Analisi Retorica Di Marco 6-1-13 PDF
Analisi Retorica Di Marco 6-1-13 PDF
FACOLTÀ DI TEOLOGIA
DIPARTIMENTO DI TEOLOGIA BIBLICA
L’ANALISI RETORICA
DI MARCO 6,1-13
Roma
2012
INDICE GENERALE
CONCLUSIONE FINALE..............................................................................28
2
INTRODUZIONE
1
R. MEYNET, Trattato di retorica biblica, Bologna 2008.
2
Ibid., 666-679.
3
affrontate con una speciale attenzione. Per capire e tradurre meglio il
termine greco du,namij che ha una certa rilevanza nella sequenza, propongo
di rintracciare il suo uso nella Bibbia greca detta dei Settanta (LXX) e nel
Nuovo Testamento.
Il secondo capitolo sarà dedicato al Marco 6,1-6. In breve si spiega la
costruzione del primo passo, la sua riscrittura secondo le norme della
retorica biblica. Il prossimo punto importante è il contesto biblico di
Mc 6,1-6. Nella presentazione dei paralleli sinottici del passo non possono
mancare i riferimenti al vangelo di Giovanni, dove cercherò di evidenziare
i punti comuni e anche le divergenze tra i testi. Per compiere l’analisi come
ultima tappa seguirà l’interpretazione del passo.
Nel terzo capitolo sarà analizzato Marco 6,7-13. Prima segue la
riscrittura del passo e la breve presentazione delle sottodivisioni. Nel
contesto biblico saranno evidenziate le somiglianze con altri testi
neotestamentari. In fine c’è l’interpretazione del secondo passo.
Il quarto capitolo analizza la sequenza di Marco 6,1-13. Verrà fatta la
riscrittura di tutto il testo insieme. Evidenzierò i legami interi del testo e
anche ciò che rende la sua unità. Nel contesto biblico della sequenza
l’attenzione sarà focalizzata su alcuni termini della sequenza i quali
appaiono nell’Antico ed il Nuovo Testamento. Nell’interpretazione della
sequenza il compito principale sarà quello di vedere tutto insieme e non
solo le cose comune per i passi ma anche le divergenze tra di loro.
Il lavoro non si propone di risolvere alcuna domanda cruciale presente in
Marco e in particolar modo in questa sequenza. È davvero una prova di
lettura e di interpretazione del testo, usando il metodo retorico.
4
1. ANALISI DEL TESTO MARCO 6,1-13
5
1.2 CRITICA TESTUALE
kai. VIwsh/toj
Il testo ha il parallelismo sinottico in Mt 12,46.
kai Iwshf viene usato nel codice Sinaitico ed in alcuni manoscritti latini.
kai Iwsh è testimoniato nei seguenti codici: Alessandrino, Ephraemi,
Washingtonensis, famiglia 1, maggioranza dei testi koinè, i manoscritti
sahidici.
Questa espressione manca nel codice latino Corbinico famiglia 2, codice
italico Vindobonesis.
kai. VIwsh/toj la versione presente nel testo è testimoniata nei seguenti
codici: Vaticano, Bezae, Leningradensis, Sangallensis, Koridethi, famiglia
13, i manoscritti 33, 565, 579, 700, 2427, 2542, alcuni manoscritti latini (di
Vercelli), i manoscritti sahidici e bohairico.
Dopo aver preso in considerazione i criteri esterni (l’attestazione
plurima, i manoscritti antichi e anche affidabili) e pur tenendo conto delle
diverse famiglie dei testi presentati, è opportuno ritenere che l’attestazione
kai. VIwsh/toj gode di maggior probabilità.
Invece, per quanto riguardano i criteri interni sembra che la versione
usata nel testo kai. VIwsh/toj sia più difficile e più originale. Si può
presupporre che, sia facile ad un copista scambiare kai. VIwsh/toj con kai
Iwshf «e Giuseppe» poiché l’ultimo sarebbe la persona collegata con Gesù
e attestata nel Nuovo Testamento. Pure l’altra versione kai Iwsh potrebbe
essere una forma abbreviata a seguito di uno sbaglio uditivo oppure visivo.
Tuttavia, la variante kai. VIwsh/toj la versione usata nel testo sembra
essere quella originale. In accordo di valutazione della critica testuale
sembra che la versione più probabile sarebbe kai. VIwsh/toj. Infatti, questa è
la variante preferita anche da Metzger3.
3
Cf. B.M. METZGER, A Textual Commentary on the Greek New Testament, Stuttgart
2002, 76.
6
1.3 QUESTIONI GRAMMATICALI
4
Cf. B.M. NEWMAN, Concise Greek-English Dictionary of the New Testament,
Stuttgart 1993, 49.
