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Lo Sviluppo Della Musicalita Nella Prima Infanzia - D.Saporita

Il documento tratta dello sviluppo della musicalità nella prima infanzia. Viene discusso come il bambino sviluppi competenze musicali già nel periodo prenatale e nei primi anni di vita attraverso l'interazione con i genitori e l'esperienza musicale. Vengono inoltre presentate alcune importanti iniziative italiane che promuovono l'educazione musicale in gravidanza e nella prima infanzia, come Nati per la Musica e il Progetto Music Learning Theory di Edwin Gordon.
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Lo Sviluppo Della Musicalita Nella Prima Infanzia - D.Saporita

Il documento tratta dello sviluppo della musicalità nella prima infanzia. Viene discusso come il bambino sviluppi competenze musicali già nel periodo prenatale e nei primi anni di vita attraverso l'interazione con i genitori e l'esperienza musicale. Vengono inoltre presentate alcune importanti iniziative italiane che promuovono l'educazione musicale in gravidanza e nella prima infanzia, come Nati per la Musica e il Progetto Music Learning Theory di Edwin Gordon.
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione


Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata

Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche della Personalità


e delle Relazioni Interpersonali

Elaborato finale

Lo sviluppo della musicalità nella prima infanzia

The development of musicality in early childhood

Relatore
Prof. Michele Biasutti
Laureando: Davide Saporita
Matricola: 517833

Anno Accademico 2014/15


ai miei genitori,
per aver creduto in me
ed avermi sempre sostenuto

a Roberta,
per il suo affetto unico
ed insostituibile

a Monica,
esempio di vita, che con la sua
fiducia ed il suo sostegno ha reso
possibile questo lavoro
INTRODUZIONE .......................................................................................................... 1

1 IL BAMBINO E LA MUSICA .............................................................................. 5


1.1 LA VITA SONORA PRENATALE ................................................................ 5
1.2 LE COMPETENZE MUSICALI NELLA PRIMA INFANZIA .................... 12
1.2.1 Elaborazione delle altezze .......................................................................... 13
1.2.2 I pattern ritmici ........................................................................................... 15
1.3 LE PRODUZIONI VOCALI DEL BAMBINO ............................................. 18
1.4 INTERAGIRE CON IL BAMBINO: DAL BABY-TALK AL CANTO....... 20
1.4.1 Il canto rivolto al bambino.......................................................................... 22
1.4.2 Un confronto tra canto e baby-talk ............................................................. 24
1.5 RIPETIZIONE E VARIAZIONE................................................................... 25
1.6 SINTONIZZAZIONE AFFETTIVA E COSTRUZIONE DEL SÉ ............... 27
1.7 PER UN SIGNIFICATO BIOLOGICO DELLA MUSICA .......................... 29

2 MUSICA E PRIMA INFANZIA: UNA PANORAMICA ITALIANA ............ 31


2.1 NATI PER LA MUSICA ............................................................................... 31
2.1.1 Fase conoscitiva .......................................................................................... 32
2.1.2 Divulgazione ............................................................................................... 32
2.1.3 Attuazione................................................................................................... 33
2.1.4 Prospettive .................................................................................................. 34
2.2 IL PROGETTO INCANTO............................................................................ 35
2.2.1 La nascita del progetto ................................................................................ 36
2.2.2 Metodi......................................................................................................... 37
2.2.3 Risultati....................................................................................................... 39
2.2.4 Riflessioni ................................................................................................... 49
2.3 LA MUSIC LEARNING THEORY DI EDWIN E. GORDON .................... 52
2.3.1 L'introduzione della MLT in Italia ............................................................. 56
2.3.2 Musica in Fasce .......................................................................................... 58
2.3.3 Musica in Culla........................................................................................... 60

CONCLUSIONI ........................................................................................................... 65

BIBLIOGRAFIA .......................................................................................................... 71

SITOGRAFIA ............................................................................................................... 76
Introduzione
È convinzione assai diffusa che la musica sia un linguaggio, al pari di quello verbale,
visivo o corporeo, e che si presti efficacemente come veicolo per i contenuti emotivi.
Chiunque ne sperimenti le sue potenzialità comunicative, attraverso un ascolto
intenzionale di un brano strumentale, di un canto, di una colonna sonora o di un jingle
pubblicitario, difficilmente ne resta immune. Se si considera che, tra i 7 miliardi di
abitanti del nostro pianeta, gli individui che hanno ricevuto un'istruzione musicale
formale sono indubbiamente una minoranza, è anche vero che ciò non impedisce alla
restante fetta di popolazione (la maggioranza assoluta) di percepire, elaborare e
decodificare i messaggi musicali o, più semplicemente, di condividere affetti ed
emozioni attraverso la musica. Qual è l'origine di tali competenze? Se da un lato è lecito
ipotizzare che l'ampia diffusione della musica possa svolgere un ruolo determinante nel
loro sviluppo, dall'altro vi sono indizi sempre più convincenti che buona parte di esse si
manifestino già in età precoce o che abbiano persino un'origine innata. Indagando
l'emergere delle competenze musicali del bambino nella prima infanzia, ho scelto di
focalizzare l'attenzione non tanto sulla musica come espressione artistica dell'essere
umano, ma principalmente sugli aspetti musicali che contraddistinguono gran parte
degli eventi quotidiani del bambino fin dal periodo prenatale e che si presume possano
offrire un importante contributo nel suo sviluppo globale.

La prima parte del presente elaborato è interamente dedicata al rapporto tra il bambino e
la musica. La trattazione inizia con un approfondimento sui significati dell'esperienza
sonora prenatale attraverso il pensiero di autori come Michel Imberty, Alfred Tomatis e
Franco Fornari, suffragato dalle moderne ricerche scientifiche che hanno approfondito il
ristretto corpus di conoscenze sulle competenze uditive e musicali del feto. Molta
rilevanza sarà data alle ricerche di Barbara Kisilevsky così come alle preziose
indicazioni fornite dai recenti studi sui nati pretermine. In seguito viene discussa
l'emergenza e l'evoluzione delle competenze musicali nella prima infanzia, avendo
come metro di riferimento i numerosi lavori di ricerca della scienziata canadese Sandra
Trehub. Assieme alle capacità di percepire ed elaborare uno stimolo musicale sono
trattate anche le produzioni del vocali del bambino nell'ottica dello sviluppo della

1
capacità di cantare sia in modo imitativo che originale. Particolare attenzione è dedicata
all'interazione tra genitore e bambino nonché alle peculiari modalità comunicative che
in essa si sviluppano spontaneamente e che contribuiscono in modo determinante allo
sviluppo affettivo e sociale del bambino. Sulla base di quanto discusso, in conclusione
viene presentata un'interessante lettura di Trehub sui possibili significati evolutivi della
musica attraverso la discussione della pratica del canto materno rivolto al bambino.

La precoce emergenza delle competenze musicali umane e la rilevanza della musicalità


nello sviluppo complessivo del bambino offrono spunti interessanti per volgere uno
sguardo all'attenzione posta alla musica nella cura e nell'educazione per la prima
infanzia, sia a livello familiare (nelle quotidiane attività di caregiving) che istituzionale
(nelle attività degli asili nido, delle scuole di musica, etc.). In quest'ottica, ho deciso di
dedicare la seconda parte del lavoro alla presentazione delle principali realtà italiane
attive nella promozione delle esperienze musicali nella prima infanzia e in gravidanza.
Tra queste, viene discusso il progetto nazionale Nati per la Musica, iniziativa
pedagogica e culturale non profit per la diffusione della musica tra 0 e 6 anni,
patrocinata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, che si pone come organo
fondamentale e punto di riferimento italiano sul tema. Di seguito, verrà presentato il
Progetto inCanto, uno studio longitudinale che ha indagato per la prima volta con lo
sviluppo musicale di uno stesso gruppo di bambini nell'arco di 6 anni, ponendo
un'attenzione speciale allo sviluppo della capacità di cantare. L'unicità di tale progetto
offre un contributo originale al panorama della ricerca sullo sviluppo musicale infantile
ed è il frutto del lavoro di due ricercatrici italiane, Johannella Tafuri e Donatella Villa.
Le riflessioni e gli spunti offerti dal Progetto inCanto sul ruolo dell'esperienza musicale
nella prima infanzia saranno il preludio alla trattazione della Music Learning Theory di
Edwin E. Gordon. Il pensiero di Gordon, che considera l'apprendimento della musica
basato su meccanismi molto simili all'apprendimento del linguaggio verbale, è di
notevole importanza sia per l'innovazione che ha introdotto nel campo dell'educazione
musicale, avendo spostato il focus dall'età scolare ai primi anni di vita del bambino, sia
perché frutto di un lungo lavoro di ricerca scientifica che trova corrispondenze anche
negli studi più recenti. Insieme alle prospettive teoriche della Music Learning Theory,
sarà brevemente trattata la storia della sua introduzione in Italia ed il percorso che ha
condotto alla nascita delle più importanti realtà italiane dedicate all'educazione musicale

2
nei primi anni di vita (Musica in Fasce e Musica in Culla), di cui saranno presentati i
principali aspetti teorici e metodologici.

La discussione dei temi trattati si basa prevalentemente sui risultati delle più recenti
ricerche scientifiche. L'obiettivo del presente lavoro è quello di offrire una finestra sul
mondo musicale del bambino e sui numerosi benefici dell'esperienza musicale precoce
per il suo sviluppo, seguendo idealmente gli intenti divulgativi e di sensibilizzazione
proposti da Nati per la Musica.

3
4
1 Il bambino e la musica

1.1 La vita sonora prenatale


Durante la gravidanza, il bambino si trova immerso in un “bagno sonoro” che ha
importanti implicazioni strutturali e funzionali sul sistema uditivo e che condizionerà in
buona parte il suo sviluppo psichico ulteriore (Imberty, 2002). L’esperienza di un
costante esercizio di ascolto comporta una veloce maturazione dell’udito, tale da
rivelarsi alla nascita come l’unico organo completamente mielinizzato (Volta, 2010).

Uno studio condotto dalla ricercatrice canadese Barbara Kisilevsky (2000) ha permesso
di definire che l'esordio dell'ascolto fetale avviene a circa 29 settimane di età
gestazionale. Dai risultati dello studio si evince che i feti con 29 settimane di età
gestazionale manifestano incrementi della frequenza cardiaca e della quantità di
movimenti corporei in risposta ad una stimolazione sonora esterna e che tali
manifestazioni non si verificano in feti più giovani. Tali evidenze permettono di situare
lo sviluppo dell'apparato uditivo tra la 26a e la 28a settimana (EG), parallelamente alla
mielinizzazione assonica delle vie uditive che condurrà ad una rapida trasmissione dei
segnali uditivi dall'orecchio al tronco cerebrale intorno alla 29a settimana (EG) (Moore,
2002).

Nella fase prenatale l’udito si caratterizza come percezione di natura liquida: l’orecchio
esterno e quello medio, nel liquido amniotico, hanno una scarsa funzione uditiva e lo
stimolo acustico arriva direttamente alla coclea (Volta, 2010). L’orecchio interno
funziona già a partire dalla 20a settimana, quando il feto è in grado di recepire stimoli
acustici, anche se prevalentemente nelle basse frequenze (Spence & Freeman, 1996). Il
liquido amniotico e i tessuti addominali materni trasformano in vibrazione gli stimoli
acustici che giungono al feto e generano un effetto filtrante che agisce prevalentemente
sulle alte frequenze (Volta, 2010) e in modo minore su frequenze inferiori a 300 Hz (la
soglia udibile sale progressivamente fino a 1200 Hz) (Imberty, 2002).
L’attraversamento delle pareti addominali e del liquido amniotico comporta anche una
sensibile attenuazione nell’intensità delle stimolazioni sonore esogene. La madre

5
svolge, in tal senso, un’importante funzione di protezione da rumori provenienti dal
mondo esterno potenzialmente stressanti per il feto.

L’universo sonoro prenatale è caratterizzato in modo prevalente da rumori di fondo


prodotti dal corpo della madre: battito cardiaco e flusso ematico, respirazione e
movimenti ondulatori del diaframma, rumori prodotti da funzioni di alimentazione e
digestione. È all’interno di questo ricco sfondo sonoro che si inserisce quella che Volta
definisce la “vera musica”: la voce materna, che si propaga attraverso gli organi e
l’apparato scheletrico giungendo fino al bacino che funge da cassa di risonanza (Volta,
2010, p. 89).

Se per Imberty il vissuto prenatale della voce materna segna sensibilmente la sfera
uditiva del bambino, Tomatis aggiunge che tale esperienza ha un’importante valenza
identitaria. Perdere la voce materna significherebbe perdere l’immagine del proprio
corpo poiché l’identità del feto coinciderebbe con quello che egli è in grado di percepire
(Tomatis, 1993).

Il feto impara a conoscere e riconoscere la voce materna attraverso i suoi aspetti


prosodici (Querleu & Renard, 1981), sviluppando verso di essa una particolare
preferenza e sensibilità, come dimostrato dal celebre studio di DeCasper e Spence del
1986. I ricercatori hanno evidenziato che, già nelle prime ore dopo la nascita, i neonati
mostrano di riconoscere e preferire la voce materna rispetto a quella di altre donne e
sono in grado di discriminare tra due diverse storie per bambini, preferendo quella
ascoltata nell’ultimo trimestre di gravidanza. Il feto ricorda il tono della voce, il profilo
melodico, l’intensità, i respiri e le pause del racconto (DeCasper & Spence, 1986). Più
recentemente, diversi studi condotti da Kisilevsky hanno approfondito tali evidenze,
misurando le reazioni del feto a diverse tipologie di stimolazioni vocali durante il terzo
trimestre di gravidanza. Dai risultati emerge una particolare sensibilità verso la voce
materna, testimoniata dalla differente risposta fetale alla voce della madre rispetto ad
una voce estranea (Kisilevsky et al., 2003, 2009). In generale, si evincono capacità di
attenzione, memorizzazione ed apprendimento del feto nei confronti di stimoli vocali,
anche se presentati in lingue differenti da quella materna (Kisilevsky et al., 2009). Tali
risultati sono coerenti con l'ipotesi che le abilità neonatali di elaborazione del linguaggio
abbiano origine prima della nascita. Lee e Kisilevsky (2014) hanno evidenziato che il

6
feto è sensibile anche alla voce del padre. Le reazioni del feto in termini di frequenza
cardiaca e movimenti corporei sono molto simili sia durante l'ascolto della voce materna
che durante l'ascolto della voce paterna. Tuttavia, una notevole differenza emerge alla
nascita, quando si evince una chiara preferenza del bambino verso la voce della madre
(Lee & Kisilevsky, 2014).

Nell’ambiente uterino, la voce materna giunge al feto sotto forma di stimolazione di


tipo uditivo, vibrotattile e vestibolare, come un’estensione dell’abbraccio e del contatto
materno. Il vissuto che ne deriva si potrebbe considerare una prima forma di contatto
emozionale tra madre e bambino:

“Sono il tono e la melodia a stimolare il bambino e a coinvolgerlo, perché per lui la


voce materna è prima di tutto musica e ritmo. Il ritmo vocale può tranquillizzarlo o
eccitarlo, rassicurarlo o preoccuparlo; attraverso il suono il feto può riconoscere i
sentimenti della madre ed entrare in sintonia con lei. L’ascolto e la conoscenza di
questa voce sono per lui un’esperienza globale e profonda, in grado di coinvolgere
tutti gli altri sensi e rendere attiva la sua mente in formazione.” (Volta, 2010, p. 90)

Anche Fornari asserisce che il mondo sonoro prenatale, particolarmente connotato da


ritmo e intonazione, abbia una profonda influenza sull’esperienza del bambino. L’autore
sottolinea che le percezioni uditive prenatali possano essere memorizzate e, se
riascoltate dopo la nascita, possano acquisire un significato magico, legato
all’intenzione inconscia di recuperare il senso del "paradiso perduto", procurando nel
neonato uno stato di tranquillità (Fornari, 1984, p. 13). A tal proposito, già nei primi
anni Settanta, ipotizzando che il feto memorizzasse il battito cardiaco materno in qualità
di suono predominante intrauterino, Murooka dimostrò che lo stesso ritmo cardiaco,
registrato e riproposto dopo la nascita, produce un effetto rilassante per il neonato
(Murooka, 1974).

Non molto lontani da queste affermazioni, nel 2012 Doheny e colleghi hanno ipotizzato
che la fragile funzionalità cardio-respiratoria delle prime settimane di vita dei neonati
prematuri potesse essere positivamente influenzabile ricreando nelle incubatrici le
condizioni del mondo sonoro intrauterino (Doheny, et al., 2012). Lo studio è stato
svolto con 14 bambini nati tra 26 e 32 settimane di età gestazionale, misurando gli
effetti dell’ascolto della voce e del battito cardiaco della madre riprodotti all’interno
dell’incubatrice attraverso un sistema di micro-altoparlanti. Le registrazioni della voce

7
materna includevano un ampio raggio di vocalizzazioni come lettura, canto e discorso.
Le misurazioni, effettuate dal 7° giorno dopo la nascita per tutto il periodo di degenza in
terapia intensiva neonatale dei soggetti, hanno evidenziato un minore tasso di eventi
cardio-respiratori per effetto della stimolazione dei suoni materni rispetto alla
condizione di ascolto dei rumori ospedalieri. Gli effetti più significativi si sono
verificati nei soggetti con più di 32 settimane di età gestazionale, ovvero quando si
prevedeva che il sistema uditivo fosse pienamente sviluppato.

Lo studio di Doheny è stato in seguito approfondito da Filippa (2013). L'equipe guidata


dalla ricercatrice italiana ha indagato la risposta dei nati pretermine nei primi 7 giorni di
vita alla stimolazione della voce materna parlata e cantata dal vivo (una condizione
sperimentale fino a quel momento inesplorata). La ricerca, svoltasi presso l'unità di
terapia intensiva neonatale dell'Ospedale Parini di Aosta, ha evidenziato anche in questo
caso una significativa diminuzione di eventi critici dei neonati, insieme ad un aumento
nei livelli di saturazione dell'ossigeno, fattore molto rilevante per la salute dei nati
pretermine. In definitiva, i risultati di Doheny confermano il riconoscimento e l'effetto
positivo dei suoni materni (battito cardiaco e voce) registrati e riprodotti mediante
altoparlanti, ma lo studio di Filippa evidenzia che la voce materna cantata e parlata dal
vivo può essere un contributo ancora più efficace per il benessere dei nati pretermine.

Se, come osservato, è possibile valutare l’impatto dell’ascolto musicale nei nati
pretermine, per diversi motivi non è altrettanto facile osservare gli effetti della musica in
fase prenatale. Sebbene molti autori sostengano che l’ascolto musicale durante la
gravidanza possa avere effetti benefici sullo sviluppo del bambino, bisogna prendere
atto che questo è un campo di studi assai complesso, in cui è necessaria grande
attenzione alle modalità sperimentali. Ad esempio, l’universo sonoro uterino potrebbe
influenzare profondamente il modo in cui il feto elabora lo stimolo musicale al punto da
renderlo non specifico. Allo stesso modo, è possibile che un isolamento dalle fonti
sonore non accurato possa far rilevare risposte comportamentali del feto correlate a
modulazioni ormonali materne piuttosto che alla effettiva percezione di uno stimolo
musicale.

Tuttavia, gli studi sulle reazioni agli stimoli musicali in fase prenatale hanno permesso
di evidenziare nel feto la capacità di riconoscere una musica suonata in ambiente

8
esterno (Querleu et al., 1989), di discriminare due note musicali (Lecanuet et al., 2000)
e di familiarizzare con brevi sequenze pianistiche con variazioni di forme melodiche
(Granier-Deferre et al., 1998).

Già nei primi anni Settanta, tentando di determinare l’età di inizio dell’ascolto fetale,
Feijoo ha riscontrato che a partire dal 7° mese di gravidanza il bambino è in grado di
memorizzare un messaggio musicale (Feijoo, 1981). Utilizzando la frase del fagotto di
Pierino e il Lupo di Prokof’ev (compatibile con lo spettro di frequenze udibili dal feto),
Feijoo ha riscontrato che non soltanto i feti reagiscono all’ascolto, ma anche che gli
stessi, riascoltando la registrazione dopo la nascita, si calmano se piangono o aprono gli
occhi se li avevano chiusi. Lo stesso fenomeno non è avvenuto con neonati che non
avevano ascoltato la stessa frase musicale durante la gravidanza.

