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LESAMERONE
DI
SAN BASILIO MAGNO
VOLGARIZZATO
DALL’AB. JACOPO BERNARDI
DOTTORE IN FILOSOFIA, PROFESSORE NEL VESCOVILE SEMINARIO DI CENIDA
E SOCIO DI VARIE ILLUSTRI ACCADEMIE.
VENEZIA,
co’ TIPI DI CIO. CECCHINI E COMP.
044 ,
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OMELIA I,
NEL PRINCIPIO IDDIO FECE IL CIELO E LA TERRA.
Premettere la esposizione di quelle cose che tra
le visibili furono le prime ad essere
create, è principio
convenientissimo a colui che sta per descrivere la mi-
rabile tessitura dell’universo. Quindi ne viene che tosto
dobbiamo occuparci della creazione del cielo e della ter-
ra, la quale non nacque già alla ventura come finsero
alcuni, ma da Dio stesso trasse l’origin sua. Y’ha dun-
que orecchio che sia degno d’ascoltare la grandezza di
ciò che dimostrerassi ? Havvi un’anima fornita dell’ ap-
parecchio adatto alla sublimità della scienza eh’ è per
accogliere ? Sì, quella eh’ è scevra da tutte inclinazioni
carnali, che non è per nulla impedita dalle cure di que-
sto mondo, e per ciò stesso è agile, è valevole a scruta-
re la natura delle cose, e guardare attentamente d’intor-
no a tutto che valga ad offrirle un’immagine della divi-
nità non indegna. Pria però di farci a pesare con assai
diligenza il giusto valore delle parole, e pria di svolgere
gli alti concetti in queste brevi espressioni contenuti,
consideriamo chi sia colui che ne parla ;
poiché
per quantunque per la fiacchezza del nostro intelletto
non potrem rilevare a fondo i sentimenti dello scrit-
tore inspirato j
pure dopo di aver conosciuta 1’ autorità
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,
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di lui, verremo traiti ad ammettere di buon animo
quanto egli dice. 1/ autore adunque di questa storia è
Mosò, quel Mose clic ben si conosce come fanciullo an-
cora di latte tornasse caro al Signore, che fu dalla figlia
di Faraone tenuto in conto di suo e in regai foggia edu-
cato, dandogli a maestri i più sapienti che vi fossero
tra gli Egiziani :
quel Mosè, che abborrendo il fasto del-
le corti discese all’ umile condizione plebea, ed amò
meglio travagliare col popolo di Dio, che gettarsi per
alcun tempo in braccio di colpevole volullade : che sor-
tì dalla natura tale un profondo sentimento della giusti-
zia, che prima ancora che gli si affidasse il comando
sopra la nazione ebrea, mostrò a prova di perseguire i
tristi fino alla morte per ingenito sdegno contro l’iniqui-
tù. Quel Mosè che scacciato da coloro che avea ricolmi
di beneficii, di buon grado lasciando il vivere tumultuo-
so degli Egiziani, e nell’Etiopia raccogliendosi, depose
quivi del tutto ogni altra cura, e trascorse quarauta anni
interi nella contemplazione ;
che nell' ottantesimo anno
dell’ età sua vide Iddio, come uom può vederlo, anzi
come niun mai secondo la stessa parola di
altro lo vide
Dio che dice Se in mezzo di voi suravvi alcun Profeta
:
io, il Signore, mi darò a conoscere a lui in visione e gli
parlerò in sogno , non però al modo che tengo inverso
il mio servo Mosè , eli è il più fedele di tutta la mia ca-
sa, poiché parlo a bocca a bocca con lui ed a veduta e
non con maniere oscure (i). Ne viene da ciò che am-
messo anch’egli, non altrimenti che gli angeli, a vedere
la faccia del Signore, ne ripete quello che apprese dalle
labbra stesse di Dio. Ascoltiamo dunque le parole della
verità proferite uou già secondo le persuasive della sa-
(1) Numeri c. XII r. 6.
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J
pienza umana, ma secondo gl’insegnamenti dello spirilo,
il cui line non sono gli elogi di quelli che ascoltano, sib-
bene la salvezza di quelli che vengono ammaestrati.
Nel princìpio Iddio Jece il cielo e la terra. La mia
orazione si ferma sulla forza meravigliosa di codeste pa-
role. Ma che dirò in pria? d’onde trarrò principio al
mio ragionare? faromini a ribattere i vani argomenti
degl’increduli o ad encomiare le solenni verità della no-
stra fede? I sapienti delia Grecia discorsero mollo in-
torno alla natura delle cose, ina non vi fu sistema che
tra loro fermo e invariabile si conservasse, mentre get-
tava la nota di antichità sopra quello che il precedeva.
E quindi inutile di trattenerci a confulare le finzion loro,
se bastano esse medesime a scambievolmente distrug-
gersi. Vi furono infatti di quelli che disconoscendo Iddio
non vollero concedere che una causa intelligente presie-
desse al nascere delle cose, ma partendo da questa prima
loro ignoranza traevano le conformi conclusioni. Per lo
che alcuni ripetendo l’origine di tutte cose dagli ele-
menti di codesto mondo, ricorsero a cause materiali -, al-
tri poi s’immaginarono che dagli atomi e da’ corpi sem-
plici ogni natura visibile le grandi masse e i vuoti spa-
zii originando si componesse; ed aggiunsero or dalle
particelle strettamente congiunte, or dalle stesse separa-
te di nuovo, aver origine il generarsi e il corrompersi
delle cose, e dal più forte congiungimento degli atomi
tra di loro la più lunga sussistenza de’ corpi nella me-
desima natura dipendere. Que’ che scrivono di tal guisa,
e legano la formazione del cielo, della terra e del mare
a’principii poveri tanto e manchevoli, van propriamente
ordendo una tela di aragno che non giungono mai u
:
dire:Fu Iddio che da principio Jece il cielo e la terra.
Quindi è che per codesta ignoranza della divinità che
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ritrovasi in essi, caddero nel gravissimo errore di rite->
nere che l’universo ricevendo dal caso ogui suo impul-
so, sia così alla ventura mantenuto e governato. Perchè
dunque non avvenga anche di noi, quegli che si fece
ciò
a descrivere l’ origine del mondo lìn dalle prime parole,
illuminò la nostra mente dicendo: Nel principiojece Id-
dio. Oh coni’ è bello quest’ordine! Comincia con appor-
vi la parola principio, perchè alcuno non argomenti che
di principio il mondo sia privo: indi soggiugne creò, per
addimostrare che le cose create sono una manifestazion
piceiolissima della potenza del creatore, e di quella guisa
infatti che il vasellajo col medesimo artificio compone
innumerevoli orciuoli, nè per ciò scema il potere o l’ar-
te di che è fornito -, così l’ autore di questo mondo in se
ritrovauna potenza creatrice che in esso mondo unica-
mente non si restringe, ma lo trascende in infinito, e
bastò un alto del suo volere perchè fossero formate le
prodigiose opere che ne circondano. Che se il mondo
ebbe principio e fu crealo, ne viene che tosto si muova
in traccia di lui che gli diede Tessere e lo creò} perchè
poi rintracciandolo con umani argomenti non si vada
lunge dal vero, con opportunissimo avviso ne previene
imprimendo negli animi nostri quasi antidoto e suggel-
lo il nome Eccelso di Dio, mentre dice: In principio
creò Iddio L’Essere . felice, la Bontade suprema, l’Amo-
re di ogni creatura ragionevole, la Bellezza desideratis-
sima, il Principio di tutte cose ch’esistono, il Fonte del-
la vita, la Luce dello spirito, la Sapienza inaccessibile:
Questi nel principio Jece il cielo e la terra.
Non è dunque a pensarsi, o uomo, che alcuna di
quelle cose che tu vedi sia priva del suo principio} e
perchè v hanno di quelle nature che a seconda del muo-
versi del cielo son tratte in giro, nè ci è dato di scorge-
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re co'sensi, per quantunque acuti, il principio di cotesto
movimento, non devi argomentare per ciò eh’ essi corpi
in continua e circolar danza ravvolgentisi manchino di
principio. E questo circolo a foggia di figura piana chiu-
sa entro una linea sola per modo che soltraggesi all’oc-
chio nostro, e non ci è dato di vedere o d’onde comin-
ci o dove abbia il suo termine, non devesi giudicar inai
privo di principio; poiché sebbene il senso noi ricono-
sca, pure è d’uopo che abbia cominciato da alcuno che
vi pose il centro, e poscia con intervallo determinato lo
circoscrisse. Quindi anche tu, allorché vedi che i corpi
tratti in giro ritornano là donde partirono, non dei pen-
sar falsamente che per questa equabilità di moto che
non soffre interrompimento di sorta vengano a mancare
di principio e di fine *,
poiché sen passa la figura di
questo mondo e passeranno
,
il cielo e la terra ( i ). II
concetto infatti che primamente nella scienza inspirata
si manifesta, ne dà come dogma irrefragabile il muta-
mento e la consumazione del mondo : Nel principio Id-
dio creò. Ne segue pertanto di necessità che quanto eb-
be origine nel tempo, nel tempo stesso perisca intera-
mente, e dove le cose abbiano avuto un principio tem-
poraneo, non lasciano dubbio alcuno sul fine. E che sono
adunque la geometria, i calcoli aritmetici, le indagini
intorno ai solidi e la tanto celebrata astronomia, se non
una vanità faticosissima quando vadano errando sì lunge
dal vero scopo? Stabilirono essi, gli operosi cultori di
codesti studii, che il mondo visibile è sempiterno egual-
mente che Dio creatore dell’universo, attribuendo così
al mondo circoscritto da limiti e formalo di altrettanta
materia compatta quella gloria medesima che alla invisi-
(1) Ai Cor. VII. 51. S. Mali. XXIV. 35.
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bile ed incomprensibìle natura di Dio si conviene. Ed è
pur mollo che non abbiano potuto accorgersi, che men-
tre le parti soggiacciono a mutazione e corrompimento,
è necessario che anche il tutto venga una volta a soggia-
cere alle vicende medesime delle sue parti. Così oltre
misura vaneggiarono ne'proprii pensamenti e T insensa-
to lor cuore intenebrassi, e mentre dicevano di essere
sapienti divennero stolli ( i ) a tale che molti affermaro-
no il Cielo aver goduto della eternità stessa di Dio, e
molti essere il Cielo stesso il Dio senza principio e sen-
za fine e la provvidissima causa di tutte cose modera-
trice.
Questa dovizia poi di terrena scienza tornerà loro
di maggior condanna ;
poiché, mentre viddero mollo ad-
dentro nelle vane cose di questo mondo, volontariamen-
te chiusero gli occhi in faccia alla veritade. D'onde ne
venne che quelli che sanno misurare le distanze degli
astri e stabiliscono quali ci si mostrino risplendenti, qua-
li posti a settentrione o verso il polo australe rivelino
la propria luce agli abitanti di quelle contrade, mentre
a noi si nascondono ; che in ispazii innumerevoli divi-
dono l'aquilonar latitudine e il circolo zodiacale, e se-
gnano con tutta esattezza il volgersi, la permanenza, il
declinare degli astri e il ritorno loro al primiero movi-
mento, e sanno con precisione il tempo impiegato dal-
f erranti comete a compiere il proprio corso; costoro
dicea non ritrovarono un'arte sola eh e quella di ricono-
scere Iddio come creatore dell universo, e giudice infal-
libile ed equo rimuneratore delle azioni umane, nè vol-
lero acconsentire nel pensiero della dissoluzione confor-
me al retto giudicio della scienza, la quale ben vede che
(1) S PjoIo ai tvom. 1. 21.
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il mondo necessariamente deve cangiarsi, s’è d'uopo che
Tanime tutte passino ad altro modo di vita. Come poi
nel vivere d’oggidì havvi una natura che si pone in ar-
monioso accordo cogli oggetti di questo mondo, così la
maniera di vita che godranno in avvenire le anime no-
stre sarà del tutto conveniente alla nuova lor condizione.
Ma tanto sono lunge dallo adoperarsi nello studio di co-
deste verità, che anzi con aperte derisioni si scagliano
sopra di noi, quando parliamo della distruzione di que-
sto mondo e del rinnovamento del secolo. Essendo poi
secondo l’ordine della natura che sia pósto il principio
prima di quelle cose che da esso derivano, così anco lo
scrittore inspirato dovendo discorrere di ciò che nel
tempo ha ricevuto la sua esistenza, alle altre tutte pose
innanzi l’ espressione che lo significasse, dicendo : nel
principio fece.
Egli è poi verosimile che prima di questo mondo
vi fosse alcuna cosa da potersi pure immaginar col pen-
siero, ma non descrivere a parole, nè opportuna alla
mente di quelli che vengono ammaestrati e sono nel-
l’ atto dello intendere tuttavia fanciulli. V’era una con-
dizione di cose più antica della origine del mondo, a-
datta a delle nature tutto celesti, superiore ad ogni tem-
po, immortale ed indefletti bile j
in essa adunque il gran
mastro e creatore di tutto diede l’essere a molte opere mi-
rabili, a quella luce spirituale che beu si conviene alla
beatitudine di coloro che amano il Signore, alle ragione-
voli ed ed agli ordini di quelle intel-
invisibili creature
ligenze che di gran lunga superano il corto nostro vede-
re e di cui non sapremmo neppur comprendere il no-
me. Per tal guisa furono compiute le opere della crea-
zione nel mondo invisibile giusta l’ammaestramento di
Paolo, allorché dice : Che nel Verbo si crearono tulle
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lo
cose visìbili ed invisibili , i Troni , le Dominazioni , *
Principati, /e Potestà , le Virtù (i), gli eserciti degli an-
geli, le sovranità degli arcangeli. Finalmente conveniva
che alle esistenze di già create si aggiugnesse questo
mondo, perchè opportuno allo svi-
in pria fosse luogo
luppo e all’educazione dell’ anime degli uomini, indi
perchè si conformasse ad ogni altra opera in modo che
tornasse come ricetto adatto a tutto ciò che nel mutuo
generarsi e corrompersi sussiste. Quindi è che a questo
mondo, e agli animali e alle piante che riproduconsi in
esso mirabilmente si accorda la successione del tempo
che sempre incalza, trapassa, nè mai ristassi dal proprio
corso. Non si può forse dire del tempo, che la parte di
lui che passò è di già svanita, che la futura ancor non
esiste,e la presente è pria passata che dall’ atto di av-
vertimento riconosciuta? E
tale appunto è la natura
delle cose che furono create nel tempo, poiché stanno
sempre o sul crescere o sul decadere, nè trovansi mai
in una manifesta ed invariabile permanenza. Fu dunque
convenientissimo che le nature degli animali e delle pian-
te, che per necessità sono tratte ad un certo modo di
trascorrere, e vanno soggette ad una vicenda continua
di produzione e corrompimento, sortissero l’esistenza
loro nel tempo fornito della proprietà al mutarsi delle
cose conforme. Bene pertanto colui, che sapientemente
ne insegna l’ origine del mondo, cominciò la narrazione
intorno ad esso, dicendo : Nel principio fece, cioè nel
principio stesso del tempo. Nè è già che, quando dice
che il mondo si fece nel principio, voglia farci intende-
re eh’ esso mondo è la più antica delle cose create men- \
tre invece ne afferma die le visibili e sensibili creature
r; ov f (
(1 ) S. paolo ai Colos*. t 1*?°
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cominciarono dopo le invisibili e spirituali ad esistere.
Nè certamente ignorate darsi il nome di principio an-
che al primo impulso delle azioni, per cui sta scritto :
il principio della via di salvezza è operare la giusti-
zia (i)-, e sono appunto le opere di giustizia che le prime
ci spingono alla beatitudine. Poi per principio s’ inten-
de anche ciò che serve di base ad alcuna cosa e con essa
medesima necessariamente coesiste, come nella casa le
fondamenta, come nel naviglio la carena, giusta il cui
sentimento si disse : il principio della Sapienza è il ti-
mor santo di Dio (2) :
poiché la pietà è la base e quasi
l’appoggio fondamentale della perfezione. Anche l’arte
è il principio delle opere dell’ industria, onde si dice
che il savio accorgimento di Beseleele fu il principio a-
dornatore del tabernacolo. Anzi il fine stesso degli utili
imprendimenti non di rado si converte in principio del-
le azioni j da cui ne viene che a buon dritto si dice, che
il desiderato acquisto dell’ amicizia di Dio è il principio
della elemosina, e che il fine delle promesse è il princi-
pio di qualunque azione virtuosa.
Che se la parola principio può assumere cotesti
sensi diversi, vorrei che attendeste, s’ella potesse al mon-
do sotto ciascun d’essi convenire. E in pria potreste
conoscere il tempo in che questo mondo ha comincialo
ad esistere, se rimontando dalla presente etade alle tra-
scorse, vi adopraste a rintracciare il dì primo della ori-
gine sua. Per questa via vi sarebbe dato di giugnere là
d’ onde il tempo ha ricevuto l’ impulso primo ,• di poi
scoprireste che il cielo e la terra gli servirono per così
dire di base e di fondamento, che a prova di grande in-
dustria, come suona il significato della parola principio,
(1) Proverbii XVI. 5
(2) Proverbi! I. 7.
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ne viene quella ragione che presiede all’ordine e ador-
namento di tutte cose visibili. Finalmente comprende-
reste che il mondo non fu nè alla ventura, nè indarno
architettato, sibbene ad un fine sapientissimo e di gran-
de vantaggio alle creature. Serve esso infatti di scuola al-
le anime fornite di ragione, ed è il luogo in cui si ac-
quista la conoscenza di Dio, poiché per mezzo delle co-
se soggette ai sensi e visibili si conduce quasi a mano
l’ intelletto alla contemplazione delle invisibili, di che
ne assicura l’apostolo stesso, ove dice Inesistenze imi- :
sibili per le cose fatte visibili dalla creatura terrena co-
gli occhi si veggono dell intelletto (i). Potrebb’essere
fors’anco, eh’ essendosi adempiuta quell’opera in un i-
slante e fuor d’ogni intervallo di tempo, per ciò si di-
cesse : Nel principio creò mentre ,
il principio è un in-
divisibile e spoglio allatto d’ogni dimensione. Come in-
fatti il principio della strada non è la strada, nè il prin-
cipio della casa non è ancora la casa, così anche il tem-
po principio tempo non solo non è il tempo, ma
del
neppure del tempo una minutissima parte. Che se alcu-
no posto in sul contendere venga a dirci, che il princi-
pio forma parte del tempo, sappia egli che dovrà anche
dividersi nelle parti del tempo stesso, c che queste sono
il principio, il mezzo, il fine. Ma pensare il principio del
principio è cosa affatto ridicola. Clii poi separandolo bi-
partisce il principio, invece di uno ne farà due, anzi
molti ed infiniti, poiché ciò che fu diviso una volta si
potrà sempre suddividere in appresso. Perchè dunque
venissimo ammaestrati che il mondo per volere divino
cominciò senza intervallo alcuno di tempo ad esistere,
si disse: Nel principio fece. Laonde alcuni altri inter-
preti cercando di rendere più chiaro il senso in questo
(1) S. Paolo ai Romani I. 20.
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luogo, dissero: Sommariamente (i) quanto
fece: cli’è
dire subito e di lancio. Ma basti del principio, perchè
s’ abbia a discorrer poco intorno alle molle cose che ci
si offrono.
Alcune delle arti si dicono operatrici, alcune pra-
tiche, altre speculatrici. Le hanno per fine
speculatrici
l’esercizio della mente ; le il movimento
pratiche poi
del corpo, cessato il quale non v’ ha più nulla, nè riman
nulla a vedersi; quindi è che il fine dell’arte della dan-
1
za e del suono svanisce, poiché l azione ha in se mede-
sima il proprio limite. Per lo contrario nell’arli operatri-
ci, cessando anche l’azione, rimane l’opera ;
lo che può
vedersi nei lavori del muratore, del falegname, dell’in-
cisore, del tessitore e di qualunque altro genere di co-
deste arti, le quali, mancando anche l’artefice, mostrano
in se medesime l’industre virtù operativa; sicché dopo
il lavoro possiamo ammirare il muratore, il fabbro, il
tessitore. Perciò sapientemente Mosè a dimostrare che
il mondo è di tale industre artificio che si pone dinanzi
gli occhi di tutti perchè lo veggano, e per esso argomen-
tino della sapienza dell’artefice, non usò espressione di-
versa da quella che parlando intorno ad esso conveniva, e
disse Nel principio fece. Non disse nè operò, nè infor-
:
mò, ma fece. E perchè molti di quelli che pensarono
essere il mondo fornito della medesima eternità di Dio,
non vollero acconsentire che da Dio si facesse : ma ri-
tennero invece che quasi adombramento della divina po-
tenza da se medesimo pigliasse per una cotale cieca vir-
tù nascimento, e mentre confessarono che Iddio n’ era
la causa, non la riconobbero però volontaria, ma della na-
tura ch’è il corpo rispetto all’ ombra, la sostanza lumino-
sa rispetto alla luce; perciò il Profeta toglie fin dalle
(1) Nel greco sla scritto «» xeyaiouw.
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prime cotesto errore usando di quelle accuratissime c-
spressioni : Nel principio fece Iddio Nè Iddio fu sola-
mente la causa che il mondo fosse, ma come buono il
fece utile, come saggio il fece bello, come onnipotente
il fé’ grande, e ne par di vedere l’Eterno fabbro quasi
pervadere la sostanza di tutte cose, compor nello assie-
me ciascuna parte, e formare del mondo universo un ac-
cordo, un armonia, una sola bellezza. Nel principio fece
Iddio il cielo e la terra. Colle due ultime parole volle e-
sprimere la sostanza dell’orbe tutto, e al cielo diè la
preferenza nell’origine, dimostrando che venia seconda
la terra. Che se tra queste due esistenze ve ne ha alcun’
altra di mezzo, ella fu certamente tra i limiti delle due
accennate e insiem con esse creata. Per lo che quantun-
que non abbia pur fatto cenno degli altri elementi, cioè
del fuoco, dell’acqua e dell’aria', pur tuttavia, ove la ra-
gion ne soccorra, dobbiamo intendere che tutte cose
trovaronsi da prima in una funzion simultanea, e dob-
biam rintracciare l’aria, l’acqua, il fuoco nella terra. Guar-
diamo infatti alle pietre e vedremo uscire scintille-, guar-
diamo al ferro che tragge auch’esso dalla terra l’origin
sua, e vedremo che nell’attrito ei manda fuori in gran
copia il fuoco. E qui nou è fuor di luogo il considerare
come il fuoco inerente a’ corpi sen rimanga senza alcun
loro danno entro nascosto, e come al contrario non sì to-
sto è tratto fuori che strugge gli oggetti nelle cui visce-
re si custodiva. Gli scavatori de’ pozzi ci additano che
la natura acquea è congenita alla terra, ed i vapori che
si elevano dalla terra medesima pria inumidita, indi ri-
scaldata dal sole ne provano che non le sconviene ne
anco la natura dell' aria. E
se il cielo per naturale dispo-
sizione occupa la superior parte, e la più bassa la terra,
se le cose tutte leggiere tendono al cielo, e le gravi dal
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proprio peso vengono tratte alla terra, se tra loro sono
estremamente contrarie la superiore e l’inferior parte;
ne viene che avendo fatta menzione di cose per natura
estremamente opposte, siensi con esse in cumulo ricor-
date anche quelle che occupano la regione di mezzo. Non
si ricerchi quindi il novero di ciascuna partitamente,
ma in quelle che furono espresse s’intendano comprese
anche le altre che si passarono sotto silenzio.
Nel principio fece Iddio il cielo e la terra. Le in-
dagini che mai si movessero intorno alla essenza indi-
viduale delle cose, sia di quelle che sono oggetto della
nostra contemplazione, sia delle altre che cadono sotto
ai nostri sensi, porterebbero in questa nostra interpre-
tazione un discorso assai lungo e diffuso troppo :
poiché
nello scioglimento di questo problema occorrerebbero
forse più parole che non occorrano nelle ricerche di quan-
te sono le altre questioni che ne vengono singolarmente
proposte. Si aggiugne poi che non tornerebbe a vantag-
gio alcuno per la Chiesa il tempo consumato in queste
lunghissime discussioni. Intorno alla essenza del cielo è
quanto basta ciò che ne accenna Isaia, il quale con sem-
plici parole ne offerse di esso un’idea sufficientemente
chiara, ove disse: Iddio distese e stabilì il cielo a guisa
difumo (i), eh’ è quanto dire, per la formazione del
cielo non creò già una sostanza solida e di natura crassa,
ma lieve assai. Che se parliam della forma è bastevole
ciò ch’egli medesimo disse glorificando il Signore Ch'e- :
dificò il cielo alla foggia di una tenda (i). Del resto poi
venendo anche alla terra cerchiamo di entrare in que-
sta persuasione medesima che non dobbiamo investiga-
:
re troppo curiosamente la sostanza di lei, nè stancarci
(1) Isaia LI. 6.
(2) Isaia XL. 22,
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16 •
il pensiero nel correr dietro nelle ricerche di un sogget-
to che in molte sue parti ne sfugge. Nè, ove la esaminia-
mo, la riterreui mai come una esistenza spoglia di qua-
lità o priva di quelle che alla sua naturale costituzione
convengano ;
ma invece vorremo essere convinti, che
quante sono le qualità che cadranno sotto degli occhi
nostri, tutte sono legate alla ragione del suo esistere ed
entrano a rendere completa l’essenza sua. Di per
fatto se
via del ragionamento ci affaticassimo di togliere ad una
ad una le proprietà che le furono impartite, la finirem-
mo propriamente in nulla ; poiché ove le si levasse l’esse-
re suo di opaca, fredda, grave, densa, e così le qualità
relative al gusto, o le altre che in essa apparissero, qual
soggetto mai rimarrebbe ? Non sono adunque di parere,
che lasciati da un canto cotesti accidenti, si deva muo-
vere in traccia dell’appoggio sopra cui stanno; mentre
di questa guisa l’ intelletto come per subito offuscamen-
to perturbcrassi, e il raziocinio non ghignerà mai ad un
fine determinato. Che se diceste l’ aria essere sottoposta
alla gran massa terrena, dovreste poi intricarvi molto a
provare come avvenir possa che una sostanza cedevole
ed estremamente leggera resista al sopraccarico di tanto
peso e non piuttosto si sperperi da tutte parli, scappan-
do alla continua pressione dell’ ampia mole, e via via
sovr’ essa che la comprime raccogliendosi. Che se inve-
ce affermaste al di ne
sotto della terra trovarsi l’acqua,
viene medesima inchiesta, come un corpo grave e
la
compatto non penetra l’acqua, ma con tutta la sua pe-
santezza da tal altro, eli’ è assai più lieve, sostentasi? In-
uopo che rintracciaste l’ appoggio dell’ ac-
di sarebbe d’
qua, e di nuovo inutilmente affaticarvi a spiegare il
modo con che l’ ultimo suo fondo esser potesse da un
sostegno solido e resistente suffulto.
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17
Che se v’ immaginaste un altro corpo più grave e
compatto della terra che servisse alla terra stessa d’ im-
pedimento a cadere, dovreste di necessità immaginarne
un altro di simile che questo secondo sostenesse, nè per-
mettessegli la caduta. E se poteste inventare anche il
terzo per porlo al dì sotto, per esso pure la nostra men-
te addi manderebbe un sostegno, e così andremmo al-
1
l infinito, escogitando sempre nuovi fulcri oltre i già ri- .
trovali. E quanto più lunge ci spingiamo colla ragione,
tanto è maggiore la forza che siamo costretti a ritrovare
perchè resista e.' sostenga e valga a reggere al peso di
tutte le moli sovrapposte. Quindi ricordatevi di porre
un limite ed una giusta misura alla vostra mente, affin-
chè il detto sentenzioso di Giobbe non torni a rimpro-
vero di voi che cercate di penetrare i misteri incompren-
sibili •, ed a voi pure non si muova cotesta inter^ogazio^-
ne: Sopra che sono siale affondate te' basi della ter-
ra ( i ) ? Che se tal fiala udirete ne’ salmi lo ho poste :
ben salde le sue colonne ( 2) ;
ritenete che si diede il
nome di colonne a quella virtù che tiene ferma nei limi-
ti, che le furono segnati, la terra. E quel dirsi: Appog-
giò la terra sopra dei mari (3), che altro, siguiGca mai
se non l'acquea sostanza che tutta intorno intorno l’av-
volge ? Come dunque '
l’ acqua eh’ è fluida c tende al
basso di sua natura, riman sospesa e mai non discorre ?
Nel muovere la dimanda non avvertiste certamente, che
il rimanersi sospesa che fa di per se stessa la ferra per
la sua più rimarchevol gravezza, ingenera alla dubbia ra-
gione una medesima se non maggiore difficoltade. Sia
poi che concediamo la terra sussistere di pei* se stessa,
(1) Giobbe XXXVIII. 6.
(2) Salmo LXXIV. 4.
(5) Salmo XXIII. 2.
5
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18 .
sia che affermiamo essere lanciata sopra dell* acque, non
potreni mai dipartirci da quel religioso sentimento che
ne guida a conlessare, che tutte cose insieme sono dalla
potenza del creator sostenute. Pertanto sì a noi, che a-
gli altri i quali c’ interrogassero del fulcro cui poggi il
gravissimo ed importabile peso della terra, è d’ uopo
che rispondiamo: I cardini della terra sono posti nelle
mani di Dìo (i). Questa è la via sicurissima per ben
intendere e che non può non persuadere chi ascolta.
Alcuni poi degli studiosi della natura con grande
sfoggio di parole si mettono a provare che per molte
cause la terra dee rimanersi immobile.
perchè E in pria
sortì il metà dell’orbe, e non vi
suo proprio posto alla
ha ragione per cui deva piegare a questa o a quella par-
te, trovandosi da tutti gli estremi e da ciascun lato c-
gualmente distante. Che se quanto le sta d’ attorno for-
ma dovunque una perfetta eguaglianza, se per essa non
Ve motivo d’inclinazione che sia, conchiudono che di
necessità deve riposare sopra se stessa. Provano di più
che la terra non andò ciecamente e alla ventura ad oc-
cupare il mezzo dell’universo, mentre codesta situazio-
ne era a lei naturale e necessaria •, e dicono : occupando
i corpi celesti e di qua e di là in giro le regioni estre-
me, ne segue che qualunque peso giù piombi dalle su-
perne sfere venga da ciascun luogo al medesimo centro
portato: ed è poi certo che dove si traggono le parli,
ivi sarà tratto anche il tutto. E se le pietre, le travi, e
tulle altre cose terrestri allo ingiù precipitando qui si
raggrupperebbero, qui pure dev’essere il sito convenien-
te a tutta quant’ è vasta la gran massa della terra: se
poi alcun che di lieve a lei di mezzo si aderga, senza
(1) Salmo XCIV. A.
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f .
più prenderà la via del cielo. E legge adunque dei gra-
1
vi che nel proprio movimento tendano all ingiù j
ma noi
abbiamo di rimostrato che il più basso fondo per essi è la
metà dell’orbe. Non vi meravigliate pertanto se la terra
non cade mai, poiché la ragione sta nell’ aver sortito il
centro alla sua natura conforme, e conveniva che, o se-
condo il modo intrinseco dell’esser suo rimanesse fer-
ma in quel luogo, o da quel luogo per forza in opposi-
zione alla sua natura si rimovesse. Se tra le cose poi che
furono dette ve ne apparvero alcune degne di approva-
zione, rivolgete la meraviglia vostra alla sapienza di Dio,
che provvidamente l’ordine dispose di tutte cose, chè
sì
lo stupore che si desta iu faccia alle opere più sorpren-
denti non deve diminuirsi per nulla, come siasi ritrova-
ta la maniera con che qualche parte di tante meraviglie
adempiessi. Se meno, la semplicità della fede abbia in
se quel vigore, che non hanno le dimostrazioni dal più
* * '
acuto ragionar derivate. V • •
Le medesime cose vorrebbero essere ripetute ri-
guardo al eielOj ove ci •fèrmassimo a discorrere delie
strepitosissime e verbosissime ipotesi che furono dai
sapienti della terra intorno a questo argomento propo-
ste. Alcuni affermarono èhe fosse un risultato della com-
posizione de’qualtro elementi, come quello che cade sptr
to a’sensi del tatto e della vistale partecipa della terre-
na sostanza nella solidità, dell’ignea nell’aspetto, e delie
altre pel vicendevole inesColaqnentò. Altri poi rigettata,
colesta opinione come inverosimile cercarono d’intro-
durre una quinta natura corporea ch’esci crearono a
caso e temerariamente ne’ sogni infelici del toro ingegno
a bella posta pér fabbricare il cielo. Sicché v’ ha per essi
un certo corpo etereo 'che non è come dicono nè il foco,
nè P aria, ne la terra, né l’acqua, nè alcun altro de’semr
mSURr •
1
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20
il moto de semplici
sia propriamen-
plici ;
conciossiachè
te retto per tendere in alto, de’ gravi per piom-
de lievi
;
Tessere portato su c giù
bare allo ingiù j ne certamente
stesso ch’essere volto in giro-,
per cui a tutta evi-
è lo
retto e il circolare,
denza apparisce che il movimento
di loro. Che se
concludon essi, discordano assaissimo Ira
inovi.nenli, ripigliano, sono diversi, è
d’uopo
i naturali
che ne sono (or-
che sia pure diversa l’essenza de’ corpi
provare che cielo sia (or-
niti Nè ci è luogo a poter
il
chiamiamo ele-
mato da que’ corpi primigenii che noi
risulti di più so-
menti, mentre qualunque natura che
diverse, non può avere un moto
che
stanze primitive c
essendo già
equabilmente c spontaneamente si spieghi;
ch’entra nella compo-
dimostrato che ciascun semplice
impulso adatto diffe-
sizione ha sortilo dalla natura un
cose com-
rente. D’onde ne deriva principalmente che le
im-
poste mal veggano in continuo moto, perche un
si
con tanti contra-
pulso non puy accordarsi e convenire
alla
rii, ma, s’è alla sostanza
lieve conforme, dev’essere
gravissima in opposizione. Quindi
quantunque volle noi
piano, contrastia-
cispigniamo allo insù o sopra equabile
terrea sostanza ch’è in noi,
quantunque altre ci
mo alla
forza all ignea, per
lasciamo andare allo ingiù facciàm ^
ch’è contraria al-
che la costringiamo a seguire una via
agli c-
la ;
per cui totesta violenza che si fa
sua natura
torna a motivo di
lementi nel trarli in senso contrario
è tenuto contro
corrompimelo e mina. Ciò infatti eli’
resisto poco, e
natura c in una perpetua contenzione,
stento, sicché in bre-
quel poco con grave insofferenza c
discioglie nei principii di cui è composto, e cia-
ve si
insieme ritorna al suo
scuno dei molti eh’ erano legati
proprio luogo. Provocati, come dicono, dalla necessita
costretti di ammettile
di tanti raziocinii indeclinabili, e
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una quinta natura corporea valevole a formare il cielo e
le stelle che lo adornano, furono del pari tratti a rigetta-
re tutte le antiche opinioni, e a produrne di nuove e lo-
ro proprie onde sostenersi. Ma chiunque altro fu più
polente nell’arte di persuadere si .mise ad assalire gli
addotti argomenti, li coufutò,.li distrusse, e venne in-
nanzi con novello apparato di sistemi -, intorno ai quali
se volessimo discorrere più a lungo, cadremmo in quel-
le medesime inezie, in cui caddero Lasciamo per-
essi.
tanto che a vicenda tra loro vengano alle mani e scon-
lìggansi, ommelliamo le ricerche intorno alla essenza
delle cose 5
prestiam fede a Mosè, che dice, che Iddio
fece il cielo e la terra y e diamo gloria all’archetipo so-
vrano per ciò tutto ehe sapientemente e provvidamente
dispose. Dalla bellezza delle cose che si veggono colla
mente eleviamoci a Colui che supera ogni bellezza -, dal-
la grandezza delle cose sensibili e da brevi limiti circo-
scritte,apprendiamo ad ascendere alla conoscenza di Lui
ed immenso, e' vince nella grandezza della
eh’ è infinito
sua potenza ogni pensiero. Benché infatti ignoriamo
l’essenza delle 'cose create, nullameno tutto che d’ogni
parte cade sotto dei nostri sensi, tante meraviglie offre
in se stesso,che mente umana per quantunque acutissi-
ma d’uopo è che si riconosca inetta, si a spiegare la mi-
nima delle cose che trovausi nel mondo, come ben s’ad-
dice alla dignità sua, sì a sciogliere il dovuto inno di
lode al creatore, a cui sia gloria, onore ed impero per
tutti i secoli de’secoli. Così sia.
OMELIA IL
INTORNO ALL’ESSERE INVISIBILE E DISADORNO
DELLA TERRÀ.
— otow *
n
• •
t 1
Questa mane trattenendoci sulla spiegazione di
poche parole, vi abbiam ritrovata nascosta tanta profon-
dità di sapere, che disperiamo affatto di fornire l’opera
nostra in quelle che seguono :
poiché se l’atrio del tem-
pio è tale, se il vestibolo è così venerabile ed augusto
che coll’ eccellenza di sua bellezza abbaglia gli occhi del-
la nostra mente, e che sarà poi del tabernacolo sauto?
Chi rinverrassi che non tema di porre il piede entro a
sì riveriti penetrali ? Chi sarà degno di veder quegli all-
earli? Cotanto infatti la indagine è al pensiero medesimo
inaccessibile, che quand'anche per forza di meditazione
potessimo formarcene alcun concetto, mal sapremmo spie-
garlo a parole. Pure, essendo dal giusto giudicio di Dio
stabilita una mercede e non ispregievole anche per ciò
solo che alcuno fermamente proponesse di adempiere
l’ obbligo suo, non dobbiamo restarci dall’ intraprender-
ne tosto lo esame. Poiché quantunque' non potessimo a-
deguare la dignità della cosa tuttavia, dove per super-
-,
no ajuto non ci allontanassimo dal vero senso della Scrit-
tura, anche noi non saremo del tutto rigettati, anzi colla
cooperazion della grazia gioveremo in qualche parte alla
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% . 25
.« 9
edificazione della Chiesa di Dio. Si dice dunque: La ter-
ra poi era invisibile e disadórna. Perchè avendo in pari
modo ricevuto P essere il cielo c la terra, il cielo apparve
di tutte sue perfezioni adorno, e la terra invece greggia
ancora ed imperfetta ? E se non è ciò, che si vuol dire
la terra disadorna, e per qual causa era invisibile ? Certo
perfetto adornamento della terra è la sua fertilitade, le ge-
nerazioni innumerevoli delle piante, la produzione conti-
nua de’vastissimi alberi sì fruttiferi che infecondi ;
la bel-
lezza del colorito e il delicato olezzo nei fiori, e quelle
tutte meraviglie che doveano in appresso per comando di
Dio abbellire la propria lor genitrice. Non essendovi a-
dunque buon dritto la Scrittura chia-
nulla di tante cose, a
mò la terra disadorna. Ma dovrem dire che fosse ciò stesso
anche del ciclo; poiché nè anclfesso non era ancora com-
piuto, nè ricevuto aveva propri fregi, mentre non ri-
i
splendeano il Sole e la Luna, nè i cori degli astri lo cir-
condavano : chò coteste opere non aveano per anco sor-
tito l'essere. Perlo che non andrete hmge dal vero dicen-
do, che anche il La terra poi
cielo era tuttavia disadorno.
fu chiamata invisibile per due motivi, o perchè non v’c-
ra allora alcun uomo che la vedesse, o perchè non pote-
va essere propriamente veduta, sepolta essendo sotto al-
. le acque, che sparse nuotavano sopra la superficie di lei.
Non erano infatti raccolte ancora ne’propri bacini, ove,
ragunale che furono per volere di Dio, ottennero il no-
me di mari. Che è dunque propriamente un oggetto in-
visibile? Talvolta è ciò che non si può vedere cogli oc-
chi della carne, come sarebbe l’ anima nostra; talvolta
ciò che per sua natura potrebbe esser veduto, ma tien-
si nascosto dalla interposizione di un corpo che gli stia
sopra, come sarebbe di un ferro che giacesse in fondo
ad uno stagno. Dopo la cui nozione concludiamo che la
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terra si chiamava invisibile prima perchè era tenuta nasco-
sta dalle acque ;
poi, perchè non essendo per anco crea-
ta la luce, non è meraviglia se posta nelle tenebre senza
che l’aere sovrastante Tosse illuminato, per ciò ancora
dalla Scrittura invisibile si appellasse.
