Il Fascismo Al Potere
Il Fascismo Al Potere
Dopo il 1918 l’Italia deve affrontare una forte inflazione, problemi di riorganizzazione produttiva e una larga
inquitudine sociale. Ma si trova ad affrontare ciò nel mezzo di un terremoto politico-sociale, che avvicina la sua
situazione a quella delle potenze che hanno perso la guerra, in primis la Germania. Il terremoto è favorito
dall’introduzione di due nuove leggi elettorali (1918-1919) che prevedono il suffragio universale maschile e la
rappresentanza proporzionale con scrutinio di lista: ciò significa che alle elezioni si presentano liste di candidati,
divise per partiti o gruppi politici, e ad ognuno di loro spetta un numero di rappresentanti proporzionale ai voti
ricevuti. La riforma è intesa come un contributo alla distensione politica e come un’opportunità perchè si sviluppi
una maggiore partecipazione democratica. I dirigenti liberali sono comunque convinti di poter dominare la
situazione, ma questa credenza si rivela infondata. Le nuove regole favoriscono i raggrupamenti politici che hanno
strutture organizzative stabili e diffuse sul territorio, mentre i liberali ne sono privi. Quando nel novembre 1919 vi
furono le prime elezioni, rispetto ai liberali, che non avevano un partito che li sorreggeva, si dimostrarono più forti:
- il Partito popolare italiano (Ppi), partito cattolico fondato nel gennaio 1919 e guidato da Don Luigi Sturzo.
La composizione è assai variegata, e vi aderiscono sia sostenitori della democrazia cristiana, che ritengono che uno
degli obiettivi dei cristiani sia realizzare una nuova politica sociale., sia di cattolici moderni, in continuità con
l’esperienza del cattolicesimo intrasigente prebellico e poco sensibili al bisogno di migliormento delle condizioni di
lavoratori e contadini.
- il Partito socialista italiano, che esiste dal 1892 ma viene rinnovato negli ordinamenti. In Europa è il partito
che ha raccolto più direttamente e con maggiore convinzione il messaggio della Russia bolscevica. Nel suo XVI
Congresso Nazionale, tenutosi a Bologna tra 8 e 9 ottobre 1919, emerse che: la Rivoluzione sovietica venne
dichiarata il modello di azione del Psi e di conseguenza il partito decide di aderire all’Internazionale comunista; si
riconosce che il partito deve poter ricorrere alla violenza se è necessario per conseguimento dei suoi fini, tra cui c’è
la costituzione di un nuovo ordine comunista. Questo programma viene chiamato “massimalista” e partecipa alle
elezioni del novembre del 1919 con la dichiarata intezione di compiere una rivoluzione sovietica, affermazione che
mette in dubbio la loro lealtà nei confronti del Regno d’Italia.
I risultati elettoriali segnarono una dura sconfitta dell’area liberale, aprendo scenari politici complessi. Il tracollo
dei liberali non li mette più in grado di formare da soli una maggioranza capace di sorreggere autonomamente un
governo. Sia il governo di Nitti, che il successivo di Giolitti sono composti da liberali di vario orientamento, con
una presenza di alcuni ministri del Partito popolare, che garantisce un sostegno esterno. Lo schema sperimentato
per la prima volta nel 1913 col “Patto Gentiloni”, nel primo dopoguerra diventa un fattore quasi permanente. Ma
nonostante ciò i governi sono politicamente fragili, e si trovano a dover gestire dei conflitti socio-politici di enorme
gravità.
La prima area di crisi è alimentata da un largo settore dell’opinione pubblica che manifesta il suo dissenso nei
confronti delle condizioni di pace, che non rispettano il Patto di Londra. Parlano dunque di “vittoria mutilata”,
espressione di D’Annunzio, che sottolinea come il governo che ha condotto le trattative non ha difeso abbastanza
gli interessi italiani. Ai primi di settembre del 1919, dunque, D’Annunzio si reca a Ronchi, nei pressi di Fiume,
dove è di stanza un battaglione dell’esercito italiano che, disobbedendo agli ordini dei superiori, decide di eleggerlo
a proprio capo, a cui si uniscono anche molti volontari. Così il 12 settembre 1919 marciano su Fiume, costringendo
il contingente interalleato ad allontarsi, e D’Annunzio costituisce una “Reggenza”, di cui si pone a capo, e ne
proclama l’annessione all’Italia. Nei mesi successivi il governo cerca di ostacolare quest’iniziativa che può
provocare conflitti internazionali, fin quando il problema non si risolve il 12 novembre del 1920, quando il governo
presieduto da Giolitti firma con la Jugoslavia il trattato di Rapallo che attribuisce la Dalmazia alla Jugoslavia, con
l’eccezione della città di Zara, assegnata all’Italia. Il trattato stabilisce che Fiume sia una città libera e quindi
Giolitti da l’ordine all’esercito di attaccare la Reggenza del Carnaro, operazione completata il giorno di Natale del
1920, ma ciò non pone fine alle polemica: infatti i nazion-patriottici continuano ad accusare i liberali di non aver
saputo difendere gli interessi italiani. La situazione è resa difficile anche dalla fortissima conflittualità che è
