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Appunti Comunicazione Letteraria

Primo modulo.

Indice testi:

Storia Naturale dei Giganti, Cavazzoni p.6

Di chi è la colpa, Piperno p.8

Il partigiano Johnny, Fenoglio p.9

Sonetto 196, Petrarca p.12

La Gatta, Tasso p.13

Chiome d’argento, Berni p.14

La bella tartagliante, Abriani p.15

Le nozze di Figaro, Mozart- Da Ponte p.16

Sublime specchio, Alfieri p.16

Solcata ho la fronte, Foscolo p.16

Autoritratto Manzoni p.17

La pentecoste/ Alla primavera p.18

Natale 1833/ Inno ad Arimane p.18

L’Infinito p.19

Cuattro Angioloni p.20

Mottetti, Montale p.21


Struttura appunti:

Tendenzialmente negli appunti ci sono scritte le cose che non sono scritte nelle slide.
La data e il numero della lezione insieme alla dicitura CS (confronta slide) ti
permettono di risalire alle slide che la prof ha caricato su Moodle, spesso c’è il
numero della pagina della slide a cui fare riferimento. Prima di leggere l’analisi del
testo è fondamentale leggere il testo riportato nella slide, altrimenti non si capisce
niente :).

1° Lezione 13/02

Leggere le slide, lezione 1.

Se volessimo fare una distinzione tra comunicazione letteraria e letteratura, si


potrebbe dire che la prima punta all’immediatezza, mentre la seconda si protrae nel
tempo. A cosa serve studiare la letteratura? (CS p.3) Leggere l’esempio di Proust e
Guermantes. La differenza fra comunicazione e letteratura (CS p.4-5). Gli scopi della
letteratura (CS p.7)

2° Lezione 14/02

Citazioni di Foucault e Berardinelli (CS lez.1 p. 8) Perché continuare a leggere


letteratura? (CS lez.1 p. 9) Sul rapporto fra letteratura/conoscenza/ informazione,
leggere la citazione di Morin (CS lez.1 p. 10-11). (Finire di leggere slide lezione 1 p
12-15, slide lezione 2 p. 1-5)

3° Lezione 15/02

Cosa si intende per “testo letterario”? Il valore non dipende solo dal testo ma: 1)
dalla volontà dello scrittore, 2) dalla ricezione del pubblico. Non esiste una sola
volontà insita nel testo, ogni individuo può leggere un testo in modo diverso, anche
soltanto leggendolo in periodi diversi della propria vita, sono i lettori che decidono
se un testo è letterario (CS lez.2 p. 6-7 Di Girolamo). Non si può definire il testo
letterario in base a qualità o proprietà intrinseche al testo stesso, perché queste
dipendono anche dal suo funzionamento sociale. Bisogna aprire più categorie di
interpretazioni: i generi e le loro componenti. La letteratura può: essere un modo
per interpretazione la psicologia umana (Freud), rispondere a un principio
edonistico, servire per interpretare la storia delle idee, servire per interpretare la
volontà dell’autore, essere uno strumento per capire il gusto e la cultura di un’epoca,
essere uno strumento gnoseologico di conoscenza dell’uomo, eccetera. Valutare
un’opera solo considerando frammenti antologici di testi, fornisce solo una visione
parziale dell’opera e questa visione non può essere eretta come interpretazione
poetica di tutta l’opera. (CS lez.2 p. 12, Mazzoni) È sbagliato ergere il pensiero di un
autore come pensiero di tutta un’epoca o un periodo storico. Quando un’idea passa
da un gruppo ristretto a un gruppo esteso di persone, diventa canone, diventa gusto
condiviso, così degli autori diventano egemonici. Il genere è una famiglia di testi
caratterizzata da elementi comuni ma non univoci, stabiliti dall’uso di un
determinato gruppo. I generi non sono solo e sempre fissi, ma fra loro c’è un
rapporto osmotico per cui un genere può diventare un altro nel corso del tempo.

4° lezione 20/02

(CS lez.4)

1) Berardinelli “Leggere è un rischio” vs 2) Steiner “Nessuna passione spenta”.


1) Leggere è a rischio perché: saper leggere, averne la competenza, lo si esercita
perché produce piacere, per andare a cercare piacere, per concedersi un lusso; non
è un’attività di primaria necessità, ma un piacere.
2) Leggere produce diversi rischi perché rende vulnerabili la nostra identità, il nostro
auto controllo.
Lettura come tecnica vs lettura come esperienza. (CS p.5)
Lettura come azione solitaria (Petrarca, Montaigne) vs lettura come attività sociale
(Manzoni, Saviano) (CS p.6)

5° lezione 21/02

(CS lez.4 a partire da p.7)

Leggere incipit Se una notte d’inverno un viaggiatore, riflessione meta-letteraria sulla


lettura stessa. Rottura del patto di rappresentazione fra scrittore e lettore. La
presenza del lettore: Orazio nelle Satire, il riferimento ai suoi 25 lettori di Manzoni,
Sciascia nell’Affaire Moro dove scrive che “ciò che è narrato è più vero del vero”, fa
diventare il libro valido oltre l’attualità, oltre quel contesto (prevede un lettore attivo
che abbia il ruolo di riuscire a capire il riferimento a Pasolini con la descrizione delle
lucciole, ad esempio). Per Raimondi la letteratura è incontro fra diversi punti di vista:
il lettore dovrebbe comprendere se stesso e le sue aspettative, della propria cultura
e del proprio contesto storico in relazione alla cultura e al contesto del libro e dello
scrittore.

(CS lez.5)

Il genere narrativo può avere:

 Forma breve: novella, short story, racconto


 Forma romanzo: più personaggi, uno o più intrecci, un arco temporale
maggiore
 Forma ibrida: mix fra realismo e finzione letteraria romanzesca.

Criteri distinzione romanzo:

 Lunghezza, aspetto formale


 Argomento reale o fantastico
 Mix fra prosa documentaria o di invenzione
 Prosa o versi (Boiardo, Ariosto)

Per tutte le interpretazioni (Ortega y Gasset, Berardinelli, Cercas, Lukacs ecc.)


CS lezione 5, p. 4.

6° Lezione 22/02

(CS continuazione lez.5)

I personaggi sono il vero motore dell’opera. Dai Promessi Sposi analizza la differenza
di caratterizzazione fra la profondità di descrizione di Gertrude, un personaggio e
una coscienza fittizia, vs la brevità di caratterizzazione di Borromeo, un uomo reale.
Questo cambia con Freud, il testo letterario diventa chiave per interpretare la
psicologia del personaggio. Freud introduce il dubbio che il personaggio non sia più
un’unità compatta ma che possa essere un io disgregato. Analizza il sogno: il sogno di
sangue di Renzo, dopo Freud diventerà uno dei topoi più comuni nella letteratura. In
Manzoni è razionale, palese, non c’è ambiguità, dopo Freud diventerà uno strumento
ermeneutico di difficile interpretazione. Il personaggio ha perso la sua unità, si è
frantumato. De Benedetti e Lavagetto scrivono su ciò e fanno critica attraverso
l’analisi freudiana, studiano i lapsus, le menzogne e gli autoinganni (Coscienza di
Zeno).

Il personaggio dell’epos Il personaggio del romanzo


Sono personaggi il cui destino è scritto Questi personaggi hanno profondità
dal fato e corrisponde al disegno che gli maggiore, un abisso interno che è
dei hanno per lui. L’essere combacia con esplorato tramite l’avventura e
il destino, che è compiuto e irrevocabile l’edificazione di sé. L’avventura non deve
per forza essere fisica, può anche essere
solo mentale, psicologica o morale.

Per De Benedetti è possibile un’apertura verso nuove forme di arte, all’interno delle
quali si possono ricercare personaggi-uomo, come nel caso del cinema. Il
personaggio-uomo è un alter-ego che pone delle domande, la sua forza è tale che si
impone sull’attenzione del lettore. Ficara nel saggio Homo Fictus, all’interno di Stile
Novecento: per amore del personaggio, si aggiunge qualcosa all’esistenza del lettore
in relazione al testo.

Come evolve il personaggio:

Diderot: ‘700, illuminista radicale, Jacques Le Fataliste, personaggio interrogante,


testo costruito sulla divagazione, Jacque non sa definirsi, il romanzo nasce con
natura interrogante.

Manzoni: ‘800, nei P.S. si ritrova il personaggio-cercatore di Lukacs, fino a che . un


personaggio si può edificare attraverso i propri errori? Questo vale per Renzo ma
non per Lucia, che errori non ne ha fatti, questo si spiega con l’idea del disegno
segreto che sta alla base del romanzo.

Gadda: ‘900, ne La Cognizione del dolore mette in evidenza l’idea disgregante. La


casa è un simbolo positivo per Manzoni, ma per Gadda diventa il luogo della nevrosi
e della malattia, emerge il caos con evidenza.

Fra tutti questi personaggi si possono ritrovare delle affinità: tutti e tre infatti si
interrogano, si spostano, cercano nell’avventura la soluzione al proprio problema.
7° lezione 27/02

(CS lez.5 a partire da pag. 14)

Tradizione epica Fenoglio vs Omero


Storie di famiglia Piperno vs Manzoni
Tradizione bellica-cavalleresca Cavazzoni vs Ariosto
Tradizione filosofica Sciascia e Voltaire

(CS lez.6 p. 2)

Storia naturale dei giganti, Cavazzoni

2007, ironica acuta, un intellettuale che scrive una tassonomia dei giganti,
raccontandone tipologie, storia ed evoluzioni. Tradizione cavalleresca: Pulci,
Morgante. Storia naturale di qualcosa che neanche esiste in natura, scrittura
diaristica tragicomica, indagine filologica ovviamente non realistica. Stile ironico,
riproduce il parlato, si domanda perché i giganti non esistono più, percepita come
domanda assurda, sciocca vs i dinosauri, domanda razionale e scientifica. Continua
alternanza fra domande serie e razionali (Darwin) e domande rovesciate e
paradossali. Storia della letteratura occidentale cavalleresca come se si stesso
trattando, e commentando, di argomenti di cronaca genera ironia. No riproduzione =
no specie, dunque se i giganti non si riproducono finisce la specie, loro hanno
smesso di farlo da quanto i poeti hanno iniziato a cantare le “ragazzine di 16 anni”
(Zibaldone). Questione alimentare = cambia il tono, diventa da saggio. Il cibo a
tavola: la tavola è cultura, il personaggio è reso verosimile dal fatto che svolge le
stesse azioni, ha gli stessi bisogni dell’uomo, dunque mangia. Dicendo che il gigante
mangia viene reso verosimile, gli si attribuiscono pulsioni umane come la fame. Fa il
verso a Lombroso: tare genetiche, contesto malsano, fisionomia. Ultra
attualizzazione anche in chiave di analisi sociologica, ma non dimentica lo studio
filologico e allora cita Pulci e fa il riferimento al Morgante XVIII, parodiando la
religione, prendendo le distanze tanto dal cristianesimo quanto dall’islamismo, toni
quasi blasfemi. L’ironia è connaturata nel romanzo fin da quando ancora il romanzo
non si definiva neanche tale. L’elenco, l’accumulo, in cui mischia reale e immaginario,
sono i territori in cui gioca il comico, che sfrutta queste mescolanze. Se per Aristotele
l’unità del mondo si esplicitava nella tragedia (1 luogo, 1 giorno, 1 evento) l’unità del
mondo viene distrutta con il romanzo.
8° lezione 28/02

Non c’è soluzione di continuità dal tipo di alimentazione → alla riflessione critica
sulla società contemporanea, su quanto sia decaduta la civiltà dei giganti, sta
decadendo la società contemporanea. Digressione sulle notizie, i giornali fanno
credere che ogni giorno ci siano notizie nuove e rivoluzionarie, in realtà sono poche
quelle vere. Il romanzo è critica del mondo (CS lez. 6-7 p. 8), è discussione del reale
(cos’è il benessere? Cos’è notizia? Cosa rivoluziona la vita umana?) Lukacs: nel
mondo epico questi dubbi non esistevano, si possono esercitare solo nel romanzo,
luogo adatto per queste riflessioni critiche. Sfrutta un argomento come i giganti per
mettere una distanza che permette di guardare il mondo con occhio critico e ironico.
Leopardi parlava di “picciol pomo che maturo cade e distrugge il formicaio”. Il . di
vista si allontana dal macro (dal cielo) per andare verso il micro (sottoterra, secondo
il . di vista delle formiche), questo genera ironica, dalla quale poi scaturiranno il
pensiero e la riflessione critica. Per Hegel il reale è razionale, e ciò che è razionale
esiste, Cavazzoni smentisce ciò. L’abbassamento dalla metafisica di ragion sufficiente
allo zio squilibrato genera ironia. Fa notare il ruolo della figura degli zii (Conte Zio
P.S.). Prende Ariosto come modello, nell’Orlando Furioso si metteva in scena la crisi
del modello epico, romanzo in cui Caligorante era il gigante che incontrava Astolfo,
episodio che Cavazzoni prende per ispirazione. Se con Polifemo non c’è e non ci può
essere ironica, in Ariosto il sistema inizia a vacillare, si impone la crisi dei valori. Il
finale di Ariosto è ambiguo perché se il romanzo rispecchia la realtà, bisogna tener
conto del fatto che la realtà quasi mai finisce in modo chiaro, univoco, definitivo e
felice.

(CS lez 8. p.2)

Romanzo di famiglia: Piperno

Per Auerbach la vita degli umili irrompe nella letteratura con il romanzo, che porta
sulla scena la quotidianità, la vicissitudine, lo scardinamento della situazione
normale (matrimonio, guerra, volontà di affermarsi, errori e colpe).

Piperno, Di chi è la colpa.

2021, molto tradizionale, apparentemente. Sicuramente in contrapposizione con lo


sperimentalismo di Cavazzoni. L’incipit è da romanzo di formazione, si parla di timori
notturni alla Proust, viaggio di formazione a NY, di un giovane ebreo che tenta di
scoprire la propria identità, sogno di realizzazione, individualistico, che riguarda solo
il protagonista, gli altri non contano.

9° lezione 01/03

(CS lez. 9 p. 5)

Rapporto fra finzione e realtà, Piperno vs Manzoni. Realtà + senso = verità. Manzoni
pome alla fine dei P.S. la Storia della colonna infame, in cui viene raccontata solo la
bruta verità dei fatti, due giovani uccisi per un errore giudiziario, abbandona il
desiderio di verità, rimane soltanto la realtà non innalzata da un significato o un
senso più alto. Per Piperno sicuramente è venuto meno il problema prima
irrevocabile della verità, ma comunque il rapporto fra realtà, finzione e menzogna
rimane un problema ‘900ntesco e tipicamente post-freudiano, che ovviamente non
aveva senso di esistere in Manzoni. Simile a Sciascia nell’Affaire Moro, vuole
smontare le menzogne del palazzo o comunque tentare di avvicinarsi alla realtà.
Manzo prende l’umiltà del quotidiano (Auerbach) dei suoi personaggi e la mette in
relazione con la magniloquenza della Storia, infatti l’introduzione inizia trattando
della Storia. Per Manzoni la Storia è uno strumento di interpretazione del reale,
infatti le sue fonti sono Verri, Beccaria ecc., in Piperno lo strumento di
interpretazione del reale è la famiglia e la sua fonte è Proust. Piperno parla di
destino, Manzoni di provvidenza. In Piperno l’ironica è cinica e sta fuori dall’ombrello
della provvidenza. Fra le caratteristiche comuni: vicissitudine storica, percorso di
formazione, interrogativo morale, più cinico Piperno. I personaggi sono più vivi e
credibili se sono inquieti, infatti l’Innominato è un personaggio che passa dal non
interrogarsi al farsi domande su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato moralmente
(per questo motivo con Borromeo empatizziamo meno rispetto all’Innominato). In
Piperno (cap 3), il personaggio si definisce attraverso la sua colpa, come nel caso
nella morte della madre. Per quanto riguarda il tema del potere, nei P.S. il Conte zio
che con i suoi silenzi era in grado di spegnere incendi vs in Piperno Zio Gianni che
ottiene ciò che vuole parlando, accendendo gli incendi.
Lezione 10° 06/03

(CS lez. 10 p. 3)

L’epica e la guerra: Fenoglio e Omero.