5
G. FRIEDRICH, «du,namij», DENT, I, 944.
6
W. GRUNDMANN, «du,namij», TDNT, II, 285.
7
Cf. B. FRIBERG, – T. FRIBERG, – N.F. MILLER, «du,namij», Analytical Lexicon of the
Greek New Testament, Grand Rapids 2000, 121.
7
1.3.1 du,namij nell’Antico Testamento
8
W. GRUNDMANN, «du,namij », TDNT, II, 290.
8
Per scoprire la logica e le tendenze della traduzione di du,namij nella
LXX servirebbe un altro studio, molto più ampio. Tuttavia, dalla presente
breve indagine sull’uso del termine du,namij nella LXX, emerge che questo
termine traduce diversi vocaboli dall’ebraico, ed ha un senso piuttosto
variegato: cominciando dal semplice senso come l’esercito, fino ad arrivare
ad indicare lo sforzo della persona di amare Dio. Il significato del
sostantivo du,namij che però è il più diffuso è quello della forza divina che
interviene in una situazione concreta per difendere l’orante, presentato
come una provvidenza.
9
Spesso con il termine du,namij viene descritta la forza di Gesù la quale
guarisce le persone (Mc 5,30; Lc 6,19) oppure comanda agli spiriti impuri
(Lc 4,36). Egli diede questa forza e potere su tutti i demoni e di guarire le
malattie anche ai suoi discepoli du,namin kai. evxousi,an evpi. pa,nta ta.
daimo,nia kai. no,souj qerapeu,ein (Lc 9,1).
Altrove, in Marco 9,1 si legge del regno di Dio che viene nella sua
potenza th.n basilei,an tou/ qeou/ evlhluqui/an evn duna,mei.
Nel libro degli Atti invece il termine du,namij descrive la forza della
discesa dello Spirito Santo sui discepoli (1,8). Anche Pietro nel suo
discorso nella casa di Cornelio afferma «Dio consacrò in Spirito Santo e
potenza Gesù di Nàzaret» VIhsou/n to.n avpo. Nazare,q( w`j e;crisen auvto.n o`
qeo.j pneu,mati a`gi,w| kai. duna,mei (10,38).
Nelle lettere paoline il Vangelo è chiamato «la potenza di Dio» du,namij
ga.r qeou/ (Rm 1,16); oppure, la predicazione della croce costituisce una
«potenza di Dio» du,namij qeou/ (1Cor 1,18). L’apice della teologia paolina,
è che Cristo crocifisso è «potenza di Dio e sapienza di Dio» qeou/ du,namin
kai. qeou/ sofi,an (1Cor 1,24).
Il libro dell’Apocalisse quando presenta la vittoria divina e il trionfo
sulla grande prostituta, usa il termine du,namij per affermare che la
«salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio» h` swthri,a kai. h` do,xa kai.
h` du,namij tou/ qeou/ h`mw/n (19,1).
Si deve riconoscere che il termine du,namij non dimostra un significato
univoco nel Nuovo Testamento. Lo stesso termine viene utilizzato quando
si tratta di prodigio, oppure della capacità umana, o anche quando presenta
le forze celeste. Dall’altra parte è riconosciuto che la forza e potenza di Dio
oppure di Gesù, quando egli concede essa ai suoi discepoli, è descritta con
il sostantivo du,namij. In altri testi, invece, è riferito alla forza e alla potenza
divina soprattutto in rapporto con Gesù.
Riguardo al testo di Mc 6,1-13 dove il termine du,namij appare due volte
(Mc 6,2.5) non sarebbe corretto tradurre con lo stesso vocabolo italiano
entrambi occorrenze. Tuttavia, tale traduzione italiana non rispecchia la
profondità del termine, il quale è rafforzato dal verbo evdu,nato «poteva».
Perciò è stato proposto di tradurre il termine duna,meij in Mc 6,2 come
«potenze», e non «prodigi» come invece preferisce la traduzione della CEI.
Il motivo sembra essere che nel Vangelo di Marco i compaesani non hanno
visto ancora Gesù in azione, poiché nel Vangelo di Marco è la prima volta,
che egli viene nella patria. Perciò sentir parlare dei miracoli sembra fuori
posto. Sicuramente, i suoi compaesani potrebbero aver sentito parlare di lui
e dei suoi prodigi, ma l’autore presenta il loro dubbio riguardo alla sua
saggezza e anche alla sua capacità di agire. Intanto potevano sentire il suo
10
insegnamento nella sinagoga (Mc 6,2b), così avrebbe senso valutare la sua
sapienza, ma non le opere.
Tra l’altro in tutto il Vangelo di Marco non viene usato mai il verbo
gi,nomai «avvenire» con du,namij nel senso di «prodigio». Non solo, ma in
un contesto di dubbio e di incredulità sarebbe più logico, che essi parlino
piuttosto della sua capacità o forza di agire che di miracolo. L’uso del
termine «potenze» rispecchia la loro logica, la quale non riesce a spiegare
ciò che sta accadendo e può presentare le voci quali avrebbero sentito dagli
altri nei confronti di Gesù.
