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Faggioni Sessuale Riassunto

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MORALE SESSUALE: MATRIMONIO, SESSUALITÀ, FAMIGLIA

SEZIONE PRIMA: ASPETTI STORICI E FONDATIVI

1. SESSUALITÀ E MATRIMONIO NELLA SCRITTURA

È difficile stabilire la forza normativa di alcuni precetti in materia sessuale, poiché è complesso
distinguere il contingente (legato al contesto socio-culturale in cui sono stati scritti i testi) dal
permanente. È però possibile notare una sorta di gradualità dall’Antico al Nuovo. Questa avviene
attraverso due movimenti: la demitizzazione della sessualità e del matrimonio e la loro
simbolizzazione. Ciò porterà a leggere questi due argomenti attraverso le categorie bibliche di
alleanza e amore.

1.1 SESSUALITÀ NELL’AT


Le popolazioni coeve hanno inizialmente influenzato la visione della sessualità del popolo ebraico,
come ad esempio nell’adozione del modello patriarcale, l’ammissione della poligamia e del
concubinato (monogamia relativa). Questo modo di intendere la famiglia continuò incontrastato fino
all’avvento dei profeti.
La donna, che aveva un ruolo subordinato, godeva di meno diritti. Nel caso del ripudio, altro elemento
presente nelle popolazioni limitrofe, la legge mosaica introdusse l’obbligo del libello (Dt 24,1-4) per
porre limite all’arbitrio del marito. L’unico elemento di positività della donna era la sua fecondità e
quindi la capacità di procreare. La fecondità in Israele era così importante da permettere l’istituzione
della legge del levirato.
La sessualità era un argomento estremamente delicato, poiché toccava le norme di purità. Tra i vari
tabù c’erano: la polluzione, la mestruazione, il rapporto coniugale, il parto. Anche se sicuramente
queste restrizioni avevano anche una valenza igienica, per gli ebrei sessualità e culto dovevano essere
sempre molto distaccati; non a caso non esiste nessun rito che abbia elementi sessuali (al contrario
delle popolazioni coeve). Le norme di purità sono presenti in particolar modo nel Levitico, nel
cosiddetto codice di santità. Chi infrange queste regole commette to’ebah (abominio), generando una
frattura profonda con Dio.

Rilievo particolare nell’AT hanno i due testi di Gn relativi alla creazione.


 In Gen 2 (tradizione jhavista, X sec.a.C.) è presente una profonda riflessione sul significato
della sessualità e sulla relazione di attrazione reciproca tra uomo e donna. Quest’ultima viene
creata per superare la solitudine originaria dell’uomo, grazie all’estrazione della costola da
Adamo. In questo passo è evidente l’uguaglianza naturale della donna con l’uomo, anche se
questo non implica parità. La narrazione si chiude spiegando l’esistenza di una mutua
attrazione tra i due ed anche il senso di quest’ultima. Adamo infatti si rende conto di essere
dinnanzi ad un tu e che la relazione instaurata con Eva produce un movimento di unione che
li rende una caro e quindi una persona coniugalis, attraverso il dono reciproco. Ultimo
particolare è la nudità, sottolineata ma non turbata dalla vergona, poiché i due sono “liberi
della stessa libertà del dono”1.
 In Gen 1 (tradizione sacerdotale, VI sec. a.C.) viene invece esplicitato il tema dell’immagine,
presentando l’uomo al culmine della creazione. All’uomo e alla donna, creati insieme, viene
affidata la creazione e il dovere di rendere feconda la terra.

1
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, 1987, 77.
Già in questi primi due passi sono visibili le due dimensioni inscindibili dell’amore: unione e
procreazione.
L’avvento del peccato originale ruppe questa unità. Alcuni commentatori antichi, vista la gravità della
frattura, pensarono ad una colpa sessuale, anche se la maggior parte ha sempre individuato nel peccato
originale il desiderio di sostituirsi a Dio. In Gen 3,7 i due si scoprono nudi, mostrando per la prima
volta cosa è il pudore. Adamo ed Eva si rendono conto di essere diventati oggetti l’uno per l’altro.
Per poter comunicare di essere qualcosa di più di mero corpo scelgono di coprirsi. Tutti i dolori della
vita non rientrano nel progetto originario di Dio, che viene comunque mantenuto consentendo alla
donna di generare, anche se con dolore; continuando quindi la trasmissione dell’immagine e
somiglianza.

Nei libri profetici non si parla direttamente di matrimonio se non accostandolo alla categoria di
alleanza fra Dio ed Israele. Tra questi profeti vi furono Osea, Geremia, Ezechiele, il Deutero Isaia ed
infine Malachia. Molto spesso la metafora del matrimonio è usata per descrivere il popolo di Israele
come adultero.

Nella letteratura sapienziale vengono esaltati i valori del matrimonio, il dono dei figli, vengono date
norme utili di comportamento e vengono presentati anche modelli positivi di donne. Nel libro di Tobia
il matrimonio è un fatto eminentemente religioso. Anche nel Cantico dei Cantici, grazie all’audacia
delle immagini e del linguaggio, emerge chiaramente il concetto di amore tra uomo e donna come
una sorta di sacramento primordiale2.

1.2 SESSUALITÀ E MATRIMONIO NEI VANGELI


Gesù ha un rapporto positivo nei confronti del matrimonio e della sessualità. Agli occhi di Gesù la
donna ha valore, spesso nell’incontro con lui molte di esse riacquisiscono la loro dignità (prostitute,
adultere, ecc.). L’impurità rituale delle donne è superata dalla purezza superiore richiesta da Cristo:
quella del cuore (Mt 5,8).
All’avvento cristologico si deve invece il risalto dato ai valori della verginità e del celibato (es. Mt
19). Pur se agli apostoli viene chiesto di lasciare la famiglia, l’insieme della testimonianza evangelica
non mette in contrasto la vita matrimoniale con l’accesso al Regno.

Un aspetto di profonda discontinuità rispetto alla matrice ebraica si ha con l’abolizione del ripudio. I
testi che ne parlano sono Mt 5,31-32; Mt 19,9; Mc 10,11-12b; 1Cor7, 10-11 e Lc 16,18. Brano
particolare è quello di Mt 19. Infatti la domanda posta dai farisei è meno diretta e viene posta
nell’humus culturale della disputa tra l’interpretazione di rabbi Hillel e rabbi Aquiba (lassisti) e di
rabbi Shammai (rigorista). Egli sottolinea, oltrepassando la legge, che non c’è nessun motivo per
ripudiare la moglie, spiegando la norma mosaica come una concessione e non come un ordine.

Il Vangelo di Matteo è particolarmente attento alla questione del ripudio (unico con due testi) e
presenta le cosiddette “clausole matteane”, dove è permesso il ripudio in caso di pornèia. Questo
termine traduce spesso l’ebraico zenut il quale designa situazioni di disordine sessuale. Negli incisi
matteani potrebbe indicare una qualsiasi impudicizia della moglie. Mentre nei cattolici le clausole
matteane si riferiscono poi alla possibilità di separazione (separatio a mensa et toro), per gli ortodossi
queste affermazioni aprono alla possibilità di seconde nozze.
Nella modernità il termine pornèia è tradotto solitamente nel senso di “unione illegittima”.

2
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, 1987, 108-113.
1.3 SESSUALITÀ E MATRIMONIO NEL CORPUS PAULINUM
Paolo non offre una visione sistematica sulla sessualità e sul matrimonio, poiché le sue lettere sono
legate a circostanze. I due testi che più ci aiutano sono 1Cor 5-7 e Ef 5.
 1Cor: la comunità di Corinto viveva numerosi scandali legati alla pornèia. Paolo a questo
punto prende provvedimenti. A chi diceva “tutto mi è lecito” e “i cibi sono per il ventre e il
ventre per i cibi” Paolo risponde che “tutto mi è lecito, ma non tutto è utile” ed anche “io non
mi lascerò dominare da nulla. Successivamente aggiunge anche che il corpo dei cristiani non
è per la fornicazione, bensì per il Signore. Egli riafferma la dignità cristica del corpo,
riconducendola al tema del matrimonio e a quello della verginità.
Secondo Paolo il matrimonio è connesso con la forza del bisogno sessuale ed è l’unico luogo
dove l’uomo e la donna possono soddisfare in modo legittimo il loro bisogno. L’uomo e la
donna sono in un piano di dovere reciproco, un debitum. Per quanto riguarda l’astinenza
coniugale essa è permessa, ma deve essere temporanea. Per Paolo le nozze sono indissolubili,
anche se si trova ad affrontare situazioni scomode come quella di una coppia composta da un
pagano e da un convertito3 o la questione sulle seconde nozze delle vedove. Egli a
quest’ultime consiglierà di non risposarsi, ma comunque lo permetterà.
Sul tema della procreazione, vista l’imminenza della venuta del regno, non si sofferma
particolarmente. Nella lettera a Timoteo però sono presenti due discorsi sul dovere di
procreare.
Infine egli esalta il carisma della verginità, anche se agli stesso ammette che non è per tutti.
Egli rileva questa superiorità poiché ci si dona in una totale e indivisa dedizione al signore e
perché si agisce secondo l’imitatio Christi.
 Ef 5: pietra miliare del rapporto tra il matrimonio e il mistero di Cristo e la Chiesa. Il concetto
di sottomissione reciproca viene esemplificato in tre aree della vita ordinaria: relazione
moglie-marito, rapporto genitori-figli e quello padroni-schiavi. Paolo non vuole dare norme
sulla gerarchia familiare, ma insiste sulla reciprocità del donarsi. Alcuni esegeti hanno
sostenuto che Paolo in questo testo attestasse la sacramentalità del matrimonio. Per Paolo
l’unione uomo-donna di Gen 2,24 ha un rapporto con l’unione Cristo-Chiesa. Ogni
matrimonio è un mystèrion naturale che si radica nel mystèrion fondante4 e ne diventa
symbolon o sacramentum. A tal proposito il Concilio di Trento dice che il brano “inuit”, fa
pensare, alla sacramentalità.

3
Il cosiddetto privilegio paolino che permette di risposarsi in caso di conversione.
4
Unità fra Dio e il mondo in Cristo.
1.4 I PECCATI SESSUALE NEL NUOVO TESTAMENTO
Nel NT vi è una trattazione esaustiva di alcuni disordini in campo sessuale:
 Adulterio: mentre nella mentalità ebraica riguardava solo la frequentazione di donne sposate,
ora è indifferente se a commetterlo è un maschio o una femmina. È sempre presente negli
elenchi dei vizi ed esclude all’ingresso al Regno di Dio. Non solo non si devono compiere atti
sessuali, ma neppure il pensiero.
 Pornèia: in genere indicava una relazione sessuale con una donna non sposata, ma indica più
in generale l’impudicizia/ immoralità. Anche i pornòi non accedono al Regno dei Cieli.
 Omosessualità: presente specialmente in 3 testi paolini: Rm 1,26-27; 1Cor 6,9; 1Tm 1,10). I
termini usati sono malakòi e arsenokòitai, successivamente tradotti dalla Vulgata con molles
e masculorum concubitores.
 Pedofilia: Gesù contrariamente alla mentalità dominante dell’epoca mostra grande interesse
per i bambini. Egli ha parole dure sullo scandalo contro “uno di questi piccoli” (Mt 18,6; Mc
9,42; Lc 17,2), anche se gli esegeti ancora dibattono se ci si riferisca o meno a scandali sui
bambini.
 Masturbazione: la traduzione di malakòi come coloro che si masturbano non è più accettata.
2. IL MODELLO TRADIZIONALE DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE

Il cristianesimo, a partire dal suo ethos, cercò sin dalla prima ora di darsi orientamenti normativi
generali in materia di etica sessuale. Nonostante alcune assonanze con correnti filosofiche quali lo
stoicismo, il neopitagorismo, il medio e tardo platonismo, la morale cristiana ha sempre esposto una
proposta etica esigente, ponendosi spesso in esplicita antitesi con la mentalità e i modi di fare dei
pagani. Per poter essere comprensibile agli altri l’antropologia cristiana dovette passare attraverso il
filtro dell’antropologia classica, generando il “modello tradizionale”.

2.1 L’ETICA SESSUALE PAGANA


L’etica pagana attribuiva alla sessualità un significato cosmico-religioso. La dualità maschio-
femmina evoca il limite e l’antitesi fondamentale dell’essere. Questa contraddizione diede origine al
mito dell’androgino, tipico dell’orfismo e narrato da Platone nel Simposio. L’androgino, essendo
contemporaneamente maschio e femmina, rappresenta la totalità indifferenziata, l’uno-tutto
preesistente. Dalla frammentazione di questa unità totalizzante nascono tutte le polarità presenti sulla
terra, incluso l’essere maschi o femmine. L’esercizio della sessualità era così legato alla
conservazione del cosmo e del suo ordine, raggiunto innanzitutto attraverso la generazione. L’atto
sessuale infatti ricomponeva momentaneamente l’androgino, unendo il corpo maschile e quello
femminile. Il sesso ha quindi come finalità primaria la procreazione, rendendolo definibile come res
speciei.
La destinazione procreativa della sessualità aveva portato a ritenere il dismorfismo sessuale del tutto
accidentale ed estrinseco alla realtà intima della persona. Il sesso era confinato nel soma, mentre
l’essenza del soggetto permaneva nel logos. Questa visione influenzò anche padri come Origene e
Giovanni Crisostomo, i quali sostenevano che inizialmente l’homo imago non fosse sessuato e si
riproducesse in maniera asessuata.
Altra caratteristica tipica della mentalità ellenistica era l’impostazione androcentrica
(monosessismo), dove il maschio è compiuto e perfetto, mentre la donna è in qualche modo
subordinata ed incompleta. Questa concezione è assolutamente presente nella Metafisica di
Aristotele, dove pur riconoscendo che uomo e donna sono della stessa specie, l’uomo è tra i due
l’elemento pienamente compiuto. La differenza funzionale, esaminabile esplicitamente nell’atto
sessuale, non è quindi una differenza ontologica ma una distinzione ontologica.