scoppiata nelle fabbriche e nelle campagne. La presenza di un Partito socialista radicalizzato incoraggia i sindacati
operai e contadini che gli sono collegati ad assumere posizioni altrettanto radicali (come nelle parole d’ordine,
scioperi e obiettivi). Oltre al tono politicamente estremo dei conflitti sindacali, pesa la dimensione quantitativa,
poichè tra il 1919 e il 1920 sono diversi milioni gli operai e i braccianti che scendono in sciopero. La conflittualità
agraria si concentra prevalentemente nella Valle Padana e nell’Italia centrale. Lì i toni sono molto accesi, perchè tra
gli obiettivi che le Leghe sindacali cercano di ottenere c’è l’ “imponibile manodopera”, ovvero l’obbligo per i
proprietari terrieri o gli affittuari di assumere un numero fisso di braccianti stabilito in base alle indicazioni
concordate con i rappresentanti sindacali. Alle fine dei numerosi scioperi del 1920 i proprietari e gli affittuari
devono piegarsi a questo volere, ma lamentano la limitazione della loro libertà manageriale. Intanto anche le
campagne dell’Italia meridionale sono estremamente inquiete, con numerosi casi di occupazioni di terre incolte
compiute da contadini senza terra. Ciò spaventa molto i proprietari terrieri che vi vedono la premessa a una
possibile limitazione dei loro diritti sulle terre che possiedono. Non meno tesa è la situazione nelle aree industriali
(specie Nord-Ovest), dove il momento più drammatico si vive alla fine dell’estate 1920. Da tempo un contenzioso
contrappone la Fiom, Federazione italiana operai metallurgici, che chiede aiuti salariali per i lavoratori, e gli
imprenditori del settore, che invece si oppongono. Quando alla fine di agosto gli imprenditori procedono con la
serrata, circa 500.000 operai in risposta, tra il 30-31 agosto 1920 in Lombradia, Piemonte e Liguria, non escono
dalle fabbriche e decidono di occuparle stabilmente, cercando di mandare avanti da soli la produzione, mentre
gruppi paramilitari armati di Guardie rosse presidiano le fabbriche per difenderle dall’intervento dell’esercito. La
preoccupazione è eccessiva perchè il governo di Giolitti decide di non intervenire. Le trattative tra sindacato e
imprenditori giungono ad un accordo alla fine di settembre 1920, che segna la vittoria dei lavoratori, che ottengono
un aumento del salario, migliori condizioni lavorative e che la produzione sia sottoposta al controllo dei consigli
degli operai. Nonostante l’esito positivo del conflitto molti sono delusi perchè ritenevano l’occupazione la nascita
di una rivoluzione sovietica, ma una grande delusione arriva anche quando si comprende che gli imprenditori non
vogliono attivare i consigli operai e che il sindacato non vuole insistere ulteriormente. Vi è allora una spaccatura
all’interno del Psi, dove si è formata una corrente che vuole sperimentare con una maggior decisione la via
rivoluzionaria e che accusa il resto dei socialisti di non voler una vera riv. sovietica, sotto la guida di Bordiga,
Gramsci e Togliatti. Il 21 gennaio 1921 la corrente rivoluzionaria decide di abbandonare il XVII Congresso del Psi,
che si svolse a Livorno, e di costituirsi in Partito comunista d’Italia (Pcd’I). La maggior parte dei militanti non li
segue, però ora la sinistra italiana è divisa in due forze politiche e ciò diminuisce la sua forza.
Alla fine del 1920 gli industriali e i proprietari sono spaventati e furiosi, e poichè i governi liberali si sono rifiutati
di intervenire a loro sostegno, numerosi imprenditori e soprattutto “agrari” cominciano a pensare che sia necessario
ricorrere a una forza armata privata. Perciò cominciano a rivolgersi a varie formazioni politiche che dispongono di
piccole forze paramilitare, e tra queste il Movimento dei Fasci di combattimento. Si tratta di un gruppo politico
fondato il 23 marzo del 1919 a Milano da Benito Mussolini, ex esponente di spicco del Psi, ex direttore del
quotidiano socialista “Avanti!”, che è stato esplulso dal Psi per aver manifestato opinioni favorevoli all’ingresso in
guerra. Ha poi sostenuto queste sue opinioni dalle pagine del “Popolo d’Italia”, giornale che lui stesso ha fondato. Il
suo interventismo si colora di accenti nazionalistici molto calcari, sebbene non abbandoni il contatto con il
socialismo. Così i Fasci di combattimento sono una strana formazione, che mescola patriottismo bellicista e
ambizioni di riforma sociale, forma in cui però il movimento non decolla: nelle elezioni del 1919 i Fasci si
presentano solo a Milano, dove hanno pochi voti e nessun deputato. Da questa sconfitta i Fasci cominciano a
cambiare natura. Mussolini accentua in forma radicale l’antisocialismo e l’antibolscevismo della sua formazione,
attirando l’attenzione di proprietari e affittuari della Valle Padana, che offrono finanziamenti affinché il suo
movimento potenzi le proprie formazione per renderle capaci di attaccare e intimidire sindacalisti e socialisti.