Un altro discorso invece riguarda Mc 6,5 dove lo stesso termine du,namij
ha più il senso di «prodigio». In questo versetto è presente la logica del
narratore il quale racconta che Gesù non compie nessun miracolo, tranne
pochi malati i quali vengono guariti. L’incredulità dei compaesani non
permette di fare qualcosa di più. Anche il verbo poie,w viene usato un’altra
volta con du,namij nel senso del miracolo nel Vangelo di Marco (9,39). Per
cui, per rendere il significato del testo più chiaro, occorre tradurre du,namij
come «prodigio» in Mc 6,5 così diventa più esplicita l’incredulità di alcuni
compaesani, per la quale si è meravigliato Gesù. Di seguito il termine
duna,meij in Mc 6,2 è meglio tradurlo con «potenze». Tale traduzione non
tradisce il testo originale, ma lo rende più comprensibile.
11
2. PRIMO PASSO MARCO 6,1-6
12
provenienza della saggezza e della potenza. Il secondo trimembro (Mc
6,3abc) e l’unimembro (Mc 6,3d) rivelano i suoi legami familiari, ben
conosciuti dai presenti. L’ultimo brano (Mc 6,3e) della seconda parte, in un
modo conciso ma molto chiaro, descrive l’atteggiamento dei compaesani
riguardo Gesù. La terza parte (Mc 6,4-6a) presenta la risposta di Gesù. Il
secondo e terzo brano in seguito (Mc 6,4bcde) presentano le parole di
Gesù e le sue opere (Mc 6,5), essendo più precisa l’assenza degli ultimi.
Come la seconda così la terza parte hanno nella conclusione l’unimembro,
il quale diventa un riassunto degli atteggiamenti tra Gesù e i suoi
compaesani. L’ultima parte continuando la logica della prima, descrive
Gesù nella missione, occupato con l’insegnamento.
13
Marcus non crea nessun problema la mancata attenzione riguardo al
padre11.
Dopo l’episodio nella patria, Matteo descrive la preoccupazione di Erode
per la fama di Gesù, cui associava Giovanni Battista condannato a morte
(Mt 14,1-12).
Il testo di Mt 9,35 «Gesù percorreva tutte le città e i villaggi,
insegnando» corrisponde al Mc 6,6, però al racconto matteano precede una
serie di guarigioni: di due ciechi (Mt 9,27-31) di un indemoniato e l’accusa
dei farisei che Gesù scacciava i demoni con l’aiuto del principe dei demoni
(Mt 9,32-34). Nel caso di Matteo il suo racconto è più sviluppato: «Gesù
percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe,
annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni
infermità» (9,35). Invece il testo di Marco è più conciso, poiché
semplicemente dice «e percorreva i villaggi d’intorno insegnando» (6,6).
Secondo Luca dopo le tentazioni nel deserto (Lc 4,1-13) Gesù subito
ritorna in Galilea. Dopo egli arriva a Nàzaret dove nella sinagoga legge il
rotolo di profeta Isaia e insegna. Luca, unico dei tre sinottici, descrive il
contenuto del suo insegnamento e la reazione tanto crudele dei compaesani
(4,16-30). Dopo che Gesù fu cacciato dalla sinagoga, egli subito scende a
Cafàrnao dove compie una serie di guarigioni: di un indemoniato (Lc 4,31-
37), della suocera di Simone (Lc 4,38-39) e di molti altri (Lc 4,40-41).
In Giovanni, appaiono alcuni versetti i quali assomigliano a ciò che è
presentato nella sequenza di Marco 6,1-13. Analizzando le somiglianze e le
divergenze tra i testi di Giovanni e Marco diventa chiaro come ogni autore
interpreta il racconto.
A Gv 7,15 corrisponde Mc 6,2 con la sola differenza che i compaesani
nel racconto di Marco si meravigliano per «la saggezza data a costui e tali
potenze» h` sofi,a h` doqei/sa tou,tw|( kai. ai` duna,meij. Invece in Giovanni, i
giudei sono stupiti che egli «conosce le Scritture, senza aver studiato»
gra,mmata oi=den mh. memaqhkw,j.
In Gv 6,42 i giudei mormorano contro Gesù, quando egli si presenta
come il pane della vita, dicendo «costui non è forse Gesù, il figlio di
Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre?» ouvc ou-to,j evstin
VIhsou/j o` ui`o.j VIwsh,f( ou- h`mei/j oi;damen to.n pate,ra kai. th.n mhte,ra.
Anche nel testo di Mc 6,3 i compaesani conoscono bene il lavoro che fa
Gesù, cioè falegname, anche sua madre, i fratelli e le sorelle. Invece
Giovanni sottolinea due volte suo padre. Sembra che per Giovanni fosse
stato importante accentuare la figura del padre di Gesù.
