Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
125 visualizzazioni144 pagine

Geografia Umana

Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato DOCX, PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
125 visualizzazioni144 pagine

Geografia Umana

Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato DOCX, PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 144

15/12/23

Che cos’è la geografia umana?


Il termine “geografia” deriva dal greco antico (ghè, Terra, e graphia, descrizione) quindi è la
“descrizione della Terra” e si differenzia dalla “geologia”, perché quest’ultima è un discorso
(“lògos”) sulla Terra.
In altre parole, la geografia si ferma alla superficie terrestre e studia le relazioni presenti su di
essa; la geologia affronta invece le cause interne e i processi stessi alla base della formazione
della superficie terrestre (orogenesi, terremoti, deriva dei continenti, ecc.).
La geografia è una scienza induttiva (pochi casi ci consentono di tracciare una linea generale) e
non deduttiva (basata su una grande mole di dati), ed è una scienza sociale.
 “induttiva” consente di tracciare delle linee generali.
 “deduttiva” si basa sull’ipotesi.
Si potrebbero classificare le varie definizioni su una scala che va dalle più semplici e concrete:
- la descrizione della Terra e delle sue regioni
- un sapere per orientarsi nel Mondo
alle più complesse e astratte:
- la scienza delle relazioni nello spazio
- la scienza dei complessi spazio-temporali
oppure si potrebbe coglierne la natura pratica:
- geografia come strumento al servizio dell’organizzazione territoriale, del potere,
dell’urbanistica, della valorizzazione territoriale (anche turistica)
e la sua componente culturale e politica:
- geografia umana come “discorso sul mondo all’interno della cultura occidentale e
dei suoi, storicamente mutevoli, “valori”
La geografia al servizio del territorio permette ad esempio di approvare e valorizzare elementi
del territorio; la geografia al servizio della politica individua le potenze europee che hanno
colonizzato/conquistato territori e imposto delle regole anche geografiche e questo viene descritto
con la toponomastica nella lingua dello Stato conquistatore, il geografo, quindi, aiuta il potente a
nominare il territorio, ecc.

Quali agenti modellano il substrato fisico del pianeta e sono oggetto di studio della
disciplina?

Sono due, che interagiscono reciprocamente in una prospettiva storica: le dinamiche ambientali
e antropiche.
Il geografo combina il metodo qualitativo (che ha a che fare con qualcosa che non è misurabile
quantitativamente, ad esempio basato su opinioni) e quantitativo (che ha a che fare con i numeri).
La geografia studia le relazioni presenti sulla superficie terreste e studia come i rapporti
uomo-ambiente mutano nel tempo (sono rapporti che interagiscono in prospettiva storica).
Trattando le tematiche tra materie scientifiche e umanistiche, la geografia mescola metodi e
approcci: statistica, geomorfologia, scienze naturali, storia, scienze sociali, metodi qualitativi e
quantitativi.
In questa materia non esistono infatti quasi mai leggi ferree, ma c’è sempre un margine di
possibilità o di interpretazione.
Es. storia  la deforestazione può essere data da più motivi (piogge acide, mano dell’uomo, ecc.);
un dato fenomeno può essere causato da fattori ma nessuna “legge” riesce a identificare una
motivazione causale univoca perché è lo studioso che interpreta.
La geografia umana studia come le popolazioni, le culture, le società e le economie, con le
loro manifestazioni materiali (città, strade, camp, fabbriche, ecc.) si diversificano nello spazio
terrestre, in relazione al variare delle condizioni ambientali e storiche.
Le domande che si propongono i geografi hanno alla base concetti come luogo, spazio, territorio,
regione, scala, distribuzione, interconnessione e si distingue dalla geografia fisica, che invece
non considera l’elemento umano perché la geografia fisica studia gli agenti esogeni ed
endogeni che condizionano la morfologia terreste.
Gli agenti esogeni sono: ad esempio il vento, la pioggia, ecc.
Gli agenti endogeni sono: ad esempio i terremoti, le eruzioni, ecc

L’origine della geografia come descrizione della Terra è collocata intorno al 550 a.C. con il primo
tentativo di rappresentare tutto il pianeta da parte di Anassimandro di Mileto; circa un secolo
dopo Erodoto di Alicarnasso nelle sue “Storie” diede origine alla geografia umana: si tratta di 9
libri su territori, popoli e paesi del mondo allora conosciuto.
IV-III secolo fiorì la scuola matematico-scientifica di Alessandria che aveva in Eratostene di
Cirene il suo principale esponente; scrisse un’opera intitolata “Geografia”, dove calcolava con
straordinaria precisione il valore del meridiano terrestre.
Strabone (63 a.C. – 19 d.C.) scrisse un testo dallo stesso titolo che pur basandosi sulle
conoscenze della scuola di Alessandria è una geografia essenzialmente “politica” rivolta a illustrare
le condizioni di vita – naturali, sociali, economiche e istituzionali, del mondo conosciuto, allora
largamente sotto il dominio o l’influenza di Roma.
II secolo d.C. Tolomeo scrisse la “Geografia”, opera enumerativa corredata da cartografia che
resterà la descrizione più dettagliata della Terra fino al tempo delle grandi esplorazioni
geografiche.

Anassimandro da Mileto

Fu il primo a concepire un modello meccanico del mondo: sosteneva che la Terra galleggiava
immobile nello spazio, senza cadere e senza essere appoggiata a nulla.
La Terra “sta ferma a causa dell’eguale distribuzione delle parti” e in effetti, quel che è collocato al
centro e ha eguale distanza dagli estremi, non può essere portato in alto più che in basso o di lato
ed essendo pure impossibile che il movimento avvenga contemporaneamente in direzioni opposte,
sta necessariamente ferma (Aristotele).

Erodoto
Fu il primo viaggiatore (450 a.C.) a tradurre in opera la sua esperienza di osservazione sul campo,
scrivendo le “Storie”, opera divisa in 9 libri, fondando un genere letterario e una tradizione
culturale.
IV.42 – “io mi stupisco di coloro che hanno distinto e diviso il mondo in Libia, Asia ed Europa,
poiché non sono piccole le differenze che intercorrono tra queste parti; l’Europa, infatti, nel senso
della lunghezza, si stende quanto le altre due insieme e, per larghezza, mi pare che non sia
nemmeno da confrontare con quelle.
Quanto alla Libia, si vede chiaramente che è tutta circondata dal mare, eccetto il breve tratto in cui
confina con l’Asia; e fu Neco, il re d’Egitto, che ne diede la dimostrazione: egli, dopo aver interrotto
lo scavo del canale che dal Nilo portava nel golfo Arabico, fece partire su due navi dei marinai
fenici con l’ordine che, nella via del ritorno, penetrassero nel mare settentrionale attraverso le
colonne d’Ercole e per questa via raggiunsero di nuovo l’Egitto.
Partiti dunque i Fenici dal Mare Eritreo, veleggiarono per il mare meridionale; quando
sopraggiungeva l’autunno essi, approdati, seminavano il suolo in qualunque parte della Libia si
fossero trovati nella loro navigazione e aspettavano la stagione della mietitura; dopo aver raccolto
il grano, si mettevano di nuovo in mare e così, essendo passati due anni, nel terzo, girate le
colonne d’Ercole, giunsero in Egitto; e raccontavano che, mentre giravano intorno alla Libia,
avevano avuto il sole alla loro destra (strano, perché si sarebbe dovuto trovare a sinistra)”.

Tolomeo

Tolomeo visse tra il 100 circa il 170 d.C. fu indubbiamente il più grande astronomo, geografo e
cartografo della Grecia antica; in campo cartografico tre sono le sue opere principali: l’Analemma,
il Planishaerium e la Geografia.

Cesare, “De bello gallico”


La Gallia era nel suo complesso divisa in tre parti: una occupata dai Belgi, l’altra dagli Aquitani e
la terza dai Celti nella loro lingua, Galli nella nostra; tutti questi popoli si differenziavano tra loro
per lingua, istituzioni e leggi.
Il fiume Garonna separava i Galli dagli Aquitani mentre la Marna e la Senna separavano i Belgi e
tra tutti questi erano i più impavidi poiché erano lontani dal modo di vivere e dall’urbanità della
Gallia Narbonense, e i mercanti tendevano a corrompere gli animi poiché erano più affini ai
Germani, che abitavano al di là del Reno, con i quali fecero guerra senza interruzione.

Ci furono poche evoluzioni in epoca Romana e alto Medievale, quando era ancora utilizzata la
Geografia di Tolomeo.
Fine XV-inizio XVI secolo vennero intraprese esplorazioni geografiche che consentirono di
ampliare le conoscenze del mondo da parte degli europei.
Tutto ciò favorì l’affermarsi della geografia scientifica moderna che iniziò in Olanda (paese allora
più ricco di commerci internazionali e scoperte geografiche) con geografi tra cui Mercatore, Ortelio
e Varenio (Bernhard Varen) che scrisse la “Geografia generalis”.
Varenio considerò la geografia “una scienza matematica mista che studia le proprietà della Terra
e delle sue parti” funzionale a dominare il commercio mondiale (calcolo rotte, cartografia,
conoscenza dettagliata di regioni, popoli e paesi).
Nei secoli XVII e XVIII le logiche del potere assoluto assegnarono il monopolio della cartografia al
“geografo del Re” che disegnava i confini amministrativi e politici a suo arbitrio, tracciando una
geografia in contrasto con quella già scritta dalla natura.
ABŪ ʿABD ALLĀH MUḤAMMAD IBN ʿABD ALLĀH AL-LAWĀTĪ AL-ṬANǦĪ IBN BAṬṬŪṬA,
NOTO COME IBN BAṬṬŪṬA, XIV SEC, AUTORE DE AL-RIḤLA
(DETTATO A IBN JUZAYY)
“Partii solo, senza un amico che mi allietasse con la sua compagnia e senza far parte di una
carovana, ma ero spinto da uno spirito risoluto e sottacevo in cuore lo struggente desiderio di
visitare quei Nobili Santuari. Così mi decisi ad abbandonare coloro che - donne e uomini - amavo e
lasciai il mio paese siccome un uccello s'invola dal nido. I miei genitori erano ancora in vita e soffrii
molto a separarmene: sia io che loro ne provammo una gran pena.”

ABŪ ʿABD ALLĀH MUḤAMMAD IBN ʿABD ALLĀH AL-LAWĀTĪ AL-ṬANǦĪ IBN BAṬṬŪṬA,
NOTO COME IBN BAṬṬŪṬA, XIV SEC, AUTORE DE AL-RIḤLA
(IL VIAGGIO)
Il Cairo: “Metropoli del paese, signora di ampie regioni e di fertili terre, conta palazzi innumerevoli e
non vi è urbe più grande in splendore e beltà! Punto d’incontro di ogni va e vieni, è luogo di sosta
per deboli e potenti, ondeggia essa come un mare per i flutti dei suoi abitanti. La sua vittrice
possanza ha sottomesso le genti, e i suoi re hanno dominato sugli arabi e i non arabi... essa gode
il sommo privilegio del Nilo che dispensa il suo paese dal chiedere il dono della pioggia... è terra
generosa che ridà animo al pellegrino straniero [...] queste piramidi sono tra le meraviglie che
saranno ricordate nel corso del tempo. Sono costruzioni in pietra dura, scolpite ed estremamente
elevate. Larghe alla base, strette in alto, con forma simile a quella di un cono, senza porte e cosa
ancor più sorprendente, non si evince il modo in cui siano state costruite”.

In età moderna, il Rinascimento e soprattutto le scoperte geografiche “aprirono” il mondo e ne


dilatarono le dimensioni.
Le stesse scoperte geografiche costituivano il discrimine temporale tra Medioevo ed età moderna.
Nel Rinascimento emerse un’economia mercantilistica ed il capitalismo emerse con il commercio
di spezie, beni.
Nel Rinascimento/Era Moderna, l’economia era basata sul commercio (pre-capitalismo), e quindi i
geografi vennero ingaggiati dai mercanti o al servizio del re (ad esempio: la Francia aveva molte
conoscenze in cartografia).
(viaggio di Cristoforo Colombo)
Il Portogallo per primo ma anche altri paesi che si trovano sull’atlantico sono avvantaggiati: il
Mediterraneo non era ormai più al centro (e quindi Genova ne rimane colpita).
Cristoforo Colombo sosteneva di poter fare il giro del mondo (procedere verso occidente per
raggiungere l’oriente), e la corte spagnola lo aveva mandato per trovare una via verso il Giappone,
ma scoprì l’America (la Spagna monopolizza la spedizione) ma il suo nome (America) arriva da
Amerigo Vespucci, perché Colombo morì convinto di essere approdato in Giappone.

(scoperta dell’America da parte degli Europei)


17/02/23
Determinismo, possibilismo ed evoluzione recente
La geografia tra età moderna ed illuminismo: si parla di una scienza tecnica per “misurare il
mondo” e che ha un legame fortissimo con la cartografia (navigazione/viaggi, conquista
coloniale); si imposero gli stati nazionali, come ad esempio la Francia, dove la politica statale
corrispondeva a caratteristiche della nazione come lingua, religione, ecc.. che acquistarono
sempre più importanza e nuovi territori (Spagna, Regno Unito) ed imposero il loro potere politico
avvalendosi delle conoscenze geografico-cartografiche.
Quando i Savoia avevano annesso la Liguria, parte della Repubblica di Genova (fine ‘700
trasformata in Repubblica giacobina e poi parte dell’Impero francese), prima del periodo
napoleonico avevano iniziato a mapparla (piemontesizzazione dei toponimi liguri) ed era stata
anche utilizzata la statistica attraverso la conoscenza dettagliata dei fenomeni che insistevano su
uno Stato (fonti più precise).

A cosa serve conoscere dettagliatamente tutti gli aspetti di un determinato territorio?


Lo Stato moderno ha come suo fondamento il fatto di conoscere in modo preciso il proprio territorio
per anche imposizione fiscale e serve per farlo funzionare (si parla di cartografia); la Francia già
nel ‘700 promosse la cartografazione dettagliata di tutto l’Impero francese ad opera di due italiani, i
Cassini, cartografi del ponente ligure che produssero la prima carta geografica basata sulla
triangolazione geodetica (principi geometrici).

Nell’Ottocento la geografia si impose come sapere accademico nelle principali università europee
(i due fondatori della geografia contemporanea sono Alexander von Humboldt, a cui è dedicata
un’università a Berlino e Karl Ritter che si dedicò più alla geografia umana).
Humboldt fu rivoluzionario soprattutto nel lavoro del terreno perché per lui era fondamentale
l’autopsia ovvero la visione delle cose attraverso i propri occhi (non a tavolino, perché poteva
contenere errori).
Viaggiò in tutta l’Asia centrale e in tutta l’America latina dove studiò i vulcani allineati lungo la
cordigliera andina; aveva una concezione olistica dei problemi, cioè complessiva: studiava la
geologia ma era anche naturalista, botanico e attento alle popolazioni; viaggiava per strappare la
borghesia tedesca dai “vacui giochi poetici” per dotarla invece di un sapere in grado di garantirle,
con la conoscenza scientifica, il controllo del mondo.
Il disegno era per lui il modo più efficace per dimostrare la complessità e le relazioni che esistono
tra gli elementi naturali.
Dualismo natura – cultura
La cultura si fonda su tre argomenti:
 costruzione sociale che riflette diversi fattori economici, storici, politici, sociali ed ambientali
 non è qualcosa di fisso, si modifica nel tempo e può generare sia scambi pacifici, sia
conflitti
 è un sistema dinamico complesso: interagendo tra loro, le persone creano ed esprimono
una cultura, la quale, a sua volta, definisce ed influenza le caratteristiche delle persone che
ne fanno parte

La cultura è una costruzione sociale fatta di pratiche e credenze condivise, che funziona
come un sistema dinamico complesso, plasmato dalle persone e dalle collettività che ne
vengono a loro volta plasmate
Storicamente le culture si presentano differenziate su base geografica (culture locali, regionali,
nazionali e anche sovrannazionali)
Esistono molti approcci diversi attraverso cui i geografi hanno teorizzato il rapporto tra società
umane e ambienti naturali, in particolare:
1. determinismo ambientale
2. possibilismo
3. volontarismo
4. concetto di paesaggio

Determinismo
Fa derivare in modo univoco, le differenze fisiche-culturali degli esseri umani.
Il determinismo consiste nel far derivare direttamente dall'ambiente le differenze sia fisiche sia
culturali degli esseri umani
I deterministi ritengono che i fattori naturali terrestri incidono direttamente sullo sviluppo delle
caratteristiche fisiche ed intellettuali degli esseri umani; già gli antichi greci ipotizzarono che le
diversità tra i popoli dipendessero da ragioni climatiche e fisico-geografiche; le teorie del
determinismo ambientale si svilupparono grazie al geografo Friedrich Ratzel
Questo periodo coincide con l’idea dell’evoluzionismo di Darwin: nacque e si sviluppò in un
periodo di grandi rivoluzioni scientifiche nell’ambito del positivismo e dell’evoluzionismo
(“Origine della Specie”, 1859) dove venne ampiamente valorizzata la ragione, del metodo
empirico-deduttivo, del modello delle scienze della natura (in particolare biologia e fisica) e del
punto di vista metodologico (importanza del “saper prevedere”).
Il fascino di una concezione così rigorosa e sistematica della storia della natura produceva
comprensibili effetti sui geografi, che erano indotti a concentrare le ricerche sulle relazioni tra
l’ambiente fisico e l’uomo e a ritenere che gli stessi canoni evoluzionisti con cui era interpretata la
natura potessero essere utilizzati per spiegare come le comunità si insedino sul territorio e ne
sfruttino le risorse.
Queste idee sull’evoluzionismo vennero portate pericolosamente alla specie umana.
Friedrich Ratzel nella sua “Anthropogeographie” propose una visione deterministica delle relazioni
tra uomo ed ambiente dove l’uomo, secondo lui, si adatta alle condizioni naturali e l’economia,
la casa rurale sono influenzati dai condizionamenti ambientali (è meno attento alla natura e più
all’uomo).
Determinismo ambientale
Giraud, ad esempio, parlava del criterio climatico mentre Roberto Almagià sosteneva che i popoli
che vivono nei paesi più caldi, sono pigri.
La maggior parte delle forme, che si ritengono inferiori, dell’umanità attuale sono raccolte nelle
regioni tropicali ed australi dell’Ecumene, in spiccato contrasto con l’Eurasia, che è l’area occupata
dalle forme più evolute (neoforme).
Queste forme superiori, dotate di grandi possibilità di espansione, sono quelle che nel periodo
storico (ultimi millenni) si sono più affermate, imponendosi spesso alle inferiori.

Determinismo geografico
Ratzel era un esponente del darwinismo sociale applicato alla geografia, secondo cui per la
società valgono le stesse leggi naturali che regolano l’evoluzione della specie (si parla di
concezione biologica della geografia, biogeografia).
Venne anche affrontata la teoria dello spazio vitale (Lebensraum): una popolazione in grado di
adattarsi meglio delle altre all’ambiente naturale e di prosperare è naturalmente incline (e
legittimata) a procurarsi nuovi spazi di vita (teoria ripresa dal Nazionalsocialismo in Germania) con
l’introduzione dell’idea di Geografia Politica.

Critiche al determinismo ambientale


Le teorie del determinismo ambientale furono presto abbandonate dai geografi alla luce di tre
principali elementi:
1. impossibilità a dimostrare scientificamente un rapporto causa-effetto che non tenesse conto
del contesto culturale, della tecnologia, delle ideologie politiche, dei sistemi di governo,
delle leggi
2. evidenza che fattori ambientali identici non necessariamente producono pratiche culturali o
comportamenti umani simili (non tutti i popoli costieri sono navigatori)
3. teorie utilizzate per giustificare il colonialismo di quegli anni

Possibilismo
Il possibilismo geografico ritiene che ogni ambiente naturale offra una gamma di alternative
più o meno vasta e che in uno stesso ambiente naturale società e culture possano
modellarsi in modi diversi a seconda delle loro scelte, basate sulle conoscenze e sulle
capacità tecniche di cui dispongono
Nacque come risposta al determinismo ad opera del geografo francese Vidal de La Blache: l'idea
alla base era che i singoli e la collettività potevano usare la propria creatività per reagire alle
condizioni o alle costrizioni di un particolare ambiente perché i possibilisti non rifiutavano
completamente l'idea di un condizionamento da parte dell'ambiente, ma non lo consideravano
come l'unica forza che plasmava le culture.
L'ambiente esterno pone delle condizioni di vita con le quali la società può interagire per trovare
una propria forma di adattamento:
 la natura non è un vincolo
 le comunità umane possono esercitare una scelta
 la scelta presuppone libertà e vanno considerati fattori in base alla cultura di una certa area
e le tecnologie utilizzate
 le comunità si comporta come un "fattore geografico"
De l’interprétation géographique des paysages, 1908
Una individualità geografica non è il risultato di semplici considerazioni di geologia e clima;
non è una cosa data in anticipo dalla natura.
Bisogna partire dall’idea che una regione è un deposito di energie disposte dalla natura, ma dove
l’impiego dipende dall’uomo.
È lui che, sulla base dei suoi usi, mette in luce la sua individualità e stabilisce una connessione tra
tratti sparsi.
Agli effetti incoerenti delle circostanze locali, l’uomo sostituisce un concorso sistematico di
forze.

Dibattito tra determinismo e possibilismo


La visione 'uomo-ambiente' del determinismo era alla base di una positiva e rassicurante spinta
verso il progresso grazie alla forza creativa dell'intelligenza umana.
I possibilisti, soprattutto in ambito francese, riflettevano sulla complessità di questo rapporto, non
più esprimibile dai concetti delle scienze fisiche.
Se il determinismo aveva supposto l'esistenza di un rapporto unidirezionale uomo-ambiente, il
possibilismo ha un rapporto bidirezionale, composto da impulsi generati dall'ambiente e da altri
generati dalle comunità: impulsi che interagiscono e mutano nel tempo (Vallega 1989)

L’esempio del deserto


L'ambiente desertico, uno degli ambienti più costrittivi, offre una gamma di possibilità di
adattamento (allevamento, agricoltura nelle oasi, sfruttamento energetico – petrolio)

prodotto culturale, perché gli alberi di


castagno sono messi/piantati in linea
(Piccola valle di Albenga, in provincia di
Cuneo), a terra non ci sono le foglie
perse dagli alberi.
Approccio deterministico: Quali condizioni ambientali lo hanno determinato? Quali sono i fattori
climatici, altimetrici, ecologici, etc. ?

Approccio possibilistico: Quali condizioni ambientali e dinamiche antropiche lo hanno


determinato? Quali sono i fattori climatici, altimetrici, ecologici, etc. ?

Spiegazione deterministica:
la preferenza accordata a burro
o olio oliva deriva perlopiù da
fattori ambientali

Spiegazione possibilistica: sfruttando


l'energia geotermica e le nuove
tecnologie si è capaci di coltivare i
pomodori in Islanda

Cambiamento climatico e «depoliticizzazione» dei conflitti


Il cambiamento climatico ha altri scopi politici: da un lato, il legame tra sicurezza e cambiamento
climatico viene utilizzato per catturare l’attenzione dei responsabili politici e della comunità
internazionale in generale, per sensibilizzare sulla gravità e sulla necessità di agire su questo
problema ma tuttavia, il cambiamento climatico è spesso un argomento conveniente per chi è
responsabile di guerre e violenze.
Quando si discute di luoghi lontani di cui ignoriamo la storia e la politica, è più facile attingere a
narrazioni generali, è una sorta di orientalismo in un certo senso e una sorta di determinismo
ambientale, che viene utilizzato quando non si è veramente interessati a conoscere la storia o a
capire la politica di certi luoghi.
Volontarismo
L'idea dell'uomo come agente trasformatore che domina la natura è anticipata dalle parole che
Iahvè rivolge a Noè e ai suoi discendenti dopo il diluvio: "crescete e moltiplicatevi; prendete
possesso della terra e popolatela" e ciò viene ripreso nel Mito di Prometeo che porta il fuoco dal
Cielo alla Terra.
La trasformazione del pianeta come promessa di benessere universale diventa una realtà sotto gli
occhi di tutti dal Rinascimento, e il processo culmina con la Rivoluzione Industriale.
Il geografo tedesco Karl Ritter, che influenzò fortemente le idee del filosofo Hegel, vedeva la
Terra come il campo in cui i popoli civili si sarebbero progressivamente affrancati dalla soggezione
alla natura.
Il geografo italiano Lucio Gambi affermava che l'uomo usa la natura "per riplasmare e rifoggiare la
Terra in termini umani, quasi a ricrearne una sua".

La terra come sistema dinamico integrato e complesso


È una visione più realistica che supera il rapporto dualistico con la natura e che può essere
sintetizzata in:
1. la Terra funziona come sistema costituito da componenti naturali e culturali che
interagiscono con modalità complesse e non riducibili a rapporti lineari causa-effetto
2. la Terra è soggetta a continui cambiamenti che derivano sia da eventi naturali, sia
dall'azione dell'uomo
3. il sistema culturale umano (ideologico, tecnologico, socioeconomico, politico) è un
sottosistema di quello naturale terrestre: può modificarlo in modo durevole solo obbedendo
ad alcune leggi naturali che non può modificare a suo piacere (ad esempio il clima)

Paesaggi culturali e regioni


La visione della cultura come insieme di idee, pratiche e manufatti che caratterizzano società e
territori si configura sui due approcci basati sulla lettura del paesaggio (e in particolare paesaggio
culturale) e dell’analisi regionale che indaga i fattori, sovente non visibili, che determinano la
diversità dei territori e suggeriscono la loro suddivisione in regioni

Concetto di paesaggio
Termine inizialmente riferito all’arte, inteso come ciò che veniva raffigurato in un’opera d’arte e
utilizzato da Alexander von Humboldt che utilizzava l’arte visiva come espediente per ridurre i
suoi contemporanei a osservare e a studiare i fenomeni geografici, immaginandoli come se si
presentassero in una galleria di quadri dipinti dalla natura e dalla storia.
Convenzione Europea del paesaggio, 2000
«"Paesaggio" designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro
interrelazioni.»
L'idea di paesaggio derivante dalla definizione della Convenzione Europea riconosce al paesaggio
il duplice significato di percezioni soggettive e di realtà oggettive.

Paesaggio culturale
Il concetto di paesaggio culturale può essere sintetizzato nella definizione del geografo
statunitense Carl O. Sauer: il paesaggio culturale è forgiato da un paesaggio naturale e ad
opera di un gruppo culturale; la cultura è l'agente, gli elementi naturali sono il mezzo, il
paesaggio culturale è il risultato
Le espressioni della cultura leggibili nel paesaggio (i modelli di insediamento, le tipologie di
costruzioni, gli stili architettonici e le modalità di utilizzo del suolo) sono valori delle popolazioni, la
loro identità e più in generale le loro culture.

Analisi regionale
L'analisi regionale è in parte diversa dalla lettura del paesaggio.
Essa va oltre la semplice osservazione della superficie per indagare i fattori, sovente non visibili,
che determinano le diversità dei territori e suggeriscono la loro suddivisione in regioni:
1. regione formale -> è un'area definita in base a una o più caratteristiche fisiche o
culturali omogenee, cioè distribuite omogeneamente nella regione e non (o molto meno)
in quella confinante

2. regione funzionale ->

1. regione funzionale -> nella regione funzionale i luoghi sono connessi tra loro da relazioni
più intense, come ad esempio le ecoregioni (regioni che corrispondono ad un ecosistema),
le regioni funzionali urbane, i distretti economici e le regioni istituzionali (dette anche
politiche).
In Italia lo solo le regioni propriamente dette, ma anche città metropolitane e comuni
20/02/23
Luogo
Per i geografi, un luogo è una località con specifiche caratteristiche fisiche, culturali e sociali
Ciascun luogo può essere identificato da:
1. la sua ubicazione assoluta, o posizione geometrica, misurata con le coordinate
geografiche (latitudine e longitudine)
2. la sua posizione con riferimento agli elementi dell'ambiente circostante (caratteristiche
fisiche e geografiche in relazione al contesto più amplio, alle comunicazioni e connessioni.
In questo caso si parla di sito
Il concetto di luogo è fortemente soggettivo.
Gli antichi parlavano di genius loci (indica quanto in caratteri fisici, ma anche il contato tangibile di
un luogo) per indicare "quell'insieme unico di caratteri fisici, di messaggi culturali e di sensazioni
emotive che rende il luogo ciò che è, ovvero che lo rende diverso e unico rispetto ad ogni altro
luogo"

Spazio
Con spazio i geografi indicano un'estensione della superficie terrestre di dimensioni non
definite
La geografia distingue tra tre diversi tipi di spazio:
1. spazio assoluto -> entità geometrica con dimensioni, distanze, direzioni e contenuti definiti
e misurati con precisione con la metrica corrente (metri, km).
È lo spazio della carta geografica, un contenitore, una scatola, di oggetti, secondo la
definizione tradizionale che ha dominato la geografia moderna fin verso la metà del 900
quando si è introdotta una concezione di spazio inteso come insieme di relazioni
2. spazio relativo -> se spazio assoluto può essere considerato come una scatola, lo spazio
relativo è piuttosto più simile a una Rete di Nodi.
Se si parla di social network, i nodi sono rappresentati dagli individui ed è possibile creare
una mappa della propria rete di amici su Facebook.
Lo spazio relativo non è più un contenitore immutabile, ma uno spazio le cui proprietà
variano a seconda dei fenomeni che vi si svolgono.
Un tipo di spazio relativo particolarmente importante in geografia è lo spazio relazionale

3. spazio relazionale -> lo spazio relazionale è uno spazio definito dalle relazioni umane,
dalle percezioni, o dalle relazioni tra gli eventi.
Esso e mutevole in quanto definito dalle contingenze, cioè dal fatto che il risultato delle
interazioni e delle percezioni umane varia a seconda delle persone e degli oggetti che
vengono coinvolti Un esempio è dato dagli spazi del commercio, che dipende dalla
capacità di domanda e offerta di soddisfare certe condizioni contingenti.
Nell'ottica di una prospettiva spaziale, esistono altri tre concetti chiave utilizzati dai
geografi
1. distribuzione spaziale -> disposizione dei fenomeni sulla superficie terrestre
2. variazione spaziale -> cambiamenti nella distribuzione di un fenomeno da un luogo
all'altro
3. correlazione spaziale -> il grado in cui due o più fenomeni condividono una stessa
distribuzione o variazione spaziale

Variazione spaziale

Correlazione spaziale: foreste e povertà in Vietnam


Diffusione spaziale
Si definisce diffusione spaziale un movimento di persone, idee, mode, malattie, ecc da un
luogo all'altro con tempi e modalità differenti a seconda del fenomeno considerato
I geografi individuano quattro diversi tipi di diffusione:
1. per rilocalizzazione
2. per contagio
3. gerarchica
4. per stimolo

Diffusione per rilocalizzazione: le migrazioni

Diffusione per contagio


Si verifica quando un fenomeno (ad esempio il raffreddore) si diffonde tra persone che entrano
in contatto tra loro

Diffusione gerarchica
Avviene dall'alto al basso (top-down) secondo una successione ordinata per rango per
relazioni più o meno formali
Ad esempio certe mode si diffondono tra personaggi molto in vista per arrivare gradualmente alla
gente comune (lo stesso per le innovazioni tecnologiche)

Diffusione per stimolo


Si verifica quando la diffusione di un'idea, una pratica o un altro fenomeno contribuisce a
generare una nuova idea
L'idea alla base di un prodotto di successo spesso stimola nuove modalità di applicazione dello
stesso principio.
Pandemia Covid-19: un esempio di diffusione spaziale mista
Il virus si è diffuso per contagio, dall’animale all’uomo

Territorio
E’ uno spazio delle interazioni tra soggetti (individui e collettività), correlato con l'insieme
delle interazioni tra gli stessi soggetti e l'ambiente esterno; si concretizzano nello spazio
geografico umanizzato (o antropizzato) e nella varietà dei suoi paesaggi.
Si possono individuare due tipi di relazioni:
1. quelle dei soggetti tra loro
2. quelle che i soggetti intrattengono con l'ambiente esterno
Il termine proviene dal latino Territorium, che da un lato rimanda a terrere (terrorizzare,
spaventare) e dall'altro a terere (arare, tritare le zolle).
Il primo significato riguarda il rapporto difensivo nei confronti di altri, quando intendiamo escluderli
da uno spazio che consideriamo nostro.
Nel secondo significato pensiamo allo spazio come a ciò che produce quanto ci occorre.
I due significati originari (quello negativo dell'esclusione e quello positivo della produzione) si
legano strettamente tra loro e attraverso questo legame si configura l'unicità della geografia come
disciplina che considera congiuntamente le relazioni tra soggetti (di esclusione/difesa e di
pacificazione) e tra individui e la natura.
Fenomeni che sembrano puramente culturali o sociali o politici, se studiati nella loro distribuzione
geografica, si rivelano sempre in qualche modo legati ai rapporti di territorialità che l'uomo
intrattiene con l'ambiente.
Forma e rappresentazione della terra
Le carte geografiche sono rappresentazioni della Terra o di sue parti in dimensioni ridotte
Esse sono anche dette simboliche perché i diversi oggetti sono rappresentati da simboli, per
esempio le città con dei cerchietti.
Infine sono approssimate, non soltanto perché è impossibile rappresentare esattamente in piano
la superficie curva della Terra, ma anche perché fra tutti gli oggetti presenti su di essa vengono
riprodotti solo alcuni che, a seconda degli scopi a cui è destinata la carta, vengono ritenuti più
importanti.

Forma e dimensioni della terra

Possiamo definire la forma della Terra un ELISSOIDE DI ROTAZIONE, cioè un solido che si
ottiene facendo ruotare una semiellisse intorno al suo asse minore.
Tuttavia, la forma della Terra non è perfettamente sferica ma è leggermente schiacciata ai poli ed
è definita GEOIDE: il leggero schiacciamento che presenta ai poli è dovuto alla differenza tra
raggio equatoriale (maggiore) e raggio polare (minore), di circa 21 km.

Il reticolato geografico
Le coordinate geografiche
La latitudine di un punto è la misura in gradi, minuti primi e secondi dell'arco del meridiano
passante per il punto stesso e il corrispondente sull'Equatore
A seconda che il punto da noi scelto si trovi nell'emisfero Nord o in quello Sud parleremo di
latitudine Nord o latitudine Sud

Longitudine di un punto: per definire la Longitudine si fa riferimento ad un meridiano fondamentale.


La longitudine di un punto è la misura in gradi, minuti primi e secondi dell'arco di parallelo
passante per il punto stesso e il suo corrispondente sul meridiano fondamentale
La longitudine può essere Est o Ovest, a seconda che il punto scelto si trovi rispettivamente ad Est
o ad Ovest del Meridiano di riferimento 11.
Per l’Italia il meridiano di riferimento è quello di Monte Mario (Roma) la cui differenza di
longitudine rispetto al meridiano di Greenwich è di 12°27'08" Est.

Scala geografica vs scala cartografica


La scala geografica è anche detta scala di osservazione e indica il livello di analisi utilizzato per
un determinato studio o progetto ad esempio il corpo, la casa, un quartiere, una città, una regione,
uno Stato.
A differenza delle mappe, la scala di osservazione è piccola quanto più lo spazio esaminato è
ristretto e il livello di analisi dettagliato

scala di osservazione: foreste miste decidue dell’Europa


Orientale
Scala cartografica
Esprime il rapporto tra le distanze sulla carta e le distanze reali sulla superficie terrestre
I geografi parlano di carte a grande scala e a piccola scala: si parla di piccola scala per grandi
aree (es. il mondo) e di grande scala per aree limitate (es. un quartiere)
Scala numerica: 1:5.000 (un cm sulla carta corrisponde a 50 m sul terreno)
Scala grafica: segmento graduato che fornisce la corrispondenza tra le lunghezze della carta e le
lunghezze sulla superficie terrestre

Scala e classificazione delle carte

Per rappresentare l’OROGRAFIA il sistema migliore è quello delle curve di livello o ISOIPSE, cioè
le linee che uniscono i punti che hanno una stessa altitudine rispetto al livello del mare che
consentono una chiara conoscenza delle caratteristiche essenziali del rilievo, dal momento che ne
riproducono sia l’altezza che la pendenza
Le isoipse si distinguono in direttrici, la cui equidistanza è di 100 metri disegnate con tratto
continuo e spesso, intermedie con equidistanza variabile da 25-20 metri disegnate con tratto
continuo sottile e ausiliarie con equidistanza di 5 metri tratteggiate.