Episodio di Achille (Iliade IX, 185): pausa all’azione bellica per “cantare le glorie
d’eroi”, quindi si diletta probabilmente nel raccontare le sue stesse imprese perché
prima di lui non vi era tradizione epica, canta per rendere duratura la memoria
umana, morendo si è reso immortale nella memoria degli uomini attraverso la
narrazione e il racconto di eventi della vita degni di essere ricordati (nell’epica
uomini ed episodi eccezionali, nel romanzo elementi di quotidianità, vedi Madame
Bovary). La mimesi è rappresentazione di eventi sottratti alla caducità del tempo.
Nell’epos vi è eccezionalità fin da subito, nei grandi romanzi è la quotidianità, la
banalità delle cose giornaliere e di personaggi normali e non epici, che viene
rappresentata. La vita di persone che non hanno nulla di straordinario. Se la filosofia
ambisce a presentarci verità immutabili, il romanziere riesce a far questo attraverso
la pluralità di punti di vista e la differenza di prospettive. Si parla di “livelli di realtà”.

Tre esempi:

Iliade Certosa di Parma Partigiano Johnny


Pochissime informazioni Cadavere depredato dai Il lenzuolo potrebbe
sul corpo perché la morte suoi stessi compagni di essere assimilato a quello
del corpo fisico non battaglione, morte che copre Patroclo, ma
interessa di per sé, ma estremamente realistica, questo non è un sudario, è
solo perché fa diventare occhio aperto che colpisce solo il lenzuolo di un letto
l’eroe divino, lo eterna, lo il lettore. La morte non è matrimoniale. Questo non
erge a simbolo. Il eternizzante, è turpe, lo erge a dio, una volta
personaggio di per sé è vergognosa, brutale, . di tolto il lenzuolo diventa un
lontano dal nostro vista basso, umano, qualunque soldato, ma a
realismo ma la assenza totale di eroi, differenza di Stendhal,
rappresentazione del molta più Johnny ci vede un “sigillo
pathos e la sofferenza immedesimazione. di eternità”.
umane sono realistiche.
Ultime righe cap 4 Il Partigiano Johnny dice che “neanche la morte avrebbe
funzionato come dis-investitura”. Johnny non è mai stato così uomo, “erculeo”, vuole
essere l’eroe epico dei nostri giorni e deve esserlo, l’eroe epico è solo, l’importante è
che quel valore continui a essere tramandato, che la loro storia sia tramandata, nel
romanzo moderno la tensione verso l’epos è frustrata. Descrizioni di luoghi: “un’era
di diluvio” è una citazione biblica che richiama il diluvio universale, tutto assume
proporzioni gigantesche, la natura incombe quasi come divinità malevola sulla terra.
La morte è come un sudario. La natura è personalizzata come nei miti greci, la natura
ha ruolo attivo anche in Una questione privata, le condizioni atmosferiche sono
elementi molto presenti nella storia. Nell’episodio di Miguel (CS lez. 10 p. 9), emerge
la pietas, la commiserazione, la cura per i defunti. Lo infila dal tronco in su dentro un
tubo in cemento per proteggerlo dalla natura, dalla pioggia verminosa.

12° lezione 08/03

Nel personaggio dell’epos, è la volontà degli dei, e non la sua stessa, ad essere
motore del racconto. Johnny mette al riparo il corpo di Miguel = atto di pietas.
Potrebbe essere un’azione inutile ai fini della guerra, così come in Una questione
privata, dove l’unico orizzonte di senso è l’ossessione privata e personale del
protagonista. Si presentano due forze: il bene e il male, da un lato l’epos (il desiderio
di essere “l’unico passero che non cascherà mai) e dall’altro l’ironia del “sorrisetto”
del compagno morto. Avere a modello l’iliade serve per trasfigurare il presente
nell’assolutezza epica. Al capitolo 24 vi è un’operazione che consiste nel ridurre
l’epica e il valore più alto dei partigiani, il fazzoletto, a un semplicissimo fazzoletto
per soffiarvisi il naso; anche per questo tipo di svalutazione Einaudi non lo
pubblicherà subito. Vi è un mix epico-ironico nell’incipit de I ventitré giorni della città
di Alba in cui vi è scritto che “la presero in 2.000 e la lasciarono in 200, con la parata
carnevalesca con cui i partigiani entrano ad Alba”, allora forse lo sforzo per epicizzare
questi episodi storici è destinato a fallire. Milton partigiano errante, se l’erranza del
cavaliere medievale era quiete, ricerca, qui è solo ossessione personale, individuale,
non c’è evoluzione ne formazione, Milton potrebbe essere inteso come una sorta di
Orlando moderno.

Le forme poetiche. (CS lez. 12 p. 2)


Le forme poetiche si definiscono forse più per la loro forma metrica, per la struttura
che per la poesia in sé per sé.

Poesia narrativa: terzina, ottava (metro poesia epica, Dante, Ariosto)

Poesia didascalica: endecasillabo sciolto (De Sepolcri, La Ginestra)

Melodramma: endecasillabo e settenario (Arie di Mozart)

Poesia lirica: sonetto e canzone.

12° lezione

I sonetti, quando i toscani si appropriano di questa forma, non erano ancora scritti in
versi, erano scritti in prosa, loro li toscanizzano e creano nuove rime. Per Baudelaire
ha una perfezione formale derivante da un rapporto matematico perfetto; per
Spitzer è un’unità facilmente discernibile, che potrebbe renderlo paragonabile
all’epigramma antico. Per quanto riguarda le origini, il sonetto nasce in volgare, è
rielaborato e teorizzato da Dante nel De Vulgari Eloquentia, in cui ne definisce le
norme e le regole. Nasce con contenuto monotematico, ossia l’amore.

Sonetto 196, Canzoniere, Petrarca.

Unico periodo, forma e contenuto non possono essere scisse (al contrario di quello
che diceva Croce). Il vento è tutto espresso tramite ossimori, il vento è attivatore di
memoria: ricorda la volta in cui innamorandosi di Laura, è stato per la prima volta
ferito da Cupido (quindi c’è anche il riferimento alla mitologia classica). Si canta degli
amori irrealizzati. Le chiome vengono fissate dalla morte, che lega il nodo del cuore
così forte che solo lei stessa potrà scioglierlo. Tempo storico e tempo psichico
coincidono. Petrarca viaggiava molto e lavorava come un filologo moderno che si
confronta con i classici e con il desiderio di dialogare con loro (vedi Familiares,
lettere a Virgilio e Orazio) ma con la consapevolezza della sua modernità e della sua
distanza da loro. Le sue fonti, poetiche e filosofico-religiose, e i suoi riferimenti
ideologici si possono rintracciare nelle Confessioni di Sant’Agostino e nelle Bucoliche
di Virgilio: guardare al passato per costruire un’ipotesi di letteratura futura. Nota per
Laura, nel Virgilio Ambrosiano, una sorta di manifesto di poetica, unico . in cui
racconta qualcosa di concreto su Laura. Arco temporale 49-51; nel 48 riceve la
notizia della morte di Laura, nel 51 se ne va da Babilonia (Avignone). I suoi motivi
sono: vita, morte, ricordo, caducità del tempo, peccato, grazia di dio.

13° lezione 13/03

Illustrazione di Simone Martini sul Virgilio Ambrosiano. Ha fra le fonti il De Vita


Caesarum di Svetonio. Immagine del lauro come protezione, l’alloro diventa simbolo
di protezione, infatti i luoghi della poesia venivano consacrati con una piantina di
alloro, gesto apotropaico per eleggere lo spazio a luogo per la poesia e l’amore. A
margine infatti disegna una manina che indica e scrive “Laurea”. Secondo Svetonio
Cesare se lo poteva sul capo per proteggersi dai fulmini. Questo elemento diventa
luogo letterario, topos. La gloria poetica e l’amore per Laura sono un mito trasversale
di tutto Petrarca (Secr. III, Afr. IX, Fam. XV). Bembo nelle Prose del 1525 elegge
Petrarca come modello di poesia, lo sceglie per la lingua, sicuramente più omogenea
di Dante, più neutra, meno influenzata dai dialetti italiani, una lingua comune di
Koinè per cui Petrarca fornisce un modello, una lingua di comunicazione, che si
potesse apprendere facilmente. I contrasti e i dissidi medievali e derivanti dalla
filosofia agostiniana nel Rinascimento sedimentano e Petrarca viene eletto a poesia
dell’Amore. Viene monumentalizzato da Della Casa e da Sannazzaro e parodiato/
satireggiato da Francesco Berni.

(CS lez. 13 p. 18)

Nelle Rime, Della Casa usa per descrivere il locus amoenus gli stessi termini che
Petrarca aveva usato per descrivere Valchiusa. Vi è una stretta relazione fra io
psicologico e luogo geografico, compenetrazione fra uomo e paesaggio, in cui il
paesaggio diventa lo specchio dell’anima. Questa compenetrazione finisce con
Leopardi. Curtius nel 1947 scrive Letteratura europea e Medioevo latino, dove
raccoglie dei topoi, delle immagini caratteristiche della letteratura e per lui il locus
amoenus è caratterizzato dalla presenza di cinque elementi:

 Bosco non fitto con un po’ di luce


 Ruscello
 Prato con i fiori
 Canto degli uccelli
 Leggera brezza

Questa analisi dimostra che la poesia è stata codificata, non è frutto di una nascita
impulsiva. Tasso codifica nuovamente il modello facendo diventare il giardino fittizio
e magico. La letteratura è esercizio di stile, è canone. Dibattito sulle forme epiche
‘500ntesche nelle Corti, in cui si diffondono testi non incasellati dentro Canzonieri o
Decameron. L’opera di Tasso è caratterizzata da tradizioni multiple, testi che
circolavano senza il consenso dell’autore, riscritture fatte nel tentativo di trovare un
paradigma ideale, enorme lavoro di labor limae, spiegato attraverso una grande
quantità di lettere con cui cercava di dare chiarimenti sul proprio lavoro. Il
procedimento speculativo dell’io lirico si scontra con l’importante problema
dell’ortodossia cattolica entro cui cercava di rimanere per non incorrere in condanne
di eresia da parte dell’inquisizione. Si affida dunque alla tradizione letteraria,
attraverso cui cercava di giustificare i propri scritti: confrontarsi con i grandi per
dimostrare il proprio ingegno.

14° lezione 14/03

(CS lez. 15 p.3)

La Gatta, Tasso

Si verifica un rovesciamento per cui la donna guida diventa gatta, mettendo sullo
stesso piano umanità e animalità. Prima quartina: metafora. Seconda quartina: In
Petrarca le luci Sante erano gli occhi di Laura, qui di una gatta, e attribuirgli santità
destava sospetto nella chiesa per eresia. Ciò perché la gatta era simbolo della strega.
Metafora della vita come viaggio per mare , dopo essere ripreso ma frantumato nel
luci Sante della gatta. Prima terzina: Ehi piano scientifico di riflessione sul cielo, più
piano metafisico più piano metaforico. Qui l'invocazione della musa viene meno ed è
la gatta che diventa lucerna. Il testo apre la strada a tutta una serie di opere
incentrate sul rapporto misterioso fra uomo e animale. Montaigne negli Essai, il
creatore del saggio, scrive dell'uomo vitruviano, analizzando la visione
antropocentrica che alla fine del 500 viene meno. Anche Voltaire e Leopardi (dialogo
fra gnomo e folletto) trattano allo stesso tema. Fra i testi del 900 basati sul confronto
fra l'uomo e un individualità altra troviamo: 1) Gadda, 2) Levi Strauss, 3) Cartanescu.

1) Ne la cognizione del dolore, il dottore e assimilato alla scienza, il problema del


900 per cui l'esperienza conferma la teoria. Il narratore interviene spiegando
(perché artesio solo gli uomini erano res cogitans e gli animali erano solo
meccanismo senza capacità di ragionamento ossia Rex extensa) che il gatto
prova malinconia, contraddicendo dunque la filosofia cartesiana.
2) In tristi tropici (smentisce la teoria che gli uomini delle foreste fossero felici) si
verifica la ricerca di civiltà , di senso che scompare nella strizzatina di occhio di
un gatto, Ehi comprendendo che bisogna cogliere quello che ci sta più vicino,
l'umanità che per costruire non si ferma mai, ha bisogno di tornare indietro
per procedere, l'ansia del progresso non risolve i nostri dubbi.
3) In There are more things, L'incipit saggistico- filosofico spiega il concetto di
conoscenza, si conduce l'analisi sulle neuroscienze, sulla zona sensoriale e
intuitiva del gatto. L'incontro con un alterità, ap. quella del gatto, stimola
riflessioni surreale e sulla conoscenza.

Chiome D’Argento, Berni

Bernie rappresenta il canone petrarchesco rovesciato è un puro esercizio di stile,


rispetta il canone formalmente ma lo rovescia tematicamente. Ehi la donna è ancora
un modello ma con questo gioco di rovesciamento diventa un modello di costumi
altari e gravi. La poesia del 500 modifica il canone, si può quotare su qualsiasi cosa,
c'è molto sperimentalismo, pur rimanendo dentro i canoni e la struttura del sonetto
petrarchesco.

La poesia barocca.

Nel diciassettesimo secolo Foscolo in Vestigi della storia del sonetto, segna le
modalità con cui giudicare la letteratura dopo Tasso: il secolo viene dipinto come
quello dell’imbarbarimento dell'arte. Quindi da quel momento il 600 è sempre stato
interpretato tramite l'analisi di Foscolo e così incasellato. La critica si fonda sul
concettismo, sul culto dell'immagine evocativa, nata per far vedere come si è bravi a
stupire, a creare meraviglia. Per considerare altre opere come esempi basti pensare
al Ratto di Proserpina ad esempio, o a tutte le sculture di Bernini.

15° lezione 15/03

In questa lezione parla del barocco, di Galileo. Dopo Galileo l'immagine della luna
come compariva in Ariosto non sarà più possibile. Dopo la fusione di letterato-
scienziato non si verificherà più. La poesia barocca punta a stupire, a essere
eccentrica e bizzarra.

La bella tartagliante, Abriani.

(CS lez. 15 p. 7)

La poesia vuole da un lato restituire la realtà e dall'altro far capire che anche con
questo linguaggio si può far poesia. Vuole dimostrare che il poeta è bravo a far
poesia e questo è più importante del contenuto, per far ciò non rispetta il canone, lo
ribalta. Il contenuto eccentrico è però piegato alla forma canonica del sonetto.

Il 700:

Nel 700 si verifica una spinta al razionalismo, alla semplificazione, all’ordine,


vengono ripensati i fondamenti della vita civile, si semplifica il cibo. Nel 1721
Montesquie pubblica le lettere dove teorizza la divisione dei poteri (a differenza degli
assolutismi del 600, caso del re sole). Nel 1764 Voltaire pubblica il Dizionario
Filosofico, dove alla voce di bello si ritrova il concetto di relativismo il bello è
impossibile da canonizzare . il mondo si sta aprendo al cosmopolitismo. I fratelli Verri
scrivono Il caffè, con l'ambizione di essere letti da molti.

Nozze di Figaro

(CS lez. 15 p.10)

Nella scrittura Mozart e Da ponte usano un linguaggio d'uso comune. Nel cast si
distruggono tutte le norme e gli ideali, l’onore (tipo il duello di Lodovico nei promessi
sposi) per gli uomini , e il pudore per le donne. L'onore militare, l'atmosfera Greve e
la codificazione pesante vengono abbandonati a fronte di più semplificazione, più
leggerezza, si scopre il viaggio per volontà propria, il viaggio non è solo esilio. Viene
fatto un ampio uso dell'ironia.

