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Storia Dell'archeologia Industriale

Questo documento descrive la storia dell'archeologia industriale, nata come disciplina negli anni '50 in Inghilterra. Vengono descritti i primi tentativi di conservare siti industriali storici e le associazioni che si sono formate a questo scopo. Negli anni '60 l'interesse per l'archeologia industriale è cresciuto in molti paesi.

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Storia Dell'archeologia Industriale

Questo documento descrive la storia dell'archeologia industriale, nata come disciplina negli anni '50 in Inghilterra. Vengono descritti i primi tentativi di conservare siti industriali storici e le associazioni che si sono formate a questo scopo. Negli anni '60 l'interesse per l'archeologia industriale è cresciuto in molti paesi.

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STORIA DELL’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE

L’Archeologia industriale nasce come disciplina a partire dalla prima metà degli anni cinquanta del
Novecento. L’espressione archeologia industriale venne usata per la prima volta nel 1955 da
Michael Rix, professore dell’Università di Birmingham, in un suo articolo pubblicato nella rivista
The Amateur Historian.

L’Inghilterra della seconda metà del Settecento, era stata tra le prime nazioni ad essere coinvolta
dalla Rivoluzione Industriale, e sin dalla seconda metà dell’Ottocento ebbe modo di svilupparsi una
certa attenzione per alcune testimoniante dell’industrializzazione.

La Grande Esposizione Universale di Londra del 1851 fu uno dei primi momenti in cui tale
sensibilità ebbe modo di manifestarsi. A questo seguì, qualche anno più tardi, la creazione del
Museo della Scienza di Kensigton e tra la fine del secolo e l'inizio del Novecento fiorirono una
moltitudine di associazioni di appassionati, i trusts, con lo scopo di conservare alcuni monumenti
industriali. Tra questi, grande importanza ebbe la Cornish Engine Preservation Society, nata con lo
scopo di conservare i mulini ad acqua sorti nelle campagne inglesi.

Dopo la seconda guerra mondiale, l'opera di ricostruzione nella quale furono coinvolte le principali
città del Regno Unito, a partire da Londra, portò alla distruzione di numerosi edifici e strutture che
avevano avuto importanza nel Settecento e nell'Ottocento per l'evoluzione economica, industriale e
sociale del Paese e che alla fine degli anni quaranta non avevano più nessuna utilità. Alla loro
demolizione si opposero associazioni di cittadini, che vi vedevano una traccia importante del
proprio passato.

Nel 1962 l'attenzione dell'opinione pubblica fu attirata dalla decisione di demolire la Euston Station,
una delle più antiche stazioni ferroviarie di Londra, e il portico di colonne doriche che la precedeva,
lo Euston Arch. Nonostante le vive proteste dei comitati e della Comunità Internazionale,
l'abbattimento della stazione fu inevitabile, seguito da un comune vivo risentimento. L'insuccesso di
questo provvedimento portò, l'anno seguente, a dichiarare il ponte di ferro sul fiume Severn, in
località Coalbrookdale, nel Galles, monumento nazionale. Il patrimonio di archeologia industriale
veniva così ufficialmente riconosciuto nella sua importanza culturale dalle autorità anglosassoni.

A seguito di questi eventi in molti paesi si è assistito alla nascita di associazioni nazionali a tutela
dell’archeologia industriale. Essi si occupano della ricerca, catalogazione, conservazione e
divulgazione del patrimonio industriale del passato. Tra i temi studiati dai membri di queste
associazioni vi sono: gli stabilimenti industriali, siti estrattivi, tecnologie per la produzione
energetica, il turismo industriale, il riutilizzo dei siti industriali, le tecnologie del trasporto. Lo
sviluppo e la sensibilizzazione su questa disciplina agisce attraverso la pubblicazione di
materiali,organizzazione di conferenze, seminari, visite guidate nei siti d'interesse.

I fini dell’archeologia industriale sono essenzialmente la conoscenza dei monumenti e delle


strutture industriali e cioè la loro localizzazione e l’individuazione delle loro peculiarità da punti di
vista diversi: della storia, dell’architettura, della tecnologia, dell’urbanistica, dell’arte, ma anche del
costume e della vita sociale. Oltre al fine della conoscenza, vi è anche la formulazione di ipotesi e
proposte per la tutela, soprattutto alla emanazione di una legislazione specifica - a supporto di tali
interenti - e per l’eventuale rivitalizzazione degli stessi edifici industriali.
Oltre a studiare i complessi architettonici, sono ovviamente anche studiati gli oggetti ed i manufatti
in cui sono stati compiuti processi produttivi e di trasformazione. La maggior parte degli studiosi
considera oggetti di archeologia industriale tutte le testimonianze dell’attività produttiva umana,
indipendentemente dalla loro collocazione storica. Per quanto riguarda il presente va detto che non
esiste un punto di demarcazione del campo dell’archeologia industriale: lo sviluppo tecnologico
produce resti in continuazione, i quali immediatamente diventano oggetti di interesse storico.
In Italia ogni anno vengono smantellati circa 150.000 mq3 di vecchie edifici ed infrastrutture
industriali, tra cui circa 300.000 tonnellate di macchine all’anno.