Carte generali e carte tematiche


Le carte generali riportano gli aspetti morfologici, idrografici, insediativi, amministrativi di un
territorio mentre le carte tematiche rappresentano fenomeni concreti visibili o non, oppure
concezioni astratte, qualitative o quantitative, con limitazioni ad un solo tema specifico o a
pochi.
Le carte generali si distinguono in fisiche se rappresentano i tratti naturali fondamentali (mari,
monti, fiumi, laghi, ecc.) e politiche, che, oltre a pochi tratti fisici, riportano i confini degli Stati, le
vie di comunicazione, le città e quanto è opera dell'uomo
Le carte tematiche qualitative rappresentano i fenomeni nelle loro peculiarità, quelle quantitative
quantificano il fenomeno, mostrano una grandezza assoluta o relativa.
Le carte statiche rappresentano un fenomeno in pratica stabile o mutabile in modo lentissimo o
preso in considerazione in un determinato momento mentre le carte dinamiche rappresentano un
fenomeno in movimento o in evoluzione nel tempo

La cartografia in Italia
La prima cartografia generale dell'Italia fu realizzata nella seconda metà dell'Ottocento in seguito
all'Unità d’Italia.
Il lavoro fu affidato all'Istituto Geografico Militare (IGM), istituito a Firenze nel 1872, e fu completato
solo alla fine del secolo; oggi l'IGM produce la Carta d'Italia che è la carta generale ufficiale
italiana, in quattro scale differenti: - 1:250.000 - 1:100.00 - 1:50.000 - 1: 25.000
Gli altri Enti Pubblici che producono cartografie ufficiali generali sono:
 il Catasto (scale 1:2.000, talvolta 1:500 e 1:4.000)
 le singole regioni per il loro territorio
 l'Istituto Idrografico della Marina, che produce carte utili alla navigazione
 altri soggetti tra cui: Servizio Geologico, Istituto Geografico De Agostini, Touring Club
Italiano, Automobile Club Italiano
La Carta d'Italia al 100.000 si divide in 178 fogli dove ciascun foglio è diviso in quattro parti uguali
rappresentate alla scala 1:50.000 dette quadranti.
Ogni quadrante è ancora diviso in quattro parti uguali a scala 1:25.000 dette tavolette.
Ogni foglio, quadrante e tavoletta ha un nome, che corrisponde al toponimo del luogo più
significativo in essi contenuto.

Le tavolette IGM

Quali dimensioni attribuire ai simboli?

Telerilevamento
In inglese detto Remote Sensing, utilizza sensori montati sui satelliti per effettuare vari tipi di
analisi.
Viene applicato soprattutto per lo studio delle condizioni dell'ambiente naturale, in particolare la
meteorologia e le previsioni del tempo anche se i geografi hanno cominciato a utilizzare sempre
più spesso il telerilevamento per fenomeni diversi, come l'estensione delle aree urbane o la
localizzazione delle fuoriuscite di petrolio o di altre sostanze inquinanti delle acque.
Il telerilevamento viene anche utilizzato per quantificare la portata dei danni causati da eventi
estremi (incendi, uragani, siccità)
Global Positioning System (GPS)

Un sistema GPS utilizza una costellazione di satelliti artificiali e i segnali radio da essi trasmessi
per determinare la posizione assoluta di persone, luoghi o elementi della superficie terrestre.
Il sistema è stato sviluppato e finanziato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e il primo
satellite è stato lanciato in orbita nel 1970 ma la copertura totale della superficie terrestre è
avvenuta solo nel 1995.
Negli ultimi anni si sono diffusi in modo esponenziale i location based services (LBS) che
utilizzano il GPS per offrire informazioni relative a negozi, locali e anche persone e di cui tutti
usufruiamo tramite i telefoni cellulari.

Geographical Information System (GIS)


Altrimenti chiamati sistemi informativi geografici, sono software che riguardano la
digitalizzazione dei dati geografici e la loro georeferenziazione (attribuire ad un determinato dato
una precisa localizzazione sulla superficie terrestre Il GIS è dotato di un hardware e di un software
che permettono di inserire, gestire, analizzare e visualizzare dati georeferenziati).
22/02/22
Seminario 1
Il polimorfismo del concetto di regione
“Ogni realtà sociale è, per prima cosa, spazio” -Braudel 1978
Lo spazio terrestre viene definito come un supporto materiale all’attività umana
L’agire sociale sullo spazio determina:
1. rappresentazione -> individuazione delle relazioni tra gli oggetti
2. trasformazione -> ri-organizzazione di quella porzione di spazio
Tutto questo avviene in maniera ciclica (si parla inizialmente di una pianura dove si coltivano orzo
e grano, successivamente il terreno, non più funzionale all’agricoltura, viene utilizzato per edificare
un’industria siderurgica e pertanto il territorio si trasforma in altro).
A seguito di questi processi reiterativi lo spazio diventa un territorio e si parla di un’appropriazione
dello spazio terrestre con un’interazione sia materiale sia intellettuale.
Secondo Le Berre, la nozione di territorio si fonda sulle idee di:
 appropriazione (consapevolezza che lo spazio è nostro e lo possiamo gestire come
vogliamo)
 dominazione (assicurarsi che sia a nostra disposizione)
 confine (aiuta nella gestione del territorio)
Il concetto di regione è polimorfo quindi assume diverse forme a seconda dei contesti.
La concezione di regione nel discorso popolare è di una partizione territoriale con determinate
caratteristiche (es. zona montuosa, vicinanza a corpi idrici, questione linguistica…)
Hartshorne (1939) individua una sua definizione di regione come uno spazio di specifica
localizzazione che in qualche modo si distingue da altri spazi e che si estende nella misura
di questo suo distinguersi
La regione può essere caratterizzata da singoli o molteplici fattori (lingua, elementi naturali)
Per Vallega (geografo genovese) si parla di un’estensione della regione decisamente
discrezionale, vaghezza ma ampiamente impiegati in discipline anche non geografiche
Le regioni amministrative vengono identificate secondo parametri variabili: etnico-linguistico,
fisico-naturale, storico, sviluppo urbano/economico + legittimazione politico amministrativa
La regione come una sorta di “entità naturale” presente a priori anche se in realtà è una
costruzione politico-culturale (quindi non è naturale).
La regione si distingue dal suo esterno e possiede una certa omogeneità interna; si identifica
attraverso un principio di forma (regione formale)
Bauche (1752) parla di regione naturale ovvero di una regione che si distingue per tratti
geografici e fa l’esempio dei bacini fluviali che dividono il territorio della Francia
Il concetto di regione naturale in voga nel XVIII-XIX sec: si parla di un’unità naturale che plasma
la vita umana, un oggetto organico di cui si deve studiare l’anatomia
Vidal de la Blache (1926) parla di regione come organizzazione in grado di dare ordine e
senso in un determinato ambiente e di produrre un determinato tipo di paesaggio
caratterizzato da un certo grado di formalità (regione umanizzata -> maggior enfasi sul ruolo
antropico, capacità di modificare facendo convergere la dimensione fisica e umana)
La regione sistematica è una struttura in movimento e orientata spontaneamente o
volontariamente verso un traguardo
Il processo usato come oggetto principale della ricerca è l’osservazione delle regioni in funzione
degli orientamenti che le muovono (Vallega, 1984) che non contempla solo le relazioni ma in
primis i processi cioè le relazioni nel loro divenire.
La regione come sistema aperto permette di studiarne il rapporto con l’esterno con una possibilità
di approccio multiscalare considerando gli effetti reciproci alle varie scale.
08/03/23

La naturalizzazione del concetto di regione (De Matteis, 1985) è dovuta al buon senso e
rapporto vigente con la rappresentazione cartografica.
Per determinismo geografico si intende rappresentare l’ordine territoriale come se esistesse una
necessità insita nelle cose per cui viene così rappresentato anche se in realtà la necessità risiede
nelle nostre rappresentazioni e processi cognitivi Nella divisione regionale della carta
ritroviamo ordine e coerenza che vorremmo ritrovare anche nella realtà.
Per Johnston (1989) una regione è «una particolare struttura utilizzata dai geografi per la
presentazione delle informazioni» -> strumento capace di organizzare efficacemente la
conoscenza geografica.
La rappresentazione cartografica serve a impadronirci e dominare razionalmente la realtà,
facendola più nostra.

Dividere il territorio significa esercitare il potere (regere=governare): tracciando una linea su


una carta modifichiamo sia la rappresentazione sia la realtà stessa.
es. Israele-Palestina + Scramble for Africa + Ex Jugoslavia
I governi operano secondo dei confini formali (interni ed esterni).
Il discorso che legittima queste partizioni territoriali li porta ad essere considerati «organismi
naturali».
Nessuna definizione geografica è mai neutrale, così come non esiste politica che sia slegata da
una dimensione spaziale.

Una regione è:
 uno strumento di salvaguardia di particolarismi e specificità locali
 uno strumento di controllo sul territorio da parte del governo
 uno strumento di standardizzazione politico-amministrativa senza cancellare le
caratteristiche peculiari
 uno strumento potenzialmente funzionale a rafforzare l’identità di un paese
Dallo stato territoriale moderno alla nazione
Stato nazionale moderno= formazione geografica piuttosto recente
Stati di recente apparizione -> Sud Sudan, Timor Est

Stati -> sono parti di mondo che diamo per scontato, alla stregua delle caratteristiche fisiche di un
territorio
Stato -> prodotto storico, frutto di processi politici e sociali
Agnew -> lo Stato ha avuto origine in Europa sia come modello geografico ideale di
organizzazione della politica, sia come modello alternativo di organizzazione socio-economica
rispetto a quello imperiale e a quello reticolare basato su coalizioni legate a interessi commerciali

All’inizio del 500 si stima ci fossero circa 1500 entità politico-territoriali dotate di una certa
indipendenza, rapporti stabiliti attraverso una rete intricata di relazioni e gerarchie.
Le principali entità erano: Sacro Romano Impero, Papato, Città-Stato, ducati, vescovati
Età delle dinastie (1400-1559) -> coalizioni tra diverse entità, esito di guerre, matrimoni, eredità
(disarticolazione territoriale).
Lo Stato si afferma come forma ideale di organizzazione politica e morale del territorio e della
sua popolazione per 3 cambiamenti:
1. politico -> contenitore di potere intermedio di controllo del territorio tra potere universale e
entità politico-territoriali più ristretta; prima del XVII i territori non contigui potevano essere fedeli
allo stesso sovrano
2. militare -> guerre di religione di riforma e controriforma, risponde al problema della sicurezza,
dell’ordine e della stabilità (unità territoriale definita e controllabile)
3. economico -> consolidamento economia capitalistica e nuove forme di rivalità: lo stato
principale attore economico a livello internazionale (stato come spazio di produzione e
accumulazione della ricchezza, ma anche di difesa di quest’ultima e degli interessi ad essa legata)
Trattato di Westfalia 1648 -> data di nascita dello stato territoriale moderno
Viene sancito il diritto di ciascuno stato ad esercitare la propria sovranità su un dato
territorio sempre più caratterizzato da contiguità e confini chiari.
La sovranità territoriale in questa prima fase è:
 un dato di fatto, un attributo del regnante garantito dalla legittimità che gli derivava da
un’investitura di ordine divino
 un diritto di ciascuno stato ad esercitare il proprio potere (militare e non) all’interno dei
propri confini senza l’interferenza di attori esterni
La guerra d’indipendenza americana (1775-1783) e la Rivoluzione francese
(1789) furono rivoluzioni dei cittadini che attaccano pretesa della legittimità di fatto (il popolo è
investito dell’unica vera forma di legittimazione dello stato).
Vennero instaurati nuovi diritti e nuovi doveri dove lo stato deve occuparsi di assicurare i diritti ai
propri cittadini:
 stato = guardiano/tutore del popolo
 stato = fornitore di servizi
 stato = garante dell’ordine sociale, nascono gli organi di sorveglianza e controllo
territoriale
Tra il XVIII e il XIX l’dea e l’ideale della nazione si associano all’unità politico-amministrativa dello
stato, era dello stato nazione.
Una nazione è una costruzione sociale e politica caratterizzata da una specifica storia,
comunità immaginate fondate sull’invenzione di una specifica tradizione da parte di un’élite
economicamente, culturalmente e politicamente egemonica.
Durante l’epoca delle rivoluzioni, la nazione era una collettività sorta su base volontaristica con
il desiderio di essere sotto lo stesso governo.
Tutte le nazioni sono da considerarsi comunità sostanzialmente limitata dai confini elastici, ma finiti
(necessità di escludere geograficamente, socialmente e politicamente)
Oggi la nazione è una comunità di appartenenza, con valori e storia comuni, un contenitore e
fattore che accomuna i cittadini (assenza di legami di parentela o di quotidianità condivisa, ma
presenza di un immaginario condiviso).
La sovranità e la sua legittimità nello stato nazione, moderno derivano da:
 diretto controllo del territorio
 lealtà totale di tutti i suoi soggetti
Lo stato nazione (come del resto quello territoriale) rappresenta una particolare forma di
regione che istituisce un controllo delle diversità locali.
La partizione in regioni amministrative è uno strumento di standardizzazione in grado di offrire
(idealmente) pari opportunità senza cancellare caratteristiche peculiari e questa opera di divisione
risponde anche a un’esigenza di valorizzare le regioni facendo leva su aspetti identitari, tradizioni e
narrazioni.

15/03/23
Territorio senza Stato, Nazione senza Territorio
Il territorio è l’insieme dei luoghi fisici e simbolici ed è:
 la base fisica per le attività umane
 l’assemblaggio spaziale di relazioni di potere e strategie di identità
È un’unità di spazio continuo che è usato, organizzato e gestito da un gruppo sociale, una
persona individuale o un’istituzione.
L’uso dominante del territorio è politico, nel senso di implicare necessariamente il potere di
limitare l’accesso a certi luoghi o regioni.
Il territorio fa riferimento a tre idee fondamentali: appropriazione, dominazione e confine (La
Berre, 1992).
La sovranità è la rivendicazione da parte di un’istituzione di un’autorità, ovvero la pretese di
essere la più alta autorità per un certo gruppo o in un certo territorio.
In Italia la sovranità si esprime come: il Governo è al vertice (è l’autorità più alta) e gestisce coloro
che fanno parte del territorio assieme ad altre istituzioni.
Un’istituzione dovrebbe essere considerata completamente sovrana qualora non esistano, nello
stesso ambito, altre istituzioni ed organizzazioni che possano richiedere obbedienza e
quando essa sia libera di portare avanti le proprie politiche senza intralci, almeno all’interno
del proprio territorio.
Una nazione non è totalmente sovrana, perché ci sono altre autorità su quel territorio (ad esempio
le multinazionali).
Osservando il conflitto tra
Russia e Ucraina, si parla
di una rivendicazione di
autorità, perché non c’è
stata la capacità di
dominare il territorio del
Donbass, dove vi erano più
autorità a volere il controllo
di questo territorio.
La Crimea è una porzione
dell’Ucraina che non riesce
ad affermare la propria
autorità su quel territorio.
I confini definiscono dove un’autorità opera e dove la sua influenza opera, quindi i limiti
spaziali della sfera d’azione di un individuo o di una collettività a quella di altri soggetti.
Vi sono però spazi in cui lo Stato è in grado di operare anche se non rientrano nei confini
prestabiliti e ciò testimonia che l’autorità politica non sia necessariamente fondata e definita da
confini territoriali rigidi e fissi.
“L’autorità politica non è necessariamente fondata e definita da confini territoriali rigidi e fissi”
-Agnew
La creazione di Stati e Nazioni presuppone:
 l’accettazione popolare di classificazioni dello spazio
 la comunicazione di un senso di luogo
 imponendo il controllo sullo spazio
Il sistema degli Stati garantisce agli Stati di condurre relazioni diplomatiche, ma fa anche sì
che si venga riconosciuti dagli altri Stati come sovrani all’interno dei propri confini.
Ha permesso che lo Stato Territoriale sovrano diventasse la “normalità” nonostante questo sia
lontano dall’essere una norma naturale ed universale.
Il processo di decolonizzazione ha portato le colonie (sono tutti quei territori che un tempo si
trovavano sotto il controllo di uno Stato europeo) a raggiungere le proprie aspirazioni nazionali
di indipendenza dal potere metropolitano coloniale.

Le battaglie anti-
imperialiste e anti-
coloniali hanno spesso
integrato forme di
nazionalismo che
tentava di sviluppare un
senso di appartenenza
nazionale fondato
unicamente sul fatto di
vivere nel territorio dello
stesso Stato.

Il documento fondamentale della decolonizzazione è la “Dichiarazione sulla concessione


dell’indipendenza dei paesi e dei popoli coloniali” del 1960.
Prima della decolonizzazione i confini già esistevano, e durante quest’ultima sono stati disposti a
questi popoli questi contenitori (si è concessa pertanto l’indipendenza ai territorio e non ai popoli,
per questo non ci sono stati stabili in Africa o in Asia).
Nella Risoluzione dell’Assemblea generale ONU 1514 del 14 dicembre 1960 sono stati esposti
alcuni principi, tra cui:
1. la sottomissione dei popoli al dominio e allo sfruttamento da parte di stranieri costituisce una
negazione dei diritti umani fondamentali (art. 1);
2. tutti i popoli hanno il diritto all’autodeterminazione, e questo necessariamente include il diritto di
determinare liberamente il proprio status politico e di perseguire liberamente il loro sviluppo
economico, sociale e culturale (art. 2);
3. tutte le azioni armate o misure repressive di qualsiasi tipo dirette contro popoli dipendenti deve
cessare (art. 4);
4. saranno prese misure immediate, nei territori fiduciari e nei Non-Self-Governing Territories alle
Nazioni Unite o in tutti gli altri territori che non hanno ancora raggiunto l’indipendenza, per
trasferire tutti i poteri ai popoli di quei territori (art. 5)
L’autodeterminazione è il diritto riconosciuto da un gruppo culturale che si identifica con
una particolare porzione di territorio di controllare il proprio futuro politico.
La possibilità di affermare il concetto di autodeterminazione nazionale decadde drammaticamente
con il presupposto che sarebbe stato impossibile ridefinire le frontiere esistenti per creare nuovi
stati nazionali.
Questa decisione politica provocò il passaggio dal diritto dei popoli all’autodeterminazione al diritto
del territorio coloniale di ottenere l’indipendenza e la sovranità riconosciuta.
“Non self-governing territories” sono gli ultimi territori rimasti del mondo coloniale dove non
sono governati in maniera indipendente (sono 17 e per lo più sono piccole isole disperse).
L’unico territorio non self-governing che non ha Administering Power è il Sahara Occidentale, che
ha anche la popolazione e l’estensione territoriale più significativa.
Contiene il 40% delle risorse globali di fosfato quindi, è un luogo molto ambito.
Al giorno d’oggi, è in parte occupato dal Marocco.
Il vecchio Administering Power di questo territorio era la Spagna, che si è ritirata.
Esistono ancora 17 NSGT con una popolazione che si avvicina ai 2 milioni.
Si può dire che i NSGT raggiungono una piena misura di autogoverno attraverso:
1. l’emergere come uno Stato sovrano indipendente;
2. la libera associazione con uno Stato indipendente;
3. l’integrazione con uno Stato indipendente.

L’autorità che controlla un territorio sono spesso i Governi ma ci sono alcuni governi che non
controllano i territori.
I governi in esilio sono gruppi di opposizione che lottano dall’esterno del loro territorio
d’origine per rovesciare e sostituire il regime nel loro paese d’origine indipendente,
occupato o rivendicato.
Secondo Shain, sono quattro fattori che determinano la natura di ogni organizzazione in esilio:
 storia
 rivendicazioni politiche
 origine dei suoi membri
 grado di sostegno nazionale e
internazionale
Tre “gruppi dinamici” di governo in esilio:
1. gruppo il cui obiettivo è rovesciare e
sostituire il sistema di governo in patria;
2. gruppo focalizzato sulla creazione di un
nuovo stato riconosciuto a livello
internazionale, che opera dall’esterno del
territorio rivendicato e considerato come
“orientato all’autodeterminazione pre-statale”
o “orientato alla decolonizzazione”;
3. gruppo che lotta per l’indipendenza politica
per riconquistare il potere su un territorio che
ha perso durante la guerra.
La Linea rossa è il più grande muro, di sabbia, sul territorio Africano in mezzo al deserto.
È una barriera di sabbia militarizzata con zone piene di mine (campi minati).
È una regione in cui vi sono popolazioni maggiormente nomadi.
Secondo i fatti:
-è occupato dal Marocco nella zona Ovest
-vi è sovranità da parte del Frente Polisario/SADR nella parte Est e nei campi rifugiati in Algeria.
Nel diritto:
-lo Stato non è pienamente riconosciuto a livello internazionale
-la sovranità non è riconosciuta a livello internazionale

Il Sahara Occidentale
è un’eccellenza nel
quadro dei non self-
govering territories.
Le autorità saharawi
hanno trasformato i
campi da spazi
umanitaria a spazi di
azione e di lotta.
Le autorità saharawi
hanno ricostituito
forme di territorialità
e di governo
all’interno dei confini
dell’Algeria e nel
contesto dei campi
rifugiati.
 il Polisario/SADR ha rafforzato la sua posizione di rappresentante saharawi e di gestione
dei campi responsabili attraverso lo sviluppo della propria costituzione, della forza di
polizia del campo, dell'esercito e di un sistema giuridico religioso
 "I campi fornivano la soluzione spaziale (temporale) di dove sviluppare una
rivoluzione sociale e costruire un nuovo stato, basato sui nuovi principi rivoluzionari
del nazionalismo saharawi" -San Martin
 fin dal primo momento l'obiettivo dei campi era anche il supporto logistico all'Esercito di
Liberazione Saharawi (SLA) e la base per la costruzione della nuova soggettività
saharawi modellata sotto lo schema politico promosso dal Fronte Polisario dal 1973
 un alto grado di autogestione e il controllo di fatto del Polisario/SADR sul territorio algerino
su cui i campi sono stati costruiti distinguono i campi saharawi dalla maggior parte dei
campi profughi in tutto il mondo

22/03/23

Globalizzazione e sviluppo
Le geografie della globalizzazione, sviluppo e sottosviluppo
Con globalizzazione si intende l’approfondimento, l’espansione e l’incremento delle velocità
della rete di interconnessioni esistenti nella società a livello globale.
Può essere osservata in tanti ambiti, tra cui: economica, criminale, culturale, finanziaria,
politica e ambientale.
Tesi iperglobalista
Ohmae:
 nuova epoca in cui gli individui di tutto il mondo sono sempre più soggetti alla disciplina del
mercato globale
 si perde la dimensione nazionale delle economie e si creano reti transazionali (produzione,
commercio e finanza)
 riconfigurazione totale del campo d’azione umano (neoliberali vs radicali/neo-marxisti)

Tesi scettica
Hirst e Thompson:
 la globalizzazione è un mito, non assistiamo a un’economia globale profondamente
integrata, il ruolo dei governi nazionali è ancora preponderante
 assistiamo a un fenomeno di regionalizzazione dell’economia: Europa, Asia-Pacifico, Nord
America
 la globalizzazione non ha ridotto le diseguaglianze tra nord e sud globale anzi ha creato un
processo di marginalizzazione per alcune aree nel mondo

Tesi trasformazionalista
Giddens:
 la globalizzazione è la forza trainante principale dei cambiamenti rapidi a livello sociale,
politico ed economico capaci di ridefinire la società moderna e l’ordine mondiale
 non c’è distinzione tra domestico e internazionale
 la globalizzazione è la forza trasformativa dirompente
 è un processo di lungo termine che naturalmente presuppone contraddizione e dalla
portata unica nella storia umana
 questo non comporta la creazione di una società unica globale ma si assiste alla
riconfigurazione di potere, funzioni e autorità degli stati
È un processo in cui assistiamo a dei cambiamenti:
 materiali -> accresciuta mobilità potenziale di merci, persone e capitali
 spaziali -> portata spaziale delle relazioni e dell’organizzazione sociale ridisegnata e
indirizzata verso le dimensioni interregionale o intercontinentale
1. trasformazione dei modelli dominanti di organizzazione socio-economica (l’economia, la
politica e la società non sono più delimitate entro i limiti di uno Stato-nazione)
2. trasformazione dei principi territoriali (non sono ovviamente irrilevanti, ma vengono
ridefiniti)
3. trasformazione del potere (scala su cui viene organizzato ed esercitato)
 temporali -> riduzione di tempi e gli effetti dei cambiamenti che si manifestano su scale
temporali molto differenti o livelli più o meno elevati di incertezza

Elementi della globalizzazione economica


 commercio internazionale potenzialmente in espansione
 ruolo fondamentale del settore della finanza mondiale
 crescita e primato delle multinazionali su scala globale
 delocalizzazione e riduzione dei costi nei trasporti
 necessità di energia a basso costo

Elementi della globalizzazione culturale


 ampliamento delle informazioni e delle conoscenze a disposizione
 sviluppo della ricerca internazionale
 maggiori possibilità di mobilità educativa e lavorativa
 sviluppo della rete e dei social media
 società eterogenee e multiculturali

Altri elementi fondamentali della globalizzazione:


 migrazioni
 turismo
 spopolamento delle aree rurali e aumento della popolazione cittadina
 aumento dei bisogni (presunti)
 competizione per le risorse

29/03/23
I rischi correlati con la globalizzazione
 crisi climatica
 perdita di biodiversità
 pandemie
 diseguaglianze
 terrorismo
 autoritarismi
 crisi finanziarie
 reti criminali internazionali
 nuove tipologie di conflitti
 sicurezza digitale e privacy

Elementi principali della globalizzazione


 DETERRITORIALIZZAZIONE  il territorio inteso in senso geografico tradizionale perde il
primato di luogo per eccellenza dell’attività umana; infatti, quest’ultima si manifesta anche
in forma non-localizzata
 INTERCONNESSIONE  eventi e forze anche distanti producono effetti riscontrabili
localmente
 VELOCITÀ  compressione dello spazio grazie allo sviluppo tecnologico, cambia
l’esperienza del territorio poiché cambiano le temporalità dell’agire umano
 PROCESSO MULTIFORME si manifesta in ambito economico, politico, culturale e
ambientale
 PROCESSO DI LUNGO TERMINE NON OMOGENEO, NON UNIVERSALE, NON
UNIFORME
Il presidente USA Truman fu l’inventore dello SVILUPPO (nel 1949, in seguito alla sua rielezione)
che si basa su: PROGRESSO + CRESCITA + SOTTOSVILUPPO + INVESTIMENTI
Nell’ideologia della MODERNIZZAZIONE lo sviluppo viene inteso come “CRESCITA” e:
 domina fino agli inizi degli anni 70
 si verifica una convergenza di significato di crescita, sviluppo e progresso
OTTIMISMO  naturale evoluzione della società verso forme sempre più perfette, cammino lungo
e tortuoso, con errori, ma lineare, cumulativo e irreversibile con l’idea che maggiori quantità di
ricchezza offrano migliori condizioni di vita in termini politici, sociali e di benessere.

Il primato della crescita e la sua normalità


 aumento delle quantità di fattori di produzione (terra, capitale e lavoro) necessari per
ottenerla
 maggiore efficienza nell’utilizzo dei fattori di produzione, principalmente promossa
dall’innovazione del processo produttivo o dal miglioramento dell’organizzazione del lavoro
Tale concezione classica viene tradotta nella definizione sinonimica di SVILUPPO avanzando fino
a precisare il suo carattere necessario e naturale all’interno delle leggi sociali.
Quest’approccio, che richiama l’evoluzione in senso biologico, afferma la normalità dello
«sviluppato» contro l’anomalia del «non sviluppato».

Il modello di Rostow
 lo sviluppo dei paesi avviene per stadi successivi, con il passaggio dalla società
tradizionale a quella dei consumi di massa, lungo un sentiero lineare verso la modernità.
 le società capitalistiche occidentali rappresentano l’obiettivo ultimo dello sviluppo dei
paesi più arretrati, in “ritardo” nel proprio cammino evolutivo.

Il sottosviluppo è da imputare a cause endogene

Fede:
 nel progresso sociale,
 nell’illimitatezza delle risorse naturali,
 nella razionalità economica come meccanismo regolatore,
 nel legame fra crescita industriale e sviluppo: industria e tecnologia assicurano progresso e
benessere
Le società “sviluppate” appaiono e sanno di essere evolute e mature, ma in realtà sono soprattutto
in grado di riprodurre la crescita.
Tutte le altre dovrebbero percorrere traiettorie che vadano in questa direzione.
La parola (sviluppo) implica sempre un cambio favorevole, una scala dal semplice al
complesso, dall’inferiore al superiore, dal peggiore al migliore (…).
Indica che si sta agendo bene, perché si sta avanzando nella direzione di una necessaria,
ineluttabile universale legge e verso un obiettivo desiderabile” (Sachs, 1998)
PRIMATO DEL PRODUTTIVISMO sostituzione del fine (benessere dell’essere umano e lo
sviluppo umano) con il mezzo (la crescita economica e rafforzamento della base materiale della
società)

Mentre lo sviluppo (così come l’evoluzione) si riferisce, in realtà, a trasformazioni qualitative, la


crescita privilegia aspetti quantitativi strutture interpretative dualistiche (schemi dicotomici):
 avanzato/arretrato
 tradizionale/moderno
 sud/occidente (nord)
 civilizzato/non civilizzato
 sottosviluppo/sviluppo

Problematicità:
 sviluppo alla scala globale
 generalizzazione delle dicotomie
 atteggiamento paternalistico e “modello” occidentale

Modernizzazione imperante fino agli anni 50


Teorie di quel periodo fondate su due grandi assiomi:
a) lo sviluppo possibile solo nell’applicazione delle regole che hanno già fatto avanzare i
paesi occidentali
b) le cause del sottosviluppo determinato da limiti strutturali dei paesi del Sud:
 classi sociali oligarchiche al potere,
 eccesso di statalismo e lentezze burocratiche,
 ridotto sviluppo tecnologico,
 scarso livello nelle esportazioni,
 ridotta capacità di attrarre investimenti esteri

Fine degli anni 60 dovuta a due problematiche:


 ecologiche  nascita dei movimenti ecologisti e la ricerca di interpretazioni “alternative”
dello sviluppo (vedi anni successivi con concetto di sviluppo sostenibile).
 economiche  fallimento della modernizzazione dei paesi del Sud del mondo e crisi
fiducia in un modello “unico” di sviluppo
 La crisi del modernismo non coincide con la crisi del concetto di sviluppo, che rimane
concetto pregnante e trasversale ma incide più sulle ricette da adottare per il
raggiungimento  NEOLIBERISMO

Il neoliberismo
Insieme di politiche ispirate al «disimpegno» dello Stato dall’economia: deregolamentazione,
apertura agli investimenti, privatizzazioni…
Diffusione a partire dagli anni Ottanta (Margareth Thatcher e Ronald Reagan) + antecedenti in
alcuni Paesi latino-americani.
FENOMENI RILEVANTI:
 espansione geografica e settoriale dell’economia di mercato
 rimozione delle barriere artificiali e «costruzione» di un «libero mercato»
 apparato di idee e concetti che legittimano il neoliberismo come modello organizzativo
«naturalmente» migliore, più efficiente, più democratico, più libero

Applicazione delle ricette neoliberiste


 piani di Aggiustamento Strutturale (FMI) + Imposizione di ricette neoliberali
«standardizzate»
 crisi del debito degli anni ‘80 nei PVS
 conseguenze sociali, economiche e politiche che hanno aggravato la situazione in quasi
tutti i Paesi in cui si è intervenuto

05/04/23
La critica all’economia di mercato
‘60 –’70  CRITICA MODELLI MODERNISTI/NEOLIBERISTI
 Sud del Mondo + America Latina
 spesso legata alla teoria Marxista
 discussione sui divari nei processi di sviluppo
TEORIA DELLA DIPENDENZA  la relazione tra paesi del Nord e del Sud del mondo non si
fonda sulla semplice coesistenza, ma sull’operare di un meccanismo di dipendenza e che,
conseguentemente, le condizioni di sottosviluppo di alcuni paesi non è un semplice accidente, ma
piuttosto il risultato del funzionamento del sistema capitalistico mondiale nel suo complesso.

Andre Gunder Frank (1976)


La METROPOLI sviluppata e i suoi SATELLITI sottosviluppati sono elementi interagenti di un
unico sistema, e i processi che si determinano al suo interno (sviluppo e sottosviluppo) sono fra
loro dialetticamente intrecciati.
Le METROPOLI industrializzate dominano la PERIFERIA sottosviluppata tramite l’appropriazione
del surplus ivi prodotto, per cui nella PERIFERIA si attiva un processo inevitabile di «sviluppo del
sottosviluppo»
CONTRAPPOSIZIONE TRA SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO  applicazione del modello a
differenti scale: globale (USA e satelliti), ma anche locale (centro vs hacienda rurale)
TENDENZA NATURALE ALLO SQUILIBRIO  NO IPOTESI DI CONVERGENZA ECONOMICO
SPAZIALE

Integrazione periferia nell’economia di mercato:


rapporti di dominanza e dipendenza basato su scambi reciproci + progressione storica che
investe via via nuovi territori dove esistono risorse e mercati per i prodotti del centro
FURTADO (LT. A.) + AMIN (AF. O.)
 ’70 rapporti sociali interni la periferia
 SCOMPOSIZIONE SISTEMA ECONOMICO TRADIZIONALE
 società eterogenea ristretti gruppi di interesse vs massa AL LV di sussistenza

MINORANZE PRIVILEGIATE (Lacoste)  mantenimento struttura volta all’esportazione di risorse


e prodotti manufatturieri.

Modello scambio ineguale


Tra i più illustri teorici, Paul Baran:
 negazione del sottosviluppo come fase “naturale” nell’evoluzione verso lo sviluppo
 affermazione della sua esistenza come conseguenza dei rapporti di potere tra sud e
nord del mondo
 la formazione di una periferia sottosviluppata è un’esigenza del sistema capitalistico
mondiale per cui il centro, integrando la periferia nel proprio sistema di scambi commerciali,
si appropria della ricchezza lì prodotta, utilizzandola per consolidare la propria posizione
dominante
 trasferimento del surplus dal sud al nord del mondo

Oggi l’industrializzazione ha raggiunto quasi tutti i paesi:


 dispersione geografica delle attività produttive
 concentrazione del potere economico-finanziario sia a livello globale (centri di potere delle
grandi città) sia all’interno di ciascun paese (a favore di élite locali)

Il sistema-mondo secondo Wallerstein


SISTEMA CAPITALISTICO  DIVISIONE DI CLASSE + CONTINUO PROCESSO DI
ACCUMULAZIONE
SISTEMA-MONDO  obiettivo generalizzato di produrre per realizzare il massimo profitto:
 diffuso dal XVI sec e affermatosi nel XX sec
 ECONOMIA-MONDO  unità dotata di propria divisione del lavoro e di molteplici sistemi
sociali e culturali
 l’unità politica non è necessaria perché il surplus è prelevato e distribuito tramite il mercato
I percorsi di sviluppo non sono autonomi ma definiti dalle traiettorie storiche e geografiche
alla scala mondiale

Organizzazione del sistema-mondo


 CENTRO: ristretto in termini geografici, paesi ed economie che rappresentano il cuore
dell’accumulazione capitalistica. Capaci di produrre innovazioni.
 SEMIPERIFERIA: circonda il centro, gode solo in parte dei vantaggi del centro ed esercita
anch’essa forme di controllo sulla periferia. Capaci di imitare innovazioni, modificarle e
adattarle alla produzione di massa.
 PERIFERIA: estesissimo insieme di territori economicamente arretrati, fonte di materie
prime, prodotti agricoli, forza lavoro a basso costo.

EFFETTI:
 Espansione geografica
 Commodification
 Proletarizzazione
 Crescita diseguaglianze economiche e sociali

Relazioni tra le componenti del sistema


CENTRO: circolazione e scambio di idee, servizi e informazioni; maggiori aree di mercato e di
consumo
SEMIPERIFERIA: aree di recente industrializzazione + regioni agricole integrate + dipendenza
tecnologica, finanziaria e decisionale + sistemi di relazioni meno complessi
PERIFERIA: relazioni ancora più tenui, a volte sporadiche e limitate + povertà diffusa + instabilità
politica + arretratezza tecnologica  netta dipendenza e subordinazione
Il coefficiente di Gini,
chiamato anche indice di Gini
o rapporto di Gini, è la misura
più comunemente usata per
misurare la distribuzione del
reddito: in parole povere, più
alto è il coefficiente di Gini,
maggiore è il divario tra i
redditi delle persone più
ricche e di quelle più povere
di un Paese.
Se una nazione avesse
un'assoluta uguaglianza di
reddito, ovvero se ogni
persona guadagnasse la
stessa cifra, il suo punteggio
Gini sarebbe pari a 0 (0%).
D'altra parte, se una persona
guadagnasse tutto il reddito di una nazione e il resto guadagnasse zero, il coefficiente Gini
sarebbe 1 (100%).
12/04/23
Sviluppo e risorse ambientali
Risorse naturali
RISORSA NATURALE (senso comune)  tutto ciò che si trova in natura e che può essere
utilizzato per trarne qualche forma di beneficio.
In economia le principali risorse naturali sono state identificate con TERRA e MATERIE PRIME
A lungo le materie prime sono state concepite come ILLIMITATE  AMBIENTE COME MINIERA
INEUSARIBILE DI RISORSE
‘60-’70 CONSAPEVOLEZZA DELL’ESAURIBILITÀ DELLE RISORSE
Si definiscono “RISORSE RIPRODUCIBILI” le risorse che hanno un ciclo biologico che le permette
un certo livello di prelievo senza minacciarne lo “stock” che può restare costante per un periodo di
tempo illimitato.
Invece, si definiscono “RISORSE NON RIPRODUCIBILI” le risorse che in un periodo di tempo
rilevante per l’azione umana sono da considerarsi in quantità fissa, per cui ogni prelievo significa
una irreversibile diminuzione della disponibilità per esigenze future.