Nascono così le squadre d’azione fasciste, gruppi agguerriti che iniziano una seria di aggressioni contro i socialisti,
i sindacalisti, le loro sedi, i loro militanti o contro i municipi che oscpitano amministrazioni di sinistra. Nel tardo
1920 lo squadrismo diventa una realtà politica: i propietari terrieri e imprenditori lo incoraggiano, l’opinione
pubblica antisocialista, anticomunista e antisindacalista lo elogia, l’esercito, la forza pubblica, la magistratura
tollerano largamente le azioni intimidatorie. Il fascismo si presenta come l’unico movimento capace di raccogliere
l’eredità del discorso nazional-patriottico fondato nel Risorgimento. Il fascismo vuole ricostruire la grandezza della
nazione, per cui occorre eliminare, a loro avviso, ogni divisione sociale o politica: è in virtù di questo ragionamento
che i dirigenti fascisti e gli squadristi possono presentare l’azione violenta come un modo per ristabilire l’unità e la
compatezza della nazione, ed è per questo che non fanno alcun mistero del loro disprezzo nei confronti delle
istituzioni rappresentative e delle divisioni partitiche. Il ragionamento si basa sull’assunto secondo il quale i fascisti
sono gli unici depositari della verità. L’azione politica delle squadre impone alla società italiana, tra il 1919 e il
1922 una perdita di circa 3000 socialisti e 672 fascisti, durante quella che è a tutti gli effetti una guerra civile.
Nonostante ciò, buona parte dell’opinione pubblica, di estreazione medio e alto-borghese, apprezza molto il
fascismo: lo considera un movimento forte ma anche ricco di idealità e spiritualità. Questo insieme di elementi,
brutale efficienza militare e capacità di seduzione ideologica, fa del fascismo un movimento che ha da subito un
buon radicamento di massa.
Nel maggio del 1921, i Fasci, forti del successo politico-militare delle squadre, ricevono una sorta di legittimazione
politica: un certo numero di loro candidati viene incluso nella liste dei “Blocchi nazionali”, alleanze di vari gruppi
politici che si aggregano ai liberali per tentare di fermare l’ascesa del Ppi e del Psi, ma i risultati non cambiano il
quadro politico del 1919. Ora, però, 38 fascisti, tra cui Benito Mussolini, vengono eletti nella liste dei Blocchi
nazionali e possono sedere alla Camera come deputati. Il quadro politico non favorisce la stabilità dei governi
liberali, mentre il movimento fascista accresce invece la sua capicità di attrazione. Nel novembre 1921, nel corso
del Congresso a Roma, i Fasci di combattimento cambiano nome e assumono quello di Partito nazionale fascista
(Pnf), e Mussolini è acclamato “duce” (condottiero), di un partito che conserva tutti i tratti di bellicosità simbolica e
operativa. Le squadre d’azione vengono incorporate nelle strutture del partitoche quindi dispone di una propria
forza militare privata, e le autorità non intervongono a sanzionare questa illegalità. La composizione sociale dei
suoi militanti mostra il carattere essenzialmente borghese o medio-borghese, sebbene tra gli iscritti vi siano anche
molti operai e contadini. Nel corso del 1922 a Mussolini e agli altri dirigenti del fascismo si pone un problema
decisivo: la situazione di illegalità e tensione conflittuale non può durare ancora a lungo, dato che anche settori
dell’opinioni pubblica favorevoli cominciano a palesare qualche perplessità. D’altro canto questo tipo di intervento
non sembra neanche più giustificato dalla situazione complessiva: gli scioperi sono diminuiti, mentre il Psi ha
continuato a subire scissioni che l’hanno molto indebolito. La prima scissione, di gennaio 1921, ha dato vita al
Pcd’I; la seconda, dei primi di ottobre del 1922, vede i socialisti riformisti, guidati da Turati e Matteotti, uscire dal
Psi e fondare il nuovo Partito socialista unitario (Psu). Questa seconda scissione indebolisce molto la sinistra e apre
nuovi scenari: nel Psi restano i massimalisti, che però dimostrano una singolare dissociazione politica, mentre il
Psu, dall’orientamento molto moderato, potrebbe essere incluso permanentemente in nuove forme di alleanza
politica. La minaccia di una rivoluzione bolscevica sta perdendo consistenza, mentre si stanno ponendo le premesse
per un possibile ritorno alla normalità che potrebbe stabilizzare il sistema politico italiano. Per i fascisti non c’è
tempo da perdere se vogliono mantenersi al centro della vita politica. Così Mussolini, insieme agli altri dirigenti,
decide che è arrivato il momento di tentare un’audace azione di forza. Alla fine di ottobre del 1922 prende corpo il
progetto di realizzare una marcia su Roma: l’idea è di far convergere le squadre d’azione su Roma, facendole
muovere da varie parti d’Italia, dopo aver occupato uffici postali, telegrafici e prefetture in alcune importanti città,
in modo da obbligare alla dimissioni il governo in carica, guidato da Facta e costringere il re a dare a Mussolini
l’incarico di formare un nuovo governo. Si tratta di un colpo di Stato, messo in atto il 27-28 ottobre 1922. Sarebbe
facile bloccare le camicie nere, basterebbe che il re, Vittorio Emanuele III, proclamasse lo stato d’assedio. Ma il re
decide di non firmare il decreto, pur presentato dal presidente del consiglio, e così i fascisti entrano indisturbati a
Roma. Dalla posizione di forza conquistata, Mussolini può chiedere il massimo: quando la mattina del 30 ottobre
1922 si presenta al re, chiede e ottiene l’incarico di formare il nuovo governo. Il re accetta le condizioni poste da
Mussolini, che infrange la legalità costituzionale, tratto evidente anche nel discorso di presentazione del nuovo
governo alla Camera, il 16 novembre 1922. La Camera, vota la fiducia al governo Mussolini e contestualmente, sia
la Camera che il Senato approvano un disegno di legge di proposta governativa con il quale si concedono al
governo i pieni poteri per il riordinamento del sistema tributario e della pubblica amministrazione. Nonostante si
conservino ancora elementi propri della tradizione costituzionale, il primo governo di Mussolini dev’essere
considerato come l’inizio della fine del sistema liberal-democratico, perfezionata tra il 1922 e il 1925.