2.2 ETICA SESSUALE PATRISTICA


I cristiani, sin dall’inizio, si differenziarono dalla mentalità dell’epoca. I padri dovettero combattere
alcuni movimenti settari che rifiutavano o disprezzavano i valori proposti dall’etica cristiana.
In primis condannarono ogni deviazione encratica e rigorista della sessualità come il montanismo,
il novazianesimo, il priscillianesimo, ecc. come anche qualsiasi posizione lassista.
Il valore del matrimonio cristiano, spesso esaltato e messo a confronto con quello pagano, era però
sempre affiancato dalla superiore opinione della condizione verginale.
L’attitudine verso le donne risente molto della misoginia dell’epoca e la legittimazione dell’atto
coniugale è data dalla procreazione. Connesso con questa idea c’è anche il rifiuto delle pratiche
contraccettive.
Per quanto riguarda l’adulterio, nonostante il diritto romano proponesse una disparità di trattamento
tra uomo e donna, alcuni padri come Gregorio Nazianzeno e Ambrogio affermarono la necessità di
un pari trattamento.
Le seconde nozze in caso di vedovanza erano viste o con sufficienza o con qualche ostilità, mentre il
dibattito era più acceso per quanto riguardava il divorzio. In generale comunque per i padri se seconde
nozze non dovrebbero esserci.
2.3 S. AGOSTINO
Egli espone la sua etica sessuale sempre in aperta polemica ed apologia contro i manichei, Gioviniano
e i pelagiani.
Il manicheismo giudicava negativamente il matrimonio e la sessualità perché attraverso la
procreazione si perpetua la corporeità. Agostino invece insistette sulla bontà originaria del corpo e
della sessualità.
Gioviniano invece metteva sullo stesso piano matrimonio e verginità. Agostino, pur non sminuendo
il matrimonio, sottolineava invece la superiorità della condizione verginale.
I Pelagiani sostenevano che non si possono dare vere nozze senza l’esercizio della genitalità e che il
desiderio sessuale in sé non ha alcun male. Agostino elaborerà la sua risposta a partire dagli effetti
devastanti che ha provocato il peccato originale sulla sessualità, individuando due concetti
fondamentali:
 Il legame d’amore degli sposi è l’elemento essenziale del matrimonio.
 La distinzione tra istinto sessuale orientato alla procreazione e la concupiscenza della carne.
In conseguenza del peccato originale tutti gli esseri umani nascono con la medesima
inclinazione disordinata, chiamata concupiscentia carnis. Nello stato edenico gli atti coniugali
sarebbero stati guidati interamente dalla ragione e non dalla passione, ordinati alla loro
destinazione naturale ovvero alla procreazione. L’atto coniugale in sé non è malvagio, basta
che sia orientato al fine procreativo. Nel momento in cui lo si usa come mezzo, dissociandolo
dal fine, esso diventa negativo. L’atto sessuale all’interno del matrimonio ha la funzione, già
sottolineata nel corpus paulinum, di remedium concupiscentiae.

L’atto sessuale umano è infatti simile a quello animale, entrambi sono orientati alla salus generis (il
bene della specie, ovvero la procreazione). L’affermazione di Gen 2,18 “adiutorium simile sibi”
riferita al ruolo di aiuto della donna rimanda esclusivamente alla collaborazione nella procreazione.
A giustificazione dell’importanza della procreazione nel patto matrimoniale egli si richiamerà anche
all’etimologia del matrimonio, ovvero “matris munus”; il dovere della madre di procreare.

La visione naturalistica del matrimonio però non esaurisce la sua etica. Infatti secondo Agostino
l’elemento costitutivo ed essenziale del matrimonio è il legame coniugale, il quale pone la vita
coniugale cristiana nella prospettiva dell’ordo amoris. La procreazione può anche non attuarsi, purchè
si realizzi il bene essenziale della “amicalis quaedam et germana coniunctio” e della “naturalis in
diverso sexu societas”. A testimoniare ciò interviene l’esempio della Sacra Famiglia, dove le nozze
furono vissute nella continenza. La caritas coniugalis non necessita quindi la fecondità fisica, anche
se il debitum coniugale di norma la preveda.
Volendo esaltare quindi il matrimonio in sé stesso, oltre al bonum prolis egli individuò altri beni:
 Bonum fidei: indica la fedeltà coniugale, si esprime nella fedeltà sessuale e nella mutua
assistenza.
 Bonum sacramentum: esso ha due significati, quello di simbolo e quello di legame
indissolubile. In virtù di questa indissolubilità egli sosterrà la natura sacramentale del
matrimonio, vedendo in quest’ultimo un’analogia con il battesimo e l’ordine.

In Agostino infine è presente una forte condanna alla contraccezione e all’omosessualità.


2.4 GLI SVILUPPI DEL MODELLO TRADIZIONALE

2.4.1 LA SACRAMENTALITÀ DEL MATRIMONIO


A partire dall’XI secolo si precisò la dottrina della sacramentalità del matrimonio e si chiarì il rapporto
fra patto coniugale e atti sessuali.
Ugo da San Vittore offrì il primo studio monografico sulla sacramentaria, il De Sacramentis. La
chiave interpretativa è quella del sacramentum come signum rei sacrae. Essendo sia il patto coniugale
che l’atto sessuale colmi di profondo significato simbolico egli individua il matrimonio come
sacramento. Egli diede enorme importanza all’amore coniugale e al concetto di societas coniugalis.
Egli, pur collocando al centro del matrimonio il reciproco adhaerère degli sposi per la mutua dilectio,
ritiene che un amore spirituale sarebbe più santo e desiderabile.

San Bonaventura, su questa scia, individuerà tre scopi fondamentali nel matrimonio: procreazione,
remedium concupiscentiae e unione degli sposi.

San Tommaso parlerà dell’amore coniugale in termini di maxima amicitia. La nozione di amicitia
rimanda alla Summa theologiae che insegna l’esistenza dell’amor concupiscentiae e dell’amor
amicitiae. Nel primo amore si coglie l’amato come oggetto in funzione del proprio benessere, nel
secondo l’amante vuole il bene dell’amato.

Durante il IX secolo Giona d’Orleans espone il tema dei tres ordines di cui consta la Chiesa: dottori,
continenti e coniugati. Sul finire del medioevo venne ripresa fortemente l’idea dell’ordo coniugalis,
parallelo a quello dei chierici ed istituito da Gesù durante le nozze di Cana. Se da un lato si cercava
di esaltare la sacramentalità del matrimonio, dall’altro lo si cercava di monacalizzare.

2.4.2 LA FINALITÀ DEL MATRIMONIO


Nell’Alto Medioevo la dottrina dei fini sul matrimonio riproponeva la visione agostiniana:
 Finalità ante peccatum: soltanto scopo procreativo.
 Finalità post peccatum: oltre allo scopo procreativo acquisisce la funzione di remedium
concupiscentiae.

È solo grazie a S. Tommaso che abbiamo ben articolata sia la dimensione procreativa che la
dimensione della comunione sponsale. Chiedendosi se il matrimonio fosse naturale egli rispose che
la categoria di “naturalità” può avere due sfaccettature: o poiché è legata dai dinamismi biologici (ex
principiis naturae) o perché è un qualcosa di iscritto nella natura, ma compiuto grazie al libero arbitrio
(ad quod natura inclinat, sed mediante libero arbitrio completur). La risposta è naturalmente la
seconda. A questo punto egli espose la sua dottrina sulla gerarchia dei fini, dove individua come
fine primario la procreazione e come fine secondario l’ossequio vicendevole che si danno i coniugi
(caratteristica insista dell’essere uomo e quindi homo politicus).
Il modello tomasiano cerca di superare il naturalismo sessuale e di integrare più fini nell’unitas
multiplex che si viene a formare nel matrimonio.

Anche sulla discussione riguardante la moralità dell’atto coniugale l’Angelico sarà il più completo.
Egli infatti abbracciò l’idea aristotelica della naturalità del piacere, cercando ti togliere l’alone di
negatività che aleggiava sull’atto sessuale. Nonostante le aperture comunque San Tommaso si
muoveva ancora nel solco dei beni scusanti, portando quindi a condannare un qualsiasi atto coniugali
compiuto esclusivamente per piacere.
2.4.3 LA TASSONOMIA DEI PECCATI SESSUALI
Se già nei Padri della Chiesa erano presenti trattazioni moraleggianti solo con la comparsa dei
Penitenziali (VI secolo) abbiamo una catalogazione dei peccati sessuali. Tra i peccati più gravi
compaiono l’adulterio, l’incesto, la bestialità, l’omosessualità e la polluzione volontaria (malakia).
Nell’XI secolo San Pier Damiani scrisse il Liber Gomorrhianus nel quale identifica tutta una serie di
peccati contro natura, incentrando la sua visione a partire dall’idea della finalità degli organi sessuali:
la procreazione. Quando questi non erano usati per generare vita, si agiva contro natura.
San Tommaso affronterà i peccati sessuali nel vizio della Lussuria. Il criterio di base è quello della
finalità procreativa e dell’uso naturale degli organi sessuali e solo in subordine il rispetto della persona
umana. Secondo l’Angelico i peccati peggiori, in ordine, sono: bestialità, sodomia e masturbazione.
Questo perché in altri atti come ad esempio lo stupro eterosessuale, la finalità procreativa e l’uso
naturale degli atti vengono rispettati e quindi si va “solamente” a ledere la persona.
È evidente però che tra uno stupro e una fornicatio simplex (atto sessuale tra due persone
consenzienti), il primo caso è nettamente peggiore.

2.4.4. IL CONCILIO DI TRENTO


Nell’ambito matrimoniale si riaffermò la sacramentalità del matrimonio e quindi la legittimità di
giurisdizione della Chiesa in materia. Nel 1566 fu pubblicato il Catechismo Romano, un compendio
della dottrina cattolica. In questo documento si riprende l’idea del matrimonio come dono, lo si
inserisce all’interno dell’economia della salvezza e si valorizza come prima ragione del matrimonio
la societas coniugalis.
La creazione dei seminari e soprattutto la dottrina sulla necessita dell’integrità dell’accusa dei peccati
nel sacramento della penitenza oscurarono gli intenti pastorali del catechismo e favorirono la
creazione di testi orientati unicamente alla prassi confessionale. I testi creati presero il nome di
“Istitutiones theologiae moralis” e diedero inizio al fenomeno della casistica.
Tra il XVI e il XVII secolo sorsero le polemiche tra lassisti e rigorsiti. Tema molto dibattuto fu quello
della “parvitas materiae in re venerea” (materia lieve in ambito sessuale). San Tommaso aveva già
sostenuto che non esisteva alcun caso in cui fosse possibile. A chi sosteneva che invece fossero
presenti alcune situazioni in cui non si parla di materia grave, risposero Papa Clemente VIII e Papa
Paolo V e successivamente Papa Alessandro VII che nel 1661 ribadiva: “in rebus venereis non datur
parvitas materiae”.

Altro argomento molto dibattuto nel post concilio fu la relazione tra piacere sessuale e atto coniugale.
Se da un lato c’erano teologi come Pedro de Ledesma e Tomàas Sanchez (scrittore del De sancto
matrimonii sacramento) che, riprendendo la filosofia aristotelica, sottolineavano la bontà dell’atto
sessuale anche senza una esplicita intenzione procreativa, dall’altro c’erano i rigoristi di stampo
agostiniano. Una sintesi fu data da S. Alfonso Maria de Liguori sostenendo che l’atto coniugale in sé
è positivo. Può diventare illecito per accidens, come ad esempio se si arreca danno al coniuge e se
non compiuto in modale debite. Se la copula è posta unicamente per piacere, si compie peccato
veniale. Egli, superando i bona excusantia, sottolinea come il primo impegno dell’atto coniugale è la
traditio mutua (dono reciproco), quindi la procreazione ed infine altri fini estrinseci (es. salute del
partner). Bisogna notare però che l’amore coniugale non è presente nella sua teologia morale.
2.4.5 LA MANUALISTICA E LA CRISI DEL MODELLO TRADIZIONALE
La nascita della scienza sessuale influì notevolmente sul pensiero ottocentesco. Nascono così una
serie di manuali, sulla scia delle institutiones, che trattavano la sessualità in ogni singola sfaccettatura
del sesto e nono comandamento. La visione negativa della sessualità, ridotta a genitalità, era spesso
accompagnata dall’idea, dovuta all’influsso notevole della biologia, che l’atto sessuale fosse ordinato
prevalentemente alla procreazione.
Le condizioni per il lecito uso della facoltà generativa erano, secondo il manuale di Mausbach:
 La sottomissione dell’istinto sessuale allo spirito e ai suoi fini morali
 L’ordinamento della potenza sessuale allo scopo della procreazione
 Il suo soddisfacimento esclusivo nel matrimonio

Ogni violazione di questi tre principi era un uso disordinato. I peccati di lussuria si distinguono poi
in peccati completi (peccata consummata, ovvero raggiungendo l’orgasmo), peccati incompleti
(peccata non consummata) ed anomalie sessuali. Anche nella manualistica non si ammette la
parvitas materiae, ogni peccato è mortale ex toto genere suo.

Durante la prima metà del XX secolo la manualistica mostra tutta la sua incompletezza e povertà
antropologica. Nel 1928 Dietrich von Hildebrand, nel suo Die Ehe, distingue nel matrimonio lo
Zweck o scopo primario (procreazione) e il Sinn o senso di esso (amore). Nella riflessione
contemporanea subentra così una nuova concezione della gerarchia dei fini. Queste nuove istanze,
per quanto presenti nella Casti Connubii del 1930, non furono prontamente accolte. Al contrario,
nell’enciclica, sono presenti numerosi attacchi contro “errori e vizi del matrimonio” (es. convivenze,
aborto, contraccezione, ecc.). Per quanto il tema dell’amore coniugale sia presente nel documento, il
suo posto è relegato alle relazioni interne alla struttura familiare.
3. ANTROPOLOGIA SESSUALE CONTEMPORANEA

Alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX l’evoluzione delle scienze biologiche, delle scienze
umane (specie la psicologia), l’esaltazione della libertà dell’eros, la destrutturazione dei legami
familiari e l’emancipazione sessuale della donna portarono alla rivoluzione sessuale.
Secondo Marcuse si può parlare di libertà dalla morale, ultimo step di una serie di libertà conquistate
dall’illuminismo. La sessualità viene sempre più staccata dalla finalità procreativa, collegandola
invece ad una dinamica ludica erotica.

