti sacri, dalle stipi votive, da fortuiti rinvenimenti isolati. Fra di esse, un posto
privilegiato nella storia degli studi hanno occupato da sempre i bronzetti, sia per il loro
valore intrinseco, sia per il loro non raro pregio artistico, sia per la possibilità che offrono di
gettare uno sguardo, per quanto fugace, nell’immaginario del sacro proprio del mondo
etrusco.
Fin dall’età romana, i tyrrhena sigilla hanno destato l’interesse dei collezionisti d’arte,
ed è proprio da questo interesse, forse rimasto vivo anche nel Medioevo ma sicuramente
rivitalizzato in seguito in epoca rinascimentale, che trarranno vita dapprima le speculazioni,
spesso al limite del fantastico, proprie della cultura antiquaria seicentesca e settecentesca, e
successivamente i diversi approcci teorici e scientifici caratteristici dell’Ottocento e del
Novecento.5
3
Una rassegna dei gesti di preghiera è in ThesCRA, III, Prayer, Etr. [A. Maggiani, S. Rafanelli], pp. 145-146. Sui
modi di rappresentazione dei devoti si veda Cristofani 1985, pp. 14-21, e passim, ad esempio, e senza pretesa di
esaustività: per gli oranti p. 270, n. 51; per gli offerenti p. 254, nn. 4.1 e 4.3, pp. 257-258, n. 5.2, p. 259, nn. 6.1
e 6.2, p. 265, n. 31, pp. 269-270, nn. 50 e 52-53, per cui vd. anche Cagianelli 1999, pp. 164-175, nn. 16-21. Per
gli offerenti con fiore vd. di recente Romualdi, Zaccagnino 2009, p. 55, con bibliografia. Gli offerenti con
piccoli animali portano essenzialmente porcellini tenuti per le zampe posteriori, in atto di offrirli alle divinità
ctonie (ad esempio l’offerente femminile da Veio, per cui Santangelo 1962, e l’offerente maschile della
collezione Falcioni, vd. Caliò 2000, p. 156, n. 267), serpenti (su cui vd. Richardson 1998, che interpreta gli
animali come anguille, e più di recente Cagianelli 1999, pp. 217-222, e Cateni 1999, pp. 28-29), volatili (Adam
1984, p. 158, n. 233; Cristofani 1985, pp. 274-275, n. 71, e p. 299, nn. 127 e 128; Cagianelli 1999, pp. 120-134,
n. 3; Maggiani 2002, p. 274, fig. 5), pesci (Bentz 1992, pp. 21-22, fig. 6; Cagianelli 1999, p. 221, nota 455),
tartarughe (il soggetto è documentato da un frammento di scultura in bronzo a fusione cava, di cui resta una
mano con la tartaruga, rappresentante con tutta probabilità un bambino, recentemente battuto all’asta da A.G.
Cahn: vd. Tiere und Mischwesen 2009, n. 41).
4
Il calendario rituale conservato dal Liber linteus di Zagabria restituisce, oltre a diverse prescrizioni relative a
riti e sacrifici da compiere in determinate occasioni, alcuni rari testi di preghiera, vd. van der Meer 2007;
ThesCRA, III, Prayer, Etr. [A. Maggiani, S. Rafanelli], pp. 143 e 144-145; da ultima Belfiore 2010.
5
Per una esauriente storia degli studi sulla bronzistica etrusca, si rimanda al vasto saggio di C. Cagianelli, in
Cagianelli 1999, pp. 31-100, con letteratura precedente.
8
Nel quadro degli studi sulla bronzistica etrusca, sia essa di tipo votivo o decorativo,
il pregio artistico di singole opere di altissimo livello o di particolari complessi ha spesso
catalizzato l’interesse degli studiosi, finendo per eclissare quel vasto panorama di oggetti di
minore pregio, o di nessun pregio, che dovettero costituire la gran parte, in ogni epoca,
della produzione destinata ad essere offerta nei luoghi sacri e nei santuari etruschi. 6 Se dalla
fine del XIX secolo la pubblicazione dei cataloghi delle collezioni dei maggiori musei
europei e americani prima,7 e di alcuni musei italiani successivamente – soprattutto di
alcune collezioni secondarie e di minore entità –, 8 ha in parte colmato questa lacuna, solo a
partire dagli ultimi trenta anni del XX secolo, la ricerca archeologica si è dedicata in modo
specifico anche ai piccoli bronzi votivi, prodotti in genere di livello artigianale e privi di
pregio artistico, e in particolare ai bronzetti votivi a figura umana, per cui sono stati raccolti
i corpora delle attestazioni, proposte tipologie valide per l’inquadramento cronologico e
formale dei nuovi ritrovamenti, definiti i possibili modelli di riferimento culturale e storico-
artistico, gli ambiti di produzione, le vie di diffusione.9
6
Vd. Cristofani 1985, pp. 9-12 e 54-72; Cagianelli 1999, pp. 31-75, con esempi.
7
Si vedano a titolo di esempio Walters 1899 per le collezioni del British Museum; Babelon, Blanchet 1895 per
le collezioni della Bibliotèque Nationale e De Ridder 1913 per i bronzi del Louvre; Bieber 1915 per il museo
di Cassel e Körte 1917 per i bronzi di Göttingen; Richter 1915 per la collezione del Metropolitan Museum di
New York.
8
Si vedano Monaco 1942 e ora Cavalieri 2006 per Parma, Maetzke 1957 per Chiusi, Mazzolai 1958 per
Grosseto, Di Stefano 1975 per Palermo, Falconi Amorelli 1977 per Todi, Cassola Guida 1978 per Torcello, Di
Niro 1978 per Campobasso, Ammirati 1979-1980 per Ferrara, Franzoni 1980 per Verona, Tombolani 1981
per Torcello, Falconi Amorelli 1982 per Pesaro, Cagianelli 1991-1992 per Cortona; Bolla, Tabone 1996 per
Como; recentemente vd. Firmati, Rendini 2002 per Scansano e Caravale 2003 per Orvieto. Le raccolte di
bronzetti votivi etruschi di maggiore consistenza numerica – conservate nei Musei Archeologici Nazionali di
Firenze, Arezzo, Volterra, Perugia, ma anche nel Museo di Villa Giulia a Roma –, per quanto oggetto spesso
di studi focalizzati su singoli opere o complessi, non hanno ancora avuto un’edizione completa (vd. a titolo di
esempio Bruni 2001; Maggiani 2006; Bruni 2009b; Bocci Pacini, Marzi 2009; Romualdi, Zaccagnino 2009, per
l’edizione di alcuni bronzetti, singolarmente o per contesti archeologici, del Museo Archeologico di Firenze).
Costituisce in questo panorama un’eccezione la recente pubblicazione del complesso dei bronzi del Museo
Gregoriano Etrusco, Cagianelli 1999, in cui non sono tuttavia attestati bronzetti votivi etruschi a figura
animale.
9
Si vedano al riguardo il lavoro di E.M. Richardson, dedicato ai bronzetti votivi e figura umana dei periodi
geometrico, orientalizzante e arcaico (Richardson 1983) e di M. Bentz, dedicato ai bronzetti di epoca
ellenistica (Bentz 1992; una diversa tipologia per alcuni gruppi di bronzetti ellenistici, indipendente da quella
di Bentz, è stata proposta dalla stessa E.M. Richardson, vd. Richardson 1993). Per i bronzetti votivi umbro-
sabellici, per quanto il numero delle attestazioni si sia notevolmente ampliato (vd. Cagianelli 1999, pp. 252-
253, 261, 268, 270, 272), è sempre valida la tipologia proposta nella monografia di G. Colonna: vd. Colonna
1970. Per altra bibliografia riguardante non opere generali ma studi dedicati a singoli aspetti, vd. infra, p. 17,
nota 20.
9
Per i bronzetti votivi etruschi a figura animale manca invece uno studio sistematico,
e questi materiali sono anzi spesso del tutto inediti, editi parzialmente o senza un sufficiente
inquadramento cronologico e culturale, o ancora provvisti di un inquadramento erroneo o
fuorviante.10
Certo le ragioni di questa marginalizzazione sono da ricercare da una parte nello
scarsissimo valore estetico di questi oggetti, che con la loro estrema semplificazione, la loro
genericità, il loro conservare in una permanente e inquietante fissità le medesime
caratteristiche ed i medesimi stilemi, suscitano quel «malaise» e quella «mise en crise du
modèle positiviste de l’histoire comme chaîne narrative continue et roman familial des
‘influences’», che G. Didi-Huberman attribuisce, quasi come una malevola caratteristica
intrinseca, agli ex voto di ogni luogo ed epoca.11
Le datazioni, spesso avventurose, attribuite ai bronzetti votivi etruschi a figura
animale, si sono basate in molti casi sull’idea positivista che sia possibile tracciare un
processo evolutivo lineare nella resa dell’animale da forme stilizzate e geometriche a forme
improntate alla resa naturalistica dell’anatomia e dei dettagli. Se questo modello appare
funzionare in alcuni contesti culturali, come avviene ad esempio in Grecia, e in particolare
per i bronzetti di bovini provenienti dal Kabeirion di Tebe, 12 esso non sembra applicabile
meccanicamente in ogni luogo e in ogni epoca; anzi, sembra piuttosto eccezionale la
situazione del Kabeirion, dove un fortunato caso ha restituito e conservato intatta una
produzione omogenea e assai vasta, documentata da centinaia di esemplari senza soluzione
di continuità dal periodo orientalizzante all’ellenismo.
Drammaticamente diverso lo stato della documentazione a disposizione per
l’Etruria per la classe dei bronzetti votivi zoomorfi, così frammentaria e rarefatta nel tempo
e nello spazio, da assumere quasi l’aspetto di un relitto di una produzione che dobbiamo
10
Spesso, questi materiali non sono stati riconosciuti come etruschi, come ad esempio il bronzetto di bovino
recentemente apparso sul mercato antiquario come di produzione greca (vd. infra, parte II, cat. A.XXI.7), o i
numerosi bronzetti del Museo Civico di Bologna, tutti collocati nell’ambito della collezione romana (vd. infra,
a titolo di esempio, parte I, cat. A.X.5, A.XIX.1, A.XXIV.3-6, A.XXVII.2); viceversa, in altri casi, si è
attribuito a produzione etrusca materiali di altra provenienza, come ad esempio i tre bronzetti rappresentanti
un bovino, un cavallo ed un capride, attualmente conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, ma
già nella collezione Ceccatelli, da attribuire con certezza a produzione urartea del VII secolo a.C., vd. Poggesi,
Zamarchi Grassi 1997, p. 150, e cfr., a titolo di esempio per l’inquadramento culturale, il bronzetto di cavallo
edito in Liebmann 1971, n. 41 (senza numero di pagina).
11
Didi-Huberman 2006, in particolare pp. 7-8.
12
Per il quale si veda Schmaltz 1980.
10
immaginare quantitativamente assai più numerosa e ben distribuita dal punto di vista
geografico e cronologico, di quanto non sia possibile intravedere in base all’evidenza
archeologica.
Non facilita, dall’altra parte, il compito di datare questi materiali e di inquadrarli dal
punto di vista dell’ambito di produzione o dell’ambito culturale, la loro frequente
appartenenza a collezioni di antica formazione, che si traduce, nella gran parte dei casi,
nella totale assenza di dati di contesto o di associazione, quando addirittura di un generico
luogo di rinvenimento, dati che solo in alcuni casi sono stati recuperati da ricerche
d’archivio.
È il caso questo del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, che raccoglie
l’eredità delle collezioni medicee e granducali, arricchite dai tempi dello Scrittoio di Cosimo
I e dello Stanzino di suo figlio Francesco I, e fino al riordinamento della Galleria di L. Lanzi
nella seconda metà del Settecento, con la logica della Wunderkammern, in cui la ricerca del
raro, del meraviglioso e dell’esotico accostava in un insieme fantasmagorico le conchiglie
alle statue in marmo o bronzo, i fossili ai vasi islamici o cinesi, i campioni di pietra alle
medaglie.13 Non c’era evidentemente spazio, in questo modo di accostarsi all’antico, e se
non in rari casi, per la registrazione di provenienze o associazioni fra oggetti. 14 Anche
quando giungevano nelle Gallerie complessi integri o sostanzialmente integri, essi venivano
ordinati secondo criteri tipologici, allontanando e trovando sistemazioni diverse per
materiali provenienti dal medesimo contesto. Persero così la loro unitarietà, nel
Cinquecento, la stipe di Porta San Lorentino di Arezzo, nel Settecento, la stipe di Poggio
Castiglione presso Massa Marittima, ma ancora nella seconda metà dell’Ottocento, la stipe
di Brolio, la stipe della Fonte Veneziana, la stipe di Bibbona, la stipe di Torrenova, 15 tutti
complessi di cui solo studi recenti basati su ricerche di archivio hanno consentito una
13
Per lo Scrittoio di Cosimo, in relazione alle collezioni di bronzi, vd. Cristofani 1985, p. 9; per Francesco I
Barocchi 1983, pp. 51-61. Sul collezionismo mediceo e lorenese dei bronzi antichi vd. ora Zaccagnino 2010,
in particolare pp. 27-92 e pp. 95-142, cui si rimanda anche per la bibliografia precedente. Per la vasta
bibliografia sulla figura di L. Lanzi, si rimanda alla rassegna consultabile nel sito internet
http://www.luigilanzi2010.it/luigi_lanzi/bibliografia/Novecento%20alfabetica.pdf. In particolare, per
l’allestimento del Gabinetto dei Bronzi, vd. ora Zaccagnino 2010, pp. 12-18.
14
L’eccezione era di fatto costituita dai pezzi di grande livello, come la Chimera o la Minerva, che mai persero
le indicazioni relative alla provenienza, vd. Zaccagnino 2010, pp. 27-53.
15
Alcuni di questi complessi hanno restituito anche bronzetti votivi zoomorfi, vd. infra, parte I,
rispettivamente catt. 7, 17, 21, 6, 15.
11
parziale ricostituzione.16 Se la conoscenza dei contesti facilita non poco il compito di
inquadrare questi difficili materiali, essa non appare tuttavia sempre risolutiva: nella
maggior parte dei casi i depositi votivi documentano la frequentazione di un sito per
periodi lunghissimi, che può estendersi senza soluzione di continuità dall’età arcaica e quella
imperiale avanzata, fotografando tuttavia, per la loro stessa natura di accantonamento delle
vecchie offerte presenti nel luogo sacro, una situazione cronologicamente non differenziata
e appiattita in un unico piano temporale.17
Questa stessa assenza di dati per il contesto di provenienza dei bronzetti votivi a
figura animale non consente spesso di decidere se un bronzetto a figura animale abbia
avuto una primaria funzione votiva o decorativa. Sin dall’epoca villanoviana infatti, 18 sono
diffuse rappresentazioni a tutto tondo di varie specie animali, fra cui soprattutto bovini,
cavalli e ovini, ma anche felini e canidi, poste a decorare gli orli o le anse di contenitori o
arredi in bronzo, sia che si trattasse di oggetti di grande prestigio, sia che si trattasse di
prodotti artigianale di livello seriale.19 In molti casi, vista la maggiore facilità di corrosione
della lamina bronzea rispetto alle statuette a tutto tondo, queste ultime si sono conservate
indipendentemente dall’oggetto cui erano originariamente pertinenti, ma è possibile che in
alcuni particolari contesti votivi si fosse scelto intenzionalmente di dedicare una particolare
statuetta, fosse essa ancora solidale con l’oggetto che ornava oppure da esso separata, per
l’iconografia e il soggetto da essa rappresentato, e quindi per i significati ad essa sottesi. 20
16
Ad esempio Romualdi 1981 per la stipe di Brolio; Bocci Pacini 1980 per la stipe della Fonte Veneziana;
Romualdi 1990 per la stipe di Bibbona, e più di recente Bocci Pacini, Marzi 2009 per la stipe di Poggio
Castiglione e Romualdi, Zaccagnino 2009 per la stipe di Torrenova.
17
Vd. infra, parte I, passim.
18
Per la piccola plastica in impasto villanoviana a figura umana vd. Babbi 2008. Le attestazioni della plastica a
figura animale è stata oggetto della tesi di specializzazione di chi scrive, discussa presso l’Università degli Studi
di Firenze: B. Arbeid, La piccola plastica in impasto a figura animale della prima età del Ferro in Etruria, A.A. 2005-
2006, relatore Prof. L. Donati.
19
A puro titolo di esempio, si vedano i bovini che decorano le anse di alcuni vasi di epoca tardo-
orientalizzante di produzione vetuloniese (Camporeale 1969, pp. 30-32, tavv. V-VI); i cavalli che decoravano i
dinoi in bronzo di produzione campana (Benassai 1995, passim), oppure utilizzati come cimase di candelabro,
da soli o guidati da un cavaliere (Maggiani 2006, pp. 276-277, con bibliografia); alcune figure di canidi
potevano essere utilizzate come prese di coperchi di piccole ciste (Proietti 1980, p. 64, figg. 68-69; Bini,
Caramella, Buccioli 1995, pp. 502-504) ma in un caso anche di un ossuario rinvenuto nella necropoli perugina
del Portone (vd. Bentz 1992, pp. 24-26; e da ultimo Nati 2008, p. 105, con letteratura).
20
Vd. infra, parte I, catt. 1, 15, 21, 45, con bibliografia relativa, cui adde Camporeale 1984, p. 188, che pensa ad
una rifunzionalizzazione in ambito votivo per il capro bronzeo da Bibbona. Casi analoghi sono noti anche per
altri contesti culturali al di fuori dell’Etruria: vd. Orlandini 1956, pp. 3-5.
12
Il presente studio intende costituire un catalogo dei bronzetti votivi etruschi a figura
animale sinora noti, sia editi che inediti, fornendone al contempo una proposta di
inquadramento tipologico, cronologico e culturale, che tenga conto in primo luogo dei dati
forniti dai contesti di provenienza. Per questo motivo, la materia è stata suddivisa in tre
parti. Nella prima parte sono stati raccolti e discussi, attraverso l’analisi della loro
distribuzione cronologica e geografica, i contesti che hanno restituito bronzetti votivi
etruschi a figura animale, includendo nel catalogo i bronzetti zoomorfi con destinazione
originariamente decorativa rinvenuti in contesti votivi o santuariali. Nella seconda parte,
viene fornito il catalogo delle attestazioni, suddiviso in base ai soggetti e ai tipi individuabili
per ciascun soggetto, unitamente ad una discussione dei possibili modelli, delle interferenze
fra piccola plastica votiva e decorativa, dello sviluppo cronologico della classe in esame.
Infine, nella terza parte si è tentato di proporre alcune ipotesi riguardanti la bronzistica
votiva etrusca a figura animale dal punto di vista strettamente cultuale, indagando il
rapporto fra scelta dei soggetti, tipologia dei culti e divinità, alla ricerca di una chiave di
lettura per comprenderne il significato all’interno della prassi rituale etrusca, i collegamenti
con i culti della fertilità e della sanatio da una parte, e con il sacrificio animale in relazione
con l’offerta sostitutiva di oggetti in bronzo, dall’altra.
13
Artistici ed Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia, e la dott.ssa N. Giordani,
responsabile per la Galleria Estense di Modena; la dott.ssa C. Lega ed il dott. G. Cornini
per il Museo Profano della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed il dott. M. Sannibale per il
Museo Gregoriano Etrusco; il dott. G. Cateni, già direttore del Museo Civico Guarnacci di
Volterra; il dott. G. Paolucci, direttore del Museo Civico Archeologico «Delle Acque» di
Chianciano Terme; la dott.ssa M.G. Celuzza, direttore del Museo Archeologico e d’Arte
della Maremma a Grosseto; le dott.sse C. Morigi Govi, direttrice del Museo Civico di
Bologna, e M. Marchesi, curatrice della sezione classica.
Particolare riconoscenza per la fiducia e la disponibilità dimostratami devo al prof.
S. Bruni, che mi ha affidato questa ricerca.
Ringrazio per l’ospitalità ricevuta per un periodo di studio e di ricerca bibliografica
nella sede centrale del Deutsches Archäologisches Institut di Berlino, nel corso dell’inverno
del 2009, il dott. H. von Hesberg. Per questa opportunità, e per molto altro, un sentito
ringraziamento va ad A. Romualdi.
Infine, ma non ultimi, desidero ringraziare di cuore tutti coloro che mi hanno
offerto in questi anni il loro sostegno ed il loro aiuto: la mia famiglia, gli amici e i colleghi
che, in modi e tempi diversi, hanno contribuito alla conclusione di questo lavoro.
14
Parte I
I luoghi di ritrovamento: stipi votive e rinvenimenti isolati
Uno studio sistematico dei bronzetti votivi etruschi a figura animale, che possa
rendere conto della loro distribuzione sia geografica che cronologica, del loro apporto nella
composizione delle stipi votive e dello strutturarsi delle scelte iconografiche in relazione ai
culti, necessita in primo luogo di un quadro il più possibile completo dei luoghi di
ritrovamento noti per questa classe di materiali.21
I dati a disposizione al riguardo sono frammentari e di natura estremamente
eterogenea. Se in alcuni, ma non numerosi, casi, è possibile collegare i materiali con contesti
certi, indagati con metodologie scientifiche moderne che consentano di tratteggiare la
fisionomia di complessi votivi o di interi luoghi di culto, per quanto riguarda la maggior
parte delle provenienze note per i bronzetti votivi zoomorfi si tratta di indicazioni
generiche e nebulose, trattandosi spesso di vaghe notizie d’archivio riferite a vecchi
ritrovamenti, di cui in molti casi non si sono conservati i materiali, 22 quando non dubbie o
evidentemente contraffatte.23
21
In generale, mancano studi d’insieme sulle provenienze e sulla distribuzione delle evidenze relative ai
bronzetti votivi etruschi, sia a figura umana sia, a maggior ragione, a figura animale. Contributi fondamentali
per quanto riguarda i primi sono costituiti dal lavoro di A. Romualdi sui luoghi di culto dell’Etruria
settentrionale in epoca arcaica (Romualdi 1989-1990), e da quello di M. Bentz sui bronzetti etruschi di epoca
ellenistica, in cui un intero capitolo è volto alla raccolta delle notizie riguardanti i contesti di provenienza
(Bentz 1992, pp. 15-28 per i contesti di tardo V secolo a.C. e della prima metà del IV secolo a.C., e pp. 39-94
per quelli di epoca ellenistica). I luoghi di culto dell’Etruria padana sono raccolti in Gualandi 1974 e, per
l’epoca arcaica e classica, Romualdi 1987; più di recente è uscito il volume monografico di M. Miari sulle stipi
della medesima area geografica: Miari 2000. Sempre utile, per un quadro d’insieme, il catalogo della mostra sui
santuari etruschi tenuta ad Arezzo nel quadro delle manifestazioni per l’anno degli Etruschi: Santuari
d’Etruria 1985, passim. Nuovi dati emergono dagli atti del convegno sui culti nella media e tarda età
repubblicana, svoltosi a Perugia nel 2002: Depositi votivi 2005, passim. Alcuni lavori propongono un quadro
delle evidenze dei culti, spesso basato quasi esclusivamente sulle attestazioni dei bronzetti votivi,
relativamente a singoli comprensori territoriali: è il caso dei lavori di A. Maggiani sui luoghi di culto di
Volterra e su quelli di Perugia e del suo territorio (Maggiani 1991; Maggiani 2002), di S. Bruni sui santuari
fiesolani (Bruni 2008), di P. Rendini sulla valle dell’Albegna (Rendini 2005).
22
Vd. infra, catt. 4, 9, 12, 18, 20, 28.
23
Vd. in particolare infra, catt. 54-56.
17
In un panorama dunque già complesso, e per molti versi carente, la lacunosità o la
scarsità delle notizie riferibili ai singoli ritrovamenti non consente in molti casi di definirne
natura e caratteristiche e di proporne un adeguato inquadramento cronologico.
Allo scopo di fornire alla discussione il maggior numero di informazioni possibili,
sono state raccolte tutte le notizie disponibili riguardanti la provenienza di bronzetti votivi
zoomorfi, sia che si trattasse di complessi archeologici di chiara natura votiva, sia che si
trattasse di rinvenimenti di bronzetti apparentemente isolati, che possono essere ritenuti
indizio di stipi o depositi votivi dispersi, ma in quanto tali difficilmente valutabili. 24 In
quest’ultimo caso, è spesso risultato complesso distinguere dalle notizie riportate dalle fonti
archivistiche o bibliografiche, soprattutto nei non rari casi in cui non si conservi traccia dei
materiali e ci si debba basare solamente su di esse, 25 se i bronzetti a figura animale
menzionati siano effettivamente degli oggetti concepiti con una primaria funzione votiva, o
se non si tratti piuttosto di applicazioni decorative di arredi o contenitori bronzei, giunte a
noi indipendentemente, per ragioni conservative o legate più semplicemente alla casualità
delle condizioni di rinvenimento, dagli oggetti di originaria pertinenza. Per di più,
quand’anche sia possibile stabilire che un bronzetto, proveniente da un contesto votivo,
fosse originariamente un’applique decorativa, rimane aperta la possibilità che esso sia stato
deposto nel suo contesto di rinvenimento non ancora solidale con l’oggetto cui era
pertinente, ma separatamente da esso, in virtù del tema iconografico o del soggetto
rappresentato e dei significati ad esso connessi. M. Cristofani ha ipotizzato, ad esempio, una
secondaria funzione votiva per i tre bronzi di guerriero e per la figura femminile
appartenenti al complesso della stipe di Brolio, 26 che sono evidentemente stati pensati per
sostenere un oggetto bronzeo, vista la particolare conformazione della parte superiore della
testa, che presenta un elemento circolare piatto su cui si appoggia un perno cilindrico.
L’ipotesi è corroborata dalla effettiva diffusione del motivo iconografico del guerriero nella
bronzistica votiva dell’Etruria settentrionale in età arcaica, 27 e dalla mancanza di qualsiasi
traccia, all’interno del contesto, dell’oggetto che i guerrieri e la figura femminile dovevano
24
Romualdi 1989-1990, p. 622.
25
Vd. a titolo di esempio infra, catt. 18 e 28.
26
Cristofani 1985, p. 248. Per i guerrieri e la figura femminile di Brolio, vd. Romualdi 1981, pp. 26-29, n. 14-
17; Cristofani 1985, pp. 248-249, n. 2.3, n. 2.4, n. 2.5, n. 2.6; da ultimo MAEC 2005, pp. 304-305, nn. VII,35-
38 (con bibliografia). Per la stipe, vd. infra, cat. 21, con letteratura.
27
Si veda, ad esempio, Richardson 1983, pp. 64-80.
18
decorare. Una possibilità di questo tipo è stata ammessa dallo stesso Cristofani per una
cimasa di candelabro proveniente dagli scavi del tempio di Belvedere a Orvieto, e per due
anse configurate, appartenenti a due diversi contenitori bronzei, restituite dal deposito di
Talamonaccio.28
Vista la complessità del quadro e l’eterogeneità delle situazioni possibili, si è deciso
di adottare un criterio inclusivo, inserendo nel catalogo dei luoghi di provenienza anche i
ritrovamenti, quando avvenuti in contesti santuariali o comunque chiaramente votivi, 29 di
bronzetti zoomorfi con una originaria funzione decorativa, segnalando con un asterisco (*)
la voce di catalogo, in modo da rendere immediatamente chiaro il tipo di evidenza da essa
rappresentato.30 La decisione risponde alla convinzione che la scelta di un determinato
soggetto come offerta votiva in un luogo di culto, per quanto accessorio come accade nel
caso delle appliques decorative, non sia mai casuale, ma risponda a precisi criteri di
selezione delle dediche, e vada dunque valutato nel complesso dei dati relativi alle divinità
venerate, ai culti officiati e alle loro differenti sfumature.31
Il catalogo dei luoghi di provenienza è strutturato in tre diverse parti, secondo una
distinzione di tipo geografico, la prima delle quali è dedicata ai rinvenimenti dell’Etruria
propria, presentati da nord a sud e da ovest verso est, la seconda ai ritrovamenti dell’Etruria
padana, la terza ai rinvenimenti di bronzetti votivi etruschi al di fuori dal territorio etrusco,
concentrati nel territorio francese (figg. 1-3).
È evidente che un’analisi della distribuzione della documentazione non può
prescindere dal corretto inquadramento dei ritrovamenti sotto il punto di vista cronologico.
28
Per la cimasa da Orvieto vd. Cristofani 1985, p. 18 e p. 27 nota 24; per le anse dal Talamonaccio, von
Vacano 1985, p. 55.
29
Vd., a titolo di esempio infra, i ritrovamenti della Grotta di Castelvenere, parte I, cat. 1, di Brolio, parte I,
cat. 21, e di Gravisca, parte I, cat. 45.
30
Mentre per i bronzetti sicuramente votivi il catalogo prevede una doppia voce con rimando interno fra la
prima e la seconda parte, secondo il metodo adottato da M. Bentz nel suo corpus dei bronzetti votivi etruschi
di epoca ellenistica (Bentz 1992, passim), i bronzetti per cui si è accertata una originaria funzione decorativa
non sono stati inclusi, naturalmente, nel corpus del bronzetti votivi a figura animale, e figurano soltanto,
segnalati da asterisco (*) nel catalogo dei luoghi di ritrovamento.
31
Ampia la bibliografia per l’argomento, per cui si rimanda, per l’ambito etrusco, a Maggiani 1997, passim, con
bibliografia. Si vedano, ad esempio, le valutazioni espresse dallo stesso A. Maggiani sul culto della Grotta di
Castelvenere sulla base della presenza di un bronzetto, con funzione almeno originariamente decorativa,
raffigurante un piccolo canide, infra, parte I, cat. 1. Una convinzione analoga appare sottesa al lavoro di E.
Bevan sul significato delle rappresentazioni di animali nei santuari greci, dove si valuta la scelta di determinati
soggetti anche quando si tratta di decorazioni accessorie (Bevan 1986, passim).
19
Tuttavia, la possibilità di proporre un tale inquadramento appare spesso negata, come visto
sopra, dallo stato della documentazione, quando sono assenti dati relativi alle associazioni
fra i materiali, oppure dalla natura stessa dei contesti archeologici che hanno restituito
questi materiali: la maggior parte dei depositi votivi conservano infatti materiali relativi ad
una lunga fase di frequentazione di un luogo di culto, generalmente riuniti in una fase
posteriore nel medesimo luogo, fotografando, per così dire, una situazione cristallizzata in
un momento che non rispecchia la reale successione di arrivo dei singoli materiali nel luogo
di culto.32 Per questo motivo, datare sulla base del contesto di provenienza un bronzetto
appare operazione complessa e per molti versi aleatoria, destinata a risolversi in un
inquadramento generico, affidato a criteri di tipo storico-artistico più che strettamente
archeologico.
Oltre a ciò, è necessario considerare che i dati a disposizione sono falsati in genere
dalla casualità delle scoperte e dalla frammentarietà della documentazione disponibile che,
piuttosto copiosa per l’epoca ellenistica, si fa più rarefatta man mano che si procede a
ritroso nel tempo, senza che questa distribuzione delle evidenze, per come attualmente
ricostruibile, possa essere considerata uno specchio fedele della situazione in antiquo.
Nonostante queste difficoltà intrinseche della documentazione, e lo stato
forzatamente provvisorio dei risultati raggiunti, appare possibile proporre alcune carte di
distribuzione crono-geografica delle stipi votive e dei ritrovamenti isolati, in cui le evidenze
appaiono suddivise in tre fasi: una tardo-orientalizzante ed arcaica (fine VII – VI secolo
a.C.), una relativa al periodo classico (V secolo a.C.) ed una relativa al periodo ellenistico
(IV – II secolo a.C.).
La distribuzione dei bronzetti a figura animale che possono essere considerati con
un certo margine di certezza di tipo votivo, rinvenuti in stipi oppure oggetto di scoperte
isolate nell’Etruria propria (fig. 4), mostra come nell’Etruria settentrionale la
documentazione sia di fatto piuttosto scarsa, limitandosi sostanzialmente a tre zone
principali: l’area fiesolana, quella aretina e quella volterrana, con sporadiche altre
attestazioni, ad esempio nell’area populoniese, mentre la maggior parte delle evidenze si
concentrano, distribuendosi in modo diffuso e omogeneo, nell’Etruria interna tiberina e nel
settore settentrionale dell’Etruria meridionale, ed in particolare nelle zone circostanti il lago
32
Vd. al riguardo Thescra, I, Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], pp. 142-143, con bibliografia.
20
Trasimeno ed il lago di Bolsena.33 Se si passa a considerare lo spessore storico del
fenomeno, suddividendo la documentazione nelle tre fasi sopra delineate, le differenze fra
le due aree appaiono ancora più evidenti e marcate.
Per la fase tardo-orientalizzante ed arcaica, le attestazioni appaiono sporadiche,
limitate essenzialmente all’Etruria settentrionale interna, e di fatto tutte, per motivi diversi,
controverse e di difficile interpretazione (fig. 5). Il ritrovamento isolato di Volterra, è
relativo ad un piccolo cavallo bronzeo di epoca tardo-orientalizzante, scoperto nel 1760 in
una delle necropoli della città, che trova confronti stilistici soprattutto nella piccola plastica
decorativa ma che non è possibile solo per ciò escludere recisamente e senza il beneficio di
inventario, in assenza di ulteriori dati, dalla bronzistica votiva. 34 Il ritrovamento isolato di
Montalcino, invece, è relativo ad una statuetta di cavallo che si inserisce compiutamente in
una ben documentata serie di epoca arcaica, per cui mancano altri dati di provenienza, ma
che tutto porta a ritenere votiva e di produzione dell’Etruria settentrionale interna, da
localizzare forse più precisamente in area aretina. 35 Per quanto riguarda le vere e proprie
stipi, quella della Fonte Veneziana ad Arezzo ha restituito tre bronzetti a figura animale, 36 di
cui tuttavia solo un cinghiale può essere ritenuto votivo, mentre le due statuette di galli
sono da considerare con sicurezza cimase di candelabro, 37 situazione che appare riflessa
nella situazione restituita dalla stipe di Brolio, 38 in cui le statuette di cervidi e di lepri devono
essere considerate appliques decorative, mentre solo una statuetta di cavallo, per quando
piuttosto eccentrica nella produzione votiva a figura animale per pregio artistico, potrebbe
essere considerata, anche se in modo dubitativo, primariamente votiva.
Gli scarsissimi dati disponibili per questa fase cronologica devono essere integrati
necessariamente con la presenza, nei musei di Arezzo e di Volterra, di una documentazione
ampia, ancorché priva di dati certi di provenienza, di bronzetti a figura animale
rappresentanti soprattutto bovini e cavalli, databili su base stilistica in epoca tardo-
33
Vale la pena di sottolineare come, nella letteratura riguardante questa classe di materiali, sia invalsa la loro
attribuzione a produzioni dell’Etruria settentrionale interna, derivata dalla riproposizione delle ipotesi
contenute in un contributo di M. Cristofani (Cristofani 1977), senza un vaglio critico della documentazione
disponibile, vd. da ultimo Caravale 2003, pp. 132-133.
34
Vd. infra, cat. 11.
35
Vd. infra, cat. 20.
36
Vd. infra, cat. 6.
37
Per il tipo vd. Hostetter 1986, pl. 73, n.68b-c, p. 203, nn. 27-30.
38
Vd. infra, cat. 21.
21
orientalizzante ed arcaica, senza i quali il quadro risulterebbe sostanzialmente alterato e
inesatto. Questi musei infatti, per quanto di formazione collezionistica, hanno trovato
origine essenzialmente, e con l’eccezione di episodi di scambi fra collezionisti, con materiali
rinvenuti in zone geograficamente non distanti da queste due città. 39 Il dato numerico
rafforza l’idea che la diffusione dei bronzetti votivi zoomorfi nei luoghi sacri dell’Etruria
settentrionale interna in epoca tardo-orientalizzante e arcaica fosse molto maggiore di
quella che la documentazione attesta, e sia purtroppo leggibile solo in filigrana. 40 Per
quanto ex silentio, un ulteriore argomento a favore di questa ipotesi è costituito dalla
corrispettiva, e quasi totale, assenza di bronzetti zoomorfi ascrivibili a tipi tardo-
orientalizzanti e arcaici in Etruria meridionale e nell’Etruria tiberina, dove essi non sono
attestati neppure, privi di provenienze, nei fondi collezionistici.
Il quadro appare ancora molto nebuloso nel corso del V secolo a.C. (fig. 6). Sia i
rinvenimenti isolati che le stipi votive si attestano in entrambe le aree, distribuendosi i primi
sia ad Arezzo, sia nella zona di Vulci e di Orvieto, 41 le seconde presso il Monte Falterona,
sito in cui recente ritrovamento di alcuni bronzetti zoomorfi consente di scostare il velo
d’ombra che la dispersione della stipe ha gettato su questo importante contesto, senza
tuttavia gettarvi piena luce, in località Poggio Castiglione presso Massa Marittima , ed infine
nel territorio perugino, con la stipe di Monte Acuto di Umbertide e quella di Pasticcetto di
Magione, e ad Orvieto con la stipe di Fontana Liscia.42
In questo quadro il distretto perugino settentrionale, con le stipi di Monte Acuto di
Umbertide, Pasticcetto di Magione, Caligiana e Colle Arsiccio, 43 mostra fra il V secolo a.C. e
la prima età ellenistica caratteri del tutto peculiari. 44 Le stipi di questo territorio sono
caratterizzate da una prevalenza, sulla statuette a tutto tondo di tradizione prettamente
39
Vd. il registro delle accessioni al Museo Guarnacci di Volterra, conservato nella Biblioteca del Museo
Guarnacci, Registro dei donativi ed acquisti fatti al Museo Guarnacci dall’anno 1731 all’anno 1899; Registro degli oggetti
entrati nel Museo per acquisti o doni dall’anno 1900 all’anno 1942, in cui a parte episodi di scambio con altri
collezionisti, le provenienze note riguardano oggetti provenienti dalla città e dal territorio. Ritiene indiziaria
della distribuzione in antico l’attuale distribuzione museografica anche Cristofani 1977, p. 4. Considerazioni
analoghe sulle collezioni del Museo Archeologico di Arezzo, in Bruni 2009a, pp. 88-89.
40
Vd. infra, parte II, cat. A.
41
Vd. infra, parte I, rispettivamente catt. 8, 41, 43.
42
Vd. infra, parte I, rispettivamente catt. 5, 17, 22, 23 e 42.
43
Vd. infra, parte I, rispettivamente catt. 22, 23, 24 e 25.
44
Per i culti di Perugia etrusca vd. Maggiani 2002. Per ritrovamenti di stipi votive nel territorio perugino
Cagianelli 2002 ed Eadem 2005. Altri esempi in Cenciaioli 1991, Eadem 1996, Eadem 1998; Bruschetti 2009
propone una sintesi limitata alla zona del lago Trasimeno.
22
etrusca, di votivi di tipo umbro, caratterizzati da una schematizzazione di tipo laminare, e
da una produzione estremamente semplificata e impoverita, inquadrabile nei tipi Nocera
Umbra ed Esquilino di G. Colonna, tipi cui si avvicinano anche i corrispettivi bronzi votivi
a figura animale.45
Una strutturazione del tutto differente mostra la geografia della distribuzione di
queste offerte nell’età ellenistica (fig. 7). I luoghi di rinvenimento noti per l’Etruria
settentrionale si limitano a otto, tutti in qualche modo passibili di dubbi e incertezze. I
ritrovamenti dell’area fiesolana comprendono la piccola civetta proveniente dall’area del
tempio etrusco di Fiesole, pertinente con tutta probabilità ad una stipe dispersa i cui
materiali possono datarsi nel corso del III secolo a.C., 46 un bronzetto isolato di cavallo, e la
stipe di Impruneta,47 in cui le fonti archivistiche ricordano la presenza di bronzetti
zoomorfi, in particolare di serpenti, di cui tuttavia si sono perdute le tracce. La val d’Elsa è
rappresentata da un unico ritrovamento isolato presso San Gimignano, mentre il volterrano
ha restituito un problematico bronzetto di canide dalla necropoli di Marmini ed una stipe
dal territorio a ovest della città, rinvenuta nel corso della seconda metà dell’Ottocento, in
cui è stato rinvenuto lo splendido bronzo di volatile attualmente conservato nel Museo
Nazionale Etrusco di Villa Giulia.48 In un pozzo presumibilmente parte di un piccolo luogo
di culto presso il Poggio della Porcareccia a Populonia è stato rinvenuto nel 1924 un bel
bronzetto di bovino;49 infine, nella stipe di Porta San Lorentino ad Arezzo, i cui materiali
noti si datano fra il IV ed il III secolo a.C., si rinvennero bronzetti zoomorfi che, confluiti
con tutta probabilità nelle raccolte della Galleria degli Uffizi, persero i dati di provenienza
da questo contesto.50
I contesti dell’Etruria interna e del territorio vulcente mostrano invece, in questo
periodo, una diffusione omogenea e capillare, che investe soprattutto la zona fra Perugia,
Cortona e Chiusi, centrata sul lago Trasimeno, quella fra Orvieto e Vulci, che ha invece il
45
Per il gruppo Nocera Umbra, vd. Colonna 1970, pp. 99-103, nn. 285-306, tavv. LXXI-LXXIII, e
l’aggiornamento delle attestazioni in Cagianelli 1999, p. 265; per il gruppo Esquilino, vd. Colonna 1970, pp.
103-105, e l’aggiornamento delle attestazioni in Cagianelli 1999, pp. 252-253. L’accostamento fra i votivi
zoomorfi umbri e il gruppo Esquilino è in Bruschetti 1987-1988, pp. 52-56, nn. 34-51.
46
Vd. infra, parte I, cat. 2.
47
Vd. infra, parte I, catt. 3 e 4.
48
Vd. infra, parte I, catt. 10, 11 e 13.
49
Vd. infra, parte I, cat. 16.
50
Vd. infra, parte I, cat. 7.
23
suo fulcro nel lago di Bolsena, ed infine il territorio settentrionale di Vulci,
approssimativamente sino ad arrivare, a nord, alla valle dell’Ombrone. A sud invece, se si
eccettua l’unica attestazione costituita dal ritrovamento di un bovino in bronzo nella stipe
dell’Ara della Regina a Tarquinia,51 l’area di distribuzione di questi materiali non oltrepassa
la fascia di territorio che da Vulci attraverso il lago di Bolsena giunge sino ad Orvieto.
Se si torna a considerare, per integrare i dati relativi alle provenienze dei bronzetti
zoomorfi etruschi, come già fatto per l’epoca arcaica, la documentazione costituita dai
bronzetti privi di luogo di ritrovamento, la loro distribuzione museografica per quanto
concerne i tipi di epoca ellenistica si fa quasi nulla nel Museo Guarnacci di Volterra, ha una
flessione notevole rispetto alla fase arcaica nel Museo Archeologico Nazionale di Arezzo,
mentre numerose sono le attestazioni di bronzetti votivi zoomorfi databili in epoca
ellenistica nei musei di Cortona, di Perugia e di Orvieto. Anche in questo caso, l’argomento
non può in nessun modo essere probante, ma va senza dubbio a completare il quadro
distributivo, senza provocare storture.
Le due aree di attestazione dei bronzetti votivi etruschi a figura animale al di fuori
dell’Etruria propria mostrano una situazione molto diversa. Per l’Etruria padana (fig. 2) è
presente una sola provenienza nota, e di dubbia autenticità, per la fase tardo-orientalizzante
e arcaica, da Adria,52 mentre la maggior parte delle attestazioni si concentrano nel V secolo
a.C., soprattutto nell’area a sud del Po: Castetto presso Reggio Emilia, Montese e Tesa della
Mirandola nella zona di Modena, ma soprattutto Marzabotto, Monterenzio e Verucchio. 53
Le attestazioni cessano sostanzialmente, con l’unica eccezione di un bronzetto ancora con
una provenienza dichiarata, ma dubbia, da Adria, in epoca ellenistica, situazione forse da
ricollegare alla conquista gallica della zona.54
Infine, restano da valutare i casi relativi alle provenienze di bronzetti votivi etruschi
a figura animale da stipi, e in alcuni casi da ritrovamenti isolati, di area francese (fig. 3),
come ad esempio il cosiddetto deposito votivo di Thorigné-en-Charnie, che ha restituito tre
bronzetti votivi a figura umana e due a figura animale, ed il deposito di fonderia celtico di
51
Vd. infra, parte I, cat. 44.
52
Vd. infra, parte I, cat. 53.
53
Vd. infra, parte I, rispettivamente catt. 46, 47, 48, 51, 52, 49 e 50.
54
Vd. infra, parte I, cat. 53. Per i rapporti fra la bronzistica votiva dell’Etruria propria e quella dell’Etruria
padana, vd. ora Bruni 2008, in particolare pp. 307-321.
24
Larnaud, che ha restituito un bronzetto di bovide. 55 Se in passato questi ritrovamenti sono
stati considerati indizio di una antica frequentazione etrusca dell’area, che avrebbe
comportato la diffusione di materiali di destinazione tanto particolare quanto quella votiva,
legata al mondo dei commerci56 oppure della milizia mercenaria,57 studi recenti tendono a
considerare queste provenienze estremamente dubbie, e con tutta probabilità costruite ad
hoc nel corso dell’Ottocento per dare maggior valore economico, attraverso l’attribuzione di
una provenienza certa, a materiali destinati ad essere commercializzati sul mercato
antiquario.58
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
Etruria interna e meridionale Rinvenimenti fuori dall'Etruria
Etruria settentrionale Etruria padana
Grafico 1: riepilogo delle provenienze dei bronzetti votivi zoomorfi
I dati sin qui raccolti indicano una situazione nettamente differenziata fra Etruria
settentrionale ed Etruria interna e meridionale, e fra fase arcaica e fase ellenistica. La
distribuzione dei bronzetti votivi etruschi a figura animale sembra interessare, nel corso
della fase più antica, soprattutto il comparto settentrionale, con una propaggine, se le
provenienze di bronzetti appartenenti a questa classe da località francesi sono da
55
Vd. infra, catt. 54 e 55. Dalla lista dei ritrovamenti di bronzetti votivi etruschi a figura animale in area
francese va escluso il deposito di Châtillon sur Seiche, che ha restituito, insieme a materiali della tarda età del
Bronzo e della prima età del Ferro, due bronzetti di bovini attribuiti da S. Boucher a produzione etrusca
(Boucher 1970, pp. 202-203, fig. 14, con letteratura precedente; stessa attribuzione ancora in Jannot 1996, pp.
79 e 81), ma che non trovano confronti nella bronzistica etrusca sia votiva che decorativa, e che devono
essere attribuiti con tutta probabilità ad una produzione locale (di questa opinione Milcent 2006, p. 119).
56
Di questa opinione Boucher 1970, pp. 202-206; Cristofani 1977; Cristofani 1978, pp. 127-131; Bonamici
1986.
57
Jannot 1996, p. 81.
58
Si vedano in particolare i recenti lavori di Milcent 2006 e Jannot 2006, cui si rimanda anche per la letteratura
sull’argomento.
25
considerare autentiche, nell’Europa occidentale. Il V secolo a.C. segna una netta cesura, con
l’affacciarsi di nuove aree di diffusione, come l’area emiliana e romagnola, e la zona
dell’Etruria tiberina e del territorio vulcente. Questa tendenza si rafforza nettamente in
epoca ellenistica, quando pur non mancando attestazioni di provenienze note dall’Etruria
settentrionale, la documentazione dell’Etruria interna e del territorio vulcente mostra una
coerenza e una intensità tale, da mutare radicalmente il quadro rispetto alle fasi precedenti.
I luoghi di provenienza noti per l’Etruria settentrionale si riducono in epoca ellenistica ad
appena il 50% rispetto a quelli per l’Etruria tiberina e meridionale. Queste attestazioni non
sembrano scendere, per quanto consentano di stabilire i dati archeologici assai incerti
relativi ai contesti che le hanno restituite, oltre la soglia del II secolo a.C.
La netta differenza riscontrabile fra l’Etruria settentrionale e quella meridionale nel
regime delle dediche offerte nei santuari è stata più volte sottolineata, ed è merito di A.M.
Comella aver distinto, sulla base delle diverse classi di oggetti votivi presenti nei santuari
dell’Italia centrale in epoca medio- e tardo-repubblicana, tre diverse tipologie di depositi. I
depositi di tipo «etrusco-laziale-campano» sono caratterizzati dalla prevalenza di votivi in
terracotta prodotti a stampo, fra cui sono maggiormente attestati gli ex voto anatomici, 59
distinti in due gruppi: quelli legati alla sfera della sanatio e quelli legati alla sfera della
fecondità sia maschile che femminile. In questi depositi le offerte in bronzo sono attestate
solo in modo sporadico e quasi residuale. Ad essi sono tipologicamente affini i depositi di
tipo «meridionale», in cui prevalgono le piccole terracotte figurate, tra le quali le cosiddette
tanagrine. Infine, i depositi di tipo «italico» sono composti quasi esclusivamente da oggetti
in bronzo, appartenenti a categorie ben differenziate rispetto a quelle presenti nei depositi
dei primi due tipi: sono infatti quasi assenti le teste isolate e gli ex voto anatomici, mentre
assai diffuse sono le statuette di divinità, fra cui prevale la figura di Eracle. Questa ultima
tipologia sembra orientata generalmente verso culti non strettamente connessi con la sfera
della sanatio e della fertilità.60
Le ragioni di questa differenziazione non sono ancora totalmente chiare. A.M.