Ma i veritade, che mai non si per-
falsatori della
suadono mente all’ autorità della
di piegare la propria
Scrittura, ne travolgono il senso a proprio loro talento,
sì
che affermano esprimersi con queste parole la materia.
.Ed è la materia appunto, van ripetendo, di sua natura
invisibile e disadorna, poiché per sua essenzial condi-
zione manca di ogni quulitade ed è spoglia di ogni for-
ma e figura: di essa dunque, giusta il saper suo, l’artefi-
ce supremo se ne valse, e la compose, e la ordinò, e co-
sì adoprolla a formare L’essenza delle cose visibili. Ma se
anch’ella è increata, dunque le si conviene onore pari
a quello di Dio, e dev’essere ammessa al diritto della
medesima antichitade. V’ha forse di questa alcun’ altra
più scellerata bestemmia? Investire dell’augusto caratte-
re e della dignità medesima di Dio saggio, potente, bel-
lissimo archetipo e Creatore di tutte cose, la materia
priva, per servirftii delle stesse loro parole, di qualità e
forma *, non avente a tipo neppur la deformitade, neppur
l’estrema sconciezza? Chi dicesse che la materia è tale
da comprendere in se tutta la scienza di Dio, questi in
qualche modo uguagliarebbe la sostanza della materia
alla stessa investigabile divina potenza, mentre allora tut-
to quant’è il divino intelletto potrebb’ essere a tuli agio
misuralo. Que'tutti poi che affermassero la materia esse-
re interiorealla virtù operativa di Dio, cadrebbero con
queste parole in un assurdo che si convertirebbe in lo-
ro condanna, perché poscia porrebbero Dio nella im-
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possibilità di creare e compiere l’ opere sue per man-
canza di materia. E a questa foggia furono ingannati
dalla imbecillità della natura umana, poiché ciascun’arte
appresso di noi tende alla riduzione di questa o quella,
materia separatamente presa, come adoprasi intorno al
ferro l’arte del fabbro, intorno al legno quella del legna-
iuolo e in quest’arti medesime diversificano tra loro il
soggetto, la forma, e ciò che per mezzo della forma del
soggetto si tragge ;
e come pigliasi la materia dal di fuo-
ri e a codesta materia vi si adatta una forma, e dall’ una
c l’altra di esse due, cioè dalla materia e dalla forma ne
risulta l’ effetto -, così dalle terrene alle divine opere ar-
gomentano, ed affermano, che sì la figura del mondo è
opera del gran mastro dell’ universo, ma che la mate-
l’
ria venne estrinsecamente offerta e portata innanzi al-
l'ordinatore sovrano', di guisa che il mondo è un com-
posto che ha d’altronde il soggetto e l’essenza, e da Dio
la figura e la forma ricevuto. Da ciò ne viene che niega-
no l’onnipotenza a quel Dio che alla formazion delle cose
presiedette ;
e ritengono aver egli soltanto pagata per
così dire la parte sua, nello aggiugnere una qualche por-
zione di se medesimo, mentre dava compimento alle
opere delle sue mani ;
e per tal modo lasciatisi andare
dietro la scorta di fallaci ragionamenti non poterono giu-
gnere al sublime conoscimento del vero, nè seppero dir
partirsi da quell’idea : che qui l’arti vennero dopo della
materia, e furono dalla necessità negli usi della vita inr
trodotte. Prima infatti trovossi la lana, e l’arte di tesserla
ebbe luogo dappoi, e venne a supplire il difetto della
natura. Già esisteva il legno, quando nacque 1’ arte dei
legnajuoli che, conformando la materia a quanto di gior-
no in giorno richiedeva il bisogno, ne mostrò T utilità
de’legni medesimi ed apprestò il remo a’nocchieri, il
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vaglio agli agricoltori, l’asta ai soldati in guerra. Ma Iddio
pria ch’esistesse alcuno degli innumerevoli oggetti che
ne circondano, avendo pensato e stabilito di dar l’essere
a quelle cose che non lo avevano ;
decideva appena qual
mondo convenisse meglio, che creava insieme la materia
alla sua forma opportuna, e disponeva pel Cielo tale ima
natura che bene al Cielo addicesse, ed assegnava alla
figura della terra la sostanza che senz’altro Ite Iacea d'uo-
po. Contemperò poi a seconda del voler suo il foco, l’a-
ria e l’acqua, e trasse il tutto in quella essenza che ri-
chiesta era dalla natura delle cose che si formarono. Del
resto congiunse il mondo quant’ò composto di parti assai
diverse tra loro con nodo
di amicizia, sarei per dire,
tal
una società ed un’armonia sola costi-
indissolubile, che
tuisse per modo, che quelle cose che sono l’una dall’al-
tra assai discoste sembrino per certo comune accordo
connettersi insieme. Cessino pertanto dalle favolose in-
venzion loro que’tulti che tentano misurare colla imbe-
cillità de’proprii pensieri il potere incomprensibile di una
mente che non trova nella favella umana termine che in
niuna guisa le possa convenire.
Iddio Jece il Cielo e la Terra ; e l’uno e l’altra
non a metà, ma fece tutto il cielo, tutta la terra, e fu
posta ad un solo e medesimo punto la sostanza e la for-
ma-, che Dio non è il ritrovatore delle figure, ma il crea-
tore sovrano della natura stessa delle cose-, altrimenti
ci rispondano come tra se la potenza ordinatrice di Dio,
e la natura passibile della materia abbiano potuto accor-
darsi, offrendo questa il soggetto senza la forma, quegli
trovando in se la scienza delle figure, ma però manche-
vole della materia-, e ci mostrino come l’una cosa abbia
potuto adempiere il difetto dell’altra sì, che ne sia ve-
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27
nuta al divin fabbro la maniera di ridurre in atto farle
sua, e alla materia quella di spogliarsi della rozzezza e
della naturai privazione di forma. Ma basti su ciò, e si
ritorni invece a quello che proponevamo da pria : La
terra poi era invisibile e disadorna. Allorché fu detto :
Nel principio Iddio fece il cielo e la terra , si tacquero
molte cose, come f acqua, faria, il foco, e le varie com-
binazioni che naturalmente dall’ esser loro derivano, le «
quali tutte, com’entrano di necessità a formar parte del
mondo : così senza dubbio furono nell’aggregato univer-
sale dell’altre cose create. Le ommise poi la sacra storia
a bella posta per addestrare la nostra mente a molte in-
gegnose e diligenti ricerche \
affinchè apprendessimo a
scrutare le maraviglie che ne’ tenui principii si rinchiu-
dono. Pertanto, benché non si dicesse che Iddio creasse
l’acqua, pure essendosi detto che la terra non apparia
possiamo di per noi stessi argomentare di qual
visibile,
velame andasse coperta per non mostrarsi. Difatti il fo-
co non era bastevole a coprirla, poiché emettendo raggi
di luce, più presto che spargere di tenebre, illumina gli
oggetti a cui si avvicina. Non era neppur faria avvolgi-
mento che bastasse a coprimela, mentre la natura di lei
è di essere rara e trasparente, e di ricevere le forme tut-
te delle cose visibili, e trasmetterle agli occhi de’risguar-
danti. Ci riman dunque ad argomentare che l’acqua nuo-
tasse intorno alla superficie della terra, perchè cotesta
sostanza liquida non era ancora ne’proprii bacini raccol-
ta. Perciò la terra non solo era invisibile, ma disadorna
pur anco, reggendo noi tutto giorno che la sovrabbon-
danza di umidità la generazione impedisce delle frutta.
Dunque la medesima causa portava che fosse invisibile
e disadorna. L’adornamento poi della terra è quef desso
che r è proprio e naturale, cioè le messi nei bassi fondi
- •/' a.
28
ondeggianti, i prati erbosi e di vario-pinti fiori adorni,
le balze fronzute e le montane vette di densi alberi
adombrate. Nè di tutto questo ancor nulla adomavala, e
sebbene per la virtù impartitale dal creatore fosse atta
alla generazione di ciascuna cosa, pure aspettava il tempo
opportuno per mettere a seconda del divino comanda-
mento in luce i proprii parti.
Ma si aggiugne, le tenebre erano sopra delT abis-
so. Nuova occasione di favole, nuovo motivo di più scel-
lerati commenti, mentre gl’ increduli se ne valgono di
queste parole a sostegno del proprio partito. Nè qui al-
le tenebre danno già, come suolai, il significato di una
cercaria spoglia di luce, nè di un luogo dall’impedimen-
to di alcun altro corpo oscurato, nè di una situazione
qualunque non rischiarata da lume che sia ; ma sibben
quello di una potenza malvagia, e di tale potenza che ha
l’origine da se stessa ed è opposta e contraddicente alla
bontà di Dio. Se Dio infatti è luce, ne viene, proseguon
essi, senza più per necessario conseguente della propo-
sizione che la potenza a lui contraria sia tenebre. Nè le
tenebre vanno mercando altrove ciò che sono, poiché da
se medesime sono un male : le tenebre son le nemiche
delle anime, le provocatrici della morte, le avversarie
della virtù: e ben chiaramente, conchiudono, si dimo-
stra con queste parole dello Scrittore ispirato che sussi-
stono, nè v’ha luogo ove si dica che siano state create
da Dio. Da questo empio principio qual serie di scelle-
rate deduzioni corrompitrici non derivossi ? Quanti in-
gordi lupi divoratori del divin gregge, da questa tenue
espressione pigliando impulso non si scagliarono sopra
l’anime? Non mossero di qua i Marcioni e i Valentini?
Di qua non surse l’eresia de’ Manichei, quell’eresia, che
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non sarebbe un mentire al decoro, ove la si chiamasse
la putredine delle Chiese ? Ma perchè, o uomo, ti dilun-
ghi dal vero, movendo tu stesso in traccia delle cause di
tua ruina? Non v’è eh’ una semplice espressione, c fa-
cilissima ad essere intesa da tutti La terra , si disse, e-:
ra invisibile. E per qual motivo? Perchè tutta intorno
era circondata dall’abisso. E che significa cotesto abisso?
Una copia sterminata di acqua, il cui fondo, da qualun-
que parte lo si cercasse, non si poteva pur giugnere. Ep-
pur sappiamo che moltissimi corpi si veggono di mezzo
al tenue e trasparente velo dell’ acqua. Come adunque
per la frapposta acqua non potea travedersi parie alcuna
della terra? Perchè sovr’essa diffondevasi l'aria, e l'aria
era oscura e avvolta ancora di tenebre. E il raggio del
sole che di mezzo all’acqua penetrando, talfiata ne addi-
ta le tenuissime pietre che trovonsi nel basso letto, ma
nella fitta notte non vi sarà alcuno certamente che veder
possa ciò che sta in fondo all’acqua. Ne segue adunque
che la causa per cui la terra non apparia visibile, era,
secondo quel che si aggiugne, 1’ abisso che vi stava so-
pra, e un abisso tutto avvolto di tenebre. Nè cotesto a-
bisso è poi, come immaginarono alcuni, la moltitudine
nemiche, nè le tenebre sono quella certa
delle potestà
al bene. Di più
malvagia e principal potenza che opponsi
due contrapposti nell’odio pari tenterebbero distrug-
gersi a vicenda, e lottando fieramente insieme apporte-
rebbersi l’ un l’ altro continui danni. Che se 1’ uno degli
avversorii prevale all’altro di forze, il vinto rimane inte-
ramente distrutto. E se ci dicano, che la potenza malva-
gia forma equilibrio in contrapposizion della buona, al-
lora con questo dan luogo ad una guerra e ad una con-
tinua desolazione, poiché sì l’ una che l’altra e vince in
parte ed è vinta. Ma se la forza del bene è maggiore ;
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qual fu il motivo per cui la natura del male non si tol-
se compiutamente di mezzo? E s’ è al contrario, ma chi
oserebbe dirlo? mi prende meraviglia che non abborra-
no se stessi, giunti che si veggano a proferire tali vitupe-
revoli bestemmie. Sarebbe poi anco assurdo il dire che
il male fosse generato da Dio, perchè niun contrario vie-
ne dal suo contrario prodotto; che la vita non genera
mai la morte, le tenebre non sono mai il principio della
luce, nè le malattie la causa della sanità. E nel mutamen-
to degli affetti che dai contrarii ai contrarii si passa; ma
tutte cose che nascono in via di generazione non dalle
contrarie, ma da quelle della specie medesima si produ-
cono. D’onde pertanto, ripigliano, se il male non è nè
eterno, nè generato da Dio, d’onde tragge la sua natu-
ra? Poiché non vi sarà alcuno che viva e nieghi di prova-
re dei mali — Risponderemo
a ciò che risponderem noi?
che il male non è una essenza sussistente ed animata,
sibbene un’ affezione dell’ anima contraria alla virtù, e
propria degl’inerti e degradati, per ciò che andaron lui>-
ge dal bene.
Non dobbiamo adunque considerare il male come
esistesse estrinsecamente, nè come andasse fornito di
certa sua primigenia e malvagia natura, ma ciascuno ri-
conosca in se l’autore della propria malvagitade. Di quel-
le cose infatti che intorno a noi succedono tutto giorno,
altre derivano dalla natura, come la vecchiaja e le ma-
lattie
;
altre dal caso, che nell’avvicendarsi delle cose por-
ta con se i tristi e lieti avvenimenti che nascono da lon-
tani principii, come sarebbe il ritrovarsi di un tesoro
nello scavo di un pozzo, o il morso di un cane rabbio-
so nel passar per la piazza altre finalmente dall’ arbitrio
;
e dal poter nostro derivano, come le corrette cupidigie
o il libero freno lascialo alla volultade, la contenuta ira
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1
o le scagliate mani sopra ne provocò coll in-
colui che
giurie, la verità o la pronunciata menzogna, la mansue-
tudine e la moderazione nelle abitudini della vita, o la
superba vanità c l'alterigia. Ma di ciò che dipende inte-
ramente da voi non dovete al certo rintracciarne altrove
le cause, che ben a dentro considerando vedrete che il
male propriamente detto ebbe principio dalle volontarie
vostre cadute. Che se il male non fosse volontario, nè
stesse in arbitrio nostro }
a farne che del timor delle
leggi per coloro che offendono gli altri ? a farne che del-
le pene dai tribunali giustamente imposte ai malfattori,
quando fossero inevitabili? E codeste cose io le dissi
per ciò che propriamente è male •,
poiché le malattie, la
povertà, l’ ignominia, la morte ed altri moltissimi avve-
nimenti increscevoli agli uomini, non possono a parlare
esattamente riporsi uel numero dei mali, mentre ciò che
loro oppone non può essere tra i massimi beni anno-
si
verato e poi alcuni d’essi non sono che l’efTetto del ne-
•,
cessario procedere delle cose, altri tal fiata tornano an-
che ad utilità di coloro che ne furono tocchi. Ora per-
tanto, lasciando addietro ogni maniera d’interpretazione
che a figure ed allegorie si appoggiasse, e seguendo sem-
plicemente e senza indagini troppo sottili il senso della
Scrittura, la nozione si pigli delle tenebre. La ragione
però dimanda, se coleste tenebre sien create insieme col
mondo, e quindi come sieno più antiche della luce, e
come abbia potuto esistere prima ciò che per natura è
inferiore d’assai. Rispondiamo: che le tenebre non furo-
no già una sostanza esistente, sibbene una condizione
che ne veniva all’aria dalla privazion della luce. Ma di
che luce trovossi in un subito privo il sito occupato dal
mondo, si che dir si possa che le tenebre sopra delle
acque diffòndevansi ? Se pria che fosse formalo questo
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mondo sensibile ed alla corruzione soggetto v era in sua
vece alcuna cosa, io mi penso che dessa cinta si trovasse
di luce. Nè al certo le angeliche potestà, nè i celesti e-
serciti quanti sono, nè finalmente le ragionevoli nature,
0 gli altri spiriti obbedienti che fossero mai, sia ch’a-
vessero o meno sortito il proprio loro nome, non avreb-
ber potuto trovarsi in mezzo alle tenebre ;
chè la condi-
zione natura loro conveniente è quella di essere in
alla
mezzo alla luce e ad ogni maniera di spirituale giocon-
ditade. Nè a ciò potrà opporsi alcuno: non colui certa-
mente che secondo le promesse che si fecero ai buoni
aspetta luce del Paradiso, di cui Salomone dice che
la :
1 godranno di ima luce perenne (i); e l’apostolo
giusti
ne invita a render grazie a Dio Padre che ne fece de-
:
gni di esser ammessi nella luce in parte della eredità
dei Santi (2). Che se i dannati si cacciano lunge nelle
tenebre esteriori, ben s’addice eli" entrino a riposare nel-
la celeste luce coloro che fecero opere degne di lode e
di ricompensa immortale. Come adunque per divino co-
mando fermossi il cielo in modo che improvvisamente
si distendesse sopra le cose che nella sua circonferenza
racchiudonsi, e constasse di tal natura soda e continua
da poter separare dagli interni gli esterni oggetti ;
così
ne venne di necessità che pel suo collocarsi rincontro
allo splendore esterno ottenebrasse quel luogo, da cui,
perchè impedito, lo splendore medesimo dipartivasi. E
d’uopo che tre circostanze a dar l’ombra concorrano:
la luce, il corpo in opposizione alla luce, e il loco oscu-
ro: ed ecco per l’interposizione del corpo celeste nasce-
re la tenebrosa ombra che spargevasi sopra il mondo.
(1) Proverbi! XIII- 9.
(2) Paolo 12.
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33
Vi sarà poi facileveder espresso ciò che dico in que-
il
sto evidentissimo esempio Se nel mezzogiorno il più
:
sfolgorante adergerete a voi d’intorno un padiglione di
materia densa e impenetrabile formato, è certo che ver-
rete a porre voi stessi entro a tenebre estemporanee.
Vorrei dunque che dalle accennate argomentando delle
tenebre che coprivano il mondo vi persuadeste che non
sussistevano di per se, ma che dietro veniano ad altra
condizione di cose. Si dice poi che coteste tenebre pog-
giavano sopra l’abisso, poiché la superficie de’ corpi suo-
le confondersi coll’ ultima zona aerea da cui è investita ;
e allora l’acqua tutte cose avvolgendo, era d’ uopo che
le tenebre poggiassero sopra l’abisso: come fu detto.
E di Dio , si aggiugne, portavasi sopra
lo spirito
delle acque. Se per questo spirito intendesi la diffusio-
ne dell’aria, ne segue che lo scrittore inspirato abbia vo-
luto enumerare con ciò le varie parti del mondo ; poiché
Iddio fece il Cielo, la Terra, l’Acqua, e l’Aria ampiamen-
te diffusaed insinuantesi. Ma se più veramente, e come
sembra ammesso da’ nostri antichi, intenda parlare di
quello Spirito di Dio che si appella Santo, nel che ci
persuaderebbe l’osservare che la Scrittura attribuisce a
lui singolarmente e in ispecial guisa cotesto nome, e che
spirito di Dio non chiama alcun altro Spirito tranne quel-
lo eh’ è Santo, e le persone compie della beata individua
Trinitade ;
allora dallo intendere la sentenza della Scrit-
tura a questo modo, maggior frutto assai ne deriva. Co-
me dunque portavasi sopra le acque? Vi dirò non già il
parer mio, ma quello di un illustre personaggio di Si-
ria che tanto dalla scienza mondana discostavasi, quanto
al conoscimento della verità si appressava. Diceva egli
adunque, che la parola Siriaca aveva in se una maggior
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espressione, e che per l’affinità sua alla lingua Ebrea ri-
portava in qualche modo più chiaramente il senso della
Scrittura, e dopo ciò, onde spiegamelo, proseguiva così:
Quella parola portavasi viene dagl’interpreti presa nel si-
gnificato di fecondare, quasiché lo 'Spirito del Signore la
forza di produzione alla natura delle acque impartisse,
a foggia degli uccelli che covano, e covando, una virtù fe-
condatrice alle riscaldate uova trasmettono. Sicché, ripi-
gliano, il senso di quelle parole : Lo Spirito di Dio por-
tavasi sopra delle acque, verrebbe ad esprimere che
preparava la natura deli’ acqua alla generazione *, e così
apparirebbe manifesto quello ch’altri vanno cercando,
cioè che lo Spirito Santo cooperò anch’ esso all’atto del-
la creazione.
E Iddio disse sia fatta la luce. Quindi
: il Signore
con la sua prima parola creò la sostanza luminosa, sgom-
brò le tenebre, tolse di mezzo la tristezza, illuminò il
mondo, e fece in modo giocondo e graditissimo tutto
insieme sorridere in faccia 1’ universo. Apparve allora il
cielo, che prima avvolto era nelle tenebre, e sfolgoreggiò
ad un tratto di quella indicibile bellezza, di cui ne sono
tutto giorno testimonii i nostri occhi. Faceasi risplendente
l’ aria, che portando in se medesima tutta quant’ era la
luce incorporata, trasmetteva celeremente fino agli estre-
mi confini suoi gli agilissimi raggi luminosi. E su ader-
gendosi passava oltre l’ etere e giugneva il cielo medesi-
mo, e di qua e di là propagandosi tutte le regioni del
mondo quant’ eran vaste all’ Aquilone, all’Austro, all’O-
riente, all’Occidente illuminava ;
che la natura sua è sot-
tile e fulgidissima a tale che per trascorrere il mondo
non le fa d’uopo indugio di sorte alcuna. Di quella gui-
sa infatti che la virtù visiva degli occhi nostri senza ri-
tardo che sia raccoglie le forme degli oggetti che trovai*
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si alla sua portata*, non altrimenti la diffùsion della luce
perviene in tutti gli estremi suoi limiti in sì breve tem-
po, che il più breve non può essere neppur da pensiere
alcuno concepito. L’etere dopo la creazion della luce ap-
parve aneli’ esso di maggior giocondezza adorno, e luci-
de si mostrarono le acque non solo pel ricevere che fe-
cero in se de’ raggi, ma pel respingerli ancora da se,
giusta quella forza di riflessione eh’ è propria della luce,
sicché ovunque dall’ acqua fuori spicciavano fasci lumi-
nosi. E quale chi versando delfoglio nel fondo di uno
stagno, il fondo medesimo rischiara; così il creatore
dell’universo non parlò appena che nel mondo fin allor
tenebroso diffuse la grazia della luce. Sia fatta la luce.
Certo v’ era d’ uopo di questo comando, e dal comando
tale usciva una natura che lasciava la ragione umana in
isforzi inutili onde immaginarne qualch’ altra a godersi
più gioconda. Quando poi si attribuisce a Dio una vo-
ce,una parola, un precetto, non s'intende che il parlare
divino rassomigli ad un suono emesso per mezzo degli
organi della favella, o non sia più che un po’ d’aria al
movimento conformatasi della lingua : ma sì l’ atto della
volontà divina. Ed
è per porlo più chiaramente sotto gli
occhi di que’che vogliono essere istrutti, che noi gli dia-
mo la forma di un precetto. E vidde Iddio che la luce
era bella: Quali encomii convenienti impartiremo dun-
que alla luce ; se di già il creatore ha pronuncialo eh’ è
bella? Sebbene anche appresso di noi la lingua ceda in
questa parte agli occhi il giudicio ; mentre non v’ è mez-
zo di poter esprimere quello che il senso antecedente-
mente ha percepito. Ma se la bellezza di un corpo risul-
ta dall’armonia delle parti congiunte insieme e dalla ap-
pariscente freschezza de’colori, potrem forse dire essersi
tenuta ragione della bellezza nella luce eli’ essenzialmen-
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te è semplice, e di parli similari ? Potrem di-
composi»
re eh’ è bella, perchè, quantunque il temperamen-
giusto
to della luce non dipenda dalle proprie sue parli, pure
in quella g’rocondezza e delicatissimo impulso con che
presentasi alla vista è riposto? Ma di questa guisa è bel-
lo anche Toro che non già per la simmetrica disposizion
delle parti, sibbene per la sola bellezza del color suo al-
letta e dolcemente altragge lo sguardo contemplatore.
Anche Espero è la bellissima tra le stelle, non perchè
regni una giusta proporzione e un vago accordo nelle
parti che la compongono*, ma sì perchè da lei dipartesi
uno splendore che ilare e soave penetra negli occhi. Inol-
tre il giudizio, cui diede Iddio intorno alla bellezza del-
la luce, non nacque unicamente dal diletto che porla al-
l’ occhio di chi la miri, ma sì guardava ancora, e più
dappresso, al vantaggio che in avvenire dalla luce deri-
verebbe ;
poiché non v’ eran per anco gli occhi che po-
tessero giudicare della bellezza di lei. E Iddio divise la
luce dalle tenebre: cioè fece in modo che queste due
nature fossero tra loro incapaci di ogni mescolamento, e
creò l’ima in perfetta opposizione dell’altra; e, adopran-
do in questa guisa, le distinse e le separò con insupera-
bile intervallo.
E Dio stesso chiamò la luce , giorno , e chiamò le
tenebre , notte. Ora, posciachè fu creato il sole, il giorno
altro non è che l’aria illuminata dal sole stesso, men-
tr’ egli risplende nell’emisfero che alla terra sovrasta.
Allora poi il giorno e la notte avvicendavansi non già
secondo il movimento solare, ma giusta l’ effondersi e il
raccogliersi di quella luce primigenia nel modo e nella
misura stabilita da Dio. E della sera insieme e della
mattina formossi un giorno. La sera è il comun limile
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del giorno e della notte, e la mattina similmente è il
ravvicinamento della notte, col giorno :
per mostrare a-
dunque a quale delle due parti nella formazione dell’ac-
cennato spazio di tempo convenisse la principale prero-
gativa, ricordò prima il fine del giorno, poi della notte,
perchè la notte vien dietro al giorno. La condizione in-
fatti nella quale trovavasi ilmondo pria che si creasse
la luce, non era di notte, ma di tenebre •, conciossiachè
si diede il nome di notte a quella porzione di tempo
che disti nguevasi dal giorno, e al giorno stesso oppone-
vasi : sicché il nome di notte è più recente e venne do-
po la creazione del giorno. Formossi pertanto la sera e
la' mattina. Appellasi così dalla Scrittura lo spazio che
il giorno e la notte comprende, nè in appresso a que-
st’uopo ritroverassi più l’uso del nome giorno e notte,
ma il tempo contraddistinguerassi dal nome della parte
più ragguardevole. Difatti riscontrerete nella Scrittura
conservarsi ovunque quest’uso di misurare il tempo
colla enumerazione dei giorni, non già con quella delle
notti e dei giorni insieme. I giorni degli anni miei (i) di-
ce lo Scrittore de’Salmi: e Giacobbe: I giorni della mia
vita pochi e Iridi ( 2 ) : e il Salmista ripiglia di nuovo :
In tutti i giorni del viver mio (3). Ciò dunque che qui
viene alla foggia storica descritto, varrà come legge e re-
gola indeclinabile in appresso. E della sera e della mat-
tina formossi un giorno. Per qual motivo si disse uno
e non il primo, quantunque stato fosse opportunissimo
che quegli, che in seguito era per nominare il secondo,
il terzo, il quarto giorno, chiamasse col nome di primo
quello che fu il principio di tutti gli altri ? Lo chiamò
(1) Salmo LXXXIX v. 10.
(2) Genesi XLVII. v. 9.
(5) Salmo XXII v. 6.
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uno, per dimostrare la misura allora stabilita del giorno
e della notte e l’unione di quello spazio di tempo -,
per-
chè lo spazio di un giorno, ove insieme il giorno e la
notte comprendasi, è nel corso di ventiquattr’ore circo-
scritto. Sebbene infatti ne’solstizii una parte sia dell’al-
tra assai maggiore, pure a compiere il proprio avvicen-
damento nè più nè meno consumano del tempo stabilito,
ed è come se si dicesse: la misura di ventiquattr’ore è
lo spazio di un giorno j
ovvero : un giorno si compie col
ritorno del cielo al segno di dove dipartivasi. Pertanto
quantunque volte il giro del sole dia luogo nel mondo
ad una sera e ad una mattina, questo giro si adempie
in un tempo che non è più lungo dello spazio preciso
di un giorno solo. O forse fra le arcane v’ha una ragione
più convincente e sublime, per cui Iddio, che 1 esfcn-
zial carattere stabiliva del tempo, abbia voluto determi-
narlo dietro certi segni e misure, come sarebbero gli
spazii delle giornate, e di più dividendolo per settimane
ordinasse che anche questa settimanale misura con che
si tien conto del procedere deltempo, sempre ritornasse
in se stessa, sicché dinuovo quando un giorno fosse per
ben sette volte rientrato in se medesimo, una nuova set-
timana compiesse? Quest’ è una figura circolare che da
se stessa principia e trova in se stessa il suo fine : il che
è proprio ancora del secolo che rientra in se, nè lascia
campo a stabilirgli un termine che sia. Per questa ragio-
ne adunque il principio del tempo si disse un giorno,
non già il primo: affinchè le parole medesime manife-
stassero l’ affinitade che tra il giorno ed il secolo passa.
Appellossi uno pertanto il giorno appositamente perchè
ne offre il carattere di un principio unico ed incomuni-
cabile. Che se la Scrittura ne mette sottocchio più se-
coli, laddove in molti luoghi il secolo del secolo ed i se
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coli de secoli ne ricorda ;
si avverta ch'ivi non viene nè
ilprimo, nè il secondo, nè il terzo secolo enumerato.
Quindi è che con ciò piuttosto la differenza delle condi-
zioni e la varietà delle cose, che la misura, i limiti e la
successione dei secoli si dichiara. Il giorno del Signore,
sta scritto,è grande e luminoso (i)*, ed altrove: che A
rintracciate voi il giorno del Signore ? Egli è giorno di
tenebre e non di luce (2), di tenebre iniàtto per quel-
li che degni sono di tenebre. Nè è a dirsi che la Scrit-
tura non conosca bene quel giorno eh’ è privo di sera,
e che non ha nè successione, nè fine ; giorno che lo Scrit-
tore de’ Salmi chiamò col nome di ottavo appunto, per-
chè è posto fuori di codesto temporaneo giro di settima-
ne. Ma sia che lo si chiami o secolo, o giorno, sempre
n’ esce il medesimo significato. Sia dunque che a quel-
l’ordine imperscrutabile di cose diasi il nome di giorno,
è un solo e non più ;
sia che lo si chiami secolo, è uni-
co e non molteplice. Per cui, onde adergere la nostra
mente alla considerazione della vita avvenire, si chiamò
uno quel giorno, eh’ è immagine del secolo, eh’ è la pri-
mizia dei giorni, il coetaneo della luce, la domenica San-
ta, il giorno della Resurrezion del Signore glorificato.
Formassi dunque ripetiamlo della sera e della mattina
, ,
un sol giorno. Ma le indagini che si mossero intorno a
quella sera avendoci portato alla presente, ci avvisano di
por fine alla nostra orazione. Il Padre impertanto della
vera luce, che di celesti raggi fe’ risplendere il giorno,
che d’ignite faci fe’ scintillare la notte, che di spirituale
e continua luce adornò la beatitudine del secolo avveni-
re, illumini i vostri cuori nel conoscimento del vero,
(1) lode II. r. 11.
(5y Amo* V. . 1 8.
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Ao
conservi intatta la vostra Vita, e la grazia v’impartisca di
onestamente camminare nel giorno, affinchè negli splen-
dori de’ Santi, come altrettanti soli risplendiate con mia
somma esultazione nel giorno di Gesù Cristo, a cui sia
onore ed impero per tutti i secoli de’ secoli. Così sia.
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OMELIA III
SOPRA IL FIRMAMENTO.
Non ha guari furono descritte le opere del primo,
o dirò piuttosto di un giorno j
e così dicendo sono lon-
tanissimo dal toglier nulla a quella sua dignitade che ha
in fatto, perchè giorno che dall’ Eterno fabbro indipen-
dentemente creossi senza che ad alcun altro per numero
ed ordine tenesse dietro. Ma, poiché il nostro discorso
di ieri versò intorno alle cose che in quel primo dì si
crearono, e si divise a maggior frutto degli uditori la
narrazione per modo che servisse ad alimento delle ani-
me la mattina e ad allegrezza la sera, così ora passeremo
ai prodigii della 'seconda giornata. Nè questo io direi,
ove si riferisse al merito dell’espositore e non alla bel-
lezza delle cose narrate, che di lor natura si cattivano
l’altrui persuasione e tornano accette e giocondissime
al cuore di coloro tutti che amano a preferenza delle in-
certe supposizioni, la verità. Quindi è che anche il Sal-
mista, volendo rappresentarci le soavi impressioni della
verità, energicamente disse : Oh quanto le lue parole so-
no più dolci al mio palato che non ,
sia il miele alla
mia bocca! (i) Come adunque nella passala orazione,
(1) Salmo GXVIII v. 103.
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A2
parlando, quanto meglio ci fu possibile, intorno al pote-
re delle divine parole, abbiamo assai confortato le anime
nostre, cosi di nuovo ci siamo qui raccolti in quest’og-
gi per ammirare i portenti nel secondo giorno operati.
]\è ignoro che mi stanno d’intorno molli addetti alla
arti meccaniche, i quali procacciandosi da vivere col gior-
naliero lavoro m'impongono di restringere ed accorcia-
re il discorso per non essere troppo alla lunga dalle pro-
prie occupazioni distratti. E che dirò io a cotestoro ? di-
rò che cotesta porzione di tempo si dà come ad usura
al Signore, e che lunge dallo andarsene perduta ci viene
anzi da lui con grande aumento restituita. Infatti verrà
Iddio ad allontanar quegli ostacoli che non di rado ci sì
mettono innanzi, e donerà il vigore del corpo, la sve-
gliatezza dello spirito, i vantaggi del commercio, la pro-
sperità in tutto il corso della vita a que’ tutti che agli
spirituali sapran posporre i beni di questa terra. Che se
pur non corrono a seconda dei no-
di presente le cose
stri desiderii, è certo che per mezzo dei saggi ammae-
stramenti dello spirito ci procaccieremo inesauribile un
tesoro nella vita avvenire. Si svelga dunque dal vostro
cuore ogni mondana sollecitudine, e raccoglietevi tutti
in ciò eli’ io sono per dirvi, poiché non vi tornerà di al-
cun frutto l’essere qui presenti colla persona se 1 animo
vostro intanto è inteso al traffico ed al guadagno.
E disse Iddio : sia fatto il firmamento in mezzo
del? acque , e le acque dalle acque separi. Jeri abbia-
mo udito quelle parole del Signore : sia fatta la luce ,
ed oggi udiamo quest’ altre: sia fatto il firmamento.
Sembra però che queste contengano qualclie cosa di più,
perchè non si fermarono al solo precetto, ma ne dichia-
rarono inoltre il fine per cui si passava a creare il fir-
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momento col dirne, eli era mezzo di separazione tra
acqua ed acqua. E tosto muovano le nostre ricerche
intorno a ciò che ci siam proposti di mostrare primie-
ramente, ed è-: in qual maniera parli il Signore. Forse
è d’uopo che da pria, come avviene in noi, le forme
delle cose entrino a modificare l’intelligenza sua? che
in appresso si esprima coU’adattare alle immagini nell’a-
nimo raccolte delle parole proprie e a ciascun soggetto
convenienti? È d’uopo finalmente che affidando le pen-
sate espressioni al ministero degli organi della voce e-
melta i proprii concetti per mezzo del commovimento
dell’aria che docile si presti alle distinte e svariatissime
inflessioni della lingua ? E come non sarà cosa stolta il
ritenere che Dio sia costretto a servirsi di un tal pro-
cesso di operazioni per manifestare i pensieri suoi? For-
se non è più conforme alla religione ed al vero il dire,
che la volontà e Y impeto primo della commossa intel-
ligenza è il Verbo di Dio. La Scrittura poi lo adombra,
direi quasi, e lo accenna con un giro di parole per dar-
ci a conoscere, che Dio non solo impartì l’ essere alle
create cose, ma nell’ impartirlo ebbe anche chi era par-
tecipe e a lui compagno nell’ opera. E che non avreb- :
besi potuto forse, come per lo innanzi, così dir sempre
- in appresso e a questo modo
da pria Iddio fece il cie-
:
lo e la terra , poscia fece la luce, quindifece il firma-
mento ? Or poi, che la Scrittura medesima ne addita un
Dio che comanda insieme ed istituisce un colloquio, ne
addita ad un tempo tacitamente la persona eh’ è messa
a parte dei comandi e della sua parola e lunge che ce :
ne invidii la conoscenza, ne accende anzi il desiderio di
ricercamela col metterci innanzi di essa alcuni indicii ed
orme misteriose, onde richiamare a quest’ uopo le no-
stre sollecitudini e condurci per esse sulla via e dietro
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,
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l’ordine che inette alla cognizione dell’Unigenito, e ciò
con fino accorgimento poiché si prova molta gioja nel
conseguire le cose che costano fatica e si usa molta di-
ligenza nel conservarle, ed invece trascuriam quelle che
possono a tutto agio essere procacciate. Nè al certo
1’ essere incorporeo ha d’ uopo della favella, mentre i
pensieri dell’uno poteva di per se stessi insinuarsi a
colui eh’ era compagno e cooperava alla creazione.
Dunque qual necessità di parlare per coloro a cui
basta il pensiero per comunicarsi a vicenda i pro-
prii consigli ? La voce è fatta per l’ udito e l’ udito in
servigio della voce: ma dove non c’è aria, non lingua,
non orecchio, non tortuosi ravvolgimenti che portino i
suoni agli organi del sentimento disposti entro del capo
ivi a che farne della favella, se gli stessi concetti per
così dire sono altrettanti mezzi di comunicazione dei vo-
leri? Rimane dunque provato il mio assunto, che con
saggezza e provvidenza ammirabili si usò di quella ma-
niera di favellare perchè fosse l’anima nostra eccitata al
conoscimento della persona a cui quelle parole si diri-
gevano.