3.1 ASPETTI BIOMEDICI


Dal punto di vista biomedico, per quanto esistano anche meccanismi asessuati di riproduzione, la
riproduzione sessuata ha in sé il vantaggio di favorire un maggiore rimescolamento genetico.
La sessualità non la caratteristica di un solo organo, ma comprende un insieme di caratteri istologici,
anatomici, fisiologici in stretta interdipendenza:
 Sesso genetico: stabilito al concepimento, corrisponde all’assetto cromosomico (46XY =
maschio; 46XX = femmina).
 Sesso gonadico: dipende dalle gonadi (testicolo o ovaia), da questo dipende poi il sesso
germinale (cioè il tipo di gameti prodotti, spermatozoi o ovociti).
 Sesso ormonale: dipende dal profilo endocrino del maschio e della femmina (si assesta dopo
la pubertà) e dai relativi imprinting cerebrali prodotti nel periodo fetale e perinatale.
 Sesso gonoforico (o genitale interno o duttale): dipende dalle strutture anatomiche annesse
alle gonadi (maschio: epididimo, dotti deferenti e vescichette seminali; femmina: utero e
tube).
 Sesso fenotipico (o genitale esterno): presenza del pene o della vagina. È detto anche legale
poiché grazie ad esso si determina il sesso anagrafico (assegnato alla nascita) e il sesso di
allevamento.
 Sesso somatico (o corporeo o morfologico): si qualifica dal tipico strutturarsi del corpo in
maschile o femminile dopo la pubertà. Alcuni parlano di sesso endocrino vista la grande
influenza esercitata dal sistema omonimo.

La realizzazione del sesso fisico è un processo graduale. Inizialmente li percorso è simile, ma alla
fine il risultato è differente per entrambi i sessi. Queste sono le principali tappe:
 Stabilimento del sesso cromosomico: l’assetto cromosomico o cariotipo è normalmente
composto da 46 cromosomi. Di questi 44 sono cromosomi somatici o autosomi, mentre 2 sono
cromosomi sessuali o gonosomi (la coppia XX o XY).
 Differenziazione delle gonadi: fino alla quarta settimana il feto è indifferenziato.
 Differenziazione dei genitali interni: verso la settima settimana, a partire da particolari
strutture embrionali si vengono a formare. Pur essendo presenti in entrambi i sessi sia i dotti
del Wolff che i dotti del Müller, solo i primi andranno a formare i genitali interni maschili
mentre solo i secondi quelli femminili.
 Differenziazione dei genitali esterni: entrambi hanno un’origine comune. Successivamente
solo se è presente l’azione del deidrotestosterone (DHT) si formeranno i genitali maschili,
altrimenti si formeranno quelli femminili.
 Maturazione puberale: solo con la pubertà si ha il perfezionamento e la differenziazione
sessuale completa.
L’uomo vive la sessualità in maniera totalmente differente dalla maggior parte degli animali. Infatti
il sesso comporta stabilire forme di relazione, influenza ogni attività e soprattutto non ha una stagione
precisa dove essere attuato. Vi è infatti una grande indipendenza fra estro, fecondità e comportamenti
copulatori.

3.2 ASPETTI PSICOLOGICI


È evidente come una delle dimensioni essenziali della sessualità umana consista nelle relazioni.

Freud, nei suoi celebri “tre saggi sulla teoria sessuale” del 1905, scoprì che evoluzione della sessualità
ed evoluzione della persona sono intimamente collegate.
Egli sosteneva che:
 L’impulso sessuale svolge un ruolo determinante nello sviluppo psicoaffettivo di ogni
individuo.
 L’impulso sessuale è già attivo nell’infanzia.
 L’armonizzazione dell’impulso sessuale costituisce un comportamento sessuale maturo e
soddisfacente.
 La sessualità determina dei conflitti con lo sviluppo psicosessuale dell’individuo e vi
partecipa.

Freud individuò le seguenti fasi dello sviluppo psicosessuale: fase orale, anale, fallica, edipica ed
infine il periodo di latenza. Queste fasi sono il risultato del nomadismo della libido, l’energia
psicofisica originaria della natura sessuale. La concezione psicoanalitica dello sviluppo, per quanto
abbia ricevuto numerose critiche, porta in sé una visione teleologica della maturazione della
personalità, che punta all’integrazione nella società.

J. Money introdusse invece il concetto di identità di genere, ovvero l’autopercezione di sé stessi come
maschi o come femmine, e quello di ruolo di genere, che è invece tutto ciò che una persona compie
per indicare a sé stesso e agli altri la sua appartenenza ad un sesso. Questo a partire dalla loro
intuizione riguardante l’importanza del sesso psicologico e di quello sociale. L’utilizzo della parola
genere invece che sesso vuole affermare la distanza da qualsiasi significato biologico in favore di
quello psicologico. Secondo Money la sessualità nasce indifferenziata e solo mediante gli influssi
culturali e sociali una persona adotta un determinato sesso (egli dava enorme importanza al sesso di
allevamento).
Lo studio sull’azione degli ormoni sessuali sul cervello ha permesso di stabilire che quello maschile
e quello femminile sono due varianti biologiche dello stesso organo. Ciò da vita anche a differenze
attitudinali nel maschio e nella femmina in ambito extrasessuale. Naturalmente oltre alla componente
endocrina contribuisce a questa differenziazione l’ambiente educativo.

3.3 LA TEORIA DEL GENERE


La distinzione fra sesso e genere proposta da Money ha dato inizio alla discussione sul sistema binario
dei sessi e se questo sia una necessità naturale o un costrutto sociale.
Il primo step della discussione riguarda l’esistenza o meno di polarità psicologiche naturali che
configurino un dimorfismo psicologico dei sessi parallelo al dimorfismo fisico. La naturalezza delle
differenze tra uomo e donna è molto osteggiata in alcuni settori che condannano il sistema tradizionale
dei sessi.
Simone de Beauvoir, riprendendo Sartre, sostiene che l’uomo non ha una natura, ma è libertà. Così
facendo non esiste né una natura biologica né una natura psicologica dell’uomo e della donna,
appianando qualsiasi differenza.
Le scienze umane hanno rivelato anche le connessioni intime tra sessualità e società. Se da un lato
la sessualità fa la società, poiché grazie ad essa si intessono relazioni e si continua la specie, si può
anche dire che la società fa la sessualità, poiché quest’ultima non può sottrarsi all’influenza della
cultura in cui è attuata. Questa osservazione, in sé positiva, portata all’esasperazione ha condotto
(insieme alle osservazioni della de Beauvoir) ad un’opposizione tra sesso e genere, dove quest’ultimo
è una struttura flessibile e plasmabile. Si è venuto a creare così il fenomeno del pluralismo sessuale,
dove la sessualità intesa come fissità è stata soppiantata dall’identità sessuale.

L’ideologia di genere raccoglie problematiche come: l’esaltazione del libero esercizio della
sessualità, interventi di correzione del fenotipo, l’omologazione dei comportamenti eterosessuali e
omosessuali e molto altro.
Mentre Amoris laetitia afferma che “sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender)
si possono distinguere, ma non separare”5, l’ideologia gender:

“nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società
senza differenze di sesso e svuota la base antropologica della famiglia. […] L’identità
umana viene consegnata a un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo.”6

3.4 ASPETTI FILOSOFICO-ANTROPOLOGICI


Il discorso filosofico sulla sessualità si svolge a partire dall’analisi fenomenologica del corpo.
- Husserl, riprendendo la terminologia di Schopenhauer, affronta il tema del corpo umano attraverso
la distinzione in Leib (corpo nel suo presentarsi alla coscienza) e Körper (corpo oggetto). Grazie al
corpo l’uomo è in grado di porsi nei confronti delle cose.
- Sartre invece riprendendo il Da-sein heiddegeriano mette in evidenza come l’essere nel mondo è
estremamente legato alla corporeità. Il corpo, in quanto punto di dialetticità fra l’in-sé e il per-sé è il
luogo decisivo della dimensione dell’essere-per-gli-altri.
- G. Marcel, nella sua celebre espressione “je suis mon corps”, ha voluto invece sottolineare la
dimensione del sentimento (il sentire il “mio corpo”) come nesso inscindibile fra soggettività e
corporeità umana. Il corpo è la modalità concreta nella quale l’esistenza si dà per ciascuno.

Sulla linea del pensiero fenomenologico ed esistenzialista la riflessione antropologica ha interpretato


le differenze tra maschio e femmina come due modalità differenti di essere nel mondo.
Secondo F. Buytendijk uomo e donna rappresentano due diversi progetti esistenziali. La qualità-
essenza del mondo femminile sarebbe la sollecitudine mentre quella maschile il lavoro.

L’apertura relazione data dalla concezione di “essere-con-gli-altri” ha influenzato il pensiero di


Lévinas e Buber. La dimensione dialogica si trova a fondamento dell’essere personale e si realizza
nel mistero della sessualità umana. L’incontro intersoggettivo può avvenire solo in e attraverso un
corpo, il quale si riconosce come sessuato e reciproco. La dimensione dell’alterità è necessaria per il
completo fondamento dell’essere. Ed è proprio nell’ottica della reciprocità che si comprende anche il
rapporto tra sessualità e fecondità.

5
FRANCESCO, esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, 56.
6
Ibidem.
4. IL MODELLO CONTEMPORANEO DI ANTROPOLOGIA ED ETICA SESSUALE
CATTOLICA

Nel corso del XX secolo la Chiesa si è avviata ad una comprensione nuova della sessualità umana e
del matrimonio. L’apporto interpretativo è il riconoscere l’essenziale presenza nello sviluppo
dell’intera personalità della sessualità.
Dopo che per secoli scienza e filosofia avevano descritto la sessualità come puro accidens del corpo,
ora la sessualità viene riconosciuta come dimensione totalizzante, come sostiene la Congregazione
per l’educazione cattolica nel documento “Orientamenti educativi sull’amore umano, lineamenti di
educazione sessuale” ai numeri 1 e 4.
La sessualità è una realtà complessa dove interagiscono molti fattori psichici e fisici che la concezione
unitaria della persona proposta dalla Chiesa coglie nel loro insieme. Non si può contrapporre il sesso
al genere, sono due poli di una stessa realtà. Le scienze e le filosofie hanno costruito e proposto
antropologie riduzioniste, mentre la chiesa propone l’idea teologica dell’uomo come totalità
unificata (unione dimensione ontologica e assiologica). Il centro unificante è la persona, fulcro di
tutto il criterio etico e volta al bene complessivo.

La sessualità ha un significato teologico. La fede in Dio ci porta a credere che tale significato, che si
svela nell’esperienza, sia anticipato per la forza progettuale della creazione dell’uomo nella dualità
maschile e femminile, come si evince in Gen 1,30: “ed era cosa molto buona”. Il termine buono è ciò
che corrisponde al disegno di colui che opera. Il punto di partenza della nostra riflessione è il
principio, l’origine della sessualità e il suo dispiegarsi. Esso non ha valore puramente temporaneo ma
indica la trasparenza pura del progetto creativo di Dio.

“il principio è la prima eredità di ogni essere umano nel mondo, uomo e donna, prima attestazione
dell’identità umana secondo la parola rivelata, prima sorgente della certezza della sua vocazione
come persona creata ad immagine di Dio.”7

La sessualità è modo di essere della persona ed è comprensibile solo alla luce della creazione e della
vocazione dell’essere “immagine e somiglianza di Dio”, ovvero la vocazione all’amore8.
La creatura umana è creata per riprodurre nella propria esistenza il modo divino di essere, il modo
della comunione e dell’amore.
L’inquietudine esistenziale evidente nell’uomo solo di Gen 2 termina con la scoperta della donna.
Adamo, nell’accoglienza di Eva, scopre l’alterità come ricchezza e valore. In questa relazione emerge
la dimensione comunionale dell’uomo e della donna (communio personarum), che deriva dall’essere
ad immagine di un Dio che è comunione di persone. L’imago dei non sta tanto nella sessualità in sé,
ma nella radicale apertura relazionale della persona. Non è quindi la communio coniugalis intesa
come relazione sessuale ad esplicare l’essere ad immagine, quanto il desiderio stesso di essere
comunione e relazione.
L’essenza della famiglia è l’amore, che nella famiglia divina è lo Spirito Santo. L’articolazione
uomo-donna nasconde un senso originariamente sponsale, perché la dualità sessuale è in vista della
costituzione della comunione delle persone a immagine della comunione divina, cioè in vista della
totale e reciproca donazione d’amore. Essere amato vuol dire essere trovato da qualcuno degno di
donazione ed innesca un dinamismo di percezione di sé come valore.

7
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, 105.
8
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 11
La sponsalità, quale apertura alla comunione, non è solo una forma dello spirito, ma in forza della
natura umana (spirituale e corporeea), prende anche figura corporea. Già la corporeità infatti anticpa
in sé l’incontro e l’unione con l’altro, permettendo di esprimere il movimento di donazione per la
comunione.

“In quanto spirito incarnato […] l’uomo è chiamato all’amore in questa sua totalità
unificata.”9

“Il corpo umano, con il suo sesso, […] racchiude fin dal principio, l’attributo sponsale,
cioè la capacità di esprimere l’amore.”10

Questa sua capacità possiamo chiamarla sacramentalità originaria, per cui il visibile della
corporeità umana rimanda all’invisibile dello spirito. L’uomo e la donna sono corporalmente sponsali,
perché fin dal principio sono fatti per la comunione piena delle loro persone.

“il corpo umano, orientato interiormente al dono sincero della persona, […] rivela anche
un tale valore e una tale bellezza da oltrepassare la dimensione semplicemente fisica
della sessualità”11

La duplicità dei sessi (quindi il fatto di essere sessuati), oltre a svelare l’alterità, svela la tensione
della creatura umana alla comunione. Il senso della sessualità in tutte le sue dimensioni è dunque
esprimere e significare la comunione delle persone, una comunione che risulta dall’integrazione
reciproca e che è fisica, psichica e spirituale. Solo nell’unione eterosessuale possiamo vedere ciò.