Comella aveva proposto, fra le varie ipotesi, che la quasi totale assenza di oggetti in bronzo
nei depositi di tipo «etrusco-laziale-campano» potesse essere spiegata con l’uso, peculiare di
alcune aree geografiche, di fondere gli ex voto in metallo piuttosto che riporli, come
59
Su cui da ultimo vd. ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], pp. 359-363.
60
Comella 1981, pp. 759-775.
26
accadeva invece per le terracotte, all’interno dei depositi votivi. 61 Questa ipotesi, tuttavia,
non appare del tutto soddisfacente, non fornendo una spiegazione né del motivo per cui
questo uso fosse generalizzato in Etruria meridionale e non in Etruria settentrionale, né
della scarsità di ex voto in terracotta in quest’ultima area, essendo l’argilla un materiale
diffuso ovunque e a basso costo. Una seconda ipotesi avanzata dalla stessa studiosa si basa
su una maggiore facilità di reperimento del metallo in Etruria settentrionale piuttosto che
nel comparto meridionale. G. Colonna invece, propone di vedere nell’uso diffuso del
bronzo in Etruria settentrionale una sopravvivenza «dell’arcaica concezione di questo
metallo come principale referente di valore».62
Le rappresentazioni di animali in terracotta compaiono nei contesti votivi etruschi
nel corso del IV secolo a.C., per poi diffondersi nel corso dei due secoli successivi. 63 Dal
punto di vista stilistico, queste rappresentazioni sembrano appartenere ad una tradizione
del tutto diversa da quelle in bronzo. Mentre le prime appaiono infatti improntate, pur nella
povertà estetica del prodotto, ad una concezione naturalistica dell’animale rappresentato,
colto nella sua prepotente fisicità, nelle seconde prevale una volontà di stilizzazione, anche
nei prodotti più attenti al rendimento della realtà, che trasforma spesso il corpo dell’animale
in mero supporto geometrico per gli elementi descrittivi in grado di caratterizzare in modo
univoco l’animale rappresentato, ad esempio le corna, la criniera, le zanne. Questa
polarizzazione fra le due produzioni colpisce soprattutto nella misura in cui, perlomeno
nelle sue fasi iniziali, la lavorazione delle statuette in bronzo, quando si realizza il modello in
cera, non differisce sostanzialmente dalla lavorazione dell’argilla. 64 Nonostante questo,
mentre nella realizzazione dei votivi in terracotta si generalizza fin da subito l’uso di matrici
per una produzione a stampo, sostanzialmente di massa, per la produzione di statuette in
bronzo, anche per le serie più omogenee, è da escludere l’uso di analoghe matrici,
permanendo una notevole varietà sia nelle dimensioni che nell’iconografia, che nella resa
dei dettagli. Soltanto nella stipe di Ghiaccio Forte, 65 dove sono associati quattro bronzetti di
bovini con statuette di analogo soggetto in terracotta è possibile cogliere, dietro alle
61
Comella 1981, pp. 765-766.
62
Santuari d’Etruria 1985, p. 24. Vd. anche Cristofani 1977, p. 4, per l’importanza del valore in metallo
dell’offerta votiva in ambito etrusco-settentrionale.
63
Per le statuetta fittili di animali si veda Söderlind 2004, con bibliografia, di cui si è utilizzato qui anche
l’elenco dei siti che ne hanno restituiti.
64
Cristofani 1985, pp. 35-41 [E. Formigli].
65
Vd. infra, parte I, cat. 31.
27
rappresentazioni di animali realizzate nei diversi materiali, una tradizione comune. In
questo caso tuttavia, è la produzione fittile a perdere, per così dire, la propria identità, per
mutuare dalla produzione bronzistica, evidentemente sentita come di livello più elevato, sia
i procedimenti tecnici – abbandonando quello a stampo per la modellazione a mano e a
stecca – sia gli elementi formali.
L’analisi della distribuzione reciproca delle rappresentazioni di animali in terracotta
e in bronzo nei contesti votivi etruschi di epoca ellenistica (fig. 8), indica una distinzione
areale piuttosto netta. Le rappresentazioni fittili appaiono capillarmente diffuse in ambito
laziale, sabino, romano, falisco-capenate, sino ad investire le città dell’Etruria meridionale:
Veio, Caere, Tarquinia. Il territorio vulcente funziona come una sorta di zona di transizione,
in cui sono presenti entrambi i tipi di evidenze, anche se generalmente in contesti diversi:
dei diversi luoghi di culto raccolti da M. Söderlind, solo le stipi del Cavone di Sovana e
quella del Ghiaccio Forte a Scansano hanno restituito sia statuette fittili di bovini che
bronzetti dal medesimo soggetto.66 Se dal territorio vulcente si passa poco più a est, nel
territorio orvietano, si nota come le attestazioni di statuette fittili cessino di fatto, ed esse
non si riscontrano nei territori a nord della fascia che dalla valle dell’Ombrone, attraverso le
pendici del monte Amiata, giunge al lago di Bolsena e ad Orvieto.
Oltre alla differenza nella distribuzione, esiste anche un percettibile scarto
cronologico fra la produzione in bronzo, che sembra interrompersi con il III secolo a.C., e
quella in terracotta, che prosegue fin nel II secolo a.C. nelle stipi di Tessennano, Ghiaccio
Forte,67 Pantano di Pitigliano,68 Fonte Buia di Saturnia,69 Pianmiano.70 Queste diverse
tipologie di offerte, che come si è visto appartengono dunque a due ben distinte tradizioni
culturali, rispecchiano un profondo mutamento intervenuto nelle pratiche devozionali con
l’estendersi ed il consolidarsi del controllo romano nell’Etruria meridionale. Per quanto la
prospettiva che qui se ne può dare sia inevitabilmente parziale e limitata alle sole figurazioni
zoomorfe, e rappresenti forse solo una suggestione, è forse significativo l’addensarsi della
distribuzione dei bronzetti votivi zoomorfi, precedentemente ben più diffusi in aree più
settentrionali dell’Etruria, proprio nelle aree a ridosso al limite di diffusione dei votivi fittili,
66
Vd. infra, parte I, rispettivamente catt. 33 e 31.
67
Vd. infra, parte I, rispettivamente catt. 39 e 31.
68
Pellegrini, Rafanelli 2007.
69
Rendini 2009.
70
Söderlind 2004, p. 289, n. 16.
28
quasi un tentativo di resistenza opposto all’incalzare di una nuova cultura apportatrice di
modi diversi di praticare il sacro.71
Resta infine da considerare la diffusione di un’ultima categoria di votivi zoomorfi,
quelli prodotti in piombo, e la loro relazione con i corrispondenti votivi in bronzo. 72 A
differenza di quanto accade in Grecia, dove dall’epoca arcaica fino al tardo ellenismo sono
documentate diverse classi di offerte votive realizzate in questo materiale, carico di
significati ambivalenti e talvolta contrastanti, fra cui alcune serie di statuette rappresentanti
kouroi e korai, ma anche diverse specie di animali, in Etruria le attestazioni note di statuette
votive in piombo si limitano a soli otto esemplari, di cui due sono figure zoomorfe. Si tratta
di una statuetta di cinghiale da Populonia, e di una statuetta di cavallo da Pila nel territorio
perugino. In generale, la scelta di questo materiale per la realizzazione di statuette votive,
rarissima, appare legata a particolari esigenze di culto. Nel caso della statuetta populoniese,
la sua presenza può essere connessa anche al tradizionale legame di Populonia con la
lavorazione dei metalli, fra cui il piombo, mentre per quanto riguarda il piccolo cavallo dai
dintorni di Perugia, zona che ha restituito almeno un’altra statuetta in piombo di offerente
maschile, è possibile pensare ad una influenza del vicino distretto umbro, che utilizza invece
il piombo con una certa frequenza per la realizzazione di diversi tipi di oggetti votivi. Se
questa influenza appare innegabile, dal punto di vista stilistico la statuetta da Pila trova uno
stringente confronto con il cavallo in bronzo dalla stipe di Radicofani, 73 inserendosi
compiutamente nel quadro sopra delineato per la bronzistica votiva zoomorfa, in cui il
distretto perugino, che risente fortemente dell’influsso umbro, e quello chiusino appaiono
accomunati da una medesima temperie culturale.
71
Vd. Mansuelli 1988, in particolare pp. 41-49 e 111-132.
72
Sull’argomento vd. ora Arbeid c.d.s.
73
Vd. infra, parte I, cat. 30.
29
Catalogo
Etruria propria
1. Gallicano (Lucca)
Stipe votiva della Grotta di Castelvenere *
La Grotta di Castelvenere, posta a circa 650 metri di altitudine sul versante interno
delle Alpi Apuane, ha restituito tracce di frequentazione a scopo cultuale dall’Eneolitico
fino all’età imperiale.74 Le scarse tracce riferibili all’epoca etrusca, databili nel corso
dell’arcaismo, consistono in una serie di bronzetti di devoti di tipo schematico, che trovano
confronti nell’Etruria centro-settentrionale e nell’area padana, in un bronzetto di canide in
corsa, e in un lotto di ceramiche attiche figurate, composto esclusivamente di vasi di forma
aperta, da riferire probabilmente a rituali di libagione svolti all’interno della grotta, associati
con sacrifici cruenti testimoniati dalle evidenze osteologiche: fra gli animali documentati
sono presenti in modo preponderante specie appartenenti alla terna sacrificale, composta
da bovini, suini e ovini, ma anche alcuni esemplari di cervidi e volatili.
I pochi dati disponibili e la genericità delle offerte non consentono di determinare
con sicurezza il culto praticato nella cavità sotterranea, che doveva tuttavia essere connesso,
74
Sul sito e sui culti ivi praticati vd. A. Maggiani in Santuari d’Etruria 1985, p. 170 (con bibliografia
precedente), Romualdi 1989-1990, p. 632, n. 1.1., e più di recente Maggiani 1999, pp. 197-199, e Chellini 2002,
pp. 34-36. Un cursorio cenno è in Cagianelli 1999, p. 15, e in ThesCRA I, s.v. Sacrifices, Etr. [L. Donati, S.
Rafanelli], p. 145.
30
con tutta probabilità, alla presenza di una sorgente all’interno della grotta, le cui acque,
anche oggi, vanno a formare un ruscello che proprio dalla grotta fuoriesce.
Il bronzetto zoomorfo rinvenuto fra i materiali restituiti dalla grotta rappresenta un
piccolo canide slanciato nella corsa, da ritenere con tutta evidenza elemento decorativo di
un oggetto in bronzo di maggiori dimensioni, che A. Maggiani propone di identificare con
uno specchio del tipo a cariatide di fabbrica nord-peloponnesiaca. 75 Se non possono esserci
dubbi sull’originaria funzione decorativa del pezzo, che non trova riscontri nell’iconografia
documentata dalla bronzistica votiva a figura animale di ambito etrusco, l’assenza di
qualsiasi traccia dell’oggetto cui il bronzetto doveva essere pertinente non consente di
stabilire se esso sia arrivato nella grotta ancora associato con esso, oppure se sia stato
dedicato come statuetta indipendente, per il motivo iconografico rappresentato e per i
significati ad esso associati.
Il cane e il lupo sono strettamente legati, sia nel mondo greco che in quello italico,
alla sfera ctonia e funeraria;76 la presenza di questo bronzetto, insieme all’evidenza di una
coppa attica a figure rosse con la rappresentazione dell’eroe Lykos, inducono A. Maggiani a
ipotizzare che il culto attestato nella grotta sia riferibile al dio Śuri, venerato sul Monte
Soratte proprio in associazione con il lupo. 77 Un’ipotesi diversa, proposta di recente, vede
invece nel bronzetto in questione una espressione della religiosità propria del mondo
pastorale, in cui il cane aveva una funzione fondamentale nel controllo e nella gestione delle
greggi, e in quanto tale poteva essere fatto oggetto di sacrifici. 78
1.1 Canide *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Altezza 2,1 cm; lunghezza 5 cm.
Il bronzetto rappresenta un canide dalle forme snelle e slanciate, con il corpo allungato nella corsa e
le zampe unite due a due. Il muso, conico e appuntito, non reca dettagli incisi, con l ’eccezione
75
Vd. Maggiani 1999, pp. 198-199; contra Cagianelli 1999, p. 15, e nota 70. Un esemplare del tutto analogo è
conservato nelle collezioni dell’Accademia Etrusca di Cortona, vd. Cagianelli 1991-1992, pp. 111-112, n. 135,
con ulteriori confronti.
76
Assai ampia la bibliografia sull’argomento, per cui vd. Bevan 1986, pp. 115-127 (con bibliografia), per il
mondo greco; ThesCRA I, s.v. Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], pp. 145-147 (con bibliografia), per il
mondo etrusco. Vd. anche Bruni 2005, pp. 22-23, con bibliografia.
77
Maggiani 1999, pp. 198-199. Per Śuri si veda il recente contributo di Colonna 2009, cui si rimanda anche per
la bibliografia precedente.
78
ThesCRA I, s.v. Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], p. 145.
31
della bocca, segnata da una profonda intaccatura. Gli orecchi, di forma triangolare, sono
abbassate e rivolte indietro.
Metà del V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Santuari d’Etruria 1985, p. 170 (con bibliografia precedente) [A. Maggiani];
Maggiani 1999, pp. 198-199, fig. 14.5; Chellini 2002, pp. 35-36.
2. Fiesole (Firenze)
Stipe del tempio etrusco
Durante gli scavi condotti nel 1955 da Guglielmo Maetzke nell’area del tempio
etrusco di Fiesole si rinvennero, nella cella e in misura minore nel pronaos, alcuni materiali
interpretati fin da subito come i resti di una stipe votiva dispersa di epoca ellenistica, 79 fra
cui erano presenti monete di Cales, teste votive in terracotta, generiche statuette di devoti e
offerenti, un ex voto anatomico in bronzo rappresentante una gamba umana e un
bronzetto rappresentante una piccola civetta.80 L’insieme dei materiali restituiti dalla stipe
consente di circoscrivere la datazione del deposito al III secolo a.C.81
Il bronzetto di civetta, da considerare con certezza un oggetto votivo per la
presenza di un tenone al di sotto delle zampe e per la particolare conformazione di
quest’ultimo, che non consentirebbe il fissaggio dell’oggetto ad un utensile o ad un
contenitore bronzeo, è un prodotto di livello superiore rispetto alla grande maggioranza dei
votivi zoomorfi di produzione etrusca, caratterizzato da una notevole cura per la resa dei
dettagli caratterizzanti l’animale rappresentato, fra cui spicca il piumaggio del petto e delle
ali, realizzato a freddo ad incisione.
In mancanza di dati più precisi riguardo al culto officiato nel tempio, si è ipotizzata,
proprio partendo dalla presenza della civetta in bronzo, 82 una pertinenza del santuario al
culto di Menerva, venerata sotto un aspetto salutare, vista la compresenza del votivo
79
Sugli scavi del 1955 nell’area del tempio di Fiesole vd. Maetzke 1955-1956; Romualdi 1989-1990, p. 635, n.
9.7; Cagianelli 1995-1996. Una recente sintesi sui culti di Fiesole etrusca, cui si rimanda anche per la
bibliografia precedente, è in Bruni 2008, pp. 297-307.
80
Maetzke 1955-1956, pp. 236-240; Bentz 1992, pp. 52-53; Bruni 1994, p. 61, nota 28; Cagianelli 1995-1996.
81
Per la fase arcaica del santuario si veda Bruni 1994, in particolare pp. 54-61.
82
Sul rapporto fra Athena e la civetta, vd. Bevan 1986, pp. 33-35, con bibliografia.
32
anatomico, che è noto in Etruria anche a Veio nel santuario del Portonaccio, 83 ma è
documentato soprattutto in Grecia, dove è attestato il culto di Athena Yghieia o Paionìa, e
a Roma, dove nella regione V della suddivisione augustea della città era presente un tempio
dedicato a Minerva Medica,84 cui viene attribuita, anche se non in modo definitivo, la
pertinenza di una stipe scoperta nel 1887 che ha restituito, fra gli altri materiali, numerosi ex
voto anatomici.85
3. Fiesole (Firenze)
Rinvenimento isolato in località Campo di San Pierino
Dalla località detta Campo di San Pierino, situata a valle delle mura urbiche etrusche
di Fiesole sul versante del Mugnone, proviene un bronzetto votivo rappresentante un
cavallo in atto di camminare, acquistato dal Museo Civico di Fiesole nel 1913. L’assenza di
ulteriori dati riguardanti il contesto di ritrovamento ed eventuali altri materiali presenti in
associazione con il bronzetto non permette di formulare ipotesi sulla presenza di un
santuario o di un luogo di culto, sul tipo di culto cui l’oggetto doveva essere pertinente o
sulla divinità cui era stato dedicato.
83
Per Veio si vedano Stefani 1930; Nogara 1930; Giglioli 1930; Banti 1943, pp. 194-195. Una trattazione
generica di Menerva in Pfiggig 1975, pp. 255-258. Altre informazioni in Bentz 1992, pp. 197-199. Per il ruolo
di Menerva nel novero delle divinità legate al sortilegium vd. ThesCRA, III, Divination, Etr. [A. Maggiani], p. 73.
Per il legame di Menerva con i culti delle acque vd. di recente Cerchiai 2002, p. 36.
84
Gatti Lo Guzzo 1978, passim, con catalogo dei materiali pertinenti alla stipe, storia degli studi e trattazione
della problematica dell’appartenenza o meno del deposito al tempio menzionato nei cataloghi regionari.
85
È degno di nota il fatto che, fra le numerose rappresentazioni fittili di animali presenti fra i materiali della
stipe, siano del tutto assenti rappresentazioni di civette. Gatti Lo Guzzo 1978, pp. 140-142.
33
3.1 Cavallo (= parte II, cat. D.VIII.3)
Fiesole, Museo Civico Archeologico.
Inv. 553.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Galli 1914, p. 118, n. 553; De Agostino 1949, p. 44, fig. 37; Bruni 1998, p. 76,
nota 43.
4. Impruneta (Firenze)
Luogo di culto nell’area della Pieve di Santa Maria
34
offerenti maschili e femminili, fra cui spicca una statuetta femminile con serpente nella
mano destra.91 Per quanto del tutto ipotetico, sarebbe suggestivo ricondurre anche questo
ritrovamento di piccoli bronzi al medesimo luogo di culto nell’area della pieve.
I dati disponibili restituiscono in filigrana un culto delle acque fortemente
connotato in senso ctonio, legato con certezza a Hercle, forse associato con altre divinità.
In questo quadro, si inseriscono agevolmente e acquisiscono assoluta pregnanza sia la
statuetta a figura umana con serpente rinvenuta nel 1893, 92 sia i serpenti in bronzo scoperti
nel Settecento, che documentano, per quanto successivamente dispersi, un motivo
iconografico estremamente raro nella bronzistica votiva etrusca a figura animale. 93
Nel maggio del 1838 il rinvenimento fortuito di una statuetta bronzea di Hercle alta
circa 20 centimetri presso un piccolo lago alimentato da una polla sotterranea, situato sul
Monte Falterona a non molta distanza dalle sorgenti dell’Arno, suscitò tanto scalpore da
indurre un gruppo composto da abitanti di Stia, il centro abitato più vicino al luogo del
ritrovamento, ad organizzare una società con lo scopo di effettuare scavi ulteriori, che si
conclusero, dopo un iniziale periodo di grande entusiasmo ed un successivo andamento
altalenante, circa un anno dopo.94
Le ricerche, condotte senza alcuna metodologia e senza registrare dati riguardanti il
contento indagato, portarono al rinvenimento di uno straordinario complesso, composto
da oltre 600 statue di bronzo tra figure umane intere, mezzi busti, teste, mani, braccia,
gambe, piedi, mammelle, occhi e immagini di animali, fra cui le cronache contemporanee
91
Bentz 1992, pp. 21-23, nn. D1-D5.
92
Sulle statuette votive rappresentanti devote o divinità con serpenti vd. da ultimo Cagianelli 1999, pp. 217-
223. Non credo possa trovare seguito l’interpretazione, proposta da E.H. Richardson, che vede negli animali
rappresentati in questi bronzi votivi non serpenti, ma anguille, vd. Richardson 1998, in particolare pp. 27-34.
93
Vd. infra, parte I cat. 13 e 37, parte II cat. G.I.1.
94
La letteratura riguardante il complesso del Monte Falterona è ormai assai ampia, senza alcuna pretesa di
completezza vd. Fortuna, Giovannoni 1975 (con bibliografia precedente); cenno in Santuari d’Etruria 1985, p.
160; Cristofani 1985, pp. 253-254; Romualdi 1989-1990, p. 637, n. 12.1.; Maggiani 1999, p. 190; Chellini 2002,
pp. 189-193; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n. 353. Di recente, alle ricerche nel sito del
Lago degli Idoli è stata dedicata una giornata di studi, i cui atti sono editi in Borchi 2007, cui si rimanda.
35
agli scavi ricordano buoi, capre, pecore, cavalli. Oltre alle statuette, si rinvennero circa 2000
punte di freccia, pezzi di aste, coltelli e spade, grandi catene, fibule; pezzi di aes rude e
monete, fra cui una etrusca della serie fusa con ruota/anfora e monete romane
repubblicane e una notevole quantità di frammenti ceramici.
Le vicende successive al ritrovamento, con l’offerta per l’acquisto al governo
granducale, nella persona dell’antiquario A.M. Migliarini, ed il rifiuto ad esso, portarono
dapprima alla vendita del complesso, nella sua interezza, ad un anonimo. Il 9 dicembre 1842
i materiali vennero esposti a Roma presso i locali dell’Istituto di Corrispondenza
Archeologica. È questa l’ultima notizia riguardante la stipe prima della dispersione, che
condusse i pezzi di maggior pregio in istituti museali europei e americani, nei cui inventari
figurano acquistati presso antiquari romani, in contatto con l’Istituto ed in particolare con il
suo segretario Emil Braun. Ricerche volte ad identificare i pezzi associabili alla stipe sono
giunte ad identificare un numero esiguo di pezzi: sette bronzetti sono attualmente
conservati al British Museum, cinque al Louvre, uno nella Walters Art Gallery di Baltimora,
una lamina alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
Purtroppo nessuno dei numerosi bronzetti a figura animale che dovevano essere
presenti nella stipe è stato identificato. Di essi si può solo notare che le specie animali
rappresentate erano piuttosto varie: una lettera di Ambrogio Bini, ministro dei fratelli Beni,
che facevano parte della società volta al recupero del complesso, al Direttore della Regia
Galleria di Firenze menziona «figure di capre, pecore, cavalli»95, mentre il rendiconto dello
scavo di Migliarini al Direttore del medesimo ente cita «un bue, lungo soldi 4½, e altri
animali dello stesso genere, di minor lunghezza» 96.
Scavi successivi condotti dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana
nel 1972, sotto la direzione di F. Nicosia, con lo scopo di frenare il proliferare di scavi
clandestini nell’area, e negli anni 2003-2006, non hanno consentito di rinvenire resti di
strutture collegabili alla stipe, e neppure di acquisire dati rilevanti circa la natura del
complesso e del culto ad esso collegato, pur consentendo di recuperare un cospicuo lotto di
bronzetti, rinvenuti ancora in situ, e di altri materiali pertinenti alla stipe scoperta
nell’Ottocento, fra cui lamine in oro decorate, ceramiche miniaturistiche, monete e armi. 97
95
Fortuna, Giovannoni 1975, p. 50-51, documento n. II.
96
Fortuna, Giovannoni 1975, p. 56, documento n. VII.
97
Per i materiali bronzei rinvenuti nei recenti scavi al Lago degli Idoli, vd. i recenti contributi di F. Fedeli, in
Borchi 2007, pp. 40-55 e R. Settesoldi, ibidem, pp. 56-70.
36
In particolare, gli scavi più recenti hanno portato alla luce un piccolo gruppo di bronzetti
zoomorfi, che compensano in parte la perdita degli altri materiali di questo tipo rinvenuti
negli scavi ottocenteschi.98
I dati attualmente a disposizione consentono di ipotizzare un culto a cielo aperto, i
cui atti rituali dovevano svolgersi in prossimità delle sponde del laghetto, dove i
numerosissimi bronzetti documentati dalla stipe dovevano essere disposti, visto che non se
ne è quasi trovata traccia al centro dello specchio d’acqua. La frequentazione del luogo
appare documentata nell’arco di tempo compreso fra il periodo arcaico e l’età romana
imperiale.
Per quanto riguarda la valutazione generale della stipe e del culto cui doveva essere
collegata, emergono elementi vari e non riconducibili ad un unico aspetto cultuale. Se da
una parte gli ex-voto anatomici fanno propendere per un culto legato ai poteri curativi delle
acque, la presenza dei guerrieri, della statuetta rappresentante Hercle e di numerosi resti di
armi manifestano sfumature del culto legate alla guerra, ed in questo senso potrebbero
indirizzare anche le rappresentazioni di cavalli. Le statuette rappresentanti animali
domestici sono stati ricondotti a culti agro-pastorali connessi ai percorsi della transumanza
che legavano il versante tirrenico con quello adriatico e rimasti in uso fino a tempi recenti.
L’aspetto prevalente tuttavia, e a cui gli altri potrebbero essere legati, è forse rappresentato
dal culto delle acque, i cui poteri curativi sembrano comprovati dalle analisi scientifiche che
hanno rivelato la presenza di creosoto, sostanza con proprietà caustiche presente nel legno
di faggio, di cui molti tronchi furono rinvenuti sul fondo del laghetto. È forse a queste
proprietà delle acque che può collegarsi la frequentazione del sito da parte di pastori e
uomini impegnati in attività belliche.99
98
Vd. di seguito, catt. 5.1-4; di questi bronzetti, solo il primo è stato inserito nel catalogo tipologico; degli altri,
molto frammentari o inediti, non si è potuto tenere conto.
99
Fedeli 2001, p. 89.
37
5.2 Incerto
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 254642.
Neg. fot. S.B.A.T. n° 24155.
Dal Lago degli Idoli, scavi 2004-2005.
Bibliografia specifica: L. Fedeli in Borchi 2007, p. 53 fig. 36.
5.3 Incerto
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. s.n.
Dal Lago degli Idoli, scavi 2004-2005.
Inedito.
5.4 Incerto
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. s.n.
Dal Lago degli Idoli, scavi 2004-2005.
Inedito.
6. Arezzo
Stipe della Fonte Veneziana
La notizia della scoperta, nel marzo del 1869, di una stipe votiva al di fuori delle
mura etrusche di Arezzo viene data da G.F. Gamurrini nel Bollettino dell’Istituto di
Corrispondenza archeologica dell’aprile 1869, in cui vengono enumerati brevemente gli oggetti
ritrovati, consistenti in 180 idoli di bronzo, pietre incise, vasi neri graffiti, aes rude.100 In un
articolo su La provincia di Arezzo del 27 giugno dello stesso anno, privo di firma ma
attribuito allo stesso Gamurrini,101 si descrive invece, in modo altrettanto conciso, il
contesto del rinvenimento, avvenuto fra grossi muri di pietra a secco.
Purtroppo il luogo stesso del ritrovamento è indicato in modo vago, come situato
fuori dalla porta cittadina che fino al Medioevo aveva mantenuto il nome di Porta
100
Bocci Pacini 1980, pp. 73 sg.
101
Lazzeri 1927, p. 113.
38
Augurata, e presso una fonte chiamata Fonte Veneziana, che nel Medioevo portava il nome
della famiglia che risiedeva ed aveva possessi in quella zona, i Guinizzelli. Nonostante il
fatto che il Gamurrini si adoperasse per impedire lo smembramento del complesso, i
reperti vennero dispersi attraverso le maglie del mercato antiquario. Tuttavia una serie di
tavole, facenti parte delle Carte Gamurrini, conservate attualmente nel Museo Archeologico
Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate» ad Arezzo, e pubblicate per la prima volta da C. Lazzeri
nel 1927, documentano alcuni dei reperti più rappresentativi. Sulla base di questi disegni e
delle relazioni di scavo il Lazzeri era già in grado di rendere conto della composizione del
deposito: idoli maschili e femminili, statuette di terracotta, di pietra, di bronzo e di cristallo,
monili d’oro e d’argento, pietre incise con simboli orientali, animali, ex-voto anatomici
(mani, gambe, busti), vasi, fra cui bucchero e due vasi «dipinti alla greca maniera», grande
quantità di aes rude. La mancanza di sigillata e di monete spingeva inoltre il Lazzeri ad
escludere non solo una frequentazione in epoca romana, ma anche posteriormente al V
secolo a.C.102
Le ricerche di P. Bocci Pacini hanno permesso di identificare alcuni degli oggetti
rappresentati nelle collezioni del Museo Archeologico di Firenze. 103 L’analisi stilistica dei
pezzi identificati ha permesso un affinamento della cronologia del deposito fra il 530 ed il
480 a.C. Fra di essi, oltre a bronzetti raffiguranti offerenti femminili e maschili e ad ex voto
anatomici, sono presenti due bronzetti raffiguranti un cinghiale ed un gallo. Recentemente
P. Zamarchi Grassi ha attribuito alla stipe anche un secondo bronzetto di gallo, attualmente
conservato nelle collezioni del Museo Archeologico di Arezzo, che faceva parte della
Collezione Funghini.104
Se il bel bronzetto di cinghiale può essere considerato un oggetto specificamente
realizzato come una statuetta votiva a se stante, i due bronzetti rappresentanti figure di
gallo attribuibili alla stipe sono da considerare terminali di candelabro, conservatisi
indipendentemente dagli oggetti cui originariamente erano pertinenti. 105
102
Lazzeri 1927, pp. 115-116.
103
Bocci Pacini 1975, Bocci Pacini 1980, Bocci Pacini 1984. Per la stipe della Fonte Veneziana si vedano
anche: Santuari d’Etruria 1985, pp. 174-178; Cristofani 1985, pp. 250-253; Romualdi 1989-1990, p. 639, n.
14.8.; Zamarchi Grassi 2001, pp. 111-129; Chellini 2002, pp. 53-54. Un recente riesame di alcuni dei bronzi
attribuiti alla stipe è in Bruni 2009, pp. 89-92. Vd. anche ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 369,
n. 348.
104
Zamarchi Grassi 2001, p. 128. Per la collezione Funghini si veda ora Scarpellini 2001.
105
Vd. Hostetter 1986, pl. 73, n.68b-c, p. 203, nn. 27-30. In particolare, il galletto della Collezione Funghini si
39
La perdita di gran parte degli oggetti del deposito, che potrebbero essere confluiti
in parte nelle collezioni del Museo Archeologico Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate» ma
non sono ad oggi identificabili, rende estremamente difficile definire con maggiore
chiarezza a quale culto si riferisse il deposito. Molti interrogativi sono inoltre tuttora aperti
riguardo alla stipe e alla natura stessa del culto cui doveva essere pertinente il deposito. P.
Bocci Pacini e P. Zamarchi Grassi propendono per una connessione con un culto delle
acque, verso cui sembrano indirizzare i votivi anatomici, aspetto cultuale che è
documentato almeno in età romana in stretta connessione con la Fonte Veneziana. 106 Altri
autori, fra cui C. Lazzeri e M. Cristofani, trovano invece maggiormente suggestiva la
relazione del deposito votivo con la Porta Augurata, il cui nome viene connesso con i riti di
fondazione della città antica.107
6.2 Gallo *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 544.
Seconda metà del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Lazzeri 1927, tav. VIII; Cristofani 1985, p. 253, n. 3.25, fig. 3.25; Santuari
d’Etruria 1985, p. 177, n. 10.2.21, fig. 10.2.21; Zamarchi Grassi 2001, p. 126, n. 33; Camporeale
2009, p. 60, tav. VI d.
confronta con un bronzetto conservato nelle collezioni del Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona:
Cagianelli 1991-1992, p. 111, n. 134.
106
Bocci Pacini, p. 85 sg.; Zamarchi Grassi 2001, pp. 116-117.
107
Lazzeri 1927; Cristofani 1985, pp. 250-251, in cui si fa notare che la Fonte Veneziana non appare
sufficientemente vicina al luogo del ritrovamento per far pensare ad una associazione. Più di recente sulla
stipe vd. Chellini 2002, pp. 53-54, e per i bronzetti in essa rinvenuti Bruni 2009a, pp. 90-92.
40
6.3 Gallo *
Arezzo, Museo Archeologico Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate».
Inv. 2 Collezione Funghini.
Seconda metà del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Scarpellini Testi 1979-1980, p. 126, n. 7; Zamarchi Grassi 2001, p. 128, n.43.
7. Arezzo
Stipe presso Porta San Lorentino
Scoperta nel 1553 fuori dalle mura di Arezzo presso Porta S. Lorentino, la stipe è
famosa soprattutto per aver restituito il grande bronzo della Chimera. 108 Tuttavia, fonti
archivistiche riportano notizia della presenza di numerosi altri bronzetti a figura umana e
animale, che devono essere confluiti nelle raccolte granducali dopo essere stati trasportati a
Firenze, e che quindi dovrebbero trovarsi attualmente nelle collezioni del Museo
Archeologico Nazionale di Firenze. Uno studio mirato al riconoscimento di questi materiali
ha consentito di identificare solo alcuni bronzi, fra cui un superbo bronzetto
rappresentante un giovane con phiale nella mano destra, una statuetta di Tinia ed una di
grifo.109
Tra gli animali, si segnalavano un cavallo alto un piede, altri quadrupedi e statuette
rappresentanti uccelli.110 L’unico pezzo di cui sarebbe possibile l’identificazione è il cavallo,
che aveva dimensioni ragguardevoli (un piede, equivalente a circa trenta centimetri) rispetto
alla maggior parte dei bronzi votivi zoomorfi e che quindi dovrebbe spiccare nel complesso
dei bronzi di questa classe. Tuttavia, non si trova traccia negli inventari delle collezioni
medicee di un bronzo di cavallo di queste dimensioni.
I dati disponibili, fra cui l’iscrizione tinscvil sulla zampa destra della Chimera, e il
bronzetto di Tinia sopra menzionato, consentono di collegare il deposito votivo con un
santuario del dio, attivo per lo meno fra il IV ed il III secolo a.C.
108
Per la Chimera ed il suo contesto di rinvenimento, si rimanda al recente contributo di A. Maggiani:
Maggiani 2009, con bibliografia; vd. anche Zaccagnino 2010, pp. 34-38.
109
Maggiani 2001, pp. 60-61, in cui sono riportate le fonti archivistiche relative ai materiali della stipe; più di
recente Maggiani 2009, pp. 120-122.
110
Maggiani 2009, pp. 120-122, con bibliografia.
41
8. Arezzo
Rinvenimento isolato, privo di dati di contesto
Da una località non meglio precisata presso Arezzo proviene il noto gruppo
bronzeo rappresentante due buoi aggiogati ad un aratro, scoperto nel corso del XVIII
secolo, cui è pertinente un bronzetto rappresentante un personaggio maschile vestito con
un abito di tipo sacerdotale. Il monumento rappresenta, con tutta probabilità, un’aratura
sacra, come rende evidente l’abbigliamento dell’uomo alla guida dell’aratro, e come rende
evidente la particolare cura formale con cui sono trattati i due buoi, che si differenziano
nettamente dal resto della produzione votiva zoomorfa etrusca.
Si ha notizia del rinvenimento, presso una fonte detta Fonte del Latte in località
Villaccia presso Monte S. Savino, dei resti di una stipe votiva contenente frammenti di vasi
etruschi e due statuette bronzee di mucche. 111 Secondo V. Boldi esse sarebbero state
consegnate da alcuni coloni all’archeologo A. Pasqui, fra i cui appunti si troverebbe
menzione di due bronzetti raffiguranti mucche, che egli paragona per dimensioni e stile al
gruppo dell’aratore di Arezzo.112
111
Rittatore 1938, p. 259; Cherici 1987 p. 171, n. 6; Romualdi 1989-1990, p. 640, n. 14.10. Più di recente, su
questo ritrovamento vd. Chellini 2002, p. 59.
112
Boldi 1938, p. 312.
42
Purtroppo questa nota non può bastare, in mancanza di ulteriori elementi, ad
inquadrare cronologicamente e stilisticamente i materiali relativi a questo ritrovamento, e
rimane impossibile qualsiasi considerazione più circostanziata. Tuttavia il fatto che alla
Fonte del Latte venissero attribuite, almeno fino all’inizio del Novecento, 113 proprietà
galattofore merita forse una riflessione ulteriore. Infatti, la presenza di votivi etruschi
raffiguranti mucche in connessione con essa non solo può apparire un singolare ed
interessante caso di persistenza culturale ma può documentare anche un significato
estremamente specifico dell’offerta di questo tipo di bronzetti zoomorfi.
Durante lavori agricoli nei terreni della Pieve di S. Maria Assunta di Cellori (odierna
Cellole) fu rinvenuta una statuetta in bronzo rappresentante un suino, apparentemente non
associata con altri materiali, in ottimo stato di conservazione, che venne inviata dalle
autorità locali a Firenze, dove venne acquistato per il Gabinetto dei Bronzi antichi della
Galleria degli Uffizi.114
Non appare possibile, vista la mancanza di dati ulteriori relativi al ritrovamento,
stabilire la natura del luogo di culto in cui il bronzetto era stato dedicato, né a quale divinità
fosse associato.
113
Boldi 1938, p. 312. Sulle fonti del latte, ampiamente documentate in epoca medievale e moderna, e
frequentate almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento, nel comprensorio aretino e nella Val di Chiana, si
veda il lavoro di V. Dini, che esplora le possibili continuità fra gli antichi culti della fertilità attestati in
prossimità di fonti o corsi d’acqua, e il culto della Madonna del Latte: Dini 1980, passim.
114
Phillips 1992.
43
11. Volterra (Pisa)
Ritrovamenti nell’ambito delle necropoli
115
Volterra, Museo Guarnacci, Inv. MG 2186 (vecchi inventari 25/2/1877). Inedito. Il dato di provenienza è
rintracciabile in un registro delle accessioni al Museo conservato presso la Biblioteca del Museo Guarnacci,
Volterra, Registro dei donativi ed acquisti fatti al Pubblico Museo Guarnacci dall’anno 1731 all’anno 1899 , c. 46.
Rinvenuto dall’ingegnere Giovanni Maino. Il bronzetto appartiene ad una serie assai diffusa, rappresentante
canidi accovacciati con il muso rivolto verso l’alto, le zampe unite due a due – le posteriori al di sotto del
corpo in posizione accovacciata, le anteriori allungate di fronte – e la coda, arricciata, sopra al dorso, che
dovevano essere disposti a decorare il coperchio di ciste oppure thymiateria in bronzo, caratterizzata da una
notevole variabilità nel rendimento dei dettagli, soprattutto per quanto riguarda il pelame, reso in alcuni
esemplari con incisioni parallele, cfr., a titolo di esempio: si vedano Cagianelli 1991-1992, p. 111, n. 133, con
ulteriori confronti; Bini, Caramella, Buccioli 1995, pp. 502-503, n. 119; Il cinghiale nell’antichità 2009, p. 147, n.
IV.15. [S. Vilucchi]
116
Per il santuario della Cannicella vd. Roncalli 1994.
44
11.2 Cane (= parte II, cat. B1.II.1)
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 535.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Fiumi 1957, p. 472, n. 115; Il cinghiale nell’antichità 2009, p. 148, n. IV.16.
In una lettera del 1742 indirizzata ad A.F. Gori, il volterrano G. Guarnacci dava la
notizia del ritrovamento di una piccola stipe in località Colloreto, situata a metà strada
sull’itinerario che collega Volterra con Montecatini Val di Cecina, e quindi con una zona
mineraria di notevole importanza.117 Gli oggetti, rinvenuti durante lo scavo di alcune fosse
durante lavori agricoli, si trovavano ad una profondità di circa due braccia al di sotto una
macìa di sassi.
Il complesso comprendeva dodici idoli, fra cui «quattro belle vacchine» e otto
«uomini in varie figure» alti circa sei dita l’uno. Il Guarnacci non dava tuttavia indicazioni
riguardo al destino di questi bronzetti, che sono da considerare, ad oggi, dispersi. La
medesima lettera cita tuttavia un ritrovamento analogo avvenuto in una località non
precisata, i cui oggetti furono «dai contadini trafugati e venduti a diverse persone». Questa
osservazione potrebbe autorizzare l’ipotesi secondo cui i bronzetti della stipe di Colloreto
subirono invece una sorte diversa e confluirono, ad esempio, nella raccolta dello stesso
Guarnacci. In questo caso, pur non essendo più riconoscibili, essi si troverebbero
attualmente nella collezione di bronzi del Museo Guarnacci di Volterra. Negli archivi del
Museo non è conservato tuttavia un registro contemporaneo all’epoca del ritrovamento, e
non sono presenti indicazioni di acquisizioni che possano essere ricondotti ad oggetti
pertinenti a questa stipe.118
117
La lettera è citata per la prima volta in Fiumi 1961, p. 286 nota 88, e ripresa in Cristofani 1977, p. 4 e
Cristofani 1985, pp. 21-22; vd. anche Romualdi 1989-1990, p. 645, n. 21.1.
118
Vd. il Registro dei donativi ed acquisti fatti al Museo Guarnacci dall’anno 1731 all’anno 1899, conservato nella
Biblioteca del Museo Guarnacci di Volterra.
45
13. Saline di Volterra (Pisa)
Stipe di Casa Bianca
La scoperta, nel 1844, di alcuni bronzi etruschi presso la località Casa Bianca, fra
Volterra e Saline, attirò l’attenzione di G. Dennis, che ne diede un resoconto piuttosto
accurato nella sua opera sulle città e le necropoli d’Etruria. 119 Rinvenuta a poca profondità
in un luogo in cui non si erano mai scoperti prima oggetti antichi, la stipe consisteva in una
statuetta rappresentante Hermes/Mercurio, due figure femminili, un togato, una colomba
con lunga iscrizione, sei serpenti crestati ed un cavallo al galoppo.
Alcuni dei bronzetti appartenenti alla stipe sono stati identificati nelle collezioni del
Museo Archeologico Nazionale di Villa Giulia, e fra di essi, grazie alla presenza
dell’iscrizione, riportata integralmente dal Dennis, il bel bronzetto di uccello. Riguardo al
tipo di volatile rappresentato sussistono numerosi dubbi: mentre il Dennis parla di una
colomba, Giglioli,120 osservando che le alte zampe e la coda sono piuttosto adatte ad un
gallinaceo, ritiene inesatta questa identificazione e propende per una starna o una pernice.
Con quest’ultima ipotesi concorda anche G. Colonna. 121 Nel primo caso, l’animale
andrebbe riferito all’ambito domestico, e in particolare alla sfera femminile collegata al
culto di Afrodite,122 mentre nel secondo, trattandosi di animali selvatici, sarebbero da
ricollegare alla caccia e quindi al mondo maschile e aristocratico per eccellenza. 123
Qualsiasi sia la possibile identificazione del soggetto rappresentato, si tratta di un
votivo che, per le grandi dimensioni, il peso rilevante, dettaglio questo rilevato sia dal
Dennis124 che dal Giglioli,125 la qualità artistica, si configura come un donario di grande
prestigio. La presenza stessa dell’iscrizione, fatto estremamente raro nella bronzistica votiva
a figura animale, contribuisce ad aumentarne il valore intrinseco. Il testo dell’iscrizione
riporta una formula di dedica alla divinità, che menziona anche i nomi del dedicante e della
119
Per la stipe ed il suo ritrovamento, Cateni 1999, pp. 55-56, con bibliografia precedente.
120
Giglioli 1952-1953, p. 50.
121
Santuari d’Etruria 1985, p. 34.
122
Per il rapporto fra Afrodite e la colomba, vd. Bevan 1986, pp. 35-39, con bibliografia.
123
Per il mondo della caccia in Etruria, si veda il lavoro, ancora attuale, di G. Camporeale, Camporeale 1984,
cui si rimanda per la bibliografia precedente, in particolare pp. 128-129 per la caccia a volatili.
124
Citato in Cateni 1999, p. 55: «di metallo solido a giudicarne dal peso straordinario».
125
Giglioli 1952-1953, p. 50; nel descrivere la tecnica utilizzata, la fusione piena, egli aggiunge «e perciò
pesantissima».
46
persona a favore della quale è stata fatta la dedica: «Fel Supri dedicò a vantaggio di Vipinai
(quella) di Ulchni, a Cel Tatanu»126. Secondo G. Colonna si tratta dell’offerta fatta da un
uomo, Fel Supri, a vantaggio di una donna, Vipinai, moglie di un Ulchni. Ma, oltre alle
informazioni onomastiche, l’iscrizione ci offre il nome della divinità cui era stato dedicato
l’oggetto. Si tratta della dea Cel, individuata da G. Colonna e identificata con Ghe, di cui si
conosce un santuario presso Castiglione del Lago, sul Trasimeno, dove il nome della
divinità è accompagnato da un epiteto derivato da tata, nonna.127 Si tratta di una divinità dai
chiari connotati ctonii e inferi. Alla medesima sfera si ricollegano anche i bronzetti di
serpenti crestati rinvenuti nel medesimo contesto, e con tutta probabilità anche il bronzetto
di cavallo.
47
potrebbero essere andati dispersi nel corso dei trasferimenti subiti dalla collezione in
occasione del secondo conflitto mondiale.128
15.1 Capro *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 70792.
Altezza 22 cm; lunghezza 26 cm.
Manca la parte finale della zampa anteriore sinistra. Superficie lucida.
128
Per la collezione Chiellini, la formazione del Museo Civico e Numismatico di Livorno e le vicende
attraversate successivamente dall’istituzione si rimanda ai contributi raccolti nel catalogo della mostra Alle
origini di Livorno 2009, in particolare pp. 95-104, cui si rimanda anche per la bibliografia precedente.
129
Santuari d’Etruria 1985, p. 161-162 [A. Romualdi]; Romualdi 1989-1990, p. 647, n. 21.7.a.; Romualdi 1990.
130
Romualdi 1990.
131
Camporeale 1984, p. 188.
132
Romualdi 1990, pp. 147-151.
48
Fusione piena.
Peso 1480 g.
L’animale è rappresentato in atto di saltare: le zampe posteriori sono piegate e unite, delle anteriori,
anch’esse piegate, la destra è sollevata. Le zampe posteriori appaiono piuttosto stilizzate, sia nella
resa dei dettagli anatomici che del movimento, mentre quelle anteriori sono ben modellate. La corta
coda appuntita è piegata verso l’alto. Gli zoccoli sono modellati plasticamente. L’organo sessuale è
messo in evidenza. Il corpo, dalle proporzioni allungate, è ben modellato, così come il collo. Il muso
è rivolto indietro e verso l’alto sul lato sinistro e presenta numerosi dettagli resi con grande
attenzione descrittiva: la bocca è aperta, gli occhi sono resi ad incisione con un punto centrale, la
barba è modellata plasticamente e rifinita con una serie di incisioni verticali, le narici sono incise, le
sopracciglia, oltre ad essere modellate, sono rese con due fitte serie di tratti incisi. Le lunghe corna
appuntite e ricurve sono rivolte indietro e presentano incisioni parallele ed ondulate nella parte
iniziale; al di sotto di esse sono presenti i sottili orecchi tesi ed abbassati indietro.
510-500 a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, p. 139; Richter 1930, pl. XL; Minto 1931, p. 52; Giglioli 1935, p.
224; Pallottino – Jucker 1955, p. 72; Santuari d’Etruria 1985, p. 161, n. 9.1.; Romualdi 1990, pp. 147-
151, tav. 18; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 369, n. 349.
49
Sulla base dei dati disponibili non appare possibile avanzare ipotesi sulla natura del
culto attestato dal deposito archeologico del Poggio della Porcareccia. L’attribuzione del
culto a Śuri da parte di A. Minto sulla base dell’iscrizione sul fusto del thymiaterion in
bronzo, letta siurineś, non appare sostenibile dopo la recente correzione dell’iscrizione da
parte di A. Maggiani in nurineś.135
136
Sul ritrovamento, vd. Bettini 1997, p. 2, e ora Bocci Pacini, Marzi 2009, in particolare pp. 132-137;
Zaccagnino 2010, pp. 133-134.
50
17.1 Bovino (= parte II, cat. A.XVI.1)
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 506.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Bocci Pacini, Marzi 2009, p. 133, n. 4a, fig. 8.
137
Romualdi 1989-1990, p. 643, n. 17.3 (con bibliografia precedente).
138
Per il cervo nella bronzistica votiva etrusca, vd. Arbeid 2005, e infra, parte II, catt. C.I-C.III.
51
19. Cortona (Siena)
Rinvenimenti isolati
Il bel bronzetto di canide con dedica a Selvans Calustla conservato a Firenze nelle
collezioni del Museo Archeologico Nazionale ha una provenienza da Cortona, per quanto
non siano presenti ulteriori dati riguardanti il contesto di appartenenza del pezzo. Stessa
provenienza generica per il suino conservato attualmente a Leida e già nella collezione
Corazzi.
Nelle collezioni del Museo di Leiden nei Paesi Bassi, per il quale fu acquistato da
J.E. Humbert nella prima metà dell’Ottocento,139 è conservata una statuetta di cavallo in
139
Per il ruolo di J.E. Humbert nella formazione delle raccolte del Rijksmuseum van Oudheden di Leiden, vd.
Halbertsma 2008, in particolare pp. 31-32 per quanto riguarda l’acquisto, a Livorno, di alcuni nuclei di
antichità etrusche.