Degradazione delle risorse e dell’ambiente


INQUINAMENTO (aria – acqua – suolo) = modificare la composizione di una risorsa in maniera
tale da nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente.
DEGRADARE = DETERIORARNE LE PROPRIETÀ
 velocità di sfruttamento superiore alla suo tasso di rigenerazione
 danneggiamento della produttività della risorsa
 superamento soglie sostanze inquinanti
Le risorse assolvono più funzioni quindi il degrado può variare.
Una risorsa non viene degradata di per sé, ma quando subisce una degradazione in relazione a
possibili suoi utilizzi attuali e futuri.
L’imperativo della crescita richiede maggiori risorse naturali:
 crescita demografica
 + consumi = + scarti
 nuove risorse sfruttate
 nuove tecnologie

La rivoluzione verde
’50 – ’60 APPROCCIO DELLA MODERNIZZAZIONE IN AMBITO AGRICOLO
Centralità delle soluzioni tecnologiche  aumento della produttività
 utilizzo prodotti chimici (fertilizzanti, antiparassitari, erbicidi)
 meccanizzazione
 varietà di sementi ad alta produttività (mais, orzo, grano, riso)
Risultati positivi in INDIA e INDONESIA ma:
 riduzione diversità genetica
 aumento della domanda d’acqua
 aumento inquinamento
 diseguaglianze tra gli agricoltori (accesso alle tecnologie)

Acquacoltura crostacei in Ecuador


 diminuzione delle mangrovie circa 70% a causa dell’allevamento di gamberi/gamberetti.
 alterazione dell’ecosistema dovuti agli antibiotici e pesticidi + eccesso di nutrienti
 abbandono dei siti + erosione del suolo + impatti negativi sugli ecosistemi marini.
ECOSISTEMA COMPROMESSO

Lo sviluppo sostenibile
È stato definito, nel rapporto “Our Common Future” del 1987 della Commissione mondiale per
l’ambiente e lo sviluppo (Commissione Bruntland), come:
“il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la
possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”
Un’altra interpretazione dello sviluppo sostenibile è quella formulata nel 1991 in “Caring for the
Earth: A Strategy for Sustainable Living”:
“il soddisfacimento della qualità della vita, mantenendosi entro i limiti della capacità di
carico degli ecosistemi che ci sostengono”
Entrambe le definizioni chiariscono come il concetto di Sviluppo Sostenibile comprenda in maniera
prioritaria il rapporto tra i benefici per le persone e l’attenzione nei confronti dell’ambiente.

Risorse energetiche
CONSUMO di ENERGIA cresce con i PROCESSI di INDUSTRIALIZZAZIONE:
 passaggio da energie tradizionali (forza umana/animale, fuoco…) a forme moderne
(carbone, petrolio, gas…)
 delocalizzazione: imprese a elevato consumo energetico, si spostano all’estero per regimi
sulle emissioni meno vincolanti
 in passato  crescita del PIL proporzionale alla crescita del consumo energetico
DISEGUALE DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE ENERGETICHE  FATTORE GEOPOLITICO
DETERMINANTE
OPEC  Piccolo gruppo di paesi esportatori di petrolio in grado di controllarne prezzo e offerta
La questione sull’esaurimento delle risorse, i riflessi geopolitici e le ripercussioni ambientali del loro
utilizzo  fonti alternative
Industria estrattiva africana
Settore in forte crescita, soprattutto legata all’aumento della domanda internazionale di idrocarburi
(Angola + Nigeria + Libia).
ANGOLA:
 produzione quadruplicata in venti anni (1994-2014)
 estrazione concentrata prevalentemente nei giacimenti “off-shore” settentrionali al largo del
bacino del Congo
 la compagnia petrolifera nazionale “Sonangol” detiene il monopolio per l’esplorazione e
l’estrazione del greggio,
 collaborazione con compagnie petrolifere straniere  ENI (IT), Chevron Texaco + Exxon
Mobil (USA), Total (FR), BP (UK) e l’anglo-olandese “Shell”.
 POCHISSIMO DEL CAPITALE GENERATO HA RICADUTE SULLA SOCIETÀ CIVILE
LOCALE: HDI 0,586 (2023) – GINI 51.3 (2023-13* Ranking più basso)
 importazione estero della tecnologia e materiali
 CREAZIONE DI ENCLAVE (spazio extra-territoriale) per i lavoratori del settore
 sistema efficiente e fortemente GLOBALIZZATO ma non funzionale allo SVILUPPO del
paese

Energie rinnovabili
«PULITE» se non emettono sostanze nocive (gas serra o scorie da smaltire):
 eolica
 solare
 idroelettrica
 geotermica
 biomasse
 NON SEMPRE SOSTENIBILI  COMPROMISSIONE DEL PAESAGGIO/ECOSISTEMI
(deforestazione, cambiamento destinazione uso suolo, cambiamenti assetti territoriali)
La terra non è una riserva illimitata di risorse e le attività umane implicano sempre delle
ripercussioni sull’ambiente, anche le fonti di energia rinnovabile possono intaccare gli equilibri degli
ecosistemi se non adeguatamente gestite.

Diga delle tre gole (Cina)


 IMPATTO AMBIENTALE  quantità di frane e smottamenti è aumentata del 70% dal 2010
al 2018
 1300 siti archeologici sotto l’acqua
 spostamenti forzati della popolazione ma produzione energetica che diminuisce la
DIPENDENZA DAL CARBONE

19/04/23
Le risorse idriche
Il volume totale H2O: circa 1.400 milioni di km³, il 97-98% dei quali è salino e solo il 2-3% circa
dolce.
Il volume totale di acqua dolce disponibile ad oggi circa 37,5 milioni di km³:
 29 milioni di km³ (circa il 77%) si trova nelle calotte polari e nei ghiacciai;
 8,3 milioni di km³ (22%) nelle acque sotterranee, di questi circa la metà ad una profondità
inferiore agli 800 m;
 0,12 milioni di km³ (0,32%) si trova nei laghi, nei fiumi e nei torrenti;
 0,013 milioni di km³ (0,18%) è sparsa sotto forma di umidità e di infiltrazioni del suolo;
 0,103 milioni di km³ (0,30%) si trova allo stato di vapore acqueo nell’atmosfera.
La crescita della popolazione, delle economie, della domanda alimentare e delle città comporterà
maggiori richieste di risorse idriche dolci nel mondo.
Per soddisfare in maniera sostenibile la domanda di servizi idrici futura è attraverso
l’efficientamento.
Distribuzione disomogenea sia tra la superficie e il sottosuolo, sia nelle varie regioni del mondo.
UTILIZZI: industriale, alimentare, agricoltura, energetico.

Il disastro del Lago d’Aral


A partire dal 1960 la regione ha assistito ad una forte crescita del PIL
Il binomio crescita economica/sfruttamento delle risorse idriche è stato il caposaldo delle politiche
di sviluppo del URSS  catastrofe ambientale del quarto lago più esteso al mondo
Il bacino del Lago d'Aral si estende in un’area di circa 1,7 milioni di chilometri quadrati.
Oltre il 95% di Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan; circa il 59% del Kirghizistan, 12,7 %
Kazakistan e il 38% dell’Afghanistan.

Dalla metà del XVIII secolo fino al 1960, il livello del lago poteva variare dai 4 a 4,5 m.
A partire dal 1910 fino al 1960, esso si trovava in una fase in cui le variazioni del livello erano
minime, inferiori a un metro.
Nel 1960, il livello del lago era di 53,4 m, occupava un’area di circa 68.900 km² (secondo altre
stime 67.500 km²), il volume raggiungeva i 1090 km³, la profondità media era di 16 m, la salinità
media delle acque era dell’ordine dei 10 g/L.
All'inizio del 1987, il livello medio del lago era sceso a 12,9 m, l'area era diminuita del 40%, il
volume era calato del 66%, la salinità media era aumentata fino a raggiungere i 27 g/L.
Nel 1987 si assiste alla separazione del bacino in due corpi distinti: il Nord Aral più piccolo a Nord
e il Sud Aral più esteso a Sud.
In 50 anni si è perso il 90% del volume e si assistito a una degradazione della risorsa.
Nel 2010 la salinità raggiungeva i 130 g/L nel Sud Aral.
Il ritiro del lago è stato accelerato dai periodi di siccità che hanno colpito l’area nel biennio 1974-
1975 e, successivamente, tra il 1982 e il 1986.

I colossali programmi dell’Unione Sovietica di irrigazione forzata per la coltivazione, in particolare


del cotone che furono intrapresi nelle zone desertiche e nelle steppe per assicurarsi l’indipendenza
dalle importazioni estere, determinarono lo spostamento di centinaia di migliaia di persone in
queste aree.
Dal 1970 al 1989, l'area irrigua crebbe del 150% nel bacino dell’Amu Darya e del 130% nel bacino
del Syr Darya.
Durante la pianificazione condotta negli anni '50 e '60, si prevedeva un ridotto l'afflusso di acqua
dai due affluenti, ma ciò non fu ritenuto motivo sufficientemente rilevante per provocare un
ripensamento su questo approccio.
Congiuntamente, a partire dagli anni '50 in Kirghizistan e in Tagikistan, le Repubbliche a monte del
bacino, tramite bacini artificiali e numerose dighe si immagazzinavano grandi volumi d'acqua
durante i mesi invernali per poi assegnarli, nei mesi estivi, all'irrigazione dei campi a valle in
Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan.
In cambio dello stoccaggio delle acque in periodo invernale e dell’energia idroelettrica prodotta
dalle Repubbliche a monte, le Repubbliche a valle fornivano gratuitamente carbone, gas naturale e
petrolio.

Lo sviluppo della coltivazione del cotone nell’area turkmenaè avvenuta grazie alla costruzione del
canale Karakum (1370 km). Iniziato nel 1954 completato sili nel 1988.
Deviare le acque dell’Amu-Darya e trasportarle, attraverso il deserto del Karakum, fino alla regione
del Mar Caspio.
Caratterizzato da scarsa efficienza a causa del suo letto sabbioso e all'assenza di argini definiti e
protetti.
Per quantificare l’impatto della costruzione del canale basta evidenziare come tra il 1956 e il 1986,
sono stati dirottati verso di esso annualmente 225 km³ di acqua.

La produzione del bacino ha vissuto una sostanziale riduzione delle specie coltivate
trasformandosi in una regione in cui le zone agricole erano caratterizzate da monocolture di riso e
cotone.
Scomparsa delle coltivazioni necessarie al soddisfacimento delle esigenze alimentari della regione
rendendo di fatto la regione dipendente dalle forniture alimentari provenienti dal resto dell’Unione
Sovietica.
Incremento dei prelievi dai due grandi affluenti del lago, aumento esponenziale del numero di
dighe e di invasi artificiali nell’area del bacino, compromissione degli afflussi d’acqua verso il lago
d’Aral.
La nascita dell’Aralkum, il deserto che ha preso il posto del Lago d’Aral, è opera umana.
L’utilizzo non sostenibile delle risorse è strettamente collegato alle politiche “sviluppiste” intraprese
dall’Unione Sovietica tra il 1960 e il 1991, ma anche dalle decisioni portate avanti dalle nuove
Repubbliche indipendenti dell’Asia Centrale.

Impatti principali
 DESERTIFICAZIONE (Deserto di sale/Aralkum)
 DEFORESTAZIONE
 PERDITA FAUNA E FLORA
 DEGRADO ECOSISTEMA LACUSTRE E DELTAICI
 DIMINUZIONE ACQUE SOTTERRANEE
 RIPERCUSSIONI SUL SETTORE ITTICO
 SPOPOLAMENTO
 IMPATTO INQUINANTI SULLA SALUTE UMANA
 CAMBIAMENTO CLIMATICO

26/04/23
Governare la globalizzazione
Diseguaglianze: varietà e intensità di flussi
La globalizzazione si accompagna ad una crisi di alcuni intermediari storicamente rilevanti che
agivano da referenti per gli individui, e non li lasciavano soli nella gestione dei problemi e delle
sfide tanto della vita privata quanto della vita pubblica, principalmente:
 agenzie formative e culturali
 scuola e sistemi di istruzione
 organizzazione politiche e sociali

Ulrich Beck (1986)


La questione della sicurezza: INSOLENZA, TRACOTANZA
 dipendenza dal mondo naturale
 ostentazione di una sicurezza non sempre reale  VULNERABILITA’
CONSAPEVOLEZZA AMBIENTALE + CRITICA MORALE AL CONSUMISMO
DEGRADO AMBIENTALE vs GIUSTIZIA SOCIALE

• SICUREZZA MILITARE vs INSICUREZZA AMBIENTALE


• INTERCONNESSIONE TRASPORTI E COMMERCIO VS PANDEMIE
• SFRUTTAMENTO COMMERCIALE RISORSE VS SALVAGUARDIA BIODIVERSITÀ
Attenzione verso la complessa GEOGRAFIA DEI RISCHI AMBIENTALI prodotti dall’azione
umana.

Scala geografica intesa come: livello di risoluzione geografica al quale si pensa, si studia o si
agisce su un dato fenomeno.
Tutti i fenomeni avvengono trasversalmente su più livelli; intersezione dei processi trasversalmente
su più scale e non il singolo dominio di una scala:
es. TERRORISMO (tra vocazione nazionalista, rovesciamento locale e difesa dall’accidentalismo)
POLITICHE ELETTORALI (mutevolezza dei pattern locali, regionali e nazionali)
FINANZA GLOBALE (no corrispondenza tra flussi finanziari e territori nazionali)

Gerarchia ecopolitica

Più alti sono i livelli della gerarchia


a cui è associato un problema più
difficile sarà la sua soluzione.
es. GCC molto più complesso da
gestire rispetto a un problema di
inquinamento locale.

Monopolio politico degli Stati


Pensiero sulla DEMOCRAZIA troppo spesso associato alla questione statale.
Held (1999):

Possibilità di operare non territorialmente attraverso reti alternative

Sicurezza ambientale
Non è semplicemente un insieme di nuove esigenze di sicurezza nazionale
Si applica a nuove fonti di rischio a varie scale geografiche, non si può operare attraverso i modelli
‘tradizionali/nazionali’ di sicurezza
Luke (2000):
GOVERNARE  il significato più comune (…) è quello di reggere le sorti di uno Stato,
dirigendolo dal punto di vista politico e amministrativo (…). In senso più generale, si governa
qualcosa tenendolo sotto controllo e facendolo procedere nel modo voluto (…) oppure
occupandosene e prestando le cure necessarie.
Una parte rilevante delle società - di fronte all'impotenza delle istituzioni politiche nel garantire beni
pubblici fondamentali come il lavoro, la sicurezza o la mobilità sociale (l'ascensore sociale sembra
ormai saper fare soltanto più viaggi di discesa) - coltiva orientamenti e comportamenti anti-politici
o, più precisamente, anti-istituzionali.

03/05/23
«Per fronteggiare la Globalizzazione, sono necessarie nuove configurazioni politiche (sia a livello
sovra-nazionale che infranazionale) capaci di avvicinarsi ai concetti di solidarietà e di sussidiarietà
e di poterli affrontare.
Questi principi devono poi essere interpretati utilizzando una nuova prospettiva, non più quella
degli Stati nazione, ma piuttosto quella di una società civile globale emergente, non più limitata ai
confini e legata ai vincoli degli Stati nazione»

Sussidiarietà
Il termine “sussidiarietà” deriva dal latino subsidior.
In latino, la parola subsidium significa soprattutto “di riserva”, oppure – in un senso più specifico –
“truppe di riserva”: quelle utilizzate in caso di necessità.
L’espressione subsidium ferre significa restare nelle retrovie ed essere preparati per accorrere in
aiuto di coloro i quali si troveranno in difficoltà in prima linea.
Inizialmente, il termine ha mantenuto il significato di portare aiuto e assistenza alle altre
persone.
In tempi più recenti ha cominciato ad essere utilizzato come principio che indica il livello di
autonomia nelle organizzazioni sociali  distribuzione del potere e dell’autorità nella società, in
contrapposizione con l’idea monopolistica del potere attribuita interamente allo Stato.
Quindi il concetto di sussidiarietà oscilla tra due significati:
(1) portare assistenza a qualcuno
(2) preservare e rafforzare la sua autonomia
È evidente che possano sorgere contraddizioni e conflitti legati al concetto ed al suo impiego.
Senso comune maggiormente assunto dal concetto (quotidianità, mondo anglosassone, trattati
europei):
“lasciare che le persone agiscano come ritengono opportuno e il più possibile liberamente
rispetto al potere politico centrale”
Quindi secondo una dimensione prettamente organizzativa  Sussidiarietà come devolution,
decentramento, privatizzazione, riconfigurazione dei diritti di cittadinanza, governance
plurale e multilivello.
Concetto per cui un’autorità centrale avrebbe una funzione essenzialmente sussidiaria,
essendo ad essa attribuiti quei soli compiti che le autorità locali non siano in grado di
svolgere da sé.
Più recente, con riferimento alla Comunità europea e all’UE  il principio secondo il quale
dovrebbe essere riservata alla Comunità, come organismo centrale, l’esecuzione di quei compiti
che, per le loro dimensioni, per l’importanza degli effetti, o per l’efficacia a livello di attuazione,
possono essere realizzati in modo più soddisfacente dalle istituzioni comunitarie che non dai
singoli stati membri.
In un sistema statale
Lo Stato è quindi l'ultimo dei cerchi concentrici che partono dal singolo individuo e si può
quindi affermare che esso costituisce la periferia della struttura derivante dal principio di
sussidiarietà.
In questa prospettiva, allo Stato spetta completare quello che il singolo e le comunità più
piccole non possono condurre a termine.
Lo Stato può cedere, come effettivamente accade, parte dei suoi compiti a soggetti
sovranazionali, estendendo così, per quelle materie, i cerchi concentrici.

QUESTIONI GLOBALI  FEDERALISMO


Seguendo il principio di sussidiarietà (secondo cui l'autorità centrale avrebbe una funzione
essenzialmente sussidiaria, essendole attribuiti solo quei compiti che le autorità locali non sono in
grado di svolgere da sé), il federalismo propone istituzioni di governo democratiche a ogni
livello, dalla comunità locale al mondo, in modo che ciascun livello sia responsabile per i
problemi che può risolvere meglio.

Federalismo
In questo contesto il federalismo è un «pensiero politico attivo» (Albertini)che presenta:
1. Un aspetto di valore  la pace universale in primis (ma non solo)
2. Un aspetto di struttura  la teoria dello Stato federale
3. Un aspetto storico sociale  società pluralistica e aperta all’interdipendenza
La divisione territoriale del potere che scaturisce da un assetto federale assegna piena capacità
di autogoverno ai livelli inferiori in tutte le materie non espressamente assegnate a quello federale,
determinando una nuova divisione delle competenze e dei poteri.
Il punto nevralgico che unisce i tre aspetti è la realizzazione del principio di sussidiarietà e
solidarietà.
La suddivisione dei poteri ai vari livelli di governo deve rispettare i principi:
1) della sussidiarietà, perché i problemi devono essere risolti al livello superiore solo quando
non è possibile affrontarli adeguatamente al livello inferiore, più vicino ai cittadini.
2) della solidarietà territoriale, perché i cittadini delle comunità territoriali più ricche e
fortunate devono condividere il tentativo delle comunità territoriali più povere di raggiungere
un più elevato benessere.

Problemi globali come la pace, il cambiamento climatico la lotta alle diseguaglianze andrebbero
trattati (ANCHE) al livello più alto possibile ‒ istituzioni mondiali ‒ mentre questioni legate alla
lingua, alla cultura, andrebbero affrontate ai livelli di governo più vicini ai cittadini.

08/05/23
Cambiamento climatico, ecological footprint e giustizia climatica
IPCC  CERTEZZA AUMENTO DELLA TEMPERATURA MEDIA GLOBALE DA FINE XIX
secolo, in particolare dagli anni Settanta del secolo scorso.
Il CC è l'alterazione del clima che nel lungo periodo interessa tutto il pianeta in maniera non
uniforme
COSA DETERMINA UN CAMBIAMENTO CLIMATICO?
FENOMENI ESTERNI + FENOMENI INTERNI (antropici o naturali)
PREVALENZA DELLA COMPONENTE ANTROPICA
Rispetto all'era preindustriale, la temperatura media globale è già aumentata di 1.09°C.
Tra gli avvertimenti del Report 2022 del IPCC:
 since 2000, we observe 75% increase in the areas subject to fire risk;
 ice sheets are daily losing 8 billion tons of water thus contributing to the sea level rise;
 many countries have suffered intense heat waves even for prolonged periods;
 a general increase in the frequency of violent typhoons and hurricanes worldwide;
 severe droughts and desertification are spreading in some of the most vulnerable
regions of the planet.

Variazione degli eventi estremi:


 temperature giornaliere estreme, ondate di calore, precipitazioni (frequenza e intensità),
siccità
 trend di riscaldamento degli oceani
 aumento dell’acidificazione degli oceani
 diminuzione estensione media copertura nevosa
 degradazione permafrost
 ecosistemi terrestri e marini:
 variazione cicli vitali, migrazioni animali, trasformazione distribuzione spaziale e
alterazione comportamenti, riduzione habitat, estinzione...
Impatti a livello delle società umane
 accesso al cibo e all’acqua
 conseguenze per la salute
 conseguenze economiche
 tensioni sociali/conflitti
 migrazioni e mobilità umana
 accesso a risorse naturali
 malattie
World Economic Outlook 2017  la maggior parte degli effetti negativi dei disastri legati al GCC si
fa registrare nei paesi tropicali, dove troviamo quasi tutti i paesi a basso reddito.
IMPORTANZA DEGLI IMPATTI SPECIFICI SU OGNI TERRITORIO

Mitigation
La riduzione o la minimizzazione degli impatti negativi di un evento pericoloso.
Annotazioni:
 gli impatti negativi dei disastri, in particolare quelli naturali, spesso non possono essere
completamente evitati, ma la loro portata o gravità può essere sostanzialmente ridotta
grazie a diverse strategie e azioni.
 le misure di mitigazione comprendono tecniche ingegneristiche e costruzioni resistenti ai
disastri, nonché il miglioramento delle politiche ambientali e sociali e la sensibilizzazione
dell'opinione pubblica.
Nella politica sul cambiamento climatico, la "mitigazione"  è la riduzione delle emissioni di
gas serra che sono all'origine del cambiamento climatico.

Adattamento
Si riferisce ad aggiustamenti nei sistemi ecologici, sociali o economici in risposta a stimoli
climatici reali o previsti e ai loro effetti.
Si riferisce a cambiamenti nei processi, nelle pratiche e nelle strutture per moderare i potenziali
danni o per beneficiare delle opportunità associate ai cambiamenti climatici.
Le azioni di adattamento possono assumere diverse forme, a seconda del contesto specifico.

Loss and damages


Può indicare in generale i potenziali impatti negativi che si materializzano a causa sia di eventi
estremi, che dei cosiddetti eventi “a lenta insorgenza” (slow onset events), dopo che siano state
realizzate tutte le possibili misure di mitigazione e adattamento.
L&D include una grande varietà di impatti, alcuni dei quali possono essere quantificati ed espressi
in termini monetari (per esempio, gli impatti sulle infrastrutture o sulla produzione agricola) e altri
che sono sempre più spesso indicati come “perdite non economiche”:
 perdita di biodiversità, territorio, patrimonio e identità culturale, conoscenze indigene.

Emissioni di CO2
Si ritiene necessario, tra le innumerevoli altre azioni, invertire la tendenza delle emissioni globali di
CO2 e definire traiettorie per un reale sviluppo sostenibile.
I paesi più esposti devono:
 attuare le politiche di adattamento più incisive
 pagare di più in termini di perdite e danni (L&D)
Nel 2019:
 Il 10% più ricco della popolazione mondiale (771 milioni di individui) emette quasi il 48%
delle emissioni globali di CO2 in un anno.
 Il top 1% emette il 17% del totale.
 La metà più povera (3,8 miliardi di individui) della popolazione globale emette il 12% delle
emissioni globali.

In prospettiva storica:
 L'Europa e il Nord America sono responsabili di circa la metà di tutte le emissioni di CO2
dalla rivoluzione industriale;
 Le emissioni cinesi rappresentano solo l'11% del totale storico;
 L'Africa sub-sahariana rappresenta solo il 4%.

‘common but differentiated responsibility and respective capabilities’  principio del diritto
internazionale dell'ambiente che stabilisce che tutti gli Stati sono responsabili di affrontare la
distruzione ambientale globale, ma non sono ugualmente responsabili; inoltre sottolinea che i
Paesi hanno anche capacità e risorse a disposizione differenti l’uno dall’altro per riuscire ad
affrontare gli impatti negativi del GCC.
Nonostante gli innumerevoli sforzi, i finanziamenti per il clima non hanno mai raggiunto i
livelli desiderati.

Global climate risk index 2021


Il Climate Risk Index (CRI) indica un livello di esposizione e vulnerabilità agli eventi estremi, che i
Paesi dovrebbero interpretare come un avvertimento per essere preparati ad affrontare eventi più
frequenti e/o più gravi in futuro.

Ecological footprint
L’impronta ecologica è una metrica che ci permette di confrontare la domanda complessiva
dell'uomo nei confronti della natura con ciò che il nostro pianeta può rinnovare (la sua
biocapacità).
Riflette direttamente l'uso delle risorse naturali e misura l'impatto della società umana sullo
sfruttamento di tali risorse.
Quando l’impronta ecologica di una popolazione supera la biocapacità del suo territorio, si verifica
un deficit di biocapacità  per bilanciare il deficit è necessario ricevere biocapacità da altri luoghi
o potenziare il cosiddetto «ecological overshoot», che si riferisce all'uso eccessivo delle risorse
nazionali.
Ad oggi, l'umanità ha già superato con le sue attività la capacità rigenerativa della Terra
negli anni Settanta

 l'impronta ecologica di ogni Paese ha un equivalente in termini di pianeti, ovvero il


numero di Terre che sarebbero necessarie per sostenere l'Impronta dell'umanità se tutti
vivessero come i residenti di un determinato Paese.
 L'impronta ecologica viene solitamente misurata in ettari globali (un ettaro globale è un
ettaro biologicamente produttivo con una produttività biologica media mondiale per un
determinato anno).
 A livello nazionale l’EF è il rapporto tra l'Impronta pro capite di un Paese e la capacità
biologica pro capite disponibile sulla Terra (1,6 gha nel 2019).

Nel 2019, l'Impronta Ecologica media mondiale di 2,7 gha equivale a 1,75 equivalenti di
pianeta
Giustizia climatica
DUE PRINCIPI STORICI:
1. gli impatti del cambiamento climatico non colpiscono allo stesso modo gli individui e le
comunità nelle diverse aree geografiche della Terra;
2. non tutti i paesi sono ugualmente responsabili di questi cambiamenti.
Il termine giustizia climatica popolare già negli anni ’90 da alcuni attivisti del Sud del mondo 
attribuire il peso della responsabilità del cambiamento climatico alle nazioni ricche e potenti.
(3.) il peso del cambiamento climatico “non è sostenuto in modo uguale o equo tra ricchi e
poveri, donne e uomini, e anziani e giovani” ONU-IPCC.
La giustizia climatica affianca il tema dello sviluppo a quello dei diritti umani per favorire un
approccio basato sui diritti nell’affrontare il cambiamento climatico.
Si fonda su 4 componenti:
1. Distributiva/risarcitoria, che si riferisce alla distribuzione degli oneri e dei benefici tra gli
individui, le nazioni e le generazioni;
2. procedurale, che si riferisce a chi decide e partecipa al processo decisionale;
3. partecipativa, che implica il rispetto reciproco e un forte impegno a tenere in giusta
considerazione le diverse culture e prospettive;
4. giudiziaria, tutela delle generazioni future e dei giovani
Coinvolgimento delle comunità e dei leader, assicurandosi che nessuno sia lasciato indietro.
I tribunali dovrebbero valutare se l’azione o l’inazione sul cambiamento climatico influenzi gli
interessi delle comunità.
In alcuni casi, il procedimento giudiziario può permettere agli attivisti e ad altri portatori di interesse
di generare un dibattito.

24/03/22
Clima, ambiente, società: geografie di un mondo che cambia
Geografi e scienziati dell’ambiente adottano una prospettiva più amplia definendo l’ambiente
come ciò che circonda un soggetto, cioè tutti quei fattori biotici (viventi) e abiotici (non viventi)
con i quali persone, animali e altri organismi coesistono e interagiscono

Anche se gli scienziati possono tentare di studiare un singolo ecosistema come se fosse isolato, è
ormai dimostrato che tutti i sistemi sono interconnessi e la totalità di queste relazioni costituisce la
biosfera: la biosfera è quella zona della terra che permette la vita di piante ed animali e si
estende dalla crosta terrestre fino alle parti più basse dell’atmosfera, comprendendo tutti gli
ecosistemi del pianeta.

Il bioma (dal greco “vivere”), in ecologia, un tipo di ambiente terrestre caratterizzato da una
particolare vegetazione e da un particolare clima (bioma delle praterie, tutte le aree in cui è
presente la prateria).
(composto da vari
ecosistemi, insieme di
elementi biotici e
abiotici)

Si definisce ecosistema un insieme di organismi viventi, delle interazioni tra di essi e con
l’ambiente fisico in cui vivono, dei flussi di energia e nutrienti che li attraversano
Gli ecosistemi possono essere chiusi (oasi, isole) o aperti ma nessuno di essi è veramente del
tutto isolato
La quantità di specie presenti in un determinato ecosistema prende il nome di biodiversità.
Uomo e aria
David Attenborough, documentarista inglese, speech at cop26 (Conferences of Parties) on
climate change (per cercare soluzioni)

la curva di Keeling
(chimico americano,
fu il primo a calcolare
la concentrazione di
CO2 nell’atmosfera e
i suoi livelli di
evoluzione, questo
studio venne condotto
dalle isole Hawaii); la
curva, nell’700 e nell’
‘800, rimase stabile
fino all’avvento della
rivoluzione industriale
sulla quale si sta
ancora costruendo
ancora oggi il
benessere, essa partì
dal Regno Unito con il
primo combustibile
usato ovvero il carbone e dopo la seconda guerra mondiale ci fu l’impennata del boom economico,
in Italia ad esempio avvenne la nascita della classe media e il miglioramento delle qualità di vita.

Diseguaglianze che risiedono alla base del rapporto uomo-ambiente: chi è più affetto oggi dai
cambiamenti climatici è chi ne è il minor responsabile (giovani, poveri), i paesi più ricchi sono quelli
che hanno inquinato di più perché si sono sviluppati tramite i combustibili fossili

CO2 e Global Warming

(collegamento diretto
causa-effetto tra
l’aumento di CO2 e la
temperatura; dopo la
scoperta dell’America
gli Europei avevano
contribuito allo
sterminio dei nativi
americani che
producevano ingenti
quantità di fuoco)
Cause del riscaldamento globale
Le cause del riscaldamento globale sono dovute a:
 elementi naturali
 variazione della radiazione solare (diretta, dovuta all’attività solare e indiretta)
 interazioni tra le diverse componenti del sistema del clima (atmosfera-oceano, il “Nio”)
 le eruzioni vulcaniche che a volte possono in realtà raffreddare l’atmosfera (immissione di
aerosol nell’atmosfera)
 la deriva dei continenti
 elementi antropici
 immissione di gas serra in atmosfera che contribuiscono all’effetto serra e dunque al
riscaldamento dell’atmosfera (combustibili fossili, incendi…)
 immissione di aerosol nell’atmosfera (combustibili fossili, incendi…)
 sfruttamento del terreno (variazioni di albedo, riduzione delle foreste)

Global Average Temperature Change

La dendrocronologia si
occupa di studiare quanto gli
alberi sono cresciuti o meno,
si può vedere com’è
cambiato il clima perché la
crescita maggiore di un
albero sta ad indicare un
anno molto favorevole
mentre la crescita inferiore
corrisponde ad un anno
molto freddo.
Nel Medioevo in Europa
faceva più caldo, anche più
di ora, i traffici attraverso le
Alpi erano possibili anche in periodi climaticamente sfavorevoli oltre i 3000 m; si parla tuttavia
anche di piccola era glaciale, un periodo in cui il clima si è irrigidito, tra il 1400 e il 1900 dove il
ghiacciaio del Monte Bianco arrivava quasi al margine del paese.
In seguito a questo periodo la temperatura si è alzata di 1°C e, in uno degli accordi di Parigi, il
cop25, si è stabilito di mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1.5° anche se nelle
zone dove il clima è in transizione, come nel caso del clima mediterraneo, che presenta un clima
tra quello tropicale e quello più freddo, si rischia che l’aumento della temperatura superi il grado.
Emissioni a livello mondiale 2021 (annual CO2 emissions)

Ci fu una crescita dagli


anni ’50 con una
piccola decrescita
legata al COVID
(2020/2021) grazie alla
diminuzione dei mezzi
utilizzati per il trasporto

Emissioni per stato 2021 (annual CO2 emissions)

USA, Cina,
Russia (dovuto al
freddo), India,
Sud Africa,
Brasile (gli Stati
più popolosi sono
sempre i più
inquinanti)

Emissioni pro
capite 2021
(annual CO2
emissions)

Nelle emissioni pro


capite (per ogni
cittadino), si
trovano USA, Russia e Australia (poco popoloso ma maggior impatto) ma la Cina e l’India
diminuiscono

Nell’asse delle ascisse


viene indicato il reddito
medio mentre
nell’asse delle ordinate
l’uso di petrolio pro
capite.
Gli Stati più poveri
sono sotto la soglia
media dell’utilizzo di
petrolio pro capite a
livello mondiale, gli
USA sono i più ricchi e
usano molto più
petrolio (ricchezza =
inquinamento); questo
comporta una presa di
coscienza degli stati ricchi nel fare uno sforzo maggiore per diminuire l'impiego di queste sostanze.

(grandi industrie fossili, 12,5 %


delle emissioni da combustibili
fossili sono prodotte da 5
compagnie, “Carbon Majors”)

Uomo e fuoco
Gli incendi nell’Artico russo (viene bruciato materiale combustibile, rilasciando ulteriore CO2
nell’atmosfera che si riscalda e crea più incendi) sono fenomeni da sempre presenti, ma che
adesso si prolungano nel tempo a causa delle alte temperature; interessano soprattutto incendi di
vegetazione bassa e torba che copre il 3% della superficie terrestre ma contiene il doppio del
carbonio presente in tutte le foreste del mondo messe insieme.
Tutto questo comporta una forte riduzione del permafrost (si sta sciogliendo, a nord, in Siberia,
causa problemi strutturali alle abitazioni costruite su di esso) e la produzione di fuliggine dannosa
per la salute umana e l’ambiente, nota come carbonio nero (polveri sottili)
Incendi in Amazzonia (importante perché è il polmone verde della Terra, è una distesa di
alberi in grado di condizionare l’atmosfera a livello globale)
L’Amazzonia è la più grande foresta tropicale al mondo, con una superficie totale di circa 55
milioni di km quadrati ed è uno degli ecosistemi più ricchi al mondo, con un patrimonio di
biodiversità senza eguali.
È fondamentale per:
 la rimozione di anidride carbonica
 il rilascio di vapore acqueo che determina la quantità di pioggia e ha effetti sulla
circolazione atmosferica globale

Incendi nel 2020


Gli incendi sono aumentati del 13% rispetto alla già grave situazione del 2019 ed è la siituazione
più grave degli ultimi 10 anni perché la durata maggiore degli incendi nel 2020 è stata anche
causata dal perdurare della siccità.
A settembre, il 62% degli incidenti ha riguardato la foresta vergine.
L’Amazzonia è vicina al punto di non ritorno e rischia di diventare una savana.

Uomo e terra
Fusione dei ghiacciai alpini: il Monte Rosa è il bacino padano del Po, fiume che passa per la
Pianura Padana, maggior produttrice agricola del nord.
Quando non ci sarà più neve sul monte, non ci sarà più acqua perché molti fiumi che provengono
da quest’ultimo portano acqua per l’irrigazione; anche le industrie hanno bisogno di acqua, così
come le centrali nucleari.
Il subcontinente indiano è il più popoloso ed è ancora in crescita e tutta quella popolazione fa
affidamento sulle scorte di acqua presenti in Himalaya e sulle montagne limitrofe anche se si
stanno riducendo notevolmente.
Consumo di suolo
Secondo ISPRA, il concetto di consumo di suolo è definito come una variazione da una
copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo
consumato)
(coste italiane, in Liguria la situazione è molto
critica)

27/02/23
Global plastics production
La plastica è derivata da un
combustibile fossile, ovvero il
petrolio, è un materiale quasi
insostituibile perché permette di
conservare i cibi ed è anche
versatile; iniziò ad essere
utilizzata negli anni ’50 causando
problemi come l’inquinamento
(causato anche dalle
microplastiche che si accumulano
anche negli organi vitali).
Due picchi di crisi si verificarono
negli anni ’70 con la crisi del
petrolio e nel 2008.

Capitalismo, classi sociali e inquinamento: la crisi dei rifiuti di Nuova Delhi


L’India, che è un paese molto povero, è uno stato di grande espansione sia economica che
demografica, proprio come la Cina e questo ha provocato l’aumento della classe media e la
produzione di plastica è associata al suo incremento.
Pur essendo ancora uno dei paesi più poveri al mondo, l’India ha visto in tempi recenti uno
sviluppo notevole della sua economia.
Il rigido sistema delle caste fa sì che solo una piccola porzione di popolazione possa godere delle
migliori condizioni economiche e questa condizione di sviluppo ineguale è connessa a fenomeni di
degrado ambientale.
A Nuova Delhi, capitale dell’India, la popolazione è cresciuta da 6.2 a 17.4 milioni tra il 1981 e il
2014.