11
J. MARCUS, Mark 1-8: A New Translation with Introduction and Commentary, The
Anchor Yale Bible 27A, New Haven 2008, 374.
14
Secondo il testo di Gv 4,44 Gesù viene in Galilea e testimonia che «un
profeta non riceve onore nella propria patria» profh,thj evn th/| ivdi,a| patri,di
timh.n ouvk e;cei. Questo assomiglia al Mc 6,4 dove questo discorso è più
sviluppato «non è un profeta disprezzato se non nella sua patria e tra i
parenti suoi e nella casa sua».
Marco 6,2 menziona la «sinagoga» sunagwgh, un posto cruciale per la
vita della comunità ebraica. Nel suo vangelo essa è menzionata otto volte,
fra le quali tre appaiono nel contesto dell’insegnamento di Gesù (1,21.39;
6,2), i due casi di guarigioni accadono direttamente nella sinagoga
(1,23.29; 3,1). Gli ultimi due presentano i discorsi diretti di Gesù: nel
primo Gesù critica gli scribi (12,39), nell’altro presenta il discorso
escatologico (13,9).
In Marco 6,2 «la saggezza» sofi,a di Gesù è menzionata una sola volta
nel vangelo. Anche in Mt 13,54 questo termine appare quando Gesù
incontra l’incredulità ed il rifiuto da parte dei compaesani. Invece nel
vangelo di Luca si sottolinea qualche volta la sapienza di Gesù bambino
(2,40.52).
L’analisi del contesto biblico di Mc 6,1-6 evidenzia che l’episodio della
venuta di Gesù in patria si trova in tutti tre sinottici, però ognuno organizza
la susseguenza degli eventi secondo la sua logica. Anche Giovanni contiene
alcune frasi, simili al Mc 6,1-6, però li inserisce in un altro contesto, spesso
anche diverso da quello marciano.
15
Gli eventi nel secondo brano della prima parte (Mc 6,2ab) accadono di
sabato, così non è chiaro quando siano arrivati Gesù ed i suoi discepoli e
quanto tempo siano rimasti lì. Poi viene subito detto che Gesù insegnava
nella sinagoga, però senza specificare il contenuto del suo insegnamento.
Come afferma Guelich nel suo commentario, «this is the last mention in
Mark of Jesus’ teaching or even his presence in a synagogue».12 Infatti, le
prossime menzioni della sinagoga, vengono fatte soltanto nei discorsi
diretti di Gesù.
La seconda e la terza parte presentano i discorsi diretti. Leggendo
l’unimembro (Mc 6,2c) diventa chiaro che i compaesani sono stupiti, e dal
prossimo brano si scopre il loro ragionamento. Proprio il termine greco «si
stupivano» evxeplh,ssonto riflette la loro risposta riguardo alle parole di
Gesù. I compaesani, invece di discutere l’insegnamento di Gesù, suscitano
la questione della provenienza, della sapienza e delle sue potenze, anche
l’identità della sua famiglia. È possibile che abbiano sentito delle sue
capacità, ma nessuno è stato il testimone dei suoi miracoli. Quando sono
assicurati che lui è lo stesso Gesù, il quale conoscevano da tanto tempo, il
loro interesse si è cambiato in rifiuto, anzi, di più, in uno scandalo
(Mc 6,3e).
La terza parte (Mc 6,4-6a) presenta la risposta di Gesù, il quale rifiuta le
accuse dei compaesani, paragonando la sua sorte a quella dei profeti. Nel
suo discorso egli descrive questa situazione come solita per la storia
d’Israele. In questa storia i profeti raramente erano accettati, ma piuttosto
disprezzati nella patria, tra i parenti, anche nella casa (1Re 22; Am 7,10-17;
Ger 11,18-23; 26). Gesù intendeva confrontare la sua vita con quella di un
profeta oppure la percezione da parte dei compaesani con quella d’Israele
verso i profeti? Potrebbero essere tutte e due le risposte giuste e
complementari.
L’ultimo brano della terza parte presenta il Figlio dell’uomo, il quale non
ha fatto neanche un prodigio nella sua patria. Allora, come capire la nota
che «pochi infermi ponendo le mani li curò», questi non erano guariti?
Sembra, che Mc 6,5 sia stato scritto dal punto di vista dei compaesani, la
maggior parte di loro per l’abitudine non riesce a vedere il prodigio
neanche nella guarigione. Se invece l’autore avesse scritto il brano secondo
la testimonianza delle persone guarite, Gesù sarebbe stato riconosciuto
come Messia. Loro riuscirebbero a vedere in Gesù non solo un vicino, che
abita nello stesso paese, ma anche un taumaturgo e molto di più.
Leggendo attentamente ci si accorge, che dopo le due parti non è stato
ancora rivelato l’insegnamento di Gesù. Sembra, che le parole pronunciate
12
R.A. GUELICH, Mark 1-8:26, 308.