52
bronzo, fornita di una generica provenienza da Montalcino. La medesima provenienza è
documentata per un guerriero della serie Swordsman e per due offerenti femminili
conservati nella stessa collezione: per quanto del tutto ipotetico, sarebbe suggestivo pensare
che questi bronzi potessero far parte del medesimo contesto votivo.140
53
Archeologico Nazionale di Firenze, e venne inserito fra la raccolte della Sezione
Topografica. La maggior parte degli oggetti, soprattutto le ceramiche ed i pezzi più minuti
persero quasi subito i dati relativi al contesto di appartenenza. Parte della stipe venne in
seguito ricomposta da L.A. Milani, ma è solamente con la pubblicazione, nel 1981,
dell’intero complesso da parte di A. Romualdi che è stato possibile il riconoscimento della
maggior parte degli oggetti oggi attribuibili alla stipe.
Bronzetti a figura animale pertinenti alla stipe sono menzionati sia nella lettera del
signor G. Baldini al Direttore Generale dei Possessi Reali in Toscana del 5 ottobre, sia nei
resoconti redatti per i giorni successivi dall’ingegner L. Biscardi, incaricato della tenuta di
Montecchio.144 Nella prima si menzionano «un cane levriero o veltra di metallo ben pesante,
conservato perfettamente» ed «una zebra ben conservata»; mentre nei resoconti del giorno
13 ottobre e del 14 ottobre sono citati «1 cervia di bronzo», «1 cervo come sopra», «1 altro
simile», «1 giumenta come sopra», «2 lepri come sopra» ed «1 piccolo leoncino di bronzo».
Se il numero dei bronzetti ricordati nei documenti dell’epoca corrisponde con quelli che
oggi possediamo e che sappiamo provenienti dalla stipe, le interpretazioni delle specie
animali coincidono solo parzialmente con i bronzi zoomorfi attualmente connessi alla stipe.
A parte le due lepri e tre dei cinque cervidi, evidentemente ben riconoscibili, sono
menzionati un levriero, una zebra ed una giumenta, animali questi che non trovano
riscontro nei materiali della stipe. Se, da una parte, è possibile che si tratti di errate
interpretazioni dovute con tutta probabilità allo stato dei bronzi precedente agli interventi
di restauro, non sembra di poter escludere a priori che nel complesso fossero presenti
bronzetti zoomorfi attualmente non rintracciabili.
I bronzi zoomorfi della stipe di Brolio sembrano totalmente riferibili alla
bronzistica decorativa di epoca tardo-orientalizzante e arcaica, sia per le caratteristiche
formali e stilistiche dei pezzi, la cui qualità non trova confronti nella coeva bronzistica
votiva a figura animale, sia per l’iconografia. I cinque cervidi, tre dei quali rappresentanti
cervi maschi adulti e due giovani cerbiatti, dovevano fare parte dell’apparato decorativo di
un grande recipiente bronzeo, di un tipo non noto da altri ritrovamenti e per cui non
appare possibile stabilire confronti precisi. I dettagli, incisi a freddo, relativi al muso e al
pelame degli animali, appaiono realizzati su di un solo lato, fatto questo che potrebbe
indicare l’originaria sistemazione delle figurine in modo che un unico lato fosse visibile, o
144
Romualdi 1981, D.1., D.8., D.11., pp. 55-59.
54
almeno fosse fortemente indicato come principale, ad esempio nel caso in cui essi fossero
collocati sull’orlo di un recipiente di forma aperta, quale, ad esempio, un lebete. I cervi di
Brolio rappresentano un unicum nella bronzistica etrusca, cui vengono attribuiti da A.
Romualdi, che indica come possibile area di riferimento culturale la Grecia orientale, in
particolare attraverso il confronto con un cervo bronzeo da Samo, che si data alla fine del
VII secolo a.C.145 Prive di confronti nella bronzistica etrusca, sia votiva che decorativa, sono
anche le due lepri in corsa, che appaiono concepite originariamente con una funzione
decorativa più che votiva, soprattutto vista la rappresentazione non statica, ma dinamica,
che le caratterizza, e che non appare documentata nell’ambito della bronzistica votiva
etrusca, ma anche, più in generale, in quella italica.146
La statuetta di cavallo, ben riconoscibile in base alle proporzioni del corpo, alla
presenza della criniera e alla conformazione delle zampe, nonostante la forte stilizzazione
della testa, è stata inserita da A. Romualdi, pur in assenza di confronti specifici, nel quadro
della bronzistica votiva etrusca rappresentante animali domestici, mentre secondo M.
Cristofani il tipo di base su cui insiste la statuetta induce meglio a ritenere il bronzetto
originariamente pertinente anch’esso all’apparato decorativo di un manufatto bronzeo. Non
potendo escludere, come suggerisce A. Romualdi, che la base sia stata ritagliata in antico,
questo argomento non appare essere dirimente. Il pezzo, in effetti trova confronto in una
serie di bronzetti votivi rappresentanti cavalli conservati nel Museo Archeologico Nazionale
di Arezzo, privi purtroppo di dati di provenienza ma verosimilmente da collegare ad una
produzione del comprensorio aretino o chiusino,147 cui si connette per la resa del corpo e
delle zampe, e per la presenza di dettagli incisi a freddo, soprattutto nella criniera, pur
discostandosene per proporzione e trattamento della testa, che appare estremamente
stilizzata.
Sebbene quasi tutti i bronzi a figura animale del complesso possano essere
ricondotti ad un uso primariamente decorativo, la loro presenza nel deposito merita tuttavia
attenzione. Gli animali appartenenti all’ambito della caccia, ma anche il cavallo, possono
essere ricondotti a quell’ideologia aristocratica che vede in questa attività una delle attività
caratterizzanti lo status del princeps. A questa ipotesi si accorda la presenza delle quattro
145
Romualdi 1981, p. 23; si veda E. Buschor, Altsamische Standbilder, III, 1959, p. 59, fig. 222.
146
G. Colonna, in Di Niro 1977, p. 84, n. 6: « [...] non essendo oltre tutto pensabile la posizione rampante per
una statuina votiva isolata».
147
Vd. infra, parte II, cat. D.II.
55
statuette di guerrieri, anch’essi pertinenti ad un arredo bronzeo, cui potrebbero essere stati
pertinenti anche i cervi e le lepri in bronzo, formando un oggetto di elevato prestigio
sociale.
A delineare il quadro di un deposito di carattere aristocratico contribuisce l’assenza
di bronzi di animali domestici e di votivi anatomici, comuni nei contesti di carattere agreste
i primi già dal VII secolo a.C., i secondi dal VI secolo a.C. Non appare possibile tuttavia,
viste le scarse informazioni disponibili relativamente al contesto di provenienza, aggiungere
ulteriori dati riguardo al tipo di culto cui il deposito doveva essere pertinente ed alle divinità
titolari.
21.1 Cervo *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 556.
Altezza 13,4 cm; lunghezza 14,5 cm.
Lacunosi la zampa anteriore destra, gli arti posteriori e le corna.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con le zampe sinistre avanzate rispetto alle destre.
Sia le zampe anteriori che le zampe posteriori, sottili ed allungate, sono diritte e rigide, ma realizzate
con attenzione per i dettagli dell’anatomia: la parte superiore appare ingrossata rispetto a quella
inferiore, gli zoccoli resi plasticamente; le zampe posteriori hanno una delle articolazioni in
evidenza. Il corpo è di proporzioni allungate, di forma cilindrica. La corta coda appuntita non
aderisce alle zampe posteriori. Il lungo collo è ben eretto, il muso rivolto in avanti ha la bocca resa
con un solco e gli occhi e le narici sottolineati da incisioni. Delle corna si conserva solo un palco; al
di sotto di esse si trovano i piccoli orecchi allungati, paralleli rispetto al suolo. Numerosi dettagli
sono realizzati ad incisione: il profilo delle spalle e delle cosce, il mantello reso da fitte impressioni a
forma di squama su tutto il corpo eccetto nella parte inferiore delle zampe e sul muso.
Inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, tav. LXXVIII; Romualdi 1981, p. 4, n. 4, fig. 4 a, b, c; Cristofani
1985, p. 250, n. 2. 16, fig. 2. 16; La Cortona dei principes 1992, p. 199, n. 4; MAEC 2005, p. 301, n.
VII,22 [L. Fiorini]; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n. 350.
21.2 Cervo *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 557.
56
Altezza 13,7 cm; lunghezza 14,8 cm.
Lacunose la zampa anteriore destra e le corna. Superficie scheggiata in alcuni punti e con numerose
piccole cavità dovute a difetto di fusione. Il corno sinistro all’altezza del secondo palco presenta
tracce di un restauro antico.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con le zampe sinistre avanzate rispetto alle destre.
Sia le zampe anteriori che le zampe posteriori, sottili ed allungate, sono diritte e rigide, ma realizzate
con attenzione per i dettagli dell’anatomia: la parte superiore appare ingrossata rispetto a quella
inferiore, gli zoccoli resi plasticamente; le zampe posteriori hanno una delle articolazioni in
evidenza. Il corpo è di proporzioni allungate, di forma cilindrica. La corta coda appuntita non
aderisce alle zampe posteriori. Il lungo collo è ben eretto, il muso rivolto in avanti ha la bocca resa
con un solco e gli occhi e le narici sottolineati da incisioni. Delle corna si conservano solo il primo
ed il secondo palco; al di sotto di esse si trovano i piccoli orecchi allungati, paralleli rispetto al suolo.
Numerosi dettagli sono realizzati ad incisione: il profilo delle spalle e delle cosce, il mantello reso da
fitte impressioni a forma di squama su tutto il corpo eccetto nella parte inferiore delle zampe e sul
muso.
Inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, tav. LXXVIII; Romualdi 1981, p. 4-5, n. 5, fig. 5 a, b, c;
Cristofani 1985, p. 250, n. 2. 17, fig. 2. 17; La Cortona dei principes 1992, p. 200, n. 5; MAEC 2005, p.
301, n. VII,23 [L. Fiorini]; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n. 350.
21.3 Cervo *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 558.
Altezza 15,1 cm; lunghezza 14,5 cm.
Lacunosi la zampa anteriore sinistra, gli arti posteriori ed il corno sinistro. Superficie con numerose
cavità dovute a difetto di fusione. Sulla zampa anteriore sinistra tracce di un restauro antico. Il
primo palco di corna presenta tracce di una probabile rilavorazione in antico.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con le zampe sinistre avanzate rispetto alle destre.
Sia le zampe anteriori che le zampe posteriori, sottili ed allungate, sono diritte e rigide, ma realizzate
con attenzione per i dettagli dell’anatomia: la parte superiore appare ingrossata rispetto a quella
inferiore, gli zoccoli resi plasticamente; le zampe posteriori hanno una delle articolazioni in
evidenza. Il corpo è di proporzioni allungate, di forma cilindrica. La corta coda appuntita non
57
aderisce alle zampe posteriori. Il lungo collo è ben eretto, il muso rivolto in avanti ha la bocca resa
con un solco e gli occhi e le narici sottolineati da incisioni. Del corno destro si conservano tre
palchi di corna, mentre del sinistro manca il terzo; al di sotto si trovano i piccoli orecchi allungati,
paralleli rispetto al suolo. Numerosi dettagli sono realizzati ad incisione: il profilo delle spalle e delle
cosce, il mantello reso da fitte impressioni a forma di squama su tutto il corpo eccetto nella parte
inferiore delle zampe e sul muso.
Inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, tav. LXXVIII; Pernier 1922, p. 491 in alto; Pallottino, Jucker
1955, p. 10, n. 32, tav. 8; Neppi Modona 1977, tav. XXV; Romualdi 1981, p. 5, n. 6, fig. 6 a, b, c;
Cristofani 1985, p. 250, n. 2. 15, fig. 2. 15; La Cortona dei principes 1992, p. 200, n. 6; MAEC 2005, pp.
301-302, n. VII,24 [L. Fiorini]; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n. 350.
21.4 Cerbiatto *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 559.
Altezza 13,4 cm; lunghezza 13,5 cm.
Privo dello zoccolo posteriore destro. Superficie con numerose piccole cavità dovute a difetti di
fusione.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con le zampe sinistre avanzate rispetto alle destre.
Sia le zampe anteriori che le zampe posteriori, sottili ed allungate, sono diritte e rigide, ma realizzate
con attenzione per i dettagli dell’anatomia: la parte superiore appare ingrossata rispetto a quella
inferiore, gli zoccoli resi plasticamente; le zampe posteriori hanno una delle articolazioni in
evidenza. Il corpo è di proporzioni allungate, di forma cilindrica. La corta coda appuntita non
aderisce alle zampe posteriori. Il lungo collo è ben eretto, il muso rivolto in avanti ha la bocca resa
con un solco e gli occhi e le narici sottolineati da incisioni. I piccoli orecchi sono allungati e disposti
parallelamente rispetto al suolo. Numerosi dettagli sono realizzati ad incisione: il profilo delle spalle
e delle cosce, il mantello reso da fitte impressioni a forma di squama su tutto il corpo eccetto nella
parte inferiore delle zampe e sul muso.
Inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, tav. LXXVIII; Pernier 1922, p. 491 in basso; Pallottino, Jucker
1955, p. 10, n. 31, tav. 8; Neppi Modona 1977, tav. XXV; Romualdi 1981, p. 5-6, n. 7, fig. 7 a, b, c;
Cristofani 1985, p. 250, n. 2. 18, fig. 2. 18; La Cortona dei principes 1992, p. 200, n. 7; MAEC 2005, p.
302, n. VII,25 [L. Fiorini]; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n. 350.
58
21.5 Cerbiatto *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 560.
Altezza 13,4 cm; lunghezza 13,5 cm.
Lacunosa la zampa posteriore destra e gli arti anteriori. Superficie porosa dovuta a difetto di
fusione.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con le zampe sinistre avanzate rispetto alle destre.
Sia le zampe anteriori che le zampe posteriori, sottili ed allungate, sono diritte e rigide, ma realizzate
con attenzione per i dettagli dell’anatomia: la parte superiore appare ingrossata rispetto a quella
inferiore, gli zoccoli resi plasticamente; le zampe posteriori hanno una delle articolazioni in
evidenza. Il corpo è di proporzioni allungate, di forma cilindrica. La corta coda appuntita non
aderisce alle zampe posteriori. Il lungo collo è ben eretto, il muso rivolto in avanti ha la bocca resa
con un solco e gli occhi e le narici sottolineati da incisioni. I piccoli orecchi sono allungati e disposti
parallelamente rispetto al suolo. Numerosi dettagli sono realizzati ad incisione: il profilo delle spalle
e delle cosce, il mantello reso da fitte impressioni a forma di squama su tutto il corpo eccetto nella
parte inferiore delle zampe e sul muso.
Inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, tav. LXXVIII; Romualdi 1981, p. 6, n. 8, fig. 8 a, b, c; Cristofani
1985, p. 250, n. 2, 19, fig. 2, 19; La Cortona dei principes 1992, p. 200, n. 8; MAEC 2005, p. 302, n.
VII,26 [L. Fiorini]; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n. 350.
21.6 Lepre *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 580.
Lunghezza 8,5 cm.
Integro.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato nell’atto della corsa, con le zampe anteriori protese in avanti e quelle
posteriori slanciate indietro. Le zampe anteriori sono leggermente piegate nella parte finale in
corrispondenza dell’articolazione del metacarpo, mentre quelle posteriori sono allungate e riunite,
ricurve verso il basso all’altezza dell’articolazione del metatarso. La breve coda è appoggiata sul
dorso. Il muso arrotondato è rivolto leggermente verso l’alto, con la bocca resa da un solco e gli
occhi incisi. Gli orecchi sono tesi ed appiattiti indietro. Il mantello è reso su tutto il corpo, eccetto
59
che sul muso, sulle zampe anteriori e sulla parte inferiore di quelle posteriori, da fitti cerchi impressi.
Inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, tav. LXXVIII; Pernier 1922, p. 490; Romualdi 1981, p. 7, n. 10,
fig. 10 a, b; Cristofani 1985, p. 250, n. 2, 20, fig. 2, 20; La Cortona dei principes 1992, p. 201, n. 10;
MAEC 2005, p. 302, n. VII,28 [L. Fiorini]; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n.
350.
21.7 Lepre *
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 581.
Lunghezza 7,5 cm.
Lacunosi gli arti inferiori.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato nell’atto della corsa, con le zampe anteriori protese in avanti e quelle
posteriori slanciate indietro. Le zampe anteriori sono leggermente piegate nella parte finale in
corrispondenza dell’articolazione del metacarpo, mentre quelle posteriori sono allungate e riunite,
ricurve verso il basso all’altezza dell’articolazione del metatarso. La breve coda è appoggiata sul
dorso. Il muso arrotondato è rivolto leggermente verso l’alto, con la bocca resa da un solco e gli
occhi incisi. Gli orecchi sono tesi ed appiattiti indietro. Il mantello è reso su tutto il corpo, eccetto
che sul muso, sulle zampe anteriori e sulla parte inferiore di quelle posteriori, da fitti cerchi impressi.
Inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, tav. LXXVIII; Pernier 1922, p. 490; Romualdi 1981, p. 7, n. 11,
fig. 11 a, b; Cristofani 1985, p. 250, n. 2. 21, fig. 2. 21; La Cortona dei principes 1992, p. 201, n. 11;
MAEC 2005, p. 302, n. VII,29 [L. Fiorini]; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n.
350.
60
22. Umbertide (Perugia)
Stipe di Monte Acuto di Umbertide
148
Per la stipe di Monte Acuto di Umbertide, vd. Cenciaioli 1991, pp. 211-213, Eadem 1996, pp. 200-202,
212-213, Eadem 1998, pp. 56-59; cenno in Cagianelli 1999, p. 15 e più di recente in Maggiani 2002, p. 273.
149
Cenciaioli 1991, p. 212; per i gruppi vd. Colonna 1970, pp. 103-105; Schippa 1979, pp. 204 sg.
61
I votivi zoomorfi sono tutti attribuibili al medesimo ambiente culturale, 150 con
l’eccezione una statuetta di suino a tutto tondo, rappresentato con una certa vivacità e con
insolita attenzione descrittiva, che si esplica in modo particolare nel dettaglio dell’inarcarsi
della schiena nell’atto di muovere il passo. Viste queste caratteristiche, che ne fanno in
verità un unicum nella bronzistica votiva, si può ipotizzare una provenienza diversa per
questo pezzo, pur nell’assenza di confronti specifici che permettano una identificazione
puntuale del luogo di produzione.
Pasticcetto di Magione è una località situata su una delle alture più rilevanti della
zona a est del Lago Trasimeno, che fin dall’antichità proprio per la sua posizione
rappresentava un punto di importanza fondamentale per il controllo della piana di Magione
e dei punti di transito fra il lago e il distretto occidentale del territorio perugino. Il terreno,
adibito a lungo ad uso agricolo, si presenta sconvolto e di difficile interpretazione
stratigrafica. Tuttavia gli scavi effettuati dalla Soprintendenza Archeologica per l’Umbria nel
1984 hanno permesso il recupero di una struttura a pianta quadrangolare, realizzata in
muratura a secco, con una parziale pavimentazione a lastre di calcare. Essa si trova ad una
notevole profondità dal piano di campagna e risulta accessibile solamente attraverso una
scaletta addossata ad una delle pareti. All’interno della struttura, in assenza di stratigrafia,
sono stati rinvenuti ex-voto in notevole quantità. L’osservazione di queste caratteristiche ha
permesso di identificare nella struttura una vasca per la raccolta di acque, probabilmente
150
Per i votivi schematici di produzione umbra a figura animale vd. Bruschetti 1987-1988, pp. 52-56, nn. 34-
51, riferiti al gruppo Esquilino, per il gruppo vd. Colonna 1970, pp. 103-105, e l’aggiornamento delle
attestazioni in Cagianelli 1999, pp. 252-253.
62
ritenute curative, in cui venivano immersi i doni votivi. L’ipotesi appare corroborata dalla
presenza sulla sommità del poggio di una sorgente perenne. Frammenti di terrecotte
architettoniche e di laterizi fanno presumere l’esistenza di un naiskos associato alla vasca. La
frequentazione del sito è databile nel periodo compreso tra il V ed III secolo a.C. in base ai
votivi ed agli elementi di decorazione architettonica, con attestazioni sporadiche fino all’età
imperiale inoltrata.151
Appare impossibile l’identificazione della divinità venerata nel santuario, vista la
mancanza di attestazioni epigrafiche e la genericità delle offerte, consistente soprattutto in
figure bronzee di essere umani o animali, con qualche esemplare di ex-voto anatomici. Si
può tuttavia ipotizzare con una certa sicurezza che si trattasse di un culto con caratteristiche
agrarie e salutari.
La maggior parte delle offerte è ascrivibile alla produzione schematica umbra, con
alcune, rarissime, eccezioni. Per quanto riguarda i votivi zoomorfi, essi risultano, a
differenza di quanto riscontrabile negli altri contesti votivi che ne hanno conservati, sia di
ambito etrusco che di ambito umbro, più numerosi dei votivi antropomorfi: dei circa 600
pezzi rinvenuti nel deposito, 240 sono bronzetti a figura umana, mentre ben 270 sono a
figura animale.152
Le specie animali sono rappresentate soprattutto da ovini e suini, con una minore
frequenza di bovini, dato forse indicativo del tipo di allevamento praticato nella zona.
Come già accennato, si tratta soprattutto di figure estremamente schematiche, in cui è
spesso difficile la stessa identificazione della specie: una produzione di scarsissimo impegno
artistico, e che diviene indiziaria di un basso livello economico e culturale della
committenza.153
Un unico bronzetto, rappresentante un bovino ed eseguito a tutto tondo, si distacca
dagli altri esemplari della bronzistica votiva a figura animale della stipe, e può essere ascritto
ad un contesto culturale diverso da quello umbro che, per quanto in assenza di confronti
puntuali, può essere riconosciuto come etrusco.
151
Sulla stipe di Pasticcetto di Magione vd. Bruschetti 1989, pp. 113-114; cenno in Cagianelli 1999, p. 15; più
di recente Maggiani 2002, pp. 278-279.
152
Bruschetti 1989b, p. 114.
153
Per i votivi schematici di produzione umbra a figura animale vd. Bruschetti 1987-1988, pp. 52-56, nn. 34-
51, riferiti al gruppo Esquilino, per il gruppo vd. Colonna 1970, pp. 103-105, e l’aggiornamento delle
attestazioni in Cagianelli 1999, pp. 252-253.
63
23.1 Bovino (= parte II, cat. A.XVI.3)
Perugia, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 86896.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Bruschetti 1989, pp. 119-120, n. 4.16, fig. 4.16.
64
24.2. Ovino (= parte II, cat. E.II.5)
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.
Inv. 912.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Monacchi 1986, p. 80, nota 32; Maggiani 2002, p. 279, fig. 17; Saioni 2003, p.
94, n. 911.
Nel 1934 venne rinvenuta nella località Colle Arsiccio, situata sulla sponda orientale
del Lago Trasimeno nel territorio perugino, un recinto di 12,5 metri per 10,9 metri con un
pozzo centrale rivestito di travertino.157
In esso fu rinvenuta, sotto uno strato di cenere, una grande quantità di materiali
votivi databili dal VI secolo a.C. all’età imperiale inoltrata, che consistono in monete, teste e
statuette in terracotta, votivi anatomici, bronzetti a figura umana e animale ed infine
ceramica.158
Nonostante il fatto che sia impossibile individuare con sicurezza la divinità venerata
nel luogo di culto, si tratta quasi certamente di una divinità legata alla sfera della maternità e
della protezione dell’infanzia, come testimoniano le numerose offerte fittili rappresentanti
bambini seduti o in fasce e le figure femminili sedute, fra le quali va segnalata una figura
che stringe con le dita un seno, gesto tipico dell’allattamento.
La presenza di pochi votivi anatomici, unita al numero elevato di rappresentazioni
di animali, induce a postulare anche caratteristiche salutari e agrarie della divinità cui era
intitolato il luogo di culto cui la stipe era pertinente.
157
Notizie sul ritrovamento e sui materiali della stipe, ancora sostanzialmente inediti, sono in Calzoni 1947;
Bentz 1992, pp. 48-49; Richardson 1998, pp. 26-27; Cagianelli 1999, p. 15; Chellini 2002, pp. 51-52; Maggiani
2002, pp. 279-282. Alcune considerazioni sul contesto di Colle Arsiccio sono state inserite da P. Bruschetti nel
contributo Relazioni viarie e collegamenti culturali lungo la direttrice del Clanis, presentato nel corso della giornata di
studi dal titolo Dai Montes Cortonenses alla Val di Chiana. Aspetti della romanizzazione nei territori di Cortona e di
Tuoro sul Trasimeno, svoltasi a Cortona nei locali del Museo dell’Accademia Etrusca il 30 settembre 2007, e di
cui non è prevista l’uscita di un volume di atti.
158
Della stipe, di cui sono stati editi resoconti solo parziali e cenni in lavori sui santuari del distretto perugino,
si attende ancora una pubblicazione integrale.
65
25.1 Ovino
Perugia, Museo Archeologico Nazionale.
Fusione piena.
Bibliografia specifica: inedito; cenno in Maggiani 2002, p. 281.
25.2. Cane
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.
Fusione piena.
Bibliografia specifica: inedito; cenno in Maggiani 2002, p. 281.
66
vicina al valico che metteva in comunicazione la Val d’Orcia con l’area di Montepulciano, la
presenza di un piccolo luogo di culto, probabilmente inserito all’interno di un insediamento
legato allo sfruttamento agricolo del territorio, e collegato con tutta evidenza con i tracciati
viari tra l’Etruria interna e la costa. Gli ex voto raccolti comprendono un bronzetto di
bovino, uno di offerente femminile, un frammento di testa femminile fittile ed infine un ex
voto anatomico rappresentante una mano.
Benché i materiali rinvenuti si concentrino principalmente nel corso dell’epoca
ellenistica, la frequentazione del sito appare documentata senza soluzione di continuità sin
dall’età arcaica. Tuttavia alcune monete rinvenute nel medesimo luogo potrebbero attestare
l’utilizzo dell’area di culto fino in età imperiale.159
In base a questi pochi dati non è stato possibile individuare con sicurezza il culto
cui gli oggetti dovevano essere pertinenti. È tuttavia probabile che esso fosse un piccolo
luogo di culto extraurbano, con un carattere rurale e legato a culti relativi alla sfera della
sanatio, e che fosse frequentato dalle comunità agricole della zona.
159
Paolucci 1992, p. 67.
67
27.2. Bovino (= parte II, cat. A.XXVIII.3)
Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca.
Inv. 1470.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Cagianelli 1992, p. 109, n. 129, tav. XXII, n. 129.
Nel 1989, nel sito del Podere Cannicci presso Civitella Paganico, durante scavi di
emergenza legati alla messa in opera di infrastrutture, si rinvennero materiali archeologici
pertinenti ad una stipe votiva di tipo etrusco-laziale-campano, 162 composta quasi
160
Romualdi 1989-1990, p. 641, n. 14.18.
161
Per le rappresentazioni di cervidi nella bronzistica votiva etrusca vd. Arbeid 2006, e infra, parte II, catt. C.I-
III.
162
La definizione tipologica delle stipi di età tardo ellenistica e repubblicana è in Comella 1981, pp. 758-766.
68
esclusivamente da votivi anatomici in terracotta, rappresentanti soprattutto uteri, ma anche
altre parti del corpo umano, quali un braccio ed una testa, nonché statuette di devote a
figura intera.163 La presenza di questi oggetti votivi, associati a frammenti di ceramica a
vernice nera, permettono di datare la fase di vita del luogo di culto cui la stipe era
pertinente dal IV fino al primo quarto del I secolo a.C.
Per quanto non sia possibile indicare il nome della o delle divinità titolari del culto, i
dati disponibili permettono di collegare la stipe di Cannicci alla sfera della riproduzione e
della fertilità femminile, con aspetti legati alla sanatio.
Nel 1898 il Museo Archeologico di Firenze acquistò dal signor Carlo Gabrielli un
lotto composto da dodici bronzetti, di cui cinque ancora infissi ciascuno sulla propria
basetta in calcare attraverso colature di piombo, 164 tre appliques di terracotta e sette monete
di epoca romana.
I materiali erano stati scoperti nei possedimenti della Marchesa Landucci presso
Radicofani e facevano parte di una stipe molto più ricca, composta, seconda una nota del
Milani da ben 92 idoli in bronzo, un bracciale, appliques di terracotta e una trentina di assi
romani onciali e alcuni trionciali.165
163
Per il contesto si vedano, oltre al cenno in Adembri 2001, i contributi di Rendini 2005, p. 289; Fabbri 2005;
Fabbri 2009.
164
Per la base dei bronzetti votivi etruschi, vd. Cagianelli 1999, pp. 13-14.
165
Archivio Storico della Soprintendenza Archeologica per la Toscana, pos. A/20, Acquisto Gabrielli 1898,
nota del 30 aprile 1898. Per la stipe e i materiali in essa rinvenuti, vd. Bentz 1992, pp. 63-68; cenno in
Cagianelli 1999, p. 15 (con errata indicazione di provenienza).
69
Il luogo del ritrovamento è stato messo in relazione da M. Bentz con resti di
strutture murarie, fra cui una costruzione di forma rettangolare in opera poligonale da
interpretare forse come vasca, situata al di sotto della fonte detta Fonte Grande. 166 Fra i
bronzetti attribuibili alla stipe, spicca un bronzetto raffigurante un cavallo, caratterizzato da
una resa accurata, pur nelle piccolissime dimensioni, del modellato del corpo e delle
proporzioni anatomiche.167
La divinità venerata nel luogo di culto cui la stipe doveva essere pertinente non può
essere identificata con sicurezza in assenza di fonti epigrafiche, tuttavia le offerte non sono
del tutto generiche, a differenza di quanto si riscontra solitamente, e permettono di
ipotizzare la pertinenza del culto a Dionysos/Fufluns, vista la presenza delle appliques a
forma di maschera, di un offerente con ghirlanda di foglie, e di una figura maschile che
tiene con entrambe le mani un mantello dietro le gambe, gesto che appartiene all’ambiente
dionisiaco, o comunque ad un culto agrario, legato alla sfera della fertilità e improntato a
forti caratteri dionisiaci.168
In questo quadro si inserisce senza difficoltà la statuetta di cavallo, che può
testimoniare sì una sfumatura agraria del culto, ma di cui è noto anche il legame con il
mondo ctonio e funerario.169 Se coglie nel segno l’ipotesi secondo la quale la stipe sarebbe
collegata con la presenza di una fonte, agli aspetti sopra sottolineati, legati al mondo di
Dionysos e alla sfera ctonia e agraria, si aggiungerebbe un collegamento con il culto delle
acque.
166
Bentz 1992, p. 63-64.
167
Il bronzetto trova confronto in una statuetta di cavallo in piombo inedito proveniente da Pila, presso
Perugia, per cui vd. Arbeid c.d.s.
168
Bentz 1992, p. 67.
169
Al riguardo vedi ora, ThesCRA, I, Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], in particolare pp. 148-149, cui si
rimanda anche per la bibliografia precedente.
70
31. Scansano (Grosseto)
Stipe di Ghiaccio Forte
71
Selvans, in base alla presenza di alcune statuette di giovani uomini stanti, nudi o seminudi,
con falcetto in mano,174 divinità legata sia al mondo vegetale e alla fertilità che al mondo
catactonio.175
Le statuette di animali attestate nel deposito, sia fra quelle realizzate in argilla che fra
quelle realizzate in bronzo, rappresentano prevalentemente bovini. In questo contesto essi
sono stati interpretati come offerte per la protezione degli animali e per la loro fertilità. 176
Questa ipotesi viene ad essere confermata dal fatto che a due dei bovini in bronzo, secondo
M. Del Chiaro177, sembra adattarsi un giogo che faceva parte della stipe, e da due gruppi in
terracotta che rappresentano vacche nell’atto di allattare i loro vitelli. Gruppi di buoi
aggiogati non sono frequenti ma documentati almeno dal gruppo dell’Aratore di Arezzo e
da una analogo gruppo, privo di indicazioni di provenienza, attualmente conservato a
Catania,178 ed erano presenti, anche se non sono oggi rintracciabili, anche nella stipe di
Bolsena.179 L’enfasi sembra posta in questi casi sull’utilizzo dell’animale come bestia da
lavoro o da allevamento. Il cinghiale riporta invece ad un ambito diverso, quello della
caccia, e la sua presenza appare difficilmente spiegabile in relazione a Selvans.
È interessante notare come, dei cinque bronzetti a figura animale della stipe, solo i
due buoi aggiogati (cat. 31.1-2) presentino caratteristiche comuni tali da essere attribuiti ad
un’unica serie, mentre gli altri bronzetti di bovidi appartengono a serie diverse e
caratterizzate da un’area di distribuzione differente. 180 È possibile quindi ipotizzare che
coloro che frequentavano il luogo di culto di Ghiaccio Forte reperissero gli ex voto da
dedicare in luoghi diversi e non presso un unico atelier che lavorava specificamente per il
santuario.
174
Del Chiaro 1976, p. 19, Bentz 1992, p. 21.
175
Chiadini 1995.
176
Santuari d’Etruria 1985, p. 157.
177
Del Chiaro 1976, p. 21.
178
Vd. infra, parte II, cat. A.XXXIV.2.
179
Vd. infra, parte I, cat. 37.
180
Vd. infra, parte II, cat. A.XXIV.
72
Bibliografia specifica: Del Chiaro 1976, p. 21, n.16, tav. V; Talocchini 1986, p. 57s., n. 29, tav. XXIII;
Del Chiaro 1999, p. 91 s., fig. 16; Firmati, Rendini 2002, p. 95; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E.
Simon et alii], p. 370, n. 352.
73
32. Scansano (Grosseto)
Rinvenimento isolato in località Pomonte
Durante scavi eseguiti da F. Merlini nel 1912 venne rinvenuta al centro della
necropoli di Sovana, allo sbocco della strada etrusca conosciuta come ‘cavone’, un’ara con
annessa favissa.182 Dei materiali rinvenuti solo diciotto pezzi, comprendenti statuette fittili
di figure maschili, femminili ed un piccolo bue, 183 oltre ad un lotto di ceramica acroma,
181
Una situazione di questo tipo è stato riscontrata nel non lontano sito di Quattro Strade, presso Pitigliano,
vd. infra, parte I, cat. 34, con bibliografia.
182
Bianchi Bandinelli 1929, p. 22 sg., 36 sg.; più di recente, i materiali superstiti pertinenti alla stipe sono stati
editi nuovamente: Barbieri 2007, in particolare pp. 42-46, con inquadramento tipologico dei votivi fittili.
183
Bianchi Bandinelli 1929, pp. 126-127, nota 32. Inv. 85225, lunghezza 1,6 cm.
74
sono pervenuti al Museo Archeologico di Firenze. Purtroppo non esiste documentazione di
scavo, tuttavia R. Bianchi Bandinelli raccolse notizie e ricordi di operai che avevano
partecipato all’operazione, secondo i quali erano presenti, oltre a votivi fittili in grandissima
quantità («visto l’ingombro e il poco utile che se ne cavava, data anche la difficoltà del
trasporto, i fittili furono tutti spezzati e ridotti a breccia per riparare il piano stradale»),
numerose figure di animali in bronzo, dei quali si è persa completamente traccia.
La scarsità dei dati a disposizione non consente di inquadrare questo luogo di culto,
e la presenza di votivi a figura animale in un contesto che, vista la posizione topografica,
sembrerebbe legato alla necropoli di Sovana.
Recenti campagne di scavo in località Quattro Strade presso Pitigliano hanno messo
in luce i resti di una domus romana la cui fase di vita può essere datata fra l’età tardo-
repubblicana e quella tardo-imperiale.
In giacitura secondaria, e quindi con tutta probabilità connessi ad una precedente
fase di vita del sito, sono stati rinvenuti materiali votivi databili fra il IV ed il III secolo a.C.
Fra di essi, oltre a frammenti di ceramica, si segnala un piede fittile ed un bronzetto,
estremamente mutilo, rappresentante un bovino, inquadrabile in un tipo di ampia
diffusione in epoca ellenistica, che trova confronti puntuali fra i bronzetti rinvenuti nella
stipe di Ghiaccio Forte.184 È probabile, in base ai votivi rinvenuti, che si tratti di un piccolo
luogo di culto di tipo rurale legato alla sfera della sanatio, forse connesso con la presenza di
sorgenti di acque termo-minerali.185
184
Vd. supra, cat. 31.1-2.
185
Notizie relative al ritrovamento sono edite in Pellegrini, Rafanelli 2005; Pellegrini et alii 2009, pp. 143-144.
75
35. Pitigliano o Saturnia (Grosseto)
Ritrovamento isolato
76
36.2 Bovino (= parte II, cat. A.XXIII.6)
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Berlingò, D’Atri 2004, pp. 249-251, e fig. 15.
Nel 1879, durante i lavori per l’ampliamento di una grotta situata ai piedi del
Poggetto, due abitanti di Bolsena intercettarono dal basso un deposito votivo pertinente ad
un santuario soprastante.187 Documenti contemporanei alla scoperta forniscono una lista di
parte degli oggetti rinvenuti che, acquistati dal Conte F. Cozza, furono velocemente
rivenduti a Roma. Dalla relazione pervenuta al Ministero della Pubblica Istruzione in data
15 maggio 1879 da Orvieto (priva di firma) risulta che i pezzi principali della stipe erano:
due bovi, un suino, un montone, una capra, un cane, una scrofa, un frammento di serpente
con testa di montone, un carro, un aratro, due gioghi. In più, una fibbia, una trombetta a
cornetta, anelli di metallo, monete di bronzo, puntali di aste e lance.
Mentre il carro è stato riconosciuto nelle collezioni del Museo Archeologico
Nazionale di Villa Giulia, degli altri oggetti si è persa traccia.
Difficile appare, a partire dai dati raccolti, un’analisi della composizione del
deposito, che appare piuttosto varia e generica. Significativa appare l’associazione di armi e
bronzetti, anche a figura animale, che trova un parallelo nella stipe del Monte Falterona. Gli
animali rappresentati sembrano appartenere a sfere diverse: come nella stipe di Colle
Arsiccio sono associati animali pertinenti alla sfera dell’agricoltura e dell’allevamento, che
qui erano probabilmente almeno in un caso rappresentati aggiogati, quindi con una
particolare enfasi sull’aspetto agricolo, con animali appartenenti alla sfera ctonia, come il
cane ed il serpente.
Fortunatamente l’attribuzione del culto ad una divinità è resa possibile da altri dati
forniti dall’area sacra, in particolare da un altare con dedica a Tinia. L’altare è attraversato
dall’alto verso il basso da un foro circolare, che lo qualifica come pertinente a rituali di
libazioni destinate ad essere raccolte in una cavità del terreno. Questo manufatto, insieme
187
Morandi 1989-1990, cui si rimanda anche per la bibliografia precedente.
77
agli animali rinvenuti nella stipe, permette di caratterizzare il Tinia di Bolsena come una
divinità ctonia, anche se altri materiali rinvenuti nel santuario devono essere collegati ad
aspetti diversi del culto, come testimoniano alcuni ex-voto anatomici fittili e gli animali
domestici pertinenti alla stipe.
Posto sulla sponda meridionale del lago di Bolsena, il santuario di Piana del Lago è
stato oggetto di scavi da parte della della Soprintendenza per l’Etruria Meridionale a partire
dal 1987. Il complesso si articola in diversi edifici, con più fasi edilizie documentate
dall’epoca arcaica fino a quella ellenistica e repubblicana, in cui è documentata una
profonda ristrutturazione del santuario, e una probabile frequentazione fino alla prima età
imperiale.188
La fase documentata in misura maggiore dai materiali archeologici rinvenuti è quella
ellenistica, in cui sembra essere predominante un aspetto salutare del culto, come attestano i
numerosi votivi anatomici – fra cui sono rappresentati mani, piedi, occhi, organi genitali,
votivi poliviscerali – e le teste fittili femminili e maschili, databili fra la metà del III secolo
a.C. e la fine del II secolo a.C. A questo orizzonte appartengono anche alcune ciotole
miniaturistiche, alcune teste di animali e bronzetti zoomorfi, di cui è stato edito, ad oggi, un
unico esemplare.189
188
Sul sito e i materiali ivi rinvenuti, vd. Berlingò, D’Atri 2004, pp. 241-249; Berlingò, D’Atri 2005.
189
Berlingò, D’Atri 2004, p. 245.
78
39. Tessennano (Viterbo)
Stipe votiva in località I Roggi
Nel 1956, durante lavori agricoli, vennero alle luce materiali archeologici pertinenti
ad un deposito votivo in località I Roggi, nel comune di Tessennano. La Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale non effettuò uno scavo sistematico ma
promosse un’azione di recupero del materiale, durante la quale si rinvennero anche tracce di
strutture murarie, oggi non più visibili né rintracciabili.
Il complesso subì in parte una dispersione a seguito dell’assegnazione di un lotto di
materiali al proprietario del terreno come premio di rinvenimento, ma è tuttavia possibile
attribuire al rinvenimento un numero elevato di ex voto, fra cui si contano 334 votivi fittili
di diverse tipologie, 12 bronzetti e 94 monete.
La tipologia delle offerte è estremamente varia: teste, statue, bambini in fasce, figure
di animali, accanto ad ex voto anatomici che rappresentano quasi tutte le parti del corpo
umano: volti, orecchi, mani, arti superiori ed inferiori, piedi, mammelle, genitali maschili e
femminili, complessi elementi poliviscerali.190
In mancanza di dati epigrafici sicuri, e vista la genericità delle offerte pertinenti alla
stipe, non è possibile identificare la divinità oggetto di culto; è tuttavia possibile, con tutta
evidenza, che si tratti di un culto di tipo agreste con caratteri spiccatamente salutari.
79
40. Canino (Viterbo) *
Luogo di culto in località Banditella
40.1. Cavallo *
Altezza 9 cm; lunghezza 10 cm.
Integro.
Patina verde con incrostazioni.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante,con la zampa anteriore destra e quella posteriore sinistra avanzate
in atto di camminare. Le zampe anteriori sono diritte e rigide, mentre quelle posteriori appaiono
leggermente piegate in corrispondenza dell’articolazione del ginocchio. Gli zoccoli sono modellati
plasticamente con attenzione per le caratteristiche dell’anatomia dell’animale. Le zampe anteriori
risultano significativamente più corte rispetto a quelle posteriori. Incisioni sulle cosce potrebbero
essere interpretate come un tentativo di resa della muscolatura oppure come descrizione della
bardatura. La lunga coda a sezione circolare non aderisce alle zampe posteriori. Il corpo è
191
Sul ritrovamento della Banditella, vd. D’Ercole, Trucco 1992; Chellini 2002, pp. 43-44.
80
compresso in senso longitudinale. Il collo è allungato ed eretto, solcato su entrambi i lati da fitte e
sottili incisioni parallele che indicano la criniera. Una serie di incisioni incrociate a losanghe nella
parte superiore del petto potrebbero rendere parte dei finimenti. Il muso, rivolto leggermente in
basso, presenta la bocca resa con un profondo solco, gli occhi con le sopracciglia sono realizzati ad
incisione.
VIII secolo a.C.
Bibliografia specifica: D’Ercole, Trucco 1992, pp. 81-82, figg. 15 e 16.
Un bronzetto delle collezioni dei Musei Vaticani possiede una generica provenienza
da scavi a Vulci, senza che si posseggano dati ulteriori sul suo contesto di rinvenimento.
42. Orvieto
Stipe votiva in località Fontana Liscia
Nel terreno chiamato Fontana Liscia, per la presenza di una piccola fonte, furono
rinvenuti fortuitamente in due diverse occasioni, nel 1848 e nel 1878, bronzetti
appartenenti ad una stipe votiva. In questa località, situata in una zona delimitata da due
fossi in prossimità della strada che collega Orvieto con Todi, erano visibili fino alla fine
dell’Ottocento alcune strutture, interpretate da diversi editori come pertinenti ad un piccolo
sacrario oppure ad un luogo di culto,192 in seguito andate perse a causa di scassi profondi
192
Sul ritrovamento Franci 1889; Bentz 1992, pp. 58-63 (con altra bibliografia); più di recente Chellini 2002,
pp. 46-47; Naso 2002 e, da ultimo, Rasna 2008, pp. 92-96 [F. Rösch].
81
fino al terreno vergine.
Un gruppo di materiali oggi a Bonn furono acquistati nel 1894 da G. Körte come
provenienti da scavi effettuati in questo sito: oggi se ne conoscono sedici statuette di
bronzo, vasellame in bronzo e alcune monete. I materiali della stipe comprendono alcuni
bronzetti schematici di produzione umbra, ed un gruppo di bronzetti etruschi di epoca
ellenistica, rappresentanti devoti e devote, un guerriero con lancia, offerenti con patera nella
mano destra e corona radiata, ed infine un Hercle con leontè al braccio sinistro, oltre ad
alcuni oggetti in bronzo e piombo. La cronologia dei votivi a figura umana può essere
fissata fra la fine del V – inizio del IV secolo a.C., ed il II secolo a.C., ma la presenza di
alcuni materiali di epoca precedente potrebbe far pensare alla frequentazione del sito sin dal
VII secolo a.C.193
Pochissimi sono i dati utili per l’identificazione della natura del culto e della divinità
cui la stipe doveva essere pertinente. Secondo M. Bentz, si tratta di un santuario connesso
con il culto delle acque, che trova confronti con il santuario fontile di Marzabotto, oltre che
con il santuario documentato dalla stipe di Colle Arsiccio.194
193
Naso 2002, pp. 347-350.
194
Bentz 1992, pp. 62-63.
82
43. Orvieto
Rinvenimento in località Monte Becco
Scavi svedesi condotti negli anni 1971-1972 nella località di Monte Becco presso il
Lago di Mezzano hanno portato alla scoperta dei resti di un abitato etrusco frequentato
dall’età arcaica fino al II secolo a.C.
La maggior parte dei materiali, se si esclude un lotto di ceramica attica figurata,
appare di aspetto piuttosto modesto, di produzione locale e pertinente alla vita quotidiana
dell’abitato. Fra i materiali recuperati si segnala un bronzetto di bovino, sicuramente di
destinazione votiva per la presenza e la conformazione del tenone posto al di sotto della
zampa anteriore sinistra. Il pezzo sembra indiziare la presenza di almeno un luogo di culto,
per cui tuttavia non è possibile proporre alcune indicazione relativa al tipo di culto e alla
divinità in esso venerata.
Dall’area del tempio urbano dell’Ara della Regina nell’area abitata di Tarquinia, da
cui proviene anche una dedica su una verghetta in bronzo ad Artumes, proviene un gruppo
di materiali, pertinenti con tutta probabilità ad una stipe votiva dispersa, databili nel corso
dell’età ellenistica, fra cui, oltre a votivi fittili appartenenti a diverse tipologie, si segnala una
statuetta di bovino in bronzo.195
I materiali relativi alla stipe sono di fatto tuttora inediti, se si eccettuano cursori cenni in Comella 1981, pp.
195
728-729; Söderlind 2004, p. 293, n. 75; ThesCRA, VI, Agricoltura, Etr. [S. Bruni]. Per il santuario dell’Ara della
Regina vd. in generale Santuari d’Etruria 1985, pp. 70-78.
83
44.1 Bovino
Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale.
IV-III secolo a.C.
Bibliografia specifica: inedito.
45.1 Bovino *
VII – VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Colivicchi 2004, p. 147, n. 1.
Etruria padana
84
permesso il recupero di un bronzetto zoomorfo e di una statuetta fittile a figura umana. 197
In prossimità del luogo del ritrovamento è documentata la presenza di un
insediamento dell’età del Bronzo; non si hanno tuttavia dati per le epoche successive, e le
ricerche effettuate non hanno restituito evidenze relative a possibili strutture pertinenti ad
un luogo di culto. Il bronzetto, se da ritenere votivo, attesterebbe un motivo iconografico
assai raro nella bronzistica votiva etrusca a figura animale. 198
Il rilievo noto come Montello o Monte della Chiesa è situato nell’alta valle del
Panaro, in comune di Montese, a circa metà tragitto fra Spilamberto e l’Abetone. 199 Il sito
appare caratterizzato dalla presenza di una sorgente salso-iodica, conosciuta con il nome di
Rio Acqua Salata, a cui si attribuiscono virtù terapeutiche.
Ai piedi del rilievo, a causa di frane che avevano ostruito il corso d’acqua, si era
formato un piccolo bacino, ormai interrato. Secondo tradizioni orali il luogo, oltre ad essere
stato sede di un luogo di culto fino in tempi recenti (ed il toponimo appare confermarlo),
avrebbe restituito a più riprese idoli antichi. Certo è che nel corso dell’Ottocento l’erosione
del fianco del monte mise in luce numerosi bronzetti, insieme a frammenti di bronzo,
scorie e ferro. Si ha notizia del rinvenimento di circa 20 ex voto in bronzo, che tuttavia non
è stato possibile identificare interamente nei musei emiliani. La tipologia dei donari attestati
non permette la definizione della natura del culto, tuttavia la presenza di una fonte di acqua
197
Miari 2000, pp. 110-111.
198
Arbeid 2005.
199
Macellari 1990; Miari 2000, pp. 123-129.
85
salsa sembra indirizzare le ipotesi verso un culto di tipo salutare. 200
Per quanto riguarda i bronzetti a figura animale, si ha notizia del rinvenimento di
cinque esemplari, di cui due non hanno mai perso l’indicazione di provenienza e sono
conservati a Modena nel Museo Civico Archeologico Etnologico, tre furono ceduti nel
1826 al Duca Francesco IV di Modena e passarono alla Galleria Estense in cui si persero i
dati di provenienza. R. Macellari ha proposto di identificare di questi ultimi pezzi con alcuni
dei bronzetti conservati nella Galleria Estense, identificazione che qui si riporta seppur con
beneficio d’inventario: la descrizione ottocentesca dei reperti, antecedente alla perdita dei
dati di provenienza, annovera infatti due piccoli bovini e un animale non identificabile a
causa della rozzezza del lavoro, non concordando appieno con la proposta di Macellari.