La crescita demografica e urbana ha portato ad un significativo aumento dei rifiuti solidi urbani:
2007 -> 5,100 tonnellate di rifiuti al giorno
2014 -> 9,600 tonnellate di rifiuti al giorno
2020 -> 18,000 tonnellate di rifiuti al giorno
Le montagne di rifiuti dell’India riflettono i nuovi fenomeni di consumismo delle classi medie, che
acquistano di più e producono più rifiuti.
Negli ultimi anni i paesi in via di sviluppo hanno subito un aumento delle aree urbane con un
conseguente fenomeno di urbanizzazione incontrollata perché il rigido sistema delle caste fa sì
che solo una piccola porzione di popolazione possa godere delle migliori condizioni economiche.
Solo il 70-80% dei rifiuti solidi urbani di Delhi è raccolto, circa il 20-30% di questi rifiuti viene
portato illegalmente in discariche abusive, che mancano di sistemi di smaltimento di percolato e
gas prodotti dai rifiuti, causando gravi contaminazioni di acqua, aria e suolo.
Un esempio della diseguaglianza che domina questi paesi è il fenomeno degli “waste-pickers” a
Delhi (0,9% della popolazione totale) e circa 2,8 milioni in India (gli “intoccabili”).

Uomo e acqua
L’acqua è un elemento che a differenza dell’aria risponde meno velocemente agli impulsi freddi e
caldi, motivo per cui fare il bagno a settembre si sente freddo fuori, ma dentro si può sentire
ancora un po' "calda" l'acqua.
Nell’ultimo ventennio si è assistito ad una crescita sostanziale delle temperature degli Oceani.
Il riscaldamento delle acque porta inevitabilmente all’innalzamento delle superfici marine.

Riscaldamento degli oceani


Innalzamento delle superfici marine

Desertificazione e degrado ambientale: il caso del Lago Turkana (Kenya)


La diminuzione delle precipitazioni è un fenomeno osservabile in tutta l’Europa già da qualche
anno.
L’uomo si è adattato alla sopravvivenza in luoghi desertici, potendovi anche instaurare delle civiltà,
programmandone le attività in base alle previsioni dei periodi di pioggia di secca, normalmente
regolari; oggi si ha una situazione di imprevedibilità e irregolarità, aggravato da una popolazione
maggiore e quindi da maggior fabbisogno.
Essendo la sorgente di questo lago in Etiopia, il suo flusso è diventato oggetto di contesa tra i due
paesi.

Nel 2002 il chimico olandese Paul Crutzen, osservando che l’impatto umano sul pianeta ha ormai
raggiunto un punto di non ritorno, ha decretato che il mondo è entrato in una nuova era geologica,
l’antropocene.

Conferenze sul clima e attivismo


Dagli anni ’70 si è iniziato a parlare di clima e perdita di biodiversità a livello di società civile e
politica, alla luce dei primi segni di inquinamento da parte delle industrie agricole.
La globalizzazione favorisce la circolazione delle informazioni e delle opinioni, la presa di
coscienza delle situazioni che riguardano tutti, nonché degli accordi tra Paesi.

Accordi internazionali sul clima, funzionano?


Il caso del protocollo di Montreal
Lo strato di Ozono che avvolge la stratosfera e protegge la superficie terrestre e le persone dai
raggi ultravioletti, assorbendone il 93-97% si è sensibilmente ridotto a causa dell’utilizzo globale di
CFC (Clorofluorocarburi), gas concepiti negli anni ’20 per vari usi tra cui la refrigerazione
(frigoriferi, condizionatori), al punto che è presente un Buco nell’Ozono.

Protocollo di Montreal
Entrato in vigore nel 1989 e sottoposto a successive revisioni, ad oggi hanno aderito 197 parti (196
stati + EU) con l’obiettivo di ridurre la produzione e l’uso di gas CFC, messa al bando totale entro
il 2030.

Studio Nasa: prima prova diretta della riduzione del buco nell’ozono per
riduzione di gas dannosi

Accordi di Parigi (2015)


Gli accordi di Parigi, comprendenti i Paesi di tutto il mondo, mirano a ridurre i danni del
cambiamento climatico ma anche all’adattamento alle sue conseguenze inevitabili.
L’obiettivo è quello di limitare al di sotto dei 2°C il riscaldamento medio globale rispetto al periodo
preindustriale puntando a un aumento massimo della temperatura pari a 1,5°C.
COME? Orientando i flussi finanziari privati e statali verso uno sviluppo a basse emissioni di gas
serra; si tratta di un investimento conveniente anche in termini economici, perché riduce le
dipendenze dagli Stati fornitori di combustibili fossili.

Nel 2021 gli USA hanno


dichiarato di voler aderire
nuovamente agli accordi di
Parigi.

La COP26 di Glasgow
Dal 1995 con il primo incontro a Berlino, l’ONU riunisce quasi tutti i Paesi per i vertici globali sul
clima, chiamati COP (Conferenza delle Parti); da allora il cambiamento climatico è passato
dall’essere una questione marginale a diventare una priorità globale (gli Accordi di Parigi si
raggiunsero durante la COP21).
È stata considerata da molti come la migliore, nonché l’ultima opportunità del mondo per tenere
sotto controllo le conseguenze devastanti dei cambiamenti climatici.
Il Glasgow Climate Pact riafferma e rafforza i principi già emersi a Parigi, riguardanti gli sforzi a
limitare l’aumento della temperatura entro 1,5°.
Il Patto evidenzia la necessità di azioni rapide, profonde e prolungate tra cui la riduzione delle
emissioni globali di gas serra del 45% entro il 2030 rispetto al 2010, raggiungendo la neutralità
climatica intorno alla metà del secolo.
Include negli obiettivi intermedi al 2030 anche la riduzione di metano (gas serra molto più potente
dell’anidride carbonica) e carbone (principale combustibile fossile).
Una delle principali critiche agli accordi, che per molti segna il fallimento della Cop26, è la
terminologia vaga ed annacquata del testo finale, con un compromesso nel passaggio che
riguarda la fine del carbone; difatti India e Cina sono riuscite a ottenere un cambiamento all’ultimo
minuto: al posto della parola phase out (rinuncia) passa nel testo la parola phase down
(diminuzione) relativa all’utilizzo del carbone.

Fondi per adattamento a cambiamenti climatici


Il testo sottolinea la necessità per i paesi sviluppati di aumentare i soldi che danno a quei paesi
che già soffrono gli effetti del climate change, per migliorare l’adattamento.
Durante la COP è stato dichiarato che saranno destinati 232 milioni di dollari al Fondo di
adattamento (Adaptation Fund), il fondo istituito dal Protocollo di Kyoto nel 2001 per aiutare i
Paesi meno sviluppati ad adattarsi alle conseguenze della crisi climatica.

Cooperazione USA-Cina
In un annuncio a sorpresa, gli Stati Uniti e la Cina si sono impegnati a rafforzare la
cooperazione sul clima nel prossimo decennio.
Sono stati concordati passaggi su una serie di questioni, tra cui:
 emissioni di metano
 la transizione verso l’energia pulita
 decarbonizzazione

Deforestazione
I leader di oltre 100 paesi del mondo, che rappresentano circa l'85% delle foreste mondiali, tra cui
Brasile e Italia hanno promesso di fermare la deforestazione entro il 2030.

Finanza e giustizia climatica


Tra i temi su cui a Glasgow non si è trovato un accordo soddisfacente e per i quali sarà necessario
concentrare l’attenzione alle prossime COP, la COP27 in Egitto e la COP28 negli Emirati Arabi
Uniti sono la finanza e la giustizia climatica.
Per la giustizia climatica, citata in premessa e declinata nel testo con il termine “loss and damage”,
letteralmente perdite e danni provocati dal cambiamento climatico a intere popolazioni e
culture, il Patto di Glasgow riconosce l’urgenza del tema, ma non definisce né fondi dedicati né
specifiche strutture per gestirli.

01/03/23
Movimenti dal basso non violenti
Questi movimenti nascono dalla popolazione e offrono motivi di speranza perché si mettono
all’opera le nuove generazioni (come i “Fridays for Future” di Greta Tunberg).
Altri movimenti non violenti dal basso sono invece più estremi (come la “Extinction Rebellion”)
nati nel contesto anglosassone e producono azioni dimostrative che possono avere effetti sulla
quotidianità.
Altri movimenti ecologisti di “Ultima generazione” sono stati contestati (es. sfregio al quadro di Van
Gogh) perché hanno suscitato reazioni molto animate ma hanno contribuito nel far parlare di tutto
questo l’opinione pubblica (altri bloccano anche le strade provocando l’ira degli automobilisti)

Le alluvioni a Genova
Il clima della Liguria
La costa ligure è esposta a
venti meridionali
(principalmente Libeccio,
Scirocco, da sud-est verso
nord-ovest), umidi e miti
(stretta e allungata, quasi
completamente
montagnosa con poche
aree di pianura).
Il mar Ligure è sempre più
caldo a fine estate (25-
26°C, negli ultimi anni si
parla di tropicalizzazione del clima, data dal riscaldamento del mare, sempre più caldo a fine
estate) e le montagne sono alte e si trovano intorno alla costa.
La piovosità media è di circa 1100/1200 mm mentre la temperatura media è di 15°C.
Nel 2022 a Genova la piovosità è stata di 600 mm (la metà), anche se la parte interna presenta
una piovosità più elevata.

Una delle aree più piovose dell’Italia


Alluvioni in Val Bisagno (parte orientale di Genova)
Alluvione del 7-8 Ottobre 1970
È stato l’evento più drammatico degli ultimi due secoli con una quantità eccezionale di pioggia
(948mm/24h) misurata a Bolzaneto (Val Polcevera) che provocò 44 morti e danni stimati per 55
milioni di euro.

Alluvione del 27 Settembre 1992


Due supercelle colpirono le Valli Bisagno e Sturla per un quantitativo di pioggia misurato a
Genova di 421mm/24h.
Il Bisagno inondò la bassa valle del Cimitero di Staglieno fino al quartiere della Foce provocando
danni stimati a 75 milioni di euro e 2 morti.

Alluvione del 4 Novembre 2011


Si parla di flash flood (alluvione lampo, non ci sono ancora gli strumenti per prevedere dove si
verificherà la prossima) che colpì la Valle del Fereggiano con picchi di 500mm/6h.
Il torrente, tributario di sinistra del Bisagno, esondò alle 13, travolgendo macchine, autobus e
persone con un’altezza dell’acqua di 1,5 m che provocò 6 vittime e 150 milioni di euro di danni.

Alluvione del 9-10 Ottobre 2014


Si verificarono picchi di precipitazione in Val Geirato (tributario di destra del Bisagno) con 140
mm/h per un totale di 754mm/5giorni.
La sera del 9 ottobre si verificò l’esondazione di Bisagno e Fereggiano con livelli dell’acqua fino a
2,5 m e questo provocò 1 vittima e danni per 300 milioni di euro.

(aumento di vittime inteso come morti e


feriti in Liguria dal 1700 al 2000 e oltre -> il
trend è in continua crescita)

200 anni di urbanizzazione


Ci furono fenomeni
migratori che portarono le
persone ad assembrarsi
nelle città.
Dopo l’Unità d’Italia
(1861) Genova vide un
periodo di prosperità e
crescita economica grazie
al porto e all’industria (grazie ai transatlantici che arrivavano dall’America), con conseguente
crescita demografica

Il comune vide una progressiva espansione inglobando i comuni vicini


Nel 1874 -> Foce, Marassi, San Francesco d’Albaro, San Fruttuoso, San Martino d’Albaro,
Staglieno
Nel 1926 -> Apparizione, Nervi, Quarto dei Mille, Quinto al Mare, Sant’Ilario Ligure (Levante),
Bavari, Molassana, Struppa (Bisagno), Bolzaneto, Borzoli, Pontedecimo, Rivarolo Ligure, San
Quirico (Polcevera), Cornigliano, Pegli, Prà, Sampierdarena, Sestri Ponente, Voltri (Ponente)

Nel 1926, Genova era una delle conurbazioni più popolose d’Italia, ancora adesso la città conserva
una struttura multipolare, con i quartieri che in parte ancora riflettono la loro natura di antichi
comuni indipendenti.

Trend demografico a
Genova

(crescita demografica tra l’800 e


gli anni 2000, collegato allo
sviluppo economico della città: tocca il culmine nel 1971 -> dalla Campania e da altre parti d’Italia
con fenomeni migratori interni)

Cambiamenti territoriali della bassa Val Bisagno


Nel 1855, prima dei fenomeni migratori, esisteva parte del centro storico e il cimitero, in parte
costruito senza la presenza di case; nell’alta valle c’era invece un tipo di economia agricola che
imponeva alle persone di vivere di più in quelle zone.
Nel 1936 si verificò la quasi completa urbanizzazione del fondo valle mentre nel 1964 si verificò
l’urbanizzazione delle aree collinari.

03/03/23
Il caso di Piazza della Vittoria
Sorge sopra l’antico letto del torrente, con un’architettura nazionalista degli anni ’30 ed è un
esempio di una situazione in cui le esigenze di natura politica hanno portato a scelte tragiche.
(alluvione del 26 Ottobre 1822, descritta
anche con parametri scientifici che
permisero di risalire anche alla quantità di
acqua caduta, circa 800mm/gg dove i ponti
Pila e Sant’Agata vennero distrutti).
All’epoca Genova era un luogo frequentato
da visitatori stranieri, alcuni di essi tra i più
illustri, tra cui Lord Byron, uno dei
principali esponenti del romanticismo
inglese che affrontò il tema di
quest’alluvione in una corrispondenza con
sua sorella.

Un’eccezionale quantità d’acqua


Il professor Antonio Pagani dell’Università di Genova misurò 812 mm di pioggia il 25 Ottobre
1822.
Il dato fu oggetto di discussione tra gli scienziati dell’epoca per la sua eccezionalità.
Negli “Annales de Chimie et Physique” di Arago e Gay Lussac, Pagani venne definito
“observateur exacte”.

Pagani aveva ragione?


All’inizio del XX secolo la copertura del Bisagno era vista come un’opera essenziale per facilitare
l’espansione della città.
All’epoca il torrente raccoglieva buona parte delle acque di scarico della zona e la sua copertura
era ritenuta necessaria anche per ragioni sanitarie.
La capacità del fiume venne sottostimata e i dati di Pagani non considerati.
Nel 1936 la copertura fu conclusa e nel 1938 Mussolini tenne un famoso discorso al popolo
genovese in Piazza della Vittoria.
(aree inondate in occasione delle
varie piene -> nel 1822, vi era un
contesto di quasi totale assenza di
abitazioni ma nel momento in cui
iniziarono ad esserci più persone,
il rischio aumentò
considerevolmente).
Oggi una larga parte di
popolazione genovese vive in
aree ad alto rischio, in particolare
la parte terminale, con
conseguente alta vulnerabilità.
Circa 35.000 persone vivono in
Fascia A, dove le alluvioni hanno
tempi di ritorno di 50 anni.

(edifici nel letto del torrente,


la popolazione e gli edifici in
fascia A sono in costante
crescita)

Spopolamento delle campagne e rischio idrogeologico nell’entroterra genovese


Fa seguito ai fenomeni socio-economici dell’800 e del ‘900 e porta a cambiamenti notevoli del
paesaggio dell’entroterra soprattutto nella copertura vegetale (aumento dell’area boschiva nelle
zone ex agricole)

(nell’asse delle
ordinate a sinistra
viene rappresentata la
popolazione di due
paesi rurali, Davagna e Bargagli e la popolazione di Genova; nell’asse delle ascisse sono
rappresentate le date).
In epoca preindustriale Genova aveva la popolazione più bassa tra le tre, tra i 200 e i 300 mila
abitanti, mentre le altre due avevano molti più abitanti di quanti ne abbiano oggi; dal 1880 la
popolazione di Genova crebbe sempre di più fino ad arrivare agli anni ’70 in cui il picco di
bassezza di Davagna e Bargagli coincideva con il picco più alto di Genova dovuto al fenomeno di
inurbamento e di spopolamento delle campagne che però subirà un calo significativo dagli anni
2000 a causa di una forte crisi demografica.

(uso del suolo in Val Bisagno, 1855 ->


più di un quarto della superficie era
coperta da boschi e solo l’8% di
superficie era urbanizzata)

(uso del suolo in Val Bisagno, 2018 ->


l’area urbana si concentra nel fondo
valle, con una percentuale del 17%,
spariscono i campi e aumentano a
dismisura i boschi tanto che ricoprono
più della metà di quel territorio)

Terrazzamenti a Staglieno, primi del ‘900


Quando vi era una manutenzione assidua sul territorio, la neve era la prova vivente dell’estensione
dei terrazzamenti presenti sul territorio (valore estetico e produttivo), era negli interessi dei
contadini far sì che l’acqua non scorresse velocemente perché serviva per irrigare i campi ed
eliminare i fenomeni di alluvione (meno rischio idrogeologico).
Se non più mantenuti, i muretti a secco che sostengono i terrazzamenti crollano, provocando locali
fenomeni di dissesto.

Consumo di suolo e strade: il caso di San Bartolomeo di Staglieno


(testimonianza ad opera di un
imprenditore agricolo che ha avviato
un’azienda agricola biologica cercando
di recuperare più terreni possibili)

La costruzione di una nuova strada, verso la fine degli anni ’80, ha contribuito ad aumentare
l’impermeabilizzazione del suolo e l’instabilità idrogeologica, deviando il naturale corso delle
acque.
Gli alberi caduti a causa del mancato mantenimento delle campagne o per eventi meteo estremi
(tempeste di vento, gelicidio) sono trascinati a valle durante gli eventi alluvionali (risultato del
fenomeno “black eyes”, secondo cui le masse d’aria calda tendono a salire mentre le masse d’aria
fredda tendono a rimanere nei bassi strati e a causare fenomeni di inversione termica; con
l’accumulo di freddo che permane nei bassi strati e un cambio repentino di aria che porta le
temperature ad alzarsi, quando la pioggia che si accumula sulle superfici, diventa ghiaccio e
provoca la caduta degli alberi perché non vengono più mantenuti).
Gli alberi caduti e trascinati a valle si accumulano in prossimità dei ponti o delle coperture e
ostacolano il regolare deflusso delle acque, provocando alluvioni.

Cambiamento climatico (regime termometrico)


Secondo Faccini et al (2016) la temperatura media annua in Liguria è costantemente aumentata
dal 1883 (+0.146 gradi all’anno).

Cambiamento climatico (regime pluviometrico)


Acquacotta et al (2018) stabiliscono che:
1. c’è una maggiore frequenza di periodi secchi alternati a periodi brevi ma molto piovosi
2. il numero di giorni piovosi scende, così come la cumulata di pioggia annuale
3. aumenta l’intensità della precipitazione in occasione di eventi piovosi
4. i dati riflettono in generale i trend a livello mondiale

Conclusioni: cause delle alluvioni a Genova


 consumo di suolo (urbanizzazione), in particolare nel tratto finale della Val Bisagno
 abbandono delle campagne e mancata manutenzione di campi e boschi
 cambiamenti climatici (aumento dell’intensità delle precipitazioni)

06/03/23

L’importanza dei dati per comprendere il territorio


I dati sono importanti per comprendere il territorio perché sono la restituzione oggettiva di quello
che avviene sul territorio.
Si parla di censimenti (la registrazione dei dati relativi a tutte le popolazioni), stime (riguardano
una parte della popolazione) e proiezioni statistiche (simili alle stime, ma riescono a dare un’idea
anche di quello che sarà una popolazione in futuro; quindi, come si potrà evolvere in funzione dei
dati registrati “oggi”, fatti da organizzazioni internazionali, tra cui ISTAT e l’Organizzazione
Mondiale delle Nazioni Unite).
Le rilevazioni dei dati permettono di analizzare diversi aspetti:
 caratteri socio-demografici (nascite, morti, tipo di occupazione…caratteristiche che
permettono di avere una visione della popolazione in un determinato territorio che
cambiano a seconda del territorio stesso) ed economici (informazioni anche sui settori
prevalenti nel nostro paese) della popolazione nello spazio geografico
 la struttura territoriale delle imprese e dell’occupazione (capire come si sviluppano a
livello territoriale anche i diversi settori economici)
 le caratteristiche dei centri urbani (caratteristiche diverse dalla popolazione rurale
rispetto, ad esempio, anche al tipo di occupazione svolto dalle persone)
Questa conoscenza del territorio fornisce al Governo e alla Pubblica Amministrazione gli
strumenti per le scelte di politica economica (attraverso questi dati è possibile capire il livello di
sviluppo di un territorio).
Le prime raccolte di dati riguardavano:
 la popolazione nel suo complesso
 gli uomini idonei alle armi
 il gettito delle imposte
 la ripartizione della proprietà terriera

La rilevazione dei dati nella storia


Antico Egitto
Già a partire dal 3000 a.C. gli egizi iniziarono a svolgere censimenti della popolazione per motivi
fiscali, militari ma anche per conoscere la consistenza della manodopera per realizzare le opere
volute dal Faraone.
Gli egizi cercarono di esprimere quantitativamente i fenomeni sociali ed economici ed attribuirono
agli Dei la facoltà die seguire operazioni statistiche; riconoscevano infatti una specifica Dea dei libri
e dei conti, Sefchet, che personalmente attutava conteggi e valutazioni statistiche.

Grecia
Gli ateniesi avevano concepito un sistema per conoscere il numero delle nascite e quello delle
morti: i parenti avevano l’obbligo di offrire alla sacerdotessa di Atena un obolo differente in
corrispondenza di ogni nascita e di ogni morte.
Il conteggio di tali oboli dava così il totale dei nati e dei morti.

Antica Roma
Il periodo del censimento era denominato “lustrum” cioè quinto anno anche se nella pratica le
rilevazioni vennero attuate ad intervalli diversi (ogni 8-9 anni).
La pratica dei censimenti fu irregolare nel periodo rivoluzionario del I secolo a.C., mentre riprese
con Augusto che ne condusse a termine ben tre.
Il censimento più noto, attuato nell’Impero Romano, è quello rammentato da San Luca nel suo
Vangelo e che narra la nascita di Cristo a Betlemme.

Censimenti
Il censimento è una rilevazione diretta, individuale e totale ed è ripetuta con cadenza
periodica (ultima attutata nel 2011, venne inviato un questionario alle famiglie che poteva anche
essere compilato online per immagazzinare più velocemente i dati; i primi dati provvisori giunsero
nel 2014; dal 2018 non è più una rilevazione totale perché in Italia si decise di avere dati più
aggiornati e anche per cercare di risparmiare).
Il censimento rileva in modo diretto ogni singola unità del collettivo di riferimento e viene definito
totale perché si osservano tutte le unità.
Al fine di censire tutte le unità, l’intero territorio è suddiviso in aree (sezioni di censimento) in base
alle quali si enumerano tutte le unità statistiche d’interesse (individui, famiglie, imprese, abitazioni o
altro).
Di norma la rilevazione viene realizzata con periodicità definita.
In Italia i censimenti sono realizzati dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica).
L’ISTAT è un ente di ricerca pubblico, presente nel paese dal 1926, è il principale produttore di
statistica ufficiale a supporto dei cittadini e dei decisori pubblici che opera in piena autonomia e
in continua interazione con il mondo accademico.
In Italia, fino al 2018, il censimento della popolazione, delle famiglie e delle abitazioni e il
censimento generale dell’industria e dei servizi, comprese le istituzioni pubbliche e private, si
svolgevano ogni 10 anni.
Dal 1° Ottobre 2018 è partito il nuovo censimento della popolazione e delle abitazioni che da
decennale diventa permanente (annuale).
Da censuario diventa campionario, ma i dati ottenuti sono di tipo censuario: è fatto a campione e
basato sia su fonti amministrative, sia sull’utilizzo di big data che su rilevazioni campionarie e
sfrutta i dati disponibili in modo più efficace, risparmiando il 50% dei costi di indagine.
Con i Censimenti Permanenti le informazioni sulle principali caratteristiche socio-economiche del
Paese sono sempre più dettagliate e continuamente aggiornate.
Grazie all’integrazione di dati amministrativi con quelli forniti dalle rilevazioni, si riducono
notevolmente i costi rispetto al passato e si ottengono informazioni più utili a pianificare interventi e
servizi più efficienti.
La prima edizione del Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni si è svolta nel
2018.
Entro il 2021, tutti i comuni d’Italia hanno partecipato almeno una volta alle rilevazioni.
Nel 2022 le famiglie che partecipano al Censimento sono 1 milione 326.995 in 2.531 Comuni
sull’intero territorio nazionale.
La famiglia può essere chiamata a partecipare a una delle due diverse rilevazioni campionarie
oppure non essere coinvolta dall’edizione in corso del censimento:
 la famiglia riceve una lettera che la invita a compilare il questionario online: fa parte del
campione della rilevanza da lista
 la famiglia è informata dell’arrivo di un rilevatore attraverso una lettera non nominativa e
una locandina affissa negli androni, nei cortili dei palazzi, nelle abitazioni: fa parte del
campione della rilevazione areale
 la famiglia non riceve alcuna lettera: non fa parte del campione
A partire dal 2019 anche il Censimento delle Imprese è diventato permanente: ogni tre anni, per
aumentare la qualità dell’offerta informativa, si raccolgono i dati di un numero di unità produttive
pari a circa 280 mila imprese con più di tre addetti che cambia ogni tre anni.
Nel 2022 parte la seconda rilevazione del Censimento permanente delle istituzioni non profit.
L’obiettivo del Censimento è quello di ampliare il patrimonio informativo disponibile sul settore
tramite l’approfondimento di tematiche specifiche e la valorizzazione degli archivi amministrativi,
verificando e completando, allo stesso tempo, le informazioni presenti nel registro statistico delle
istituzioni non profit.
A differenza dei censimenti tradizionali decennali, la rilevazione sulle istituzioni non profit, come nel
2016, è di tipo campionario, mentre la restituzione dei dati ottenuti è di tipo censuario
garantendone ’l’analisi in serie storica.
La prima edizione del Censimento permanente delle istituzioni non profit si è svolta nel 2016 e il
campione era costituito da circa 43 mila istituzioni.
Il 18 marzo 2021 è partita la terza edizione del Censimento permanente delle Istituzioni
Pubbliche che fornisce un quadro statisticamente dettagliato delle caratteristiche strutturali e
organizzative delle istituzioni pubbliche e delle unità locali ad esse afferenti attive al 31 dicembre
2020, anno di riferimento della rilevazione.
La rilevazione censuaria coinvolge circa 13 mila istituzioni pubbliche e oltre 100 mila unità
locali con lo scopo di verificare la copertura del registro statistico delle istituzioni pubbliche e di
aggiornare le informazioni con una particolare attenzione al dettaglio territoriale tramite la
rilevazione dei dati a livello delle singole unità locali presso cui operano le istituzioni.
La novità di questa edizione è rappresentata dall’integrazione di una sezione dedicata allo smart
working che consentirà di conoscere i processi organizzativi e innovativi nelle istituzioni
indotti dalla crisi sanitaria dovuta al COVID19
Il Censimento dell’Agricoltura è cambiato dopo il 2021, quando è partito l’ultimo censimento
generale dell’agricoltura con cadenza decennale.
L’Istat è la banca dati, sempre aggiornata, delle statistiche (ricercabili anche per tema)
correttamente prodotte dall’Istituto nazionale di statistica.
Il sistema è interrogabile anche per parola chiave e i dati sono produttivi sotto forma di tavole
multidimensionali che gli utenti possono esportare, in formato xls, csv.

Giovani.Stat -> sezione #Giovani


Anziani.Stat -> sezione #Anziani
Immigrati.Stat -> sezione #Immigrati e nuovi cittadini
Congiuntura.Stat -> sezione #Congiuntura economica
PubblicaAmministrazione.Stat
CapitaleUmano.Stat -> statistiche e indicatori su istruzione, formazione, mercato del lavoro e
redditto
ViolenzaSulleDonne.Stat
Banche dati sui censimenti (dal 2010/2011):
 Agricoltura
 Popolazione e abitanti
 Industria, istituzioni pubbliche e non profit

Si definiscono in questo modo le informazioni raccolte e conservate da istituzioni pubbliche,


riguardanti persone fisiche o giuridiche nell’ambito del territorio di competenza.
Questi dati costituiscono una solida base di supporto per la validazione di dati raccolti in rilevazioni
statistiche di altro tipo.
I dati amministrativi presentano le seguenti problematiche:
 la popolazione di interesse per la rilevazione può non coincidere con quella su cui sono
stati raccolti i dati amministrativi
 i criteri classificatori delle informazioni raccolte possono non essere adeguati per le finalità
della rilevazione statistica di interesse
 le leggi che regolano la raccolta di questi dati possono cambiare pregiudicando la
confrontabilità dei dati nel tempo

I big data
I big data comprendono i dati generati dal web, si tratta di dati semi-strutturati o non strutturati,
quali: i post sui blog, i commenti sui social media, i documenti di testo, audio, video disponibili in
diversi formati, ecc.
Sono dati che, per quantità e varietà, non possono essere gestiti con gli strumenti di database
tradizionali, ma richiedono l’impiego di tecnologie adeguate per la memorizzazione e l’analisi dei
dati.
Un esempio di sperimentazione è l’utilizzo dei dati di telefonia mobile per studiare gli spostamenti
delle persone nel territorio in diverse fasce orarie e giorni della settimana, riuscendo così a
classificare i movimenti della popolazione, da quelli tipici dei pendolari ad altri spostamenti più
occasionali, e potendo così ottenere informazioni importanti e tempestive sulla mobilità, utili per la
gestione delle infrastrutture dei servizi di trasporto.

Stime
La stima può essere realizzata prendendo a campione una o alcune porzioni del territorio,
generalmente urbanizzate, valutandone l’entità della popolazione ed estendendone poi il
valore medio a tutto il paese
I risultati sono consequenziali alla bontà delle tecniche di rilevazione, alla conoscenza reale del
territorio e molto spesso alla volontà politica di fornire dati veritieri.

Proiezioni statistiche
Le difficoltà e i costi del mettere in atto indagini sistematiche hanno fatto sì che talvolta queste
fossero sostituite da proiezioni statistiche.
Le proiezioni statistiche sono utilizzate anche per avere un’idea di come potranno evolvere le
caratteristiche demografiche, sociali ed economiche dei territori
Le proiezioni statistiche si realizzano assumendo come base di partenza i dati delle rilevazioni
precedenti, siano essi derivati da censimenti o da stime.
Attraverso una serie di elaborazioni matematiche (tenendo conto di movimenti naturali e migratori
e/o dell’evoluzione dei possibili tassi di crescita) si prospettano valutazioni sulle dimensioni della
popolazione.

Dal 1989 l’Istat svolge un ruolo di indirizzo, coordinamento, assistenza tecnica e formazione
all’interno del Sistema Statico Nazionale (Sistan -> comprende l’Istat, gli enti e gli organismi
pubblici d’informazione statistica…).
Il sistema è stato istituito con il d. lgs. 32271989 (modificato poi nel 2010) per razionalizzare la
produzione e diffusione delle informazioni e ottimizzare le risorse destinate alla statistica ufficiale.

A livello internazionale sono diversi gli Enti e Istituti che si occupano della raccolta di dati statistici:
 ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) -> organizzazione intergovernativa
internazionale che produce una gamma molto ampia di pubblicazioni a carattere statistico,
sia direttamente presso l’ufficio Statistico, sia attraverso i suoi vari Organismi/Dipartimenti
 OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) -> è
un’organizzazione internazionale di studi economici alla quale afferiscono 35 paesi; essa
pubblica dati statistici sui singoli paesi membro articolati su dodici materie principali
 BM (Banca Mondiale) -> include la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo
(BIRS) e l’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (AID9 e ha come scopo statutario
promuovere il progresso economico nei paesi in via di sviluppo
 FMI (Fondo Monetario Internazionale) -> è un’organizzazione internazionale nata nel 1947
con lo scopo principale di stabilizzare i tassi di cambio.
Le statistiche prodotte dall’Ente sono essenzialmente di tipo finanziario relative alla bilancia
dei pagamenti, al commercio…
 Eurostat (Ufficio Statistico dell’Unione Europea) -> contiene essenzialmente dati
riguardanti i paesi dell’Unione europea, solo in alcuni i casi vengono effettuate delle
comparazioni con Stati al di fuori

10/03/23

Seminario 2
La libertà religiosa in Italia e le ricadute territoriali
La geografia delle religioni è una corrente della disciplina geografica che ha una storia anche in
ambito italiano ed è una sotto-branca tra geografia umana e geografia culturale.
La geografia delle religioni ha una storia recente, rispetto alla formazione della geografia come
disciplina moderna: nel momento in cui l’uomo ha voluto conoscere e definire le caratteristiche del
vissuto, ha iniziato a formare delle cosmologie del suo stare nel mondo e la cartografia ha
permesso di poter rappresentare l’occupazione religiosa di uno spazio.
La geografia delle religioni a partire dall’epoca ellenistica era una geografia biblica teologica tesa
a rappresentare cartograficamente i luoghi descritti nella bibbia (es. l’importanza di Gerusalemme
in molte opere cartografiche medievali).
La geografia delle religioni ha inizio intorno agli anni ‘30 del ‘900: la sua formazione si fonda
attraverso il dibattito tra due principali correnti, determinismo ambientale e possibilismo, che
andarono a influenzare gli interessi e le metodologie dei geografi delle religioni.
“Geographie et religions” di Deffontaines dove inquadra la religione come fattore di
trasformazione del paesaggio in rapporto reciproco tra uomo e ambiente (tipologia, forma e
caratteristiche delle abitazioni, legame tra città e fattore religioso, legame tra religioni e vita
industriale, religioni e migrazioni, legame tra religioni e infrastrutture).
“Geography of religions” venne pubblicato nel 1967 da Sopher ed analizza: il contesto
ambientale per i sistemi religiosi, l’espressione della religione sul paesaggio, l’organizzazione
religiosa dello spazio e la distribuzione delle religioni).
“La città secolare” venne pubblicato nel 1968 da Harvey Cox che riprendeva la teoria di Berger
sulla secolarizzazione cioè sulla progressiva diminuzione d’interesse per la religione.
Anziché lottare contro la secolarizzazione, le Chiese dovevano interrogarsi sul proprio ruolo nella
“città secolare”, accettando modestamente un ruolo limitato.
La geografia delle religioni di metà del 900 si struttura anche attraverso un dibattito sociologico
rispetto al processo di secolarizzazione che può essere condizionato in “la morte di dio”.
La secolarizzazione viene vista come un processo opposto alla religiosità (la città è l’emblema
della secolarizzazione, della perdita dell’autorità religiosa, del venire meno della religione, della
necessità individuale dell’esprimere la propria religione).
Il rapporto città-campagna ritorna molto in ambito geografico: la convinzione che la città stesse
perdendo la sua religiosità a differenza della campagna, degli ambiti locali con minore densità di
abitato dove il parroco aveva forte importanza per la comunità locale.
“Oltre la secolarizzazione” è un’opera di José Casanova: egli propose la tesi secondo cui stiamo
assistendo ad un processo di de-privatizzazione della religione, nel senso che le religioni “rifiutano
di accettare il ruolo marginale e privatizzato che le teorie della modernità e della secolarizzazione
avevano ad esse riservato”.
Un’altra importante geografa che ha stilato il dibattito sul tema delle religioni è Lily Kong ed è
grazie a lei che la geografia delle religioni è com’è oggi e non è andata scomparendo; in questo
articolo in “Progress in Human geography”, grazie al confronto con altre discipline formula una
sua posizione geografica nello studio delle religioni.
Si parla di poetica del luogo ovvero dello studio del luogo secondo il concetto di sacro e di
politica delle religioni ovvero dello studio del luogo attraverso la sua politica.
Lily Kong invita a uno studio delle religioni oltre il sacro, come le religioni si stiano manifestando
non soltanto nelle chiese, sinagoghe, moschee dove avviene la pratica, ma sostiene che la
religione si manifesta anche negli spazi e luoghi inusuali; quindi suggerisce di studiare come la
religione si appropria di strutture non costruite appositamente per la pratica religione (la geografia
delle religioni cerca di comprendere le dinamiche che portano comunità religiose a svolgere pratica
religiosa in un magazzino, scantinato ecc…).
Veronica della Dora ha cercato di trovare una categoria che permettesse di categorizzare queste
dinamiche: parla di spazio infrasecolare ovvero dello spazio che visivamente non lo possiamo
definire religioso, apparentemente non ha niente di religioso e che assume caratteristiche sacre
nel momento in cui si riunisce la comunità (“infra” significa cogliere quello che è nascosto agli
occhi).
La superdiversità religiosa si manifesta nello spazio urbano contemporaneo dove ci sono
popolazioni straniere; Roma è stata definita una religious global city per la sua superdiversità
religiosa (cristianesimo cattolico, comunità ebraiche, islamiche, valdesi…).

Qualsiasi studioso che si voglia occupare di religioni, in Italia si trova a fare i conti con delle stime
che vengono calcolate utilizzando la percentuale di appartenenti all’islam appartenenti a una certa
nazionalità che viene traslata e applicata sul territorio nazionale (es. sikh, religione induista, alcuni
studiosi ritengono che i sikh in Italia siano 150.000).
La geografia si fa attraverso i casi studi, attraverso esperienze di osservazione partecipata con
comunità religiose.
La libertà religiosa è garantita dalla Costituzione e si esplicita attraverso alcuni articoli: art.7
(accordo stato chiesa cattolica: patti lateranensi), art.8, art.19, art.20.
Le intese sono delle leggi costituite da un insieme di articoli che vanno a regolare la libertà
religiosa in ambito scolastico, educativo, nei matrimoni e nei funerali.
L’Art. 19: riconosce il diritto che ciascun individuo può esercitare in modo pubblico o privato il
proprio culto, diritto di poter avere un luogo in cui praticare la religione con al comunità.
L’Art.20: fondo che il governo riconosce agli enti religiose che hanno un’intesa con lo stato.