In Italia l’evento significativo alla nascita dell’archeologia industriale è stato il primo convegno
internazionale in materia, organizzato a Milano nel 1977, al quale seguì la costituzione della Società
Italiana per l’Archeologia Industriale (SIAI), che si è poi articolata in sezioni regionali.
Negli anni a seguire vi furono varie iniziative ed eventi che si fecero sempre più numerosi, ma
tutt’oggi non esiste ancora nel nostro paese una normativa specifica per la preservazione dei beni
industriali, pertanto, mentre lo Stato interviene per evitare la vendita all’estero di un capolavoro
della pittura, il salvataggio di vecchie macchine e fabbriche, presenta enormi difficoltà.

La SIAI comunque propone un programma di lavoro che va dalla diffusione della conoscenza del
patrimonio archeologico industriale in Italia, tramite pubblicazioni, convegni e mostre, alla ricerca,
consistente nell’attività di censimento, inventario e catalogazione, fino ad interventi operativi di
salvaguardia, restauro, riuso e ove possibile di pubblica acquisizione di tali beni, in collaborazione
con gli organismi nazionali e regionali competenti.

Perciò, dopo aver preso atto del fatto che il lavoro industriale ha fortemente condizionato la storia
del XX secolo, dobbiamo anche renderci conto della grande importanza che riveste la conoscenza
dei processi, dei luoghi, delle macchine e delle tecnologie industriali: senza lo studio, l’indagine e la
conoscenza di questi aspetti, non potremo mai capire la storia del ‘900.

Molte aree di degrado e molti imponenti edifici turbano il paesaggio urbano, ma allo stesso tempo
possono diventare, grazie al recupero ed al riuso, una risorsa per il territorio e per la società. Nella
realtà attuale, in cui sono veloci ed inarrestabili i processi di trasformazione, il recupero di un
qualsiasi luogo dismesso diventa anche il recupero della storia e dell’identità della società e del
territorio.

In quest’ottica è importante capire il concetto di bene culturale, inteso non solamente come bene
artistico. Tra i beni culturali rientrano anche i reperti e gli oggetti della cultura materiale, che si
caricano di significati e diventano meritevoli di valorizzazione, studio e conservazione. Una
fabbrica recuperata e massa a disposizione della comunità, oltre ad esaltare la storia, diviene anche
un’istituzione culturale al servizio del territorio.

In conclusione, semplificando, affermiamo che l’archeologia industriale ha poche regole: richiede


solamente il rispetto per il monumento industriale, per la sua struttura e per la sua architettura, ma
può offrire molto in cambio, salvaguardando la memoria del lavoro, le antiche tradizioni e gli
antichi mestieri e conservando importanti testimonianze proprie della civiltà industriale.
IDENTITA’ NORMATIVA DEL “ BENE CULTURALE”

Il primo riconoscimento ufficiale di "bene culturale" in campo internazionale si ebbe durante la


Convenzione dell'Aia firmata il 14 maggio 1954 da quaranta Stati di tutto il mondo e confermata in
Italia con la legge del 7 febbraio 1958. Le norme sui beni culturali erano essenzialmente accordi per
la salvaguardia di questi patrimoni in occasione di eventi bellici, sostenendo che gli attentati ai beni
culturali di qualsiasi popolo costituivano una violenza al patrimonio dell'intera comunità
internazionale.

In Italia la definizione di "bene culturale" venne man mano modellata da alcune commissioni
parlamentari tra gli anni sessanta e settanta: la Commissione Franceschini (1964-1967), che
raggiunse importanti risultati sul piano scientifico, ma meno utili sul piano politico. Poi, tra il 1968
e il 1970 operò la Commissione Papaldo.

Nel frattempo a Parigi, il 17 novembre 1970, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per
l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) firmava una convenzione internazionale per
stabilire le misure da adottare per bloccare l'esportazione, importazione e il trasferimento di
proprietà in illecito di beni culturali. Vennero definiti in tale ambito come beni culturali:

« Tutti i beni che [...] sono designati da ciascuno Stato come importanti per l'archeologia, la
preistoria, la letteratura, l'arte o la scienza »
(Convenzione di Parigi, art. 1)

Nonostante le difficoltà di dare una concreta realizzazione istituzionale a tali propositi ed ai risultati
delle Commissioni parlamentari, nel 1974 un'iniziativa congiunta dell'allora Presidente del
Consiglio Aldo Moro e di Giovanni Spadolini portò all’istituzione di un Ministero per i beni
culturali e ambientali. Il ministero venne sottoposto a numerose modifiche di carattere sia
organizzativo sia relativo ai propri ambiti di competenza fino a giungere alla denominazione di
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che identifica, dal 2013, il MiBACT.

Grande importanza normativa ebbe la promulgazione del Testo unico delle disposizioni legislative
in materia di beni culturali e ambientali (Dlgs. n. 490 del 29 ottobre 1999), dove si raggrupparono
tutte le norme sulla materia, ponendo particolarmente l'accento sulla tutela dei beni, in attuazione
dell'articolo 9 della Costituzione della Repubblica Italiana, sostituito successivamente dal Codice
dei beni culturali e del paesaggio, emanato nel 2004.

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