In secondo luogo è da ricercarsi se qui cotesto fir-
mamento dinoti una cosa diversa da quel cielo che si
creò da principio essendoché questi nomi ebbero un e-
gual valore in appresso; o se due siano propriamente i
cieli. Ma i filosofi che discorsero intorno al cielo, vor-
rebbero perdere le proprie lingue prima di dire che ciò
sia vero. Essi dicono che
il cielo è uno, e di tal natura
che non ne ammette nè un primo, nè un secondo, nè
una pluralità qualunque; mentre, a loro credere, tutta
la sostanza celestiale consumossi nella formazion di quel
solo. Aggiungono di più : che quel corpo che si ravvol-
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ge in circolo dev’esser uno e circoscritto, e se la sostan-
za fu tutta consumata a formare il primo cielo, ne viene
di conseguenza che non sia nulla rimasto per laprodu-
zione di un secondo e di un terzo. Sono questi i sogni
di coloro che forniscono il Creatore della materia prima
di per se esistente, e da questa invenzione favolosa, ne
traggono l'accennala assurdissima conseguenza. Noi però
preghiamo i sapienti della Grecia a deriderci allora, che
andranno essi d’accordo. Ve n’hanno me-
infatti tra Ior
desimi di quelli che affermano i cieli mondi essere
ed i
di numero infiniti, ed ascoltando i primi rigettar come
ridicola l’ opinion di costoro, e farsi innanzi con grande
apparalo di argomenti, e accingersi a dimostrare con geo-
metriche figure che ripugna alla natura l’ esistenza di
più d’un cielo, ci porremo a ridere più fortemente so-
pra gli artificiosi loro Veggono essi in-
scherzi lineari.
fatti prodursi dalla medesima causa ed una e due e mol-
te bolle insieme; ma in onta a ciò niegano la moltiplicità
dei cieli ed impugnano nel creatore il potere di formar-
li. A nostro riguardo però, per quanto siano e vasti e
consistenti i cieli, ove riflettiamo alla grandezza della
divina onnipotenza, ci sembra che in faccia sua non in-
chiudano maggiore difficoltà del formarsi delle bolle là
dove l’acqua gorgogliando disgorga. Per lo che merita
derisione quel negare che fanno la possibilità di questo
fatto. Per noi tanto è lunge che dubitiamo dell’esistenza
di un secondo cielo, che ammettiamo anche il terzo, ,
della cui giocondissima vista fu creduto degno l’Aposto-
lo Paolo. E anche il Salmista, mentre ricorda i cieli (lei
cieli non ne accenna forse la moltiplicità loro, l’esistenza
di molli? Nè questi cieli conterrebbero in se maggiore
meraviglia dei sette circoli, per cui mezzo tutti ad una
voce confessano essere tratti in giro i sette astri, ed al-
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fermano il loro congiungimento potersi rassomigliare a
quello di sette catini l’uno all’altro sovrapposti. Aggiun-
gono poi, che cotesti circoli, raggirati in senso contrario
a quello dell’ universo e rompendo nel proprio corso
l’aere circostante, danno taleun suono armonioso e gra-
to che supera tutte le più soavi armonie. Dove poi si
chiedesse loro la prova e la testimonianza dei sensi, che
cosa rispondono? Rispondono, che noi per l’attitudine
naturale contratta al suono, avvezziamo a questo fin dal-
la nascila l’orecchio nostro per modo, che il continuo e-
sercizio ne toglie la facoltà di avvertimelo, come avviene
a’ calderai, che nelle proprie officine rendono pel conti-
nuo strepito ottuso il senso dell’udito. Il trattenersi a
confutare le costoro sofisticherie e gli assurdi che per
tali si possono da chiunque riconoscere a prima giunta,
sconverrebbe a quell’ uom ragionevole che sapesse tener
conto del tempo e dell’intendimento de’ suoi uditori in-
teramente non diffidasse. Ma lasciando ai profani le pro-
fane dottrine noi teniamoci fra i limiti prescritti ad un
religioso discorso. Certuni che ci han preceduto dissero
non esser questa la creazione di un secondo cielo, sib-
benc uno svolgimento più ampio del primo: mentre da
pria ne viene sommariamente accennata la creazione del
ciclo e della terra, e qui la Scrittura ne descrive con
maggior precisione e chiarezza il modo con che ciascu-
na cosa ebbe origine: ma io son d'avviso che avendo
questo secondo cielo sortito un diverso nome ed officio ;
cosi sia diverso dall’altro che fu nel principio crealo: co-
me quello che di sua natura è più consistente ed a cui
nell universo è assegnato un servigio principalissimo.
Disse Iddio: siafatto il firmamento in mezzo delle
acque, e le acque dalle acque separi', e Dio fece ilfir-
mamento, e pose così la divisione Jra le acque al dì
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sotto e quelle che stavano al di sopra del firmamento.
Pria però che mi faccia a penetrare il senso della Scrit-
tura, concedete che mi adopri di sciogliere le altrui o-
biezioni ;
se l’acqua scorrevole di sua natura tende ad e-
quilihrarsi e dal di sopra si versa per tutte parli, come
avvenne egli mai che la circonferenza del firmamento
prendesse la forma stabile di quella curva ?puòE che si
rispondere a ciò? In pria si può rispondere che per
quantunque da noi tal fiata si veggano gli oggetti inter-
namente convessi, non ne viene di necessità che nella su-
perficie esterna abbiano una forma sferica, nè che a gui-
sa de’ corpi torniti ricevano da perlulto una levigatissi-
ma ed eguale voluta , poiché possiamo a nostro agio
vedere e le lapidee vòlte dei bagni ed i sotterranei delle
case edificati a foggia di caverfte, ove, quantunque al di
dentro offrono nella lor piegatura la forma di un semi-
cerchio, tuttavia negli appartamenti superiori presentano
una superficie piana e diritta; non è dunque che i no-
stri oppositori si formino in ciò un argomento di molto
peso, e come tale a noi pure il portino innanzi, quasiché
non fosse possibile di contenere l’acqua al di sopra del
firmamento. Ne viene bensì che deggiamo rintracciare di
qual natura egli sia, e per qual causa abbia sortito il suo
posto di mezzo all’acque. La Scrittura suole servirsi del-
la parola firmamento, ove significar voglia alcuna co-
sa che alle altre in forza e consistenza stia sopra, di-
cendo in questo e quel luogo, ora Il Signore è ilfirma- :
mento e il rifugio mio ; ora Io posi il firmamento alle
:
Sue colonne; ora Lodate Iddio nel firmamento della
:
sua propria virtude (i). Quindi è che i filosofi a questo
corpo diedero il nome di solido, essendo direi quasi com-
(1) Salai, XVII. 5. LXXIV. 4. CL. 1.
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patio e pieno, e il chiamarono così per distinguerlo dal
corpo matematico; poiché il corpo matematico è quello
che consta delle sole dimensioni di lunghezza, larghezza
e profonditade, mentre il solido oltre le dimension preac-
cennate, è fornito d’impenetrabilità e resistenza. Le sa-
cre lettere poi usarono della parola firmamento ad e-
sprimere alcun che d inflessibile e poderoso, per cui a-
vendo grandemente condensata adopra
a parlare d’aria
di spesso questa espressione, come là ove dice che Id-
dio rafferma i tuoni (i). Dal che si conosce che la Scrit-
tura chiamò firmamento del tuono la spessezza e lo sfor-
zo dell’aria, che rinchiusa in grembo alle nubi violente-
mente irrompendo eccita quel fragore, ond’è che giudi-
chiamo che anche nel luogo di cui ora si parla, siasi
colesta espressione adoprata a significare una certa so-
stanza solida valevole a contenere 1 acqua facile ad essere
commossa e trascorrere. Nè perciò che il firmamento ha
avuto origine dall’acqua, come pare che ritenga la co-
mune opinione, si deve credere che rassomigli o all acqua
congelata o a qualche altra materia che riconosca ad ele-
mento alcun umor distillato, come sarebbe il cristallo di
monte, cui dicono essere in quella natura per isquisitis-
simo agghiacciamento convertito; o il talco che si ritro-
va per entro a Aloni metallici , ed è tal sostanza pietrosa
di tanto bagliore e particolare e limpida nitidezza fregia-
ta, che ove pura e nella sua essenza perfetta si ritrovi,
nè logora da corruzione alcuna, nè solcata da fenditure
che nell’ intime sue viscere la pervadano, presenta una
lucentezza a quella dell’etere simigliantissima. Ma il Ar-
mamento non può essere ad alcuna delle enumerate so-
stanze paragonalo ;
chè sarebbe proprio di uu’ anima
(I) Amos IV. 13.
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bambina e povera assai l entrare in simili concelti ove
si discorra delle cose celesti. IN è per ciò che le create
vicendevolmente son fuse in guisa che il loco insinuasi
nella terra, l’aria nell'acqua, ed allo stesso modo 1 un
nell’altro gli elementi tulli, sicché di quelli che ne cado-
no sotto ai sensi non ve ne ha pur uno di semplice e
puro, a tale ch’escluda ogni affinità o con quello di mez-
zo o col suo opposto non osiam dire che il firmamento
-,
sia formato da una sola di coteste sostanze elementari o
da qualche loro composizione, sapendo bene che la Scrit-
tura ne avvisa che non dobbiamo permetterci d’inGngere
a capriccio ciò ch’ella tiene celato alla intelligenza nostra.
Noi invece non ometteremo di avvertire che dopo il
comando del Signore Sifaccia il firmamento non si
:
,
disse nuovamente e il firmamento fu Jatto ; sibbene
: :
E Dio fece il firmamento quindi tosto si aggiunse: E
,
Dio divise. Sordi aprite l’orecchio vostro, ciechi le vo-
stre pupille! Ma chi è sordo, se non colui che non por-
ge ascolto allo spirito che grida altamente ? Chi è cieco,
se non quel desso che non vede le prove evidentissime
dell’Unigenito di Dio/ Si faccia firmamento ecco l'e- il :
spressione della causa primigenia e suprema. E Dio fe-
ce il firmamento : e questa è la prova della potenza crea-
trice che dona l’essere a quanto ha voluto.
Ma progrediamo nell’ argomento che imprendem-
mo a svolgere. Sia ,
disse il Signore, mezzo di separa-
zione tra acquaed acqua. Dunque, come appare, es-
sere dovea pressoché infinito il volume delle sparse
acque, mentre inondavano da tutte parti la terra, e iu
tanta copia a coprirne la superficie adergevansi, che sem-
brava non vi fosse proporzione alcuna tra le acque e gli
altri elementi ; e ciò poi si rileva anche dallo affermarsi
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che prima la terra vadeasi ovunque dagli abissi circon-
dala. La causa' poi di tale sovercliianza di acque la in-
dagheremo in appresso ; frattanto alcuno di voi, per
quantunque negli studii assai pratico e acuto scruta-
tore dell’ opera di questa caduca e mutabile esistenza
non impugnerà cotesta opinione accusandoci di propor
cosa che non possa ragionevolmente avvenire, ed al-
I i o non sia che immaginoso inGngimenlo ,
nè vorrà
al certo che gli diciamo qual punto a cotesto immenso
volume di acque servir dovesse di appoggio. Poiché di
quella pongono la terra assai più pesante
guisa che
dell’ acqua come sospesa nel mezzo e lontana da qual-
siasi estremo contatto ; non altrimenti ne concederanno
che possa alla terra intorno raccogliersi lo sterminalo
volume delle acque sì per quell’ impeto naturale con
cui si lanciano al fondo, come per quella legge con cui
tendono incessantemente ad equilibrarsi. Le acque dun-
que in copia immensa ravvolgeano la terra, nè serba-
vano con essa proporzione che fosse, ma di gran lunga
superavanla ;
poiché gradiva così all’ archetipo onnipo-
tente che nel principio vedea l’avvenire, e tutte co-
se allora ordinava secondo che i bisogni futuri avrebbe-
ro richiesto. Ma, voi ripigliate, a che facea d’uopo tanta
inconcepibile copia di acque? attendetemi: l'ignea so-
stanza è necessaria all’universo non solo alla conservazio-
ne delle cose terrestri, ma ben anco a rendere perfetto
lo stesso universo, poiché sarebbe in tutte parli manche-
vole, come venisse a mancargli cotesto e potentissimo e
più che ogni altro utile elemento. Il foco poi e 1’ acqua
si trovano io contraddizione tra loro e tendono vicende-
volmente a distruggerai', essendoché il foco quando in
forza è maggiore, consuma l’ acqua ; e 1’ acqua alla sua
volta soverchiando il foco, lo spegue. Conveniva adunque
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che i due elementi non fossero in tumulto, nè per asso-
luta mancanza di questo o quello avesse a disciogliersi
l’universo: e a ciò ottenere il sovrano moderatore di
tutte cose provvide tanta copia di acqua, che mentre va
ad essere a poco a poco dall’ opposto elemento consu-
mata, pur bastasse a tener fronte fino al termine stabili-
to alla sussistenza dei mondo. Quegli infatti che ordinò il
peso e la misura di tutte cose, e che al dire di Giobbe,
conta se il voglia, ad una ad una le goccie delia pioggia,
conoscea bene quanto, secondo il suo comando, fosse per
durare la terra, e quanto alimento si dovesse quindi pre-
parare pel foco, e da questo appunto ne venne che nel-
la creazione 1’ acqua per sì gran copia abbondasse. Nè
havvi certamente alcuno sì ignaro della vita che abbia
d’ uopo degli altrui ragiouamenti che lo ammaestrino es-
sere il foco di assoluta necessità alla sussistenza del mon-
do, non solo perchè dell’ opera sua abbisognino le arti
che alla conservazione provvedono della nostra vita, co-
me quella del tessere, del cucire, dell’ edificare, del col-
tivare la terra *, ma perchè senza i benefici influssi del
calore nè mai avrebbero germogliato le piante, nè sareb-
bero giunte a malurezza le frutta, nè avrebbero comin-
ciato ad essere, o per alcun tempo dappoi sarebbérsi con-
servate le generazioni prodigiosamente varie degli ani-
mali terrestri ed acquatici e le sostanze ad alimentar*
nele necessarie : dunque facea d’ uopo la creazione del
foco perchè ogni maniera di produzione potesse cresce-
re e conservarsi ;
ma richiedevasi parimenti una gran
copia di acqua, perchè la forza struggitrice del foco è
inevitabile, e mai non cessa.
\ olgete uno sguardo alle create cose, quant’esse so-
no* e vi sarà dato di scorgere la forza prepotente del ca-
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lore essere la causa principale dello sviluppo e della cor-
ruzione di tutte, perciò a temperamela in grande ab-
bondanza si versarono le acque parte nella superficie
delia terra, parte al di là derisibili oggetti lanciate, par-
te ne’ tenebrosi e profondissimi meati della terra sepol-
te. Quindi la moltitudine delle fontane, la frequenza dei
pozzi, il copioso versarsi delle correnti o perenni o che
a tratti intermettono il proprio corso, affinchè l’umidità
ad ogni uso nei proprii serbatoi si trovasse raccolta. Ed
ecco dopo il solstizio d’ inverno maestoso e gonfio dalle
orientali spiaggie procedere il fiume Indo di tutte altre
correnti fluviatili maggiore, come ci han detto coloro che
descrissero 1’ universo, di mezzo 1’ oriente poi se n’ e-
scono il Battro, il Coaspe, l’Arasse, e da esso pure il di-
viso Tanai che mette foce nella Palude Meotide ed ol- :
tre a questi il Fasi che sgorgando dai monti Caucasei ed
altri innumerevoli dalle lande settentrionali nelPont’Eu-
sino si versano. Quinci all’ opposto nelle regioni occi-
dentali dopo il solstizio estivo ingrossano alle falde dei
Pirenei il Tartesso e l’ Istro-, il primo de’ quali si sca-
rica oltre le colonne erculee nel mare, il secondo traver-
sa T Europa e mette capo nel Ponto. Nè vale eh’ io vi
ricordi quegli altri che giù dai Rifei monti posti nelle
viscere della Scizia disgorgano-, del cui numero è il Ro-
dano con altri moltissimi fiumi e tutti navigabili, che
discorrendo in mezzo ai Galati, ai Celti ed ai vicini po-
poli barbari nel pelago occidentale riescono. Altri dalle
prominenze del mezzogiorno dipartendosi trapassano
l’Etiopia, e parte finiscono nel nostro mare, parte in
quello cui nave alcuna non solca, e tali sarebbero l’Ego-
ne, il Nisi ,
quello cui chiamano Cremete, ed inoltre il
Nilo che in se non tiene propriamente la natura di fiu-
me, mentre a foggia di mare inonda l'Egitto. Di tal gui-
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sa cotesta parte abitabile della nostra terra è da copiose
acque circoscritta, da profonde voragini marittime cin-
ta* da perenni innumerevoli fiumi irrigata per somma
provvidenza di colui che dispose non potesse ella così
facilmente essere dalla forza opposta della sostanza ignea
consunta; benché verrà tempo in cui tutte cose terrene
dal foco struggerannosi, come attesta Isaia ,
laddove
così parla al Creatore dell’ universo: Tu dirai agli abissi
rimanetevi desolati e tutti i vostri fiumi inaridiscano.
Per lo che deposto ogni vanto superbo di una scienza in-
gannatrice, ricevete con noi gli ammaestramenti della
verità umili nelle espressioni e comuni, ma sodi ed im-
mobili nei concetti.
Sta scritto dunque: Siafatto il firmamento di mez-
zo t acque e le acque dalle acque separi ; e noi vedem-
mo che cosa nella Scrittura significhi la parola firma-
mento poiché;
si dichiara ivi il firmamento non esse-
re una natura solida e compatta di gravezza e di re-
sistenza fornita, mentre in questo modo anche alla terra
potrebbe convenire il medesimo nome. Essendo poi la
natura delle superiori sostanze corporee sì rara e sottile
da non poter essere avvertita in guisa alcuna dai sensi ;
così al confronto di quelle sostanze che sono esilissime
e sfuggono ad ogni sensibile percezione, a cotesto si dié
il nome di firmamento, e a rappresentarvelo fingetevi
un luogo che abbia il potere di separar le sostanze flui-
de per guisa che alto sollevi le distillate e leggiere, e
giù lasci piombare le pesanti e concrete, con tal legge
però che dal principio al fine sussista la temperatura me-
desima per la forza del calore che a poco a poco la so-
stanza acquea consumi. Voi nullameno riterrete per in-
credibile tanta sovrabbondanza di acque: ma guardate,
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H
vi prego, alla intensità del calore che per quantunque
assai minor di volume, pur vale colla potenza sua a
strugger l’acqua in gran copia. Attrae l’ umor circostan-
te a guisa delle coppette mediche, attratto poi il consu-
ma come la fiammella delle lucerne che su per lo stop-
pino attira il sottoposto alimento, e attiratolo lo trasmuta
tosto in fuliggine. ha forse alcuno che dubiti la natura
dell’ etere esser ignea e bruciante ? E se dal comando
insuperabile del creatore non fosse rattenuta, qual osta-
colo mai gli avrebbe impedito d'infiammare e distrug-
gere tutte cose circostanti e consumarsi interamente gli
acquei principii loro? Nè per altro motivo al certo nel-
f aria vassi formando l’ acqua, allorché le sovrastanti
regioni copronsi dei vapori che dai fiumi, dalle fontane,
dagli stagni, dalle paludi e dai mari tutti si elevano, se
non perchè l’etere non pervada e non abbruci l’univer-
so. E di ciò ne abbiamo un’ immagine nel sole che nei
giorni estivi in brevissimo tempo fa che divenga privo
d’umore ed arido affatto un suolo poco prima umido e
fangoso. Dove se n'andò, io chiedo, quell acqua ? Rispon-
dono coloro che vantassi della cognizione di tutte cose
forniti: Forse a ciascuno chiaro non apparisce, che quel-
l'acqua fu disciolta in vapore e dagl" infuocati raggi del
sole consumata ? Ma cotestoro insistono da vantaggio,
affermando che il sole non è ne anco caldo, e trovano il
tempo di uscire in ciarle di simil fatta. Attendiamo pe-
rò a qual dimostrazione si appoggino onde resistere al-
l’evidenza: il sole, dicono, è bianco, non rossiccio, nè
biondo: dunque non è neppur igneo di sua natura •, ma
il calore in lui nasce dallo aggirarsi che fa velocissimo.
E qual conseguenza poi vorrebbero dedurre? Vorrebbero
farci credere che il sole non consumasse umore di sorte
alcuna. Io per contrario, benché ritenga non esser vero
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ciò eh ossi vanno spacciando, pure noi rifiuto, se viene
anch’esso a prova dei mio assunto. Ed io iuiatli diceva
che il gran volume dell’acque era necessario al continuo
struggimento che di esse ne veniva dal calore, e, quan-
do nelle medesime sostanze si producono i medesimi
effetti, nulla per me importa se di sua natura il sole ri-
scaldi, o se cotesta virtù ne venga da qualch’altra
a lui
particolar condizione: poiché sia che le legna per la vi-
cendevole confricazione s’infiammino, sia che sovrappo-
ste al foco divampino, e nell’un caso e nell’ altro si ottie-
ne il medesimo effetto. Del resto vediamo essere sapien-
tissima la disposizione del sovrano moderatore di tutte
cose, che il sole passi da luogo a luogo, affinchè ferman-
dosi sempre nello stesso col soverchio calore non Scom-
ponga l’ordine dell’universo. Quindi è che il guida nc’
solstizii d’ inverno alle parli australi, negli equinozii lo
trasmette ai segni corrispondenti, e ne’solslizii d’ estate
alle regioni iperboree lo scorge* sicché da cotesto avvi-
cendamento ne derivi alla terra soggetta la opportuna
temperatura. Guardino di non trovarsi in contraddizion
con se stessi coloro che affermano il mare, benché ac-
colga nel suo seno tanti fiumi e sì vasti, non uscire da’
suoi confini per quello struggimento che ne fa il sole, e
rimanersi salso ed amaro perchè viene disciolto quell’u-
more ch’è più sottile e potabile : ed aggiungono ciò ac-
cadere per quella potenza di separazione che ha il sole
con cui toglie ciò ch’è leggiero, e lascia ciò ch’è denso
e terroso, come il fango e le deposizioni sedimentari,
donde la salsedine, l’amarezza e la forza di corrodere
ch’è propria delle acque marine. Ma dopo che intorno
al mare parlarono di questa guisa, cangiano di parere
ed attestano che dui sole non venga di nulla la sostauza
acquea scemala.
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E Dio impose il nume di Ciclo al firmamento: le
quali parole dimostrano che la usata appellazione pro-
priamente ad altro oggetto si addice, ma che di essa per
certa simiglianza il medesimo firmamento fu messo a
parte. E di fatloabbiam avuto motivo di riscontrare non
di rado chiamarsi cielo quel luogo trasparente ed etereo
per tale una spessezza e non interrotta unione dell aria
che si manifesta chiaramente agli occhi nostri, e per ciò
appunto che si manifesta ottenne cotesto nome (i). Quin-
ci la Scrittura ricorda: Gli uccelli del ciclo', quindi: I
volatili che dispiegano P ale a seconda del firmamento
del cielo : e altrove ne dice: Che montano fino ai cie-
li $ e Mosè che versa benedizioni sopra la tribù di Giu-
seppe, le implora dalle gioconde produzioni del cielo
:
e della rugiada , dai solstizii e dai congiungimenti luna-
ri , dalla cima dei monti e dei colli eterni (2) ; e ciò
perchè la terra circostante è dalla loro conveniente tem-
peratura fecondata di più: nelle maledizioni ad Israele
esclama : Il cielo che si distende sopra il tuo capo fu-
rassi di bronzo (3). E
che vogliono poi significare que-
ste parole ? Non altro che una siccità estrema ed una
mancanza assoluta di pioggie, per mezzo delle quali si
feconda di tutte sue produzioni la terra. Allorché adun-
que dice che vengon tratte dal cielo le rugiade e le piog-
gie, intendiamo che si traggono quelle acque a cui per
divino comando furono le regioni superiori assegnate :
poiché raccolte che siano ne sovrastanti spazii 1 esalazio-
ni sollevatesi, come l aria per la forza dei venti si compri-
ci) Le parole di S. Basilio suonano cosi: A verho opàrì* 1
(vi-
veri) pelila est appeltatio nominis rin ivp**»,id est coeti.
(2) Salmo Vili. 9. - Gen. I. 20. - Salmo CVI. 26. - Deuler.
XXXIH. 13.
(3) Deuler.
XXV III. 25.
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ma e si addensi, ed i principi i acquei che pria sotto forma
di tenuissimo vapore sparsi vagavano entro alle nubi a
vicenda si accostarono e si congiunsero -, producono le
goccie che giù piombano tratte dal peso che ha in se la
concrezione dei fluidi ed ecco l’ origine della
;
pioggia.
Quando poi cotesto fluido sia sparpagliato dalla violenza
dei venti, e ridotto a rassomigliare la schiuma, e tosto
per la impressione del freddo interamente si congeli, al-
lora la rotta nube si discioglie in neve ;
ed in breve dai
medesimi principii è d’uopo ripetere la origine degli u-
mori tutti cui sopra del nostro capo vediamo nelle re-
gioni dell’aria divagare. Non vi sia però chi intenda por-
re a confronto la semplice e disinvolta spiegazione di
queste sentenze della Scrittura colle ricercate e miste-
riose investigazion di coloro che vanno intorno al cielo
filosofando*, poiché quanto la bellezza delle caste donne
sta sopra alla meretricia, altrettanto dalle nostre sono le
profane parole superate. I filosofi infatti cercano di pro-
cacciare colla forza degli argomenti un qualche grado di
probabilità alle proprie asserzioni, e qui si mette innan-
zi ignuda e spoglia di ogni artificio la veritade. Nè ci
torna necessario lo affaticarci nel combattere le loro men-
zogne, poiché basta mettere l’un l’ altro di fronte i libri
che scrissero, indi sedere pacifici testimonii delle pro-
prie loro contese. E v’ha una schiera non inferiore di
numero nè di autorità e che di molto la vince nella fa-
condia clic fa contro a coloro tutti che seguono un’ opi-
nione alla sua diversa, ed è la schiera di quelli che af-
fermano dover essere abbruciato il mondo e sorger di
nuovo da que’semi primigenii che nelle bruciate cose
rimangono tuttavia’, d’ onde ritraggono gli argomenti
per un’infinita vicenda di rigenerazioni e discioglimen-
ti del mondo. Ma, come gli altri, anche costoro errando
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lunge dal vero trovano quinci e quindi molte scappate
all’ errore.
Dobbiamo inoltre pria di por fine tener parola con-
tro alcuni scrittori ecclesiastici che descrissero cotesta
separazione delle acque, i quali sotto il pretesto di veder-
vi un senso anagogico ed una significazion più sublime,
ricorsero alle allegorie per guisa che dissero nelle acque
metaforicamente alcune potenze incorporee e spirituali
rappresentarsi, e sopra il firmamento essersi raccolte le
più distinte, mentre le maligne piombarono al disotto
ne’ pesanti luoghi e terreni. Quindi è che asseriscono
lodare Iddio quell’acque che stanno sovra del cielo, cioè
quelle potenze avventurose che per la mondezza della
intelligenza son degne di sciogliere al Creatore il canti-
co che a lui conviene, ove per lo contrario le acque sot-
to del cielo ragunatesi sono altrettante perverse nature
decadute dalla originale grandezza al profondo della ini-
quità (i): e di più aggiungono eh’ essendo torbide, se-
diziose, e per mille contrarii affetti di continuo in tem-
pesta, ebbero il nome di mare a dimostrarne la volubi-
lità ed il contrasto dei moti diversi che dalla volontà si
dipartono. Ma noi rigettando coteste curiose interpreta-
zioni come favole e sogni, per acqua non altro intendia-
mo che acqua ,
e la separazione che se ne fece la spie-
ghiamo nel modo superiormente accennato. Che se tal
fiata invitiamo coteste acque poste sopra del cielo ad e-
mettere un inno al creatore dell’universo, non perciò lo-
ro si attribuisce una ra^ionevol natura. Infatti chi direb
_ o
be c!ie i cieli fossero intelligenti perchè narrano le pio
rie di Dio? che il firmamento fosse un animale fornito
(1) Qui parla della spiegazione
indotta da Origene.
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di sensi perchè annuncia V opere delle sue mani? E se
vi fosse mai chi dicesse nei cieli rappresentarsi le virtù
alla contemplazione create, nel firmamento le potestà so-
lerti e di tatto eh’ è bene operatrici, diremo che questa
opinione è ingegnosa, ma non potremo accoglierla come
vera giammai ;
poiché a questo modo e la rugiada e la
brina, e il freddo e il caldo, per ciò che appresso Danie-
le si chiamarono a celebrare il Signore dell’universo, di-
verrebbero spirituali e quindi sostanze invisibili. Pure,
ove questa maniera di favellare venisse dagli acuti no-
stri pensatori in que’ luoghi spiritualmente interpretata,
ne darebbe compiute le lodi dell’Onnipotente.|Conciossia-
chè non è soltanto l’acqua al di sopra del cielo raccolta
che sciolga a Dio il cantico di benedizione, come quella
che secondo la naturale virtù è fregiata di maggiore ec-
cellenza, ma si Lodate Iddio voi che vi
disse ancora:
trovate sulla terra dragoni ed abissi quanti mai sie-
te (i). Da cui si vede che i medesimi abissi che stati
erano da quelli che fann’uso delle allegorie respinti nel-
le parti più detestabili, non si credettero dallo scrittore
dei Salmi degni di tal abbandono e disprezzo che non
venissero chiamati a far parte del coro coi tessono le
creale cose, che anzi anch’essi giusta la propria natura
intuonano un armonioso cantico a Dio.
E Dio il vide ch’era hello. Non è che all’onnipo-
tente accrescano gioja le cose da lui create, e nemmeno
la celebrazione della bellezza appresso di modo
lui, al
che abbiam noi nel celebramela si assomiglia j ma ciò
essendo bello che alle regole dell’ arte perfettamente e
assolutamente corrisponde e fende ad un qualclie utile
*
fi) Salmo CXLVIff r. 7.
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scopo ,
ne viene che avendosi proposto un fine manife-
sto nelle cose che si creavano allora, le approvò anche
perchè conobbe che sarebbero per raggiungere lo scopo
a cui furono dalle ragioni della divina arte indiritte. In-
fatti se pongasi da un lato la mano, da un altro l’occhio,
sì che le membra di una figura d’uomo separatamente
sen giacciano, non potranno sparpagliate ovunque a que-
sto modo apparir belle ad alcuno, ma se invece le varie
parli pongano ordinatamente a lor luogo; la bellezza
si
che fuori emerge dalla proporzione, e da prima ne soc-
correva agli sguardi appena, manifestamente a ciascun
rozzo ed ignaro anche affatto delle leggi del bello ap-
parisce.Nullameno l’artefice conosce la bellezza delle
partiprima ancora che le connetta, e singolarmente le
approva, perchè vede in ciascuna adempiuto il fine a cui
tende. Iddio pertanto ora ci si dipinge sotto l’immagi-
ne di un artefice che loda a parte a parte l’ opere sue,
e non dubita di dare la medesima approvazione all uni-
verso come lo scorge interamente compiuto. Del resto
qui abbia termine il mio discorso intorno alle opere del-
la seconda giornata, affinchè a’ solleciti uditori non si
tolga il tempo opportuno di esaminare le cose che ascol-
tarono, e ritrovatene di vantaggiose, se le stampino ben
addentro nella memoria e con una diligente meditazio-
ne, come con opportuno cuocimento, le preparino a
passare nella propria loro sostanza ;
abbia termine anco
per non impedire a quelli che si procacciano col lavoro
il vitto di ordinare nelle ore di mezzo le proprie faccen-
de, così che l’anima fatta libera da tutte altre sollecitudi-
ni possa accostarsi alla mensa della parola che viene in
sulla sera imbandita. Il Signore poi che tante cose creò,
per cui suprema disposizione fu esposto anch? il poco
eh io dissi, in tutto vi conceda il oonoscimento della sua
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erità, affinchè dalle cose visibili ascendiate all’invisibile,
e dalla maestà e bellezza delle creature argomentiate la
bellezza e maestà che al sovrano ordinatore conviensi. Di
fatto le celesti cose invisibiliper mezzo di quelle che in-
nanzi appariscono possono dalle terrene creature ve-
si
der ritratte , e con ciò pur anco la divinità e la sempi-
terna loro virtù ( i): di guisa che nella terra, nell’aria, nel-
l’acqua, nella notte, nel giorno, in tutti oggetti che ci si
offrono innanzi, abbiamo altrettanti motivi di ricordarci
del nostro benefattore. Nè al certo sarem per correre in-
contro alle occasion di peccato, ne per lasciar dentro
de’ nostri cuori il campo all’ inimico, ove cerchiamo di
tenere Iddio con noi, richiamandolo di continuo agli oc-
chi della nostra intelligenza : e a lui appunto sia gloria e
adorazione, ora, sempre, e ne’ secoli de’secoli : così sia.
(1) S. Paolo ai Romani I. 20.
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OMELIA IV.
INTORNO AL RADUNAMENTO DELLE ACQUE.
Trovansi delle città che dal primo sorgere del dì
fino alla sera rimangonsi intente a vedere i giuochi di
ogni maniera, cui lor mette innanzi l’arte dei ciarlatani.
E v’hanno pur degli uomini che nello ascoltare anche al-
la lunga delle canzoni libere, dissolute ed eccitatrici di
molti impuri sentimenti nell’animo non si stancano mai,
anzi non pochi darebbero a questi popoli il nome di bea-
ti, perchè lasciati i traffici del foro, abbandonati gli u-
tili ritrovamenti delle arti che alla conservazione prov-
vedono della vita, passano in mezzo all’ozio ed ai piaceri
il tempo alla mortale esistenza stabilito. Ma io son d’av-
viso che ignorino le scene di costoro ridondare di spet-
tacoli vergognosi, e farsi un pubblico e vicendevole
commercio di lascivie da tutti che ivi accorrono ad oc-
cupare alcun posto. Quelle armonie poi che soavissime
si traggono dai liuti e quelle meritricie canzoni insinuan-
animo degli ascoltatori
dosi nell’ a nuli’ altro li persua-
dono che ad atti osceni, cui nello stesso percuotere delle
cetre e dei flauti rappresentano gl’istrioni. Nè mancano
di quelli che pigliansi eccessivo diletto dei cavalli, e nei
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medesimi sogui si metton in lizza, trapassano i cocchi,
Juuge spingono dalla meta i guidatori, e in breve per
sì fatta guisa nelle fantastiche visioni notturne le stolte
abitudini ripetono della giornata. E noi, cui Dio creato-
re ed arbitro onnipotente di tutte cose ammirabili, qui
ne invitò a celebramele, noi nella contemplazione di esse
e nell’udire le parole dello Spirito ci stancheremo, o ue
rifuggirem per ignavia ? E perchè non piuttosto al ve-
derne circondati da cotesto e vasto e svariatissimo tea-
tro delle opere divine non risaliremo colla mente ai tem-
pi che passarono, e non indagaremo la natura e l’ordine
dell’universo? Del cielo, che secondo il parlar del Profeta
è fonnato a guisa di una vòlta ad arco, della terra che in
onta alla grandezza ed alla sua gravità sterminata appog-
gia sopra se stessa: delfaria flessibile, clastica, umida per
natura, atta a porgere un alimento continuo al respiro,
duttile e per la propria cedevolezza facile ad essere dai
movimenti del corpo divisa, sì che non presenti ostacolo
alcuno a que’che la solcano, e dietro le spalle di chi va
innanzi celeremente e senza sforzo si raccolga e di nuovo
confondasi: finalmente dell'acqua, sì di quella che ne ser-
ve ad alimento, come dell'altra che ne viene all'uopo negli
usi diversi della vita, la cui natura ed unione in certi
luoghi stabiliti ci sarà dato ammirare in ciò che non ha
guari io raccolsi e vengo ora ad esporvi.
Disse ancora Iddio : si radunino le acque che so-
no rimaste sotto il cielo in un sol luogo e T arido ele-
mento apparisca. E così fu fatto , e le acque che rima-
ste erano sotto il cielo si radunarono nei proprii lor
luoghi, e f elemento arido apparve : e all arido elemen-
to diede Iddio il nome di terra e le raunate delle ac-
que le chiamò mari. Nei passali discorsi mi offriste rao-
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tivo a non lievi discussioni quando mi chiedevate, in che
modo la terra poteva essere invisibile mentre ciascun cor-
po necessariamente porta con se un qualche colore, ed o-
gni colore che sia non può sfuggire agli organi della vista.
Nè per avventura vi sembravano bastevoli allora le ra-
gioni che addussi dicendovi che fu scelta e adoprata la
parola invisibile non ad esprimere 1 essenza della cosa
significata, sibbene a nostro riguardo per la frapposizio-
ne dell acque che da principio coprivano tutta la terra.
Or udite la Scrittura che spiega se stessa : Si radunino
le acque e l' arido elemento apparisca. Contraggonsi i
velami perchè si mostrino quelle cose che prima non
potevano esser vedute. Ma forse taluno a questo luogo
ripeterà le dimande; ed in pria farassi a chiedere per-
chè la Scrittura attribuisca ad un cc»mando del creatore
ciò cli’è proprio essenzialmente dell’ acqua la quale ten-
de per sua natura alla china. Di fatto fin a tanto che l’ac-
qua è posta in un suolo piano ed eguale, rimansi ferma,
perchè non ha onde uscire ma non sì tosto ha ella sor-
•,
tito un qualche declivio, che la parte più dappresso alla
piegatura si muove, e come è portata innanzi la prima,
entra ad occupare il suo posto la seconda che le vien
dietro ed è a lei strettamente congiunta, ed a questa se-
conda le precipita sopra 1'
altra che le aderisce, e così di
continuo via discorre quella che precede, incalza quella
che sta da tergo. L'impeto poi cresce in velocità quanto
è più grave il volume che allo ingiù si l’inversa e quan-
to è più inclinato il luogo pel quale succede il versa-
mento delPacqua. Che se la natura dell’ acqua è questa,
sarà fuor di proposito ed inutile il comando con che le
fu imposto di raccogliersi in una massa: poiché doveva
necessariamente avvenire che per la naturai sua tenden-
za al basso, si dovesse necessariamente raccogliere nel
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luogo di lutti il più profondo, e non prima si acquetas-
se che non si fosse nella sua superfìcie equilibrata : non
essendovi alcuna regione piaua di quel modo eli 'è piana
7
la superfìcie dell acqua. ludi si farà a chiedere nuova-
mente: come fu imposto alle acque di raccogliersi in
una massa, se mari son molti e per lunghi intervalli e
i
diverse posizioni divisi? Alla prima obbiezione pertanto
rispondiamo, che dopo il precetto del Signore conosciam
bene il movimento dell'acqua, e sappiamo esser ella in
tutte parti versatile, instabile, tratta di sua natura a cor-
rer giù per ogni declivio: ma quali l’ussero in origine le
sue forze, prima cioè che ricevesse lo impulso di cote-
sto divino precetto, nè
sappiam noi, nè avrete udito
il
che alcun altro Pensate ora
lo sappia. chela voce di Dio
è produttrice della natura, e che pel comando cui im-
ponevasi in quello istante alle create cose si dava loro
ed ordine e misura per lo avvenire*, poiché una volta
sola crearonsi il giorno e la notte, e d’allora in poi non
cessano di succedersi l’uno all’altra a vicenda, e divide-
re in parli eguali il tempo.
Si radunino le acque: dunque s’impose alla natura
acquea di correre; nè mai verrà meno al precetto che in-
cessantemente la preme. Ciò poi dicendo ho riguardo alla
porzione delle acque correnti; poiché ve ne hanno di
quelle che naturalmente si versano come sarebbero le
lontane ed i fiumi, e ve ne hanno delle altre che si ram-
massano e stagnano; ma ora io parlo delle acque dal pro-
prio loro particolare impulso commosse. Si radunino le
acque in una sol massa. Stando presso di una qualche
sorgente che fuor getti l’acqua in gran copia vi occorse
mai il pensiero di chiedere a voi stessi, chi tragga dalle
viscere della terra quell’acqua? Chi fuori di continuo e
0
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con tal violenza la spinga? Quali siano i serbatoi d onde
se riesca? Quale sia il luogo ove si affretti? Come in
fine non manchino le scaturigini, nè il ricettaeoi si riem-
pia? Tutti cotesti latti da quel primo comando derivano
da cui l’acqua ebbe lo impulso a correre, sì che a spie-
gare la storia intera delle acque è d’uopo che richiamia-
te alla memoria quelle parole primitive: Si radunino le
acque. Conveniva che discorressero per trovare un luo-
go opportuno a raccoglierle : dipoi raccolte in certi siti
lor proprii conveniva che ivi si ammassassero nè proce-
desser più oltre. Quindi, secondo il detto dell’ Ecclesia-
ste ;
tutti i torrenti entrano nel mare , e il mare non si
riempie giammai ( i ) , poiché in adempimento al co-
mando Dio giù trascorrono le acque, e tuttavia i con-
di
fini mare sono que’medesimi, che primamente dalla
del
legge del Signore erano posti. Si radunino le acque in
un sol luogo: con le quali parole fu imposto loro di rac-
cogliersi insieme, perchè diffondendosi e divagando per
le regioni irrigate, non sorpassassero ogni confine, e più
e più crescendo non riempiessero tutta la terra. Per ciò
dunque il mare non di rado da procellosi venti rabbuf-
fato e pe’fiotti gonfissimi a grande altezza elevatosi come
sol tocchi i lidi, convertendo ogn’ impeto in schiuma, si
ripiega sopra se stesso. Forse , dice il Signore, non avre-
te timore di me che posi a limite del mare f arena (2).
Il mare pertanto, la cui violenza è indomita, come fosse
cosa di tutte le più debile, viene dall’arena e impedito c
contenuto. Del resto, ove stretto non fosse dal comando
dell’onnipotente, quali ostacoli rispetterebbe il mar Ros-
so per non invadere tutto lo Egitto che gli è posto più
(1) Ecc.I. T-
(2) Geremia.