Sublime specchio, Alfieri


Alfieri parla dell'io del poeta un uomo che parla in questo modo di sé è tipico della
poesia moderna. Con lo svilupparsi dell'autoritratto, si sviluppa anche la tendenza a
mettere l’io lirico al centro del componimento. La struttura è paratattica, non ci sono
subordinate. Dal piano iper- realistico di un io che si osserva, si passa al piano di
confronto con i grandi dell'epica. Alfieri si descrive come un uomo vitalissimo, preda
delle passioni da un lato, vittima di un'indole malinconica dall'altro (da Petrarca a
tasso in poi questa rappresentazione diventa comune nella letteratura). Dopo le
prime due strofe il tono cambia. Irato sempre e non maligno mai. C'è modernità,
tensione autobiografica, individualità autobiografica sempre dentro una struttura
formale perfetta.

Solcata ho la fronte, Foscolo

Il poeta è un io malinconico che guarda il mondo con desiderio. È un io diviso fra


malinconia dell'indole e desiderio del mondo (vedi I dolori del giovane Werther, Le
ultime lettere di Jacopo Ortis, anche un certo Leopardi). Anche Foscolo ha “crin
fulvo”, qui forse le caratteristiche fisiche corrispondono ancora di più con quelle
morali. Torna il capo chino, potrebbe anche essere inteso in termini filosofici: non c'è
più metafisica, solo materialità delle cose, è un perfetto figlio del materialismo
settecentesco (Lock, Hume, Voltaire, Diderot) che scopre che è il conoscibile si fonda
sui cinque sensi (al contrario della prova ontologica dell'esistenza di Dio sulla
perfezione).

16° lezione 20/03

Tutta la poesia successiva all'illuminismo, nell'ottocento, si caratterizza per la


sperimentazione. Vi sono tre grandi esperienze innovatrici:

1) Manzoni
2) Leopardi
3) La poesia dialettale (evidentemente non fattibile prima dell'unificazione)

Manzoni e Leopardi hanno cannibalizzato la letteratura dell'Ottocento, entrambi


fondono letteratura e filosofia, soprattutto leopardi. Con la poesia dialettale invece si
esplorano anche gli ambienti più bassi e umili, appartenenti alla poesia gli spazi
cittadini nell'ottocento entrano a far parte della poesia, basti pensare a Baudelaire,
Che oltre alla città rende potabile anche le droghe, le dipendenze, la povertà e la
degradazione del poeta. Leopardi e Manzoni si sono conosciuti a Firenze e Leopardi
racconta ciò nelle sue lettere. Nel 1822 Leopardi scrive le canzoni storiche, Manzoni
invece gli inni sacri. Nel 1827 Manzoni pubblica la prima edizione dei promessi sposi,
leopardi la prima edizione delle operette morali. Nel 35 entrambi pubblicano due
testi tragici: Manzoni il Natale 1833, Leopardi Inno ad Arimane. Entrambi abbozzi
incompiuti. Sono entrambi conti che rifiutano la loro appartenenza nobiliare.
Manzoni e figlio da un lato della tradizione nobiliare e dall'altro dell'illuminismo,
questo fa sì che nella sua persona convergano cattolicesimo e laicità, doveri morali e
libertà. Nella prima parte della sua vita Manzoni è stato anticlericale, progressista,
materialista, quando viveva a Parigi con la madre. Scrive le sue prime opere
poetiche, nel 1802 scrive un autoritratto simile a quello di Alfieri e Foscolo.

Autoritratto Manzoni

Il testo è caratterizzato per un uso notevole della punteggiatura, dei due punti.
Questi ultimi sono usati per esplicare meglio la parte precedente, può essere inteso
come uno sforzo di definirsi. Nel sonetto è presente sia una descrizione fisica, sia una
descrizione morale, dell'indole e del carattere. La descrizione fisica occupa una sola
strofa, mentre la descrizione caratteriale ne occupa tre. Locchio loquace, il naso non
da superbo ma neanche da umile . il sonetto è giocato sulle antinomie. La tradizione
religiosa (iddio), poetica (selve), patriottica (gloria). Il fastidio verso se stesso, a me
sol rio. L'antinomia è proprio l'atteggiamento di Manzoni verso il mondo, lui e il
mondo non sanno ancora chi egli sia e rimanda al futuro questa definizione.
Presagisce una comunità in cui saranno gli altri a definire chi noi siamo, come se
presagisse il concetto dell'opinione pubblica. Presto abbandona queste forme di
poesia perché le considera troppo restrittive. Per squarciare il canone bisogna
conoscerlo.

Inni del 1822

Nel 1822 Leopardi e Manzoni scrivono rispettivamente: il primo alla primavera o


delle favole antiche, il secondo la Pentecoste. Sono entrambi inni, Quello di Manzoni
verso lo Spirito Santo, dunque verso la tradizione cristiana, quello di Leopardi verso
la primavera, dunque verso la tradizione pagana. Ehi i testi si interrogano sulla
natura del divino e sul nostro rapporto con esso Manzoni Lo Spirito Santo, per
Leopardi la natura. La Pasqua è intesa come rinascita, quindi come primavera.
Manzoni ha un ritmo di elogio religioso. Il tu (scritto in blu nella slide) e la chiesa . la
chiesa era chiusa nel cenacolo, i discepoli erano nascosti per Manzoni la letteratura
deve nascere a partire dalla storia non può inventare nulla Leopardi interroga il mito
della primavera per capire se questa può avere un'anima, consapevolezza da
condividere con l'uomo. Nel pastore errante Leopardi si interrogava chiedendosi se
la luna lo stesse guardando, qui ne ha la certezza. Ogni nuova primavera gli uomini
percepivano quella natura amica e compagna, un'epoca ormai finita. Il mondo di
Manzoni invece è ancora vivo, gli esiti ideologici sono diversi.

Nel 1835

Manzoni scrive a Natale 1833, Leopardi inno ad Arimane. Manzoni ha quasi


totalmente abbandonato la poesia. Nella storia della colonna infame la provvidenza
è finita in Natale 1833 (nel 31 aveva avuto il trauma della morte della moglie) la
divinità è spietata, a tuo voler decidi. Ma a un certo . smette di scivolare nell'eresia,
Ehi ha una posizione e dei dubbi simili a Leopardi. La poesia è messa al servizio di un
pensiero che si presenta come interpretazione metafisica. Entrambi partono dal
presupposto che la vita umana sia sofferenza.

17° lezione 20/03

(CS lez. 15 p. 17)

L’infinito, Leopardi

La poesia è solo uno strumento per accedere a un livello di conoscenza superiore il


linguaggio è semplice, immediato tratta di una sensazione che potenzialmente tutti
potremmo provare, è facile empatizzare con questi sentimenti. Le sue opere sono
frutto dello studio che ha condotto in se stesso . non è solo espressione di
sentimenti ma strumento di auto- indagine, studio di sé. Ripreso il sonetto ma ormai
la misura del pensiero, la misura della sintassi e del verso non coincidono più. La
partizione del pensiero è diventata più importante della partizione della strofa. Usa
questo sonetto sciolto e gli scioglie dentro un pensiero, dimostrando di essere
pienamente padrone della tradizione che ha alle spalle. Lo strumento
(endecasillabo) sciolto all'interno del quale il pensiero e il contenuto guidano lo
scrittore, portandolo dove conducono loro , non dove lui vuole arrivare. Foscolo e
Parini scioglievano la forma metrica mantenevano un pensiero e una modalità di
espressione tipiche di un pensiero tradizionale. Nell'infinito e il vento che scioglie il
pensiero che vaga , che procede in modo apparentemente irrazionale (questa pratica
diventerà comune con Joyce nel flusso di coscienza). Il naufragio finale e l'illusione di
ricollocare l'uomo all'interno della natura. Il vento stornisce, parla attraverso le
piante e il loro fruscio. Verso 7 “io nel pensier mi fingo” A confronto con il verso 11
“vo comparando”. Da un lato il fingere, l'immaginare, il creare attraverso l'arte,
dall'altra la scientificità, il confronto, il comparare del ragionamento, lo stabilire delle
relazioni. Una via fra il linguaggio delle arti, dell'affetto, della meraviglia (sempre
caro = affetto, sedendo e mirando= l'azione del poeta, io nel pensier mi fingo=
creazione e fantasia) e la razionalità. Quando il cuore si prende paura di ciò che hai
immaginato, deve intervenire la razionalità, il vo comparando, che significa anche
ricordare. Quando parla dei sentimenti e una parte di derivazione romantica dal
verso uno al verso 7 fino a il cor non si spaura, del verso 9 al verso 15 vi è la parte
illuminista, esperimento per rimettere ordine ai timori del cuore tramite il raziocinio.
Nel naufragio si può riconoscere la corrispondenza fra il personaggio, la natura e
l'uomo. Si può interpretare il testo come esperienza cognitiva, tentativo di
conoscenza, partendo da un luogo ed espandendosi per conoscere ciò che il vento fa
conoscere, i luoghi dove ci porta. Prima parte, nulla muove nulla, la siepe esclude
una fetta di conoscenza, è un limite, oltre non si può andare con la ragione, solo con
l'immaginazione e la fantasia. Poi il soffio del vento gli fa capire che non sta vivendo
un istante eterno, ma è immerso nella temporalità, come il vento passa, il tempo
storico pure e da questa prima comparazione passa al ragionare del passato del
futuro, fino ad arrivare all'eterno, alle morti a stagioni. Alla fine non definisce se
stesso (a differenza di Petrarca« voi che ascoltate in rime sparse il suono di questa
voce e i miei frammenti»,« me, medesimo, meco mi vergogno», c'è un continuo
riferimento all'io), Leopardi non deve per forza definirsi, perché i confini dell'io si
estendono fino a identificarsi con quelli del cosmo interpretazione di Luigi Blasucci.
Impressione che la composizione del testo avvenga nello stesso momento in cui il
poeta prova le sensazioni, un dialogo della mente che cerca di capire cosa sia
l'infinito. La sensazione della presa diretta, senza revisione. In realtà non è così
perché ci sono molte varianti, ricostruisci a posteriori la sensazione dell’ en plein
aire. La sensazione di effetto di immediatezza, usa il gerundio voto, lo vado facendo.
Ci da l'impressione di guidarci in un processo conoscitivo. Infinito e anche scritto col
lettera minuscola per evitare l'ambiguità con Dio è più corretto parlare di
indeterminato o di vago, l'infinito non è tanto la mancanza di limiti quanto ciò che
sfugge alla mia conoscenza, il naufragio dunque non può essere racchiuso in un
orizzonte di senso chiaro e razionale.

18° lezione 22/03

(CS lez. 15 p. 18)

Cuattro angioloni, Belli

I quattro angioloni sono i quattro angeli del giudizio universale , in una chiave di
radicale abbassamento. Manipola la narrazione cristiana che diceva che nel giorno
del giudizio le anime avrebbero ripreso il loro corpo, qui si parla di scheletri come
pulcini, nota di tenerezza, associa la chioccia addio. Il paradiso è il tratto, l'inferno la
cantina. Chiusura satirica verso la religione, il giudizio universale è buio eterno. Si
assiste al rovesciamento comico-parodico di fonti illustri come l'Apocalisse o la
Sistina. È proprio l'uso del sonetto che lo rende scandaloso, è la voce del popolo ,
non la voce di Belli. L'idea è che la poesia non debba essere solo la voce di un io ma
debba rappresentare un popolo che altrimenti sarebbe cancellato dalla storia, un
popolo che non avrebbe voce (a differenza dell’idea del volgo e del popolo che ha
Manzoni). Proprio per questo è scritto in dialetto: si potrebbe pensare che forse si
tratti di un gioco, questo espediente serve anche per evitare la censura, in italiano
sarebbe stato troppo ufficiale, pubblico, radicale, usando delle espressioni dialettali
si genera ironia. Anche nel 900 l'uso del dialetto per la poesia alta rimane
sottotraccia.

La poesia moderna è caratterizzata dall'introduzione dell’io psicologico, prima Ciao


l'io era una figura più letteraria , che non corrispondeva a una persona dinamica ed
evolutiva, prima era sotteso l'esercizio della forma letteraria, alla tradizione. Con
Petrarca, e Agostino prima, si legittima la voce del singolo. John Locke teorizza che
l'io coincida con la coscienza, con la percezione del bene e del m, con la capacità di
discernere, cent'anni prima Lutero parlava di libero arbitrio, dal romanticismo l'io
diventa profondità, comprensione che l'io è anche ciò che non appare all'esterno. La
poesia moderna è più breve di quella tradizionale, meno pedagogica e meno
didascalica (vedi De rerum natura di Lucrezio) ap. Freud scopre che l'io e coscienza
più inconscio. Gli unici Long Poems dalla natura narrativa- riflessiva sono del primo
900: Eliot, Pound, Mallarmé. Leopardi preferisci identificarsi con i classici più che con
i romantici. (CS lez. 15 p. 19-20)

Il ‘900

Fra le personalità e le pubblicazioni più importanti: Pascoli, poeta del fanciullo, della
natura; D'Annunzio; Govoni segna l'inizio della poesia crepuscolare; Palazzeschi delle
avanguardie, la tradizione viene recuperata nel canzoniere di Saba, nel 1925 si
pubblicano ossi di seppia, nel 1978 Zanzotto pubblica galateo in bosco.

Le Ricordanze, Mezzanotte

Ciao il Leopardi la finestra lo strumento per il dialogo, la sintassi segue l'onda del
pensiero ma sempre secondo una linea razionale. , in pascoli la poesia diventa
monologo interiore, la poesia verso la prosa, musicalità ma non ritmo fisso.

Mottetti, Montale

Il ramarro, la vela, l'orologio e il cronometro, il soggetto compie un'azione


istantanea, in un secondo, gli eventi della quotidianità si compiono in pochi istanti.
Solitamente nella struttura dei mottetti una o più strofe sono descrittive e l'ultima
riflessiva. Questi piccoli oggetti sono lucidi lampo che non mutano la storia, tranne
con l'intervento di clizia. Il ramarro è una citazione a Dante. Cita anche il sonetto di
Shakespeare (CS lez. 15 p. 23)

Montale, la solitudine dell'artista.

