LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
Introduzione alla lettura
della Lettera agli Ebrei
X Mario Russotto
Vescovo di Caltanissetta
la nuova alleanza
in cRisto gesù
Introduzione alla lettura
della Lettera agli Ebrei
Caltanissetta
2023
In copertina:
Gesù Cristo Sommo Sacerdote
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE:
Salvatore Tirrito - Curia Vescovile Caltanissetta
STAMPA E LEGATURA:
Tipolitografia Paruzzo - Caltanissetta
indice
1. Autore e destinatari 7
2. Genere letterario 9
3. Struttura 11
4. L’Incarnazione 13
5. Il Sacerdozio 22
6. La nuova ed eterna Alleanza 28
7. Un tempio di carne 34
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1. Autore e destinatari
Nella tradizione della Chiesa – soprattutto della
Chiesa d’Oriente – questo nostro Libro biblico era
ordinariamente attribuito a San Paolo; veniva
quindi incluso nel corpus paulinum, come una delle
Lettere scritte dall’Apostolo. Il famoso biblista
Erich Grässer, professore di Nuovo Testamento alle
Università di Marburg e di Bonn, è stato il primo
ad affermare che il nostro è il Libro biblico dei “tre
no”, cioè: non è una lettera, non è di San Paolo, non
è indirizzato agli Ebrei.
Già all’inizio del III secolo d. C. il grande Origene
di Alessandria affermava: «Solo Dio sa chi abbia
scritto la Lettera agli Ebrei». Certamente non è San
Paolo l’autore, anche perché la Lettera agli Ebrei si
chiude così: «Il Dio della pace che ha fatto tornare dai
morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue
di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda
perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua
volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo
di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli.
Amen» (Eb 13,20-21).
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
Dopo l’Amen troviamo una aggiunta redazio-
nale, questa sì può essere di Paolo, con la quale si
raccomanda l’accoglienza, la lettura e la medita-
zione di «questa parola di esortazione», si dà notizia
di Timoteo e si chiede di porgere il saluto a tutti i
cristiani, anche da parte dei cristiani dell’Italia: «Vi
raccomando, fratelli, accogliete questa parola di esorta-
zione; proprio per questo molto brevemente vi ho scritto.
Sappiate che il nostro fratello Timoteo è stato messo in
libertà; se arriva presto, vi vedrò insieme con lui. Salutate
tutti i vostri capi e tutti i santi. Vi salutano quelli d’Italia.
La grazia sia con tutti voi» (Eb 13,22-24).
San Paolo quindi accredita con le sue parole
finali «questa parola di esortazione», che non è sua.
Sempre Origene afferma: «Secondo la tradizione
giunta fino a noi, alcuni sostengono che l’abbia
scritta Clemente, colui che fu Vescovo di Roma;
secondo altri invece a scriverla fu Luca, l’autore del
Vangelo e degli Atti». Oggi qualche studioso
sostiene che l’autore potrebbe anche essere Barnaba
(“figlio dell’esortazione”); comunque è certo che
non è Paolo – anche se probabilmente è stato lui
con il suo insegnamento a ispirare questo testo – e
l’autore resta anonimo e incerto.
I destinatari non sono gli Ebrei da convertire al
cristianesimo, ma cristiani già maturi e avanti nel
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
cammino di fede, come leggiamo in due passaggi,
per esempio: «Siamo diventati infatti partecipi di
Cristo, a condizione di mantenere salda sino alla fine la
fiducia che abbiamo avuta da principio» (Eb 3,14);
«Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, che
hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi
dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di
Dio e le meraviglie del mondo futuro. Tuttavia se sono
caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta
portandoli alla conversione» (Eb 6,4-6).
I destinatari sono dunque cristiani sparsi nel
mondo (di allora conosciuto), che hanno familiarità
con l’ambiente ebraico e con la Bibbia, conoscono le
tradizioni e il culto ebraico. Probabilmente sono
Ebrei ellenisti diventati cristiani già da tempo e fra
di essi potrebbero anche esserci diversi Sacerdoti. E
sono cristiani provenienti dall’ambiente giudaico
un po’ in crisi e scoraggiati, forse anche con tanta
nostalgia nel cuore per il tempio di Gerusalemme e
le belle liturgie… che non sono più.
2. Genere letterario
Abbiamo detto che questo testo non è una
“lettera”. Questo genere letterario infatti ha delle
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
specifiche caratteristiche: mittente, destinatari,
saluti (iniziali e finali), notizie e informazioni di chi
scrive, ecc. La Lettera agli Ebrei non ha niente di
tutto questo, fatta eccezione per i tre versetti
conclusivi posti dopo l’Amen che chiude di per sé
tutto il testo.
Proprio in questa aggiunta redazionale si parla
del genere letterario del nostro testo: «Vi
raccomando, fratelli, accogliete questa parola di esorta-
zione» (Eb 13,22). Parola di esortazione nel testo
greco è logos pareclèseos, cioè discorso di esortazione,
predica esortativa. E infatti pare proprio che si tratti
di una omelia biblica, una predica o, se volete, un
discorso teologico molto lungo, articolato, solenne.