In seguito, altri studi hanno indagato il campo della memoria prenatale, riscontrando la
possibilità di indurre nel feto dei fenomeni di abituazione a stimoli ripetuti (Hepper &
Shahidullah, 1994). Tali manifestazioni vanno intese come primitive capacità di
apprendimento con funzioni adattive all’ambiente uterino (Volta, 2010) e testimoniano
l’esistenza di una prima forma di memoria a breve termine. Nel 2013, uno studio
realizzato dall'Università di Helsinki ha indagato la formazione e la ritenzione di
rappresentazioni neurali indotte dall'esposizione ad una semplice melodia (basata sulle
note del brano "Twinkle twinkle little star") ascoltata cinque volte a settimana durante il
terzo trimestre di gravidanza. Dalla misurazione dei potenziali evento-correlati (ERP),
effettuata in fase di ascolto della melodia parzialmente variata rispetto all'originale, si
evince che i bambini che hanno ascoltato la stessa melodia in utero reagiscono
prontamente alle variazioni rispetto al gruppo di controllo (che non ha ricevuto
esposizioni musicali in gravidanza) anche a distanza di 4 mesi dalla nascita (Partanen et
al., 2013). Lo studio finlandese evidenzia che l'esposizione prenatale alla musica può
avere effetti plastici a lungo termine sul cervello in fase di sviluppo, testimoniando in
questo modo anche l'importanza di un'adeguata ecologia sonora che rispetti la sensibilità
del feto e lo protegga da stimoli esterni potenzialmente dannosi.

Il gruppo di ricerca di Kisilevsky (2004) ha effettuato uno studio sistematico


sull’evoluzione della risposta fetale alla musica nel corso del terzo trimestre di
gravidanza, attraverso la misurazione di movimenti corporei e della frequenza cardiaca.

9
La ricerca si è svolta parallelamente in Canada e in Francia ed ha riguardato 122 feti tra
28 e 38 settimane di età gestazionale. Ad ognuno di essi è stato presentato come stimolo
musicale una registrazione della Ninna Nanna di Brahms (Op. 49 No. 4 in Re Bemolle
Maggiore)1 riprodotta a diverse intensità sonore (95, 100, 105 e 110 dB) da un apposito
supporto posto a breve distanza dall’addome materno. Le madri sono state schermate
acusticamente mediante l’utilizzo di musica vocale o strumentale fatta ascoltare loro
mediante cuffie auricolari. L’ascolto del brano, della durata di 5 minuti, è stato
preceduto e seguito da altrettanti minuti di silenzio. Nei primi 30 secondi della
riproduzione del brano, quando presentato ai due maggiori livelli di intensità sonora
(105 e 110 dB), nei feti tra 28 e 32 settimane è stato riscontrato un aumento del ritmo
cardiaco fetale. Nessun cambiamento è avvenuto con intensità sonore inferiori, così
come per i feti di 33-34 settimane che inoltre hanno mostrato una diminuzione della
frequenza cardiaca con il brano presentato a 105 dB ed un graduale incremento seguito
da una diminuzione della stessa con il brano a 110 dB nel corso dei 5 minuti di ascolto.
Con i feti più anziani, il livello di soglia è diminuito e si sono osservate risposte
variabili tra accelerazioni e decelerazioni della frequenza cardiaca, indicando attenzione
agli stimoli. Movimenti corporei in risposta allo stimolo musicale si sono verificati a
partire da 35 settimane di età gestazionale.

Le reazioni comportamentali, riscontrate sistematicamente, indicano che i feti erano


consapevoli dello stimolo musicale e che riuscivano a distinguerlo dal background
sonoro uterino. Dall’analisi dei dati si evince che il feto modula il proprio
comportamento in risposta allo stimolo musicale in modo correlato all’età gestazionale,
riflettendo l’esistenza di un processo maturativo in corso. L’evoluzione della risposta
agli stimoli musicali sembra essere in parallelo con la maturazione del sistema uditivo
periferico e dello sviluppo dei nuclei uditivi del tronco encefalico, dove la velocità di
conduzione assonica delle vie uditive raggiungerà la piena maturità intorno alle 40
settimane di età gestazionale. A partire da 33-34 settimane di età gestazionale, i feti

1
Il brano del compositore tedesco è stato scelto sulla base delle precedenti esperienze di Kaminski e Hall
(1996) che lo avevano utilizzato in quanto il suo tempo si avvicinava a quello del battito materno, ovvero
tra 65 e 80 bpm. Tale caratteristica si è dimostrata un efficace rinforzo per i neonati in compiti di
apprendimento operante (DeCasper & Sigafoos, 1983).

10
hanno mostrato sempre maggiori capacità di elaborazione dello stimolo musicale,
fornendo inoltre risposte motorie (sotto forma di movimenti corporei) nelle età più
prossime al parto. Ipotizzando che vi sia continuità nella percezione musicale pre- e
post-natale, il gruppo di Kisilevsky postula che le variazioni di direzione della
frequenza cardiaca (prima accelerazione, poi graduale decelerazione), riscontrate come
risposta agli stimoli musicali, possano indicare un cambiamento nell’elaborazione del
segnale da parte del feto, passando da semplici discriminazioni ad attenzione. Il lavoro
di Kisilevsky, oltre a dimostrare l’esistenza di un alto livello di percezione uditiva già
prima della nascita, permette di ipotizzare l’esistenza nel feto di una primitiva funzione
cognitiva.

In conclusione, il sistema uditivo del feto è pienamente attivo durante il terzo trimestre
di gravidanza e le sue funzionalità seguono lo sviluppo neurofisiologico fetale,
manifestandosi a partire dalla 29a settimana (EG) (Kisilevsky, Pang & Hains, 2000). I
suoni ambientali catturano l'attenzione del feto e diventano stimoli efficaci per lo
sviluppo delle reti neurali cerebrali (Lee & Kisilevsky, 2014). In questa fase, i suoni
esterni giungono al feto filtrati ed attenuati dai tessuti addominali. Si evidenzia una
chiara sensibilità verso gli stimoli vocali (Kisilevsky et al., 2009), in particolare verso la
voce materna, che contribuisce alla formazione di un primo legame emotivo tra madre e
bambino. Il feto è sensibile anche alla voce del padre ma alla nascita emerge una netta
preferenza per la voce della madre (Lee & Kisilevsky, 2014). Il ruolo cruciale della
voce materna nella fase prenatale è stato confermato da diversi studi effettuati sui nati
pretermine. La stimolazione del neonato pretermine in terapia intensiva ad opera della
voce materna parlata o cantata contribuisce alla riduzione di eventi cardiaci (Doheny,
2012) e all'innalzamento dei livelli di saturazione dell'ossigeno (Filippa, 2013). Inoltre,
uno studio longitudinale condotto da Picciolini (2014) ha evidenziato, a 3 mesi dalla
nascita (età corretta), un migliore sviluppo delle funzioni autonome e migliori abilità
neurocomportamentali nei nati pretermine che hanno precocemente beneficiato
dell'ascolto della voce materna. Il feto è anche sensibile agli stimoli musicali. La
maturazione della risposta fetale alla musica è stata discussa da Kisilevsky (2004) che
ha evidenziato una progressiva diminuzione della soglia di intensità sonora per la
percezione dello stimolo musicale parallelamente alla maturazione del feto. Infine, la
ricerca di Partanen (2013) ha confermato l'esistenza di una memoria musicale prenatale,

11
confermando che l'apprendimento e lo sviluppo cognitivo iniziano già nella vita uterina
e dimostrando che gli effetti dell'esposizione agli stimoli musicali persistono, senza
alcuna stimolazione ulteriore, per almeno quattro mesi dalla nascita.

1.2 Le competenze musicali nella prima infanzia


Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha moltiplicato il suo interesse verso il mondo
musicale del bambino. Gli studi più recenti, che saranno discussi esaminando i vari
aspetti dello sviluppo musicale, indicano che le competenze musicali del bambino sono
ben più elevate di quanto si ipotizzasse solo alcuni anni fa. Nell’infanzia, la risoluzione
di frequenza, tempo e timbro è più accurata di quella richiesta per i normali scopi
musicali (Trehub, 2008). Anche i principi percettivi di raggruppamento, fondamentali
nella percezione e nell’elaborazione del ritmo, sono operativi già in età precoce.
(Trehub, 2001). Ne consegue che già nella prima infanzia è possibile evidenziare la
rilevazione di sottili differenze di altezza, tempo, tonalità e ritmo negli stimoli proposti
(Trehub, 2013). In questa fase i bambini mostrano anche capacità di memoria a lungo
termine per musica che ascoltano regolarmente, ricordando più dettagli delle
performances vocali rispetto a quelle strumentali (Trehub, 2013).

I primi dati scientificamente rilevanti sulle competenze musicali del bambino si


riscontrano fin dai suoi primi giorni di vita. Dai risultati di una ricerca del 2010,
condotta presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, si evince che i neonati sono dotati
di un sistema percettivo specifico per la musica e manifestano elevate competenze
nell’ascolto musicale. Mediante l’utilizzo delle moderne tecniche di neuroimaging è
stato possibile evidenziare in neonati di 2-3 giorni un’attività cerebrale specializzata per
la decodifica di un brano musicale simile a quella di soggetti adulti, insieme
all’attivazione del complesso amigdala-ippocampo, struttura sensibile a stimoli con
forte contenuto emotivo (Perani, et al., 2010). In fase di ascolto ed elaborazione di uno
stimolo musicale, i neonati mostrano di essere in grado di percepire piccole variazioni
della struttura musicale, così come di rilevare l’inserimento di intervalli dissonanti al
suo interno. Inoltre, reagiscono allo spostamento di un semitono della melodia con
l’attivazione di aree frontolaterali inferiori della corteccia cerebrale, normalmente
preposte all’elaborazione del linguaggio (Panza & Flaugnacco, 2013).

12
1.2.1 Elaborazione delle altezze

Profilo melodico
Per i bambini, così come per gli adulti, la proprietà musicale più saliente è senza dubbio
il profilo melodico. A 5 mesi i bambini sono in grado di discernere variazioni tra una
melodia standard e una di confronto se presentate a distanza molto breve (1 secondo) o
relativamente lunga (15 secondi) (Trehub, 2008), o nonostante la presenza di toni
distrattori tra le due melodie (Trehub, 2001).

Nei processi di elaborazione dell’ascolto musicale, il bambino tende ad utilizzare


parametri relativi piuttosto che assoluti. Questo gli permette di riconoscere
efficacemente una melodia familiare anche se trasposta verso l’alto o il basso, o se
presentata a diverse velocità, purché le relazioni interne temporali e melodiche siano
invariate (Trehub, 2001). Tuttavia, in alcune circostanze i bambini riescono a mantenere
informazioni sull’altezza assoluta, come quando viene loro chiesto di confrontare due
melodie differenti che possiedono la stessa tonalità o la stessa altezza iniziale (Trehub,
2001), o se sono chiamati a rilevare la trasposizione (di uno o due semitoni) di melodie
a loro molto familiari (Trehub, 2008). Con l’aumentare della difficoltà della prova il
focus si sposta dai segni assoluti a quelli relativi, rendendo gestibile un compito
altrimenti impensabile (Trehub, 2001).

I primi effetti dell'esperienza musicale e, pertanto, delle convenzioni della cultura di


appartenenza, nell'elaborazione del profilo melodico sono evidenti già nel primo anno di
vita. Mentre gli adulti esposti alla cultura occidentale riescono facilmente a riconoscere
sottili variazioni (note stonate) in melodie che rispettano le convenzioni musicali
occidentali ed hanno maggiori difficoltà con melodie di differenti culture musicali, i
bambini di 6 mesi, anch'essi esposti alla cultura musicale occidentale, riescono a
rilevare prontamente ambedue i tipi di melodie. Raggiunti i 12 mesi di vita, i bambini
manifestano un aumento di sensibilità verso il proprio contesto culturale musicale ed i
loro risultati in questo test si allineano con le risposte degli adulti (Trehub, 2008).

Il profilo melodico si caratterizza anche come proprietà musicale rilevante nel discorso
diretto al bambino. Ad esempio, è possibile osservare che le frasi materne che
esprimono approvazione, benessere o negazione possiedono un comune profilo

13
melodico in diverse lingue del mondo (Trehub & Hannon, 2006). Inoltre, recenti studi
hanno dimostrato come il profilo melodico del pianto vari in base alla lingua di
appartenenza. Analizzando le modulazioni dell’arco melodico del pianto dei neonati in
paesi con lingue differenti si è evinto che esso è una vera e propria imitazione della
prosodia del linguaggio materno. Ciò indica la presenza di un’abilità comunicativa già
presente alla nascita e qualifica il pianto come tappa fondamentale per lo sviluppo del
linguaggio (Mampe et al., 2009).

Intervalli
Dagli studi sulla percezione musicale dei bambini è emersa una chiara familiarità con
gli intervalli il cui rapporto di frequenza è composto da piccoli numeri interi. Oltre a
discriminare correttamente l’intervallo di quinta perfetta (7 semitoni, rapporto 3:2),
all’età di 6 mesi i bambini sono in grado di percepire efficacemente variazioni rispetto
ad intervalli con rapporti di piccoli numeri interi – ovvero l’ottava (12 semitoni,
rapporto 2:1), la quinta perfetta e la quarta perfetta (5 semitoni, rapporto 4:3) – e meno
efficacemente rispetto ad intervalli con rapporti di grandi numeri interi – ad esempio il
tritono (6 semitoni, rapporto 45:32). Non sembra un caso che ottava, quinta e quarta
siano intervalli altamente utilizzati nella maggior parte dei sistemi musicali. Secondo
Trehub (2008) è proprio la loro facilità di elaborazione, evidente già in età precoce, a
spiegarne la notevole diffusione.

In passato, altre ricerche hanno evidenziato una netta preferenza dei bambini verso gli
intervalli consonanti2. A 6 mesi di vita, mostrano di essere più attenti e di provare più
sensazioni positive ascoltando musica con intervalli consonanti che con intervalli
dissonanti (Trehub, 2008). Simili preferenze sono emerse anche in neonati con genitori
non udenti e comunicanti con la lingua dei segni. Tuttavia, rivisitando la letteratura
degli ultimi dieci anni, Platinga e Trehub (2014) hanno recentemente evidenziato
l’impossibilità di considerare innate tali preferenze, dimostrando che l’ambiente

2
Generalmente, in musica si definisce consonante un intervallo caratterizzato da stasi armonica, cioè che
non ha necessita di risolvere su un ulteriore intervallo (come l'unisono, l'ottava, la quinta perfetta, la
quarta perfetta, gli intervalli di terza e di sesta maggiori e minori), e dissonante un intervallo
caratterizzato da movimento armonico, cioè che mostra la necessità di risolvere su un intervallo
consonante (come il tritono, gli intervalli di seconda, di settima e tutti gli intervalli aumentati o diminuiti).

14
musicale del bambino è determinante per lo sviluppo delle sue preferenze verso
intervalli consonanti o dissonanti.

Scale musicali
All’età di 9 mesi, i bambini riescono ad identificare facilmente la presenza di una nota
stonata all’interno di una scala ad intervalli disuguali 3. Evidenziano invece maggiore
difficoltà se il modello di riferimento è una scala ad intervalli uguali. È rilevante che i
bambini mostrino tali abilità sia quando il modello è una scala diatonica maggiore, la
più diffusa nei sistemi musicali occidentali, sia se si tratta di una scala ad intervalli
disuguali costruita artificialmente (Trehub, 2008). La stessa performance non si verifica
nell’adulto, che manifesta tale abilità soltanto nel caso della scala maggiore. Secondo
Trehub, tale differenza indica che la prestazione dei bambini non può essere attribuita a
fattori ambientali e che l’esposizione a lungo termine degli adulti alla scala maggiore
può scavalcare le predisposizioni musicali presenti nell’infanzia (Trehub, 2008).

1.2.2 I pattern ritmici

“[…] il ritmo è un’organizzazione dei rapporti di durata compiuta da chi ascolta


secondo la propria maturazione percettivo-cognitiva e la propria cultura, non
dimenticando che i primi ascoltatori sono proprio coloro che eseguono (inventando
o riproducendo) sequenze ritmiche.”

(Tafuri, 2007, p. 17)

Fin dal momento della nascita e, come si è visto, anche durante l’ultimo trimestre di
gravidanza il bambino vive in un ambiente colmo di eventi ritmici e sonori che si
rivelano efficaci nel catturare e mantenere la sua attenzione (Nakata & Trehub, 2004).

3
È possibile definire la scala come una successione ordinata di suoni direzionata verso l’acuto o verso il
grave. Gli intervalli di altezza tra due suoni successivi, insieme alla loro distribuzione nella successione,
sono determinanti nel differenziare una scala da un’altra. Nella ricerca citata da Trehub (2001), si
considera “ad intervalli disuguali” una scala musicale in cui gli intervalli non sono tutti della stessa
dimensione, e “ad intervalli uguali” una scala in cui tutti gli intervalli possiedono la stessa dimensione.
Ad esempio, le scale più conosciute nella cultura musicale occidentale, basate su intervalli di 1 o 2
semitoni (come le scale diatoniche maggiori e le scale minori) sono considerate in questo caso “ad
intervalli disuguali”.

15
Inoltre, non è raro vedere bambini che entro il primo anno di età esplorano le proprietà
sonore di piccoli strumenti musicali come sonagli, maracas o tamburelli, sia perché
attratti dal loro suono, sia per le qualità estetiche di tali oggetti (Tafuri, 2007).

Raggruppamenti
I bambini percepiscono ed elaborano le informazioni ritmiche in modo simile a quello
degli adulti, maturando, fin da molto piccoli, la capacità di raggruppare eventi uditivi
sulla base della loro similarità e prossimità temporale. Tale capacità sembra essere
coerente con il principio di prossimità della Gestalt, secondo cui la vicinanza temporale
di due o più elementi induce con buona probabilità a considerarli raggruppate in unità
coerenti (Bergeson & Trehub, 2006).

L’accuratezza dei processi di raggruppamento nel bambino migliora progressivamente


con l’età. A partire dai 2 mesi di vita, il bambino mostra di saper differenziare sequenze
ritmiche isocrone (composte da elementi della stessa durata temporale) da sequenze
ritmiche non isocrone. A 5 mesi è evidente la capacità di distinguere due
raggruppamenti ritmici contrastanti, in cui la distribuzione degli elementi del primo
gruppo è invertita nel secondo gruppo (ad esempio, xxxx xx vs. xx xxxx). Ascoltando due
sequenze temporali composte da nove toni, i bambini di 6 mesi riescono a rilevare
variazioni nel numero dei gruppi (3-3-3 vs. 5-4), mentre a 12 mesi sono in grado di
rilevare differenze anche nel numero di elementi per gruppo (3-3-3 vs 2-5-2) (Bergeson
& Trehub, 2006).

Struttura metrica
Sia negli adulti che nei bambini, un’altra componente saliente nella percezione di
pattern temporali è il metro, ovvero la struttura relativa alla distribuzione degli accenti
all’interno di una successione periodica di pulsazioni.

Diverse ricerche hanno evidenziato nei bambini una predisposizione ad elaborare con
più efficacia sequenze temporali caratterizzate da ritmi fortemente metrici rispetto a
sequenze con ritmi debolmente metrici o non metrici4 (Trehub, 2001). Tale indicazione

4
Per gli scopi dello studio in analisi, si considera fortemente metrica una sequenza ritmica in cui gli
eventi accentati sono regolarmente distribuiti, inducendo in chi ascolta una netta scansione interiore del
tempo (“internal clock”). Un esempio è il metro doppio, caratterizzato dall’alternanza di un tempo forte e

16
è suffragata da un recente studio di Bergeson e Trehub (2006), i cui risultati sono
coerenti con le ipotesi che vi sia una predisposizione innata verso modelli temporali a
cornice metrica nonché una preferenza naturale verso strutture ritmiche di tipo binario.
Si presume che la regolarità degli accenti, che caratterizzano questo tipo di strutture
ritmiche, promuovano nell’ascoltatore l’attivazione di un “orologio interno” che facilita
la codifica delle sequenze temporali e, come emerso nello studio canadese, la
rilevazione di variazioni molto sottili, fino all’ordine di 100ms. Queste evidenze danno
credito alla visione che la prevalenza della ritmica binaria nella musica sia il frutto di
principi percettivi fondamentali che guiderebbero gli artisti nella composizione di
musica o poesia.

Trehub e Hannon (2006) hanno indagato l’ipotesi che la percezione del ritmo sia
influenzata dai processi di acculturazione e dalla complessità del rapporto degli
intervalli temporali tra gli eventi uditivi. Dai risultati dei loro studi, l’esposizione a
eventi ritmici sonori e, pertanto, alle convenzioni musicali della cultura di appartenenza,
sembra modulare le propensioni percettive del bambino. Tale fenomeno è evidente nelle
preferenze verso gli aspetti prosodici della propria madrelingua, frutto delle precoci
esperienze uditive prenatali e postnatali, nonché verso il metro musicale predominante
della propria cultura di appartenenza. Considerato il vasto utilizzo di ritmi con rapporti
di durata 2:1 nella musica occidentale, non sorprende che bambini dell’età di 12 mesi,
appartenenti alla cultura occidentale, siano in grado di rilevare interruzioni ritmiche solo
in presenza di rapporti di durata pari a 2:1, e non in casi più complessi. Il dato rilevante
è che a 6 mesi di vita i bambini sono in grado di percepire interruzioni ritmiche anche in
presenza di sequenze più complesse, con rapporti di durata pari a 3:2. Questi dati
indicano che tra 6 e 12 mesi di vita si verifica un’importante influenza dell’esposizione
ambientale e culturale nei confronti delle propensioni alla percezione ritmica nel
bambino. In altre parole, è come se si inattivassero alcune delle predisposizioni musicali
del bambino al fine di potenziare la sensibilità e la decodifica di altre. Questi risultati
sono stati confermati ed approfonditi in uno studio del 2011, in cui è emersa una

un tempo debole (come avviene nel ritmo di marcia). Di conseguenza, si considera debolmente metrica
una sequenza ritmica che possiede regolarità nella distribuzione degli eventi accentati ma induce
nell’ascoltatore una debole scansione interiore del tempo. Infine, si considera non metrica una sequenza
ritmica che non possiede regolarità nella distribuzione degli accentati (Bergeson & Trehub, 2006, p. 346).

17
notevole preferenza dei bambini di 5 mesi verso i pattern ritmici con rapporto 3:2.
Preferenza che, tuttavia, viene a mancare nei bambini di 7 mesi, dimostrando che gli
effetti di acculturazione possono essere osservati ben prima del compimento dei 12
mesi. Nello stesso studio è stata evidenziata la difficoltà dei bambini nell’elaborazione
di pattern ritmici caratterizzati da rapporti di durata 7:4, indicando che la complessità di
tale rapporto si pone come vincolo importante nella percezione di ritmo e metro. Dato
che questa difficoltà si pone anche prima che sopraggiungano i fattori di acculturazione,
è possibile ipotizzare che nell’elaborazione dei pattern ritmici vi sia una predisposizione
per intervalli di durata composti da rapporti di piccoli numeri interi, così come
osservato per gli intervalli di altezza (Hannon et al., 2011).

1.3 Le produzioni vocali del bambino


Dal momento della nascita è possibile osservare produzioni sonore attraverso cui il
bambino manifesta il proprio malessere (pianto, grida). Con la progressiva maturazione
dell'apparato fonatorio e della relazione con il mondo esterno, il bambino produce in
modo sempre più ricco e diversificato altri tipi di suoni (urletti, piagnucolii, gemiti,
gorgoglii), mostrando anche una precoce sensibilità alle conseguenze che essi
provocano nell'adulto (Tafuri, 2007).

Buona parte delle produzioni vocali avviene nelle "protoconversazioni" tra madre-
bambino, in cui si evidenzia un'interazione comunicativa co-operativa e co-dipendente
(Tafuri, 2007, p. 7). Accanto a questo tipo di vocalizzazioni, prettamente di carattere
relazionale, vi sono quelle prodotte dal piccolo mentre è solo, sveglio ed attivo,
manifestanti una forma di esplorazione delle proprie capacità fonatorie e un piacere
propriocettivo causato dalle autoprodotte vibrazioni sonore (Tafuri, 2007).

Tra i 2 e i 6 mesi di vita, nel suo esercizio esplorativo delle proprie possibilità vocali, il
bambino imita sia ciò che ascolta dall’altro, sia sé stesso. Durante questa fase, così
come in seguito, la quantità di vocalizzazioni prodotte è maggiore quando il bambino è
immerso in ambienti sonori ricchi di parole. Secondo Imberty (2002), in questo periodo
si forma nel bambino uno schema vocale, quale anticipazione dello schema corporeo. Se
quest’ultimo si può intendere come “la coscienza vissuta del corpo e dei punti di
riferimento percettivo-motori attraverso i quali il soggetto entra in relazione con lo

18
spazio circostante”, lo schema vocale è il frutto dell’esperienza precoce della relazione
tra sensazioni muscolari interne, produzione dei suoni vocali e possibilità di controllarli
e modularli (Imberty, 2002, p. 480). Tale schema, secondo lo studioso francese, è
propedeutico allo sviluppo dell’orecchio musicale e, in particolare, alla capacità di
cantare correttamente.

Mentre i suoni prodotti nei primi sei mesi di vita sono quasi consonantici, a partire dai
6-7 mesi, con la maturazione del tratto vocale, si manifesta nel bambino la produzione
delle prime vere e proprie sillabe della lingua materna (Tafuri, 2007). Nello stesso
periodo, in risposta ad uno stimolo musicale o al canto di un adulto è possibile osservare
nel bambino le prime forme di produzione cantata, definite da Moog musical babbling
(lallazioni musicali) (Moog, 1992). Lo stesso autore, in accordo con Imberty (2002),
sostiene che le vocalizzazioni dei neonati aumentano in varietà e durata se sollecitati
con costanza dai genitori. Inoltre, la quantità di vocalizzazioni prodotte è maggiore
quando il bambino è immerso in ambienti sonori ricchi di parole.

Le vocalizzazioni iniziano a caratterizzarsi come piccoli canti nel secondo anno di vita,
manifestando delle altezze rilevabili (ma non sempre riferibili alle convenzioni
musicali) ed una certa regolarità ritmica (Tafuri, 2007). Dopo i 2 anni sono riscontrabili
produzioni cantate sulla base della ripetizione di una stessa frase melodica. In seguito, si
riscontra è un aumento di produzioni in varietà, in numero ed in consistenza (Tafuri,
2007). Alla luce di queste evidenze, secondo Moog i bambini (in presenza di uno
sviluppo normale) possono cantare a partire dal terzo anno di vita5.

Diversi ricercatori, tra cui Sandra Trehub (2008) hanno indicato il profilo melodico
come la qualità musicale più saliente per il bambino. Tale evidenza si riscontra anche
negli studi sul canto imitativo (ovvero sulla capacità di riprodurre in modo corretto una
melodia ascoltata), in cui emerge che i bambini imparano a riprodurre correttamente
prima il profilo melodico, poi gli intervalli di altezza tra le note più importanti della
melodia ed infine i suoni che stanno al loro interno (Tafuri, 2007).

Osservando le produzione cantate originali del bambino, corrispondenti a quei canti


prodotti nei momenti liberi, individuali o collettivi, al nido o in famiglia, è possibile
5
L'evoluzione delle produzioni vocali parlate e cantate del bambino è stata ampiamente studiata da Tafuri
nel Progetto inCanto. I contenuti salienti della ricerca sono esposti nel paragrafo 2.2.

19
distinguerle in due tipi principali. Da un lato vi sono le produzioni più socializzanti:
esse avvengono in contesti collettivi e sono caratterizzate da una forma dialogica,
costituite da frasi melodiche con parole sviluppate attorno a pochi suoni e con una fase
finale contraddistinta da inflessioni cadenzate (Tafuri, 2007). La loro struttura ritmica è
piuttosto regolare, connessa alle sillabe che compongono le parole. Questo tipo di canto
viene utilizzato dai bambini per chiamare, protestare, prendere in giro, effettuare
richieste o manifestare comandi. Un'altra tipologia di canto è quella delle produzioni
personali, che possono manifestarsi come: espressioni vocali (effettuate senza parole,
connesse al movimento, all'uso di oggetti o al proprio stato d'animo), monologhi (basati
su pochi suoni e sulla ripetizione di sillabe o vocali, mentre il bambino è assorto in sé
stesso o sta svolgendo qualche forma di attività ludica o motoria), canti (il bambino
utilizza il canto nel raccontarsi una storia, un'esperienza, una descrizione) (Tafuri,
2007).

Le produzioni originali, rispetto a quelle imitative, sono meno precise dal punto di vista
dell'intonazione, probabilmente perché le prime sono il frutto di una creatività
estemporanea che necessita di maggiori basi cultura-specifiche, ovvero di maggiore
esperienza musicale complessiva, rispetto alle produzioni originali che si basano su
esempi concreti memorizzati.

1.4 Interagire con il bambino: dal baby-talk al canto

Le elevate competenze musicali presenti già alla nascita permettono al neonato di


riconoscere la voce materna attraverso i suoi aspetti prosodici, nonché di discriminare,
identificare e memorizzare le strutture ritmiche delle parole a lui rivolte (Panza &
Flaugnacco, 2013).

L'esperienza prenatale della voce materna può essere di vitale importanza nelle difficili
condizioni di salute dei nati pretermine. Lo studio di Filippa (2013) sui nati pretermine
in terapia intensiva neonatale ha dimostrato che la presenza della madre che parla o
canta al bambino offre un importante contributo al suo stato di salute e previene
l'insorgere di eventi critici. Tali risultati evidenziano l'importanza di adeguate cure
neonatali atte a ridurre la distanza fisica che irrompe alla nascita separando la madre dal
figlio nato prematuro.

20
L’interiorizzazione della voce materna avvenuta in fase prenatale si rivela alla nascita
anche in una preziosa competenza sociale. Un recente studio di Sai (2005) ha dimostrato
che l’ascolto della voce della madre, proposto insieme alla visione del suo volto,
agevola notevolmente il processo di riconoscimento del viso materno. Questo fenomeno
porta alla luce alcuni fattori interessanti: nei primi istanti di vita, l’ascolto è
determinante per un efficace riconoscimento visivo della madre; il legame che il
neonato crea con lei si basa sulla familiarità della voce materna, acquisita prima della
nascita e ora proiettata al volto materno; inoltre, il neonato mostra di saper utilizzare più
modalità sensoriali contemporaneamente, mettendo in atto una primissima forma di
apprendimento intermodale (Panza & Flaugnacco, 2013).

Gli scambi che il neonato intrattiene con gli adulti che lo circondano sono un elemento
fondamentale nella formazione del linguaggio e nell’apprendimento delle attività sonore
vocali e musicali. In questa fase rivestono una notevole importanza le forme di
comunicazione preverbale che si instaurano tra adulti e neonato come il baby-talk
(anche noto come Motherese o Infant-Directed Speech), ovvero quel particolare modo
di parlare usato nel rivolgersi al piccolo, le cui caratteristiche “rappresentano la base
universale del bagno sonoro e linguistico in cui il bambino è immerso fin dalla nascita”
(Imberty, 2002, p. 481). Esso consiste in un linguaggio musicale, cantilenante,
caratterizzato da molte ripetizioni, ritmo lento, tonalità acuta, segmentazione,
semplificazione e amplificazione dei moduli espressivi e dei contorni melodici. Il baby-
talk, inoltre, è multimodale, ovvero combina l’utilizzo di espressioni del volto e
movimenti del corpo nell’accompagnare i contenuti sonori (Panza & Flaugnacco, 2013).
Il suo registro comunicativo acuto aiuta il lattante ad identificare e seguire il segnale
uditivo, emergendo sui rumori di fondo ambientali.

Seppur con forme variabili, il baby-talk esiste in tutte le culture mantenendo diversi
tratti in comune. Le curve di intonazione del discorso risultano piuttosto semplificate e
in buona parte condivise tra diverse culture. Tuttavia, in base all’intenzionalità
dell’adulto, esse possono variare entro una certa gamma, così da evitare l’affievolirsi
dell’interesse del bambino in seguito alla monotonia, rendendosi comunque

21
riconoscibili6. Altre variazioni, come la modificazione del tempo, della durata, del ritmo
e dei silenzi, sono utilizzate dall’adulto in modo spontaneo, istintivo, con lo scopo di
modulare i comportamenti emotivi del bambino (Imberty, 2002). Il particolare impianto
prosodico che ne deriva, spontaneamente connotato da grande emotività, offre al
bambino maggiori informazioni rispetto ad un normale parlato e si rivela più facilmente
comprensibile nei contenuti e nell’esprimere le intenzionalità dell’adulto (Panza &
Flaugnacco, 2013).

Generalmente, nei primi mesi di vita i bambini mostrano un particolare preferenza e


porgono maggiore attenzione quando l’adulto si rivolge a loro attraverso il baby-talk.
Tale preferenza è evidente sia se a parlare è un genitore, sia un altro adulto, anche di
diversa cultura o lingua (Panza & Flaugnacco, 2013).

1.4.1 Il canto rivolto al bambino


In tutte le culture ed in ogni periodo storico documentato, nelle fasi di caregiving le
mamme cantano ai loro figli. Nel farlo, utilizzano uno specifico repertorio musicale che
include ninnenanne, filastrocche e adattamenti del repertorio adulto. Come per il
parlato, anche il canto rivolto al lattante (anche detto Infant-Directed Singing) ha uno
stile particolare che lo contraddistingue. È tipicamente caratterizzato da tonalità e note
più alte, un tempo più lento e un’aumentata espressività emozionale. L’aspetto emotivo
sembra essere determinante nelle preferenze dei bambini verso il canto ID (infant-
directed) rispetto ad altri stili di canto (Shenfield, et al., 2003).

Esponendo i bambini a materiali audiovisivi delle proprie madri che cantano o parlano
in modo infant-directed, si evince un’attenzione più sostenuta verso gli episodi di canto
rispetto a quelli parlati. I bambini si mostrano ipnotizzati dal canto, rimanendo incollati
allo schermo per lunghi periodi (Trehub, 2001). Sono emerse anche maggiori riduzioni
del movimento corporeo rispetto agli episodi parlati. Un indice, quest’ultimo,
dell’intensità del coinvolgimento del bambino durante gli episodi di canto. Risposte
attentive di questo tipo sono spesso accompagnate da variazioni ad opera del sistema
nervoso autonomo. Ad esempio, nel caso di marcata attenzione del bambino verso

6
Per una più ampia trattazione dei fenomeni di variazione e ripetizione nel baby-talk si veda il paragrafo
1.5.

22
stimoli uditivi e visivi, si rileva una riduzione della frequenza cardiaca (Shenfield, et al.,
2003). Basandosi su questi presupposti, Trehub (2001) ha proposto che il canto materno
potesse avere degli importanti effetti sull’arousal7 del bambino. Ma anche prima delle
conferme scientifiche, non è difficile ipotizzare che pratiche come cantare ninnenanne
per indurre sonno – un esempio di riduzione dell’arousal – siano resistite attraverso
secoli e diverse culture proprio perché così efficaci.

La ricerca a sostegno di questa ipotesi ha dimostrato che il canto materno possiede


concretamente un effetto modulatore sugli stati di arousal (Shenfield, et al., 2003). Lo
studio, condotto su un gruppo di 34 bambini in salute di 6 mesi, si è basato sulla
misurazione del cortisolo salivare effettuata immediatamente prima e 20 minuti dopo la
presentazione dello stimolo (consistente in 10 minuti di canto materno dal vivo). Dai
risultati è emerso che i soggetti con un livello di cortisolo iniziale sopra la media del
gruppo hanno evidenziato un decremento delle concentrazioni di cortisolo. Per contro, i
soggetti con un livello di cortisolo sotto la media del gruppo hanno mostrato un
incremento delle concentrazioni di cortisolo. Questo modello sembra suggerire una
progressiva convergenza dei livelli di arousal del bambino verso un valore comune
(Shenfield, et al., 2003).

Sebbene vi siano prove che il baby-talk materno abbia effetti simili sull’arousal del
neonato, tali effetti sono più sostenuti in presenza di canto materno (Nakata & Trehub,
2004). Promuovendo l’omeostasi del bambino, il canto della madre si realizza quale
“inestimabile strumento di caregiving” e fornisce anche delle interessanti prospettive sul
suo utilizzo in termini evolutivi (Shenfield, et al., 2003, p. 371).

Nell’indagare più a fondo le caratteristiche affettive della comunicazione “cantata”,


Milligan e colleghi (2003) hanno ipotizzato che il profilo emotivo della comunicazione
tra madre e bambino possa essere influenzato dallo stile di attaccamento materno. Lo
studio, realizzato a Toronto con 36 madri e i loro bambini dell’età di 6 mesi, si è basato
sull’analisi dello stile comunicativo del canto materno in presenza ed in assenza del
proprio figlio. Tutte le madri, indipendentemente dal proprio stile di attaccamento,

7
In riferimento al neonato, è possibile definire l’arousal come uno stato di reattività contraddistinto da
pre-eccitazione neurosensoriale, ovvero una condizione psicologica e fisiologica di prontezza sensoriale,
mobilità, prontezza a rispondere a stimoli ambientali (Panza & Flaugnacco, 2013).

23
calcolato mediante l’Adult Attachment Interview, hanno mostrato una maggiore
espressività cantando in presenza dei propri figli che in loro assenza. Tuttavia, la stessa
uniformità di risposta non si è manifestata rispetto allo stato emotivo del bambino. Le
madri classificate come autonome e preoccupate hanno cantato meno vivacemente ai
propri neonati quando essi erano in uno stato di angoscia8, mentre non si è evidenziata
correlazione tra lo stato del neonato e lo stile di canto delle madri distanzianti. Nello
specifico, queste ultime non hanno mostrato segni di comprensione verso lo stato
negativo dei loro bambini, in sintonia con una tendenza già nota dello stile distanziante
e ampiamente discussa in letteratura9. Le madri con stile di attaccamento autonomo
hanno manifestato la migliore responsività ai neonati in stati affettivi sia positivi che
negativi. Le madri preoccupate hanno manifestato i valori più bassi di vivacità nelle
esibizioni canore verso neonati angosciati. Sebbene siano in grado di riconoscere lo
stato affettivo negativo del piccolo, al pari delle madri autonome, le madri preoccupate
non sembrano in grado di offrire un’ottimale responsività ai bisogni di regolazione
emotiva del bambino. I risultati dello studio indicano che, in una situazione in cui il
neonato manifesta la necessità di riequilibrare uno stato emotivo alterato, lo stile di
attaccamento materno influenza la natura della comunicazione vocale emotiva e si
manifesta nella risposta della madre al disagio del bambino.

1.4.2 Un confronto tra canto e baby-talk

Rispetto ad una comunicazione parlata o in baby-talk, il canto promuove un maggiore


scambio comunicativo che avviene prevalentemente vis-à-vis e sostiene la relazione
interpersonale tra genitore e bambino, momento fondamentale per la crescita (Trehub,
2001). Inoltre, come il baby-talk, anche il canto che la madre rivolge al bambino è
finemente accordato con l’età e lo stato affettivo del giovane ascoltatore (Nakata &
Trehub, 2004).

Il canto rivolto al bambino, rispetto al baby-talk, favorisce anche un movimento più


coordinato del corpo e degli arti del piccolo, migliorando la sincronizzazione emotiva

8
Gli autori parlano di infant distress, ovvero uno stato emotivo che include segnali come pianto, urla,
smorfie, produzione di vocalizzazioni negative, allontanamento della madre con i piedi e con le mani.
9
Per una bibliografia sul tema, si veda Milligan et al. (2003, p. 9).

24
tra madre e figlio. In un recente studio, Nakata e Trehub (2004) hanno evidenziato come
le proprietà ripetitive e cullanti del canto materno promuovano livelli di eccitazione più
moderati ed un coinvolgimento attentivo del bambino più sostenuto nel tempo nei
confronti della comunicazione “parlata”.

In fase prelinguistica, il focus del messaggio verbale al bambino è inevitabilmente


legato alla forma più che al contenuto, data l’inaccessibilità del piccolo ai segni
convenzionali della comunicazione verbale. Per questo motivo, le caratteristiche
musicali della comunicazione sono considerate di grande rilevanza per il
raggiungimento di una comunione emotiva tra madre e bambino. In tal senso, se il baby-
talk permette la trasmissione di informazioni affettive per mezzo dei suoi canali
prosodici e paralinguistici, ancor più efficace sembra essere il canto materno. La
stereotipia del canto permette alle madri di focalizzarsi sugli aspetti espressivi delle loro
esecuzioni e la presenza di un battito regolare (tipico della musica) facilita l’armonia
emotiva tra madre e bambino, promuovendo sensazioni e movimenti coordinati.

1.5 Ripetizione e variazione

La madre utilizza il baby-talk per suscitare l’attenzione del bambino o, altre volte, per
calmarlo. Spesso si configura come attività in eco, in cui la madre ripete qualcosa finché
il bambino non la imita; a sua volta la madre imita il piccolo, in un’infinita variazione
caratterizzata da gioco e piacere. I fenomeni di ripetizione e variazione che si verificano
in questi scambi “incitano il bambino ad un adattamento costante, all’arricchimento del
repertorio di base e alla creatività vocale nel gioco”, configurandosi come prima ed
universale esperienza musicale del bambino (Imberty, 2002, p. 482).

Imberty associa una grande importanza al binomio ripetizione/variazione,


considerandolo principio organizzatore delle sequenze comportamentali tra madre e
bambino, nonché struttura originaria e prototipica delle successive esperienze affettive e
cognitive. Partendo da questa prospettiva psicologica e relazionale, è possibile osservare
un importante legame con il mondo musicale. Il binomio ripetizione/variazione, infatti,
è ampiamente utilizzato nella musica, come descritto di seguito dallo studioso francese:

“[…] la ripetizione musicale, non diversamente dalle ripetizione delle sequenze


comportamentali, genera il tempo e, all’interno del tempo, una direzionalità, un

25
presente che va verso qualcosa; ma genera anche un prima e un dopo, con i quali il
compositore invita l’ascoltatore a giocare, ricordare e anticipare, con un margine
sufficiente d’incertezza affinché ogni volta si insinui la sensazione che la ripetizione
avrebbe potuto non realizzarsi, che il futuro può essere sconosciuto, che il medesimo
atteso può fondersi in un altro, il quale a sua volta può anche non essere
completamente differente.”

(Imberty, 2002, p. 483)

Il binomio ripetizione/variazione, di grande rilevanza anche sotto il profilo


metodologico nell'educazione musicale per la prima infanzia10, è trattato in modo
approfondito da Daniel Stern (1977). Secondo lo psicoanalista statunitense, la
ripetizione produce una regolarità che consente al bambino di anticipare e controllare il
corso del tempo. Si tratta di un controllo parziale, in quanto la variazione offre sia
certezze che incertezze rispetto al modello iniziale. Tuttavia, grazie ad esso il bambino
riesce a individuare punti di riferimento, a non disperdersi, a “costruire la propria unità
attraverso una molteplicità di esperienze che rinforza la permanenza di un elemento
(psicologico o musicale) pur fra i mille ornamenti delle variazioni” (Imberty, 2002, p.
483). Ripetizione e variazione, si definiscono qui come dato psichico fondamentale: "il
bisogno dell’essere umano di poter prevedere e valutare le proprie previsioni nel tempo"
(Imberty, 2002, p. 482).

La ripetizione si rivela come modalità privilegiata della madre nel relazionarsi al


bambino. Stern osserva che l’inizio della socializzazione (fra i 3 e i 6 mesi) si fonda su
un’organizzazione ripetitiva della relazione madre/bambino. La madre utilizza con
modalità ripetitive tutti i registri comportamentali (vocalizzazioni, movimenti,
stimolazioni tattili e cinestesiche) senza che nei suoi gesti vi sia, almeno inizialmente,
un’intenzione pedagogica. Essendo quello del bambino un repertorio limitato, la
ripetizione colma un vuoto, dove la qualità sensoriale degli stimoli è più importante di
ciò che viene detto o fatto:

10
L'importanza del binomio ripetizione/variazione si traduce anche nelle attività didattiche con i bambini
molto piccoli. Nella presentazione di melodie cantate, l'introduzione di variazioni di parole, gesti o
movimenti di vario genere, pause, accelerando o rallentando aiuta il bambino ad entrare in quella
sequenza di ripetizioni/variazioni che gli insegna a dominare il tempo ed assimilare le basi del linguaggio
musicale (Tafuri, 2007).

26
“Molto probabilmente non sono importanti le cose che la madre di fatto dice o fa,
mentre altrettanto probabilmente lo sono la “musica” e i “suoni” che essa esprime.
Da questo punto di vista la cadenza ripetitiva diventa allora unità strutturale e
funzionale dell’interazione d’importanza fondamentale.” (Stern, 1977, p. 125)

Sia nello sviluppo della socializzazione, che dell’affettività e delle facoltà cognitive si
dimostrano fondamentali i fenomeni di ripetizione e variazione: il bambino impara ad
adattarsi a un numero sempre maggiore di variazioni ma può farlo solo basandosi su di
un ritmo regolare che rende prevedibile e organizzabile il tempo. Proprio su questa
regolarità si costruisce “l’alternanza emotiva fra tensione e distensione, insoddisfazione
e soddisfacimento, nelle loro diverse trasposizioni e contesti” (Imberty, 2002, p. 484).
In questo senso, va inteso che la ripetizione acquista un valore positivo solo se genera
delle variazioni accettabili, ovvero che consentano comunque il riconoscimento del
modello iniziale. Oltre questa condizione, viene meno l’effetto della ripetizione ed
emergono sentimenti di perdita e caos. La mancanza dei punti di riferimento, del ritmo
regolare, si traduce in una vera e propria assenza, una perdita che genera angoscia
(Imberty, 2002).

In conclusione, è evidente l'esistenza di un profondo legame tra la cognizione musicale,


l'esperienza affettiva e la ripetizione. Strutturando il tempo, la ripetizione struttura anche
le esperienze emotive del bambino, rivelandosi come una delle fonti più ricche delle
future esperienze musicali.

"[…] l’intero sviluppo del comportamento sociale e comunicativo è costruito


sull’apprendimento di sequenze la cui struttura temporale si basa sulla ripetizione.
Tale ripetizione permette al bambino di dominare il tempo attraverso la regolarità
variata, ornata e diversificata. Ritroviamo qui ciò che costituisce il substrato
universale della musica in tutte le culture." (Imberty, 2002, p. 485)

1.6 Sintonizzazione affettiva e costruzione del Sé

Le elevate componenti emotive che contraddistinguono il baby-talk ed il canto offrono


al bambino la possibilità di instaurare con l'adulto una "modalità relazionale funzionale"
che condurrà il piccolo allo sviluppo di una "adeguata lettura delle emozioni" (Panza &
Flaugnacco, 2013, p. 575). Attraverso una comunicazione emotivamente ricca, il

27
bambino costruirà le basi per comprendere gli stati mentali altrui e sviluppare la sua
intelligenza sociale.

La musicalità umana, caratteristica sia del baby-talk che del canto rivolto al bambino,
possiede una rilevanza speciale tra le modalità comunicative della nostra specie. La
capacità di comunicare con i propri congeneri in modo interattivo attraverso la
musicalità contribuisce allo sviluppo dell'attenzione condivisa e del coinvolgimento
reciproco, agevolando lo sviluppo del vocabolario espressivo e ricettivo del bambino
nei primi due anni di vita. In questa modalità comunicativa, il genitore manifesta al
bambino tutta l'intenzionalità del suo messaggio ricco di affetti in condivisione. I
momenti di allattamento, di movimento, di gioco, di scambio di parole e vocalizzazioni
si realizzano come protoconversazioni in cui il bambino può sperimentare i propri stati
interiori (Panza & Flaugnacco, 2013).

Secondo Imberty, verso il 7° mese di vita "il lattante scopre di avere qualcosa nella
testa", e che ciò può esistere anche nella testa dell’altro ed essere condiviso (Imberty,
2002, p. 489). È possibile osservare lo sviluppo di questa forma di condivisione nel
comportamento madre-bambino sotto forma di aggiustamenti interpersonali basati sul
tempo, sul ritmo, sull’intensità e sulla forma. Secondo Stern, tali fenomeni non
corrispondono ad una semplice imitazione reciproca tra madre e bambino, ma piuttosto
alla ricerca da parte di entrambi di un corrispondente affettivo e condiviso, al di là della
condotta esteriore. In breve, madre e bambino si mettono in sintonia affettiva
(attunement), accordandosi per entrare in risonanza emotiva l’una con l’altro e
condividendo gli stessi affetti vitali (Imberty, 2002). Tali affetti, per Stern, identificano
tutte quelle forme del vissuto affettivo-emotivo che esistono nel bambino ancor prima
dei riferimenti a categorie discrete (felicità, tristezza, rabbia, paura, etc.). Gli affetti
vitali esprimono le qualità sfuggenti, dinamiche e temporali di un sentire legato “alle
emozioni, ai modi di essere e ai diversi modi di provare interiormente le emozioni”
(Imberty, 2002, p. 487). Sono modi di sentire prima ancora che emozioni o sentimenti

28
particolari, ed è facile intuire che siano connessi in modo particolare al mondo della
musica, che si presta ad essere il linguaggio più adatto ad esprimerli11.

La sintonia affettiva tra madre e bambino proposta da Stern può essere intesa come il
prototipo della comunicazione e della condivisione degli affetti vitali. E' paragonabile a
ciò che avviene tra i membri di un’orchestra: per eseguire un certo brano dovranno
accordarsi non soltanto su tonalità o dinamiche, ma anche e soprattutto sul modo stesso
di sentire la musica. Risulta evidente la necessità di una sintonia affettiva, dell’essere in
fase gli uni con gli altri, del condividere l’intenzione di garantire la coerenza formale
dell’opera e dell’interpretazione che ne offrono.

In conclusione, nei profondi scambi comunicativi tra madre e bambino, il genitore


attribuisce con il proprio comportamento spontaneo uno stato mentale al bambino,
rivolgendosi al piccolo come soggetto agente, dotato di una propria mente. Tali scambi
condurranno alla regolazione affettiva del bambino, ovvero alla sua capacità di
modulare i propri stati emotivi, processo indispensabile per sviluppare un senso
organizzato del Sé come entità separata e per la nascita del pensiero simbolico (Panza &
Flaugnacco, 2013). Contestualmente, con il susseguirsi delle esperienze gli affetti vitali
si raggruppano in organizzazioni più globali in cui le percezioni, gli atti e i pensieri
costituiranno la matrice del loro sviluppo nelle esperienze future. Da ciò deriverà la
definizione delle categorie primordiali su cui verranno a costruirsi emozioni, sentimenti,
pensieri, fornendo le basi della soggettività e dell’esperienza creativa del bambino.

1.7 Per un significato biologico della musica

I risultati degli studi sulle competenze musicali presenti sin dai primi giorni di vita dei
bambini possono apparire straordinari, soprattutto se in rapporto alla convinzione
ampiamente diffusa che la musica sia un patrimonio di pochi o, tutt’al più, un
passatempo per molti. Al contrario, Trehub (2001) suggerisce che le abilità musicali dei
neonati, riscontrabili ben prima che ne sia evidente un’ovvia utilità, siano da considerare
delle vere e proprie predisposizioni musicali, la cui presenza implica, evidentemente,

11
In musica, ad esempio, un sentimento astratto non è mai espresso allo stesso modo da due diversi
compositori, direttori, o esecutori. Pertanto, Stern considera l'originalità stilistica come il corrispondente
degli affetti vitali che si manifestano nel comportamento spontaneo.

29
anche dei significati evoluzionistici. La ricercatrice canadese postula che se la musica
fosse per l'uomo un adattamento biologico complesso, piuttosto che un sottoprodotto di
altri processi evolutivi, dovrebbe aver avuto dei vantaggi in termini di sopravvivenza o
di riproduzione. In altre parole, il costo energetico della produzione musicale dovrebbe
essere bilanciato da benefici dal punto di vista adattivo.

Per provare a quantificare un possibile significato biologico della musica è possibile


fare riferimento sulla naturale propensione delle madri a cantare ai propri figli,
osservabile in tutte le culture ed i periodi storici documentati, ipotizzando che l'effetto
del canto sul bambino potrebbe aver aumentato le probabilità di sopravvivenza in
difficili condizioni ancestrali. Il canto materno, promuovendo lo sviluppo di un
profondo legame emotivo, riduce la distanza psicologica tra madre e bambino. La
madre, con il crescere dell'attaccamento verso il piccolo, sarebbe portata ad offrire
performances sempre più espressive. Per equilibrare il "costo" fisico e psicologico
dell'azione di cura genitoriale, il bambino dovrebbe comunicare il proprio
apprezzamento, ad esempio addormentandosi in risposta ad una musica cullante come
una ninnananna. Ne consegue che se il canto materno provoca conseguenze positive
nell'arousal del bambino (Shenfield, et al., 2003), sia attraverso induzione di sonno, di
sensazioni positive o attraverso la riduzione del pianto, il piccolo gioverebbe di un
importante contributo al suo benessere psicofisiologico, promuovendo la continuazione
di tale comportamento materno. Secondo Trehub, la prole sana e felice di madri che
cantano avrebbe maggiori possibilità di trasmettere i propri geni rispetto ai figli di madri
che non cantano (Trehub, 2001).

Di certo, le evidenze scientifiche dimostrano sempre con maggior forza che il bambino,
alla nascita, non è affatto una tabula rasa musicale. Al contrario, i bambini iniziano la
vita in quanto "musical beings" (esseri musicali), manifestando una sorprendente
capacità di comprendere ed elaborare precocemente quegli aspetti fondamentali e
universali che sono alla base di tutti i tipi di musica (Trehub, 2001, p. 12).

30
2 Musica e prima infanzia: una panoramica italiana

2.1 Nati per la musica


Negli ultimi anni, il fiorire delle ricerche sulla relazione tra lo sviluppo del bambino e la
sua esperienza musicale ha contribuito a stimolare la nascita di un movimento italiano a
cura degli specialisti del settore (pediatri, neuropsichiatri infantili, psicologi, operatori
socio-sanitari, educatori e musicisti) realizzatosi con il progetto Nati per la Musica.

Sulla scia dalla proficua esperienza di Nati per Leggere12, attiva in Italia dal 1999, Nati
per la Musica prende il via nel 2006 promosso dall'Associazione Culturale Pediatri
(ACP) insieme al Centro per la Salute del Bambino (CSB) ed alla Società Italiana per
l'Educazione Musicale (SIEM). Il progetto, presentato ufficialmente in occasione del
Congresso Nazionale dell'ACP "Il Mondo per i Bambini" (Asolo, 19-21 ottobre 2006) e
patrocinato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, si propone di sostenere
attività che mirino ad accostare precocemente il bambino al mondo dei suoni e alla
musica, attraverso la sensibilizzazione delle famiglie a cura degli operatori del settore
(pediatri, operatori socio-sanitari, psicologi, musicisti, educatori) che ne supportano
attivamente le finalità. L'interesse prioritario che ha spinto gli ideatori del progetto, i
pediatri Stefano Gorini (ACP) e Giancarlo Biasini (CSB), risiede nei vantaggi che la
pratica musicale non occasionale, a partire dal periodo prenatale (specialmente tramite il
canto e la voce della madre), comporta per la crescita intellettiva, emotiva e relazionale
del bambino, con forti ripercussioni positive nella famiglia e nella comunità.

Dal punto di vista organizzativo, la collaborazione con la SIEM offre un importante


sostegno al progetto fornendo le proprie competenze professionali, scientifiche e
metodologiche e favorendo il contatto con le realtà educative, culturali e musicali
operanti nel territorio italiano. L'ACP attraverso i gruppi locali e regionali, organizza
eventi formativi sul tema della musica nell'età infantile e contribuisce a sensibilizzare
pediatri e famiglie sulla funzione della musica nello sviluppo psicofisico del bambino. Il

12
Progetto parallelo a Nati per la Musica, attualmente molto diffuso sul territorio italiano e avente come
obiettivo principale la promozione della lettura ad alta voce ai bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 6
anni.

31
CSB offre un importante supporto alle attività di formazione dei pediatri, delle famiglie
e delle altre figure interessate al progetto, curandone anche l'informazione e gli aspetti
comunicativi sul web.

Il progetto, focalizzato centralmente sulla relazione genitore-bambino, è indirizzato


anche a tutti gli enti, le associazioni e gli operatori che nelle loro normali attività hanno
un contatto diretto con le famiglie o che si occupano di cura ed educazione dei bambini,
e promuove lo sviluppo di progetti di rete tra operatori sanitari, asili nido e scuole
d'infanzia, centri musicali, biblioteche, centri per le famiglie e consultori.

L'attività di Nati per la Musica si divide in tre direzioni tra loro integrate e
interdipendenti: fase conoscitiva, divulgazione e attuazione.

2.1.1 Fase conoscitiva


Per mezzo della rivista bimestrale Quaderni ACP, a cura dell'Associazione Culturale
Pediatri, vengono pubblicati articoli ad opera di esperti e ricercatori sul rapporto tra
esperienza musicale e sviluppo neuropsicologico del bambino e sull'importanza delle
pratiche educative musicali nella formazione globale della persona, al fine di fornire
agli operatori e agli enti partecipanti i presupposti scientifici e metodologici che
sostengono il progetto.

2.1.2 Divulgazione
Le figure professionali e gli enti che aderiscono al progetto hanno il compito di fornire
alle famiglie indicazioni sulla necessità che l'ambiente di crescita del bambino sia
musicalmente stimolante affinché egli possa sviluppare una propria sensibilità e
propensione alla musica. Tra le attività divulgative dirette alle famiglie vi sono la
distribuzione di materiale sonoro e bibliografico, l'indicazione di appropriati repertori
musicali per l'infanzia e la diffusione di dépliant illustrativi (messi a punto dalla
commissione nazionale SIEM "Musica 0-6") atti a fornire concreti suggerimenti
operativi ai genitori. Tra i contenuti proposti, vi è l'idea che l'approccio musicale non va
inteso come ristretto ad una specifica attività, ma si estende ad una molteplicità di
esperienze che permettono di vivere l'esperienza sonora nel modo più ampio e globale
possibile. Oltre a fornire indicazioni specifiche sulle attività da realizzare fin dal sesto

32
mese di gestazione e sull'attenzione da porre verso l'ambiente sonoro del bambino,
vengono illustrate le principali tappe evolutive del bambino in riferimento alla musica,
ovvero il suo percorso da una fase di reazione istintiva agli stimoli sonori fino allo
sviluppo di una graduale capacità di risposta, produzione ed organizzazione sempre più
consapevole. Il Coordinamento Nazionale del progetto ha stilato una bibliografia,
tuttora in continuo aggiornamento, di libri e CD adatti a diverse fasce d'età. Dal 2013,
su alcuni materiali compare il logo Nati per la Musica come riconoscimento di qualità e
validità del prodotto.

2.1.3 Attuazione

Le attività promosse da Nati per la Musica assumono connotazioni diversificate per


operare a seconda dei bisogni e dei contesti specifici. Il punto di forza delle attività del
progetto è la collaborazione multidisciplinare tra le figure professionali partecipanti,
requisito indispensabile per l'accreditamento al progetto nazionale.

Le iniziative possono riguardare la sensibilizzazione di famiglie, personale medico,


insegnanti e delle istituzioni, corsi specifici per donne in gravidanza, laboratori musicali
per bambini e genitori, interventi negli asili nido e nelle scuole, interventi negli
ospedali, formazione per educatori ed operatori della prima infanzia oltre a confronti,
approfondimenti e riflessioni sul tema. A tutela della qualità delle attività promosse dal
progetto, un comitato nazionale composto dai referenti di ACP, CSB e SIEM si occupa
di selezionare ed eventualmente accreditare come appartenenti a Nati per la Musica le
iniziative proposte nei diversi contesti locali.

Le iniziative di Nati per la Musica si sono diffuse in diverse parti del territorio italiano,
con buona prevalenza nel centro e nord-Italia. Tra le attività proposte, i laboratori
patrocinati dal progetto, rivolti a bambini tra 0 e 6 anni, si basano su un approccio
didattico integrato, e in cui grande importanza è data alla formazione dei genitori. È
necessario che essi instaurino uno scambio continuo con gli educatori affinché la pratica
venga e ripetuta a casa e ne siano compresi gli obiettivi. In tali attività, a fianco di
educatori e musicisti, è prevista la partecipazione di pediatri ed altri operatori del settore
sanitario.

33
2.1.4 Prospettive
Dal 2005, quando il progetto era attivo ancora in via sperimentale, ad oggi, si conta un
numero considerevole di eventi patrocinati da Nati per la Musica. La notevole
espansione del progetto, che segue il percorso intrapreso da Nati per Leggere, ha visto la
nascita di diversi Coordinamenti Regionali che, insieme alle rappresentazioni dell'ACP
e della SIEM, contribuiscono ad una maggiore diffusione ed una migliore
organizzazione delle attività sul territorio.

Il lavoro di Nati per la Musica prosegue tuttora in una costante attività di


sensibilizzazione e informazione dell'opinione pubblica, affinché i benefici
dell'esperienza musicale precoce possano essere conosciuti a tutti i livelli, in famiglia
come a scuola. In special modo l'attenzione è rivolta a chi si occupa della cura e
dell'educazione del bambino, inclusi amministratori e responsabili di programmi
educativi ministeriali ed attività extrascolastiche.

A tal proposito, in occasione della Giornata Europea della Musica tenutasi il 21 Giugno
2014, il Coordinamento Nazionale di Nati per la Musica ha presentato un manifesto
intitolato "Le buone pratiche musicali aiutano i bambini a crescere". I contenuti del
manifesto rimarcano i risultati delle ricerche più recenti, elencando i principali effetti
dell'attività musicale nello sviluppo globale del bambino e offrendo consigli utili per
genitori, asili nido e scuole dell'infanzia. Il documento, nella sua interezza, è stato
sottoposto ad Associazioni scientifiche e professionali, Enti di ricerca e diverse
personalità del mondo della musica, della cultura, delle arti e delle scienze che ne hanno
sottoscritto le finalità ed i contenuti13.

13
Tra i firmatari del manifesto vi sono illustri esponenti del mondo musicale come José Antonio Abreu,
Daniel Barenboim e Riccardo Muti, oltre a numerosi rappresentanti del mondo scientifico nazionale ed
internazionale.

34
2.2 Il Progetto inCanto
Nella prima parte del presente lavoro sono stati citati diversi studi che hanno indagato la
musicalità del bambino fin dalla fase prenatale. Per ragioni dovute all'età dei soggetti
partecipanti, in molti casi i campioni sono stati numericamente limitati e le ricerche si
sono soffermate su competenze molto specifiche. Sebbene tali studi abbiano permesso
alla ricerca scientifica di approfondire autorevolmente l'universo della musicalità
infantile, confermando o smentendo le speculazioni che nel corso del XX secolo si sono
susseguite sulle possibilità di elaborazione della musica in gravidanza e nella prima
infanzia, appare evidente il bisogno di affrontare il tema anche nel suo intero processo
oltre che nelle sue singole parti. Tra i contenuti già citati, un esempio è fornito dalla
ricerca con follow-up di Partanen (2013) che ha permesso di evidenziare la ritenzione a
lungo termine di una melodia ascoltata in gravidanza. All'opposto, la ricerca di
Kisilevsky (2004) sulla maturazione della risposta fetale alla musica, è stata effettuata
con un campione molto numeroso ma composto da soggetti di differente età
gestazionale testati singolarmente un'unica volta. Anche la ricerca di Moog (1992),
condotta negli anni '60 su un campione di 500 bambini, che ha indagato per la prima
volta in modo ampio e molto articolato le tappe dello sviluppo musicale infantile da 6
mesi a 6 anni di vita, si è basata su osservazioni comparative tra gruppi di bambini
diversi per ogni fascia d'età.

Tutto ciò non vuole essere una critica nei confronti di chi, come gli autori citati, ha
svolto un lavoro di grande valore scientifico (se non addirittura pionieristico),
soprattutto in un ambito così prezioso e così poco considerato fino a pochi decenni fa.
Piuttosto, si vuole sottolineare l'importanza di corredare e rafforzare tali risultati con
studi longitudinali che possano fornire nuove indicazioni sullo sviluppo musicale del
bambino prendendo in considerazione anche le variabili ambientali e culturali in cui si
verifica tale sviluppo, pur considerando le notevoli difficoltà ed i rischi di drop-out che
comporta un lavoro di questo tipo.

Un esempio concreto è rappresentato dal Progetto inCanto, una ricerca italiana della
durata di 6 anni che, seguendo in modo continuativo lo stesso gruppo di soggetti a

35
partire dal 6°-7° mese di gravidanza, si è posta come obiettivo lo studio dello sviluppo
musicale del bambino con un'attenzione specifica allo sviluppo della capacità di cantare.

2.2.1 La nascita del progetto


La realizzazione di uno studio che per la prima volta osservi in modo sistematico e
continuativo un nutrito gruppo di soggetti nel loro sviluppo musicale è frutto
dell'intuizione di Johannella Tafuri, musicista, ricercatrice e docente di Pedagogia
Musicale presso il Conservatorio di musica di Bologna, e della collaborazione di
Donatella Villa, musicista, didatta ed esperta di Pedagogia Musicale ed educazione pre-
e post-natale. Con questo studio, le autrici hanno desiderato approfondire in che modo
un ambiente ricco di stimoli musicali (già in età precoce) sia determinante per favorire
lo sviluppo della musicalità del bambino, evidenziando anche l'influenza positiva del
sostegno dell'apprezzamento familiare sulla maturazione delle competenze musicali del
bambino. In tal senso, il Progetto inCanto si è basato sull'ipotesi che tutti i bambini
potessero imparare a cantare correttamente se circondati, fin dal terzo trimestre di
gravidanza, da un ambiente ricco di canto e musica e se accompagnati da sollecitazioni,
incoraggiamenti ed apprezzamenti all'interno di un clima familiare positivo. Nel
dettaglio, le condizioni facilitanti ipotizzate dalle ricercatrici erano: la presenza di
musica vocale e strumentale nell'ambiente familiare fin dal 6° mese di vita prenatale;
dalla nascita in poi, la presenza sistematica di momenti dedicati al canto ed alla musica,
sostenuta da un clima familiare affettivamente positivo; l'incoraggiamento e
l'apprezzamento per le produzioni cantate dal bambino e per le richieste di attività
musicali fin dalla loro prima apparizione; la cura dell'intonazione raggiunta con
adeguate strategie educative.

Come ulteriori ipotesi di partenza del progetto è stato considerato che tutti i bambini
possiedono una predisposizione per la musica e che le capacità musicali elementari
(cantare, suonare, andare a tempo) si sviluppino prima nei bambini che vivano
precocemente esperienze musicali continuative.

36
2.2.2 Metodi
La ricerca si è attivata nel 1999 presso le città di Bologna ed Imola, con l'adesione di
119 donne tra il 6° ed il 7° mese di gravidanza. Le gestanti, suddivise in gruppi da 8-10
unità, hanno partecipato in gruppi ad un ciclo di 10 incontri settimanali della durata di
un'ora ciascuno. Gli incontri erano dedicati ad attività di canto, ascolto e movimento.
Un secondo ciclo di incontri è stato attivato un mese dopo il parto ed ha previsto la
partecipazione dei bambini. Alle madri è stato chiesto di proseguire a casa l'attività che
si svolgeva durante gli incontri, di compilare un diario bimensile appositamente
preparato e registrare le produzioni vocali dei propri figli (a partire dai 2 mesi di età).

Il diario conteneva una serie di domande basate sull'attività svolta a casa e sulle reazioni
dei bambini. Le domande cambiavano periodicamente, in parallelo alla prevista
maturazione dei soggetti, ed i contenuti dei diari erano frutto della sincerità e
dell'accuratezza dei genitori. I diari si sono rivelati uno strumento prezioso ed
indispensabile anche se, come prevedibile, la loro continua redazione è stata considerata
un peso per alcuni dei genitori partecipanti.

I percorsi sviluppati per le attività del progetto sono stati appositamente messi a punto
dalle ricercatrici sulla base dei presupposti teorici della pedagogia attiva (centralità del
bambino, attenzione ai suoi bisogni ed interessi, naturalezza e gradualità del suo
sviluppo, individualità dell'educazione, istanza della dimensione sociale e valore
dell'esperienza concreta) e dei contributi di Francois Delalande (1993) sulle condotte
musicali. Le proposte musicali si sono incentrate prevalentemente sul canto, sul suonare
piccoli strumenti musicali e sul movimento. In tal senso, le ricercatrici erano intente a
considerare le attività musicali sulla base del loro valore sociale:

"[…] l'accento non è stato messo sulle strutture musicali (melodia, ritmo, forma,
etc.) ma sulle pratiche sociali: cantare, suonare, danzare, attraverso le quali avviene
l'assimilazione delle strutture." (Tafuri, 2007, p. 32)

La scelta del repertorio di canti da utilizzare nelle attività si è basata sulle loro modalità
d'uso nella tradizione popolare e suggerita dalla forma musicale e dal testo verbale degli
stessi canti. Tafuri sottolinea che la quasi totalità dei canti infantili tradizionali svolge
una funzione didattica più che di gioco o divertimento, promuovendo il coordinamento
motorio, stimolando il controllo delle emozioni, insegnando vocaboli e concetti. In tal

37
modo, il canto propone un modello di socializzazione e di apprendimento attraverso un
rituale che possiede l'apparenza del divertimento.

Per la definizione del repertorio le ricercatrici hanno infine considerato utili quei canti
in cui fossero presenti le sintassi musicali diffuse nella cultura musicale di appartenenza
dei bambini. L'obiettivo di tale scelta era offrire ai piccoli la possibilità di assimilare "la
propria 'lingua materna musicale' […] fin da quando l'orecchio è fisiologicamente
pronto" a riceverla (Tafuri, 2007, p.34). A giustificare questa preferenza, Tafuri riporta
il pensiero di Leont'ev (1969) secondo cui:

"[…] non nasciamo con organi disposti a compiere funzioni che sono il prodotto
dello sviluppo storico umano, ma questi organi (come l'orecchio tonale) si formano
e si sviluppano durante la vita sulla base di un'esperienza storica. Ne consegue che
se i bambini non sperimentano prodotti musicali organizzati secondo un certo
sistema, questi 'organi culturali' non si sviluppano." (Tafuri, 2007, p. 33).

Un altro contributo teorico per la scelta di tale repertorio si basa su una considerazione
di tipo biologico, riferita al biologo olandese De Vries, che nei primi anni del '900
propose la presenza di alcuni periodi sensitivi dello sviluppo umano, nei quali "la natura
dà all'organismo una speciale plasticità per l'apprendimento di determinate capacità"
(Tafuri, 2007, p. 33). Una volta terminato il periodo sensitivo, nelle specie animali non
vi è possibilità di sviluppare tali capacità, ed il percorso che l'uomo può compiere per
acquisirle è lento e faticoso14.

Per tali motivi, nella definizione del repertorio le ricercatrici hanno scelto di raccogliere
una grossa varietà di generi e stili di canto che da un lato contribuisca all'assimilazione
nel bambino di un linguaggio musicale ricco e diversificato 15, ma che dall'altro faccia
sempre riferimento al proprio sistema culturale.

14
Un esempio è il caso di un bambino affetto da sordità alla nascita che, riuscendo a recuperare l'udito
intorno ai 3 anni, trova notevoli difficoltà nell'apprendimento della lingua materna (il cui periodo
sensitivo è situato nei primi due anni di vita).
15
Per un approfondimento sul rapporto tra la varietà dei contenuti musicali presentati fin dalla prima
infanzia e lo sviluppo musicale del bambino si veda il paragrafo 2.3 sulla Music Learning Theory di
Edwin E. Gordon.

38
Il repertorio finale, proveniente dalla tradizione popolare e da raccolte d'autore, era
composto prevalentemente da canti tonali, in tonalità maggiore e minore, oltre ad alcuni
canti modali e pentatonici. I ritmi utilizzati sono stati regolari, in metro binario e
ternario, con tempi semplici e composti.

Come strumenti musicali, sono state utilizzate le piccole percussioni (sonagli, maracas,
legnetti, tamburelli), ampiamente diffuse nella musica orchestrale e tradizionale e
particolarmente adatte all'utilizzo da parte dei bambini.

Per le attività relative alla danza (intese come attività di musica e movimento), sono
stati utilizzati canti che invitano a compiere movimenti, canti-girotondo che
suggeriscono delle azioni, danze vere e proprie del repertorio etnico italiano e straniero.
Inoltre, sono stati scelti dei brani musicali (come Il balletto dei pulcini nel guscio di
Musorgskij e La danza delle ore di Ponchielli) da ascoltare e vivere attraverso
un'interpretazione motoria o persino stando fermi, come per le fiabe musicali (Pierino e
il lupo di Prokof'ev).

2.2.3 Risultati

Al termine di una ricerca durata 6 anni è stata raccolta una consistente mole di dati (dai
numerosi diari alle oltre 4000 produzioni vocali dei bambini analizzate mediante ascolto
di registrazioni audio e video), la cui analisi è stata inevitabilmente complessa ed ha
richiesto diverso tempo e numerosi approfondimenti. Va tenuto conto anche dei drop-
out di diversi partecipanti, tra quelli riscontrati subito dopo il parto e gli altri nel corso
degli anni successivi. Il numero di partecipanti al termine della ricerca è stato di circa 40
unità, anche se con diversi livelli di frequenza alle attività del progetto.

La trattazione dei risultati del Progetto inCanto discussa nel presente lavoro si limita al
periodo tra il 6° mese di gravidanza ed 3 anni di vita del bambino. La ricerca di Tafuri e
Villa evidenzia che i fattori maturativi ed esperienziali in questa fascia d'età
costituiscono la chiave per sviluppo della capacità di cantare. Secondo le ricercatrici, gli
anni successivi al terzo possono soltanto confermare o contribuire alla propria
maturazione della capacità di cantare, mentre i primi tre acquisiscono un valore
decisivo.

39
Memoria prenatale

Sulla base delle ricerche esistenti, Tafuri e Villa hanno ipotizzato che durante la prima
settimana di vita i neonati potessero riconoscere un canto ascoltato più volte in
gravidanza. Per tale scopo è stato chiesto alle gestanti di cantare un brano privilegiato
(un canto che potesse contribuire a formare un legame affettivo con il piccolo) al
proprio bambino e di farlo ripetutamente fin dal 6°-7° mese di gravidanza.
Successivamente il protocollo prevedeva la registrazione su nastro del canto ripetuto al
bambino preceduto da un minuto di silenzio e seguito (senza pause intermedie) da un
brano mai ascoltato prima. Il test, tenutosi tra il 3° ed il 5° giorno di vita del bambino, è
stato svolto da 13 coppie, 12 delle quali hanno effettuato una videoripresa delle reazioni
del bambino all'ascolto dell'audiocassetta, come previsto dal protocollo di ricerca. Tutti i
neonati hanno reagito all'ascolto del brano prenatale con piccoli gesti (spalancando gli
occhi o muovendoli lateralmente, girando la testa verso la fonte della musica).
Ascoltando il nuovo brano, 4 bambini non manifestano reazioni, i restanti manifestano
comportamenti differenti: la maggior parte fa delle smorfie, gli altri girano la testa o
fanno altri piccoli gesti.

I dati emersi conducono Tafuri e Villa a confermare le ipotesi dell'esistenza di una


memoria musicale prenatale, considerando la qualità delle reazioni osservate come
segno di familiarità all'ascolto del brano conosciuto e di individuazione di un
cambiamento per il brano mai ascoltato prima.

Contestualmente, tutte le mamme partecipanti (in questa fase, 77) sono state chiamate
ad annotare sul diario le proprie sensazioni riguardo alle reazioni del piccolo durante
l'ascolto della voce materna, ipotizzando che tale voce sia stata interiorizzata dal
bambino in fase prenatale. Alle madri è stato chiesto di richiesto di fare riferimento a
specifiche reazioni del bambino durante l'ascolto suggerite dal protocollo come possibili
indici di riconoscimento. I risultati dell'osservazione materna, influenzata
inevitabilmente da alcune componenti di soggettività, sono stati molto netti: nei primi
due mesi di vita, il 92,4% dei bambini ha evidenziato reazioni di riconoscimento della
voce materna cantata (l'88% nel primo mese) ed il 93,2% ha evidenziato reazioni di
riconoscimento della voce materna parlata (l'87% nel primo mese). Il comportamento
maggiormente osservato è stato "fissare lo sguardo" (48% nel primo mese e 40% nel

40
secondo mese), seguito da "girare la testa" verso la sorgente vocale (24% nel primo
mese, 28% nel secondo).

Effetti dell'ascolto prenatale e neonatale


Lo studio successivo ha riguardato gli effetti dell'ascolto in fase prenatale e neonatale di
brani cantati dalla madre o riprodotti mediante altoparlanti rispetto al comportamento
del bambino, come in casi di pianto o irrequietezza.

Preliminarmente, va considerato le ricercatrici avevano invitato i genitori a cantare o


ascoltare musica a casa sia durante la gravidanza che in seguito. I contenuti dei diari
hanno rivelato la dimensione di ascolto e di produzione vocale cantata dell'ambiente
familiare. Dai dati raccolti si evince che le mamme (circa 40 partecipanti) hanno cantato
maggiormente in presenza del bambino che in gravidanza ed ascoltato musica
maggiormente in gravidanza rispetto alla fase post-natale. I dati rivelano anche che la
presenza fisica del bambino sollecita maggiormente il ricorso al canto, nonostante resti
elevato l'utilizzo di musica registrata. Inoltre, è emerso che le madri che hanno cantato
maggiormente sono anche quelle che hanno fatto ricorso a musica registrata.

Nello studio sugli effetti dell'ascolto sul bambino, il protocollo prevedeva che le madri
rispondessero alle domande a risposta chiusa sui diari a proposito delle reazioni del
figlio se cantavano o se ascoltavano un disco (canti o brani strumentali) mentre i
bambini piangevano e mentre erano irrequieti. Le possibilità previste erano la
continuazione del pianto o dell'irrequietezza, il passaggio ad uno stato di calma o il
placarsi manifestando attenzione.

In generale, si è riscontrato un numero elevato di risposte che testimoniano effetti


positivi sugli stati di pianto ed irrequietezza, soprattutto quando lo stimolo ascoltato era
il canto materno. Il 94,5% dei bambini ha smesso di piangere al canto della madre, il
78,4% ascoltando musica registrata. L'89,4% ha smesso di essere irrequieto al canto
della madre, il 74,8% ascoltando musica registrata.

In un'altra condizione sperimentale si intendeva verificare le reazioni del bambino


all'ascolto in uno stato di tranquillità. In tale condizione la varietà di risposte è maggiore
rispetto ai casi sopra citati. Nelle prime tre settimane di vita si evidenzia un effetto di
addormentamento in risposta al canto nel 43,2% dei casi, ed un aumento dell'attenzione

41
nel 41,5%. Con la musica registrata, la percentuale di bambini tendenti
all'addormentamento diminuisce al 36,4% ma sono più elevate le risposte che mostrano
attenzione (44,9%). A partire dalla quarta settimana di vita, l'effetto di induzione al
sonno crolla drasticamente sia per il canto (15,14%) che per la musica registrata
(16,11%) e diminuisce in modo irregolare fino ai 12 mesi (rispettivamente 7,31% e
6,60%). Per contro, dalla quarta settimana in poi, restano più elevati i segni di
attenzione da parte del bambino, sia per il canto materno che per la musica registrata
(rispettivamente 19-30% e 20-35%). In questa fase si iniziano a manifestare risposte
motorie, la cui frequenza aumenta in modo irregolare fino ai 12 mesi. A 4 mesi di vita,
emerge anche il sorriso come risposta del bambino all'ascolto musicale (25,96% per il
canto, 21,43% per la musica registrata) mantiene in seguito un buon livello come
reazione al canto materno (25-28%) e un valore inferiore per la musica registrata (12-
23%).

L'ultima condizione prevedeva l'analisi della risposta all'ascolto quando il bambino


stava per addormentarsi. La media dei bambini che reagiscono con un addormentamento
più rapido è risultata elevata nel caso del canto materno (80,25%) e minore per la
musica registrata (53,51%). Alcuni bambini mostrano segni di attenzione, altri restano
indifferenti. Si sono verificati soltanto 3 casi di pianto.

Prime vocalizzazioni
La produzione vocale dei bambini è stata indagata sotto due aspetti diversi. Il primo
studio si è concentrato sulla quantità e sulla qualità dei suoni prodotti dai bambini tra 0
e 15 mesi durante o subito dopo l'ascolto del canto materno o di musica registrata. In
questo caso le ricercatrici si sono basate sulle ipotesi che chi ascolta musica sarebbe
stimolato a produrre suoni diversi, che la ripetizione di uno stesso suono più volte
indicherebbe l'esplorazione del proprio apparato fonatorio in funzione del parlato e che
la produzione di più suoni di altezza diversa indicherebbe un'esplorazione in funzione
del canto. Dai risultati emerge un dato medio molto basso relativo alla produzione di un
singolo suono (12,5%) rispetto alla produzione di uno stesso suono ripetuto più volte
(42,8%) ed alla produzione di suoni diversi (45%).

Il secondo studio ha considerato l'interazione vocale madre-bambino, attraverso un


analisi della qualità musicale delle produzioni vocali in risposta al canto materno. Il

42
protocollo prevedeva che le madri registrassero tali interazioni iniziando con un paio di
frasi di canti molto familiari e successivamente aspettando gli eventuali interventi vocali
dei bambini; la registrazione proseguiva ripetendo la stessa interazione un paio di volte.
Successivamente le madri erano tenute a proseguire la registrazione con un canto
sconosciuto ed a cantare suoni brevi ripetuti e ritmi parlati suggeriti dalle ricercatrici,
attendendo dopo ogni serie di ripetizioni le risposte dei bambini. Le mamme erano
tenute ad effettuare almeno 4-5 registrazioni entro i primi 10 giorni del compimento del
2°, 4°, 6° e 8° mese di vita del bambino. Le registrazioni fornite hanno evidenziato una
notevole ricchezza di e variabilità di produzioni vocali, classificate in suoni generici,
glissandi (ascendenti, discendenti e misti) e intervalli (ascendenti, discendenti e misti).
Da un punto di vista musicale, è stata rilevata la presenza di brevi frammenti melodici
nella cui struttura sono riconoscibili altezze del sistema musicale occidentale.
Analizzando i dati relativi al ritmo si rileva la presenza di durate diverse e la tendenza
ad un suono più lungo alla fine della produzione. In generale, le produzioni diventano
più ricche e varie con l'avanzare dell'età (durata massima: 45s all'età di 2 mesi; 60s
all'età di 4 mesi; 90s tra 6 e 8 mesi). I glissandi misti sono stati prodotti dalla
maggioranza dei bambini a partire dai 2 mesi, mentre i glissandi ascendenti e
discendenti risentono dell'effetto dell'età. La produzione di intervalli, seppur riscontrata
in numero consistente già a partire dai 2 mesi di vita, è stata inevitabilmente inferiore ai
glissandi per via della facilità produttiva di questi ultimi. Gli intervalli discendenti sono
stati prodotti più degli intervalli ascendenti, per via della loro vicinanza alla curva di
estinzione del fiato.

Confrontando i risultati emersi con un gruppo di controllo, è emerso che i bambini


stimolati ed accompagnati da esperienze musicali prenatali e neonatali, come avvenuto
nel Progetto inCanto, producono lallazioni musicali più precocemente, in numero
maggiore e con maggiore ricchezza musicale rispetto ad altri bambini.

Prime produzioni vocali cantate


La prima, brevissima, produzione cantata di tutto il progetto è stata compiuta durante
uno degli incontri di gruppo, in fase di saluto iniziale, da una bambina di 18 mesi che è
riuscita ad intonare (anche ripetutamente, su richiesta) un intervallo di terza minore
discendente (sol, sol, mi) in risposta al suo nome chiamato in forma cantata. Per certi

43
versi, il dato è sorprendente perché testimonia che la capacità di intonare può nascere in
un'età molto precoce, come ipotizzato inizialmente dalle ricercatrici.

Per l'analisi delle produzioni cantate lo studio si è inizialmente incentrato sul secondo
anno di vita del bambino. La ricerca prevedeva che i genitori registrassero i bambini
almeno 3-4 volte nei primi 20 giorni di ogni trimestre in sessioni da 10-15 minuti
ciascuna. Tali sessioni dovevano rispettare un preciso protocollo riferito ai genitori dalle
ricercatrici.

Le registrazioni presentate dai genitori sono state limitate a 19 bambini. Dai dati raccolti
è emersa una grande varietà di produzioni vocali che seguono il canto materno (e, più
raramente, quello paterno) o che si sovrappongono allo stesso canto o che vengono
effettuate dopo 10-20 secondi di silenzio. Il materiale cantato dai bambini è stato
classificato in: vocalizzazioni musicali, sillabe e parole parlate in modo ritmato, sillabe
cantate, parole cantate e frasi cantate.

All'età di 12 mesi la maggior parte dei bambini producevano dello stesso tipo di quelle
prodotte a 6-8 mesi, introducendo elementi parlati in rapporto alle primissime conquiste
del linguaggio verbale. In 8 hanno prodotto sillabe cantate. 12 hanno prodotto sillabe e
parole ritmate. 4 hanno prodotto parole cantate e pochissimi brevi frasi cantate.

Tra i 12 e i 18 mesi, con la comparsa del linguaggio verbale, è diminuito il numero di


vocalizzazioni prodotte e dei bambini che le producevano. Contestualmente è aumentato
in modo considerevole il numero di bambini che producevano parole parlate in forma
ritmata. Oltre i 18 mesi i bambini hanno iniziato a scoprire manifestare le parole cantate,
frutto della sollecitazione e dell'incoraggiamento ricevuto nelle attività con i genitori. In
questa fase aumentano anche le sillabe cantate e, progressivamente, anche il numero di
bambini che le producono. Intorno ai 21 mesi aumentano le parole ed emergono le frasi
cantate a svantaggio delle sillabe cantate che tendono a diminuire.

Infine, oltre alle produzioni imitative, in alcuni casi (una bambina di 19 mesi ed uno di
22) sono emersi anche dei primissimi contenuti originali, generalmente osservabili in
condizioni in cui il bambino è assorto in sé stesso ed inizia a canticchiare alcune sillabe
o parole che si arricchiscono man mano.

44
Canti imitativi
Nei mesi successivi, negli incontri di gruppo la qualità degli interventi dei bambini è
andata progressivamente aumentando (ripetizioni dell'ultima parola di un canto, di
mezza frase, imitazioni dei versi degli animali o del suono degli strumenti, etc.).
Tuttavia, la quantità di produzioni dei bambini è progressivamente diminuita e ciò ha
comportato che l'analisi fosse proseguita in famiglia, secondo un protocollo che
prevedeva la registrazione nelle interazioni madre-bambino almeno due volte per
trimestre in sessioni di 10-15 minuti ciascuna. In questo caso è stato suggerito di
utilizzare sia canti familiari che canti mai utilizzati prima e di dare ampio spazio alle
libere produzioni del bambino.

I risultati di questo studio (riferiti a circa 30 soggetti tra 2 e 3 anni di età) ha evidenziato
che le produzioni dei bambini sono passate da brevi frasi a interi canti intorno all'inizio
del terzo anno di vita, parallelamente alla maturazione del linguaggio, della memoria e
dell'attenzione, seppur manifestando una certa variabilità individuale.

La classificazione delle produzioni si è basata sul modello evolutivo di riproduzione


vocale di Graham Welch (1997) che prevede tre fasi in ordine sequenziale: intonazione
approssimativa, in cui è possibile riconoscere il profilo melodico del canto; canto quasi
intonato, in cui oltre al profilo melodico si manifestano anche le prime frasi con
intervalli corretti; canto accettabilmente intonato, in cui gli intervalli del canto sono
abbastanza corretti, pur con alcune imprecisioni.

Dai dati emersi è possibile rilevare che il 70% dei bambini intorno ai 3 anni ha
raggiunto un grado di imitazione con intonazione approssimativa (a volte quasi intonata,
a volte accettabilmente intonata). Tra questi, tutti sono riusciti a cantare in modo
accettabilmente intonato almeno qualche volta (2 bambini vi sono riusciti in ogni
rilevazione). Questi dati approfondiscono i risultati delle precedenti ricerche riferite da
Tafuri sullo sviluppo della capacità di cantare nei bambini, in cui si evinceva la
necessità di un'età più elevata per la maturazione di tali competenze. La differenza
sostanziale tra i risultati del Progetto inCanto e quelli degli studi antecedenti sembra
essere relativa all'esperienza musicale vissuta dai bambini fin dalla vita prenatale.

Nel complesso, tra i 2 ed i 3 anni, è possibile osservare nei risultati dello studio di
Tafuri e Villa una progressiva evoluzione della capacità di cantare intere canzoni in

45
modo accettabilmente intonato parallelamente ad una lieve diminuzione della
produzione di frasi cantate. Le competenze emerse testimoniano che i meccanismi
percettivo-cognitivi e fonatori atti a sviluppare la capacità di cantare in modo imitativo
sono attivi già prima dei 3 anni. Tuttavia, è evidente una certa variabilità tra i bambini,
dato che non tutti hanno iniziato a manifestare canti intonati alla stessa età. A tal
proposito, è plausibile che la capacità di cantare si sviluppi lungo un percorso evolutivo
della durata di un anno o più, nel quale i bambini oscillano tra successi e insuccessi.

Canti inventati
Pur senza un'attività di ricerca specifica, dai diari dei genitori è stato possibile
raccogliere evidenze sui canti inventati da parte dei bambini, classificati in canti
imitativi (canti preesistenti sui quali i bambini inventavano parole differenti
dall'originale) ed originali (canti nuovi sia dal punto di vista musicale che verbale,
raggruppati a loro volta in frasi, monologhi e canti).

In generale, questo tipo di produzioni si è rivelato un'attività frequente ed abbastanza


costante. Nel periodo dai 2 ai 3 anni il 40% dei bambini inventava canti qualche volta a
settimana, il 29% lo faceva più frequentemente. L'invenzione cantata è risultata più
frequente nel periodo dai 3 ai 4 anni (40%), producendo delle vere e proprie frasi
cantate nel 60% delle occorrenze. L'attività di canto originale è avvenuta
prevalentemente durante le attività individuali di gioco dei bambini e, più raramente, in
presenza di altre persone.

Dai dati emersi si evince che, come nelle produzioni imitative, vi è una maggiore
percentuale di invenzioni di interi canti piuttosto che di brevi frasi. Inoltre, nelle
invenzioni cantate vi è generalmente un minore controllo dell'intonazione, spiegabile
considerando la mancanza delle facilitazioni offerte da eventuali modelli di imitazione.
La capacità creativa emergerà in maniera qualitativamente superiore soltanto in seguito,
quando una maggiore esperienza musicale e lo sviluppo di adeguate competenze
cognitive permetteranno al bambino di fissare in modo adeguato gli aspetti
convenzionali della musica.

46
Movimento e ritmo
A partire dal secondo anno di età i bambini hanno mostrato una considerevole crescita
della capacità di muoversi o suonare insieme alla musica, parallelamente alla loro
conquista di autonomia di movimento nello spazio, mentre alcune risposte motorie allo
stimolo musicale, meno strutturate, erano già evidenti dall'età di 6 mesi.

Nel tempo i bambini hanno manifestato anche un progressivo aumento della precisione
nel suonare insieme alla musica con i piccoli strumenti a loro disposizione,
avvicinandosi man mano ad una sincronizzazione con le pulsazioni del brano musicale
in ascolto.

La risposta motoria alla musica tra 1 e 2 anni, nelle attività svolte in famiglia, si è
evidenziata prevalentemente nel caso di musica registrata (92%) rispetto al canto
materno (86%). Questi risultati evidenziano l'effetto di induzione motoria offerto dalle
pulsazioni regolari (e più evidenti) della musica strumentale. L'attività motoria, in
entrambi i casi si è manifestata sotto forma di ballo, saltelli, movimento delle braccia e
battito di mani. Inoltre, il 67% dei genitori ha riportato nei diari che il comportamento
dei figli andava a tempo con la musica, mentre il 31% ha risposto di "non sapere".

Tra 2 e 3 anni di età, il ballo spontaneo in presenza di musica è iniziato a diminuire, in


special modo se superati i 2 anni e mezzo. Contestualmente, è aumentata fino all'84% la
percentuale dei genitori che riferisce l'andare a tempo di musica del proprio figlio. Tra
le attività musicali preferite in questa fascia d'età, quella realizzata con più frequenza è
il canto (38%), seguito dal ballo (32%), dall'ascolto (19%) e dal suonare (12%).

Per verificare la capacità di andare a tempo nei bambini tra 2 e 3 anni, è stato studiato
un protocollo che prevedeva che i soggetti suonassero un tamburo elettronico insieme
ad uno stimolo musicale (Marcia n°10 op. 65 di Prokof'ev). Lo studio è stato effettuato
su 42 bambini del progetto e confrontato con un gruppo di controllo (la cui età media
era moderatamente superiore a quella del gruppo sperimentale). I bambini hanno
manifestato molto interesse nello svolgimento del compito.

L'analisi del livello di corrispondenza tra il numero delle percussioni eseguite e quello
delle pulsazioni del brano musicale ha mostrato che i valori del gruppo sperimentale e di
quello di controllo sono stati molto simili (55% vs 58%). Nello specifico, si è

47
evidenziato che i bambini con età superiore a 2 anni e mezzo in entrambi i gruppi
manifestavano un maggiore livello di corrispondenza.

Un altro livello di analisi riguardava la continuità, ovvero il numero di esecuzioni


corrette consecutive (con un minimo di 4), ed anch'essa è risultata dipendente dall'età. I
valori emersi sono stati moderatamente bassi per entrambi i gruppi (37% vs 33%).

È stato studiato anche il grado di vicinanza delle percussioni alle pulsazioni del brano
musicale, ovvero la precisione nella sincronia. Come per la continuità, i dati emersi
sono più elevati per il gruppo sperimentale (31% vs 23%), questa volta in modo più
significativo.

Osservando la capacità di mantenere uno stesso livello di sincronia (regolarità) si è


evinta una notevole variabilità, seppur di entità minore nel gruppo sperimentale che ha
mostrato migliori risultati rispetto al gruppo di controllo. In generale, le ricercatrici
hanno associato l'instabilità nei livelli di sincronia all'età dei soggetti.

Sebbene tali risultati possano sembrare modesti, le indicazioni di sviluppo sono state
confermate in due follow-up con 25 dei 42 bambini nelle fasce d'età tra 3 e 4 anni e tra 4
e 5. Tutte le competenze osservate sono nettamente migliorate ad eccezione della
regolarità. Lo sviluppo maggiore si è osservato nella fase tra 2 e 3 anni. Tale evidenza,
secondo Tafuri, accredita le teorie piagetiane che considerano proprio questa un'età
chiave per lo sviluppo delle funzioni cognitive, motorie e sensoriali.

Successivamente allo studio che prevedeva l'ascolto di brano musicale strumentale,


Tafuri e Villa hanno indagato la capacità di andare a tempo contestualmente alla
produzione cantata del bambino. In questo studio sono stati considerati come punti di
riferimento la pulsazione ed il ritmo propri di ogni canto. Dai risultati è stato possibile
evidenziare una discreta attenzione alle pulsazioni, in progressivo miglioramento dai 2
ai 3 anni e mezzo, e una precisione ritmica che, pur essendo di buon livello in alcune
situazioni, risente spesso di fattori come la respirazione, la difficoltà di pronuncia delle
parole, le situazioni ed i contesti di produzione cantata.

Strumenti musicali
L'interesse verso gli strumenti musicali è stato molto alto fin dall'età di 6 mesi, quando
il 97% dei genitori ha riportato che i figli si mostravano molto attenti al suono degli

48
strumenti e, vedendo i genitori suonare, desideravano farlo anche loro. Il desiderio di
suonare era indipendente dalla presenza o meno della musica nell'ambiente, indicando
che lo strumento sia "fonte di un piacere senso-motorio globale ed eserciti, almeno a
quest'età, una suggestione fortissima" (Tafuri, 2007, p. 90). La maggior parte dei
bambini ha suonato anche utilizzando oggetti al posto degli strumenti, testimoniando
che per il bambino è più importante l'aspetto di produzione del suono rispetto agli
aspetti estetici dello strumento.

Dai 2 ai 4 anni si è manifestato un progressivo calo dell'interesse verso il suonare. La


diminuzione è stata minore in chi suonava più spesso nella fascia d'età precedente. Si è
evidenziato anche un aumento dei bambini che suonavano spesso in assenza di musica,
probabile indizio di un sincero interesse verso il suonare. Infine, nelle attività svolte a
casa, molti bambini hanno cantato mentre suonavano, alcuni con più frequenza (26%),
altri sporadicamente (43%).

2.2.4 Riflessioni

Lo studio realizzato da Tafuri e Villa ha permesso di scorgere per la prima volta come si
sviluppi individualmente la capacità di cantare dai primi mesi di vita in poi, offrendo
numerosi spunti per le attività di cura e diversi orientamenti pedagogico-didattici per la
prima infanzia.

Nello specifico, si è evidenziata un elevato livello di intonazione dei canti dal 71% dei
bambini entro i 3 anni e mezzo, un dato notevolmente più alto rispetto a quanto emerso
ricerche condotte fino ad allora. Per il raggiungimento di tale risultato, Tafuri considera
determinante la ricchezza e la varietà dell'esperienza musicale fin dalla fase prenatale,
accompagnata da atteggiamenti di sostegno ed apprezzamento da parte dei genitori.
Secondo la ricercatrice, questi ultimi hanno svolto un ruolo determinante, sia per la
ricerca (attraverso la redazione dei diari e le registrazioni audio e video fornite a scopo
scientifico) sia per il prezioso contributo nelle attività di canto, interazione e ascolto
musicale vissute in famiglia.

In merito alle produzioni cantate dei bambini è emersa una grande variabilità. Secondo
Tafuri, i dati raccolti su tali produzioni (così come sulle vocalizzazioni in genere) non
possono essere considerati una testimonianza pura delle competenze di tutti i bambini

49
partecipanti, in quanto riflesso delle diverse condizioni psicologiche dei singoli soggetti
e di fattori relativi al contesto. Ad esempio, gli aspetti temperamentali, la difficoltà di
attenzione, la disponibilità e voglia di cantare dei bambini, così come il tipo ed il
numero di stimolazioni ricevute, hanno inevitabilmente influito sulla probabilità che si
siano realizzate o meno certe risposte. D'altro canto, in alcuni casi anche i resoconti
genitoriali hanno fornito materiale relativamente povero, ovvero non sempre
considerabile come misura attendibile delle competenze del bambino.

Tuttavia, le competenze emerse forniscono delle indicazioni importanti, come il numero


sempre crescente di bambini che a partire dai 18 mesi ha manifestato produzioni
intonate. Al contempo, i bambini che intonavano correttamente frasi o canti tendevano,
in occasioni successive, a commettere errori oscillando tra successi e insuccessi. Tale
difficoltà testimonia che fin da molto piccoli la conquista dell'intonazione necessita di
adeguate capacità di controllo, ascolto ed allenamento, traducendosi in termini educativi
con la necessità di un maggiore sostegno verso i bambini che mostrano difficoltà a
mantenere stabile l'intonazione.

Oltre a dimostrare che lo sviluppo della capacità di cantare si può verificare entro i
primi 6 anni di vita, la ricerca ha affrontato anche il tema della predisposizione di tutti i
bambini verso la musica fin dalla nascita e la prospettiva che una ricca e variegata
esperienza musicale possa contribuire a sviluppare competenze più elevate rispetto a
coetanei che non hanno sperimentato tale esperienza.

Tafuri tiene a precisare che la "predisposizione" cui fa riferimento non va intesa come
una capacità innata, posseduta soltanto da alcuni, ma come "buona disposizione,
propensione, apertura verso la musica in senso generale", atteggiamenti che le
ricercatrici hanno potuto rilevare nei bambini partecipanti alle attività della ricerca
(Tafuri, 2007, p.95).

"L'interesse e l'attenzione verso la musica, la disponibilità a 'sentirne' gli effetti, la


ricerca del suono con gli oggetti e la produzione di vocalizzazioni musicali e di canti
sono stati comuni e costanti in tutti i bambini durante i primi due anni." (Tafuri,
2007, p. 95)

In seguito sono emerse differenze individuali di tipo caratteriale, manifestate in interessi


sempre più diversificati (non solo musicali) e personalizzati. L'interesse specifico verso

50
la musica è andato aumentando per alcuni, diminuendo per altri ed anch'esso si è
manifestato in modo diversificato da bambino a bambino.

In merito alla terza ipotesi, l'analisi approfondita dei dati conferma le evidenze di una
maturazione precoce delle competenze musicali elementari rispetto ai risultati emersi in
altri studi ed a specifici gruppi di controllo per il confronto su alcune competenze
specifiche.

Prima di tutto, è evidente che l'avvenuta maturazione si è basata su di determinate


condizioni psicofisiologiche concretamente presenti nel bambino. Tuttavia, se tali
condizioni rappresentano una necessità per lo sviluppo musicale, il loro solo contributo
è insufficiente a generare fenomeni di apprendimento e maturazione se non sono
stimolate attraverso una ricca esperienza musicale ed un sostegno da parte degli adulti
significativi16.

"Se è vero che il patrimonio genetico contiene il 'programma' per acquisire


determinate capacità, [è possibile concludere che] tutti possiedono un 'programma'
di base, e che le varie capacità non si sviluppano se non sono sollecitate nel periodo
più favorevole da un ambiente ricco di esperienze specifiche, in un clima
affettivamente positivo." (Tafuri, 2007, p. 98)

A questo proposito, sulla base della sua esperienza didattica Tafuri offre un interessante
spunto critico:

"Tali considerazioni ci permettono di concludere che se i bambini delle nostre classi


di prima elementare non intonano, non vanno a tempo, non rispettano il ritmo di una
canzone, ecc., significa che sono stati tenuti in uno stato di 'deprivazione musicale'."
(Tafuri, 2007, p. 97)

In conclusione, il Progetto inCanto ha dimostrato ampiamente la necessità di un


ambiente musicalmente stimolante, ricco di proposte educative che offrano in modo
sistematico adeguati modelli di apprendimento, seguendo i tempi individuali di

16
Si noterà nel paragrafo seguente come molte delle idee presentate da Tafuri (2007) possiedano
numerosi punti in comune con il pensiero di Edwin Gordon (1998), fra cui l'importanza associata da
entrambi i ricercatori all'esperienza musicale del bambino fin dalla primissima infanzia, la
predisposizione del bambino alla musica (si veda il concetto di attitudine in Gordon), il ruolo del canto e
del sostegno da parte di genitori e educatori.

51
maturazione delle capacità musicali "affinché ciascuno possa raggiungere il pieno
sviluppo della propria musicalità" (Tafuri, 2007, p. XX).

2.3 La Music Learning Theory di Edwin E. Gordon


La Music Learning Theory (MLT) di Edwin E. Gordon17, fondata su quasi 50 anni di
ricerche ed osservazioni, descrive le modalità di apprendimento musicale del bambino a
partire dall’età neonatale offrendo una visione decisamente innovativa nel campo
dell'educazione musicale. La sua introduzione nello scenario italiano è stata
determinante per la nascita di importanti progetti didattici e di ricerca dedicati alla
prima infanzia.

La Music Learning Theory descrive le modalità di apprendimento musicale del bambino


a partire dall’età neonatale. Il periodo tra la nascita ed il terzo anno di vita è considerato
di estrema importanza nel pensiero gordoniano. Tale assunto rende subito evidenti le
contrapposizioni con i metodi classici dell'educazione musicale, che storicamente
focalizzano la loro attenzione sul bambino in età scolare. Sebbene Zoltan Kodaly18
avesse avuto già nel 1951 l'intuizione che l'educazione musicale dovesse iniziare prima
della nascita, non v'è mai stato prima di Gordon un interesse ed un approfondimento di
carattere scientifico e metodologico sull'apprendimento musicale nei primi anni di vita
del bambino.

Il principale contributo della MLT è l'idea che la musica possa essere appresa secondo
procedimenti simili a quelli dell'apprendimento del linguaggio. Immerso nei suoni della
lingua madre fin dalla nascita, il bambino, col passare del tempo sviluppa, per mezzo di
tentativi e imitazioni, un proprio vocabolario parlato. Forte di questo bagaglio, giunto in
età scolare il bambino impara a decodificare la propria lingua leggendola e scrivendola.

17
Research Professor presso la South Carolina University, Edwin E. Gordon ha ricoperto diversi ruoli
importanti nella sua carriera di didatta, ricercatore e musicista, tra cui: membro del comitato editoriale del
"Journal of Research in Music Education", Professor of Music presso la Michigan State University,
General Editor per la rivista "Studies in the Psychology of Music: Experimental Research in Psychology
of Music" e recentemente Presidente Onorario dell'Associazione Italiana Gordon per l'Apprendimento
Musicale (AIGAM).
18
Educatore, compositore ed etnomusicologo ungherese del '900.

52
Gordon propone lo stesso percorso per la musica: il bambino immerso nei suoni
musicali fin dalla nascita avrà la possibilità di sviluppare il proprio vocabolario
musicale, "la cui dimensione è direttamente proporzionale all'ammontare, alla
variabilità ed alla correttezza delle stimolazioni ricevute" (Anselmi, 2006, p.1), di
interagire con l'ambiente musicale esterno attraverso risposte musicali prima spontanee,
poi intenzionali. Allo stesso modo, giunto all'età scolare, il bambino potrà imparare a
leggere e scrivere la musica come ha fatto con la lingua verbale, ovvero decodificando
quello che aveva ascoltato e appreso precedentemente.

La prospettiva di parallelismo tra linguaggio musicale e linguaggio verbale si rivela


ancor più esplicativa in uno dei concetti più efficaci elaborati dal ricercatore americano.
L'esperienza musicale precoce del bambino, possibile grazie ad un ambiente ricco di
stimoli colti e corretti, gli offrirà gli strumenti indispensabili per pensare musicalmente,
ovvero di compiere quel processo mentale che Gordon conia come audiation. Nella
MLT, l'audiation è la capacità di pensare, di sentire e comprendere, nella propria mente,
musica che non sia (o non sia più) fisicamente presente. Per dirla con Gordon,
"l'Audiation sta alla musica come il pensiero sta al linguaggio" e permette di ascoltare e
fare musica con consapevolezza e di trarne i benefici connessi (Gordon, 1999, p. 42).

Invero, è difficile definire il concetto di audiation in un solo atto o processo mentale. Lo


si può intendere piuttosto come una serie di capacità, sviluppate diversamente in ogni
individuo. È audiation la capacità di richiamare alla mente musica ascoltata poco o
molto tempo prima; di predire, durante l'ascolto o la produzione, i suoni che devono
ancora venire; di ascoltare musica mentalmente mentre si legge o si scrive uno spartito;
di improvvisare mentre si canta o si suona uno strumento.

Da questi presupposti è già possibile intravedere alcuni aspetti innovativi della MLT
nella prassi educativa. Il concetto di guida informale è centrale nella metodologia
Gordoniana. Se l'audiation in quanto tale non può essere insegnata al bambino, l'adulto
ha la possibilità di creare le condizioni affinché tale insieme di competenze possa
svilupparsi spontaneamente e naturalmente, senza forzature, ad esempio a partire dalla
semplice esposizione alla musica, sia essa in casa, al nido o alla scuola dell'infanzia. In
tal modo, l'adulto guida il bambino nel raggiungimento della consapevolezza del

53
proprio bagaglio naturale di istintività musicali e competenze specifiche. In altre parole,
lo conduce verso l'audiation.

Tornando al suddetto parallelismo, per agevolare il bambino nel processo di


acquisizione del linguaggio verbale non gli si insegna direttamente a parlare, ma ci si
rivolge a lui parlando (esposizione ai contenuti verbali), conducendolo pian piano ad
un'imitazione sempre più accurata valorizzando le sue risposte (prima casuali, poi
intenzionali) e i suoi tentativi. Raggiunta l'età scolare e le competenze specifiche, la
guida informale sarà sostituita dall'istruzione formale. Lo stesso processo va inteso per
l'apprendimento musicale, dove la guida informale si traduce in un'interazione in cui,
attraverso il movimento e la voce, l'adulto canta al bambino in tutte le tonality e i metri
musicali, rispettando i suoi tempi di apprendimento e ponendosi come modello di
musicalità e cercando un dialogo sonoro con il bambino attraverso pattern19 tonali e
ritmici. In questo modo, l'adulto non chiede di fare qualcosa al bambino, ma la fa per
lui. Incoraggiando le sue risposte musicali (come avviene per il linguaggio verbale), lo
guida verso l'imitazione accurata dei pattern che gli propone e verso la capacità di
coordinarsi musicalmente.

Nei contenuti da offrire al bambino, Gordon suggerisce l'utilizzo di brani cantati in tutti
i diversi modi musicali (tonality), ovvero non limitarsi ai più comuni modi maggiore e
minore, ma utilizzare anche i modi lidio, dorico, frigio, misolidio e locrio. Inoltre,
raccomanda che gli ascolti siano caratterizzati da grande varietà di metri, tra cui anche
quelli considerati inusuali come il 5/8 e il 7/8. L'obiettivo di un ascolto così variegato è
quello di offrire una grande ricchezza a livello di sintassi musicale, necessaria per lo
sviluppo dell'Audiation, nonché di mantenere viva l'attenzione del bambino. A sostegno
di ciò, i brani (melodici e ritmici) devono essere di breve durata e senza parole, in

19
Nell'approccio della MLT, i pattern rappresentano in musica ciò che le lettere rappresentano nel
linguaggio parlato. Gordon definisce pattern un insieme sequenziale di due, tre o più suoni che svolgono
delle precise funzioni di sintassi musicale: tonica, dominante e sottodominante per i pattern tonali;
pulsazioni, divisioni e suddivisioni per i pattern ritmici. L’autore individua una serie sequenziale di
pattern, adeguati a ciascuna delle diverse fasi dell’Audiation preparatoria. Ogni pattern proposto al
bambino rappresenta il contenuto musicale di un contesto, dato dal canto melodico o ritmico che lo
precede.

54
quanto esse distraggono il bambino dai suoni20. Inoltre, per favorirne l'apprendimento e
l'interiorizzazione nel bambino vanno ripetuti più volte e al termine di ogni esecuzione è
importante lasciare dei lunghi momenti di silenzio per offrire il tempo di processare
tutte le informazioni ricevute.

La prassi educativa della MLT trova un altro elemento di primaria importanza nel
movimento. Anche in questo caso, non ci si riferisce ad azioni dell'adulto che inducano
il bambino movimenti specifici, passivi, "a richiesta". Piuttosto, Gordon parla di un
movimento per il bambino, espressivo e libero, privo di rigidità o schematicità. In
questo modo, il bambino, oltre a trovare uno strumento di esplorazione della sintassi
musicale, viene guidato alla capacità di coordinare il movimento con il respiro e, con
l'esperienza, alla capacità di elaborare il ritmo in modo più complesso, come flusso
temporale che si articola in raggruppamenti di tempi, e non semplicemente come tempo
scandito da pulsazioni (Gordon, 1998).

Il percorso di apprendimento musicale postulato da Gordon considera la presenza di tre


fasi (acculturazione, imitazione e assimilazione21) e sette stadi di Audiation
preparatoria (assorbimento, risposte casuali, risposte intenzionali, perdita
dell’egocentrismo, decifrazione del codice, introspezione, coordinazione). Gli stadi, che
possono verificarsi anche contemporaneamente, si riferiscono a ciò che succede al
bambino nel corso della sua crescita musicale guidata da un adulto competente. Il loro
ordine è sequenziale ma non va inteso in senso gerarchico.

Per Gordon, al momento della nascita, il bambino possiede una determinata capacità
potenziale di apprendere la musica. La misura di tale potenzialità (possibilità interiore),
che è massima al momento della nascita, è definita attitudine musicale e si distingue dal
rendimento, ovvero ciò che il bambino ha effettivamente appreso in termini musicali
(realtà esteriore). Ne consegue che, secondo il ricercatore americano, quanto prima si
interagisce musicalmente con il bambino, tanto maggiori saranno i benefici che ne

20
Piuttosto, vengono utilizzate delle sillabe nonsense con un'emissione di voce comoda, rilassata,
comunicativa e intenzionata a creare un'interazione significativa con i bambini destinatari.
21
L'acculturazione avviene con l'assorbimento della musica della propria cultura; nell'imitazione, le
azioni e le risposte del bambino si fanno sempre più intenzionali; infine, l'assimilazione è l'acquisizione di
consapevolezza nel bambino della sintassi musicale.

55
trarrà. L'attenzione all'attitudine musicale del bambino si traduce in un approccio
didattico pensato nello specifico per lui, adeguandovi il ruolo di guida ai suoi specifici
bisogni ed alle sue predisposizioni musicali.

Tuttavia, l'esperienza musicale infantile non necessariamente si tradurrà nella


produzione di futuri professionisti o eccezionali talenti musicali. Invero, l'obiettivo
principale della Music Learning Theory e della sua applicazione è favorire lo sviluppo
dell'attitudine musicale del bambino secondo le sue potenzialità, le sue modalità e i suoi
tempi. Più in generale, il contributo della MLT vuole essere quello di porsi come
strumento affinché la musica diventi, come auspicato da Kodaly, un patrimonio di tutti,
sia come ascoltatori che come musicisti.

2.3.1 L'introduzione della MLT in Italia


Il primo incontro tra il mondo dell'educazione musicale italiana e la Music Learning
Theory avviene nell'estate del 1998, quando Andrea Apostoli (musicista e insegnante,
allora specializzato in metodologia e pratica del'Orff-Schulwerk), spinto dalla curiosità
verso il mondo musicale della prima infanzia, non contemplato dalle teorie
dell'educazione musicale diffuse fino a quel momento in Italia, decide di frequentare un
Master tenuto da Edwin Gordon presso la South Carolina University. Rimasto colpito
sia dalle idee che dalla personalità di Gordon, Apostoli decide di approfondire
l'argomento e specializzarsi nella Music Learning Theory. Tornato in Italia, ottiene la
possibilità di mettere in pratica gli insegnamenti di Gordon curando il primo corso
italiano basato sulla MLT per bambini tra 0 e 3 anni a Roma, presso la Scuola Popolare
di Musica Donna Olimpia, in collaborazione con Paola Anselmi (musicista e insegnante
presso la Scuola Donna Olimpia). Nonostante le reticenze per il ridotto numero di
allievi iniziale, il corso ha ottenuto presto una buona risonanza, nonché l'attenzione del
coordinamento didattico della Scuola Donna Olimpia.

L'anno successivo, anche Anselmi segue il percorso compiuto da Apostoli


specializzandosi nella MLT con lo stesso Gordon e iniziando a stringere un proficuo
rapporto collaborativo con Beth Bolton22, all'epoca preside del Dipartimento di

22
Studiosa e ricercatrice americana, Beth Bolton ha lavorato per diversi anni a fianco di Gordon. È
attualmente Direttore Didattico della Fondazione Early Childhood Music Temple University Philadelphia

56
Educazione Musicale e Musicoterapia del Boyer College of Music della Temple
University of Philadelphia. Sempre nel 1999, si svolge presso la Scuola Donna Olimpia
un seminario sulla Music Learning Theory tenuto da Edwin Gordon, per la prima volta
in Italia, seguito da altri seminari sul tema tenuti nel corso dell'anno da Andrea
Apostoli.

Particolarmente attratto dalle potenzialità dell'opera di Gordon, Apostoli intuisce il


bisogno di dedicare ad essa un lavoro completamente originale, in cui sviluppare il
lavoro per i bambini tra 0 e 3 anni e applicando la MLT anche nelle attività con i
bambini più grandi. Non essendo possibile realizzare tale prospettiva all'interno della
Donna Olimpia, caratterizzata da una forte impostazione Schulwerkiana, nel 2000
Apostoli fonda, su consiglio dello stesso Gordon, un'associazione completamente
dedicata alla Music Learning Theory, denominata AIGAM (Associazione Italiana
Gordon per l'Apprendimento Musicale). Grazie al lavoro di divulgazione svolto da
Apostoli ed alla stretta collaborazione di Gordon, presidente onorario dell'associazione,
l'AIGAM ha ben presto attirato l'attenzione della stampa, sia per l'innovazione nelle
attività proposte per i più piccoli, che, soprattutto, per l'avvio del primo corso di
formazione per insegnanti di musica secondo la Muisc Learning Theory in Italia.

In modo parallelo, presso la Donna Olimpia si avvia una riflessione sulla MLT e sulle
sue potenzialità sociali ed educative, con l'avvio di un progetto di ricerca che fonde le
proposte Orff-Schulwerk con la teoria Gordoniana seguendo l'esempio di Beth Bolton.
Nel suo lavoro scientifico e didattico, Bolton si è ampiamente dedicata nella ricerca
dell'integrazione tra la MLT di Gordon e le più importanti osservazioni scientifiche nel
settore musicale per i neonati e la prima infanzia, rifacendosi agli studi di Rachel Stark,
Colwyn Trevharten e Daniel Stern. In modo simile, ed in stretta collaborazione con la
ricercatrice americana, il lavoro di Donna Olimpia si indirizza verso una ricerca
dedicata allo sviluppo delle potenzialità integrative dell'uso della musica e quelle
relazionali e sociali della prima infanzia.

Se l'AIGAM rappresenta ufficialmente la Music Learning Theory in Italia,


proseguendone attività di ricerca in collaborazione con lo stesso Edwin Gordon, Donna

e Rettore del “Music Education and Therapy Department” della Temple University di Philadelphia. Fin
dal 1973 svolge un'intensa attività di docenza e ricerca in diverse istituzioni statunitensi.

57
Olimpia sceglie di non fermarsi alla MLT, proseguendo gli studi nel settore della prima
infanzia sotto la guida di Beth Bolton. In tal modo, il panorama italiano attuale dello
sviluppo musicale dedicato alla prima infanzia è fortemente caratterizzato da due realtà
parallele ma distinte: Musica in Fasce (AIGAM) e Musica in Culla (Donna Olimpia).

2.3.2 Musica in Fasce


Il lavoro svolto da Apostoli ha fatto sì che l'AIGAM e le sue proposte educative,
assolutamente innovative nel panorama italiano, riscontrassero ben presto l'interesse
degli addetti ai lavori, della stampa e dell'opinione pubblica. A quattordici anni dal suo
avvio, l'associazione conta un numero sempre maggiore di formatori specializzati23
(attualmente 130 unità) sparsi su tutto in buona parte del territorio italiano (ed alcuni in
Germania e Svizzera) e quasi diecimila bambini che partecipano a percorsi educativi
strutturati sulla Music Learning Theory e diversificati per l'età degli allievi. Musica in
Fasce è la denominazione relativa alle attività proposte dall'AIGAM per la prima
infanzia. I corsi di Musica in Fasce sono generalmente suddivisi per età (0/24 mesi e
24/36 mesi). Le modalità e gli strumenti utilizzati si rifanno interamente alla prassi
educativa della MLT, di seguito esemplificati nella descrizione di una lezione-tipo.

Un esempio didattico
La fase iniziale della lezione è un momento fondamentale. L'insegnante invita bambini e
genitori ad entrare, fare silenzio e sedersi in cerchio insieme a lui. La collaborazione dei
genitori, sempre presenti con bambini molto piccoli, è importante per il ruolo di
mediazione che svolgono durante tutta la lezione. All'inizio dell'attività l'insegnante
propone come regola fondamentale la sospensione del linguaggio verbale. L'educatore
cerca ciascun bambino con lo sguardo mostrandosi presente ed in ascolto. L'insegnante,
che gestisce i tempi del gruppo, sceglie il momento opportuno per iniziare ad intonare il
canto di apertura, facendo particolare attenzione al respiro, allo sguardo, al movimento
ed alla voce. In questo modo viene sancito l'inizio della lezione e, soprattutto, dell'inizio
di una relazione di gruppo. Il rito di apertura così strutturato permette al bambino di
familiarizzare con il canto (acculturazione). Il silenzio che segue l'ultima nota del canto
23
L'AIGAM è un ente accreditato alla formazione dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della
Ricerca.

58
iniziale conduce all'avvio dell'audiation nel bambino, nonché alla curiosità verso quello
che avverrà subito dopo. Spesso, dopo il canto iniziale i bambini più piccoli restano
attoniti in un profondo sguardo di assorbimento. In altri casi è possibile osservare,
durante o dopo il primo canto, un'interazione dei bambini attraverso la voce o i
movimenti corporei. Sulla base della propria audiation e del proprio bagaglio di
competenze, l'insegnante ha il compito di proseguire l'attività con un nuovo canto che
segua il percorso offerto dalle risposte dei bambini. Ad esempio, con i bambini più
grandi può essere necessario proporre un canto qualitativamente in contrasto con il
primo, insieme ad un'attività di ascolto nello spazio. In questo caso, l'insegnante canta e
si muove offrendosi come modello per il gruppo. I bambini sono liberi di muoversi, ma
senza alcun obbligo di farlo. L'insegnante, rifacendosi al concetto di guida informale, si
tiene il più lontano possibile dall'interferire con la spontaneità dei bambini, salvo i casi
in cui il gruppo non riesca a rispettare le regole fondamentali dell'attività, ovvero il
rispetto dell'ascolto, del gruppo e della musica (Borsacchi, 2010).

La fase centrale della lezione si svolge tra attività di ascolto in movimento, dialogo
musicale libero, momenti di silenzio e gioco. Con i bambini tra 0 e 3 anni, l'insegnante
può proporre dei momenti in cui l'intero gruppo condivide l'attività musicale,
impostando un dialogo musicale che parte dall'interazione tra i canti proposti, le risposte
spontanee dei bambini e gli accompagnamenti cantati dai genitori. Questo tipo di
attività è propedeutica a quella che si può svolgere con bambini maggiori di 3 anni,
ovvero quando è possibile creare dialoghi attraverso l'utilizzo di pattern.

In generale, tutte le attività basate sulla prassi educativa MLT, pur se diversificate per le
età dei bambini, sono pensate per coinvolgere il corpo, la voce ed il movimento,
considerati come gli strumenti chiave per un efficace sviluppo dell'audiation. Nel
proporre ed impostare le attività, l'insegnante è tenuto a conoscere i percorsi di sviluppo
dell'audiation preparatoria di ogni bambino così da poter offrire un contesto e dei
contenuti sempre adatti alle esigenze dei partecipanti. Al contempo, deve aver cura di
non impostare le attività in modo formale e di non dar loro il carattere di una
valutazione scolastica.

Nella fase di chiusura, l'insegnante chiama nuovamente il gruppo al centro della stanza
ed intona il canto finale, invitando tutti i presenti a partecipare. È auspicabile che la

59
conclusione delle attività lasci nel gruppo un desiderio di proseguire il dialogo, ma è
altresì importante che, durante il dialogo musicale, tutti i componenti del gruppo
abbiano potuto esprimersi, "anche silenziosamente" (Borsacchi, 2010, p. 36).

2.3.3 Musica in Culla


Se l'AIGAM si è fondata basandosi sulla proposta teorica di Gordon, sviluppando la
propria metodologia sulla prassi educativa della MLT, l'esperienza del progetto Musica
in Culla è decisamente più complessa. Per comprenderne i presupposti, va inteso che la
Music Learning Theory offre un modo di pensare la musica ed il suo apprendimento
piuttosto che descriverne un vero e proprio metodo. La sua flessibilità la rende adatta a
molteplici situazioni educative. Pertanto, se vengono mantenuti i suoi assunti
fondamentali, la prospettiva teorica e le attività Gordoniane sono integrabili in altre
metodologie dell'educazione musicale offrendo un modello forte per la meccanica
dell'apprendimento che, plasmato a seconda dei contesti e delle finalità, può intrecciarsi
con altri modi di pensare la musica (Sangiorgio, 2006). Su tali presupposti, inizia nel
2000 l'esperienza di Musica in Culla presso la Scuola Popolare di Musica Donna
Olimpia.

In una fase iniziale, Musica in Culla si è subito caratterizzato come progetto di ricerca e
di attività didattiche dedicate ai bambini tra 0 e 3 anni (svolte presso la Donna Olimpia
e in diversi asili nido di Roma). In seguito, sono stati avviati i primi corsi di formazione
per operatori specializzati nella metodologia Musica in Culla, con la stretta
collaborazione di Beth Bolton.

Dopo un periodo iniziale ricco di attività sotto una veste informale, nel 2005 Musica in
Culla trova una sua definizione ufficiale sotto forma di progetto di rete a livello
nazionale, coinvolgendo diverse associazioni e scuole di musica diffuse nel territorio
italiano come partecipanti attive allo sviluppo del progetto. Il prezioso lavoro di rete ha
contribuito ad elaborare un percorso formativo di specializzazione degli operatori di
Musica in Culla che ha portato il progetto ad essere conosciuto ed apprezzato sia a
livello nazionale che internazionale24.

24
Ne sono testimonianza gli inviti ai convegni "Musica 0/3" organizzato dalla SIEM (Società Italiana per
l'Educazione Musicale) nel 2007, dall'ECME (Early Childhood Music Education) tenutosi a Roma nel

60
Negli anni seguenti, oltre ad intensificare le attività e la ricerca dedicate alla prima
infanzia, la rete di Musica in Culla ha organizzato numerosi corsi25, stage, seminari e
concerti, prodotto diverse pubblicazioni ed aumentato i contributi scientifici al progetto,
integrando nel coordinamento anche personalità di rilievo internazionale come lo
psicopedagogista francese François Delalande.