Sin dai primi atti di governo Mussolini mostra di non voler tornare indietro rispetto la Rivoluzione fascista. Nel
dicembre 1922 viene formato il Gran Consiglio del fascismo, un organo di raccordo tra il Partito nazionale fascista
e lo Stato, di cui sono membri anche diversi dignitari fascisti e i presidenti della Camera e del Senato. Nel gennaio
del 1923 le squadre d’azione fasciste sono trasformate nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che
rimane strettamente collegato al Pnf, ma che ora riceve una legittimazione istituzionale, che gli permette di
affiancarsi ai corpi armati esistenti (esercito e carabinieri). Non si tratta comunque di una mossa che preluda a una
riduzione delle violenze o delle agressioni nei confronti degli oppositori del regime. In economia il governo attua
una linea politica liberista, concepita dal ministro delle Finanze e del Tesoro, Alberto De Stefani. Nei rapporti
commerciali internazionali si adottano tariffe doganali leggere, che dovrebbero favorire gli scambi. Per quanto
riguarda i rapporti di lavoro si attua un indirizzo volto a favorire e consolidare l’autonomia decisionale degli
imprenditori industriali e agrari nelle loro aziende. Cio è reso possibile anche dall’annichilimento fisico delle
organizzazioni sindacali e dalla flessione assoluta degli scioperi e dei conflitti di lavoro. Al tempo stesso De Stefani
vara anche una politica fiscale che punta più sulle imposte indirette che su quelle dirette, favorendo anche in questo
modo le elite economiche e sociali. I risultati economici sono complessivamente piuttosto positivi: il Pil è in
crescita, i salari industriali dopo il 1921 tendono a diminuire, ma quando tra il 1924 e il 1925 i prezzi cominciano a
salire anche le retribuzioni industriali lo fanno. Forte di quesi risultati, Mussolini vuole trovare il modo per imporre
definitivamente il dominio del suo partito. L’obiettivo è raggiunto con l’approvazione nel luglio del 1923 di una
nuova elgge elettorale, che prevede che la lista che raccoglie la maggioranza relativa ottenga i ⅔ dei deputati alla
Camera, con l’unico sbarramento che deve aver preso il 25% dei voti. Le elezioni con la nuova legge si celebrano il
6 aprile 1924, in un clima di violenza che intimidisce gli elettori e li orienta verso le “Liste nazionali”,
raggruppamenti di coalizione dominati dai fascisti, ma con anche liberali e cattolici di destra. I gruppi di
opposizione fanno la scelta elettoralmente suicida di presentarsi divisi. Il risultato è un trionfo per le “Liste
nazionali” fasciste, che prendono il 65% dei voti e il 70% dei seggi. I giochi sembrano fatti, ma il 30 maggio 1924
il segretario del Psu, Giacomo Matteotti, pronuncia alla Camera un chiaro discorso nel quale denuncia le violenze e
le intimidazioni delle elezioni, e ne chiede l’annulamento. Undici giorni dopo, il 10 giugno 1924, Matteotti viene
rapito da un gruppo di fascisti che lo uccidono nascondendone il corpo nella campagna romana, dove viene
ritrovato due mesi più tardi. Sebbene sembri che l’ordine di rapire e uccidere Matteotti non sia venuto direttamente
da Mussolini, è chiaro che la responsabilità politica e morale ricade sul capo del Pnf, il quale vive ora un grande
momento di crisi. Le opposizioni decidono di ritirarsi dal Parlamento e di riunirsi separatamente: è la secessione
dell’Aventino. Gli oppositori sperano in un intervento del re che ristabilisca la legalità, ma egli decide di non fare
nulla. La situazione viene sbolaccata da Mussolini, che il 3 gennaio 1925 tiene un discorso alla Camera nel quale si
assume provocatoriamente tutte le responsabilità di quanto accaduto. Il senso politico del discorso è chiaro: lo Stato
liberale è finito, ed è arrivato il momento di portare a pieno compimento la Rivoluzione fascista.
DISCORSO ALLA CAMERA, BENITO MUSSOLINI: In questo discorso Mussolini mette in mostra le sue
migliori qualità oratorie, e affronta gli avversari politici certo di dominare ormai i fondamentali apparati dello Stato.