Per diventare un ente di culto, l’organizzazione deve avere uno statuto, una propria
amministrazione, un fondo e dimostrare la capacità di esistere e deve fare richiesta attraverso
l’organo della prefettura del proprio territorio (norma prerepubblicana di periodo fascista che non è
stata cancellata).
Il fatto che esistano associazioni culturali rende la questione complessa, perché non hanno diritti
di ritrovarsi in un luogo di culto legato alla pratica religiosa.
Come si struttura in Italia la libertà religiosa?

La normativa urbanistica fa riferimento a decreti degli anni ‘64/’68/’71, periodo storico in cui
l’Italia era un paese a maggioranza cristiano cattolica: ciascun quartiere doveva avere un asilo,
una chiesa, una parrocchia.
Questa normativa ha un’ulteriore complessità: la legge n.27 del 1990, normativa in vigore sul
territorio della regione Lazio a cui tutti i comuni devono fare riferimento che afferma che
un’organizzazione religiosa può vedere costruito il proprio luogo di culto solo se l’organizzazione
ha un’intesa con lo Stato italiano, un riconoscimento da parte dello state italiano.
Alla comunità sikh che non ha intesa con lo Stato italiano non gli viene riconosciuto il diritto di
costruire il luogo di culto sikh: a livello normativo inizia una discrimina che limita l’espressione della
liberà religiosa.
L’ordine urbano che potevamo trovare nelle cittadine negli anni ‘60, secondo una maggioranza
cristiano-cattolica, oggi non si riesce più a interpretare e regolare a causa della grande diversità
religiosa italiana. Abbiamo dinamiche top down e dinamiche bottom up (le comunità religiose
possono costruire il proprio luogo di culto che non sarà riconosciuto come tale, non ha valore
istituzionale).
Alcuni studiosi hanno cercato di leggere lo spazio urbano contemporaneo attraverso concetti
chiavi:
1. secolare/religioso -> dio lo troviamo anche negli spazi urbani, pubblici, che usualmente sono
usati per tutt’altro (nel 2016 la piazza davanti al Colosseo la piazza è stata occupata da musulmani
durante il ramadan per pregare)
2. sostituzione/coesistenza -> sede della diocesi ortodossa romena in Italia (che è anche un
monastero femminile ortodosso); questo edificio non è stato costruito per accogliere la partita
ortodossa, ma era la residenza di una famiglia romana
3. visibilità/invisibilità -> l’invisibilità di un centro islamico che posso trovare camminando: il
tempio mormore, costruito a nord di Roma appositamente per la pratica religiosa, sociale di questa
comunità
4. formalità/informalità -> riconoscimento giuridico, comunità che sono prive di riconoscimento e
si organizzano attraverso associazioni culturali
La “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni o Mormonismo”: il termine “mormon”,
deriva dal profeta a cui è attribuito il libro di Mormon, testo che Joseph Smith pubblicò nel marzo
del 1830, dichiarando di averlo tradotto in inglese da tavole d’oro scritte in un’antica e sconosciuta
lingua che egli chiamò “egiziano riformato”, donategli da un angelo di nome Moroni.
La chiesa mormone si inserisce nelle chiese cristiane, comunità che crede nell’esistenza di Gesù
Cristo: il libro di mormon ricevuto da questo angelo racconterebbe l’avvenuta di Gesù Cristo dopo
la sua resurrezione e l’interazione tra Gesù cristo e i popoli nativi americani.
È una comunità che arriva in Italia intorno agli anni ‘60 del ‘900, arriva grazie alle opere di
evangelizzazione di alcuni americani, è prevalentemente costituita da persone di nazionalità
italiana, è riuscita ad ottenere un proprio luogo di culto grazie all’intesa che la comunità mormone è
riuscita ad ottenere dallo stato italiano.
Questo edificio è stato inaugurato nel 2019, si trova a nord di Roma ed è un complesso che si
caratterizza di un tempio a cui possono accedere solo gli appartenenti alla chiesa, di un centro
visitatori, di un centro genealogico (studio genealogico dei cognomi).
È un edificio a più livelli con diverse aule dove avvengono gli incontri tra i praticanti fino ad arrivare
alla parte più alta in cui avvengono pratiche solo tra gli anziani della comunità.
La “Chiesa ortodossa romena” è una chiesa ortodossa autocefala, si caratterizza di 24 tra
parrocchie, monasteri ed eremi.
Le principali modalità attraverso le quali la comunità romena si palesa dal punto di vista geografico
sono:
 chiese cattoliche, parrocchie che nascono attraverso l’uso di chiese cattoliche dismesse o
date a loro in gestione
 luoghi secolari: edifici costruiti per altro che vengono occupate da queste comunità religiose
Il Sikhismo è una religione nata nel XV secolo nell’India settentrionale basandosi sugli
insegnamenti di Guru Nanak Dev Ji e dei successivi nove guru viventi.
È giunto in Italia attorno agli anni ‘80-‘90 del ‘900, era una comunità prevalentemente maschile e a
cavallo del 2010 e 2012 c’è stato un aumento del numero di sedi Sikh.
13/03/23
Le lingue
Quante sono le lingue nel mondo?
Si tratta di una domanda banale, alla quale però non è per nulla facile dare una risposta
universalmente condivisa, il range entro cui muoviamo oscilla dalle 3.000 alle 12.000; comunque la
tesi più accreditata è che si approssimino alle 6.000/7.000.
Elementi costitutivi dello Stato e il concetto di Nazione
Gli elementi costitutivi dello Stato sono: territorio, popolo e sovranità.
Affinché all’interno di uno Stato la popolazione si senta coesa e si riconosca come Nazione sono
necessari alcuni elementi distintivi e di coesione, solo in questo modo i diversi gruppi si possono
distinguere da altri gruppi consimili.

Elementi distintivi della Nazione:


 consistenza numerica (decine di milioni…)
 vivere in un territorio percepito come proprio, ovvero come terra d’origine o patria
 lingua comune

Elementi di coesione, tra i più comuni:


 senso di appartenenza
 cultura, costumi e tradizioni comuni
 religione
 origini comuni e storia diversa…

Ruolo svolto dalle lingue nelle culture


La lingua è un elemento fondamentale della cultura sia locale sia nazionale.
L’interconnessione e l’interazione tra chi vive in una stessa regione o in diverse regioni del
mondo dipendono in buona parte dalla capacità di comunicare.
Nel corso della propria vita ciascun individuo usa continuamente il linguaggio, nei discorsi, nei
pensieri…ed anche nei sogni.
Spesso l’importanza del linguaggio per il funzionamento della società e per definire l’identità di
chi lo utilizza viene data per scontata
I fattori socio-culturali, legati alla cultura materiale, possono influire moltissimo sull’utilizzo e sullo
sviluppo di una lingua.
Alcune culture devono inserire all’interno del proprio vocabolario parole che esprimono concetti,
talvolta assai semplici, che non erano però propri di una determinata tradizione (esempio della
forchetta in Giappone)
In alcuni casi l’assenza di una parola specifica per esprimere un concetto in una lingua può indurre
ad utilizzare delle perifrasi.
Volendo suddividere il mondo in aree o regioni culturali diverse tra loro, l’indicatore più semplice
ed efficace è quello delle lingue.
Quando due o più persone parlano la stessa lingua si innesca un processo di comunicazione
fondato sul fatto che i parlanti sanno quali significati attribuire alle parole e utilizzarle per
costruire concetti complessi.
Ogni lingua presenta al suo interno delle varianti geografiche o sociali detti dialetti.

Alessandro Manzoni nell’estate del 1827 si recò a Firenze per una revisione linguistica dei
Promessi Sposi secondo la lingua parlata dai fiorentini.
Per la sua “risciacquatura” Manzoni ricorre sia all’aiuto di consulenti, che alla gente comune per le
strade di Firenze.
L’opera manzoniana influenzerà in modo decisivo non solo la letteratura ma anche lo sviluppo
della lingua comune nel suo complesso durante il Risorgimento.
Lingua e dialetti
Dialetto: varietà linguistica (o idioma) usata tra di loro da abitanti originari di una ristretta
area geografica, in aggiunta alla lingua ufficiale
Lingua: idioma che si è imposto sugli altri in un’area più o meno vasta per motivi letterari,
sociali o politici

Le lingue in genere sono dei dialetti che si sono imposti sugli altri in un’area più vasta, per
motivi:
 letterari -> avere una forma scritta e una letteratura
 sociali -> adozione da parte delle classi colte
 politici -> diventare la lingua ufficiale di uno Stato
Alcuni dialetti, dal punto strettamente linguistico sono considerati tali solo perché parlati in aree
ristrette, mentre hanno caratteri differenziali che li potrebbero far considerare come vere lingue.
In altri casi vi sono lingue assai simili tra loro (ad esempio il serbo e il croato) e i loro parlanti si
capiscono quasi perfettamente, ciò nonostante, costituiscono lingue differenti in quanto gli stati di
appartenenza sono diversi.

Lingue naturali e artificiali


Le lingue naturali sono nate e si sono evolute nel corso della storia delle comunità umane
Le lingue artificiali sono invece state inventate intenzionalmente dall’uomo per la
comunicazione internazionale o nazionale
Alcune lingue artificiali sono nate con il proposito di creare una lingua universale che potesse
essere compresa e parlata in tutto il mondo, come il caso dell’esperanto.
Il fatto che l’esperanto non si sia imposto come lingua dell’umanità è una prova di come i
linguaggi non possano essere facilmente separati dalle culture, potrebbe esserci un
linguaggio universale solo a fronte di una cultura universale.

L’esperanto
Si tratta di una lingua elaborata alla fine dell’Ottocento dal lavoro di un oculista polacco di origine
ebraica, il dottor Ludwik Zamenhof.
L’idea di base dell’autore era quella di un idioma universale che facilitasse la comunicazione e
appianasse le incomprensioni tra gli uomini.
Il nome deriva dallo pseudonimo di Zamenhof che amava definirsi doktor esperanto, ovvero “dottor
speranzoso”.
L’esperanto destò notevole interesse e nel periodo tra le due guerre molti paesi ne caldeggiarono
l’idea attraverso l’istituzione di apposite società; questo fu però anche il motivo per il quale la
lingua rimase circoscritta.
All’interno dei movimenti che caldeggiavano l’esperanto nacquero anche nuovi progetti di lingue
internazionali (latino sine flexione, occidental, novial, interglossa, interlingua, etc.).

Lingua franca e Pidgin


Il termine lingua franca deriva da “franchi”, vocabolo con il quale nel mondo arabo erano
genericamente identificati gli europei.
La lingua franca può essere una sola lingua o una mescolanza di più lingue
La conversazione tra parlanti più lingue differenti produce una combinazione di lingue che crea un
idioma fortemente semplificato (nella struttura e nel lessico) detto pidgin.
La stessa parola pidgin nasce in Cina dalla pronuncia errata del vocabolo inglese business, ciò ne
sottolinea la spiccata funzione commerciale.
Possono essere identificati come lingue di mediazione: si tratta di lingue spesso destinate ad avere
una durata breve, tendono a scomparire quando vengono meno le motivazioni che le hanno
generate, oppure si possono trasformare in lingue creole.
La prima lingua franca ampiamente usata fu un pidgin: nel XIII secolo le varie lingue parlate dai
naviganti nel bacino Mediterraneo erano il portoghese, lo spagnolo, il francese, l’italiano ed il greco
mentre i mercanti arabi e turchi non parlavano queste lingue.
Ebbe così origine un processo di convergenza in cui le lingue europee si mescolarono all’arabo,
dando origine a un idioma convenzionale in uso tra i mercanti di quell’area, la cosiddetta lingua
franca mediterranea.
Oggi il termine lingua franca è ancora in uso per intendere un idioma comune per gli scambi
commerciali.
Durante l’espansione dell’islam, l’arabo divenne lingua franca, così come per molte aree nel
periodo coloniale fu l’inglese.
Una lingua franca oggi ampiamente utilizzata è lo swahili, idioma dell’Africa orientale che si è
sviluppata da una mescolanza tra la lingua africana bantu, il persiano e l’arabo.

Pidgin e lingue creole


Se la lingua pidgin acquisisce parlanti nativi, quando diventa la prima lingua appresa dai bambini,
diventa lingua creola e sviluppa una struttura e un lessico complessi, diventando lingua nativa.
La parola ‘creolo’ deriva dalla parola portoghese ‘criuolo’, usata in origine per designare gli schiavi
africani o gli europei nati nel nuovo mondo.
La prima lingua creola venne utilizzata nei Caraibi e si generò dal connubio tra inglese, francese,
portoghese e le lingue degli schiavi africani.
Nelle Filippine, una delle lingue ufficiali deriva dalla lingua creola tagalog ed è parlata da circa 30
milioni di persone.
Il termine lingua creola si riferisce agli idiomi di origine europea in America, Asia e Africa che
in comune avevano l’esigenza di comunicazione tra persone di origine diversa
Lingue minoritarie
“…le lingue minoritarie
sono lingue
tendenzialmente usate
all’interno di un dato
territorio di una nazione,
da cittadini che formano
un gruppo
numericamente meno
numeroso del resto della
popolazione che parla
lingue differenti da quella
ufficiale dello stato.
Non includono né i dialetti
delle lingue ufficiali, né le
lingue parlate dai migranti”
Le lingue minoritarie sono
concettualmente diverse dai
dialetti.

La diffusione delle lingue


La propagazione linguistica (diffusione nello spazio) può avvenire secondo diverse modalità:
 per migrazione
 per espansione, se la lingua viene adottata da soggetti parlanti un altro idioma,
comportante solitamente una acculturazione di costoro
 per diffusione gerarchica, quando l’adozione avviene prima presso le élite, per poi
propagarsi alle classi più basse, in uno stesso ambito spaziale, o prima nei centri urbani,
poi nelle periferie e campagne (esempio: lingue coloniali in Africa)
La diffusione delle lingue viene anche condizionata da forze politiche, economiche e religiose.
Durante il colonialismo britannico, l’inglese si è diffuso in tutto il mondo e oggi ci sono più persone
che parlano inglese dal Regno Unito di quante ce ne siano al suo interno
La diffusione delle lingue principali, soprattutto europee, è data anche da ragioni economiche, ad
esempio dal turismo.
Anche la religione rappresenta un importante fattore di diffusione delle lingue.
Lo dimostrano i molti musulmani che parlano l'arabo, pur non essendo la loro prima lingua, per
poter leggere il Corano in lingua originale.

La diffusione “quantitativa” delle lingue


Se si prova a raggruppare le lingue in categorie costruite in base al numero di parlanti, ci si
accorge che vi sono moltissime lingue parlate da un numero esiguo di persone, mentre sono assai
poco numerose quelle che possono essere considerate lingue di grande diffusione.
La grande diffusione di queste lingue è un evento abbastanza recente, imputabile a fatti storici, ma
in qualche misura anche all’incremento della popolazione.

La diversità linguistica
L’indice di diversità linguistica esprime la probabilità che due individui residenti nello stesso
stato, scelti a caso, condividano la stessa madrelingue (valore da 0 a 1).
Tra le regioni con maggiore diversità linguistica si possono individuare l’Africa sub-sahariana e una
fascia che si estende dall’Iran all’Oceano Pacifico, attraverso l’Asia Meridionale e Sudorientale

Le famiglie linguistiche
Le popolazioni e le lingue si sono irradiate parallelamente attraverso una serie di migrazioni della
nostra specie (Cavalli Sforza).
Hanno avuto origine dall’Africa orientale.
L’espressione famiglie linguistiche esprime il fatto che molte lingue condividono una lontana
origine storica comune, al punto che si possono individuare novanta famiglie linguistiche
delle quali le sei maggiori comprendono la maggior parte dei parlanti al mondo.
Quasi la metà degli abitanti della terra parla una lingua che appartiene alla famiglia indo-europea,
della quale fanno parte sei delle nove lingue più diffuse al mondo.
Le famiglie e i gruppi linguistici
Le lingue indo-europee, suddivise in diversi gruppi, rappresentano la famiglia linguistica con il
maggior numero di parlanti.
Uno dei gruppi più importanti è quello delle lingue romanze, derivanti dal latino, una lingua italica
che iniziò ad essere parlata dagli abitanti di Roma nel VI secolo a.C.
La crescita e l’espansione dell’impero romano in gran parte dell’Europa meridionale e occidentale
svolsero un ruolo fondamentale nella diffusione della lingua latina.
La lingua latina allora si suddivideva in:
 latino classico con una forma scritta standardizzata
 latino volgare, non standardizzato parlato dalla gente comune
Il latino volgare, in mancanza di regole scritte, veniva parlato in modo diverso in ogni regione
dell’impero e ciò portò alla nascita di numerosi dialetti che, nel corso del tempo, divennero le
diverse lingue romanze.
La dominanza linguistica
La dominanza linguistica è la situazione in cui una lingua si trova ad essere più influente ed
importante rispetto ad un'altra
I numeri da soli non definiscono la dominanza linguistica: il cinese, ad esempio, è la lingua più
parlata al mondo, ma ha un'estensione geografica molto minore rispetto all'inglese.
La maggioranza delle lingue del mondo sono lingue senza stato: si parla in questo caso di gap
linguistico, in quanto queste lingue, spesso considerate minoritarie, non vengono utilizzate in atti
ufficiali dello stato e raramente sono insegnate nelle scuole nonostante spesso siano molto diffuse.
Quasi sempre uno dei primi atti formali di un nuovo stato indipendente è l'individuazione di una
lingua ufficiale, utilizzata in questioni politiche, legali e amministrative
Anche le grandi istituzioni economiche e politiche internazionali scelgono una o più lingue ufficiali.
Le Nazioni Unite, ad esempio, riconoscono sei lingue ufficiali (inglese, francese, spagnolo, russo,
arabo e cinese).
Per non favorire uno Stato rispetto ad un altro, l'Unione Europea riconosce formalmente le lingue
ufficiali di tutti i 27 stati membri traducendo la maggior parte dei documenti ufficiali in ognuna di
esse.
Idiomi e lingue standard

Quando in uno stesso paese si parla più


di un idioma, uno di questi può diventare
lingua standard, la cui scelta di solito
rispecchia la dominanza linguistica di un
certo modo di parlare, oppure il fatto che
a utilizzare la lingua in quel modo siano
le classi più elevate o i mass media.
È il caso della Received Pronunciation,
in Regno Unito, altrimenti detta Queen's
English o BBC English, che non ha
una precisa connotazione regionale.

I dialetti italiani
I dialetti sono idiomi subordinati ad altri, generalmente affini, che in un certo momento della
storia si sono imposti come lingue sovraregionali, di regola nazionali.
In Italia è stato scelto il toscano: era stato usato come lingua letteraria già nel medioevo da autori
come Dante, Petrarca e Boccaccio.
L’italiano è lingua ufficiale in Italia, a San Marino, in Svizzera e in Vaticano ed è anche una delle
lingue ufficiali dell’Unione Europea.
Il 44% degli italiani parla esclusivamente italiano, il 51% lo alterna con un dialetto, il 5% parla
esclusivamente un dialetto o fa parte delle minoranze linguistiche.

Il dialetto ligure
Da molti
considerata una
vera e propria
lingua, di origine
romanza, associati
ai dialetti galloitalici
e si estende al di là
dei confini
dell’attuale Liguria
e riflette la sfera
geografica
d’influenza della
Repubblica di
Genova.
L’insieme dei dialetti originati da ligure diffuso dai
coloni della Liguria al tempo della Repubblica di
Genova sono:
dialetto bonifacino (Bonifacio, Corsica)
tabarchino (Carloforte e Calasetta,
Sardegna)
monegasco (Principato di Monaco)
I dialetti estinti sono:
dialetto figun (Provenza orientale), estinto
ai primi del ‘900
dialetto genovese della Caleta o Catalan
Bay (Gibilterra), estinto negli anni ’70 del
‘900
tabarchino della Tunisia, estinto ai primi
del ‘900

Dialetto genovese in America Latina


Cile (Valparaíso, Viña del Mar), Perù (Tacna, Callao) e Argentina (Buenos Aires, Rosario).
Particolarmente diffuso nel quartiere della Boca, dove contribuì alla formazione di varietà miste.
Ancora adesso i calciatori e tifosi del Boca Juniors sono chiamati Los Xeneizes.

Arabismi in genovese
 Mandillo (da mindil, ma probabilmente di origine greca): fazzoletto
 Dasena (da dar-as-sina): zona più interna e riparata di un porto, casa di fabbrica
 Gabibbo (habib): amico
 Camallo (hammal): scaricatore di porto
 Casann-a (hazana): tesoreria, a Genova “Monte di Pietà”
 Scialla scialla (in scia Allah): se Dio vuole, a Genova “evviva”
17/03/23
Seminario 3
La reinvenzione degli itinerari storici e pratiche di mobilità
moderna lungo gli Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa
Reinvenzione -> richiamo al concetto di riprendere/studiare gli itinerari o contesti
storici/passati di epoca antica, medievale o anche moderna applicarvi una nuova fruizione
moderna legata ai concetti del turismo
Entra in gioco il discorso degli studi dal punto di vista accademico delle Mobilities.
Gli itinerari culturali del Consiglio d’Europa sono:
 “Moblilities paragidm”
 Camino de Santiago e Via Francigena
 il conresto storico-geografico degli itinerari romei
 la ricerca empirica sulla fruizione moderna della Francigena

La Via Francigena è in fase di candidatura come Patrimonio dell’UNESCO.


È un itinerario che a livello turistico si è tradotto in una linea che tiene il filo fra due punti: (INIZIO) a
Canterbury + (ARRIVO) a Roma, ma che nel passato aveva diramazioni molto più complesse.
Oggi si comprendono 48 itinerari europei, che possono essere caratterizzati da un itinerario
specifico o collegare differenti punti di interesse diffusi secondo un itinerario organizzato da chi lo
percorre.
Nel 2021, contiamo 45 Itinerari culturali del Consiglio d'Europa, con temi molto diversi che
illustrano la memoria, la storia e il patrimonio europeo e contribuiscono a un'interpretazione della
diversità dell'Europa attuale.
Gli Itinerari culturali dimostrano, attraverso un viaggio attraverso lo spazio e il tempo, come il
patrimonio dei diversi paesi e culture d'Europa contribuisca a un patrimonio culturale vivo e
condiviso.
Ci sono tre punti principali:
1. contesto -> questi itinerari si verificano in un contesto naturale e/o culturale sul quale
esercitano un’influenza e che contribuiscono a caratterizzare e arricchire le nuove
dimensioni come parte di un processo interattivo, quindi dinamico
2. contenuto -> l’itinerario culturale deve necessariamente essere sostenuto da elementi
tangibili che testimoniano il suo patrimonio culturale e forniscono una conferma proprio
fisica/materiale della sua esistenza; quindi, gli eventuali elementi materiali servono a dare
senso e significato ai vari elementi che poi ne compongono l’insieme
3. concetto di itinerario culturale -> implica un valore di insieme che è maggiore della
somma delle sue parti e dà all’itinerario il suo significato
Tre principali obiettivi elencati dal Gruppo di lavoro del Consiglio d’Europa:
 sensibilizzare alla cultura europea attraverso i viaggi
 considerare le possibilità di creare reti per il turismo legate alla geografia culturale
dell'Europa
 promuovere i principali siti e crocevia della civiltà europea come luoghi di interesse turistico
Nell’anno 2022/2023 sono stati proposti 8 itinerari, tra cui:
 Iter Romanum
 Romea Strata
 Eu Network of St. Michael’s Sites and Ways
 Transhumance Trails and Rural Roads
 Singing Heritage Route

Mobilities Paradigm
È un nuovo paradigma delle mobilità nel contesto di diversi significativi spostamenti teorici
e nuove domande di ricerca
Gli spostamenti da un luogo ad un altro e quindi la rete stradale antica/moderna diventano una
prospettiva, in un certo senso privilegiata per comprendere l’organizzazione umana sullo spazio.
Ci sono anche dei richiami alla prospettiva geopolitica, di connettività per mezzo di cui si
sostituisce la divisione fatta di confini attraverso un nuovo paradigma dell’organizzazione globale,
conferendo nuove lenti per osservare come ci organizziamo in quanto specie in un’ottica più
funzionale, quindi di connessioni rispetto al sistema globale.
La formulazione di questo paradigma (delle mobilità) permette di teorizzare un’ampia gamma delle
relazioni nel mondo.
Il ruolo delle tecnologie si riconfigura rispetto a come le persone si connettono nei luoghi e tra di
loro; quindi, le mobilità elaborano i luoghi e i paesaggi in modo continuo e incessante.

Con il 90% dei loro percorsi nelle zone rurali, gli itinerari culturali hanno il potenziale per
promuovere e sviluppare destinazioni remote o meno conosciute, diffondendo la domanda e il
reddito turistico in tutto il territorio e l'anno solare, riducendo così la pressione sulle principali
attrazioni, sostenere la distribuzione regionale della ricchezza e contribuire ad affrontare la
stagionalità.

Camino de Santiago
Il Consiglio d’Europa propose che il cammino di Santiago formasse il primo itinerario culturale
europeo.
È un itinerario culturale – europeo, che simboleggia il processo di costruzione europea e può
servire come riferimento poi per progetti futuri così come di fatto è stato per la Via Francigena.
La via Francigena
Dal 1994 diventa un itinerario culturale europeo.
Nel 2001 al fine di promuovere questa via di pellegrinaggio, è stata fondata l’Associazione dei
Comuni Italiani sulla Via Francigena.
Oggi è diventata un’associazione alla quale aderiscono 190 enti locali e regioni tra Inghilterra,
Francia, Svizzera e Italia.
Nel 2007 l’Associazione Europea delle Vie Francigene, associazione diversa da come era nata, è
stata riconosciuta per promuovere e valorizzare l’itinerario.
Il percorso inizialmente interessava Canterbury e Roma, e poi successivamente è stato
ufficializzato anche il tratto da Roma a Santa Maria di Leuca.
Erano itinerari che portavano anche in Terra Santa a Gerusalemme.
Questo tratto Canterbury-Roma è stato ricostruito riprendendo il diario di viaggio dell’Arcivescovo
di Canterbury che nel 990 lo descrisse mentre faceva ritorno, da Roma alla sede di Canterbury,
mentre per arrivare a Santa Maria di Leuca è stato utilizzato un altro itinerario ancora più antico del
333.

Il modello della Via Francigena in Toscana


Itinerario più battuto, essendo quello che ricopre maggiore superficie. (380 km)
Per questo motivo la regione Toscana vi ha investito molto, complessivamente dal 2009 ci sono
stati investimenti pari a 24 milioni di euro destinati alla messa in sicurezza del percorso, alla
relativa segnaletica, circa il 20% al recupero del patrimonio architettonico, e il 17% alla
realizzazione delle strutture ricettive.
Fino al 2000 la linea del trend ha una dinamica delle
presenze turistiche inferiore all’altro gruppo, ma dal 2000 la distanza è crescente.
La presenza della Francigena ha consentito un differenziale di circa il 35% delle presenze
turistiche.
In Toscana ci sono 39 Comuni che svolgono la gestione dell’accoglienza, promozione e
comunicazione di quello che è la manutenzione e il monitoraggio delle presenze.

Credenziale -> libretto dove vengono inseriti i timbri di ogni tappa del pellegrino
Arrivo: Vaticano, dove i pellegrini riceveranno una specie di “attestato” (chiamato: testimonium) di
fine pellegrinaggio.
Questo testimonium viene dato a chi ha fatto almeno un totale di almeno 100km a piedi (circa 20-
25km a tappa di percorso giornaliero e se fatto in bicicletta i km sono, ovviamente, di più).

Non esiste cartografia medievale coeva che rappresenta il percorso.


Si può pensare a una direzione principale, Roma o la Terra Santa, seguita da tante altre
“correnti”, vie alternative, località minori.

Via Francigena (definizione) -> un sistema viario plurale del Medioevo che metteva in
collegamento, attraverso i valichi delle Alpi (nord-occidentali), i paesi del nord/nord-ovest con
Roma, e poi il Sud Italia per dirigersi in Terra Santa.
Non è stata definita da un potere centrale ma si è realizzata nel lungo periodo in base alla
stagionalità delle aree attraversate.
Il “Codex Diplomaticus Amiatinus” è la pergamena che testimonia la prima fonte scritta della Via
Francigena fino ad oggi (“usque in via francisca”), 4 Maggio 876 (Archivio di Stato di Siena).

Dell’antica strada, c’era un rischio di avvolgerla nelle incertezze storiche a seguito della
semplificazione dell’itinerario.
Ci sono conflitti politico-amministrativi tra le autorità locali -> rispetto a un’identità storica della
viabilità nella quale ognuno potrebbe reclamare la propria parte di itinerario sorgono dibattiti.
Laddove c’è un’amministrazione che
punta a questo sviluppo di turismo, ci
possono essere dei risultati o dei
compromessi (al percorso ufficiale è
nato il sistema delle varianti).
A volte il percorso ciclabile prende
altre rotte rispettando un contesto
storico, anche le ippovie(=tratti
percorribili a cavallo).
Si possono creare delle
sottocategorie legate a circoli
sportivi, enogastronomici.
Dal punto di vista turistico è anche un
aspetto molto sensibile: se si
sovrappongono segmenti estremamente turistici con quelli legati al pellegrinaggio, si creano
problemi (da chi amministra i territori).

Insiders -> abitanti dei luoghi attraversati / Outsiders -> pellegrini e viaggiatori
La fruizione moderna della Via francigena: metodologia
indagine qualitativa
indagine etnografica
indagine sul pellegrinaggio -> elementi sensibili e provati che riguardano le motivazioni del
pellegrino che difficilmente potrebbero emergere all’interno di una semplice intervista.

Impatto socio-culturale sul territorio


Persone molto più attente e sensibili rispetto al territorio, recupero infrastrutturale a seguir dei fondi
ministeriali ed europei.
Si assiste a un ripristino del patrimonio culturale che sono di uso comune anche dei locali.
Forte attenzione alla storia e cultura del proprio territorio e predisposizione a un turismo di alta
qualità, non di massa.
Bisogna mantenere il rapporto con la natura, spiritualità del contesto e identità dei territori.
C’è molto volontariato, le energie profuse sono superiori rispetto all’ottica di guadagno prettamente
economica.
La dicotomia pellegrino-turista si nota nell’ospitalità, termine: turigrino -> identificare una
persona che viene detta pellegrino ma ha una motivazione dettata più da aspetti di escursionismo.
C’è una sorta di fascino e rispetto verso la categoria di pellegrinaggio e ambiente che rappresenta.
In molto casi si parla di mobilità terapeutica che coinvolge anche i residenti.
Dagli ultimi studi pubblicati,
la differenza di genere si è
ridotta, c’è più parità tra
uomini e donne che
partecipano ai pellegrinaggi.
Rispetto alle provenienze:
maggioranza di italiani che
si sono riversati sulle aree
interne italiane.
La natura del pellegrinaggio
è che venga fatto in
solitaria perché è molto
introspettivo.

E’ un cammino di
pellegrinaggio,
teoricamente religioso, ma
la motivazione religiosa è
quella più bassa mentre la
più alta è il benessere
fisico.

Il pellegrinaggio che si è sviluppato, in Italia, a partire dal 2000 con la spinta del giubileo è in fase
di ringiovanimento, si sta sviluppando una nuova identità; viene concepito come un passaggio
rituale che assomiglia al processo transitorio tra due stati sociali stabiliti e che permette di staccarsi
dalla quotidianità verso un luogo sacro.
La vera patria non è quella terrena e la vita stessa rappresenta un viaggio, non si va in
pellegrinaggio, ma si è pellegrini, quindi rappresenta una condizione.
I pellegrinaggi a piedi creano significati attraverso l’interazione di persone e luoghi, il paesaggio è
qualcosa con il quale si interagisce.
È data dal legame con le comunità rurali in virtù di perseguire un paesaggio culturale fuori dagli
schemi e faciliti un viaggio introspettivo lontano dai contesti urbani.

Punti in comune tra pellegrino, camminatori che riguardano la condizione di benessere:


 opportunità di riflessione, perché è un percorso individuale che necessita dell’incontro con
l’altro e relazioni sociali.
 rappresenta una prova interiore all’interno di mete condivise
 il rapporto con l’essenziale -> lo zaino è una metafora perfetto, bisogna imparare a sbarazzarsi
di quello che non è necessario
 il cammino permette di riappropriarsi del proprio tempo a scapito dei ritmi posti dalla
quotidianità
 autorganizzazione di cambiamento che si traduce in un cambiamento positivo
Il pellegrinaggio è una sorta di circolazione, una forma di mobilità della popolazione che rompe
l’isolamento di comunità troppo stabilizzate e proprio per la loro diversità costituiscono fonti di
arricchimento delle comunità locali che portano a un impatto socio-culturale positivo.

20/03/23
La popolazione mondiale
Quali dati permettono di quantificare la popolazione?
I dati che permettono di quantificare il numero di abitanti presenti in una determinata area sono:
 il numero di nati vivi
 il numero di decessi
 il numero di migranti
La differenza tra il numero di nati vivi e il numero di decessi è detta anche saldo naturale della
popolazione.
Il saldo totale della popolazione (o saldo demografico) è dato dalla somma del saldo migratorio
e il saldo naturale.

La popolazione nel passato e i tempi del raddoppio


La popolazione mondiale oggi è assai prossima agli otto miliardi.
Gli incrementi più significativi si sono registrati a partire dallo scorso millennio.
 circa 2000 anni fa gli abitanti della terra erano 250 milioni e impiegarono più o meno 650
anni per raddoppiare.
 il secondo raddoppio si ebbe in soli 170 anni: nel 1820 la popolazione raggiunse il miliardo
 nel 1930, dopo poco più di un secolo, la popolazione raggiunse i 2 miliardi
 nel 1975 gli abitanti della terra toccarono i 4 miliardi; in questo caso il raddoppio si ebbe in
soli 45 anni
A partire dalla metà degli anni Ottanta la crescita della popolazione ha registrato una battuta
d’arresto; i tempi del raddoppio aumentano (circa 54 anni).

(come si è evoluta la popolazione


nel corso del tempo -> previsioni di
crescita al 2050 nella parte in alto)

(aerogramma -> distribuzione della


popolazione per area geografica)

La popolazione mondiale oggi


La popolazione mondiale è in continua crescita non si può però parlare di un’esplosione tale da
minare gli equilibri demografici a livello planetario.
Gli studiosi sono concordi nel ritenere infondate certe ipotesi catastrofiche.
Il comportamento demografico dei paesi sviluppati ha indotto un rallentamento che, in taluni casi,
si è trasformato addirittura in vera e propria decrescita (accelerazione e decrescita sono fenomeni
complessi e possono essere spiegati facendo ricorso ad altri concetti spesso utilizzati in
demografia: speranza di vita e fertilità.
L’espansione comunque continuerà per almeno un trentennio.

La tesi (1) e gli errori (2) di Malthus


(1) La popolazione cresce in proporzione geometrica, o esponenziale
(1) Le risorse crescono in termini aritmetici, o lineari
(2) L’aumento della popolazione imputabile alla diminuzione della mortalità e all’aumento
della natalità sembrava un processo senza ritorno e senza soluzione
(2) Infatti, tale aumento non sembrava accompagnato da un miglioramento delle tecniche
produttive
(2) “Non aveva considerato gli effetti del miglioramento tecnologico, soprattutto in campo
agricolo, e la possibilità di colonizzare nuove aree

Le stime delle Nazioni Unite nel 2022


L'11 luglio scorso è stato pubblicato il 2022 il “Revision of World Population Prospects”, report
annuale delle Nazioni Unite che guarda alla situazione attuale e futura della popolazione mondiale.
L’ONU traccia un disegno del futuro prossimo e remoto del nostro Pianeta, dal quale emerge
che saremo sempre di più, sempre più vecchi, e sempre più in movimento.
La prima data è il 15 novembre 2022: in questo giorno la popolazione globale dovrebbe
raggiungere quota 8 miliardi.
Fino al 2100 continuerà ad aumentare, toccando gli 8,5 miliardi nel 2030, i 9,7 miliardi nel 2050 e
i 10,4 miliardi nel 2100.
Nel 2021 i due Paesi più popolosi al mondo erano Cina (al primo posto con 1,43 miliardi di
abitanti) e India (al secondo posto con 1,41 miliardi).
Nel 2023, però, gli indiani saranno più dei cinesi: attorno al 2060 l'India raggiungerà il picco con
1,7 miliardi di persone, per poi iniziare a decrescere.
La popolazione cinese, invece, inizierà a decrescere già nei prossimi anni, fino a quasi dimezzarsi
nel 2100, quando rimarranno "appena" 776 milioni di cinesi.

Tasso di natalità e di mortalità


L’indice o tasso di natalità misura la frequenza delle nascite di una popolazione in un
determinato lasso di tempo ed è dato dal rapporto tra il numero di nati vivi nell’anno e
l’ammontare medio della popolazione residente, moltiplicato per 1.000.
Se tasso di natalità e mortalità si eguagliano, si verifica il fenomeno della crescita zero.