Fin dall'inizio della sua attività, il lavoro svolto dagli operatori di Musica in Culla è
parte integrante di un progetto di ricerca internazionale sull'apprendimento musicale
nella tra 0 e 2 anni, diretto da Beth Bolton per conto della Temple University di
Philadelphia. Tra i partecipanti vi sono ricercatori ed educatori di paesi come Australia,
Nuova Zelanda, Corea del Sud, Brasile, Israele, Lituania, e Germania.

Il lavoro delle diverse attività diffuse sul territorio italiano, che raccolgono anch'esse
dati utili per la ricerca, è garantito dal Coordinamento Nazionale di Musica in Culla. Il
Coordinamento risponde all'esigenza di sviluppare un progetto di rete secondo un'idea
pedagogica ed educativa comune, lavorando a tutela della qualità dell'intervento
educativo e assicurando agli utenti un alto livello di formazione, tirocinio e
specializzazione degli operatori di Musica in Culla.

La notevole diffusione del progetto sul territorio italiano e le collaborazioni


internazionali con ricercatori ed educatori sono state il volano per un'ulteriore
evoluzione del progetto Musica in Culla. Nel 2013 si è istituita l'Associazione
Internazionale "Musica in Culla - Music In Crib", composta da sedici associazioni
italiane ed una estera, la scuola Afinarte di Madrid. Nello stesso anno, la capitale iberica
ha ospitato un seminario sul progetto Musica in Culla a cura di Bolton e Anselmi e un
anno dopo, ancora presso la scuola Afinarte, si è avviato il Proyecto MaMi che utilizza
per la prima volta in Spagna le metodologie sviluppate da Musica in Culla.

2008 e dal MERYC (European Network of Music Educators and Researchers of Young Childrens) nel
2009.
25
Come l'AIGAM, anche Musica in Culla è un ente accreditato alla formazione dal Ministero
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.

61
Aspetti metodologici
I percorsi didattici di Musica In Culla dedicati alla prima infanzia sono generalmente
diversificati a seconda dell'età del bambino. Prendendo come modello di riferimento le
attività di Musica in Culla svolte presso la Donna Olimpia si osserva una divisione in
gruppi così composta: lattanti (dalla nascita fino ai 12 mesi), semidivezzi (da 12 a 30
mesi) e divezzi (intorno ai 3 anni). Le attività, tenute da almeno due operatori
specializzati, sono distribuite bisettimanalmente in incontri di 30-45 minuti ed i bambini
"protagonisti" sono accompagnati dal genitore o da qualcuno che abbia una forte
relazione affettiva con loro. La presenza dell'adulto svolge un'importante funzione di
amplificatore affettivo-emotivo delle proposte degli educatori. Le attività si svolgono in
una grande stanza vuota con un tappeto colorato, dove i bambini trovano lo spazio per
"giocare" con la musica attraverso la voce, il loro corpo e quello degli adulti, il silenzio,
il colore e la fantasia. I materiali utilizzati variano a seconda delle fasce d'età e sono per
lo più foulard colorati, ovetti sonori, teli di lycra (che a seconda del contesto possono
diventare onde del mare, amache su cui riposare, etc.), tamburelli, sonagli ed altri
piccoli strumenti musicali. Il canto, associato ai movimenti del corpo, riveste
un'importanza primaria in tutte le attività.

Nella classe dei bambini fino a 12 mesi di età, l'applicazione della metodologia MLT si
basa sulla proposta iniziale di melodie e sequenze ritmiche accompagnate a movimento
fluente. Attraverso la proposta di modelli informali di canto espressivo e comunicativo,
l'obiettivo è stimolare la partecipazione emotiva dei bambini e la loro capacità di
assorbire il suono elaborandolo secondo l'attitudine propria di ciascuno di essi.
Altrettanto importante è rendere i bambini partecipi del movimento sonoro (senza
muoverli fisicamente) attraverso un gioco di contatto rassicurante e familiare. Gli adulti
si mostrano essenziali nel cogliere il significato della partecipazione al movimento, dei
momenti di silenzio e delle risposte dei bambini, caratterizzate inizialmente soprattutto
da movimenti corporei. Si evidenzia l'alternanza di fasi di assorbimento e di
conversazione musicale inerente alla melodia proposta. Successivamente vengono
introdotti prodotti musicali di complessità maggiore e l'utilizzo di oggetti come mezzi di
interazione musicale.

62
Per Musica in Culla, i bambini tra 12 e 30 mesi costituiscono un target ideale per
l'utilizzo di metodologie basate sulla teoria di Gordon. Le produzioni musicali
spontanee (ed inconsapevoli) dei bambini (caratteristiche dei bambini fino ad un anno di
età) in risposta alla stimolazione musicale proposta lasciano il posto a dinamiche nuove,
contraddistinte da una crescente intenzionalità relazionale. Le proposte dell'operatore,
che nascono come offerta di materiale sonoro da acquisire anche solo passivamente, si
trasformano in gioco musicale con il bambino, la cui caratteristica principale (propria
dei presupposti teorici Gordoniani) è l'assenza di parole. Se questo aspetto ha un peso
relativamente basso nel primo anno di vita, in seguito le esigenze di sviluppo della
verbalizzazione nel bambino caratterizzano buona parte delle sue produzioni vocali.
Nella sua comunicazione il bambino manifesta la sua tendenza verso una piena
consapevolezza: provando e riprovando, cerca di esprimere in modo esatto ciò che
intende dire. Per partecipare al gioco, il piccolo deve scoprire le regole comunicative (in
questo caso, musicali) e trovare il modo di affermare sé stesso. Dopo una fase iniziale di
assorbimento, i bambini tra del gruppo tra 12 e 30 mesi manifestano risposte musicali
spontanee ed intenzionali. Sebbene l'intenzionalità possa compromettere la musicalità
della risposta in sé, in questa fase tale aspetto è considerato secondario rispetto
all'importanza che acquisisce il carattere relazionale della risposta.

Lavorando con i bambini intorno ai 3 anni, Musica in Culla considera la MLT al limite
di una sua applicazione in forma pura. Se nelle fasi precedenti avviene più
spontaneamente il lasciarsi andare ad un linguaggio nuovo, fatto di musica, adesso il
bambino possiede una socialità ed una verbalizzazione ben più strutturate. La
stimolazione sonora e le proposte di varietà musicale e ritmica tese all'acquisizione di
un vocabolario di ascolto lasciano adesso il passo alle attività ludiche in tutte le loro
forme. Viene utilizzato maggiore movimento libero o, comunque, poco strutturato che e
accompagni la musica. L'utilizzo di contestualizzazioni fantastiche permettono di
ascoltare in modo più attivo gli stimoli musicali proposti. Anche se si osserva una certa
accuratezza nell'imitazione delle proposte, va rilevato che sembra venir meno quella
fase di espressività spontanea e maggiormente creativa emersa con i bambini più
piccoli.

In aggiunta ai suddetti percorsi, e con un obiettivo di propedeutica alle attività di


Musica in Culla, è stata affiancata un'attività dedicata esclusivamente alla fase prenatale

63
denominata Musica in Gravidanza. La musica in questa fase si rivela utile per la
mamma che, attraverso la regolazione della propria salute emotiva e lo sviluppo della
capacità di ascoltare sé stessa, i suoi ritmi e il loro modificarsi nel corso della
gravidanza, acquisisce maggiore consapevolezza e serenità nei confronti del suo corpo e
del legame con il figlio. Altrettanto importante è l'effetto sul bambino: considerando la
musica un canale privilegiato di comunicazione prenatale, le attività proposte (voce
parlata e voce cantata, intonazione libera e guidata, vocalizzazioni di gruppo e di coppia
con l'emergenza del timbro musicale del papà, ascolti musicali e movimento)
contribuiscono a preparare una relazione affettiva equilibrata e serena e,
contestualmente, a sviluppare adeguatamente lo sviluppo strutturale e funzionale del
sistema nervoso del feto.

64
Conclusioni
Nel rivedere i contenuti emersi nel presente lavoro, desidero anteporre una breve nota
autobiografica. La mia storia personale mi ha condotto due anni fa ad iniziare a
collaborare nelle attività di propedeutica musicale per bambini tra 3 e 6 anni di età che
si svolgono in una scuola di musica in provincia di Messina. Trovandomi per la prima
volta in un contesto educativo musicale con allievi così piccoli, ho osservato con
interesse l'emergere e lo sviluppo delle loro competenze musicali restando a volte
sorpreso delle differenze individuali, non sempre a vantaggio dei bambini più grandi.
Alla luce dei contenuti emersi nel presente lavoro è possibile ipotizzare che alla base di
tali differenze vi sia non solo una diversa dotazione genetica ma soprattutto diverse
esperienze musicali nella prima infanzia. Johannella Tafuri sostiene fermamente
l'importanza dei fattori esperienziali nello sviluppo delle competenze musicali del
bambino, affermando che al momento

"[…] non ci sono ragioni scientifiche che autorizzano a credere che la natura sia
particolarmente avara con la maggior parte degli individui e generosa con pochi
eletti; semmai ci sono buone ragioni per pensare che tutti ricevano una dotazione
genetica sufficiente per uno sviluppo musicale 'buono' e che le differenze
effettivamente riscontrabili siano dovute all'azione di numerosi fattori." (Tafuri,
2007, p.136 seg.)

L'ipotesi di Tafuri su una dotazione comune potenzialmente sufficiente per un buono


sviluppo musicale si trova in accordo con le numerose ricerche scientifiche che negli
ultimi anni stanno accrescendo le conoscenze sulle competenze musicali nella prima
infanzia ed evidenziando risultati inimmaginabili solo fino poco tempo fa. A tal
proposito, è stato sorprendente scoprire che vi siano compiti in cui i bambini mostrano
nel primo anno di vita competenze e strategie di elaborazione simili a quelle degli
adulti, se non addirittura superiori (come avvenuto negli studi sulle scale musicali). Nel
complesso, dalle ricerche emerge un quadro estremamente interessante sulle potenzialità
musicali del primo anno di vita: il bambino dimostra di essere pronto ad elaborare gli
stimoli musicali in età molto precoce, evidenziando delle vere e proprie predisposizioni

65
che sembrano essere determinanti nelle preferenze espresse dal bambino verso
particolari stili comunicativi, come il canto materno.

Una madre che canta una dolce e cullante melodia al proprio piccolo compie, in un
magnifico atto d'amore, un'azione che induce un importante effetto sullo stato del
bambino. In questo modo, la madre dimostra di sapere spontaneamente come ottenere
l'attenzione del bambino e come indurre in esso un effetto calmante. Il bambino reagisce
al messaggio musicale materno placando il suo stato di agitazione e ritrovando nella
voce della madre quel "paradiso perduto" della fase prenatale in cui era un tutt'uno con
l'universo sonoro intrauterino (Fornari, 1984, p. 13). In un atto così semplice e
spontaneo emerge un dato illuminante: nel prendersi cura del suo piccolo, la madre gli
si rivolge non tanto con le sue parole, ma piuttosto con la sua intenzionalità e, pertanto,
con la sua espressività. Ciò che giunge al bambino (anche per ovvie ragioni di sviluppo)
non è il contenuto del messaggio ma la sua forma. Il bambino, con la sua particolare
sensibilità verso gli stimoli musicali, mostra qui una particolare predisposizione a
cogliere il significato negli aspetti musicali del messaggio materno. Pertanto, è la
musicalità del messaggio a giocare un ruolo fondamentale nelle forme comunicative tra
madre e bambino nella prima infanzia. Per gli stessi motivi, anche la preferenza
evidenziata nei confronti del baby-talk sembra riflettere la particolare sensibilità del
bambino verso gli stimoli musicali emersa negli studi qui riportati. Inoltre l'esistenza di
tale sensibilità innata nel bambino potrebbe aver avuto importanti implicazioni in
termini evolutivi, contribuendo all'efficacia delle pratiche materne di cura in difficili
condizioni ancestrali.

Riprendendo nuovamente il pensiero di Tafuri, se da una parte è vero che tutti i bambini
nascono come "esseri musicali", cioè propensi in modo naturale nei confronti della
musica, ne consegue che molto del loro sviluppo musicale, e pertanto delle differenze
individuali osservabili, dipenda dalla quantità e dalla qualità delle stimolazioni ricevute
(Trehub, 2001, p. 12). Per tale motivo, nel rivisitare il vissuto musicale del bambino fin
dalle sue origini è stato necessario volgere lo sguardo alle sue primissime esperienze
uditive, a partire dal terzo trimestre di gravidanza. Già prima di venire al mondo, le
esperienze sonore prenatali hanno effetti strutturali e funzionali sullo sviluppo psichico
del bambino, testimoniati anche dalla stretta connessione tra la vita sonora prenatale e
postnatale evidenziata dalle recenti evidenze scientifiche. In tal senso, le preziose

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indicazioni offerte dalla ricerca italiana di Daniela Perani (2010) sulle competenze
musicali neonatali svoltasi presso l'Ospedale San Raffaele di Milano sembrano fornire
un continuum ai risultati ottenuti da Barbara Kisilevsky sulla maturazione della risposta
fetale alla musica. In seguito, Tafuri e Gordon, sostenuti dalla moderna ricerca
scientifica, dimostrano ampiamente come l'ambiente sonoro del bambino e le
stimolazioni ricevute dagli adulti assumono un ruolo cruciale per il suo sviluppo
ulteriore. Da un lato, gli stimoli ritmici e sonori della vita quotidiana del bambino
forniscono un contributo importante per lo sviluppo delle competenze musicali.
Dall'altro, si evidenzia l'inattivazione di alcune abilità allo scopo di potenziare quelle
più utili all'elaborazione degli stimoli predominanti della propria cultura di
appartenenza. Contemporaneamente, la sopracitata predilezione del bambino verso gli
aspetti musicali del linguaggio verbale, offre al genitore uno strumento inestimabile per
poter entrare in comunione emotiva con il piccolo. In tal senso, sia il baby-talk che il
canto rivolto al bambino, con le loro peculiari caratteristiche che li rendono simili in
tutte le culture conosciute e differenti dalle forme comunicative parlate e cantate
"adulte", rappresentano il mezzo privilegiato per giungere ad una buona sintonia
affettiva tra genitore e figlio. La profonda esperienza delle interazioni tra madre
bambino, approfondite grazie al prezioso contributo di Michel Imberty (2002) e Daniel
Stern (1977), acquisterà un valore cruciale nella costruzione del Sé e nello sviluppo
dell'affettività e delle competenze sociali del bambino.

In aggiunta all'arricchimento conseguente alle stimolazioni ricevute, va ricordato che il


bambino è portato spontaneamente ad esplorare le proprietà sonore dell'ambiente in cui
vive, che siano piccoli strumenti musicali offerti dagli adulti oppure oggetti che possano
fungere da stimolo alla sua curiosità. Allo stesso modo, l'esplorazione del bambino
avviene anche attraverso le sue stesse produzioni vocali che, seguendo la maturazione
del tratto vocale, si evolvono da produzioni di carattere consonantico a vere e proprie
lallazioni musicali, fino all'emergenza delle prime forme di canto nel corso del secondo
anno di vita. Nel suo percorso verso il parlato ed il canto, il bambino manifesta uno
spiccato interesse verso l'esplorazione delle proprie capacità fonatorie, probabilmente
amplificato dalle piacevoli sensazioni propriocettive causate dalle vibrazioni sonore
autoprodotte. Tuttavia, le vocalizzazioni del bambino, oltre ad essere il frutto di un
naturale intento esplorativo, sono in buona parte dei tentativi di imitazione che riflettono

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le stimolazioni offerte dall'ambiente. Ecco come, anche in questo caso, torna ad essere
rilevante il contributo dell'adulto nel fornire al bambino stimoli salienti affinché possa
sviluppare in modo efficace le proprie abilità linguistiche e, successivamente, la
capacità di cantare correttamente.

Dai contenuti emersi è chiaro che non sono soltanto le competenze musicali ad essere
influenzate dalla musicalità degli stimoli ricevuti. Sono evidenti anche importanti
contributi sulle competenze comunicative, alla costruzione del Sé, allo sviluppo
dell'affettività e della socialità, e alla costruzione di un legame emotivo con i genitori.
Inoltre, come ampiamente riportato dai referenti del progetto Nati per la Musica, i
benefici dell'esperienza musicale precoce sono evidenti anche in altri aspetti dello
sviluppo del bambino come l'attenzione, la memoria ed il linguaggio.

È ipotizzabile che opportune pratiche educative, attuate fin dai primi mesi di vita,
possano condurre a massimizzare il raggiungimento dei benefici sopra esposti. Di
conseguenza, è lecito chiedersi quale sia l'età migliore per iniziare un'educazione
musicale del bambino e quale il metodo più adatto.

Una prima risposta preziosa ed originale a tali quesiti viene dal Progetto inCanto di
Johannella Tafuri e Donatella Villa, i cui risultati hanno fornito un'indicazione
importante sul rapporto tra età e prestazioni musicali, in un contesto in cui venga
garantita un'ampia e diversificata esperienza musicale del bambino a partire dal 6° mese
di gravidanza. Secondo Tafuri, data la predisposizione del bambino verso il mondo
della musica e del canto, è compito di educatori e genitori creare un contesto educativo
che permetta un pieno sviluppo della musicalità, che sia ricco di contenuti (tra canti e
musiche di diversi stili e generi, girotondi, danze, strumenti per la libera esplorazione
del bambino) ma anche di momenti più strutturati che sostengano le attività musicali del
bambino. La ricercatrice sostiene anche che i tempi devono essere adeguatamente
dosati, evitando attività troppo brevi ed altre che generino effetti di saturazione, ed
afferma l'importanza di un clima affettivamente positivo che dimostri al bambino
quanto le attività siano desiderabili, favorendo l'interazione sociale e procurando nel
bambino una gratificazione nel sentirsi lodati e apprezzati (Tafuri, 2007).

Un secondo contributo, che implicitamente condivide molte tra le considerazioni emerse


nella ricerca di Tafuri e Villa, è fornito dall'inestimabile lavoro di Edwin Gordon.

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Offrendo una visione innovativa dell'apprendimento musicale attraverso meccanismi
paralleli all'apprendimento del linguaggio, lo studioso americano ha contribuito a
spostare il focus attentivo dell'educazione musicale dall'età scolare ai primi anni di vita
del bambino. Con la Music Learning Theory emerge ancora una volta l'importanza dei
fattori esperienziali: secondo Gordon, sulla base della propria attitudine musicale (la
dotazione genetica), la qualità e la quantità delle stimolazioni musicali offerte
dall'adulto influenzano in modo determinante lo sviluppo del vocabolario musicale del
bambino (di pari importanza al vocabolario che il bambino sviluppa per l'apprendimento
verbale) e, di conseguenza, lo sviluppo della sua capacità di Audiation. Le applicazioni
metodologiche della MLT realizzate dall'associazione AIGAM (Musica in Fasce) e dal
progetto Musica in Culla, attive da circa quindici anni ed in continua espansione su gran
parte del nostro paese, svolgono un ruolo molto importante nel panorama italiano
dell'educazione musicale. La loro attività di divulgazione, formazione, ricerca e
didattica, contribuisce a focalizzare l'attenzione educativa sulle esperienze musicali
della prima infanzia ed offre ad allievi e genitori di vivere un'esperienza musicale
completamente nuova con tutti i piaceri ed i benefici che ne derivano.

Il percorso fin qui delineato riflette le idee che ho maturato attraverso nella
realizzazione del presente lavoro. Le conoscenze che ho potuto approfondire, grazie
anche all'interesse sempre maggiore degli studi scientifici verso le relazioni tra
l'esperienza musicale del bambino ed il suo sviluppo, hanno contribuito ad arricchire la
mia esperienza personale come musicista ed educatore, offrendomi numerosi spunti per
inquadrare quelle differenze individuali osservate tra i giovani allievi di propedeutica
musicale che hanno contribuito a stimolare la mia attenzione sul tema.

È stato sorprendente scoprire la presenza di competenze musicali così sviluppate già nel
primo anno di vita del bambino. Ancor più suggestivo è stato approfondire gli aspetti
musicali delle interazioni tra madre e bambino, con le numerose implicazioni sullo
sviluppo affettivo e cognitivo.

Al contempo, sono rimasto profondamente colpito dal coraggio e dalla tenacia delle
ricercatrici del Progetto inCanto, che in sei anni di duro lavoro hanno affrontato un
percorso molto complesso e raccolto una notevole mole di dati, fornendo un contributo
infinitamente prezioso nella ricerca sullo sviluppo della musicalità nel bambino.

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In conclusione, non posso che affermare di aver trovato una grande ispirazione nel
pensiero di Edwin Gordon. Sebbene la sua trattazione nel presente lavoro sia stata
tutt'altro che esaustiva, l'averne discusso i concetti fondamentali, al fine di citare le sue
più importanti applicazioni metodologiche in Italia, mi ha permesso di aprire nuove e
stimolanti prospettive sulla mia personale idea di educazione musicale.

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