V. 22.
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sotto, e per non congiungersi all oceano che lambc le
coste del medesimo Egitto? E che di latti l’Egitto giac-
cia in suolo alla posizione del mar Rosso inferiore, celo
disser coloro che tentarono insieme congiungere il mare
Egiziaco a quello dell'Indie col quale il mar Rosso le pro-
prie acque confonde. Perlochè cessarono dalia impresa
e quel Sesostri Egiziano che il primo vi si accinse, e
quel Dario Medo che aveasi fitto celiammo di giugnere
questo medesimo scopo. Nè per altro io dissi questo che
per darvi ad intendere il potere e la forza di quel pre-
cetto. Si radunino le acque in una sol massa d" onde :
apparisce che dopo cotesta prima non si dà luogo ad al-
tra unione che sia; ma deve insieme rimanersi raccolto
tutto che lo fu da principio.
Chi disse che le acque si unissero in una massa,
dimostrò che le acque erano molte e per molti luoghi
disperse. Certo le cavernose viscere dei monti e le pro-
fonde lor gole che di ragunate acque soverchiavano, e
le vastissime estensioni di campi nella propria loro ster-
minala curvatura per nulla diverse dai mari più spazio-
si, e le valli innumerevoli, e le interne separazioni mon-
tane in mille varie foggie disegnate che di acque riboc-
cavano anch’ esse, vuotaronsi al comando di Dio, che
volle da tutte parti in un sol volume raccoglierle. Nè qui
alcuno ci dica, che se le acque coprivano la superficie
terrestre, era d’ uopo che del tutto empiessero anche
quei seni cavernosi, in cui si dice che andasse allora a
raccogliersi il mare; nè d’avvantaggio ne chieda, ove po-
tessero rammassarsi le acque, se le cavità tutte erano già
impedite! Che a ciò risponderemo i grandi serbatoi es-
sersi preparati in quell’istante medesimo nel quale con-
veniva si facesse il prodigioso radunamento dell’ acque,
chè prima non esisteva il mare oltre i confini Gaditani }
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uè quell’ampio e terribile ai naviganti che l’isola Britan-
nica e le Spagne occidentali lambisce: ma tosto che per
divino comando quel luogo capacissimo si distese, en-
tr’esso le acque in gran volume precipitarono. Contro la
seconda obbiezione poi, che il nostro giudizio intorno
l’origine del mondo si opponga al fatto medesimo che
ne dimostra non essersi le acque raccolte in una massa
unicamente possiamo addurre molte prove, e tutte per
•,
se evidentissime: ma forse è cosa ridicola il venire con
questi pure a contesa. Intendono per avventura metter-
ci di fronte le acque palustri o quelle che per le cadute
pioggie si ammassano, e pensano che il nostro assunto
rimanga da tali sussidiarii argomenti abbattuto? Iddio
chiamò radunamento di acque la enorme e massima lo-
ro affluenza. I pozzi sono anch’essi delle raunate di ac-
qua, ma artificiali, poiché ivi nella scavata fossa racco-
gliesi l’ umore che serpeggia per entro le viscere della
terra. Nè certo il nome di universale radunamento con-
viensi a qualunque raccolta di acque, ma solo alla più
grande in cui tutto comprendesi l’elemento. Di quella
guisa in fatti che il foco per soccorrere ai nostri bisogui
separasi in molte parti minute, mentre complessivamen-
te per l’etere si diffonde; di quella guisa che l’aria divi-
desi in tenuissime porzioncelle nell’ istante medesimo
che in gran cumulo riempie i luoghi alla terra circostan-
ti: non altrimenti anche l’acqua in una massa generale,
che da tutti gli altri elementi la separa raccogliesi, nè
importa che quà e là alcune minori e parziali raunate si
scorgano. Poiché radunamenti di acqua son pure e gli
stagni per le lande settentrionali disseminati, e quelli in-
terposti alle regioni della Grecia, e gli altri che solcano
laMacedonia , la Bitinia , la Palestina ma ora discorria- :
mo del massimo, che in grandezza non è per nulla a!
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r.p
continente inferiore. Non vi sarà per certo chi nieghi
raccogliersi in quelle ampie capacità l acqua in gran co-
pia, nullameno a tutto rigore non potrà dar loro il nome
di mari, quantunque contengano e salsedine e spessezza
non diverse da quelle del mare: come il lago Àsfaltide
nella Giudea, il Serbonite, che di mezzo all’Arabia de-
serta tra l’Egitto e la Palestina distendesi : e questi pur
sono altrettanti laghi e stagni ma il mare come afferma-
*,
no quelli che in giro corsero la terra, è un solo, e benché
siavi chi pensi che il mar Caspio ed Ircano siano ovun-
que da proprii limiti circoscritti, pure se dobbiam pre-
star fede agli scrittori di geografia, comunicano insieme
col mezzo di alcuni meati e per delle foci anguste si ver-
sano poi nel gran mare, a quel modo che attestano anche
il mar Rosso congiungersi a quello ch’è posto oltre i li-
miti Gaditani. Qual è dunque la ragione, soggiungono,
per cui Iddio diede a cotesti ammassi di acque colletti-
vamente il nome di mari? Risponderemo, che le acque
in effetto concorsero in un solo radunamento, ma nel rac-
cogliersi avendo formato più seni rinchiusi dalle terre cir-
costanti e da speciali configurazioni distinti, perciò dal
Signore si appellarono mari ;
e secondo la posizion loro
si dissero il mare a Settentrione, il mare ad Austro, il
:
mare ad Oriente, il mare ad Occidente che anzi taluni eb- -,
bero puranco dei nomi particolari come il Ponto Eusino, :
la Propontide, P Ellesponto, l’Egeo, il Sardico, il Siculo
ed il Tirreno, e più altri infiniti, che sarebbe or troppo
lungo e fuor di luogo l’annoverare e accuratamente descri-
vere; per cui Dio nella massa universale le singole suddi-
visioni risguardando in comune sotto il nome di mari
rappresentolli; ed ecco ove ne trasse il succedersi delle
idee; ma ora però è d’uopo che ritorniamo a quello cui
da principio proponemmo.
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Disse ancora Iddio si radunino le acque in un
sol luogo e l arido elemento apparisca. Non disse, e ap-
non mostrarcela tuttavìa scompo-
parisca la terra , per
sta, fangosa, ingombra di acque, e non ancora fornita
di una forma e sussistenza sua propria. Perchè poi non
avessimo da attribuire al sole la causa dell’aridità della
terra, perciò Teterno fabbro fece che la terra fosse arida
prima che il sole creato. Avvertite però al senso di quan-
to sta scritto nella Scrittura, e troverete che non solo la
soverchiante acqua giù discorse dalla superficie della ter-
ra, ma che si ritirarono pur anco obbedendo all’indecli-
nabile divino precetto, ch’erano per gl interni profondis-
simi meati diffuse. E così fu fallo. Questa conclusione
era bastevole a dimostrare l’efTelto ottenuto dalla divina
parola*, pure in molti esemplari si trova aggiunto: E le
acque che rimaste erano sotto il cielo si ragunarono
nei proprii lor luoghi e F elemento arido apparve: le
quali espressioni nè trovansi appresso degli interpreti
nè sono registrate nei testi che adoprano comunemente
gli Ebrei -, poiché infatti dopo quella testimonianza : E
così fu fatto , è inutile di ripetere la medesima cosa.
Quindi è che negli esemplari più esalti coteste parole
sono contrassegnate coll’asterisco, e l'asterisco è indicio
di cancellatura. Iddio poi all arido elemento diede il no-
me di terra , e le rannate delle acque le chiamò mari.
Perchè dunque superiormente si disse: Si radunino le
acque in un sol luogo e F arido elemento apparisca in- ,
vece di dire ed apparisca la terra ? E qui di nuovo sog-
giugnesi apparve F arido elemento e Iddio diede al-
:
F arido elemento il nome di terra? Perché l’aridità è a dir
così l’attributo, da cui la natura del soggetto è contras-
segnata ed espressa-, mentre la parola terra non è che
un nudo vocabolo apposto alla cosa. In quel modo poi
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,
che l'essere ragionevole è proprio dell' uomo, e questa
parola uomo significa lo slesso animale a cui l’accenuala
proprietà va congiunta*, così anche 1’ aridità è attributo
della terra, e a lei propriamente conviene. Ne segue a-
dunque che diessi il nome di terra a tutto che di sua
natura è arido, come appellossi cavallo ciascun animale
che nitrisce. Nè ciò riscontrasi nella terra unicamente
che tutti gli altri elementi sortirono alcuna qualità loro
propria, per cui si distinguono fra di loro, e in altret-
tante nature individuali separansi *, e f acqua ebbe per
sua propria attribuzione la freddezza, l’aria t umidità, il
foco il calore. Ed è la ragione che nelle sue indagini, in
quella maniera che accennavamo, risguarda coteste so-
stanze come gli elementi primi della composizion delle
cose }
benché, ove siano transustanziate nei corpi e ca-
dano sotto ai sensi, non ammettano tra loro cotesta se-
parazione di attributi, ma invece insieme li confondano.
Nè potrassi ritrovare alcuna cosa agli occhi o agli altri
sensi sottoposta che sia una assolutamente, e semplice e
pura: poiché la terra è arida e fredda insieme*, fredda
ed umida l’acqua*, l’aria umida c calda*, arido e caldo il
foco.Quindi è che per la finitima proprietade hanno
l’altitudine di mescolarsi a vicenda*, poiché per 1’ attri-
buto comune ciascun elemento si unisce col suo vicino, e
questo vicino unendosi al terzo, fa sì che il primo, mer-
cè di questa unione, col suo opposto congiungasi. E per
addurne un esempio la terra eli’ è arida e fredda per
*,
l’afTìnità della freddezza si accoppia coll’acqua, per mezzo
dell’acqua poi accoppiasi anco all’aria, sicché 1 acqua po-
sta quasi di mezzo all’ una e all’ altra, colf una e 1’ altra
delle proprietà sue, come sarei per dire collo stendere
di due braccia si attacca a prossimi elementi, alla terra
1
colla fredezza, all aria colla umidilade*, e 1 aria venendo
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aneli ella ad interporsi, la contraria natura dell’acqua e del
loco insieme raccosta, e per mezzo dell'umidità all acqua
e per mezzo del calore al foco si appiglia. Finalmente il fo-
co fornito anch’egli di due proprietà naturali, del calore
e dell’ aridezza *, col primo all’ aria, e colla seconda alla
terra si amica ;
e così dal comune accordo e dall’ordine
vicendevole che conservano, ha origine quel muoversi
che fauno di continuo in giro e quasi in danza armonio-
sa, per cui a tutta ragione fu imposto loro il nome di
elementi (i). E ciò io dissi per addurre un qualche mo-
tivo a dimostrare il perchè da principio si appellasse
arido elemento , e non terra , e fosse dato in appresso
all 'arido elemento il nome di terra. Poiché certo l’aridi-
tà non venne da que’ principii che insiuuaronsi dappoi
nella terra; sebbene da quelli che in pria costituirono
la sua essenza. Ond’è che le sostanze necessarie ad una
cosa qualunque perchè esista, in tempo e in merito na-
turalmente precedono gli accidenti che in seguito le si
aggruppasse!" d’altorno, e ben si lece a porne sottocchio
una delle prime vetustissime note da cui venisse la ter-
ra rappresentata.
E Iddio vide che lutto era belìo. Nè con ciò vuol
esprimere la Scrittura che il mare offerisse a Dio motivo
di certa particolar giocondezza ;
poiché il creatore non
risguarda la bellezza di quel modo medesimo che la crea-
tura ;
ma con ineffabile sapienza la intuisce. E pur gra-
dito lo spettacolo del mare biancicante allorché sopra di
(i)Se non avessi titillilo di date in una parafrasi troppo lontana
dal lesto avi ci di buon grado sostituito in questo luogo il seguente
periodo : Per cui a tutta ragione netta greca favella sortirono tal
nome che fontine con che procedono nella composizione Mie cose
rappresenti. Si disseto infjfi (ricini-illuni) da «rsijr»; (orilo).
73
se tranquillo ed immobile riposa, è gradito anche allora
che lievi aure lo increspano e presenta a chi lo guardi
un nè corre a battere
colore tra porporino e ceruleo -,
violentemente la ma la dgne, sarei per di-
vicina sponda,
Pure non è a pensarsi che la
re, di soavissimi amplessi.
Scrittura abbia voluto esprimere che il mare in questa
maniera apparisce a Dio bello e giocondo, eh’ Egli dal-
l’intrinseca ragione dell’opera ne traeva il giudizio della
bellezza. E in pria, perchè l’acqua del mare è sorgente
ed origine dell’altre acque tutte che solcano la terra. Es-
sa infatti si comparte ed insinua per certi occulti meati,
come il dimostra il disciolto e screpolato terreno per
cui serpeggiando entra, e dove gema rinchiusa nelle ob-
blique sinuosità cavernose che poi mettono capo ad una
qualche montana prominenza, tratta dalla intrinseca for-
za che la governa, fuori spiccia dalla rotta superficie e
deposta nel successivo distillamento la nativa amarezza
diviene il ristoro alle sete necessario E tal fiata ancora
traversando de’filoni metallici assume indole calorifica e
per la stessa intrinseca forza agitalrice non di rado in-
fiammasi e bolle : lo che possiamo vedere in molte isole
e luoghi al mare circostanti, ed anzi effetti consimili, se
fosse lecito paragonare le piccole alle gran cose, ne of-
frono le regioni continentali in alcuni siti che dappresso
al corso dei fiumi ritrovansi. Ma perchè diss’ io tutto
questo? Non per altro che per darvi a conoscere essere
la terra da mille tortuosi avvolgimenti solcata, e l’acqua
dipartitasi dal mare per tutte quelle sinuosità raggirarsi.
Bello dunque a Dio apparve il mare per le acque
cui versa di continuo nelle viscere della terra ;
bello an-
cora perchè in lui mettendo foce i fiumi quant’essi sono,
li raccoglie da tutte parti senza mai violare i proprii
confini. Bello ancora, perchè sorgente ed origine dell’ac-
10
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è
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qua aerea, mentre rarefacendosi sotto agl’infuocati raggi
del sole, lascia che le parti più sottili scoppino in altret-
tanti vapori, le quali, poiché furono tratte in alto e raf-
freddaronsi pel maggiore allontanamento dalla terra eh’
mezzo di riflessione dei raggi solari, e pel medesimo
adombramento che dal raccogliersi che fanno in forma
di nube è portato, si disciolgono in pioggia e il terreno
sottoposto fecondano. Nè ricuserà in guisa alcuna di
prestar fede a’miei detti chiunque abbia osservato delle
caldaje che si appressarono mentre pri-
al foco, le quali,
ma riboccavano di alcun liquido, rimasero non di rado
affatto vuote, scomponendosi in vapore tutto che vi si
pose entro a bollire. Possono poi venir a prova i mede-
simi naviganti, che con le spugne raccogliendo i vapori
della bollente acqua mariua, trovano in ciò un qualche
1
refrigerio nell estrema loro necessità. Bello inoltre ap-
parve il mare in faccia a Dio, perchè accerchia 1 isole e
le contiene, e di per sè loro impartisce adornamento e
1 1
sicurezza : di più unisce delle regioni l una dall altra
lontanissime, ed offre il mezzo di sollecito commercio ai
mercatanti, per cui ne mette a parte della storia di mol-
te cose ignorate, arricchisce coloro che trafficano, e ap-
presta opportunissimo soccorso ai bisogni della vita,
giacché a quelli che nuotano nella dovizia presenta il
modo di trasportare altrove i prodotti che sovrabbon-
dano, e provvede insieme di tal guisa anche a coloro che
ne difettano, acciò possano procacciarseli. Ma come var-
rebbero mai le mie forze a descrivere a parte a parte la
bellezza del mare quale si offerse allora alla intelligenza
del creatore? Che
se il mare è bello e degno di lode
innanzi a Dio, non è più bella forse la folla in que-
sto tempio convenuta , ove nelle nostre suppliche a
Dio, le miste voci degli uomini, delle donne e dei fau-
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ciulli, quasi flutti frangentisi presso i lidi s’ adergono ?
Ed è profonda la tranquillità che vi regna e mantienlo
imperturbato, mentre gli spiriti maligni cogli ereticali
lor dommi non han potuto commuoverlo. Procurate
adunque di religiosamente conservare quest’ordine in
mezzo di voi, onde meritarvi la celeste approvazione in
Cristo Gesù nostro Signore, a cui ne derivi gloria ed
impero per tutti i secoli de’ secoli. Così sia.
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OMELIA V.
INTORNO ALLA GERMINAZIONE DELLA TERRA.
•OiOK*
ti disse Iddio: la terra produca V erba del fieno
che maturi sementi secondo la propria specie e pro-
duca alberifecondi che ancK essi secondo la propria
specie portino frutto , e nel frutto trovisi il seme. Nè
senza ragione, deposto eh’ ebbe la terra il peso dell’ac-
qua e il primiero commovimento, ricevette il comando
di produrre in pria l’erba, e gli alberi dappoi, ciò che
vediamo avvenire tultogiorno ,
mentre la parola e il
precetto che usciva allora primieramente, divenne come
una legge di natura, ed appigliossi alla terra, e le diè
forza incessante di generare, e produr frutta in appres-
so. La terra produca : la prima produzione poi consiste
nello sviluppo de’ germogli, i quali, come grado grado
saran cresciuti, tramuterannosi in erba-, e diverran fieno
allora che appariranno rigogliosi e verdeggianti peli’ ot-
tenuto incremento, che nella propria giusta misura tutti
protenderannosi i filamenti, e saran giunti alla piena
maturazione del seme-, e ciò risguarda tutte le varie spe-
cie dell’ erbe, poiché tutte presso a poco e germogliano
e maturano ad un medesimo modo. La terra produca
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F erba del fieno: la nutrisca di per se slessa senza aver
d’uopo di altro ajuto che sia: lo che sta contro all’opi-
nione di quelli che pensano, che il sole attraendo per
mezzo del calore alla superficie la forza nelle interne
viscere rinchiusa, sia causa di ogni produzione terrestre.
Ma ora vediamo che la virtù produttrice della terra del-
l’ origine del sole è più antica dunque è d’ uopo che
-,
gl’ ingannati cessino di adorare sole come autore di
il
tutte cose di forza vitale provvedute. Quando per tan-
to si persuadano che la terra avanti il nascere del sole
andò delle molte sue produzioni fornita, deporranno in
qualche parte l’eccessiva meraviglia che di esso eransi
formata, richiamandosi alla memoria eh’ egli riconosce,
dopo quella dell’erba e del fieno, la propria origine. Id-
dio preparò dunque il pascolo pegli animali, e non si
prese sollecitudine alcuna dei mezzi di nostro sostenta-
mento? Che diciam mai! Nel provvedere a’ cavalli ed
a’ buoi, non si provvide forse grandemente ai comodi
ed alle nostre ricchezze ? Certo chi pasce gli animali av-
vantaggia di molto la condizione della nostra esistenza.
Poi la sola propagazione delle sementi è apparecchio
agli usi della nostra vita per non parlare dell’ erbe e dei
legumi tutti che servono ad alimento dell’uman genere.
La produca F erba del fieno
terra , disse Iddio,
che maturi sementi secondo la propria specie. Benché
dunque alcuna specie di erba provveda al sostentamento
degli altri animali; pure l’utilità che n’esce da loro sen
viene a noi, e a noi del tutto è affidato l’uso delle se-
menti, di guisa che tale sia il senso dell’ enunciate pa-
role : La terra produca Ferba del fieno e sementi che ,
diano poi in germogli secondo la propria specie. Chè in
tal modo si potrà ricomporre l’ordine e la serie delle
parole, altrimenti sembrerebbe sconveniente e men ret-
78
1
ta la costruzione, e s indurrebbe con essa nei fatti quel-
la necessità da cui la natura medesima tal volta nelle
produzioni vegetabili dispensa. Nell’ordine per tanto
della natura ci stanno prima i germogli, indi l’erba ver-
deggiante, poi il crescere del Ceno, da ultimo il giunge-
re a perfetto compimento colla maturazione del seme.
Come adunque, soggiungono, la Scrittura dimostra che
tutte le produzioni della terra escono in seme, quando
si conosce a prova che non lo danno, né la canna, nè la
gramigna, nè la menta, nè il croco, nè l’aglio, nè il bu-
tomo, nè altri innumerevoli generi di piante? E per
questo che noi diciamo, non poche delle produzioni
terrestri contenere nelle propaggini estreme e nelle radici
la virtù seminale. E per addurne un esempio, la canna
dopo il crescere di un anno mette fuori dalla radice un
bulbo che in appresso tien vece delle sementi ; e ciò
stesso avverasi in moltissime altre specie sparse sopra
la terra che racchiudono nelle radici la forza riprodutti-
va. Perlocchè è provato quanto mai può esserlo cosa al-
cuna, che o il seme o la potenza seminale in ogni ma-
niera di germogliazione ritrovasi. Quindi si disse egre-
giamente secondo la propria specie ; poiché dal bulbo
:
di quella canna non produrrassi un olivo giammai; ma
la canna metterà un altra canna, di quella guisa che dal-
le sementi germoglieranno delle piante che saran per
dare delle altre sementi affini a quelle che furono spar-
se. Così tutto che nella prima germogliazione fu della
terra prodotto, conservasi tuttavia, mentre i generi di-
versi nelle varie lor successioni non ebbero interrom-
pimento di sorta. La terra produca. Vorrei che richia-
maste l’inlelligeuza vostra alla terra naturalmente frigida
ed infeconda, che al brevissimo precetto espresso nelle
enunciate parole divien tosto gravida, e capace, e in-
79
cessantemente sollecita nel dare in luce i suoi parti, e
consideraste come ad un tratto depose il lugubre am-
manto che la copriva e si cinse di brillantissima veste,
mostrandosi lieta de’proprii adornamenti nella serie
svariatissima delle vegetabili sue produzioni. Vorrei
ben addentro nel vostro animo imprimere lo spettacolo
delle cose create, affinchè ovunque Io ritrovaste, ovun-
que vi si offrisse dinanzi alcuna pianta, apprendeste il
, modo onde al creatore. Tosto adunque che
ascendere
o l’erba o il fiore del fieno, legge-
vi si offrirà innanzi
tevi per entro l’immagine della natura umana richia-
mandovi alla memoria le parole sapientissime d’ Isaia :
Ogni carne è fieno, ed ogni gloria degli uomini è si-
mile al fiore del fieno (
i). Ed ecco la brevità della vita e
l’ allegrezza della felicità umana, il cui godimento è pas-
seggero, aver sortito appresso il Profeta la più oppor-
tuna delle similitudini. V’ha taluno di fatti ch’oggi è
ben aitante della persona, che nuota nelle delizie, che
mostra nel colorito delle guancie il fiore dell’età sua,
robusto e vigoroso in guisa da superare qualunque re-
sistenza gli si opponesse, e dimani è un miserabile dato
in preda alla dissoluzione del morbo ed alla putrefazione
del tempo. Questi ottenne fama per le sue sterminate
ricchezze : è circondato da moltitudine innumerevole di
adulatori :
grande stuolo di finti amici va mercando i
suoi favori : i consanguinei, che studiarono ogni manie-
ra di simulazione, gli fan corona : e lunghissimo corteo
di pedissequi, tratti parte dalla fame, parte da tali altre
necessità gli tieu dietro*, sicché uscendo di casa e ri-
tornandovi accompagnato da sì gran ciurma irrita con-
tro di sè l’invidia di chi lo vede. Aggiungete alle ric-
(1) Isaia XL. 6.
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80
chezze alcun potere civile*, aggiungete degli onori dai
Re conferitigli, il governo di città, il comando di eser-
citi : aggiungete un banditore che altamente schiamaz- .
zando lo preceda, dei littori che quinci e quindi per
accrescere la paura nei sudditi lo accompagnino : ag-
giugnete l’autorità delle percosse, delle confische, degli
esilii e delle carceri ,
da cui n’ esce quel timore che
aggrava d’ un giogo insopportabile i soggetti: e quafè
il fine di tutto ciò ? Una notte, una febbre, una pleuri- #
tide, un’ infiammazion polmonare toglie cotest’uomo dal
numero degli uomini, e togliendolo chiude interamente
la scena ch’era chiamato a rappresentare, e ne convince
essere un sogno la gloria che passò. Quindi a tutta ra-
gione il Profeta vide nel fragilissimo fiore Pimagine del-
le umane grandezze.
La terra produca T erba del fieno che maturi se-
menti secondo la propria specie , e sempre in modo si-
migliante. L ordine che tengono oggidì nel crescere i
vegetabili è quello stesso che fu loro imposto nella crea-
zione, poiché il seqiere e P inerbarsi dev’ essere prece-
duto sempre dalla germogliazione. Se per tanto alcuna
pianta riproduca dalla radice per mezzo del bulbo,
si
come sarebbe il croco e la gramigna, avrà sempre d’uo-
po per crescere di prima germogliare e dar fuori in al-
trettanti gettiti : se venga originata dal seme, non potrà
neppur allora far senza dei germogli necessarii perchè
l’erba si espanda, si affolti e verdeggi il fieno, e maturi
il frutto sopra dell’ arido c saldo stelo. La terra produca
T erba del fieno. Cadendo il seme nella terra tornila di
conveniente umidità e calore, si ammollisce e scoppia,
e per le molte scorumelliture alla prossima terr^ abbar-
bicandosi con la naturai sua forza attraggo que’ principii
che gli si accordano e gli fan d’uopo: ma le parli solti-
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lissiine della terra insinuatesi per entro a quelle tenui
tortuosità via via rallargano il volume del seme sì che
dalla posizione inferiore fuori spiccino le radici, e su-
periormente protendasi in tal numero di gambi, che
quello delle medesime radici pareggi. Seguitando frat-
tanto a conservarsi continuamente tiepido il germe, do-
po di aver attratto mediante il calor naturale c l'oppor-
tuno soccorso delle radici quella parte di umore che
alla sua propria alimentazione è bastevole; divide e tra-
muta il rimanente in gambo, iu corteccia, in baccelli, in
frumento, in i spighe. E' questo il modo con che cia-
scun vegetabile grado grado crescendo tocca alla fine la
propria conveniente misura, sia che alla famiglia dei fru-
menti o dei legumi, degli erbaggi o degli arbusti appar-
tenga. Ed un gambo di fieno ed una sola erba può dav-
vero bastare a trattenere l’intelligenza vostra nella con-
siderazione di quell’ artificio mirabile, ria cui procede,
nella considerazione a rao’ di esempio dei nodi, da cui
lo stelo del frumento è contenuto, affinchè valgano come
altrettanti legumi a sostenere più facilmente il peso delle
spiche allorché pregne di grani piegano verso terra.
Perciò vediamo del tutto andarne priva l’avena, sendo-
chè il capo non è oppresso da peso alcuno, ed ammiriam
la natura che provvide invece degl’ indispensabili soste-
gni il frumento. Il grano poi fu per entro a baccelli na-
scosto perchè a tutt’agio non sia dagli uccelli frugiferi
depredato, e di più assicurò l’estremità delle spiche di
molte come sottilissime punte con che si tengono lunge
i danni degli animali minori.
E che dirò mai ? Che mai passerò sotto silenzio ?
E 1
difficile assai nei doviziosi tesori della creazione e-
leggere la cosa che alle altre in pregio stia sopra, e do-
ve se nc ometta alcuna, ci torna gravissima hi perdita.
11
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32
La terra produca T erba del fieno : c a queste parole
insieme mangerecci l' erbe velenose germogliarono,
alle
col frumento la cicuta, colle altre commestibili l’ellebo-
ro, l’aconito, la mandragola, i succili del papavero. E
che dunque? Tralasciando di rendere grazie a Dio per
le moltissime che tornano a nostro vantaggio, lo accu-
seremo di quelle che nuocono alla nostra vita ? E Ca che
non pensiamo una volta, che non furono tutte create
ad empiere il nostro ventre ? Ci occorrono ad ogni passo,
e da tutti ben si conoscono l’erbe destinate a nostro
alimento; ma le altre pure che vennero prodotte avran-
no il proprio lor posto e il motivo della propria esisten-
za nell' ordine della creazione. Perchè il sangue del toro
è veleno per noi, ne veniva forse che o non si avesse
da creare quell’ animale, la cui forza e tanto e in tanti
bisogni della vita ne soccorre, o senza sangue lo si
creasse? Non ci basta forse la ragione compagna ed in-
tima amica nostra a tenerci guarentiti da ciò che tornar
ne potrebbe a gravissimo danno? Forse le pecore e le
capre, mercè dell’unico istinto, sapranno schivar le cose
alla vita loro nocive; e noi forniti di ragione, giovati
dall’ arte medica che ne dichiara qual vantaggio possiamo
trar dalle piante, giovali dall’esempio di quelli che ci
han preceduto e che vengono ad offrirne gli ammae-
stramenti dell’ esperienza onde evitare tutto quello che
nuoce, noi, diteci di grazia, crederemo difficile il met-
terci in sicuro dai veleni ? No, non vi è pianta che fosse
o per giuoco o senza il particolare suo scopo creata ;
poiché o serve ad alimentare alcuna delle specie degli
animali irragionevoli, o viene opportunissima all’arte
medica che ne trae dei rimedii per guarire le nostre in-
fermiladi. Di fatto gli storni si pascono della cicuta, ma
la costituzione del loro corpo è tale che non riruans;
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per nullu offeso dal principii mortiferi in essa contenuti:
e ciò avviene per que’ meati sottilissimi che van loro
serpcndo per entro al cuore, sì clic digeriscono la divo-
rata cicuta prima clic il freddo di morte abbia potuto
cogliere i visceri principali. L’ elleboro serve di alimen-
to alle colornici che per organica disposizione vengono
da ogni funesta conseguenza preservate, ed a suo tempo
queste piante medesime tornano vantaggiose anche a
noi. Infatti i medici usano della mandragola a conciliare
il sonno, dell’oppio a sopire i fortissimi dolori del cor-
po, ed alcuni per mezzo della cicuta acquetarono la
rabbiosa fame, e coll’ elleboro distrussero non poche
malattie inveterale. Per cui vedete che da quegli oggetti
medesimi, cui taluno crederebbe addurre ad accusa del
creatore, emergono dei nuovi argomenti di gratitudine.
La terra produca P erba del fieno. Quante manie-
re di commestibili per ispontanea produzione della na-
tura nelle radici, nell’ erbe, nei fruiti non ebbero ori-
gine da queste parole! Quante, ove si risguardi alle
molte, che dalla sollecita diligenza dell’agricoltura deri-
vano! Iddio non impose tosto alla terra che producesse
le sementi ed i frutti \
sibbene che germogliasse, invi-
gorisce c poi producesse il seme, affinchè cotesto co-
mando servisse alla medesima natura di legge nei tempi
e in tutti gli avvicendamenti futuri. Ma come, qui po-
trebbe soggiugner taluno, come la terra matura le se-
menti secondo la propria loro specie, se, non di rado,
dopo la seminazione di buon frumento ne raccogliamo i
grani tutti anneriti? a cui si risponde che cotesta non
è mutazione di specie, ma sofferenza e malattia del se-
me. In effetto, non è che abbia perduto la natura di fru-
mento, come la stessa maniera di appellamelo ce lo appale-
sa, sebbene per certa particolar adustione sia tinto in nero,
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c fu la soverchia rigidezza clic lo camuse, c lo io de-
clinare dal colorilo e dall’ordinario sapore. Fate che si
sparga in terreno adatto e sotto conveniente temperatu-
ra di aria, c lo vedrete ritornarsi di nuovo alla forma
antica', sicché nou avverrà mai clic troviate nelle terre-
stri produzioni aver luogo un ordine clic dal precetto
primieramente imposto se ne diparta. Il loglio quindi e
le altre sementi adulterine, che «'escono insieme alle
altre piante mangerecce, c a cui la Scrittura usò dare il
nome di zizzania, non derivano dal trasmutarsi che faccia
il frumento, ma sussistono in un’essenza loro individua-
le, e formano una specie a parte; ed offrono l’immagine
di coloro che interpretano male gl’ insegnamenti del Si-
gnore, che non attingono alle fonti legittime della sa-
pienza, sibbene alle corrotte dello spirito malvagio; ep-
pure si frammischiano al corpo della chiesa ch’è integro
per trasfondere di soppiatto i proprii errori nell’animo
dei più semplici. Il Signore poi rassomiglia la fede di
que’ tutti che saranno per aver fede in esso al crescere
delle sementi, dicendo: Il regno di Dio si paragona ad
uno che avesse gittata la semenza in terra , e dormisse
e si levasse di giorno e di notte ed in tanto la semen-
,
za germogliasse e crescesse senza di ei se ne accorga:
poiché la terra produce prima V erba, poi
da sè stessa
la spiga , indi nella spiga pieno frumento ( ). La
il i
terra produca P erba. E la ferra cominciando dai ger-
mogli in un brevissimo istante, onde adempiere la legge
del creatore, passando per ogni grado di accrescimento,
pervenne tosto alla perfetta maturazione dei semi ; e i
pratiapparvero orgogliosi per la copia del Geno, c le pin-
gui campagne irte per la moltitudine delle messi in guisa
(i) S. Marco !V. u6.
che nell’ ondeggiamento delle spiche offersero I immagi-
ne d’un mare fluttuante. Ogni erba in (atti ed ogni pian-
ta mangereccia, e tutto che v’ha nel genere degli arbu-
sti e dei legumi adergevasi allora in gran copia sopra la
terra. Nè v’era certo per quelle produzioni timore d’in-
fortunio alcuno che fosse, mentre nè ignoranza di agri-
coltori, nè contrarietà di stagioni, nè alcun’ altra causa
potea tornar loro di nocumento ;
nè alcun giudizio penale
impediva l'ingenita fertilità della terra, poiché queste o-
perc ebbero luogo prima che si commettesse quella col-
pa per cui noi siamo condannali a procacciarci il pane
nel sudore delle nostre fronti.
Aggiunse Iddio La terra produca alberi fecondi
:
che portino frutto e nel fruito trovisi il seme secondo la
propria loro specie e sempre in modo simigliante ; e
tosto in virtù di queste parole si fecero dense le bosca-
glie, e apparvero gli alberi che sogliono protendersi a
smisurate altezze *, gli abeti, i cedri, i cipressi, i pini e
tutti ad un tratto ramosi divennero e fronzuti. Nè man-
carono le piante che si dicono ghirlandifere: i roseti, i
mirti, gli allori. Le mentre prima non
quali cose tutte
esistevano sopra la terra, ottennero l’essere in un istan-
te, e ciascuna pianta andò fornita delle sue speciali pro-
prietà per modo che dislinguevasi per via di manifestis-
sime differenze da quelle eh’ erano di genere diverso, e
in sè portava il proprio carattere individuale. Pure la
rosa era allora scevra di spine, spine che furono poi
congiunte alla bellezza dei fiori, perchè si stesse il do-
lore dappresso al godimento del piacere, e ne rendeva
avvertiti della colpa, che provocò quella condanna che
impone alla terra di produrre triboli e spine. Ma, ripi-
gliano, s’impose alla terra di emettere alberi fecondi che
portino fruita e nelle frutta trovisi il seme ,
c tuttavia
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vediamo non pochi alberi clic sono e di frulla c di se
mcnli affatto spogli. Clic dunque rimane a dirsi ? Che la
primaria menzione la si ebbero quelle piante che vinco-
no le altre in pregio, c poi soggiugneremo che, ove si
vogliano scrutare ben addentro, rileverassi che o tutte
contengono il seme, od una virtù riproduttiva pari a
quella del seme. Di latto manifestamente apparisce, che i
pioppi, i salici, gli olmi, i gallici e gli altri alberi di si-
mile natura non producono frutto alcuno; pure se alcu-
no con diligente attenzione li consideri, scorgerà che lutti
maturano le proprie loro sementi poiché quel granellino :
eh"*'- sottoposto alle foglie, e da coloro che si affaticano
d" imporre i convenienti nomi alle cose appellasi picciuo-
lo (i), ebbe la forza e la virtù seminale. Né certamente
lasciano di cignersi di radici quelle piante che si propa-
gano per istelo, c forse tengono la natura di sementi
que’ germogli che spuntano su dal cespo, ond’ è che gli
agricoltori li sdrappano, c ne moltiplicano di questa gui-
sa la specie. Nulla meno, come si disse, ricordarousi da
prima quegli alberi, che massimamente alla conservazio-
ne della nostra vita provvedono, e che dispensando agli
uomini le proprie frutta, offrono loro un mezzo abbon-
devole di sussistenza com’ è la vite produttrice del vi-
:
no che viene a confortare il cuor dell’ uomo, gli olivi che
maturano frutta valevoli a rallegrare il suo volto. Quante
mai cose celeremente non si ordinavano dalla natura ad
uno scopo? le radici, tralci che frondeggiano in giro, e
i
ampiamente dÌ9tendonsi, polloncelli, viticci, i grap-
i i
poli, l’ uva. Che se guarderete con attento occhio la vite,
(i) Nel greco vi Ma la parola definita dallo Screvcl-
li; pe•iliciitus <pw /cucita et /olia planine appcnsa suiti, /piasi al>
i
»£», tcnco,
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polrclc trarre anche di là baslcvoli argomenti di prodi lo
nella indagine delle cose. Vi ricorderete certo quella si-
militudine con che il divino Maestro chiama sè slesso
una vite, il Padre un agricoltore, e noi, innestali alla
chiesa per mezzo della fede, altrettanti tralci; e con ciò
ne invita a produr fruiti in gran copia, per non meri-
tarci la condanna della infecondilade, ed essere gettali
sul foco. INè cessa di paragonare in molli altri luoghi
lamina degli uomini alle viti: II mio diletto , sta scritto
in Isaia, ha una vigna sopra di un colle in un luogo
ubertoso ( i
) ;
ed altrove : Ho piantato io la mia vigna
e le feci attorno una chiusura (a). E a ragione alle ani-
me degli uomini diede il nome di vigna, cui circondò di
una siepe raccogliendoli sotto la tutela de’ suoi coman-
damenti c la custodia degli angeli che II Signore man- :
derà il suo angelo a vegliare intorno a quelli che lo
temono Di più circondolle come di un vallo nel su-
(3).
scitare che fece nella sua Chiesa prima gli Apostoli, po-
scia i Profeti, indi i Dottori: e per mezzo degl’illustri c-
sempli di antichi c santi uomini sollevò ad alti concetti
il pensier nostro, non permettendo che si umiliasse a
terra c fosse vergognosamente conculcato. Vuole poi che
ci abbracciamo al nostro prossimo cogli amplessi della
carità quasi con altrettanti viticci, c che ivi abbiam so-
sta per diffondere quinci e quindi prove energiche del
le
nostro affetto, sì che, a guisa di alcune viti che ai rami
degli alberi più elevati si appigliano ,
possiamo ancor
noi toccar la meta delle virtù più sublimi ;
e per questo
richiede che nel medesimo istante in clic procuriamo di
svellere, ci sorreggiamo pur anco. Questo sbarbicamento
(1) Isaia V. I.
(i) S. Malico XXI. 53.
\V) Salmo XXXIH. 7.
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nell anima si opera allora clic dispogliasi delle cure inon-
dane clic le tornano di gravissimo ingombro. Quegli per-
tanto che deposc l'amor voluttuoso e l' ansia irrequieta
delle ricchezze: quegli clic tenne in conto di vile c spre-
gevole il desiderio della misera gloria di questo inondo,
ed ha divelto per certa guisa inutile ginepraio dei terre- 1
ni affetti, respira. Conviene però secondo la sentenza dei
proverhii che sterpati gli altri germogli non concediamo
alla vite non
d’inorgoglire di troppo; conviene cioè che -
procediamo con ostentazione, e che non andiamo a cac-
cia degli altrui elogi, ma che ci adopriamo a dar frutti
ed offrire al vero agricoltore le prove delle operose no-
stre fatiche. Ricordatevi di essere: come feconde olive
nella casa del Signore ( i
) ;
nè mai venga a mancare in
voi la speranza ,
sihhene sempre conservale in fiore fin-
terna vostra salute per mezzo della fede. Così fatevi ad
imitare il perpetuo verde, di cui si cigne Polivo, c ne
emulerete la fecondità quando vi ricordiate di essere in
ciascun tempo assai generosi nella elemosina.
Ma veniamo di nuovo alle nostre ricerche intorno
le mirabili opere della creazione. Quante mai specie di
alberi non si produssero allora ! molli fruttiferi, molti
opportuni alla costruzione dei tetti, questi destinali alla
fabbricazion delle navi, quelli ad alimento del foco. E in
queste specie medesime oh come è varia in ciascun al-
bero la disposizion delle parli Tanto che con la massi- !
ma difficoltà ritrovar si potrebbero gli attributi proprii
di ciascuna, cd assegnare le differenze, da cui sono le
specifiche varietà loro costituite. Come alcune piante get-
tino allo ingiù le proprie radici, altre le distendano in
sulla superficie: come queste diritte c por un sol tronco
(i) Salmo 1 , 1 . 30 .
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sì elevino, e quelle invece pieghino a terra, e in più
ceppi tosto che spuntino si dividano. Come gli alberi di
rami più lunghi e frondosi e di molto ingombro per
T aria, mettano anche più profonde le radici, ed in am-
pie circonvoluzioni le propaghino, quasi a dimostrare
che la natura adattò gli opportuni fondamenti al peso
che dovea sovrapporsi. E le cortecce aneli’ esse assai va-
riano tra di loro -, poiché in alcuni alberi son levigate, in
. altri scabre, e questi sono coperti da una sola, quelli da
molte. La cosa poi mirabile si è, che ritroverete nelle
piante quelle vicende medesime che nella giovinezza e
nella vecchiaia degli uomini si riscontrano, e vi sarà da-
to vedere negli alberi e freschi e vigorosi la corteccia
ben distesa intorno, mentre ne’ vecchi farassi aspra e
piena di rughe. Ve ne hanno di quelli che tagliati riger-
mogliano, e degli altri per lo contrario che vivono senza
speranza di successiva riproduzione, e temono il taglio
come causa indeclinabile della lor morte. Dicono alcuni
aver osservato che i pini tronchi od arsi che siano, si
convertono in querele, e la esperienza ne insegna che la
diligente sollecitudine degli agricoltori corregge qual-
che difetto agli alberi naturale ,
come sarebbe quello
degli acidi melagrani e dei mandorli più amari, i quali
se, traforato ch’abbiano il tronco presso alla radice, ri-
cevano una picea e crassa cavicchia cacciata su di mezzo
alla midolla, depongono l’asprezza del proprio succo, e in
sapor gradito il convertono. Non siavi adunque chi di-
speri di se medesimo, quand’ anche depravato dal vizio,
conoscendo che 1’ agricoltura, trasmuta le qualità del-
le piante, e che la perseverante assiduità del volere
sollecito nel conseguimento della virtù, è bastevole ad
apporre il conveniente rimedio alle abitudini corrot-
te. Ma per tornare alla differenza degli alberi che porla-
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no frulla, noi produrle clic fanno ella è lanta, clic non
v’ha forse chi valga a dichiaramela in parole. Nè sola-
mente la diversità delle frutta ha luogo negli alberi di
genere diverso, ma in cpielli ancora della medesima spe-
cie; poiché variano assai, ed avvertirono dei caratteri di-
stinti nei frulli dei maschi e delle Temine gli educatori
delle piante, essi che in maschi c temine dividono anche
le medesime palme ;
e talvolta vi sarà dato di scorgere
chiamano la femiiia, calar giù i rami quasi
quella eh’ essi
per fremito di amorosa inclinazione, e ricercare gli ab-
bracciamenti del maschio, lì allora che gli atteuti agri-
coltori spargono su dei curvali rami quella sostanza se-
minifera dei maschi che appellano psene (i), e tosto la
femina, quasi da piacevole agitazione commossa, aderge
i suoi rami e ricompone nello stalo primiero le fronzute
chiome; e quanto accennai attestano che succede anco
nelle ficaie: per cui v’hanno di quelli che piantano dap-
presso alle ficaie dimestiche le silvestri, e degli altri che
legano i frutti primaticci del caprifico ai rami delle fi-
caie addimesticate e feconde, c s’avvisano così di soc-
correre al difetto loro, rattenendo l’ umore che lasce-
rebbe altrimenti si stemperassero ed isvanisser le fruita.
E quest’esempio che ne dà la natura, a qual mai profitto
può tornarci ? A far sì che da que’ medesimi che vivono
lunge dalla vera fede riceviamo di spesso nuovo spirito
c vigore per crescere nella perfezione, e maturare le frut-
ta preziose delle buone opere. Se vedrete infatti menar
vita gastigata cd onesta ed essere sollecito osservatore
delle altre leggi della inorai disciplina colui ch’è seguace
(2) •{*>]»«< tu una aota in margine dell’edizione di Parigi 1 5 7
vi sia :
palpine masculae fructus. Forse avremo potuto tras-
portare U parola greca italianamente in polline.
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del Paganesimo, o per funesta eresia è divelto dal seno
della Chiesa, non raddoppierete voi a cotal vista le vo-
stre forze, e non diverrete simili alla ficaia dimestica che
in presenza del caprifico aumenta la propria energia,
raltieue l’ umore che dileguerebbesi, e più operosa nu-
drisce le proprie frulla ?
Tali per tanto sono le differenze che in alcune
piante nella maniera particolare di produzione ravvisam-
mo fin qui : rimarrebbe però a parlare di moltissime al-
tre, c noi non aggiugnercmo che poco. Chi varrebbe di
fatto a ridire le specie, le figure, il colorito diverso delle
frutta*, chi le particolari combinazioni dei sapori ed i
vantaggi che possiam trarne? Alcune ignude affatto in
faccia al sole il compimento loro
maturano, altre toccano
per entro ai vanno coperte. V’hanno degli
gusci da cui
alberi, cui frutti sono assai molli, e allora è denso lo
i
scudo delle foglie, come nelle ficaie: ve nc hanno di
quelli i cui frutti sono assai sodi, e allora la difesa è più
leggiera poiché
:
primi han d’ uopo per la naturai de-
i
bolezza di maggior protezione, ed ai secondi una coper-
tura soverchiamente spessa avrebbe colf ombra delle fo-
glie nociuto. Non vediam forse le frondi delle viti formate
a ricamo spezzato, affinchè il grappolo sia difeso dalle
intemperie, e per la sottigliezza ed i vani permetta ai
raggi del sole di entrarvi in copia ? No, non si fece nulla
a raso e senza ragione, che tutte cose si veggono con
accorgimento proprio di una sapienza infinita ordinate.
Come discorso umano potrebbe dar fondo a tante me-
raviglie? Come la nostra intelligenza penetrare sì adden-
tro da conoscere le proprietà individuali, da segnarne
le differenze, da mettere in chiaro gl’ intimi artificii mi-
La medesima acqua bevuta per la
steriosi? radice in di-
verso modo nudrisce la radice medesima, in diverso la
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corteccia del tronco, la sostanza lignea, il midollo. La
medesima diventa foglie, si comparte nei saldi rami, e
nei più tencrelli, ed è causa del necessario incremento
nei frutti*, dalla medesima origine provengono pure le la-
grime e T umore clic dalle piante distilla, e ciò tutto non
varrebbe lingua d uomo a spiegare come sia vario. Altro
è la lagrima del lentisco, altro il distillamenlo del balsa-
mo, e v' hanno nell’ Egitto e nella Libia delle canne clic
ben altra specie di umori trasudano. Alcuni poi riten-
gono che anche l’ambra sia dell’ umore che distillò dalle
piante, e che poi condensandosi passò ad aver la natura
di pietra. Ed a suffragare cotesta opinione vengono quel-
le picciolo paglie e quegli esilissimi animaletti che per
entro si scorgono rinserrati, perchè dapprima si erano
ivi raccolti come in seno a molle e cedevole sostanza. In
breve, non vi è forza e chiarezza di parole che valgano a
mettere le qualità diverse dei succhi sotto gli occhi di
coloro clic non ebbero onde conoscerli a guida l’espe-
rienza. Di più: il medesimo umore trasfuso nella vile si
cangia in vino, negli olivi in olio. Nè si deve ammirare
solamente il modo per cui cotesto principio nutritivo
qui dolce, altrove si faccia pingue sibbene perchè vi ab-
-,
bia nelle frutta dolci una variazione indicibile di qualità,
essendo ben diversa la dolcezza nella vite da quella nel
pomo, nella ficaia e nella palma. Ma desidero che vi po-
niate con più diligenza ed industria a considerare cote-
ste meraviglie. Vedrete l’acqua ora farsi gradevole al
senso raddolcendosi per entro ad alcune piante-, ora poi
tornar molesta al gusto, mentre insinuatasi in altre di-
viene acerba, e toccando alfine 1’ estrema amarezza, irri-
tare gli organi del palato, come nell’ assenzio e nella sca-
monea: tal fiata pure assume l’indole di un’asprezza
restringente, lo che è da vedersi nelle ghiande e nelle
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corniole; tal altra piglia natura morbida ed oleosa nelle
noci e nei terebinti.
Ma non è d’ uopo che andiamo lunge in cerca delle
prove, mentre la stessa ficaia viene a dimostrarne il pas-
saggio dell’umore che la pervade in qualità di carattere
affatto contrario ;
poiché quello che distilla dal tronco è
amaro estremamente, e quello invece che si converte
nelle frutta è dolcissimo.E ciò avviene pur anco nella
vite, il cui umore nei rami è aspro molto, ed è soavissi-
mo nelle uve. Dei colori poi quanta non è la diversità
prodigiosa Nel medesimo prato vi sarà dato di scorgere
!
la medesima acqua apparir rossa in questo fiore, por-
porina in quello, cerulea nell’ uno, nell’ altro bianca, e
diversità più grande, che non sia quella del colorito,
riscontrasi negli odori. M’accorgo ora però che il mio
discorso per insaziabile bramosia d’ esplorare, va sover-
chiamente crescendo ;
sicché, ove non mi raccolga, e non
ritorni alla legge della creazione, mentre vi richiamo a
dar lode alla sapienza infinita nelle minime opere sue,
mancherebbemi la giornata. La terra produca alberi fe-
condi che portino jrutta sopra la terra stessa. Iddio di-
ceva : e tosto le vette montane apparivano chiamate, i
giardini in vaga armonia al comando rispondevano del-
l’ artefice supremo, e le sponde dei fiumi di svariatissi-
me specie di alberi si adornavano, ed erano gli uni or-
dinati a fornire di lieta imbandigione la mensa degli
uomini, gli altri a prestar nutrimento di foglie e frutta
alla grande famiglia degli animali irragionevoli. Ve ne
sono che offrono alla medicina gli opportuni soccorsi
nei succhi, nelle lagrime distillate, negli sminuzzati pol-
loncelii, nelle cortecce
,
nei frutti, in una parola in quei
mezzi quanti son mai, che dalla continua esperienza
vengono tratti all'uopo di soccorrere ai particolari in-
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fori unii della vita, e ciò tutto nell' influita sua provvi-
denza ordinava l’eterno Fabbro, che da principio avea
presente nell’ampio suo svolgersi la gran tela dello av-
venire. Voi quindi, come vedrete le piante dimestiche,
le selvatiche, le acquatili, le montane quelle che vanno :
adorne di fiori, le altre che ne son prive, fatevi sempre
scala dalle tenui cose alle grandi, e più e più crescete nel-
la vostra meraviglia, e più e più nello affetto del creator
vostro infiammatevi. Osservate che alcuni degli alberi
sono perennemente verdeggianti, alcuni altri soggetti a
denudamento-, osservate che tra quelli che sempre ver-
deggiano, alcuni cangiano le frondi, altri ritengono sem-
pre le stesse. L’olivo e il pino si dispogliano del proprio
ammanto, benché nel dispogliarsi procedano grado gra-
do e insensibilmente così, che sembra mai non depon-
gano parte alcuna della lor chioma. La palma invece
non le perde in fatto, come quella che conserva le pro-
prie foglie dal principio della germinazione fino all’estre-
mo suo sfacimento. Per ultimo è degno di osservazione
il tamarisco, pianta quasi anfibia perchè trovasi annove-
rata tra le acquatiche, e cresce pure in copia nelle solitu-
dini. Ond’è che Geremia a cotesta pianta gli uomini di
tristi e dubbii costumi rassomiglia.
La terra sia produttiva. Il precetto è brevissimo,
ma un discorso incomprensibilmente artificioso ed
valse
un numero indicibile di produzioni naturali poiché non -
fu pronunciato appena, che con una celerità che supera
quella ancor del pensiero, diede origine alla inenarrabile
varietà delle piante. È questo il precetto medesimo che
non dipartesi mai dalla terra, ma sì ciascun anno la spro-
na a manifestare la virtù di cui è fornita nella produzio-
ne delle erbe, dei semi, degli alberi. Di quella guisa in
fatti che il paleo, ricevuto che abbia il primo impulso,
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Compie in appresso senz’altro i giri da quel primo im-
pulso determinati, mentre, fissato il centro, si ravvolge
sopra di se medesimo-, non altrimenti l’ordine della na-
tura, che da questo primo precetto riconosce Ponghi sua,
passò in seguilo di tempo in tempo, e durerà fino all’in-
tera dissoluzione dell’universo. E a celesta dissoluzione
ci affretteremo pur noi provveduti di frutta e ricchi di
buone opere, per essere piantati nella casa del Signore
e negli orti fiorire del nostro Iddio mercè dei meriti di
Cristo Gesù, a cui ne derivi gloria cd impero per tutti
i secoli dei secoli. Così sia.
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OMELIA VI.
INTORNO ALLA CREAZIONE DEI LUMINARI.
Conviene che qualunque spettatore degli atleti en-
tri a parte della contesa, e ciò chiaramente apparisce
dalle ginnastiche leggi, le quali impongono che i seduti
nello stadio rimangano a capo nudo \ affinchè ciascuno,
secondo il parer mio, non se ne stia solo a mirare i com-
battenti, ma possa dirsi in qualche modo un atleta. Non
altrimenti chi muove in traccia di spettacoli assai più
grandi e meravigliosi, e s’appressa ad ascoltare i consigli
della ineffabile ed infinita sapienza di Dio, è d’uopo che
da se attinga un qualche eccitamento alla contemplazio-
ne delle proposte meraviglie, meco, giusta le proprie for-
ze, si accompagni nel certame, e più presto che la per-
sona di giudice, quella sostenga di commilitone affinchè •,
per avventura non ci scostiamo dal sentiero della verità,
e l’error mio non si converta in comun danno degli udi-
tori. Ma perchè dico io questo? Perchè avendo a scopo
delle indagini nostre la formazione del mondo, e quelle
tutte meraviglie che ripetono la propria origine non dal-
la sapienza dej mondo, ma da quella virtù, cui Dio ma-
nifestò al suo fede! servo Mosè, parlandogli sì in visione,
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ma non però con enigmi; conviene che quanti amano
davvero di conoscere codesti sorprendenti prodigii un
cuore vi portino apparecchiato a ricevere i proposti in-
segnamenti. Pertanto se mai nel sereno della notte con
bramosi ocelli guardaste alla bellezza indescrivibile delle
stelle, e pensando al mirabile artificio di tutte chiedeste
a voi stessi chi sia colui che di tante gemme fé’ adorno
il cielo, e insieme vi richiamaste a mente che nelle cose
visibili il piacere di contemplarle è di gran lunga inferio-
re al vantaggio che portano ;
se nel giorno le meraviglie
apprendeste del giorno stesso, e con attenta meditazio-
ne delle cose visibili vi faceste scala alle invisibili ;
allora
voi siete i ben disposti uditori e degni veramente di
compiere il numero avventuroso di coloro chevennero
a godere l’aspetto di sì magnifico teatro. Su dunque, che
a foggia di quelli che prendendo a mano il forestiere gui-
dano grinesperti suoi passi in giro per la cittade, anch’io
come altrettanti pellegrini condurrovvi a vedere le mera-
viglie di una grande città arcana ;
di quella città eh’ era
l’antica nostra patria, di dove fuor ne cacciò quel tradi-
tore demonio che adoperando le seducenti sue frodi tut-
ti fe’schiavi gli uomini. Vedrete qui il primo nascere del
genere umano, e quella morte che tosto gli venne dietro
e afferrollo ; morte generata dalla colpa, colpa frutto pri-
mogenito di quel crudele autore di tutti i mali, il demo-
nio. Conoscerete voi stessi, e in voi sì la terra corralti-
bile di cui siete formati, come l’opera delle mani di Dio :
conoscerete di cedere assai nella forza alle altre specie
brute degli animali, ma di essere nel tempo stesso i prin-
cipi di ogni inanimata e irragionevol natura ;
conoscerete
di essere forse inferiori nelle attitudini naturali, ma di
trarvi per la ragione tanl’alto da toccare il cielo medesi-
mo. Ammaestrati di questa guisa faremo di ben com-
1
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prendere noi slessi, di conoscere Iddio, di adorare il
creatore, di servire al padrone, di glorificare il padre, di
amare il conservator nostro, di riverire il benefattore, e
non cesseremo mai di porgere inni di lode all’ autore
della presente e della nostra vita avvenire, che ne assicu-
ra, con la copia di que’doni che no ha impartitij degli
altri che ci promise, e ne dà a caparra degli aspettali i
molli che già sperimentiamo. Che se tali sono i manche-
voli, quali poi saranno gli eterni ? Se i visibili son così
belli, quanto non dovrann’esserlo gl’invisibili? Se la gran-
dezza del cielo i limiti della intelligenza umana sorpassa,
chi potrà giugnere col proprio intelletto la grandezza a
comprendere delle cose immortali? Se il sole, corrutti-
bile anch’ esso, è bello ed ampio a quel modo, ed è sì
veloce ne’suoi movimenti, sì preciso nel compiere i pro-
pri giri, fornito di tale un disco che basta ai bisogni
dell’universo sì che per l’una parte nella proporzione non
eccede di nulla, e per l’altra, come fulgidissimo occhio
della natura, colora le create cose di tanta vaghezza ine-
splicabile, e non cessa mai di beare la vista di chi lo mi-
ri j
non dev’essere adorno il sole di giu-
di qual bellezza
stizia ? Se grande è il danno di un cieco che non può
vedere cotesto sole quanto nell’andar privo della vera
;
luce non dee perdere il peccatore?
E disse Iddio: Sieno fatti i luminari nelfirmamen-
to del cielo ad illuminazion della terra c distinguano il
dì e la notte. Il cielo e la terra eran di già formati, era
creata la luce, il giorno dalla notte era diviso, era fatto
il firmamento, e discoperta la terra. Raccolte erano le
acque ne’ permanenti e circoscritti bacini*, la terra appa-
ria piena di germogli •, poiché non ha guari avea prodot-
to i generi innumerevoli delle erbe, e le specie svaria*
lissirae delle piante lussureggiavano. Pure non cravi un-
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cora il Sole e Luna, e ciò perchè
la in appresso non si
avesse a riconoscere il sole per autor della luce, né quelli
clic ignorano Dio si pensassero mai che il sole fosse il
gran fabbro delle cose che sorgevano dalla terra. Quindi
toccavasi il quarto giorno allorché Iddio disse: Siena
fatti i luminari nel firmamento del cielo. Come ravvisa-
ste la persona che parlò, così vorrei che tosto ravvisaste
anche quella che diede ascolto : disse Iddio sieno fatti i
luminari e Iddio fece i due luminari. Chi poi dis-
se, e chi fece ? Forse anche in ciò non si dimostra il con-
corso di due persone ? Sì il
: dogma teologico si fa in
mistico modo presentire dovunque nella medesima isto-
ria. Si esprime poscia la necessità della creazione de’due
luminari, dicendo che sono fatti ad illuminazion della
terra. Ma s’era di già avvenuta la produzion della luce,
perchè vien detto nuovamente che si fece il sole ad illu-
minazion delle cose? Primieramente non deve destare
vi
al riso cotesto particolar modo di esprimersi, poiché qui
non si tien dietro a quella scelta elegante delle parole
che vi solletichi, nè alla costruzione armoniosa delle me-
desime, che appresso di noi non dovrebbero trovarsi di
quelli che per tornirle troppo le svigorissero, mentre più
che la sonorità de’ periodi, ci deve star a cuore la chia-
rezza dei termini. Esaminiamo pertanto se con la paro-
la illuminazione fu espresso ciò ch’era d’uopo s’intendes-
se }
e si avverta che fu adoprata la voce illuminazione in
luogo di splendore : nè questo al certo contrasta a quan-
to si disse intorno alla luce. Allora infatti l’essenza si creò
della luce, di presente poi si fece il corpo solare perchè
servisse di mezzo all’effusione di quella luce primigenia.
Di quel modo pertanto che il foco è una cosa diversa dal-
la lucerna, e quello possiede la forza illuminatrice, que-
sta poi ritrovossi per somministrare il lume a que tutti
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che ne abbisognano; non altrimenti ne’ due luminari si
apprestò a quella luce purissima, intatta, semplice il
mezzo come l’Apostolo affer-
a diffondersi opportuno. E
ma die vi sono dei luminari nel mondo, ma che altra
cosa da essi è la vera luce del mondo, nella cui partecipa-
zione divennero santi que’luminari che ammaestrarono le
anime, togliendole alle tenebre della ignoranza; simil-
mente anche qui, dopo la creazione di quella fulgidissi-
ma luce, il creatore dell’universo fe’ che nel mondo sor-
gesse il sole.
Nè sembri ad alcuno incredibile Tessersi detto che
altro è lo splendor della luce, altro quel corpo che serve
alla luce di soggetto. E in pria perchè tutte le cose com-
poste sogliono esser divise da noi nella sostanza ricettiva
e nella qualità che le aderisce. A quel modo adunque
che la bianchezza e il corpo imbiancato son due cose per
natura tra di loro diverse ;
così anche quelle di cui ab-
biamo discorso, quantunque diverse essenzialmente, pure
furono dalla potenza del creatore congiunte. Nè mi ver-
rete a dire ch’è impossibile il separamele ; poiché lo di-
co anch’io che la separazione della luce dal corpo solare
è per me e per voi impossibile affatto, ma soggiungo,
che ciò ch’è divisibile pel nostro pensiero, può essere
diviso realmente dall’autore della natura. Ed è certo che
voi non potete separare nel foco la forza bruciante dallo
splendore, ma Iddio che voleva trarre a sè con istupen-
do miracolo il proprio servo, pose d’intorno al roveto un
foco che aveva in se oziosa la virtù di bruciare, ed ef-
ficace soltanto quella di risplendere. Ciò che attesta il
Salmista medesimo, ove dice: che la voce del Signore
divide la fiamma del foco. E una foggia arcana di par-
lare ne insegna, che nella distribuzione della mercede
alle opere che si fecero in vita, la natura del foco divi-
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derassi, e la luce varrà pel godimento dei giusti, la idr-
za bruciante per accrescere l’ acerbità delle pene ai
presiti. Poi anche le vicissitudini della luna possono ve-
nir in prova del nostro assunto, infatti quand'ella scemasi
e manca non viene già a consumare porzione alcuna
della sostanza sua *, ma sì, or deponendo la luce che la
circonda, or di nuovo assumendola, ne presenta la forma
di un crescere e decrescere successivo. Che poi il corpo
lunare, quand'anche si tace, non si consumi, lo prova-
no ad evidenza i nostri occhi ;
poiché nell’ aria pura e
scevra da tutte nubi, quando la luna offre la figura di
una falce sottilissima, potrete riscontrare, anzi veder chia-
1
ramente quella porzione eh è spoglia di luce ed opaca
essere chiusa entro una curva eh’ è grande quanto la lu-
na convella sia piena, sicché scorgerete compiersi intera-
mente il circolo, ove il vostro occhio congiunga la parte
illuminata con l’altra oscura e caliginosa. Nè vi prego di
oppormi che la luce della luna è avvenliccia, perchè di-
minuisce quando si appressa al sole, ed aumenta quando
dal sole allontanasi, poiché questo non è argomento che 1
ora ci siam proposti di esaminare ;
sibben l'altro che il
corpo della luna è cosa diversa dalla sua (orza illumina-
trice. Immaginatevi pertanto qualche cosa di simile an-
che nel sole, con questa differenza però che il sole non
depone mai la luce ch’ebbe una volta ed attemprò a se
stesso. Ma la luna spogliandosi, e riassumendo di nuovo
incessantemente la deposta luce, ne viene di per se stes-
sa a prova di quello che intendiamo affermare del sole.
S’impose di più a codesti luminari che distinguessero il
giorno e Di sopra si disse che Iddio divise la
la notte.
luce dalle tenebre, e che pose la natura loro in tale con-
traddizione da rendere assolutamente impossibile qua-
*
dunque mescolamento e qualunque accordo dell' una col-
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102
l'altra. Dobbiam poi dire che di quella guisa che avven-
gono ombre nel giorno, avvengano pure naturalmente
l’
le tenebre nella notte. E come ogni ombra al diffondersi
di un qualche splendore si lancia da’corpi nella parte alla
luce opposta, e la mattina si protende verso l'occaso,
verso oriente la sera, a mezzogiorno verso settentrione •,
così anche la notte piomba nelle regioni opposte a quelle
che sono illuminate dai raggi, mentre secondo natura
altro non è che l'ombra della terra. E se nel giorno v’è
l’ombra per ciò che alcun ostacolo si frappone alla luce,
non altrimenti nasce la quando per l’opposizion
notte,
della terra si lanciano le ombre nell’aria circostante. Ed
ecco avverarsi ciò che si disse da principio : Iddio divise
la luce dalle tenebre ; nè accadrà mai che le tenebre col
vivo sfolgorare si accordino della luce, e questa è nimistà
naturale ch’ebbe luogo nell’alto stesso della creazione.
Or poi Iddio ordinò che il sole presiedendo al giorno lo
misurasse, e che la luna fornita nel proprio cerchio del-
l’intero adornamento de’ raggi suoi, fosse la principale
moderatrice della notte j
poiché allora trovansi quasi dia-
metralmente opposti colesti due luminari, veggendo noi
la luna quand’è piena fuggire dinanzi al sole che le sor-
ge rimpelto, e non di rado spuntar su dal balzo orien-
tale tosto ch’egli tramonti. Che se, ove tenga altre for-
me, il suo lume non adempie giustamente il corso della
notte, ciò nulla imporla a quanto intendiam noi di pro-
vare, mentre allora che tocca il massimo grado di per-
fezione, ed ha il dominio assoluto della notte, superan-
do gli astri nello splendore, e tutta la terra illuminando,
gli spazii del tempo col sole insieme in giuste parli di-
vide.
Determinino cotesti luminari i segni, i tempi, /
giorni e gli anni. Le note caratteristiche dei luminari e
*
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l’espression loro tornano necessario alla vita ed umana ;
è fatto che se alcuno non eccede nella indagine dei pro-
posti segni li troverà utilissimi, quando in ispecial guisa
le osservazioni sieno ad una lunga esperienza appoggia-
te ;
poiché molte cose possiamo apprendere intorno alle
pioggie, alle siccità, allo spirare de’ venti sì particolari
che universali, sì impetuosi che miti. Infatti lo stesso
Cristo Signore dal sole prese il segnale allor che «fisse :
Solleverassiuna tempesta, conciossiachè il cielo trista-
mente rosseggia. E sì, che allora che il sole nasce di
mezzo alle nubi, e mostra ottenebrati i suoi raggi, e a
guisa di carbone s’infoca, e cinto appare di un colore
pressoché sanguigno; è la densità deH’aria circostante
che ad assumere quell’aspetto, e ne prova
lo costrigne
l’esperienza, che quell’aere denso e compatto che non si
disperde per saettare di raggi, non potrà per la continua
affluenza de’ vapori che su montando dalla terra vi si
appigliano, sostenersi ;
ma la copia sovcrchiante de’ rag-
gromali umori sarà per mettere a tempesta le regiooi a
cui d’intorno ragunasi. Similmente quando la luna è o-
vunque da caliginosi vapori circondata,o il sole è da
que’ cerchi che chiamano aloni recinto; v’ha certo in-
si
dizio o del vicino diluviare o dello scatenarsi di venti
impetuosi ; ed anche quelli, che chiamati parelii, e ten-
gono dietro al sole nel proprio suo corso, presagiscono
sempre un qualche celeste mutamento. Così pure quelle
verghe luminose che imitano il colore dell’iride, c retto
si distendono lungo le nubi, contrassegnano o pioggie,
o terribili uragani, od altri straordinarii fenomeni atmo-
sferici. Inoltre coloro che studiarono cotesta parte disse-
ro d’aver rilevati molti indizii dal crescere e decrescere
della luna, quasiché l’aria che tutta avvolge la terra col
mutarsi di quelle figure, si muti anch’ella. Dicono infatti
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che, se la lima circa il terzo giorno è chiara e trasparen-
te, pronunci una lunga ed invariabile serenitade, ma, se
invece si mostra di corna dense e rosseggianti, allora o
minacci di raccorre le nubi in continua pioggia, o di
sciogliere i venti in violentissimi buffi. Il vantaggio poi
che da codeste osservazioni deriva al genere umano v’è
alcuno che noi conosca? Per esse i nocchieri che preve-
dono vicino il pericolo della tempesta ritengono le navi
entro al porto assicurale. Per esse i viaggiatori che dalle
tristi impressioni del cielo si aspettano il mutamento
dell’aria, evitano i disagi che loro potrebbero venir sopra
nel cammino. Anche gli agronomi che si adoprano in-
torno alle semine ed alla coltura delle piante di qui pi-
gliano le conghietture ai propri lavori opportune. Il Si-
gnore poi disse che nel sole, nella luna e negli astri
apparirebbero gl'indizii della distruzione dell’universo Il :
sole cangerassi in sangue, e la luna non emetterà più la
sua luce. Questi segni annuncieranno che tutto iu breve
distruggerassi.
Quelli ch’eccedono i giusti limili travolgono la sen-
tenza della Scrittura a difesa dell’arte astrologica, ed af-
fermano che la nostra vita è legata a’movimenti celesti,
e che per ciò i pronosticatori col mezzo degli astri le
vicende della vita significarono. E questa semplicissima
espressione : determinino i segni , la pigliano a lor ta-
lento non per le vicissitudini atmosferiche e i muta-
menti delle stagioni, ma per le diverse avventure della
vita. Ma e che dicon essi? Dicono che, se il concorso
degli astri che s’aggirano con le stelle che poste sono
nel Zodiaco formi la tal figura, dà un effetto conforme
nella umana generazione -, e se al contrario ne formi una
tal altra, le sorti della vita saranno in opposizione alle
prime. Intorno al quale argomento, solo per dichiarar-
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itelo, non sarà inutile il trattenerci, risalendo a prende-
re alto le mosse. Non addurrò nulla del mio-,
un po’ più
ma servirommi a confutameli delle medesime loro pa-
role, per apprestare agli altri una sicura difesa, affin-
chè non abbiano a cadere nei medesimi falli. Gl’inven-
tori pertanto del prognosticare astrologico vedendo be-
ne d’ ignorare molte delle ligure che nell’ indetermina-
ta estensione de’ tempi si formerebbero, cercarono di
contrarre in brevissimi spazii la misura del tempo, co-
me che il minimo e quasi inavvertito intervallo , simi-
le a quello dell’Apostolo che dice in un punto istanta-
neo , in un batter di ciglio (1), bastasse a porre tra na-
.
scita e nascita la massima differenza; da cui ne seguiva
che chiunque era nato in un tale momento doveva essere
un padrone di molte città ed un ricchissimo e potente
reggitore di popoli ;
che se poi fosse sortito in tal altro
doveva essere un mendico, un vagabondo, un accattone
che di porta in porta sarebbesi procacciato il vivere quo-
tidiano. Essendo adunque il circolo appellato zodiaco
diviso in dodici parti, poiché il sole di cotesto circolo
che si dice fisso nello spazio di trenta giorni percorre
la duodecima p?rte, così divisero ciascuna delle dodici
parli in trenta porzioni, e divisa ognuna d’ esse in ses-
santa parli, tagliarono di nuovo sessanta volte ciascuna
delle sessantesime parti. Vediamo se coloro che segna-
no il punto della nascita possano conservare esattamen-
te le divisioni che fecero del tempo. Viene appena
alla luce il parto che F ostetrica indaga s’ abbia sortito
la generazione di maschio o di femmina ,
indi aspetta il
vagire eh’ è indizio della vita pel bambino che nacque.
Quante delle sessantesime parti non passarono in que-
ll) S. Paolo ai Corinti, cp. I.c. XV. v. 52.
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stomezzo Di poi si annuncia all’ astrologo eh' è nato.
!
Quante delle minutissime particelle deggiam porre clic
trascorressero nel parlare che fece la levatrice, in ispc-
1
cial guisa so avvenga che fuori dell appartamento mu-
liebre si trovasse colui che dovea raccoglier 1’ ora e
farsene interprete? Importa dunque a colui che vuol
1
essere fedele scrutatore della scienza che gl istanti del-
la nascita risguarda, che il tempo e l'ora sia del giorno,
sia della notte determini accuratamente. E in questo in-
tervallo quanta moltitudine di sessantesimi spazi non
trapassa? E d’uopo infatti ritrovare la stella natale non
già dappresso la duodecima divisione, sibbene dappres-
so le parti ,
in cui ciascuna delle dodici divisioni fu
separata, anzi dappresso una delle sessagesime in cui
le anguste parti che risultarono furono poscia divise ;
diciam meglio, per ritrovar senza errore la verità della
cosa, dev’essere trovata in una di quelle sessantesime
in cui ciascuna delleprime sessantesime suddividette-
si.Aggiungono d’avvantaggio che codesta sottilissima ed
incomprensibilc investigazione di tempo dev’ esser fat-
ta in ogni pianeta, affinchè si vegga e consti precisamen-
te qual attitudine prendessero nella lor congiunzione
colle stelle fisse, e qual figura formassero tra di loronel-
l’ istante della nascila di alcuno. Clic se non può iu
guisa alcuna aver luogo il ritrovamento accuratissimo
dell’ ora, e se il più breve istante è motivo bastevole
perchè del tutto si falli, son dunque degni d'ogni deri-
sione e quelli che s’ affaticano intorno a quest arte im-
maginaria, e quegli altri che pendono a bocca aperta
dagli oracoli suoi, quasi che potessero conoscere i lu-
luri avvenimenti della propria vita.
Ma veniamo ai fatti di codeste predizioni. Si dice,
i capelli di costui saranno crespi, gli occhi vezzosi,
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perchè sortì P ora dell’ ariete, e 1’ accennato animale
presentasi in simil guisa. Sarà di animo grande e su-
blime, perchè P ariete è il principe della greggia;
sarà generoso nei doni e provvido nel riacquistare di
nuovo, perchè codest’ animale e depone senza fatica la
lana, e per legge di natura con tutta facilità sen rive-
ste. Ma colui che nacque invece nel toro sarà dei tra-
vagli sofferentissimo e d’ animo servile, perchè il toro
è sommesso al giogo. Quegli che venne in luce sotto
allo scorpione diverrà proclive a percuotere, per quella
similitudine che tiene con questo rettile. Quegli poi
che nacque sotto alla libbra non potrà non essere giu-
sto per quella precisa conformità di peso in che ap-
presso di noi si pongono le bilancie. E si può dar cosa
più ridicola di questa ? Quell’ ariete, da cui pigliasi il
prognostico della nascita dell’ uomo ,
è la parte duo-
decima del cielo, nella quale, come trovisi il sole, tocca i
segni di primavera. Similmente la libbra ed il toro, e qua-
lunque altra delle figure che scorgonsi nel circolo zodiacale
rappresentate, è la duodecima parte dello stesso. Come
si ha dunque il coraggio di dire che di là prendano
impulso le principali cause moderatrici della vita, e co-
me da’ terreni animali irragionevoli si piglia argomento
o formare ed esprimere i costumi degli uomini nascen-
ti ? Poiché quel desso che viene al mondo sotto 1’ arie-
te sarà generoso, non perchè quella parte di cielo ab-
bia influenza alcuna sopra di questa abitudine morale,
ma perchè quel bruto sortì un’indole simile dalla na-
tura. A che dunque, o astrologo, ci vieni a spaventare
con predizioni che riconoscono ad appoggio della cer-
tezza loro le stelle, e a che ti sforzi belando di trame
nella tua persuasione? Ove poi tu dica che anche il
cielo riceve codeste impressioni dagli animali, è d’ uo-
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po che in pari tempo tu ammetta che anche il cielo
viene da principii stranieri attemprato, e che da que-
sti bruti ripete le cause determinanti. Che se lo asse-
rir ciò è cosa ridicola, è più ridicola di gran lunga l’a-
doprarsi a render credibile un’opinione, che riguar-
da dei latti che non hanno nesso alcuno tra loro. Dun-
que le ingegnose finzioni di costoro sono simili alle
tele di ragno, nelle quali ove dia una pulce, una mosca,
ed alcun altro animale non meno debile si avviluppano:
ma se ne irrompe alcun altro di più forte, agevolmen-
te le fora, e tutta quell’ esilissima tessitura invade e
di scioglie.
Pur qui non s’ arrestano i nostri prognosticari, ma
vanno ripetendo dai segni celesti la causa di que’ latti,
che dal libero volere dell’ individuo unicamente dipen-
dono, come sarebbe l’amore della virtù o del vizio. Co-
leste contraddizioni onore d’ una seria
non meritano 1’
risposta, ma non possiamo passarle sotto silenzio per
ciò che molti sono tuttavia nelle tenebre avvolti di que-
sto errore. Ed in pria chiederem loro : se avvenga che
le figure sideree per ciascun giorno in mille modi si
cangino. Poiché movendosi di continuo le stelle che si
chiamano erranti, ed alcune facendosi l’ una 1’ altra in-
contro celeremente, altre procedendo più lente nel per-
correre la propria orbita, accade non di rado che nella
medesima ora e si guardino di fronte , e a vicenda si
celino. Ora importa assai nella nascita Tesser guardato
da una stella, come dicon essi, benefica o maligna ma -,
tutte le volte non si giunse ad afferrare l’ istante in cui
dominava la stella benefica, dunque T ignoranza di un
solo minutissimo spazio portò con se il travolgere che
si fece del reale benefico influsso nel maligno. Nell’ e-
sprimere le quali cose sono costretto a servirmi delle
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stesse loro parole in cui vi è sì molta stoltezza, ma
un’empietà maggiore : poiché le stelle maligne trasfon-
derebbero nel creatore la causa della propria malvagi-
tade. Infatti se il male che hauno è loro apposto dalla
natura, chi le creò sarà 1’ autore del male; se poi rie-
scono spontaneamente e a lor talento malvagie, ne
seguirebbe che prima gli animali dovrebbero esser
forniti della facoltà elettiva e del pieno e libero do-
minio della propria forza, poscia il concedere ciò agli
esseri inanimati sarebbe un voler toccare il grado e-
stremo della pazzia. Come poi non contraddice alla ra-
gione che senza tener conto del merito il male e il bene
indifferentemente elargiscasi? Come il ritenere che una
stella sia benefica, perchè posta in tal luogo, si muti
poscia in maligna perchè mirasi da un’altra parte, e la
stessa, poiché discostossi per alcun poco dalla formata
figura, di nuovo dell’ assunta malvagità si dispogli ? E.
di ciò basti. Ma se per ogni istante le stelle si trasmu-
tano d’una figura in un’altra, se nel continuo avvicen-
darsi non di rado per ciascun giorno si compiono le fi-
gure indicatrici di regie nascite, perchè iu ciascun giorno
non vengono alla luce dei re? O perchè le succes-
sioni del regno sono al diritto della regai famiglia riser-
vate ? E' impossibile che ciascun re accordi perfetta-
mente la nascita del proprio figlio colla figura degli
astri che lo dinoti. Chi dei mortali potrebb’ essere il pa-
drone assoluto di questa cosa ? In che modo Ozia ge-
nerò Joatam, Joatam Acas, Acas Ezechia senza che al-
cuno d’ essi sortisse nella nascita l’ora servile ? Inoltre
se i principii delle virtù e dei vizii non dipendono da
noi, ma sono altrettante necessità che derivano dal na-
scere, sono inutili i legislatori che ne prescrivono ciò
che dobbiam fare e fuggire, sono inutili i giudici che
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Ilo
premiano la virtù e gnstigano il delitto. Sarà forse del
ladro o dell’ omicida la colpa, se anche volendo non a-
vrebbe potuto contenere le proprie mani per quella in-
superabile necessità che le traeva al misfatto? Sono
poi stoltissimi coloro tutti che le arti coltivano, poi-
ché 1’
abbonderà di messi per quantun-
agricoltore
que non isparga le sementi e non affili la falce. E-
gualmeute il mercatante arricchirà sopra modo se il de-
stino gli accumuli le dovizie. Anche quelle speranze elet-
tissime de’ Cristiani svaniranno del tutto, mentre nè si
ricompensa la giustizia con premio alcuno, uè si puni-
sce la colpa, perchè neiroperare non sono mai libere le
determinazioni degli uomini, e dove la necessità impel-
le e regna il destino, ivi non si dà luogo alla ragione del
inerito, che pur dev’essere il principale fondamento di
ogni retto giudizio. Fin qui abbiam tenuto il campo con-
tro di costoro; chè ne voi abbisognate di più parole,
avendo quanto basta di senno di per voi stessi, nè il
tempo ne concede di combattere conir’ essi più lunga-
mente.
Ritorniamo pertanto alle parole che seguono de- :
terminino ,si disse, i segni i tempi i giorni e gli anni .
, ,
Già parlammo intorno ai segni ; per tempi poi crediam
che s’intenda il mutamento delle stagioni, cioè Tinverno,
la primavera, l’estate e l’autunno, che ricevendo 1 impul-
so dal corso ordinato dei luminari, a noi pure con giu-
sto ordine apprestano il proprio avvicendamento. Il ver-
no ha luogo per noi allorquando il sole si getta alle parti
australi e prolunga di molto in queste nostre regioni le
tenebre notturne, per lo che raffreddandosi l’aria alla
terra circostante, e gli acquei vapori tutti a noi dintorno
addensandosi, hanno origine le pioggie, le brine e le
copiosissime nevi. Ma come di nuovo dalle regioni au-
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Ili
strali a noi sen ritorna, e si pianta nel mezzo, e divide
in giuste parli il giorno e la notte, e come più sopra 1’
orizzonte si trattiene, via via più dolce la temperatura e
più bello il tempo rimena. Yiensi allora la primavera,
eh’ è madre di tutte piante fecondatrice, che a moltissi-
me specie arboree la forza che le torna in vita imparti-
sce, che conserva le famiglie degli animali sì terrestri che
acquatici per la succession della prole. Quindi il sole,
avanzandosi verso il settentrione per giugnere all’estivo
solstizio, ne porta i giorni più lunghi ; e perchè lunga-
mente investe l’aria che al nostro capo sovrasta, così la
accende, e per essa asciutta la terra, giovando di questa
guisa alla maturazione delle sementi, e le frutta degli al-
beri al grado di lor compiuta nutrizione adducendo.
Quando poi il sole è cocentissimo, allora in sul mezzo-
giorno le ombre sono assai brevi, poiché vibra dal pun-
to più alto i raggi sopra le regioni che noi abitiamo,
avendo noi i più lunghi giorni in quelli in cui le ombre
son le più brevi, ed i più brevi in quegli altri, in cui le
ombre son le più lunghe ; ciò avviene appresso di noi che
siam chiamati eteroscii ed abitiamo le parti aquilonari
della terra.Se ne trovano però alcuni posti sotto alla li-
nea equinoziale, che per due giorni dell’anno mancano
allatto d'ombra, poiché il sole vibrando sovr’essi verti-
calmeute i raggi suoi, si tien sì diritto nell’ investimeli
della sua luce, che anche l’acqua posta nel profondo dei
pozzi viene giù per l’angusto pertugio illuminata ;
ondò
che da taluno si appellano senz'ombra. Quelli poi clic
al di là dell’odorosa Arabia sen giacciono dall’uno e dal-
l’altro canto avvicendano l’ombra, e sono i soli di quelli
che vivono in questa nostra terra abitabile che in sul
meriggioalle parti australi lancino l’ombre*, per cui v’ha
chi li chiama gli alternatori dell’ombra, e ciò avvieuc al-
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lora clic il sole alla parie aquilonare si volge. Da lutto
pertanto che si disse possiam raccogliere quanta sia la
forza che dai raggi del sole infondesi nell' aria, e quanti
i mutamenti che produce. Come poi entriamo nella sta-
gione autunnale, si rallenta il soverchio bruciore estivo ;
e, grado grado cessando veniamo per mezzo di
il caldo,
ima mite temperatura senz’alcun nocumento portati nel-
lo inverno, che succede allora che il sole di nuovo allo
regioni aquilonari dalle settentrionali ripassa. Inoltre
questi medesimi avvicendamenti, che tengono dietro al
corso del sole, governano la nostra vita. Determinino , si
disse, anche i giorni: non perchè li formino, ma perchè
ai giorni presiedano, mentre i giorni e le notti esisteva-
no pria che si creassero i luminari. Ciò stesso poi ci
viene dichiarato dal salmo in cui si dice : Pose il sole
a dominatore del giorno e la luna e le stelle perchè do-
minassero la notte.' Com’ è dunque che il sole otten-
ne il dominio del giorno? Perchè portando con seco
stesso la luce, non si tosto sale sul nostro orizzonte che
scacciando a se dinanzi le tenebre arreca il giorno. Per
10 che non andrebbe lunge dal vero chi nel definire il
giorno dicesse, eh’ è l’aria illuminata dal sole, o quella
misura del tempo in cui il sole nell’emisfero nostro trat-
tiensi sopra la terra. Ma il sole e la luna furono crea-
ti anche perchè determinassero gli armi. La luna infatti
compie l’anno dopo di aver fornito per ben dodici volte
11 suo corso
;
se non che ha d’uopo non di rado di un
mese intercalare per accordarsi esattamente al corso
delle stagioni, mese che era in uso appresso degli Ebrei,
e degli antichissimi Greci. L’anno poi solare è il ritor-
no che fa il sole col proprio moto a quel segno di dove
erasi dipartito.
E Iddiojece i due gran luminari. La parola grande
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ora ha un senso come quando si dice: il cielo
assoluto,
è grande, la terra è grande, il mare è grande: ora poi,
10 che avviene comunemente, non ha un senso asso-
luto, ma di relazione con un terzo, ed è quando dicia-
mo un gran cavallo, un gran bue ; perchè ottengono
:
11 suffragio della grandezza non per F assoluta vastità
della lor mole, ma sibbene pel confronto co’ loro simili
istituito. Qual è dunque in questo luogo il significato
della parola grande? Forse al modo con che appellia-
mo grande una formica, od alcun altro animale picciolo
di sua natura; perchè paragonato cogli altri della mede-
1
sima specie, appare di una misura eh è maggior dell’
usata? o invece dobbiam prendere la parola grande nel
senso, che i due luminari per propria costituzione e na-
tura son grandi assolutamente? Io la penso in fatto co-
sì. Che questi luminari non sono grandi, perchè mag-
giori delle stelle più picciole ; ma perchè tanta è Y e-
stensioue che abbracciano, che lo splendore che diffon-
dono intorno è bastevole ad illuminare F aria ed il cie-
lo, e insieme a tutta la terra e il mare propagasi. E se
in qualunque parte si trovino del cielo, sia che nascano,
sia che tramontino, sia che a metà lo dividano, sempre
e dovunque appariscono eguali agli sguardi de’ contem-
platori ; ciò dimostra evidentemente F immensa loro
grandezza, mentre la vastità della terra non basta a far
sì che or più grandi or più piccioli si veggano. Quegli
oggetti che miransi da lunge sembrano per certa guisa
minori, e come ad essi più ci appressiamo, più ci po-
niamo in grado di riscontrare la vera loro grandezza. Ma
niuno è più dappresso, niuno al sole più lontano, bensì
sempre trovasi ad eguale distanza di chi, da qualunque
parte della terra a lui volgendosi, lo contempli. Ven-
gano a prova i popoli dclFIndia ed i Britanni che lo ri-
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A
11
scontrano eguale. Nè tramontando scema la sua gran-
dezza in faccia di quelli che abitano le piaggie orientali,
nè ai popoli dell’ occidente nascendo mostrasi minore,
nè allora che a mezzo divide il cielo cangia nell’ una e
nell’altra parte d’ aspetto. Attendete però che l’appa-
1
renza del sole non v inganni, poiché quantunque a
chi lo miri non appaia più lungo d’un cubilo, pure
non è a pensarsi che tale sia veramente la sua gran-
dezza. Che tutte cose osservate da lunge e alla mas-
sima distanza s’ abbreviano, mentre la virtù visiva non
vale a penetrare i frapposti spazii, ma per così dire si fran-
ge a mezzo, e con una picciola parte di se apprende gli
oggetti che le si offrono. La causa adunque per cui le
cose vedute da lunge appaiono picciole, è lo impiccio-
lirsi della nostra vista, che trasfonde le proprie mo-
dificazioni in ciò che vede. Che gli occhi ne ingannano,
dunque non dobbiamo prestar molta credenza al giu-
dicio loro. Richiamate ciò che avrete voi medesimi le
mille volte provato, e da voi un ar-
medesimi trarrete
gomento convincentissimo di quanto si dice. Se dalla
vetta di un qualche monte elevatissimo guardaste mai
una campagna e vasta insieme e declive, come vi ap-
parvero grandi gli aggiogati buoi, come gli aratori ?
Non vi offersero forse l’immagine delle formiche? E
se da una specola di vasto oceano dominatrice lan-
ciaste lungo le marine acque lo sguardo vostro, come
vi apparvero le più grand’ isole ? come vi si dipinse
agli uno smisurato naviglio mercantile spinto at-
occhi
traverso dell’ onde cerulee da gonfie e candide vele?
forse non vi presentò una forma di qualunque colom-
ba minore ? E ciò perchè la vista, come dissi, di mez-
zo all’ aria consumata di molto impicciolendosi non può
apprendere col nerbo suo naturale le giuste immagini
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J
11
delle cose. Di più, lo sguardo nel ritrarre l’immagine
degli ampi monti e da profonde valli solcati li giudi-
ca senz’ angoli e stagliature, perchè si ferma alle sole
prominenze, nè per la propria debolezza nelle interme-
die concavitadi s’addentra. Così non rileva nè anco co-
me stanno propriamente le figure dei corpi, ma si fin-
ge rotonde le torri che son quadrate. Da ciò tutto e-
videntemente risulta, che nelle massime lontananze la
vistanon apprende già con precisione, ma sì confusa-
mente le immagini dei corpi. Dunque, secondo la te-
stimonianza della Scrittura, è grande il luminare, ed in-
finitamente più grande di quello che apparisce.
Pure abbiatevi un’altra irrefragabile prova della
sua grandezza. Benché nel cielo innumerevole sia la
moltitudine delle stelle, tuttavia la loro luce insieme
congiunta non basta a diradare le tenebre della notte.
Ma quel solo luminare si mostra appena ;
anzi si at-
tende ancora, nè su dalla terra si levò interamente ,
che dissipa 1’ ombre, toglie lo splendore alle stelle, e
assottiglia e dirada 1’ umid’ aere addensato che le re-
gioni terrestri circondava •,
ond’ è che spirano i venti
del mattino, e la rugiada a ciel sereno il colle e il pia-
no cosperge. In qual maniera, chied’io, potrebbe in
un istante luminare tutta la terra, eh’
è pur sì vasta,
se da un gran disco non effondesse la luce? E qui
apprendete a conoscere la sapienza dell’artefice, che
impartiva al sole il calore a cotanta distanza conve-
niente; un tal calore cioè che per essere soverchio non
abbruciasse la terra, nè per difetto lasciassela fredda
ed infeconda. Alcun che di fràtellevole e simile a quello
che dicemmo intendasi ancor della luna ;
chè la sua
mole è grande pur essa e dopo il sole la più lucen-
te. Nullameno sempre non appare visibile la sua gran-
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dezza ,
ma tal fiata mirasi nel suo cerchio perfetta ,
tal altra manchevole e scema sì che dalla porzion per-
manente argomentasi ed ha luogo questa
della celata;
vicenda, che nel crescer adombra 1’ una delle sue par-
ti, nello scemare nasconde l’ altra. Nè questo mutamen-
to di forme avvenne senza un qualche arcano con-
siglio del creatore. Poiché si compie
sapientissimo
forse ad offrirneuna chiara immagine della nostra na-
tura, non essendovi cosa umana che rimanga nel me-
desimo stato mentre veggonsi tutto giorno farsi innanzi
:
verso la propria perfezione molte cose che prima non
esistevano, e molte altre che dispiegarono ogni vigore
e toccarono il sommo della misura loro assegnata, re-
trocedere corrompendosi a poco a poco, disciogliersi, e
logorate distruggersi. Quindi dalla vista della luna ve-
niamo ammaestrati che celeramente avverandosi il mu-
tamento di tutte cose mortali, non dobbiamo di sover-
chio imbaldanzire per le felicità della vita, non insuper-
birsi della potenza, non gonfiarsi per l’incerto abbondare
delle ricchezze, sibbene dobbiamo disprezzare la carne
che si muta, e provvedere invece al bene dell’ anima
eh’ è immutabile. Che se la luna nello spogliarsi grado
grado della propria lucentezza vi arreca un qualche ram-
marico, maggiore dev’ esser quello dell’ anima, che do-
po di aver conseguita la virtù, si spoglia per negligen-
za di un tanto bene, e mai non permane nella medesima
condizione, ma per naturale incostanza passa da affetto
in affetto e si cangia. E troppo vero ciò che sta scrit-
to: Lo stolto mutasi al pari della lima. Di più ancora
io mi penso che il cangiarsi della luna non poco giovi
ad attemprare i corpi animali , e condurre a perfezio-
namento le altre produzioni terrestri; chè i corpi dal
crescere e decrescere della luna son tratti a disposizioni
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ben diverse Ira loro; mentre quand’ella scema diven-
gono radi e vuoti, quando poi cresce ed al suo perfetto
complemento si affretta, allor di nuovo si adempiono
aneli’ essi, perchè trasmette per vie secrete un certo u-
mor calorifico, che fin nelle fibre più intime li pervade.
E ciò ben ti provano que’ tutti che dormendo sotto a’
raggi della luna riempiono di abbondevole umore le ca-
pacità della propria testa; lo provano le carni di recen-
te sgozzate che pe’lunari indussi da un istante all’altro
trasmutansi, i cerebri degli animali, que’ tra pesci mari-
ni che abbondano di umiditade, lo provano le midolle
degli alberi. Le quali cose tutte non potrebbero essere
dietro agli avvicendamenti della luna cangiate, s’ella non
fosse giusta la testimonianza della Scrittura fornita di
qualche cosa di grande, e di una potentissima forma.
Ma si accordano coi mutamenti della luna anche le
diverse condizioni atmosferiche, come ce lo attestano i
turbini repentini che in mezzo alla perfetta tranquilli-
tade e al silenzio dei venti insorgono al rinovarsi delle
sue corna che dietro a furia accavallate traggonsi le
nubi ;
similmente ce lo attesta l’agitarsi degli stretti e il
flusso e riflusso dell’ oceano, che i vicini osservatori tro-
varono con precisione ai lunari avvicendamenti corri-
spondere; poiché nell’ altre forme cui piglia la luna, i
flutti degli stretti si gonfiano a vicenda c si appianano ;
ma nel tempo che si rinnova non han neppure un istan-
te di tregua, che perseverano in un’agitazione e in un
continuo contrasto, finché mostrandosi rinnovata rimet-
te l’ordine primiero nello sconvolgimento dei flutti. II
mare d’ occidente poi ha tale un flusso e riflusso che
senza posa ora sen fugge or sen ritorna al lido, quasi che
al respirar della luna fosse tratto addietro, e all’aspirar
che facesse alla sua propria misura sen ritornasse. Io dis-
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si tutto questo onde far palese la grandezza dei lumi-
nari, e perchè apparisse nelle parole divinamente ispi-
rate non esservi alcuna sillaba oziosa, quantunque il mio
discorso non abbia toccato quasi niente di ciò ch’era di
maggior peso, ed una particolar attenzione richiedeva.
Rimuu dunque, che molto più dell’esposto intorno alla
grandezza ed alla distanza del sole e della luna argomen-
ti colui che vorrà ben addentro col nerbo del proprio
intelletto considerare la virtù e la loro potenza. Ed ho
creduto bene di confessarvi ingenuamente la mia po-
chezza, perchè non aveste a misurare dalle mie parole
le più grand’opere, sibbene dalle tenui cose che si dis-
sero dovete tra voi stessi pensare e quante e quanto
grandi sian quelle che si omisero. Per misurare adun-
que la luna non userete degli occhi, masi della ragione,
che in questa parte procede più guardinga e sicura nel-
laricerca della verità. V’ hanno alcune favole inventate
da vecchie femmine od ebre o pazze, ma pur divenute
comuni, che dicono la luna per certa virtù incantatrice
smossa dal proprio seggio discendere sopra la terra.
Ma in qual maniera, io dimando, l’incanto di un presti-
giatore varrà a trar giù dal cielo ciò che l’altissimo nel
cielo ha piantato ? Ma come fosse tratta giù, qual luogo
potrebbe accoglierla? Volete da piccioli segni conosce-
re la grandezza di lei ? Le città tutte della terra
abitabile per quantunque da lunghi intervalli separate
ricevono, di quel modo che le regioni volte in linea
retta alle piaggie orientali, tutte egualmente i raggi
della luna. Che se posta non fosse colla faccia rincon-
tro a ciascuna d’ esse, illuminerebbe di questa guisa sì
quella ristrettissima zona che le si trovasse precisa-
mente rimpetlo •, ma volgerebbe sua luce obbliquissi-
ma e fuggitiva a’ quei paesi che fuori esistessero della
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sua latitudine ,
abbiamo un esempio familia-
di cui
re nelle accese lucerne poiché quando son molli
;
quelli che stanno dintorno ad una face, v’ ha V ombra
diretta per colui che direttamente le sta di fronte, ma
1
l ombre degli altri e a questa e a quella parte si pie-
gano. Per la qual cosa, se la mole della luna non fosse
alcun che di smisurato e grandissimo, non potrebbe
al certo in tutte parti comunicare egualmente i suoi
benefici influssi. Infatti gli abitatori della zona gelata
che giacciono sotto lo aggirarsi periodico dell orsa, c
quelli che nelle concave regioni del mezzogiorno stan-
no dappresso alla zona torrida, godono in egual mo-
do della luna che monta su dai balzi equinoziali ; e
ciò vuol dire che trovandosi a tutti rimpelto colla sua
mole, offre a una testimonianza apertissima della
tutti
sua grandezza. Chi dunque niegherà che sia grande il
suo disco se uguaglia innumerevoli distanze e le più
disparate tra loro ? Fin qui della grandezza del sole e
Del resto, chi nelle cose create tale vi ricono-
della luna.
sce un accorgimento, che le minime bastano ad appren-
derne la sapienza inenarrabile del creatore ; è d’ uopo
insieme che confessi dover uscirne dalle più grandi un
sentimento cd un concetto più alto quantunque il so- :
1
le e la luna rispetto a Dio non sieno nulla più d un ta-
fano o di una formica. Poiché non potrà avvenir mai
che dalla contemplazione della loro grandezza, si formi
un concetto degno della grandezza di Dio; e a Dio ci
conducono tanto coteste meraviglie quanto ciascuno de-
gli animali più piccioli, o un filo d’erba minutissimo.
Contentiamoci per oggi di quello che abbiamo esposto,
ch’io rendo grazie a Colui che mi die' il mezzo di poter
esservi ministro, benché assai misero, della sua pa-
rola, e voi gli rendete grazie perchè vi pasce di alimen-
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ti spirituali, e vi ha pasciuto anche adesso, come si pa-
scerebbe con un frusto di pane d’ orzo, col debole mi-
nistero della mia voce. E voglia alimentarvi sempre, im-
partendovi, pari al retaggio che vi concesse della fede, la
manifestazione dello spirito in Cristo Gesù nostro Si-
gnore, a cui sia gloria ed impero per tutti i secoli dei
secoli. Così sia.
«•©a*
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OMELIA. VII.
INTORNO AI RETTILI.
E
disse Iddio: Producano le acque i rettili di
anima vivente secondo le proprie specie, e gli uccelli
che volino giusta ilfirmamento del cielo aneli! essi se-
condo le proprie specie. Dopo la creazione dei luminari,
si riempiono tosto le acque di esseri animati, affinchè
anche questa porzion del creato non andasse spoglia del
suo adornamento. La terra avea ricevuto il vago ammau-
lo delle proprie produzioni, il ingemmato di
cielo erasi
stelle, e del fratellevole accordo de’ due gran luminari,
come di due fulgidissimi occhi saettatori di luce, vede-
vasi abbellito ;
rimaneva che anche le acque venissero
del proprio fregio fornite. Si fece udire il precetto, e
subito i fiumi furono investiti della virtù di produrre,
e tutti gli stagni generarono le specie che loro son pro-
prie. Il mare partoriva la famiglia innumerevole e sva-
riatissima de’ natanti, e non rimaneva inoperosa neppur
quell’acqua che raccolta era ne’ bassi terreni paludosi,
nè falliva il fine che le venne nella creazione proposto j
poiché fuor d’ essa uscivano le rane, i tafani, le zanzare :
argomentando a buon dritto che ciò che vediamo oggidì
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dev’essere una prova di quanto avvenne in passato. Co-
si ogn’ acqua apprestava si a compiere il precetto del suo
creatore, e tutte quelle specie, che apporterebbero gran
fatica a chi volesse annoverarle, in un istante per la so-
vrana incomprensibile potenza di Dio sortivano una vita
efficace e piena di moto, tostochò in virtù di quel co-
mando le acque divennero atte alla generazione degli
animali : Producano le acque i rettili di anima vivente.
E questa la prima volta che formasi un essere di spirito
fornito e di sensi. Poiché le piante e gli alberi per quan-
tunque si dica che vivano perchè hanno la proprietà di
nutrirsi e di crescere, pure non sono nè animali, nè
altra cosa animata. Si disse; Producano le acque i ret-
tili per la ragione che tutti i natanti sia che sfiorino la
1
superficie dell acqua, sia che la solchino al fondo, appar-
tengono alla natura dei rettili, conciossiachè traggonsi
dietro per 1* acqua il proprio corpo. Sì ; tra gli animali
acquatici se ne trovano alcuni che son forniti di piedi e
camminano, e a questa classe appartengono in ispecial
guisa gli amfibii,come le foche, i coccodrilli, i cavalli ma-
rini, i ranocchi, pure han luogo più propria-
i granchi •„
mente fra quelli che nuotano; quindi: Le acque produ-
cano i rettili. Qual mai specie fu ommessa in queste
brevi parole ? In questo precetto del creatore quale dei
rettili non si comprese ? Non si compresero forse le specie
vivipare, come le foche, i delfini, le tartarughe, e le altre
simili che cartilaginose si appellano ? Non si compresero
le ovipare, alla cui famiglia quasi lutti i pesci apparten-
gono ? Non le fornite di squame ? non quelle di gusci ?
non le altre a cui sono attaccate le ali o ne van prive ?
La voce del comando è breve, anzi nel comando non
evvi neppur voce, ma un cenno, ma uno slancio della
volontà, pure l’ estensione della efficacia nel comando
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contenuta è grande come la diversità o la similitudine
delle specie innumerevoli dei pesci; alla cui enumera-
zione accingendosi, sarebbe lo stesso che accignersi al
novero dei flutti dell’ oceano, o con la cavità delle mani
allamisura di marine acque. Le acque producano i rettili :
e in essi van compresi i marittimi, i litorei, quelli che
vivono nel profondo, gli altri che si attaccano agli sco-
gli; gli agglomerati, i solitari]', i cetacei, i più grandi, i
più piccioli. Le acque producano : queste parole dimo-
strano la somma affinità che hannocolf acque i natanti,
cd avviene in fatti che i pesci per poco che siano sepa-
rati dall’acqua sen muoiono. In essi non v’ha quel re-
spiro con che bever possano codest’ aria ; ma quello che
l’aria pegli animali terrestri, fa l’ acqua per le specie
nuotatrici quant’esse sono. E la causa è ben chiara e
manifesta : che noi abbiamo il polmone eh’ è materia vi-
scosa, rara e da moltissimi meati trapunta, e che rice-
vendo l'aria per Je sinuose concavità del torace, e aleggia
e tempra l’ interno nostro calore nei pesci poi il dis- ;
tendersi e comprimersi delle branchie che ricevono e
fuori cacciano l’acqua tiene le veci e l’officio adempie
della respirazione. Sortirono i pesci e condizione e na-
tura tutta lor propria, ed una maniera di vivere separa-
ta affatto e particolare ;
per cui niun d’ essi può essere
addimestichilo, nè soffre in alcuna guisa il tocco delle
nostre mani.
Producano le acque i rettili di anima vivente se-
condo le pivprie specie dietro di questo comando ven-
:
nero generate le primizie di ciascuna specie come al-
trettante sementi della natura, essendo riservata là loro
moltiplicazione a’ tempi successivi, poiché dovevano cre-
scere e moltiplicarsi. Dalle altre diversa è la specie di
que’ pesci clic van coperti di gusci come i nicchi, i pet-
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tini, le chiocciole marine, le turrilelle e l’altra famiglia
innumerevole delle conchiglie. Diversa ancora quella che
dicesi de’ crostacei, e sono le locuste marine, i granchi e
gli altri che lor somigliano. Dopo di queste vengono
quelle che si appellano morbide, la cui carne è flessibile
c floscia, come i polipi, le seppie e gli altri animali di
simil fatta*, e di questi le varietà sono pressoché infini-
te ,
poiché le serpi, le murene e le anguille che vivono
per entro a’ fiumi limacciosi e agli stagni, per naturale
similitudine più che a’ pesci ai rettili venefici si avvici-
nano. Diverso é genere di quelli che fanno l’uova e degli
il
altri che partoriscono fi animale. Partoriscono l’animale
quelli di genere mustelino e cagnesco, e tutti in somma
che di cartilaginosi ebbero il nome. Ilannovi poi mol-
tissimi ancora de’ cetacei che sono vivipari, come i del-
fini, le focile, che si dice assicurino i freschi e teneri
loro parli della propria protezione, accogliendoli di nuo-
vo nel ventre, come fossero per alcun motivo impauriti.
Le acque producano secondo la propria specie. Anche
i generi de’ gran pesci e de’ piccioli differiscon tra loro,
e, stabiliti i generi principali, sott’ essi ritrovansi innu-
merevoli differenze che han tutte un proprio nome, un
alimento, una figura ,
una grandezza ed una diversa
qualità di carni *, sicché, determinate che sieno le massi-
me distinzioni, ne traggono poi dietro molte e molte al-
tre specie. Chi tra provetti conoscitori de’tonni potreb-
be a parte a parte le varie loro specie descriverne, quan-
tunque codesta famiglia tra quelle de’ graudi pesci
deggiasi annoverare? V’ha forse alcuno che invecchiò
presso i golfi e i lidi marittimi, che valga a narrarci e
mettere in chiaro la loro storia? Ben sanno i pescatori
del inar dell’ Indie, quelli del golfo Egiziaco, gli abitatori
dell isole, i Mauritaui quanto codesti generi differiscan
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tra loro. Ma quel primo precetto e la potenza incom-
prensibile che aveva in sè valsero in egual modo alla
creazione di codesti esseri per grandi che siano e minu-
ti. Inenarrabile è la moltiplicità delle esistenze, inenar-
rabile la svariatezza dei modi di loro propagazione. I
pesci per la massima parte non covano le uova, come
soglion fare gli uccelli, non edificano il nido, non ali-
mentano a gran fatica i proprii parti, ma è l’acqua che,
raccogliendo l’uscito uovo, ne forma l’ animale. Ciascuna
specie poi è nella propria successione immutabile, poi-
ché per natura ad alcun’ altra mai non si associa*, nè
veggonsi tra loro delle generazioni adulterine, come son
quelle dei muli o di alcuni volatili che nacquero da un
disforme accoppiamento. Non v’è specie di pesce che sia
fornita di denti a metà soltanto, come il bove e la peco-
ra ; nè alcun d’essi va ruminando, ove si eccettui lo scaro.
Tulli invece scorgonsi muniti di una siepe di denti acu-
tissima e condensata, affinché l’esca nel triturarla a lun-
go non si dileguasse, d’uopo essendo che la trincino
celeremente e giù la caccino nel ventre, altrimenti dal-
1’ acqua diluita sperperebbesi.
Anche l’alimento dei pesci è secondo i generi loro
diverso. Alcuni si pascono di fango, alcuni di alga, ed
altri s’accontentano dell’ erbe per entro all’acqua na-
scenti. Ye ne sono invece di quelli che si divorano a
vicenda, sicché i minori vanno ad essere pascolo dei più
grandi, e se avvien mai che quel desso, che aveva il più
picciolo inghiottito, divenga preda di un terzo, e l’uno
e l’altro entrano insieme ad impinguare il ventre mede-
simo. Ed anche noi uomini operiamo forse diversamen-
te, quando con la prepotenza e la tirannide opprimiamo
i nostri soggetti? In che dal pesce, che ultimo ricor-
dammo, differisce colui che per insaziabile bramosia di
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ricchezze ne’ sinuosi avvolgimenti della propria avarizia
ingoia i più deboli ? Quegli aveva rapito il patrimonio
del povero, tu lo pigliasti aneli’ esso, ed entrambi il cu-
mulo accrebbero delle tue ammassate dovizie, dimo-
strando in tal maniera di essere più ingiusto degli in-
giusti, e degli avari più avaro ancora. Guarda che per
te pure apparecchiata non sia la line dei pesci, cioè IV
mo, la nassa, le reti ;
che certo anche noi, se moltipli-
cate avremo le nostre iniquitadi, non potrem sottrarci
1 1
all ultimo gastigo. Vorrei però che osservando gl ingan-
ni e le molte insidie degli stessi animali più debili, ap-
prendeste a non imitare i malvagi. 11 granchio la carne
1
dell ostrica appetisce •, ma codesta preda a pigliarsi è
difficile pel riparo de’ forti suoi gusci ;
poiché la natura
1
ha munito d una corteccia robustissima la tenerezza di
quella carne, per cui ne venne all’animale il nome di
testaceo. Come poi due concavitadi l’una all’altra so-
vrapposta ed esattamente congiunte circondano ed as-
siepano l’ostrica, così le branche del granchio divengono
all’ intutlo inefficaci. Che fa egli adunque ? Non sì tosto
vede l’ostrica in sulle spiaggie tranquille voluttuosamen-
te divagarsi ed aprire in faccia ai raggi del sole i suoi
gusci, che le lancia di soppiatto alcuna pietruccia, e le
impedisce di chiudersi, ottenendo così coll’accortezza e
lo inganno ciò che non reggeva alle forze. Questa è la
malizia di quegli esseri che non sono nè di favella nè
di ragione forniti. Ed io vorrei che imitaste sì l’ opero-
sità e l’ industria de’ granchi nel procacciarvi il vitto, ma
che sapeste nell’ istante medesimo tenervi lontani dal-
l' ingannare e nuocere al vostro prossimo; nè lo fa cer-
tamente colui che circuisce con frode il proprio fratello,
che dà insidiosamente alla fortuna del prossimo il tra-
collo, e che insulta all’ altrui avversitade. Guardatevi dal
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farvi imitatori deglinomini riprovevoli, e siate coutenti
del vostro stato. I sapienti ad ogni altro piacere ante-
pongono la povertade, ove non manchino delle cose al
vivere necessarie. Non lascierò addietro la voracità è
l’astuzia de’polipi che vestono il colore di quel sasso
qualunque a cui si attaccano, donde ne segue che il più
de’ pesci dieno nel polipo non altrimenti che fosse una
pietra, e di tal guisa presentino se stessi in facile preda
all'ingannatore.Di costume smagliantissimo sono forniti
coloro che sempre adulano alle volontà dominatrici, c
ad ogni maniera di pensare e di agire si accomodano,
nè mai stanno fermi nel medesimo sentimento; ma d’ora
in ora appariscono diversi, e coi temperanti sembrano
della temperanza scrupolosissimi osservatori, e sono im-
pudici cogl’impudici, e per conciliarsi l’altrui favore
mutano di parere con chi si sia. Lo schivare costoro,
e il sottrarsi alle arti finissime che usano per nuocere è
difficile assai perchè la malvagità loro assume le sem-
bianze dell’amicizia e si nasconde profondamente, a tale
che Cristo Signore ebbe a chiamare i lor costumi lupi
rapaci che vanno in giro mostrandosi coperti delle vesti
d’agnelle. Fuggite coteste moltiplici e disformi abitudi-
ni, e siate invece amici del vero, della sincerità, dei mo-
di semplici e onesti ;
e sappiate che la serpe è condan-
nata a strisciare perciò eh’ è mutabile. Il giusto è senza
si fu Giacobbe, e per questo Iddio fa
infingimenti quale
che gli uomini di saggio irrcmovibil costume abitino
nella sua casa ( i ). Codesto mare è grande e spazioso ,
ed hannovi in esso rettili senza numero , ed animali di
corpo smisurato ed esile (2); pure v’è in essi una sa-
piente e ben ordinata regola di Vita, chè non son mica
(1) Genesi XXV. v. 27.
(2) Salm. LXVII. v. 7. CIII. v. 25.
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tulli riprovevoli i pesci, mentre se ne ritrovan di quelli
cui sarebbe prezzo d’ opera lo imitare. E gioverebbe co-
noscere come ciascuna specie di pesci, sortito ch’abbia
il luogo alla sua natura conforme, non passi ad occupare
il posto assegnato agli altri, sibbene entro a’ suoi limiti
si trattenga. Eppure non vi fu geometra alcuno che per
codesta specie di pesci abbia distribuite le abitazioni,
non divise da mura, non da limiti circoscritte*, ma sì
natura ha prefisso a ciascuno spontaneamente ciò eh’ è
utile a ciascuno. Quindi questo seno di mare alimenta
certe specie di pesci sue proprie, quell’ altro delle specie
diverse, e quelle che abbondano in questa parte appena
si ritrovan nell’ altra. Pure non v’ è di mezzo un monte
che coll’ ardue vette non v’è un fiume che ne
le separi,
impedisca il passaggio; ma v’ha una certa legge di na-
tura che con giuste infallibili norme prescrive avvertita-
mente a ciascuna specie quella maniera di vivere che a
maggior agio le torna.
Noi invece non ci diportiamo di questo modo
giammai. E perchè ? Perchè noi stessi vogliam trapassare
que’ limiti naturali cui segnarono i nostri padri. Ci ad-
dentriamo nelle viscere della terra, casa a casa, campo
a campo aggiugniamo per sopraffare il nostro prossimo.
Le balene conoscono il genere di vita loro imposto dalla
natura, e dimorano in quel mare che, posto oltre le re-
gioni abitabili, è privo d’isole, e, a vedersi, non ha dal-
l’ altra parte terra alcuna che lo contenga ;
quindi è tut-
tavia innavigato, nè desiderio di esplorarlo, nè alcun bi-
sogno invitò finora i nocchieri a solcarne il vergine seno.
Codesto mare, come narrano que’ che pur da lunge lo
videro, è ingombro da balene simili a vasti monti nella
grandezza, le quali non per tanto trattengonsi entro ai
proprii confini, nè Pisolo o le marittime cittadi raole-
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stano; di guisa che ciascuna specie nel giro di certe
parti determinate, come in altrettante città, o paesi, o
antiche patrie, è circoscritta. Avviene però che alcuni pe-
sci vagabondi, quasi fossero dal comun voto della curia
cacciati in regioni straniere, si raccolgano tutti sotto un
vessillo e sen partano. Come poi si appressa il tempo
alla figliazione prescritto, allora e gli uni e gli altri da
questi e quei confini emigrando, spinti, sarei per dire,
da legge universale della natura, frettolosi tutti sfilano
verso l’oceano settentrionale; e potreste nei giorni eli
lor passaggio vedere a foggia di torrente i ragunati pe-
sci per la Propontide versarsi nel Pont’ Eusino. Chi li
muove? Qual comando di re, qual editto esposto nel
foro li rende accorti del tempo loro prefisso? Chi dei
pellegrini c degli ospiti è il conduttore? Ammirate la
divina provvidenza che basta a tutto, e tutto fin dalle
cose più minute governa. I pesci obbediscono alla legge
del creatore, mentre noi ricusiam di piegarci a’ salute-
voli suoi preeetti. Guardatevi dal tenere in ispregio i
pesci perchè son muti e privi interamente di ragione,
e temete che voi forniti d intelletto non abbiate ad es-
sere peggiori di loro resistendo alle prescrizioni divine.
Ascoltateli i pesci, che in ciò che adempiono emettono,
direi quasi, questa voce : noi veniarn tratti a questo lon-
tano pellegrinaggio per provvedere alla conservazione
dell’uman genere. Essi non hanno intelligenza ;
ma in-
vece una legge di natura profondamente radicata, che
vien loro tutto che deggion fare suggerendo. Andiamo,
dicon essi, nell’ oceano settentrionale ;
quell’ acqua è me-
no amara di quella degli altri pelaghi, perchè ivi il sole
non trattenendosi alla dilunga co’ propri! raggi, fuor non
vi tregge lutto di’
è possibile a bersi. Ed anche i pesci
delle dolci acque s’allcttano, per cui non di rado tras-
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corrono ai fiumi c lunge dal mare si ritirano. Per que-
sto motivo agli altri luoghi tutti preferiscono il Ponto
come il più adatto alla nascita e nutrizione de’ proprii
parti. Non sì tosto però le lor brame furono adempiute,
che in gran alle proprie abitazioni. A-
frotte ritornano
scoltiamo per tanto quale muti armenti abbian ragio-
i
ne di ritornarsene. L’oceano settentrionale, dicon essi,
non è profondo, ma invece, declive ed esposto a bulli
di vento violentissimi, ed i suoi lidi non sono nò sinuo-
si nè ampli, per cui le tempeste fin dal suo letto lo agi-
tano in guisa che tragge a mescolarsi co’ fiotti l’arena
che giacevasi nel fondo*, di più nella stagione invernale
è freddo, perchè in esso e molti e grandi fiumi vi met-
ton foce. Quindi dopoché ne’ bruciori estivi ci siamo in
quelle fresche acque ristorati, nel verno cen ritorniamo
di nuovo ai gorghi d’ un mare eh’ è profondo, e dai vi-
cini raggi del sole intiepidito, e fuggendo gl’ impetuosi
c in luoghi men tempe-
terribili venti del settentrione,
stosi,non altrimenti che in porto, ci raccogliamo.
Io medesimo fui testimonio di tutto questo, c in
tutto ammirai la sapienza infinita di Dio. Se i bruti
provvedono al proprio sostentamento, se conservano la
propria esistenza, se conoscono quanto devono eleggere,
quanto fuggire } che scusa addurremo noi, ove, adorni
come siamo della ragione, ammaestrali dalla legge, da
solenni promesse persuasi, nello spirito illuminati, nel
governo delle nostre azioni più stoltamente dei pesci ci
diportassimo? Eglino sanno per qualche guisa provvede-
re al futuro, e noi, postergata ogni speranza del futuro,
abbandoneremo la nostra vita in preda a ferine volulta-
<Ji I pesci tanti mari travalicano per trarne un qualche
vantaggio, e voi, che direte voi che passate nell’ozio c
nella infingardaggine i giorni del viver vostro ? e ben
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sapete che l’ ozio è il padre d' ogni mal opra. Niuno ad-
duca a sua giustificazione l’ignoranza-, che ahbiam tulli
una intelligenza dataci da natura, per cui siamo avver-
tili e del bene eh’ è fatto per nostro procaccio, e del
male che dobbiamo evitare. Non mi diparto da’ marit-
timi esempli, che son questi di presente gli oggetti delle
indagini nostre. Intesi da certo navigatore che i riccii di
mare, animale picciolo e all’ in tutto spregevole , non di
rado ai piloti dà il segno dell’ onde tranquille o tempe-
stose, perchè ,
presentendo il sollevarsi della bufera,
1
s appiglia ad alcun sasso non lieve, e di esso come di
salda àncora setf vale, affinchè trattenuto dal peso non
sia fuori lanciato dagl’ irrompenti flutti. Quindi è che i
nocchieri, come veggono quest’ indizio, sanno esser vi-
cino lo scatenarsi di turbine impetuoso. Eppure niun
astrologo, niun prestigiatore che dal nascere degli astri
valga a predirei mutamenti atmosferici, insegnò coleste
cose marino ; sibbene il padrone dei mari e dei
al riccio
venti volle imprimere in questo animaluccio un grande
e manifestissimo vestigio della sua sapienza infinita. Nul-
la senza provvedimento, nulla lasciò Iddio di abbando-
nato. Quell’occhio, che mai non si chiude, vede tutto,
è presente a tutto, ed impartisce a ciascuno il potere di
conseguire il proprio fine. Che se Iddio colla sua mise-
ricordia veglia sopra il riccio marittimo, non provvederà
forse agli avvenimenti che vi risguardano? Uomini , ci-
mate le vostre mogli (i). Benché siate d’altra terra e
famiglia, pure vi congiungeste nel vincolo matrimoniale,
e questo vincolo di natura, questo giogo imposto per
mezzo della benedizione unisce ciò che prima era lon-
tano. Le vipere, fra tutti i rettili micidialissime, accorro-
. ,
(i) S. Paolo agli Etesii. V. v. 7.5.