86
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Macellari 1990, p. 6, n. 5, fig. 8 (con bibliografia precedente); Miari 2000, p.
128, n. 17.
47.5 Cavallo *
Modena, Galleria Estense.
Inv. R.C.G.E. 7410.
Bibliografia specifica: Macellari 1990, p. 6, n. 4, fig. 7 (con bibliografia precedente); Miari 2000, p.
128, n. 15, tav. IV b.
Sull’insieme di alture note come Monte Bibele è stato scoperto, a partire dagli anni
Settanta del XX secolo, un importante abitato etrusco-celtico, la cui frequentazione va
inquadrata fra la fine del V secolo a.C. e gli inizi del II secolo a.C. 201 La zona si pone in
posizione dominante rispetto la valle dell’Idice, ed il sito è stato messo in relazione con la
ripresa dei contatti tra l’Etruria propria e l’Etruria padana dopo la ristrutturazione
territoriale seguita alle invasioni celtiche.
201
Miari 2000, pp. 245-253.
87
Oltre a numerosi piccole stipi di carattere domestico è stata messa in luce una
grande stipe, in relazione ad una zona originariamente occupata da acqua. Mancando
documentazione relativa a strutture, si può ipotizzare un’area di culto all’aperto in cui, vista
la distribuzione delle offerte, i bronzetti dovevano essere disposti su travi o balaustre lignee.
Fra gli ex voto sono documentati numerosi bronzetti raffiguranti per la quasi
totalità devoti oranti di tipo schematico,202 un solo offerente, un guerriero e un ovino, oltre
a ceramiche figurate di produzione attica ed etrusca e miniaturistiche.
49.1 Ovino
Bibliografia specifica: D. Vitali et alii in Pacciarelli 1997, p. 130; Miari 2000, p. 249.
Scavi in località Pian del Monte, presso Verucchio, eseguiti nel 1963 e
successivamente nel 1971, portarono alla scoperta di un profondo pozzo, riempito di
terreno fortemente antropizzato, in cui furono rinvenuti abbondanti materiali, sia ceramici
che bronzei, databili fra l’età del Bronzo recente e l’inizio del IV secolo a.C.
In particolare sono attestati, fra i reperti rinvenuti, alcuni bronzetti votivi fra cui una
testa barbata, una testa femminile di notevole qualità, un torso maschile, e anche una testa
appartenente ad un bronzetto di suino.203 Tutti i bronzetti votivi provenienti dal pozzo sono
stati rinvenuti mutili: spesso se ne conserva solo la testa; si tratta con tutta probabilità di un
particolare rituale di deposizione, che prevedeva la defunzionalizzazione degli oggetti prima
della loro offerta nel luogo di culto.
50.1 Suino
Bibliografia specifica: Romualdi 1987, p. 281, n. 17; Miari 2000, p. 312, n. 14.
202
Appartenenti al gruppo Marzabotto di G. Colonna: Colonna 1970, pp. 62-64.
203
Sul ritrovamento vd. Romualdi 1987; von Eles 1995, pp. 85-86.
88
51. Marzabotto (Bologna)
Abitato
Nel corso degli scavi Mansuelli della fine degli anni Sessanta e inizio degli anni
Settanta del XX secolo, si rinvenne nell’insula 2, regio III, un complesso di strutture
costituito da un pozzo, due invasi riempiti di terra nera, un vano e una struttura in materiale
deperibile, interpretata come stalla. All’interno del pozzo si rinvenne un bronzetto
zoomorfo, nell’area circostante un vasetto miniaturistico, forse connesso con un culto di
tipo privato.204
204
Sassatelli 1991, p. 204; Miari 2000, p. 206-207.
205
Miari 2000, p. 216-217. In Muffatti 1971 si parla ancora di una provenienza da contesti funerari.
206
Gozzadini 1865, tav. 11-15.
89
52.1 Quadrupede
Marzabotto, Museo P. Aria.
Inv. B 546.
Manca la parte anteriore.
Fusione piena.
Lunghezza 1,9 cm circa.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Muffatti 1971, p. 296, n. 945, tav. LXId, 17; Miari 2000, p. 230, n. 77.
52.2 Quadrupede
Marzabotto, Museo P. Aria.
Inv. B 547.
Manca la parte posteriore.
Fusione piena.
Lunghezza 2,8 cm circa.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Muffatti 1971, p. 296, n. 946, tav. LXId, 18; Miari 2000, p. 230, n. 78.
90
Bruni 2001, pp. 69-70, fig. 6.
207
Balthy 1961, pp. 39 sg.; Boucher 1968, pp. 164-165 (con letteratura precedente); Boucher 1969, pp. 37-40;
Jannot 1996, p. 81; Jannot 2006, pp. 78-79; Milcent 2006, pp. 127-128.
91
54.1 Bovino (= parte II, cat. A.I.15)
Thorigné-en-Charnie, Collezione privata.
Inv. s.n.i.
VII-VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, pp. 164-165; Boucher 1969, pp. 37-38, fig. 1; Boucher 1970,
pp. 196-199, fig. 10.
208
Vd. supra, parte I, cat. 54, con bibliografia.
92
56. Nîmes (?)
Rinvenimento isolato
93
Figura 1: luoghi di ritrovamento di bronzetti etruschi a figura animale
94
Figura 2: luoghi di ritrovamento di bronzetti etruschi a figura animale nell ’Etruria padana
95
Figura 3: luoghi di ritrovamento di bronzetti etruschi a figura animale fuori dall ’Etruria
96
Figura 4: luoghi di ritrovamento di bronzetti votivi etruschi a figura animale (in rosso i rinvenimenti isolati, in
giallo le stipi)
97
Figura 5: luoghi di ritrovamento di bronzetti votivi etruschi a figura animale: epoca arcaica (in rosso i rinvenimenti
isolati, in giallo le stipi)
98
Figura 6: luoghi di ritrovamento di bronzetti votivi etruschi a figura animale: epoca classica (in rosso i rinvenimenti
isolati, in giallo le stipi)
99
Figura 7: luoghi di ritrovamento di bronzetti votivi etruschi a figura animale: epoca ellenistica (in rosso i
rinvenimenti isolati, in giallo le stipi)
100
Figura 8: diffusione dei bronzetti votivi etruschi a figura animale (in giallo) e dei votivi fittili a figura animale (in
verde)
101
Contesto Fase Fase Fase Non Etruria Etruria Etruria Fuori Stipe Ritr
Arcaic Classic Ellenist determi Settentri Meridi Padana Etruri ova
a a ica nabile onale onale e a men
o Intern to
dubbio a isola
to
1. X X X
Castelvenere
2. Fiesole X X X
Tempio
3. Fiesole S. X X X
Pierino
4. Impruneta X X X
5. Monte X X X
Falterona
6. Arezzo X X X
Fonte
Veneziana
7. Arezzo X X X
Porta S.
Lorentino
8. Arezzo X X X
9. Monte S. X X X
Savino
10. X X X
S. Gimignano
11.1 Volterra X X X
necropoli
11.2 Volterra X X X
necropoli
12. Volterra X X X
Colloreto
13. Volterra X X X
Casa Bianca
14. Vada X X X
15. Bibbona X X X
16. Populonia X X X
17. Poggio X X X
Castiglione
18. X X X
Buonconvento
19.1 Cortona X X X
102
Contesto Fase Fase Fase Non Etruria Etruria Etruria Fuori Stipe Ritr
Arcaic Classic Ellenist determi Settentri Meridi Padana Etruri ova
a a ica nabile onale onale e a men
o Intern to
dubbio a isola
to
19.2 Cortona X X X
20. X X X
Montalcino
21. Brolio X X X
22. Monte X X X
Acuto
23. X X X
Pasticcetto
24. Caligiana X X X
25. Colle X X X
Arsiccio
26. X X X
Chianciano
27.1 Chiusi X X X
27.2 Chiusi X X X
27.3 Chiusi X X X
28. X X X
Castiglioncello
del Trinoro
29. Civitella X X X
Paganico
30. X X X
Radicofani
31. Ghiaccio X X X
Forte
32. Pomonte X X X
33. Sovana X X X
34. Pitigliano X X X
35. Pitigliano X X X
o Saturnia
36. Latera X X X
37. Bolsena X X X
38. Piana del X X X
Lago
39. X X X
103
Contesto Fase Fase Fase Non Etruria Etruria Etruria Fuori Stipe Ritr
Arcaic Classic Ellenist determi Settentri Meridi Padana Etruri ova
a a ica nabile onale onale e a men
o Intern to
dubbio a isola
to
Tessennano
40. Canino X X X
Banditella
41. Vulci X X X
42. Orvieto X X X
Fontana
Liscia
43. Orvieto X X X
Monte Becco
44. Tarquinia X X X
45. Gravisca X X X
46. Castetto X X X
47. Montese X X X
48. Tesa della X X X
Mirandola
49. X X X
Monterenzio
50. Verucchio X X X
51. X X X
Marzabotto
abitato
52.1. X X X
Marzabotto
52.2. X X X
Marzabotto
52.3. X X X
Marzabotto
53.1 Adria X X X
53.2 Adria X X X
53.3 Adria X X X
54. Thorigné- X X X
en-Charnie
55. Larnaud X X X
56. Nîmes X X X
Tabella 1: riepilogo dei luoghi di ritrovamento dei bronzetti etruschi a figura animale
104
Parte II
I materiali: tipologia e cronologia
La raccolta del corpus dei bronzetti votivi etruschi a figura animale ha comportato
un lungo lavoro di ricerca delle attestazioni dei materiali appartenenti a questa classe, sia
editi che inediti, e di inquadramento culturale, tipologico e cronologico. In particolare, è
stato necessario vagliare, per ogni singolo pezzo, la possibilità che il corretto
inquadramento culturale non andasse cercato in ambito etrusco ma in altri ambiti culturali,
più o meno prossimi all’Etruria dal punto di vista cronologico e geografico, che pure hanno
conosciuto la pratica di dedicare alle divinità immagini in bronzo di animali: la Grecia in
primo luogo, ma anche la Magna Grecia, l’Umbria, il Veneto, il mondo romano.
Non sempre, inoltre, appare semplice ricostruire la funzione originaria di queste
piccole immagini di animali: se si tratti di appliques conservatesi indipendentemente dagli
oggetti cui erano originariamente pertinenti, oppure di statuette a sé stanti concepite con
una primaria funzione votiva.209 Tralasciando la possibilità che alcune statuette
originariamente decorative fossero state rifunzionalizzate come statuette votive, è evidente
che queste ultime, per quanto importanti ai fini della comprensione delle caratteristiche dei
luoghi di culto in cui furono dedicate, non possono entrare a far parte del corpus dei
bronzetti votivi.210
L’analisi delle evidenze disponibili mostra quanto sia aleatorio il tentativo di
ricercare dei criteri generalizzabili per risolvere il problema dell’attribuzione. In generale, la
produzione di statuette zoomorfe a carattere decorativo mostra un maggiore impegno
formale, ed una più accurata ricerca iconografica, mentre i bronzetti votivi sono
209
Vd. supra, p. 12.
210
Lo stesso problema è stato affrontato da M. Bentz nel suo lavoro sui bronzetti votivi etruschi a figura
umana dell’ellenismo. In particolare, è significativa la scelta dello studioso tedesco di inserire nel proprio
corpus due figure di offerenti, una di adorante e una rappresentante un demone femminile provenienti da una
tomba della necropoli del Frontone di Perugia, che ornavano, insieme ad una statuetta di cane, il coperchio
bronzeo del cratere selezionato per contenere le ceneri del defunto. Le statuette sono assimilate a statuette
votive per le forti affinità iconografiche e stilistiche che le legano ad esse (Bentz 1992, pp. 24-26; più di
recente, per i medesimi materiali vd. Nati 2008, p. 105, n. 3.14).
107
caratterizzati da un’esecuzione più corsiva e da un linguaggio più povero dal punto di vista
storico-artistico. Per quanto questa osservazione possa essere ritenuta generalmente valida,
la presenza di alcuni votivi di particolare pregio, in cui si osserva anche un sorta di
interferenza con la bronzistica decorativa per quanto riguarda non solo l’aspetto estetico
ma anche la scelta delle iconografie, impedisce di utilizzarla come criterio distintivo. Ad
esempio, il bellissimo bronzetto di cane da Cortona, se privo dell’iscrizione di dedica, che lo
qualifica indubbiamente come votivo, potrebbe essere inserito senza dubbio nella
produzione di bronzetti decorativi,211 utilizzato, ad esempio, come presa per un coperchio
di pisside.212 Un’altra osservazione possibile è che mentre i bronzetti votivi sono
generalmente statici e privi di una qualsiasi caratterizzazione della posizione o di resa del
movimento, i bronzi decorativi mostrano spesso gli animali in atto di camminare, di saltare,
di impennarsi, o anche solo di flettere il collo e voltare il muso. 213 Anche in questo caso
tuttavia, nessuna generalizzazione appare possibile, come mostra lo stesso bronzo da
Cortona, in cui il cane è reso in un complesso movimento, mentre solleva una delle zampe
anteriori, rivolgendo contemporaneamente in alto il muso e arrotolando la coda sotto il
ventre.
Se l’aspetto stilistico e formale non riesce a dare criteri validi al fine di stabilire se un
bronzetto sia da considerare votivo oppure decorativo, alcuni dettagli di carattere più
strettamente tecnico possono dare forse indicazioni migliori.
Ad esempio, il tipo di sostegno del bronzetto può fornire informazioni utili circa la
sua originaria funzione. In generale, se l’oggetto presenta sotto una o più zampe un tenone
per l’infissione in una base in materiale diverso, 214 sembrerebbe da escludere l’originaria
pertinenza del pezzo ad un oggetto quale un contenitore o un arredo, poiché i bronzetti
decorativi utilizzati in questi casi hanno in genere una base su cui poggiano tutte e quattro
le zampe, oppure, nella maggior parte dei casi, due basette separate, ciascuna sotto una
coppia di zampe. Viceversa, la presenza di una base solidale con il bronzetto non esclude
una originaria funzione votiva del pezzo.215
211
Vd. infra, parte II, cat. B.I.1, con bibliografia relativa.
212
Cfr. ad esempio il felino da Vulci al Museo Archeologico di Villa Giulia, che condivide con il bronzetto di
cane da Cortona alcuni dettagli dell’atteggiamento e della posizione, Proietti 1980, p. 64, figg. 68-69.
213
G. Colonna in Di Niro 1977, p. 84, n. 6.
214
Per l’uso di basi per i bronzetti votivi etruschi vd. la rassegna in Cagianelli 1999, pp. 13-14.
215
Vd. a titolo di esempio, infra, parte II, catt. A.I-VI.
108
Infine, il soggetto rappresentato permette alcune considerazioni ulteriori. Ci sono
alcune specie animali che non sono mai documentate per statuette di carattere
primariamente votivo riconoscibili in quanto tali, evidentemente per una sorta di
incompatibilità con l’immaginario del sacro e con le funzioni svolte da questi oggetti
nell’ambito della prassi rituale e della religiosità etrusca. È questo il caso dei felini, sia
domestici che selvatici, documentati in gran numero nella plastica decorativa, ma assenti da
quella votiva,216 dei roditori, le cui rappresentazioni sembrano diffondersi in epoca romana
ma appaiono assenti nella bronzistica etrusca, sia votiva che decorativa, 217 degli anfibi e dei
piccoli rettili, come le tartarughe e le rane, per quanto le prime non siano sconosciute dalla
plastica votiva fittile.218 La stessa situazione si riscontra nei santuari greci, in cui ad esempio
il motivo iconografico del leone è spesso presente come decorazione di lamine, vasellame,
oggetti in osso e avorio, o sotto forma di statue, ma mai in ex voto concepiti come tali. 219
Il problema appare in definitiva di non facile soluzione, visto che, come notato da
M. Cristofani,220 le officine che producevano i bronzetti votivi erano le stesse che
producevano il vasellame bronzeo con il relativo apparato decorativo e che plastica votiva e
plastica decorativa seguivano sempre itinerari paralleli e talvolta interferivano fra loro,
assumendo modelli reciproci. Osando un passo ulteriore, si può tuttavia sostenere che si
tratti nella maggior parte dei casi di un falso problema. Infatti nel mondo antico niente era
pura e semplice decorazione, e si può pensare che nell’atto di offrire un oggetto alla divinità
la scelta dell’apparato decorativo fosse in qualche modo funzionale al dono stesso. Questa
problematica è stata ampiamente affrontata per la Grecia e, per quanto riguarda l’Etruria,
per le ceramiche figurate inscritte con nomi di divinità, in cui si è rilevata la presenza di una
stretta relazione fra la decorazione del vaso e la divinità cui esso era stato dedicato. 221 È
probabile che qualcosa di simile dovesse accadere anche per la bronzistica decorativa. In
216
Soprattutto si tratta di figure di leoni accovacciati, con le fauci spalancate, utilizzati come decorazione
sull’orlo di bacili, vd. Cook 1968. I bronzetti di questo genere sono presenti anche nei contesti votivi, ad
esempio nella Stipe di Brolio (Romualdi 1981), nella Stipe del Tempietto di Via dei Sepolcri a Vetulonia
(Cygielman 2000, p. 120) e nel deposito votivo di Porta Nord a Vulci (Pautasso 1994, pp. 103-104, tav. 47c),
ma sempre come appliques decorative.
217
Vd. a titolo di esempio Cagianelli 1991-1992, pp. 114-115, nn. 142-144, con altri esempi e bibliografia.
218
ThesCRA, I, Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], p. 156, con bibliografia. Bronzetti di rane e tartarughe
sono invece noti nel mondo romano, vd. Cagianelli 1991-1992, p. 113, n. 140.
219
Bevan 1986, pp. 231-259.
220
Cristofani 1985, p. 15.
221
Maggiani 1997.
109
questo caso la distinzione fra plastica votiva e plastica decorativa, che come visto è
artificiosa sul piano tecnico, potrebbe esserlo anche sul piano concettuale, e le due funzioni
potrebbero coesistere e non escludersi a vicenda.
Vista l’impossibilità di stabilire dei criteri univoci per la distinzione della funzione
originaria dei bronzetti zoomorfi, ogni caso è stato valutato singolarmente, in base al
confronto iconografico e stilistico con la plastica decorativa di soggetto analogo.
Il lavoro di ricerca fin qui condotto, basato sullo spoglio del materiale edito e sulla
schedatura del materiale inedito conservato presso i maggiori musei italiani, pur senza
pretesa di completezza o di esaustività, ha portato alla composizione di un corpus di 268
bronzetti votivi etruschi a figura animale, di cui si propone una organizzazione tipologica
basata in primo luogo sul soggetto rappresentato, ripartendo il materiale in nove categorie
(bovini, canidi, cervidi, equini, ovocaprini, pesci, rettili, suini e volatili), ed in secondo luogo
distinguendo all’interno di ogni soggetto tipi diversi sulla base di criteri formali e tecnici.
Le attestazioni raccolte sono purtroppo parziali rispetto a quella che doveva essere
la reale consistenza e diffusione di questa classe di materiali, 222 rendendo la ricostruzione di
un quadro generale lacunosa e frammentaria. Questo si rende evidente se consideriamo, ad
esempio, che i bronzetti di rettili, documentati attualmente da un solo esemplare, privo di
dati di provenienza, conservato presso il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria a
Perugia,223 sono stati scoperti in contesti votivi almeno nel santuario dell’Impruneta, nella
stipe di Casa Bianca presso Volterra, dove ne sono stati rinvenuti ben sei esemplari, e nella
stipe del Poggetto Bolsena.224
222
Vd. a titolo di esempio i casi di ritrovamenti di bronzetti votivi etruschi a figura animale di cui si sono
conservate solo vaghe notizie, e si sono perdute tracce dei materiali, vd. supra, parte I, catt. 18 e 28. In altri
casi, le informazioni riguardano solo la presenza, in alcune collezioni, di bronzetti appartenenti a questa
classe, senza indicazioni di provenienza: vd. Emiliozzi 1986, pp. 86-87, tav. LXXXXIII, fig. 62 per un bovino
già a Viterbo; Neppi Modona 1977, p. 146 e Roncalli 1985, p. 66, per un cane già nella collezione Coltellini di
Cortona; Bocci Pacini, Zamarchi Grassi 1984, pp. 125-139, per bronzetti zoomorfi già nella collezione
Corazzi di Cortona; Pellegrini 1902, p. 216 per un bovino già nella collezione Chigi-Zondadari di Siena.
223
Vd. infra, parte II, cat. G.I.1.
224
Vd. supra, parte I, rispettivamente catt. 4, 13 e 27.
110
Soggetto Numero di attestazioni
Bovini 188
Canidi 7
Cervidi 3
Equini 35
Ovocaprini 11
Pesci 2
Rettili 1
Suini 17
Volatili 4
Totale 268
Tabella 2: soggetti rappresentati nella bronzistica votiva etrusca a figura animale.
1%
6%
0% 1%
4%
Bovidi
13% Canidi
Cervidi
Equini
Ovocaprini
1%
Pesci
Rettili
3%
Suini
Volatili
70%
Grafico 2: percentuale dei soggetti rappresentati nella bronzistica votiva etrusca a figura
animale.
111
Dal punto di vista iconografico, si riscontra una limitata varietà dei soggetti attestati,
da cui appaiono del tutto esclusi, oltre ad animali evidentemente incompatibili con
l’immaginario del sacro, come i felini, anche animali che sono invece attestati nei santuari
etruschi dalla piccola plastica votiva fittile, oppure dall’evidenza costituita dai resti ossei
riconducibili alle pratiche sacrificali, come ad esempio la volpe, l’asino, la lepre, l’orso, la
tartaruga.225 Per quanto non sia sempre possibile distinguere la variante domestica da quella
selvatica nei casi in cui siano documentate entrambe, ad esempio nel caso dei suini e dei
canidi,226 i soggetti rappresentati afferiscono principalmente alla sfera degli animali
domestici, con rare attestazioni di specie appartenenti al mondo selvatico.
I dati strettamente numerici mostrano un enorme scarto esistente fra le immagini di
bovini e quelle di tutte le altre specie animali attestate. Da soli, i primi rappresentano, con
188 attestazioni, ben il 70% dei bronzetti votivi etruschi a figura animale, mentre il restante
30% si ripartisce fra tutte le altre specie documentate, in primo luogo i cavalli, con 35
bronzetti, seguiti da suini e ovocaprini, rispettivamente rappresentati da 17 e 11 attestazioni,
mentre gli altri soggetti sono documentati da attestazioni sostanzialmente sporadiche e
spesso quasi da pezzi unici, privi di confronti e non inseribili nell’ambito di una vera e
propria tipologia.
Le attestazioni di bronzetti votivi etruschi a figura animale si distribuiscono fra la
fine del VII secolo a.C. fino al II secolo a.C. Ripartendo il materiale raccolto in tre fasi
cronologiche, come già proposto per i contesti ed i luoghi di provenienza, 227 è evidente
come la documentazione si concentri principalmente nella fase tardo-orientalizzante e
arcaica, in cui si distribuisce il 48% delle attestazioni, che scendono al 18% per la fase
classica, e tornano al 36% nella fase ellenistica.
Per quanto riguarda la distribuzione dei diversi soggetti nelle tre fasi cronologiche,
mentre alcuni di essi sono documentati per tutto il periodo in cui si osserva la presenza di
questa classe di materiali votivi, come i bovini, gli equini, gli ovocaprini ed i suini, la
maggior parte di essi ha una attestazione solo in epoca tarda, come i canidi, i pesci, i rettili
ed i volatili, oppure, come i cervidi, si esauriscono con la fase classica.
225
ThesCRA, I, Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], pp. 143-157.
226
Per quanto riguarda i suini, un certo grado di indeterminatezza fra la variante domestica e quella selvatica
doveva permanere sia nella percezione dell’animale da parte degli antichi (Franco 2006), sia nella pratica
sacrificale (ThesCRA, I, Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], p. 155).
227
Vd. supra, parte I, pp. 20-26.
112
Soggetto Numero di attestazioni Fase Fase Fase
arcaica classica ellenistica
Bovini 188 87 37 64
Canidi 7 0 0 7
Cervidi 3 2 1 0
Equini 35 24 3 8
Ovocaprini 11 4 4 3
Pesci 2 0 0 2
Rettili 1 0 0 1
Suini 17 5 3 9
Volatili 4 0 0 2
Totale 268 122 48 65
Tabella 3: distribuzione cronologica dei soggetti
L’impressione che si evince è che il sostrato per così dire tradizionale per quanto
riguarda i soggetti attestati nella bronzistica zoomorfa fosse costituito dalle
rappresentazioni degli animali appartenenti all’immaginario proprio del mondo agrario e
dell’allevamento, in cui spicca in modo particolare il bue seguito dai suini e dagli ovocaprini,
pur non mancando attestazione di animali afferenti ad altre sfere di valori, come il cavallo,
legato soprattutto all’ideologia aristocratica e al mondo infero, 228 e il cervo, di cui è ben
documentato il legame con la caccia come rappresentazione di status dell’aristocrazia. 229 Il
quadro sembra arricchirsi solo successivamente di altri soggetti, la cui diffusione resta
tuttavia marginale e limitata a pochi casi particolari, nel quadro di una produzione limitata
fondamentalmente a pochi temi principali.
È possibile che la distribuzione cronologica delle attestazioni dei bronzetti
appartenenti alla classe in esame segua, almeno per quanto riguarda alcuni soggetti,
l’evoluzione della società etrusca che vide, fra la fine del VI ed il V secolo a.C., una
progressiva perdita di importanza delle classi aristocratiche e l’allargamento della
compagine cittadina verso i ceti medi. 230 Non a caso, le rappresentazioni di animali legati al
mondo dell’aristocrazia e delle attività ad essa proprie in quanto rappresentazioni dello
228
Vd. infra, parte III, pp. 316-318.
229
Camporeale 1984, pp. 21-25, 35-43, 93-105, 154-157; Arbeid 2005, pp. 106-109.
230
Vd. Torelli 1981, pp. 183-214.
113
status, come il cavallo ed il cervo, trovano diffusione nella fase tardo-orientalizzante ed
arcaica e si riducono notevolmente nella fase classica; le rappresentazioni di cervidi in
particolare non si riscontrano nella successiva fase ellenistica, mentre le rappresentazioni
degli equini, pur presenti, mantengono un numero di attestazioni notevolmente basso.
36%
46%
18%
I cambiamenti della società etrusca fra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C.
sembrano investire, oltre alle rappresentazioni di animali legati al mondo aristocratico, che
come visto tendono a scomparire o ad apparire sostanzialmente residuali, tutta la classe in
generale. Essa tuttavia, dopo la flessione documentata per il V secolo a.C., trova in epoca
ellenistica una nuova vitalità, legata con tutta probabilità all’emergere di nuove classi sociali.
In particolare, il cambiamento si segue con una certa completezza per quanto riguarda le
rappresentazioni di bovini: con la fase ellenistica cambiano nettamente sia la distribuzione
geografica delle attestazioni, che si concentrano nell’Etruria interna e meridionale e in
piccoli santuari legati al mondo rurale, sia le tipologie dei materiali, le cui dimensioni
tendono a ridursi, qualificandosi come offerte legate alle classi sociali medie o basse legate
al mondo rurale e dell’allevamento.231
231
Vd. supra, parte I, pp. 20-26; infra, parte II, pp. 116-121 e parte III, pp. 299-306.
114
Fase tardo- Fase classica Fase ellenistica
orientalizzante e
arcaica
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
Bovidi Canidi Cervidi Equini Ovocaprini Pesci Rettili Suini Volatili
Grafico 4: distribuzione cronologica dei soggetti della bronzistica votiva etrusca a figura animale
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Bovidi Canidi Cervidi Equini Ovocaprini Pesci Rettili Suini Volatili
Grafico 5: distribuzione cronologica in percentuale dei soggetti della bronzistica votiva etrusca a figura animale
115
A. Bovini
I bronzetti votivi etruschi rappresentanti bovini, di cui sono state raccolte 188
attestazioni, possono essere suddivisi in 33 tipi diversi, in base ad analogie iconografiche,
stilistiche e formali, di cui 15 inquadrabili nella fase tardo-orientalizzante e arcaica, 6 nella
fase classica, 12 nella fase ellenistica.
Fra i tipi appartenenti alla fase più antica, è possibile distinguere due sottogruppi, il
primo dei quali composto da serie databili fra la fine del VII secolo a.C. e il VI secolo a.C.
(A.I-A.X), il secondo composto da serie di pieno VI secolo a.C., che mostrano una
maggiore consapevolezza formale e, in alcuni casi, la vicinanza con modelli colti
provenienti dalla Grecia (A.XI-A.XV).
In particolare, fra i tipi più antichi si nota un gruppo (A.I-A.VII) con caratteristiche
omogenee sotto diversi punti di vista. In particolare i primi due tipi (A.I-A.II), molto vicini
fra loro per impostazione generale e stile, sembrano configurarsi come i prototipi da cui si
sviluppa una vera e propria tradizione. In primo luogo, dal punto di vista formale questi tipi
sono accomunati, infatti, da una generale impostazione laminare del corpo degli animali,
che è sostanzialmente ridotto a una forte bidimensionalità in senso longitudinale, da cui si
discosta lievemente solo il tipo A.III, in cui il corpo è schematizzato in forma cilindrica.
Forti analogie formali sono riscontrabili anche nella realizzazione dei musi degli animali, in
generale allungati e appiattiti in senso frontale, ma arricchiti dalla presenza di dettagli incisi
che descrivono gli occhi e la bocca: soprattutto i tipi A.I, A.II, A.V, e A.VII presentano
forti analogie nel rendimento di questa parte della figura. Le caratteristiche sopra delineate
avvicinano i bronzetti inquadrabili in questi tipi alla produzione votiva a figura umana di
epoca tardo-orientalizzante dell’Etruria settentrionale interna, ed in particolare alla serie B
116
gruppo 2 e alla serie C gruppo 1 e gruppo 3 delle offerenti femminili di E.M. Richardson. 232
Anche questi gruppi di figure umane sono caratterizzate da un forte appiattimento del
corpo, reso come una lamina bidimensionale, e a cui si raccordano gli arti e la testa. Anche
per quanto riguarda la resa dei volti, si riscontrano forti analogie con i bronzetti di bovidi
delle serie A.I-A.X: gli occhi sono sporgenti, modellati plasticamente in forma amigdaloide
o globulare, e sottolineati da incisioni che ne delimitano il contorno o rendono le ciglia e le
sopracciglia, mentre la bocca è realizzata con una leggera solcatura. Come messo in
evidenza sia da E.H. Richardson, sia da M. Martelli, nella fase tardo-orientalizzante la
piccola plastica etrusca appare influenzata soprattutto da modelli orientali, provenienti dal
mondo levantino e cipriota, mentre appare sostanzialmente assente l’apporto iconografico
e formale del mondo greco.233 Se si considera il confronto con la coeva produzione greca,
infatti, le immagini di bovini di produzione etrusca inquadrabili nelle serie A.I-A.X
appaiono ad essa sostanzialmente estranee.234
Anche dal punto di vista tecnico, le serie A.I-A.VII sono accomunate da numerosi
punti di contatto. Tutti i tipi appartenenti a questo gruppo, eccetto il tipo A.VII in cui è
presente un tenone sotto le zampe anteriori degli animali, sono caratterizzati da un sistema
di sostegno che prevede la presenza di una base di forma approssimativamente rettangolare
fusa insieme al bronzetto, talvolta con i lati maggiori leggermente concavi, in cui sono
previsti due fori passanti per il fissaggio ad un sostegno in materiale diverso. Inoltre, in
molti casi (tipi A.I-A.III e A.V.), la coda è realizzata secondo un procedimento molto
particolare che prevede l’applicazione di una verghetta in bronzo filiforme a sezione
quadrangolare o circolare, già eseguita a parte, al modello in cera del bronzetto in una fase
precedente al getto di fusione. 235 Infine, dal punto di vista dimensionale, si tratta quasi
sempre di bronzi di medie dimensioni, che raggiungono spesso e superano la lunghezza di
dieci centimetri e la cui altezza si attesta intorno ai 6-8 centimetri, mentre il peso, nei non
frequenti casi in cui sia stato possibile effettuarne la misurazione, si attesta nell’intervallo fra
gli 80 ed i 100 grammi.
232
Richardson 1983, pp. 44-52.
233
Richardson 1983, pp. 27-39 e 87-94; Martelli 1981, pp. 223-230.
234
Si vedano, ad esempio, gli esemplari tardo-orientalizzanti provenienti dal Kabeirion di Tebe in Schmaltz
1980, pp. 29-41.
235
Per questo tipo di lavorazione della coda, vd. il contributo di E. Formigli in Cristofani 1985, pp. 35-49, in
particolare p. 43, fig. 10.
117
I tipi successivi (A.VIII-A.X), pur inquadrandosi nel medesimo periodo,
presentano caratteristiche più disomogenee, sia dal punto di vista formale che tecnico. In
particolare, i tipi A.VIII e A.IX sembrano essere redazioni in formato minore dei tipi
precedenti, di cui riprendono alcune caratteristiche formali e soprattutto tecniche:
soprattutto la presenza della base rettangolare di sostegno fusa insieme al bronzetto, e della
coda realizzata a parte in una verghetta di bronzo e inserita nel modello in cera prima della
fusione.
Un notevole salto qualitativo si registra con alcuni bronzetti delle serie di pieno VI
secolo a.C. In particolare le serie A.XII e A.XIII, pur ricollegandosi alla tradizione
rappresentata dalle serie A.I-A.II, soprattutto per le caratteristiche formali dei musi degli
animali, la aggiorna in senso naturalistico, proponendo rappresentazioni non prive di un
certo impegno artistico, soprattutto nella resa degli arti, rappresentati nelle loro partizioni
anatomiche, pur nella conservazione di una sostanziale bidimensionalità. Il tipo A.XV
introduce un importante elemento iconografico di novità: la giogaia dei bovini appartenenti
a questa serie è rappresentata con un caratteristico ingrossamento, in cui la rugosità della
pelle è resa spesso, su uno o su entrambi i lati, con serie di incisioni, realizzate a freddo
dopo la fusione, generalmente ondulate e parallele. Il motivo, del tutto assente nelle serie
precedenti, appare caratteristico di rappresentazioni di bovini di area ellenica, e dimostra
l’affermarsi, anche per una produzione evidentemente povera dal punto di vista formale
quale quella dei bronzetti a figura animale, di modelli iconografici di marca greca, e trova
uno stretto parallelo nelle corrispettive serie a figura umana. 236
Dal punto di vista tecnico, con i tipi appartenenti a questa fase diventa più rara la
presenza della base di appoggio fusa con il bronzetto, e prevale la presenza del tenone
ricavato attraverso la limatura dei canali di fusione, per il fissaggio ed il sostegno dei
bronzetti, mentre scompare del tutto l’uso di realizzare a parte la coda e inserirla nel
modello in cera prima del getto di fusione.
Le serie inquadrabili nel corso del V secolo a.C. (A.XVI-XXI) presentano una
maggiore varietà formale rispetto alle serie più antiche, e continuano sostanzialmente gli
aspetti già evidenziati nei tipi di pieno VI secolo a.C.: in particolare per quanto riguarda
l’aspetto tecnico c’è un’assoluta prevalenza del sistema di fissaggio a tenone, e si generalizza
Si vedano ad esempio gli esemplari arcaici in Schmaltz 1980, appartenenti ai gruppi 14-18, pp. 51-61. Per i
236
118
l’uso di modellare la coda dell’animale direttamente nella cera senza ricorrere all’espediente
di inserire nel modello una coda in bronzo realizzata in precedenza. Si generalizza anche il
modello iconografico greco, che prevede l’ingrossamento della giogaia dell’animale
(A.XVI-A.XVII) e l’eventuale caratterizzazione delle pieghe della pelle per mezzo di
incisioni parallele eseguite a freddo dopo la fusione (A.XIX-A.XXI). Dal punto di vista
dimensionale, le serie inquadrabili nel corso del V secolo a.C. segnano una notevole
riduzione rispetto alle serie più antiche, cui consegue una proporzionale riduzione del peso
di bronzo necessario per la realizzazione dei singoli pezzi.
Le serie di epoca ellenistica (A.XXII-A.XXXIII), pur accomunate da alcune
caratteristiche comuni a tutte, in particolare dalle piccole dimensioni e dalla esclusiva
presenza del sistema di fissaggio a tenone, presentano generalmente una maggiore varietà le
une dalle altre rispetto alle serie appartenenti alle fasi precedenti e contemporaneamente
una maggiore standardizzazione all’interno della medesima serie. Ad esempio, la serie
A.XXII appare caratterizzata dalle forme sinuose dei corpi degli animali e dalla
realizzazione ad incavo e con dettagli incisi degli occhi, con un risultato di notevole effetto,
mentre i tipi A.XXIII-A.XXV si caratterizzano per una resa accentuatamente naturalistica
dei volumi anatomici, mentre ancora i tipi A.XXVIII e A.XXIX, che riprende la tradizione
rappresentata nella fase precedente dal tipo A.XV, sono prodotti estremamente impoveriti
dal punto di vista formale. Il tratto iconografico caratteristico dei tipi di V secolo a.C.,
ovvero la giogaia ingrossata e segnata da incisioni, sembra scomparire quasi del tutto nei
tipi ellenistici, conservandosi soltanto nelle serie A.XXVIII e A.XXIX. La tradizione più
arcaica, caratterizzata da una certa monumentalità nelle dimensioni e di gusto più
marcatamente etrusco-settentrionale, riemerge solo nella serie A.XXVII, di cui un
esemplare appare attestato nel deposito votivo del Conchino di Populonia.
La scarsità dei dati di provenienza consente di esprimere solo ipotesi molto
circostanziate per quanto riguarda le possibili aree di produzione di questi materiali. 237 I
bronzetti appartenenti alle serie arcaiche sono in genere privi di dati di provenienza, se si
eccettuano i due bovini provenienti dal deposito di Thorigné-en-Charnie (cat. A.I.15 e
A.V.2) e quello fornito di una dichiarata provenienza da Nîmes (A.I.8). Tuttavia, come
237
Vd. supra, parte I, per i contesti che hanno restituito questi materiali, e i rimandi presenti nelle singole voci
di catalogo.
119
precedentemente messo in evidenza,238 la netta prevalenza di bronzetti inquadrabili in
queste serie nei musei di Volterra e Arezzo porta a ipotizzare una diffusione di queste serie
soprattutto nelle aree interne dell’Etruria settentrionale.
Le serie di V secolo a.C. presentano maggiori dati riguardo alle provenienze, che si
distribuiscono sia nell’Etruria settentrionale (A.XVI.3 e A.XVIII.2), che nell’Etruria
tiberina e meridionale (A.XXI.2-3 e A.XXI.5). In particolare, appare di estremo interesse la
distribuzione della serie A.XXI, che vede ben tre esemplari provenienti da Orvieto
(A.XXI.2, dalla stipe di Fontana Liscia) e dal territorio orvietano (A.XXI.3, dal lago di
Mezzano, e A.XXI.5, proveniente dal sito di Latera, presso il lago di Bolsena). In
particolare nei siti di Fontana Liscia e di Latera questi bronzetti sono associati a esemplari
inquadrabili in una serie leggermente più recente, ovvero la serie A.XXIII (A.XXIII.6 da
Latera e A.XXIII.8 da Fontana Liscia), e caratterizzata da una distribuzione più ampia
rispetto al solo territorio orvietano. Anche le serie A.XVI presenta notevoli motivi di
interesse, essendo attestata in un territorio piuttosto ampio, che dal perugino (A.XVI.3,
dalla stipe di Caligiana), arriva sino in area populoniese (A.XVI.1, dalla stipe di Poggio
Castiglione presso Massa Marittima).
Molto più composito e articolato è il quadro fornito dalle statuette appartenenti alle
serie di epoca ellenistica, i cui luoghi di provenienza, quando noti, sono concentrati
soprattutto nell’Etruria interna e meridionale. Significativa è, in particolare, la distribuzione
del tipo A.XXIV, in cui possono essere inquadrati ben 13 esemplari caratterizzati da una
notevole omogeneità formale e iconografica, che sembra coprire sia il settore settentrionale
del territorio vulcente, con i siti di Ghiaccio Forte e di Quattro Strade di Pitigliano, sia il
territorio perugino. Mentre il tipo A.XXV, caratterizzato da un certo impegno formale
soprattutto nel rendimento dei dettagli anatomici degli animali rappresentati, appare
attestato solamente nel deposito di Tessennano nel territorio vulcente, il tipo A.XXVI,
caratterizzato da prodotti formalmente molto impoveriti, sembra l’unico ancora attestato
con una certa diffusione e consistenza nel territorio aretino.
Sia per la fase classica che per la fase ellenistica sembra emergere dunque un quadro
in cui, a fronte di alcune serie caratteristiche di territori specifici, e quindi marcate da una
forte regionalizzazione, sono presenti alcune serie, in cui sorprende la grande
standardizzazione, di ben maggiore diffusione, che sono documentate da Perugia a nord e
238
Vd. supra, parte I, pp. 21-22.
120
nell’interno sino a Vulci a sud e sulla costa (A.XXIV), o addirittura da Marzabotto a nord
fino al territorio di Orvieto a sud (A.XXX).
In questo quadro, è piuttosto raro che il medesimo deposito restituisca bronzetti
appartenenti alla medesima serie. A parte il deposito di Ghiaccio Forte, in cui erano
presenti due bronzetti di bovini del tipo A.XXIV, associati tuttavia ad altri due bovini
inquadrabili nelle serie A.XXVI e A.XXXII, in tutti i casi in cui siano associati più
bronzetti di bovini, essi sono inquadrabili in serie diverse, spesso caratterizzate da aree di
distribuzione molto differenti: una situazione del genere si riscontra ad esempio, nella stipe
di Fontana Liscia, e nel santuario di Latera presso il lago di Bolsena.
A.I Tipo I
Lo spessore, in questo come in tutti i pezzi in cui questa misura compare, è da intendersi misurato nel
239
121
sopra anche un’altra incisione che può indicare il sopracciglio. La bocca è resa con un solco. Le
corna sono lunghe ed arcuate, rivolte verso l’alto. Dietro di esse sono presenti i piccoli orecchi
sporgenti.
Poggia su una base di forma rettangolare, di cui si conserva tuttavia solo la parte prossima alle
zampe.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
122
Altezza 5,5 cm circa; lunghezza 9,6 cm; spessore del corpo 0,5 cm.
Manca la punta delle corna.
Patina bruna con rare incrostazioni biancastre.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele due a due: quelle anteriori sono
sottili e rigide, di forma cilindrica, quelle posteriori sono modellate in modo diverso, piegate in
corrispondenza di una delle articolazioni. Gli zoccoli non sono caratterizzati in alcun modo. Il
corpo, sottile fino ad essere quasi laminare, presenta nella parte inferiore una evidente carenatura
dello sterno che va a restringersi verso le zampe posteriori. La lunga coda filiforme non aderisce alle
zampe posteriori, è stata modellata a parte prima del bronzetto e poi inserita nel modello in cera. Il
muso è allungato e piatto, rivolto leggermente verso il basso. Gli occhi sono resi in modo
grossolano con incisioni, il sinistro molto più piccolo del destro. La bocca è resa con un solco, le
narici ad incisione. Le corna sono lunghe ed arcuate, rivolte in avanti e con le estremità curvate
verso l’alto. Dietro di esse si trovano gli orecchi piccoli e sporgenti.
Poggia su una base di forma rettangolare provvista di due fori passanti.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Cristofani 1976, p. 177, fig. 236.
123
sporgenti.
Poggia su una base di forma rettangolare con due fori passanti.
Privo di indicazioni di provenienza; già nella collezione Lambert.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, p. 152, n. VI, 1, fig. 11; Boucher 1970b, p. 106, n. 98.
124
articolazioni. Gli zoccoli non sono distinti dal resto della zampa. Il corpo, appiattito fino ad essere
laminare, presenta una forte carenatura dello sterno che va a restringersi verso le zampe posteriori.
La coda era stata eseguita a parte e poi inserita nel modello di cera del bronzetto prima della
fusione. Il collo presenta proporzioni estremamente allungate. Il muso, rivolto verso il basso, è
piatto, allungato, sproporzionatamente grande rispetto al resto del corpo. Gli occhi, grandi e di
forma globulare, sono resi ad incisione, la bocca con un solco. Le corna sono rivolte in avanti.
Dietro sono presenti i piccoli orecchi sporgenti.
Poggia su una base di forma rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza; già nella collezione Lambert.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, p. 152, n. VI, 3, fig. 12; Boucher 1970b, p. 107, n. 100.
A.I.7 Bovino
Saint-Etienne, Musée Archéologique.
Inv. 1.
Lacunosa la coda.
Fusione piena.
Privo di indicazioni di provenienza; già nella collezione Maze-Censier.
Fine del VII a.C. – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, p. 152, n. VI, 4.
125
sproporzionatamente grandi, sono resi ad incisione. La bocca è resa con un solco. Le corna sono
rivolte in alto. Dietro sono presenti i piccoli orecchi sporgenti.
Poggia su una base di forma rettangolare.
Dichiarata provenienza da Nîmes; acquisito nel 1836 dal Cabinet di M. Aubanel, di Nîmes.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Rolland 1965, p. 121, n. 239; Boucher 1968, p. 152, n. VI, 5.
A.I.9 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12160 (vecchio cartellino 163 P).
Altezza 6,1 cm; lunghezza 8,9 cm; spessore 0,4 cm; peso 76 g.
Mancante della coda e della punta del corno sinistro.
Patina verde chiaro tendente al giallastro, con chiazze di colore bluastro.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate. Le anteriori sono sottili e rigide, di forma
cilindrica, quelle posteriori modellate in modo diverso, piegate in corrispondenza di una delle
articolazioni. Gli zoccoli sono resi con un leggere ingrossamento della parte finale della zampa. Il
corpo, appiattito fino ad essere laminare, presenta una forte carenatura dello sterno che va a
restringersi verso le zampe posteriori. La coda filiforme è stata eseguita a parte e poi inserita nel
modello di cera del bronzetto prima della fusione. Il muso è conico, allungato, rivolto leggermente
verso il basso. La bocca è resa con un solco di fattura piuttosto sommaria, mentre gli altri dettagli
del muso non sono stati realizzati. Le corna, di forma semilunata, sono rivolte in alto. Dietro di
esse, sono presenti i piccoli orecchi sporgenti di forma semicircolare.
Sia sotto le zampe anteriori che sotto le zampe posteriori resta parte della base in lamina di bronzo
su cui il pezzo insisteva.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: parzialmente edito in Boucher 1968, p. 150, n. III, 2 (con errato
inquadramento tipologico).
126
Lacunosi il corno sinistro, lo zoccolo della zampa anteriore destra e la base.
Patina verde grigio.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate. Le anteriori sono sottili e
rigide, di forma cilindrica, quelle posteriori modellate in modo diverso, piegate in corrispondenza di
una delle articolazioni. Gli zoccoli non sono distinti dal resto della zampa. Il corpo, appiattito fino
ad essere laminare, presenta una evidente carenatura dello sterno che va a restringersi verso le
zampe posteriori. La coda era stata eseguita a parte e poi inserita nel modello di cera del bronzetto
prima della fusione. Il muso è piatto, rivolto leggermente verso il basso. Gli occhi,
sproporzionatamente grandi, e le narici sono resi ad incisione. La bocca è resa con un solco. Le
corna arcuate sono rivolte indietro. Dietro di esse sono presenti i piccoli orecchi sporgenti.
Poggiava su una base di cui rimangono soltanto le parti in corrispondenza delle zampe.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Lebel 1963, p. 15, n. 12, pl. IX; Boucher 1968, p. 152, n. VI, 7.
127
A.I.12 Bovino (Tav. II,2)
Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 130 016.
Lacunose la coda e la base.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate. Mentre le zampe anteriori sono
estremamente sottili e rigide, di forma cilindrica, quelle posteriori sono modellate in modo diverso,
piegate in corrispondenza di una delle articolazioni. Gli zoccoli non sono distinti dal resto della
zampa. Il corpo, appiattito fino ad essere laminare, presenta una evidente carenatura dello sterno
che va a restringersi verso le zampe posteriori. La coda era stata eseguita a parte e poi inserita nel
modello di cera del bronzetto prima della fusione. Il muso è piatto, allungato, rivolto leggermente
verso il basso. I dettagli del muso non sono leggibili o non sono mai stati eseguiti. Le corna ricurve
sono rivolte indietro. Dietro di esse sono presenti i piccoli orecchi sporgenti.
Poggiava su una base di cui rimangono solo le zone in prossimità delle zampe.
Privo di indicazioni di provenienza; già nella collezione Borgia.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, p. 152, n. VI, 9, fig. 14.
A.I.13 Bovino
Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 130 128.
Fusione piena.
Privo di indicazioni di provenienza; già nella collezione Borgia.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, p. 152, n. VI, 10.
A.I.14 Bovino
Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 1771 (?).
Fusione piena.
Privo di indicazioni di provenienza; già nella collezione Borgia.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, p. 152, n. VI, 11.
128
A.I.15 Bovino (Tav. II,3) (= parte I, cat. 54.1)
Thorigné-en-Charnie, collezione privata.
Inv. s.n.i.
Lunghezza 6,3 cm.