16
da lui siano andate invano e nessuno li registrerebbe oppure che Marco le
nasconda apposta. Il secondo passo elimina questa lacuna.
Intanto l’unica risposta di Gesù allo scandalo dei suoi compaesani è stata
la sua meraviglia. Per capire meglio lo stupore del Figlio dell’uomo
aiuterebbe vedere tutto ciò con i suoi occhi.
La seconda e la terza parte avendo molto in comune si distinguono in
alcuni particolari. Prima di tutto in Mc 6,2c riguardo ai molti compaesani
viene usato il verbo «ascoltando» avkou,ontej, tuttavia loro non sentono.
Loro sono sordi, poiché se avessero sentito bene, avrebbero accettato Gesù
come Messia. La terza parte non solamente paragona Gesù con i profeti,
ma è un riassunto della sua venuta. Gesù come i profeti prima di lui, non è
stato accettato in patria, tra i parenti e neanche a casa, dove non si
menziona che si sia fermato.
L’ultima parte costituisce un’altra risposta all’incredulità di alcuni
compaesani della patria, poiché Gesù continua l’insegnamento nei villaggi
vicini. Egli persiste nel fare ciò che deve, e la sua missione non si ferma a
causa dell’incredulità di alcune persone. Non solamente continua, ma
coinvolge anche altre persone, come per esempio i discepoli, ciò che viene
presentato nel prossimo passo.
17
3. SECONDO PASSO MARCO 6,7-13
- evkporeuo,menoi evkei/qen
- evktina,xate to.n cou/n to.n u`poka,tw tw/n podw/n u`mw/n
- eivj martu,rion auvtoi/jÅ
18
quarta parte avendo due bimembri contiene sei verbi: tre rispecchiano
l’attività dei discepoli, altri tre che descrivono ciò che succedeva durante la
loro missione.
19
lo stesso gesto sono: Mt 10,14; Lc 9,5; 10,11; Att 13,5. In tutti questi
riferimenti il termine greco «polvere» è koniorto,j e solo nell’unico
vangelo di Marco si usa cou/j (6,11). E tra i testi soprammenzionati solo
Luca parla della polvere come testimonianza (9,5).
Il dizionario di Balz–Schneider sottolinea che «un giudeo scuoteva la
polvere di un territorio pagano, quando dopo un viaggio tornava nella sua
terra, con ciò viene eliminata qualsiasi forma di comunione»13. Un altro
significato quale potrebbe avere la polvere è un lutto, quando le persone
addolorate spargevano la polvere sulla loro testa (e.g. Gs 7,6; Is 52,2; Lam
2,10)14. Nella LXX il termine «la polvere» cou/j è menzionato per la prima
volta in Gen 2,7 traducendo il termine ebraico ‘rp'[', il quale ricorre
nell’episodio del primo peccato e l’ordine divino riguardante l’umanità:
«con il sudore del tuo volto mangerai il pane […] polvere tu sei e in
polvere ritornerai» evn i`drw/ti tou/ prosw,pou sou fa,gh| to.n a;rton […] gh/
ei= kai. eivj gh/n avpeleu,sh| (Gen 3,19), però nel testo greco si tratta di
«terra». Tra l’altro, in nessun testo dell’Antico Testamento è affermata la
menzione della polvere come un testimone.
In Mc 6,13b i discepoli «ungevano con olio» h;leifon evlai,w| che
diventerà una pratica cristiana radicata non solo nel Nuovo Testamento
(e.g. Lc 10,34; Gc 5,14), ma anche nell’Antico Testamento, dove l’uso
dell’olio fu collegato con la cura delle ferite (e.g. Is 1,6; Ez 16,9).
Dall’indagine del contesto biblico si scopre come ogni vangelo presenta
la missione dei discepoli. Matteo per esempio ha un capitolo dedicato alla
missione, Luca specifica due diversi gruppi, cioè i Dodici ed i Settanta, i
quali vanno a predicare. Anche l’ordine di Gesù in ogni vangelo riceve le
sue sfumature specifiche, per la tradizione di andare in due ci sono ragioni
anche nell’Antico Testamento. Anche lo stesso gesto di «scuotere la
polvere» fu influenzato dall’ambito veterotestamentario e il suo significato
ricava altre sfumature nel Nuovo Testamento. Per esempio, prima lo stesso
gesto era usato contro altri popoli, invece i discepoli con esso testimoniano
contro coloro che non accettano il loro insegnamento.
Invece alcune azioni fatte dai discepoli, come l’unzione con olio, in
futuro diventeranno una prassi della comunità e nel seguito anche della
chiesa primitiva. Questi piccoli dettagli aiutano a scoprire il significato del
testo e ad interpretarlo.
13
«cou/j», DENT, II, 1916.
14
«cou/j», BDAG, 1087.