Fondamentale nel discorso è il rovesciamento retorico che è tipico della dialettica politica, ma che in questo caso ha
conseguenze di portata storica: nella realtà della lotta politica, i parlamentari dell’Aventino si sono allontanati in
segno di protesta per richiedere l’intervento del re, ma nel ragionamento di Mussolini questi diventano protagonisti
di una “sedizione”, cioè di una ribellione illegale. La sua dura reazione viene poi motivata dalla nobile intenzione
dell’amore per la patria. Inizia dichiarando che si assume tutta la responsabilità sia di quanto accaduto, sia nel caso
che il fascismo fosse stato solo violenza invece di un voler migliorare l’Italia, sia nel caso il fascismo fosse
un’associazione a delinquere, sia del clima storico, politico e sociale che lui stesso ha creato. Sostiene poi che la
sedizione dell’Aventino ha avuto molte ripercussioni ed è dunque giunto il momento di dire basta, con l’unica
soluzione della forza. Osa poi dire che il problema è ormai risolto, in quanto il Governo e il Partito fascista sono in
piena efficienza, e chi credeva che il fascismo fosse finito si è solo illuso. Afferma infine che l’Italia vuole la
tranquillità e la pace, che le sarà dato con l’amore se possibile, o con la forza se necessario, e tutti devono stare certi
che 48 ore dopo questo discorso tutto sarà sistemato. Conclude dicendo che tutti sanno che ciò che muove il suo
animo è solo un amore sconfinato per la patria.
Nel giro di un paio d’anni lo strappo politico-istituzionale trova una dura traduzione nello scioglimento di tutte le
associazioni politiche avverse al fascismo: alcuni dirigenti fuggono all’estero, altri vengono aggrediti e uccisi, altri
arrestati e condannati al carcere. Inoltre i giornali dei partiti di opposizione vengono chiusi, mentre tutti i quotidiani
vengono sottoposti al controllo diretto del governo fascista. A queste misure si affianca l’approvazione della
sequenza di “leggi fascistissime”, che istituzionalizzano il mutamento di sistema politico. Le leggi, che entrano in
vigore tra la fine del 1925 e il 1926, pongono le fondamenta di un regime dittatoriale a partito unico:
- con una legge del 24 dicembre 1925 si ristabilisce la regola secondo cui il governo è responsabile solo nei
confronti del re e non ha bisogno della fiducia del parlamento; inoltre le competenze del “capo del governo”
sono molto accresciute. Un’altra legge del 31 gennaio 1926 amplia la possibilità di emanare autonomamente
norme di legge.
- due leggi del 1926 aboliscono le istituzioni elettive preposte all’autogoverno locale, che vengono sostituite da
nuovi organismi di nomina governativa (podestà e consulte).
- prendendo spunto da quattro attentati falliti contro Mussolini, la legge del 25 novembre 1926 reintroduce la
pena di morte per chi attenti alla vita dei regnanti o del capo del governo, e inasprisce le pene per reati politici.
Inoltre i processi di carattere politico vengono affidati a un Tribunale speciale, i cui giudici sono scelti tra gli
ufficiali generali dell’esercito e tra i membri della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
- il 2 ottobre 1925 viene siglato il Patto di Palazzo Vidoni, in cui la Confidustria riconosce l’esistenza solo della
Confederazione delle Corporazioni fasciste e viceversa. Il patto è il primo passo per l’approvazione della legge
del 3 aprile 1926, con la quale si ammettono solo le associazioni sindacali riconosciute dal governo e vieta le
serrate e gli scioperi.
- con una legge del 9 novembre 1926 si dichiarano decaduti tutti i deputati dell’opposizione: è il passo formale
che sancisce l’effettivo scioglimento di tutti i partiti con l’eccezione del Pnf che ormai tende a identificarsi
sempre più strettamente con lo Stato. Nasce così un regime politico monopartitico che è paragonabile a quello
in costruzione nella Russia sovietica.
- il definitivo perfezionamento del fascismo si ha con una legge del 1928 con la quale si riforma il sistema
elettorale: prevede che esista un’unica lista nazionale, compilata dal Gran Consiglio del fascismo, che gli
elettori possono solo approvare o respingere.
Vi sono anche nuovi orientamenti di politica economica: dal 1924 i prezzi hanno preso a salire, anche in virtù di
una svalutazione della lira. Per bloccare l’andamento inflazionario e per esibire internazionalmente la stabilità del
regime fascista, Mussolini nell’agosto del 1926 decide di procedere alla rivalutazione della lira, che viene portata a
quota novanta rispetto la sterlina. Questa mossa fa scendere il prezzo delle importazioni, ma mette in difficoltà le
imprese esportatrici, poiché l’aumento dei prezzi all’estero delle merci italiane le rende meno competitive e ne
consegue un rallentamento nella crescita economica. Parallelamente il governo tende a un’assoluta autonomia
dell’economia e delle società italiane: per questo promuove una politica favorevole alla crescita demografica della
popolazione e lancia la “battaglia del grano”, ossia un ‘azione volta a raggiungere l’autosufficienza alimentare
(autarchia). Per ottenere ciò si procede a un innalzamento dei dazi doganali sui cereali nel 1925, mentre i produttori
vengono incoraggiati a estendere la superficie coltivata e usare tecniche più moderne. Un altro aspetto importante è
il varo della “bonifica integrale”, cioè l’azione di prosciugamento e di messa a coltura delle aree paludose e
malariche, raggiungendo però risultati solo parziali. Il completamento del ciclo di costruzione di uno stabile regime
passa anche attrvaerso un accordo con la Chiesa cattolica. Già dal 1923 la riforma scolastica di Gentile ha previsto