Lacunosa la base. Superficie piuttosto corrosa.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele. Le anteriori sono sottili e
rigide, di forma cilindrica, quelle posteriori modellate in modo diverso, piegate in corrispondenza di
una delle articolazioni. Gli zoccoli non sono indicati in alcun modo. Il corpo, sottile fino ad essere
laminare, presenta nella parte inferiore una evidente carenatura dello sterno che va a restringersi
verso le zampe posteriori. La coda era stata eseguita a parte e poi inserita nel modello di cera del
bronzetto prima della fusione. Il muso è piatto, allungato, rivolto leggermente verso il basso. Gli
occhi sono resi plasticamente come sporgenze di forma globulare e sottolineati da incisioni. La
bocca è resa con un solco. Le corna sono lunghe ed arcuate, rivolte in avanti.
Poggiava su una base di cui rimangono solo le zone in corrispondenza delle zampe.
Dichiarata provenienza dal deposito di Thorigné-en-Charnie.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, pp. 164-165; Boucher 1969, pp. 37-38, fig. 1; Boucher 1970,
pp. 196-199, fig. 10.
129
Poggia su una base di forma rettangolare con foro passante.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Nicosia 1965, pp. 207-208, ill. 70; Bonamici 1986, p. 77, n .23; Corsi 1997, p.
74, n. 31.
130
ingrossata. Il muso, rivolto in avanti, ha gli occhi resi come due sporgenze globulari estremamente
accentuate. Le corna sono brevi ed appuntite, rivolte verso l’esterno. Al di sotto di esse sono
presenti gli orecchi.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Bianchi 1995, p. 18, n. 7, tav. II, fig. 7a, 7b.
131
carenatura dello sterno, che appare una caratteristica del tutto peculiare di questo gruppo,
mentre le zampe sono modellate in modo estremamente schematico, se si eccettua il
dettaglio degli arti posteriori sempre flessi all’altezza di una delle articolazioni, così come il
muso, che si presenta generalmente piatto e allungato, con alcuni dei dettagli interni, come
gli occhi, incisi a freddo. Generalmente, la coda appare realizzata a parte ed inserita nel
modello in cera prima della fusione. Quando non sono mutili della parte inferiore delle
zampe, tutti i pezzi poggiano su basi rettangolari provviste di fori che, in alcuni casi (A.I.2-
5), sono disposti in modo analogo: uno vicino alla zampa posteriore destra, uno vicino alla
zampa anteriore sinistra.
Come già accennato sopra, si discostano leggermente, pur mantenendo una
medesima concezione volumetrica, gli esemplari A.I.16-19, in cui prevale una concezione
maggiormente tridimensionale del corpo, reso in forma cilindrica ma con la caratteristica
carenatura dello sterno caratteristico del gruppo. Gli stessi esemplari non presentano la
coda del tipo realizzato a parte e inserito nel modello in cera, ma essa è realizzata insieme al
resto della statuetta.
Nel tentativo di determinare l’ambito culturale di produzione di questo gruppo è
necessario valutare gli scarsi dati relativi ai luoghi di ritrovamento. I bronzetti conservati nel
Museo Archeologico Nazionale di Arezzo sono del tutto privi di informazioni in questo
senso: tuttavia, visto il modo in cui si è formata la raccolta, è possibile se non probabile che
essi provengano da Arezzo o dal territorio circostante. 240 I tre bovini appartenenti alle
collezioni del Museo di Lione facevano parte di una raccolta privata, la collezione Lambert,
e sono stati acquisiti dallo Stato francese nel 1850. Negli inventari redatti al momento
dell’acquisto non si trova alcuna menzione della loro origine, mentre un catalogo della
collezione compilato nel 1875 riporta una provenienza generica dall’Etruria, provenienza
non confermata da nessun altro documento e che potrebbe essere stata ricavata da fonti di
tipo orale, oppure elaborata a posteriori per aumentare il valore dei pezzi. 241 Anche il
bronzetto del museo di Saint-Etienne è stato acquisito da una collezione privata, la
collezione Maze-Censier, parzialmente costituita in Italia. I quattro bronzetti del Museo di
Napoli facevano parte della collezione Borgia, che comprendeva materiali di varia
provenienza, ma soprattutto reperti etruschi ed italici.
240
Vd. supra, parte I, pp. 21-22.
241
Boucher 1968, p. 143.
132
Gli unici pezzi che abbiano un dato di provenienza dichiarato sono l’esemplare
A.I.8, da Nîmes, e A.I.15, dal deposito bretone di Thorigné-en-Charnie. 242 Queste
provenienze sono attualmente ritenute poco attendibili, e soprattutto per il deposito di
Thorigné-en-Charnie si sono recentemente avanzati ragionevoli dubbi, soprattutto in
relazione al ritrovamento dei bronzetti all’interno di un vaso in bronzo databile al I secolo
a.C., di molto posteriore dunque rispetto alla datazione del complesso dei cinque bronzetti
che ha restituito, che appare sostanzialmente unitario. 243 Se dunque il complesso è da
ritenere con tutta probabilità proveniente da una medesima località e da un medesimo
ritrovamento, la provenienza da Thorigné-en-Charnie appare ad oggi da escludere.244
A.II. Tipo II
242
Vd. supra, parte I, cat. 54.
243
Boucher 1968, pp. 164-165; Boucher 1969; Cristofani 1977; Cristofani 1978, in particolare pp. 127-129.
244
Vd. supra, parte I, cat. 54.
133
A.II.2 Bovino (Tav. III,2)
Arezzo, Museo Archeologico Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate».
Inv. 11515 (7).
Altezza 5,3 cm circa; lunghezza 8,4 cm; spessore del corpo 0,7 cm.
Integro.
Il lato sinistro ha la superficie piuttosto corrosa, color ruggine, mentre il lato destro ha una
superficie più compatta, verde nella parte centrale e color ruggine nel resto del corpo. Incrostazioni
color ruggine sono presenti soprattutto fra le zampe posteriori.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate; sia quelle anteriori che quelle posteriori
sono diritte e rigide. Gli zoccoli sono modellati come piccoli piedi. La lunga coda filiforme non
aderisce alle zampe posteriori, è stata eseguita a parte e poi inserita nel modello in cera del
bronzetto. Il corpo è allungato e appiattito, senza alcun tentativo di resa della volumetria. Il collo è
lungo e tozzo. Il muso allungato è rivolto leggermente in basso. Gli occhi e la bocca sono resi con
incisioni. Le lunghe corna ricurve sono rivolte in avanti, al di sotto sono presenti i piccoli orecchi a
linguetta.
Poggia su una base rettangolare con i lati maggiori concavi.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
134
appiattito, senza alcun tentativo di resa della volumetria. Il collo è lungo e tozzo. Il muso allungato e
cilindrico è rivolto leggermente in basso. Gli occhi e la bocca sono resi con incisioni. Le corna
ricurve sono rivolte in alto, al di sotto di esse sono presenti gli orecchi, la cui forma non è
distinguibile a causa dello spesso strato di incrostazioni.
Poggia su una base rettangolare con i lati maggiori concavi.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
135
Manca la coda.
Patina fortemente corrosa.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele; sia le anteriori che le posteriori
sono dritte e rigide, con la differenza che le zampe anteriori hanno una delle articolazioni modellata
e posta in evidenza. Gli zoccoli sono realizzati come piccoli piedi. La coda era stata eseguita a parte
e poi inserita nel modello in cera del bronzetto prima della fusione. Il corpo è allungato e appiattito,
senza alcun tentativo di resa della volumetria. Il collo è sproporzionatamente lungo. Il muso
cilindrico è rivolto leggermente in basso. Gli occhi sono plasticamente resi e sottolineati da
incisioni, la bocca è realizzata con un solco. Le lunghe corna ricurve sono rivolte in alto, al di sotto
sono presenti i piccoli orecchi a linguetta.
Poggia su una base rettangolare con i lati maggiori concavi.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, p. 151, n. IV, 1, fig. 5.
136
A.II.7 Bovino (Tav. III,7)
Genève, Musée d’Art et d’Archéologie.
Inv. 234.
Lunghezza 9 cm.
Lacunosa la coda.
Superficie uniformemente corrosa.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele; sia le anteriori che le posteriori
sono dritte e rigide ma hanno una delle articolazioni modellata e posta in evidenza. Gli zoccoli sono
realizzati come piccoli piedi. La coda filiforme è stata eseguita a parte e poi inserita nel modello in
cera del bronzetto prima della fusione. Il corpo è allungato e appiattito, senza alcun tentativo di resa
della volumetria. Il collo è sproporzionatamente lungo. Il muso cilindrico è rivolto leggermente in
basso ed ha la bocca realizzata con un solco. Le lunghe corna ricurve sono rivolte in avanti, al di
sotto sono presenti i piccoli orecchi.
Poggia su una base con i lati maggiori concavi.
Privo di indicazioni di provenienza. Acquistato a Lyon nel 1882.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Déonna 1915-1916, p. 68, n. 234; Boucher 1968, p. 151, n. IV, 4, fig. 8.
137
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Rolland 1965, p. 122, n. 241; Boucher 1968, p. 152, n. VIII, 1, fig. 15.
A.II.9 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12167.
Altezza 5,9 cm; lunghezza 9,3 cm; spessore 0,8 cm; peso 103 g
Manca buona parte della coda.
Patina bruna.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate, le sinistre appena avanzate
rispetto alle destre. Le zampe anteriori sono diritte e rigide, mentre quelle posteriori sono
leggermente flesse. Tutte hanno l’articolazione più vicina agli zoccoli, che sono modellati
plasticamente, evidenziata con la sua struttura ossea. Il corpo è schematizzato, appiattito e privo di
indicazioni anatomiche. Il muso, rivolto verso il basso, è piuttosto grande e di forma triangolare. Gli
occhi sono messi in rilievo da incisioni. Le corna appuntite sono appena incurvate e rivolte verso
l’esterno; sotto di esse si trovano gli orecchi tesi indietro.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
138
Il gruppo si presenta talmente omogeneo per dimensioni e stile da poter essere
attribuito alla produzione di una medesima bottega di bronzisti, la cui localizzazione appare
estremamente aleatoria a causa dell’assenza di dati di provenienza per tutti i bronzi
appartenenti a questo gruppo. La presenza di un notevole nucleo di pezzi nel Museo
Archeologico Nazionale di Arezzo, per quanto privi di dati di contesto, può indiziare una
provenienza di questi materiali da Arezzo o dal territorio aretino.
Visti i dati disponibili, si possono solo fare ipotesi circa il luogo di produzione di
questo gruppo. S. Boucher aveva proposto, per alcuni dei bronzetti ascrivibili a questo tipo,
una provenienza da un atelier localizzato genericamente in Italia settentrionale, vista la
presenza di due esemplari a Verona e Modena. 245 Tuttavia, alla luce dei nuovi pezzi qui
proposti, conservati nel museo di Arezzo, la distribuzione dei bronzetti appartenenti a
questo tipo cambia notevolmente, ed è possibile, sia pure come ipotesi di lavoro, proporre
un luogo di produzione collocabile nell’Etruria settentrionale interna, e più specificamente
nel territorio aretino.
245
Boucher 1968, pp. 160-161.
139
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Schefold 1960, p. 131, n. I 60, pl. 126; Boucher 1968, p. 152, n. IX, 1.
A.III.3 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12375 (vecchio cartellino 386 P).
140
Altezza 4,8 cm; lunghezza 6,5 cm; spessore 0,9 cm
Integro, eccetto piccola lacuna nella parte sinistra della basetta che sorregge le zampe anteriori.
Patina verde chiaro, con zona bruna in corrispondenza della testa e della parte superiore del corpo.
Chiazze bluastre diffuse.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate: quelle anteriori sono tozze e rigide, quelle
posteriori sono più slanciate e con una delle articolazioni in evidenza. Gli zoccoli delle zampe
anteriori sono resi come piccoli piedi, mentre quelli delle zampe posteriori non sono caratterizzati
in alcun modo. La coda è del tipo filiforme, eseguito a parte e quindi applicato al modello in cera
del bronzetto prima della fusione. Il corpo di forma cilindrica è privo di indicazioni volumetriche. Il
collo è lungo e spesso. Le corna ricurve sono rivolte in avanti; al di sotto di esse sono gli orecchi
sporgenti a forma di linguetta. Gli occhi, grandi e di forma globulare, sono resi ad incisione. I
padiglioni degli orecchi sono triangolari e incisi. La bocca è rappresentata aperta, resa con un solco
piuttosto profondo, mentre le narici sono rese con punti incisi.
Poggia su un base di forma approssimativamente rettangolare, di cui manca tutta la parte centrale.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: parzialmente edito in Boucher 1968, p. 151, n. IV, 3.
141
A.III.5 Bovino (Tav. IV,4)
Arezzo, Museo Archeologico Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate».
Inv. 11520 (23).
Altezza 5,2 cm circa; lunghezza 7 cm; spessore corpo 1 cm.
Manca la parte finale della coda. Patina marrone con incrostazioni color ruggine.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate, quelle anteriori diritte e rigide, quelle
posteriori modellate in modo diverso, con una delle articolazioni in evidenza e leggermente piegate.
Gli zoccoli delle zampe anteriori sono resi come piccoli piedi, mentre quelli delle zampe posteriori
sono realizzati plasticamente. La coda, eseguita a parte e quindi applicata al modello in cera del
bronzetto, aderisce in parte alla zampa posteriore sinistra, mentre la parte libera è mancante. Il
corpo è di forma cilindrica e rappresentato in modo schematico. Il collo è lungo e spesso, il muso è
rivolto in avanti. Gli occhi, poco leggibili, e la bocca sono resi con incisioni. Le corna ricurve sono
lunghe e appuntite, rivolte verso l’alto.
Poggia su di una base di forma rettangolare con foro centrale e traccia di chiodo all’interno.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
142
A.III.7 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12376 (vecchio cartellino 387 P).
Altezza 4,3 cm; lunghezza 6,9 cm; spessore 0,6 cm; peso 66 g
Manca la coda, forse del tipo inserito nel modello in cera.
Patina bruna.
L’animale è rappresentato stante, ha corpo di forma cilindrica, allungato, le zampe divaricate,
anch’esse cilindriche e semplificate, il collo corto e tozzo. Il muso, di forma conica e rivolto in
avanti, non reca traccia di dettagli. Le corna, corte e di forma lunata, sono rivolte in avanti.
Poggia su una base rettangolare, con traccia di perno nella parte anteriore sinistra.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
143
A.III.9 Bovino (Tav. IV,7)
Arezzo, Museo Archeologico Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate».
Inv. 11530 (21).
Manca parte della zampa posteriore destra. Lacuna alla parte anteriore del muso.
Patina nerastra. Superficie lucida.
Fusione piena.
Altezza 5 cm circa; lunghezza 5,4 cm; spessore del corpo 1 cm.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate, sia quelle anteriori che quelle posteriori
sono sottili e molli, senza alcun tentativo di resa anatomica. In particolare le zampe anteriori sono
sproporzionatamente lunghe ed hanno gli zoccoli modellati plasticamente e con il dettaglio della
spaccatura dell’unghia. La lunga coda è stata modellata separata dal corpo, ma tende ad appoggiarsi
alla zampa posteriore sinistra. Il corpo è di forma cilindrica, come il collo allungato. La testa, di
forma triangolare, ha gli occhi circolari resi ad incisione. Le corna sono corte, appuntite e rivolte in
avanti. Gli orecchi al di sotto delle corna sono di forma semicircolare ed hanno il padiglione
incavato.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
I bronzetti inquadrabili nel tipo A.III, pur essendo accomunati dal trattamento
generale del corpo e in particolare dalla resa delle zampe, ingrossate nella parte superiore e
tubolari in quella inferiore, presentano fra di loro una maggiore variabilità rispetto ai pezzi
appartenenti ai tipi precedentemente individuati. Se gli esemplari A.III.1-4 mantengono fra
loro una notevole omogeneità, avvicinandosi ai bronzetti del tipo A.II per l’impostazione
generale del corpo, per la resa anatomica e per le proporzioni, e a quelli del tipo A.I per la
definizione dei volumi della testa e per la lavorazione dei dettagli interni del muso,
generalmente resi ad incisione, gli esemplari A.III.5-7 presentano una maggiore variabilità,
e rappresentano in alcuni casi, ad esempio per quanto riguarda l’esemplare A.III.6, prodotti
maggiormente stilizzati e privi di cura rispetto agli esemplari precedenti. Anche in questo
caso, come per i tipi precedenti, si nota la presenza di una base di supporto del bronzetto di
forma approssimativamente rettangolare, fornita in alcuni casi di un foro per il fissaggio
dell’oggetto ad un sostegno in altro materiale.
144
Come già messo in evidenza per i bronzetti dei tipi A.I e A.II, la mancanza di dati
per quanto riguarda i luoghi di ritrovamento non consente di proporre su basi
documentarie alcuna ipotesi riguardante l’ambito di produzione.
A.IV. Tipo IV
A.IV.2 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12175 (vecchio cartellino 178 P).
Altezza 4 cm; lunghezza 7,3 cm; spessore 0,5 cm
Mancante della coda.
Patina verde chiaro.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate. Sia quelle anteriori che
quelle posteriori sono tubolari, prive di dettagli realistici, rigide e diritte. Gli zoccoli non sono
145
indicati in alcun modo. Il corpo è appiattito, come il collo con la giogaia appena indicata. Il muso è
piuttosto grande, rivolto verso il basso, di forma triangolare. I dettagli non sono leggibili a causa
della corrosione della patina. Le corte corna sono rivolte in avanti.
Poggia su un base di forma approssimativamente rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: parzialmente edito in Boucher 1968, p. 152, n. VI, 6.
146
A.V. Tipo V
A.V.1 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12161 (vecchio cartellino 164 P).
Altezza 5,8 cm; spessore 0,7 cm
Manca la coda, del tipo a verga in bronzo inserita nel modello a cera.
Patina verde bruno, superficie irregolare.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, nell’atto di accennare un passo, con le zampe destre leggermente
avanzate. La coda, per quanto non conservata, era del tipo filiforme non aderente alle zampe
posteriori ed eseguita a parte e quindi applicata al modello in cera del bronzetto. Gli zoccoli sono
resi in modo piuttosto realistico. Le zampe anteriori sono dritte e rigide, mentre quelle posteriori
sono modellate diversamente, con una delle articolazioni in evidenza. La giogaia appare lievemente
ingrossata. I dettagli del muso non sono realizzati. Le corna, di piccole dimensioni e di forma
semilunata, sono rivolte verso l’alto. Al di sotto di esse sono presenti gli orecchi, grandi e ovali,
disposti parallelamente al suolo.
Poggia su un base di forma approssimativamente rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: parzialmente edito in Boucher 1968, p. 152, n. VI, 6.
147
in avanti; dietro di esse sono presenti gli orecchi a linguetta.
Poggia su una base rettangolare con i lati maggiori concavi.
Dichiarata provenienza da deposito di Thorigné-en-Charnie.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, pp. 164-165; Boucher 1969, pp. 37-38, fig. 1; Boucher 1970,
pp. 196-199, fig. 10.
148
Fusione piena.
Altezza 4,7 cm; lunghezza 7,2 cm; spessore del corpo 0,7 cm; peso 76 g.
L’animale, rappresentato stante, ha corpo appiattito e stilizzato e zampe divaricate; le zampe e la
linea del corpo formano un arco. Il muso assottigliato è rivolto verso il basso ed ha la bocca resa
con un solco, corna arcuate e orecchi sporgenti al di sotto di esse.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
I pezzi ascrivibili al tipo A.V. sono accomunati dalla concezione generale dei volumi
del corpo, piuttosto piatta e schematica, ma con un tentativo di resa del movimento e con
una certa consapevolezza nella resa dei dettagli, soprattutto per quanto concerne il muso
dell’animale. Se, da una parte, la resa del corpo come una sottile lamina accomuna questi
bronzetti al tipo A.I, le proporzioni del corpo sono analoghe a quelle peculiari del tipo A.II.
Dal punto di vista tecnico, tutti gli esemplari appartenenti a questo gruppo appaiono
caratterizzati dalla presenza di una coda del tipo in verga di bronzo, eseguita a parte e
quindi inserita nel modello in cera prima della fusione. Come per i tipi A.I-IV, si nota la
presenza di una base sagomata, approssimativamente di forma rettangolare ma con i lati
maggiori concavi.
L’unico bronzetto fornito di un dato riguardante la provenienza è l’esemplare A.V.2, da
Thorigné-en-Charnie, provenienza su cui è lecito esprimere notevoli dubbi. 246
A.VI Tipo VI
246
Cfr. supra, parte I, cat. 54.
149
L’animale è rappresentato stante, con le zampe anteriori unite e quelle posteriori appena divaricate.
Sia le zampe anteriori che quelle posteriori sono diritte e rigide. Gli zoccoli sono modellati come
piccoli piedi. Il corpo è appiattito e rappresentato in modo schematico. Il muso allungato e
appuntito è leggermente rivolto verso il basso. Le lunghe corna arcuate sono rivolte verso l’alto, gli
occhi resi come sporgenze poco accentuate di forma globulare.
Poggia su una stretta base rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Cateni 1988, p. 37.
150
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due e la lunga coda aderente a quelle
posteriori. Le zampe sono estremamente sottili e rigide, con gli zoccoli resi come piccoli piedi. Il
corpo è appiattito e schematico. Il corto muso triangolare è rivolto leggermente in basso. La bocca
è resa con un solco, gli occhi come due sporgenze globulari poco pronunciate. Le lunghe corna
sono rivolte in alto e indietro. Dietro di esse sono presenti gli orecchi a linguetta.
Poggia su di una base di forma rettangolare, con un foro passante nella parte centrale, in cui si
conserva un chiodo in ferro funzionale al fissaggio ad una base in legno.
Provenienza dichiarata dal deposito di fonderia celtica di Larnaud.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Reinach 1897-1924, IV, p. 490, n. 4; Armand, Calliat 1950, p. 257; Boucher
1968, p. 150, n. II,1; Boucher 1970, 2, pp. 193-194; Boucher 1983, pp. 34-35, n. 5.
151
esemplari A.VI.2-4 hanno un muso corto, che nella parte finale si presenta appiattito e
caratterizzato dalla bocca resa con un solco profondo, il numero A.VI.1 ha un muso
conformato in modo notevolmente diverso: è infatti di forma conica e piuttosto allungato.
Inoltre, esso presenta corna molto più lunghe e robuste degli altri tre.
Le caratteristiche stilistiche dei pezzi accomunano questo gruppo ai tipi precedenti,
A.I-A.V, soprattutto per quanto riguarda la resa anatomica dell’animale, in cui i volumi sono
molto semplificati e il corpo è reso come una lamina piuttosto sottile e priva delle partizioni
anatomiche caratteristiche della specie rappresentata. Come per i tipi precedentemente
individuati, i bronzetti del tipo A.VI poggiano su basi di forma approssimativamente
rettangolare, con foro centrale per l’infissione in un supporto in materiale diverso.
Gli esemplari conservati nei musei di Volterra e di Arezzo non sono provvisti di
informazioni di provenienza. Tuttavia, come si è già notato precedentemente, è verosimile
che essi provengano da zone prossime al luogo dove sono attualmente conservati. Anche
per il bronzetto A.VI.4, conservato a Besançon, non si hanno indicazioni riguardo
all’origine. Diverso è il caso del bronzetto di Chalon-sur-Saône, che presenta una dichiarata
provenienza dal deposito di fonderia celtica, datato all’età del Bronzo finale, rinvenuto nel
1865 nel sito di Larnaud. L’autenticità del dato, tuttavia, è stata contestata da più autori,
così come accade per diversi altri casi di bronzetti etruschi con provenienze da siti francesi,
che si sono rivelate a esami recenti false dichiarazioni di provenienza mirate ad accrescere il
valore dei materiali sul mercato antiquario.247 Gli editori stessi del pezzo hanno espresso a
più riprese dubbi sull’autenticità del dato di provenienza: Armand-Calliat notava come
l’attribuzione del pezzo al deposito di Larnaud non sia riportata in diversi resoconti della
scoperta, ma solo in pubblicazioni successive, e avvicinava il bronzetto alle produzioni della
cultura di Hallstatt,248 mentre S. Boucher aveva ritenuto piuttosto dubbia l’informazione nel
suo articolo sui bronzetti votivi zoomorfi del 1968, in cui ipotizzava una produzione locale
per i due bronzi da lei conosciuti appartenenti a questo gruppo. Tuttavia la stessa studiosa,
nel catalogo del Museo di Besançon curato nel 1983, attribuiva il pezzo a produzione
etrusco-italica e lo datava alla fine del VII – inizio del VI secolo a.C., accettando l’idea che il
pezzo fosse giunto in Gallia e quindi entrato a far parte, in un’epoca imprecisata, del
deposito di Larnaud.249
247
Vd, supra, parte I, catt. 54-56.
248
Armand, Calliat 1950, p. 257.
249
Boucher 1968, pp. 159-160; Boucher 1983, pp. 34-35.
152
Sulla base dei due nuovi bronzetti qui avvicinati a quelli già conosciuti dalla
Boucher, pur concordando con la datazione della studiosa francese, si propone per questo
gruppo una provenienza dall’Etruria settentrionale interna, ed in particolare dal territorio
volterrano o aretino.
153
in avanti, sono massicce e appuntite ma debolmente ricurve. Al di sotto di esse sono presenti gli
orecchi con padiglione centrale.
Sotto ciascuna coppia di zampe è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza. Già nella collezione Lambert.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Boucher 1968, p. 149, n. I, 2, fig. 2; Boucher 1970b, p. 108, n. 102.
I due pezzi, già riuniti in un unico tipo da S. Boucher, appaiono accomunati dalla
medesima impostazione del corpo, concepito in modo praticamente bidimensionale, con le
zampe che, nell’accennare appena un passo, si dispongono una davanti all’altra e non una
accanto all’altra. La concezione generale del corpo avvicina i bronzetti ai tipi A.I-A.II e
A.IV-A.VI, mentre il rendimento dei dettagli del muso è molto simile a quello che
caratterizza il tipo A.II. Rispetto a questi gruppi, e in analogia e quanto avviene nel gruppo
A.V, i bronzetti del gruppo A.VII Sono caratterizzati da un tentativo di resa del
movimento, che si concretizza in un breve passo accennato dalle zampe destre.
A differenza dei gruppi sin qui delineati, i bronzetti del tipo A.VII non presentano
una base rettangolare, ma sono provvisti di tenoni al di sotto delle zampe, realizzati
regolarizzando i canali di fusione residui dopo il processo di produzione degli oggetti. La
presenza di questo tipo di supporto, presupponendo l’infissione del pezzo in una base di
materiale diverso, ad esempio terracotta, pietra, legno o piombo, permette di escludere con
certezza che si tratti di oggetti pensati originariamente per una funzione decorativa, per
essere dunque fissati su di un arredo oppure un utensile bronzeo, visto che questo tipo di
supporto non permette l’utilizzo del bronzetto in questo modo. Il dato assume particolare
interesse soprattutto nel quadro della problematica della resa in movimento degli animali
nella piccola plastica votiva, esclusa recisamente da G. Colonna per un bronzetto di cavallo
proveniente dal santuario di Pietrabbondante. 250 In questo caso, si può affermare con una
certa sicurezza che, per quanto rappresentati in leggero movimento, gli animali
appartenenti a questo gruppo fossero originariamente concepiti con una funzione
specificamente votiva, visto il tipo di supporto che presuppongono.
Per quanto concerne i dati di provenienza, entrambi i bronzetti, conservati al Musée
des Beaux-Arts di Lyon, facevano parte di una collezione privata, la collezione Lambert, i
250
G. Colonna in Di Niro 1977, p. 84, n. 6.
154
cui pezzi, al momento della cessione allo Stato, erano privi di indicazioni di provenienza. In
inventari successivi è menzionata tuttavia una generica provenienza dall’Etruria. 251
155
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
I tre bronzetti appartenenti a questo tipo sono accomunati dalla resa estremamente
schematica del corpo e delle zampe, che sono semplificati in forma tubolare e privi di
qualsiasi dettaglio anatomico. Caratteristica appare la forma e l’atteggiamento del muso che,
insieme con il collo, risulta enfatizzato rispetto al resto del corpo. Le strette analogie
strutturali e nella realizzazione dei dettagli fanno ipotizzare la produzione dei tre pezzi
nell’ambito della medesima officina.
Dal punto di vista dell’esecuzione tecnica, essi presentano la coda eseguita a parte
ed inserita nel modello in cera dell’animale prima della fusione e poggiano su di una base
rettangolare. Ogni traccia dei canali di fusione appare eliminata. Queste caratteristiche
accomunano il gruppo con i tipi A.I-A.VI, da cui il tipo A.VIII Si discosta tuttavia per una
minore cura nella realizzazione del corpo e dei dettagli, e per le misure estremamente
ridotte, che qualificano questi pezzi come prodotti di qualità nettamente inferiore e di
minore valore intrinseco.
156
A.IX Tipo IX
157
stilizzazione rimanda ai tipi sopra delineati, e soprattutto al tipo A.III, in cui la visione
puramente laminare del corpo dell’animale cede il posto ad una certa resa della volumetria
corporea, le ridotte dimensioni e la realizzazione estremamente sommaria avvicinano questi
pezzi al tipo A.VIII, e come questi sono da qualificare come prodotti di qualità e valore
intrinseco nettamente inferiori rispetto ai pezzi classificabili nei tipi A.I-A.VII.
Pur mancando dati sicuri di provenienza, è probabile che questi bronzetti siano stati
rinvenuti a Volterra o nel territorio volterrano. L’assenza di ulteriori confronti sembra
rafforzare l’ipotesi di una produzione locale per questi pezzi di scarsissimo impegno
formale ed artistico.
A.X Tipo X
158
A.X.2 Bovino (Tav. VII,2)
Orvieto, Museo Claudio Faina.
Inv. 1214.
Altezza 2 cm; lunghezza 4,4 cm.
Mancante delle zampe anteriori e della zampa posteriore destra.
Patina verde chiaro.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate. Il corpo è tozzo e appiattito, senza alcun
tentativo di resa della volumetria. Il collo è tozzo. Il muso arrotondato è rivolto leggermente in
basso e sproporzionatamente grande rispetto al corpo. Le corna, corte e appuntite, sono rivolte
indietro.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Cardella 1888, p. 28/C 4-4c; Klakowicz 1970, pp. 64, 162; Caravale 2003, p.
134 n. 169.
159
A.X.4 Bovino (Tav. VII,4)
Volterra, Museo Guarnacci.
Inv. MG 2266 (vecchi inventari 129).
Altezza 2,7 cm; lunghezza 4,2 cm; spessore del corpo 0,7 cm; peso 31 g.
Manca la parte posteriore del corpo e le zampe. Patina verde bruno.
Fusione piena.
L’animale, rappresentato in posizione di ferma, ha corpo di forma cilindrica, sottile. Il muso,
grande, è rivolto verso il basso, con la bocca segnata da un largo solco e corna leggermente
incurvate verso il basso.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VII – inizio del VI secolo a.C.
Inedito.
160
semplicità dal punto di vista stilistico non consente di proporne un soddisfacente
inquadramento.
A.XI Tipo XI
161
aderisce alle zampe posteriori. Il corpo è schematico, appiattito, con un ingrossamento di forma
triangolare sotto il ventre. Il muso allungato e cilindrico è rivolto in avanti. La bocca e gli occhi
sono resi ad incisione. Le corte corna appuntite sono rivolte verso l’alto; al di sotto di esse sono
presenti gli orecchi sporgenti, di forma semicircolare e con il padiglione incavato, disposti su di un
piano orizzontale.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Inedito.
162
zampe anteriori che quelle posteriori sono sottili e rigide, senza articolazioni, estremamente
schematiche. Gli zoccoli delle zampe posteriori sono indicati come piccoli piedi. La lunga coda
aderisce alle zampe posteriori. Il muso, rivolto in avanti, non presenta dettagli incisi. Le corte corna,
rivolte in avanti, sono rese come leggeri rigonfiamenti. Gli orecchi si trovano dietro di esse.
Sotto le zampe anteriori è presente un tenone a forma di U.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Cardella 1888, p. 27/C 2-2c; Klakowicz 1970, pp. 64, 159; Caravale 2003, p.
133 n. 165.
163
piedi. Il corpo è semplificato, dai volumi cilindrici. Il collo è tozzo, allungato, di forma cilindrica. Il
muso, rivolto leggermente in basso, ha gli occhi, di forma amigdaloide, resi ad incisione. Le corte
corna sono rivolte in alto, e rese come leggeri rigonfiamenti.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI a.C.
Bibliografia specifica: Cardella 1888, p. 27/C 2-2c; Klakowicz 1970, pp. 79, 160; Caravale 2003, p.
133 n. 166.
164
breve, aderisce alle zampe posteriori. Il corpo è allungato e di forma cilindrica, il muso rivolto in
avanti ha gli occhi, a forma di losanga, resi ad incisione. Le corte corna sono affiancate dagli orecchi
rivolti indietro.
Privo di indicazioni di provenienza. Già nella collezione Garovaglio.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Bolla, Tabone 1996, p. 191, n. A 163.
165
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Maetzke 1957, p. 519, n. 60, fig. 54.
166
I bronzetti appartenenti a questo gruppo, pur nella notevole variabilità che
caratterizza il tipo, sono caratterizzati da forme estremamente schematiche e stilizzate, di
proporzioni allungate in senso longitudinale, con una ipertrofica estensione della parte
centrale del corpo e soprattutto del collo, mentre le zampe sono, quando conservate,
compresse e tozze. In alcuni casi, sono presenti dettagli incisi a freddo nella resa del muso e
della pelle della giogaia.
L’assenza di dati di contesto per i bronzetti appartenenti a questo gruppo, e la sua
estrema povertà formale, non consentono di proporne un inquadramento soddisfacente dal
punto di vista produttivo e storico-artistico.
167
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Maetzke 1987, p. 196.
168
cera. Lo sterno è leggermente carenato. Il corpo, sottile e cilindrico nella parte centrale, si ingrossa
alle estremità. Il muso è eretto, plasticamente distinto dal collo e piuttosto ben modellato. Le lunghe
corna arcuate sono leggermente rivolte indietro, come gli orecchi ben modellati. Numerosi dettagli
del corpo e del muso sono resi ad incisione: la muscolatura oppure il mantello sono indicati da tratti
disposti lungo le zampe, gli occhi e le sopracciglia.
La zampa anteriore sinistra e quella posteriore destra poggiano su sottili linguette di bronzo. Non è
possibile determinare se fossero finite in questo modo o se continuassero a comprendere anche le
altre due zampe.
Provenienza dichiarata da Andria (Bt).
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Heilmeyer et alii 1988, pp. 228-229, n. 8 (con letteratura precedente).
169
A.XII.5 Bovino (Tav. IX,7)
Luogo di conservazione sconosciuto.
Altezza 10 cm.
Mancante della coda.
Patina bruna. Superficie lucida.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con le zampe destre avanzate rispetto alle sinistre.
Mentre le zampe anteriori sono diritte e rigide, quelle posteriori sono flesse all’altezza di una delle
articolazioni; tutte e quattro appaiono tuttavia piuttosto ben modellate, con particolare cura per la
resa plastica degli zoccoli. Il corpo, di forma cilindrica, è sottile ed allungato. Il muso, rivolto in
avanti, presenta i piani modellati plasticamente con attenzione per la volumetria. Gli occhi sono resi
ad incisione, mentre gli altri dettagli, quali le narici e la bocca, sono resi plasticamente. Le corna
sono corte e ricurve indietro. Al si sotto di esse sono presenti gli orecchi.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Helbing 1910, n. 638.
I cinque pezzi inseribili nel tipo A.XII sono caratterizzati da una resa stilizzata ma
efficace del corpo e del movimento e dall’attenzione per la descrizione dei dettagli, che
sono realizzati nella maggior parte dei casi ad incisione. Gli occhi, ad esempio, hanno
spesso ciglia e sopracciglia, gli orecchi i padiglioni sottolineati da incisioni che ne indicano i
contorni ed il pelame. Incisioni sul corpo possono essere interpretate come indicazioni del
mantello o della muscolatura dell’animale. Gli esemplari attribuibili a questo gruppo si
qualificano come oggetti di elevato pregio dal punto di vista storico-artistico,
differenziandosi nettamente dagli esemplari sinora raccolti nei tipi A.I-A.IX.
Scarsi sono i dati a disposizione per quanto riguarda le provenienze dei singoli
pezzi. L’unico che abbia una provenienza dichiarata è l’esemplare A.X.3, da Andria, in
Puglia. Sulla base di questa provenienza, e vista la sua eccezionalità nel panorama della
bronzistica votiva a figura animale di produzione etrusca, esso è stato assegnato dai suoi
editori a produzione magno-greca. Tuttavia, vista la presenza di due bronzetti del tutto
analoghi nelle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, privi di dati di
provenienza ma probabilmente rinvenuti ad Arezzo o nel territorio, e di un bronzetto ad
essi avvicinabili nel Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria a Perugia, non è da
170
escludere che questa attribuzione vada rivista a favore di una produzione etrusca di questo
pezzo come degli altri appartenenti alla serie, che qui si propone per quanto in via del tutto
ipotetica. D’altra parte, per quanto di qualità decisamente più elevata, questo gruppo
presenta forti analogie, per la resa della volumetria e dei dettagli del muso, con i bovini
inseribili nel tipo A.I, con cui condivide l’impostazione generale e la resa dei dettagli quali
gli occhi, la bocca e le narici, del tipo A.V, cui si avvicina in particolare per la resa del
movimento, e del tipo A.XIII, con cui condivide ancora la resa dei dettagli del muso.
171
anteriori unite solo all’altezza degli zoccoli. La zampa anteriore sinistra risulta leggermente avanzata.
Le zampe anteriori sono diritte e rigide, mentre quelle posteriori sono modellate diversamente,
piegate e con una delle articolazioni in evidenza. Gli zoccoli anteriori sono distinti dal resto della
zampa ed hanno il dettaglio della spaccatura centrale. La lunga coda è separata dalle zampe
posteriori ed ha nella parte terminale solchi trasversali paralleli che indicano il pelame. L ’organo
sessuale è appena indicato. Il muso, allungato, è rivolto in avanti ed evidenzia una certa cura per la
resa dei volumi. La bocca è indicata da un solco, come le narici, che però sono anche modellate a
rilievo. Gli occhi sono resi attraverso la modulazione dei piani del viso e sottolineati da solchi, come
le sopracciglia. Le corte corna appuntite sono rivolte verso l ’alto, al di sotto sono presenti i piccoli
orecchi che hanno i padiglioni incavati.
Al di sotto delle zampe anteriori è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Proveniente da Volterra, già nella Collezione Galluzzi.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Marzi, Bocci Pacini 1997, p. 351, tav. VIII, f.
172
I bronzetti appartenenti a questo tipo, di probabile o accertata provenienza
volterrana eccetto l’esemplare A.XIII.3, sono caratterizzati da una realizzazione accurata
dei volumi del corpo, resi con una certa attenzione per la descrizione naturalistica delle
partizioni anatomiche caratteristiche della specie rappresentata. Anche i dettagli del muso
sono realizzati in modo accurato: in particolare, il pezzo A.XIII.2 si avvicina, per la resa dei
dettagli del muso, agli esemplari classificabili nel tipo A.XII, di elevata qualità formale e
pregio artistico.
173
Integro.
Superficie lucida. Patina verde.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, il corpo è approssimativamente cilindrico, ma evidenzia una
buona resa dei volumi. Le zampe anteriori sono separate, unite nella zona dello zoccolo, rigide e
dritte. Le zampe posteriori, unite, sono leggermente piegate e più corte di quelle anteriori. Gli
zoccoli sono modellati come ingrossamenti della parte finale delle zampe. La lunga coda aderisce
alle zampe posteriori. Il muso è allungato, cilindrico, rivolto in avanti. Le narici sono rese da punti
impressi, gli occhi a forma di mandorla hanno un solco centrale orizzontale, sono resi a rilievo e
sottolineati da solchi. Le corna massicce sono rivolte in alto. Al di sotto di esse si trovano i piccoli
orecchi disposti orizzontalmente. Sulla parte posteriore del collo si trovano incisioni verticali.
Al di sotto della zampa anteriore destra si trova un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Inedito.
I bronzetti appartenenti a questo tipo, per quanto stilizzati nella resa dei volumi
corporei, sono caratterizzati da una maggiore attenzione per la resa naturalistica del corpo
dell’animale e dei dettagli anatomici rispetto ai gruppi precedentemente evidenziati. Come
per il tipo A.VII, i due pezzi appartenenti a questo tipo non presentano la basetta di
appoggio rettangolare caratteristica dei tipi tardo-orientalizzanti ed arcaici, ma un tenone al
di sotto delle zampe, necessario per il fissaggio dei pezzi ad un sostegno in altro materiale.
Significativa è la provenienza di uno dei due pezzi da una stipe votiva scoperta nel 1783 in
località Poggio Castiglione, nella zona di Massa Marittima, insieme ad altri due bronzetti a
figura di bovino appartenenti a tipi diversi ma di cronologia sostanzialmente analoga.
A.XV Tipo XV
174
Integro.
Superficie lucida.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe destre avanzate rispetto alle altre. La lunga coda è
aderente alla zampa posteriore sinistra. L’organo sessuale è messo in evidenza. La giogaia è
ingrossata, cosicché il muso non appare distinto da essa. Il muso triangolare è rivolto in avanti. Le
corte corna sono leggermente ricurve verso il basso. Numerosi dettagli sono realizzati ad incisione:
la parte finale della coda, la distinzione degli zoccoli dalla zampa e la loro spaccatura centrale, il pelo
della giogaia e della zona fra le corna, le narici, gli occhi circolari con le sopracciglia.
Poggia su una base di forma irregolare, che segue la posizione degli zoccoli.
Sulla zampa anteriore sinistra sembra presenta un’iscrizione.
Privo di indicazioni di provenienza.
Prima metà VI secolo a.C.
Inedito.
175
Inv. A, 75.
Altezza 2,9 cm; altezza con tenone 3,7 cm; lunghezza 4 cm.
Lacunosa la base posteriore.
Patina verde scuro.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due. Sia quelle anteriori che quelle
posteriori sono diritte e rigide, prive di dettagli anatomici. Gli zoccoli sono resi come piccoli piedi.
La lunga coda aderisce alle zampe posteriori. Sotto il ventre è presente una piccola protuberanza. La
giogaia appare ingrossata e segnata da incisioni che ne indicano le pieghe della pelle. Il muso, rivolto
in avanti, ha gli occhi resi ad incisione.
Sotto ciascuna coppia di zampe è presente un tenone, ancora inglobato nel piombo, funzionale al
fissaggio ad un supporto.
Proveniente da scavi di Vulci, già nella collezione Guglielmi.
Prima metà VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Magi 1941, p. 237, n. 135, tav. 68.
A.XV.4 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12384 (vecchio cartellino 395 P).
Altezza 3,2 cm; lunghezza 4,6 cm; spessore 1,2 cm
Integro.
Patina bruna.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate. Le zampe sinistre sono leggermente
avanzate rispetto alle zampe destre. Tutte le zampe sono corte e rigide, senza indicazioni dei dettagli
anatomici; gli zoccoli sono resi plasticamente. La coda, corta e spessa, aderisce alla zampa
posteriore destra. Il corpo è ben modellato, di proporzioni piuttosto robuste. Il collo, allungato, ha
la giogaia ingrossata, con incisioni ondulate parallele; il muso, conico e rivolto in avanti, ha gli occhi
modellati plasticamente con punto centrale. Le corna, brevi e di forma semilunata, sono rivolte
verso l’alto; al di sotto di esse sono presenti i piccoli orecchi di forma triangolare.
Poggia su di una base di forma irregolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
Prima metà VI secolo a.C.
Inedito.
176
A.XV.5 Bovino (Tav. X,8) (= parte I, cat. 47.4)
Modena, Galleria Estense.
Inv. R.C.G.E. 7405.
Altezza 4,3 cm; lunghezza 6,5 cm; spessore 1,7 cm; peso 174 g.
Integro. Vacuolature sulla superficie superiore dovute a difetto di fusione.
Patina verde-bruno.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due. Sia quelle anteriori che quelle
posteriori sono diritte e rigide, prive di indicazioni anatomiche. La coda aderisce alle zampe
posteriori. Il corpo è tozzo, con la schiena leggermente incurvata. La giogaia appare ingrossata e
segnata da una serie di solchi che ne indicano le pieghe della pelle. Il muso, rivolto in avanti, ha
occhi e bocca resi ad incisione. Le corna sono corte e rese come piccole protuberanze al di sopra
del muso.
Poggia su di una base di forma approssimativamente rettangolare.
Dal deposito votivo di Montese (Modena).
Prima metà VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Macellari 1990, p. 6, n. 5, fig. 8 (con bibliografia precedente); Miari 2000, p.
128, n. 17.
177
Epoca classica
178
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Inedito.
179
zampe posteriori un rigonfiamento di forma globulare può indicare la mammella oppure l’organo
sessuale maschile. La giogaia è leggermente ingrossata e ha un profilo non lineare ma con due
protuberanze. Il muso piuttosto ben modellato è rivolto in avanti. Gli occhi, di forma sub-circolare,
sono resi plasticamente e sottolineati da incisioni. La bocca è indicata da un solco, mentre le narici
sono modellate plasticamente e sottolineate da una incisione. Fra le corna, rivolte indietro, sono
presenti fitte e sottili incisioni disposte in modo irregolare che indicano il pelo. I piccoli orecchi, ben
modellati e con il padiglione incavato di forma triangolare sporgono al di sotto delle corna e sono
rivolti indietro.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Inedito.
180
Inv. MG 2267 (vecchi inventari 133).
Altezza 3,8 cm; altezza con tenone 4,2 cm; lunghezza 4,4 cm; spessore del corpo 0,7 cm; peso 30 g.
Lievi lacune alle corna.
Patina verde bruno.
Fusione piena.
L’animale, rappresentato stante, ha corpo sottile di forma cilindrica, leggermente appiattito, con
zampe unite due a due e lunga coda aderente a quelle posteriori. Sia le zampe anteriori che quelle
posteriori sono diritte e rigide. Gli zoccoli sono modellati come ingrossamenti della parte finale
delle zampe. L’organo sessuale è messo in evidenza. La giogaia è leggermente ingrossata. Il muso,
rivolto in avanti, è corto, con corna piccole e arcuate e orecchi sporgenti.
Sotto le zampe anteriori è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Inedito.
A.XVII.3 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12382 (vecchio cartellino 393P).
181
Altezza 4,2 cm; lunghezza 5,3 cm; spessore del corpo 0,6 cm.
Manca la punta del corno destro.
Patina verde chiaro.
Fusione piena.
L’animale, rappresentato stante, ha corpo appiattito e zampe unite due a due; la coda, molto spessa,
è aderente a quelle posteriori. Sia le zampe anteriori che quelle posteriori sono diritte e rigide ed
hanno gli zoccoli resi come ingrossamenti della parte finale della zampa. L’organo sessuale è posto
in evidenza. La giogaia è leggermente ingrossata. Il muso, allungato e di forma conica, volto in
avanti, ha lunghe corna arcuate rivolte verso l’alto e orecchi sporgenti. I dettagli non sono realizzati,
eccetto forse l’occhio destro reso ad incisione.
Sotto le zampe anteriori è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Inedito.
182
A.XVII.5 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12383 (vecchio cartellino 394P).
Altezza 4,4 cm; lunghezza 5,1 cm; spessore del corpo 0,7 cm.
Integro.
Patina verde chiaro.
Fusione piena.
L’animale, rappresentato stante, ha corpo appiattito e zampe unite due a due; la coda, molto spessa,
è aderente a quelle posteriori. Sia le zampe anteriori che quelle posteriori sono diritte e rigide ed
hanno gli zoccoli resi come ingrossamenti della parte finale della zampa. La giogaia è leggermente
ingrossata. Il muso, allungato e di forma conica, volto in avanti, ha lunghe corna arcuate rivolte
verso l’alto e orecchi sporgenti. I dettagli non sono realizzati, eccetto l’occhio sinistro reso con un
cerchiello impresso.
Sotto le zampe anteriori è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Inedito.
183
A.XVII.7 Bovino (Tav. XII,1)
Già a Chiusi, Museo Archeologico Nazionale.252
Inv. 4052.
Altezza 3,5 cm; lunghezza 4,6 cm.
Integro.
Patina verde.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due e la lunga coda spessa aderente a
quelle posteriori. Sia le zampe anteriori che quelle posteriori sono rigide e diritte, senza indicazione
delle articolazioni. Gli zoccoli sono resi come piccoli piedi e distinti dal resto della zampa tramite
un solco. Il corpo è schematico, di forma cilindrica, e si ingrossa nella parte superiore in vicinanza
della testa. Al di sotto del ventre è presente una piccola sporgenza di forma globulare. La giogaia
appare ingrossata. Il muso allungato è rivolto in avanti. Le lunghe corna sono rivolte verso l’alto.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Maetzke 1957, p. 519, n. 61, fig. 55.
252
I bronzi figurati del Museo Archeologico di Chiusi sono stati oggetto di furto nel corso degli anni Ottanta.
Un gruppo di reperti fu recuperato in seguito a Palermo, ma nell’elenco del sequestro, conservato nel Museo
di Chiusi, non compaiono bronzi a figura animale, che devono quindi essere considerati dispersi.
184
I bronzetti classificabili come appartenenti a questo gruppo sono caratterizzati dalla
ricorrenza del medesimo schema iconografico: zampe unite due a due, lunga e spessa coda
aderente alle zampe posteriori, zampe prive di notazioni anatomiche, zoccoli conformati
come piccoli piedi, muso cilindrico rivolto in avanti, ingrossamento della giogaia,
protuberanza sotto il ventre che indica l’organo sessuale. Le analogie fra i bronzetti
appartenenti al tipo A.XVII non si limitano alla ricorrenza del medesimo atteggiamento e
del medesimo rendimento dei dettagli, ma coinvolgono lo stile stesso dei pezzi, da cui si
discosta solo l’esemplare A.XVII.7, caratterizzato da forme più tozze e semplificate e da
una minore cura nella resa dell’anatomia dell’animale.