Questa tensione dinamica è chiaramente espressa nel “per questo” di Gen 2,24. L’uomo abbandona
la propria famiglia per diventare un solo “basar” con la donna. Essi diventano inseparabili e,
divenendo una caro, si conoscono. Da questa conoscenza scaturisce la vita, come illustrato dal
progetto divino di Gen 1,28 (crescete e moltiplicatevi). Il movimento di autotrascendenza diventa
così potenza di fecondità prolungandosi nel dono della vita.

4.1 L’AMORE CONIUGALE


Il magistero recente ha espresso sempre più chiaramente la centralità dell’amore coniugale, giacché
proprio in questo amore si svelano il senso, il principio originale, il logos della sessualità.
Gaudium et spes 49 afferma che tale amore è di gran lunga superiore alla mera inclinazione erotica.
Esso è un amore eminentemente umano, giacché si dirige da persona a persona con un sentimento
che nasce dalla volontà (volontatis affectu). Tale amore abbraccia tutti i beni della persona, humana
et divina.
I padri conciliari distinguono tra inclinazione erotica e amicizia coniugale, rimandando alla
distinzione classica tra amor concupiscentiae e amor amicitiae. L’amore coniugale, nell’ordine
dell’amor amicitiae, è spesso chiamato dilectio. Nel linguaggio tomista indica un amore che
presuppone lo iudicium rationis, ovvero è un atto di volontà e perciò superiore al semplice
movimento concupiscibile. L’amor concupiscentiae è un amore egocentrico, dettato dal bisogno
(eros). Al contrario l’amore di benevolenza guarda l’altro come un bene in sé, “la benevolenza è il
disinteresse in amore” diceva K. Wojtyla.

9
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 11
10
GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, 1987, 77.
11
Ivi, 79
Nell’amore coniugale non c’è l’asimmetria di uno che ama e uno che riceve amore, ma la circolarità
della mutua donazione. Non c’è opposizione fra i due amori, purchè l’inclinazione erotica non venga
coltivata egoisticamente, ma si ponga sotto l’egemonia della benevolenza e dell’amicizia.

Caratteristici dell’amore coniugale sono gli aggettivi totus e mutuus. Il primo indica che si tende
all’altro in tutti i suoi aspetti, al suo bene totale. Il secondo invece indica la piena reciprocità della
donazione tra uomo e donna, che richiama anche ad una indissolubile unità.12 Espressione fisica
dell’amore coniugale è l’unione coniugale (opus matrimonii). Questo amore porta necessariamente
ad aprirsi al dono della vita e alla cooperazione con l’amore creativo di Dio.
I padri non riaffermano la gerarchia dei fini, la procreazione è dimensione di perfezione dell’amore
coniugale.

Quindi l’amore coniugale è:


 Volontatis affectu
 Dilectio
 Totus
 Mutuus
 Si esprime mediante l’unione coniugale
 La dimensione erotica ed amicale non sono in contrasto, ma in sintonia

Paolo VI in Humanae vitae n°9 individua quattro caratteristiche e dimensioni dell’amore coniugale:
 Umano: sensibile e spirituale, atto frutto della volontà libera
 Totale: gli sposi condividono ogni cosa
 Fedele/esclusivo: fino alla morte
 Fecondo: è destinato a continuarsi, non si esaurisce in sé stesso.

In questa visione le classiche proprietà del matrimonio sono presentate come dimensioni di verità
dell’amore coniugale.
Humanae vitae 12 prova poi a mettere in luce il rapporto tra atto coniugale e amore coniugale. L’atto
coniugale è un atto particolare che rende idonei i coniugi a generare vita, espressione fisica dell’amore
coniugale. In esso c’è una connessione inscindibile tra il significato unitivo e procreativo. Sia HV
12 che Familiaris consortio 11 hanno in comune l’idea dell’atto coniugale come linguaggio. Da qui
l’idea della necessità di una corrispondenza tra l’amore che si esprime e l’atto che si esprime.
L’amore coniugale racchiude in sé stesso aspirazioni come totalità, assolutezza e perennità. La sua
difficoltà sta nel suo essere così carico di pretese, soprattutto se rapportato alla contingenza
dell’esistenza umana. C’è una strana sproporzione tra il sogno di una tale qualità di amore e le
possibilità dell’uomo (metafisiche e morali).
La radice metafisica della fragilità dell’amore umano si rivela all’apertura dell’amore stesso
all’autotrascendimento.
La radice morale della debolezza dell’amore deriva dall’incapacità creaturale di aprirsi al dono.
L’uomo peccatore è inclinato ad amare sé stesso. L’amor concupiscentiae è in grado di mascherarsi
in tanti falsi amori, ma solo un amore che vince il peccato (malus amor) può essere vero amore.
La vocazione umana all’amore conosce due vie: la vita verginale e la vita coniugale. Queste due sono
raccolte in una profonda unità: il concretizzare e attuare l’essere ad immagine.

12
Cf. CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, 48-49
4.2 IL MATRIMONIO E L’AMORE CONIUGALE
Il matrimonio è l’istituzione dell’amore coniugale. L’origine prima del matrimonio è nel creatore (cf.
GS 48), Dio stesso fonda il matrimonio e lo struttura secondo leggi proprie. Il matrimonio quindi è
una condizione nel quale l’uomo entra, ma che non crea. In tale status egli entra mediante il consenso,
l’irrevocabilis consesu personalis, che altro non è che un patto, un’alleanza tra l’uomo e la donna.
Nel Codice del ’17 era propriamente un atto contrattuale, mentre ora indica la donazione reciproca
delle persone nel patto irrevocabile (vd. anche il concetto di alleanza)13.
L’autentica essenza del matrimoio è il diventare “intima comunità di vita e d’amore”, “intima unione
(coniunctio) di persone e di opere”14. Anche se il linguaggio spesso utilizza termini della tradizionale
descrizione del matrimonio in facto esse (consuetudo, consortium, communicatio, coniunctio, ecc.)
soggiace l’idea della donazione delle persone. Nel matrimonio i coniugi diventano persona
coniugalis, un io espresso da due volti.
Infine va sottolineato che il matrimonio non è un semplice mezzo per la procrezione, ma come dice
il Can 1055:

“Il patto matrimoniale […] per sua indole naturale è ordinato al bene dei coniugi e
(atque) alla procreazione e educazione della prole.”

Il successivo canone 1056 individua le due proprietà essenziali del matrimonio:15


 Unità; unione di un solo uomo con una sola donna. Ciò si afferma in virtù della rivelazione
(come ad esempio in Gen 2,18-24 e Mt 5,27-28; 19,39), della tradizione e del magistero. La
visione personalista ha inoltre acuito l’avversione alla poligamia qua talis, poiché vi è senza
dubbio una discrepanza tra donazione e relazione. L’unità non si oppone però alla poligamia
seriale, ovvero alla possibilità di risposarsi una volta vedovi.
 Indissolubilità: il matrimonio non può essere sciolto né da una autorità esterna ai coniugi
(indissolubilità estrinseca), né dagli stessi coniugi (indissolubilità intrinseca). La dottrina
cattolica inoltre asserisce che questo valore appartenga intrinsecamente alla concezione stessa
di matrimonio creaturale. Mentre tradizionalmente l’indissolubilità era giustificata con
argomenti essenzialmente teleologici (educazione dei figli, il divorzio danneggia il più debole,
ecc.), ora invece la si argomenta a partire dalla donazione totale, che non può essere tale se
non prevede il futuro (eternità).

La relazione tra matrimonio naturale e matrimonio cristiano è descritta in Familiaris consortio 68, la
quale afferma che il matrimonio/sacramento si edifica su una realtà preesistente nell’economia della
creazione. Il matrimonio dei battezzati è simbolo reale e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi
come Cristo ci ha amato. Questa sacramentalità del matrimonio, evidente in Ef 5,32ss è stata poi
sempre ribadita dal magistero. Nel matrimonio cristiano il sacramentum tantum è costituito dal
consenso dei nubendi, i quali sono i ministri del matrimonio; la res o grazia propria del sacramento
è la carità di Cristo sposo, la res sacramentum non è costituita da un carattere, ma da un quasi-
carattere che è il legame coniugale. Da questa riflessione il magistero recente ha sviluppato l’idea
della consacrazione coniugale.

13
Vd. anche CIC 1057.
14
CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, 48
15
Se queste vengono escluse non si contrae validamente matrimonio
I coniugi nella celebrazione di questo sacramento hanno svariati incarichi:
 Fede: in caso di assenza di fede la validità del matrimonio è infirmaretur (vacillante).
 Ministri: intenzione di fare quanto intende fare Cristo e la Chiesa per celebrare validamente.
 Destinatari: gli sposi non possono ricevere la grazia se non sono disponibili (la fede è la
prima e fondamentale disposizione)
 Protagonisti: sono chiamati ad esprimere mediante il consenso un impegno umano di vero
amore coniugale, non escludendo unità, indissolubilità e apertura alla vita.
5. IL MODELLO ETICO CRISTIANO

Nel nostro tempo le regole relative alla sessualità sono ricondotte alla libertà personale. Il paradigma
che meglio esprime questa situazione è la regola della consensualità:

“è considerato eticamente accettabile un qualsiasi atto sessuale posto senza violenza tra
adulti capaci di esprimere una volontà libera.”

Accanto a questa alcuni aggiungono la regola del beneficio, ovvero che:

“l’attività sessuale non deve essere dannosa a sé stessi o a terzi.”

Questa regola comunque viene ricondotta alla precedente, poiché viene considerato spesso lecito un
rapporto sadomaso, secondo l’assioma “volenti non fit iniuria”.
L’antropologia che soggiace a queste affermazioni vede l’uomo come un soggetto dinamico di
pulsioni/desideri/progetti la cui realizzazione coincide con la capacità di soddisfare tali bisogni. Il
diritto fondamentale è il diritto alla felicità, ottenibile unicamente assecondando tali pulsioni. Nel
momento però in cui l’uomo non è più visto come un agglomerato di bisogni, ma come un essere
chiamato a compiere la propria esistenza nella realizzazione dell’amore a Dio e ai fratelli,
l’antropologia moderna non riesce a rispondere adeguatamente e con verità a questo ulteriore
obiettivo. I desideri e i progetti nell’etica cristiana vengono ricondotti all’unico progetto che è quello
di costruirsi come creature capaci di comunione e di donazione. L’etica emerge così come condizione
per l’attuazione dell’umanità, mostrando un orizzonte squisitamente vocazionale.

L’ethos è il carattere morale, ovvero il modo specifico di percepire l’esistenza. Tale carattere si
esprime in strutture ordinate all’agire, definite nel loro insieme come attitudine etica o habitus
morale. L’attitudine etica nell’ambito della sessualità è la castità16, ovvero l’attitudine a vivere la
verità nella sessualità. Essa non è regolazione dell’appetito sessuale, ma conduce ad integrare
(armoniosa integrazione) le energie sessuali verso il progetto esistenziale di Dio.
Giovanni Paolo II, nelle sue Catechesi, ha trattato ampiamente il tema della castità coniugale.
L’amore coniugale è sempre insidiato dalla concupiscenza e solo un amore autentico è in grado di
dominare questa inclinazione. L’amore coniugale è per sua natura quindi congiunto con il dominio di
sé, meglio detto con il termine di continenza.

Il modello etico cristiano nel corso degli anni ha poi sviluppato una serie di norme morali, delle linee
guida generali elaborate dal popolo di Dio. Pur non esistendo un solo modello etico nella storia della
chiesa, a tutti soggiace l’idea del nesso tra sessualità e comunione interpersonale (secondo il
paradigma unione-alleanza-fecondità). A livello normativo la Scrittura e la tradizione hanno tradotto
questa intuizione affermando che l’esercizio della sessualità è buono se è connesso con quella
istituzione (matrimonio) che struttura una relazione permanente fra uomo e donna.
Per molti secoli ha prevalso l’intuizione agostiniana della prevalenza della procreazione sulla
sessualità. Oggi invece c’è la tendenza a salvaguardare l’intima relazione tra unione sessuale e unione
vitale dell’uomo e della donna, rifacendosi sempre alla necessaria compresenza della “mutua
donazione” e della “procreazione umana”.

16
Sul tema della castità vedi anche Familiaris Consortio 33
La tradizione ha inoltre permesso il formarsi di tre criteri normativi basilari per individuare un
rapporto effettuato secondo “pornèia”:
 Non separare l’unione sessuale dall’amore coniugale: l’amore coniugale è l’unico contesto
umanamene significativo per l’unione sessuale, altrimenti esso è un atto menzognero, privo
della totale donazione che invece è presupposta. Va inoltre specificato che il solo
desiderio/volontà non equivale ad una donazione reale. Inoltre le due persone si devono
accogliere non come res corporee, ma come persone (abissi di valore). La sessualità, come
osserva Amoris laetitia, non è una risorsa per gratificare o intrattenere.
 Non separare il significato unitivo e quello procreativo dall’atto coniugale: ogni atto
sessuale deve conservare il carattere di accoglienza-donazione reciproca e rifletterne le
caratteristiche di unità e di fecondità.17 La contraccezione, come sottolinea Familiaris
consortio 32, è oggettivamente contraddittoria poiché preclude la totale donazione all’altro.
 Non separare la procreazione dall’unione sessuale: anche la ricerca della procreazione
fuori dall’atto sessuale è assolutamente deprecabile. La procreazione, come nella
contraccezione, è vista come una funzione non intrinsecamente costitutiva dell’atto sessuale.
Ricorrendo alle tecniche di fecondazione extracorporee la donna diviene un contenitore
sostituibile.

Da sempre l’ethos cristiano ha intuito il nesso tra sessualità e comunione interpersonale. All’inizio
della sessualità violata (condizione edenica decaduta) vediamo una trasformazione dello sguardo che
dalla purezza iniziale prova invece vergogna e la necessità di coprirsi (pudore). Questo nuovo
sguardo, concupiscente (epithymìa), non è più contemplativo ma proteso al possesso e all’uso.
L’uomo e la donna sono così visti come due sorgenti di piacere. La concupiscenza è lo sguardo
radicalmente non vero, principio di ogni violazione dell’essere umano.

17
Humanae vitae 12 insiste molto sull’inscindibilità dei significati unitivo e procreativo
6. LA FAMIGLIA IN UN MONDO CHE CAMBIA

La famiglia è la comunità umana generata dal matrimonio, essa è composta dai coniugi e dai figli. La
connessione fra sessualità e società, come abbiamo già visto, è quasi inestricabile. Una delle
componenti fondamentali della società è la famiglia, ovvero quel gruppo dotato di tre caratteristiche:
 Trova origine nel matrimonio
 Consiste nel marito e nella moglie + i figli nati dalla loro unione + altri parenti che integrano
il nucleo centrale
 I suoi membri sono legati da vincoli legali, economici, religiosi e da una precisa rete di diritti
e doveri sessuali e non sessuali, nonché da sentimenti.

La famiglia, sin dagli albori dell’umanità, secondo Lèvi-Strauss è la forma misteriosamente


necessaria da cui viene ad esistere il tutto.
Nella società rurale e premoderna il matrimonio era finalizzato a tre obiettivi:
- La definizione dello status sociale
- La procreazione socialmente legittimata
- Il riconoscimento di un rapporto sessuale stabile

Nella società moderna il matrimonio perde la sua dimensione sociale in favore di una decisamente
più privata, finalizzata all’appagamento dei bisogni. I vari attacchi post-marxisti hanno indebolito
l’istituzione matrimoniale in favore di unioni per esperimento o a termine (companionship/ unioni di
fatto che testimoniano comunque l’esigenza di una sorta di istituzionalizzazione).

Inizialmente, e fino al XIX secolo, l’etica familiare era molto legata alle dinamiche della famiglia
patriarcale. Sulla base del quarto comandamento la manualistica stabiliva una “tavola dei doveri
coniugali e familiari”. Tutte le citazioni bibliche servivano a dimostrare la necessità del padre capo
di casa e della donna come donna di casa. Non si trovano molte connessioni con la realtà sacramentale
del matrimonio. L’aspetto positivo di questa visione era la consapevolezza che il matrimonio consiste
anche nell’assunzione di specifiche responsabilità.

La prima vera rivoluzione del magistero in materia di famiglia consiste nella riconduzione della vita
della coppia alla sua radice sacramentale (vd. “Evangelizzazione e sacramento del matrimonio” o
“Amoris laetitia”). In forza del sacramento del matrimonio gli sposi cristiani sono “quasi
consacrati”. Questa idea deriva dalla teologia di Scheeben, il quale annoverava il matrimonio tra i
sacramenti consacranti (battesimo, confermazione, ordine).
Giovanni Paolo II, in Familiaris consortio, illustra come il punto di arrivo della vita familiare è
diventare una comunità di vita e di amore.18
La famiglia è quindi una comunità di persone che nasce dall’amore e vive, cresce, si compie in
pienezza solo se sviluppa la comunione di amore tra tutti i suoi membri. Dal dinamismo iniziale
dell’amore tra uomo e donna (prima comunione) la mutua donazione e l’apertura alla vita permette il
formarsi di una comunione familiare (seconda comunione). I membri della famiglia hanno così la
grazia di sperimentare ogni giorno la comunione e la responsabilità di costruirla. Momento
fondamentale di costruzione della comunione è, come ribadisce GPII nella Lettera alle famiglie, lo
scambio educativo tra genitori e figli, nel quale ognuno dà e riceve.
Superando l’antico maschilismo il magistero ha cercato di promuovere e valorizzare la figura della
donna, oltre che naturalmente i diritti dei bambini e degli anziani nella famiglia.

18
GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio 17
L’amore coniugale non si esaurisce all’interno della coppia, ma si fa fecondo aprendosi alla vita. I
figli sono simbolo ed espressione dell’unità coniugale, essi sono un noi fatto carne. Il procreare è
cooperazione al creare di Dio. Il compito educativo per i genitori è un diritto-dovere, poiché
trasmettere la vita non è solo un avvenimento fisico. Questo compito è per i coniugi essenziale
(essenzialmente connesso con la sessualità umana), originale, primario (precede il compito
educativo di altri), insostituibile ed inalienabile. In questa educazione, che deve avvenire secondo il
principio di sussidiarietà19, rientra anche l’educazione alla sessualità e al rispetto del proprio corpo.
La famiglia ha infine il diritto di rivendicare il proprio spazio e la società è gravemente obbligata ad
attenersi a tale principio, come afferma Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno.

19
Deve integrarsi con altre strutture quali la Chiesa e lo Stato.
SEZIONE SECONDA: QUESTIONI ETICO PASTORALI
PARTE PRIMA: MATRIMONIO E FAMIGLIA

1. LA PATERNITÀ RESPONSABILE

L’amore coniugale è aperto al dono della vita. Gli sposi non trasmettono una vita qualsiasi, ma una
vita umana, una vita ad immagine di Dio. Il magistero parla di paternità o procreazione consapevole
o responsabile. Con la categoria di responsabilità ci si riferisce direttamente all’attitudine etica della
persona, cioè alla sua disposizione a rispondere all’appello dei valori nelle diverse situazioni. Su
questo tema è stata scritta l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI nel 1968. Il documento, che ha un
impianto personalista, chiede agli sposi di restare fedeli alla verità dell’amore coniugale, formulando
il principio di inscindibilità dei significati unitivo e procreativo.
Nell’ambito della regolazione della fecondità coniugale, al n°10, l’enciclica enumera alcune
dimensioni:
 Rapporto della coppia con la propria realtà corporea: rapporto solo la luce della conoscenza
e del rispetto di essa.
 Rapporto della coppia con le proprie dinamiche pulsionali ed emotive: energie da
accogliere, canalizzare e orientare.
 Rapporto della coppia con le effettive condizioni fisiche, economiche, psicologiche e
sociali: una decisione a favore o sfavore di una nuova nascita deve essere valutata anche sul
piano delle conseguenze positive o negative che ne deriverebbero.
 Rapporto della coppia con la chiamata (propria di ogni essere umano) a operare il bene
nella verità: non un bene astratto, bensì il bene che la coppia è chiamata ad attuare dal Signore
hic et nunc.

Il compito delle istituzioni pubbliche è quello di informare, educare, fornire orientamenti e far sì che
la scelta venga sempre rimandata, in libertà, agli sposi. Va comunque ricordato che uno stato non può
obbligare a limitare una crescita demografica con ogni modalità e che solo alcune sono accettabili.20
Le vie di attuazione del controllo delle nascite (birth control) o pianificazione familiare (family
planning) sono molteplici. I mezzi impiegati sono molteplici:

 Aborto (intercettivi, contragestativi e aborto chirurgico): i mezzi abortivi sono gravemente


lesivi dell’ordine morale poiché causano la morte di un innocente.21
 Sterilizzazione: altro mezzo gravemente immorale. Può essere sia maschile sia femminile
(vasectomia o elettrocoagulazione delle tube) ed è un intervento mutilante.
 Contraccezione: pur non avendo la gravità oggettiva dell’aborto e pur non avendo effetti
irreversibili come la sterilizzazione chirurgica non sono moralmente accettabili. Abbiamo
contraccettivi chimici (pillole anovulatorie), contraccettivi di barriera (condom) e
possiamo aggiungere il coitus reservatus (impropriamente detto coito interrotto). Essendo
mezzi di per sé contro il concepimento applicano una scissione positiva, diretta ed
intenzionale dei due significati cardine dell’atto coniugale, ovvero la dimensione unitiva e
procreativa. Da un atto che dice una incondizionata donazione-accoglienza dell’altro diventa
così un atto condizionato, carico di riserve e deformato nella sua pienezza antropologica.

20
A tal proposito Amoris laetitia 42, dove si condannano contraccezione, sterilizzazione e aborto.
21
GIOVANNI PAOLO II, Evangelium vitae 58-62
 Metodi naturali: consentono alla coppia di regolare la natalità inserendosi nei ritmi naturali
della donna, la quale nel ciclo ha tempi fecondi e tempi infecondi. I rapporti andrebbero quindi
effettuati durante i tempi non fecondi o agenesici.

Esistono tre tipologie di metodi naturali:


1. Metodi ritmici (metodo Ogino-Knaus): detto metodo del calendario, è abbastanza
inaffidabile. Si basa sulla presunzione che il ciclo mestruale di una donna sia regolare ogni
mese e che l’ovulazione avvenga al quattordicesimo giorno di ogni ciclo.
2. Metodo del muco cervicale (metodo Billings): durante il ciclo mestruale la mucosa che
riveste il canale cervicale dell’utero subisce modificazioni cicliche sotto l’influenza degli
ormoni ovarici. Sotto l’azione degli estrogeni il muco si dispone all’interno del canale
cervicale formando dei microscopici canali il cui diametro cresce con l’avvicinarsi
dell’ovulazione. Questi canali permettono agli spermatozoi di risalire il canale cervicale. Il
picco degli estrogeni, che determina il picco dell’LH e quindi l’ovulazione, si accompagna a
una fluidificazione del muco cervicale, che da alla donna una sensazione di bagnato a livello
dei genitali. L’ovulazione è quindi segnalata alla donna da un preciso sintomo fisico.
3. Metodo della temperatura basale (metodo termico): il progesterone, prodotto dall’ovaio
dopo l’ovulazione, raggiunge attraverso il circolo sanguigno anche l’ipotalamo, aumentando
la temperatura di 0,4-0,5°C rispetto ai valori precedenti l’ovulazione. Per verificare i momenti
di bassa fertilità occorre misurare la temperatura rettale, orale o vaginale al mattino e
registrarla su un apposito diagramma.

Obiezioni ai metodi naturali:


 Sono anch’essi metodi contraccettivi: poiché sono usati per lo stesso scopo dei veri
contraccettivi. Non è vero poiché non sono metodi che impediscono il concepimento, né che
tolgono la fecondità ad atti di per sé fecondi. Per non commettere peccato bisogna far sì che
un’intenzione retta (evitare una maternità che comporterebbe gravi problemi) sia
accompagnata da un metodo corretto.
 Tolgono spontaneità all’amore: l’equivoco basilare è identificare il rapporto sessuale come
unica espressione dell’amore coniugale. Esso invece è una delle forme di comunicazione
dell’amore. Inoltre un amore incapace di non rispettare e accettare l’astinenza sessuale è un
amore sospettabile.
 Sono metodi inaffidabili: i metodi odierni, soprattutto se combinati, hanno un indice di Pearls
che in condizioni ideali arriva intorno al 2-3%.
 Sono metodi difficili: se ci si riferisce alle difficoltà di apprendimento questo è falso. Se per
difficile si intende impegnativo invece è evidente che richiedano un maggior impegno rispetto
ai contraccettivi.
 Richiedono l’accordo e il dialogo della coppia: questo è vero. I metodi naturali sono più uno
stile di vita che un metodo tecnico di regolazione della natalità.

Per far comprendere a pieno questa visione il primo passo è innanzitutto aiutare i giovani a percepire
il valore della fecondità come frutto e segno dell’amore e del dono reciproco, andando contro la
diffusa mentalità antinatalista denunciata da Amoris laetitia 42.
Sempre questo documento, pur insistendo sulla necessità di ravvivare negli sposi il valore e il senso
della fecondità del loro amore, non ha mancato di intervenire delicatamente anche sulle modalità di
attuazione delle decisioni procreative, sottolineando il ricorso ai metodi naturali.
L’esperienza pastorale però insegna che esiste una grande confusione anche tra i fedeli più motivati.
A tal proposito la Congregazione per il clero, insegnò che le particolari circostanze che
accompagnano un atto oggettivamente cattivo, pur non potendolo trasformare in un atto virtuoso,
possono renderlo incolpevole, meno colpevole o soggettivamente difendibile. Infatti bisogna
sempre distinguere fra il piano oggettivo della verità morale e il piano soggettivo della percezione e
della praticabilità di essa. Illuminante in questo caso è la regola alfonsiana, la quale consiglia di non
illuminare un peccatore in buona fede (ignoranza soggettivamente invincibile) quando si sarebbe
sicuri che la scoperta di commettere peccato non modificherebbe la sua condotta. Naturalmente c’è
il dovere di illuminare il penitente quando dal suo comportamento derivasse una grave violazione (es.
aborto).
Anche se dal punto di vista oggettivo non potrebbe esistere un conflitto di valori, la morale cattolica
ci insegna che spesso nella praticità accade il cosiddetto conflitto di coscienza. In tal caso il primo
tentativo della coppia deve essere quello di armonizzare tutti i valori in gioco senza lederne alcuno e
solo nel caso in cui non fosse possibile agire secondo la logica del “Minus malum eligendum est” (il
male minore). Questa regola, da usarsi con cautela, non può comunque stravolgere beni fondamentali
come il valore della vita. Un esempio classico del principio del male minore è l’utilizzo o meno del
preservativo per una coppia di cui uno dei due coniugi è affetto da HIV.
Altro esempio è il ricorso a metodi anovulatori (e non abortivi) in caso di un rapporto sessuale in
seguito ad uno stupro.
2. RAPPORTI PREMATRIMONIALI

Tra i moralisti si è soliti distinguere i rapporti prematrimoniali in senso generico e in senso stretto.
- In senso generico sono tutti i rapporti sessuali prima del matrimonio e senza un necessario
riferimento ad esso.
- In senso proprio sono i rapporti sessuali completi che vengono attuati in vista del matrimonio (quindi
da persone che virtualmente hanno l’intenzione di sposarsi).
Mentre per il primo tipo di rapporto il rifiuto è unanime, per quanto riguarda la seconda tipologia c’è
qualcuno che sostiene che sia sufficiente la ferma volontà di sposarsi o che non ci si possa sposare in
seguito ad impedimenti esterni. Contro questa logica si scaglia Persona humana 7 che sottolinea che
per quanto sia fermo il proposito dei due, essi non sono protetti dalle fantasie e capricci né consentono
di realizzare la relazione personale che si viene a creare dopo la promessa matrimoniale. A conferma
di ciò interviene Paolo nella 1 Cor 7,9, dove sottolinea come unico luogo idoneo all’unione carnale è
il matrimonio. Matrimonio che non è un semplice atto cerimoniale, ma è un sacramento.

La castità dei fidanzati è il risultato di un’educazione all’amore che vuole far cogliere il senso della
comunicazione sessuale come linguaggio dell’amore, il quale può essere propriamente espresso solo
nel matrimonio. La Chiesa, visto l’incremento dei rapporti prematrimoniali, ha iniziato a proporre
una sorta di catecumenato dei fidanzati.
In sede confessionale è importante distinguere tra fornicazione semplice (fornicatio simplex), ovvero
il rapporto sessuale tra un uomo libero e una donna libera al di fuori di un rapporto stabile di coppia,
e rapporti prematrimoniali.
Per quanto riguarda i rapporti intimi tra fidanzati che vivono in castità, mentre in passato si divideva
tra parti oneste e disoneste il corpo, ora la Chiesa raccomanda di stabilire limiti precisi da rispettare
con responsabilità. La Congregazione per l’educazione cattolica nel documento “Orientamenti
educativi sull’amore umano” al n° 96 si esprime negativamente riguarda a “certe manifestazioni di
tipo sessuale che, di per sé, dispongono al rapporto completo senza però giungere alla sua
realizzazione”. Sono quindi da evitare in particolar modo pratiche come il necking e il petting.
3. I FEDELI DIVORZIATI E RISPOSATI

La crisi dell’istituto matrimoniale ha portato al crearsi di una serie di situazioni matrimoniali


cosiddette irregolari.
Per la dottrina cattolica l’amore umano tende alla perennità. L’indissolubilità del vincolo si radica,
secondo Trento, nel vangelo del matrimonio, cioè nella piena rivelazione e restaurazione del progetto
divino del matrimonio che è stata operata da Gesù. Il Signore, liberando l’uomo dalla durezza del
cuore, ha risanato le radici dell’amore.
Tra le ferite più profonde in materia di situazioni irregolari vi sono quella della riconciliazione
sacramentale e della comunione eucaristica. La Chiesa, nel corso degli anni, ha tentato vari approcci
per risolvere questa frattura:

 Approccio dogmatico-canonico: riguarda la questione del vincolo e della sua sussistenza.


Alcuni autori suggeriscono di introdurre la prassi dell’economia ortodossa, sfruttando la
clausola matteana e permettendo ai vescovi di giudicare l’idoneità o meno a conseguire
seconde nozze. Altri ancora hanno ipotizzato alla concessione di una dispensatio, al pari di
quella dai voti religiosi, come estensione dell’esercizio della potestas clavium vicaria sul
matrimonio rato e non consumato. Il potere della Chiesa però non comprende lo scioglimento
del matrimonio rato e consumato. Altri ancora hanno proposto di riconsiderare la nozione di
consummatio, introducendo il concetto di consumazione psicologica accanto a quello usuale
di consumazione fisica per estendere il campo dell’inconsumazione. Infine c’è l’ipotesi di don
Basilio Petrà che, partendo dall’idea che il vincolo matrimoniale non si sciolga completamente
nemmeno dopo la morte, ipotizza una sorta di dispensa al pari di quella concessa ai vedovi.
La via però effettivamente percorsa dal magistero è quella di discernere attentamente se il
vincolo nuziale è stato posto validamente. Infatti, mentre è impossibile sciogliere il
matrimonio, la Chiesa può accertarsi della sua nullità (constatando l’inesistenza di quel
vincolo e provandola in foro esterno)22. Papa Francesco, per facilitare questa procedura, ha
introdotto una via più breve con due decreti.
 Approccio pastorale (accompagnare, discernere, integrare la fragilità): esistono molte
situazioni dove un matrimonio, valido in partenza, lungo la strada fallisca. In molte di queste
situazioni una nuova unione si configura come una situazione di non facile gestione. I vescovi
italiani, in un documento del 1979, insegnavano che solo per gravi motivi era giustificata la
convivenza di questa nuova coppia (es. educazione dei figli). Queste coppie, va sottolineato,
non sono scomunicate e sono invitate a partecipare alla vita della chiesa. Essendo però
impossibilitate a ricevere l’eucaristia le strade da percorrere sono due: o si valorizza la
comunione spirituale o si intraprende un percorso con un sacerdote che valuti la situazione
soggettiva. Come sottolinea infatti Familiaris consortio 84, l’accesso all’eucaristia dei
divorziati risposati non è negato, ma si chiede di evitare scandalo nella comunità cristiana e
di impegnarsi a non avere rapporti sessuali. La convivenza, è evidente, è sia situazione di
scandalo che di tentazione, per questo accedere ai sacramenti da divorziato è particolarmente
difficoltoso. In ogni caso il pentimento, per quanto permetta l’accesso ai sacramenti, non può
comunque portare a un riconoscimento in foro esterno della coppia irregolare.

22
Il Can 1095 stabilisce chi è incapace a contrarre il matrimonio.
Altro aspetto che la pastorale matrimoniale non può lasciar passare inosservato sono le crisi
matrimoniali. Queste devono essere affrontate secondi i verbi:
 Prevenire: la prevenzione inizia dall’educazione familiare, parrocchiale e scolare ad
accogliere la propria sessualità come potenzialità d’amore. Le coppie e le famiglie vanno
accompagnate durante tutto il loro percorso e soprattutto nei primi anni di matrimonio.
 Curare: data la vastità di famiglie in crisi, richiede una mobilitazione congiunta e articolata
di forze e di interventi che spesso necessita itinerari lunghi e faticosi.
 Accogliere: accogliere e accompagnare chi vive in situazioni diversamente irregolari, come
ad esempio giovani coppie che convivono.
SEZIONE SECONDA: QUESTIONI ETICO PASTORALI
PARTE SECONDA: DISORDINI SESSUALI

1. LA MASTURBAZIONE

Per masturbazione si intende la manipolazione diretta o indiretti, tramite strumenti, degli organi
genitali finalizzata all’ottenimento del piacere dell’orgasmo al di fuori dell’unione sessuale.23
Fenomeno diffusissimo, specie in fase adolescenziale, è più frequente nella popolazione maschile che
femminile. Innanzitutto bisogna tenere presente i diversi contesti nei quali la pratica si colloca:
 Masturbazione infantile: più frequente verso gli 8-10 anni, prevale la ricerca della
gratificazione fisica, mancando la consapevolezza del significato sessuale dell’atto.
 Masturbazione adolescenziale: legata alle tipiche dinamiche psicofisiche della pubertà e si
accompagna solitamente a fantasie erotiche. È spesso effettuata a scopo compensatorio e può
anche protrarsi in età adulta e senile, anche in contemporanea all’esercizio della sessualità.
 Masturbazione compulsiva: comportamento masturbatorio frequente e incoercibile, sintomo
di una patologia psichiatrica o più spesso appartenente alla volgarmente detta “sex addiction”.
Il DSM IV24 non ha una categoria nosografica distinta che corrisponda alla sex addiction, ma
sotto la denominazione generica di “disordini sessuali non altrimenti specificati” ne descrive
i sintomi.

Ben diversi sono i casi di masturbazione in seguito a flogosi ai genitali o di masturbazione su


indicazione medica.

Se per gli antichi la masturbazione non destava particolari problemi etici i primi problemi sorgono
con la religione ebraica. L’unico testo dell’AT dove forse si parla di masturbazione è Sir 23,16-17.
L’episodio di Onan (Gen 38), erroneamente ricollegato alla masturbazione, invece parla di coitus
reservatus.
Nel NT non si parla mai di masturbazione, perché l’interpretazione di malakòi di 1Cor 6,9 come
coloro che si masturbano non è più accettata.
In ogni caso la tradizione ha sempre condannato la masturbazione in quanto opposta alle finalità
generative del sesso. Con i penitenziali medievali vediamo una particolare attenzione al fenomeno, il
quale è trattato con pene più miti rispetto ad altri peccati sessuali.
Il Liber Gomorrhianus di San Pier Damiani dell’XI secolo accosterà la masturbazione degli adulti
alle pratiche sodomitiche (quindi tra le pratiche contro natura), poiché distingueva tra peccati che
comportavano una dispersione di seme al di fuori dell’unione procreativa e dentro questa unione.
San Tommaso invece attua una duplice prospettiva per giudicare i peccati sessuali: il retto uso del
piacere sessuale e la conformità dell’atto alle dinamiche della natura umana. La polluzione volontaria
viola entrambi questi criteri (deformitas) e viene chiamata per questo immunditia o mollities.
La morale post-tridentina, molto attenta alla casistica, si incentrò sulla tematica del piacere e sul retto
uso dei piaceri, andando quindi a condannare la masturbazione poiché usufruendo di questo piacere
l’uomo non avrebbe più cercato il piacere con la donna. Novità però di questo periodo fu l’attenzione
al fenomeno masturbatorio non solo degli adulti, ma anche dei bambini e degli adolescenti.

23
Vedi anche il CCC 2352
24
“Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” redatto dalla American Psychiatric Association. Or. ing.
“Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”
Se nel XVIII secolo l’ossessione antimasturbatoria passo dalla morale alla medicina, nel XIX secolo
l’onanista sarà definito come un “tipo umano degenerato”. Sarà S. Freud invece a sostenere la
positività della masturbazione infantile nell’ambito dello sviluppo normale della sessualità. Dalla
seconda metà del XX secolo si è poi verificata una completa inversione di tendenza che ha sostenuto
la necessità della masturbazione come mezzo per conseguire la salute sessuale.
Sotto questi influssi alcuni teologi hanno provato a legittimare la masturbazione, asserendo che solo
nel caso in cui il soggetto cedesse deliberatamente ad un’autosoddisfazione chiusa in sé stessa
(ipsazione) si può parlare di peccato. Contro questa opinione sia Persona humana 9 che il CCC 2352
hanno definito la masturbazione “un disordine morale grave”. Il primo documento contesta l’idea che
la normalità statistica fornisca un appoggio per stabilire la normalità morale dell’atto.
L’atto masturbatorio è illecito perché lede la natura relazionale del linguaggio sessuale ed inoltre
contraddice l’insegnamento che non si può disgiungere l’esercizio della sessualità genitale dal
contesto dell’amore coniugale.

Dal punto di vista pastorale, se oggettivamente l’atto è immorale, soggettivamente può esserci una
attenuazione del carattere deliberato dell’atto. Persona Humana 9 in questo fa un’analisi molto lucida,
asserendo che soggettivamente non sempre si da colpa grave, anche se l’assenza di grave
responsabilità non deve mai essere presunta.
Naturalmente vanno affrontati diversamente il caso di un adolescente che si masturba da un adulto, o
addirittura da un adulto sposato. Non crea problemi morali invece il caso in cui la stimolazione dei
genitali del coniuge o propri sia finalizzata non alla soddisfazione masturbatoria, ma al
raggiungimento di un’adeguata eccitazione sessuale cui segua un atto coniugale integro.
Nel caso di un candidato al presbiterato occorre verificare se il comportamento masturbatorio sia
indice di immaturità affettiva o se indichi l’emergere di una differente vocazione.
Nel caso della raccolta del seme per scopi medici sarebbe meglio l’utilizzo di uno speciale vibratore,
altrimenti l’atto masturbatorio è tollerato quando è necessario per evitare un grave danno alla salute
e/o non fosse possibile ricorrere a metodi eticamente più sicuri.
2. L’OMOSESSUALITÀ
Il termine omosessuale fu coniato dall’ungherese K.M. Kertbeny nel 1869 e designa una persona che
nutre un desiderio sessuale verso un essere umano del suo stesso sesso. Si può parlare anche di
omofilìa o di omotropìa con riferimento all’orientamento di omogenitalità e di omoerotismo in
relazione al comportamento. Negli omosessuali genuini non si hanno palesi alterazioni di natura
fisica, al contrario di quanto si verifica nel transessualismo.
L’orientamento omosessuale si presenta con alcuni caratteri costanti:
- attrazione molto forte, talora dall’infanzia, verso persone del medesimo sesso
- poca o nessuna attrazione erotica verso persone di sesso opposto (spesso nei bisessuali la tendenza
omosex tende progressivamente a prendere il sopravvento)
- desiderio a livello immaginativo di compiere atti omoerotici

Oggettivamente si può dire che sono omosessuali esclusivi per tutta la vita circa il 2-3% dei maschi
e l’1,5/2% delle femmine. Oltre a questi esistono gli omosessuali transitori, accidentali (consumo di
alcool o droghe), sintomatici (malati psichiatrici) ed infine comportamenti omosessuali accettati per
diverse finalità.
Da sempre l’uomo si chiede quale sia la causa dell’omosessualità. I greci rispondevano con il mito
dell’androgino. Aristotele, nell’Etica nicomachea, affermava che fare l’amore con i maschi non
costituisce per natura una forma di piacere consono all’essere umano ma esistono casi in cui esso
viene ricercato. Egli riteneva che l’inclinazione omosessuale fosse incolpevole, anche se viene
giudicata dallo Stagirita una piccola infermità.
Ai nostri tempi si fronteggiano teorie di tipo biologico e di tipo psicologico:
 Biologico: ipotesi psicoendocrina, che si fonda sull’azione degli ormoni sessuali sull’encefalo
del fedo. Le cause sarebbero di tipo immunitario e genetico.
 Psicologico: ad esempio l’ipotesi analitica di Freud che collega l’omosessualità maschile con
un blocco della maturazione psicosessuale in fase edipica.