Altri tassi demografici


Il tasso di fertilità (TFR) indica il numero medio di figli per donna in età fertili (15-49 anni).
Affinché possa avvenire la sostituzione fisiologica della popolazione, il tasso di fertilità deve essere
uguale a 2,1 figli per donna: per sostituire una coppia di genitori sono infatti necessari due bambini
Il tasso di fecondità è un tasso più generico e si riferisce al numero medio dei figli in rapporto
a tutti gli individui di sesso femminile.
Il tasso di mortalità infantile è il numero di bambini morti (tra il primo o entro i primi cinque anni
di vita) sul numero di bambini nati nel corso del medesimo anno per 1000, esso aumenta o
diminuisce in funzione delle condizioni socio-economiche di una popolazione.
(cambiamento del tasso di fertilità)

La transizione demografica
Nel 1934 Adolphe Landry precisa il concetto di «rivoluzione demografica»: viene reso noto più
tardi col nome di transizione demografica dalla scuola dei demografi di Princeton.
Con il concetto di transizione demografica viene affermato il principio che le società dispongano di
un meccanismo automatico di ritorno all’equilibrio anche se alcuni autori affermano che il calo della
mortalità e della natalità sono indotti da cause esterne.
Gli studiosi che non credono alla teoria della transizione demografica reputano che sia necessario
mettere in atto specifiche politiche per rallentare la crescita nei paesi in via di sviluppo.

(il regime demografico antico è caratterizzato da elevati tassi di natalità compensati da


altrettanto elevati tassi di mortalità; prima fase della transizione: si verifica una riduzione della
mortalità, ma permane ancora un elevato tasso di natalità a causa delle condizioni
socioeconomiche; seconda fase della transizione: lo sviluppo economico produce un tendenziale
diminuzione della natalità oltre a un generale cambiamento della società; regime demografico
moderno: il tasso di natalità si accosta a
quello di mortalità, entrambi sono bassi)

Si tratta di un modello demografico che


funziona solo per i paesi sviluppati non è
infatti valido né per i paesi sottosviluppati
né per quelli in via di sviluppo per due
ordini di motivi:
 il primo legato al ruolo della
donna che molto spesso è ancora
marginale nella società
 il secondo alla struttura
demografica della popolazione
costituita da un grande numero di
giovani che, anche in presenza di
politiche antinataliste coercitive volte a limitare il numero dei figli (ad esempio quelle
applicate in India e in Cina), continuerà a crescere per diversi anni a causa di quella che è
stata definita come inerzia demografica; inerzia che terminerà solo quando sarà «smaltito
l’eccesso di madri»
Comportamenti demografici differenti: il caso dell’Asia
(si prevede che la popolazione
della regione aumenterà del 12%
entro il 2050, passando da 4,7
miliardi (2022) a 5,3 miliardi; la
popolazione asiatica registrerà
comportamenti differenti nelle
diverse subregioni: in Asia orientale
si prospetta un calo demografico
pari all’8%,a fronte di un aumento
del 40% in Asia occidentale; il
tasso di fertilità totale (TFR)
dell'Asia, pari a 1,9, è appena al di
sotto del livello di sostituzione; il
TFR varia da 1,2 in Asia orientale a 3,0 in Asia centrale; la quota di adulti di età pari o superiore a
65 anni varia anche all'interno dell'Asia, dal 5% in Asia centrale al 15% in Asia orientale.)

Il caso dell’Africa
(l'Africa è il continente i livelli di
fertilità e di crescita demografica più
elevati del mondo; si prevede che la
sua popolazione crescerà da 1,4
miliardi nel 2022 a 2,5 miliardi nel
2050, rappresentando circa il 60%
della crescita demografica globale
prevista durante lo stesso periodo;
la fertilità sta diminuendo in molti
paesi africani, ma il tasso di fertilità
totale della regione rimane alto
(4,3), variando da 2,4 nell'Africa
meridionale a 5,6 nell'Africa
centrale; man mano che la fertilità diminuisce da livelli alti a bassi, la quota della popolazione
giovane dipendente diminuirà rispetto a quella in età lavorativa; con una percentuale più alta di
salariati e un minor numero di persone a carico da sostenere, i paesi potranno pertanto avere
opportunità per una crescita economica sostenuta).

Il caso dell’Europa
(l’Europa è l’area della terra con il
più basso tasso di fertilità ed è
l'unica nella quale si prevede un
calo della popolazione totale entro
il 2050; più della metà di tutti i paesi
europei ha registrato un saldo
naturale negativo nel 2022, ci sono
state più morti che nascite; con un
tasso di fertilità totale medio (TFR)
di 1,5, la fertilità della regione
scende al di sotto del livello di
sostituzione; quasi un quarto dei
paesi della regione ha un TFR pari o
inferiore a 1,3; questi fattori
combinati contribuiscono al previsto calo della popolazione totale in Europa del 2%, da 742 milioni
nel 2022 a 724 milioni nel 2050; la regione ha anche la popolazione più anziana del mondo: gli
adulti di età pari o superiore a 65 anni sono quasi uno su cinque (19% della popolazione totale); la
futura dimensione della popolazione sarà probabilmente determinata principalmente dalla
migrazione internazionale).

Il caso delle Americhe


(le Americhe hanno sperimentato un
diffuso calo della fertilità e una
modesta crescita della
popolazione nell'ultimo mezzo
secolo; il tasso di fertilità totale
della regione è attualmente al di
sotto del livello di sostituzione a 1,8,
va da 1,6 in Nord America a 2,0 nei
Caraibi; nonostante il suo basso
TFR, la popolazione della regione
dovrebbe aumentare del 14% da 1,0
miliardi nel 2022 a 1,2 miliardi nel
2050, con incrementi che vanno
dall'8% nei Caraibi al 18% in
America Centrale; anche le Americhe stanno vivendo un significativo invecchiamento della
popolazione, con un numero e una quota crescente di anziani; l'attuale quota di adulti di età pari o
superiore a 65 anni è del 12%, con quote che vanno dall'8% in America Centrale al 17% in Nord
America.)

Il caso dell’Oceania
(l'Oceania è il continente più
piccolo del mondo e comprende
paesi e territori con un'ampia
gamma di livelli di fertilità e tassi
di crescita della popolazione;
comprende solo tre paesi con
una popolazione di un milione o
più: Australia, Papua Nuova
Guinea e Nuova Zelanda; si
prevede che la popolazione
dell'Oceania aumenterà del
52% entro il 2050, passando dai
44 milioni del 2022 a 66 milioni;
l'Australia, che rappresenta il
59% dell'attuale popolazione della regione, è l’area nella quale si preveda registri la fonte della
maggior percentuale di crescita prevista (65%); il tasso di fertilità totale dell'Oceania è 2,1, anche
se varia notevolmente tra paesi e territori, da 1,7 in Australia e Polinesia francese e 1,6 in Nuova
Zelanda a 4,7 a Samoa e 4,0 nelle Isole Salomone; la regione ospita alcune delle aree più giovani
del mondo e alcune delle più antiche; a Samoa, Isole Salomon, Nauru e Vanuatu, quasi il 40%
delle persone ha meno di 15 anni; in Australia e Nuova Zelanda, il 19% della popolazione ha
rispettivamente meno di 15 anni e il 17% e il 16% di età pari o superiore a 65 anni.)

24/03/23

Seminario 4
Le aree rurali, da zone svantaggiate a destinazioni
turistiche intelligenti e sostenibili
La marginalità viene spesso utilizzata per racchiudere tante condizioni geografiche, come le aree
rurali che sono oggetti di riscoperta e rivalutazione: sempre più spesso le aree rurali vengono
percepite come destinazioni sostenibili.

A chi e perché interessano le aree rurali?


Questi territori sono interessanti per questioni lavorative, di vita, di studio perché sono ricchi di
opportunità e prospettive di sviluppo.
Sempre più corsi di studi sono incentrati su queste tematiche: pianificazione territoriale,
urbanistica, rapporti sociali.
È un ambito territoriale che si presta ad esser analizzato da antropologia, sociologia, urbanistica e
geografia.

Contrapposizione tra aree rurali e aree urbane


La smart city è una città intelligente, sostenibile, inclusiva, iperconnessa, dove nell’immaginario
collettivo tutto funziona alla perfezione.
Da una parte abbiamo queste realtà (ad esempio, Barcellona, Berlino, Parigi…), dall’altra si
trovano invece il mondo delle campagne e i paesaggi rurali dei borghi.
Movimento della popolazione che è
avvenuta nei comuni italiani dal 1951 al
2019; i comuni rossi sono in fase di
spopolamento, i comuni arancioni
presentano un’inversione geografica verso
lo spopolamento (comuni in abbandono).
Sta crescendo tutto ciò che è verde,
perché la popolazione tende a fuggire da
queste aree marginali andando alla ricerca
di lavoro, sviluppo lungo le aree costiere,
dove si concentrano i principali centri
urbani e nelle città.
La Sardegna rappresenta un esempio
lampante di come il processo di
spopolamento delle aree marginali sia un
processo in corso e irreversibile.
Uno studio condotto da demografici
dell’università di Cagliari ha dimostrato
che da qui al 2080 31 comuni
scompariranno dalla superficie dell’isola
perché la popolazione che risiede in questi comuni è anziana e non c’è un ricambio generazionale.

I comuni evidenziati in giallo sono i comuni


che sono cresciuti mentre i comuni in bianco
sono i comuni che si sono spopolati che
hanno provocato l’effetto ciambella.
Lo spopolamento è un problema che
interessa non solo l’Italia ma anche
Portogallo, Spagna (si stanno cercando di
attuare strategie per fermare calo
demografico), Francia, Germania, Balcani...

I rischi dell’abbandono territoriale


 perdita di capitale identitario a causa dell’azione dell’uomo che porta ad un processo di
territorializzazione tra cui la simbolizzazione
 dispersione di saperi e know-how (il nostro paese è conosciuto principalmente per il made in
Italy)
 rarefazione dei servizi -> i servizi come banche e poste, che per logiche economiche vengono
chiusi perché non c’è convenienza a tenerli aperti
 inquinamento e incendi -> un territorio che non viene presidiato diventa meta di discariche
abusive
 azione speculatrice dell’uomo che cerca di convertire le aree in altri modi.

L’OCSE ha analizzato il circolo del


declino globale; la logica del risparmio,
non ha più senso di tenere servizi.

Se da una parte esistono borghi in abbandono, anche la città offre delle condizioni disagevoli:
 povertà
 inquinamento, dovuto al maggiore traffico, alla maggiore concentrazione di persone che
richiedono servizi che attivano produzione di CO2…
 segregazione sociale
 disuguaglianze
 criminalità
 pressioni ambientali a cui bisogna trovare soluzioni per rendere città più sostenibili, green.

Anche le aree rurali possono essere smart


Non esiste solo la smart city, ma molto spesso si parla di smart territory, smart destination,
smart village, smart rural places…
Essere smart significa rispondere a tutte quelle condizioni che gli studiosi avevano teorizzato e
che sono i pilastri su cui si fonda lo smart government: smart environment (dimensione
ambientale rispettata), smart living (dal punto di vista dell’urbanistica serve rispondere a
determinati parametri), smart people (valorizzazione competenze, conoscenze localizzate sui
territori), smart economy (attività economiche innovative che si differenziano dalle tecniche del
passato grazie a innovazionI).

A chi e perché interessano le aree rurali?


Interessano a tutti noi soprattutto per aspetti di carattere territoriale e per opportunità economiche
e occupazionali.

Aspetti di carattere territoriale


Sono rappresentati da elementi che presi singolarmente o nella loro globalità concorrono a definire
caratteristiche di un territorio, in relazione ad altri sistemi territoriali.
Un sistema territoriale è un insieme di soggetti e oggetti che sono localizzati in una data
porzione della superficie terreste ben delimitata da confini e che tra loro hanno relazioni
continue; dall’insieme di queste relazioni nasce il territorio.
Ogni sistema territoriale ha bisogno dik continui scambi con l’esterno di energia e materia perché è
dinamico e in evoluzione.

Superficie ed estensione
L’EUROSAT presenta una rappresentazione relativa alla superficie del 2019 e suddivide il territorio
dell’Unione Europea (27 stati) in tre categorie:
1. aree rurali
2. aree intermedie
3. aree urbane
La superficie dell’Unione Europea è di circa 4 milioni di km2, le aree rurali ricoprono circa il 92%
del territorio.

Come si distribuisce la popolazione


La popolazione UE al 2020 si aggirava attorno ai 450milioni: 29% nelle aree intermedie, 21% nelle
aree rurali, 40% nelle aree urbane.

Condizioni socioeconomiche
Nelle aree rurali è più elevato il rischio di povertà e di esclusione sociale.
Gender employement gap (differenza occupati maschili e femminili) -> nelle aree rurali è
maggiore
Il reddito procapite è inferiore nelle aree rurali, seguito dalle aree intermedi mentre è superiore
nelle aree urbane.
Digital skill (percentuale competenze digitali di base conosciute dalla popolazione) -> aree rurali
48% e aree urbane 62%.

Opportunità economiche e occupazionali


Le aree rurali non hanno un destino segnato, ci sono diverse opportunità che possono emergere.
1. zone rurali connesse -> innovazione digitale, capacità di utilizzare strumenti digitali,
2. zone rurali resilienti che favoriscono il benessere -> diventano più forti e osarono
maggiore opportunità se sanno rispondere a una richiesta di benessere
3. zone rurali prospere -> zone che danno soddisfazione dal punto di vista del guadagno
4. zone rurali più forti -> condizioni che bloccano ciclo di sottosviluppo culturale

Cosa sono le aree rurali?


«Le nozioni di spazio o di mondo rurale vanno ben oltre una semplice delimitazione geografica e si
riferiscono a tutto un tessuto economico e sociale comprendente un insieme di attività alquanto
diverse: agricoltura, artigianato, piccole e medie industrie, commercio, servizi.
Oltre alla sua funzione di quadro di vita e di attività economica, lo spazio rurale assolve funzioni
vitali per tutta la società.
Zona intermedia di rigenerazione, lo spazio rurale è indispensabile all’equilibrio ecologico e tende
sempre più a diventare un luogo privilegiato di riposo e di svago»
Le parti agricole e non agricole di uno spazio rurale formano un’identità distinta da uno spazio
urbano, il quale è caratterizzato da una forte densità demografica.
Rurale è tutto ciò che non è urbano

Le aree rurali hanno diverse funzioni:


1. funzione economica
2. funzione ecologica da cui provengono alimenti, coltivazioni, produzioni tradizionali,
artigianato
3. funzione socioculturale che si porta avanti un tessuto di conoscenze e tradizioni che
potrebbe diventare elemento di vantaggio se valorizzato

Punti di forza: risorse ambientali e culturali, paesaggi (l’uomo volte interviene a modificare il
paesaggio e lo rende unico), biodiversità, filiere agroalimentari, relazioni umane, qualità della vita

Punti di debolezza: spopolamento, struttura demografica debole, povertà, carenza di servizi,


problemi di accessibilità, esposizione a rischi
La metodologia messa appunto dal piano nazionale rurale, promuove lo sviluppo rurale di 4 aree:
polo urbano, aree rurali con problemi di sviluppo, aree rurali intermedie, aree rurali con agricoltura
intensiva specializzata.
È importante delimitare questi territori ai fini dell’attribuzione delle risorse economiche: esiste una
politica adottata dall’Unione Europea che è la politica agricola comune: PAC e che garantisce lo
sviluppo in questi territori.
Con il concetto di sostenibilità ha cominciato a diffondersi il concetto di sviluppo:
 sostenibile
 endogeno
 partecipativo
 integrato
 migliore qualità vita
La PAC è nata nel 1962 e poi si è evoluta nel tempo attraverso una serie di riforme che si sono
affiancate alla nascita dell’Unione Europea passando attraverso diversi processi di allargamento.

Il metodo leader
È una strategia ideata nel 1992 che è partita come sperimentazione ed è diventata un qualcosa di
fisso: favorisce uno sviluppo locale sostenibile in alcuni territori governati da gruppi di azione locale
che prendono il nome di GAL.

La distribuzione delle risorse


Al GAL vengono assegnate delle risorse che derivano dalla PAC; fino a qualche anno fa i
pagamenti diretti li facevano i GAL; dal periodo di programmazione 2007-2016 si è deciso di creare
un organismo intermedio.
La suddivisione è stata fatta secondo delle divisioni sub-storiche della regione: c’erano 59 regioni
storiche che sono state accorpate e ne sono venute fuori 35.
I GAL sono accorpamenti di più regioni storiche, che ai fini della strategia si sono unite; un altro
aspetto che ha inciso sulla formazione dei GAL è stato il sentirsi appartenenti a un’area piuttosto
che a un’altra.

Il turismo rurale
Il turismo nelle aree rurali può generare diversi benefici: economici (filiere e diversificazioni),
empowerment delle comunità locali e luoghi ideali per forme di turismo outdoor
Il turismo nelle aree rurali è principalmente community based, mette l’accento sul concetto di
partecipazione delle comunità rurali allo sviluppo:
 rural heritage (patrimonio culturale)
 rural activities
 rural life (contatto con le comunità locali)
 countryside

Le tendenze di mercato
1. sopravvivenza in paradiso -> esperienza a contatto con la natura, paesaggi incontaminati o
percepiti tali. Il paesaggio viene modellato dall’uomo
2. piacere fuori dalla comfort zone -> scoprire realtà che sono escluse dai grandi circuiti, dove si
ha la possibilità di svolgere attività come pellegrinaggi, percorrere itinerari all’insegna del
contatto con la natura
3. i viaggiatori vogliono sperimentare esperienze e connessioni umane profonde e coinvolgenti
4. il viaggio è un elemento essenziale della quotidianità
5. pellegrinaggi all’insegna della serenità e del piacere4
6. dalla routine quotidiana alla fuga di gruppo
7. risparmiare per spendere

Staycation
Forma di turismo di prossimità, spesso compiuta in destinazioni rurali localizzate a breve distanza
dalla propria residenza abituale, che consente di coniugare la dimensione ricreativa con quella
lavorativa, laddove quest’ultima può essere svolta da remoto grazie alle moderne tecnologie
digitali.

Winecation
Viaggi fatti in aree a vocazione vitivinicola che hanno imperniato le proprie strategie di sviluppo
sulla possibilità offerta ai turisti di apprezzarne il territorio, l’atmosfera produttiva e la peculiarità
paesaggistica.

Gli itinerari
Sono capaci di promuovere il benessere economico e sociale di determinate aree geografiche,
favoriscono la riscoperta e la rivalutazione delle produzioni tipiche locali, il recupero di strutture e di
vie di comunicazione dismesse, il coinvolgimento delle piccole comunità nei processi di
valorizzazione turistica, permettendo nuove chiavi di lettura del paesaggio e innovative pratiche di
sostenibilità ambientale.

Il turismo dei borghi


Borghi che sono oggetto di rivalutazione e riscoperta anche grazie all’attività di associazioni che si
sono adoperati per promuoverli.
Nelle aree rurali ci sono tantissime occasioni di sviluppo per stimolare nuova economia e
conoscenza, queste occasioni sono date dalla PAC che fornisce le risorse e da interventi
importanti come quello del PNRR che dedica ai borghi attenzioni:
 linea A= 21 progetti pilota per la rigenerazione dei borghi a rischio, 21 territori straordinari
tornano a vivere, 20 milioni di euro per ogni progetto
 linea B= progetti locali per la rigenerazione culturale e sociale si candidature

Smart villages
Inizia come sperimentazione e se darà i suoi frutti diventerà strutturale.
Con la nuova programmazione gli smart villages entrano a far parte della PAC, che facendo leva
sulle competenze digitali riescono a produrre nuova attrattività.

Cinque fattori di spinta dei borghi intelligenti


1. azioni in risposta allo spopolamento e al cambiamento demografico
2. soluzioni locali ai tagli dei finanziamenti pubblici e all’accentramento
3. sfruttamento dei collegamenti con piccole e grandi città
4. massimizzazione del ruolo delle aree rurali nella transizione verso un’economia circolare a
basse emissioni di carbonio
5. promozione della trasformazione digitale delle zone rurali
Prospettive future per le aree rurali
 nuova PAC 2023-2027
 programmazione europea 2021-1027
 PNRR= azioni che generano sviluppo sui terrori rurali
 new green deal
 from farm to fork (tracciabilità delle filiere agroalimentari)

27/03/23

La speranza di vita
È il numero di anni che mediamente un neonato vivrà.
Varia da luogo a luogo, ma anche nel corso del tempo.
Trattandosi di un dato medio è naturale che ciascun individuo viva di più o di meno a seconda
della situazione socioeconomica, sanitaria e politica del proprio paese.
La nostra speranza di vita si alza anche in base a come ci prendiamo cura di noi stessi.
La speranza di vita è uno degli indici molto importanti anche per definire tutto il discorso relativo
all’età pensionabile; in questo momento, ad esempio, la Francia (l’età pensionabile attualmente è
di 62 anni, ma nel 2030 si spera di arrivare, almeno, fino a 64 anni).
La Francia è uno di quei paesi europei con l’età pensionabile più basso.
In Italia, l’età pensionabile è di 67 anni.
Quindi una società che invecchia, e invecchia “bene”, dovrà subire dei cambiamenti.
In università, oggi è 70 anni l’età pensionabile.

Come si è evoluta la speranza di vita


A partire dalla fine del XIX secolo la speranza di vita ha iniziato ad aumentare notevolmente grazie
a:
 una alimentazione più equilibrata
 una maggiore igiene personale
 scoperte in campo sanitario
È passato dai
 20/30 anni al tempo dell’antica Roma e fino a tutto il medioevo
 40/50 anni delle epoche successive
 oltre 71 anni odierni

È un dato medio, pertanto nasconde uno spettro vastissimo di situazioni; da Stato a Stato la
speranza di vita varia notevolmente passando ad esempio nel 2022 dal valore massimo del
Principato di Monaco, pari a 89,52 anni, a quello minimo del Mozambico pari invece a 53,2 anni
L’Italia rientrava nel 2019, con una speranza di vita media pari a 82,4, tra i quindici più longevi…
nel 2022 il dato è pari a 82,56 ed il paese è scalato al 20° posto.
Le differenze in termini di vita media dipendono da molteplici aspetti quali, tra gli altri:
 condizioni socioeconomiche (PIL pro capite, livello di istruzione, etc.)
 sanitarie (incidenza delle mortalità, delle epidemie, possibilità di accesso alle cure, etc.)
 politiche (presenza di guerre, conflitti, etc.)

Nel 2020 in Italia si è ridotta la speranza di vita alla nascita


 in Italia la speranza di vita alla nascita nel 2020 si è ridotta di 1,2 anni a causa della pandemia.
Attestandosi a 82 anni (79,7 anni per gli uomini e 84,4 per le donne).
 fino al 2019 questo indicatore era stato sempre in crescita.
 a livello provinciale i territori maggiormente colpiti dal Covid-19 sono stati quelli di Bergamo,
Cremona e Lodi hanno registrato un calo per gli uomini di 4,3 e 4,5 anni.
 per le donne residenti a Bergamo la speranza di vita si è ridotta di 3,2 anni, a Cremona e Lodi
di 2,8.
 la letalità del Covid è inferiore nel sesso femminile.

Eccesso di mortalità da Covid, concentrazione regionale


 a livello nazionale l’eccesso di mortalità rappresenta il 13% della mortalità riscontrata
nell’anno, ma la situazione è molto varia sul piano territoriale.
 nel Nord rappresenta il 19%, nel Centro l’8% e nel Mezzo il 7% del totale.
 a livello regionale i valori variano dal 4% di Calabria e Basilicata al 25% (un decesso su
quattro) della Lombardia.
 in Lombardia, peraltro, emergono le aree più colpite. Nella provincia di Bergamo l’eccesso di
mortalità costituisce il 36% del totale, in quella di Cremona il 35%, in quella di Lodi il 34%.
Delle 99mila unità stimate come eccesso di mortalità 53mila sono uomini e 46mila donne, a riprova
che la pandemia ha prevalentemente colpito il genere maschile.
Si registra invece un eccesso di mortalità nelle età più fragili, che per gli uomini interessa
soprattutto le classi 80-84 anni e 85-89 anni (circa 22mila decessi in più) mentre per le donne, in
ragione di una presenza più numerosa, l’eccesso prevale nella classe 90-94 anni (oltre 15mila
decessi in più).

La speranza di vita e la differenza di genere


 le donne vivono mediamente più a lungo rispetto agli uomini.
 nei 15 paesi più longevi tale differenza è piuttosto accentuata, con valori che oscillano tra
poco più di 5 anni a quasi 8 anni; ad esempio, i Italia tale dato è pari a 5,4 anni.
 nei 15 paesi meno longevi si registrano variazioni assai più contenute: in quasi tutti i casi
oscilla tra i 2 o 3 anni, eccetto in Somalia ove supera i 4 anni.
 a che cosa è dovuta la differenza di longevità tra i sessi?
Molti studiosi sono concordi nell’affermare che, per lo meno nei paesi sviluppati, tale differenza
dipenda da motivazioni di tipo sanitario e più precisamente dalla maggiore incidenza delle
malattie di tipo cardiovascolare tra la popolazione maschile.

(speranza di vita, mappa mondiale)

Altre conseguenze dell’aumento della speranza di vita


L’innalzamento della speranza di vita ha indotto anche un aumento degli anni di fertilità, ovvero
il lasso di tempo in cui i genitori hanno la possibilità di mettere al mondo dei figli.
Nelle epoche in cui la vita media a stento arrivava 20 anni, la possibilità di riprodursi era
piuttosto circoscritta nel tempo e difficilmente le donne riuscivano ad avere più di due figli.
Con il dilatarsi dell’età fertile le coppie hanno iniziato ad avere più figli, in alcuni casi addirittura più
di dieci. Si tratta inoltre di bambini con migliori prospettive di vita grazie alla diminuzione della
mortalità infantile.
Il mondo si muove pertanto a velocità diverse; in alcune aree (ad esempio in Europa) già all’inizio
dell’Ottocento la popolazione era in fase di stabilizzazione.
L’innalzamento del livello di istruzione e il ruolo della donna e dei figli nel contesto familiare e
sociale, nonché il modello di sviluppo economico influenzarono notevolmente il tasso di natalità.
Le esigenze di una società agricola, sono profondamente diverse rispetto a quelle di una società
di tipo industriale o terziaria. Se in una realtà imperniata sullo sviluppo agricolo i figli sono forza
lavoro indispensabile per mantenere le famiglie, in quella industriale o terziaria sono invece
considerati un costo in quanto devono essere mantenuti ed educati.

Dinamiche demografiche, emancipazione femminile e invecchiamento


L’emancipazione femminile può essere un fattore determinante per comprendere le dinamiche
demografiche di un paese.
Nel XX secolo si è formata, per lo meno nel mondo sviluppato, una società nella quale uomini e
donne godono dello stesso diritto a svolgere una vita sociale e un lavoro soddisfacenti. Il modello
familiare classico entra in crisi, le donne non sono più destinate al matrimonio e alla
procreazione, ma acquisiscono un ruolo anche al di là delle mura domestiche.
Questo fenomeno unito a quello dell’invecchiamento della popolazione cambia notevolmente gli
equilibri; le famiglie da orizzontali diventano verticali sono pertanto costituite da un numero
assai ridotto di bambini (in prevalenza figli unici con pochissimi cugini) e un crescente numero di
anziani.
Si tratta di una realtà assai diffusa in Europa, in nord America e Giappone ove, sempre più spesso,
la percentuale di anziani (più di 65 anni) supera quella dei giovani (meno di 15 anni).
Si tratta del cosiddetto fenomeno del papy boom e baby crack (in opposizione al termine baby
boom, coniato negli anni Sessanta del secolo scorso per indicare l’esplosione demografica che
aveva caratterizzato quel periodo), ovvero di quella condizione che ha sovvertito il rapporto tra la
popolazione attiva e inattiva.

Popolazione attiva e inattiva


POPOLAZIONE ATTIVA  è costituita da tutti i lavoratori in attività, dai lavoratori
disoccupati, dai giovani in cerca di prima occupazione
POPOLAZIONE INATTIVA  è costituita dai minori di 15 anni, dai pensionati, dagli studenti
in età lavorativa, dalle casalinghe e da quanti altri non hanno, per varie ragioni, volontà di
offrire il proprio lavoro

Popolazione italiana 2020


 con meno di 15 anni è pari al 14,2%
 con più di 65 al 21,2%
 ultrasettantacinquenni all’8,7%

Popolazione tedesca 2020


 con meno di 15 anni è pari al 15%
 con più di 65 al 20,7%
 ultrasettantacinquenni al 7,6%
Nel 2080, secondo quanto previsto da Eurostat, la popolazione con oltre 65 anni nell’Unione
Europea dovrebbe rappresentare mediamente il 28,7% di quella totale, contro il 18,2% odierno.

Indice di Sviluppo Umano – ISU


L’indice di Sviluppo Umano – ISU (o Human Development Index – HDI) è un indice composito
che raccoglie tre altri indicatori:
 il Prodotto Interno Lordo – PIL, ovvero la possibilità di condurre una vita accettabile.
 la Speranza di vita alla nascita, ovvero la possibilità di condurre una vita lunga e sana.
 l’Istruzione, misurata attraverso un’interazione tra il tasso di alfabetizzazione e quello di
scolarizzazione primaria.
La sua composizione ricalca la citata tendenza a scollegare lo sviluppo della mera crescita
economica: il peso dell’economia nel calcolo di questo indicatore è infatti un terzo del totale,
mentre gli aspetti sociali pesano per i due terzi.

Mappa ISU su dati 2020


Punti di debolezza
 l’Indice di Sviluppo Umano si è nel tempo imposto come uno degli strumenti più utilizzati a
livello internazionale per misurare il benessere sociale ed economico dei paesi del mondo.
Tuttavia, non mancano le critiche all’indice.
 la prima viene addirittura dallo Undp stesso, e riguarda la qualità dei dati statistici alla base
della costruzione dell’indice.
I dati statistici utilizzati non sono rilevati direttamente dallo Undp ma sono dati secondari,
presi cioè dai Rapporti di altre agenzie Onu o direttamente dai governi.
 la maggior parte dei paesi si dedica soprattutto alla pubblicazione di statistiche sulla crescita
economica trascurando altri tipi di dati.
Per questi paesi mancano quindi i dati di base relativi a indicatori fondamentali, come
istruzione, genere, salute.
Inoltre nella maggioranza dei casi i dati disponibili sono solo parziali, finendo così per
mascherare, in modo anche intenzionale, gravi disparità distributive che possono presentarsi in
diversi paesi.
 altro problema è che spesso intercorre un grande lasso di tempo tra il momento in cui i dati
sono rilevati e quello in cui sono comunicati alle organizzazioni internazionali.
L’Indice di Sviluppo Umano è quindi sovente costruito con dati non aggiornati, fornendo un
quadro non attuale della situazione dello sviluppo umano.
 un paese con una popolazione analfabeta, un PIL alto e un’elevata speranza di vita avrebbe un
Indice di Sviluppo Umano molto simile a quello di un paese con un PIL basso ma con una
popolazione totalmente istruita e longeva.
Per ponderare questa problematica bisognerebbe assegnare pesi diversi alle tre
componenti.
Nella costruzione dell’Indice di Sviluppo Umano vengono omessi fattori di sviluppo umano
molto importanti:
 la presenza di elezioni libere
 una stampa indipendente
 un sistema politico multipartitico, garanzie di libertà di espressione
 un sistema di indicatori relativi alla sostenibilità ambientale, allo sviluppo tecnologico, alla
cultura.

Indicatori relativi alla composizione della popolazione


 l’età e il sesso sono gli indicatori chiave della composizione della popolazione
 sapere quanti sono e dove si distribuiscono gli abitanti della Terra è certamente un dato
necessario ma non sufficiente per delineare le caratteristiche demografiche di un certo
territorio.
 Se un paese molto popoloso è abitato da un numero elevato di giovani avrà problemi
piuttosto diversi rispetto a quelli di un paese con una componente maggioritaria di abitanti
anziani.
 per visualizzare il fenomeno della distribuzione della popolazione per sesso e fasce di età
gli studiosi utilizzano un efficace strumento statistico: l3 piramidi della popolazione (è
dell’età, o demografiche).

La rappresentazione della popolazione italiana per sesso e fasce d’età del 1861 ha effettivamente
la forma di una piramide, quella del 2011 ha invece una forma diversa, assai simile a quella di
una botte in quanto il numero dei bambini è diminuito, quello degli adulti è aumentato.
Tale forma è la rappresentazione grafica dalla quale si può dedurre la riduzione del tasso di
natalità e l’allungamento della vita media.

31/03/23

La toponomastica
1. è lo studio fondamentale linguistico dei toponimi o nomi di luogo, sotto l’aspetto
dell’origine, della formazione, della distribuzione, del significato.
2. è il complesso dei toponimi di una lingua, di un dialetto, o di un’area geografica
fisicamente o amministrativamente delimitata (della Sicilia, dell’Alto Adige…).
L’influenza della lingua sul rapporto tra uomo e territorio è evidenziata dai toponimi, nomi di
luogo che testimoniano la presenza di determinate popolazioni insediate in un territorio.
L’attribuzione di un nome a una parte della superficie terrestre è l’espressione di una cultura e
insieme un prodotto sociale, che identificando i singoli luoghi permette alla collettività di
individuarli e di costruire una geografia simbolica del proprio territorio.
La scelta dei toponimi esprime in modo chiaro il senso di appartenenza di un gruppo nei suoi
confronti.
Le società legano al suolo il proprio linguaggio attraverso i toponimi, rappresentano la propria
identità e descrivono l’ambiente che li circonda, manifestando una stretta relazione tra i luoghi
e chi li vive.
I toponimi tendono a sopravvivere, seppure modificati, alle lingue che li hanno originati: negli
USA, ad esempio, molti toponimi sono di origine francese, sebbene tale lingua sia pressoché
scomparsa in tale Stato, mentre in Italia sopravvivono toponimi delle lingue soppiantate dal latino.
I toponimi possono cambiare in seguito a trasformazioni politiche.
In Africa ad esempio, in seguito alla decolonizzazione e all’indipendenza molti stati cambiarono il
loro nome.
È il caso della Rhodesia, che prendeva il nome dal politico britannico Cecil Rhodes; ottenuta
l’indipendenza, lo Stato mutò il suo nome dando origine alla Zambia e allo Zimbabwe.

Come possiamo far parlare le mappe?


Linguaggio -> semplicemente nominare o localizzare un elemento su una mappa ha un significato
politico
Iconologia -> è la scelta dei simboli che possono essere associati ad una particolare area,
caratteristica geografica, città o luogo che rappresenta […] è spesso a questo livello simbolico che
il potere politico viene riprodotto, comunicato e vissuto nel modo più efficace attraverso le mappe.
Sociologia della conoscenza -> la ricerca della verità non è un’attività oggettiva e neutra ma era
intimamente correlata alla “sete di potere” di chi produce o commissiona una determinata carta.
L’imperialismo come atto di
“violenza geografica”
attraverso il quale ogni
spazio del globo è
esplorato, mappato e infine
tenuto sotto controllo, il
processo di cartografazione
e attribuzione di nuovi
toponimi, familiari ai coloni
europei, è in questo senso
funzionale
all’appropriazione dei nuovi
territori e all’usurpazione
delle terre da parte degli
Europei)

Con la conquista del continente americano, gli Europei hanno attribuito nuovi toponimi a luoghi che
ne avevano già di propri.
È il caso ad esempio dei Grandi Laghi, di cui il progetto “decolonising cartography” ci propone i
toponimi originari dati dalla popolazione degli Anishinaabe.
Le isole Falkland (nome inglese) / Malvinas (nome spagnolo), un arcipelago dell’Atlantico
Meridionale, sono territori d’oltremare del Regno Unito, che se ne dichiara sovrano dal 1833.
Le isole tuttavia sono rivendicate dall’Argentina, che le considera tutt’ora parte integrante del
proprio territorio nazionale.
Sono state oggetto di un conflitto tra Argentina e Regno Unito nel 1982.

(emergono
studi sulla
riscoperta dei
toponimi celtici
per esempio
delle zone più
occidentali del
Regno Unito
che sono stati
sostituiti dai
toponimi
anglosassoni)

Cambiare il toponimo di un luogo significa assumere il potere di cancellare il passato e generare il


nuovo.
Per esempio un secolo fa gli abitanti di una piccola città del Galles temevano di perdere il gallese e
disprezzavano il ruolo che l’inglese aveva svolto nel ridurre l’uso della loro lingua.
A metà dell’Ottocento, anche per attrarre il turismo, decisero di rinominarla con un nome gallese
impronunciabile per i non gallesi.
Questo nome descrive accuratamente la città nel Galles settentrionale “la chiesa di St. Mary nella
conca del nocciolo bianco vicino al rapido mulinello accanto alla Chiesa di St. Silio con una
grotta rossa”.

Groenlandia: davvero una terra verde?


È opinione comune che il nome Groenlandia (Groenland in antico norreno) derivi dal paesaggio
dell’Isola che un tempo sarebbe stata verde.
Secondo una tesi condivisa (ma non del tutto verificata) tratta in realtà di un toponimo creato ad
hoc dall’esploratore Erik il Rosso per incoraggiare la colonizzazione dell’isola da parte degli
abitanti della Scandinavia.