La pulsione fondamentale dell'uomo e l'amore individuale, l'amor vite ma la sua


natura di uomo e di essere isolato. Per comunicare con gli altri è necessario aprirsi a
questi, il tentativo di comunicare dell'io, questa tensione verso gli altri, questo
tentativo di rompere il muro individuale, e alla base di ricerche artistiche e
filosofiche nel 900
Secondo modulo. Indice dei testi:

Meriggiare pallido e assorto p.24

In Limine p.26

I limoni p.28

Corno inglese p.31

Falsetto p.33

Epigramma p.37

Quasi una fantasia p.38

Dove se ne vanno le ricciute donzelle .39

Ora sia il tuo passo p.41

Il fuoco che scoppietta p.42

Ma dove cercare la tomba p.42

Non chiederci la parola p. 44

Portami il girasole p.45

Gloria nel disteso mezzogiorno p.47

Felicità raggiunta p.48

Forse un mattino andando p.49

A vortice s’abbatte p.50

Antico, sono ubriacato dalla voce p.51

Avrei voluto sentirmi p.53

Dissipa tu se lo vuoi p. 55

L’Agave su lo scoglio p. 56

Vasca p.58

Egloga p.59

Clivo p.62

Arsenio p.65

Incontro p.69
19° lezione 17/04

(CS lez. 19 p. 2)

In Italia pubblica gli ossidi seppia con Piero gobetti, l'importante editore antifascista
torinese, nel 1925. Dagli anni 70 inizia una stretta collaborazione con il Corriere della
Sera nel 1946 scrive un'intervista immaginaria dove dice che ha vissuto gli anni della
guerra « standomene seduto in poltrona e osservando», per montarle l'osservazione
la capacità di stare con gli occhi aperti è un valore importante. Ciò non fa di lui un
intellettuale disinteressato, lui osserva, capisce , e si fa un'opinione. Gli ossi di seppia
saranno ripubblicati nel 28 e nel 31. L'edizione del 28 verrà scelta per creare l'opera
omnia curata da Contini, un anno prima della sua morte. Viene considerato il pilastro
poetico del 900, gli concedono i funerali di Stato, nel 1975 vince il Nobel. Nel 27
scrive di essere “definitivamente a secco della Musa”, un anno dopo aver pubblicato
la prima raccolta. Fai il conto dei versi, spera di morire creditore di Leopardi,
ribaltamento del lavoro di ragioniere. Rovescia continuamente le aspettative: si
presenta come anti-romantico e anti-simbolista. Nelle sue poesie non si parla più di
musa, non si parla di ispirazione. Mallarmè scriveva di un fulmine, metafore
dell'ispirazione , che faceva diventare una pagina bianca una pagina scritta. Montale
è lontanissimo da quel tipo di ispirazione. Per il Corriere della Sera scrive che la
poesia è una stregoneria fatta con gli occhi ben aperti della ragione. Per Montale
fare poesia non significa dismettere le funzionalità della ragione, guardare il mondo
con gli occhi degli scienziati e degli umanisti si può fare, non sono due mondi
inconciliabili. La poesia è uno strumento che l'uomo ha per stare nel suo tempo, per
stare dentro le cose . Montale sai che la poesia è stritolata dentro i meccanismi della
comunicazione di massa. Adorno diceva che dopo Auschwitz la poesia non era più
possibile, che nel post guerra la poesia non avrebbe più avuto spazio. Montale in
realtà non è d'accordo, sostiene che la poesia sia nata con l'uomo e che con lui
morirà, finché l'uomo esisterà. La poesia farà sempre resistenza come un granellino
di sabbia all'interno dei meccanismi della comunicazione di massa. Sceglie però un
linguaggio vicino alla comunicazione, affabile per il lettore, semplice. Scrive tre
raccolte: Ossi di seppia, le Occasioni, Bufera. Poi solo dopo molti anni di silenzio,
pubblica satura e cambia completamente, gli ultimi tre libri sono scritti in modo
frenetico, scrivevo ovunque, sui biglietti del tram. C'è chi usa la poesia per fare
polemica verso il suo tempo, tipo Pasolini e chi invece critica il proprio tempo
attraverso l'ironia, attraverso un attacco non di petto ma trasversale, da un . di vista
più esterno, così fa Montale. Voleva essere leggibile da un numero quanto più ampio
possibile di lettori. L'ironia serve a togliere sublimità, aura, solennità a un discorso
poetico troppo aureo e così facendo il discorso diventa adatto a tutti. Già Baudelaire
aveva scritto che l'aureola dei poeti era caduta nel fango. Il compito della poesia è
sollevare il dubbio sulle questioni presentate come perentorie . è una poesia
inclusiva, al contrario di quella pura . e multiforme, multi tematica, capace di
accogliere il pensiero e le descrizioni. I mottetti sono l'unica raccolta d'amore e fa
una riflessione sul significato della distanza fra due amanti. La poesia non è impulso
di ispirazione, è meditativa, è riflessiva. Montale fa poesia con gli oggetti della
quotidianità: lo sciopero generale, la tomba del paesino, il dolore per la morte, la
cartella esattoriale e anche i suoi stessi versi. Tutto ciò concorre a creare il tessuto
della poesia, pesca fra gli ambiti più disparati: politica, pedagogia, sistema
economico fiscale. In Satura tutte le poesie sono dedicate alla moglie morta e ai suoi
oggetti quotidiani.

20° lezione 18/04

Rifiuta categoricamente D'Annunzio e il simbolismo in modo esplicito. Li ha studiati,


li conosce tutti i suoi riferimenti sono presenti nei testi ma non immediatamente
espliciti, mai evidenti. Accede a una serie di testi filosofici sia noti (Nietzsche,
Bergson) che meno (Boutroux) grazie alla biblioteca della sorella, fa lo stesso per le
sue fonti letterarie. Confonde i suoi critici, cita si Dante, ma attraverso Eliot. Vuole
creare una poesia che sta sì nel mondo contemporaneo, ma senza scendere mai al
pubblico di massa.

Meriggiare pallido e assorto

Meriggiare pallido e assorto


presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia

(CS lez. 19 p. 7)

Montale studia canto lirico, era baritono, ehm questi studi sicuramente gli
forniscono un'attenzione particolare per la musicalità parola il suono non sono
disgiunte, la componente sonora ha enorme rilevanza. Manca il soggetto, l'io lirico.
L’io impersonale è il paesaggio ligure. Un territorio dove il lavoro umano strappa la
terra al mare, terrazzamenti che trasformano in una terra inadatta a produrre
ricchezza. Il meriggio rappresenta un topos. Questo non è un locus amoenus, è il
contrario: il sole abbaglia, cuoce, crepa il terreno, siamo lontani dalla dimensione del
ruscellino e del venticello, L'acqua è salmastra , è mare. La poesia nasce da un dato
biografico, questo è il luogo dove passava le estati, tenta quindi di riferire questo
luogo dell'anima. Le 5 terre sono però anche la selva dei suicidi descritta da Dante in
inferno 13 e anche l'orto di sofferenza dello zibaldone parentesi aperte Aprile 1821).
Leopardi smonta il locus amoenus. Anche le piante sono frustrate dalla sofferenza,
queste tocca qualsiasi forma di vita . si palesa un interesse per le neuroscienze ante
litteram. Lo zibaldone è letto e reinterpretato senza un riferimento diretto. Negli ossi
c'è sempre il tentativo di cercare un significato che vada oltre, più in là, come la
tensione con ciò che c'è oltre alla muraglia. La natura degli ossi non è solo dura,
ardua, secca, di tanto in tanto si palesa il miracolo (vedi i limoni), ciò che c'è oltre.
Come Leopardi, Il modo di procedere non è hegeliano, non si arriva mai alla sintesi,
dopo i processi di tesi e antitesi la questione rimane spesso irrisolta. Vi è un
intertesto letterario molto colto, l’Isotteo di D'Annunzio, inteso come puro esercizio
di stile. Fa riferimento anche allo stile dei poeti del 300, il termine meriggiare lo
trova per l'ap. in un dizionario trecentesco. La quieta Suprema diventa in realtà per
lui un momento di elevatissima attività mentale, di estrema riflessività. Qui le biche
diventano elemento di paragone oltre che con Dante, anche con la Ginestra di
Leopardi, sono sia i mirmidoni di inferno 29 che le formiche le formicaio distrutto dal
piccolo pomo di Leopardi. L'intertesto è significativo se ha senso attualizzato. In un
saggio del 1965 dice che Dante non può essere ripetuto, ma ci può fornire immagini
utili per descrivere la nostra attualità e lui sostiene che quel periodo, quello della
prima guerra mondiale, fosse una sorta di secondo medioevo. Dante è il più lontano
ma anche l'unico utile per parlare di noi, non possiamo più usare né Tasso né
Ariosto.

21° lezione 19/04

Non bisogna pensare che il medioevo sia stata un'epoca buia, nel senso che ci
illudiamo di un progresso che procede senza avere fine, la nuova barbarie ha a che
vedere con la cultura mass mediatica, della vetrina, dove anche il valore estetico
viene commercializzato. Montale guarda Dante da lontano, c'è una confidenza nella
a lui. Riprende alcune idee utili per questa contemporaneità: la figura è l'idea che la
vita sia un cammino, il sentirsi esiliati dalle nostre vite, diversi. L'orizzonte metafisico
che per lui era a portata di mano, per l'uomo del 900 è lontanissimo. Il miracolo è
spostato sul piano materiale, non si può più verificare nell'empireo. Il miracolo può
essere sia negativo che positivo, in ogni caso il miracolo nel meccanismo della nostra
vita squarcia la quotidianità e ci manifesta una verità, una gioia improvvisa.
Ciononostante non si può trovare mai un vero e proprio momento di sintesi fra le
due entità, fra gioia e dolore.

In Limine (CS lez. 21 p. 3)

Godi se il vento ch’entra nel pomario


vi rimena l’ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquario.

Il frullo che tu senti non è un volo,


ma il commuoversi dell’eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.
Un rovello è di qua dall’erto muro.

Se procedi t’imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.

Cerca una maglia rotta nella rete


che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato, - ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…

Ci si si interroga sul rapporto fra realtà fisica e metafisica. Tutta l'arte che non
rinuncia alla ragione ma che nasce dal cozzare della ragione contro qualcosa che non
è ragione, può dirsi metafisica. Ecco perché non è simbolista, ma allarme è lontano
da questa esperienza razionale. Dietro questa poesia che si interroga attraverso gli
strumenti della ragione, su enigmi che superano la portata della ragione stessa, c'è
Leopardi. La civiltà che salva e il giardino , e il pomario il pomario da un lato può
essere sacralizzato dal vento, dall'altro può essere trasformato in un reliquiario. Al
verso 7 dove scrive “il commuoversi dell'eterno grembo” è una ripresa da Leopardi,
per cui la natura non è più pietosa ma spettatrice, qui Montale è più possibilista. Ma
per il poeta ormai non c'è soluzione, una possibilità di salvezza potrebbe esserci
forse per il “tu” a cui fa riferimento, per la donna. Rimane dentro la tradizione per
quanto riguarda la costituzione dei protagonisti, ma se il topos sembra razionale
(Stilnovo, Petrarca) in realtà non lo è, perché qui la donna non è più colei che
salvava, ma colei che può salvarsi. Leopardi invece presenta una situazione in cui non
può salvarsi nella donna né il poeta. Montale si muove a metà fra queste due
posizioni, la salvezza è possibile ma non per tutti, solo per chi vuole, c'è un atto di
volontà ferrea che presiede alla salvezza, il poeta non ha sufficiente volontà per
salvarsi. In termini petrarcheschi sarebbe un accidioso, colui che sa qual è l'obiettivo
etico da perseguire ma non c'è la fa , non ne ha la forza, il problema è che ha bisogno
di qualcuno che lo traini ma quando in Bufera la donna scende dal cielo per salvarlo
viene colpita da un proiettile; nei Mottetti durante la sua discesa dal cielo alla terra,
la donna Angelo viene ferita e tocca al poeta prendersene cura. Il pomario che
rischia di diventare un reliquiario è uno strumento per riflettere su ciò che sta oltre .
il poeta non è in grado di fare quel salto, quel tuffo, quel balzo verso la vita, ap. per
mancanza di slancio vitale, rimane ancorato a terra e quindi non sa cosa ci sia
quando ci si lascia andare.
Poeta, io Donna, tu
• affonda con le sue memorie • ondata di vita primaverile
• reliquario • pomario
• rovello • crogiuolo
• dentro • fuori
• immobilità • balzo
• sterilità • primavera, grembo

I limoni (CS lez. 21 p. 6)

Ascoltami, i poeti laureati


si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere 5
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. 10

Meglio se le gazzarre degli uccelli


si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore 15
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza 20
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose


s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta 25
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il . morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno, 30
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana 35
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo


nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta 40
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni; 45
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Questa poesia può essere interpretata come un vero e proprio manifesto


programmatico. È il luogo magico, il pomario contrapposto alla città. Se in In Limine
la possibilità di salvarsi a data dal vento, qui per aggrapparsi verso ciò che non è
ragione c'è la mente (verso 31, la mente indaga accorda disunisce), non ci sono
superstizioni o irrazionalismo . la mente permette di indagare attraverso le forze
della ragione per conoscere una verità.

22° lezione 24/04

La Liguria Eh sì vissuta autobiograficamente , in modo scarno, scabro, ma è anche


una Liguria allucinata e insieme restituzione della realtà. Fra i versi 25 e 30 si scopre
la duplicità della natura (di scoprire uno sbaglio di natura ecc.). In La casa delle due
palme, descrive un paesaggio pascoliano, scritto negli anni 40 sul ricordo di quando
andava a Monterosso «quel recupero di un tempo che egli credeva quasi
immaginario aveva veramente qualcosa di miracoloso, Federico credette di
impazzire». Se la rappresentazione del paesaggio può derivare da pascoli, la
musicalità della sintassi deriva da D’Annunzio. Accanto all'esempio di D'Annunzio, c'è
Sbarbaro che usa la lingua con secchezza e sacralità. Montale il primo percepire il
rapporto uomo- paesaggio non tanto a partire dal pathos (modello romantico) ma
con il ragionamento: lo sguardo che indaga, accorda e disunisce. Perché il vino il
paesaggio è il luogo geometrico dell'io . il luogo esiste in relazione a un io che lo
conosce, il mondo esiste in quanto luogo in cui l'io prende chiarezza di se stesso
(probabile ripresa dalla tradizione illuminista che vuole fare chiarezza su ciò che lo
opaco). Ma che cosa si intende per paesaggio?

Nella tradizione classica semplicemente non esisteva come protagonista, vi erano


solo persone dipinte sui vasi e il paesaggio faceva da sfondo, se c'era era
sicuramente codificato come locus amoenus, comunque la descrizione dei luoghi
non aveva come obiettivo l’essere realistica.

Nel medioevo Petrarca vedere il paesaggio come spazio di inabissamento dell'io, lo


vede in modo moderno, non come realtà a lui esterna, anche in Dante c'è poco di
realistico, è lo specchio della manifestazione dell'eterno.

Nel 700, con Kant si sviluppa l'idea di un io che osserva, i pittori fiamminghi lo
sezionano (attività iniziata già fra il quattro e il 500), individuano nuove modalità
d'accesso al paesaggio.

Il paesaggio come percezione estetica: Simmel, Ritter, Starobinski, Camporesi (CS lez.
20 p. 10). Per interpretare gli Ossi di seppia la filosofia di Ritter e di Starobinski
possono servire per capire l'idea di Montale riguardo l'esistenza, in relazione al
paesaggio che si trova di fronte. Scegliendo di nominare alcuni elementi (limoni)
invece di altri (ligustri, acanti) Montale edifica un certo tipo di paesaggio da cui
emerge il ruolo di un soggetto che si interroga sulla sua posizione fragile, allucinata,
rispetto a quello stesso luogo.

23° lezione 25/04


(CS lez. 21 p. 11)

Il meriggio è l'ora topica di tutti gli Ossi, in questo momento si palesa la vera essenza
dei fenomeni, si mostra ciò che sta dietro il velo di maya, ciò che non è sempre
palese o esplicito. Secondo la tradizione classica, durante il meriggio si manifestava il
dio pan e chi lo vedeva, chi ne entrava a contatto, vedeva l'essenza nelle cose, faccia
a faccia, ne scopriva la realtà. Per Montale diventa il momento in cui è possibile
sprofondare nel rapporto con la natura, per conoscere il rapporto io- natura nella
sua intimità, facendo cadere qualsiasi forma di percezione temporale, entrando in
una dimensione in cui l'io esce dallo scorrere del tempo (nella tradizione classica
nell'istante meridiano il sole si fermava in cielo quindi si fermava anche il tempo).
Nell’aprile 1920 Montale scrive una lettera a Sergio Solmi dove spiega che per lui il
paesaggio ambisce a: 1) fornire una rappresentazione realistica ed essere
chiaramente individuabile in termini geografici; 2) dare al lettore la percezione che
qualsiasi sia il paesaggio, può trattarsi sia di Monterosso sia di un paesaggio in
assoluto, dell'archetipo di un qualsiasi paesaggio. Da un lato vi è il discorso
simbolista tratto da Mallarmé e un certo D'Annunzio, quello di Alcyone, da un lato, e
la tradizione del contingentismo francese dall'altro: Bergson e Boutroux che tenta la
possibilità di poter accedere a una verità puntuale che per i due filosofi appena citati
non è niente di razionale. Per Testa, il paesaggio intrattiene un rapporto fittissimo
con la psicologia dell'io, e personaggio in prima battuta, manifestazione di
un'attitudine psicologica del soggetto. Quest'ora viene a volte interrotta dal
miracolo, che ci rende conoscibile una verità che prima di quel momento era
inattingibile, invisibile. Questa modalità di far partire il discorso poetico dalla
percezione di un luogo che si fa condizioni dell'io , non risenta ancora di Freud, non è
propriamente unisce fisso. Per Montale abbiamo arte quando non c'è eccesso, pura
forma, nero esercizio di stile, quando deriva da esperienze di vita vissuta, equilibrio
fra forme e contenuti. L'arte è intuizione pura, preparazione culturale, l'esperienza
etica e anche qualcosa che sfugge, c'entra anche il colpo di fulmine. La critica non
deve spiegare l'opera d'arte, deve indicare dei percorsi , non deve spiegare il colpo di
fulmine. Anche quando il miracolo si realizza, si realizza per qualcun altro, il poeta di
quelli che rimangono con i piedi sulla terra l'illusione, già leopardiana che la felicità
derivi dalla conoscenza della verità, e la pietra angolare su cui si sviluppano tutti gli
ossi, alla fine dell'esperienza devo riconoscere l'uomo.
Corno inglese

(CS lez. 23 p. 3)

Il vento che stasera suona attento


– ricorda un forte scotere di lame –
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l'orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D'alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell'ora che lenta s'annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore

In questo testo si verifica il tentativo di far convergere poesie e musica. Il testo ha


una forma di imbuto e finisce con una parola-verso (vedi Ungaretti 1919 Allegria di
naufragi). Stessa cosa fa Debussy, tenta di tenere insieme l'esperienza simbolista e
Leopardi attraverso il rapporto con la musica di Debussy. Soprattutto dopo Satura,
abbandonerà il proposito ma comunque rimane l'idea del miracolo, che sarà
tratteggiato con ironia come se si trattasse solo di un un'illusione giovanile. Verso 16,
il cuore che si è scordato di sé, attraverso la memoria cerca di ri-attribuire al poeta la
capacità di raccontare se stesso. Se c’è una possibilità di ritornare a essere natura,
questa si può trovare solo nel recupero memoriale (Leopardi). Lo strumento cuore è
incapace di accordarsi alla musica della natura. V. 9: dalle fessure di un portone
malchiuso si intravede un utopico Eden, dove gli uomini potranno essere felici.
24° lezione 26/04

Montale è figlio del passato ma ha con questo un rapporto problematico, perché a


cavallo fra passato e modernismo.