L’omosessualità nella storia non è sempre stata vissuta allo stesso modo. All’interno del mondo greco
era frequente la pederastia anche se aveva più i tratti della pedofilia/efebofilia. Riguardo agli adulti
c’era una certa tolleranza, l’importante era non esercitare il ruolo passivo nell’atto sessuale.
A Roma la pederastia greca era vista con ostilità, mentre era rimasta la tolleranza dell’omosessualità
attiva.
Al contrario del mondo greco-romano l’ethos giudaico ha sempre rifiutato l’omosessualità in ogni
forma. I due passi del Levitico appartenenti al codice di santità, Lv 18,22 e Lv 20,13, definiscono
l’omosessualità come to’ebah (abominio). Questo termine definisce ciò che è impuro e causa
l’impurità (è inoltre usato spesso in contrasto con le usanze dei gentili). Altri passi dove si può parlare
di omosessualità sono l’episodio di Sodoma e Gomorra (Gen 19) ed Ez 16,48-50.
L’identificazione del peccato dei sodomiti con l’omosessualità si deve a Filone Alessandrino.
Nel NT i testi in materia sono 1Cor 6,9 con i termini malakòi e arsenokòitai, 1 Tm 1,9-10 e Rm 1,
26-27. Il testo della prima corinzi è incerto; la vulgata traduce i termini con molles e masculorum
concubitores. Sembra che il primo termine si riferisca ai passivi, mentre il secondo a uomini che
giacciono con altri uomini. Il brano di Romani invece condanna sia l’omosessualità maschile che
femminile, definendoli contro natura.
Nella letteratura patristica le parole di condanna più forti sull’omosessualità furono scritte da S.
Agostino e da San Giovanni Crisostomo, i quali sostenevano che l’omosessualità era contro natura.
Queste idee influirono anche nella legislazione civile. Altra importante testimonianza ci viene dai
penitenziali, come quello di San Colombano, dove viene trattato il peccato commesso dai sodomites.
Il problema dell’omosessualità non riguardava solo laici, ma anche consacrati. Nell’XI secolo,
accanto al problema del concubinato ecclesiastico, fu anche affrontato il problema dell’omosessualità
nel clero. San Pier Damiani, nel suo Liber gomorrhianus, denuncia proprio questa situazione.
Dopo la condanna da parte del concilio ecumenico Lateranense III, San Tommaso fece la sintesi di
tutto il pensiero tradizionale in materia. Ispirandosi all’Etica nicomachea giunge alle conclusioni
opposte di Aristotele, ovvero che l’atto omosessuale, in quanto derivante da un’inclinazione contraria
alla regola della natura umana, costituisce il parossismo dell’intemperanza. Fra i peccati contro
natura sono da ritenersi più gravi la bestialità, il vizio sodomitico ed infine il peccato contro natura
compiuto fra uomo e donna (rapporto anale).
Nel XVI secolo Pio V continuò la condanna dell’omosessualità con le bolle Cum Primum del 1566 e
Horrendum illud scelus del 1568.
Fino al XIX secolo la condanna dell’omosessualità, per quanto costante, è sempre una condanna alle
pratiche omosessuali e mai all’individuo inteso come gay. Dalla seconda metà dell’800 infatti si è
imposta la comprensione del comportamento omogenitale come patologia psichica.
Il XX secolo ha stravolto completamente le interpretazioni precedenti dell’omosessualità grazie a tre
elementi:
 L’autonomizzazione della funzione ludica del sesso rispetto alla funzione procreativa
 L’esasperazione della contrapposizione fra natura e cultura e la minimizzazione della
rilevanza dell’elemento biologico-somatico della sessualità umana hanno permesso il rifiuto
del sesso (dato fisso) a favore del genere (struttura flessibile e plasmabile)
 La liberazione dell’eros dovuta alla rivoluzione sessuale

Grazie alla spinta della cultura gay si è giunti a negare che l’omosessualità rappresenti una deviazione
rispetto alla normalità, affermando che essa è semplicemente una variante minoritaria. Nel DSM-III
del 1973 non appariva più l’omosessualità come categoria diagnostica. A ruota seguirono l’OMS e
l’ICD-10. Nonostante così influenti prese di posizione il dibattito è tutt’ora molto acceso, come
testimonia il libro “Omosessualità, una nuova prospettiva” di Masters e Johnson.

Come la visione personalista adottata dalla Chiesa ci insegna, l’uomo è immagine di Dio nella dualità
di maschio e femmina ed entrambi sono stati creati per riprodurre nella propria esistenza il modo
divino di essere, il modo della comunione e dell’amore. La corporeità, nel suo essere sessuata, è in
qualche modo l’incarnazione del progetto divino di due esseri fatti per la comunione. Qui sta il limite
intrinseco dell’omosessualità, poiché la donazione totale può avvenire unicamente nell’apertura al
pienamente altro da sé. Alla relazione omosessuale manca la possibilità stessa di diventare
pienamente sponsale.
Il primo intervento del magistero post-conciliare in materia si ha con Persona Humana 8 del 1975
che divide tra omosessuali transitori o guaribili e omosessuali strutturali o inguaribili. Si afferma
inoltre che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati.
Scritto con intento pastorale è invece il documento “Orientamenti educativi sull’amore umano” del
1983. Il documento più organico in materia è però “La cura pastorale delle persone omosessuali” del
1986. In questo documento vengono sconfessate le branche che volevano rendere l’omosessualità
tollerabile ed accusate le tattiche demagogiche dei gruppi omosessuali. Alle persone con questa
tendenza viene indicata l’astinenza sessuale.
Il CCC, nei numeri 2357-2359, riprende sinteticamente l’intero magistero. Il catechismo sottolinea
come l’omosessualità sia una condizione oggettivamente disordinata (ammettendo implicitamente
che non sia soggettivamente disordinata e che costituisce per la maggior parte di essi una prova).
Per quanto riguarda la tematica delle unioni omosessuali la questione è stata affrontata nel documento
“Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni omosessuali” del 2003. In esso
viene stabilito che esistono diritti e beni che debbono essere garantiti anche alle persone omosessuali,
ma che è inammissibile una qualsivoglia forma di “matrimonio omosessuale”.
Amoris laetitia aggiungerà che è inaccettabile che le chiese locali subiscano pressioni in questa
materia.
Anche per quanto riguarda il permesso all’adozione la chiesa si è sempre espressa con parere
fortemente negativo, mancando infatti nella coppia omosessuale la necessaria dualità uomo-donna.
Inoltre gli studi in materia sono poco affidabili per poter cambiare radicalmente gli insegnamenti
proposti attualmente.

È evidente in ogni caso come l’approccio pastorale nei confronti degli omosessuali sia quantomeno
delicato. Nelle comunità cristiane sono presenti ad esempio omosessuali credenti che vivono la
propria condizione in modo angosciante e conflittuale (omosessuali egodistonici), arrivando poi a
forme di acting out.25
In sede di counselling pastorale sarà importante discernere se l’atto omosessuale è stato frutto di una
causa particolare oppure se fa parte proprio della tendenza dell’individuo.
Di fronte all’omosessualità è sempre utile tener presente la legge della gradualità, la quale non deve
essere confusa con la gradualità della legge. La persona omosessuale sarà invitata, passo dopo passo,
alla continenza. Nei riguardi della vita consacrata l’omosessualità non è una condizione invalidante,
anche se si deve dimostrare di riuscire a padroneggiare le proprie pulsioni.

25
Spinti da una tensione interiore fortissima cascano in incontri furtivi per poi cadere in tormentosi sensi di colpa.
3. LA PEDOFILIA

La pedofilia fa parte dell’universo delle parafilie e rappresenta una delle tante violenze psichiche e
fisiche a cui sono sottoposti i bambini. Mentre l’abuso sessuale è il coinvolgimento di bambini e
adolescenti in attività sessuali che essi non comprendono e che pertanto subiscono, la pedofilia si
designa comunemente come ogni tipo di interesse sessuale, di regola protratto e ricorrente, da parte
di un adulto, nei confronti di bambini e/o bambine.26

Gli antichi greci riconoscevano la possibilità di una relazione tra un adulto e un giovinetto, anche se
al centro di tale rapporto la sfera sessuale non c’era la sfera sessuale, ma l’educazione del ragazzo.
I Romani invece rifiutarono questa tradizione greca, guardando con diffidenza il mos graecorum.
L’atteggiamento negativo della Chiesa verso la pedofilia è testimoniato nel 305 dal concilio di Elvira,
che negava la comunione anche in punto di morte. Nel VI secolo invece l’imperatore Giustiniano
puniva questi comportamenti con castrazioni punitive. Nel matrimonio però permaneva la possibilità
per un uomo adulto di sposare una bimba che avesse appena raggiunto gli anni nubili.
Durante il medioevo i libri poenitentiales includono spesso norme per chi abbia commesso peccati
sessuali con ragazzi, parlando di stuprum e di rapporti in terga.
Dal XV secolo si avrà una maggiore attenzione per i bambini. Nel XVI secolo Michel de Montaigne
sviluppò il tema dell’innocenza puerile e della necessità della sua tutela.
Sigmund Freud infine spiegò non solo la presenza di pulsioni libidiche già nell’infante, ma anche le
motivazioni degli atteggiamenti perversi in alcuni adulti.
Nonostante questa continua e strenua condanna la modernità assiste oggi a fenomeni dilaganti come
la pedopornografia e la diffusione del turismo sessuale.

Dal punto di vista psicologico e psichiatrico è difficile trovare una interpretazione univoca del
fenomeno. Il Diagnostic and statistic manual of mental disorders, alla sua terza edizione nel 1980
(DSM-III) circoscriveva la pedofilia all’attività sessuale tra adulti e prepuberi o all’attività di fantasia
su questo tema (si richiedeva inoltre che questi atti andassero a costituire un sistema esclusivo o
ripetutamente preferito per raggiungere l’eccitazione sessuale).
Il DSM-IV colloca la pedofilia tra le parafilie, ovvero i disturbi del comportamento sessuale
caratterizzati dal fatto che l’oggetto sessuale è improprio (un tempo si sarebbe parlato di deviazioni
o perversioni). Inoltre sottolinea come questi comportamenti causano disagio clinicamente
significativo e compromissione sull’area sociale.27
Il DSM-V specifica che per poter parlare di pedofilia la vittima deve avere al massimo 13 anni, mentre
il soggetto pedofilo almeno 16 anni e deve avere 5 anni di differenza da chi subisce. I pedofili possono
essere di tipo esclusivo (attratti solo da bambini) o di tipo non esclusivo. Gli atti compiuti vanno dal
vedere il bambino nudo, al masturbarsi di fronte ad esso fino al rapporto vero e proprio. Alcuni
soggetti minacciano il bambino affinché non parli.
La lettura fornita da Freud del fenomeno è quella che il pedofilo sceglie il bambino perché non è in
grado di sostenere un rapporto con un adulto di sesso opposto, non avendo superato la fa edipica ed
essendosi fermato a quella pre-edipica. J. McDougall sostiene invece che bisogna distinguere il
comportamento perverso dalla persona che lo compie, vedendo nel primo un modo per trovare un
ordine psicologico e un equilibrio sessuale. Pu rilevando il profondo narcisismo e l’asimmetria
presente nell’atto di un pedofilo, queste posizioni soggiacciono l’idea che la pedofilia sia un
comportamento “quasi” normale, o almeno necessario al soggetto.

26
Nel caso di ragazzi e/o ragazze nel primo periodo della pubertà si parla di efebofilia.
27
Il DSM-V del 2014 mantiene questa linea parlando del disordine pedofilo.
Esistono infatti una serie di gruppi che puntano a normalizzare alcune relazioni di tipo pedofilo,
sostenendo che la pedofilia è in realtà una sociopatia e proponendo la fruizione della cosiddetta
pedofilia controllata. Tra questi in particolare sorgono i gruppi come la Danish Pedophile
Association e la Child Liberation.

3.1 VALUTAZIONE ETICA DEGLI ATTI PEDOFILI


La specifica malizia morale della pedofilia si comprende alla luce di alcuni valori portanti della
sessualità come la corporeità ed il linguaggio espressivo utilizzato. Il valore dell’uguaglianza e della
libertà nella relazione esclude ogni ricorso alla violenza, al ricatto o all’intimidazione ed inoltre esige
il consenso del partner. Naturalmente, oltre ai problemi fisici di vario tipo, l’abuso lascia nel bambino
anche ingenti danni psicologici.
Un problema morale, tipico delle situazioni patologiche psichiatriche, è la valutazione della libertà
e della consapevolezza dell’abusatore. Al di fuori della personalità patologica, la responsabilità deve
essere sempre presunta. Certo è però che nessuno sceglie di essere deviato e che spesso tale
atteggiamento può risultare compulsivo o necessitato dalle situazioni. In ogni caso queste non
possono essere minimamente giustificazioni per tollerare un tale comportamento.
Il trattamento del pedofilo parte dal riconoscimento del problema e dalla comprensione della
pericolosità degli atteggiamenti compiuti. Successivamente possono essere proposti dei trattamenti
terapeutici (che però non sono sempre efficaci) accompagnati da un programma di reinserimento
sociale. Mentre un tempo si proponeva la castrazione (che oggi sarebbe effettuata
farmacologicamente), soprattutto in maniera punitiva, attualmente la comunità scientifica non ha
compreso a pieno se può essere risolutiva.
In materia di violenza sessuale sussiste solitamente il dovere di denuncia, non essendo infatti in questi
casi valido il segreto professionale.

La legge canonica già inseriva la pedofilia tra i delicta graviora, ma la normativa è stata inasprita con
il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela del 2001 di Giovanni Paolo II.28 Il legislatore ha
aumentato l’età sanzionabile come pedofilia a 18 anni, includendo quindi sia i minori che i cosiddetti
“grandi minori”. In base al motu proprio l’organismo competente per giudicare i delicta graviora è la
Congregazione per la dottrina della fede. Ogni volta che un superiore ha notizia, almeno verosimile,
di un atto di pedofilia da parte di un chierico, dopo aver svolto un’indagine, è obbligato a segnalarlo.
Questi procedimenti sono soggetti al segreto pontificio per salvaguardare la privacy dei coinvolti.
Benedetto XVI, con le nuove norme De gravioribus delictis del 2010, ha velocizzato le procedure,
incluso la possibilità di avere come membri dei tribunali anche i laici, equiparato i minori a soggetti
con handicap mentale e soprattutto introdotto il reato relativo alla pedopornografia.
In Italia le leggi che normano la lotta alla pedofilia sono la legge 269/98 e la legge 38/2006, la quale
contiene le disposizioni per la lotta allo sfruttamento sessuale dei bambini online.