20
3.3 INTERPRETAZIONE DI MARCO 6,7-13
Gesù, dopo tutti questi eventi nella patria «chiama i Dodici e si mise a
mandar loro a due a due» (Mc 6,7ab). In tale modo comincia il secondo
passo. Da questo momento Gesù li considera abbastanza autonomi per
andare ad insegnare. I Dodici si trasformano nei testimoni di Gesù. Loro
sono incaricati di portare la buona notizia dappertutto dove possono
arrivare.
Nella prima parte (Mc 6,7abc) i Dodici ottengono da Gesù «autorità»
evxousi,a sui demoni. Invece, la quarta parte (Mc 6,12-13) evidenzia, che
loro anche proclamavano e convertivano la gente, ungevano con olio
numerosi infermi e questi guarivano. Sembra che l’autorità che hanno
ricevuto includa altre funzioni e compiti, i quali erano sottintesi, anche le
loro capacità crescono nel momento, quando è cominciata la missione.
La seconda parte (Mc 6,8-9) evidenzia il modo in cui devono prepararsi
per la strada i Dodici. Il modo di raccontare la vicenda è particolare: le frasi
corte, assenza dei predicati, le particelle negative creano l’impressione
della fretta. La costruzione grammaticale e il modo di esprimersi fanno
sembrare che sia messo in scritto un linguaggio orale. Quando uno si
prepara per la strada ha bisogno di portare con se solo le cose utili e di
prima necessità. Tutto ciò che possono portare è un bastone, la cintura ed i
sandali; tutto il resto che normalmente potrebbe servire è vietato. Gesù è
molto concreto in questo caso, poiché i discepoli portano la testimonianza e
niente dovrebbe appesantirli.
Nel secondo brano della terza parte (Mc 6,10bcd) si descrive come
comportarsi quando una casa accoglie i discepoli, mentre il terzo brano
(Mc 6,11) indica cosa fare in caso di ostilità. Per sottolineare la differenza
delle due situazioni l’autore utilizza due termini diversi. Nel caso
dell’accoglienza usa «casa» oivki,a. Quando invece si tratta del rifiuto
adopera il termine «posto» to,poj. Sembra che nel primo caso si tratti di
un’altra famiglia, poiché ognuno è ben accettato a casa sua, invece la non
accoglienza rende tale casa solo un posto senza alcun riferimento speciale.
Per Matteo la sorte di questa città nel giorno del giudizio sarà peggiore di
quella di Sòdoma e Gomorra (10,15).
Come capire l’espressione «scuotere la polvere» (Mc 6,11cde)
leggendola nell’ottica dell’Antico Testamento? Il rifiuto di avere la
comunione con la gente di questo posto, oppure il lutto per la loro
incredulità? Entrambi i significati hanno senso nel contesto della missione
dei discepoli. Dalla prima parte del passo fino all’ultima segue un filo
rosso, cioè l’importanza della missione. I discepoli sono avvisati da Gesù
che li attendono varie difficoltà. L’autore omette la descrizione dei dettagli
21
della missione, ma nell’ultima parte (Mc 6,12-13) si concentra piuttosto
sulla sua efficacia usando diversi verbi. Tra sei verbi presenti nel testo di
Mc 6,12-13, il primo, «usciti» diventa il punto di partenza della missione,
la quale prosegue nei miracoli compiuti. Le azioni seguenti creano le
coppie dei verbi collegati tra loro: proclamarono – convertissero, ungevano
con olio – guarivano. Il verbo «scacciavano» non avendo la coppia presenta
un’azione chiusa in sé e perciò compiuta, ma riflette l’ordine di Gesù con il
quale ha concesso l’autorità ai discepoli. Sembra che l’autore presenti
alcuni compiti, i quali i Dodici, e anche coloro chi vengono dopo, cioè i
primi cristiani, devono svolgere: convertire le persone, scacciare i demoni e
ungere con olio gli infermi per farli guarire. I discepoli imparano a
diventare maestri e la missione dovrebbe essere portata avanti dai loro
seguaci. Infatti l’ultimo verbo del passo «guarire» sottintende tutte le
persone, poiché ognuno ha bisogno della guarigione: uno dalla sua
incredulità, l’altro dagli spiriti immondi oppure dalle sue malattie fisiche e
spirituali.
22
4. LA SEQUENZA MARCO 6,1-13
1
E USCÌ di là e viene nella sua patria e lo accompagnano I SUOI DISCEPOLI. 2 E venuto il sabato, si
mise a INSEGNARE nella sinagoga.
4
E DICEVA loro Gesù:
«Non è un profeta disprezzato se non nella sua patria e tra i suoi parenti e in casa sua». 5 E non
6
poteva là fare alcun prodigio, se non su pochi INFERMI ponendo le mani li CURÒ. E si
meravigliava a causa della loro incredulità.
7
E chiama I DODICI e si mise a mandar loro a due a due e DAVA loro autorità sugli spiriti immondi.
8
E ORDINÒ loro
che niente prendano per la via se non un bastone soltanto, né pane, né sacca, né nella cintura
monete, 9 ma calzati i sandali, «e non vestite due tuniche».
10
E diceva loro:
11
«Dovunque entriate in una casa, là rimanete fin a quando usciate di là. E se un posto non
accogliesse voi e non ascoltassero voi, partiti di là, scuotete la polvere di sotto i piedi di voi a
testimonianza per loro».
12 13
E USCITI PROCLAMARONO affinché si convertissero; e demoni numerosi scacciavano, e
ungevano con olio numerosi INFERMI e CURAVANO.
Gesù viene nella sua patria ed i suoi connazionali non lo accettano 1-6
Gesù manda i discepoli nella missione, spiegando loro come comportarsi 7-13
23
Nella sequenza Mc 6,1-13 ci sono due passi: il primo (vv.1-6) e il
secondo (vv.7-13) creano una composizione parallela.
L’introduzione narrativa (vv. 1-2ab) che precede il discorso diretto
presenta il fine del racconto precedente. La prima parte (Mc 6,1-2ab) viene
introdotta con il verbo «uscì» evxh/lqen descrivendo la fine della sezione
precedente, e anche l’ultima parte (Mc 6,12-13) comincia con il termine
«usciti» evxelqo,ntej.
La parte seconda vv. 2c-3 e la parte sesta vv. 8-9 presentano la stessa
logica del racconto, poiché ciascuna di queste contiene un’introduzione nel
discorso diretto. Nel caso di Mc 6,2c-3 i compaesani sono i protagonisti, e
in Mc 6,8-9 Gesù stesso è l’unico che parla e insegna.
La parte terza vv. 4-6a e settima vv. 10-11 ha la stessa divisione in tre
brani, dove ognuna ha l’introduzione con il discorso diretto pronunciato da
Gesù. Nel primo caso egli risponde ai compaesani, presentando l’esempio
di un profeta e poi senza compiere un prodigio va via. La stessa logica si
adopera nella parte dove Gesù insegna come comportarsi quando i
discepoli sono ben accolti e anche in caso contrario (Mc 6,10-11). L’ultimo
brano presenta la situazione, quando «un posto non accogliesse» loro
(v. 11), ciò corrisponde nella seconda parte all’incredulità dei connazionali
(v. 5).
La parte quarta v. 6b e ottava vv. 12-13 ci presentano Gesù e discepoli
nella missione. Egli percorre i villaggi insegnando, e in seguito i suoi
discepoli fanno lo stesso.
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desert for forty years»15. Continuando di approfondire il parallelismo tra
Mc 6,1-13 ed il testo di Esodo, Marcus presenta: come scendeva la manna
per gli israeliti (Es 16) così i discepoli non portano il pane (Mc 6,8d); come
i figli d’Israele non dovevano riparare i suoi vestiti, poiché essi non si
consumavano (Dt 8,4; 29,5) così i Dodici non potevano portare le due
tuniche (Mc 6,9b)16.
Zaccaria 11,4-17 è un testo particolare che trova i suoi paralleli nel
Nuovo Testamento, e anche Marco fa allusione ad esso. Per lo scopo
presente basti accennare che questo profeta menziona il «bastone» lQem;
dove la LXX legge r`a,bdoj. Anzi tra le sue profezie si tratta di due bastoni
del pastore, l’uno si chiama «benevolenza» ~[;nO e l’altro «unione» ~yliêb.xo)
Zc 11,7. Smith considera che Zc 11,4-17 è un testo importante però «no
strict messianic view […] the quality of leadership is its central theme.
Here is a people who had Yahweh’s own choice to be their shepherd. He
wanted to rescue the perishing, care for the injured, and feed the hungry»17.
La sorte del vero pastore in alcuni momenti non è molto piacevole, proprio
come dei discepoli i quali non sempre e non dovunque sono ben accettati.
Tuttavia, l’importanza della missione supera tutti gli svantaggi e rende loro
capaci di compierla.
La sequenza di Marco 6,1-13 letta nell’ottica degli altri testi biblici
riceve delle sfumature che prima non erano evidenti. Sicuramente, per
sviluppare tutti i paralleli con il testo dell’Esodo ci servirebbe un’analisi
più profonda e dettagliata. Ad ogni modo la vicinanza tra Mc 6,1-13 ed il
testo dell’Esodo rimane evidente. Anche il simbolo del pastore, cioè il
bastone riceve nel testo di Marco una sfumatura peculiare. Infatti, le linee
generali presentate in questa sottoparte, conducono ad interpretare il testo
non chiuso solamente in un libro, ma vederlo nel collegamento con il resto
della Bibbia.
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nella sinagoga (Mc 6,2b) e il risultato è piuttosto negativo, invece i
discepoli nell’ultima parte proclamano e gli ascoltatori si convertono e gli
infermi sono guariti (Mc 6,13).