la reintroduzione dell’insegnamento obbligatorio della religione nelle scuole e ha previsto un esame di Stato alla
fine di ogni ciclo scolastico, permettendo agli istituti privati (perlopiù religiosi) di rilasciare diplomi che hanno lo
stesso valori di quelli della scuola pubblica. Quasi in forma di compensazione papa Pio XI non è intervenuto per
proteggere il Partito popolare. Questa serie di passi consente un processo di riavvicinamento tra il regime fascista e
la Chiesa cattolica diventa più intenso nel 1926, quando iniziano i colloqui per un nuovo accordo istituzionale tra i
due. Mussolini vuole infatti riallacciare ufficialmente i rapporti con un’istituzione spirituale che continua ad avere
una grande organizzazione e ad essere seguita in tutto il Paese. L’accordo viene sottoscritto l’11 febbraio 1929 con
la stipula dei Patti Lateranensi che sono un trattato formale tra la Chiesa e lo Stato italiano. L’accordo prevede che
lo Stato paghi al Vaticano una indennità come risarcimento per la perdita del potere temporale, mentre il papa
riconosce lo Stato Italiano e accetta di governare solo lo Stato della Città del Vaticano. L’accordo prevede anche un
Corcordato, col quale il regime fascista conferma che la religione cattolica è la religione di Stato, si riconosce il
valore civile del matrimonio religioso, l’insegnamento della dottrina cattolica diventa materia ufficiale ed è
considerato “finalità e coronamento dell’istruzione pubblica”, mentre l’Azione cattolica rimane l’unica
associazione non fascista tollerata dal regime fascista, a patto che non parli di politica. Tutti queste concessioni
sembrano dare buoni frutti in quanto i risultati delle prime elezioni tenute con il metodo plebiscitario, tenute nel
marzo 1929, vede andare a votare il 90% degli aventi diritto e i consensi alla lista sono del 98%. Il successo è
evidente, sebbene contestualizzato da un regime dittatoriale che vede molti votare a favore per evitare persecuzioni.
Se il fascismo riesce a imporsi è perchè fa un sistematico ricorso alla violenza, che risulta efficace in quanto
tollerato dall’esercito, dalla polizia e dalla magistratura. La forza paralimitare può poi essere ben organizzata perchè
si avvale dei preziosi finanziamenti di imprenditori e proprietari terrieri. I suoi dirigenti riescono inoltre a dare al
movimento una propria mitologia e simbologia. Inizialmente questi servono solo a dare senso di appartenenza ai
militanti, ma più il movimento diventa partito si allargano a tutta la società italiana. Uno degli elementi è la
distinzione fra nazione e “antinazione”, in quanto il fascismo è un movimento che ritiene di interpretare in modo
esclusivo il sentimento nazionale, mentre tutti gli altri gruppi politici sono l’ “antinazione”. Socialisti e comunisti
hanno uno sguardo internazionale, mentre molti degli oppositori rifiutarono la guerra, interpetato dai fascisti come
un tradimento della patria. Mussolini poi nega il carattere di classe del fascismo, che è un movimento nazionale ed
è rivolto a tutte le classi sociali. Tutto ciò si accompagna alla lotta contro gli altri politici, che viene celebrata e fa
diventare il movimento fascista un “partito milizia”, dove le squadre d’azione sono fonte di orgoglio. Le squadre
sono importanti perchè si ricollegano all’esperienza della Grande Guerra, importante per l’avvio del fascismo ma
anche per far proseguire l’esperienza ai combattenti che ne andavano fieri. Sono fondamentali anche per la
costituzione di un elaborato culto funebre dei militanti caduti, essenziale per la definizione dei riti che costruiscono
la “comunione squadrista”, cioè il sentirsi parte dello stesso gruppo. Ciò è rinsaldato dal giuramento di
appartenenza, che con il culto dei morti fa del fascismo un movimento animato da una sacralizzazione dell’azione
politica, per cui è molto importante anche il rito dell’appello dei caduti. Dopo la trasformazione in regime
monopartitico vengono inventati anche altri riti per poter coinvolgere tutta la comunità. Il fascismo istituisce per
primo un vero culto della bandiera tricolore, con l’obbligo del saluto nelle scuole e l’obbligo di esporlo fuori degli
edifici pubblici in occasioni di feste o lutti nazionali. Nuove feste pubbliche iniziano a essere celebrate, come la
festa della Vittoria il 4 novembre, l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio, la fondazione di Roma il 21 aprile d la
ricorrenza della marcia su Roma il 28 ottobre. Un ulteriore aspetto già molto visibile, rispetto gli altri che si
svilupperano negli anni Trenta, è il rituale dell’incontro dei capi del fascismo con le grandi masse osannanti, specie
quando vi partecipa il capo Mussolini, intorrno a cui si elabora il culto della personalità del “grande uomo”.
Riforma Gentile 1923: La Riforma Gentile è una riforma scolastica che prese il nome dal filosofo Giovanni Gentile,
Ministro della pubblica istruzione del governo Mussolini nel 1923, che la elaborò assieme a Giuseppe Lombardo
Radice e Benedetto Croce. Questa riforma rimase sostanzialmente in vigore anche dopo l'avvento della Repubblica,
fino a quando il Parlamento italiano, con la legge 31 dicembre 1962 n. 1859, abolì la scuola di avviamento
professionale creando la cosiddetta scuola media unificata. Viene considerata la più importante riforma della storia
del sistema scolastico italiano e rispetto all’istruzione superiore rimase in vigore, almeno nelle linee portanti, fino
alla riforma Moratti (legge n. 53/2003) e alla successiva legge n. 133/2008, da cui scaturirono i provvedimenti di
revisione dei licei nonché degli istituti tecnici e professionali.