Falsetto

Esterina, i vent'anni ti minacciano,


grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un'avventura più lontana
l'intento viso che assembra
l'arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t'avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell'elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d'incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.
La dubbia dimane non t'impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d'erba del fanciullo.

L'acqua è la forza che ti tempra,


nell'acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un'alga, un ciottolo come un'equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.
Hai ben ragione tu!
Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizî
del tuo domani oscuro.
T'alzi e t'avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s'incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t'abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t'afferra.
Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.

Una poesia lunga, discorsiva, allocutoria. Esterina compare solo questa volta, in
questo unico luogo (a differenza di Clizia ad esempio). Il titolo è ironico, la sintassi
piana, conversevole, con lessico che in alcuni momenti topici si inarca (adusta, v.9;
fumea v.6; dubbi dimane v.22 da D’Annunzio, poeta riutilizzato, risemantizzato e
calato in un contesto diverso). La scena è di una spiaggia normale, banale,
quotidiana: una ragazza che si prende il sole e poi si butta in mare, il resto della
piaggia esce dall’attenzione del poeta, Montale si concentra solo su Esterina.
Riattualizza il discorso mitico di D’Annunzio in un presente umile e quotidiano, tipico
invece del modo di poetare di Gozzano, emblema anche di un certo modo di vivere.
Esterina vs poeta, vs noi. Esterina vs Silvia, la prima rappresenta il periodo di
spensieratezza che combacia con la prima giovinezza, la seconda il momento in cui,
terminata la giovinezza, subentra la morte. Gozzano in Invernale:

«.... cri.... i.... i.... i.... icch....


l’incrinatura
il ghiaccio rabescò, stridula e viva.
3«A riva!» Ognuno guadagnò la riva
disertando la crosta malsicura.
«A riva! A riva!...» Un soffio di paura
6disperse la brigata fuggitiva.

«Resta!» Ella chiuse il mio braccio conserto,


le sue dita intrecciò, vivi legami,
9alle mie dita. «Resta, se tu m’ami!»
E sullo specchio subdolo e deserto
soli restammo, in largo volo aperto,
12ebbri d’immensità, sordi ai richiami.

Fatto lieve così come uno spetro,


senza passato più, senza ricordo,
15m’abbandonai con lei, nel folle accordo,
di larghe rote disegnando il vetro.
Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più tetro....
18dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più sordo...

Rabbrividii così, come chi ascolti


lo stridulo sogghigno della Morte,
21e mi chinai, con le pupille assorte,
e trasparire vidi i nostri volti
già risupini lividi sepolti....
24Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più forte....

Oh! Come, come, a quelle dita avvinto,


rimpiansi il mondo e la mia dolce vita!
27O voce imperïosa dell’istinto!
O voluttà di vivere infinita!
Le dita liberai da quelle dita,
30e guadagnai la ripa, ansante, vinto....

Ella sola restò, sorda al suo nome,


rotando a lungo nel suo regno solo.

33Le piacque, alfine, ritoccare il suolo;


e ridendo approdò, sfatta le chiome,
e bella ardita palpitante come
36la procellaria che raccoglie il volo.

Non curante l’affanno e le riprese


dello stuolo gaietto femminile,
39mi cercò, mi raggiunse tra le file
degli amici con ridere cortese:
«Signor mio caro, grazie!» E mi protese
42la mano breve, sibilando: - Vile! -

La fanciulla e il poeta di astraggono dalle altre persone, l’io e il tu partecipano a


un’esperienza di tipo vitalistico. La rilettura del romanticismo pone questo in
un’ottica consunta (Resta, se tu m’ami!), viene condotta una critica ai valori borghesi,
l’amata chiede una dimostrazione di coraggio. I giri che compiono sul ghiaccio si
possono paragonare a quelli di Gerione. La donna rimane nella scelta vitalistica, il
poeta torna a terra. La donna rifiuta la tranquilla sicurezza della vita borghese,
proprio il pericolo della morte da valore a quegli istanti di vita. L’esperienza brucia, si
consuma in un attimo, ma è un attimo colmo di senso vitalistico, la sicurezza della
tranquillità dura tanto ma non permette di sentirsi vivi allo stesso modo. Mentre
Montale è lontano da Esterina, Gozzano si intreccia con la donna, anche se per poco
tempo, Montale non riesce neanche a fare un tentativo di avvicinamento, guarda da
lontano. In entrambi i componimenti si assiste a un’identificazione fra donna e
acqua/ poeta e terra. Si potrebbe creare un parallelismo fra acqua madre e padre
terra, volendo tentare un’ipotesi di lettura psicanalitica.

Epigramma (CS lez. 23 p.7)

Sbarbaro, estroso fanciullo, piega versicolori


carte e ne trae navicelle che affida alla fanghiglia
mobile d’un rigagno; vedile andarsene fuori.
Sii preveggente per lui, tu galantuomo che passi:
col tuo bastone raggiungi la delicata flottiglia,
che non si perda; guidala a un porticello di sassi.

Sbarbaro scrive Pianissimo, Montale lo conosce bene, ma non lo cita esplicitamente,


lo rimodula. Al primo verso lo “Sbarbaro” richiama l’evocativo “Esterina”. L’estroso
fanciullo apre a tutto un ventaglio di riferimenti: Pascoli, Leopardi, Dante nel
Paradiso, Palazzeschi, Zanzotto. La fanghiglia, dopo Baudelaire l’aura poetica è
caduta nel fango. Il galantuomo che passa è un’introduzione specifica di Montale,
non era presente ne in Sbarbaro, ne in Baudelaire. È un terzo protagonista, un uomo
che passa da lì, dalla poesia, questo rende il testo meta-poetico. È una poesia che
entra nel mondo, si sporca con la fanghiglia del mondo, acquisisce valore solo
quando il galantuomo passando la guida verso un porticello sicuro. L’arte diventa
comprensione dell’altro, dimensione morale: la poesia può smarrirsi, l’uomo deve
proteggerla.

25° lezione 02/03

Montale non prende modelli molto alti, Sbarbaro è come se fosse un fratello
maggiore più che un padre. Il poeta è una rota di demiurgo, fanciullo per i suoi tratti
fisiognomici, referenziale e purtuttavia ironico; la poesia ormai è nettamente diversa
dalla linea petrarchesca. Per Zanzotto, un certo modo di intendere la poesia è
linguaggio consolatorio, una mamma che culla il bambino. Gli studi di Freud sull’età
infantile aumentano l’attenzione per il bambino. Diventa altissima la percezione e la
valorizzazione dell’individuo, e così l’influenza del galantuomo.

Quasi una fantasia (CS lez. 23 p. 8)

Raggiorna, lo presento
da un albore di frusto
argento alle pareti:
lista un barlume le finestre chiuse.
Torna l’avvenimento
del sole e le diffuse
voci, i consueti strepiti non porta.

Perché? Penso ad un giorno d’incantesimo


e delle giostre d’ore troppo uguali
mi ripago. Traboccherà la forza
che mi turgeva, incosciente mago,
da grande tempo. Ora m’affaccerò,
subisserò alte case, spogli viali.

Avrò di contro un paese d’intatte nevi


ma lievi come viste in un arazzo.
Scivolerà dal cielo bioccoso un tardo raggio.
Gremite d’invisibile luce selve e colline
mi diranno l’elogio degl’ilari ritorni.

Lieto leggerò i neri


segni dei rami sul bianco
come un essenziale alfabeto.
Tutto il passato in un punto
dinanzi mi sarà comparso.
Non turberà suono alcuno
quest’allegrezza solitaria.
Filerà nell’aria
o scenderà s’un paletto
qualche galletto di marzo.

La poesia rappresenta per un apax negli Ossia di Seppia, un caso particolare. Il


“fantasia” del titolo rimanda a ciò che si discosta dalla realtà visibile, che non ha a
che fare con la realtà sensibile, di cui il cervello dell’uomo non riesce a spiegarsi
l’origine: o viene dal ricordo (come nel caso di Leopardi), o che forse sia ispirazione o
che forse sia immagine mistica, si concretizza si nella mente ma non a partire da una
realtà sensibile. V. 1 “lo presento” a dimostrazione del fatto che la conoscenza non
viene prima della conoscenza concreta e sensibile. I verbi all’indicativo evidenziano
che si ha a che fare con un’esperienza sensibile. L’accidia è il peccato di chi si crogiola
in un’idea ma non è in grado di passare all’azione, sentimento che nasce con
Petrarca. Nella consuetudine quotidiana, ci sono dei momenti che ci ripagano dalla
ripetitività e dalla monotonia della giornata. Era accidia per Petrarca e Agostino, è
noia per Leopardi, comunque si tratta del grado zero della vita, di un sentimento
estenuante. V. 14 “un paese d’intatte nevi”, la neve in Liguria è qualcosa di
inaspettato. A partire dal verso 19: nel sistema della poesia montaliana, questo non
è insensato, questa apparente insensatezza, questo miraggio, questa fantasia,
acquisiranno significato quando dal poeta saranno interpretati. Il miracolo che si
manifesta nella fantasia, ferma il tempo, congela il flusso del tempo ma apre a nuove
possibilità della vita. Questo istante di fantasia, di congelamento, rompe la
quotidianità, la giostra di ore sempre uguali.

Vita grigia, giostra di ore sempre uguali, La poesia che ci salva, che rompe la
vita di massa, meccanizzazione consuetudine di un tempo circolare.

26° lezione 03/05

Sarcofaghi I

(CS lez. 25 per tutti i Sarcofaghi a partire da p. 3)

Dove se ne vanno le ricciute donzelle

Dove se ne vanno le ricciute donzelle


che recano le colme anfore su le spalle
ed hanno il fermo passo sì leggero;
e in fondo uno sbocco di valle
invano attende le belle
cui adombra una pergola di vigna
e i grappoli ne pendono oscillando.
Il sole che va in alto,

le intraviste pendici
non han tinte: nel blando
minuto la natura fulminata
atteggia le felici
sue creature, madre non matrigna,
in levità di forme.
Mondo che dorme o mondo che si gloria
d’immutata esistenza, chi può dire?
uomo che passi, e tu dagli

il meglio ramicello del tuo orto.


Poi segui: in questa valle
non è vicenda di buio e di luce.
Lungi di qui la tua via ti conduce,
non c’è asilo per te, sei troppo morto:
seguita il giro delle tue stelle.
E dunque addio, infanti ricciutelle,
portate le colme anfore su le spalle.

Uno dei modi che un poeta giovane può usare per legittimare la propria arte può
essere identificare i propri riferimenti culturali, a cui decide di ispirarsi (in questo
caso Leopardi e Foscolo). La poesia riflette sul passato e sul futuro, il sepolcro
celebra la bellezza e la memoria tramandabile dall’essere umano. Come fosse un
bassorilievo, Montale sta in questa traditio che parte dagli egizi e arriva fino a
Caproni. Si verifica una contrapposizione fra lingua degli affetti (fronte leopardiano) e
lingua del razionalismo (fronte foscoliano). Qui Leopardi sceglie la morte di una
giovane perché è la morte delle aspettative (Silvia). La vista del sepolcro dovrebbe
renderci più umani, più pietosi, il gesto che conta si instaura fra i vivi, i morti ormai
sono andati, non c’è più preghiera, serve per sviluppare pietà, ci spinge a un gesto di
umanità qui nel mondo, fra i vivi, a differenza di Foscolo, per cui il ricordo e la
memorabilità hanno uno scopo glorificatore. Si tiene ben lontano dal parlare
esplicitamente nel milite ignoto, dei caduti della guerra, come aveva fatto
palesemente Ungaretti. Montale rinnova questa tradizione parlando delle ricciute
donzelle, ma stando dentro al proprio tempo, continuando a essere immerso in
questo tempo e in questa realtà storica, è ovvio che egli abbia presente i morti in
guerra. Gli antropologi segnano l’inizio della civiltà quando trovano delle sepolture, è
quello il momento che fa da discrimine. Nel momento in cui il sepolcro non è più
onorato da nessuno e la cura e la memoria cessano, cessa anche la civiltà. Fra la
prima e la seconda parte della sua opera, si possono rintracciare momenti di
continuità, nonostante a lui piacesse “mischiare le carte”, un esempio lo si può
ritrovare negli Xenia, dove riprende questo tema dei sarcofaghi. Di fronte alla morte,
che ormai ha perso di significato, non essendo più eternatrice, l’unica cosa che
ancora ha senso è il gesto pietoso di un uomo.

Sarcofaghi II

Ora sia il tuo passo


È rivolto a un “tu”, forse il
medesimo uomo che passa?

Ora sia il tuo passo


più cauto: a un tiro di sasso
di qui ti si prepara
una più rara scena.
La porta corrosa d’un tempietto
è rinchiusa per sempre. Vs Corno Inglese, malchiuso portone
Una grande luce è diffusa
sull’erbosa soglia. Invalicabile, non c’è nessuno che possa
pregare per qualcun altro
E qui dove peste umane
non suoneranno, o fittizia doglia,
vigila steso al suolo un magro cane.
Mai più si muoverà
in quest’ora che s’indovina afosa.
Sopra il tetto s’affaccia
una nuvola grandiosa.

La nuvola può avere due fonti:

1) Baudelaire, la nuvola che ci nasconde l’invisibile. Nell’uomo c’è la fiducia che


oltre la nuvola ci siano squarci di senso possibili.
2) Tolstoj, Guerra e Pace, Andrej cade da cavallo ferito e le nuvole gli
impediscono di vedere il cielo: paura che invece oltre le nuvole non ci sia
nulla, nessun orizzonte di significato o di senso possibile.
Sarcofaghi III Un’eternità che non può essere decisa,
nel mondo ci sono delle cose che non
Il fuoco che scoppietta
possono essere narrate.
nel caminetto verdeggia
e un’aria oscura grava
sopra un mondo indeciso. Un vecchio stanco Torna la presenza umana
dorme accanto a un alare
il sonno dell’abbandonato.
In questa luce abissale
che finge il bronzo, non ti svegliare
addormentato! E tu camminante Ritorna
procedi piano; ma prima
un ramo aggiungi alla fiamma Per tenere il fuoco vivo un po’ più a lungo, di fronte
del focolare e una pigna all’insensatezza, quest’uomo compie un dono. L’importanza che
matura alla cesta gettata ha nella tradizione classica: ritorna in Xenia e spiega che i doni
sancivano legami fra civiltà diverse, sigillavano accordi, erano atti
nel canto: ne cadono a terra di fratellanza. Qui certifica un rapporto così saldo che va oltre la
le provvigioni serbate morte, infatti Xenia è dedicata alla moglie morta.
pel viaggio finale.

Sarcofaghi IV

Ma dove cercare la tomba

Ma dove cercare la tomba


dell’amico e dell‘amante;
quella del mendicante e del fanciullo;
dove trovare un asilo
per codesti che accolgano la brace
dell’originale fiammata; I dimenticati, dalla storia e dalle cose
oh da un segnale di pace lieve come un trastullo
l’urna ne sia effigiata!
lascia la taciturna folla di pietra
per le derelitte lastre
ch’hanno talora inciso
il simbolo che più turba
poiché il pianto e il riso
parimenti ne sgorgano, gemelli.
Lo guarda il triste artiere che al lavoro si reca
e già gli batte ai polsi una volontà cieca.
Tra quelle cerca un fregio primordiale
che sappia pel ricordo che ne avanza
trarre l’anima rude
per vie di dolci esigli:
un nulla, un girasole che si schiude
ed intorno una danza di conigli.
Wordsworth, Leopardi

Che succede a chi non ha la tomba? A chi non è illustre o famoso?

Cenere → materialità consunta

Croce → significato vita

Girasole → ricordo dei cari nelle tombe

La cenere consuma, il girasole come contro-altare della cenere, la razionalità lascia


spazio agli affetti, basta un solo ricordo: il girasole. Conta come celebriamo l’oblio.

27° lezione 08/05

(CS lez. 26 a partire da p.3)


Chi è l’io degli Ossi? Non dice apertamente chi questo sia, si può confondere con
Debussy, con Sbarbaro, addirittura con “noi” (non chiederci la parola”. Prende le
distanze dal suo io biografico (a differenza di Petrarca ad esempio), tende a
collettivizzarsi guardando la tradizione biografica francese e inglese di fine ‘800-
inizio ‘900. L’io è diviso dalla massa ed è a questa superiore. Riprende la posizione
del Dandy baudelairiano o denunciando polemicamente o schernendo il mondo con
l’ironia (Dialogo di Tristano e un amico, Leopardi). In un contesto di urbanizzazione,
mercificazione, massificazione (Pasolini), gli intellettuali o possono chiudersi nella
loro torre d’avorio (ermetici), o possono stare fuori dalla massa si, ma senza
rivendicare un’appartenenza ultra-elitaria. La scelta di vita del Dandy era
innanzitutto una scelta di stile. Il dandy era un intellettuale che aveva fatto una scelta
di vita rispetto al proprio tempo, al proprio contesto.

In “Fuori di casa”, una raccolta di racconti fatti per il Corriere della Sera, nel testo
intitolato Paradiso delle donne e degli snob, Montale scrive riguardo al prendere una
scelta di vita di un certo tipo, la scelta del buon vivere, di rifiuto della vita frenetica,
moderna. Rifiuta la posizione di chi si lascia trascinare, la sua scelta è starsene in
disparte, rimanere a terra, condurre da un lato indagine intellettuale fra sè e il
mondo, dall’altro indagine affettiva, tensione verso un gesto di apertura verso l’altro
(esemplificativa a questo proposito l’immagine del passante che raccoglie le
barchette e lascia una pigna).

Non chiederci la parola

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato


l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,


agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

A nome di una generazione di nuovi artisti (di qui la prima persona plurale), smarriti
e senza certezza positive, Montale confida al lettore di non avere più messaggi
risolutivi da offrire. C'è una nuova condizione: quella dell'animo informe e
dell'individuo sdoppiato, e per essa la sicurezza espressiva ideologica dei vecchi poeti
(Carducci, Pascoli, D'Annunzio) suona stonata come un fiore in mezzo al deserto
punto più adatte risultano una poesia franta e secca e una verità negativa. Negativa è
anche la rappresentazione scheletrita del dato naturale, dal prato polveroso alla
canicola al ramo storto e secco: natura, si direbbe, perduta, assente, in mezzo alla
quale il tocco vitale del croco suona stonato e inopportuno. Qui dice che le parole
che ha lui a disposizione non sono sufficienti, non sono le parole di un poeta
laureato, di un poeta vate, ma neanche di un poeta di massa. Vuole però si dialogare
con il lettore, necessita di trovare una nuova forma espressiva, anche se non è
immediatamente riconoscibile, perché ci sono i cocci aguzzi ad impedirlo.

Per Lukacs il linguaggio si questa nuova epoca di letteratura borghese ha a che fare
con la fine dell’epoca precedente e la morte del “linguaggio dell’epica”. Prima il
“sistema mondo” era compatto perché erano presenti gli dei, la provvidenza ecc.,
ora si trova solo frammentazione, il protagonista viene sballottato in un mondo che
non lo accoglie più. Il poeta non può più salvarsi, può farlo per qualcun altro “va, per
te l’ho
Il linguaggio pregato”
della poesia, dell'arte della musica, devono rinnovarsi,
hanno lo stesso problema, il rinnovamento della poesia deve
passare per quello delle arti.

È un accordo fra due, lui può piantare il girasole ma qualcun


altro glielo deve portare
Portami il girasole
In tale sa perfettamente che il suo
Portami il girasole ch'io lo trapianti terreno è bruciato, ma non propone di
nel mio terreno bruciato dal salino, cambiare terra, la scommessa è proprio
che il girasole vada piantato proprio lì.
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
Non è un linguaggio roboante, sta ancora
è dunque la ventura delle venture. cercando la chiave di lettura corretta.

Portami tu la pianta che conduce


dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

Clizia, il mito del girasole dentro le Metamorfosi di Ovidio, costruisce le poesie sul
mito Clizia-Apollo. Al girasole viene attribuita capacità di salvezza. Sereni applica a
Montale ciò che De Sanctis aveva detto di Leopardi. La poesia dice si alla vita.
Proprio mentre si fa domande su questa.

Le prime due strofe danno l'impressione che si tratti di un sonetto, modernizzato e


reso valido e sensato per il suo tempo.

28° lezione 09/05

(CS lez. 26 p. 6)

So l’ora in cui

So l’ora in cui la faccia più impassibile

è traversata da una cruda smorfia:

s'è svelata per poco una pena invisibile.

Ciò non vede la gente nell'affollato corso.

Voi, mie parole, tradite invano il morso

secreto, il vento che nel cuore soffia.


La piú vera ragione è di chi tace.
il canto che singhiozza è un canto di pace.
Il poeta assume il ruolo del solitario che si tira fuori dal rumore incessante della
massa, Kavafis scriveva in proposito:
«Gli uomini solitari vedono cose che noi non vediamo: hanno visioni dal mondo soprannaturale.
Essi affinano l'anima attraverso l'isolamento, il pensiero e la continenza. Noi la rendiamo ottusa
con i contatti, la mancanza di riflessione, i piaceri. Per questo essi vedono quel che noi non
possiamo vedere. Chi è solo in una stanza silenziosa, ode chiaramente il battere dell'orologio. Se
entrano però altri e il movimento e la conversazione hanno inizio, cessa di udirlo. Ma il battito non
smette per questo di essere accessibile all'udito» (Note di poetica, 1963 – ma anni ‘20).

Per Adorno essere periferico nella società corrisponde con l’essere autentico.
L’intellettuale si ritrova come una voce schiacciata dal rumore di fondo della società
di massa. Proprio percepire la difficoltà del dire, permette al poeta di parlare
realmente. Ossi di Seppia è il tentativo di trovare la parola vera, nel silenzio si può
scoprire una verità. L’intellettuale inciampa, trova una pietra sul suo cammino, non
sta omogeneamente inserito nel sistema, e grazie a ciò può da un lato recuperare la
voce dei padri, dall’altro scoprire una verità, trovare un senso al mondo.

Gloria del disteso mezzogiorno (CS lez. 26 p. 7)

Gloria del disteso mezzogiorno


quand’ombra non rendono gli alberi,
e più e più si mostrano d’attorno
per troppa luce, le parvenze, falbe. Rendendo piano piano visibile la realtà vera

Il sole, in alto, – e un secco greto. Opposto al locus amoenus, non c’è acqua, solo aridità.
Il mio giorno non è dunque passato:
l’ora più bella è di là dal muretto
che rinchiude in un occaso scialbato.
Opposto al
L’arsura, in giro; un martin pescatore passero
volteggia s’una reliquia di vita. solitario
Qui Altrove
La buona pioggia è di là dallo squallore, Sole allo zenit Pioggia
ma in attendere è gioia più compita. Arsura
Secco greto

Il limite come trampolino di


lancio per l’altrove
C’è il riferimento a:

Dante, Paradiso, V, 133-139

Sì come il sol che si cela elli stessi


per troppa luce, come ’l caldo ha rose
le temperanze d’i vapori spessi
per più letizia sì mi si nascose
dentro al suo raggio la figura santa;
e così chiusa chiusa mi rispuose
nel modo che ‘l seguente canto canta.

Per Contini la salvezza la si può declamare solo con le parole di Dante, è qualcosa di
antico e fuori da questo modo a noi contemporaneo. E comunque ormai riguarda
qualcun altro, la donna, non il poeta, lo Stilnovo viene completamente rovesciato. Se
c’è una salvezza non è nel compimento, è nell’attesa, concetto derivato da Leopardi
(Zibaldone 12 febbraio 1828):
«La felicità ed il piacere è sempre futuro, cioè non esistendo, nè potendo esistere realmente, esiste
solo nel desiderio del vivente, e nella speranza, o aspettativa che ne segue. Le présent n'est jamais
notre but; le passé et le présent sont nos moyens; le seul avenir est notre objet: ainsi nous ne
vivons pas, mais nous espérons de vivre, dice Pascal».

Riviere si chiude con la possibilità di rifiorire, è una conclusione esortativa, è una


scommessa, è il tentativo di superare quel muro ma non è ben integrato come testo
nell’unicum di Ossi di Seppia, rimane solo un augurio.

Felicità raggiunta

Felicità raggiunta, si cammina


per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

Il percorso è difficile, ci si può incagliare a ogni passo, il pericolo sommo è di


infrangere la felicità. La felicità è un instante, è uno stato di grazia.

Forse un mattino andando

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,


arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: Il poeta si volta, si pone delle
domande, problematizza, a
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
differenza del resto degli uomini
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di


gitto alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Caso molto atipico, il miracolo c’è ma è negativo, svelta un orizzonte nichilistico. La


realtà più piena la si ottiene quando si ha un qualcosa in più di indeterminatezza, il
vuoto è l’origine delle cose (Zibaldone). La memoria che interviene ricordando il
testo poetico non lo corrompe ma lo arricchisce. Si interroga su che cosa succede
nella mente di un uomo quando gli si rivela il miracolo dal punto di vista conoscitivo,
gnoseologico, tramite lo sguardo scopre il miracolo, impara a vedere ciò che non
aveva mai visto fino a quel momento, da una nuova modalità che ha a che fare con le
neuroscienze a una che invece riguarda l’antropologia. L’uomo Montale è riuscito a
voltarsi e a vedere l’hide behind, il nulla, il punto cieco dello specchietto retrovisore,
l’orizzonte che si chiude subito dopo di sé.
29° lezione 10/05

(CS lez. 28 p. 3)

Mediterraneo:

Dialogo tra l’io e il mare: il soggetto cerca un contatto con una natura panica.
“immanenza e trascendenza non sono separabili” (dall’intervista Immaginaria). L’arte
deve “ritornare alla strada”, intrecciarsi col reale.

A volte s’abbatte

A vortice s'abbatte
sul mio capo reclinato
un suono d'agri lazzi.
Scotta la terra percorsa
da sghembe ombre di pinastri,
Condizione tipica di
e al mare là in fondo fa velo Mediterraneo: il soggetto
più che i rami, allo sguardo, l'afa che a tratti erompe contempla il mare da lontano
dal suolo che si avvena.
Quando più sordo o meno il ribollio dell'acque
che s'ingorgano
accanto a lunghe secche mi raggiunge:
o è un bombo talvolta ed un ripiovere Dopo il meriggio, la natura ricomincia a muoversi,
a parlare, e appena il poeta rialza il viso, “ecco
di schiume sulle rocce.
cessare”, la natura tace, non c’è nulla di idilliaco,
Come rialzo il viso, ecco cessare l’io è estraneo dall’inizio alla fine. Quando il poeta
i ragli sul mio capo; e via scoccare cerca di stabilire un contatto, la natura lo taglia
verso le strepeanti acque, fuori, il dialogo è impossibile.

frecciate biancazzurre, due ghiandaie.

Sembrava una composizione en plein aire, natura nel pieno del mezzo del giorno.
L’atteggiamento qui è differenze da quello del poeta che scruta le fila di rosse
formiche, qui è totalmente passivo, subisce la natura senza interagire con lei. Il
tentativo di apertura, di dialogo è negato, messo in discussione. È una poesia che
mettendo in discussione sé stessa cerca di ri-edificarsi su basi nuove, sicuramente
incerte. Con il mito classico la natura consolava ancora gli uomini inglobandoli nel
suo sistema. Ma ormai non si può più credere ai miti.

Antico, sono ubriacato dalla voce

Agg. Quando il poeta era piccolo, il mare e


riferito Antico, sono ubriacato dalla voce la sua voce lo facevano stare in uno
al mare ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono stato irrazionale e ora tenta di
restituire quella condizione magica
come verdi campane e si ributtano usando il presente. Ma ormai il tempo
indietro e si disciolgono. della mitica indistinzione non è più
possibile.
La casa delle mie estati lontane,
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro, Il poeta è talmente
escluso da un’unità
mare, ma non più degno vivificante con la natura
che diventa pietra
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento L’età adulta disgrega le illusioni e le
del tuo; che mi era in fondo convinzioni dell’infanzia

la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso

e insieme fisso:
e svuotarmi così d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie dei tuo abisso.

La natura è personificata, attraverso un’azione usata per primo da Leopardi. Il testo è


strutturato sul dialogo io-tu, a differenza della prima poesia di Mediterraneo. Il
leopardismo è concettuale, filtrato, inabissato, fa lo stesso nei Mottetti, dove lo cita
ma tramite un poeta spagnolo. Nell’infanzia il bambino si trova in una posizione
simile a quella degli antichi in rapporto alla natura, credendo ai miti. Kafka scrive
sulla fine del mito raccontando l’episodio di Prometeo che diventa roccia, e per forza
di cose lì il mito finisce. Volendo tentare una lettura in chiave freudiana, il mare che
scaccia l’io assolve alla funzione del padre che dovrebbe allontanare da sé il
bambino una volta cresciuto.

Scendendo qualche volta

(CS lez. 28 p. 6)

Scendendo qualche volta


gli aridi greppi ormai
divisi dall'umoroso
Autunno che li gonfiava,
non m'era più in cuore la ruota
Cuore scordato strumento
delle stagioni e il gocciare
Il bambino viveva in un ritmo
del tempo inesorabile; delle stagioni vivificante, il
ma bene il presentimento tempo si ricreava
continuamente, adesso “la
di te m'empiva l'anima,
giostra di ore sempre uguali”.
sorpreso nell'ansimare
dell'aria, prima immota,
sulle rocce che orlavano il cammino.
Or, m'avvisavo, la pietra
voleva strapparsi, protesa
a un invisibile abbraccio;
la dura materia sentiva
il prossimo gorgo, e pulsava; Nel tempo del mito, la natura pulsava (vedi
il mito di Dafne, il tronco pulsava, era vivo)
e i ciuffi delle avide canne
dicevano all'acque nascoste,
scrollando, un assentimento.
Tu vastità riscattavi
Davi un senso alla vita
anche il patire dei sassi:

La natura aveva pathos


pel tuo tripudio era giusta
l'immobilità dei finiti.
Chinavo tra le petraie,
giungevano buffi salmastri
al cuore; era la tesa
del mare un giuoco di anella.
Con questa gioia precipita
dal chiuso vallotto alla spiaggia
la spersa pavoncella.