Gesù dopo i discorsi tenuti nella patria fa curare «pochi infermi» (Mc
6,5b); invece i discepoli lo superano, poiché «demoni numerosi
scacciavano» (Mc 6,13a) e guarivano «numerosi infermi» (Mc 6,13b).
Rimane interessante un particolare, che Gesù subisce l’umiliazione, ma
concede ai discepoli l’autorità per compiere gli atti miracolosi e aiuta loro
di sentirsi pronti per la missione.
Tra le parti estreme esiste anche una somiglianza morfologica, poiché
ciascuna contiene sei verbi, dove l’azione è indirizzata verso le persone
bisognose. Nel caso di Mc 6,1-2ab il protagonista è Gesù, mentre i
discepoli lo accompagnano. In Mc 6,12-13 i Dodici diventano autonomi e
imparano ad agire indipendentemente portando non solo la parola ma anche
la liberazione dalle malattie e dalle sofferenze.
Quando Gesù e suoi discepoli incontrano nella patria il disprezzo e il
giudizio ingiusto, loro istituiscono un’altra patria-famiglia con le proprie
regole e le relazioni interne. La loro casa si trova in qualsiasi posto dove
vengono accolti, perciò sono sempre indirizzati al di là, dove c’è la dimora
finale. Quando la gente rifiuta di dare loro accoglienza e ascolto, si lascia la
polvere, come unico testimone per queste persone. Sembra essere una
creazione al contrario. Se nel caso della creazione Dio utilizza la terra,
mentre crea l’uomo, adesso la polvere che non diventa persona testimonia
che coloro che hanno ricevuto l’umanità non sanno usarla.
I discepoli non portano niente di inutile (Mc 6,8-9), solo le cose
principali: il bastone per difendersi ed i sandali per poter camminare tanto.
Da questo momento loro diventano anche profeti (Mc 6,4) e pastori.
Poiché, loro devono annunciare la verità ed essere pronti per le
persecuzioni e la non accettazione. Il testo di Zaccaria e il racconto di
Marco si combaciano in questo punto. Secondo Smith, «when the prophet
assumed the role of shepherd he took two staffs, instruments that good
shepherds should have. One was a short rod or club to ward off wild
beasts»18. Collegando questa spiegazione di Zaccaria con Mc 6,4 viene
fuori un’immagine completa. Da oggi in poi i discepoli non sono mandati
solo a proclamare, ma sono incaricati a raccogliere il gregge, difenderlo e
trasformarlo nel popolo di Dio.
Il termine dida,skw «insegno» il quale appare nel primo passo (Mc 6,2b e
Mc 6,6b) non è menzionato nel secondo passo; questa è la differenza tra di
loro. Infatti il secondo passo contiene l’insegnamento di Gesù, non
18
R.L. SMITH, Micah-Malachi, 270.
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menzionando mai il verbo «insegnare». Poi l’insegnamento è sempre
presente, solo in modi diversi, una volta per i compaesani, i quali non lo
sentono, e l’altra per i discepoli, coloro che riescono ad implementarlo.
Il Maestro insegna ai discepoli e tramite loro a tutti coloro i quali sono
pronti ad aprirsi e seguirlo. È paradossale che nel caso dei compaesani si
tratta delle persone vicine territorialmente, ma il loro cuore è lontano da
Gesù e dai suoi insegnamenti. Invece, la cerchia dei discepoli, cioè la gente
incontrata in diversi parti del paese e unita attorno al nuovo insegnamento,
riesce a comprendere meglio le massime di Gesù. I discepoli vengono
istruiti non solo dalla parola, ma anche dall’esempio del maestro. Nel
primo passo Gesù insegna ai Dodici per mezzo della sua umiliazione e del
disprezzo, invece nel secondo passo ci sono le parole rivolte da loro.
Solamente un’esperienza totale: l’azione e la parola potrebbero plasmare la
persona e trasformare un discepolo in un maestro.
Alla fine i discepoli, compiendo la missione, superano ciò che Gesù
diceva, i frutti della loro missione si moltiplicano. Per causa della loro
attività gli infermi e bisognosi ricevono la liberazione e guariscono.
L’accento viene spostato da Gesù su di loro. Sembra che l’autore lo fa
intenzionalmente, per sostenerli.
È importante che i discepoli non scordino mai che loro sono i
rappresentanti del Maestro. Loro sono stati abilitati dal suo potere e hanno
l’obbligo di pronunciare la sua buona notizia e non la propria. I discepoli
devono uscire per la missione e poi tornare indietro per confrontare ciò che
fanno con gli ordini di Gesù stesso. Solo in questo caso loro saranno salvi
dall’errore e non si allontaneranno mai dalla fonte della missione.
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CONCLUSIONE FINALE
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SIGLE E ABBREVIAZIONI
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BIBLIOGRAFIA
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