(minoranze linguistiche; estremo nord Est


Italia, alto Piemonte, presenza di popolazioni
germaniche; a ovest presenza di franco-
provenzale)

(Impero Austro-ungarico -> multietnico,


comprendeva almeno una decina di stati;
non parlavano una lingua di stato condivisa;
anche il Trentino ne faceva parte, così
come l’Alto Adige che faceva parte del
Tirolo)

Teoria dei confini naturali


Secondo una teoria sette-ottocentesca nata in Francia la natura forniva agli stati nazionali elementi
fisici (montagne, fiumi, laghi) utili per definire i confini politici.
Secondo questa teoria il sud Tirolo geograficamente faceva parte dell’Italia, essendo il fiume Adige
parte del bacino padano-veneto.
I confini in base agli spartiacque vengono adottati in modo sistematico dall’Impero Francese di
Napoleone nell’Ottocento.
È in questa occasione che viene inventato il termine “Alto Adige”.

Ettore Tolomei è un geografo, irredentista e senatore del Regno d’Italia.


Riteneva che l’Italia dovesse “assimilare l’Alto Adige”, per questo realizzò il “Prontuario dei nomi
locali dell’Alto Adige”, un vero e proprio manuale contenente i criteri per tradurre i toponimi di
lingua tedesca (e ladina) in italiano.
Dopo il fascismo, a differenza della Valle d’Aosta dove vengono ripristinati i toponimi francofoni,
fino al 1961 non vengono riammessi i toponimi tedeschi.
Tutt’ora questi sono soltanto affiancati a quelli italiani, nonostante questi ultimi siano quasi
inutilizzati.
Nel 1997 la Provincia Autonoma di Bolzano incarica l’Istituto di Germanistica dell’Università di
Innsbruck di svolgere un progetto di ricerca mirato a censire il patrimonio toponomastico del Sud
Tirolo.
La ricerca viene conclusa nel 2003 grazie al lavoro di 40 ricercatori, vengono censiti e
successivamente mappati in un GIS oltre 180.000 toponimi.
Fino al 1910 gli italiani in Sudtirolo erano il 3% dopo l’annessione sancita del Trattato di Saint
Germain (2019), durante le campagne di italianizzazione fasciste salirono fino al 34%.
Oggi (ultimo censimento ISTAT, 2011) sono il 26% concentrati quasi tutti a Bolzano e dintorni.
Dopo una breve parentesi tedesca (occupazione nazista) fra il 1943 e il 1945, il Sudtirolo ritorna
sotto il controllo italiano, nonostante la proposta austriaca nel 1946 di promuovere un plebiscito per
l’annessione.
Fra gli anni ’50 e ’60 nacque un gruppo terroristico (BAS: Comitato per la liberazione del Sudtirolo)
divenuto negli anni Ottanta “Ein Tirol” (Un Tirolo), una vera e propria organizzazione terroristica
che nella notte dell’11 giugno 1961 compì ben 50 attentati a tralicci dell’energia.
1972: pacchetto autonomia (istituzione Provincia autonoma di Bolzano)
1993: cooperazione transfrontaliera (Euroregione Tirolo-Trentino)
1998: Trattato di Shengen (libera circolazione/eliminazione della frontiera del Brennero)
2002: entrata in vigore Euro (moneta unica)
(resistenza di Leningrado, in russo “città di
Lenin” durante l’assedio nazista della città
nella Seconda Guerra Mondiale; dopo il crollo
dell’Unione Sovietica nel 1991 i cittadini
hanno scelto di tornare al vecchio nome di
San Pietroburgo, con un importante gesto
simbolico che ha voluto rimuovere il nome di
Lenin, fondatore della dittatura sovietica, per
ritornare a celebrare quello dello zar Pietro il
Grande, che contribuì alla modernizzazione
della Russia)

Toponomastica e turismo
La creazione di toponimi ex novo è associata ad una fase di sviluppo del turismo soprattutto negli
anni del boom economico, tra gli esempi: Costa Azzurra, Costa del Sol, Lignano Sabbiadoro,
Riviera delle Palme, Riviera dei Fiori, English Riviera, Costa Smeralda.

Toponomastica ligure
In seguito alla fine della guerra, Via Carlo Felice a Genova divenne Via 25 Aprile (il nuovo nome
celebra la data in cui Genova si liberò dai nazifascisti).
Secondo il geografo Pietro Barozzi possiamo distinguere i toponimi secondo questo schema:
 Clima e posizione (Vallecalda, Apricale)
 Natura e aspetto del territorio (Ciappa, Crosa, Libiola, Moglia)
 Oronimi (Costa, Carmo, Alpe, Penna, Bricco, Poggio)
 Idronimi (Valle, Fosso, Fontanafredda, Acquafredda, Canale, Acquaviva, Acquamorta)
 Fitonimi (Carpeneto, Castagnabuona, Frassineto, Croce dei Fo’, Gorra, Mortola, Brughea)
 Zoonimi (Tana d’Orso, Porcile, Caprile, Lorsica, Costalovaia, Fossalupara)
 Attività umane (Fascia, Fasce, Ronco, Prato, vigne, Orti, Scabbie)
 Toponimi storici (Vittoria, Guardia, Crocefieschi)
 Toponimi derivanti dall’artigianato e dalla paleoindustria (Mulinetti, Carbonara,
Giassea, Ferriere, Calcinara, Mola)

Toponomastica storica genovese


Il nome "Lagaccio" deriva dall'antica presenza di uno sbarramento artificiale prodotto nel XVI
secolo a monte della Villa del Principe Doria per alimentare le fontane del giardino.
Il nome è stato attribuito dagli abitanti a causa della natura torbida e limacciosa delle acque.
Lo sbarramento è stato smantellato nei primi anni '70 del secolo scorso.

03/04/23
Le piramidi della popolazione
Si tratta di un istogramma a canne d’organo giustapposte nel quale sull’asse delle ascisse è
rappresentata la popolazione (solitamente in %), divisa tra maschi (lato sinistro) e femmine (lato
destro), e su quello delle ordinate sono rappresentate le fasce di età, solitamente di cinque anni.
Al variare della distribuzione della popolazione tra le fasce di età varia anche la forma del grafico.
Quando la piramide fu inventata tutte le popolazioni erano composte in prevalenza da bambini e
da giovani e da pochissimi anziani e proprio per tali caratteristiche aveva una base molto
allargata e un vertice decisamente sottile.

Il caso italiano
La rappresentazione della popolazione italiana per sesso e fasce d’età del 1861 ha effettivamente
la forma di una piramide, quella del 2011 ha invece una forma diversa, assai simile a quella di
una botte in quanto il numero dei bambini è diminuito, quello degli adulti è aumentato.
Tale forma è la rappresentazione grafica dalla quale si può dedurre la riduzione del tasso di
natalità e l’allungamento della vita media.

La forma delle “piramidi”


La piramide dell’età acquisisce una forma piramidale o a botte, a seconda delle caratteristiche
demografiche di una popolazione.
Quando la popolazione più consistente è quella delle fasce d’età più elevate (ovvero, gli anziani e
gli adulti superano abbondantemente i bambini e i giovani) assomiglia addirittura a un imbuto
 piramidale: paesi sottosviluppati e in via di sviluppo
 botte: paesi sviluppati
 imbuto: paesi sviluppati nelle proiezioni future
Le piramidi della popolazione sono modelli che possono rappresentare la situazione di una
popolazione nel passato, fotografare quella del presente e prevederne i comportamenti futuri a
parità di condizioni.
Il caso del Giappone
Dalla rappresentazione della popolazione per sesso e per età del Giappone 2005 si può dedurre e
rappresentare l’andamento della popolazione nel 2050.
La piramide relativa al 2055 se ne deduce una piramide con una forma a imbuto o piramide
rovesciata in quanto nel 2005 vi erano più adulti che bambini situazione che fa suppore un
progressivo calo della fertilità e un conseguente e progressivo invecchiamento della popolazione.
Se però le condizioni di partenza negli anni cambiassero, ad esempio con l’implementazione di
politiche atte a stimolare la natalità mediante l’erogazione di premi, probabilmente i risultati di tali
politiche si leggerebbero anche nel grafico la cui forma sarebbe molto meno regolare.

La distribuzione della popolazione


Ecumene
È quella parte della Terra dove l’uomo trova condizioni ambientali che gli consentono di
fissare permanentemente la sua dimora e di svolgere le sue attività.
Il concetto di ecumene risale all’antichità classica, quando alla porzione di terra abitata allora
conosciuta erano contrapposti oceani e regioni deserte.

Anecumene
Complesso delle terre emerse che per le loro condizioni di suolo, di clima e di posizione
sono inabitabili dall’uomo (buona parte delle regioni artiche, delle zone desertiche, delle fasce
più elevate delle montagne).

Sub-ecumene
Zona territoriale di transizione, intermedia tra l’ecumene e l’anecumene, nella quale l’uomo
trova condizioni più o meno sfavorevoli che consentono un’abitabilità non continua ma
saltuaria (vita nomade).

L’ecumene vero e proprio si estenderebbe sul 50% della superficie terrestre.


Il sub-ecumene comprende tutte quelle aree che in qualche misura sono raggiunte e abitate
dall’uomo.
Esso si estende su una superficie pari a circa il 40% della superficie terrestre.
Le aree anecumeniche ammonterebbero a circa il 10% e comprenderebbero solo calotta polare
artica, l’Antartide e i grandi deserti.
Secondo alcuni autori potrebbero invece aggirarsi introno al 18% delle terre emerse.

Popolamento e zone anecumeniche


L’uomo può vivere nelle regioni polari, nelle steppe semiaride dell’Africa o sopra i 4.000 m (Tibet,
Ande) grazie:
 all’adattamento fisiologico ai più diversi ambienti
 attraverso accorgimenti esterni (abbigliamento, alimentazione)
Le zone anecumeniche possono non essere completamente spopolate, ma il loro popolamento è
dovuto in larga misura all'esistenza di ricchezze minerarie, o alla pianificazione politica.
Nelle aree anecumeniche di solito sono completamente assenti grandi città…la popolazione è
nomade o seminomade.

Le aree principali aree geografiche di insediamento


La massima parte della popolazione mondiale, 80%, vive nella zona temperata, tra il 20° e il 60°
grado di latitudine nord.
Si tratta della fascia che dal punto di vista fisico presenta le migliori condizioni per l’insediamento
umano.
Tali condizioni si hanno soprattutto nella fascia compresa tra il 20° e il 40° parallelo nord, ove è
insediata circa la metà della popolazione mondiale.
Tutto l’emisfero Nord raggiunge quindi una popolazione pari la 90%.
All’emisfero Sud spetta pertanto solo il 10% della popolazione, che è in gran parte concentrato
nelle aree tropicali.

Perché l’emisfero nord è più popolato?


Il fatto che l’emisfero Nord contenga la maggior parte delle terre emerse non è sufficiente a
spiegare la situazione.
La differenza delle condizioni ambientali è la prima spiegazione del perché l’ecumene non è
popolato in modo uniforme.

I principali fattori che condizionano il popolamento


I fattori che condizionano la disomogenea distribuzione della popolazione sono diversi e tra loro
correlati:
a) fattori di tipo ambientale  clima, vicinanza al mare, altitudine (a seconda della latitudine
l’altitudine è un fattore di richiamo o di repulsione della popolazione) e qualità dei suoli
b) fattori di tipo culturale  accessibilità, indirizzi agroalimentari, scelte tecniche di
produzione, motivi storici …

Popolamento e marittimità
Le aree costiere sono di norma assai più popolate di quelle interne che a loro volta registrano
insediamenti più limitati.
Le zone anecumeniche occupano infatti grandi estensioni all’interno dei continenti.
Quasi il 70% della popolazione mondiale vive a meno di 500 km dal mare, che si ragioni sia in
termini di valori assoluti sia in termini di densità.
Le maggiori concentrazioni di popolazione sono entro una fascia che non supera i 20 km dalle
coste.
I litorali hanno sempre esercitato una forte attrazione, salvo che non vi siano state condizioni
eccezionali quali deserti costieri, presenza di parassiti, presenza di aree paludose, ecc.
L’accessibilità ha sicuramente giocato un ruolo di primaria importanza, soprattutto nei periodi delle
grandi conquiste e dei movimenti migratori.
La vicinanza alle coste è sicuramente strategica per diversi motivi: il ruolo geopolitico e le attività
legate al mare quali pesca e commercio.

Popolamento e altitudine
L’altitudine ha solitamente una relazione inversa rispetto al popolamento, esistono però delle
eccezioni, rappresentate da:
 Africa centrale e orientale: una numerosa popolazione è insediata nelle regioni interne
dei grandi laghi (dai 1.000 ai 2.000 m)
 altopiano etiopico (dai 1.000 ai 3.000 m)
 parte settentrionale della cordigliera andina
Nella fascia intertropicale l’altitudine può trasformarsi in un fattore favorevole, mentre lungo le
coste tropicali umidità ed elevate temperature possono essere un fatto negativo per
l’insediamento, nelle terre alte il clima è più secco e mite, quindi più favorevole all’insediamento.
Sono diversi i casi di città interne: La Paz (3.640), Quito (2.850), Città del Messico (2.300), Adis
Abeba (2.360), Nairobi (1.660).
Nelle terre alte pari al 15% delle terre emerse è insediato comunque il 7% della popolazione,
con una densità media di circa 20 abitanti per kmq.
L’insediamento in tali aree risulta piuttosto complicato, l’acqua scarseggia e talvolta gli uomini
possono avere problemi fisiologici proprio legati all’altitudine, ciò nonostante:
 alle falde delle catene montuose, nelle aree pedemontane, ad esempio in America sono
sorte anche città di una certa importanza come Atlanta
 anche ai piedi delle Alpi e dei Pirenei si trovano aree popolose
Sicuramente la presenza di giacimenti minerari o terre fertili come in Asia e in America latina
agevolano questo tipo di popolamento.

Dove si concentra la popolazione?


Regione cinese o Sud-est asiatico: Cina, soprattutto il settore sudorientale, ma anche Corea,
Vietnam e i tanti arcipelaghi: Malesia, Tailandia, Indonesia, Filippine e Giappone (contraddistinti da
zone rurali di alta densità e soprattutto con le loro città plurimilionarie).
Regione indiana o Asia centromeridionale: parte del Pakistan e buona parte dell’India,
soprattutto la zona del Golfo del Bengala includendo il delta del Gange e la maggior parte dei
paesi della zona come Sri Lanka, Bangladesh e Birmania, che registrano un’elevata popolazione
sia in aree rurali sia in aree urbane.
Europa occidentale: soprattutto la parte chiamata triangolo dello sviluppo europeo, ove
confluiscono e sboccano i grandi fiumi come la Senna, la Mosella, il Reno e la Ruhr. Olanda,
Belgio, Germania e Francia, ma anche pianure sedimentaria come quella Padana e specialmente
le coste in particolare quelle che si affacciano sul Mediterraneo e sul mare del Nord, e la
cosiddetta Old England, intorno a Londra e alle grandi e medie città inglesi.
Megalopoli nordamericane: definita da Gottman (1961), è una regione quasi esclusivamente
urbana che include le principali città della costa nordorientale degli Stati Uniti: Boston, New York,
Filadelfia, Baltimora e Washington (BosWash è un termine coniato da Herman Kahn e Anthony
Wiener nel 1967), spingendosi verso l’interno fino alla regione dei grandi laghi.

I poli secondari
Vi sono altri poli di concentrazione demografica, si tratta normalmente di zone più compatte, in
generale circostanti alle grandi metropoli, che mostrano diversi gradi di affollamento, soprattutto
nei paesi meno sviluppati.
Tra questi:
 costa californiana: una fitta serie di città, da Sacramento sino a Tijuana, includendo San
Francisco, Oakland e Los Angeles
 grandi aree metropolitane dell’America latina: intorno a città plurimilionarie come Città
del Messico, Bogotá, Caracas, San Paolo, Rio de Janeiro, Lima, Santiago de Cile, Buenos
Aires
 Golfo di Guinea: in Africa, dal Senegal fino al Gabon e al Congo, accorpa una quindicina
di paesi come Nigeria e Costa d’Avorio, con importanti città e aree costiere ad alta densità
 Delta del Nilo e Medio Oriente: soprattutto la conurbazione de Il Cairo e la regione del
basso delta nilotico, includendo parte di Israele, Giordania, Siria, Iraq, Iran e Turchia, anche
se in termini strettamente geografici il paese non può considerarsi appartenente al Medio
Oriente
 Africa centrale e orientale: regioni interne di Uganda, Kenya, Ruanda, Repubblica
democratica del Congo, Burundi, Tanzania e Mozambico, e città come Kampala (Uganda),
Nairobi (Kenya) e Dar es Salaam (Tanzania)
 Africa del sud (Sudafrica): lungo le coste e soprattutto intono alle grandi città come Cape
Town, Durban, Pretoria e Port Elizabeth, ma anche in estese zone minerarie
(Johannesburg e Soweto) e rurali all’interno dell’area
 Costa meridionale e orientale dell’Australia: con forti concentrazioni intorno alle
principali città, da Adelaide e Melbourne, fino a Canberra, Sidney e Brisbane e, in misura
più ridotta, l’isola di Tasmania intorno alla capitale, Hobart

Principali aree scarsamente popolate


 zone polari: Artide e soprattutto Antartide, a causa del clima e conseguentemente
dell’assenza di vegetazione, etc. sono quasi completamente spopolate
 alte latitudini: taiga della Siberia e del Canada, tundra ricoperta dai ghiacciai dell’Eurasia,
terre australi del Cile e dell’Argentina (Patagonia)
 foreste pluviali: nelle aree equatoriali e subequatoriali dei tre continenti attraversati
dall’equatore. Amazzonia in America Latina, foresta congolese in Africa e le foreste insulari
del Pacifico (Giava, Borneo, Sumatra, Nuova Guinea e Australia settentrionale)
 deserti: la vita è resa impossibile dall’elevata aridità: nel Sudovest degli Stati Uniti
(Arizona), in gran parte della costa pacifica e America meridionale (Sechura e Atacama) , in
Africa (Sahara, Kalahari, Dancali), in Arabia (Rud al’Khali), in Asia (Gobi), in Australia
( gran deserto sabbioso)
 zone di alta montagna: Montagne Rocciose e Sierra Madre in America del Nord, le Ande
in America del Sud, l’Atlante in Africa, i Pirenei in Spagna, le Alpi in Europa, l’Himalaya in
Asia, così come la maggior parte dei massicci o catene montuose mondiali)

La densità aritmetica
Se la popolazione viene misurata in termini di spazio occupato si parla di densità di popolazione.
La densità è il numero di abitanti in media presenti in un chilometro quadrato di superficie.
La densità calcolata in questo modo è detta densità grezza o aritmetica: non esprime situazioni
reali ma teoriche.
Essa viene calcolata rispetto a confini di carattere amministrativo e non tiene pertanto conto di
situazioni geomorfologiche e ambientali che talvolta possono essere assai differenziate.

La densità fisiologica
La densità aritmetica può quindi essere ingannevole poiché la popolazione non è distribuita sul
territorio in modo uniforme.
Per ovviare a questa problematica, alcuni demografi hanno proposto di calcolare la densità
fisiologica, ovvero il numero di abitanti rapportato all’unità di superficie delle terre agricole
produttive.
Anche la densità fisiologica ha comunque grandi margini di errori ed i risultati e sono quindi
discutibili.
In ogni paese o regione del mondo ci sono terre più o meno produttive, alcune danno grandi rese,
altre sono meno produttive ma sono adibite a pascolo.
La produttività agricola è inoltre strettamente correlata all’affollamento della popolazione e allo
sviluppo tecnologico che consente di ottenere rese sempre più elevate.

La densità aritmetica e fisiologica in Egitto


Per l’Egitto si evidenziano risultati piuttosto differenti se si osserva la densità aritmetica o quella
fisiologica:
 nel primo caso, con una popolazione di 78,6 milioni di abitati, si registra una densità
aritmetica pari a 78 ab/kmq
 guardando invece alla densità fisiologica, si ottiene un valore pari a 2.616 ab/kmq.
Questo dato rispecchia molto più frequentemente la pressione demografica presente sul
territorio, nonostante gli sforzi compiuti dal paese stesso per aumentare le terre agricole
irrigate

14/04/23

Introduzione alla geografia umana


Piante delle città
È difficile, tuttavia, che una città presenti una morfologia omogenea, soprattutto nelle città antiche
dove si sono susseguite diverse fasi urbanistiche, come nel caso di buona parte delle città
europee.
Città come Parigi o Coventry hanno subito profondi cambiamenti rispettivamente per interventi
sulla viabilità nell'Ottocento (i boulevard di Parigi) e per i bombardamenti della Seconda Guerra
Mondiale e la ricostruzione post bellica.

Dalle piante alle volumetrie


Oltre alla planimetria, va considerata la volumetria di una città, che spazia dai grattacieli in centro
alle villette a schiera delle aree periferiche.
Nella città moderna acquistano crescente importanza gli spazi pubblici sotterranei come ferrovie,
metropolitane ma anche centri commerciali e di aggregazione nelle città a clima freddo.
Le volumetrie rispecchiano la densità della popolazione e delle attività economiche.

Uso del suolo urbano


Tre principali processi influenzano la struttura di una città:
 centralizzazione: indica le forze che portano la popolazione e le attività economiche a
concentrarsi nei quartieri più centrali della città
 decentralizzazione: tendenza di una parte degli abitanti e delle attività a spostarsi verso gli
spazi periferici
 agglomerazione: riflette la struttura policentrica di una città In una città policentrica si parla
di zonizzazione funzionale, intesa come la suddivisione del territorio di una città in zone
caratterizzate da specifiche attività e usi del suolo

Valore dei terreni


Le curve valore del suolo spesso mostrano come la disponibilità di un potenziale acquirente a
pagare per un certo terreno è proporzionale alla sua distanza dal centro della città o dove si
concentrano le attività economiche.

curve dei prezzi del


suolo decrescenti con
la distanza dal centro
in una metropoli
mondiale (Londra) e
in una metropoli
regionale (Düsseldorf)

La geografia interna delle città dei paesi economicamente avanzati


In genere si osservano le seguenti caratteristiche
1. nel centro si concentrano i servizi di rango elevato che costituiscono il CBD (Central
Business District)
2. le industrie tendono a localizzarsi in periferia
3. a popolazione con reddito medio-basso tende a concentrarsi in quartieri più o meno distanti
dal centro a seconda del reddito
4. capita tuttavia che si creino quartieri di pregio lontano dal centro 5) allo stesso modo capita
che le abitazioni del centro subiscano una perdita di valore e vengano occupate dalla
popolazione più povera

Modelli di descrizione della struttura delle città americane


Il sociologo Ernest Burgess, della scuola di Chicago, parla di ecologia sociale urbana.
Burgess ha sviluppato il modello delle zone concentriche, applicato inizialmente al caso di
Chicago.
Il territorio urbano è delimitato da nicchie occupate da gruppi sociali diversi per etnia e tenore
economico.
Nel 1945 l'economista Homer Hoyt ha proposto un nuovo modello chiamato modello dei settori,
che attribuisce una grande importanza al ruolo dei mezzi di trasporto nella divisione dei centri
concentrici in settori radiali
Nel 1945, Chauncy Harris e Edward Ullman, due geografi dell'Università di Chicago proposero il
modello dei nuclei multipli, sottolineando come molte città americane non abbiano un solo
centro commerciale e degli affari, ma molteplici nuclei, che riflettono una struttura policentrica.

Le città europee
In molte città del vecchio continente sono presenti tracce della loro conformazione antica o
medievale, come ad esempio resti di mura, chiese, piazze, un'alta densità di edifici dalle altezze
moderate e un reticolo irregolare di strade piuttosto strette.
Nelle città dell'Europa occidentale queste caratteristiche hanno dato vita a una specifica forma
urbana, frutto dell'interrelazione tra diverse forze economiche, istituzionali e socio-culturali.
È possibile individuare alcune caratteristiche principali delle città europee
1. conformazione adatta a circolazione pedonale o in bicicletta, centri chiusi al traffico
2. trasporto privato più costoso
3. mezzi di trasporto pubblico economici e diffusi
4. abitazioni di proprietà non molto diffuse (in particolare nel centro-nord Europa)
5. forte attaccamento verso edifici storici e di pregio che ne ha favorito la conservazione
6. quartieri centrali occupati da residenze, oltre che uffici e servizi

Le città nordamericane
Si distinguono da quelle europee perchè meglio rispondono ai modelli precedentemente esposti.
Nate come città pioniere, si sono sviluppate molto rapidamente e in pochi casi conservano un
centro storico.
Nelle aree centrali si segue il principio della massima utilità dell'uso dello spazio: piante a
scacchiera ed edifici elevati, come nel caso di Manhattan.
In periferia si trovano invece vasti quartieri di abitazioni mono o bifamiliari.

Los Angeles: un esempio di “postmetropoli”


Secondo il geografo statunitense Edward Soja (2000), Los Angeles sta già mostrando
cambiamenti nella sua struttura che molte altre città avranno nel futuro, risultando in questo senso
una "città pioniera".
Osservando Los Angeles, si può avere uno sguardo su come tutte le città potrebbero essere in
futuro.
Si individuano sei diversi processi in atto.

Exopolis
In passato le città erano dominate da un centro urbano funzionale, caratterizzato da un paesaggio
simbolico (grattacieli, piazze).
Oggi l'urbanizzazione verso le aree periferiche contribuisce a creare regioni metropolitane.
Oggi il centro di Los Angeles non è più in città, quanto nei sobborghi di Orenge Country, il corridoio
tra Malibu e Long Beach, la valle di San Ferdinando o San Bernardino.
Exopolis indica un processo contrario a quello di accentramento.

Flexicity
I cambiamenti nella geografia economica della città hanno cambiato la geografia di Los Angeles: le
grandi aziende si sono spostate dal centro alla periferia, creando i cosiddetti "technoburbs".

Cosmopolis
Movimenti globali di capitale, persone e commercio hanno salvato il centro (downtown)
dall'estinzione.
Il centro ha attratto immigrati (Messicani, Cinesi, Coreani, Vietnamiti, Armeni, Guatemaltechi,
Filippini). Stimolata da questi nuovi arrivi, si è stabilita una piccola manifattura (gioielleria, tessile)
nell'ex Central Business District.

Metropolarities
Los Angeles è un caso esemplificativo delle crescenti diseguaglianze nel mondo tra chi ha e chi
non ha, per cui assistiamo ad una polarizzazione della ricchezza.
Quartieri residenziali come Bel Air o Beverly Hills coesistono con aree povere che hanno molto in
comune con quartieri dei paesi in via di sviluppo, localizzate nella parte centro-meridionale della
città.

Carceral Archipelagos
A causa di crescenti disordini e violenza, Los Angeles è diventata una sorta di città fortezza basata
sui sistemi di sicurezza e di sorveglianza.
Polizia privata, dispositivi di sorveglianza ad alta tecnologia e "gated communities" sono necessari
per preservare questo delicato equilibrio.

Simcity
Le strade suburbane e gli shopping malls di Orange Country e Irvine ricordano quasi delle repliche
reali di alcuni sobborghi modello delle serie TV, facendo sembrare Los Angeles una città dei sogni
("dreamscapes") e "iper -reale".

Le città dell’ex Unione Sovietica e dei paesi socialisti


Con la fine della Seconda Guerra Mondiale le città dell'Europa Orientale e dell'Unione Sovietica.
Una delle caratteristiche di questi centri urbani era la proprietà completamente pubblica.
Funzioni residenziali concentrate in grandi edifici con centinaia di appartamenti costruiti ai margini
delle città o vicino alle fabbriche.
Funzioni commerciali molto limitate rispetto ad Europa Occidentale, frequente presenza di grandi
parchi o piazze a uso pubblico.

Le città del Sud del mondo dei paesi emergenti


Le tipologie dei grandi centri urbani del Sud del mondo sono varie, ma si possono riconoscere
alcuni aspetti comuni:
1. forte crescita di popolazione per immigrazione da aree rurali e elevato tasso di natalità
2. struttura urbanistica non regolata
3. grandi agglomerati che comprendono una zona centrale moderna ed estesi quartieri poveri,
spesso in periferie
4. forte diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza

Il fenomeno delle Baraccopoli (Slums, Favelas)


Secondo lo storico e sociologo urbano Mike Davis (Planet of Slums, 2006), l'urbanizzazione
sregolata nel Sud del mondo è:
1. scollegata dall'urbanizzazione (a differenza dei paesi economicamente avanzati)
2. collegata al colonialismo e ad un mancato processo di transizione postcoloniale
3. legata alle trasformazioni in campo agricolo e all'emergere di una classe di nuovi poveri
senza terra
4. collegata al sistema di austerity imposto dal Nord del mondo
5. facilitata dalla corruzione e da governi "cleptocratici"

Slums
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN Habitat):
 le Slum sono multidimensionali per natura ed è complesso identificarle secondo uno o due
parametri
 le Slum sono un concetto relativo e dipendono anche dalla percezione e dalla prospettiva
dell'osservatore
 data l'alta varietà di criteri con cui si può definire una Slum anche nell'ambito della stessa
città, non esiste una definizione universale
 le Slums cambiano repentinamente e così cambiano i parametri per identificarle
Si può definire Slum Household un'abitazione in zona urbana, abitata da uno o più gruppi di
individui dove mancano uno o più dei seguenti servizi.
1) alloggio durevole (durable housing): una struttura permanente che protegge dagli agenti
climatici esterni
2) spazio sufficiente: non più di tre persone per stanza
3) accesso all'acqua: acqua in quantità sufficiente, economica e facilmente reperibile
4) accesso a impianti igienico-sanitari: un bagno privato o condiviso con un numero basso
di persone
5) sicurezza abitativa: sicurezza abitativa de facto o de jure e protezione contro eventuali
sfratti
Secondo le Nazioni Unite, circa un miliardo di persone in tutto il mondo vive in Slums, un numero
che si prevede duplicherà nel 2050.
17/04/23 e 21/04/23
Densità della popolazione mondiale per area

Densità della popolazione mondiale per paese


Optimum di popolamento
Lo presenta un paese caratterizzato da un solido equilibrio tra abitanti e risorse:
 pieno impiego individui in età lavorativa
 assicurazione di più di 2.500 calorie al giorno
 struttura demografica che consente di ripartire le spese in misura non troppo gravosa per le
persone attive
 adeguata articolazione professionale della popolazione tra i diversi settori dell’economia
 razionale utilizzazione delle risorse

Sovrappopolamento
Squilibrio tra popolazione e risorse che si verifica se:
 aumento naturale popolazione comporta caduta del tenore di vita
 incremento lavoratori provoca diminuzione produttività
 tecnologie sviluppatesi lentamente
È un fenomeno qualitativo non quantitativo, che dipende più che dall’alta densità di abitanti, dal
grado di sviluppo tecnologico.

Sotto popolamento
Squilibrio tra risorse e popolazione derivate da:
Minimo economico = numero abitanti insufficiente per valorizzare le risorse disponibili
Minimo biologico = società chiusa, pochi scambi demografici, numero ridotto di abitanti

Grado di densità
ZONE A BASSISSIMA DENSITA’ = meno di 1 ab/kmq
ZONE A BASSA DENSITA’ = meno di 10 ab./kmq
ZONE A DENSITA’ DEBOLE = 10-50 ab./kmq
ZONE A DENSITA’ MEDIA = 50-100 ab./kmq
ZONE A DENSITA’ ALTA = oltre 100 ab./kmq

Zone ad alta densità


 pianure e vallate Asia meridionale e orientale (Cina, India, Giappone)
 Europa Centro-Atlantica
 fascia costiera Mediterraneo
 Stati Uniti Nord-Orientali

Zone a densità media


 EUROPA: aree marginali di Francia, Italia e Svizzera, bassopiano germano-polacco, paesi
danubiani
 ASIA: Cina, India, Filippine
 USA: California e zona a sud grandi laghi

Zone a debole densità


 EUROPA: zone poco evolute (meseta spagnola e penisola balcanica) parte Russia e
Fennoscandia
 Iran e Anatolia
 penisola indocinese
 paesi dell’Atlante (Marocco, Tunisia, Algeria)
 USA: bacino del Mississippi e Middle West
Zone a bassa densità
 EUROPA: Nord Scandinavia e Russia, Siberia
 AFRICA: steppe, savane e foreste pluviali
 USA: praterie West, parte del Canada

Zone a bassissima densità


 foresta boreale conifere CANADA e RUSSIA (Taiga) con popolamento a macchia
 tundre
 foresta congolese
 foresta Amazzonica
 steppe fredde Patagonia (estremità meridionale America del Sud tra Argentina e Cile)
 steppe sub-desertiche africane e asiatiche

Le migrazioni
Saldo totale della popolazione o demografico e saldo migratorio
Il saldo totale della popolazione (o saldo demografico) è dato dalla somma del saldo migratorio
e il saldo naturale.
Il saldo naturale della popolazione è dato dalla differenza tra il numero di nati vivi e il numero
di decessi intercorsi in un determinato anno.
Il saldo migratorio è l’eccedenza o il deficit di iscrizioni per immigrazione rispetto alle
cancellazioni per emigrazione intercorse in un determinato anno.

Tasso migratorio
Il tasso migratorio totale è il rapporto tra il saldo migratorio e l’ammontare medio annuo
della popolazione residente in una determinata area, per mille.

La mobilità
La mobilità è sempre stata una delle caratteristiche salienti della specie umana.
Sin dalle origini l’uomo, spinto da necessità contingenti, si è spostato:
 colonizzando nuove terre
 cercando di migliorare le proprie condizioni di vita
 modificando l’organizzazione dello spazio terrestre
L’uomo ha sempre cercato di acquisire nuovi spazi utili alla sua sopravvivenza e di piegarli alle
proprie esigenze.

Il concetto di movimento
Il movimento:
 cambia gli esseri umani e il modo in cui essi vedono sé stessi
 trasforma i luoghi (sia quelli da cui gli esseri umani emigrano sia quelli in cui immigrano)
 accelera la diffusione delle idee e dell’innovazione
 intensifica l’interazione
 trasforma le regioni

Dal movimento alle migrazioni


Negli ultimi decenni la mobilità è notevolmente aumentata.
La mobilità può essere locale o globale…il movimento può essere giornaliero o unico nell’arco
della vita.
I movimenti possono essere di tre tipi e variano in funzione del tempo in cui si sta lontano da
casa:
 ciclico: implica periodi di lontananza brevi, ad esempio il pendolarismo, i movimenti
stagionali (caso degli Stati Uniti settentrionali e del Canada verso i paesi del Sun Belt), il
nomadismo
 periodico: implica lunghi periodi di lontananza, ad esempio la forza lavoro migrante
(spesso flussi transfrontalieri che si trasformano in migrazione), la transumanza (Alpi
orientali e centrali, Corno d’Africa)
 migratorio: implica una lunga permanenza all’estero; difficilmente è previsto il ritorno in
patria

Quando si verificano le migrazioni?


Le migrazioni si verificano in presenza di determinate condizioni, quali:
 aree ricche e debolmente popolate che fungano da elementi d’attrazione
 aree povere e densamente popolate
Le migrazioni sono indotte prima di tutto da ragioni di ordine
 economico (fuga dalla povertà, disoccupazione, desiderio di migliorare il proprio status)
 demografico (vivacità dell’ordine demografico)
 sicurezza…in questo caso però si parla più propriamente di rifugiati e profughi
I flussi migratori possono variare i loro punti di arrivo e di partenza

Rifugiati ≠ Migranti
Il termine rifugiato ha un significato giuridico ben preciso.
Lo status di rifugiato è sancito e definito nel diritto internazionale dalla Convenzione di
Ginevra del 1951, viene riconosciuto a quelle persone che non possono tornare a casa
perché per loro sarebbe troppo pericoloso e hanno quindi bisogno di trovare protezione
altrove.
Lo status di rifugiato riconosciuto e definito internazionalmente conferisce diritti giuridici.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite peri Rifugiati (in inglese United Commissioner for
Refugees – UNHCR) e gli Stati devono distinguere tra rifugiati e migranti, che possono essere
poveri e disperati, ma non sono qualificati con questo status.
Quando il rifugiato soddisfa i criteri ufficiali …il rifugiato acquisisce tutta una serie di dritti,
compreso quello all’assistenza.
Tale assistenza può essere estesa per decenni e divenire la base stessa di un modo di vivere
(in Giordania i rifugiati palestinesi si sono integrati nella vita nazionale e sono considerati rifugiati
permanenti; in Libano invece altri palestinesi attendo il reinsediamento in campi, ma sono
considerati rifugiati temporanei).

Rifugiati e rifugiati interni


Le Nazioni Unite e le leggi internazionali distinguono tra
 rifugiati (refugees), che hanno trovato scampo in un paese diverso dal proprio
 rifugiati interni (IDP, internally displaced persons)
Le Nazioni Unite aiutano ad assicurare che i rifugiati e i rifugiati interni non siano ricondotti a
forza in un luogo nel quale proseguano le persecuzioni.
Dopo che le violenze si sono placate e le condizioni sono migliorate, l’UNHCR aiuta a riportarli nei
paesi d’origine, con un processo detto rimpatrio.