Il tema affonda le sue radici nel romanzo del ‘700, l’uomo che viaggiando e
muovendosi cerca se stesso ( a differenza di Petrarca che come momento di crescita
decide di aprire le Confessioni solo una volta fermatosi alla fine della salita), qui la
poesia si fa attraverso il movimento.

30° lezione 15/05

Avrei voluto sentirmi

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale

siccome i ciottoli che tu volvi


mangiati dalla salsedine;
scheggia fuori del tempo, testimone
di una volontà fredda che non passa.
Altro fui: uomo intento che riguarda

in sé, in altrui, il bollore

della vita fugace - uomo che tarda

all'atto, che nessuno, poi, distrugge.


Volli cercare il male
che tarla il mondo, la piccola stortura

d'una leva che arresta

l'ordegno universale; e tutti vidi


gli eventi del minuto
come pronti a disgiungersi in un crollo.

Seguìto il solco d'un sentiero m'ebbi

l'opposto in cuore, col suo invito; e forse

m'occorreva il coltello che recide,


la mente che decide e si determina.

Altri libri occorrevano


a me, non la tua pagina rombante.
Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli

ancora i groppi interni col tuo canto.

Il tuo delirio sale agli astri ormai.

Pensiero vs natura è uno dei temi fondamentali di un’altra poesia di Mediterraneo.


Anche qui il poeta è chino sulle pietre e afferma che il linguaggio del mare non può
essere trasposto in poesia, quindi che il linguaggio della natura e dell’uomo vanno in
due direzioni diverse. Qui la poesia si fa pensiero e indagine su di sé. Anche qui c’è il
desiderio del poeta di tornare a essere parte della natura. Lo sguardo del poeta
verso il mare è sia filosofico sia nostalgico, di volontà di essere come il mare o come
Esterina e allo stesso tempo di consapevolezza che questa via non è più data. In
questa impossibilità c’è per Montale la possibilità di una poesia d’inchiesta, di
indagine sul male di vivere. Il passaggio finale è il segno di sconfitta del poeta stesso,
la differenza tra un modo di conoscere le cose tramite la tecnologia o tramite la
poesia e dice queste cose con le parole di Leopardi. La scommessa finale è quella di
ricostruire, di vedere delle soluzioni possibili nonostante il percorso abbia portato
alla sconfitta. Afferma che il canto della natura è ancora udibile, il poeta non è
ancora sordo e cieco ad esso, proprio grazie al suo sguardo attento sulle cose riesce
a conservare la capacità di mettersi in sintonia con un canto che non è più simile al
suo.

Dissipa se tu lo vuoi

Dissipa tu se lo vuoi
questa debole vita che si lagna,
come la spugna il frego
effimero di una lavagna.
M'attendo di ritornare nel tuo circolo,

s'adempia lo sbandato mio passare.


La mia venuta era testimonianza
di un ordine che in viaggio mi scordai,

giurano fede queste mie parole


a un evento impossibile, e lo ignorano.
Ma sempre che traudii
la tua dolce risacca su le prode

sbigottimento mi prese
quale d'uno scemato di memoria
quando si risovviene del suo paese.
Presa la mia lezione
più che dalla tua gloria
aperta, dall'ansare
che quasi non dà suono
di qualche tuo meriggio desolato,
a te mi rendo in umiltà. Non sono
che favilla d'un tirso. Bene lo so: bruciare,

questo, non altro, è il mio significato.


L’ultima poesia di Mediterraneo è più breve e c’è ancora il dialogo io-mare. L’io è
sconfitto e si arrende al volere del mare, si arrende a un linguaggio che non capisce
del tutto, ma che è la legge del mare (padre). Il mare che accoglie l’io si comporta
come una spugna che cancella il messaggio effimero su una lavagna. È una resa quasi
nichilistica. Montale non utilizza però un verbo di rinuncia, ma di adempimento,
quindi ha una posizione filosofica piuttosto lontana da quella nichilistica. La natura
che ha cacciato via gli ossi di seppia è quindi la stessa natura con cui Montale cerca
un dialogo, ma senza piegarla alla volontà dell’uomo. Se l’uomo tornerà a essere più
umile sarà quindi possibile riaccendere quella favilla tra uomo e natura. La parola
favilla in Leopardi significa rappresentare cosa rimane di un rapporto tra uomo e
natura, è un frammento di luce che conduce l’uomo al fuoco delle origini. In assenza
di favilla, di quel fuoco originale rimangono solo le ceneri, che arrivano sul finale
della poesia. Da un lato abbiamo una natura che è vitalità e spirito e dall’altra un
uomo che non riesce a ricongiungersi ad essa e diventa quindi materia inorganica.
Con quest’idea si chiude Mediterraneo.

31° lezione 16/05

(CS lez. 31 a partire da pag. 3)

Meriggi e Ombre.

Nella raccolta Montale contrappone i due momenti. Emergono elementi di


continuità con gli altri testi, ma anche novità, come la narratività. È la sezione più
rimaneggiata, alcuni testi sono aggiunti nella seconda edizione, altri sono stati
spostati per creare una storia di sé che man mano che il testo prosegue, si da sempre
più universale. A differenza degli Ossi, questi testi sono più lunghi, per ragioni
narrative e hanno un titolo.

L’Agave su lo scoglio

O rabido ventare di scirocco


che l'arsiccio terreno gialloverde
bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche blocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d'una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,

luci-ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell'aria
ora son io
l'agave che s'abbarbica al crepaccio

dello scoglio Tentativo di resistenza vs la natura


e sfugge al mare da le braccia d'alghe stessa (Leopardi)

che spalanca ampie gole e abbranca rocce;

e nel fermento
d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci

che non sanno più esplodere oggi sento Non è più in grado di restituire una qualsiasi
la mia immobilità come un tormento. interpretazione del mondo. In alcuni momenti
l’immobilità consente al poeta di conoscere, indagare,
analizzare, qui è solo tormento

Tendenza al linguaggio musicale, dice che la poesia ha un “metronomo interiore”. Il


crepaccio, tra due infinità, da un lato l’orizzonte della natura, dall’altro un mondo
modernizzato che non ingloba l’io nel segno dell’unità panica ma lo annulla,
levigando tutto e appiattendo la società. Nei Mottetti, un non ti scordar di me segna
un collegamento amoroso fra poeta e donna amata. Clizia sintetizza in sé le
caratteristiche della natura. L’agave è l’emblema di una pianta strettamente ancorata
alla terra e l’immobilità diventa un’attitudine che qui non funziona più tanto, qui
l’immobilità diventa causa di tormento. Scrivendo una lettera a un’amica, scrive che
se Ossi di Seppia non avesse avuto fortuna, avrebbe smesso di scrivere perché “mi
sono già vivisezionato abbastanza”
Vasca

Passò sul tremulo vetro


un riso di belladonna fiorita, Crea ambiguità con “bella donna”.
di tra le rame urgevano le nuvole,
dal fondo ne riassommava
la vista fioccosa e sbiadita.
Alcuno di noi tirò un ciottolo
che ruppe la tesa lucente:
le molli parvenze s’infransero.

Ma ecco, c’è altro che striscia


A fior della spera rifatta lisca:
di erompere non ha virtù, Il segreto del mondo che nel momento
vuol vivere e non sa come; del suo mostrarsi, torna subito a
inabissarsi
se lo guardi si stacca, torna in giù:
è nato e morto, e non ha avuto un nome.

Luogo dove le divinità si rivelano, riferimento mitico a Narciso e lo specchio d’acqua.


Fare l’analisi dei tempi verbali. Il dato di verità è una superficie d’acqua su cui è solo
passata un’ombra (lettura umanistica, materialista, ipersensibile, illuminista, da
Diderot e Voltaire) o la belladonna che si riflette sullo specchio d’acqua (lettura
romantica alla Rousseau, potere salvifico delle illusioni . La poesia ha lo scopo di
rendere duraturo l’effimero. Prevede la possibilità di un interrogativo filosofico pur
contemplando la possibilità che il suo interrogativo rimarrà inevaso.

32° lezione 17/05

Egloga
Elementi locus amoenus
Perdersi nel bigio ondoso Elementi rottura dell’accordo
dei miei ulivi era buono uomo-natura
nel tempo andato – loquaci
di riottanti uccelli
e di cantanti rivi.
Consustanzialità uomo e natura che
Come affondavi il tallone coincidevano perfettamente in un tempo
nel suolo screpolato, passato.
tra le lamelle d’argento
dell’esili foglie. Sconnessi
nascevano in mente i pensieri
nell’aria di troppa quiete.

Ora è finito il cerulo marezzo.


Si getta il pino domestico
a romper la grigiura;
brucia una toppa di cielo
in alto, un ragnatelo
si squarcia al passo: si svincola
d’attorno un’ora fallita.
È uscito un rombo di treno,
non lunge, ingrossa. Uno sparo
si schiaccia nell’etra vetrino.
Strepita un volo come un acquazzone,
venta e vanisce bruciata
una bracciata di amara
tua scorza, istante: discosta
esplode furibonda una canea.

Tosto potrà rinascere l’idillio. L’idillio si può trovare in un orticello, è la


volontà del poeta configura un
S’è ricomposta la fase che pende
paesaggio mentale.
dal cielo, riescono bende
leggere fuori...;
il fitto dei fagiuoli
n’è scancellato e involto.
Non serve più rapid’ale,
né giova proposito baldo;
non durano che le solenni cicale
in questi saturnali del caldo.
Va e viene un istante in un folto
una parvenza di donna.
È disparsa, non era una Baccante. È un idillio che non ha nulla a che fare con un miracolo di
origine mitologica.

Sul tardi corneggia la luna.


Ritornavamo dai nostri Pastore errante 900ntesco
sicuramente meno disperato di
vagabondaggi infruttuosi.
quello leopardiano perché è
Non si leggeva più in faccia possibile una nuova narrazione che
al mondo la traccia deve abbandonare gli elementi più
della frenesia durata consunti e ripartire da elementi
nuovi
il pomeriggio. Turbati
discendevamo tra i vepri.
Nei miei paesi a quell’ora
cominciano a fischiare le lepri.

Infanzia in cui vigeva l’immagine del locus amoenus. Sembra che l’Idillio non sia
possibile neanche più nel sogno, ma nella terza strofa sembra possa rinascere
l’idillio. A partire da fagioli, luna che corneggia e lepri, Montale crea il suo paesaggio
mentale

Sbarbaro, Versi a Dina, 1931

La trama delle lucciole ricordi


sul mar di Nervi, mia dolcezza prima?
(trasognato paese dove fui
Ieri e che già non riconosce il cuore).

Forse. Ma il gesto che ti incise dentro,


io non ricordo; e stillano in me dolce
parole che non sai d’aver dette.

Estrema delusione degli amanti!


invano mescolarono le vite
s’anche il bene superstite, i ricordi,
son mani che non giungono a toccarsi.
Ognuno resta con la sua perduta
felicità, un po’ stupito e solo,
pel mondo vuoto di significato.
Miele segreto di che s’alimenta;
fin che sino il ricordo ne consuma
e tutto è come se non fosse stato.

Oh come poca cosa quel che fu


a quello che non fu divide!
Meno
che la scia della nave acqua da acqua.

Saranno state
le lucciole di Nervi, le cicale
e la casa sul mare di Loano,
e tutta la mia poca gioia – e tu –
fin che mi strazi questo ricordare.

Costruisce la riflessione io-luogo, aggiungendo la modalità del ricordo. La


connessione io-luogo va avanti da Petrarca. Nello Zibaldone Leopardi scrive che un
luogo non è niente fintanto che un io gli fissa dei ricordi, è la memoria che ci fa
rendere caro un luogo, è la rimembranza, nel momento in cui si trasferisce un
ricordo in un pezzo di mondo, questo diventa un luogo poetabile. In Sbarbaro non c’è
alcuna fiducia nel potere eternizzante della poesia (a differenza di Foscolo), c’è
invece perdita di consistenza del luogo, mondo vuoto di significati. Nello strazio del
ricordare, si riesce a far poesia. Si chiude sul dolore di un ricordo impossibile, la
donna non ricorda, le lucciole non luccicano più, le cicale non suonano più.

Clivo

Viene un suono di buccine


dal greppo che scoscende,
discende verso il mare
che tremola e si fende per accoglierlo.
Cala nella ventosa gola
con l'ombre la parola
che la terra dissolve sui frangenti;
si dismemora il mondo e può rinascere.
Con le barche dell'alba
spiega la luce le sue grandi vele
e trova stanza in cuore la speranza.
Ma ora lungi è il mattino,
sfugge il chiarore e s'aduna
sovra eminenze e frondi,
e tutto è più raccolto e più vicino
come visto a traverso di una cruna;
ora è certa la fine,
e s'anche il vento tace
senti la lima che sega
assidua la catena che ci lega.

Come una musicale frana


divalla il suono, s'allontana.
Con questo si disperdono le accolte
voci dalle volute
aride dei crepacci;
il gemito delle pendìe,
là tra le viti che i lacci
delle radici stringono.
Il clivo non ha più vie,
le mani s'afferrano ai rami
dei pini nani; poi trema
e scema il bagliore del giorno;
e un ordine discende che districa
dai confini
le cose che non chiedono
ormai che di durare, di persistere
contente dell'infinita fatica;
un crollo di pietrame che dal cielo
s'inabissa alle prode...
Nella sera distesa appena, s'ode
un ululo di corni, uno sfacelo.

A partire dall’assunto Leopardiano, va in una direzione nuova, verso un orizzonte di


crollo che prevede una possibilità di rinascita ma non la realizza, forse prevista come
illusione, come possibilità futura. Ora, oggi, la poesia è spazio di meditazione, mera
elucubrazione mentale. Trascinato da un lato verso il basso (Arsenio e Incontro),
dall’altro spinto verso l’alto (Riviere)

33° lezione 22/05

Il viaggio finisce qui:


nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.

Il viaggio finisce a questa spiaggia


che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
i soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.

Tu chiedi se così tutto vanisce


in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.

Il cammino finisce a queste prode


che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.

In questo testo Montale riprende alcune sue linee tematiche costanti all’interno
degli ossi di seppia, tra cui il tema dell’infinito, la riflessione sulla poesia e sui luoghi
ma soprattutto sui rapporti tra il qui e l’oltre. Riprende anche il tema del precipizio,
del mare distante, del percorso di un io che vuole andare da un qui a un lì, un viaggio
che però fin dal primo verso finisce, poiché il poeta non riesce a raggiungere il luogo
voluto. C’è anche il tema della casa, che però è disabitata e non rivela più nulla. La
salvezza diventa qualcosa frutto di un esercizio di volontà, che poeticamente è un
piccolo oggetto, una speranza di salvezza. La speranza è offerta in pegno, quindi
come oggetto da tenere con sé e diventa oggetto in grado di salvarsi. Dopo la prima
edizione del 20-25 degli ossi di seppia, Montale lavora a una seconda che esce nel
28. Questo ci fa capire come la poesia in Italia fosse ancora centrale nel dibattito
culturale. In questa seconda edizione introduce, tra i testi più importanti, Arsenio e
Incontro. Abbiamo un protagonista maschile in Arsenio e uno femminile in Incontro.
Entrambi sono testi in cui la forma prosastica prende il sopravvento, potremmo
tranquillamente tradurli in una narrazione.

Arsenio
I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l’ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.

È il segno d’un’altra orbita: tu seguilo.


Discendi all’orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d’essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t’inciampi
il viluppo dell’alghe: quell’istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d’una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d’immobilità…

Ascolta tra i palmizi il getto tremulo


dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch’è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s’arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso.
Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, –
e fuori, dove un’ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l’acetilene –
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che s’abbevera,
tutto d’accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un frùscio immenso rade
la terra, giù s’afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.

Così sperso tra i vimini e le stuoie


grondanti, giunco tu che le radici
con sé trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell’onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell’ora che si scioglie, il cenno d’una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.

Il protagonista si presenta immediatamente come un alter ego di Montale, non


biografico, ma intellettuale, che vuole essere un io collettivo, invece in Incontro la
donna non è nominata. Incontro esce prima nell’edizione rivista sotto il nome di
Arletta, quando poi esce nell’edizione stampa il titolo si trasforma in Incontro e
scompare il tu e il nome della donna. Nella poesia di Arsenio, il poeta scende verso il
basso. Ragionando sulla figura maschile e su quella femminile, Montale arriva a una
nuova visione poetica, i due personaggi sono infatti l’esito di un percorso umano di
deprivazione e impossibilità di arrivare a una verità, sono quindi personaggi sconfitti,
ma che nonostante ciò trovano una via diversa, sul piano fisico e non più sul piano
del miracolo ma sul piano dell’etica. Infatti in questi due testi Montale mostra la sua
etica, senza involversi politicamente. Ci sono molti elementi di ricorrenza con le sue
poesie precedenti, ad esempio la terza strofa inizia come I limoni (“ascolta”), ma
utilizza anche l’immagine del viaggio che finisce (casa sul mare), quella dell’anello
della catena, il mare lontano e il poeta che invece sta a terra. Ci sono però anche
elementi di novità, come ad esempio il fatto che non ci sia ne afa ne meriggio ma c’è
una tempesta che incombe, non siamo a Monterosso ma siamo in una città, quindi
un contesto urbano. Il testo si apre con un paesaggio cupo e minaccioso e durante
tutta la poesia ci sono elementi di descrizione dell’ambiente che si prepara alla
tempesta (cavalli incappucciati, turbinii). I cavalli incappucciati sono immagine di
come l’uomo è costretto a vivere in quell’epoca. Sono ancorati a terra col naso chino
verso il basso con l’incapacità di tuffarsi. Inizia poi la discesa di Arsenio, che appunto
non è un tuffo ma è un lento avvicinamento al mare in cui qua e là si manifestano
elementi di luce. Il miracolo alla fine degli ossi ora non è altro che degli scoppi di
petardi, che vengono uditi in lontananza e sembrano rompere lo scorrere fluido di
un tempo, è solo un'illusione però, perché lo scorrere delle ore sempre uguali qua
non può più essere interrotto. “Ghiacciata moltitudine di morti”, sulla fine della
poesia, è un chiaro riferimento all’Inferno di Dante, il paesaggio di Arsenio è
esattamente quello. Scendere dunque vuol dire arrivare fino a Lucifero, e tuttavia
questo percorso non è esclusivamente una rinuncia, ma ha anche una scelta etica,
perché in questa discesa c’è una riflessione. Secondo Montale questa Ghiacciata
moltitudine di morti è una “vita strozzata”. In un contesto in cui la scommessa verso
l’oltre non è più possibile, l’unica possibilità è quella della discesa, una discesa
conoscitiva (per questo il poeta impiega solo verbi conoscitivi), non c’è più nessun
suono che può farsi udire e il cuore è definitivamente spento. Arsenio si chiude un
momento prima che la tempesta cominci. … Nell’ultimo verso riappaiono i termini
“cenere” e “astri”. La cenere è ciò che rimane da una favilla antica ed è quindi forse
l’unica e ultima possibilità di salvezza. Pregare per gli altri, adesso l’unica possibilità è
farsi cenere, ma questa non è una sconfitta, bensì proprio perché l’uomo accetta la
discesa, cerca un percorso etico. L’io della poesia non rifiuta il suo tempo, ma lo vive
come una condanna e per questo cerca di affacciarsi su un’altra soglia per tendere a
una vita più vera, che sta da un’altra parte e l’io è escluso da ciò. Arsenio è sfiorato
da un gesto, che non è suo e può essere un suono che arriva al suo orecchio o un
gesto che gli sfiora la mano. La vita non realizzata di questo tu che non è svelato,
sorge per salvare Arsenio. L’ambientazione urbana è nuova in Montale ma non della
tradizione letteraria a cui guarda. Infatti nella tradizione precedente c’è la
contrapposizione tra la città e il locus amoenus, con la città che diventa a partire da
Baudelaire e Eliot il luogo dei morti. Baudelaire nella sua poesia utilizza la parola
paesaggio per descrivere una città, e la descrive sì come terribile, ma afferma di
essere rapito da questa visione. La città ha in qualche modo a che fare con il sublime,
con una bellezza che spaventa e simile all’orrore, con uno scenario che esce dalla
consuetudine e che quindi suscita spavento, paura e incapacità di personalizzare. La
città per D'Annunzio è il luogo dell’anonimato, che riduce l’uomo eccezionale a uno
tra i tanti, come una scoria umana. Il suo testo non è né di elogio né di deprecazione
nei confronti della città, perché essa è vista non come luogo della perdizione, ma
anche luogo in cui l’uomo edifica se stesso in opere che restano (cupole e torri).
Infine il terzo che parla di città nella tradizione a cui guarda Montale è Sbarbaro, in
cui c’è un io che attraversa la città e la presenza dell’io diventa preponderante,
soprattutto è preponderante il rapporto tra l’io e il luogo in cui si trova. L’io si
appiattisce sul luogo che descrive e diventa parte integrante di quella scenografia,
annullando la propria individualità. La città è il luogo delle necessità, che in questa
poesia è messo con la lettera maiuscola, necessità che impone la prosecuzione della
specie. Il tono è quello di un monologo interiore, in cui Sbarbaro ragiona il suo stare
in mezzo alle cose. È un tono innovativo.

Incontro

Tu non m’abbandonare mia tristezza


sulla strada
che urta il vento foràno
co’ suoi vortici caldi, e spare; cara
tristezza al soffio che si estenua: e a questo,
sospinta sulla rada
dove l’ultime voci il giorno esala
viaggia una nebbia, alta si flette un’ala
di cormorano.

La foce è allato del torrente, sterile


d’acque, vivo di pietre e di calcine;
ma più foce di umani atti consunti,
d’impallidite vite tramontanti
oltre il confine
che a cerchio ci rinchiude: visi emunti,
mani scarne, cavalli in fila, ruote
stridule: vite no: vegetazioni
dell’altro mare che sovrasta il flutto.

Si va sulla carraia di rappresa


mota senza uno scarto,
simili ad incappati di corteo,
sotto la volta infranta ch’è discesa
quasi a specchio delle vetrine,
in un’aura che avvolge i nostri passi
fitta e uguaglia i sargassi
umani fluttuanti alle cortine
dei bambù mormoranti.

Se mi lasci anche tu, tristezza, solo


presagio vivo in questo nembo, sembra
che attorno mi si effonda
un ronzio qual di sfere quando un’ora
sta per scoccare;
e cado inerte nell’attesa spenta
di chi non sa temere
su questa proda che ha sorpresa l’onda
lenta, che non appare.

Forse riavrò un aspetto: nella luce


radente un moto mi conduce accanto
a una misera fronda che in un vaso
s’alleva s’una porta di osteria.
A lei tendo la mano, e farsi mia
un’altra vita sento, ingombro d’una
forma che mi fu tolta; e quasi anelli
alle dita non foglie mi si attorcono
ma capelli.
Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari
qual sei venuta, e nulla so di te.
La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari
dal giorno sparsa già. Prega per me
allora ch’io discenda altro cammino
che una via di città,
nell’aria persa, innanzi al brulichio
dei vivi; ch’io ti senta accanto; ch’io
scenda senza viltà.

L’accidia petrarchesca diventa melanconia per Starobinski, è lo stesso sentimento


della fanciulla di Incontro. La vita umana è ridotta a vegetazione, il Montale che vive
al 5% non si butta verso l’avventura della vita, non abbraccia le istanze vitalistiche
della vita, la sua è una vita vegetativa, livello aristotelico di vita ridotta alla sua
materialità più bruta, più lontana dalla vita razionale. Parla di aura in un’epoca in cui
ormai è inutile, la poesia è ormai diventata pure merce dopo la rivoluzione
industriale. Tiene a mente Petrarca per cui la poesia aveva lo scopo di vivificare,
deificare, ma anche Baudelaire, per cui invece l’aura casa nel fango a causa
dell’influenza della società di massa. Se il tocco di Apollo oggettifica Dafne che
diventa pianta, qui invece il tocco del poeta vivifica, il mito può essere usato solo se
rovesciato radicalmente, qui forse Montale intravede la possibilità di sfruttare il
cenno per dare una possibilità di senso a una vita ormai disgregata. Poi più nulla,
subito dopo che si palesa la possibilità di senso, dopo pochissimi istanti, questa si
richiude, così come si era aperta.

35° lezione 24/05

(CS lez 31 p.15)

Annetta, dal Diario del ‘72


Perdona Annetta se dove tu sei
(non certo tra di noi, i sedicenti
vivi) poco ti giunge il mio ricordo.
Le tue apparizioni furono per molti anni
rare e impreviste, non certo da te volute.
Anche i luoghi (la rupe dei doganieri,
la foce del Bisagno dove ti trasformasti in Dafne)
non avevano senso senza di te.
Di certo resta il gioco delle sciarade incatenate
o incastrate che fossero di cui eri maestra.
Erano veri spettacoli in miniatura.
Vi recitai la parte di Leonardo
(Bistolfi ahimè, non l’altro), mi truccai da leone
per ottenere il ‘primo’ e quanto al nardo
mi aspersi di profumi. Ma non bastò la barba
che mi aggiunsi prolissa e alquanto sudicia.
Occorreva di più, una statua viva
da me scolpita. E fosti tu a balzare
su un plinto traballante di dizionari
miracolosa palpitante ed io
a modellarti con non so quale aggeggio.
Fu il mio solo successo di teatrante
domestico. Ma so che tutti gli occhi
posavano su te. Tuo era il prodigio.

Altra volta salimmo fino alla torre


dove sovente un passero solitario
modulava il motivo che Massenet
imprestò al suo Des Grieux.
Più tardi ne uccisi uno fermo sull’asta
della bandiera: il solo mio delitto
che non so perdonarmi. Ma ero pazzo
e non di te, pazzo di gioventù,
pazzo della stagione più ridicola
della vita. Ora sto
a chiedermi che posto tu hai avuto
in quella mia stagione. Certo un senso
allora inesprimibile, più tardi
non l’oblio ma una punta che feriva
quasi a sangue. Ma allora eri già morta
e non ho mai saputo dove e come.
Oggi penso che tu sei stata un genio
di pura inesistenza, un’agnizione
reale perché assurda. Lo stupore
quando s’incarna è lampo che ti abbaglia
e si spenge. Durare potrebbe essere
l’effetto di una droga nel creato,
in un medium di cui non si ebbe mai
alcuna prova.

È proprio grazie a questo testo che sappiamo che il personaggio di Incontro si chiama
Annetta, prima l’aveva tenuta nel suo ambiente sotterrano. Si può dedurre che
Annetta è stata protagonista di almeno altri testi, come La casa dei Doganieri, ma
svela questi dettagli solo 50 anni dopo averle scritte. La foce è intesa come
significato alto e metafisico della fine della vita, sul piano della materialità si palesa
un sottile scherno di ironia. È la voce che da corpo ai luoghi, il luogo non esiste se
non diventa significativo, se non diventa trasfigurazione di qualcos’altro, Montale
modifica un discorso di senso intorno al fiume, simbolo dello scorrere del tempo.
Dopo 50 anni il miracolo è svelato nella sua realtà fattiva: se non ci fossero il poeta e
il gesto poetico, non ci sarebbe la donna. Il protagonista è lui. Annetta è più
sotterranea e molto meno esplicita di Clizia, solo negli anni ’70 ci dice che Casa dei
Doganieri non è dedicata a Clizia, è un altro modo di fare poesia. La torre della
Liguria è la trasfigurazione della torre del passero solitario, che però è lontano e
diverso da quello di Leopardi, perché qui canticchia un motivo lirico. Il cuore è
scordato perché qui si perde la continuità uomo-natura, gli uomini non sono altro
che sedicenti vivi, la ragazza morta a vent’anni, può ancora parlare il linguaggio della
giovinezza, col mito. Ossi di Seppia testimonia la rottura uomo-natura. Nel 1925
Ortega y Gasset pubblica “La desumanizacion de l’arte”. Nel 1972 Montale rielabora
tutta la sua opera giovanile. Riprende la mela della Ginestra e ribalta le termiti e le
formiche, che non sono assimilabili all’uomo perché questo non torna natura, ma
diventa semplicemente animale senza coscienza, nel termitaio umano. Il linguaggio è
reso balbuziente, ci sono molte opinioni ma nessuna può creare una linea di senso,
può restituire il flusso della vita, spesso la poesia di Montale balbetta, inciampa, non
ce la fa ad aderire fluidamente alla vita, inciampa perché si scontra con le difficoltà
che la vita le pone sul suo cammino.

Riviere

Riviere,
bastano pochi stocchi d’erbaspada
penduli da un ciglione
sul delirio del mare;
o due camelie pallide
nei giardini deserti,
e un eucalipto biondo che si tuffi
tra sfrusci e pazzi voli
nella luce;
ed ecco che in un attimo
invisibili fili a me si asserpano,
farfalla in una ragna
di fremiti d’olivi, di sguardi di girasoli.
Prima era dolore, delirio, impossibilità
Dolce cattività, oggi, riviere dell’animo. Sogna la possibilità di ritornare in
continuità con la natura e può riuscirci solo
di chi s’arrende per poco abbandonando la razionalità
come a rivivere un antico giuoco
non mai dimenticato.
Rammento l’acre filtro che porgeste
allo smarrito adolescente, o rive:
nelle chiare mattine si fondevano
dorsi di colli e cielo; sulla rena
dei lidi era un risucchio ampio, un eguale
fremer di vite,
una febbre del mondo; ed ogni cosa
in se stessa pareva consumarsi.

Oh allora sballottati
come l’osso di seppia dalle ondate
svanire a poco a poco;
diventare
un albero rugoso od una pietra
levigata dal mare; nei colori
fondersi dei tramonti; sparir carne
per spicciare sorgente ebbra di sole,
dal sole divorata…
Erano questi,
riviere, i voti del fanciullo antico
che accanto ad una rósa balaustrata
lentamente moriva sorridendo.

Quanto, marine, queste fredde luci


parlano a chi straziato vi fuggiva.
Lame d’acqua scoprentisi tra varchi
di labili ramure; rocce brune Aspetto meditabondo, riflessivo
tra spumeggi; frecciare di rondoni
vagabondi…
Ah, potevo
credervi un giorno o terre,
bellezze funerarie, auree cornici
all’agonia d’ogni essere.
Oggi torno
a voi più forte, o è inganno, ben che il cuore
par sciogliersi in ricordi lieti – e atroci.
Triste anima passata
e tu volontà nuova che mi chiami,
tempo è forse d’unirvi
in un porto sereno di saggezza.
Ed un giorno sarà ancora l’invito
di voci d’oro, di lusinghe audaci,
anima mia non più divisa. Pensa:
cangiare in inno l’elegia; rifarsi;
non mancar più.
Potere
simili a questi rami
ieri scarniti e nudi ed oggi pieni
di fremiti e di linfe,
sentire
noi pur domani tra i profumi e i venti
un riaffluir di sogni, un urger folle
di voci verso un esito; e nel sole
che v’investe, riviere,
rifiorire!

Come Leopardi nei Canti Pisano-recanatesi, vuole chiudere il libro in un segno di


speranza. “Trombonata giovanile” “Prematura guarigione” definirà in futuro Ossi di
Seppia.

Nella sua totalità Ossi di Seppia risulta un diario consuntivo di un adolescente che sta
passando all’età adulta, primo ma già consuntivo. Rompe la tradizione romantica, è
un libro gnoseologico, si interroga sul confini del conoscibile (In Limine), si interroga
sui limiti della conoscenza umana razionale. Fra i suoi modelli di riferimento
sicuramente si ritrovano: Saba, D’Annunzio, Ungaretti, Gozzano, Browning, Whitman,
Baudelaire e, ovviamente Leopardi.

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