I tre bronzetti del Museo Guarnacci ed i due conservati nelle collezioni della
Galleria Estense possono essere ricondotti alla medesima officina, viste le strettissime
analogie che li legano. Tuttavia le differenze per quanto riguarda le dimensioni ed alcune
variazioni nella resa dei dettagli, riguardanti soprattutto il trattamento del muso, portano ad
escludere che si tratti di pezzi derivanti da una matrice comune. Il bronzetto del Museo di
Chiusi, come già rilevato, pur avendo evidenti affinità con gli altri esemplari del tipo,
presenta differenze piuttosto marcate che lo pongono in una posizione leggermente
eccentrica rispetto agli altri: il corpo appare maggiormente allungato e meno compresso, le
zampe ed il collo più tozzi, il muso delineato con minore cura.
Dal punto di vista tecnico si può notare come, a differenza dei pezzi appartenenti ai
tipi A.I-A.VI e A.VIII-A.X, gli esemplari appartenenti a questo gruppo non sono fusi
insieme a basi di forma rettangolare, ma presentano al di sotto delle zampe dei tenoni,
realizzati rilavorando a freddo i canali di fusione. Essi venivano in alcuni casi, come in
questo, limati e lasciati in posto per essere utilizzati da sostegno per il fissaggio ad una base,
che poteva essere in pietra o in legno.
Nessuno dei bronzetti appartenenti al tipo possiede dati di provenienza o di
contesto ma, viste le analogie stilistiche con il tipo A.XI, si può proporne una cronologia
analoga, fra la fine del VI secolo a.C. e l’inizio del V secolo a.C.
185
A.XVIII Tipo XVIII
186
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Bocci Pacini, Marzi 2009, p. 133, n. 4c, fig. 10.
I bronzetti appartenenti a questo tipo, resi con notevole sensibilità per la volumetria
e la resa naturalistica delle masse corporee, sono accomunati dalle forme piene, dal
rendimento accurato dei dettagli sia del corpo che del muso, dalla presenza di una lunga
coda che, invece di scendere aderente alle zampe posteriori oppure libera fra di esse, come
nelle serie sopra individuate, è rappresentata arrotolata sulla schiena dell’animale, spesso
ingrossata nella parte terminale e con incisioni che ne indicano il crine.
187
A.XIX.2 Bovino (Tav. XII,6)
Como, Museo Civico «Giovio».
Inv. D 317.
Altezza 4 cm; lunghezza 6,3 cm.
Privo di buona parte delle zampe posteriori e della coda.
Patina verde scuro. Superficie consumata.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate, rese in modo schematico, rigide e prive di
dettagli anatomici. La coda, da ciò che ne rimane, doveva essere separata dalle zampe posteriori. Il
corpo è cilindrico, sottile, lo sterno carenato. La giogaia appare leggermente ingrossata. Il muso è
rivolto in avanti, i dettagli non sono leggibili a causa della corrosione della patina, come le corna.
Privo di indicazioni di provenienza. Già nella collezione Garovaglio.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Bolla, Tabone 1996, p. 190, n. A 162.
A.XIX.4 Bovino
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12174.
188
Altezza 4,2 cm, altezza con tenoni 4,6 cm; lunghezza 5,5 cm; spessore 0,6 cm; peso 37 g.
Mancante della coda.
Patina verde con zone biancastre.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate. Le zampe posteriori sono rese con una
delle articolazioni in evidenza, mentre quelle anteriori sono diritte e rigide; gli zoccoli sono resi
come piccoli piedi. Il corpo è snello e slanciato. Il collo è allungato; il muso, conico e rivolto in
avanti, ha la bocca resa sommariamente con una solcatura. Le corna, brevi e di forma semilunata,
sono rivolte verso l’alto.
Privo di indicazioni di provenienza.
Fine del VI - inizio del V secolo a.C.
Inedito.
189
Inv. 15703.
Altezza 3,1 cm; lunghezza 4,5 cm.
Lacunose la coda e le zampe posteriori.
Patina verde. Superficie fortemente corrosa.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele; sia quelle anteriori che quelle
posteriori sono diritte e rigide, prive di indicazioni anatomiche. Gli zoccoli sono resi come
ingrossamenti della parte finale delle zampe. La coda non aderisce alle zampe posteriori. Il corpo,
reso in modo estremamente schematico, è allungato ed appiattito. Al di sotto del ventre è presente
un ingrossamento di forma triangolare. Il muso, rivolto in avanti, ha forma triangolare appuntita. I
dettagli del muso non sono leggibili a causa della corrosione della patina o non sono mai stati
eseguiti. Le corte corna sono rivolte in alto.
Già nella Collezione Bonifacio Falcioni.
Privo di indicazioni di provenienza.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Caliò 2000, p. 173-174, n. 314.
190
A.XIX.8 Bovino (Tav. XIII,3)
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.
Inv. o 35 (collezione Guardabassi, armadio 18, cassetto V).
Altezza massima conservata 4 cm; lunghezza 5,8 cm; peso 35 g
Mancano in varia proporzione tutte le zampe; la coda non c’è ma non si vede la rottura:
probabilmente era aderente alla zampa posteriore destra.
Patina verde scuro, disomogenea. Superficie porosa.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe separate le une dalle altre; sia le zampe anteriori che
quelle posteriori sono sottili, diritte e rigide, prive di dettagli anatomici. Il corpo è piuttosto
appiattito e reso in modo estremamente schematico. La giogaia è leggermente ingrossata, il muso
rivolto in avanti è privo di dettagli interni. Le corna sono corte e rivolte in alto, al di sotto di esse
sono presenti gli orecchi, resi come piccoli rigonfiamenti sferoidali.
Privo di indicazioni di provenienza.
V secolo a.C.
Inedito.
191
A.XIX.10 Bovino (Tav. XIII,5) (= parte I, cat. 5.1)
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 254641.
L’animale è rappresentato stante con le zampe, cilindriche e prive di partizioni anatomiche, unite
due a due. Gli zoccoli sono resi come leggeri ingrossamenti della parte inferiore delle zampe. La
corta coda pende separata dalle zampe posteriori. Il corpo, per quanto semplificato, è rappresentato
con una certa attenzione per l’anatomia dell’animale. Il muso, di forma conica e rivolto leggermente
in basso, non presenta, per quanto lo stato di conservazione permetta di distinguere, dettagli interni.
Le corna, in forma di piccole cuspidi, sono rivolte in avanti.
Tenone sotto le zampe posteriori.
Dal Lago degli Idoli, scavi 2004-2005.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: R. Settesoldi in Borchi 2007, p. 70 fig. 20.
A.XX Tipo XX
192
Integro, superficie abrasa in più punti.
Patina verde oliva, superficie ruvida.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate: mentre quelle anteriori sono diritte e
rigide, quelle posteriori sono leggermente flesse. Gli zoccoli sono modellati come ingrossamenti
della parte finale delle zampe. La coda scende libera fra le zampe posteriori. La giogaia è ingrossata
e segnata dalla resa plastica delle pieghe della pelle. I dettagli del muso, rivolto leggermente verso il
basso, sono resi con una certa cura. La bocca e gli occhi sono resi ad incisione. Le corna sono rese
come piccoli ingrossamenti cuspidali; alcuni tratti incisi rendono il pelame fra le corna.
Privo di indicazioni di provenienza.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Jurgeit 1999, p. 87, n. 120.
193
A.XX.3 Bovino (Tav. XIII,8)
Città del Vaticano, Museo Gregoriano Etrusco.
Inv. 15559.
Altezza 3,7 cm; lunghezza 4,2 cm.
Lacunose le zampe posteriori e la coda. Le corna sono fortemente consumate.
Patina verde chiaro. Superficie lucida.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele due a due; mentre le zampe
anteriori sono diritte e rigide, quelle posteriori sono piegate in corrispondenza di una delle
articolazioni. Gli zoccoli sono resi come piccoli piedi. Il corpo è ingrossato e compresso in senso
longitudinale. La giogaia appare ingrossata. Il muso, corto e di forma triangolare, è rivolto
leggermente verso il basso.
Sotto le zampe anteriori è presente un tenone di forma semicircolare, probabilmente il resto di una
appendice di fusione, che serviva per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza. Già nella Collezione Bonifacio Falcioni.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Caliò 2000, p. 175, n. 317.
194
A.XX.5 Bovino (Tav. XIV,2)
Firenze, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 521.
Altezza 7,1 cm; lunghezza 7,9 cm; spessore del corpo 2,1 cm.
Le corna sono consumate.
Patina verde con incrostazioni brune.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate: mentre quelle anteriori sono diritte e
rigide, quelle posteriori sono leggermente flesse. Gli zoccoli sono modellati come ingrossamenti
della parte finale delle zampe. La coda è aderente alla zampa posteriore destra, staccandosene solo
nella parte finale. L’organo sessuale è messo in evidenza. La giogaia è ingrossata. I dettagli del muso,
sproporzionatamente piccolo rispetto al corpo, sono resi con una certa cura. La bocca e gli occhi di
forma triangolare sono resi da solchi. Sotto quello che resta delle corna si trovano i piccoli orecchi.
Fitti tratti incisi su tutto il corpo sembrano rendere il mantello.
Sia sotto gli zoccoli delle zampe anteriori che sotto quelli delle zampe posteriori è presente un
tenone in bronzo di forma semicircolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
V secolo a.C.
Inedito.
195
Altezza 4,3 cm; lunghezza 5,5 cm.
Manca il corno destro.
Patina verde scuro.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con tutte le zampe diritte e rigide. La lunga coda è separata dalle
zampe posteriori ed ha la punta piegata indietro. Gli zoccoli sono modellati plasticamente. Il corpo
è cilindrico e tozzo, ma piuttosto ben modellato. Il collo è lungo, sottolineato da incisioni, il muso
rivolto in avanti è piccolo e triangolare. Gli occhi sono resi ad incisione. Le lunghe corna sono
ricurve e rivolte in avanti.
Sotto le zampe posteriori sono presenti due tenoni che si uniscono formando una V.
Privo di indicazioni di provenienza.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Oggiano, Bitar 1984, p. 60, n. 78, fig. 78.
196
Lunghezza 5 cm.
Integro.
Superficie lucida.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele; sia quelle anteriori che quelle
posteriori sono diritte e rigide, prive di dettagli anatomici. Gli zoccoli sono modellati plasticamente.
Il corpo è massiccio, piuttosto ben modellato. La lunga coda aderisce alle zampe posteriori per
quasi tutta la sua lunghezza, distaccandosene solo nella punta, che è ricurva e rivolta indietro. Il
muso è rivolto in avanti, ha gli occhi circolari resi ad incisione e la bocca realizzata con un solco. Le
lunghe corna sono appuntite e ricurve, rivolte verso l’alto, gli orecchi sono presenti al di sotto di
esse. Sul collo è presente una serie di incisioni verticali e parallele che potrebbero indicare le pieghe
della pelle in corrispondenza della giogaia.
Sotto la zampa anteriore sinistra è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Dal sito di Monte Becco, presso il Lago di Mezzano.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Torelli 1973, p. 544, tav. CXVII, a; Ridgway 1979-1980, p. 64; Edlund 1987, p.
83; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n. 355.
197
A.XXI.5 Bovino (Tav. XIV,7) (= parte I, cat. 36.1)
Integro.
Patina verde. Superficie lucida.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele; sia quelle anteriori che quelle
posteriori sono diritte e rigide, prive di dettagli anatomici. Gli zoccoli sono modellati plasticamente.
Il corpo è massiccio, piuttosto ben modellato. La lunga coda non aderisce alle zampe posteriori. Il
muso è rivolto in avanti, ha gli occhi circolari resi ad incisione e la bocca realizzata con un solco. Le
lunghe corna sono appuntite e ricurve, rivolte in avanti, gli orecchi sono presenti al di sotto di esse.
Sul collo è presente una serie di incisioni verticali e parallele che potrebbero indicare le pieghe della
pelle in corrispondenza della giogaia.
Sotto la zampa posteriore destra è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto, ancora
affogato nel piombo fuso.
Da Latera (Vt), località Poggio Evangelista.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Berlingò, D’Atri 2004, pp. 249-251, fig. 15.
198
A.XXI.7 Bovino (Tav. XV,1)
Ubicazione sconosciuta.
Altezza 4,4 cm; lunghezza 5,1 cm.
Integro.
Patina verde, omogenea.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe parallele due a due. Mentre le zampe anteriori sono
diritte e rigide, prive di indicazioni anatomiche, quelle posteriori sono realizzate con una certa
attenzione per le partizioni anatomiche. La lunga coda aderisce alla zampa posteriore destra
distaccandosene sono nella sua parte inferiore. Il corpo, per quanto di proporzioni massicce, è reso
con una certa sensibilità per il modellato. La giogaia appare ingrossata e segnata da una serie di
solchi che ne indicano le pieghe della pelle. Il muso, rivolto in avanti, ha la bocca realizzata con una
leggera solcatura. Le corna sono corte e rivolte in avanti, dietro di esse sono presenti gli orecchi, di
forma semicircolare. Il pelame fra le corna è realizzato con due gruppi di tre linee ad incisione.
Privo di indicazioni di provenienza.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Tiere und Mischwesen 1999, n. 55 (dove è erroneamente considerato di
produzione greca).
199
Attualmente disperso, il bronzetto è visibile, insieme al bronzetto di ariete attualmente nella
collezione Ortiz (cat. E.I.1.), in un negativo fotografico conservato nell’archivio della
Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana (Neg. 767).
I pezzi appartenenti a questa serie sono accomunati dalla resa del corpo, che si
presenta piuttosto ben modellato, delle zampe e del muso. I primi tre esemplari in
particolare sono talmente simili da poter essere attribuiti ad una bottega comune: essi
appaiono infatti caratterizzati anche dalla coda, che aderisce nella prima parte alle zampe
posteriori, distaccandosene nella punta, leggermente arricciata e rivolta indietro, e dal
modellato del corpo, piuttosto accurato per quanto riguarda la resa dei volumi.
Diversi pezzi appartenenti al gruppo sono forniti di dati di provenienza o di
contesto, in particolare il numero A.XXI.2, proveniente dalla stipe di Fontana Liscia di
Orvieto, il numero A.XXI.3, scoperto durante gli scavi svedesi degli inizi degli anni ’70
dell’abitato di Monte Becco presso Orvieto, ed il numero A.XXI.5, proveniente da un’area
sacra in località Latera presso il Lago di Bolsena. I contesti da cui provengono questi
bronzetti indicano una cronologia del gruppo circoscrivibile al V secolo a.C., ed una
distribuzione limitata all’area orvietana.
Epoca ellenistica
200
zoccoli sono resi come leggeri ingrossamenti della parte finale delle zampe, quelli delle zampe
posteriori sono uniti da una linguetta di bronzo. La zampe sono sottili, quelle anteriori sono sottili e
tubolari, quelle posteriori flesse in corrispondenza di una delle articolazioni. La coda, modellata
separatamente dalle zampe, si unisce a quella posteriore sinistra nel punto in cui essa si piega. Il
corpo è piuttosto ben modellato. Su entrambi i lati del collo sono presenti tre incisioni verticali e
parallele. Il muso, rivolto in avanti, è allungato e di forma conica, con i grandi occhi amigdaloidi
segnati da un largo solco di contorno. La bocca e le narici sono incise. Le corte corna arcuate sono
rivolte in alto, al di sotto di esse sono presenti gli orecchi.
Dal deposito votivo di Pianoia – Le Macchie presso Chianciano Terme.
IV - III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Paolucci 1992, n. 107, p. 68, tav. XXI; Paolucci 1997, p. 127.
201
Altezza 3,5 cm circa; altezza con tenone 4,2 cm; lunghezza 4,9 cm; spessore del corpo 1,1 cm.
Integro.
Patina verde bruno. Superficie lucida.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due e la coda aderente a quelle
posteriori. Le zampe anteriori sono diritte e rigide, mentre quelle posteriori sono leggermente
ricurve. Gli zoccoli sono resi come piccoli piedi. Il corpo è spesso e piuttosto ben reso nella
volumetria. La testa, al di sopra del lungo collo, è rivolta leggermente verso l’alto. La bocca è resa
con un solco. Gli occhi sembrano resi plasticamente, ma sono poco leggibili. Le corna sono rese
come piccole sporgenze cuspidali rivolte in alto al di sopra della testa, al di sotto delle quali sono
presenti i piccoli orecchi triangolari.
Al di sotto di ciascuna coppia di zampe è presente un tenone: quello sotto le zampe anteriori è
rivolto indietro, quello sotto le zampe posteriori è rivolto in avanti. Potrebbe quindi trattarsi di
residui delle appendici di fusione, che sono state tagliate per servire per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza.
IV - III secolo a.C.
Inedito.
202
A.XXII.5 Bovino (Tav. XV,7)
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.
Inv. s.n. (collezione Bellucci, tavoletta inv. 811, armadio 54, cassetto IV)
Altezza 3,4 cm, altezza con tenone 4,2 cm; lunghezza 4,2 cm
Manca punta delle corna.
Patina verde chiaro in più punti abrasa.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante con le zampe, cilindriche e prive di partizioni anatomiche, unite
due a due. Gli zoccoli sono realizzati come piccoli piedi. La lunga coda aderisce alle zampe
posteriori. Il muso, di forma conica e rivolto in avanti, non presenta indicazioni di dettagli interni.
Le piccole corna, rese come leggeri rigonfiamenti al di sopra della testa, sono rivolte in avanti, con
al di sotto di esse gli orecchi.
Tenone sotto zampa anteriore sinistra.
Privo di indicazioni di provenienza.
IV - III secolo a.C.
Inedito.
I bronzetti appartenenti alla serie, che presenta una certa variabilità interna, sono
caratterizzati da forme morbide e piene, e da una resa anatomica attenta alla descrizione
naturalistica dell’anatomia dell’animale e dei dettagli interni. Spesso le zampe, dalle
proporzioni allungate rispetto al corpo, sono flesse circa a metà altezza.
203
piegate. Gli zoccoli sono resi come piccoli piedi. La lunga coda aderisce alla zampa posteriore
destra. Il corpo è ben proporzionato, solido, dalle linee arrotondate. Sotto il ventre è presente un
ingrossamento di forma triangolare. Il muso è rivolto in avanti, con occhi e bocca incisi. Le corna
sono corte e di forma cuspidale, al di sotto di esse si trovano gli orecchi.
Sotto la zampa anteriore destra è presente un breve tenone.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Cagianelli 1991-1992, p. 108, n. 124, tav. XXI, n.124.
204
ingrossamenti della parte inferiore delle zampe. La lunga coda aderisce alla zampa posteriore destra.
Il corpo è modellato con una certa attenzione per la resa anatomica. Il muso, di forma conica e
rivolto in avanti, non presenta indicazione dei dettagli. Le corte corna ricurve sono rivolte in avanti,
dietro di esse sono presenti i grandi orecchi di forma semicircolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Inedito.
205
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe separate e parallele. La lunga coda aderisce alla
zampe posteriori, discostandosene solo nella parte finale. Il corpo è modellato con una certa
attenzione per la resa anatomica, pur nelle forme semplificate. Il muso, di forma conica e rivolto in
avanti, presenta gli occhi realizzati a cerchiello impresso. Le corna, piccole e rivolte avanti, sono
realizzate come piccole protuberanze globulari.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Cardella 1888, p. 28/C 4-4c; Klakowicz 1970, pp. 64, 162; Caravale 2003, pp.
132-133 n. 163.
206
zampe anteriori che quelle posteriori sono sottili e rigide, senza articolazioni, estremamente
schematiche. Gli zoccoli non sono indicati con un leggero ingrossamento della parte finale delle
zampe. La corta coda non aderisce alle zampe posteriori. Il corpo, per quanto semplificato, è reso
con una certa attenzione per i volumi e la partizioni anatomiche. Il muso, rivolto leggermente in
basso, ha gli occhi resi plasticamente. Le corte corna appuntite, rivolte in avanti, sono rese come
leggeri rigonfiamenti. Gli orecchi si trovano dietro di esse.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Cardella 1888, p. 27/C 2-2c; Klakowicz 1970, pp. 64, 159; Caravale 2003, p.
133 n. 164.
I pezzi appartenenti a questa serie sono caratterizzati da una concezione del corpo
attenta alla resa naturalistica della volumetria e delle proporzioni, che li avvicina per certi
207
versi agli ex voto fittili caratteristici dei depositi votivi dell’Etruria meridionale di epoca
ellenistica.253 Le forme sono piene e ben modellate, i musi sono realizzati con una certa
sensibilità per i dettagli e per le proporzioni.
Degli otto esemplari appartenenti al tipo A.XXIII, solo due sono forniti di dati di
provenienza certi e di contesto, che rimandano in modo univoco al distretto meridionale
del territorio orvietano. Tuttavia, la presenza degli altri esemplari in musei, quali quelli di
Cortona, Orvieto, Perugia che, per quanto di formazione collezionistica, si strutturarono
generalmente attraverso acquisizioni dal territorio, sembra confermare una diffusione del
tipo nell’ambito dell’Etruria interna tiberina, con la propaggine cortonese nella zona della
Val di Chiana.
208
A.XXIV.2 Bovino (Tav. XVII,1) (= parte I, cat. 31.2)
Scansano, Museo Archeologico.
Inv. 98787.
Altezza 3 cm; altezza con tenone 3,6 cm; lunghezza 4,1 cm.
Integro. Superficie corrosa.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe posteriori unite, e quelle anteriori leggermente
divaricate. Mentre le zampe anteriori sono diritte e rigide, quelle posteriori sono leggermente flesse.
Gli zoccoli sono resi come leggeri ingrossamenti della parte finale della zampa. La lunga coda
aderisce alle zampe posteriori, distaccandosene solo nella sua parte finale. L’organo sessuale è
messo in evidenza. Il corpo, piuttosto massiccio, è reso in modo schematico. La giogaia appare
ingrossata. Il muso è rivolto in avanti ed ha gli occhi amigdaloidi resi ad incisione e la bocca con un
lungo solco. Le corte corna appuntite sono rivolte in avanti, dietro di esse sono presenti gli orecchi,
uniti al collo in modo inorganico.
Sotto la zampa anteriore sinistra è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Dal deposito votivo di Ghiaccio Forte (Gr).
IV secolo a.C.
Bibliografia specifica: Del Chiaro 1976, p. 21, n. 15, tav V; Firmati, Rendini 2002, p. 95.
209
IV secolo a.C.
Inedito.
210
avanti ed ha gli occhi amigdaloidi resi ad incisione e la bocca con un lungo solco. Le corte corna
appuntite sono rivolte in avanti, dietro di esse sono presenti gli orecchi, uniti al collo in modo
inorganico.
Privo di indicazioni di provenienza.
IV secolo a.C.
Inedito.
211
sessuale è messo in evidenza. La giogaia è ingrossata. Il muso, rivolto verso il basso, ha gli occhi e la
bocca resi ad incisione e le narici rese con punti. Le corte corna ricurve sono rivolte in avanti. Al di
sotto di esse i piccoli orecchi sono di forma circolare con incavo centrale.
Sotto la zampa anteriore sinistra è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza.
IV secolo a.C.
Inedito.
212
posteriori. Il corpo è corto e tozzo, sottile. L’organo sessuale è messo in evidenza. La giogaia è
ingrossata. Il muso, rivolto in avanti, ha gli occhi, di forma amigdaloide, resi ad incisione, la bocca
resa come una solcatura, le narici, di forma romboidale, realizzate ad incisione. Le corte corna
ricurve sono rivolte in avanti. Al di sotto di esse i grandi orecchi sono di forma semicircolare con
incavo centrale.
Tenone sotto zampa anteriore destra.
Privo di indicazioni di provenienza.
IV secolo a.C.
Inedito.
213
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate; la zampa anteriore destra è
leggermente avanzata rispetto alla sinistra. Gli zoccoli sono modellati come leggeri ingrossamenti
della parte inferiore delle zampe. La lunga coda aderisce alle zampe posteriori. Il corpo è corto e
tozzo, sottile. L’organo sessuale è messo in evidenza. La giogaia è ingrossata. Il muso, rivolto in
avanti, ha gli occhi, di forma amigdaloide, resi ad incisione e la bocca resa come una solcatura. Le
corte corna ricurve sono rivolte in avanti. Al di sotto di esse i grandi orecchi sono di forma
semicircolare con incavo centrale.
Sotto le zampe anteriori è presente un tenone a forma di V.
Privo di indicazioni di provenienza.
IV secolo a.C.
Inedito.
214
Il corpo è leggermente assottigliato e reso in modo semplificato. Il muso, di forma conica e rivolto
in avanti, ha occhi amigdaloidi sottolineati da incisione, bocca a solcatura, narici a puntino. Le
grandi corna semilunate sono rivolte in avanti, dietro di esse sono presenti gli orecchi di forma
semicircolare con incavo centrale.
Al di sotto alle zampe anteriori è presente un tenone a forma di V.
Privo di indicazioni di provenienza.
IV secolo a.C.
Inedito.
215
Gli zoccoli sono plasticamente caratterizzati ed hanno il dettaglio della spaccatura centrale.
L’organo sessuale è evidenziato. Il corpo è massiccio, piuttosto ben reso. La giogaia è ingrossata. Il
muso è rivolto verso il basso. Le corna sono lunghe e massicce, rivolte in alto. Al di sotto di esse
sono presenti i piccoli orecchi sporgenti. La bocca è resa con un solco.
Dal deposito votivo di Tessennano (Vulci).
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Costantini 1995, p. 122, tav. 51 h.
216
A.XXVI Tipo XXVI
217
A.XXVI.3 Bovino (Tav. XIX,1) (=parte I, cat. 27.1)
Massa Lombarda, Museo Civico.
Inv. 142.
Lunghezza 2 cm.
Integro.
Patina verde scuro non uniforme.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due. Il corpo è tozzo e appiattito. La
lunga coda aderisce alle zampe posteriori. La giogaia è ingrossata. Il muso è rivolto verso il basso,
con occhi resi da incisioni. Le corna sono corte e a forma di piccole cuspidi.
Provenienza dichiarata da Chiusi, dono del pretore di Chiusi avvocato Cotrucci.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Pagliani 1982, p. 81, n. 122.
218
Altezza 3,5 cm circa; lunghezza 3,7 cm; spessore del corpo 0,9 cm.
Lacunose le corna.
Patina verde.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due, quelle anteriori diritte e rigide,
quelle posteriori leggermente piegate. La lunga coda è aderente alle zampe posteriori. Il corpo è
tozzo e spesso. La giogaia è segnata da larghi solchi paralleli che ne indicano le pieghe. Il muso è
eretto, con occhi e bocca resi da incisioni. Al di sotto delle corna sono presenti i piccoli orecchi.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Inedito.
219
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due. La coda lunga e spessa aderisce alle
zampe posteriori. Il corpo è tozzo e di forma approssimativamente cilindrica. Gli orecchi sono
grandi ed hanno il padiglione incavato. La giogaia è ingrossata. Il muso è eretto, con occhi e bocca
resi da incisioni. La parte della testa fra le corna è separata dal muso attraverso un solco.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Gli Etruschi 2007, p. 76.
220
sono disposte orizzontalmente, al di sotto sono presenti i piccoli orecchi a linguetta. La parte
superiore del muso è delimitata da un solco piuttosto profondo. La bocca è resa ad incisione.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Inedito.
221
Superficie lucida. Patina verde.
Fusione piena.
Altezza 6,6 cm; lunghezza 8,7 cm; spessore corpo 1,7 cm; peso 203 g.
L’animale è rappresentato stante, il corpo è ben modellato. Le zampe posteriori sono molto piegate
nella parte inferiore, ed hanno gli zoccoli realizzati plasticamente. La lunga coda, a sezione
rettangolare, è attorcigliata su se stessa e si appoggia alla zampa posteriore sinistra. La carena dello
sterno è molto in evidenza. Per quello che rimane delle zampe anteriori si può notare che la sinistra
era un poco avanzata rispetto all’altra. La testa è rivolta leggermente in alto, il muso ben modellato.
La bocca e le narici sono rese con solchi, come gli occhi. Fra le corte corna ricurve sono presenti
incisioni parallele trasversali. Sotto le corna sono presenti gli orecchi.
Lo zoccolo posteriore destro è attraversato da un foro passante.
Dal santuario del Conchino, Populonia.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Minto 1925, pp. 346-347, fig.1
222
A.XXVII.3 Bovino (Tav. XX,3) (= parte I, cat. 31.3)
Scansano, Museo Archeologico.
Inv. 98788
Altezza 3,6 cm; altezza con tenone 4,3 cm; lunghezza 6,5 cm.
Integro.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate: la zampa anteriore destra è
leggermente avanzata, quella sinistra tesa ed arretrata. Le zampe posteriori sono rese con
l’articolazione in evidenza, la lunga coda ondulata è separata da esse per quasi tutta la sua lunghezza,
ma si unisce a quella sinistra nella sua parte terminale. Il corpo, piuttosto robusto, presenta una
certa attenzione per la resa anatomica, soprattutto nei quarti posteriori. Il collo è lungo, il muso
rivolto in avanti, come le lunghe corna appuntite. Il sincipite e gli occhi sono resi ad incisione, la
bocca con un solco.
Sotto la zampa posteriore sinistra è presente un perno per il fissaggio ad un supporto.
Dal deposito di Ghiaccio Forte (Gr).
IV secolo a.C.
Bibliografia specifica: Del Chiaro 1976, p.21, n. 14, tav. V; Talocchini 1986, p. 57, n. 28, tav. XXII;
Firmati, Rendini 2002, p. 95.
223
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le corte zampe cilindriche leggermente divaricate. Sia le
zampe anteriori che quelle posteriori sono sottili e rigide, senza articolazioni, estremamente
schematiche. Gli zoccoli non sono indicati in alcun modo. La coda aderisce alla zampa posteriore
destra. Il corpo è appiattito e schematico. La giogaia è messa in evidenza e, come la testa,
sproporzionatamente grande rispetto al resto del corpo. Il muso è grande ed allungato, rivolto
leggermente in basso. Le lunghe corna appuntite sono massicce e rivolte in avanti. Gli orecchi si
trovano dietro di esse.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Cagianelli 1991-1992, p. 109, n. 128, tav. XXII, n. 128.
224
Inv. 1470.
Altezza 3,9 cm; lunghezza 5 cm.
Integro.
Patina verde, a tratti corrosa.
Fusione piena
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate, rigide e senza articolazioni.
Le zampe anteriori sono leggermente avanzate, quelle posteriori leggermente arretrate. Gli zoccoli
sono rappresentati come piccoli piedi. La coda aderisce alle zampe posteriori per tutta la lunghezza
eccetto che nella parte finale. Il corpo è piatto e senza distinzioni anatomiche. Il muso allungato è
rivolto in avanti, con bocca resa con un solco. Le corte corna appuntite sono rivolte in avanti, al di
sotto di esse sono presenti gli orecchi.
Proveniente da Chiusi. Dono del sig. Basetti di Città della Pieve.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Cagianelli 1991-1992, p. 109, n. 129, tav. XXII, n. 129.
225
Altezza 3,3 cm; lunghezza 4,5 cm.
Mutilo delle zampe posteriori.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate. Le zampe sono diritte e
rigide, senza distinzioni anatomiche, gli zoccoli sono resi come piccoli piedi. La lunga coda è
aderente alle zampe posteriori. Il corpo è schiacciato e piuttosto schematizzato, sotto il ventre è
presente una sporgenza poco pronunciata. La giogaia è ingrossata. Il muso è rivolto verso il basso,
ha gli occhi indicati da cerchietti incisi. Le lunghe corna appuntite sono rivolte in avanti.
Sotto le zampe anteriori è presente un’appendice di forma semicircolare.
Già nella collezione Ciacci. Proveniente dai terreni di proprietà della famiglia situati a Pitigliano o
Saturnia.
IV secolo a.C. - III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Donati, Michelucci 1981, p. 124, n. 242.
226
bidimensionale nel piano longitudinale. Tutti gli esemplari presentano la giogaia ingrossata,
in modo da rendere la pelle morbida e segnata da pieghe di questa parte del corpo, e
sproporzionatamente grande rispetto al resto del corpo.
I pochi dati di provenienza conservati dai pezzi appartenenti alla serie indicano che
si tratta di prodotti di serie, che godettero di una certa diffusione visto anche il numero di
esemplari attestati.
227
Patina nerastra con incrostazioni bianche.
Fusione piena.
Altezza 3 cm circa; lunghezza 3,8 cm; spessore del corpo 0,5 cm.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due, sia quelle anteriori che quelle
posteriori sono diritte e rigide. La lunga coda aderisce alla zampa posteriore sinistra. Il corpo è
appiattito e presenta sotto il ventre un ingrossamento di forma rettangolare. La giogaia è ingrossata
e segnata su entrambi i lati da secche incisioni parallele che ne indicano il pelame. Il muso è eretto, a
causa della corrosione della patina non si distinguono dettagli interni. Le corna sono grandi e
ricurve in avanti. Dietro di esse sono presenti gli orecchi appena accennati.
Proveniente dall’Umbria.
Età ellenistica.
Inedito.
228
Lacunosa la parte finale delle zampe posteriori.
Patina verde chiara con incrostazioni.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due e la lunga coda aderente a quelle
posteriori. Sia le zampe anteriori che quelle posteriori sono diritte e rigide, prive di indicazioni
anatomiche. Gli zoccoli sono modellati in forma di piccoli piedi. Il corpo è cilindrico e reso in
modo schematico. Il muso, rivolto in avanti, è piuttosto grande rispetto al resto del corpo. I dettagli
non sono leggibili a causa della corrosione della patina oppure non sono mai stati eseguiti. Le corna
sono corte e rivolte in alto, di forma cuspidale. Al di sotto di esse sono presenti gli orecchi disposti
su di un piano orizzontale.
Al di sotto delle zampe anteriori è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Bartoli 1990, p. 63, n. 42.
229
Altezza 4 cm; lunghezza 3,9 cm; spessore del corpo 0,4 cm.
Manca la parte finale della coda e delle zampe posteriori.
Patina verde scuro. Superficie consumata.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe unite due a due rese in modo schematico, diritte e
rigide e prive di anatomia. Le zampe anteriori si separano nella parte inferiore, che in quella sinistra
è leggermente avanzata. Gli zoccoli sono indicati attraverso l’ingrossamento della parte finale delle
zampe. La coda aderisce alle zampe posteriori. Il corpo è appiattito, il muso rivolto in avanti ha gli
occhi resi come sporgenze globulari. Le corte corna sono rivolte in alto; dietro di esse sono presenti
gli orecchi.
Al di sotto delle zampe anteriori sono presenti due tenoni per il fissaggio.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Bianchi 1995, p. 20, n. 9, tav. II, fig. 9.
230
I bronzetti appartenenti al tipo A.XXIX sono accomunati dalle piccole dimensioni
e da un rendimento sommario sia dei volumi che dei dettagli anatomici. In analogia con il
tipo A.XV, la giogaia è in genere ingrossata e segnata da serie di brevi incisioni parallele che
indicano le pieghe della pelle, secondo modelli di origine colta che qui si ripropongono
estremamente impoveriti. Si tratta quindi di prodotti di serie, che godettero di una certa
diffusione visto il numero di esemplari attestati, per cui l’assenza di dati di provenienza non
consente di proporre un inquadramento soddisfacente dell’ambito di produzione.
231
due e la coda aderente a quelle posteriori. Le zampe anteriori sono rigide, quelle posteriori
leggermente flesse. Gli zoccoli sono modellati come piccoli piedi. Il collo è corto e spesso, il muso,
privo di dettagli e di forma conica, è rivolto in avanti ed ha piccole corna arcuate.
Sotto ciascuna coppia di zampe è presente un perno ricurvo per il fissaggio ad un supporto.
Dal santuario di Piana del Lago.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Berlingò, D’Atri 2005, tav. IV c.
232
Integro, con superficie lucidata. Tenoni moderni.
Patina bruna, compatta.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate. Mentre le zampe anteriori sono diritte e
rigide, quelle posteriori sono leggermente piegate ed hanno l’articolazione in evidenza. Gli zoccoli
sono modellati plasticamente ed hanno il dettaglio della spaccatura centrale. La lunga coda non
aderisce alle zampe posteriori. L’organo sessuale è evidenziato. La giogaia appare ingrossata. Il
muso cilindrico è rivolto in avanti, ed ha la bocca resa come una profonda solcatura, e gli occhi
modellati plasticamente. Le corte corna sono rivolte in alto.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Inedito.
233
A.XXXII Tipo XXXII
234
rivolte verso l’alto.
Dalla stipe di Caligiana.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Monacchi 1986, p. 80, nota 32; Maggiani 2002, p. 279, fig. 16; Saioni 2003, p.
94, n. 912.
235
Manca la parte terminale delle zampe e la coda.
Patina verde chiaro.
Fusione piena.
Altezza 3,6; lunghezza 5,9 cm; spessore del corpo 1,2 cm; peso 70 g.
L’animale è rappresentato stante con le sottili zampe cilindriche divaricate, prive di dettagli e
articolazioni interne. Il corpo è spesso e cilindrico, con la parte posteriore ingrossata. Fra le zampe
posteriori una protuberanza indica l’organo sessuale maschile o più probabilmente le mammelle. La
coda, per quanto si può dedurre dall’attacco, doveva essere stata modellata a parte e quindi applicata
al modello in cera. La giogaia è leggermente ingrossata, il muso rivolto in basso, con la bocca, le
narici e gli occhi di forma amigdaloide realizzati ad incisione. Le corte corna cuspidali sono rivolte
in alto, dietro di esse sono presenti gli orecchi triangolari con il padiglione incavato.
Fra le zampe passa un elemento in ferro gravemente corroso, spezzato alle estremità, che sembra
avesse sezione quadrata.
Dalla stipe di Podere Cannicci (Gr).
II secolo a.C.
Bibliografia specifica: Fabbri 2005, p.317, n. 42, tav. IIIc; Fabbri 2009, p. 120 e fig. 17.
I due bronzetti sono accomunati da una resa estremamente semplificata dei volumi
e dei dettagli interni.
236
A.XXXIV Gruppi di buoi aggiogati
237
Il gruppo faceva parte della collezione dei Padri Benedettini del convento di S. Nicolò l’Arena a
Catania. I pezzi sono privi di dati di provenienza, ma da documenti d’archivio risulta che essi
provenivano generalmente dal mercato antiquari di Roma o Firenze.
Bibliografia specifica: Libertini 1936, p. 385, fig. 1.
238
B. Canidi
B1.I Tipo I
239
Altezza 10,4 cm; lunghezza 10,8 cm; spessore del corpo 1,6 cm.
Mancanti i piedi delle zampe posteriori, il sinistro è di restauro.
Patina verde bruno. Superficie lucida.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate. La zampa anteriore destra è diritta, quella
sinistra è alzata e piegata in avanti. I dettagli del piede sono resi plasticamente. Ogni zampa ha
quattro dita. Il corpo e le zampe sono ben modellati. La lunga coda passa fra le zampe posteriori
rimanendo attaccata al corpo, da cui si distacca nella parte finale, che è libera e descrive una sorta di
semicerchio. Il mantello è reso a larghe incisioni su dorso, collo e parte superiore della testa. Il muso
allungato è rivolto verso l’alto e leggermente a sinistra. La bocca è resa da un solco, come il
contorno degli occhi, che hanno la pupilla a punto impresso. I lunghi orecchi sono abbassati e
aderenti al capo, con il padiglione incavato. Sopra entrambi i lati della bocca sono presenti tre
incisioni trasversali, meno evidenti sul lato destro. Sopra la zampa sinistra sono presenti tre punti
impressi disposti a triangolo, che si ripetono sotto la bocca sul lato sinistro, sopra il muso, e in
numero di quattro sotto la bocca sul lato destro del muso. Un quarto punto, isolato, si nota anche
sopra il muso. Sul fianco sinistro è presente un’iscrizione di dedica del pezzo a Selvans Caluśtla.
Proveniente da Cortona.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: CIE, I 465; TLE, 642; Lattes; Milani 1912, p. 141; Neppi Modona 1977, pp.
146-147 (con letteratura precedente); Chiadini 1995, p. 178; Thomson De Grummond 2006, p. 56,
fig. IV.4; ThesCRA, I, p. 180, n. 333; Il cinghiale nell’antichità 2009, p. 146, n. IV.14 [M.G. Scarpellini].
240
altro materiale: purtroppo la sinistra è mancante e la destra è coperta dalla patina. I lunghi orecchi
sono abbassati e aderenti al capo, con il padiglione incavato. Sopra entrambi i lati della bocca sono
presenti tre incisioni trasversali, meno evidenti sul lato destro.
Proveniente dai dintorni di Chiusi.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Comstock, Vermeule 1971, p. 182, n. 217 (con bibliografia precedente);
Chiadini 1995, p. 178, nota 59.
241
spezzata.
Patina verde, in buona parte abrasa. Superficie consumata.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe posteriori parallele e flesse. La zampa anteriore
destra è diritta, mentre quella sinistra è sollevata e protesa in avanti. Il corpo è modellato con cura.
Il muso allungato e di forma conica è rivolto verso l’alto e leggermente a destra. Gli occhi sono resi
a cerchiello impresso. Gli orecchi sono abbassati e rivolti indietro.
Privo di indicazioni di provenienza.
III secolo a.C. (?)
Inedito.
I quattro pezzi riuniti in questo tipo sono caratterizzati dal medesimo schema
iconografico, che vede l’animale stante in posa araldica, con una delle zampe anteriori
sollevata e protesa ed il muso sollevato in alto, con gli orecchi appiattiti verso il basso.
Particolarmente degno di nota è l’atteggiamento della coda dell’esemplare B.I.1, piegata in
avanti fra le zampe posteriori, in modo da avvicinarsi e accostarsi al ventre, in modo del
tutto analogo a quanto avviene in una presa di cista configurata a pantera di provenienza
vulcente al Museo Nazionale di Villa Giulia, databile al III secolo a.C, cui il bronzetto
cortonese si avvicina anche dal punto di vista stilistico, soprattutto nella resa dei dettagli del
muso e delle zampe.256 Mentre nell’esemplare di provenienza chiusina a Boston la coda è
mancante, nel cane conservato ad Avignone essa pende libera in mezzo alle zampe
posteriori. Tutti e tre i pezzi si segnalano per la resa accurata, in senso naturalistico, della
volumetria e delle proporzioni del corpo dell’animale, e per la descrizione dei dettagli,
evidente soprattutto nella resa del mantello, nel muso e nelle zampe. Dei tre esemplari, i
primi due presentano maggiori affinità fra loro, mentre il terzo se ne distanzia lievemente
sotto il profilo prettamente stilistico.
La destinazione votiva, sin dalla sua realizzazione, almeno del pezzo B.I.1, è
assicurata dalla presenza di un’iscrizione di dedica sul fianco sinistro, che appare incisa nel
modello in cera prima della fusione. Nel panorama della piccola plastica votiva etrusca, il
pezzo assume un posto assolutamente eccezionale, soprattutto visto il pregio artistico e la
rappresentazione dell’animale in una posizione tanto caratterizzata dal punto di vista
iconografico; in rarissimi casi, infatti, i bronzetti votivi a figura animale rappresentano il
256
Proietti 1980, p. 64, figg. 68-69.
242
soggetto in movimento oppure in una posizione in qualche modo caratteristica, tanto di
indurre G. Colonna a considerare un cavallo in bronzo della stipe di Pietrabbondante non
originariamente votivo, proprio perché rappresentato impennato sulle zampe posteriori. 257
La funzione votiva degli altri due esemplari, B.I.2 e B.I.3, può essere ipotizzata solo vista la
stretta analogia che li lega a B.I.1, che comprende non solo l’aspetto iconografico e
stilistico, ma anche le dimensioni, che sono, soprattutto per quanto riguarda B.I.2, del tutto
analoghe. Nel tipo in esame, è possibile che si sia verificata una forte interferenza
iconografica fra bronzistica decorativa e bronzistica votiva e che un motivo originariamente
proprio della prima sia successivamente passato nella seconda.258
B1.II Tipo II
258
La tradizione di questo motivo iconografico nella bronzistica decorativa prosegue anche nel mondo
romano, se è corretto l’inquadramento proposto per il bronzetto di cane, rappresentato nella medesima
posizione dei bronzetti etruschi inquadrabili nel tipo B.I, già conservato a Chiusi nel Museo Archeologico
Nazionale e attualmente irreperibile: Maetzke 1957, p. 523, n. 67, fig. 59.
243
Il bronzetto assegnato a questo tipo, per quanto privo di indicazioni di contesto,
potrebbe essere considerato votivo per le analogie che lo legano, dal punto di vista
iconografico, alla serie precedente (B1.I), da cui si differenzia, altre che per alcuni dettagli
nella resa della posizione dell’animale, anche per il differente rendimento del corpo, dalle
forme più pingui e morbide rispetto ai cani del tipo B1.I, che sembrano essere qualificati
come appartenenti ad una diversa razza.
244
B2 Lupo
B2.I Tipo I
Il pezzo, la cui originaria funzione votiva è assicurata dal sostegno a tenone, che
presuppone l’infissione in una base e non l’utilizzo come applique decorativa, appare
sostanzialmente isolato nel panorama della bronzistica etrusca a figura animale, sia per il
soggetto, non altrove documentato nella plastica votiva, sia per le notevoli dimensioni, che
si rispecchiano in un peso elevato. Dal punto di vista stilistico, il pezzo si avvicina alle serie
tardo-orientalizzanti e arcaiche individuate per i bronzetti rappresentanti bovini (ad
esempio delle serie A.I.-A.II e A.IV), da cui tuttavia si differenzia per una maggiore
attenzione per la resa tridimensionale del corpo dell’animale, che non appare, pur nelle
forme semplificate e stilizzate, ridotto in forma laminare.
245
C. Cervidi
259
Vd., a puro titolo di esempio, gli esemplari, inediti, conservati nel Museo Civico di Bologna, inv. 1214 e
1215.
260
Vd. supra, parte I, rispettivamente catt. 28 e 18.
261
Arbeid 2005, pp.103-104, con bibliografia. Vd. anche il piccolo cervo in Schmaltz 1980, taf. 22.
246
e poveri dal punto di vista esecutivo, della produzione votiva etrusca a figura animale, come
nel caso del bronzetto C.II.1, o ancora del pezzo C.III.1.
C.I Tipo I
C.II Tipo II
247
rivolte indietro.
Poggia su una base di forma rettangolare.
Da Chiusi.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Cagianelli 1991-1992, p. 110, n. 130, tav. XXII, n. 130; Arbeid 2005, pp. 102-
103, fig. 2.
248
D. Equini
262
Vd. supra, parte I, cat. 11. Per la problematica dell’inquadramento del pezzo, vd. di recente Bonamici 2009,
che inquadra in questo ambito una piccola sfinge in bronzo del Museo Guarnacci di Volterra.
263
Maggiani 2006, pp. 275-278.
249
altre (D.II-D.IV). Particolare coerenza formale mostrano gli esemplari appartenenti ai tipi
D.II e D.III, che richiamano da vicino le esperienze tardo-orientalizzanti e arcaiche della
bronzistica votiva rappresentante bovini. In particolare, il tipo D.II si confronta, per la resa
del corpo degli animali, in cui è presente una forte stilizzazione in senso decorativistico
delle partizioni anatomiche delle zampe, e dei dettagli del muso, spesso incisi a freddo dopo
la fusione, con i bronzetti di bovini delle serie A.III e A.V, che presentano un analogo
rendimento, soprattutto delle caratteristiche del volto. Il tipo D.III sembra configurarsi
come una evoluzione, di poco posteriore, del tipo precedente, da cui si distacca solo per
una resa maggiormente allungata degli arti e del collo, ed in generale per le proporzioni
snelle e slanciate, mentre il tipo D.IV, pur ponendosi nel solco della medesima tradizione
stilistica, ne rappresenta un prodotto estremamente semplificato e impoverito. A queste
serie di epoca arcaica sembrano ricollegarsi dal punto di vista stilistico i bronzetti di cavalli
ampiamente documentati in area veneta nel medesimo arco cronologico, area dove questo
soggetto rappresenta il motivo maggiormente ricorrente, superando le attestazioni dei
bovini, a differenza di quanto accade in Etruria ma anche in Grecia. 264 Questi ultimi
prodotti sembrano ricollegarsi alla coeva produzione etrusca forse con un rapporto di
dipendenza formale, presentandosi tuttavia come un riflesso, impoverito e semplificato, del
modello.
I tipi D.V-D.VI presentano invece una maggiore disomogeneità, caratteristica che li
accomuna anche con l’unico tipo inquadrabile nel corso dell’epoca classica (D.VII) e con il
tipo D.VIII di epoca ellenistica.
Dal punto di vista strettamente numerico, è interessante notare come, mentre i
bronzetti di bovini siano attestati in misura preponderante nel corso della fase più antica,
subiscano poi una forte diminuzione della documentazione disponibile nel corso della fase
classica, per poi essere nuovamente documentati, quasi come nella fase arcaica, nel corso
della fase ellenistica, i bronzetti rappresentanti cavalli siano attestati soprattutto in epoca
tardo-orientalizzante e arcaica, con 24 esemplari noti, per subire un drastico calo delle
attestazioni nel corso della fase classica, con solo 3 esemplari, per poi restare su livelli molto
basso di attestazioni nella fase ellenistica, con solo 8 esemplari.