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no alle nozze delle marilliine murene, e come col pro-
• prio fischio annunciarono la lor presenza, hanno il po-
tere di evocarle fuori dal fondo al maritale amplesso; e
le murene obbediscono, ed ai velenosi rettili si accoppia-
no. E a clic tende codesto mio discorso? A dirvi ch’è
necessario, che la consorte soffra il marito quantunque
sia rozzo e di feroci costumi, uè voglia per causa cho
sia passare al divorzio. E facile a percuotere ? ma è, o
donna, il tuo marito. E' un ubbriacone? ina per natura
è a te congiunto. E' stizzoso, implacabile? ma é un
membro del tuo corpo e di tutti il più distinto.
non pertanto anche l uoino l’avviso che fa
Ascolti
per La vipera pel rispetto che ha delle nozze, pria
lui.
vorae il uomo, per riverenza al vincolo
veleno, c tu, o
matrimoniale, non deporrai la tua naturai crudeltade e
ferocia ? Ma
forse l’ esempio della vipera potrebbe a
ben ammaestramento servirne, poiché codesto del-
altro
la vipera e della murena è per natura un congiungi-
mento adulterino. Apprendano adunque coloro tutti che
tendono insidia aU'nltrui talamo, a qual rettile si assimi-
glino. Io vorrei trarre ovunque degli esempli che all'e-
dificazione valessero della chiesa, ed acchetare con im-
magini prese dai terreni e marittimi animali gl’impuri
umani desidcrii. Qui la debolezza delle mie forze e rim-
brunir della sera mi costringono a far sosta, quantunque
mollissime altre cose che nelle marine acque si adem-
piono, c tutte degne di ammirazione, potuto avessi por-
re innanzi a coloro che non hanno in disgrado le mie
parole. Che del mare parlando, potrei dire come l’acqua
in sale si aggrumi; come il corallo, ch’è pietra prezio-
sissima, nel mare non sia più che un’erba (i), e prenda
0)E'a* uopo conceder* mollo ai (empi nc’ quali scrisse il Ma-
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la solida attitudine pietrosa allora che al contatto riman-
gasi dell’aria •, come nel vilissimo animale eh è l’ostrica, 1
una perla di gran valor si rinserri. Per cui quanto i re
bramano ardentemente di avere a ricchezza de’ lor teso-
ri, giace sparso qua e là lunghesso i lidi, gli approdi, e
le stagliate scogliere e per entro ai gusci delle ostriche
nascosto. Chiederei d’onde avvenga che l’ale de’ pesci nu-
trano quell’aiirea lanugine, cui quanti attendono all’arte
di colorire non seppero ancora imitare? D’onde le con-
chiglie presentino tale una porpora ai re, che rimami
vinta dal colore di quella soltanto che nei prati ostenta-
no i fiori ? Le acque producano : che cosa mai dovea
farsi e non V’ ha pregio alcuno che alla esisten-
si fece ?
za non si Con quest’ opere Iddio provvide ai
elargisse?
bisogni degli uomini, con quelle all’ allettamento, da cui
ci sentiam presi, quando contempliamo le meraviglie
della creazione. V’ hanno pure de’ mostri che servono di
scuola all’ ignavia nostra. Creò Iddìo i grandi cetacei.
Nè già si dicono grandi perchè siano delle menole e
delle squile maggiori-, ma sì perchè nella mole del corpo
a’ vasti monti s’uguagliano in guisa, che se tal fiata
nuotino a fior d’acqua, l’aspetto di altrettante isole
presentano. Questi cetacei poi come sono di corpo sì
smisurato, perciò non abitano dappresso i lidi o le foci,
sibbene in quel mare ch’ebbe il nome di atlantico*, e
codesti animali furono appunto creati per incuterne me-
raviglia e terrore. Ma se udiste che il picciolo pesce re-
mora può facilmente trattenere un grosso naviglio, an-
che allora che a gonfie vele si avanzi, per modo che
rimanga immobile alla dilunga, non altrimenti che posto
gno Basilio, e quantunque destino meraviglia la sterminata erudizione
e l’acutissimo ingegno di questo uomo ;
pure ninno dirà clic fosse in
dolere di conoscere tutte le scoperte die si fecero in appresso.
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avesse sue radici nei mare; non vi appar forse anche ia
questo picciolo pesce manifesta 1 infinita potenza del
creatore? Non sono unicamente i pesci che dalla spada
e dalla sega prendono il nome, non i cani, le balene, le
orche marine formidabili ;
ma non sono men da temersi
e l’adunca spina del pesce che appellasi pastinaca quan-
do pur fosse morto, e il marin lepre, perchè l’uno e l’al-
tro apportano una morte inevitabile e presta. Quindi è
che il creatore ci vuole continuamente in veglia -, allin-
eile ponendo in lui la nostra speranza, possiamo evitare
i pericoli tutti che ne soprastano. Ma fuori uscendo fi-
nalmente dagl’ imi gorghi cerchiamo di alferrare il porto ;
mentre le meraviglie che l’una dietro l’ altra sorvennero,
quasi altrettanti fiotti con ispessi e avvicendati tra volgi-
menti hanno, direi, sommerso l’orazion nostra. Quan-
tunque sarà per accrescersi il mio stupore allorquando
movendo incontro a meraviglie più sorprendenti, non
sia, giusta l’esempio di Giona, per avventurarmi di
nuovo al mare. Or poi ripensando a me stesso, sembra-
mi che il discorso, di miracolo in miracolo trascorrendo,
non abbia conservato la giusta misura, e siagli avvenuto
ciò stesso che in mezzo all’ onde accade ai naviganti:
che, non potendo da alcun limile fisso argomentare del
proprio moto, spesso ignorano lo spazio che hanno per-
corso. E noi pure che favellando percorremmo 1’ opere
della creazione, non saprem certamente ridire la molti-
plicità delle cose esposte. Sebbene però gli uditori in
questo religioso teatro raccolti porgano ai delti volen-
tieri T orecchio, e torni gradito ai servi il racconto dei
miracoli del padrone, tuttavia qui raccogliendo l’orazion
nostra, aspetteremo un altro giorno per compiere ciò
che manca. Frattanto sorgendo tutti rendiamo grazie a
Dio di ciò che abbiam potuto investigare, chiedendogli
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tli ridurre a fine quello che ancor addietro rimane. Oh !
il gran bene che ne avreste, se, mentre vi pascete alla
mensa vostra medesima, i vostri dialoghi volgessero a
ciò che ne’ miei discorsi della mattina e della sera io vi
ho spiegato. Oh! il gran bene, se questi pensieri vi te-
nessero occupati anche nel sonno, se poteste dormendo
fruire del gaudio della giornata, se le vostre labbra va-
lessero a dire: lo dormo, ma veglia il mio cuore' i);
quel cuore che dì e notte medita la legge di Dio, a cui
sia gloria ed impero per lutti i secoli de’ secoli. Così sia.
(1) Il Cantico de’ Cantici, c. v. v. 2.
m'V w*
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OMELIA Vili.
INTORNO AI VOLATILI ED Al PESCI.
Disse Iddio produca la terra gli esseri che vivo-
no, i quadrupedi, * rettili, le fiere secondo la propria
loro specie: e così avvenne. Il comando si fé’ udire al-
lorché l’ordinato procedere delle cose il richiedeva, e la
terra anch’essa ricevette il suo adornamento. Là si disse :
producano le acque i rettili Jorniti di anima vivente:
cjui si ripete :
produca la terra gli esseri che vivono. E
che ? la terra è forse animata ? Ed han ragione gli stolti
Manichei che di uno spirito suo proprio la fanno adorna ?
No quando
:
disse : Produca : la terra non emise quello
eh’ essenzialmente le apparteneva ;
ma dandole cotesto
comando le impartì pur anco la forza ed il mezzo di
produzione. Come neppur allora che udissi : Produca la
terra V erba pel fieno ed ogni albero fruttifero mandò ,
fuori da se il fieno chemai avesse dentro di se medesi-
ma nascosto-, ned esternamente si cinse di palme, quer-
ele, cipressi che pria tenesse in qualche angolo del pro-
prio grembo celati : sibbene la parola di Dio soltanto fu
l’essere delle cose che si crearono. Produca la terra , non
già moslraudo ciò che avesse, ma cominciando a posse-
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dere ciò che ancor non aveva : mentre Iddio impartiva!»
allora l’attitudine e la forza di produzione. Anco di pre-
sente adunque, ove dice: Produca la terra gli esseri
viventi, intendesi non già di quella vita che fosse ingenita
alla terra, ma di quella che da Dio per mezzo del suo
precetto allora le si concedeva. Di più 1 argomento dei
:
Manichei contro di loro stessi ritorcesi, poiché se la ter-
ra fuori mandò l’anima che aveva, ella medesima dell’a-
nima dispogliossi. Ma passiamo oltre, che la malvagità
di cotesta opinione al solo enunciarla si appalesa. Ora
pertanto si chiede, perchè alle acque fu imposto di pro-
durre anima vivente, e alla terra invece si or-
i rettili di
dinò che producesse le anime che vivono. Mi penso di
ripeterlo dal mostrare che fanno pesci di essere di una
i
vita d’assai più imperfetta forniti,mentre sen vivono in
mezzo alla spessezza delle acque, e tardi sono d’orecchio,
e fievoli di vista, come quelli che fuor veggono pel li-
quido elemento, nè son dotati di memoria, d’ imagina-
zione, o d’alcun’ altra attitudine ad essere educati. Per
Io che le accennate parole manifestano quasi che gli ani-
mali acquatici hanno una vita corporea che i soli fisici
movimenti asseconda*, mentre una esisten-
i terrestri di
za più svegliata e piena fruendo, mostrano di portare
in se tutta la sovranità dello spirito. Quindi i più dei
quadrupedi vantano una singolare finezza di sensi, per
cui energicamente percepiscono le cose presenti, e le
passate distintamente ricordano ; e per ciò appunto sem-
bra che negli acquatici si creassero i corpi animati, di-
cendosi : che furon dall’acque i rettili di vivente anima
prodotti, e nei terrestri poi si comandasse che fosse
prodotta l’anima, come suprema reggitrice dei corpi*,
quasi che nel dover essi trattenersi sopra la terra, doves-
sero pure di una vitalità più completa partecipare. An-
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ch’essi gli animali terrestri sono spogli di ragione, e
tuttavia ciascuno per naturale istinto mollissime affezio-
ni dello spirilo esprime ;
poiché i loro suoni e la gioia
e la tristezza, e 1’ amichevole riconoscimento, e la man-
canza di cibo, e la separazione dagli oggetti che avean
con essi comune la vita, ed altre innumerevoli condizio-
ni appalesano : dove gli acquatici non solamente sono
muti, ma feroci,
indocili, e d ogni addomesticamento ne-
mici. Il bue conosce il proprio reggitore, e V asino la
stalla del suo padrone (i), ma il pesce disdegna di co-
noscere quel medesimo che lo alimenta. L’asino non è
sordo alla dimestichezza ed alla ben nota voce, riconosce
la strada per cui passò di frequente, e tal fiata servi anco
di scorta all’uomo che aveala smarrita ; è poi dotato di
si grande acutezza di udito, che non havvi alcun altro
animale terrestre che venir possa al paragone con esso.
E qual mai de’ pesci uguaglia il cammello nella ricordanza
delle ingiurie, nella forza dell’ira e nella tenacità dell’o-
dio ? Il cammello che sia percosso, riponsi ben addentro
la offesa, e come gli si presenti l’occasione, se ne ricatta.
Vedete il vostro esemplare, o voi tutti che celeremente
montate in ira, che tenete in conto di virtù il ricordarvi
delle ingiurie, e che l’ odio contro del prossimo vostro
come una bragia sotto alla cenere nascosta conservate,
fin a che, offertavi l’occasione, a guisa di fiamma la sopita
ira riaccendete.
La terra produca V anima vivente. Perch’ è la ter-
ra che produce l’anima vivente? Perchè apprendiate la
diflèrenza che passa tra l’anima dei bruti e quella dell’ uo-
mo. Da qui a non molto saprete il modo con che for-
znossi anima dell’uomo, ora attendete alla formazione
1
(1) Isaia 1.3.
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ili quella delle bestie. Essendo, giusta ciò che sta scritto,
l’anima di ciascuna bestia il sangue della stessa (i), e il
sangue, ove si condensi, trasmutandosi in carne, e la
carne corrotta disciogliendosi in terra, a buon dritto si
conchiude che lamina dei bruti è qualche cosa di terre-
no ; dunque Produca la terra F anima vivente. Osser-
:
vate l’affinità dell’anima col sangue, del sangue colla car-
ne, della carne con la terra, e di nuovo, invertendo l’or-
dine, ritornate dalla terra alla carne, dalla carne al san-
gue, dal sangue all’anima, e vedrete che l’anima delle
bestie è terra. Guardatevi dal credere che l’ anima loro
la formazione preceda dei loro corpi, o sussista dopo il
discioglimento dei corpi stessi. Tenetevi lontani dai de-
lirii non si vergognano di
di quc’filosofì temerarii che
ammettere che le proprie lor anime e quelle dei cani so-
no della medesima specie mentre insegnano eh’ eglino
•,
stessi furono in passato e donne, e piante fruttifere, e
pesci marini. Io non dirò che sieno stati pesci giammai,
sibbene costantemente affermo, che mentre scrivevano
coteste cose dimostravano di essere più ancora dei pesci
privi di ragione. Produca la terra gli esseri viventi. For-
se non pochi si meravigliano, perch’io m’abbia per alcun
tempo taciuto , mentre il mio discorso senza inceppa-
mento di sorta progrediva, ma tra’ miei uditori quelli
che furono i più attenti non ignorano al certo il motivo
del mio silenzio. E perchè mai? Perchè furon essi che
per mezzo de’cenni e degli sguardi che l’ un l’altro lan-
ciavansi sopra di se invitarono la mia attenzione, richia-
mandomi col pensiero a ciò che aveva nel mio discorso
tralasciato. Ed è pur vero ch’erami sfuggito tutto quant’è,
(1) Qui S. Basilio abbraccia l’erronea opinione di coloro che
nelle bestie non ravvisano ebe materia, c nc trac delle deduzioni non
meno erronee del principio.
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nè certo piccola cosa, un ordine di creature, cui l’ ora-
zion nostra lasciò senza esame che fosse. Sta scritto in-
fatti : Le acque producano i rettili di anima vivente se-
condo la propria specie , e gli uccelli che volano sopra
la terra lunghesso il firmamento celeste. Dicemmo in-
torno ai pesci quel tanto che dir ne permise il tempo
serotino :
quest’ oggi passammo all’ esame degli animali
terrestri, e ne scapparono di mezzo i volatili. D’ uopo è
adunque che a foggia degli obbliosi viandanti, che aven-
do alcuna cosa di gran rilievo dimenticata, per quantun-
que abbiano proceduto innanzi di molto, pure sen ritor-
nano addietro, portando la fatica e il disagio delia strada
come pena dalla propria trascuraggine meritata ; è d’uo-
po, dicea, che anche noi le segnate orme ricalchiamo;
chè non vuoisi trascurar certamente ciò che dimenticos-
si, poiché, senz’altro, si tratta della terza parte degli
animali creati; essendo tre i generi degli stessi, cioè il
terrestre, il volatile, l’ acquatico. Sta scritto : Le acque
producano i rettili di anima vivente secondo la propria
specie, c gli uccelli che volano sopra la terra lunghes-
so il firmamento celeste aneli essi secondo la propria
specie. E perchè dalle acque si dicono i medesimi vo-
latili originati ? Perchè tra i volatili ed i pesci riscon-
trasi una qualche afhnitade. Infatti, a quel modo che i
pesci tagliano l’ acqua e col movimento delle lor pinne
si fanno innanzi, e col mutamento, co’ giri, col diritto
muoversi della coda governano se stessi ; non altrimenti
possiam vedere gli uccelli solcar l’aria delle proprie ali
servendosi. Per cui nell’uno e nell’altro genere, essendo
pari la proprietà del nuotare, pari senza più mostrar si
volle l’origine, facendo che dalle acque traessero nasci-
mento. Tuttavia niuno de’ volatili privo è di piedi, per-
chè dalla terra tutti pigliano il proprio cibo, e tutti a
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ciò hanno d’ uopo del sostegno dei piedi. La natura
quindi a’ rapaci impartì gli acuti unghioni perchè affer-?
rar potessero la preda, e agli altri l'armatura opportuna
al procaccio dell’alimento e agli usi della vita. Pochis-
simi poi sono gli uccelli eh’ abbiano i piè disagiosi e al
cammino e alla caccia inetti ;
come sarebber quelli delle
rondini che non possono nè camminar, nè cacciare, e
di quegli altri volatili che si appellano drepani, a cui la
natura provvide il cibo negl’insetti che vanno per l’aria
errando. Del resto, tien l’officio de’piedi nelle rondini il
volo con che rasentan la terra.
Innumerevoli non per tanto e tra di lor diversissi-
me anche tra gli uccelli sono le specie; a tal che se al-
cuno le chiami ad esame in quel modo che noi abbiam
tenuto in parte co’ pesci, troverà esser uno il nome di
uccelli, ma inenarrabili le differenze della grandezza,
della configurazion, dei colori; e le varietà degl’istinti,
delle opere, delle particolari abitudini indescrivibili. Al-
cuni adopraronsi nello inventare alcuni nomi che per
la nuova e ricerca origine loro valessero come altrettanti
caratteri a dinotare le proprietà di ciascuna specie, ed
altri li chiamarono volatili fissipenne come le aquile,
altri colipenne come i vipistrelli, altri membranipenne
come le vespe, altri vaginipenne come gli scarabei e in-
sieme ad essi tutti che generati per entro a gusci ed a
lievi integumenti, gli spezzano in appresso, e via gettan-
doli divengono agilissimi al volo. Il marchio però che
per noi basta a contrassegnare le proprietà a ciascun ge-
nere apposte è 1’ uso comune, e la distinzione che tra i
mondi e gl’immondi animali si mette dalla Scrittura. Il
genere infatti de’carnivori è ben diverso dagli altri, come
è diversa la conformazion loro perchè adatta al pasto che
fanno. Han l’unghie adunche, incurvo il rostro, velocissime
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le ali, onde poter facilmente dar di piglio alla preda, ed
isqnarciatala, convertirla in cibo. Diversa è la conforma-
zione in quelli che si pascono di sementi, diversa in que-
gli altri che si nutrono di tutto che lor si offra, e presen-
tano moltissime differenze *,
poiché alcuni vivon a stormi
eccettuali i rapaci, che non vantano unione di sorta, tran-
ne la conjugale, ed i più se la passano in comune come
le colombe, le gru, gli stornelli, le cornacchie: tra questi
poi altri non si assoggettano ad impero che sia e vivono
a proprio talento, altri non ricusano, come le gru, di assog-
gettarsi ad un duce. Nè basta ciò, che v ha una differenza
ancora nel trattenersi che fanno alcuni sempre in un sito,
mostrandosi indigeni*, e nel viaggio lunghissimo ch'altri
imprendono, sotto cielo più mite all’ avvicinarsi del
verno raccogliendosi. Inoltre gli uccelli per la massima
parte, ove si educhino, divengono miti e si addomestica-
no, eccetto quelli, che per natura deboli ed infermi, ri-
fuggono per soverchia timidezza e paura della molestia,
che loro dal continuo accarezzameli ne verrebbe. Tro-
vansi de’ volatili che del far vita comune cogli uomini si
allegrano, e di buon grado entran ad abitare le nostre ca-
se medesime, mentre ve ne han di quelli che dimorano
fra monti e della solitudine si compiacciono. Riscontrasi
pure un’altra diversità rimarchevole, e dalla voce a cia-
scuna specie particolarmente impartita deriva. V hanno
uccelli garruli e loquaci, ve ne hanno di taciturni. Ye
ne hanno di melodiosi e di note acutissime, ve n hanno
privi affatto di modulazione e di canto. Non ne man-
cano di quelli che facilmente imitano gli altrui suoni, sia
che cotesta facilità d’ imitare dalla natura, sia che venga
mentre alcuni altri mandano fuori
loro dallo esercizio,
una voce che non mutasi mai. Il gallo è superbo, vago
della bellezza c del proprio adornamento il pavone ; in-
Die loogk
,
143
chinevoli alla voluttà le colombe, com’anco le domestiche
galline che lasciano di continuo libero il freno alle sod-
disfazioni voluttuose. La pernice è gelosa e pratica degli
inganni, e presta maliziosamente 1 opera sua ai cacciatori
allorché vanno in traccia della preda.
Sono, come dicemmo, innumerevoli le diversità
che nel costume e nelle opere dei volatili si riscontrano ;
poiché in alcuni ci si appalesa una forma di politico reg-
gimento, che di politico reggimento è proprio il concor-
so delle azioni particolari ad un fine comune, e ciò a
chiunque il voglia nelle api si manifesta, llan desse co-
muni le comune il volo*, hanno conforme
abitazioni,
l’opera e ad un medesimo fine ordinata, e quel ch’è più
imprendono sempre i proprii lavori sotto la direzione
di un re, o di tal altro che presieda ; nè pria si cimen-
tano di uscire al prato che veggano il proprio re dispie-
gar l’ali e precederle nella via. Cotesto re poi non si
elegge a voti, chè la moltitudine spesso per mancanza di
senno innalzò chi era peggiore degli altri al principato*,
nè consegue il supremo potere per giudicio della sorte,
chè i temerarii avvenimenti della sorte sogliono aneli’ es-
si per lo più favorire colui che men di tutti lo merita ;
nè la paterna successione gl’ impartisce il trono regale
poiché non di rado i successori per le adulazioni e le
molli consuetudini, e rozzi e di virtù affatto spogli se ne
rimangono; ma invece è la natura medesima che gli
concede sovra gli altri tutti il primato, mentre gli altri
tutti per vasta corporatura, per leggiadria, per mitezza
di costume sovrasta. Anche il re ha il suo pungiglione,
ma di esso non usa per vendicarsi ; poiché tra le leg-
gi della natura, che non si trovano scritte, vi è ancora
questa, che sien tardi alla vendetta coloro che furono al
potere supremo innalzati. È poi vero d’altronde che
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quelle api che non imitano l’ esempio del re hanno della
propria temeritade ben donde pentirsi, mentre pagan la
trafittura che diedero colla morte. Veggano dunque i
Cristiani a cui si comanda di non rendere male per male
a chi si sia, e si adoprino di vincere le offese coi bene-
ficii. Imitate ancor voi le provvide consuetudini delle
api, ch’edificano e dispongono i propri favi senza portar
nocumento ad alcuno, e sempre gli altrui frutti rispet-
tando. Esse van raccogliendo qua e là dai fiori la cera,
e col rostro succiano mele, eh’ è quell’ umore che ve-
il
desi a foggia di rugiada sopra i fiori medesimi sparso,
e succiato che l’ hanno, corrono a deporlo nelle cavità
delle proprie celle-, sicché da prima è liquido, ma, in
appresso ammanendosi ,
passa a quella soavità e con-
densamento che gli conviene. Le api ottennero dallo
Scrittor de’ proverbi quell’ elogio che ben loro si addi-
ce, ed operose e sapienti si chiamarono. Elleno infatti,
le cui fatiche, come sta scritto, tornano salutevoli ai re
ed ai privati, tanta usano diligenza nel far incetta del
proprio alimento, quanta saggezza ed arte nel disporre i
ripostigli pel mele -, poiché, distesa eh’ abbiano la cera a
foggia di sottile membrana, vanno formando delle spesse
e continue cavitadi in maniera, che la frequenza e la
densità con cui que’ minutissimi forellini si collegano
insieme, servano di sostegno e rassodamento all’ opera
tutta. Ciascuna celletta stassi all’altra attaccata, ed è sì
da una tenue chiusura divisa, ma in tal guisa però che
rimansi alla medesima unita. Cotesti tubi non per tanto
gli uni agli altri sovrapposti contano due o tre apparta-
menti diversi, e ben si ebbe cura di non prolungare di
troppo la medesima cavitade, affinchè l’umore entro
l-accoltovi, tratto dal proprio peso, fuori non ispicciasse.
Conoscete adunque come i ritrovati della geometria non
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siano che una spiegazione di quegl'industri e lunghi lavo-
ri che le api sapientissime imprendono. Tutte le cellette
de’ favi sono sessagone e latte ad angoli eguali; non ap-
poggiano in linea retta le une sovra le altre accioc-
ché i Fondi ne vuoti intervalli annestati non crollino ;
ma gli angoli delle sessagone cavernuccie sottoposte ser-
vono alle superiori di sostegno e di base ;
perchè senza
tema di frangersi reggano al peso, e l’ umore in ciascuna
cavitade separatamente deposto possa essere contenuto.
Ma varrei io forse a descrivervi a parte a parte le
proprietà che le consuetudini del vivere degli uccelli
risguardano? Vedete la vicenda che tengono le gru nel
disporre alla propria sicurezza le scolte! Alcune dormono,
1
alcun altre muovono in giro e procacciano la perfetta
tranquillità del sonno alle compagne. Come poi si compiè
per quella che stette in guardia il tempo alla veglia sta-
bilito, manda fuori yuo strido, eh’ è il segnale con cui
vuol raccogliersi a riposo, e dimanda di essere sostituita
1
da un altra che alla sua volta le presti quella medesima
guarantigia, che fino allora ha ricevuto. Osserverete di
più che tengono cotesto ordine stesso nel volare che fan-
no. Ve ne ha infatti una che serve di scorta alle altre
nell’aereo viaggio; ma dove per alcun tempo stabilito
diresse la schiera volante, si pone in coda, e cede il po-
sto di guidatrice a quella che le vien dietro. Anche la
maniera di operare seguita dalle cicogne è tale che sem-
bra effetto di ragionevole intelligenza, e come tutte ad
un’ora calarono in queste nostre regioni, tutte parimenti
ad un segno sen partono. Le nostrali cornacchie poi nel-
la dipartita le accompagnano, e, come io giudico, servono
loro di scorta, e le giovano di molto soccorso contro gli
-uccelli nemici che scontrano per via; e n’è in prima
Argomento il uon vedersi allora in alcun luogo una cor-
19
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:146
-nacchia; poscia il vedercele di ritorno coperte di ferite,
quasi i nclici i manifestissimi dell" aiuto e della difesa che
prestarono. Ma chi tra loro gli olficii di cotanta ospitali-
tade sanciva ? chi rendea sì forti le minaccio contro la
diserziou dall’ esercito, che ninna dell'accompagnamento
avesse a sottraggersi? Mirino quest' esempio coloro che
sono inurbani cogli ospiti e crudeli, che chiudono loro
in faccia le porte, e non danno nè
nè di freddis- di notte
simo inverno ricetto a’ pellegrini. Le cure poi che le ci-
cogne prestano a quelle che sono logore dalla vecchiaja
varrebbero ad eccitare 1" amore de figli verso de’ proprii
Jor genitori, se vi ponesser mente davvero chènon havvi ;
certamente uomo privo di ragione a tal segno, che non
giudichi meritevole di molta infamia colui il quale nella
virtù si trova di gran lunga al di sotto degli uccelli irra-
gionevoli. Elleno stanno intorno al vecchio genitore, a cui
per la debolezza degli anni cadono le penne, e delle pro-
prie lo riscaldano: elleno gli somministrano abbondevole
ilcibo, e lo sorreggono per quanto è possibile nel mede-
simo volo, quinci c quindi dolcemente sulle proprie ali
adergendolo. E questo fatto è sì celebre appresso di tutti,
che alcuni non dubitarono di dare il nome di antipelar-
tgismo alla rimunerazione dei beneficii. ÌNon vi sia chi della
povertà si lamenti, o disperi della sua vita, per quantun-
que trovisi la sua casa affatto spoglia di tutto, ove getti
uno sguardo all industre operosità della rondine. Ella, allor
che adoprasi a costruire il suo nido, vi porta col rostro
i fuscellini, ma non valendo a raccogliere colle zampe la
belletta, bagna a fior d acqua l'estremità delle ale e, spar-
gendosi poscia di leggerissima polvere, provvedesi insi-
nui guisa di una poltiglia a 'suoi lavori opportuna, e legando
con essa, che tien le veci (li tenacissimo glutine, grado gra-
do i raglinoti fuscelli, vi edifica il nido, ov’ entro educa i
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suoi pulcini, a cui se taluno pubga gli occhi, riceve dalla
natura un lai farmaco che può ridonare a’ suoi figli la
vista offesa o perduta. Coteste opere ti facciano avvertito
che nella miseria non devi ricorrere alle frodi, nè lasciata
ogni speranza, rimanerti nell’ abbiezioue e nell’ inerzia,-
come ti sovvenissero le più grandi calamitadi
;
ina sì che
ti abbabdoni confidente in braccio a Dio, ohe se di tanto
è liberale colla rondine, quanto di più non lo sarà con
quelli che di tutto core lo invocano! Le alcioni sono uc-
celli marini, che depongono in sull’arena le proprie uova
e sogliono fruttificare i lidi, ed è appunto circa
lunghesso
la metà del verno, quando il mare da spessi e vio-
allor
lentissimi aquiloni è spinto a rompere contro terra, che
traggono in luce i proprii parti. Ma tacciono i venti tutti,
e i fiotti dell’oceano s’acchetano in que’ sette giorni, ne’
quali le alcioni le proprie uova riscaldano, e questi ba-
stano a far che dal guscio escano i pulcini. Come però
hanno d’ uopo anche dell’alimento, così il munificentis-
simo Iddio altri sette giorni concesse perchè intanto i
tenerelli neonati crescessero ;
e ciò conoscono bene lut-
ti i nocchieri che appellano que’giorni, giorni delle alcioni.
Queste leggi furono dal Signore ordinate perchè ne mani-*
festassero quanta fosse la sua provvidenza verso dei bruti,
affinchè ancor noi venissimo eccitati a chiedergli tutto
che fa d’uopo alla tutela ed alla E che vi
nostra salvezza.
sarà mai, anche di più inaudito, che da Dio far non si
possa per te, o uomo, che sei formato ad imagine sua j
mentre in prò di alcuni tenuissimi uccelli si contie-
ne ed infrena a mezzo il verno burrascoso l’ oceano da
quel comando che lo governa ?
< Dicono che la lortorella separala dal suo compagno
più non si unisca in società ad alcun altro, ma vedova
àe ne rimanga, perchè in memoria del primo rifiuta un
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secondo congiungimento. Apprendano le donne, come ari'
che appresso gli animali irragionevoli si preferisca il pii»
dorè e l’onestà della vedovanza al vergognoso addoppia-
melo delle nozze. L’ aquila è crudelissima nella edu-
cazion della prole, poiché tosto che nati vegga due pulci-
ni, caccia l’un d’essi lunge iij sulla nuda roccia dopo di
averlo colle ali barbaramente percosso, e quel solo che si
elesse ritiene per suo, rigettando, per la difficoltà somma
che avrebbe di pascerli, 1’ pur ha generato-, ilfru-
altro che
sone però, come si narra, non neppur questo;
lascia perir
ma lo raccoglie, e insieme a’ propri figli lo educa. Somi-
gliano all’ aquila que’padri che sotto pretesto dipovertade
espongono i lor figliuoli o nello assegnare il retaggio si di-
portano iniquamente con essi. Come infatti diedero a tut-
ti egualmente nell’esistenza che han ricevuto, così è giu-
sto che porgano a tutti con egual misura i mezzi neces-
sari alla conservazion della vita. Guardatevi dall’ imitar
la barbarie di quegli uccelli dall’ unghie aguzze, che visti
appena i lor parti maturi al volo, li battono colle ali, a
forza li gettan fuori del nido, nè più si piglian di loro
sollecitudine alcuna. E lodevole invece l’amore che verso
i suoi pulcini ha la cornacchia, la quale, com’ essi volano
gliaccompagna, di cibo li provvede e a lungo ancora li
nutre. Molte specie di uccelli per concepire non han d’uo-
po dell’ unione co’ maschi-, per lo contrario in altre molte
le uova, nate senza accoppiamento, sono infeconde. Dicono
che per lo più senza maritale consorzio generino gli avol-
toi, benché la durino lungamente, coinè quelli che d’ or-
dinario oltre a cento portano gli anni della lor vita. Vorrei
che si tenesse conto di questo fatto nella storia degli uc-
celli, e bene lo si avvertisse -, affinchè se vi fosse alcuno
che derìdesse il nostro mistero, e pretendesse di mostrare
impossibile ed alla natura contrario, che una vergine, con-
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servando la propria integritade inviolata, abbia potuto
partorire j
vi soccorra alla memoria che quel Dio che
per mezzo della stoltezza della predicazione si compia-
cque di provvedere alla salvezza dei credenti preparò -,
con fatti innumerevoli presi dal seno stesso della natura
gli uomini alla fede che doveano prestare agli avveni-
menti i più maravigliosi.
Producano le acque i re Itili di anima vivente e
gli uccelli che volano sopra la terra lunghesso il firma-
menta celeste. Fu imposto agli uccelli che volassero sopra
la terra, perchè la terra tutti di cibo li provv-ede. Si dice
poi lunghesso firmamento celeste , perchè, come pre-
il
cedentemente notammo, all’aria si diede in questo luogo
il nome di cielo, essendo che il cielo sortì in greco tale
uoa denominazione che vai presso di noi quanto esser
veduto. Appellasi poi firmamento, perchè quell’aria che
sta sopra del nostro capo, posta a confronto di un cor-
po etereo, mostrasi fornita di maggiore spessezza, men-
tre per le esalazioni che dai bassi luoghi sollevansi più
e più si coudensa. Abbiamo adunque il cielo ingemma-
to, la terra adorna, il mare ingombro dai muti suoi abi-
tatori, e F aere pieno d’ uccelli che in tutte guise lo sol-
cano. Voi pertanto in voi medesimi raccolti percorrete
diligentemente cotesti prodigii che per comando del Si-
gnore furono tratti dal nulla, e insieme gli altri, che, per
non indugiare di troppo e non eccedere i giusti limiti,
omise la mia orazione *, e ,
percorrendoli ,
leggete in
tutti la divina sapienza, nè cessate d’ ammirarla, e di
far sì che da ciascuna creatura si elevi un inno di glo-
ria al creatore. Ritroverete nelle tenebre quelle specie di
uccelli che menano una vita notturna, nella luce quel-
l’altre che vanno errando frà il giorno-, poiché i vipi-
strelli, le civette, gli allocchi muovon la notte in traccia
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15o
di cibo. Per lo che se tal fiata ti fugge, o uomo, il son-
no dalle palpebre, basta che ti fermi alcun poco su di
essi e ne consideri le proprietà per dar gloria al crea-
tore. Considera come intanto che riposa l’àgnella, ve-
gli l’usignuolo, che tal fiata non cessa dai melodiosi con-
centi per quanto è lunga la notte •, come il vipistrello
a’ quadrupedi insieme ed ai volatili appartenga, e sia il
solo tra gli uccelli che mostrisi fornito di denti', che
a guisa de’ quadrupedi viva partorisca la sua prole-, e
che divaghi per l’aria non portato da piume, sibbene da
membrane simili al cuoio. Considera come la natura ab-
bia infuso ne’vispistrelli tale un vicendevole amore, che
l’un l’altro si attaccano in foggia di catena e l’un dall’al-
tro dipende; Io che suole difficilmente avvenir tra gli
uomini , mentre all’ affratellamento ed alla socievole u-
nione, dai più la vita privata e solitaria si preferisce. Oh
come coloro che van dietro le follie di una scienza men-
zognera negli occhi rassomigliano alla civetta ! In fatti
di quella guisa che lo sguardo delle civette serve loro
benissimo di notte, e quando in vece il sole risplende
s’infosca ;
'
non altrimenti l’intelletto di cotestoro è vali- •
dissimo nella contemplazione delle vanitadi, ma di fron-
te alla vera luce s’intorbida. Di giorno poi vi sarà facile,
il raccogliere da tutte parti dei motivi, onde innalzarvi al
Creatore. Qui senti il gallo casalingo che desta al lavo-
ro, e raddoppiando gli acutissimi strilli, e il sole che
di lontano sen viene salutando, si fa compagno alle ve-
glie dei viaggiatori e stimolo alla operosità dei coloni.
Stanno di continuo in guardia anche le oche, ed avver-
tono col finissimo orecchio, que’ suoni che pegli altri
tornerebbero inavvertiti . Furon esse che salvarono un
tempo la regale città, mentre discopersero que’ nemici
che insinuatisi per entro a’ cavernosi ripostigli stavau*
•
jJààv-sv? * . .»:.y »
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151
già per occupare la rocca di Roma. Ma, chiedo io, in qnal
uiai specie di volatili la natura non le’ mostra di alcu-
na cosa particolare e degna di ammirazione ? Chi pre-
dice agli avoltoi che molti uomini moriranno, come gli
uni contro gli altri in campo armato discendono? Eppur
li vedrete a torme innumerevoli tener dietro agli eser-
citi, conghielturando quasi dall’apprestamento dell’ ar-
mi l’esito loro, nè ciò dista certo gran fatto dagli umani
raziocinii . Di che modo potrò io descrivervi le terri-
bili spedizioni dejle locuste, che tutte sotto ad un ves-
sillo raccogliendosi, c lungo’ pianure interminabili ac-
campandosi, allora solo si gettano sulle messi che il di-
vino precetto Io imponga ? Di che modo l’ accompagna-
mento che hanuo degli uccelli che seleucidi si appellano,
e sono un gran rimedio alla strage minacciata per quel-
la continua voracità che sortirono, insaziabile voracità
ad essi dalla celeste provvidenza impartita, perchè tor-
nasse di vantaggio agli uomini ? Come esporvi la ra-
gione dell’incessante strillare delle cicale, che emettendo
il suono per mezzo deH’altrazione dell’aria che in mag-
gior copia vi entra nel maggiore protendimento del to-
race, presso il meriggio si fanno udir più canore ? Ma
ormai mi avveggo di essere più intricato nello svolgere
a parole le tante maraviglie che si riscontrano negli uc-
celli, di quello che se a piedi dovessi sforzarmi di te-
ner dietro alla velocità dei lor voli. Quando vedrete di
que’ volatili, come le api e le vespe, che sortirono il
nome d'insetti, e Io sortirono, perchè quinci e quindi
sul proprio corpo moltissime incisioni presentano, ri-
chiamatevi alla mente che sono privi di polmoni e re-
spiro, e che da tutte parti del corpo bevono l’aere ;
ond’ è che sparsi d’ olio vengono meno al chiudersi dei
-pori ,
ma nop si bagnano appena coll’ aceto, che, aperti
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-
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ili nuovo que’ meati sottilissimi, si ravvivano. Hanno
poi tutte cose da Dio create questo di proprio, che
nulla posseggono di più, uulla di meno di ciò che loro
è necessario; e se ritornerete colle indagini sopra di quei
volatili che si affanno coll'acqua, li ravviserete di una
ben diversa configurazione forniti. Non hanno infatti i
piedi nè fessi, come quelli delle cornacchie, nè adunchi
come quelli dei carnivori; ma vasti invece e membrana-
cei per poter facilmente in mezzo all’onde nuotare, valen-
dosi dei piedi, come di altrettanti remi a rompere le a-
cque. Che se avvertirete còme il cigno, cacciando giù nel
profondo letto dello stagno
il collo, di là ne traggali cibo;
comprenderete quanto sia graade
allora la sapienza del
Signore che diede al cigno il collo assai più lungo dei
piedi, perchè lasciandolo cader giù a guisa del filo dei
pescatori ,
possa e cercare e trar fuori 1* esca che sta
nascosta nel fondo. '
Ove si leggano soltanto le parole della Scrittura,
non sono più di poche sillabe : Producano le acque
gli uccelli che volano sopra la terra lunghesso il fir-
mamento del cielo. Ma dove si voglia penetrar il senso
delle parole, allora appar grande il miracolo della sapien-
za creatrice. Quante varietà di volatili non si rinchiu-
dono in esse! Quanta diligenza nel separare gli uni da-
gli altri secondo la propria specie ! Quanto accorgimen-
to nel fornire ciascuna dei caratteri convenienti! Oh se
tutti volessi descrivervi i miracoli, che nelle regioui del-
l’aria si mancherebbe il giorno. Ma già da
riscontrano,
qualche tempo la ne invita a schierarvi nel
terra stessa
mezzo i e gli altri quadrupedi d’indole più
rettili, le fiere
mansueta, apparecchiata anch’essa ad offrir alla sua vol-
ta alcun che non inopportuno alle piante ed alle specie dei
pesci e dei volatili tutti: Producala terra V anima vi
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venie dei bestiami delle fiere, dei
,
rettili secondo la pro-
pria loro specie. Che dite voi che non prestate alcuna cre-
denza a Paolo, quando parla di quel mutamento che avrà
luogo nella risurrezione, se vedete presentarvisi sott’altre
forme non pochi degli abitatori dell’ aria? Coleste forme
ce le offre pure quel verme d’ India che armasi di due
corna, e da prima si cangia in bruco, di poi col pro-
gredire del tempo veste la natura del baco; nè in questa
nuova trasformazione si ferma, che, a guisa d’ale i due
piccioli corni prolungati sfogliandosi, in volatile si tras-
muta. Quando pertanto voi, o donne, vi sedete i la-
vori di questi vermi torcendo, cioè que’ sottilissimi fili
che a noi spediscono i Seri per tessere le vesti più leg-
giere e flessibili, allora al pensier vostro richiamate i
molti cangiamenti di questo animale, e leggete ih essi
un manifesto indicio della risurrezione, nè diniegale a
quel futuro mutamento la fede cui Paolo predica a tut-
ti. Ormai m’avveggo che la mia orazione ha oltrepassa-
to i giusti limiti. Ma questo avviene dime, che se guar-
do alla moltitudine delle cose narrate, sento di avermi
lasciato portar oltre di troppo; se invece mi raccolgo so-
pra le maraviglie innumerevoli della divina sapienza che
in tante opere si appalesano, mi pare di non avere nep-
pur dato principio alla narrazione; quindi è che il trat-
tenervi ancora alla dilunga di molto vantaggio vi tor-
nerebbe. E che avete a fare da questo istante insino al
vespro? Non vi affrettano i commensali, i bevitori com-
pagni non vi aspettano ;
per cui, se non vi è discaro, il
corporale digiuno in alimento dell’ anime convertiremo.
Spesso obbediste alla carne per averne compiacimento ,
oggi adoperatevi di obbedire allo spirito. Prendete pia-
cere alle cose di Dio , ed egli soddisfarà le dim aride
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del vostro cuore (. 1 ). Se avidi siete di ricchezze, io vi
offro dei tesori spirituali, poiché : i veri giudizii del Si-
gnore , che da lui ripetono la propria virtude , sono
assai più deir oro e delle pietre preziose desiderabili (a).
Se vi abbandonate al vivere delicato e siete ai piaceri
inchinevoli , eccovi gli eloquii divini, che per l’ uomo,
che serba tuttavia incorrotti i sentimenti dello spirito,
sono del mele e del favo più dolci (3). Se qui finisco il
discorso e vi lascio partire, v’ han di quelli che tosto
corron ai dadi-, ma nel giuoco v’entrano i giuramenti, l'a-
5
spre contese, gli stimoli dell avarizia, e dappresso vi sta
il demonio per cacciar entro alle viscere commosse il
furore, e gettare or quiuci or quindi il medesimo dina-
ro; e di presente aderge questo per la vittoria, quello
con la perdita avvilisce, mentre da qui a non molto in-
nalzerà 1’ oppresso, deprimendo f insuperbito. Che vi
giova, di grazia, il digiunare col corpo, se banana d'in-
numerevoli colpe si brutta ? Che se trovami di coloro
che non attendono al giuoco, pur si rimangono in ozio ;
e di quante vanitadi non parlano? Quante assurdità
non ascoltano? Essendo provato che l’ozio privo dell’ a-
more di Dio è gran maestro dei vizii a quelli che non
appresero l’arte di servirsi bene del tempo. È poi certo
che se anco non ritrarrete alcun frutto dalle cose che
si diranno, per lo meno, intesi a questa maniera di oc-
cupazione, non peccherete; per lo che il trattenervi più
a lungo è lo stesso che tenervi più a lungo lontani dalla
colpa. Ciò non pertanto sembra che le cose esposte ba-
stino a chiunque sappia portar su di esse un retto giu-
dicio, purché risguardi non alle ricchezze della crea-
ti) Salmo XVIII, v. 10.
(2) Salmo XXXVI, r. 4.
(3 ) Salmo XVIII, v. 10.
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»
A 55
zione, ma alla infermità delle mie forze, c a quella mi-
sura che non deve eccedere per coloro che intervennero
a motivo di prendere alcun diletto. La terra adorna del-
le sue produzioni, il mare di pesci, 1’ aria di volatili vi
accolsero. Riman ora quella porzion della terra che si
mutò in solitudine e manca di coltivatore, la quale nul-
lameno si appresta ad offrirvi delle maraviglie non infe-
riori alle descritte. Ma qui sia fine al banchetto che per
questa mattina imbandivasi, affinchè la sazietade sover-
chia non vi renda indisposti alle vivande della sera.
Quegli pertanto che dovunque fece risplendere le opere
della sua creazione, e in tutte ne monu-
lasciò altrettanti
menti evidentissimi di miracoli incomprensibili, adem-
pia i vostri cuori di ogni allegrezza spirituale in Gesù
Cristo nostro Signore, a cui sia gloria ed impero per
tutti i secoli de’ secoli. Così sia.
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OMELIA IX.
INTORNO ALLE COSE TERRESTRI.
Come vi andò a grado la mensa che il mio discorso
v’ imbandiva questa mattina? Mi verrebbe in pensiero di
rassomigliare 1’ orazion mia al buon animo di poveruo-
mo apprestatore di un banchetto, il quale benché desi-
deroso di essere annoverato tra quelli che di splendide
imbandigioni aggravano la mensa, pure lascia scontenti
gl’invitati, perchè loro non offre vivanda alcuna di qualche
pregio, e sopraccarica invece il desco di cibi comuni, i
quali non altro manifestano che la stolta ambizione del-
T imbanditore. I modi che finora io tenni sarebbero
questi appunto, quando però a voi non sembrasse altri-
menti. Pur tuttavia, comunque siano le imbandigioni ch’io
vi ho apprestate, voi non dovete disprezzarle; chè mai i
commensali non biasimarono Eliseo cometriste imbandito-
re per ciò che loro apparecchiava la mensa di selvatici
erbaggi. Conosco le regole che alle figure allegoriche si
prescrivono, quantunque non siano di mia invenzione e
m’abbia in ciò dell’altrui fatiche approfittato; e conosco
pure che quelli che non intendono la Scrittura secondo
la comune interpretazion letterale ne non pigliano mai la
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* 157
parola acqua nel significato di acqua, ma dicono esprimersi
una diversa natura, e dove scontrano i vocaboli piatila e
pesce li cangiano a loro senno, e a lor modo gli spiegano;
e la stessa generazione dei rettili e dei quadrupedi dietro
i dettati delle proprie allegorie la compongono; sicché
sembrano altrettanti svolgitori d'immagini che apparvero
in mezzo al sonno, e che ciascuno a seconda de’ proprii
sentimenti sviluppa. Io non pertanto allorché odo che
alcuno dice fieno, lo intendo per fieuo, e le piante, e i
pesci, e le fiere, ed i giumenti, e tutte altre cose le prendo
nel senso con cui vengono dalle parole determinate :
che io per nulla del vangelo non mi vergogno (i). Né
per questo che dai molti, i quali a lunghe disamine le
cose fisiche assoggettarono, si discorse non poco intorno
alle figure della terra, se cioè ella sia sferica o cilindrica,
se simile ad un disco o da tutte parti egualmente tornita,
se presenti la figura di un vaglio e sia concava nel mezzo,
che altrettanti sonoi pareri di coloro che intesi vicen-
devolmente a combattersi, parlarono intorno ad essa: per
questo, dicea, non vengo tratto a credere che la nostra
narrazione circa l’ossatura del mondo stia al di sotto
delle altre : benché il profeta del Signore, Mosè, non ab-
biamosso intorno alle sue configurazioni parola alcuna,
ne abbia detto che a compiere il giro della terra, ci vo-
gliono cento ottanta mila stadii, benché non abbia misu-
rato per quanto di spazio l’ ombra terrena protendasi
nell’aria allora che il sole sott’essa terra si volge, nè come
la medesima ombra gettala in faccia alla luna dia origine
alle sue fasi; chè l’inspirato scrittore ommise la narrazio-
ne di quelle cose che non faceano all’ uopo, e a nulla ci
gioverebbero. E perciò dunque diremo che le parole dello
(i) S, Paolo ai Romani II. ?. 56
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158 *
Spirito Santo sono più spregevoli della pazza e umana
sapienza ? o più presto non dovrò anco amare colui che
non volle fermare la mente nostra sopra oggetti che fosse-
ro vani, e giudicò meglio di scrivere quello soltanto che
tornasse all’ edificazione e perfezionamento delle nostr’
anime? Pure ini sembra che tutti non abbiano compresa
colesta veritade, quelli in ispecial guisa, che con certi
tropi e giuochi di parole fuor tratti dalla propria imma-
ginazione, procurarono di guadagnar fede all'autorità delle
Scritture. Ma l’operare di questa guisa è proprio di tale
che stima se stesso più sapiente dello Spirito Santo, e
che caccia per entro alle scritture i proprii sogni sotto
pretesto d’ interpretamele. Noi pertanto intendiamo le
cose così come
vengono narrate.
ci
La terra produca F anima vivente dei bestiami,
delle fiere, dei rettili. Ponete mente alla parola di Dio,
che nell’ essenza delle create cose si trasfonde ^ che allo-
ra cominciò, che tuttavia sussiste, e che manterrassi in
tutta la sua energia fino alla consumazione dei secoli. Di
quel modo che un qualunque corpo rotondo che riceva
una spinta, e per essa venga lanciato su di un terreno in
pendio, e dalla propria configurazione e dalla natura del
luogo vien tratto giù, nè prima s’acqueta, che una qualche
pianura non lo accolga ;
non altrimenti l’essenza delle
create cose, tratta che fu dal nulla pel comando di Dio,
equabilmente nella- generazione e nella corruzion lorodif-
l’ondesi e le penetra, e nell’assimilazione 1’ avvicenda-
mentodei generi conserva, finché sorvenga il fineprescritto.
Quindi è che vediamo il cavallo succedere al cavallo, il
leone al leone, l’ aquila all’ aquila, e così tutti gli anima-
li giusta la propria specie nelle successive lor generazioni
conservandosi, toccheranno il giorno dell’ universale de-
solazione. Non vi è tempo che tolga ad alcuna delle spe-
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159
eie animali i suoi caratteri distintivi ed integri, come
fossero non ha guari creati-, nel trascorrere del tempo si
mantengono Produca la terra V anima vivente: quest’è
:
il divino comando che si trasfuse nella terra nò cessa -,
di obbedire al creatore; e molli degli animali vengono
per successione prodotti da quelli che li precedettero,
molti anco di presente pigliano 1’ essere dalla terra ; eh’
ella non solamente ne’ dì piovosi produce le cicale, ed
altre innumerevoli specie di volatili che vanno errando
per 1’ aria, i quali per essere picciolissimi mancano di
nome, ma inoltre veggonsi generati dalla terra medesima
ad un tratto ranocchi ed i i topi; poiché ne’terreni circo-
stanti all’egiziaca Tebe, ove nella state cade in gran copia
la Che se veniamo
pioggia surger veggonsi a legioni i topi.
all’ non si formano e non si generano esse forse
anguille,
dal fango? Chè non le uova nè alcun’altra guisa di gene-
razione le propaga, ma dalla terra propriamente traggono
1’ origin loro: La terra produca V anima vivente (i). I
bruti sono cose terrestri, e quindi verso la terra piegate :
1’ uomo poi ch’è una produzione del cielo quanto agli
altri animali sta sopra per la corporea struttura, altret-
tanto nella dignità dell’ anima li precede. Qual è la
configurazion dei quadrupedi ? Il loro capo è volto al-
la terra e guarda il ventre, come il fine di ogni cora-
li) Niuno certamente a’il'i nostri, Ira quelli die fecero alcun pro-
gresso nella vera scienza psicologica, si accorderebbe co’ pensieri in
questo luogo singolarissimi di s. Basilio. Forsca’tcmpi suoi i materialisti
non aveano ancora in questo argomento addimandato quegli esami che
si dovettero onde impugnarli instituire nei nostri; e allora potevasi dal
santo ed eloquente nomo enunciare nella produzione degli animali come
innocuo un erroneo sistema ebe ora tornerebbe perniciosissimo. Ne
tanto mi prende meraviglia di S. Basilio clic lo enunciava, quanto del
Bartoli, ebe in tempi assai diversi, là ove parla della produziou de’ ra-
nocchi, lo ripeteva.
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piacimento. Il tuo capo invece, o uomo, sta ritto verso
il cielo, c il cielo guardano gli occhi tuoi. Che se ti brutterai
tu stesso negli allettamenti della carne, e ti farai schiavo
del ventre, e di tutto eh’ è sotto il ventre, anche tu
discendi alla degradazione dei giumenti irragionevoli
e divieni simile ad essi (i). Ti si addicono desiderii ben
diversi da quelli degli altri animali, che tu cercar devi
le tue deliziedove regna Cristo, e adergerti col-
là
la mente sopra le terrene. Prendi dalla tua conforma-
zione le norme, onde tutta dietro ad esse regolar la tua
vita. La tua conversazione sia in cielo, chè la tua vera
patria è la celeste Gerusalemme ed hai per concittadini
e compagni que’ primogeniti che di già sono ascritti al
novero de’beati.
La terra produca F anima vivente. Quell’ anima
dunque dei bruti che sorse dalla terra non tenevasi ce-
lata in ma cominciò col divino comando
sen della terra,
ad L’anima delle bestie è per tutte d’ una mede-
esistere.
sima natura, e suo carattere distintivo è 1’ esser priva
di ragione. V’hanno però delle proprietà per cui le specie
degli animali si distinguon tra loro. Infatti il bue è
paziente e robusto, è pigro l’asino, impetuoso nella con-
cupiscenza il cavallo, immansueto il lupo, ingannatrice
Ja volpe, timido il cervo, operosa la formica, il cane
affezionato e memore dei beneficii; è poi certo che nell’
istante medesimo che fu creato l’animale gli furono anche
apposte le proprietà alla sua natura convenienti. E nacque
insieme col leone una irritabilità somma, una maniera di
vivere solitaria, una certa indole con que'della sua specie
medesima insocievole*, di guisa che tenendosi egli quasi
per tiranno degli altri irragionevoli animali, non permette
(I) Salmo Xt.VIII, v. 1 5.
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161
nè che si uniscano nè che si pareggin con esso. Egli ri-
fiuta il cibo del dì passato, e mai non ritorna ai rimasu-
gli della sua preda, e tanta è in lui la forza della voce
concessagli dalla natura, che spesso còl ruggito spaventa e
prende quegli animali che di gran lunga lo supererebbero
nel corso.La pantera è furibonda e facile ad accendersi di
rabbia improvvisa ha poi un corpo che per la naturale
*, a-
gilità e snellezza in tutto ai movimenti dell’anima si presta.
All’incontro l’orsa naturalmente è torpida, amica della soli-
tudine, è d’indole cupa e profondamente nascosta, ed ha
sortite simili al proprio costume le membra gravi, com-
patte,non divise da giunture, quali infatti si convenivano
aduna fiera pigrissima che passa i suoi giorni nelle caverne.
Che se ci facessimo ad investigare quanta diligenza usano
cotesti animali irragionevoli per conservare la propria vita,
diligenza che non imparano già coll’educazione, ma dal-
la natura ricevono •, o verremmo eccitati a custodire più
gelosamente noi stessi e prenderci cura della salvezza
delle nostr’ anime, o sentiremmo la forza della condanna
accorgendoci di essere dalle medesime bestie superati.
L’ orsa non di rado da profondissime ferite offesa si fa
medica di se stessa, e adopra ogni arte nel chiudere col
verbasco, ch’è pianta di natura asciutta, le piaghe san-
guinose; e ci si offre anche la volpe che attende a guarire
se stessa colle lagrime che stillano dal pino. La testuggine
aneli’ essa, come
è pasciuta delle carni della vipera,
si
cerca nella contraria virtù dell’origano il rimedio al ma-
le che dal veleno di quel rettile venir le potrebbe; eie
medesime serpi minacciate di cecitade van rintracciando
nel finocchio il farmaco salutare. Con qual accorgimento
poi non prevengono le mutazioni atmosferiche ? La peco-
ra all’ avvicinarsi del verno divora avidamente l’erba che
ancor verdeggia, e par voglia prevalersi ora presaga del-
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16B
l'imminente carestia. I buoi, dopo che tutta linvernala stél*
lero chiusi entro le stalle, allo appressarsi della primavera
per naturale presentimento s’accorgono della stagione che
mutasi, -e si mostrano impazienti di uscire, c tutti ad una
cangiano d’aspetto. Alcuni di quelli che tengono dietro
con amore alle opere della natura, avvertirono che il ric-
cio terrestre apre due fori al profondo suo covo, e, do-
ve spiri aquilone, egli ottura il foro aquilonare; e il dis-
chiude e vi abita dappresso allora che succedono i
venti australi. E qual mai lezione da ciò pigliar devono
gli uomini ? Siamo non solamente ammaestrati che l’a-
morevole sapienza del nostro creatore ha provveduto a
tutte cose, ma di pili ci si mostra che nelle bestie mede-
sime vi ha un presentimento del futuro; e per esso «i fan-
no avvisati che non dobbiamo attenerci con tanto affetto
alla vita di quaggiù, ina invece rivolgere i nostri desi-
dera all’avvenir che ne aspetta. E fia che non vi pieghiate,
o uomini, ad operare di tutta lena? Eia che non vi provve-
diate in questa vita de’ teso ri che varranno ad assicurarvi
ilriposo de’secoli futuri, ove attendiate all’esempio della
formica? Ella nella state ammassa l’alimento pel ver-
no, e quantunque non siano dappresso ancora i disagi
di quella stagione, pure non lascia trascorrere il tempo
inutilmente; ma con una certa istancabile sollecitudine af-
fretta se medesima all’ opera, finché abbia riposto nelle
sue cellette la bastevole provvigione. Nè lo affrettarsi
ammette negligenza che sia, ma nell’ abbicare la sua ri-
colta usa quella solerte avvedutezza che tenda a conser-
vamela per lungo tempo. Quindi taglia a mezzo i grani
.
1
adunco suo rostro, affinchè germogliando essi non
coll’
"tornino vuoti di nutrimento. Li dissecca, allorché avver-
sa che sian bagnati, nè a trarli fuori per disseccameli
giudica opportuno ciascun tempo, sibbene lo fa allora
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ehe presagisca che l’aria spiri a sereno ; nè vedrete giù
rovesciarsi la pioggia per tutto il tempo che rimarranno
esposte le derrate della formica. Qual mai discorso po-
trebbe dar fondo a cotesto argomento? qual ascoltatore
comprenderlo? E qual tempo basterebbe a tutti disvela-
re i miracoli dal divin fabbro operati? Diciam dunque
anche noi col Profeta : O quanto sono da celebrarsi le
tue opere , o Signore ! Tu nonfacesti nulla che non porti
V impronta della tua divina sapienza ( i ). Da ciò ne se-
gue che non potremo scusarci col dir che non fummo i-
struiti di quello che faceva alla salvezza delle nostr’anime,
se possiamo scegliere senza addottrinamento tutto che tor-
na utile all la legge ben addeulro considerando della
anima,
natura Vuoi sapere qual ben tu deva prestare al tuo
(a).
prossimo? Quello stesso che vorresti un altro a te prati-
casse. Conosci qual male evitar devi? Quello che non bra-
meresti a tesi facesse. Non vi fu arte che apprender facesse
alle bestie il modo di tagliar le radici, nè vi fu pratica che
loro mettesse sottocchio rutilila che ne veniva dall’crbe ;
eppure ciascun animale naturalmente conobbe la maniera
di conservare la propria vita, e trovò in se una tendenza
ingenita ed inesplicabile per tutto che va a seconda
della particolare indole sua.
Anche noi abbiamo delle virtù ingenite, a cui l’es-
senza della nostr’auima è legata, e che non ci vengono
dagli umani ammaestramenti, ma dalla stessa natura. Di
quella guisa infatti che ninna educazione c’ insegna ad
abborrire le malattie, ma di per noi stessi sentiamo or-
$
(i) Salmo CIII v. 24.
( ?.)
Nello sviluppo di queste idee cd in alcune altre ebe seguono
parrebbe clic san Basilio favorisse il ra\iona(ismo ;
ma ogni dubbio di
cotesto favore dilegoerasi per cbi vegga eh’ egli qui parla del senio
morde unicamente e parla da oratore.
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rore per tutto che ne apporta alcuna molestia, non altri-
menti anche l'anima fogge il male, senzachè a fuggirnelo
venga istrutta ; chè ogni vizio è una malattia dell'anima,
ed ogni virtù è per lei un farmaco salutare.Bene adunque
la definirono coloro che riposero la sanità nella costante
e retta abitudine di compiere le azioni naturali senza di-
fetto di sorta. Che se alcuno dicesse lo stesso intorno alla
retta abitudine dello spirilo non andrebbe lunge dal vero.
E perciò ch’io dico l'anima senz’essere ammaestrata ap-
petisce ciò che le è proprio e per natura le conviene.
Quindi è che tulli lodano la temperanza, approvano la-
giustizia, ammirano la fortezza, desiderano ardentemente
la prudenza *, le quali virtù più dappresso appartengono
all’anima che non appartenga al corpo la sanitade. Voi
figli amate i vostri padri, e voi padri non vogliale pro-
vocare alT ira ifigli vostri ( i ). La natura forse non dà
cotesti medesimi precetti ? Paolo non insegna nulla di
nuovo, e non fa che islrignere di più i nodi della na-
tura. Se ama la leonessa i suoi parti, se il lupo com-
batte pei frutti delle sue viscere ,
e che direm dell’ uo- -
mo che non obbedisce al precetto, e disconosce la natu-
ra medesima, allorché o il figlio insulta alla vecchiaia del
padre ,
o il padre per passare a seconde nozze dimenti-
ca i figliuoli ch’ebbe dalla prima sua sposa? È sommo
tra figli e padri l’amore negli animali irragionevoli, per-
chè Iddio loro creatore compensò la mancanza della
ragione con altrettanta energia di sentimento. E da che
altro avvien mai che l’agnellino, fuori uscendo dai levati
cancelli, tra le pecore innumerevoli conosca il colore e
la voce della madre, e si affretti ad essa, e in essa cer-
chi le fonti del latte \
e quand’ anche ritrovi asciutte le
(1) S. Paolo agli Efesii, VI, v. 4.
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materne poppe,- pur sen rimanga contento di esse, e
non lo arrestino le molte pregne eh’ egli senza badarvi
oltrepassa ? E d’ onde avviene che la madre anch’essa
fra quella folta di agnelli riconosca il proprio? Per quan-
to noi possiamo avvertire, kan tutti una voce, un colori-
to, un odore medesimo-, pure è in esse tal finezza di
senso assai più acuto del nostro, che vale a far sì che
ciascuna distingua il suo. Il cane ancor non ha i denti,
eppure contro quelli che gli arrecano offesa, difendesi
colla bocca. Non ancora son messe le corna del vitello,
eppure conosce dove gli spunteranno le armi. Da ciò
tutto pertanto appar manifesto che non vi è d’ uopo di
studio per apprendere ciò che la natura a tutti imparti-
sce, e che in ciò che impartisce natura non v’ha cosa
disordinala ed improvvida ;
mentre tutto porta palese-
mente i segni della sapienza del creatore, mostrando
ciascuna cosa di essere fornita de’mezzi che valgono alla
sua propria conservazione. Non v’ha dubbio che il cane
è privo di ragione, pur tuttavia ha tale una finezza di
sentire, che di molto alla ragione s’accosta. Di fatto non
vediain noi gli avvolgimenti dei raziocina ritrovati a fa-
tica da que’ filosofi che nell’ozio soverchio della vita dis-
temperaronsi, essere stali mollo prima posti alla prati-
ca dal cane che gli avea ricevuti dalla natura? Allorché
cerca la via tenuta dalla fiera che insegue, e ritrovi che
ne ha calcate assai, tutti va fiutando gli svolgimenti di-
versi per cui si diresse; lo che prova che forma un ra-
ziocinio e non gli manca unicamente che la parola; poi-
ché dice a sé stesso : la fiera o per di qua, o per di là,
o per questa terza via sen fuggiva, ma non prese nè di
qua, nè di là la fuga, dunque rimane che sen fuggisse
per questa parte ;
e così, lasciate le false, ritrova la ve-
ra strada. E che fan di più coloro che se ne stanno con
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tutta gravità magistrale seduti alla dimostrazion dei teo-
remi, e dopo di aver descritti i convenuti segni sulla
polvere, delle tre proposizioni cl* emisero, ne rigettano
due, e trovano nella terza che rimane la veritade ? (i).
La memoria poi clic del ricevuto beneficio cotesto ani-
male conserva, qual uomo ingrato contro del suo beue*
l’attore non copre di vergogna ? Si narra che molti cani
elessero di morire in que’ luoghi deserti in cui furono
uccisi i loro padroni, ed alcuni altri, essendo la codch
messa uccisione ancor fresca, servirono di guide a co-*
loro che cercavano gli assassini, e furouo la causa per
cui gl’ iniqui ebbero la meritata condauna. Che po-
tranno dire a propria giustificazione quelli tutti ,
che
non solamente non amano Dio creatore e provviden-
tissimo conservator loro, ìua tengono per amici di
quelli che parlano iniquamente contro di lui, e parte»
eipano ai loro banchetti, e soffrono che dimezzo al cibo
empie ed ingiuriose bestemmie contro del proprio ce»
leste padre si lancino? »
Ma ritorniamo alla coutemplazione delle create
cose. Gli animali che si lasciau prendere più fàcilmen-
te son anche i più fecondi. Quindi è che le lepri e le
damme moltiplicami d’assai nella generazione, e le pe-
core selvatiche danno io luce due parti, affinchè le lor
razze divorate dagli animali che di cruda carne si pa-
scono, non manchino. Mentre per lo contrario le fiere
che si ciban delle altre sono pochissimo feconde, poi-
ché la leonessa appena divien madre d’un sol leone, do-
li) Veramente non è inolio confortevole pei filosofi clie sillugi\-
Zano il confronto fatto dal santo Padre. Nè lo si deve approvare del
tutto. E leggiadro il modo con clic ne dipinge la fina sensibilità del
rane; ma coleste espressioni meritano tutta la riservatezza nell’ inter-
pretarle.
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vendosi lacerare colle proprie unghie il ventre, perchè
se n’esca il parlo. Anche le vipere, nascendo, corrodono
1’ utero della madre, e le rendono così la mercede che
ben si merita. Da cui si vede che tutto nel cccato è prov-
videnza, che tutto è dimostrazione di grandi sollecitu-
dini. Che se vi tacciate a considerare le membra stesse
degli animali, ritroverete che non vi ha nuìla di super-
fluo che il creator vi apponesse, nulla di necessario che
manchi. Hanno le fiere carnivore i denti aguzzi, che
appunto ad esse pel cibo che prendono convenivano.
tali
Quegli animali poi che a metà vanno armati di denti,
sono forniti di molti e tra loro diversi serbatoi utili alla
digestione. Infatti perchè la prima volta non triturano
abbastanza l’alimento, si die’loro il potere di richiamar-,
nelo dopo inghiottito alla bocca, affinchè sminuzzato col
dimenamento delle fauci, addivenga alla nutrizione op-
portuno. Nè si creda che le budella, il gorgozzule, gli
omenti, gli ampi intestini sien posti ad inutile sfoggio
negli animali, che ciascuno adempie la parte che gli è
propria e presta il necessario servigio. Il collo del cam-
mello è lungo, perchè eguale ai piedi riesca e toccar
possa l’erba di cui si pasce. Il collo invece dell’orsa,
del leone, della tigre e degli altri animali di questa fal-
la è breve e attaccalo agli omeri, perdi’ essi non si ali-
mentano d'erba, nè hun d’uopo di chinarsi fino a terra
per mangiare le carni degli animali che son lor preda.
E che vuoisi dire di quella lunga proboscide nell’elefan-
te ? Perchè era d’ uopo che quel vasto animale, il più
grande di tutti i terrestri, avesse una corporatura am-
piamente carnosa e pingue, onde incutere spavento in
tutti che in lui si scontrassero. Che s’egli avesse avuto
lungo il collo ed eguale ai piedi, avrebbe forse potuto
volgerlo a suo piacere, o non piuttosto avrebbclo di
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v.
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soggettato per modo che apprende quanto gli si inse-
gna, e soffre le medesime percosse ; volle mostrar loro
che furono ad immagine del Creatore formati , e per
questo sortirono sopra le altre creature tutto il domi-
nio. — Nè solamente gli animali di una grande corpora-
tura offrono in sè i una sapienza inenar-
caratteri di
rabile, ma dai più piccioli ancora si possono raccogliere
delle maraviglie che non la cedon per nulla. Poiché se
invitano i miei sguardi le alte vette de’ monti che, per
essere vicine alle nubi ed al continuo rigore de’ venti,
si mostrano coperte di eterna neve, non gli invitano me-
no le profonde valli, che non solo dall’asprezza de’ven-
ti più elevati si difendono, ma l’aria perennemente tie-
pida conservano. Così pure nella configurazione degli
animali non ammiro la grandezza deH’clefanle più che il
topo temuto dall’ elefante stesso, più che il pungolo te-
nuissimo dello scorpione, che dalla natura si fece a
guisa di tubo, affinchè per esso cacciar potesse nelle a-
perte ferite il veleno. Nè vi sia chi rimproveri il crea-
tore perchè diè P esistenza alle bestie velenose, e che
tornano di gran danno e d’ eccidio alla nostra vita ; chè
con egual ragione rimproverar si potrebbe il pedagogo,
che all’ordine richiama la incostanza e leggerezza dei
.
suoi discepoli, e con minaocie e percosse la temerità e
negligenza loro gastiga.
Le bestie oltre ciò servono di argomento alla fede.
Confidi tu nel Signore ? Camminerai sovra V aspide
e ilbasilisco , e schiaccierai il drago ed il leone ( i ) 5 sic-
ché per mezzo della fede ti sarà dato di calpestar senza
tema gli scorpioni e le serpi. Non vedeste una vipera im-
pigliarsi ne’ secchi rami raccolti da Paolo e non arre-
fi ) Salmo XC, v. 1 3.
22
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è
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cargli danno di sorla, perchè fu ritrovato santo e pieno
di fede ? Che se manchi di fede non hai certo da temere
le bestie più della tua medesima incredulitade; giacché per
essa ti rendesti ad ogni maniera di corruzione soggetto. Ma
già da molto tempo io m’avveggo che da voi mi si chiede
che passi ad esporvi la generazione dell’uomo, e mi par
solo di non ascoltarvi a gridare nel vostro cuore : Ci si
dice che cosa siano di lor natura gli oggetti sottoposti
al nostro impero, ed ignoriamo noi stessi ! E d’ uopo
adunque che, lasciato ogni indugio, ci facciamo a di-
scorrere intorno a questo argomento. Ma, a dir vero, il
conoscere sè medesimi sembra che sia la cosa di o-
gni altra più difficile j
che non sono gli occhi soltanto
che guardando gli oggetti esterni, non siano poi vale-
voli a rivolgersi sopra se stessi e guardarsi -, ma la stes-
sa nostra ragione, che si aguzza nello scoprire gli altrui
difetti, è assai tarda nel giugnere alla conoscenza dei
proprii. Da ciò avviene, io mi credo, che la nostra o-
razione, che si diede molta sollecitudine nello esporre
la natura dell’ altre create cose, è torpida e lenta nello
investigar quelle che ne appartengono ;
quantunque la
conoscenza di Dio non ne venga più manifesta dal cie-
lo e dalla terra, che dal considerare la nostra medesi-
ma struttura, almeno per colui che seriamente medita
sè stesso, poiché anche il Profeta dice : la tua scienza ,
o Signore , la ho tratta meravigliosa da me (i), eh’
quanto dire: imparai come fosse grande la tua sa-
pienza allora che me medesimo ho conosciuto. Disse Id-
dio facciamo f uomo. Dov’ è di grazia il Giudeo, che
:
finora, mentre il lume teologico entrava per così di-
re per le fenestre, e la seconda persona lasciavasi mi-*
(1) Salmo CXXXVIIt, v. 6.
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,
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sticamente presentire, nè appariva ancora in tutta la
sua chiarezza ,
combatteva contro la veritade ,
affer-
mando, che Iddio parlava a sè stesso, persuaso che
egli, il Signore, nel medesimo tempo e dicesse e ope-
rasse, poiché sta scritto: Si faccia la luce e la luce
fu fatta? Ma chi nou s’avvede che allora coteste paro-
le tornerebbero manifestamente ridicole e vane ? Qual
fabbro, qual falegname, qual calzolaio, soli e seduti fra
gli compagnia di alcun
istromenti della lor arte Senza la
altro, dicono mai a sè stessi facciamo una spada , for- :
miamo un aratro, allestiam dei calzari? forse non com-
piono in silenzio l’opere adatte a’ loro proprii mestieri ?
Sarebbe a dir vero una cosa ridevole assai che alcuno
sedesse, comandasse, facesse da precettore a sè stes-
so, e come soggetto ad altro padrone con acri pa-
role all’ opera si spronasse. Che non dissero però
e non dicono tuttavia coloro che non temono di
lanciare colla menzognera lor lingua le più assurde ca-
lunnie contro il Signore ? Ma le parole che seguono ba-
stano a chiuder loro per sempre la bocca : Disse Iddio:
facciamo Tuomo dimmi dunque, o Giudeo, sarà for-
:
s’ egli una sola persona ? Pure non istà scritto Si fac- :
cia ma facciamo Tuomo. Finché non si creava l’ essere
,
capace di ammaestramento, la teologica verità si tenne
celata, ma non sì tosto stassi attendendo la creazion del-
l’uomo, che la fede squarcia il suo velo, e apertamente
il dogma si manifesta. Facciamo T uomo: Intendi be-
ne, o tu che dichiarasti a Cristo la guerra, intendi co-
me Iddio compagno, per cui
parli a chi nell’opera gli è
mezzo creò anche i secoli, e nella cui onnipotente pa-
rola tutto sorregge (i). Nulladimeno queste espressioni e
veritiere e sante non sono accolte silenziosamente dagli
(1 ) S. Paolo agli Ebrei, I. v. 2, 3.
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avversarli. E come le
fiere alTuom nemiche, chiuse entro
a ferrate gabbie,fremono intorno ai cancelli, e, se non al-
tro, fuor mostrano la rabbia e fierezza dell'indole naturale
per quantunque saziar non possano il proprio furore*, non
altrimenti i Giudei, razza della veritade nemica, come
sono stretti da tutte parti, dicono poter esser molte le
persone a cui Iddio rivolse la parola*, chè può anche
per la presenza degli angeli aver detto : Facciamo l’uo-
mo. Ah! che questa è un’ immaginazione giudaica, ed
un suo vanissimo ritrovato. Per non ammettere uua per*
sona, addurne innumerevoli in mezzo ? Per discacciare
il figlio, assumere i servi alla dignità di consiglieri, e
fare che i nostri confratelli divengano nella creazione i
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nostri dominatori ? L’uomo, com è perfetto, alla mede-
sima dignità degli angeli viene assunto :
qual opera a-
dunque può eguagliare il creatore ? Attendete pertanto
anche alle parole che seguono : Facciamo F uomo ad
immagine nostra. Ora che dite ? forse è la stessa la im-
magine degli angeli e di Dio? Perchè dunque sia legit-
timo il senso delle accennale parole è d’ uopo che sia
la medesima affatto la forma del Figlio e del Padre,
quella forma cioè che conviene a Dio, e che intendesi
esistente non in figura corporea, ma nell’essenza della
nuova circoncisio-
divinitade. Ascolta anche tu che alla
ne appartieni, e che, per nome e simulazione cristia-
no, professi in cuore il giudaismo. E a chi può dire Id-
dio : secondo la nostra immagine ? A chi,, io ripiglio,
se non a colui eh’ è lo splendore della sua gloria, la fi-
gura della sua sostanza, la sua immagine invisibile? Alla
viva sua immagine adunque, a colui che disse Io e :
il Padre siamo una cosa sola ; chi vide me, vide an-
che il Padre (i)
;
a lui si rivolse con queste parole:
(2) S. Giovanni X. v. 30. XIV, v. 9.
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.
• •
• • •
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Facciamo F uomo ad immagine nostra. E quando l’im-
magine k una sola, .in che mai può trovarsi la dissimi-
glianza ? Quindi si dice E Dio fece non già fecero,
:
,
l’uomo. In questo secondo luogo pertanto non più acr
cenna la moltitudine delle persone, e dopo di aver am-
maestrato i Giudei, cerca di togliere Terrore di mezzo
ai gentili e ricorre francamente al dogma della unitade;
• affinchè abbiasi Padre è insieme col
ad intendere che il
Figlio, e stia lunge il pericolo di ammettere la molti-
tudine degli dei. Così fece V uomo àcl immagine di
Dio. Ecco di nuovo manifestarsi la persona che gli era
nell’ opera compagna, e per ciò non dice ad immagine :
• di se stesso , ma invece: ad immagine di Dio. In che
poi T uomo presenti T immagine di Dio, e in che guisa
sia fatto partecipe della similitudine di lui, vi sarà di-
mostrato, se Dio m’aiuti, in appresso. Per ora basti sol-
tanto il dire, che se una è T immagine, non so d’ onde
venga nella mente di alcuno quell’ empietà detestabile
di ritenere che il Figlio sia dissimile dal Padre. O ani-
me ingrate ! Non vorrete di quella similitudine, di cui
per singoiar beneficio siete fatte partecipi, ricompensare
l’autore che ve la diede, e riterrete per vostro assolu-
tamente quell’illuslre carattere che in dono riceveste da
Dio, non permettendo che il Figlio col Padre partecipi
di quello eh’ essenzialmente gli conviene. Ma già da
qualche tempo il sole toccò il tramonto, e la notte che
si appressa ne comanda il silenzio. Appaghiamoci adun-
que di ciò che si disse, ed abbia qui la nostra orazione
medesima il suo riposo. Mi sembra che nel discorso
siasi toccato quanto era bastevole ad eccitare il religioso
amor vostro. Ove il divino Spirito ne soccorra, diremo
in appresso lutto che potrà rendere più perfetta la nar-
razione delle proposte maraviglie. Partiti lieta, o adunan-
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za amorevole di Cristo, ed in luogo di ogni eletta vi-
vanda e suntuoso apparecchio, abbiti le cose che qui fur
dette, e fa che di esse adornisi la tua mensa. Riman-
ga confuso chi dice il Figlio dissimile dal Padre •, si co-
pra di vergogna il Giudeo ;
si compiaccia il pietoso
nella verità de’ suoi domini, e si glorifichi il Signore,
a cui sia gloria ed impero per tutti i secoli de’ secoli
Così sia.
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