28
Andando ad integrare il già esistente canone 1395.
4. I DISORDINI DELLO SVILUPPO SESSUALE

Sotto la denominazione generica di stati intersessuali venivano raccolte situazioni molto diverse, per
cui oggi si predilige il termine “disordini dello sviluppo sessuale”. I genitori e i medici che si trovano
di fronte a queste situazioni devono spesso prendere scelte determinanti per il futuro di una persona
dal sesso incerto. Gli antichi spesso si riferivano a queste situazioni con i termini androgino e
ermafrodita. Questi disordini sono generalmente classificati in:
 Disgenesie gonadiche: si hanno compromissioni variabili a carico delle gonadi, ma il sistema
dei dotti e dei genitali esterni è in accordo con il sesso gonadico. Le più comuni sono dovute
a difetti di tipo cromosomico: per le donne la sindrome di Turner e per gli uomini la sindrome
di Klinefelter. La Turner consiste nella presenza di un solo cromosoma X (assetto
cromosomico 45,X0 dovuto a delezioni di parti importanti del cromosoma X) ed ha
un’incidenza di 1 su 2500 femmine. Solitamente le ovaie sono ridotte a benderelle fibrose,
utero e tube sono poco sviluppati in età adulta, non compaiono le mestruazioni, i genitali
esterni mantengono tutta la vita un aspetto infantile e la struttura corporea resta bassa. La
Klinefelter invece comporta la presenza di due cromosomi X invece che uno (47,XXY). I
soggetti, pur se di sesso maschile, presentano testicoli piccoli e incapaci di produrre
spermatozoi e spesso la ginecomastia.
 Pseudoermafroditismi: Nei soggetti con assetto cromosomico femminile (XX) e gonadi
femminili normalmente funzionanti uno dei disordini più comuni è la virilizzazione dei
genitali esterni per eccesso di androgeni nella vita prenatale e/o postnatale, ovvero l’iperplasia
surrenale congenita. Questa malattia si può presentare in 5 diversi stadi, il cui primo è
praticamente irriconoscibile rispetto alla normalità mentre il quinto presenta fusioni delle
grandi labbra e notevole ipertrofia clitoridea. Questo comporta anche una sorta di
virilizzazione del corpo, anche se l’identificazione dei soggetti solitamente avviene in senso
femminile.
Nel caso di un cariotipo maschile (XY) possono presentarsi numerose ed eterogenee anomalie
dello sviluppo sessuale. Un quadro molto delicato è quello della resistenza agli androgeni
che può essere totale (AIS) o parziale (PAIS). Il caso estremo è quello della sindrome di
Morris, dove pur presentando un cariotipo XY il corpo è esternamente uguale a quello di una
bambina. Con la pubertà si sviluppa una vagina a fondo cieco, mammelle, totale mancanza di
peli ma sono presenti dei testicoli ritenuti nel canale inguinale (e sono assenti tube e utero).
L’aspetto femminile è dovuto all’estrazione dell’estradiolo, un estrogeno prodotto dai
testicoli, che qui però si trova ad operare indisturbato poiché gli androgeni non possono essere
assorbiti dal corpo del soggetto. Spesso si ricorre ad una plastica vaginale per poter permettere
una vita sessuale soddisfacente. Queste persone si sentono a tutti gli effetti donne.
Altro caso è quello del deficit dell’enzima 5 alfa reduttasi che impedisce la formazione del
diidrotestosterone. Alla pubertà si assiste alla virilizzazione (prima del tutto ostacolata da
questo deficit) e molto spesso ad una reidentificazione da sesso femminile a sesso maschile.
 Ermafroditismo: si ha la coesistenza di strutture testicolari e ovariche. I genitali esterni
possono essere ambigui o differenziati in senso prevalentemente maschile o femminile. In
generale si riscontra un soma prevalentemente maschile o femminile. L’impulso sessuale è
scarso e l’identità di genere e l’orientamento sessuale sono ambigui.

Nell’antichità il diverso è sempre stato eliminato, specie se si manifestava una situazione di questo
tipo. La società infatti era estremamente divisa in maschi e femmine. Per stabilire la sessualità un
ermafrodito poteva essere ascritto ad un sesso o all’altro in base al criterio del sexus prevalens,
accertato mediante un’ispectio corporis. Era evidente la doverosità di una scelta in senso o maschile
o femminile.
Ai nostri giorni, con la crisi di questo sistema binario, sono comparse le rivendicazioni dei diritti degli
intersessuali, che si definiscono un vero e proprio “terzo sesso”. Se è vero che affrontare certi tipi di
interventi (demolitivi e ricostruttivi) rappresenta un grave trauma, è altrettanto vero che essere
riconosciuto in modo univoco come maschio o come femmina è un diritto del bambino, il quale se
allevato in ambiguità potrà avere gravi ripercussioni psicologiche.

La scelta del sesso di appartenenza è quindi una operazione da affrontarsi il prima possibile. Se
nell’antichità questo si basava su dati somatici, nel XIX secolo le scoperte fisiologiche indussero a
scegliere come criterio la presenza e le funzioni esercitate dalle gonadi maschili e femminili. Negli
anni ’50 si è poi introdotto, con la genetica, il criterio dell’assetto cromosomico.
La concezione attuale della sessualità come realtà strutturante della persona nella sua unitotalità
impedisce di ricorrere ad un criterio esclusivamente fisico-biologico. Il sesso di una persona deriva
dal concorrere di molteplici fattori fisici e psichici che sono tra loro armonizzati. Per effettuare una
scelta bisognerà quindi tenere presenti sia gli indici somatici (sesso fenotipico, gonadico) che gli
indici psichici (identità di genere e ruolo di genere).
L’intervento terapeutico in questi casi non è solo ammissibile, ma doveroso. In caso di diagnosi
precoce ci si può permettere di instaurare una terapia medica risolutiva, come ad esempio nel caso
dell’iperplasia surrenale congenita somministrare del cortisone. Per quanto l’educazione sia un fattore
importante le teorie di Money, che davano ad essa un ruolo determinante, si sono rivelate inesatte,
rendendo de facto il criterio della praticabilità29 da lui proposto una scelta inadeguata.
Nei casi in cui non può essere agevole prendere una decisione la definizione chirurgica non può essere
dettata dalla fretta, poiché bisogna evitare di fare danni più grandi che andrebbero a ledere il best
interest del bambino.

Nel caso della sindrome di Morris, in cui c’è una discordanza insanabile tra sesso fenotipico e sesso
genetico e gonadico, la dottrina canonistica sostiene la inammissibilità alle nozze del soggetto, in
quanto incapace di costituirsi come partner pienamente complementare in una relazione
eterosessuale.

29
Criterio della praticabilità: ricostruire i genitali ambigui secondo quanto era più agevole tecnicamente.
5. I DISTURBI DELL’IDENTITÀ DI GENERE

Si tratta di un quadro psicopatologico complesso che causa alla persona molta sofferenza e che
presenta aspetti delicati sia dal punto di vista biomedico sia etico.
La sessualità umana, colta nella sua globalità, deriva dall’articolarsi di caratteri istologici, anatomici,
fisiologici, ma anche psichici e comportamentali che si realizzano poi nella costituzione delle
modalità di esistenza che noi chiamiamo mascolinità o femminilità. L’appartenere ad uno dei due
sessi è un fattore fondamentale della nostra identità personale, la quale viene prima dell’orientamento
sessuale. Sin dall’infanzia si definiscono in ciascuno di noi l’identità di genere (cioè l’autopercezione
di sé come maschi o femmine) e il ruolo di genere (cioè i comportamenti che vengono messi in atto
dal soggetto per far sì che venga identificato dagli altri o come maschio o come femmina).
La componente affettiva dei disordini dell’identità di genere viene chiamata disforia di genere.
Questa può presentarsi come semplice disagio o insoddisfazione per il proprio sesso biologico ed
essere accompagnata dal desiderio di avere un corpo o i connotati del sesso opposto al proprio.
L’entità nosografica più rappresentativa, la sindrome transessuale, è stata individuata nel 1949 da
D.O. Cauldwel. Il DSM-III includeva nei disordini psicosessuali il transessualismo e il disordine
dell’identità di genere dell’infanzia. Il DSM-IV per evitare confusioni ha eliminato nel 1994 il termine
transessualismo, distinguendo i disordini del bambino, dell’adolescente o adulto e i disordini
dell’identità di genere non meglio altrimenti specificati.
Il DSM-V ha abbandonato il termine disordine, parlando invece di disforia di genere. Il soggetto così
facendo vede accentuato il primato dell’autocoscienza sul proprio corpo e smette di essere considerato
un malato.
Benché il termine transessualismo non sia più presente si continua ad usarlo quando si ha un conflitto
tra sesso corporeo e sesso psichico. Il transessuale adulto ha la ferma convinzione di essere in realtà
del sesso opposto. Il forte senso di disagio e rifiuto del proprio sesso biologico per un tempo
prolungato, in assenza di altri disturbi mentali, permettono la diagnosi di transessualismo
nell’adulto. Questa tendenza va distinta dal travestitismo a doppio ruolo e dal travestitismo
feticistico.
Nell’universo trans sta inoltre emergendo il gruppo dei transgender, soggetti che considerano
assumere permanentemente il ruolo sociale opposto al proprio sesso, ma senza effettuare interventi
atti a modificare i propri genitali.
Riguardo all’eziologia del transessualismo si discute sulla reale incidenza dei fattori biologici e
psicologici. Vista la compresenza di entrambi gli elementi e la profonda integrazione che esiste
nell’uomo tra soma e psiche, si può parlare di cause psicobiologiche.

5.1 QUESTIONI MORALI NELLA TERAPIA DEI TRANSESSUALISMO


Il problema principale è quello degli interventi per ottenere il cosiddetto cambiamento di sesso.
Una vera terapia del transessualismo dovrebbe riuscire a ricucire la frattura creatasi e restaurare
l’armonia tra le componenti biologiche e quelle psicologiche. Di fronte al fallimento della
psicoterapia, l’unica soluzione che si prospetta è quella della correzione del fenotipo. La legge che
in Italia regola questa materia è la 164/1982: “norme in materia di rettificazione di attribuzione del
sesso”. Dopo un’adeguata esplorazione psicologica e almeno due anni di prova nel sesso desiderato
(real life test), si procede all’intervento. Il successo di questi interventi però non sempre garantisce
un miglioramento della condizione psicologica, infatti si ha almeno il 4% di pentimento dopo la
chirurgia correttiva.

L’esasperazione della contrapposizione fra natura e cultura e la negazione della rilevanza


dell’elemento biologico somatico hanno condotto ad un rifiuto del sesso come realtà data e rigida in
favore del genere. L’antropologia cristiana contrappone a questa visione la sua concezione di uomo
come spirito incarnato, che esiste in e attraverso un corpo segnato a ogni livello dalla sessualità.
L’uomo è una armoniosa unitas multiplex. È chiaro quindi come ogni intervento sulle dimensioni
somatiche non coinvolge solo un elemento accidentale (un accidens), ma le radici stesse dell’esistente
concreto (la totalità dell’essere). Il personalismo ci porta quindi a rifiutare ogni giustificazione degli
interventi di correzione del sesso fenotipico che si fondano su teorie sessuologiche e antropologiche
che identificano il sesso della persona con l’identità di genere. È impossibile giustificare gli interventi
di correzione in base al primato dell’autocoscienza.
Al massimo, secondo il principio di totalità, si potrebbe sacrificare una parte (organo sessuale) per
sanare il tutto (benessere psicofisico). Però, come faceva notare Elio Sgreccia, visto che l’essenza
della patologia non risiede nel corpo, ma nella condizione mentale, e che questa non cambia in seguito
all’intervento, non è possibile appellarsi a questo principio. La vera terapia della malattia è quella
psichiatrica. L’unico modo in cui è moralmente tollerabile che venga eseguito un intervento di
correzione del fenotipo è il caso in cui, fallita la terapia psichiatrica, il paziente mostrasse segni
evidenti di suicidio o altri gravissimi danni psicologici. Per evitare quindi un danno maggiore (la
morte), si procede con una terapia palliativa che non cura, ma attenua, il disagio psicofisico, ovvero
l’azione chirurgica. Il cambiamento dello stato anagrafico non comporta a livello canonico il
cambiamento nei registri parrocchiali e diocesani.

5.2 TRANSESSUALI E MATRIMONIO CANONICO

Chiedendosi innanzitutto se una persona transessuale dopo l’intervento sia capace di contrarre il
matrimonio la risposta è certamente negativa. A prescindere dal consenso in ogni caso il soggetto
operato reca soltanto le parvenze del sesso desiderato. Il matrimonio infatti prevede una
complementarietà psicofisica del maschio e della femmina che vanno così a costituire una comunione
di persone (costituendo così una caro, una persona coniugalis). La qualitas heterosexualis è
sottolineata nel CIC al numero 1057, asserendo tra i prerequisiti essenziali al matrimonio la diversitas
sexus. Il problema del sexus dubius è nettamente superiore a quello della potentia dubia (Can 1084),
che invece non costituisce impedimento.
Altra questione è quella della validità del matrimonio di una persona che al momento del sacramento
non presentava i sintomi, ma che in un secondo momento invece presenta. Se si può dimostrare, in
fase di giudizio, che la malattia era già operante, è molto probabile che esso sia invalido.

In caso di correzione del sesso dopo il matrimonio ci si interroga sulle conseguenze sul patto
coniugale. A livello civile, in Italia, mentre nel 1982 veniva sancito lo scioglimento dei coniugi, nel
1987 viene lasciata la possibilità di conservare lo stato coniugale.

5.2 TRANSESSUALISMO, ORDINE SACRO E PROFESSIONE RELIGIOSA


Naturalmente questo grave disturbo ha effetti anche su questi argomenti. Uno dei prerequisiti per una
valida ordinazione è il vir baptizatus, quindi tutti i transessuali non sono idonei. Infatti questo termine
non suppone solo l’essere maschi, ma anche aver sviluppato pienamente e congruentemente la propria
sessualità fisica. Mentre esiste un diritto al matrimonio, non esistendo un diritto all’ordine, anche solo
in caso di dubbio non si deve procedere all’ordinazione. L’ordinazione, in caso di scoperta della
patologia in un secondo momento, è molto probabilmente da ritenersi invalida. È comunque certo che
il soggetto vada dispensato dagli ordini sacri e che se decidesse di sottoporsi ad intervento
incorrerebbe anche in una violazione dei can. 1044 e 1041. Per un transessuale operato non sembra
possibile l’ingresso ad un ordine religioso in virtù della patologia psicologica di cui soffre (can 642).
I transessuali non sono esclusi dall’eucaristia e dalla penitenza, rientrando di diritto tra i christifideles.

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