264
Per il cavallo nella cultura veneta, ed in particolare per le rappresentazioni di questo animale, vd.
Mastrocinque 1987, pp. 21-38, 28, 153-155; Pascucci 1990, pp. 229-230; Tirelli 2005; Marinetti 2005, lavori cui
si rimanda anche per la letteratura precedente.
250
Epoca tardo-orientalizzante e arcaica
D.I. Tipo I
D.II Tipo II
251
L’animale è rappresentato stante, con le zampe parallele e divaricate; sia quelle anteriori che quelle
posteriori, dalle forme massicce e tozze, sono dritte e rigide, ma quelle posteriori hanno una delle
articolazioni, plasticamente resa, in evidenza. Gli zoccoli sono resi con un ingrossamento della parte
finale delle zampe. La coda, a giudicare da quanto ne rimane, doveva essere del tipo filiforme,
realizzato a parte ed inserito nel modello in cera, non aderente al corpo. Il corpo è corto e robusto,
di forma cilindrica. Il collo presenta su entrambi i lati la criniera resa da fitte e secche incisioni
verticali e parallele, che prosegue sulla fronte, articolata in tre piani disposti ortogonalmente. Il
muso, fortemente rivolto verso il basso, ha la bocca resa con un largo solco e gli occhi, di forma
allungata, sottolineati da doppie incisioni. Gli orecchi sono tesi e rivolti in avanti.
Poggia su di una base di forma rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
VII secolo a.C. - VI secolo a.C.
Inedito.
252
D.II.3 Cavallo (Tav. XXV,2)
Arezzo, Museo Archeologico Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate».
Inv. 11539 (45 D/7).
Altezza 3,6 cm circa; lunghezza 4,7 cm; spessore del corpo 0,7 cm.
Integro.
Patina verde-grigio con incrostazioni color ruggine sulla base.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe sottili leggermente divaricate, le anteriori dritte e
rigide, quelle posteriori non piegate ma con una delle articolazioni in evidenza. Sembra ci sia un
tentativo di resa plastica degli zoccoli, di cui è sottolineata l’articolazione. La lunga coda filiforme è
staccata del corpo e arriva a sfiorare la base. Il corpo è allungato, di forma cilindrica ingrossato alle
estremità, con la parte anteriore ben modellata. Il collo è spesso, con la criniera resa da solchi
disposti in modo irregolare, solo sul lato destro. Il muso è rivolto verso il basso, con la bocca resa
da un solco e gli occhi, grandi e di forma allungata, resi ad incisione. Una lunga incisione è presente
anche al di sopra degli occhi. Quattro incisioni a ventaglio sulla fronte indicano anch’esse la criniera.
Gli orecchi sono piccoli e protesi in avanti.
Poggia su di una base di forma rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
VII - VI secolo a.C.
Inedito.
253
Privo di indicazioni di provenienza.
VII secolo a.C. - VI secolo a.C.
Inedito.
254
ventaglio, purtroppo poco leggibili, sulla fronte. La bocca e gli occhi sono resi da incisioni, poco
leggibili a causa della corrosione della patina, gli orecchi rivolti in alto.
Poggia su di una base di forma rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
VII secolo a.C. - VI secolo a.C.
Inedito.
255
D.III Tipo III
256
Poggia su di una base rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Inedito.
257
D.III.5 Cavallo (Tav. XXVI,3)
Orvieto, Museo «Claudio Faina».
Inv. 1086.
Altezza 6,5 cm; lunghezza 5 cm.
Mancano la coda, le estremità delle zampe posteriori e della zampa anteriore destra.
Patina verde con prodotti di corrosione.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato nell’atto di camminare, con le zampe destre leggermente avanzate
rispetto alle sinistre. Sia le zampe anteriori che quelle posteriori sono diritte e rigide, e le zampe
posteriori sono modellate con la struttura ossea ben evidenziata in senso naturalistico. Il collo è di
proporzioni massicce, con la criniera segnata da una serie di incisioni parallele; il muso, rivolto in
avanti, ha resi ad incisione gli occhi e la bocca; gli orecchi, triangolari, sono eretti al di sopra della
testa.
Privo di indicazioni di provenienza.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Caravale 2003, p. 132, n. 161.
D.IV Tipo IV
258
D.IV.2 Cavallo (Tav. XXVI,5)
Arezzo, Museo Archeologico Nazionale «Gaio Cilnio Mecenate».
Inv. 11540 (40 D/6).
Altezza 4,2 cm circa; lunghezza 5,4 cm; spessore del corpo 0,7 cm.
Integro.
Patina nerastra con incrostazioni bianche.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe divaricate, sottili e di forma tubolare. Quelle
anteriori sono rigide e dritte, quelle posteriori hanno una delle articolazioni appena accennata. Gli
zoccoli sono resi come piccoli piedi. La lunga coda filiforme è separata dal corpo, che è allungato e
di forma cilindrica, reso in modo schematico. Il lungo collo eretto presenta incisioni trasversali
parallele che partono dalla parte centrale e si dirigono verso il lato sinistro. Esse sono assenti
dall’altro lato del collo. Le incisioni, molto leggere e parallele, continuano sulla fronte dell’animale. Il
corto muso è rivolto in avanti, con gli orecchi tesi verso l’alto con il padiglione indicato da un
incavo. Gli occhi sono resi con solchi appena visibili. La bocca è resa con due solchi che si
incrociano perpendicolarmente.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Inedito.
259
VI secolo a.C.
Inedito.
260
allungati. La criniera è resa con una serie di incisioni a freddo, mentre la bocca è realizzata con un
solco e gli occhi con cerchielli impressi. Gli orecchi sono piccoli e di forma circolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Klakowicz 1970, pp. 64 e 164; Caravale 2003, p. 132, n. 162.
261
VI secolo a.C.
Inedito.
D.V Tipo V
262
fitta serie di solchi che ne descrivono il crine. Il corpo è sottile e di forma cilindrica, maggiormente
sviluppato nella parte posteriore rispetto alla parte anteriore, il collo è allungato e sinuoso, con
incisioni parallele che indicano la criniera. Il muso è sproporzionatamente piccolo rispetto al corpo,
è privo di dettagli eccetto la bocca aperta. Gli orecchi con solcatura centrale sono rivolti verso l’alto.
Poggia su una base con i bordi ritagliati.
Dal deposito di Brolio.
VII – VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Milani 1912, tav. LXXVIII; Pernier 1922, p. 496; Romualdi 1981, p. 15, n. 27,
fig. 27 a, b; Cristofani 1985, p. 250, n. 2, 14, fig. 2, 14; MAEC 2005, p. 303, n. VII,30 [L. Fiorini].
263
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con le zampe sinistre avanzate rispetto alle destre.
Sia le zampe anteriori che le zampe posteriori sono diritte e rigide, piuttosto appiattite, con la
differenza che le zampe posteriori hanno una delle articolazioni modellata e messa in evidenza. Gli
zoccoli sono resi plasticamente. La lunga coda, da quello che si può dedurre dalla parte rimanente,
non aderiva alle zampe posteriori. Il corpo, pur essendo appiattito, è descritto con una certa
accuratezza per la resa delle masse muscolari. Il collo è eretto, il muso rivolto leggermente in basso.
Gli orecchi sono piccoli e rivolti in avanti. La bocca e gli occhi sono resi ad incisione, mentre la
mandibola e la criniera sono modellati plasticamente. Alle estremità della bocca è presente un foro
passante
Poggia su di una stretta base di forma rettangolare.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Cristofani 1980, p. 31, n. 38, fig. 38.
Il cavallo proveniente dalla stipe di Brolio (D.V.1), ed i due bei cavalli conservati,
privi di dati di provenienza, nelle collezioni del Museo Archeologico di Firenze (D.V.2-3),
pur differenti soprattutto nella resa del muso dell’animale, sono caratterizzati tuttavia da
una medesima concezione del corpo, da una certa cura per la resa dei volumi, delle masse
muscolari e delle partizioni anatomiche, cui non è estraneo un certo gusto decorativistico,
soprattutto nella resa delle articolazioni delle zampe. Tutti e tre i pezzi, il cui inquadramento
cronologico appare non problematico, non possono essere considerati in modo pacifico dei
bronzetti votivi. Se il cavallo da Brolio trova confronto in alcuni bronzetti della serie D.II,
confronto che potrebbe avvalorare la pertinenza ad una medesima tradizione formale e
produttiva, i due cavalli del Museo di Firenze si discostano dal resto della produzione
votiva, sia per il particolare pregio formale, sia per l’impostazione sostanzialmente
bidimensionale dei bronzetti, che esclude una loro visione dal lato frontale e tergale. Per
quanto di problematico inquadramento, si è tuttavia deciso di proporne l’attribuzione alla
bronzistica votiva etrusca a figura animale, considerando l’assenza di confronti convincenti
nell’ambito della bronzistica decorativa.
264
D.VI Tipo VI
Il bronzetto si discosta dal resto della produzione votiva etrusca a figura animale
per la rappresentazione dell’animale in atto di correre, piuttosto rara come tutte le
rappresentazioni che propongano gli animali in movimento, attestata tuttavia con sicurezza
dal bel bronzetto di cane che solleva la zampa e protende in alto il muso, proveniente da
Cortona e conservato nel Museo di Firenze, provvisto di iscrizione di dedica.
La particolare vicinanza formale con i bronzetti della serie D.II, soprattutto per la
resa dei dettagli del muso e delle partizioni anatomiche delle zampe, induce a inquadrare il
pezzo nell’ambito della produzione votiva piuttosto che in quello della produzione
decorativa.
265
Epoca classica
D.VII.2. Cavallo
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12401 (vecchio cartellino 412 P).
Altezza 4,3 cm; lunghezza 6 cm; spessore 0,6 cm; peso 52 g
Manca la coda.
Patina bruna, superficie irregolare.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato nell’atto della corsa, con le zampe anteriori slanciate in avanti e quelle
posteriori arretrate, unite due a due. Le zampe anteriori sono diritte, mentre quelle posteriori hanno
una delle articolazioni in evidenza. Gli zoccoli sono modellati plasticamente. Il lungo collo è eretto,
la criniera resa plasticamente, il muso rivolto leggermente in alto, con gli orecchi tesi all’indietro. La
bocca è resa con un solco.
Sotto ciascuna coppia di zampe è presente una basetta di forma approssimativamente ellittica.
Privo di indicazioni di provenienza.
266
VI-V secolo a.C.
Inedito.
Come il precedente esemplare inquadrabile nel tipo D.VI, anche il tipo D.VII, pur
nella sua relativa variabilità, è caratterizzato dalla rappresentazione dei cavalli in movimento,
in atto di correre.
Epoca ellenistica
267
Altezza 5,4 cm; lunghezza 6,7 cm.
Lacunosa la coda.
Patina verde scuro con incrostazioni.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe accostate e parallele due a due. Sia quelle anteriori
che quelle posteriori, per quanto tubolari e prive di anatomia, non sono rigide ma piegate in
corrispondenza di una delle articolazioni. Gli zoccoli sono realizzati plasticamente. La coda, a
sezione circolare, non aderiva alle zampe posteriori. Il corpo è cilindrico, come il lungo collo. Il
muso, rivolto in avanti, ha la bocca resa ad incisione. Gli orecchi sono triangolari e rivolti indietro,
con il padiglione concavo.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Bibliografia specifica: Caliò 2000, p. 176, n. 322.
268
D.VIII.3 Cavallo (Tav. XXVIII,5) (= parte I, cat. 3.1)
Fiesole, Museo Civico Archeologico.
Inv. 553.
Altezza 6,8 cm; lunghezza 9,5 cm
Integro.
Patina fortemente corrosa.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato nell’atto di camminare, con le zampe sinistre avanzate rispetto alle destre.
Le zampe anteriori sono diritte, ben modellate nella parte superiore, sottili nella parte inferiore; le
zampe posteriori sono flesse in corrispondenza di una delle articolazioni, che presenta la struttura
ossea ben evidenziata. Gli zoccoli sono realizzati attraverso l’ingrossamento della parte finale delle
zampe. La lunga coda non aderisce alle zampe posteriori. Il collo è spesso, il muso rivolto
leggermente verso il basso è allungato e di forma cilindrica. Gli orecchi sono triangolari ed
appuntiti, tesi indietro.
Da Fiesole, località Campo di S. Pierino.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Galli 1914, p. 118, n. 553; De Agostino 1949, p. 44, fig. 37; Bruni 1998, p. 76,
nota 43.
D.VIII.4 Cavallo
Modena, Galleria Estense.
Inv. 12171.
Altezza 5 cm; lunghezza 5,7 cm; spessore 0,9 cm
Integro.
Patina verde.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato nell’atto di camminare, con le zampe destre avanzate rispetto alle sinistre.
Sia le zampe anteriori che quelle posteriori sono diritte, ben modellate nella parte superiore, sottili
nella parte inferiore; la struttura ossea è ben evidenziata in senso naturalistico. Gli zoccoli sono
realizzati plasticamente, con grande attenzione per i dettagli e per il realismo. La lunga coda aderisce
alla zampa posteriore sinistra, ed è segnata da incisioni parallele che descrivono l’andamento del
crine. Il collo è spesso e corto, il muso rivolto verso il basso è allungato e di forma cilindrica, con i
dettagli interni – bocca, occhi, orecchi – modellati plasticamente e rifiniti ad incisione.
Privo di indicazioni di provenienza.
269
III secolo a.C.
Inedito.
D.IX Tipo IX
270
accennata ma resa plasticamente.
Poggia su una placca di bronzo lacunosa, al di sotto di ciascuna coppia di zampe sono presenti
tenoni che alloggiano in una base di pietra fetida di forma tronco-piramidale.
Dal deposito votivo di Radicofani (Si).
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Bentz 1992, p.66, tav. XV, fig. 72.
271
E. Ovocaprini
265
Le attestazioni di bronzetti di caprini e ovini nei santuari della Grecia sono in Bevan 1986, pp. 168-181 e
246-257. Per la realizzazione del tema in Grecia, dal punto di vista formale, vd. Maggiani 1997, pp. 101-103,
in cui si propone un inquadramento per un bronzetto di ariete attualmente al Museo Guarnacci di Volterra,
privo di indicazioni di provenienza. Una serie di capri di produzione greca trova diffusione anche in ambito
italico e centro-europeo: vd. Boucher 1973, pp. 81-84.
272
Si è esclusa dal corpus la statuetta di capro proveniente da Bibbona, che si inserisce
meglio nella tradizione caratteristica della plastica decorativa etrusca, trovando confronti in
esemplari, analoghi per iconografia e stile, di produzione greco-orientale. 266
E.I Tipo I
266
Vd. supra, parte I, cat. 15.1, con bibliografia.
273
E.II Tipo II
274
E.II.3 Ovino (Tav. XXIX,4) (= parte I, cat. 47.1)
Modena, Museo Civico Archeologico Etnologico.
Inv. 537;7.
Altezza 2 cm; lunghezza 6,4 cm
Privo della zampa anteriore destra.
Superficie fortemente corrosa.
Fusione piena.
L’animale è reso in modo estremamente schematico, stante con le zampe accostate e parallele due a
due. Sia quelle anteriori che quelle posteriori sono diritte rigide, prive di indicazioni a natomiche,
terminanti a punta. Il corpo è cilindrico, di forma allungata. Il muso, rivolto verso il basso, appare
privo di dettagli.
Dalla stipe votiva di Montese (Mo).
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Macellari 1990, p. 12, n. 21, fig. 23 (con bibliografia precedente); Miari 2000,
p. 128, n. 13, tav. III b.
275
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate: sia quelle anteriori che quelle
posteriori sono diritte rigide, rese schematicamente a forma tubolare leggermente restringentesi
verso il basso. Gli zoccoli non sono realizzati in alcun modo. La coda non aderisce alle zampe
posteriori. Il corpo è cilindrico, piuttosto tozzo e privo di dettagli anatomici. Il collo, anch’esso
cilindrico, è lungo ed eretto. Il muso è rivolto in avanti e leggermente a destra. I dettagli non sono
leggibili a causa della corrosione della patina.
Dalla stipe di Caligiana (Pg).
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Monacchi 1986, p. 80, nota 32; Maggiani 2002, p. 279, fig. 17.
276
E.III.2 Ovino (Tav. XXX,2)
Già a Chiusi, Museo Archeologico Nazionale.
Inv. 2233.
Altezza 5,2 cm; lunghezza 5,3 cm.
Integro. Patina verde bruno.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe leggermente divaricate unite due a due per gli
zoccoli: le due sinistre sono leggermente avanzate. Le zampe anteriori sono diritte e rigide, mentre
quelle posteriori sono modellate piuttosto bene all’altezza dell’attaccatura con il corpo, e
rappresentate con l’articolazione in evidenza. Lo stato di conservazione della patina non permette
di apprezzare in che modo siano stati realizzati gli zoccoli. La corta coda non aderisce alle zampe
posteriori. Il collo è eretto, il muso rivolto leggermente in basso ha i dettagli non ben leggibili.
Privo di indicazioni di provenienza.
VI secolo a.C.
Bibliografia specifica: Maetzke 1957, p. 519, n. 64, fig. 63.
E.IV Tipo IV
277
E.IV.2 Ariete (Tav. XXX,4)
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.
Inv. s.n. (collezione Bellucci, tavoletta inv. 811, armadio 54, cassetto IV)
Altezza 3 cm; lunghezza 4,1 cm
Integro.
Patina verde smeraldo.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le zampe, diritte e rigide e semplificate in forma cilindrica,
parallele due a due. Gli zoccoli sono modellati come piccoli piedi, ed hanno il dettaglio della
fessurazione. La coda, breve e spessa, non aderisce alle zampe posteriori. Il corpo, per quanto
semplificato, è modellato con attenzione per la resa anatomica. Il muso, rivolto in avanti, ha gli
occhi, di forma allungata, modellati plasticamente, e la bocca realizzata come un solco. Le corna,
modellate plasticamente, si avvolgono su se stesse ad entrambi i lati della testa.
Privo di indicazioni di provenienza.
Età ellenistica.
Inedito.
E.V Tipo V
278
F. Pesci
F.I Tipo I
267
Vd. supra, parte I, cat. 25.
279
F.I.2 Anguilla (Tav. XXX,7) (= parte I, cat. 25.5)
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria.
Inv. Com. 722/2.
Lunghezza 16,5 cm
Fusione piena.
L’animale è rappresentato vivo, con il corpo ondulato in leggero movimento. Il corpo, allungato e
sottile, è reso con perizia e attenzione per la resa naturalistica della volumetria, dei dettagli e per il
rendimento del movimento. Ai lati della testa, sono rappresentate due brevi branchie. I dettagli del
muso sono resi ad incisione.
Dalla stipe di Colle Arsiccio.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Richardson 1998, p. 26, fig. 2; Cagianelli 2002, pp. 334-335; cenno in
Maggiani 2002, p. 281.
280
G. Rettili
268
Vd. supra, parte I, rispettivamente catt. 13, 4, 37.
269
Bronzetti rappresentanti serpenti crestati sono noti in ambito greco, vd. Caliò 2000, p. 166, n. 292, con
bibliografia; per le attestazioni nel santuari della Magna Grecia vd. ThesCRA, VI, Agricoltura, Etr. [S. Bruni].
281
G.I Tipo I
282
H. Suini
I bronzetti votivi etruschi rappresentanti suini, sia nella varietà domestica che nella
varietà selvatica, spesso difficilmente distinguibili agli occhi dello stesso mondo antico, 270
sono documentati da appena 17 esemplari, di cui 10 relativi alla prima e 7 alla seconda. La
differenziazione fra le due varietà è spesso assicurata solo da minuti dettagli, come la
presenza delle zanne, o della criniera interrotta a circa metà del dorso, elementi che
caratterizzano in genere la rappresentazione della varietà selvatica.
La distribuzione cronologica, a differenza di quanto accade per le figure di bovini,
di cavalli e di ovocaprini, che costituiscono i soggetti di maggiore attestazione, è piuttosto
bassa nel corso della fase arcaica e di quella classica, durante le quali si registrano
rispettivamente 5 e 3 attestazioni, ed è massima nel corso dell’epoca ellenistica, quando si
diffonde ed appare preponderante rispetto ad altri tipi, la rappresentazione di suini dalla
forme pingui e pesanti, fortemente caratterizzate in senso naturalistico (H1.IV), che si
distingue rispetto a tipi in cui gli animali sono rappresentati con proporzioni snelle e
allungate (H1.II e H1.III). La medesima differenziazione iconografica è presente nei tipi
che rappresentano la varietà selvatica (H2.IV, tipo pingue, rispetto a H2.I), e sembra
ricollegarsi alle rappresentazioni di questi animali nella piccola plastica votiva fittile, in cui i
suini sono fra i soggetti maggiormente rappresentati.271
270
Vd. al riguardo, Franco 2006; ThesCRA, I, Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], pp. 154-155, per le
possibilità di interscambio in ambito sacrificale fra le due varietà.
271
Vd. Söderlind 2004, p. 278, tav. I.
283
H1 Suino domestico
H1.I Tipo I
H1.II Tipo II
284
parte finale delle zampe. La coda è indicata da una minuscola protuberanza sferica. Il corpo è
cilindrico, piuttosto robusto, il collo è invece piuttosto sottile ed allungato. Il muso è rivolto in
avanti, ha gli occhi impressi a forma circolare e la bocca resa con un solco. Gli orecchi, con
padiglione centrale, sono tesi e rivolti indietro.
Privo di indicazioni di provenienza. Già nella collezione Garovaglio.
Bibliografia specifica: Bolla, Tabone 1996, p. 194, n. A 167.
285
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con la zampa anteriore destra e quella posteriore
sinistra avanzate. Le zampe anteriori sono sottili, diritte e rigide, mentre quelle posteriori sono
modellate diversamente, piegate in corrispondenza di una delle articolazioni. Gli zoccoli sono resi
plasticamente attraverso l’ingrossamento della parte finale delle zampe. Il corpo è sottile e di forma
tubolare ma piuttosto ben modellato, con piccoli tagli sul dorso che indicano il mantello. La coda è
arricciata e poggiata sul dorso. Il collo ed il muso, rivolto in avanti, hanno proporzioni allungate. La
bocca è resa ad incisione. I piccoli orecchi sono tesi verso l’alto.
Sotto la zampa posteriore destra è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Dalla stipe di Monte Acuto di Umbertide.
V secolo a.C.
Bibliografia specifica: Cenciaioli 1991, p. 220-221, n. 4.35, fig. 4.35.
H1.IV Tipo IV
286
Altezza 5 cm; lunghezza 8,4 cm.
Integro. Deformazione alle zampe posteriori.
Patina bruna.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante, con le corte zampe divaricate: quelle anteriori sono diritte e rigide,
quelle posteriori sono flesse forse per un difetto di fusione. Gli zoccoli sono modellati
plasticamente. Il corpo è massiccio ma piuttosto ben modellato. Il muso è rivolto leggermente verso
il basso. Il pelame è espresso plasticamente con piccole e fitte rugosità della superficie.
Privo di indicazioni di provenienza.
Bibliografia specifica: Maetzke 1957, p. 519, n. 66, fig. 57.
287
Inv. 531.
Altezza 4,3 cm; lunghezza 7,7 cm; spessore del corpo 2,1 cm.
Ricomposto:gli zoccoli e le zampe posteriore sinistra e anteriore destra sono di restauro.
Superficie lucida. Patina verde.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante; il corpo è plasticamente reso, le zampe sono corte e separate le
une dalle altre. Gli zoccoli sono in gran parte di restauro ma da quello che rimane si può dedurre
che fossero modellati plasticamente. La zampa anteriore sinistra ha una delle articolazioni in
evidenza. La coda è arricciata e appoggiata al corpo. Il pelo dorsale è sottolineato per tutta la
lunghezza da solchi e reso ad incisione. Il muso è rivolto in avanti. La bocca, gli occhi e le narici
sono resi con solchi. Sopra gli occhi l’arcata sopracciliare è in rilievo.
Da Cellole presso San Gimignano (Si).
Inizio II - prima metà I secolo a.C.
Bibliografia specifica: Phillips 1992, pp. 537-561, fig. 1-5; 6-7; Zaccagnino 2010, p. 134, tav. 146, VII
55 (disegno di F. Marchissi).
288
H1.V Tipo V
H2 Cinghiale
H2.I Tipo I
289
cilindrica, dall’anatomia piatta e schematica. La coda è corta e grossa, unita al corpo nella parte
iniziale e libera nella parte terminale, sembra arricciata su se stessa. Sulla parte finale del dorso è
presente un ingrossamento con corte linee verticali e parallele che indicano il mantello. Il muso è
rivolto in avanti, con occhi e bocca resi con incisioni. Gli orecchi sono modellati plasticamente con
il padiglione di forma triangolare incavato. L’orecchio destro è sottolineato nella parte posteriore da
una incisione.
Privo di indicazioni di provenienza.
Inedito.
H2.II Tipo II
290
Inv. 1139.
Altezza max cons. 4 cm; lunghezza 5,8 cm; spessore 1,2 cm
Manca metà della zampa anteriore destra.
Superficie in alcuni punti abrasa. Patina verde bruno.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato stante con le zampe unite due a due, slanciate nella corsa, quelle
posteriori sono slanciate indietro, mentre quelle anteriori in avanti. La coda è resa come un leggero
ingrossamento nella parte posteriore del corpo. L’organo sessuale è in evidenza. Il pelo dorsale è
reso a rilievo su tutta la lunghezza del corpo e caratterizzato da incisioni verticali, mentre incisioni
ad andamento irregolare distribuite su tutto il corpo potrebbero rendere il mantello. Il muso è
proteso in avanti ed ha la bocca resa ad incisione. Il corpo non è diritto, ma presenta un andamento
sinuoso.
Privo di indicazioni di provenienza.
Inedito.
291
Cristofani 1985, p. 253, n. 3.24; Santuari d’Etruria 1985, p. 177, n. 10.20, fig. 10.20; Zamarchi Grassi
2001, p. 126, n. 32; Camporeale 2009, p. 60, tav. VI a; Il cinghiale nell’antichità 2009, p. 28, n. I.1. [M.G.
Scarpellini].
H2.IV Tipo IV
292
incisioni parallele. Il muso rivolto in avanti ha occhi, bocca e zanne resi ad incisione. I grandi
orecchi sono realizzati plasticamente.
Sotto ciascuna coppia di zampe è presente una basetta di forma approssimativamente ellittica.
Privo di indicazioni di provenienza.
IV secolo a.C.
Inedito.
H2.V Tipo V
293
I. Volatili
Attestati da appena 4 esemplari tutti databili nel corso dell’età ellenistica, i volatili
presenti nella bronzistica votiva etrusca rappresentano due diverse specie: la civetta,
documentata da due esemplari di cui uno riferibile ad un culto svoltosi nel tempio dell’area
archeologica di Fiesole, e un tipo difficilmente identificabile di volatile, documentato da due
esemplari provenienti uno dal territorio di Volterra, ed uno dal territorio di Perugia.
A differenza di quanto accade per i bovini, i cavalli, gli ovocaprini e i suini, che sono
attestati per tutta la durata della classe presa qui in esame, e come accade invece per le
rappresentazioni di pesci, rettili e canidi, questo tema non sembra fare del patrimonio
tradizionale della bronzistica votiva a figura animale, ma si afferma soltanto nel periodo
ellenistico.
I.I Tipo I
294
il basso. Il muso, impostato su di un collo lungo ma tozzo, è rivolto leggermente in alto. Gli occhi,
grandi e di forma circolare, sono realizzati con profondi solchi. Il becco è corto e schiacciato,
modellato plasticamente ma sottolineato da un solco lungo tutto il perimetro dell’attaccatura con il
muso. L’apertura della bocca è resa attraverso una incisione e gli occhi sono resi ad incisione. Il
piumaggio è indicato su tutto il corpo con grande attenzione descrittiva e in modi diversificati: sul
petto da brevi e sottili incisioni verticali disposte in piani orizzontali, sulle ali da incisioni profonde
che ne seguono l’andamento, fra le quali si nota un motivo a lisca di pesce.
Sotto le zampe è presente un tenone cilindrico per il fissaggio ad un supporto.
Dalla stipe del Tempio etrusco di Fiesole.
III secolo a.C.
Bibliografia specifica: Maetzke 1955-1956, pp. 236-240, fig. 9; De Marco 1981, p. 45, fig. 60; Bruni
1994, p. 61, nota 28; Cagianelli 1995-1996, pp. 45-46, note 172-174, tav. X; fig. 23; Maggiani 1997, p.
43, nota 250; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 370, n. 351.
I.II Tipo II
295
Inv. 24472 (già Mus. Kircheriano 5277).
Altezza 19,5 cm; lunghezza 25 cm, spessore del corpo 15,5 cm.
Integro.
Fusione piena.
L’animale è rappresentato in atto di camminare, con la zampa destra avanzata rispetto alla sinistra. Il
corpo è piuttosto ben reso nella volumetria ed in alcuni dettagli, ad esempio le zampe, che hanno
ciascuna quattro dita con artigli, disposti in modo naturalistico e sono flesse al ginocchio. Tuttavia
altre zone del corpo sono trattate in modo piuttosto sommario, coma la coda e la testa: la prima è
caratterizzata soltanto da incisioni che ne indicano il piumaggio, la seconda, rivolta leggermente
verso sinistra, non presenta dettagli se si eccettua il grosso becco di forma conica. La ali sono
rappresentate aderenti al corpo, e sono realizzate ad incisione.
Sotto ciascuna delle zampe è presente un tenone per il fissaggio ad un supporto.
Sull’ala destra è presente un’iscrizione.
Dalla stipe di Casa Bianca presso Saline di Volterra.
Prima metà del II secolo a.C.
Bibliografia specifica: Giglioli 1952-1953, pp. 50-55, fig. 1; Helbig 1963-1974, III, p. 614, n. 2669;
Proietti 1980, p. 169, fig. 217; Santuari d’Etruria 1985, p. 34, n. 1.17.; Cateni 1999, pp. 24-25, figg. 17-
18 e p. 56, n. 4; ThesCRA, I, Dedications, Rom [E. Simon et alii], p. 369, n. 346.
Iscrizione: CIE 53; TLE 398.
296
Parte III
Gli aspetti cultuali
Sin dal tardo orientalizzante e fino all’avanzato ellenismo la religiosità etrusca, o
almeno una parte di essa, conosce l’uso, condiviso con altre culture del mondo italico e più
in generale del mondo mediterraneo, di offrire in dono alle divinità figure in bronzo di
animali: soprattutto immagini di bovini, ma anche cavalli, suini e ovini, cui si aggiungono,
ma solo in epoca piuttosto tarda, serpenti, pesci, cani e volatili. 272
Il repertorio degli animali sotteso a questa particolare forma di devozione, certo
non dominante rispetto alle molto più generalizzate statuette a figura antropomorfa, 273 ma
comunque diffuso più di quanto la documentazione oggi disponibile non possa mettere in
luce, appare dunque piuttosto limitato, e incentrato principalmente su specie domestiche
legate al mondo dell’agricoltura, dell’allevamento, del lavoro dell’uomo, con attestazioni
molto più sporadiche di specie legate a sfere diverse: ad esempio all’ideologia aristocratica,
come il cavallo e gli animali del mondo selvatico, come il cervo ed il cinghiale. I dati sin qui
raccolti hanno permesso di ricostruire la scansione cronologica e tipologica della classe in
esame, la sua distribuzione areale nelle diverse fasi della storia etrusca, ed infine come la
distribuzione cronologica dei soggetti segua l’evoluzione della società etrusca da un
modello di tipo aristocratico ad uno di tipo democratico, con un progressivo allargamento
della compagine cittadina verso gli strati medio-bassi della popolazione. 274
Gli scarsi dati a disposizione lasciano tuttavia in ombra tutta una serie di aspetti, più
strettamente cultuali, riguardanti la selezione dei motivi iconografici in relazione alle
divinità cui le statuette erano dedicate e al tipo di culto che veniva loro tributato, il
272
Vd. supra, parte II, in particolare pp. 107-115.
273
Una rapida ricognizione, a titolo del tutto esemplificativo, del corpus dei bronzetti votivi etruschi a figura
umana di epoca ellenistica raccolto da M. Bentz (Bentz 1992), mostra come per questa fase cronologica il
numero dei bronzetti noti assommi a 356 voci di catalogo, contro i 95 bronzetti votivi a figura animale. In
proporzione, considerando il 100% la somma dei due gruppi, i bronzetti a figura animale assommano al 21%
delle attestazioni, mentre i bronzetti a figura umana costituiscono il 79% di esse.
274
Vd. supra, parte I, pp. 20-26, e parte II, p. 113.
299
significato e le aspettative che i dedicanti attribuivano a questa classe di oggetti votivi, lo
status sociale e le possibilità economiche dei dedicanti stessi. In particolare, la rarità delle
iscrizioni di dedica su bronzetti votivi a figura animale impedisce di cogliere il rapporto fra
questa classe di oggetti votivi e le divinità del pantheon etrusco, e di stabilire, al di là di
ipotesi difficilmente comprovabili, se esistesse un rapporto privilegiato di queste offerte
con qualche divinità o se piuttosto bronzetti a soggetto zoomorfo potessero essere ritenuti
offerte consone a diverse entità divine.
I bronzetti votivi etruschi forniti di iscrizione di dedica sono infatti limitati a tre sole
attestazioni, tutte databili nel corso della fase ellenistica: un bronzo di volatile proveniente
dalla stipe di Casa Bianca presso Saline di Volterra e attualmente al Museo Nazionale di
Villa Giulia a Roma,275 un bronzetto di cane proveniente da Cortona e oggi al Museo
Archeologico Nazionale di Firenze,276 e infine una statuetta di bovino, priva di dati di
provenienza, conservata nelle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. 277
Mentre il bovino di Napoli si qualifica come un prodotto di bottega di scarso impegno
artistico che si inserisce compiutamente, in quanto tale, nella tradizione della bronzistica
votiva a figura animale di epoca etrusca, le due statuette da Cortona e da Volterra si
segnalano per l’elevata qualità dell’esecuzione e per il notevole impegno formale e tecnico e
per la particolare ricerca iconografica, elementi questi che rendono i due pezzi del tutto
eccezionali nel panorama della classe in esame. La presenza dell’iscrizione di dedica su
questi due pezzi, appartenenti ad una classe che ne era solitamente priva, rafforza
pienamente la sensazione di eccezionalità di questi donari, che doveva forse essere
percepita dai dedicanti stessi.
Il bronzetto di bovide del Museo Archeologico Nazionale di Napoli presenta un
testo piuttosto breve, in cui è riportata esclusivamente la formula onomastica del dedicante,
Vel Cultu, seguita dal verbo di dedica. Se l’analisi paleografica del testo consente di
localizzare l’ambito di produzione della statuetta nel territorio cortonese o perugino, e di
proporne una datazione nel corso del IV secolo a.C., 278 esso non lascia trapelare alcuna
indicazione riguardo alla divinità cui l’oggetto era stato offerto in dono.
Il bel volatile proveniente dal territorio di Volterra reca invece un’iscrizione, incisa
275
Vd. parte I, cat. 13.1; parte II, cat. I.II.1, cui si rimanda anche per la letteratura relativa a questo pezzo.
276
Vd. parte I, cat. 19.1; parte II, cat. B.I.1, cui si rimanda anche per la letteratura relativa a questo pezzo.
277
Vd. parte II, cat. A.XXXII.3.
278
Limata 1993, p. 268.
300
sull’ala destra, piuttosto lunga ed esaustiva, che indica sia il nome del dedicante, sia quello
della persona a favore della quale è stata compiuta la dedica, sia infine quello della divinità
cui l’oggetto è stato offerto. La dedica è stata compiuta da Fel Supri per Vipinei di Ulchni, e
l’oggetto è stato offerto alla dea Cel, qualificata dall’appellativo Tatanus derivato dal
sostantivo comune tata, nonna. Di questa divinità è noto un altro santuario presso il lago
Trasimeno, in cui è stata rinvenuta una serie di statuette in bronzo di offerenti e di oranti
maschili e femminili, tutte con iscrizione, nelle quali la dea è accompagnata dall’epiteto Ati,
dal sostantivo comune ati, madre. Secondo G. Colonna, che ha proposto di identificare
l’etrusca Cel con la greca Ghe, questa divinità avrebbe caratteri soprattutto ctoni ed
inferi,279 che appaiono confermati dalla presenza, nella stipe di Casa Bianca da cui proviene
il volatile in bronzo, di sei figure di serpenti e di una di cavallo, animali tutti associati
primariamente proprio con il mondo sotterraneo e infero. 280 Appare possibile che anche il
volatile di Casa Bianca fosse associato con il medesimo ambito, ma la difficoltà di
identificare la specie rappresentata, per cui si sono proposte identificazioni differenti, non
consente di precisare questo eventuale legame. Mentre il Dennis, che per primo cita il
pezzo, lo identifica con una colomba, il Giglioli, 281 osservando che le alte zampe e la coda
sono piuttosto adatte ad un gallinaceo, ritiene inesatta questa identificazione e propende
per l’identificazione con una starna o una pernice. Con quest’ultima ipotesi concorda anche
G. Colonna.282 Se la prima identificazione lascerebbe pensare ad un collegamento
dell’animale rappresentato nel bronzetto con l’ambito domestico, e in particolare con la
sfera femminile collegata al culto di Afrodite-Turan, 283 la seconda indicherebbe un legame
con il mondo della caccia e quindi con la sfera maschile e aristocratica per eccellenza. 284 In
entrambi i casi, le identificazioni proposte allontanano l’ex voto dal mondo infero e ctonio
cui pure sembra avvicinarlo l’iscrizione di dedica alla dea Cel su di esso apposta.
Molto diverso appare il caso della statuetta di lupo di provenienza cortonese.
L’iscrizione, in forma brachilogica, riporta l’epiteto caluśtla, ovvero ‘quello di Caluś’
279
Colonna 1976-1977; più di recente, sulle statuette iscritte pubblicate da Colonna si veda Bentz 1992, pp.
17-19.
280
Vd. infra, pp. 316-318 e 322.
281
Giglioli 1952-1953, p. 50.
282
Santuari d’Etruria 1985, p. 34.
283
Per il rapporto fra Afrodite e la colomba, vd. Bevan 1986, pp. 35-39, con bibliografia.
284
Per il mondo della caccia in Etruria, si veda il lavoro, ancora attuale, di G. Camporeale, Camporeale 1984,
cui si rimanda per la bibliografia precedente, in particolare pp. 128-129 per la caccia a volatili.
301
preceduto dalla lettera ś, per cui si è proposto lo scioglimento con il teonimo Selvans.285 Si
tratterebbe quindi di una dedica a quest’ultima divinità, venerata in una accezione
specificamente ctonia, come dimostra l’epiteto caluśtla, derivato, attraverso l’aggiunta del
pronome dimostrativo enclitico, dal teonimo Caluś, che ricorre nella lamina di Magliano,
nella tegola di Capua286 e in numerose iscrizioni funerarie, dove appare sempre connesso al
concetto di morire e al mondo infero.287 Nonostante alcune obiezioni riguardo allo
scioglimento dell’abbreviazione, il dato certo è costituito dalla pertinenza della statuetta alla
sfera dell’aldilà, che in questo caso concorda pienamente con il dato iconografico, vista la
pertinenza del cane all’ambito ctonio, associazione questa ben documentata nel mondo
greco e romano,288 ma che appare appare frequente anche nel mondo etrusco.289
Allo scarno dossier delle epigrafi apposte su bronzetti a figura animale si può
aggiungere il testo presente su una base lapidea da Corciano, 290 di forma tronco-piramidale,
che presenta sul lato superiore due alloggiamenti, che sembrano destinati al sostegno di un
oggetto in altro materiale. L’iscrizione su uno dei lati lunghi della base presenta una dedica
a peθnś caluśnal; anche in questo caso attraverso l’epiteto caluśnal, la divinità oggetto della
dedica, Peθnś, viene caratterizzata come appartenente alla sfera ctonia. Secondo F.
Roncalli, che ha curato l’edizione della base, i fori presenti sul lato superiore sono
concepiti per sostenere un ex voto con due punti di appoggio, uno anteriore ed uno
posteriore, che egli ipotizza in forma di quadrupede, e per cui propone, quasi come
suggestione, l’identificazione con una figura di cane. L’insieme troverebbe un inusuale e
puntuale riscontro iconografico in una kelebe volterrana conservata al Museo «Claudio
Faina» di Orvieto, che documenta una scena probabilmente ambientata nella sfera
funeraria, in cui due personaggi sono rivolti verso un piedistallo che sostiene una piccola
statuetta di cane.291
In assenza di ulteriori dati epigrafici riguardo al rapporto fra questi bronzetti e le
285
Neppi Modona 1977, pp. 146-147, con letteratura precedente.
286
Rispettivamente TLE 359 e TLE 2.
287
Roncalli 1985, pp. 60-61.
288
Bevan 1986, pp. 115-126
289
Roncalli 1985, p. 67. Al riguardo, si può segnalare anche la presenza, su di un coperchio di cinerario
rinvenuto in una sepoltura della necropoli perugina del Frontone, di un bronzetto di cane, vd. supra, pp. 12 e
207. Un bronzetto di cane proviene da un ambito sepolcrale di Orvieto, vd. Gamurrini 1887, p. 89.
290
Pettine, Roncalli 1984-1985, p. 201.
291
Roncalli 1985, pp. 67-68.
302
divinità, la questione può essere impostata solo sulla base dell’analisi della composizione dei
complessi votivi. Tuttavia, vari ordini di difficoltà rendono questo tipo di ricerca complessa
e per molti versi aleatoria: ricostruire il nome o la fisionomia della divinità venerata in un
luogo di culto a partire dalle offerte in esso rinvenute è operazione destinata a concludersi,
nella maggior parte dei casi, con la formulazione di ipotesi prive di reali possibilità di
riscontro.292
In primo luogo, la maggior parte delle offerte votive appare piuttosto generica dal
punto di vista iconografico e concettuale, e anzi incentrata più sul polo rappresentato
dall’offerente, dalla sua sfera di aspettative e bisogni, piuttosto che sul polo rappresentato
dalla divinità destinataria del culto, e non può essere legata in modo univoco o preferenziale
a particolari entità divine. È questo il caso delle statuette che rappresentano devoti, da cui
appare impossibile, nella maggior parte dei casi, ipotizzare il nome della divinità destinataria
del culto, ma anche della classe degli ex voto anatomici, ampiamente diffusa in tutti i
contesti sacri etruschi sin dall’età arcaica ma con un’impressionante diffusione nel corso
dell’epoca ellenistica, sia in Etruria che nel resto dell’Italia centrale. 293 Questo tipo di offerte
permette di attribuire con certezza al culto in relazione al quale sono state rinvenute
valenze di tipo salutare o legate al culto della fertilità, nel caso degli ex voto anatomici
raffiguranti organi sessuali maschili o femminili, ma non di identificare il nome della
divinità titolare del culto. Quando questo è possibile, almeno in via ipotetica, come ad
esempio per la stipe di Caligiana di Magione, nel territorio perugino, l’identificazione è stata
proposta sulla base di altri dati, che vengono a coincidere, per così dire accidentalmente,
con la presenza dei votivi anatomici. Nel caso della stipe di Caligiana, l’attribuzione del
culto a Telesforo, proposta da A. Maggiani, è passata attraverso il riconoscimento, in un
bronzetto di fanciullo ammantato rinvenuto nella stipe, di un’immagine della divinità
stessa.294
In secondo luogo, in un santuario non si venerava generalmente una sola divinità,
ma un pantheon più o meno articolato, il cui culto avveniva presso sacelli o anche soltanto
altari diversi, come appare documentato nei santuari che hanno restituito materiale
292
Vd. Vagnetti 1971, p. 182, in cui si mette in evidenza come in quasi tutti i santuari di Veio e in alcuni di
altre località siano diffusi gli stessi tipi di ex-voto fittili: «ci possiamo rendere conto di quanto possa essere
pericoloso basarsi su di essi per l’identificazione del culto».
293
Fenelli 1975, Comella 1981.
294
Vd. supra, parte I, cat. 24.
303
epigrafico con teonimi, e come lasciano intravedere le rare fonti scritte che trattano questo
argomento.295 Ad esempio, per il santuario di Pyrgi sono attestati in base alle fonti scritte
culti a Ilizia o Leucothea,296 e a Uni, Tinia, Thesan, Farthan ed Astarte in base alle fonti
epigrafiche.297 Allo stesso modo, nel santuario del Portonaccio a Veio si conoscono dediche
a Menerva, Venai, Turan ed Aritimi.298
Infine, la stessa divinità poteva avere, e aveva in genere, aspetti del culto diversi, che
potevano essere venerati in santuari differenti, ma che potevano anche coesistere in un
medesimo santuario. La Vei venerata a Gravisca, ad esempio, può essere identificata con la
greca Demetra, ma quella venerata nel santuario di Campetti a Veio è prossima a Cerere e
quella del santuario della Cannicella ad Orvieto a Kore. 299 Per tornare all’esempio
precedentemente citato, quello del santuario del Portonaccio, in esso Menerva veniva
venerata sotto un duplice aspetto, militare e oracolare. 300 Ancora, le divinità legate alla
fertilità avevano generalmente anche forti valenze ctonie o catactonie, come ad esempio
Selvans, originariamente dio dei campi coltivati e quindi della fecondità, legato anche, in
epoche successive, alla protezioni dei limiti e dei confini, con una forte accentuazione della
sua valenza pubblica.301 Il passaggio fra la protezione delle soglie alla protezione della soglia
per eccellenza, quella del passaggio fra vita e morte, è testimoniato dalla collocazione della
divinità nel fegato di Piacenza e da alcune evidenze iconografiche, come il copricapo di
pelle di felino che egli indossa nel noto bronzetto cortonese proveniente da un deposito
presso la Porta Bifora, analogo a quello indossato da Aita, ad esempio nella tomba
tarquiniese dell’Orco,302 oppure la sua associazione con Caluś nell’iscrizione posta sopra la
statuetta di lupo da Cortona sopra citata.
Se l’associazione dei bronzetti votivi etruschi a figura animale con particolari
divinità non può essere indagata sulla base di dati certi, alcune informazioni possono
295
Cfr. Prayon 1993, p. 417.
296
Cfr. rispettivamente STRAB, V, 2, 8 e PS ARIST, Oec., II, 1349b.
297
Santuari d’Etruria 1985, pp. 127-141.
298
Santuari d’Etruria 1985, pp. 99-109.
299
Prayon 1993, p. 417.
300
Per Menerva, vd. LIMC, II, Athena/Menerva [G. Colonna], pp. 1050-1074. Per il ruolo di Menerva nel
novero delle divinità legate al sortilegium vd. ThesCRA, III, Divination, Etr. [A. Maggiani], in particolare p. 73.
301
Pfiffig 1975, pp. 297-301; Bentz 1992, pp. 49-52, pp. 199-206; Chiadini 1995, pp. 177-180.
302
Per la statuetta vd. Gli Etruschi 2000, p. 605, n. 201. con bibliografia. Per la tomba e le sue pitture
Steingräber 1985, pp. 334-337, cui si rimanda anche per ulteriore bibliografia.
304
comunque essere fornite dal tipo di luogo di culto in cui essi sono stati rinvenuti, 303 pur
nell’incertezza dovuta alla frequente carenza di dati per i singoli luoghi di ritrovamento,
carenza che spesso lascia nell’incertezza la possibilità di ricostruire la fisionomia di questi
santuari. Se, come si è visto nella prima parte di questo lavoro, appare del tutto aleatorio
tentare di ricostruire la fisionomia dei luoghi di culto di epoca arcaica da cui provengano
bronzetti votivi zoomorfi, maggiori dati sono a disposizione per i ritrovamenti di epoca
classica ed ellenistica.304
Se si eccettua il bronzetto di bovino dalla stipe dell’Ara della Regina a Tarquinia, 305 e
la statuetta di civetta proveniente dalla stipe del tempio etrusco di Fiesole, 306 i santuari
urbani dell’Etruria non hanno restituito evidenze significative di bronzetti votivi a figura
animale, mentre alcune attestazioni provengono da luoghi di culto suburbani, come ad
esempio documenta il cinghiale della stipe della Fonte Veneziana ad Arezzo e i numerosi
bronzetti zoomorfi che dovevano essere presenti, ma sono oggi non rintracciabili, nella
stipe della Porta San Lorentino sempre ad Arezzo. 307 In questo panorama, casi in qualche
modo atipici sono costituiti da una parte dal bronzetto di bovino trovato a Marzabotto in
un ambito domestico, probabilmente connesso con un ricovero per animali, e riferibile ad
un culto di tipo privato e di ambito familiare,308 e le attestazioni di bronzetti votivi zoomorfi
in stipi connesse con aree di necropoli, come nel caso della stipe del Cavone di Sovana e del
luogo di culto in località Poggio della Porcareccia a Populonia.309
La maggior parte della documentazione che presenti un contesto di provenienza,
tuttavia, è riferibile a piccoli luoghi di culto di tipo rurale, la cui frequentazione si data fra la
fine del V secolo a.C. e la tarda epoca ellenistica, caratterizzati dalla compresenza di votivi
anatomici, spesso relativi alla sfera della fertilità, e di statuette in bronzo ed in terracotta
rappresentanti uomini e animali.310 Questo tipo di santuario appare documentato sia nel
303
Per la tipologia dei luoghi di culto etruschi si rimanda alla suddivisione proposta nella mostra Santuari
d’Etruria 1985, che vede una distinzione fra santuari urbani, suburbani, extraurbani, rurali e santuari delle
necropoli, vd. Ibidem 1985, passim.
304
Vd. supra, parte I, in particolare pp. 20-26.
305
Vd. supra, parte I, cat. 44.
306
Vd. supra, parte I, cat. 2; parte II, cat. I.I.1.
307
Vd. supra, rispettivamente parte I, cat. 6 e parte II, cat. H2.III.1 per la stipe della Fonte Veneziana, e parte I,
cat. 7, per la stipe di Porta San Lorentino.
308
Vd. supra, parte I, cat. 51.
309
Vd. supra, parte I, rispettivamente cat. 33 e 16.
310
Sui culti agrari ed in particolare su questa tipologia di luoghi di culto, vd. da ultimo Bruni 2011, cui si
305
territorio chiusino, in località Pianoia – Le Macchie, 311 perugino, nella zona di Magione,312
orvietano, a Monte Becco, Latera e Piana del Lago, 313 vulcente, a Ghiaccio Forte, Quattro
Strade di Pitigliano, Tessennano, Civitella Paganico.314 Non appare forse privo di interesse
notare come questi luoghi di culto rurali si concentrino in particolare in zone
topograficamente caratterizzate dalla presenza di acque interne, come accade nella zona del
lago Trasimeno, del lago di Bolsena e del lago di Mezzano. Il collegamento di questo tipo di
bronzetti votivi con l’ambito del culto delle acque si manifesta anche nei casi in cui essi
siano stati rinvenuti in santuari di tipo fontile, come accade per la stipe di Villaccia presso
Monte S. Savino, e per quella di Fontana Liscia presso Orvieto.315
Se si esclude l’evidenza rappresentata dalle stipi pertinenti a luoghi di culto rurale
del territorio perugino, dove i soggetti rappresentati dalla bronzistica zoomorfa sono
caratterizzati da certa varietà, come ad esempio nella stipe di Colle Arsiccio, dove cinque
bronzetti votivi zoomorfi documentano quattro diversi soggetti iconografici fra cui un
ovino, un cane, un volatile e due anguille, 316 in tutti gli altri casi l’unico animale attestato in
questo tipo di contesti è il bovino.
Le osservazioni sopra raccolte, riguardanti soprattutto la tipologia di contesti che
hanno restituito questi bronzetti e la prevalenza in essi delle statuette rappresentanti bovini,
conduce ad affrontare il problema del significato da attribuire a questo tipo di offerta nei
contesti votivi etruschi.
In generale, sono state proposte quattro diverse ipotesi per spiegare il ruolo di
queste immagini nella prassi rituale etrusca. Da una parte, esse sono state messe in
relazione con i culti della sfera della fertilità e della procreazione, in cui starebbero ad
indicare una richiesta di protezione per il bestiame, oppure con i culti della sfera della
sanatio, come richiesta di intervento per risolvere una malattia o un infortunio degli animali
da allevamento o da lavoro. Dall’altra parte, su di un piano simbolico, esse potrebbero
essere considerate come un’offerta sostitutiva di un sacrificio che non si è voluto o potuto
compiere, o infine essere emblema della divinità destinataria della dedica, alludendo ad
rimanda anche per la bibliografia precedente.
311
Vd. supra, parte I, cat. 26.
312
Vd. supra, parte I, catt. 22-25.
313
Vd. supra, parte I, rispettivamente cat. 43, 36, 38.
314
Vd. supra, parte I, rispettivamente catt. 31, 34, 39, 29.
315
Vd. supra, parte I, rispettivamente catt. 9 e 42.
316
Vd. supra, parte I, cat. 25.
306
esempio a miti connessi con la divinità stessa, oppure in senso lato al suo ambito di
influenza.317
Ciascuna di queste quattro ipotesi appare ugualmente valida, rispondendo a modi
diversi di percepire il sacro e ad esigenze e aspettative di natura differente da parte dei
dedicanti. D’altra parte, è possibile, e anzi probabile, che una non escluda l’altra, ed esse
possano coesistere nel medesimo periodo o anche nel medesimo luogo di culto o nella
medesima dedica, che diventerebbe in questo modo polisemica e portatrice di significati
differenti.318 Tuttavia, anche per quanto riguarda i significati sottesi a queste offerte, è
possibile individuare alcune differenze cronologiche, che rendono alcune di queste ipotesi
maggiormente adatte per alcune fasi.
È certo indubitabile il collegamento di queste statuette, e soprattutto delle statuette
di bovini e degli altri animali legati all’agricoltura e all’allevamento, con i culti agrari e con i
culti propri della sfera della fertilità e della salute. In particolare, come messo in evidenza da
M. Söderlind per i votivi fittili a figura animale, 319 anche le rappresentazioni in esame
pongono spesso enfasi sui caratteri sessuali, talvolta quelli femminili, come accade per
alcuni bronzetti che rappresentano scrofe,320 ma soprattutto quelli maschili, degli animali
rappresentati, lasciando intravedere una particolare aspettativa del dedicante riguardo alla
sfera della procreazione.
L’esistenza in Etruria di pratiche mediche specifiche e indirizzate agli animali da
lavoro, che è logico immaginare come un mondo complesso e variegato, con le proprie
antichissime tradizioni, è documentata con certezza nella fonti antiche: è il caso di Plinio,
che attribuisce ai contadini etruschi l’utilizzo di grasso e millefoglio per la preparazione di
317
Diverse sono le posizioni espresse in letteratura al riguardo. Senza pretesa di esaustività si segnalano:
Santuari d’Etruria 1985, pp. 24-25, dove si considerano i bronzetti zoomorfi sostituzioni di sacrifici; Roncalli
1985, pp. 67-68, nota 56, che ritiene le statuette votive zoomorfe di canidi sostituzioni di sacrifici reali;
Maggiani 1997, p. 103, propone per un ariete con iscrizione greca di dedica a Poseidon del Museo Guarnacci
di Volterra l’ipotesi che possa trattarsi di un’offerta sostitutiva ma anche, su di un diverso piano semantico, di
una allusione simbolica alla divinità; Cagianelli 1999, p. 15, dove si propone l’ipotesi che si tratti di immagini
sostitutive del sacrificio oppure di rappresentazioni simboliche della divinità; Söderlind 2004, pp. 280-283, che
propone, unificandole in un unico aspetto, le prime due ipotesi, senza escludere la possibilità che possa
trattarsi di sostituzioni di sacrifici.
318
Caratteristica fondamentale del simbolo è d’altra parte, come messo in evidenza da M. Eliade, la possibilità
di alludere contemporaneamente a significati diversi ma compresenti, vd. Eliade 1981, in particolare pp. 13-
22.
319
Söderlind 2004, p. 281.
320
Vd., a titolo di esempio, supra, parte II, cat. H1.I.1.
307
una pomata per lenire le ferite causate dall’aratro. 321 Questo aspetto medico-salutare si
riflette solo blandamente nei culti, ed è stato individuato da M. Söderlind soprattutto nei
non frequenti casi di statuette fittili con rappresentazioni parziali di animali, in particolare
zampe di bovini e di cavalli, mentre appare del tutto assente nella bronzistica votiva, a
meno che esso sia sotteso e implicito nella rappresentazione pura e semplice dell’animale,
secondo un codice di cui ci sfuggono completamente le chiavi interpretative. Se si
abbracciano queste due ipotesi interpretative, i votivi appartenenti alla classe in esame si
pongono come offerte, del tutto prive di valore intrinseco, legate alle religiosità delle classi
medie o basse, impiegate nell’agricoltura e nell’allevamento. Entrambe, sembrano adattarsi
soprattutto alle offerte databili nel corso della fase classica ed ellenistica: come si è visto
precedentemente, in questi periodi le offerte sono distribuite in piccoli santuari di carattere
agrario, e sono costituite da esemplari di piccole dimensioni di scarsissimo valore
intrinseco.322
Le altre due ipotesi, invece, pongono i bronzetti votivi zoomorfi su di un piano
simbolico, sia che essi vengano interpretati come immagini sostitutive di sacrifici, sia che
essi vengano interpretati come rappresentazioni simboliche di un’entità divina, oppure
come allusioni alla sfera di influenza della divinità stessa.
Una categoria molto interessante, e produttiva nel mondo antico, è costituita dalla
sostituzione del sacrificio. Mentre per la Grecia e per Roma esistono ormai numerosi studi
sull’argomento, l’Etruria offre per la ricerca un terreno estremamente difficile: come per
altri settori della vita e della mentalità degli Etruschi, un ostacolo ineliminabile è
rappresentato dall’assenza di testimonianze scritte. Per questo motivo il mondo greco
appare essere necessariamente un polo riferimento ineliminabile; la possibilità di porre in
relazione Grecia, Roma ed Etruria e di cercare di estendere per analogia alcuni aspetti validi
per le prime due alla terza appare giustificato, in alcuni casi, dal processo storico che ha
portato alla formazione delle credenze religiose etrusche. È stato infatti messo in evidenza
più volte come l’immaginario etrusco, caratterizzato da divinità ambigue e oscure, spesso
non individualizzate ma collegiali, e da una grande importanza per l’elemento
ultramondano, sia stato arricchito in periodi storici successivi da apporti derivati da altre
321
PLIN, XXIV, 16. Vd. al riguardo Giulierini 2009, in particolare p. 87.
322
Vd. infra, p. 315.
308
culture.323 In una fase anteriore all’VIII secolo a.C. si creano le basi per un fenomeno di
interferenza in ambito religioso fra etruschi, latini, falisci ed umbri, che coinvolge i
cerimoniali del potere, i rituali di passaggio, il culto degli antenati, le pratiche augurali e
divinatorie. In questo periodo entrano a far parte del pantheon etrusco divinità latine e
italiche quali Menerva, Nethuns, Uni, Selvans, Suris. Con l’emergere delle aristocrazie e
l’intensificarsi dei rapporti con la Grecia nell’VIII secolo a.C., il quadro si arricchisce
ulteriormente. La cultura greca diviene modello di riferimento culturale per le élite, anche
nell’ambito del pensiero religioso. Si avrà quindi l’ellenizzazione di parte del pantheon, delle
pratiche rituali, dell’architettura religiosa, e l’assunzione del patrimonio mitico greco. Questi
fenomeni di sincretismo dovevano essere possibili in virtù di affinità preesistenti, in
entrambe le culture, nell’ambito del pensiero religioso, che dovevano essere percepite dagli
Etruschi e dai Greci stessi; persistevano tuttavia numerose differenze, anche strutturali,
come ad esempio la frequente caratterizzazione contemporaneamente ctonia ed urania delle
divinità etrusche, non condivisa dal mondo greco, che impongono a questo tipo di ricerca,
condotta per analogia, di procedere con estrema cautela.324
È stato messo in evidenza come l’offerta votiva fosse per il devoto antico uno dei
tre modi di entrare in contatto con la divinità, insieme alla preghiera ed al sacrificio. Questi
tre aspetti appaiono strettamente collegati l’uno con l’altro, come testimoniano numerose
attestazioni epigrafiche ed archeologiche.325 Particolarmente stretto è il rapporto fra
sacrificio ed offerta votiva: in entrambi i casi, un bene viene in parte o completamente
sottratto all’uso comune ed al godimento individuale o collettivo per essere offerto alla
divinità. Si tratta sicuramente di una semplificazione, visto che, ad esempio, la maggior
parte dei sacrifici si inseriva nella pratica culinaria, 326 e che i beni incamerati dai templi sotto
forma di offerta votiva costituivano una sorta di tesaurizzazione e potevano essere rimessi
in circolazione in momenti di particolare contingenza economica. 327 Tuttavia, per quanto
non assoluto, questo aspetto appare evidente soprattutto nel caso delle offerte votive, in cui
il dedicante si priva di un oggetto di sua proprietà, spesso di valore, come nel caso delle
323
Si veda da ultimo Torelli 2000.
324
Vd. ThesCRA, VI, Agricoltura, Etr. [S. Bruni].
325
Van Straten 1981, p. 67.
326
Detienne, Vernant 1977; Grottanelli 1999.
327
Ampolo 1989-1990, p. 271, cita un episodio della seconda Guerra Punica, durante la quali i napoletani
offrirono ai romani in difficoltà quaranta coppe d’oro di grande peso provenienti dai templi della città.
309
offerte in metallo.328 La dinamica in questione doveva essere percepita in primo luogo
proprio da coloro che praticavano l’offerta, vista l’enfasi che spesso viene attribuita dalle
fonti all’aspetto economico dell’atto. Casi famosi sono quelli del cratere aureo del peso di
trenta talenti offerto da Gige nel santuario di Delfi, o del cratere di otto talenti dedicato da
Roma nel medesimo santuario.329 O ancora, nel quarto mimiambo di Eronda, due donne
chiedono ad Asclepio di accettare il loro povero sacrificio, un gallo, poiché non sono in
grado di offrire di più. Non mancano, d’altra parte, fonti letterarie che mettano in evidenza
come non sia importante il valore intrinseco dell’offerta ma la disposizione d’animo con cui
essa viene fatta, ma esse attestano come l’atteggiamento da esse criticato fosse in realtà
diffuso.330
La differenza sostanziale fra sacrificio ed offerta sembra consistere nel fatto che,
mentre il sacrificio è per sua natura effimero, esaurendosi nel tempo del suo svolgimento e
della eventuale consumazione della carne dell’animale, l’offerta votiva ha il carattere della
durata. Contrariamente al sacrificio, essa rimane nel santuario ad indicare il rapporto che è
intercorso in un certo momento fra un devoto, o un gruppo di devoti, e la divinità. Proprio
il desiderio di rendere durevole il sacrificio stabilisce un collegamento evidente con l’offerta
votiva, sia essa un’iscrizione, un rilievo o un oggetto a tutto tondo. Uno dei temi più
frequenti infatti, insieme alle rappresentazioni delle divinità destinatarie dell’offerta e degli
offerenti in atteggiamento di adorazione o di preghiera, è proprio il sacrificio, che appare
sia reso nel suo svolgersi sia per allusione.
L’offerta votiva si configura quindi spesso come μνήμα del sacrificio stesso.331
Tuttavia sono documentati casi in cui essa agisce piuttosto come sostituzione di un
sacrificio reale che, per motivazioni diverse, non si è potuto svolgere. Significativo in questo
senso è il caso di una stele di Ayazviran, in Lidia, datato al III secolo a.C., che raffigura da
una parte il dio locale Men fra due leoni, dall’altra un bue. L’iscrizione, redatta in greco, ci
informa come la dedicante avesse promesso un bue al dio per la salvezza del fratello. La
preghiera era stata esaudita ma la donna, impossibilitata ad offrire un animale reale, chiede
al dio di poter ugualmente sciogliere il voto attraverso la dedica della stele. 332 Tucidide
328
Cristofani 1977, p. 4.
329
HDT, I, 14, 1-2; PLUT, Cam., 8.
330
Grottanelli 1999, pp. 22-25.
331
Van Straten 1981, pp. 83 sg.
332
Van Straten 1981, pp. 87-88, con ulteriori esempi.
310
riporta inoltre la descrizione di una festa, che ricorreva ad Atene, e durante la quale non si
sacrificavano animali reali ma dolci (πέμματα) in forma di animali. 333
Anche nel mondo romano, caratterizzato da una rigida codificazione nella scelta del
tipo di vittima adatta a ciascuna divinità e delle sue caratteristiche, sono presenti numerosi
casi di sostituzione.334 Numerose fonti letterarie attestano l’uso di rimpiazzare l’animale
reale con simulacri in cera, pane o altri materiali. In particolare Servio offre una
testimonianza significativa: «sciendum in sacra simulata pro veris accipi; unde cum de
animalibus quae difficile inveniuntur est sacrificandum, de pane vel cera fiunt et pro veris
accipiuntur».335 Qui la possibilità della sostituzione è presentata come una prassi da seguire
nei casi in cui non si disponga delle vittime animali prescritte dal rito.
La sostituzione appare in definitiva una categoria frequentemente operante
nell’ambito del sacrificio antico: basti pensare che, come messo in evidenza da Capdeville,
la vittima per eccellenza doveva essere originariamente l’uomo, di cui l’animale appare
essere una sostituzione. Ne sono testimonianza i miti, diffusi in numerose culture antiche,
in cui un essere umano destinato al sacrificio viene sostituito dalla divinità stessa con un
animale.336
L’ipotesi che vede nei bronzetti votivi a figura animale una immagine sostitutiva
dell’animale da sacrificare si adatta, a mio parere, a diversi casi, ma in particolare alle
statuette rappresentanti bovini di epoca tardo-orientalizzante ed arcaica. Il mondo antico
considerava infatti il bue, con scarse eccezioni, la vittima sacrificale per eccellenza, seconda
soltanto all’essere umano.337 Fra tutti gli animali, esso è infatti il più prezioso: sia dal punto
di vista strettamente alimentare, per la notevole quantità di carne ricavabile anche da un
unico esemplare, sia dal punto di vista più latamente economico, per il suo utilizzo
essenziale nei lavori agricoli.338 Proprio il lavoro prestato nei campi a fianco dell’uomo nella
fatica dell’aratura tuttavia, ha progressivamente portato la sensibilità antica a umanizzare il
333
TUC, I, 126.
334
Capdeville 1971, pp. 289 sg.
335
SERV, Aen., 2, 116.
336
Capdeville 1971, p. 289; Grottanelli 1999, pp. 57-66. Vd. ora Scarano Ussani 2006, pp. 360-361, per la
sostituzione di pesci a sacrifici umani per Vulcano, Tacita e in occasione di riti espiatori per la caduta del
fulmine.
337
Grottanelli 1989-1990, con letteratura precedente.
338
Sulle tecniche di aratura e l’utilizzo dei bovini nella pratica agricola etrusca, vd. da ultimo Camporeale 2009,
e Giulierini 2009, in particolare pp. 75-83, cui si rimanda anche per la bibliografia precedente.
311
bue da lavoro, che le fonti letterarie frequentemente designano come compagno e amico
dell’uomo. In questo modo il bovino viene a trovarsi in una situazione in qualche misura
paradossale, per la quale esso è allo stesso tempo l’animale che dovrebbe essere sacrificato
in quanto vittima sommamente gradita alle divinità, ma che non si vuole sacrificare, perché
troppo necessario e troppo vicino all’uomo. L’uccisione del bue appare dunque più o meno
oggetto di tabù in tutte le culture antiche, dalla Grecia a Roma, all’India e alla Cina. Ad
esempio, secondo un passo di Columella, 339 anticamente l’uccisione di un bue era punita
come l’uccisione di un essere umano.
Nel mondo classico, che aveva nel sacrificio cruento una delle forme rituali
maggiormente cariche di significati ideologici, in quanto momento in cui si stabilivano i
rapporti reciproci fra divinità e uomini e fra gli uomini all’interno della comunità, attraverso
la spartizione delle carni sacrificali, atteggiamenti di rifiuto nei confronti dello spargimento
di sangue vennero frequentemente espressi soprattutto da gruppi marginali, come gli orfici,
che rifiutavano completamente l’alimentazione carnea e con essa il fondamento della vita
sociale. La pratica sacrificale tuttavia, strettamente codificata, ed il fatto che il consumo
carneo si esaurisse quasi completamente in essa, servivano essi stessi a limitare e a
regolamentare l’uccisione di animali, sia domestici che selvatici. Il momento dell’uccisione
costituiva generalmente un trauma che si cercava di eliminare passandolo semplicemente
sotto silenzio, come si nota ad esempio nelle pitture vascolari, in cui esso appare raramente,
o addebitandone la colpa ad elementi esterni all’uomo, come ad esempio gli strumenti del
sacrificio.340 Problematico dunque in se stesso, il sacrificio animale diventava, per la
mentalità classica, ancora più insopportabile quando l’animale da portare al sacrificio era
proprio il bue.
Le percentuali relative di attestazione dei diversi soggetti nella bronzistica votiva a
figura animale sembrerebbe confermare la possibilità che, in molti casi, l’offerta della
statuetta funzionasse come sostituzione del sacrificio. In particolare, il notevole
sbilanciamento nell’attestazione di immagini di bovini, seguiti da cavalli, suini e ovocaprini,
potrebbe essere spiegato proprio a partire dall’avversione dell’uomo antico per il sacrificio
del bue e dalla necessità a sostituirlo nell’atto sacrificale.
Uno studio di F.T. van Straten, che ha svolto un’analisi quantitativa della frequenza
339
COL, De re rust., 6, 1.
340
Durand 1986; Grottanelli 1999. Sulla condanna del sacrificio cruento vd. ora Gilhus 2004, con bibliografia.
312
dei sacrifici delle varie specie animali in Attica fra V e IV secolo a.C., basato su dati ricavati
intrecciando la documentazione costituita dalle leggi sacre conservateci dalle iscrizioni, dalla
pittura vascolare e dai rilievi votivi, sembra confermare questa idea. 341 Mentre nella
ceramografia appare preponderante la rappresentazione di sacrifici di bovini, sui rilievi
votivi la maggior parte delle vittime è costituita da suini, e i calendari rituali riportano
invece, con maggiore frequenza, prescrizioni legate al sacrificio di ovini. La comparazione
di questi dati con quelli offerti dalle fonti letterarie ed epigrafiche relative al valore dei
diversi capi di bestiame ha permesso di spiegare questa distribuzione delle offerte in base a
differenze di tipo diastratico. Nei rilievi, legati alla celebrazione di sacrifici reali di tipo
privato, individuale o familiare, si rappresentano sacrifici di suini, che sono gli animali meno
costosi, mentre i calendari rituali, che riportano le prescrizioni per sacrifici di medio tenore,
ad un livello intermedio fra pubblico e privato, menzionano soprattutto l’offerta di ovini.
Nelle pitture vascolari, infine, si vuole generalmente dare l’immagine del sacrificio ideale, in
un modo che sia attraente per il potenziale acquirente, ed il pittore può non badare a spese
e rappresentare il sacrificio più costoso e meno frequente.
La situazione etrusca per quanto riguarda la bronzistica votiva zoomorfa rispecchia
quanto noto per la Grecia, nei cui santuari le statuette in bronzo rappresentanti bovini
superano generalmente quelle rappresentanti gli altri animali. 342 Inoltre essi appaiono
distribuiti in modo piuttosto omogeneo fra i diversi santuari, senza essere presenti in modo
preponderante all’interno di templi dedicati ad una particolare divinità, nonostante il fatto
che alcune di esse siano legate in particolare ai bovini nel mito e nell’immaginario. Poseidon
aveva ad esempio fra i suoi epiteti Taureios, Athena Taurobolos, Artemis Tauropolos.
Tuttavia la distribuzione dei reperti rappresentanti questo tipo di animale non sembra
corrispondere alla geografia degli epiteti divini.343
Tralasciando momentaneamente la documentazione relativa al cavallo, gli animali
maggiormente rappresentati sono costituiti, dopo i bovini, dai suini e dagli ovini. Come
visto sopra, si tratta di animali particolarmente adatti al sacrificio, che facevano parte sia in
Grecia che in ambito italico, della cosiddetta terna sacrificale. 344 A differenza di quanto
accade per il bovino, l’uccisione del suino non appare inoltre tabuizzata nelle fonti
341
Van Straten 1995, pp. 170-181.
342
Bevan 1986, pp. 87-95.
343
Bevan 1986, pp. 82-99.
344
Vd. ThesCRA, I, Sacrifices, Gr. [A. Hermary, M. Leguilloux, V. Chankowski, A. Petropoulou], p. 110.
313
letterarie, anzi giustificata o addirittura teorizzata con motivazioni. Ovidio ad esempio
riporta una sorta di mito di fondazione dei divieti sacrificali, riconducendo la possibilità o
meno di sacrificare un dato animale sulla base di colpe mitiche. Così il maiale, che ha offeso
nel mito Demetra dissotterrando le sementi, e il capro, che ha agito contro Dioniso
danneggiando la vite, possono essere uccisi, mentre il bue, il cane e le pecore sono
benemeriti perché non si sono macchiati di colpe nel tempo del mito e sostengono l’uomo
nel lavoro quotidiano.345 Nei santuari della Grecia questo animale appare non
frequentemente, associato a diverse divinità, anche se prevalentemente a divinità con
caratteristiche ctonie, in particolare Demetra. 346 Anche in Etruria le attestazioni di bronzetti
rappresentanti suini non sono frequenti, e generalmente privi di dati di contesto tali da
permettere di formulare ipotesi sul tipo di culto cui essi potevano essere associati. Tuttavia,
la presenza in Etruria di rappresentazioni di offerenti, sia maschili che femminili, che
tengono per le zampe posteriori un porcellino, in un atto che sembra preludere al sacrificio
dell’animale, trovano confronti puntuali in rappresentazioni del tutto analoghe dalla Grecia,
relative al culto di Demetra. La presenza di tali rappresentazioni induce a pensare che anche
in Etruria, come in Grecia, il maiale fosse una delle vittime preferite per i sacrifici di tipo
ctonio.
Analogamente a quanto avviene per i suini, anche gli ovini costituivano
frequentemente le vittime dei sacrifici per la maggior parte delle divinità. 347 In Grecia le
immagini ed i resti ossei di capre sembrano concentrarsi nei santuari di Artemis, Aphrodite
e Dionysos. Nel primo caso la relazione può essere spiegata con il fatto che la capra, nella
sua variante selvatica, è un animale da cacciare, ed in quanto tale esso è particolarmente
legato alla dea della caccia. La relazione con Aphrodite e Dionysos invece è probabilmente
dovuta al fatto che l’animale era considerato dotato di grande potere sessuale e fertilità, ed
in quanto tale era spesso rappresentato itifallico. La distribuzione delle immagini e dei resti
ossei di pecore invece sembra essere invece meno marcata, e non riflette le connessioni di
questo animale con le divinità nel mito.
La scarsa occorrenza numerica dei bronzetti rappresentanti suini e ovocaprini
potrebbe trovare una spiegazione partendo dal presupposto che questi oggetti
345
OV, Met., XV, vv. 75-126.
346
Bevan 1986, pp. 67-81.
347
Bevan 1986, pp. 168-181, 246-257.
314
rappresentino la sostituzione di sacrifici reali. Il fatto che i suini e gli ovini costituissero
vittime sacrificali piuttosto facilmente accessibili, anche dai meno abbienti, e non oggetti di
tabù come i bovini, faceva sì che questi animali fossero frequentemente sacrificati, e che ci
fosse una minore necessità di offrire una loro immagine in altro materiale come sostituto
del sacrificio stesso.
Questa ipotesi trova a mio parere maggiore conferma dalla distribuzione
cronologica delle offerte in bronzo, e dalle diversità che emergono nella documentazione
databile alla fase arcaica rispetto a quella databile alla fase classica ed ellenistica. In epoca
arcaica, gli unici animali rappresentati sono quelli appartenenti alla terna sacrificale, oltre al
cavallo e al cervo, per quanto attestato in pochissimi esemplari. Nei non frequenti casi in
cui è stato possibile misurare il peso dei bronzetti appartenenti a questa classe, 348 appare
evidente come le offerte di epoca arcaica si attestino su di un peso notevolmente maggiore
rispetto a quelle di epoca classica ed ellenistica. Se si eccettuano i bovini dei tipi A.VIII e
A.IX, che rappresentano una versione ridotta dei tipi arcaici A.I-A.VII, il peso dei bronzetti
databili nel corso della fase arcaica oscilla intorno ai 70-80 grammi, con alcuni esemplari
che superano questo range e arrivano a superare i 100 o i 200 grammi. 349 Nella fase arcaica,
insieme alle dimensioni, il peso dei bronzetti subisce un drastico calo, attestandosi
nell’intervallo 30-40 grammi, che appare costante, con rare eccezioni, anche nella fase
ellenistica.350 È possibile, a mio parere, ipotizzare in un netto cambiamento della funzione
dei bronzetti a figura animale, ed in particolare rappresentanti bovini, fra la fase arcaica e le
successive fasi classica ed ellenistica. Mentre nella fase più antica sembra preponderante
l’intenzione di offrire, oltre all’immagine dell’animale, un determinato peso in bronzo, nelle
fasi successive il peso in metallo dell’offerta appare irrisorio. Forse nella fase più antica,
l’intenzione prevalente poteva essere quella di offrire una sostituzione del sacrificio
dell’animale che avesse anche un valore intrinseco relativamente alla quantità di bronzo che
348
Per i bronzetti editi, raramente è a disposizione il dato relativo al peso. Per quanto riguarda i bronzetti
inediti, in numerosi casi non è stato possibile effettuare la misurazione del peso a causa della presenza di basi
e sostegni, in genere in legno o pietra, cui i pezzi erano solidali e da cui non è stato possibile separarli.
349
A.I.9: 76 g; A.I.19: 81 g; A.II.9: 103 g; A.III.7: 66 g; A.IV.3: 76 g; A.V.4: 76 g; A.VI.1: 49 g; A.X.1: 135 g;
A.X.5: 225 g; A.XIII.1: 96 g; A.XV.5: 174 g.
350
A.XVII.1: 30 g; A.XVII.2: 38 g; A.XVII.4: 31 g; A.XVII.6: 31 g; A.XVIII.1: 41 g; A.XIX.1: 63 g; A.XIX.4:
37 g; A.XIX.5: 35 g; A.XIX.8: 35 g; A.XXIV.5: 46 g; A.XXIV.6: 38 g; A.XXIV.11: 39 g; A.XXVI.1: 23 g;
A.XXIX.3: 20 g; A.XXX.1: 48 g. Fanno eccezione i bronzetti della serie A.XXVII: A.XXVII.1: 203 g;
A.XXVII.2: 74 g, e della serie A.XXXI.1: 125 g.
315
veniva offerta alla divinità, mentre nelle fasi successive si osserva una sorta di cesura: in
concomitanza con il diffondersi di diversi temi figurativi – i rettili, i pesci, i canidi e i volatili
– le statuette di bovidi diventano di molto minore valore intrinseco, e vengono dedicati in
prevalenza in piccoli santuari rurali legati ai culti agricoli e della fertilità, in contemporanea
con il mutamento della società etrusca in senso democratico.
Il cambiamento sopra delineato si riscontra anche se si osserva la frequenza e la
distribuzione cronologica di due altri soggetti: il cavallo ed il cervo. Il cavallo è un animale
che occupa un posto particolare nell’ideologia antica, ricco di valenze anche molto diverse
fra loro.351 Da una parte esso appartiene all’ambito infero e della fertilità delle acque e delle
sorgenti, ed è associato alle forze incontrollabili della natura, quali i venti e le burrasche,
dall’altro è un simbolo di potere e di status delle classi aristocratiche, legato alla guerra ed
alla caccia. L’animale appare caratterizzato quindi da un aspetto misterioso ed inquietante,
talvolta persino ostile, che tocca il suo punto estremo nei racconti mitici di cavalli divoratori
di carne umana, e da uno civilizzato, legato alle attività che esso può svolgere con l’uomo
ed in favore dell’uomo.
Nei santuari greci i bronzetti di cavalli, ed in generale i cavalli come motivo
iconografico, sono estremamente diffusi a partire dal periodo geometrico, superati
solamente dalle immagini di bovini.352 Nel santuario di Zeus ad Olimpia, ad esempio, sono
stati rinvenuti circa 1600 dei circa 2000 cavalli in bronzo provenienti dai santuari greci,
databili soprattutto ad epoca geometrica, contro 1323 bovini e 20 volatili. 353 Anche nei
santuari di Arthemis ad Efeso, Athena, Apollo e Poseidon essi sono stati rinvenuti in
notevoli quantità; anche in questo caso, come visto sopra per i bronzetti di bovini, non
sembra rispettata alcuna associazione mitica dell’animale con particolari divinità. Mentre i
racconti mitologici associano il cavallo soprattutto ad Athena, Poseidon e Demetra, la
distribuzione nei luoghi di culto non trova corrispondenza: la maggior parte dei bronzetti
di cavalli sono stati infatti rinvenuti nel santuario di Zeus ad Olimpia. 354
La presenza di un così grande numero di queste rappresentazioni nel santuario di
Olimpia potrebbe essere messa in relazione con le gare olimpiche, fra cui erano presenti
351
Per una trattazione dettagliata si rimanda a Detienne, Vernant 1978, cap. VII, pp. 139-159, con letteratura
precedente. Per i valori del cavallo nel mondo etrusco, Bruni 2005, pp. 24-25.
352
Zimmermann 1989, p. 310.
353
Bevan 1986, p. 42.
354
Bevan 1986, pp. 204-215, Detienne, Vernant 1978, cap. VII.
316
gare con carri, che costituiscono anche l’aition mitologico per l’inizio delle Olimpiadi; le
gare sono iniziate tuttavia nell’VIII secolo a.C., mentre i primi cavalli in bronzo risalgono al
IX secolo a.C. Per spiegare questa aporia si è pensato che la dedica di queste immagini
rispecchiasse i desideri dei fedeli riguardo ad una forma di ricchezza quale appunto doveva
essere il cavallo, che era un forte simbolo di status sociale. Con questa ipotesi concorda
Zimmermann, che mette soprattutto in evidenza l’importanza economica e sociale di
questo animale.355 Un altro fattore tuttavia deve essere messo in evidenza: anteriormente al
culto di Zeus, dovevano essere venerati nel santuario Pelope ed Ippodamia, che sono
strettamente connessi con questo animale.356
Per quanto riguarda il sacrificio del cavallo, questa pratica è testimoniata dalle fonti
letterarie e dai documenti archeologici, anche se non appare molto diffusa. Pausania
riferisce che anticamente, e non ai suoi tempi, ad Argo si sacrificavano cavalli provvisti di
briglie e morsi a Poseidon, gettandoli in un fiume sotterraneo che sfociava in mare, e che
questi animali venivano ancora sacrificati ad Helios sul monte Taigeto. 357 Un riferimento
obbligato è rappresentato dal sacrificio di quattro cavalli sulla pira funebre durante il
funerale di Patroclo.358 Come emerge dagli esempi di sacrificio riportati, si tratta di casi
specifici e caratterizzati in modo diverso rispetto al sacrificio usuale nelle città greche, in cui
un animale, in prevalenza domestico, viene condotto all’altare, ucciso, ed in seguito le carni
vengono divise e consumate dai membri della comunità. Il sacrificio del cavallo si configura
come thusia agheustos, che non si inserisce nella pratica culinaria ma prevede l’offerta della
totalità del corpo dell’animale alle divinità, sia che esso venga precipitato in un fiume, sia
che esso venga offerto in olocausto. Gli scavi nei santuari greci hanno restituito resti di
sacrifici di cavalli in basse quantità, cosa che rispecchia la scarsa menzione che a questi si fa
nelle fonti e le modalità in genere atipiche con cui essi sembrano avvenire, come per il caso
di Argo precedentemente citato. Anche in Etruria, le aree sacre attestano un basso numero
di sacrifici di cavallo.359 Maggiori informazioni derivano dalle scoperte effettuate nelle aree
di necropoli, dove le testimonianze archeologiche hanno evidenziato come il funerale di
Patroclo sia divenuto un modello di riferimento per le aristocrazie sia greche che etrusche,
355
Zimmermann 1989, pp. 308-335.
356
Bevan 1986, pp. 204-206.
357
PAUS, VIII. 7. 2 e III, 20, 4.
358
HOM, Il., XXIII, vv. 171-172.
359
ThesCRA, I, Sacrifices, Etr. [L. Donati, S. Rafanelli], pp. 148-149.
317
come attestano i resti di cavalli ritrovati in tombe di Salamina di Cipro e dell’Eubea, e per
l’Etruria tombe di Tarquinia, Populonia, Vulci e Pisa.360
Come in Grecia, anche in Etruria il cavallo rappresenta il secondo soggetto per
quanto riguarda le attestazioni numeriche, dopo i bovini. Si tratta nella maggior parte dei
casi di oggetti privi di contesto, o i cui contesti non forniscono informazioni sufficienti a
permettere di attribuirli al culto di una divinità particolare, come ad esempio la stipe di
Brolio, la stipe della Banditella a Canino, la stipe del Monte Falterona e quella di Montese.
Le ultime tre appaiono accomunate dalle caratteristiche salutari del culto. Tuttavia le poche
attestazioni significative orientano soprattutto verso le connotazioni ctonie dell’animale. In
particolare è da mettere in evidenza la provenienza da una tomba di Volterra di un cavallino
di Bronzo oggi a Parigi.361 Esso potrebbe essere interpretato come una offerta sostitutiva di
un reale sacrificio per il defunto. Un bronzetto di cavallo è stato rinvenuto anche nella stipe
di Radicofani, che è stata ipoteticamente ricondotta ad un culto dionisiaco. 362 Il cavallo
rappresenterebbe, secondo M. Bentz, un aspetto agrario del culto. In particolare, esso
potrebbe essere connesso agli aspetti ctonii di un culto della fertilità. Un parallelo potrebbe
essere rappresentato dalla stipe di Casa Bianca presso Saline di Volterra, i cui materiali non
ci sono giunti nella loro totalità, che aveva restituito una immagine di cavallo. 363 La stipe è
stata messa in relazione con il culto della dea Cel, legato al mondo della fertilità, ma con
spiccate caratteristiche ctonie. Anche la stipe di Porta San Lorentino ad Arezzo ha restituito
un bronzetto di cavallo, di dimensioni considerevoli, che è da considerare attualmente
disperso.364 Essa era con certezza pertinente ad un santuario dedicato a Tinia, divinità che
aveva anche qui probabili caratteri ctonii, come attesta un bronzetto di grifo che faceva
parte del complesso.
I cervi appaiono rappresentati da un esemplare del Museo Guarnacci e da uno del
Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona. Ad essi va aggiunto un cervide rinvenuto
durante ricerche di superficie a Castetto presso Reggio Emilia, attribuito ad un deposito
votivo di cui tuttavia non si è trovata altra traccia. Altri esemplari, attualmente irreperibili,
sono documentati in depositi dell’Etruria Settentrionale, a Castiglioncello di Trinoro presso
360
Bruni 1998b, p. 112.
361
Vd. supra, parte I, cat. 11.
362
Vd. supra, parte I, cat. 30.
363
Vd. supra, parte I, cat. 13.
364
Vd. supra, parte I, cat. 7.
318
Chianciano Terme ed a Ponte alle Palle presso Buonconvento.
Le frequenza di questi animali nella plastica etrusca rispecchia in parte quello che
avviene in Grecia: i cervi appaiono rappresentati da un numero ridotto di esemplari se si
confrontano i dati numerici conosciuti per gli altri animali. Essi sono connessi
principalmente con Arthemis, divinità protettrice della caccia e di tutti gli animali selvatici.
Non mancano, anche se sono del tutto sporadiche, le attestazioni di animali non
appartenenti alla sfera domestica, ma alla sfera selvatica. 365 Se il suino domestico appare
soprattutto come animale da sacrificio, la sua variante selvatica, il cinghiale, porta valenze
assolutamente altre. Esso infatti appare legato al mondo della caccia, ed in particolare alla
caccia eroica e mitica. Nei santuari greci esso è fra i soggetti meno rappresentati. Nei casi in
cui esso compare, è strettamente connesso ad Artemis, dea della caccia, ma anche a
Poseidon.366 Frequente appare invece l’offerta di zanne di cinghiale, probabilmente trofei
dedicati da cacciatori.
Per quanto riguarda l’Etruria le attestazioni figurative in bronzo del cinghiale nei
santuari appaiono scarse. In tutti i casi eccetto due, ovvero il cinghiale di Ghiaccio Forte e
quello della Fonte Veneziana ad Arezzo, essi sono privi di indicazioni di provenienza. La
presenza di questo animale nei due contesti sopra citati appare piuttosto sorprendente: in
entrambi i casi il culto sembra orientarsi verso aspetti non connessi con il mondo della
caccia. La stipe della Fonte Veneziana appare infatti pertinente ad un culto salutare o ad un
culto legato alla presenza di una porta urbica, mentre il culto a cui è legata la stipe di
Ghiaccio Forte era dedicato con ogni probabilità a Selvans, ovvero ad una divinità legata sì
ai boschi, ma soprattutto alla vegetazione nel suo rapporto con l’uomo. Come sostenuto da
E. Bevan riguardo all’offerta del cinghiale a Poseidon, potrebbe trattarsi di ex voto di
uomini, che dedicavano rappresentazioni connesse alle loro attività, come in questo caso
potrebbe trattarsi della caccia.367
In questo quadro, l’ultima delle ipotesi proposte per spiegare la funzione delle
statuette votive zoomorfe all’interno della prassi rituale etrusca, ovvero che si tratti di
allusioni al mito o alla sfera di influenza della divinità, si pone come residuale, e adatta a
pochi casi specifici. Si tratta in genere di motivi iconografici rari, e difficilmente inquadrabili
365
Vanno escluse dal corpus le rare rappresentazioni di lepri, che sono da attribuire sempre alla plastica
decorativa, vd. ad esempio le due lepri in bronzo dal deposito di Brolio (parte I, cat. 21).
366
Bevan 1986, pp. 73-79.
367
Bevan 1986, p. 76.
319
nelle altre categorie proposte. Esempi di queste categorie di motivazioni per la dedica di
statuette di animali in bronzo sono costituiti da una parte dai volatili, e dall’altra dai serpenti
in bronzo.
Rappresentazioni di volatili concepite con una funzione primariamente votiva,
documentabile attraverso l’appartenenza ad un contesto sacro appaiono estremamente rari
nella plastica etrusca, mentre sono frequenti piccole immagini di volatili, più o meno
semplificati e riconoscibili nella loro identità, poste a decorare oggetti e arredi bronzei di
diverso tipo, come ad esempio i thymiateria.368 Tuttavia, la presenza di un’iscrizione di dedica
alla dea Cel sul volatile che faceva parte della stipe di Casa Bianca indica chiaramente che
rappresentazioni di questi animali potevano costituire offerte adatte per le divinità etrusche,
così come il volatile, del tutto simile al primo, presente fra i votivi della stipe di Caligiana
nel territorio perugino, e la piccola civetta dagli scavi del tempio etrusco di Fiesole.
È da notare una profonda differenza con le attestazioni provenienti dal mondo
greco: infatti nei santuari della Grecia le rappresentazioni di volatili, in cui possono essere
riconosciute diverse specie, sono attestati con una certa frequenza, soprattutto nei santuari
di divinità femminili. Ad esempio, il santuario di Zeus a Olimpia ha restituito circa 1600
rappresentazioni in bronzo di cavalli di epoca geometrica, e solamente venti volatili, il
santuario Apollo a Delfi cinquanta cavalli e ventuno volatili. Le attestazioni di questi ultimi
superano invece i cinquanta esemplari nei santuari di Arthemis a Sparta, Pherai, Efeso e
Perachora. Nell’Heraion di Argo e nel santuario di Aphaia ad Egina i volatili superano di
gran lunga i cavalli.369 Numerose e complesse appaiono inoltre le relazioni delle varie specie
di volatili con le divinità nell’ambito del mito, anche se non sempre esse appaiono
rispecchiate nelle rappresentazioni di uccelli presenti nei santuari e scelte come offerte
votive. Scarse sono invece le tracce, nelle testimonianze letterarie ed epigrafiche, del
sacrificio di uccelli, cosa che si spiega soprattutto con la modestia di questo tipo di offerta
rispetto ai sacrifici di grandi animali domestici. Tuttavia la presenza di ossa di volatili nei
santuari di Efeso, Isthmia, Cnido e Cirene documenta che la pratica di offrire sacrifici di
volatili doveva essere frequente. Anche in Etruria, per quanto non manchi la
documentazione
La civetta appare associata strettamente, anche se non in modo esclusivo, con la dea
368
Ambrosini 2002, passim.
369
Bevan 1986, pp. 28-66; Zimmermann 1989, p. 310.
320
Athena: per quanto riguarda le attestazioni figurate, in Grecia essa compare nei santuari di
Athena ad Atene, a Sparta, a Gortina e a Perachora. 370 Interessante appare un passo delle
Vespe di Aristofane371 – a cui va aggiunto un passo del Temistocle di Plutarco372 – in cui si
mette in evidenza come il volo di una civetta sopra le navi sia considerato nefasto dai
Persiani. Lo scolio suggerisce che la civetta rappresenta l’aspetto vittorioso di Athena o
addirittura Athena stessa. È stato ipotizzato che l’identificazione di Athena con la civetta sia
avvenuta proprio ad Atene in occasione delle guerre persiane, e che da questa città si sia poi
diffusa, soprattutto in quei santuari, come a Gortina e Sparta, situati su Acropoli, quindi in
una situazione topograficamente simile a quella ateniese. 373 L’associazione appare attestata
anche in Etruria, come documentano le immagini di una serie di specchi. 374 Per quanto
riguarda la plastica votiva in bronzo, oltre alla civetta di Fiesole, l’unica altra attestazione è
costituita da un pezzo conservato nel Museo Archeologico di Firenze, 375 che risulta tuttavia
privo di indicazioni di provenienza, e di cui non può essere esclusa nemmeno una originaria
funzione decorativa.
Un discorso a parte merita il volatile di Casa Bianca. Come è stato precedentemente
accennato,376 la sua identificazione non appare ancora sicura. Mentre per il Dennis, che per
primo diede notizia della scoperta, si trattava di una colomba, per Giglioli e Colonna esso
rappresenterebbe una starna o una pernice. Questi animali appartengono a sfere diverse e
difficilmente conciliabili. Mentre infatti la colomba è un animale domestico, e rappresentava
nel mondo antico una sorta di animale da compagnia, spesso raffigurato in braccio a figure
femminili con un evidente simbolismo amoroso, 377 gli altri due appartengono alla sfera della
caccia e quindi delle attività maschili ed aristocratiche per eccellenza. La dedica dell’oggetto
alla dea Cel non sembra essere dirimente a favore dell’una o dell’altra ipotesi. Si tratta di
una dea poco conosciuta, con caratteristiche sicuramente ctonie, ma anche materne, come
implica l’appellativo ati, con cui essa è designata su alcuni ex voto raffiguranti offerenti
provenienti dal Trasimeno.378
370
Bevan 1986, pp. 33-35, 47-48, 360-363.
371
ARISTOPH, Ve., vv. 1086 sg.
372
PLUT, Them., 12.
373
Bevan 1986, p. 48.
374
Maggiani 1997, p. 43.
375
Vd. supra, parte II, cat. I.I.2.
376
Vd. supra, parte I, cat. 13.
377
Bevan 1986, pp. 50-56.
378
Colonna 1976-1977.
321
I serpenti infine, animali con valenze ctonie, sono assai poco rappresentati fra i
bronzetti presi in considerazione in questo studio. Della scoperta di bronzi con questo
soggetto si è trovata in alcuni casi menzione nei resoconti di scoperte di stipi che tuttavia
non si sono conservate integralmente. Essi erano sicuramente presenti nella stipe di
Colloreto, in quella dell’Impruneta, ed in quella del Poggetto a Bolsena, che era relativa ad
un culto di Tinia.
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Referenze fotografiche
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Tavola IV,1: da Schefold 1960
Tavola IV,2: foto dell’autore
Tavola IV,3: foto dell’autore
Tavola IV,4: foto dell’autore
Tavola IV,5: da Cateni 1985
Tavola IV,6: foto dell’autore
Tavola IV,7: foto dell’autore
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Tavola VIII,1: da Caravale 2003
Tavola VIII,2: da Cagianelli 1991-1992
Tavola VIII,3: da Caravale 2003
Tavola VIII,4: da Bolla, Tabone 1996
Tavola VIII,5: da Bolla, Tabone 1996
Tavola VIII,6: da Bianchi 1995
Tavola VIII,7: da Maetzke 1957
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Tavola XII,1: da Maetzke 1957
Tavola XII,2: da Gli Etruschi 2007
Tavola XII,3: foto dell’autore
Tavola XII,4: foto dell’autore
Tavola XII,5: foto dell’autore
Tavola XII,6: da Bolla, Tabone 1996
Tavola XII,7: da Caliò 2000
Tavola XII,8: da Macellari 1990
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Tavola XV,7: foto dell’autore
Tavola XV,8: da Cagianelli 1991-1992
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Tavola XIX,5: da Gli Etruschi 2007
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Tavola XIX,7: foto dell’autore
Tavola XIX,8: da Firmati, Rendini 2002
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Tavola XXIII,3: da Gli Etruschi 2000
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Tavola XXIII,5: foto dell’autore
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Tavola XXIII,7: da Rolland 1965
Tavola XXIII,8: foto dell’autore
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Tavola XXVII,1: da Corsi 1997
Tavola XXVII,2: foto dell’autore
Tavola XXVII,3: foto dell’autore
Tavola XXVII,4: da Cristofani 1985
Tavola XXVII,5: foto dell’autore
Tavola XXVII,6: foto dell’autore
Tavola XXVII,7: foto dell’autore
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Tavola XXXI,3:da Bolla, Tabone 1996
Tavola XXXI,4: foto dell’autore
Tavola XXXI,5:da Cenciaioli 1991
Tavola XXXI,6:da Caliò 2000
381
Tavola I
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola II
1 2
3 4
5 6
7
Tavola III
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola IV
1 2
3 4
5 6
7
Tavola V
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola VI
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola VII
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola VIII
1 2
3 4
5 6
7
Tavola IX
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola X
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XI
1 2
3 4
5 6
7
8
Tavola XII
1
2
3 4
5 6
7 8
Tavola XIII
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XIV
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XV
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XVI
2
1
3 4
5 6
7 8
Tavola XVII
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XVIII
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XIX
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XX
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXI
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXII
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXIII
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXIV
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXV
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXVI
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXVII
1 2
3 4
5 6
7
Tavola XXVIII
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXIX
2 3
4 5
6
Tavola XXX
1 2
3 4
6 7
Tavola XXXI
3 4
5 6
Tavola XXXII
1 2
3 4
5 6
7 8
Tavola XXXIII
1 2
3 4
5 6