Alcune precisazioni terminologiche


 profugo/profugo interno: profugo è un termine generico che indica chi lascia il proprio
paese a causa di guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali.
Un profugo interno non oltrepassa il confine nazionale, restando all’interno del proprio
paese.
 richiedente asilo: un richiedente asilo è una persona che, avendo lasciato il proprio paese,
chiede il riconoscimento dello status di rifugiato o altre forme di protezione internazionale.
Fino a quando non viene presa una decisione definitiva dalle autorità competenti di quel
paese (in Italia è la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato), la
persona è un richiedente asilo e ha diritto di soggiornare regolarmente nel paese, anche se
è arrivato senza documenti d’identità o in maniera irregolare.
 beneficiario di protezione umanitaria: chi beneficia della protezione umanitaria non è
riconosciuto come rifugiato, perché non è vittima di persecuzione individuale nel suo paese
ma ha comunque bisogno di protezione e/o assistenza perché particolarmente vulnerabile
sotto il profilo medico, psichico o sociale o perché se fosse rimpatriato potrebbe subire
violenze o maltrattamenti.
Che cosa sono le migrazioni?
Con il termine migrazione si intende lo spostamento permanente (o comunque per un lungo arco
di tempo) di una persona, per lo più di un gruppo, da un’area geografica a un’altra,
determinato da mutamenti delle condizioni ambientali, demografiche, fisiologiche, etc.
La migrazione è costituita da due componenti:
 l’emigrazione, la partenza dal luogo di origine
 l’immigrazione, l’ingresso nel luogo di destinazione
Nel mezzo c’è spesso un viaggio lungo e pericoloso, ciò nonostante, la storia dell’uomo è da
sempre stata contraddistinta da spostamenti.

Le migrazioni nel passato


Circa 65.000 anni fa l’Homo sapiens -per cause non del tutto chiare- si sarebbe spostato:
 dall’Africa all’Europa
 dall’Arabia all’India e in tutto il continente asiatico per giungere in Australia
Nel periodo glaciale le popolazioni dell’Asia nord orientale, oppresse dalle condizioni climatiche
proibitive iniziarono a spingersi verso il continente americano utilizzando quasi come un ponte
naturale lo stretto di Bering e la dorsale costituita dalle isole Aleutine (il livello del mare era
all’epoca più bassa di una settantina di metri)
In circa 10.000 arrivarono a popolare interamente le Americhe dalle estreme regioni subartiche
dello scudo canadese, alla Groenlandia alla Patagonia, agli stessi arcipelaghi caraibici occupando
gli spazi disponibili più idonei e mostrando differenti livelli di adattamento e sviluppo.
Nel periodo in cui dell’Impero Romano dominava l’occidente, intere popolazioni nomadi e
seminomadi si spostarono a ondate successive verso l’Europa centro meridionale,
determinando quella serie di effetti noti come invasioni barbariche.
Furono determinate da motivazioni semplici quali la necessita di nuovi pascoli o terre fertili per far
fronte al progressivo inaridimento delle loro regioni di origine.
Pur essendo gruppi piccoli non sfuggivano dalla logica del rapporto tra popolazione e risorse.
Molti spostamenti furono infatti determinati da periodi di particolare aumento demografico…una
popolazione divenuta stanziale facilmente poteva registrare incrementi del tasso di natalità.
La crescita demografica portava quindi allo scontro con altre popolazioni stanziate altrove
determinando:
 fusione con altri gruppi
 deviazione del percorso
 occupazione di terre altrui
Nell’XI secolo, il rafforzamento dell’Impero carolingio determinò un generale miglioramento delle
condizioni di vita e un conseguente aumento della popolazione che non riusciva però ad essere
riassorbito anche a causa dell’autosostentamento legato a un modello di sviluppo di tipo feudale.
Non potendo individuare terre «utili» all’interno dell’Europa, le masse crescenti di popolazione
vennero incanalate verso la liberazione dei Luoghi Santi…
La prima crociata del 1096 aveva infatti mobilitato di centinaia di migliaia di individui (secondo
alcune stime 600/800.000).
Successivamente il Vecchio Continente riuscì a neutralizzare le spinte demografiche fino alla
scoperta dei Nuovi Mondi che videro però un movimento più moderato… un’altra ondata di
movimenti migratori si ebbero all'inizio dell’Ottocento a seguito dell’importante sviluppo
demografico che segnò l'Europa.

Caratteristiche delle migrazioni


Le migrazioni non avvengono solo dalle aree più arretrate del mondo verso quelle più sviluppate,
ma anche all’interno del proprio paese, come è avvenuto, ad esempio, nell’Italia post-bellica
quando il Nord industrializzato iniziò ad accogliere flussi crescenti di contadini meridionali, o
comunque di individui provenienti dalle aree più povere del Paese.
I flussi migratori possono essere:
 interni quando gli spostamenti avvengono entro i confini di uno Stato (da una parte all’altra
del paese o dalle campagne alle città, oppure dalle città di grandi dimensioni a quelle di
medie dimensioni)
 esterni (o internazionali) quando il trasferimento avviene da un paese all’altro
 transoceanici quando gli spostamenti avvengono tra un continente e l’altro
Migrazione volontaria e forzata
La migrazione può essere:
 volontaria se avviene dopo che il migrante ha soppesato le opzioni, anche se spesso è
spinto più dalla disperazione che dalla razionalità
 forzata o involontaria quando implica un’imposizione.
Ricade in questo caso la deportazione che consiste nel trasferimento gestito in modo
coattivo dal governo di uno Stato che individua anche la destinazione; in questo caso la
migrazione non è frutto di una decisione libera e autonoma

Esempi di migrazioni forzate


La tratta degli schiavi verso la regione caraibica, nell’America centrale costiera e in Brasile (non
tanto negli Stati Uniti Sud Orientali) per lavorare nelle piantagioni.
Si tratta della migrazione forzata più consistente della storia.
Nel XIX secolo il governo statunitense si appropriò delle terre di migliaia di Nativi americani e li
trasferì in altre terre del paese.

Le principali rotte delle migrazioni forzate africane


Tra il 1928 e il 1953 Stalin fece
trasferire con la forza milioni di
non russi in zone remote
dell’Asia centrale e in Siberia
per motivazioni di ordine
politico.
Negli anni Trenta i nazisti
furono responsabili di una
grande migrazione forzata
(deportazioni forzate in campi di
concentramento) di ebrei e di
altre minoranze discriminate
(politiche, religiose, etniche,
sessuali) che vivevano in
regioni dell’Europa occidentale.
Negli anni Novanta gli Stati Uniti
rimpatriarono dalla Florida gli
immigrati che arrivavano illegalmente da Haiti.
Da 30 anni gli afgani cercano rifugio dalla guerra civile e dai talebani e dalla costante instabilità
della guerra; Pakistan e Iran sono le principali destinazioni.

Percezione dei luoghi


I potenziali migranti tendono ad avere percezioni più corrette ed articolate dei luoghi vicini.
L’intensità dell’attrattività diminuisce all’aumentare della distanza dall’origine…in caso di
destinazioni lontane si è pertanto meno propensi a raggiungerle.

La migrazione a tappe
Si parla di migrazione a tappe (o per gradi o per fasi) quando lo spostamento avviene in modo
graduale.
Ad esempio, una famiglia di contadini brasiliani tenderà a trasferirsi:
 in un villaggio
 poi in una piccola città vicina
 poi in una grande città
 infine in una metropoli come San Paolo o Rio de Janeiro
A ogni tappa della migrazione interviene una nuova serie di fattori d’attrazione….non tutti i migranti
comunque compiono le stesse tappe….lungo qualsiasi via di migrazione un migrante valuta i fattori
di esplosione e attrazione.
Esempio degli afroamericani che dopo la prima guerra mondiale negli Stati Uniti migrarono verso
Nord per cercare lavoro a Chicago o Cleveland…molti però trovarono occupazione lungo il
percorso e rimasero a Saint Luis e a Cincinnati.

Fattori di espulsione e fattori di attrazione


Le migrazioni anche se talvolta rispondo a comportamenti «modelizzabili» sono un fenomeno
complesso. Quanto si decide di emigrare possono intervenire fattori di:
 espulsione: le percezioni che inducono un migrante a decidere di abbandonare un luogo.
I fattori di espulsione sono più facilmente percepiti in quanto noti…ad esempio le condizioni
di lavoro, il costo della vita, la sicurezza personale, etc.
 attrazione: un migrante può essere attratto verso un certo luoghi per svariati motivi e/o
circostanze.
I fattori di attrazione tendono ad essere più vaghi in quanto costruiti in base a «cose» udite
e lette.
La decisione di migrare da un luogo deriva da una combinazione di fattori di espulsione e di
attrazione; questi fattori operano in misura diversa secondo le circostanze e la scala di
misurazione

I fattori attrattivi
Possono essere di tipo:
 fisico (vicinanza e raggiungibilità)
 personale (presenza di familiari e di connazionali)
 culturale (comunanza di lingua e/o usi e costumi)
 economico (possibilità di trovare un lavoro, etc.)
Spesso però le informazioni che i migranti acquisiscono sono decisamente soggettive e quindi
corrispondenti solo in minima parte alle loro aspettative, così come alle condizioni oggettive nella
destinazione prescelta.
Si tratta di un problema piuttosto importante che talvolta contribuisce al difficile inserimento presso
la comunità di accoglienza.

I fattori di espulsione
Quali sono i fattori che aiutano i migranti a scegliere una destinazione?
Generalmente è una combinazione di più fattori e non un solo fattore che induce a decidere.
Ogni fattore può essere di espulsione (quindi indurre il migrante a lasciare il paese d’origine)
oppure di attrazione verso il nuovo...quale sia il più importante dipende dal migrante e dalle
circostanze.

Fattori di attrazione (verso il nuovo) o repulsione (dal paese di origine)


 stato giuridico: i migranti possono arrivare in un paese legalmente o illegalmente.
Ogni paese stabilisce chi sia autorizzato a immigrare e in quali circostanze.
Il visto (ad esempio di lavoro) rende il migrante legale; senza visto è considerato
clandestino…i clandestini entrano in un paese per vie differenti perché temono l’espulsione
 condizioni economiche: la povertà spesso schiaccia milioni di persone nelle terre natie…
le opportunità percepite in luoghi di destinazione come l’Europea occidentale e l’America
settentrionale inducono molti migranti (sia legali sia illegali) ad attraversare il Mediterraneo,
il Mar delle Antille, il Rio Grande.
Le condizioni dei migranti possono essere sfavorevoli e causarne il loro sfruttamento
 relazioni di potere: il genere, l’etnia, il denaro sono fattori che inducono a migrare…le
relazioni di potere causano un flusso di migranti in tutto il pianeta…talvolta i flussi legati al
mercato occupazionale sono indotti dalla percezione che in determinate aree del mondo
hanno i datori di lavoro rispetto agli immigrati provenienti da diverse aree 44
 circostanze politiche: i regimi oppressivi possono causare flussi migratori.
Ad esempio migliaia di migranti fuggirono dal Vietnam quado i comunisti presero il controllo
del Paese.
 conflitto armato e guerra civile: il conflitto che travolse la ex Jugoslavia negli anni
Novanta indusse oltre tre milioni di persone a migrare (in prevalenza nell’Europa
occidentale)…molti non ritornarono più in patria.
Anche in Ruanda, a seguito degli scontri tra hutu e tutsi, si realizzarono numerosi flussi
migratori verso lo Zaire (dal 1997 Repubblica Democratica del Congo) e la Tanzania
 condizioni ambientali: terremoti, uragani, danni ai raccolti, etc. possono stimolare i
movimenti di popolazione.
Ad esempio si stima che New Orleans abbia perso circa il 40% dei propri abitanti a seguito
dell’uragano Katrina 45
 cultura e tradizioni: nel caso in cui si tema che la propria cultura non possa sopravvivere
a seguito di una transizione politica si è portati a migrare.
Ad esempio quando l’India britannica fu divisa in un’India in prevalenza indù e in un
Pakistan quasi esclusivamente musulmano, milioni di musulmani insediati in India si
trasferirono nel nuovo stato islamico
 progressi tecnologici e legami di parentela: televisione, radio, telefoni insieme a Internet
e smart tecnology contribuiscono a dare un’idea di come si stia sul territorio.
La tecnologia insieme ai legami di parentela può fungere da fattore di espulsione o
attrazione.
Quando ci si muove attraverso i legami di parentale creano quelli che i geografi chiamano
migrazione a catena.
Si creano pertanto ondate di immigrazione a catena che si propagano dallo stesso luogo
d’origine allo stesso luogo di destinazione.

Alcune leggi o comportamenti associati alle migrazioni


Più di un secolo fa il cartografo inglese di origine tedesca Ravenstain studiando le migrazioni
interne in Inghilterra propose alcune «leggi sulle migrazione» tutt'oggi in parte valide:
1. ogni flusso migratorio genera una migrazione di ritorno
2. la maggior parte dei migranti si sposta a breve distanza
3. i migranti che si spostano a una distanza maggiore tendono a scegliere come destinazioni
le grandi città
4. gli abitanti delle aree urbane hanno una tendenza a migrare minore rispetto a quelli delle
aree rurali
5. le famiglie hanno minore tendenza a compiere migrazioni internazionali rispetto agli adulti
giovani

Caratteristiche dei fenomeni migratorio e la loro evoluzione nel tempo


 società precontemporanea: scarsa mobilità, movimenti poco estesi e limitati a ceti
economici ben definiti.
La migrazione in questo caso è spinta da un fatto traumatico e non da fattori di tipo
demografico
 prima fase dell’industrializzazione: iniziano movimenti di massa dalle campagne alle città
con spostamenti considerevoli anche verso destinazioni estere.
Il saldo migratorio continua però ad essere positivo.
 società caratterizzata dalla attenuazione della natalità: continuano gli spostamenti dalla
campagna alla città e l’emigrazione verso altri paesi compensata però dall’immigrazione da
altri paesi
 società caratterizzata da una evoluzione economica moderna: natalità e mortalità si
stabilizzano, il movimento dalle zone rurali a quelle urbana cessa del tutto, si registra un
poderoso arrivo di lavoratori spesso poco qualificati o non qualificati dall’estero
 società che registra una ripresa demografica nei paesi di arrivo grazie ai flussi migratori
precedenti.
L’industria pesante viene dislocata, quella leggera altamente tecnologica richiedono mano
d’opera qualificata.
Europa e USA sono punti di arrivo allo stesso tempo di mano d’opera qualifica e non
qualificata.

Modelli di integrazione socio-culturale


 assimilazione: adattamento alla cultura della società ospitante.
I migranti si devono conformare quanto più possibile al paese di arrivo mettendo in atto
processi di desocializzazione, cancellazione delle culture di origine e di risocializzazione
rispetto agli usi e costumi e alle norme dei medesimi paesi di arrivo.
L’integrazione è intesa come uguaglianza di trattamento nella neutralità e nella laicità dello
Stato. Modello adottato in Francia.
 pluralista o multiculturale: l’alterità viene ammessa e tollerata.
All’interno della medesima società convivono più culture.
Vengono però attivati processi di inclusione progressiva dei diversi gruppi etnici che
peraltro possono conservare i propri usi e costumi a condizione che tengano unita l’intera
società e non ne contraddicano i valori sociali.
Modello adottato prevalentemente in Canada, Olanda, Australia e Svezia.
 fusione o Melting pot: la società è assimilata a una pentola in cui si mescolano varie
comunità.
Si tratta di una società omogenea frutto della fusione di molteplici culture che coesistono. Il
rischio è che la società sia intesa come somma di comunità incapaci di entrare in contatto e
confrontarsi.
Modello adottato negli Stati Uniti.
 funzionalista o esclusione differenziale: siccome raggiungere livelli anche solo
accettabili di integrazione è un’operazione difficile, la figura del migrante viene inserita solo
in alcuni ambiti sociali e si tende a scoraggiare lo stanziamento definitivo.
Ad esempio, al migrante viene riconosciuto lo status di lavoratore e la sua permanenza è
vincolata alla realizzazione di tale attività…
In Germania vi è la figura del lavoratore ospite…non ha diritto alla cittadinanza, alla vita
politica, ecc.
Tale situazione è piuttosto negativa e insostenibile qualora sul territorio vi siano anche le
seconde generazioni.

…l’Europa
I punti di partenza e di arrivo delle migrazioni variano nel tempo…ad esempio l’Europa fu
continente di emigrazione per tutto il XIX secolo e per parte di quello successivo.
In questo lasso di tempo furono 60 milioni gli individui che si spostarono nei cosiddetti Nuovi
Mondi.
La popolazione del Vecchio Continente era infatti interessata da un eccezionale sviluppo
demografico… ed era pertanto caratterizzata da tutta un serie di squilibri demografici.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata.

Il fenomeno migratorio oggi


I paesi delle aree in via di sviluppo registrano un aumento di popolazione assai più consistente
rispetto a quello dei paesi industrializzati…spesso in fase di stagnazione o decremento
demografico.
Le condizioni sono pertanto favorevoli per determinare uno spostamento di massa dai paesi poveri
a quelli ricchi.

Le migrazioni: un fenomeno in crescita


Le migrazioni sono un fenomeno in fortissima crescita:
 1960: circa 75 milioni di migranti nel mondo
 2000: circa 175 milioni di migranti nel mondo
 2010: circa 200 milioni di migranti nel mondo
 2015: circa 244 milioni di migranti nel mondo
 2019: circa 272 milioni di migranti nel mondo
 2020: circa 281 milioni di migranti nel mondo
Gli ultimi dati delle Nazioni Unite (International Migration Report), evidenziano che in media più di
tre abitanti su cento sono nati in un paese diverso rispetto a quello di residenza.

Migranti e popolazione residente


In Medio Oriente l’incidenza della componente migratoria è decisamente alta, in alcuni paesi
rappresenta oltre il 70% della popolazione residente.
I flussi migratori più massici sono quelli tra Messico e Stati Uniti, Russia e Ucraina, Bangladesh e
India, Pakistan e Iran, Africa subsahariana ed Europa.

Il continente che ospita il maggior numero di migranti


Secondo le Nazioni Unite il continente che ospita il maggior numero di migranti è l’Europa (circa 82
milioni). Dal secondo dopoguerra si è infatti trasformata da area di emigrazione in area di
immigrazione.
A partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso la stessa sorte è toccata al nostro Paese; si
è trattato di un cambiamento repentino e inaspettato per il quale l’Italia non era pronta soprattutto a
livello legislativo.
La mancanza di una struttura normativa adeguata, unita all’assenza di coordinamento sia con gli
altri paesi di accoglienza sia con quelli che generano i flussi, è sicuramente una delle principali
cause della “cattiva” gestione del fenomeno allora come oggi.

La composizione per genere


A differenza del passato vi è un certo equilibrio: circa la metà dei migranti è costituita da donne.
Ciò dipende essenzialmente dalle modifiche del mercato del lavoro, indotte a loro volta dai
cambiamenti nella composizione sociale.
Ad esempio, l’invecchiamento della popolazione ha stimolato una sempre maggiore richiesta di
personale in grado di accudire gli anziani (o badanti) e conseguentemente una domanda di donne
disposte a farlo.
Si tratta infatti di un ruolo che, per lo meno fino a pochi anni fa, è stato appannaggio quasi
esclusivo della componente migratoria femminile.

Immigrazione e mercato del lavoro


Nella maggior parte dei paesi sviluppati i migranti svolgono essenzialmente lavori che la
popolazione nativa non desidera più svolgere (camerieri, muratori, etc.).
Un’eccezione è rappresentata dagli indiani che negli Stati Uniti molto spesso sono occupati in
lavori altamente specializzati.
Nella maggior parte dei paesi sviluppati i migranti rappresentano una percentuale di lavoratori che
oscilla tra il 10% e il 15%; vi sono poi alcune eccezioni come il Lussemburgo in cui gli immigrati
rappresentano il 45% degli occupati.
In alcuni settori economici i migranti sono divenuti necessari e lo saranno sempre di più anche a
causa del citato invecchiamento demografico.
In molte realtà essi sono ormai divenuti indispensabili non solo per il contributo che danno al
mercato del lavoro, ma anche per la crescita numerica in quei paesi caratterizzati da un evidente
declino demografico, come ad esempio l’Italia.

Immigrati e cittadinanza
Nonostante il ruolo sempre più importante giocato dai migranti per favorire l’equilibrio sociale e
demografico, negli ultimi anni in molti paesi sono entrate in vigore forti limitazioni non solo alla
possibilità di concedere loro la cittadinanza, ma anche alla mera accoglienza.
Sono sempre più numerosi, infatti, i paesi che adottano leggi restrittive che al massimo
prevedono concessioni ai rifugiati o ai richiedenti asilo.
L’applicazione di politiche restrittive accompagnata dalla crisi economica mondiale e dalla
complessa situazione politica di alcuni paesi della sponda Sud del Mediterraneo (a titolo di
esempio Libia, Siria, Turchia) ha alimentato il fenomeno dell’immigrazione clandestina praticata
prevalentemente via mare.
Si tratta di un fenomeno che affonda le sue radici agli inizi degli anni Novanta quando numeri
crescenti di migranti, dietro il pagamento di cifre esorbitanti e in condizioni disumane, hanno
iniziato a intraprendere i cosiddetti viaggi della speranza imbarcandosi su mezzi di fortuna
(gommoni, vecchi pescherecci, etc.) per approdare lungo le coste italiane e greche con l’illusione
di poter accedere al cuore dell’Europa e migliorare la propria esistenza.
Nella maggior parte dei casi però questi sogni rimangano irrealizzati e quello che li attende è un
destino fatto di indigenza e, sempre più spesso, di illegalità: costretti ad accettare lavori irregolari e
sottopagati i migranti diventano infatti facili prede della criminalità organizzata.

La cittadinanza in Italia
La cittadinanza italiana è uno status del cittadino in base al quale l’ordinamento giuridico italiano
riconosce la pienezza dei diritti civili e politici.
La cittadinanza si acquista automaticamente:
 per nascita: si parla di “ius sanguinis”, ovvero per discendenza diretta da almeno un
genitore in possesso della cittadinanza italiana.
Un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano;
 per nascita sul territorio italiano: un bambino nato in Italia da genitori ignoti o apolidi o
stranieri appartenenti a Stati la cui legislazione non preveda la trasmissione della
cittadinanza dei genitori al figlio nato all’estero acquista la cittadinanza italiana.
È considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se
non venga provato il possesso di altra cittadinanza;
 per adozione: il minore straniero adottato da cittadino italiano acquista la cittadinanza di
diritto;
 per riconoscimento o dichiarazione giudiziale della filiazione: se un cittadino italiano
riconosce, in un momento successivo alla nascita, un figlio minorenne, questi acquista
automaticamente la cittadinanza italiana.
Se maggiorenne, questi conserva la propria cittadinanza ma può (entro un anno dal
riconoscimento, dalla dichiarazione giudiziale o dalla dichiarazione di efficacia del
provvedimento straniero) dichiarare di scegliere la cittadinanza italiana;
 per acquisto o riacquisto da parte dei genitori: il figlio minore di chi acquista o riacquista
la cittadinanza italiana acquista direttamente la cittadinanza purché conviva in modo stabile
ed effettivo con esso.

La cittadinanza si può invece richiedere:


 per acquisto volontario: se discendenti da cittadino/a italiano/a per nascita, fino al
secondo grado, che abbia perso la cittadinanza, in presenza di determinati requisiti
(svolgendo servizio militare nelle forze armate e dichiarando preventivamente di voler
acquistare la cittadinanza italiana; oppure assumendo pubblico impiego alle dipendenze
dello Stato, anche all’estero, e dichiarando di voler acquistare la cittadinanza italiana;
oppure risiedendo legalmente in Italia due anni al raggiungimento della maggiore età e
dichiarando, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, di voler acquistare la
cittadinanza italiana);
 per nascita sul territorio italiano da genitori stranieri: un bambino nato in Italia da
genitori stranieri può richiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni se fino a
quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”;
 per matrimonio o unione civile;
 per residenza.

28/04/23 e 05/05/23
Produzione energetica e mineraria
Materie prime minerarie
La centralità delle materie prime: rivoluzione industriale.
Colonizzazione del SUD del mondo.
Geografia dei fenomeni economici legati al loro sfruttamento.
Classificazione delle materie prime minerarie:
 minerali metallici  ferro, rame, stagno, zinco, piombo, alluminio + minerali preziosi: oro,
argento tungsteno
 non metallici  asbesto, mica, zolfo, salgemma (industria); nitrati, fosfati (agricoltura);
argilla, marmo, pietra (edilizia)
 materie prime energetiche  carbone, petrolio, gas, uranio
La distribuzione dei minerali sulla crosta terrestre è altamente ineguale: i giacimenti dipendono
dalla conformazione geologica.
Estrazione tramite miniere e cave (superficiali).

Risorse e riserve
Non tutto oggi è economicamente sfruttabile.
Allora oggi distinguiamo fra:
 risorse  sono i depositi indicati come probabili, ma sfruttabili a costi non competitivi o che
ancora non sono stati identificati con certezza
 riserve  concetto più ristretto, riferito ai soli elementi effettivamente disponibili per i quali
sussistono le condizioni tecnologiche, economiche e politiche per l’immediato sfruttamento
Detta classificazione muta nel tempo: nuove scoperte, nuove convenienze.

Geografia mineraria: 4 tipologie regionali


1. l’Europa occidentale e il Giappone sono aree altamente consumatrici, ma scarsamente
dotate di materie prime: approvvigionamento rispettivamente da Africa e Pacifico.
L’Australia è fornitore per l’Asia orientale (Giappone, Cina).
2. l’America settentrionale è altamente consumatrice ed esportatrice di determinati minerali.
L’America Latina è il maggior fornitore.
3. sino a pochi decenni fa Russia ed Est europeo costituivano un’area chiusa.
Gli accordi di fornitura di prodotti minerari verso l’Europa occidentale e il Giappone hanno
mutato questa realtà, e le esportazioni dei paesi CSI (Comunità Stati Indipendenti) sono
per circa due terzi materie prime.
4. i paesi del Sud del mondo, tradizionalmente esportatori, devono essere suddivisi al loro
interno: gran parte delle riserve è concentrata in un numero limitato di paesi

Il consumo globale di energia


Le risorse energetiche non rinnovabili
Le risorse energetiche non rinnovabili comprendono:
1. combustibili fossili
2. uranio
I combustibili fossili sono alla base delle rivoluzioni industriali dalla fine del '700 ad oggi.
Derivano da residui sepolti di piante e animali vissuti migliaia di anni fa.
Nel tempo sabbia e altre sedimentazioni hanno ricoperto questi depositi mentre il calore e la
pressione li hanno gradualmente trasformati in carbone, petrolio o gas naturale.

Il petrolio, produzione e consumo


Sebbene non rinnovabile, è una fonte di energia versatile per i paesi industrializzati che hanno le
infrastrutture per poterlo estrarre, raffinare e trasportare:
1. può essere bruciato come carburante per il riscaldamento degli edifici o per generare
energia elettrica
2. può essere raffinato e trasformato in benzina, cherosene o gasolio
3. dal petrolio deriva una larga parte di oggetti di uso quotidiano, così come i cosmetici e
qualche farmaco
Se si escludono il Venezuela e il Canada, le maggiori riserve di petrolio si concentrano intorno al
Golfo Persico. Qui i maggiori produttori si sono riuniti nell'OPEC (Organizzazione dei Paesi
Esportatori di Petrolio), influente organizzazione nata nel 1960 per contrastare l'ingerenza delle
compagnie petrolifere occidentali.
Il Canada ha grandi riserve di petrolio grazie alle sabbie petrolifere, estratte in cave aperte e il cui
primo prodotto è il bitume, una sorta di petrolio grezzo più pesante e di minor valore che deve
essere trattato e preparato per la raffinazione.
Disparità geografiche
Nel 2015 gli USA hanno consumato più petrolio di quanto hanno prodotto e quasi il doppio rispetto
alla Cina (secondo consumatore proprio dietro gli USA).
I paesi industrializzati sono responsabili della sproporzione del consumo quotidiano globale di
petrolio.
In un solo giorno si consumano circa 90 milioni di barili di greggio (1 barile = circa 160 litri), di cui
circa il 60% viene utilizzato dai 30 paesi più ricchi al mondo.
Negli ultimi anni assistiamo ad una crescita significativa del consumo di petrolio da parte di Cina e
India.
Tra il 1997 e il 2007 il consumo in Cina è aumentato dell'88%, in India del 50%. Nello stesso
periodo negli USA è aumentato dell'11% e nel mondo del 16%.

Carbone
Il carbone deriva da depositi legnosi di alberi e piante parzialmente decomposte accumulatisi in
ambienti paludosi tra 300 e 400 milioni di anni fa.
È il combustibile fossile più abbondante e diffuso al mondo. Secondo il rapporto R/P (riserve
produzione) le riserve di carbone potranno durare ancora 133 anni.
Dopo il petrolio, è oggi il secondo combustibile fossile e viene utilizzato essenzialmente per
produzione di energia.
Cina e India sono rispettivamente prima e seconda sia per produzione che per consumo.

I problemi del carbone


Cave a cielo aperto: un metodo di estrazione con pesanti impatti sull'ambiente.
La combustione del carbone rilascia mercurio, anidride solforosa e ossido d'azoto, formando
sostanze acide che cadono sulla Terra con la pioggia e la neve.
La pioggia acida, anche nota come deposizione acida umida, è la ricaduta sul suolo di particelle e
molecole acide a causa di precipitazioni atmosferiche, con effetti negativi su fauna, flora, suolo e
oggetti costruiti.

Il mountaintop removal
Metodo di estrazione molto controverso.
Sebbene sia in grado di produrre proficuamente numerose tonnellate di carbone, ha massicce
alterazioni paesaggistiche e modifica i bacini a livello locale e regionale.
Si divide in 5 fasi:
1. rimozione della cima delle montagne
2. riempimento delle valli
3. estrazione del carbone
4. ripristino del sito
5. rimodellamento del terreno

Gas naturale
Miscele diverse di idrocarburi il cui componente base è il metano associato a vari altri gas
(propano, butano, pentano).
Terza fonte di energia al mondo (seconda in Italia).
Quasi il 60% del gas estratto proviene da tre soli paesi: Russia, USA e Canada.
Il gas naturale è meno dannoso per l’ambiente in quanto produce minori emissioni.
Tuttavia ha elevati costi di trasporto dovendo essere distribuito a pressione attraverso gasdotti o
attraverso navi metaniere.
Ciò comporta una commercializzazione del prodotto molto frazionata.
Le riserve mondiali accertate di gas naturale sono di circa 144 miliardi di metri cubi, per il 40%
situate in Russia.

L’Uranio e l’energia nucleare


L'Uranio è un elemento naturalmente radioattivo che si trova in alcuni minerali.
Non è un combustibile fossile ma è comunque una risorsa non rinnovabile.
L'Uranio viene usato prevalentemente per generare energia nucleare, riscaldando l'acqua e
producendo vapore che andrà poi a mettere in modo delle turbine in grado di generare elettricità.
Oggi l'energia nucleare costituisce il 6% dell'energia consumata in tutto il mondo e la
distribuzione delle centrali nucleari è altamente irregolare e concentrata nei paesi industrializzati.
L'utilizzo di energia nucleare presenta un certo numero di vantaggi tra cui:
1. la possibilità di immagazzinare il materiale nucleare per molto tempo (a differenza di
petrolio, carbone e gas naturale)
2. miglior rapporto tra quantità di combustibile ed energia prodotta
3. minori danni causati al territorio rispetto a combustibili fossili
4. basso livello di emissioni di anidride carbonica che produce

Nonostante i suoi vantaggi, l'energia nucleare è poco utilizzata globalmente per i seguenti motivi
1. la capacità di gestire e controllare la produzione di energia nucleare richiede conoscenze e
competenze specializzate
2. la costruzione di un reattore nucleare presenti costi enormi dell'ordine di miliardi di dollari
3. le centrali nucleari richiedono complesse infrastrutture di supporto, quali generatori di
corrente, siti appropriati per lo stoccaggio delle scorie (che possono essere radioattive per
100.000 anni) e la loro gestione e altre strutture
4. inoltre la produzione di energia nucleare è soggetta a rischi catastrofici
Una storia di disastri
Chernobyl
Il 26 Aprile 1986 l'esplosione del reattore 4 libera un'enorme quantità di grafite e provoca un incendio che
disperde nell'aria isotopi radioattivi.
Nei giorni successivi la nube radioattiva attraversa tutta l'Europa.
Il conteggio delle vittime è ancora oggi controverso:
 il Chernobyl Forum ha stimato 4.000 morti per leucemie e tumori su un arco di 80 anni
 il Partito Verde Europeo sostiene che le morti presunte siano almeno il doppio, tra 30 e 60mila
morti in eccesso nella popolazione mondiale dopo il disastro
Fukushima
Il 24 Maggio 2011 si verificò in Giappone un terremoto, seguito da uno tsunami le cui onde colpirono in
pieno la centrale atomica di Fukushima con conseguenti gravi danni alla centrale e fuoriuscita di radiazioni.
Nei giorni successivi 184.670 abitanti in un raggio di 40 kmq furono evacuati.
L'area contaminata secondo il governo giapponese è estesa 13mila kmq (metà della Sicilia).

Il nucleare in Italia
In Italia il primo Piano Energetivo Nazionale (PEN) varato nel 1975 prevedeva la costruzione di
diverse centrali nucleari.
Furono costruite quelle di Latina, Sessa Aurunca (CE), Trino (VC) e Caorso (PC).
In seguito all'incidente di Chernoby, nel 1987 furono promossi ben 3 referendum nei quali circa
l'80% dei votanti si dichiarò contrario al nucleare. Le centrali funzionanti furono chiuse.
Nel 2011, dopo l'incidente di Fukushima, in un nuovo referendum abrogativo si mise
definitivamente fine al programma nucleare italiano (94% votanti favorevoli).

Centrali nucleari in Europa

L’energia da biomassa
La biomassa è l'insieme del materiale organico non fossile di un ecosistema, che
comprende la massa animale e vegetale, i suoi scarti e i suoi residui.
Esistono due modi di ottenere energia dalle biomasse:
1. diretta = bruciare il materiale non trattato e usare l'energia per il riscaldamento
2. indiretta = conversione della biomassa in gas (biogas) o combustibile liquido
(biocarburante)
La biomassa è il principale tipo di risorsa rinnovabile utilizzata nel mondo.
Gran parte della domanda è associata al suo utilizzo come combustibile per cucinare (legna da
ardere, sterco, torba), con grossi problemi legati alla deforestazione.

L’energia idroelettrica
Sfruttata a livello globale per meno di 1/3 del suo potenziale, riguarda essenzialmente aree della
Cina, Russia, America Meridionale, l'Himalaya, il Canada e le Alpi.
Su base pro capite il Nepal ha uno dei maggiori potenziali idroelettrici nel mondo.
Le grandi dighe tuttavia pongono grossi problemi ambientali sconvolgendo gli ecosistemi e
l'economia delle comunità locali.
Oggi le piccole strutture idroelettriche (PSI) costituiscono un'alternativa sostenibile alle grandi
dighe.

Energia eolica
Il sole può essere considerato anche la fonte dell'energia eolica, dato che i venti sono causati dal
riscaldamento irregolare della superficie terrestre.
Le turbine eoliche convertono l'energia prodotta dallo spostamento delle masse d'aria in elettricità.
Per essere sfruttato a fini commerciali l'eolico prevede la costruzione dei cosiddetti parchi eolici
come la Rampion offshore windfarm in Regno Unito.
L'energia eolica sta crescendo rapidamente ma costituisce ancora una quota minore della
produzione energetica mondiale con l'eccezione della Danimarca, che ha affidato all'eolico il 20%
della propria energia negli ultimi anni.

Energia geotermica
Deriva dall'interno della Terra.
Alte pressioni combinate al lento decadimento radioattivo di elementi del nucleo del pianeta
producono enormi quantità di calore che vengono assorbite da materiali rocciosi sottostanti.
Lungo le fratture della crosta terrestre, come in Islanda, è possibile trovare acqua e materiali
rocciosi estremamente caldi (fino a 150 gradi ad una profondità di circa 3 km).
L'energia geotermica viene sfruttata tramite centrali per estrarre l'acqua calda (in Islanda più
dell'80% delle abitazioni vengono riscaldate con la geotermia) e per produrre energia (25% della
produzione energetica islandese).
La produzione di energia geotermica è relegata a una manciata di paesi tra cui Stati Uniti,
Filippine, Messico, Italia, Indonesia, Giappone, Islanda e Nuova Zelanda.

Crisi energetica inverno 2021

Secondo Jason Bordoff (Internazionale,


Novembre 2021), ci sono 5 ragioni dietro ai forti
aumenti del prezzo dell’energia in Europa e Asia
1. eventi meteorologici estremi (inverno
eccezionalmente rigido in Asia,
primavera fredda in Europa,
temperature gelide nel sud degli USA
e conseguente riduzione delle
esportazioni di gas naturale in Asia e
altre regioni, estate molto calda
nell’emisfero nord)
2. difficoltà con altre fonti: (produzione
energia eolica in Europa inferiore a
causa di lunghi periodi senza vento;
siccità in Cina e Sudamerica e minor
produzione di energia idroelettrica,
processo di denuclearizzazione in Germania)
3. ripresa economica e ripresa dei consumi
4. calo di forniture da parte dell’azienda statale russa Gazprom (ragioni tecniche o politiche?),
problemi di produzione e manutenzione gasdotti in altri paesi produttori
5. politiche sul clima in Europa

Crisi energetica 2022

Alle problematiche già presenti


nel 2021, da Febbraio 2022 si è
aggiunta la guerra in Ucraina.
Prospettive allarmanti su
aumenti spropositati del prezzo
del gas (e conseguentemente
dell’energia elettrica), rese
ancor più fosche dai sabotaggi
ai gasdotti Nord Stream di
Settembre 2022.

Potrebbero piacerti anche