SCUOLA ELEMENTARE: Come strutturata nel R.D. n. 2185/1923, la scuola elementare si distingueva in un ciclo
unico obbligatorio con tre gradi: grado preparatorio (3 anni), inferiore (3 anni), superiore (2 anni). Il ciclo unico
elementare terminava all'età di 14 anni. Tuttavia, il nuovo obbligo scolastico restava non attuato in gran parte del
territorio: in alcuni luoghi potevano non essere istituite le classi del ciclo superiore. Era previsto un esame con
certificazione finale (art. 13): alle classi terza e quinta, ed uno di adempimento dell'obbligo scolastico e speciale
idoneità al lavoro nell'ultimo anno frequentato. L'anno scolastico durava dieci mesi, con almeno 140 giorni di
docenza effettiva e completa per maestro (art. 14 e 15). Calendario ed orario delle lezioni, periodi di vacanza erano
decisi dai direttori dei circoli didattici, in base alle esigenze locali. Le scuole erano separate in maschili e femminili:
a queste ultime era aggiunto in tutte le classi il lavoro donnesco e nel ciclo superiore l'economia domestica
accompagnata da opportune esperienze. Le classi dopo il quinto anno avevano il nome di classi integrative di
avviamento professionale (dalla sesta alla ottava), di indirizzo tecnico, commerciale o agrario.
Religione di Stato (cattolica): A fondamento e coronamento dell'istruzione elementare in ogni suo grado era
previsto l'insegnamento della religione cattolica, tramite docenti dichiarati idonei dall'autorità ecclesiastica, eccetto
il caso in cui i genitori dichiarino di volervi provvedere personalmente.Non era previsto l'insegnamento di altre
confessioni religiose, oppure di corsi sostitutivi nell'orario di religione, perciò, l'alunno doveva rimanere in classe
durante l'ora di religione. I primi due anni d'indottrinamento cattolico durante il ciclo inferiore (quarta e quinta
elementare) avevano in programma, sotto la vigilanza sacerdotale in classe, un intenso studio della religione:
agiografia, dogmi e morale con riferimento al Vangelo, sacramenti e rito, elementi della prassi religiosa.
Minoranze linguistiche: L'insegnamento di tutte le materie poteva essere svolto esclusivamente in lingua italiana.
Dopo l'anno scolastico 1928/29 non esistette più l'insegnamento delle lingue slovena e croata nella Venezia Giulia e
della lingua tedesca in provincia di Bolzano.
Programmi del grado preparatorio (r.d. 2185/1923 art. 7): L'istruzione del grado preparatorio ha carattere
ricreativo e tende a disciplinare le prime manifestazioni dell'intelligenza e del carattere del bambino. Canto e
audizione musicale; disegno spontaneo; giochi ginnici; facili esercizi di costruzione, di plastica e di altri lavori
manuali: giardinaggio e allevamento di animali domestici; rudimenti delle nozioni di più generale possesso e
correzione di pregiudizi e superstizioni popolari. A conclusione di ognuno dei cicli è posto un esame: detto di
promozione
Programmi del grado inferiore (art. 8): L'accento era posto su canto, disegno interdisciplinare e ginnastica.
Erano previsti l'aritmetica elementare e il sistema metrico, il dettato, letture e scritture (anche Vangeli e storia
sacra), rudimenti di geografia, inni nazionali e poesie apprese a memoria, storia del Risorgimento (se non era attivo
il ciclo superiore). Nei primi due anni era prevista una maggiore istruzione pratica: disegno applicato, educazione
sanitaria ed elementi di scienze, letture per la vita domestica e sociale. La geografia comprendeva nozioni
sull'ordinamento centrale e locale dello Stato, geografia agricola ed economica, mercato del lavoro.
Programmi delle classi dalla sesta all'ottava: Oltre alle materie del quarto e del quinto anno, era prevista la
frequenza di almeno tre materie biennali, formate da esercitazioni pratiche. I corsi erano scelti dagli studenti entro
una rosa di materie programmate centralmente a livello nazionale e finanziate dallo Stato per tramite dei
Provveditorati (art. 2). I corsi a scelta erano: disegno applicato ai lavori; plastica; elementi di disegno per le arti
meccaniche; nozioni ed esercizi elementari di apparecchi elettrici di uso domestico; agraria ed esercitazioni
agricole; esercizi fondamentali di apprendistato in un'arte manuale; nozioni ed esercizi marinareschi; taglio e
cucito; cucina ed esercizi della buona massaia; ricamo; nozioni e pratica di contabilità.
A questi potevano aggiungersi i corsi istituiti da comuni, provincie e privati.
SCUOLA SECONDARIA: Dopo i primi cinque anni di scuola elementare, l’alunno aveva quattro possibilità:
- Il ginnasio, che dava l’accesso al liceo:classico, scientifico o femminile
- l'istituto tecnico, quadriennale
- l'istituto magistrale, destinato alla preparazione delle maestre di scuola elementare;
- la scuola complementare di avviamento professionale, triennale.
I contenuti principali del Regio Decreto n. 1054 del 6 maggio 1923 erano in sintesi:
- voti di profitto e di condotta deliberati dal Collegio dei Professori a Gennaio e Giugno (art. 80)
- obbligo di una valutazione di 6/10 in ogni materia e di un voto in condotta pari ad almeno 8/10 per
l'ammissione e per il superamento degli esami di licenza/ idoneità/ maturità (art. 81 e 82)
- l'ammissione ad un esame durante la sessione autunnale, comunemente chiamato Esame di
riparazione (art. 83).