Nel corso della Lettera agli Ebrei si alternano
dottrina teologica ed esortazione pastorale,
dottrina e indicazioni spirituali su come vivere la
fede cristiana. In fondo è una catechesi profondis-
sima sul mistero di Cristo Gesù, che è Figlio di Dio
ed Egli stesso Dio, pienamente uomo perché Dio
incarnato, Sommo Sacerdote capace di stabilire la
nuova definitiva eterna alleanza fra Dio e
l’umanità, abbattendo ogni barriera e creando
unità, aprendo uno squarcio nel Cielo: «Anche noi
dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni,
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia,
corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti,
tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfeziona-
tore della fede» (Eb 12,1-2). E così «Avendo piena libertà
di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù,
per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato
per noi attraverso il velo, cioè la sua carne; avendo noi
un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci
con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori
purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con
acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione
della nostra speranza, perché è fedele colui che ha
promesso» (Eb 10,19-23).
3. Struttura
Il più grande studioso della struttura letteraria
della Lettera agli Ebrei credo che senza alcun
dubbio sia Albert Vanhoye, mio professore e
Rettore del Pontificio Istituto Biblico, creato
cardinale da Papa Francesco e oggi già in Cielo.
Egli, in base ai temi annunciati e a diversi altri
importanti dettagli letterari ha individuato nel
nostro Libro biblico cinque parti, comprese fra un
prologo e una conclusione, più l’aggiunta reda-
zionale.
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
Il testo pertanto risulterebbe così composto:
a. Prologo (Eb 1,1-4);
1. Cristo Gesù: superiore agli angeli, fratello
pienamente solidale con l’umanità (Eb 1,5-
2,18);
2. Cristo Gesù Sommo Sacerdote credibile e
misericordioso (Eb 3,1-5,10);
3. Cristo Gesù Sommo Sacerdote e causa di
eterna salvezza (Eb 5,11-10,39);
4. Fede, con l’esempio degli antichi, e perseve-
ranza nell’oggi (Eb 11,1-12,13);
5. Esortazione a camminare nella via della
santità e della pace (Eb12,14-19);
b. Conclusione con una dossologia finale (Eb
13,20-21);
c. Aggiunta redazionale o biglietto di accompa-
gnamento.
L’intera Lettera agli Ebrei è attraversata
fondamentalmente da tre temi, ognuno dei quali
poi presenta varie articolazioni. Il primo è la nuova
definitiva eterna Alleanza in Cristo Gesù; il secondo,
consequenziale e funzionale al tema centrale
dell’Alleanza, è il Sacerdozio di Cristo Gesù; il terzo
è l’Incarnazione – Dio si fa carne nel grembo di Maria
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
prendendo volto d’uomo in Cristo Gesù –, che noi
spesso intendiamo come un fatto compiuto una
volta e concluso, invece continua ancora oggi
perché è il farsi carne della Parola, per cui ogni volta
che noi ascoltiamo, meditiamo, custodiamo nel
cuore e incarniamo nella quotidianità la Parola di
Dio stiamo prolungando l’Incarnazione.
4. L’Incarnazione
4.1. In ogni “oggi”
Vorrei cominciare proprio dall’ultimo di questi
tre temi per arrivare al primo, che è quello centrale.
Nel Prologo leggiamo: «Dio, che molte volte e in
diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per
mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato
a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte
le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Questo
figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della
sua sostanza, e sostiene tutto con la potenza della sua
parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si
è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli ed è
diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente
del loro è il nome che ha ereditato» (Eb 1,1-4).
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
Se teniamo presente che questo testo è una omelia
teologica ed esortativa alle comunità cristiane di
origine ebraica ed è rivolta, come la stessa Lettera
agli Ebrei recita al capitolo 13, alle comunità di ieri,
di oggi e di sempre, significa che quando l’autore
dice: «ultimamente, in questi giorni ha parlato a noi per
mezzo del Figlio» non si riferisce soltanto al momento
della vita terrena di Gesù ma anche all’oggi, a questi
nostri giorni: «Oggi, se ascoltate la sua voce non
indurite il vostro cuore» (Eb 3,15).
Anche nei vangeli ricorre più volte questo
“oggi”: «Oggi vi è nato nella città di Davide un
Salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,11); nella
sinagoga di Nazareth Gesù dichiara: «Oggi si è
adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con
i vostri orecchi» (Lc 4,21); sul monte Tabor al
momento della Trasfigurazione di Gesù una voce
dal cielo proclama: «Questi è il Figlio mio, l’amato,
ascoltatelo» (Lc 9,35); a Gerico Gesù dice al capo dei
pubblicani: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi
devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5) e poi: «Oggi la
salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è
figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto
a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,9-
10); al buon ladrone assicura: «In verità ti dico, oggi
sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43).
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
Nel Prologo, la Lettera agli Ebrei presenta Gesù
come «il Figlio»: questa è la prima qualifica
fondamentale. Poi Gesù viene definito «la Parola»;
infine si dice che questo Figlio «è tanto superiore agli
angeli quanto più eccellente è il nome che ha ricevuto»
(Eb 1,4). E qui non possiamo non richiamare la
Lettera ai Filippesi (Fil 2,6-11), quell’inno in cui San
Paolo canta la kènosi di Cristo, lo spogliamento del
Figlio di Dio che «non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio ma ha svuotato se
stesso, ha assunto la condizione di schiavo, si è
umiliato facendosi obbediente fino alla morte e alla
morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli
ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro
nome, per cui nel nome di Gesù ogni ginocchio si
pieghi nei cieli, in terra e sottoterra e ogni lingua
proclami che Gesù è il Signore». Nel nostro testo
viene ripreso quell’inno e si dice che Gesù, il Figlio
e la Parola, ha un nome più eccellente di ogni altro
nome.
4.2. Un gioco a perdere
Nell’inno della Lettera ai Filippesi San Paolo ci
fa vedere come in Dio c’è un grande gioco d’amore
fondato sulla scelta di saper perdere e perdersi per
amore, in una obbedienza reciproca fra il Padre e
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
il Figlio. Il Figlio si perde e perde tutto per amore
«obbediente fino alla morte e alla morte di croce»
e il Padre lo premia ponendolo al di sopra di sé,
perché “il Nome” per eccellenza, hashem in ebraico,
è quello di YHWH, cioè quello di Dio rivelato a
Mosè in Esodo 3,14. Di conseguenza il Padre,
vedendo il Figlio che per obbedienza perde tutto
nell’amore, gli dà un premio, lo mette al di sopra
di sé e adesso hashem, “il Nome” – con il quale
tutt’oggi gli Ebrei chiamano Dio, perché il nome di
Dio non si pronuncia – non è più quello del Padre
ma è quello del Figlio ed è nel nome del Figlio, il
Signore, che «ogni ginocchio si pieghi nei cieli, in
terra e sottoterra».
Gesù è il Figlio ed è la Parola e, siccome ha
parlato fino a perdersi per amore, adesso il suo
Nome è «più eccellente di ogni altro nome». Il
confronto dunque non è con i nostri nomi, ma con
quello di Dio Padre rivelato a Mosè. Quindi il Figlio,
Dio come il Padre, è posto dal Padre al di sopra di
sé. Ecco allora le tre determinazioni: Gesù è il Figlio,
è la Parola ed è Dio, posto dal Padre al di sopra di
sé nell’ambito della Trinità.
La conseguenza è espressa in Eb 2,1: «Proprio per
questo bisogna che ci applichiamo con maggiore impegno
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
a quelle cose che abbiamo udito per non andare fuori
strada». Proprio perché ci è rivelato tutto questo, il
nostro compito consiste nel farci uditori della
Parola, anzi di più: dobbiamo dare carne alla Parola
perché diversamente siamo deviati e smarriti. E qui
riecheggia il Salmo 119: «Lampada ai miei passi è
la tua parola, luce sul mio cammino». Senza
l’ascolto, la custodia e l’incarnazione di questa
Parola nella vita di ciascuno, noi camminiamo fuori
strada.
4.3. Fratello tra fratelli
Ecco un’altra conseguenza che troviamo nel
Prologo: «Poiché dunque i figli hanno in comune il
sangue e la carne, anch’Egli ne è divenuto partecipe, per
ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della
morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli
che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per
tutta la vita» (Eb 1,14-18). Qui si riprende la teologia
della Lettera ai Filippesi: «Obbediente fino alla
morte e alla morte di croce… per questo Dio lo ha
esaltato».
Gesù ci libera dalla morte attraverso la sua
morte. Non muore per avere Lui la vita, muore per
dare a noi la vita e per questo il Padre ridà vita al
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
Figlio risuscitandolo da morte. Infatti, non è Gesù
che si autorisuscita, è il Padre che lo risuscita perché
Lui morendo ha liberato noi dalla morte, tanto è
vero che il testo continua: «Egli infatti non si prende
cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende
cura – stiamo parlando del Figlio, che è la Parola ed
è Dio – perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli
– ecco la fondamentale teologia dell’Incarnazione
– per diventare un sommo sacerdote misericordioso e
fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare
i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo
alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado
di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb
2,16-18).
Questa parte finale del capitolo 2 della Lettera
agli Ebrei è determinante perché il verbo che
domina questi versetti è omoiōthēnai, che in italiano
potremmo rendere con “omologarsi”. Dio in Cristo
si è così tanto e veramente incarnato – altrimenti
non poteva morire – da omologarsi ai fratelli,
quindi si è fatto uomo e così simile agli uomini da
diventare fratello tra fratelli. Già questa parola è di
una ricchezza straordinaria, perché quando
l’autore dice che Gesù è il Figlio, è la Parola ed è
Dio e poi dice che attraverso la sua morte noi siamo
liberati dalla morte e aggiunge che «si è fatto simile
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
ai fratelli», significa dichiarare che noi siamo figli di
Dio. Noi oggi siamo la Parola che illumina e fa in
modo che il mondo non vada fuori strada perché
Gesù si è fatto in tutto simile ai fratelli e, così
facendo, ha reso i fratelli in tutto simili a Lui!
Questa è una rivelazione dirompente della
Lettera agli Ebrei! L’assimilazione di Gesù a noi,
elevati da Lui al rango di fratelli, consiste innanzi-
tutto nell’essere stato messo alla prova e avere
sofferto personalmente e non per interposta
persona. Gesù dunque non ha “visto” la sofferenza,
ma ha sofferto personalmente ed è stato messo alla
prova: «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che
non sappia compatire le nostre infermità essendo stato
egli stesso provato in ogni cosa a somiglianza di noi,
escluso il peccato. Accostiamoci dunque al trono della
grazia per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere
aiutati nel momento opportuno» (Eb 4,15-16).
Si insiste qui sul fatto che questa assimilazione
del Figlio, che è la Parola ed è Dio, consiste soprat-
tutto nell’esperienza personale della sofferenza e
della prova, quindi nella condivisione in tutto della
nostra finitudine, della nostra debolezza, della
nostra fragilità. Questo è il motivo per cui San Paolo
– quando deve parlare della forza del cristiano e
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
deve trovare le ragioni della sua resilienza, della
sua risalita dal peccato e anche dall’abbattimento e
dalla debolezza – dice che Cristo si è fatto
debolezza, quindi Gesù non ci tira fuori dalle nostre
debolezze dall’alto ma da dentro, per questo dice
a Paolo: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza
infatti si manifesta pienamente nella debolezza»
(2Cor 12,9). Per questo Paolo scrive: «Mi vanterò
ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori
in me la potenza di Cristo» (2Cor 12,9).
4.4. Uomini… per dare “corpo” alla Parola
Nel capitolo 5 si spiega in modo straordinaria-
mente chiaro fino a che punto il Figlio si è incarnato:
«Proprio per questo nei giorni della sua carne egli offrì
preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che
poteva salvarlo da morte e fu esaudito per la sua
“eulabèia” – dice il testo greco, cioè la sua “felice
consegna” –. Essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò
che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna
per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,7-9).
Comprendiamo, dunque, come davvero Gesù –
vero Dio e vero uomo – è il Figlio di Dio incarnato!
Addirittura ha gridato, ha pianto e ha fatto del suo
grido e del suo pianto una liturgia, una offerta al
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
Padre che poteva liberarlo dalla morte e «fu
esaudito». Qui sorge spontanea la domanda: come
è stato esaudito se è morto? Ecco: il Figlio è stato
esaudito proprio perché ha accettato di consegnarsi
nella morte al Padre fidandosi di Lui; e il Padre lo
ha liberato dalla morte facendogli attraversare la
morte, che è il limite per eccellenza di ogni essere
umano. È lì che Gesù Figlio di Dio dà prova di
essersi incarnato, perché Dio non può morire; nel
momento in cui Dio muore è completamente uomo
come noi.
L’autore della Lettera agli Ebrei vuole
dimostrare questo mistero dell’Incarnazione e lo fa
ancora al capitolo 10: «Entrando nel mondo Cristo
dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo
invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né
sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo
– poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o
Dio, la tua volontà”» (Eb 10,5-7). Qui si cita il Salmo
41, dal quale viene ripreso il tema dell’incarnazione
e Gesù dice: «Un corpo mi dai dato».
Questa è l’offerta più gradita al Padre. Di
conseguenza noi, uomini e donne, non siamo
chiamati ad “angelizzarci” per essere graditi a Dio
Padre, anzi dobbiamo essere ancora più uomini e
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
donne, veri uomini e vere donne ricchi di umanità;
non dobbiamo “decorporeizzarci” per essere
spirituali, ma siamo spirituali nella misura in cui la
Parola di Dio prende corpo nel nostro corpo. È
attraverso la corporeità, e non a prescindere da essa,
che noi diamo lode a Dio, incontriamo i fratelli,
viviamo l’offerta di noi stessi.
5. Il Sacerdozio
5.1. Gesù Sacerdote misericordioso e fedele
Il secondo tema-chiave che attraversa la Lettera
agli Ebrei è il Sacerdozio. Per comprendere che tipo
di Sacerdozio è quello del Figlio, che è la Parola ed
è Dio ed è uomo pienamente incarnato, dobbiamo
tornare al capitolo 2: «Doveva rendersi in tutto simile
ai fratelli per diventare un sommo sacerdote misericor-
dioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di
espiare i peccati del popolo» (Eb 2,17).
Abbiamo qui due definizioni o “qualità” di Gesù
Sacerdote: misericordioso e fedele, ma queste due
definizioni-qualità sono precedute dall’espressione
«per diventare sommo sacerdote»; dunque Gesù era
laico, se con questo termine vogliamo indicare il “non
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
prete”. Gesù non era sacerdote e non lo era perché
nella tradizione ebraica si era sacerdote in quanto
figlio di un sacerdote, cioè per generazione naturale.
Gesù non era sacerdote, è diventato Sacerdote, anzi
«sommo sacerdote misericordioso e fedele».
Qui troviamo due termini fondamentali:
eleēmōn e pistos. Il termine eleēmōn dice la tenerezza
di Dio, la qualità propria di Dio “il Misericordioso”,
indica dunque la maternità, le viscere materne della
paternità di Dio. Gesù è il Sommo Sacerdote che
rappresenta la qualità propria di Dio in quella
tenerezza viscerale e materna propria della divina
paternità. L’aggettivo che segue, pistos, non
significa primariamente “fedele”, ma “degno di
fede”, “accreditato” e “credibile”. Gesù quindi
diventa Sommo Sacerdote con le caratteristiche
proprie di Dio Padre ed è degno di fede, cioè
accreditato e credibile in tutta quella sfera che
riguarda Dio, perché solo in quanto Dio misericor-
dioso e accreditato e credibile Lui può espiare i
nostri peccati.
5.2. Reso perfetto sull’altare della croce
Al capitolo 5 la Lettera agli Ebrei descrive
com’era il sommo sacerdote nella tradizione
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
ebraica, per permetterci di capire poi il Sacerdozio
di Gesù: «Ogni sommo sacerdote, preso di tra gli uomini
viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che
riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione
per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo
anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli
deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come
fa per il popolo» (Eb 5,1-3).
Il sommo sacerdote viene «preso di tra gli uomini»
e viene costituito sommo sacerdote «per il bene degli
uomini», non per se stesso né per la sua realizza-
zione. Ed è sommo sacerdote costituito per il bene
degli uomini se si occupa delle «cose che riguardano
Dio». Solo così può fare il bene degli uomini. Inoltre,
per capire i suoi fratelli, cioè gli uomini di mezzo
ai quali è stato preso, deve sentire compassione per
loro e perché questo avvenga bisogna che sia
autentico e vero, cioè che abbia consapevolezza di
essere rivestito di debolezza come i suoi fratelli.
Nel rito ebraico il sommo sacerdote doveva
«offrire sacrifici» innanzitutto «per se stesso» così da
purificarsi; soltanto dopo poteva offrire sacrifici per
il popolo perché la debolezza è anche sua, non è
solo del popolo, e lui non sta un gradino più in alto,
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
è solo «scelto di tra gli uomini». Il sommo sacerdote
deve avere a che fare con Dio e con le cose che
riguardano Dio, ma è scelto per restare con gli
uomini condividendo con compassione la loro
debolezza, perché fa egli stesso per primo
esperienza di debolezza e dunque, prima di offrire
sacrifici per la purificazione del popolo, deve
offrirli per se stesso. Questo è il sacerdozio antico.
Vediamo adesso quello che accade a Gesù: «Per
questo nei giorni della sua carne egli offrì preghiere e
suppliche, con forti grida e lacrime, a colui che poteva
liberarlo da morte e venne esaudito per il suo felice e
gioioso consegnarsi. Pur essendo Figlio – Figlio e
dunque Parola, e dunque Dio, come dice il Prologo
– imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto,
divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli
obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo
sacerdote alla maniera di Melchìsedek».
Qui, con il verbo “reso perfetto” c’è la consacra-
zione di Gesù, che era laico e diventa sacerdote!
Quando veniva consacrato il sommo sacerdote, sia
in Israele sia in Egitto, il nuovo sommo sacerdote
presentava le mani a “coppa” e il sacerdote
anziano, che lasciava il suo ministero, gli riempiva
le mani con olio sacro. La consacrazione era dunque
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
un “riempimento”, che in greco si dice “rendere
perfetto”.
E quando Gesù è stato consacrato sommo
sacerdote da Dio Padre, non certamente da un altro
sommo sacerdote? Ecco la risposta: «Reso perfetto
dalle cose che patì», dunque… sulla croce! Quello è
il suo altare! Gesù è stato consacrato sommo
sacerdote alla fine della sua vita, solo per tre ore,
ma bastano quelle tre ore perché Egli da laico
diventasse sommo sacerdote e fosse, morendo,
«causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono,
essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla
maniera di Melchisedek».
Nessuno sa da dove arriva Melchisedek, il suo
sacerdozio è un mistero, ma lui ha benedetto
Abramo, il capostipite del popolo ebraico, quindi
aveva un potere superiore a quello di Abramo
anche se nessuno conosce la sua discendenza.
Anche il sommo sacerdozio di Gesù non è per
generazione naturale, ma per elezione divina: è Dio
Padre che lo consacra sommo sacerdote sulla croce,
«dalle cose che patì». Gesù vive la sua liturgia sulla
croce come un’offerta e una preghiera, una
preghiera che lo crocifigge e lo tocca nell’anima:
«Offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime».
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
5.3. Un sacerdozio speciale
Lo speciale sacerdozio di Gesù viene così
spiegato: «Tale era, infatti, il sommo sacerdote che ci
occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai
peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno,
come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno,
prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: egli
ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso. La
Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti
a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla
Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per
sempre» (Eb 7,26-28).
La Lettera agli Ebrei sottolinea cinque “qualità”
di Gesù sommo sacerdote: santo, innocente, senza
macchia, separato dai peccatori, elevato sopra i
cieli.
Santo significa appartenente a Dio. Innocente è
una qualità propria di Dio: nessun sacerdote infatti
è innocente, perché abbiamo tutti la macchia del
peccato, non solo del peccato originale ma anche
dei peccati di ogni giorno. Gesù è innocente perché
«si è fatto in tutto simile ai fratelli escluso il peccato»,
quindi è innocente, senza macchia, separato dai
peccatori. Gesù non è peccatore!
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
Il mistero di Cristo Gesù sommo sacerdote sta
nel suo essere Figlio di Dio, Parola di Dio, Dio stesso
e insieme pienamente Uomo, in tutto simile a noi
tanto che ci ha elevato alla condizione di figli e di
fratelli, ma simile in tutto a noi escluso il peccato;
per questo è separato dai peccatori.
Il dramma di Gesù tuttavia sta nel fatto che Lui
si fa peccato! Lui che non aveva conosciuto peccato
Dio lo trattò da peccato in nostro favore, non da
“peccatore” perché Gesù non ha commesso peccati,
ma ha preso su di sé il peccato di tutta l’umanità
da Adamo fino all’ultimo uomo che ci sarà sulla
terra. Poi si chiarisce ulteriormente che «egli non ha
bisogno di offrire sacrifici ogni giorno prima per i propri
peccati e poi per quelli del popolo: egli ha fatto questo una
volta per tutte offrendo se stesso». Gesù non ha offerto
sacrifici per purificarsi e poi poter purificare, ma ha
offerto se stesso e dunque «la parola del giuramento
costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre».
6. La nuova ed eterna Alleanza
6.1. Il fine dell’incarnazione
La nuova ed eterna Alleanza è il tema centrale
della Lettera agli Ebrei ed è il fine dell’Incarnazione.
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
Dio Figlio non si fa uomo primariamente per
liberarci dal peccato, come di solito pensiamo. Dio
aveva stretto un’alleanza con l’umanità fin dalle
prime pagine della Bibbia, tanto che passeggiava
l’uomo e la donna nel giardino alla brezza del
giorno e Adamo ed Eva riconoscevano «la voce dei
suoi passi» (Gen 3,8). Ma l’uomo e la donna hanno
infranto questa alleanza, tanto è vero che un giorno,
riconoscendo la voce dei passi di Dio, si nascosero
perché erano nudi e ne provavano vergogna.
Dunque lo scopo dell’Incarnazione di Dio Figlio è
ristabilire e costituire definitivamente l’alleanza fra
Dio e l’umanità; un’alleanza definitiva, nuova ed
eterna, che mai più nessuno può rompere,
nemmeno tutti i nostri peccati. E in forza di questa
alleanza noi possiamo accostarci al trono di grazia
per ottenere grazia e trovare misericordia.
Fine dell’Incarnazione è dunque l’Alleanza
nuova ed eterna e il sacerdozio ne è lo strumento.
Ecco come i tre punti chiave della Lettera agli Ebrei
si richiamano a vicenda. È il sacerdote che
costituisce l’alleanza fra il popolo e Dio. Ma
vediamo di che tipo di alleanza si tratta: «Ora invece
egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto
migliore è l’alleanza di cui è mediatore, essendo questa
fondata su migliori promesse. Se la prima alleanza infatti
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne
un’altra. Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice:
“Ecco: vengono giorni, dice il Signore,
quando io concluderò un’alleanza nuova
con la casa d’Israele e con la casa di Giuda.
Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri,
nel giorno in cui li presi per mano
per farli uscire dalla terra d’Egitto;
poiché essi non rimasero fedeli alla mia alleanza,
anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.
E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa
d’Israele
dopo quei giorni, dice il Signore:
porrò le mie leggi nella loro mente
e le imprimerò nei loro cuori;
sarò il loro Dio
ed essi saranno il mio popolo.
Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino,
né alcuno il proprio fratello, dicendo:
Conosci il Signore!
Tutti infatti mi conosceranno,
dal più piccolo al più grande di loro.
Perché io perdonerò le loro iniquità
e non mi ricorderò più dei loro peccati”.
Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la
prima: ma, ciò che diventa antico e invecchia, è
prossimo a scomparire» (Eb 8,6-13).
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
Questo oracolo di Geremia è l’unico testo
dell’Antico Testamento citato per intero nel Nuovo
Testamento, e precisamente nella Lettera agli Ebrei.
Si tratta dell’oracolo della nuova alleanza (Ger
31,31-34) che Geremia ha scritto nel VI secolo a.C.
Anche in Ezechiele, Osea, Isaia, Dio parla sempre
di un’alleanza da fare; questo significa che la prima
alleanza non era efficace; non lo era a tal punto che
subito dopo essere stata stabilita è stata infranta.
Infatti, quando Dio consegna a Mosè le “Dieci
Parole”, Mosè scende dal monte e trova che il
popolo ha già infranto l’alleanza costruendo il
vitello d‘oro, per cui Mosè rompe le tavole dell’al-
leanza, le sbriciola e Dio deve riscriverle una
seconda volta.
Qui si parla invece di un’Alleanza definitiva, che
è lo scopo dell’Incarnazione e che viene stabilita da
Dio stesso dal momento che nessun mediatore è
stato capace di costituirla. È proprio Gesù di Dio
Figlio, Parola ed è Dio e pienamente uomo
costituito sommo sacerdote sulla croce, a stabilire
questa nuova definitiva eterna Alleanza! In questo
testo della Lettera agli Ebrei troviamo il mistero
della morte, redenzione e Alleanza definitiva di
Cristo Gesù.
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
6.2. Dio uomo, sacerdote e vittima
Al capitolo 9 la Lettera agli Ebrei fornisce la
prova che la prima alleanza è davvero antiquata e
invecchiata, e che in fondo non si è mai realizzata,
basta osservare la struttura del tempio di Gerusa-
lemme. In esso c’era il cortile dei gentili, cioè i
pagani che volevano accostarsi alla religiosità
ebraica, e c’era il cortile delle donne; ancora oggi al
Muro del Pianto c’è una separazione: a destra le
donne a capo scoperto, a sinistra gli uomini a capo
coperto. Un’altra separazione si trovava all’interno
del cortile degli uomini dove c’era il settore degli
ammalati, quelli considerati castigati da Dio, e il
cortile degli uomini sani.
C’era poi il cortile dei sacerdoti, quello in cui
venivano uccisi gli animali e fatti i sacrifici.
Entrando poi nella parte più riservata, c’era la
prima Tenda, dove si preparava l’incenso e l’occor-
rente per i riti e lì il sacerdote Zaccaria vede l’angelo
ritto sul lato destro dell’altare dell’incenso che gli
annuncia la nascita di Giovanni Battista. Qui i
sacerdoti andavano a turno, secondo la loro classe.
Poi c’era una seconda Tenda, il Santo dei Santi, dove
poteva entrare solo il sommo sacerdote e solo una
volta l’anno e, prima di entrarvi, doveva offrire un
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
sacrificio di animali per la sua purificazione, poi
preparava nella prima Tenda gli incensi, portava
con sé i resti dell’animale sacrificato da offrire a Dio
per il popolo e alla fine usciva e dava la benedi-
zione. Così avveniva il rituale dell’alleanza antica.
L’autore della Lettera agli Ebrei osserva che basta
solo questo per capire che si trattava di un’alleanza
inefficace, proprio a motivo delle tante separazioni:
fra uomini e donne, fra uomini sani e ammalati, fra
uomini e sacerdoti, fra i sacerdoti e il sommo
sacerdote, fra il sommo sacerdote e la vittima offerta,
dal momento che offriva qualcosa di diverso da sé,
cioè un animale, e per di più con due offerte
separate: una per sé e una per il popolo. Infine c’era
un’ulteriore separazione: fra la vittima offerta e Dio.
Gesù invece non è partito dal basso perché Lui
è Dio, come dice il Prologo: è il Figlio di Dio
superiore agli angeli, ha il nome al di sopra di quello
del Padre perché il Padre glielo ha dato, è la Parola
di Dio ed è Dio, ma «si è fatto in tutto simile agli
uomini», quindi ha abolito la separazione fra Dio e
gli uomini assimilandosi agli uomini; ha abolito
ogni separazione anche con le donne, infatti si fa
bagnare i piedi dalle lacrime di una prostituta, si fa
ungere i piedi da Maria di Betania, dialoga con la
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
samaritana, si fa toccare il lembo del mantello
dall’emorroissa, sta a mensa con Marta e Maria, ha
fra le sue discepole delle donne: Maria di Magdala,
Susanna, Giovanna moglie di Cusa che era l’ammi-
nistratore di Erode (Lc 8,1-3) e tante altre.
Gesù ha abolito anche la separazione fra gli
uomini e il sacerdote: Lui è il sommo sacerdote ma
è in tutto simile agli uomini, anche nella debolezza;
non è separato dai fratelli. Inoltre, la vittima che
Gesù – Dio, uomo, sommo sacerdote – offre è se
stesso; quindi è abolita anche la separazione fra il
sommo sacerdote e la vittima. Infine viene abolita
anche la separazione fra la vittima e Dio perché Lui
è Dio, è la vittima che si offre, è il sommo sacerdote
ed essendo pienamente uomo è sommo sacerdote
che offre se stesso, costituendo in sé l’Alleanza
nuova ed eterna che nessuno può rompere perché
Egli riunisce in sé tutti i soggetti e gli elementi.
7. Un tempio di carne
La Lettera agli Ebrei espone al capitolo 10 le
conseguenze di tutto questo straordinario mistero:
«Avendo, dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel
santuario per mezzo del sangue di Gesù, per questa via
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso
il velo, cioè la sua carne, e avendo un sacerdote grande
nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella
pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva
coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo
senza vacillare la professione della nostra speranza,
perché è fedele colui che ha promesso. Prestiamo
attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella
carità e nelle opere buone. Non disertiamo le nostre
riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma
esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi
il giorno del Signore» (Eb 10,19-25).
Il santuario è Cristo Gesù: è Lui il Tempio, infatti
ha detto: «Distruggete questo tempio e in tre giorni
lo farò risorgere» (Gv 2,19); la via è sempre Lui ed è
nuova e vivente perché Cristo Gesù è lo stesso ieri,
oggi e sempre. Il fatto meraviglioso e straordinario
è che tutti noi siamo dentro questo Tempio che è la
carne di Cristo, in quanto siamo stati redenti e
bagnati dal suo sangue, grazie al quale Lui è stato
consacrato sacerdote e noi sacerdoti con Lui perché,
come scrive San Paolo nella Lettera ai Romani,
ciascuno ora può offrire il suo corpo: «Vi esorto
dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire
i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito
a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1).
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
L’ultima raccomandazione del capitolo 10 della
Lettera agli Ebrei è «non disertiamo le nostre riunioni,
come alcuni hanno l’abitudine di fare – anche a quei
tempi – ma invece esortiamoci a vicenda».
E infine nel capitolo1 3 abbiamo l’esortazione
finale: «L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate
l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno
accolto degli angeli. Ricordatevi dei carcerati, come se foste
loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati,
perché anche voi avete un corpo. Il matrimonio sia rispet-
tato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornica-
tori e gli adulteri saranno giudicati da Dio. La vostra
condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che
avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti
abbandonerò. Così possiamo dire con fiducia: Il Signore
è il mio aiuto, non avrò paura. Che cosa può farmi l’uomo?
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato
la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale
della loro vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso
ieri e oggi e per sempre!» (Eb 13,1-8).
A conclusione di questo testo, che possiamo
definire una bellissima teologica e pastorale omelia,
ci aspetteremmo un’esortazione a pregare e a
restare uniti a Cristo, invece l’autore della Lettera
agli Ebrei dice: «Perseverate nell’amore fraterno».
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Introduzione alla lettura della Lettera agli Ebrei
Gesù ha detto: «Da questo conosceranno che siete
miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri»
(Gv 13,35); e ancora: «Amatevi gli uni gli altri come
io ho amato voi» (Gv 13,34).
«Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola,
hanno accolto degli angeli senza saperlo». Qui il riferi-
mento è a Genesi 18, quando alle querce di Mamre
Abramo scoraggiato vede tre angeli e li ospita.
«Ricordatevi dei carcerati…»: viene da chiederci
come mai questo imperativo rivolto ai cristiani nei
confronti dei carcerati? Dopo tutto un discorso
sull’Alleanza e il sacerdozio, ora ci viene comandata
questa attenzione ai carcerati, cioè a quelli che in
qualche modo hanno delle catene nel corpo o
nell’anima… «come se foste loro compagni di carcere e
di quelli che soffrono essendo anche voi in un corpo
mortale. Il matrimonio sia rispettato da tutti… La vostra
condotta sia senza avarizia», cioè siate generosi nel
donare voi stessi, sprecatevi nel donare voi stessi.
«Accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso
ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò. Così possiamo
dire con fiducia: Il Signore è mio aiuto, non temerò. Che
cosa potrà farmi l’uomo? Ricordatevi dei vostri capi – e qui
si deve intendere “i vostri Vescovi” – i quali vi hanno
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LA NUOVA ALLEANZA IN CRISTO GESÙ
annunziato la parola di Dio. Considerando attentamente
l’esito del loro tenore di vita imitatene la fede»: è una
grande responsabilità quella che la Lettera agli
Ebrei assegna ai Vescovi. E infine: «Gesù Cristo è lo
stesso ieri, oggi e sempre!».
E concludiamo con le parole del compianto Papa
Benedetto XVI al clero di Roma nel 2010: «Nessuno
si fa sacerdote da se stesso; solo Dio può attirarmi,
può autorizzarmi, può introdurmi nella partecipa-
zione al mistero di Cristo; solo Dio può entrare nella
mia vita e prendermi in mano. Questo aspetto del
dono, della precedenza divina, dell’azione divina,
che noi non possiamo realizzare, questa nostra
passività – essere eletti e presi per mano da Dio – è
un punto fondamentale nel quale entrare.
Dobbiamo ritornare sempre al Sacramento, ritornare
a questo dono nel quale Dio mi dà quanto io non
potrei mai dare: la partecipazione, la comunione con
l’essere divino, col sacerdozio di Cristo… Il nostro
essere, la nostra vita, il nostro cuore devono essere
fissati in Dio, in questo punto dal quale non
dobbiamo uscire, e ciò si realizza, si rafforza giorno
per giorno, anche con brevi preghiere nelle quali ci
ricolleghiamo con Dio e diventiamo sempre più
uomini di Dio, che vivono nella sua comunione e
possono così parlare di Dio e guidare a Dio».
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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO 2023
DALLATIPOLITOGRAFIA PARUZZO DI CALTANISSETTA