- una classe poteva essere frequentata al massimo per due volte (art. 84), che comporta un numero
massimo di due bocciature
- esonero totale o parziale dalle tasse scolastiche per più bisognosi (art. 96)
Nel nuovo sistema scolastico così disegnato, l'accesso all'università era consentito dal liceo classico o dal liceo
scientifico: dallo scientifico non si poteva accedere a Lettere e Filosofia ed alla Facoltà di Giurisprudenza, mentre
dal classico era possibile accedere a qualsiasi facoltà ed ateneo italiano.
Analisi: La riforma promossa da Gentile intendeva ridare una fondazione in senso idealistico della pedagogia: nel
suo pensiero l'educazione doveva essere intesa come un divenire dello spirito stesso, il quale realizzava così la
propria autonomia. Si trattava di un sistema che riprendeva molti aspetti della vecchia legge Casati, anche per
quanto riguarda l'accesso all'università: solo i diplomati del liceo classico avrebbero potuto frequentare tutte le
facoltà universitarie, mentre ai diplomati del liceo scientifico sarebbe stato possibile accedere alle sole facoltà
tecnico-scientifiche. Per quanto riguarda gli altri diplomati, quelli dell'istituto tecnico potevano accedere alle facoltà
di Economia, Agraria e Scienze statistiche, i diplomati magistrali accedevano alla Facoltà del Magistero. Alla base
di questa impostazione c'era una concezione aristocratica della cultura e dell'educazione: una scuola superiore
riservata a pochi, considerati i migliori, vista come strumento di selezione della futura classe dirigente. La religione
cattolica è insegnata obbligatoriamente a livello primario; Gentile riteneva infatti che tutti i cittadini dovessero
possedere una conoscenza religiosa, soprattutto egli sosteneva che la dottrina religiosa fosse il maggior traguardo
intellettuale per le classi popolari per le quali era sostanzialmente concepito il ciclo della scuola elementare. Gentile
tuttavia, riteneva che per la formazione dell'élite della nazione, compito affidato ai licei, non servisse più lo studio
della religione (relegata al rango di cultura popolare) ma fosse necessario lo studio della filosofia che rappresentava
il più alto traguardo intellettuale nell'educazione di un cittadino della futura classe dirigente, per questo nei licei
venne reso obbligatorio lo studio della filosofia e non quello della religione. Tuttavia nel 1929 dopo la firma
dei Patti Lateranensi, la Chiesa ottenne che lo studio della religione cattolica (divenuta con tale
concordato religione di Stato) fosse esteso anche ai licei.
OPERA NAZIONALE BALILLA: L'Opera nazionale Balilla per l'assistenza e per l'educazione fisica e morale
della gioventù (sigla ONB) fu un'organizzazione giovanile del Regno d'Italia, istituita come ente morale durante
il ventennio fascista con legge 3 aprile 1926, e sottoposta all'alta vigilanza del Capo del Governo alle dipendenze
del Ministero dell'Educazione Nazionale. Complementare all'istituzione scolastica, l'ONB era sulla carta
"finalizzata... all'assistenza e all'educazione fisica e morale della gioventù". Vi avrebbero fatto parte i giovani dai 6
ai 18 anni, ripartiti in tre sottoistituzioni: i figli della lupa (dai 6 ai 8 anni), i balilla (dagli 8 ai 14 anni) e
gli avanguardisti (dai 14 ai 18 anni) e mirava non solo all'educazione spirituale, culturale e religiosa, ma anche
all'istruzione premilitare, ginnico-sportiva, professionale e tecnica secondo l'ideologia fascista. Nel 1928 il regime
fascista sciolse le organizzazioni giovanili non fasciste con i regi decreti 9 gennaio, n. 5 e 9 aprile 1928, tra cui le
associazioni scout: il Corpo nazionale giovani esploratori italiani fu sciolto quell'anno; l'Associazione Scautistica
Cattolica Italiana (ASCI) fu obbligata a chiudere tutti i reparti nelle località sotto i 20.000 abitanti, prima della
chiusura completa; l'Associazione dei ragazzi pionieri italiani (ARPI) cessò volontariamente le attività. Molti scout
continuarono a svolgere le proprie attività in clandestinità e parteciparono attivamente alla lotta antifascista. L'unica
organizzazione rimasta attiva fu l'Azione Cattolica Italiana, che dovette comunque limitare le proprie attività al solo
ambito catechistico. Rigidamente centralizzata, l'ONB fu sin dalla sua fondazione concepita dai fascisti come uno
strumento di penetrazione delle istituzioni nelle scuole: a essa venne affidato l'insegnamento dell'educazione fisica
ai ragazzi; presidi e insegnanti erano tenuti ad agevolare le strutture scolastiche alle iniziative dell'ONB e a invitare
gli alunni di tutte le età ad aderirvi. L'ONB gestiva anche corsi di formazione e orientamento professionale, corsi
post-scolastici per adulti, corsi di puericultura e d'economia domestica per le donne. L'ONB confluìnella GIL
(Gioventù italiana del littorio) a partire dal 1937.
Formazioni: Dopo un primo periodo sperimentale, l'ONB venne stabilmente suddivisa, per età e sesso, in vari
corpi: