Tavola dei Contenuti (TOC)
NOTA INTRODUTTIVA
I. DARE FORMA AL CAOS
II. LA NUOVA PROPAGANDA
III. I NUOVI PROPAGANDISTI
IV. LA PSICOLOGIA DELLE PUBBLICHE RELAZIONI
V. L’IMPRESA E IL PUBBLICO
VI. PROPAGANDA E LEADERSHIP POLITICA
VII. ATTIVITÀ FEMMINILI E PROPAGANDA
VIII. PROPAGANDA E ISTRUZIONE
IX. PROPAGANDA E SERVIZIO SOCIALE
X. ARTE E SCIENZA
XI. I MECCANISMI DELLA PROPAGANDA
Titolo originale dell'opera:
Propaganda
Traduzione di Andrea Roveda
Tutti i diritti sono riservati
©2018 Piano B edizioni srl, Prato
www.pianobedizioni.com
Prima edizione digitale settembre 2018
ISBN: 9788893710664
NOTA INTRODUTTIVA
Sebbene il suo nome sia ancora oggi poco noto al grande pubblico, l’opera e
il lavoro di Edward Louis Bernays lo hanno imposto come “padre delle
pubbliche relazioni” e pioniere dell’arte propagandistica in senso moderno.
Bernays, nato a Vienna il 22 novembre del 1881 in una famiglia di origine
ebraica trasferitasi a New York poco dopo la sua nascita, era nipote di Sigmund
Freud, e proprio l’adozione delle teorie psicoanalitiche freudiane fu determinante
per stabilire gli obiettivi e le strategie della nuova “scienza” delle relazioni
pubbliche e della propaganda.
Durante la sua attività di propagandista collaborò con diverse agenzie
governative e con alcune delle compagnie più potenti degli Stati Uniti, tra cui
Procter & Gamble, General Electric, American Tobacco Company e la United
Fruit Company. Per l’industria del tabacco organizzò Torches of Freedom, la
celebre campagna del 1929, volta a incoraggiare il fumo di sigaretta tra le donne
(allora vero e proprio tabù sociale oltre a essere oggetto di sanzioni legali) e
lavorando di concerto con le associazioni femministe. La campagna Fiaccole
della Libertà si svolse durante la parata della domenica di Pasqua, a New York.
Per l’evento Bernays selezionò donne che «sebbene dovessero essere piacenti,
non dovevano avere l’aspetto di modelle» e fece fumare loro sigarette Lucky
Strike a favore di fotografi e giornalisti. La campagna, a cui seguì un’imponente
pubblicità, ebbe un’enorme eco in tutta la società americana, mentre la strategia
pianificata da Bernays per elevare il fumo di sigaretta a simbolo di indipendenza,
uguaglianza di genere e libertà fu successivamente adottata dall’industria del
tabacco in altri mercati più “arretrati” – in Africa, Europa e Asia – lungo tutto il
corso del Novecento e fino ai nostri giorni.
In questi anni scrisse i suoi libri più celebri, Crystallizing Public Opinion e
Propaganda, rispettivamente del 1923 e del 1929. È in questi due libri che
Bernays sottolinea l’importanza della psicoanalisi per affinare le tecniche di
propaganda, e rivela l’influenza delle ricerche di Le Bon sulla psicologia delle
folle e quelle di Trotter sull’istinto gregario. La manipolazione “scientifica”
dell’opinione pubblica – «per portare ordine laddove regna il caos» – deve essere
l’obiettivo del lavoro del propagandista moderno in ogni campo della vita:
politica, affari, arte, scienza e servizi sociali. A partire dagli anni Quaranta
lavorò per la United Fruit Company (oggi Chiquita International), con l’obiettivo
di incrementare il consumo di banane negli Stati Uniti, legando il prodotto
all’idea di superfood, sinonimo di salute ed energia.
L’attività della United Fruit Company in Guatemala culminò con il colpo di
Stato orchestrato dalla CIA che rimosse il presidente democraticamente eletto
Jacobo Arbenz Guzmàn, colpevole di voler nazionalizzare le compagnie di
frutticoltura (tra cui la United Fruit Company) operanti in Guatemala, che di
fatto controllavano enormi appezzamenti di territorio guatemalteco. La
propaganda orchestrata da Bernays raffigurò Arbenz come pericoloso comunista
e nemico pubblico del popolo americano. Nel 1954 l’operazione “PBSuccess”,
organizzata dalla CIA, portò alla destituzione di Arbenz per opera di un “esercito
di liberazione” guidato da Carlos Castillo Arma. La celebre espressione
«repubblica delle banane» ha origine proprio dal caso guatemalteco e
dall’enorme potere esercitato dalla United Fruit Company nel paese latino-
americano.
Edward Louis Bernays muore il 9 marzo 1995, a 103 anni, a Cambridge in
Massachusetts. Due anni prima la rivista statunitense «Life» aveva inserito il suo
nome tra le cento personalità più influenti del Ventesimo secolo.
I. DARE FORMA AL CAOS
La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni
organizzate delle masse è un elemento fondamentale nella società democratica.
Coloro che manovrano quest’impercettibile meccanismo della società
costituiscono il governo invisibile – l’autentico potere dominante del nostro
Paese.
Uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare governano i nostri corpi,
modellano le nostre menti, foggiano i nostri gusti, suggeriscono le nostre idee. E
questa è la logica conseguenza del modo in cui è organizzata la vita democratica,
in cui una gran massa di esseri umani, se vuol vivere insieme come una società,
si trova costretta a cooperare.
Questi invisibili governanti, molto spesso, ignorano persino l’identità dei
loro colleghi – gli altri membri dello stesso esecutivo di cui fanno parte.
Ci governano in virtù della loro naturale leadership, della loro capacità di
formulare le idee di cui abbiamo bisogno, della posizione chiave che occupano
nella struttura sociale. Possiamo scegliere di reagire come vogliamo rispetto a
questa condizione: resta un fatto che quasi in ogni atto della nostra vita
quotidiana – che sia nella sfera politica o degli affari, che riguardi la nostra
condotta sociale o etica – noi siamo dominati da un numero relativamente esiguo
di persone – una piccola frazione dei nostri 130 milioni di connazionali – che
padroneggiano i processi mentali e gli schemi sociali delle masse.
Sono loro che tirano le fila dell’opinione pubblica, che imbrigliano le
vecchie forze sociali ed escogitano nuovi modi di organizzare e guidare il
mondo.
Di solito non si comprende fino a che punto questi governanti invisibili siano
necessari per il buon funzionamento della nostra vita sociale. In teoria, ogni
cittadino può votare per chi vuole; secondo la nostra Costituzione i partiti politici
non sono parti essenziali del meccanismo di governo, e i padri costituenti non
potevano certo immaginare il ruolo che avrebbe giocato la moderna macchina
partitica nella nostra politica nazionale. Ma gli elettori americani hanno presto
scoperto che senza un’organizzazione e una guida i loro voti individuali, dispersi
magari su dozzine o centinaia di candidati, avrebbero prodotto nient’altro che
caos. E così il governo invisibile, nella forma di rudimentali partiti politici,
nacque quasi da un giorno all’altro. E da allora abbiamo tutti accettato il fatto
che, per il bene della semplicità e della praticità, le macchine di partito
restringessero il campo di scelta a due soli candidati, o al massimo a tre o a
quattro.
In teoria ogni cittadino prende decisioni e ha una propria idea su questioni di
vita pubblica o privata. In pratica se tutti i cittadini dovessero studiare da soli gli
astrusi dati politici, economici ed etici implicati in ogni singola questione,
nessuno riuscirebbe ad arrivare a una conclusione su nulla. Abbiamo
volontariamente accettato l’idea di un governo invisibile che controlli i dati e
individui i problemi rilevanti della società, così che il nostro campo di scelta sia
ristretto a proporzioni più pratiche. Dai nostri leader, e dai media che usano per
raggiungere il pubblico, accettiamo l’onere e la delimitazione delle questioni che
debbono gravare sull’opinione pubblica; da qualche guida morale, che sia un
pastore o lo scrittore in voga o semplicemente dall’opinione prevalente,
accettiamo codici standardizzati di condotta sociale alla quale ci conformiamo
per la gran parte del tempo.
In teoria ognuno di noi compra il prodotto migliore e col prezzo più basso
presente sul mercato. In pratica, se prima di acquistare qualcosa ce ne andassimo
tutti in giro a confrontare i prezzi o a fare test chimici alle dozzine di saponette,
tessuti o pagnotte industriali in vendita, la nostra vita economica risulterebbe
irrimediabilmente bloccata. Per evitare una simile confusione la società
acconsente che la scelta sia ristretta a idee e oggetti portati alla sua attenzione
attraverso propaganda di ogni genere. Di conseguenza, ci troviamo sempre nel
bel mezzo di uno sforzo vasto e continuo per catturare le nostre menti: per
portare alla nostra attenzione idee, merci o politiche.
Potrebbe essere preferibile – invece di propaganda e proposte suadenti –
avere dei comitati di saggi che scelgano i nostri governanti, che ci dettino la
nostra condotta pubblica e privata, che decidano per noi l’abbigliamento più
consono e i cibi migliori. Ma abbiamo scelto il metodo opposto, quello basato
sull’aperta competizione, e dobbiamo trovare il modo di far funzionare il sistema
con ragionevole fluidità. E per far ciò la società ha acconsentito che questa libera
competizione sia organizzata da leader politici e propagandisti.
Alcuni dei fenomeni che originano da questo processo – manipolazione
dell’informazione, esaltazione delle singole personalità e il generale
strombazzamento pubblicitario con cui prodotti commerciali, politici e sociali
vengono portati all’attenzione delle masse – sono inevitabilmente oggetto di
critiche, poiché è un fatto che gli strumenti con i quali la pubblica opinione viene
organizzata e polarizzata possano essere utilizzati in modo improprio. Ma queste
attività sono tuttavia necessarie se vogliamo avere una vita sociale ordinata.
Via via che la civiltà diviene più complessa si fa sempre più evidente
l’esigenza di un governo invisibile, e per soddisfare questa necessità sono stati
inventati e sviluppati mezzi e tecniche con cui è possibile irreggimentare
l’opinione pubblica: giornali, ferrovie, telefono, telegrafo, radio e aerei possono
diffondere le idee con rapidità, e persino istantaneamente, in tutta la nostra
nazione.
H.G. Wells riporta le enormi potenzialità di queste invenzioni, come scrive
sul «New York Times»:
I moderni mezzi di comunicazione, il potere offerto da stampa, telefono, comunicazione senza fili e
così via, di mettere rapidamente in atto direttive strategiche o concezioni tecnologiche presso una
gran quantità di centri che cooperano, di ottenere rapide risposte e avere efficaci discussioni, hanno
spalancato le porte a un nuovo mondo di processi politici. Alle idee è oggi possibile conferire più
efficacia di qualsiasi personalità, e più forza di qualsiasi interesse di parte. Un progetto comune può
essere difeso contro ogni stravolgimento e tradimento, e può essere elaborato e sviluppato in modo
costante e completo, senza incorrere in malintesi personali, locali e settoriali.
Quel che Wells afferma a proposito dei processi politici è altrettanto vero per
i processi commerciali e sociali, come per tutti i fenomeni dell’attività di massa.
Oggi i gruppi e le affiliazioni sociali non sono più soggetti a limitazioni «locali e
settoriali». All’epoca in cui fu adottata la Costituzione l’unità di base
dell’organizzazione sociale era la comunità-villaggio, che produceva da sé la
gran parte dei beni di prima necessità e generava le sue idee e opinioni collettive
attraverso contatti personali e discussioni tra concittadini. Ma al giorno d’oggi,
poiché le idee possono essere trasmesse istantaneamente, a qualsiasi distanza e a
un numero pressoché infinito di persone, questa integrazione geografica è stata
potenziata da diversi altri tipi di raggruppamenti sociali: oggi le persone che
hanno idee e interessi comuni possono essere associate e irreggimentate anche se
vivono a migliaia di chilometri di distanza.
È estremamente difficile concepire la quantità e la varietà delle divisioni
presenti entro la nostra società. Possono essere raggruppamenti sociali, politici,
economici, etnici, religiosi o etici, che a loro volta generano al proprio interno
centinaia di altre suddivisioni. Nel World Almanac, ad esempio, solo sotto la
lettera a vengono elencati i seguenti gruppi:
Lega per l’abolizione della pena di morte, Associazione per l’abolizione
della guerra, Istituto americano dei commercialisti, Associazione sindacale degli
attori, Associazione attuariale d’America, Associazione internazionale dei
pubblicitari, Associazione aeronautica nazionale, Istituto d’arte e di storia di
Albany, Amen Corner, Accademia americana di Roma, Società americane degli
antiquari, Lega per la cittadinanza americana, Federazione sindacalista
americana, Amorc (ordine dei Rosa Croce), Andiron Club, Associazione storica
americano-irlandese, Lega antitabacco, Lega antiblasfema, Associazione
archeologica d’America, Associazione nazionale di tiro con l’arco, Società di
canto Arion, Associazione astronomica americana, Associazione degli allevatori
di bovini Ayrshire, Club azteco del 1847. E questa è solo una lista parziale della
lettera A.
L’American Newspaper Annual and Directory del 1928 conta 22.128
pubblicazioni periodiche edite negli Stati Uniti. Ho scelto a caso tutte quelle che
iniziano con la lettera N pubblicate a Chicago.
Eccole:
«Narod» (quotidiano in ceco), «Narod-Polski» (mensile in polacco), «NARD»
(farmaceutica), «National Corporation Reporter», «National Culinary Progress»
(cucina), «National Dog Journal», «National Drug Clerk», «National Engineer»,
«National Grocer», «National Hotel Reporter», «National Income Tax
Magazine», «National Jeweler», «National Journal of Chiropratic», «National
Provisioner» (allevamento di carni), «National Safety News», «National Retail
Clothier», «National Retail Lumber Dealer», «National Spiritualist», «National
Underwriter», «The Nation’s Health», «Naujienos» (quotidiano in lituano),
«New Corner» (settimanale repubblicano per italiani), «Daily News», «The New
World» (settimanale cattolico), «North American Banker», «North American
Veterinarian».
La tiratura di alcune di queste testate è stupefacente: «The National Live
Stock Producer» stampa ufficialmente 155.978 copie, «The National Engineer»
20.328, «The News World» 67.000. La maggior parte dei periodici elencati –
scelti a caso tra 22.128 testate – ha una tiratura superiore alle 10.000 copie.
Basta un’occhiata per notare la diversità di queste pubblicazioni, e tuttavia ci
restituirebbe solo una pallida idea della moltitudine di suddivisioni che esistono
nella nostra società, e lungo le quali le informazioni e le opinioni autorevoli
fluiscono verso i singoli gruppi.
Più sotto riporto i convegni in programma per Cleveland, Ohio, e registrati in
un numero recente del «World Covention Dates» – solo una frazione dei 5.500
convegni e raduni che hanno luogo in tutto il Paese:
Associazione dei fotoincisori indipendenti d’America, Associazione degli
scrittori della natura, Cavalieri di San Giovanni, Walther League, Cavalieri di
San Giuseppe, Ordine reale della Sfinge, Associazione delle società di prestito
ipotecario, Associazione internazionale dei rappresentanti degli uffici di
collocamento, Club Kiwanis dell’Ohio, Associazione americana dei fotoincisori,
Salone dei costruttori di automobili di Cleveland, Associazione degli ingegneri
specialisti del riscaldamento e della ventilazione.
Altri congressi professionali che si terranno nel 1928 sono promossi dai
seguenti gruppi:
Associazione dei produttori di protesi, Associazione degli amanti del circo
d’America, Associazione di naturopatia, Associazione di tiro al piccione,
Associazione del folklore texano, Associazione dei receptionist, Associazione
degli allevatori di volpi, Associazione insetticidi e disinfettanti, Associazione
nazionale dei produttori di scatole e portauova, Associazione delle società di
imbottigliamento delle bevande gassate, Associazione dei professionisti delle
conserve in salamoia, per non menzionare il Derby delle tartarughe – e la gran
parte di queste ospitano banchetti e conferenze.
Se tutte queste migliaia di istituzioni e organizzazioni formalmente
riconosciute potessero essere elencate (e una lista completa non è mai stata
realizzata), esse rappresenterebbero solo una parte di tutte quelle che esistono
più informalmente ma non per questo in modo meno vigoroso. È anche nel
circolo del bridge di quartiere che le idee sono vagliate e le opinioni stereotipate.
È anche con campagne di beneficenza e teatri amatoriali che i leader
dell’opinione pubblica affermano la loro autorità. Migliaia di donne potrebbero
appartenere, senza esserne consapevoli, a una comunità che segue le mode
stabilite da un singolo opinion leader.
La rivista «Life» ha espresso in modo satirico quest’idea pubblicando la
risposta di un americano a un inglese che lodava gli Stati Uniti per aver superato
divisioni di classi e caste sociali:
«Sì, è vero, qui in America abbiamo soltanto l’Alta Società, i Colletti Bianchi, i Contrabbandieri, i
Baroni di Wall Street, i Criminali, le Figlie della Rivoluzione americana, il Ku Klux Klan, le
Colonial Dames, i Framassoni, i Kiwanis e i Rotariani, i Cavalieri di Colombo, gli Elks, i Censori,
gli Esperti, gli Idioti, gli Eroi alla Lindbergh, la W.C.T.U., i Politici, i Menckeniti, il Booboise, gli
Immigrati, i Presentatori della Radio e, infine – i Ricchi e i Poveri».
Ma non dobbiamo dimenticare che questi migliaia di gruppi sono connessi
fra loro. Il signor Tal dei tali, oltre a essere un rotariano, è anche membro di una
Chiesa, di una confraternita, di un partito politico, di un’organizzazione di
pubblica carità, di un’associazione professionale, di una camera di commercio
locale, di una lega contraria o favorevole al proibizionismo, di una società
favorevole o contraria alla riduzione dei dazi, di un circolo del golf, e così via. E
le opinioni che lo formano come rotariano tenderanno a diffondersi negli altri
gruppi in cui egli esercita la propria influenza.
Questa struttura invisibile e interconnessa di gruppi e associazioni è il
meccanismo mediante il quale la democrazia ha organizzato il suo spirito
collettivo e semplificato il pensiero della massa. Deplorare l’esistenza di un tale
meccanismo è lo stesso che anelare a una società che non è mai esistita – e che
non esisterà mai. Ammetterne l’esistenza, ma aspettarsi che non debba essere
usato, è altrettanto irragionevole.
Emil Ludwig rappresenta Napoleone come un personaggio «sempre attento a
cogliere i segnali dell’opinione pubblica, pronto ad ascoltare la voce del popolo,
una voce che sfida ogni calcolo “Sapete – disse – cos’e che mi meraviglia di più
al mondo? L’impotenza della forza a organizzare qualcosa”».
Scopo di questo libro è spiegare la struttura del meccanismo che controlla
l’opinione pubblica, dimostrare come viene manovrata dai suoi speciali
patrocinatori al fine di creare consenso generale per una particolare idea o
prodotto. Allo stesso tempo tenterà di trovare a questa nuova propaganda il suo
giusto posto entro il moderno schema democratico, e di fornire suggerimenti per
un graduale sviluppo del suo codice morale e della sua prassi.
II. LA NUOVA PROPAGANDA
Quando i re erano ancora re, Luigi XIV ebbe modo di rendere la sua modesta
affermazione «L’Etat c’est moi». E aveva – quasi – ragione.
Ma i tempi sono cambiati: la macchina a vapore, la tipografia e la scuola
pubblica – il tridente della rivoluzione industriale – hanno tolto il potere ai
sovrani per consegnarlo al popolo, e la gente ha ottenuto per davvero quel potere
perduto dai re. E il potere economico, a sua volta, tende sempre a tradursi in
potere politico – la storia della Rivoluzione industriale ci mostra chiaramente
come quel potere sia passato dalle mani dei re e dall’aristocrazia a quelle della
borghesia. Il suffragio e l’istruzione universale hanno potenziato questa
tendenza, fino al punto in cui la stessa borghesia ha iniziato a temere la gente
comune, perché anche le masse si sono ripromesse di giungere al potere.
Oggi, però, ha preso piede una nuova reazione. La minoranza ha scoperto un
potente aiuto per influenzare la maggioranza – ha trovato un modo per plasmare
l’opinione delle masse al fine di dirigere la loro nuova forza appena acquisita
nella direzione che la minoranza desidera. Nell’attuale struttura della società,
una tale prassi appare inevitabile.
Oggi qualsiasi cosa che abbia rilevanza sociale – che sia in politica, finanza,
industria, agricoltura, carità, educazione – deve essere fatta con l’aiuto della
propaganda: la propaganda è il braccio esecutivo del governo invisibile.
L’istruzione universale avrebbe dovuto educare l’uomo comune a
padroneggiare l’ambiente in cui vive. Una volta imparato a leggere e scrivere –
così almeno recita la dottrina democratica – l’individuo avrebbe sviluppato le
capacità di governare e governarsi. Ma invece della capacità di pensare,
l’istruzione universale ha agito come una sorta di timbro impregnato con
l’inchiostro stereotipato degli slogan pubblicitari, editoriali, scientifici, con le
trivialità dei tabloid e delle banalità storiografiche – in ogni caso del tutto
innocue in quanto a pensiero originale. Ogni timbro di ciascun uomo è il
duplicato di milioni di altri timbri, e quando questi milioni di timbri sono esposti
allo stesso stimolo, tutti ricevono la medesima impronta. Può sembrare esagerato
affermare che l’americano medio attinga la maggior parte delle sue idee come da
una sorta di vendita all’ingrosso. Il meccanismo attraverso cui le idee vengono
diffuse su larga scala è la propaganda, intesa in senso generale come uno sforzo
organizzato e sistematico per diffondere una credenza o una dottrina particolare.
Sono consapevole che la parola propaganda abbia per molti una
connotazione sgradevole; ma se la propaganda sia buona o cattiva dipende
sempre, e in ogni caso, dal merito della causa promossa e dalla correttezza delle
informazioni pubblicate.
Di per sé la parola propaganda ha alcune definizioni tecniche che, come la
gran parte delle cose di questo mondo, non sono né buone né cattive: è solo la
forza dell’abitudine che ci spinge a collocarla in un campo o nell’altro. Il
dizionario Funk and Wagnall la definisce in quattro modi:
1. Assemblea di cardinali, sovraintendenti delle missioni straniere; anche
Congregazione della Propaganda fondata a Roma da papa Urbano VIII nel 1627
per l’istruzione dei missionari: Sacro Collegio de Propaganda Fide.
2. Qualsiasi istituzione o procedura che ha lo scopo di propagare una dottrina
o un sistema.
3. Sforzo sistematicamente diretto a ottenere il supporto del grande pubblico
per un’opinione o una strategia esecutiva.
4. Princìpi promossi da una propaganda.
In un recente numero di Scientific American si chiede di ridonare «all’antica
e bella parola propaganda» un’aura di rispettabilità:
«Non c’è parola inglese – si scrive – il cui significato sia stato così tristemente distorto come quello
di “propaganda”. Tale deformazione ha avuto luogo soprattutto durante la fine della guerra, quando
il termine ha assunto una connotazione decisamente sinistra.
«Se si guarda allo Standard Dictionary, tuttavia, si scoprirà che in origine la parola indicava una
congregazione o un collegio di cardinali con il compito di organizzare e supervisionare le missioni
straniere, istituito a Roma nel 1627. Il termine fu utilizzato anche per indicare la Congregazione
della Propaganda, fondata da papa Urbano VIII per educare i sacerdoti missionari. Con gli anni la
parola è giunta a indicare qualsiasi istituzione o procedura atta a diffondere un sistema o una
dottrina in particolare.
«A giudicare da questa definizione, possiamo vedere come nel suo vero senso la propaganda sia
una forma perfettamente legittima dell’attività umana. Qualsiasi organizzazione umana – sociale,
religiosa o politica – che incarna determinate credenze e si propone di farle conoscere, che sia con
parole scritte o pronunciate, sta facendo della propaganda.
«La verità è potente e prevarrà; e se esiste un gruppo di uomini che ritiene di aver scoperto una
preziosa verità, questo gruppo non ha solo il privilegio, ma il dovere di diffondere quella verità. Se
un dato gruppo realizza, come dovrà rapidamente fare, che la diffusione della verità potrà essere
fatta su larga scala e in modo efficace solo con uno sforzo organizzato, allora ricorrerà all’uso della
stampa e dell’oratoria in quanto mezzi più consoni per la maggior diffusione possibile. La
propaganda diviene viziosa e riprovevole solo quando i suoi autori – consapevolmente e
deliberatamente – si mettono a diffondere bugie e mirano a effetti che sanno essere di nocumento al
bene comune.
«Nel suo vero significato “propaganda” è una parola perfettamente sana, di onesto lignaggio e dalla
storia onorevole. Il fatto che oggi abbia assunto un significato sinistro mostra semplicemente
quanto del bambino resti nell’adulto medio. Un gruppo di cittadini scrive e parla a favore di una
certa linea di condotta a proposito di un qualche problema, credendo di star promuovendo il miglior
interesse della comunità. È propaganda? Niente affatto. È solo un modo impetuoso di affermare una
verità. Ma poniamo che un altro gruppo di cittadini esprima un punto di vista opposto, ed essi
saranno prontamente etichettati con il sinistro nome di propagandisti […].
«“Ciò che vale per uno vale anche per l’altro”, recita un vecchio adagio. È l’ora di restituire a
questa antica parola il posto che merita, e di ridonarle un significato dignitoso – per l’uso dei nostri
figli e dei figli dei nostri figli.
La misura in cui la propaganda modella l’andamento degli eventi può
sorprendere anche le persone più informate. Tuttavia, basta leggere tra le righe
dei giornali per avere un indizio della sua presa sull’opinione pubblica. La prima
pagina di oggi del «New York Times» contiene otto notizie importanti. Di
queste, quattro sono frutto di propaganda. Il lettore occasionale le leggerà come
resoconti genuini di qualche avvenimento. Ma lo sono? Ecco i titoli che li
annunciano:
«Dodici nazioni avvertono la Cina che per ottenere il loro aiuto sono necessarie le riforme.»
«Pritchett afferma che il sionismo non ha futuro.»
«Gli immobiliaristi richiedono un’indagine sui trasporti pubblici.»
«Secondo il rapporto Hoover il nostro tenore di vita non è mai stato così alto.»
Vediamoli nell’ordine: l’articolo sulla Cina riassume la relazione congiunta
della Commissione per l’extraterritorialità in Cina e mostra la posizione delle
grandi potenze a proposito del caos cinese. Ciò che dice è meno importante di
quel che sembra; il preambolo è «stato reso pubblico dal Dipartimento di Stato»
è ciò che serve per dare agli americani un’immagine della posizione del
Dipartimento di Stato. La sua fonte gli dona autorità sin dal principio, e il
pubblico americano tende ad accettare e supportare il punto di vista del
Dipartimento di Stato.
Il rapporto del dottor Pritchett, un amministratore della Fondazione Carnegie
per la Pace, è un’inchiesta sulla colonia ebraica insediata nel bel mezzo
dell’irrequieto mondo arabo. Quando lo studio del dottor Pritchett lo convinse
che sul lungo periodo il sionismo avrebbe «portato sofferenza e infelicità, sia per
gli ebrei che per gli arabi» questo punto di vista fu trasmesso con tutta l’autorità
della Fondazione Carnegie, così che il pubblico vi avrebbe prestato ascolto e
creduto.
La dichiarazione del presidente degli agenti immobiliari di New York e
quella a proposito del rapporto del ministro Hoover sono tentativi analoghi di
indirizzare l’opinione pubblica verso un’idea ben precisa.
Non riporto questi esempi per creare l’impressione che nella propaganda ci
sia qualcosa di sinistro; piuttosto, servono per illustrare quanto sia consapevole
la direzione che viene data agli eventi, e in che modo gli uomini dietro questi
eventi influenzino l’opinione pubblica. Come tali, questi quattro casi sono
esempi di propaganda moderna. A questo punto possiamo tentare di definirla.
La propaganda moderna è un tentativo coerente e durevole di creare o
modellare eventi al fine di influenzare le relazioni del pubblico nei confronti di
un’iniziativa, di un’idea o di un gruppo. La propaganda moderna cerca di creare
eventi e immagini nella mente di milioni di persone – e in questo senso è
un’attività assai comune. In pratica, nessuna impresa di una certa rilevanza viene
oggi intrapresa senza ricorrere alla propaganda, che sia la costruzione di una
cattedrale, il finanziamento di un’università, la promozione di un film,
l’emissione di obbligazioni o l’elezione di un capo di Stato. A volte l’effetto sul
pubblico è creato da un propagandista professionista, altre volte da un dilettante
deputato a tale lavoro. L’essenziale è che la propaganda moderna sia universale
e continua; sua sostanza è l’inquadramento della pubblica opinione, proprio
come un esercito irreggimenta i corpi dei suoi soldati.
Talmente vasto è il numero di persone che possono essere inquadrate, e così
tenaci esse diventano una volta passate attraverso tale inquadramento, che la
pressione che riusciranno a esercitare su legislatori, giornali e corpo accademico
diviene spesso irresistibile. Quando un gruppo si aggrappa ai suoi stereotipi –
come definiti da Walter Lippmann – persino le più eminenti personalità, i leader
dell’opinione pubblica, possono essere ridotte a meri detriti portati in giro dalla
corrente. Quando uno Stregone Imperiale, percependo quel che forse è
un’aspirazione per un ideale, offre al pubblico l’immagine di una nazione
esclusivamente nordica e nazionalista, l’americano medio di antica stirpe bianca,
sentendosi messo all’angolo dalla nuova generazione di immigrati, afferrerà
quell’immagine che così bene si adatta ai propri pregiudizi, e la farà sua. Allora
andrà a comprarsi tunica e cappuccio bianchi e con i suoi migliaia di compagni
formerà un gruppo abbastanza potente per influenzare le elezioni di Stato o
proiettare la propria poderosa ombra su una convention politica nazionale.
Nella nostra attuale organizzazione sociale l’approvazione del pubblico è
essenziale per qualsiasi impresa di rilievo. Da ciò deriva che anche il movimento
più lodevole rischia il fallimento se non riesce a fissarsi nella mente collettiva
dell’opinione pubblica. Beneficenza, affari, politica, persino la letteratura deve
adottare i metodi della propaganda, perché il pubblico deve essere inquadrato
nello spendere il proprio denaro proprio come viene inquadrato per la profilassi
della tubercolosi. Persino il Near East Relief, l’associazione per il miglioramento
delle condizioni di vita dei poveri di New York – e con essa chiunque altro –
deve lavorare sull’opinione pubblica con la stessa solerzia di chi vuole vendere
confezioni di dentifricio. Siamo orgogliosi della diminuzione del tasso di
mortalità infantile – e persino questo rientra tra i risultati della propaganda.
La propaganda è ovunque, ed essa muta radicalmente le nostre immagini
mentali del mondo. Anche se questa affermazione può sembrare troppo
pessimistica – cosa peraltro da dimostrare – quest’opinione riflette una tendenza
che è indubbiamente reale. E in effetti il ricorso alla propaganda cresce in modo
proporzionale al riconoscimento della sua efficacia nell’ottenere consenso
pubblico. Questo indica chiaramente che chiunque eserciti un’influenza
sufficiente possa trascinare dietro a sé parti del pubblico, almeno per un po’ di
tempo e in vista di un determinato fine. In passato i governanti erano i leader.
Erano loro a tracciare il corso della storia, semplicemente realizzando ciò che
desideravano fare. E se i governanti di oggi, coloro che ricoprono posizioni di
enorme potere, non possono più fare le cose che desiderano senza
l’approvazione delle masse, essi trovano nella propaganda uno strumento sempre
più potente per ottenere il sostegno di cui necessitano. Ecco perché la
propaganda è destinata a trionfare.
Lo sbalorditivo successo della propaganda durante la guerra ha contribuito,
naturalmente, ad aprire gli occhi della minoranza intelligente sulla necessità di
mobilitare l’opinione pubblica. Il governo americano e varie agenzie patriottiche
misero a punto delle tecniche che, per la gran parte di coloro che erano abituati a
fare offerte per conquistare l’approvazione generale, erano del tutto nuove. Al
fine di sostenere lo sforzo bellico della nazione non si limitarono a fare appello
all’individuo sfruttando ogni tipo di approccio – visivo, grafico e sonoro –, ma si
assicurarono la cooperazione degli uomini-chiave di ogni settore – persone
autorevoli per centinaia, migliaia e centinaia di migliaia di seguaci. E così
riuscirono a ottenere l’appoggio di confraternite, gruppi religiosi, commerciali,
patriottici, organizzazioni sociali e locali i cui membri attingevano le proprie
opinioni dai loro leader e portavoce abituali, o dalle pubblicazioni che erano
soliti leggere e a cui credevano. Allo stesso tempo i manipolatori dell’opinione
pubblica si sono serviti dei cliché mentali e dei meccanismi emozionali del
pubblico per produrre reazioni di massa contro le presunte atrocità, il presunto
terrore e la supposta tirannia del nemico. Ed era naturale, dopo la fine della
guerra, che la minoranza intelligente si chiedesse se non fosse possibile applicare
le stesse tecniche per risolvere i problemi tipici del tempo di pace.
Di fatto, dalla fine della guerra, la pratica della propaganda ha assunto forme
molto diverse da quelle in voga vent’anni fa: questa nuova tecnica si potrebbe
chiamare «propaganda moderna».
Essa prende in considerazione non soltanto l’individuo o l’opinione pubblica
in quanto tali, ma anche e soprattutto, per così dire, la struttura della società,
l’interconnessione dei suoi gruppi e delle loro dinamiche di fedeltà. Vede
l’individuo non solo come una cellula dell’organismo sociale, ma come una
cellula organizzata entro un’unità sociale. Toccate un nervo scoperto in un punto
sensibile e otterrete una risposta automatica e coerente di membri specifici
dell’organismo sociale.
Il mondo degli affari offre esempi plastici degli effetti che possono essere
creati sul pubblico da determinati gruppi di interesse: prendiamo il caso
dell’industria tessile, minacciata di perdere grandi quote di mercato. Il problema
è nato di recente, quando i produttori di velluto stavano andando in rovina
perché il loro prodotto era da tempo fuori moda. Le indagini dimostravano come
fosse impossibile rilanciare la moda del velluto negli Stati Uniti. E fu allora che
si iniziò a cercare il punto sensibile! E lo si trovò a Parigi, ovviamente! Ma con
delle riserve: Parigi è la capitale della moda, ma Lione è quella della seta.
L’attacco doveva essere portato alla fonte, senza lasciare nulla al caso: si decise
di utilizzare i grandi centri della moda e di influenzare il pubblico tramite loro;
poi, con il pieno supporto degli industriali, si creò un servizio moda specializzato
in capi di velluto. La sua prima funzione era quella di stabilire dei contatti con le
manifatture di Lione e i couturier parigini, scoprire su cosa stavano lavorando,
incoraggiarli a utilizzare il velluto e aiutarli a sfruttare correttamente i loro
prodotti. Nel gruppo di lavoro fu arruolato un intelligente parigino che andò a
trovare Lanvin e Worth, Agnès e Patou e altri ancora per persuaderli a usare il
velluto per i loro abiti e cappelli. Fu lui a fare in modo che quella duchessa o
quell’altra contessa indossassero proprio quegli abiti e quei cappelli. E per
quanto riguarda il grande pubblico, il compratore americano o la donna
americana alla moda, ci si limitò a mostrare loro le creazioni in velluto negli
atelier dei sarti o dei modisti. Le donne compravano quei capi di velluto perché
piacevano e perché erano alla moda.
I redattori delle riviste e coloro che si occupavano di moda sui giornali – allo
stesso modo soggetti alla nuova situazione (benché creata ad arte) – scrissero del
velluto nei loro articoli di giornale, articoli che a loro volta sottoponevano
compratori e consumatori alle medesime influenze. E quello che prima era un
rivolo divenne un’alluvione: un grande magazzino prese a esporre abiti e
cappelli di velluto pubblicizzati dall’autorevole couturier francese, mettendo
bene in vista i telegrammi originali ricevuti dal grande stilista in persona. L’eco
della nuova moda risuonò in centinaia di grandi magazzini in tutto il Paese, tutti
desiderosi di essere i nuovi punti di riferimento in fatto di stile. Ai bollettini
seguirono dispacci, alla posta i telegrammi. E infine la turista americana,
rivestita in abito e cappello di velluto, comparve davanti ai reporter in attesa ai
piedi della nave in partenza.
Le circostanze create ad arte sortirono l’effetto desiderato: «Il volubile
mondo della moda ha virato sul velluto» – era uno dei titoli apparsi sui giornali.
E l’industria degli Stati Uniti rese il proprio posto di lavoro a migliaia di operai.
La nuova propaganda, data la costituzione della società nel suo insieme, non
di rado serve a focalizzare e a realizzare i desideri delle masse. Il desiderio per
una specifica riforma, per quanto diffuso, non può esser tradotto in azione
concreta finché non viene reso in modo articolato e non ha esercitato una
pressione sufficiente sui veri corpi legislativi. Milioni di casalinghe possono
vedere negli alimenti processati qualcosa di dannoso per la salute, e quindi da
proibire. Ma c’è ben poca possibilità che i loro desideri individuali possano
concretizzarsi in effettivi provvedimenti legali, a meno che la loro richiesta,
finora malamente espressa, non sia organizzata, resa udibile e concentrata sulla
legislatura o sul Congresso, così da ottenere il risultato auspicato. Che se ne
rendano conto o meno, esse dovranno far ricorso alla propaganda se vorranno
organizzare e promuovere la loro istanza.
Ma chiaramente è la minoranza intelligente che ha bisogno dell’uso
sistematico e continuo della propaganda. Nel proselitismo attivo di queste
minoranze – in cui si coniuga l’interesse particolare e quello generale – si trova
il motore del progresso e dello sviluppo dell’America. Solo attraverso l’energia
attiva della minoranza intelligente il grande pubblico diviene consapevole di
nuove idee e può agire in base a esse.
Piccoli gruppi di persone possono fare in modo – e lo fanno – che il resto di
noi pensi ciò che essi desiderano su un dato argomento; ma di solito, per ogni
propaganda, ci sono sostenitori e oppositori, e sia gli uni che gli altri sono
desiderosi di convincere la maggioranza.
III. I NUOVI PROPAGANDISTI
Chi sono gli uomini che, senza che neppure ce ne rendiamo conto, ci dicono
cosa pensare, chi ammirare e chi disprezzare, cosa credere della gestione dei
servizi pubblici, dei dazi, del prezzo della gomma, del Piano Dawes o
dell’immigrazione; che ci dicono come dovrebbero essere progettate le nostre
case, come dovrebbero essere arredate, quali piatti dovremmo servire sulle
nostre tavole, quali abiti indossare, gli sport da praticare, gli spettacoli da vedere,
le organizzazioni benefiche che dovremmo supportare, le immagini da
ammirare, i nuovi slang da adottare e le battute alla quali dovremmo ridere?
Se volessimo fare una lista degli uomini e delle donne che, per il loro ruolo
nella vita pubblica, potrebbero essere giustamente considerati come i plasmatori
dell’opinione pubblica, arriveremmo rapidamente a un lungo elenco di persone
menzionate nel Who’s Who.
L’elenco includerebbe ovviamente il presidente degli Stati Uniti e i membri
del suo gabinetto, i senatori e i rappresentanti del Congresso, i governatori dei
nostri quarantotto Stati, i presidenti delle Camere di commercio delle nostre
cento città più grandi, i presidenti dei Consigli di amministrazione delle prime
cento o più imprese industriali, il presidente delle varie organizzazioni sindacali
affiliate all’American Federation of Labor, il presidente nazionale di ciascuna
corporazione e organizzazione professionale, il presidente di ognuna delle
società su base linguistica o razziale costituita nel nostro Paese, il centinaio di
direttori di giornali e riviste nazionali, i cinquanta scrittori più popolari, i
presidenti delle cinquanta organizzazioni caritatevoli più rilevanti, la ventina di
principali produttori teatrali e cinematografici, i cento leader riconosciuti della
moda, gli appartenenti al clero più influenti nelle nostre cento città principali, i
presidenti delle nostre università e college, i membri più importanti del corpo
docente, i più potenti finanzieri di Wall Street, gli sportivi più noti e così via.
Una lista del genere comprenderebbe migliaia di persone, sebbene sia risaputo
che molti di questi leader siano a loro volta guidati, spesso da persone i cui nomi
sono sconosciuti ai più. Un membro del Congresso, nel preparare il suo
programma, segue i suggerimenti di un boss di partito locale, conosciuto solo
all’interno dell’organizzazione politica. Eloquenti sacerdoti possono esercitare
una grande influenza sulle loro rispettive comunità, ma spesso devono sottostare
a direttive impartite loro dalle autorità ecclesiastiche. I presidenti delle Camere
di commercio possono plasmare il pensiero degli uomini d’affari locali sulle
questioni pubbliche, ma le opinioni di cui si fanno portavoce sono spesso
derivate da qualche autorità nazionale. Un candidato alle presidenziali potrebbe
essere “scelto” in risposta a «una travolgente richiesta popolare», ma sappiamo
fin troppo bene che il suo nome può esser stato deciso da una mezza dozzina di
uomini seduti attorno a un tavolo in una stanza d’albergo.
In alcuni casi l’influenza di questi invisibili burattinai è flagrante. Il potere
del gabinetto ombra che deliberava seduto a un tavolo da poker in una piccola
serra a Washington è diventato una leggenda nazionale. C’è stato un periodo in
cui le principali politiche nazionali erano dettate da un solo uomo, Mark Hanna;
o quando un Simmons, per una manciata di anni, riuscì a far aderire milioni di
uomini a un programma politico basato su intolleranza e violenza.
Nell’opinione pubblica personaggi del genere impersonificano lo stereotipo
del governante associato all’espressione governo invisibile. Ma non ci
soffermiamo spesso a pensare che in altri campi esistono dittatori la cui
influenza è altrettanto decisiva di quella dei politici appena menzionati. Una
Irene Castle può imporre la moda dei capelli corti a nove donne su dieci che
hanno la pretesa di essere alla moda. I leader parigini del prêt-à-porter hanno
imposto al pubblico la moda della gonna corta, che se solo fosse stata indossata
vent’anni fa, avrebbe significato arresto e prigione per qualsiasi donna che
avesse osato indossarne una. Oggi invece l’intera industria dell’abbigliamento –
capitalizzata a centinaia di milioni di dollari – si trova costretta a riorganizzarsi
per conformarsi ai loro diktat.
Esistono governanti invisibili che controllano il destino di milioni di esseri
umani, e di solito non realizziamo in quale misura le parole e le azioni dei nostri
più influenti uomini pubblici siano dettate da scaltri personaggi che operano
dietro le quinte. Né, cosa ancora più importante, comprendiamo la misura in cui i
nostri pensieri e le nostre abitudini siano plasmati dalle autorità.
In molti ambiti della nostra vita quotidiana, in cui crediamo di esercitare il
nostro libero arbitrio, in realtà siamo governati da dittatori che esercitano il loro
enorme potere. Un uomo che va a comprare un vestito immagina certamente di
essere lui a scegliere, secondo il suo gusto e la sua personalità, il tipo di
indumento che preferisce. In realtà è probabile che si stia conformando agli
ordini di un sarto londinese, partner silenzioso di una modesta impresa sartoriale
patrocinata dai signori della moda e da qualche principe di sangue reale. È
quell’anonimo sarto a suggerire ai nobili britannici e altri signori in vista il
vestito blu anziché grigio, la giacca con due bottoni invece che tre, maniche più
strette rispetto a quelle della stagione scorsa – e i distinti clienti si limitano ad
approvare.
Ma in che modo e perché tutto ciò riguarda il signor Tal dei tali che vive a
Topeka? Perché l’anonimo sarto in questione è sotto contratto con una grande
società americana che produce abiti da uomo, e a cui invia in tempo reale gli
abiti selezionati dai signori dell’eleganza londinese. Dopo aver ricevuto i
modelli, con le specifiche relative a colore, qualità e consistenza del tessuto,
l’impresa effettua immediatamente un ordine di centinaia di migliaia di dollari ai
vari produttori di tessuto. Gli abiti vengono confezionati secondo le istruzioni e
pubblicizzati come l’ultima moda. Poi gli uomini eleganti di New York,
Chicago, Boston e Filadelfia corrono a comprarseli; e buon ultimo arriva il
cittadino di Topeka, che riconoscendo la loro autorevolezza, non può far altro
che seguire l’esempio.
Le donne sono soggette ai diktat del governo invisibile allo stesso modo in
cui lo sono gli uomini. Un produttore di seta, alla ricerca di nuovi mercati per il
suo prodotto, suggerisce a un grande produttore di calzature da donna che le
scarpe dovrebbero essere ricoperte di seta per poter esser meglio abbinate agli
abiti. L’idea viene adottata e sistematicamente propagandata. Un’attrice famosa
viene convinta a indossare le scarpe. La moda si diffonde. La ditta di scarpe si
era già preparata per soddisfare la domanda che lei stessa aveva creato, mentre il
produttore di seta era già in grado di fornire tutto il materiale per le nuove
scarpe.
Colui che riesce a iniettare quest’idea nel settore delle scarpe governa le
donne in un ambito della loro vita sociale. Uomini diversi ci governano nei vari
ambiti della nostra vita di tutti i giorni. Potrebbe esserci un potere dietro il trono
della politica, un altro dietro le variazioni del tasso di sconto federale, e un altro
ancora nel dettare i balli di tendenza della prossima stagione. Se esistesse un
governo invisibile che dirige davvero i nostri destini (cosa non impossibile da
immaginare), esso agirebbe in vista di uno scopo il martedì, attraverso un
determinato gruppo di leader, il mercoledì tramite un altro completamente
diverso, e così via. L’idea di un governo invisibile è, comunque, relativa: una
manciata di uomini potrebbe controllare i metodi educativi della stragrande
maggioranza delle nostre scuole, ma da un altro punto di vista ogni singolo
genitore è il leader di un gruppo che esercita autorità sui propri figli.
Il governo invisibile tende a essere concentrato nelle mani di pochi a causa
del costo dei dispositivi sociali necessari per controllare le opinioni e le abitudini
delle masse. È molto costoso pubblicizzare un’idea – come qualsiasi altra cosa –
su una scala di cinquanta milioni di cittadini; e raggiungere e persuadere i leader
che dettano i pensieri e i comportamenti al pubblico è altrettanto oneroso.
Per questa ragione c’è una crescente tendenza a concentrare le funzioni della
propaganda nelle mani di specialisti del settore. Questa figura sta assumendo un
ruolo e una funzione sempre più preminente all’interno della nostra vita
nazionale.
Nuove attività esigono una nuova nomenclatura. Il propagandista
specializzato nello spiegare progetti e idee presso l’opinione pubblica, e
nell’interpretare le reazioni del pubblico ai promulgatori di questi progetti e idee,
è oggi ben noto con il nome di «consulente in pubbliche relazioni».
La nuova professione delle pubbliche relazioni è nata a causa della crescente
complessità della vita moderna, e dalla conseguente necessità di spiegare a una
parte del pubblico le iniziative di altri settori della società. Inoltre, essa deve la
sua origine alla sempre maggior dipendenza del potere organizzato di qualunque
tipo dall’umore dell’opinione pubblica: il destino di qualunque regime, che sia
monarchico o repubblicano, democratico o comunista, dipende dal consenso
dell’opinione pubblica e, di fatto, ogni governo può governare solo in virtù
dell’acquiescenza pubblica. Industrie, servizi pubblici, movimenti educativi:
ogni gruppo che rappresenta un qualsiasi concetto o prodotto, che sia
maggioritario o minoritario, ha successo solo se ha l’approvazione dell’opinione
pubblica. L’opinione pubblica è il partner non riconosciuto in qualsiasi progetto
di ampio respiro.
Un consulente in pubbliche relazioni è l’agente che, lavorando con i moderni
mezzi di comunicazione presso le aggregazioni interne alla società, si occupa di
portare una certa idea alla consapevolezza del pubblico. Ma è molto più di
questo: egli ha a che fare con comportamenti, dottrine, sistemi e opinioni, e per
ciascuno di questi si occupa di assicurare supporto pubblico. Ma si interessa
anche di cose più tangibili come prodotti grezzi e lavorati, di servizi pubblici, di
grandi gruppi commerciali, di associazioni che rappresentano interi settori
industriali.
Egli funge principalmente come un consulente per il suo cliente, in modo
simile a come fa un avvocato. Un avvocato si concentra sugli aspetti legali delle
attività del suo cliente, mentre un consulente in pubbliche relazioni si focalizza
sui contatti pubblici delle attività del suo cliente. Parte delle sue funzioni è
seguire ogni fase delle idee, dei prodotti o delle attività del suo cliente in cui il
pubblico possa avere un interesse.
Nei problemi specifici di un produttore, ad esempio, egli esamina il prodotto,
i mercati in cui opera, il modo in cui il pubblico reagisce al prodotto,
l’atteggiamento dei dipendenti nei confronti del pubblico e la cooperazione con
chi si occupa della distribuzione.
Dopo aver esaminato tutti questi e altri fattori, il consulente in pubbliche
relazioni si sforza di modellare le azioni del suo cliente in modo da attirare
l’attenzione, l’approvazione e il consenso del pubblico.
I mezzi con cui il pubblico è informato delle azioni del suo cliente sono tanto
vari quanto i mezzi di comunicazione a disposizione: conversazione, lettere,
teatri, film, radio, conferenze, riviste, quotidiani. Il consulente in pubbliche
relazioni non è un pubblicitario, ma qualcuno che ricorre alla pubblicità tutte le
volte che lo ritiene necessario. Molto spesso viene interpellato da un’agenzia
pubblicitaria affinché completi il lavoro per conto di un cliente. Il suo lavoro e
quello del pubblicitario non confliggono né si duplicano a vicenda.
I suoi primi sforzi sono diretti, ovviamente, all’analisi dei problemi del suo
cliente e nell’assicurarsi che ciò che ha da offrire sia qualcosa che il pubblico
accetta o che può essere portato ad accettare. È inutile tentare di vendere un’idea
o preparare il terreno per un prodotto che sin dal principio sappiamo essere
fondamentalmente sbagliato.
Prendiamo l’esempio di un orfanotrofio preoccupato dalla diminuzione delle
donazioni e da uno sconcertante atteggiamento di indifferenza e ostilità da parte
del pubblico. Il consulente in pubbliche relazioni, grazie al potere dell’analisi,
potrà scoprire che il pubblico, sensibile alle nuove tendenze sociologiche, è
inconsciamente critico verso l’istituzione poiché non è organizzata secondo i
nuovi schemi architettonici, e nel caso consiglierà al suo cliente di apportare le
modifiche necessarie. O prendiamo il caso di una compagnia ferroviaria, che
potrebbe essere sollecitata a dotarsi di un treno rapido per aumentare il suo
prestigio e in ultima analisi il valore delle azioni della società.
Se ad esempio i produttori di corsetti volessero riportare in auge il loro
prodotto, il consulente in pubbliche relazioni dovrà consigliare loro che il piano
non è praticabile, poiché le donne si sono definitivamente emancipate dal
corsetto vecchio stile. Oppure farà notare loro che le donne potrebbero essere
persuase ad adottare un nuovo tipo di bustino, che dovrà essere del tutto privo
delle scomode e malsane caratteristiche del corsetto.
Il suo sforzo successivo sarà quello di analizzare il suo pubblico. Dovrà
studiare i gruppi da raggiungere e i leader attraverso cui approcciare tali gruppi.
Gruppi sociali, economici, territoriali, anagrafici, dottrinali, linguistici, culturali:
tutte queste categorie rappresentano le divisioni attraverso le quali, a nome del
suo cliente, può parlare con il pubblico.
Dopo aver compiuto questa duplice analisi, e analizzato i risultati, egli
compirà il passo successivo: impostare una linea di condotta che diriga la pratica
generale, le procedure e i comportamenti del cliente in tutti quegli aspetti che
hanno a che fare con il contatto con il pubblico. È solo quando queste linee guida
sono state impostate che è possibile passare allo step successivo.
Il primo riconoscimento delle diverse funzioni di un consulente in pubbliche
relazioni risale forse ai primi anni di questo secolo, come conseguenza degli
scandali che coinvolsero le società assicurative e che coincisero con gli enormi
investimenti in pubblicità che queste società fecero nelle riviste più popolari.
Messe alle strette, le compagnie realizzarono di essere completamente prive di
contatti con quel pubblico che professavano di servire, e richiesero il consiglio di
esperti che mostrassero loro come riuscire a comprendere l’opinione pubblica e a
farsi essi stessi interpreti dei suoi umori.
La Metropolitan Life Insurance Company – spinta da un interesse puramente
personale – diede inizio a uno sforzo diretto a cambiare l’atteggiamento del
pubblico nei riguardi delle compagnie assicurative, e verso il proprio marchio in
particolare, per il beneficio suo e del pubblico. Raggiunse una posizione
dominante entrando in contatto con il pubblico in ogni aspetto della vita sociale
e individuale. Alle municipalità propose inchieste sanitarie e consulenze
specialistiche; ai singoli individui dette consigli e informazioni sulla salute.
Persino la sede della società fu modificata per ergersi come un pittoresco punto
di riferimento da vedere e ricordare – per rinforzare, in altre parole, lo stimolo
associativo. E così questa compagnia arrivò ad avere un ampio consenso
generale: il numero e l’ammontare delle polizze crebbe costantemente via via
che aumentavano in ampiezza i suoi contatti con la società.
Nel giro di un decennio diverse importanti compagnie hanno iniziato ad
assumere consulenti in pubbliche relazioni, perché hanno realizzato che la loro
prosperità dipende dal consenso generale che riescono a suscitare. Non era più
vero che nessuno «doveva immischiarsi» nel modo in cui le società gestivano i
propri affari: esse furono obbligate a convincere il pubblico di essere coerenti
con le istanze di onestà ed equità. Così una società poteva scoprire che le sue
politiche del lavoro erano causa di risentimento nel pubblico, e introdurre una
politica più illuminata per il bene esclusivo dell’accettazione della pubblica
opinione. O un grande magazzino, nel ricercare le cause di un calo delle vendite,
poteva scoprire che i suoi impiegati avevano una cattiva reputazione in fatto di
rapporti con la clientela, e avviare i propri dipendenti a un corso di istruzione
formale in cortesia e tatto.
L’esperto in pubbliche relazioni può ricoprire il ruolo di direttore o di
consulente delle relazioni. Spesso è individuato come segretario generale,
vicepresidente o direttore. A volte ricopre il ruolo di ufficiale di gabinetto o di
commissario. Ma in ultima analisi – qualsiasi sia la carica formale che ricopre –
la sua funzione è ben definita e il suo consiglio ha un’influenza determinante sul
comportamento del gruppo o della persona per cui sta lavorando. Molte persone
credono ancora oggi che il consulente in pubbliche relazioni sia un
propagandista e nulla più. Ma in realtà è esattamente il contrario: la fase in cui si
suppone abbia inizio la sua attività è in realtà l’ultimo stadio della sua azione.
Dopo aver analizzato attentamente il pubblico e il suo cliente, e aver
impostato le linee guida, il suo lavoro potrebbe essere già finito. Ma in altri casi,
se vuol essere efficace, la sua opera deve continuare nel tempo. Perché in molte
situazioni è solo attraverso un attento, costante e approfondito lavoro di
informazione che il pubblico comprenderà e apprezzerà il valore di ciò che un
commerciante, un educatore o uno statista sta proponendo. Il consulente in
pubbliche relazioni deve quindi mantenere una vigilanza costante, perché delle
informazioni inadeguate, o false, possono avere conseguenze di enorme
rilevanza. Una voce incontrollata e falsa che prende a girare in un momento
critico potrebbe provocare il crollo delle azioni di una società e provocare una
perdita di milioni di dollari per i suoi azionisti. Un’aria di segretezza o mistero
sui rapporti finanziari di una compagnia quotata può far nascere un sospetto
generale capace di agire come un invisibile freno sul rapporto che la società
intrattiene con la pubblica opinione. Il consulente in pubbliche relazioni deve
essere quindi in grado di affrontare efficacemente le voci e i sospetti, tentando di
fermarli alla fonte, contrastandoli prontamente con informazioni più corrette o
più complete attraverso canali che saranno ritenuti più efficaci, o ancora meglio
stabilendo relazioni di fiducia totale circa l’integrità del proprio cliente, che né
pettegolezzi o sospetti avranno modo d’intaccare.
La sua funzione può includere anche la ricerca di nuovi mercati – mercati di
cui il cliente non sospettava neppure l’esistenza.
Se accettiamo il lavoro di consulente in pubbliche relazioni come una
professione a tutti gli effetti, dobbiamo aspettarci che esso risponda a requisiti
sia ideali che etici. L’ideale della professione è di tipo pragmatico. E consiste nel
far sì che il committente – che sia un legislatore che produce leggi o un
industriale che produce merci di largo consumo – capisca cosa il pubblico
desideri e renda comprensibile al pubblico i suoi obiettivi. In relazione
all’industria, l’ideale del consulente in pubbliche relazioni è quello di eliminare
gli sprechi e l’attrito che nascono quando l’industria fa o produce cose che il
pubblico non desidera, o quando il pubblico non comprende ciò che il produttore
gli sta offrendo. Le compagnie telefoniche, ad esempio, utilizzano già ampi
dipartimenti di pubbliche relazioni per spiegare ciò che stanno facendo in modo
da non disperdere energie in contrattempi e malintesi. Una dettagliata
descrizione, ad esempio, della cura maniacale che l’azienda adotta per scegliere
prefissi chiari e comprensibili delle loro centrali telefoniche fa sì che il pubblico
apprezzi lo sforzo fatto al fine di assicurargli un buon servizio, e lo stimola a
cooperare in vista della sua buona riuscita. Scopo di un consulente in pubbliche
relazioni è di arrivare a una comprensione tra educatori ed educandi, tra
istituzioni caritatevoli e contributori, tra nazione e nazione.
Questa professione sta già sviluppando un codice etico che può essere
paragonato a quello che governa le professioni mediche e legali. In parte, questo
codice è imposto dalle stesse condizioni del lavoro svolto. Pur riconoscendo –
proprio come fa un avvocato – che ognuno ha il diritto di presentare il proprio
caso sotto la luce migliore, egli può tuttavia rifiutare un cliente che reputa essere
disonesto, o un prodotto che stima essere fraudolento, o una causa che reputa
antisociale. Uno dei motivi che lo spinge a comportarsi in questo modo è che la
sua immagine non è separata, agli occhi della pubblica opinione, dal
committente di cui perora la causa. Un altro motivo è che mentre il consulente si
sta rivolgendo alla corte – la corte dell’opinione pubblica – allo stesso tempo sta
cercando di influenzare il giudizio e le azioni di quella stessa corte. Nel diritto, il
potere decisionale è ben bilanciato tra il giudice e la giuria. Ma davanti
all’opinione pubblica il consulente in pubbliche relazioni è sia giudice che
giuria, perché attraverso la sua perorazione di un caso il pubblico è spinto ad
aderire alla sua opinione e giudizio.
Egli non può accettare un cliente i cui interessi siano in conflitto con quelli di
un altro cliente, né può accettare un cliente la cui causa reputa essere senza
speranza o il cui prodotto stima essere invendibile.
Dovrebbe essere sempre sincero nei suoi rapporti, e mi preme ripetere che il
suo lavoro non consiste nell’ingannare o nel raggirare il pubblico. Se dovesse
costruirsi una simile reputazione, la sua utilità come consulente in pubbliche
relazioni sarebbe presto rovinata. Quando egli invia materiale di propaganda,
deve essere chiaramente indicata la fonte a cui è possibile risalire. Così i
giornalisti sapranno da chi viene la notizia, e in vista di quale scopo, e
l’accetteranno o la rifiuteranno in base al suo valore in quanto notizia.
IV. LA PSICOLOGIA DELLE PUBBLICHE RELAZIONI
Lo studio sistematico della psicologia delle folle ha rivelato agli studiosi le
potenzialità del governo invisibile della società, attraverso la manipolazione
delle motivazioni che guidano l’azione di un gruppo. Trotter e Le Bon, che
hanno affrontato l’argomento in modo scientifico, Wallas, Lippmann e altri, che
hanno proseguito gli studi sulla mentalità collettiva, hanno concluso che il
gruppo presenta caratteristiche psicologiche ben distinte da quelle
dell’individuo, e che le sue dinamiche sono motivate da impulsi ed emozioni che
non possono essere spiegati sulla base di ciò che sappiamo della psicologia
dell’individuo. Da ciò la domanda sorge spontanea: se riusciamo a comprendere
i meccanismi e le motivazioni che muovono la mente collettiva, non potremmo
controllare e mobilitare le masse secondo la nostra volontà e senza che le
persone se ne rendano conto?
La recente pratica della propaganda ha dimostrato che ciò è possibile,
almeno fino a un certo punto ed entro determinati limiti. La psicologia delle
masse è ancora lontana dall’essere una scienza esatta e i misteri delle
motivazioni umane non sono affatto rivelati. Ma la sua teoria e la sua pratica si
sono combinate con sufficiente successo per permetterci di scoprire che, in certi
casi e ricorrendo a determinati meccanismi, possiamo sortire qualche
cambiamento nella pubblica opinione con un discreto grado di precisione,
proprio come un automobilista può regolare la velocità della sua auto agendo
sull’acceleratore. La propaganda non è una scienza in senso stretto, ma non è
neppure più la materia interamente empirica che era prima dell’avvento degli
studi sulla psicologia delle masse. È oggi scientifica perché cerca di basare le sue
operazioni su conoscenze definite, tratte dall’osservazione diretta della mentalità
collettiva e sull’applicazione dei princìpi che hanno dimostrato di essere coerenti
e relativamente costanti.
Il propagandista moderno studia sistematicamente e oggettivamente il
materiale a cui sta lavorando proprio come uno scienziato fa nel suo laboratorio.
Se sta lavorando a una campagna di vendita su scala nazionale, egli studierà il
settore avvalendosi di un servizio di raccolta informazioni, o di un corpo di
sondaggisti, o effettuando personalmente ricerche sui punti di forza della
campagna. Egli determina, ad esempio, quali caratteristiche di un prodotto
stanno perdendo appeal e in quale nuova direzione sta virando il gusto del
pubblico. Non mancherà neppure di indagare fino a che punto le mogli hanno
l’ultima parola nella scelta della macchina dei mariti – o dei loro vestiti o
camicie.
Ma non c’è da aspettarsi un’accurateza scientifica nei risultati che otterrà,
perché le incognite che possono sfuggire al suo controllo restano molte. Egli può
sapere con un certo margine di sicurezza che, in circostanze favorevoli, una
traversata aerea internazionale dimostrativa produrrà uno spirito di buona
volontà che potrebbe rendere possibile persino il compimento di un determinato
programma politico. Ma non potrà mai esser certo che un qualche evento
inaspettato non distoglierà l’attenzione dell’opinione pubblica, o che il giorno
prima qualche altro aviatore non compirà un’impresa ancor più spettacolare. Per
quanto ristretto possa essere il settore della psicologia collettiva su cui sta
operando, un ampio margine di errore non può mai essere escluso. La
propaganda, come l’economia e la sociologia, non potrà mai essere una scienza
esatta, perché il suo oggetto, al pari delle altre due discipline, ha a che fare con
gli esseri umani.
Se riusciamo a influenzare i leader, con o senza la loro cooperazione
consapevole, automaticamente si influenzeranno anche i gruppi sociali che quei
leader governano. Ma gli uomini non hanno bisogno di essere raggruppati in
consessi pubblici o rivolte di strada per essere soggetti alle influenze della
psicologia delle masse. Perché l’essere umano è per sua natura un essere
gregario; egli si percepisce come appartenente a un gregge persino quando è da
solo, nella sua stanza e con le tende tirate giù: la sua mente conserva sempre i
modelli che le sono stati impressi dalle influenze del gruppo.
Un uomo siede nel suo ufficio e si chiede quali azioni comprare. Egli
immagina, senza dubbio, di star pianificando i suoi acquisti secondo il suo
miglior giudizio, ma in realtà il suo giudizio è un melange di impressioni fissate
nella sua mente da influenze esterne, che inconsciamente controllano il suo
pensiero. Egli compra certi titoli ferroviari perché il giorno prima ha letto
qualcosa d’importante sui maggiori quotidiani nazionali, e magari perché ha un
ricordo piacevole della buona cena consumata in uno di quei treni veloci; perché
la compagnia ha una politica del lavoro liberale; perché è nota per la sua onestà;
perché gli è stato detto che persino J.P. Morgan possiede quelle azioni.
Trotter e Le Bon hanno dimostrato che la mente collettiva non pensa –
almeno non nel senso stretto del termine. Al posto di pensieri ha impulsi,
abitudini ed emozioni. Nel prendere una decisione il suo primo impulso è di
solito quello di seguire l’esempio di un leader fidato e autorevole, e questo è uno
dei princìpi più fermamente stabiliti della psicologia delle masse. Ed è lo stesso
principio che è all’opera nello stabilire la diminuzione o l’accrescimento di
prestigio di una certa stazione balneare, o che suscita la corsa verso una certa
banca, o il panico in borsa, o la creazione di un bestseller o di un film di
successo.
Ma quando l’esempio di un leader non è a portata di mano, e il branco si
trova costretto a pensare da solo, lo fa ricorrendo a cliché, stereotipi o immagini
che reggono un intero gruppo di idee o di esperienze. Non molti anni fa bastava
associare al nome di un politico la parola “interessi” per indurre milioni di
elettori a votargli contro, perché qualsiasi cosa associata con “gli interessi”
appariva inevitabilmente sporca e corrotta. Recentemente la parola “bolscevico”
ha svolto una funzione del tutto simile per spaventare il grande pubblico e
allontanarlo da una certa linea politica.
Giocando su un vecchio cliché, o manipolandone uno nuovo, il
propagandista può talvolta riuscire a far oscillare un’intera massa di emozioni
collettive. In Gran Bretagna, durante la guerra, gli ospedali di evacuazione
furono oggetto di molte critiche a causa del modo sommario in cui trattavano i
feriti. Era assunto dal pubblico che un ospedale dovesse prestare un’attenzione
prolungata e coscienziosa ai propri pazienti. Ma quando il nome fu cambiato da
“ospedale” a “centro di evacuazione” la reazione critica e il malcontento giunse
presto a esaurirsi. Nessuno si aspettava che un “centro di evacuazione” fornisse
un trattamento adeguato a quello di un vero ospedale. Il cliché legato alla parola
“ospedale” rimanda indissolubilmente a una certa immagine pubblica, e
convincere il pubblico a discriminare tra un tipo di ospedale e un altro,
dissociare un certo cliché dall’immagine che evoca, sarebbe stato un compito
impossibile. Per contro, un nuovo cliché riuscì a condizionare l’emozione
pubblica verso questi nuovi “centri di evacuazione”.
Raramente gli uomini sono consapevoli delle vere ragioni che muovono le
loro azioni. Un uomo può credere di aver comprato una certa macchina perché,
dopo un attento studio delle caratteristiche tecniche di tutte le marche presenti
sul mercato, ha concluso che quel modello è il migliore. Ma quasi certamente
s’inganna: l’ha comprata, forse, perché un amico di cui apprezza l’acume
finanziario l’ha acquistata la settimana scorsa; o perché i suoi vicini credevano
che non potesse permettersi un auto di quel livello; o perché la macchina ha gli
stessi colori della sua confraternita universitaria.
Sono soprattutto gli psicologi della scuola freudiana ad aver sottolineato che
molti dei nostri pensieri e atti sono sostituti compensatori per quei desideri che
siamo stati costretti a sopprimere. Noi desideriamo una certa cosa non per il suo
valore intrinseco o la sua utilità, ma perché inconsciamente ci vediamo il
simbolo di qualcos’altro, un desiderio che ci vergogniamo di ammettere a noi
stessi. Quando compriamo una macchina possiamo pensare di desiderarla per
scopi di locomozione, mentre la cosa essenziale potrebbe essere che dentro di
noi sappiamo bene che sarebbe molto meglio camminare, e rimanere in salute,
senza essere gravati da un oggetto che non desideriamo davvero. Ma potremo
più verosimilmente desiderarla perché è un simbolo sociale, una prova del
successo negli affari o un mezzo per compiacere la propria moglie.
Questo principio generale, secondo cui gli uomini sono mossi principalmente
da motivazioni che nascondono a se stessi, è valido sia per la psicologia
collettiva che per quella individuale. È evidente che il propagandista di successo
deve capire le reali ragioni che motivano le azioni degli uomini – e non
accontentarsi delle ragioni che gli stessi uomini si danno. Non basta
comprendere le meccaniche che muovono la società, le dinamiche dei
raggruppamenti, dei contrasti e dei legami di fedeltà. Un ingegnere può sapere
tutto su cilindri e pistoni di una locomotiva, ma se non sa come il vapore
reagisce alla pressione non riuscirà mai a far funzionare il suo motore; in modo
del tutto analogo, i desideri degli uomini sono il vapore che mette in moto la
macchina sociale. Solo comprendendoli il propagandista potrà controllare quel
vasto meccanismo, estremamente articolato, che è la società moderna.
Il vecchio propagandista basava il suo lavoro su una psicologia
meccanicistica di reazione, allora in voga nelle nostre università. Questa
presupponeva che la mente umana fosse assimilabile a una mera macchina
individuale, un sistema di nervi e centri nervosi che reagisce con meccanica
regolarità agli stimoli, come un automa impotente e privo di volontà. Compito
del propagandista era dunque quello di fornire lo stimolo deputato a provocare la
reazione desiderata nel singolo acquirente.
Fu una delle dottrine della psicologia della reazione ad asserire che un certo
stimolo ripetuto più volte finisce col creare una certa abitudine, o che la mera
ripetizione di un’idea si trasformi in una convinzione. Supponiamo che il
vecchio tipo di venditore, un operatore nel settore delle carni lavorate, stia
cercando di aumentare la vendita della pancetta. Egli ripeterebbe innumerevoli
volte, grazie a pubblicità a tutta pagina, lo slogan: «Mangia più pancetta. Mangia
pancetta perché costa poco, perché è buona, perché ti dà l’energia di cui hai
bisogno». Mentre il nuovo tipo di venditore, che ha compreso la struttura della
società e i princìpi che regolano la psicologia delle masse, si chiederebbe prima
di tutto: «Chi influenza le abitudini culinarie del pubblico?», e la risposta,
ovviamente, sarà: «i medici». Così il nuovo tipo di venditore suggerirà ai medici
di dire pubblicamente che mangiare pancetta fa bene alla salute. Egli sa con
matematica certezza che un gran numero di persone seguirà il consiglio dei
propri medici, perché egli ha compreso la relazione di dipendenza psicologica
che lega gli uomini ai propri dottori.
Il propagandista vecchio stile utilizzava quasi esclusivamente il richiamo
della stampa, provando a persuadere il lettore a comprare, immediatamente, un
determinato articolo. Questo approccio può essere ben esemplificato da un tipo
di pubblicità che in passato era considerata ideale dal punto di vista
dell’immediatezza e dell’efficacia: «COMPRATE (magari con un dito indice rivolto
verso il lettore) i tacchi di gomma O’Leary. COMPRATELI SUBITO». La pubblicità,
attraverso la ripetizione e l’enfasi diretta sull’individuo, tentava di abbattere o
penetrare la resistenza all’acquisto. Anche se l’appello si rivolgeva in realtà a
cinquanta milioni di persone, era destinato a ciascuno in quanto individuo.
Il nuovo tipo di venditore ha scoperto possibile, rivolgendosi alle masse
attraverso le loro formazioni collettive, creare correnti psicologiche ed emotive
che lavoreranno per lui. Invece di aggredire la resistenza all’acquisto con un
assalto frontale, egli tenta di rimuovere quella stessa resistenza: crea quelle
circostanze che faranno oscillare le correnti emotive in modo da produrre, e
soddisfare, la domanda dell’acquirente.
Se, ad esempio, voglio vendere pianoforti, non sarà sufficiente inondare il
Paese con un appello diretto come: «COMPRATE un pianoforte Mozart, ora. È
economico. È utilizzato dai migliori artisti. Durerà per anni».
Le affermazioni di questa pubblicità potrebbero essere tutte vere, ma sono in
diretto conflitto con le medesime affermazioni di altri produttori di pianoforti, e
in competizione indiretta con le rivendicazioni di un produttore di radio o
automobili – tutti in competizione per contendersi quello stesso dollaro del
consumatore.
Quali sono le vere ragioni che spingono un consumatore a spendere i suoi
soldi su una macchina invece che su un pianoforte? È solo perché decide che la
merce chiamata locomozione sia preferibile alla merce chiamata musica? Non
del tutto. Compra una macchina perché, al momento, l’abitudine del gruppo è
quella di comprare macchine.
Dunque, il propagandista moderno si metterà al lavoro per creare le
circostanze che modificheranno tale abitudine. Egli farà appello alla centralità
dell’istinto domestico. Si adopererà per sviluppare accettazione pubblica all’idea
di una stanza della casa dedicata alla musica, magari organizzando una mostra di
sale musicali d’epoca, progettate e arredate da celebri designer in grado di
influenzare i gruppi di acquirenti. Migliorerà l’efficacia e il prestigio di queste
stanze inserendo rari e preziosi arazzi. Poi, per suscitare un pathos drammatico
sulla mostra, farà mettere in scena un evento o una cerimonia. A questa
cerimonia saranno invitati personaggi chiave, persone note e in grado di
influenzare le abitudini di acquisto del pubblico, come un famoso violinista, un
artista popolare e un leader della società. Queste persone di spicco influenzano
altri gruppi, creando nella coscienza del pubblico l’idea e l’esigenza di avere una
stanza dedicata alla musica, a cui prima nemmeno si pensava. La
giustapposizione di questi leader, e la drammatizzazione dell’idea che è stata
rappresentata, verranno poi proiettate sul grande pubblico attraverso vari canali
pubblicitari. Nel frattempo influenti architetti sono stati persuasi a realizzare,
come parte integrante dei loro progetti, delle stanze dedicate alla musica, con
magari una nicchia particolarmente affascinante da dedicare al pianoforte. Gli
architetti meno influenti finiranno ovviamente per imitare ciò che è fatto da
coloro che sono stimati come i maestri della professione. E questo, a sua volta,
contribuirà a imprimere nella mente collettiva l’idea di avere una stanza dedicata
alla musica.
La stanza della musica sarà accettata perché la sua esigenza è stata resa reale.
E il signore o la signora che ha una stanza della musica, o che ha organizzato
una parte del salotto come angolo musicale, penserà ovviamente a comprarsi un
pianoforte. E gli sembrerà di aver avuto una grande idea.
Un tempo il produttore di pianoforti avrebbe supplicato il potenziale
acquirente: «Per favore, comprate un pianoforte». Oggi il nuovo venditore ha
rovesciato il processo, portando il potenziale acquirente a dire al produttore:
«Per favore, vendimi un pianoforte».
Il valore dei processi associativi nella propaganda può essere illustrato anche
da un grande progetto di sviluppo immobiliare. Per sottolineare che il quartiere
di Jackson Heights fosse socialmente desiderabile fu fatto ogni tentativo per
produrre il processo associativo richiesto. Fu organizzato uno spettacolo in cui i
Jitney Players si esibirono per le vittime del terremoto in Giappone, sotto i
migliori auspici della signora Astor e di altre personalità. I vantaggi sociali del
quartiere furono messi in grande evidenza – un campo da golf era già allestito e
una club house era in preparazione. Persino l’inaugurazione dell’ufficio postale
fu organizzata come un evento mondano in grado di catturare l’attenzione,
perché il consulente in pubbliche relazioni aveva scoperto che la data di apertura
coincideva con una ricorrenza importante negli annali del Servizio Postale
Americano. Prima di aprire gli appartamenti al pubblico per mostrarne
l’esclusività, fu istituito un concorso tra decoratori d’interni per premiare
l’appartamento meglio arredato di Jackson Heights. La commissione dei giudici
era composta da eminenti personalità nel campo del design. Il concorso attirò
l’approvazione di ben note autorità, così come l’interesse di milioni di persone
che furono rese consapevoli dell’evento tramite giornali, riviste e altre
pubblicità, con l’effetto di sancire definitivamente il prestigio del nuovo progetto
immobiliare.
Uno dei metodi più efficaci per la diffusione delle idee è utilizzare le
formazioni collettive della società moderna. Per illustrare questo concetto
prendiamo il caso dei concorsi di scultura in sapone Ivory, promossi per
addestrare i bambini in certe fasce d’età come veri e propri scultori
professionisti. Uno scultore di fama nazionale affermò che il sapone Ivory fosse
un eccellente materiale per la scultura. La Procter & Gamble mise in palio una
serie di premi per le più belle sculture in sapone e il concorso fu organizzato
sotto l’egida dell’Art Center di New York, un’organizzazione prestigiosa nel
mondo dell’arte.
Sovrintendenti e insegnanti scolastici di tutto il Paese furono ben lieti di
incoraggiare il movimento come un aiuto educativo in seno alle scuole. La
pratica fu incoraggiata a entrare a far parte dei normali corsi d’arte tenuti agli
studenti e i concorsi si svolsero fra le scuole, i distretti scolastici e le città.
Il sapone Ivory era perfetto per essere utilizzato in casa perché le madri
riutilizzavano gli scarti e i lavori imperfetti per fare il bucato. Il lavoro in sé era
pulito. Le opere migliori furono selezionate dalle competizioni locali per
partecipare al concorso nazionale. Questo si teneva ogni anno presso
un’importante galleria d’arte di New York, il cui prestigio, sommato a quello
dell’illustre giuria, sottolineava la serietà del concorso elevandolo a vero e
proprio evento artistico.
Nel primo di questi concorsi nazionali furono ammessi 500 pezzi. Nel terzo
2.500 e nel quarto più di 4.000. Se i pezzi accuratamente selezionati erano così
numerosi, è evidente che un vasto numero di opere fu scolpito durante l’anno, e
che un numero ancor più grande era stato realizzato per fare pratica. Questa
buona disposizione del pubblico fu notevolmente migliorata dal fatto che il
sapone non era più visto come una mera preoccupazione delle casalinghe, ma
anche come una questione che interessava in modo personale e intimo i loro
figli.
Per promuovere questa campagna furono stimolate motivazioni psicologiche
ben note: il gusto estetico, la competizione, la socialità (gran parte del lavoro di
scultura veniva svolto a scuola), lo snobismo (l’impulso a seguire l’esempio di
un leader riconosciuto), l’esibizionismo e, infine – ultimo ma non per
importanza – la maternità. Tutte queste motivazioni e abitudini collettive furono
messe in moto in maniera concertata grazie al semplice meccanismo
dell’autorevolezza e della leadership esercitata sul gruppo. Attuate con la stessa
semplicità con cui si preme un pulsante, le persone iniziarono a lavorare per il
cliente per la sola gratificazione ottenuta nel realizzare una scultura. Questo è il
punto più importante per una propaganda di successo. I leader che prestano la
loro autorità per il successo di una campagna lo faranno solo se questa influisce
positivamente con la sfera dei loro interessi, anche se l’attività di propaganda
dovrebbe sempre avere un’immagine disinteressata. In altre parole, una delle
funzioni del consulente in pubbliche relazioni è quella di scoprire in quali punti
gli interessi del suo cliente coincidono con quelli di altri individui e gruppi
sociali.
Nel caso del concorso di scultura, gli illustri artisti ed educatori che
sponsorizzavano l’idea erano felici di prestare i propri servizi e i loro nomi,
perché quei concorsi promuovevano davvero un interesse che avevano a cuore –
la coltivazione dell’impulso estetico fra le giovani generazioni.
Tale coincidenza e sovrapposizione di interessi potrebbe essere infinita,
come infinita è l’interconnessione delle varie formazioni collettive. Prendiamo
l’esempio di una compagnia ferroviaria che si decide a sviluppare il proprio
business. Il consulente in pubbliche relazioni fa un sondaggio per scoprire in
quali punti i suoi interessi coincidono con quelli dei suoi potenziali clienti. La
compagnia prende così contatto con le Camere di commercio delle varie città
servite lungo la sua linea e le aiuta a sviluppare le comunità di riferimento:
proverà ad attrarre nuove industrie e aziende nelle città; faciliterà il commercio e
la diffusione d’informazioni tecniche. Non si tratta semplicemente di fare favori
con la speranza di ricevere qualcosa in cambio; queste attività della compagnia
mirano in realtà a promuovere la crescita lungo la sua tratta. Gli interessi della
compagnia e quelli delle comunità toccate dalla linea ferroviaria si integrano
reciprocamente e si alimentano a vicenda.
Allo stesso modo una banca istituirà un servizio d’investimento a tutto
vantaggio dei propri clienti, per far incrementare i depositi presso la banca. O un
gioielliere si preoccuperà di sviluppare un sistema assicurativo per proteggere i
gioielli che vende, così che il cliente si senta più sicuro e protetto nell’acquisto
dei preziosi. O un panificio istituirà un servizio d’informazioni per suggerire
nuove ricette a base di pane, per incoraggiare nuovi utilizzi domestici del proprio
prodotto.
Le idee della nuova propaganda sono basate su una sana psicologia fondata
su un opportuno interesse individuale.
In questi capitoli ho cercato di spiegare il ruolo della propaganda nella
moderna vita americana, e qualcosa dei metodi per mezzo dei quali opera – di
mostrare il perché, il cosa, il chi e il come del governo invisibile che detta i
nostri pensieri, dirige i nostri sentimenti e controlla le nostre azioni. Nei prossimi
capitoli tenterò di mostrare come la propaganda interviene in specifici settori
dell’attività collettiva, e suggerirò ulteriori modi in cui potrebbe funzionare.
V. L’IMPRESA E IL PUBBLICO
Negli ultimi decenni la relazione tra il mondo degli affari e il grande
pubblico si è fatta sempre più stretta, e oggi l’impresa guarda alla pubblica
opinione come a un vero e proprio partner. Una varietà di cause – alcune
economiche, altre dovute alla crescente comprensione e interesse del pubblico
per il mondo degli affari – hanno contribuito a creare questo stato di fatto. La
grande impresa si è resa conto che la sua relazione con l’opinione pubblica non
deve essere confinata alla produzione e alla vendita di un determinato prodotto,
ma deve includere allo stesso tempo la vendita di se stessa e di tutti quei fattori
grazie ai quali può rendersi presente alla mente collettiva.
Venti o venticinque anni fa le imprese cercavano di gestire i propri affari a
prescindere da quel che l’opinione pubblica ne poteva pensare. La conseguenza
di ciò fu un periodo costellato da scandali, in cui una moltitudine di peccati
furono – a torto o a ragione – pagati, e con gli interessi, dalle stesse aziende. Poi,
di fronte al risveglio della consapevolezza pubblica, le grandi compagnie furono
obbligate a rinunciare al principio secondo il quale i loro affari non dovevano
riguardare il grande pubblico. Se oggi le grandi imprese cercassero di
imbrogliare il pubblico, si scatenerebbe una nuova reazione simile a quella di
venti anni fa, e il pubblico reagirebbe invocando qualche legge restrittiva da
applicare al business. Ma oggi il mondo dell’impresa è ben consapevole di
operare in presenza di una coscienza pubblica, e questa consapevolezza ha infine
condotto a una sana cooperazione tra le due parti.
Un’altra causa di questo legame sempre più stretto è imputabile
indubbiamente ai vari fenomeni indotti dalla produzione di massa. La
produzione di massa è redditizia solo se il suo ritmo può esser mantenuto nel
tempo – ossia se un dato prodotto può esser venduto in modo costante e in
quantità crescente. Mentre con un sistema di produzione artigianale o con unità
produttive di piccola scala, tipiche di metà Ottocento, era la domanda a creare
l’offerta, oggi è l’offerta che deve cercare costantemente di creare la relativa
domanda. Una singola fabbrica, potenzialmente in grado di rifornire del suo
particolare prodotto un’intera nazione, non può permettersi di attendere che il
pubblico richieda quel suo prodotto; e se vuole assicurarsi una domanda costante
in grado di ripagare gli investimenti fatti e rendere redditizia la produzione, essa
deve mantenere un contatto continuo con il più vasto pubblico possibile
attraverso la pubblicità e la propaganda. Tutto ciò comporta un sistema
distributivo molto più complesso rispetto al passato.
Oggi il problema centrale è trovare nuovi clienti: all’industriale non basta più
conoscere la propria attività – la produzione di un particolare prodotto – ma deve
saper padroneggiare anche la struttura, la personalità e i pregiudizi di un
pubblico potenzialmente universale.
Ancora un’altra causa è connessa al miglioramento delle tecniche
pubblicitarie – sia per quanto riguarda la dimensione del pubblico raggiunto che
per i metodi a cui si fa ricorso. La crescita di giornali e riviste con tirature di
milioni di copie e le moderne tecniche nel rendere il messaggio pubblicitario
sempre più attraente e persuasivo hanno contribuito a collocare l’impresa in una
relazione più personale con un pubblico vasto e diversificato.
Un altro fenomeno tipicamente moderno che influenza le politiche generali
delle grandi imprese è il nuovo tipo di concorrenza tra certe ditte e il resto
dell’industria, al quale anch’esse appartengono. Un altro tipo di competizione è
quella che si scatena tra interi settori industriali, decisi a contendersi una quota
del portafoglio del consumatore. Quando un produttore di saponette afferma che
il suo prodotto vi manterrà giovani, ovviamente sta tentando di cambiare la
mentalità con cui viene di solito percepito il sapone – cosa che potrebbe avere
un’enorme importanza per tutto il settore. O quando un produttore di mobili
cerca di convincere il pubblico che è più desiderabile spendere i propri soldi per
un mobile in metallo piuttosto che per uno in legno, sta chiaramente cercando di
modificare il gusto e lo standard di un’intera generazione. In entrambi i casi il
mondo degli affari prova a insinuarsi nelle vite e nelle abitudini di milioni di
persone.
Ma vi è un altro senso fondamentale in cui le imprese stanno diventando
sempre più dipendenti dall’opinione pubblica. Con la crescente diffusione della
ricchezza in America, migliaia di persone investono in azioni di imprese quotate
in borsa. Il lancio di nuove azioni o obbligazioni – da cui un business in
espansione, se vuole avere successo, è dipendente – può essere effettuato solo
quando le società hanno compreso come ottenere la fiducia e la buona
disposizione del pubblico. L’impresa deve saper esprimere se stessa e la sua
immagine aziendale in modo tale che gli investitori possano accettarla e capirla.
Essa deve saper drammatizzare la sua personalità e interpretare i suoi obiettivi in
ogni particolare ambito che ha a che fare con la comunità (o la nazione) entro cui
opera.
Una compagnia petrolifera che ha compreso veramente tutte le sfaccettature
della sua relazione col pubblico, non si limiterà a vantare la bontà del suo
prodotto, ma dovrà propagandare anche le buone condizioni lavorative che offre
ai suoi dipendenti. Una banca cercherà di dimostrare non solo che la sua gestione
è solida e corretta, ma anche che i suoi amministratori sono persone onorevoli
sia nella loro vita pubblica che in quella privata. Un negozio specializzato in
abbigliamento maschile dovrà esprimere nel proprio allestimento l’autenticità
dei beni che offre. Un panificio cercherà di impressionare il pubblico
sottolineando la cura per l’igiene, non solo avvolgendo la merce in carta a prova
di polvere e lasciando la ditta aperta all’ispezione pubblica, ma anche per la
pulizia e lo stile impeccabile dei mezzi addetti alla consegna. Un’impresa edile
dovrà far sapere non solo che i suoi edifici sono sicuri e resistenti, ma anche che
i suoi dipendenti, se capita un incidente sul lavoro, vengono prontamente
risarciti. In qualsiasi momento un’impresa commerciale deve sapersi confrontare
con la coscienza pubblica, e deve cercare di imprimere alle sue relazioni
pubbliche un carattere il più possibile conforme agli obiettivi che sta
perseguendo.
Proprio come il responsabile della produzione deve conoscere ogni elemento
e dettaglio relativo ai materiali con cui sta lavorando, così il responsabile delle
pubbliche relazioni di un’azienda deve conoscere con la massima cura la
struttura, i pregiudizi e le fantasie del pubblico a cui si rivolge. L’opinione
pubblica ha proprie regole, esigenze e abitudini: si possono cercare di
modificare, ma non si deve osare attaccarle frontalmente. Non si può persuadere
un’intera generazione di donne a indossare gonne lunghe, ma si potrebbe,
lavorando di concerto con i leader della moda, convincerle a indossare abiti da
sera più lunghi. La pubblica opinione non è una massa amorfa che può essere
modellata a piacere, o a cui si possa dettare rigide condizioni. Sia gli affari che il
pubblico hanno caratteri propri che devono incontrarsi su di un terreno di
comune amicizia: il conflitto e il sospetto sono dannosi per entrambi. E
all’impresa moderna tocca studiare in quali termini questa partnership può essere
resa amichevole e reciprocamente vantaggiosa. Essa deve quindi essere in grado
di spiegare al pubblico se stessa, i propri obiettivi e le proprie strategie, in
termini che il pubblico è in grado di comprendere e che è disposto ad accettare.
Il mondo degli affari non accetta di buon grado i diktat del pubblico, e non
dovrebbe aspettarsi di dettare i propri all’opinione pubblica. La gente dovrebbe
apprezzare il grande vantaggio economico offerto dall’impresa grazie alla
produzione di massa e al marketing scientifico, ma anche le aziende dovrebbero
apprezzare il fatto che il pubblico stia diventando sempre più attento nei
confronti del mondo del business, e dovrebbe cercare di comprendere le sue
esigenze e adattarsi ad esse. La relazione tra mondo degli affari e opinione
pubblica può essere sana solo se viene basata su un rapporto di reciproco
compromesso.
È questa condizione e necessità ad aver creato il bisogno di una figura
specializzata addetta alle pubbliche relazioni. Oggi le aziende ricorrono al
consulente in pubbliche relazioni per ricevere consigli, per avere un portavoce
dei suoi obiettivi presso il pubblico, per farsi consigliare le modifiche necessarie
per rendere tali obiettivi più conformi alle esigenze del pubblico.
Queste modifiche possono riguardare vasti problemi di politica aziendale, ma
anche i dettagli in apparenza più banali, relativi alla conduzione dell’impresa.
Ad esempio, potrebbe essere necessario cambiare completamente la linea dei
prodotti per adeguarsi al mutamento della domanda, oppure si potrebbe decidere
di intervenire su un dettaglio minore, come la divisa dei dipendenti. Una
gioielleria potrebbe avere il problema di una clientela limitata a persone molto
ricche, poiché ha la reputazione di vendere le sue merci a carissimo prezzo: in
questo caso il consulente in pubbliche relazioni potrebbe suggerire la
presentazione di prodotti a prezzo più accessibile, anche rischiando di andare in
perdita, non perché l’azienda desideri allargare il commercio alla fascia media,
ma perché una quota considerevole di clienti oggi appartenenenti a quella fascia
sarà molto più ricca nel giro di dieci anni. A un grande magazzino che vuole
imporsi nel commercio del lusso potrà essere suggerito di assumere impiegati
laureati o d’ingaggiare noti artisti moderni per progettare vetrine o allestimenti
particolari. Una banca potrebbe essere sollecitata ad aprire una filiale sulla Fifth
Avenue, non perché il giro di affari della filiale valga la spesa, ma perché una
bella sede sulla Fifth Avenue esprime in maniera consona il messaggio che si
vuole veicolare ai futuri correntisti; e, nello stesso senso, il fatto che il portiere
sia gentile e i pavimenti sempre puliti sarebbe altrettanto importante dell’avere
un direttore di filiale rispettato e competente in materia finanziaria. E tuttavia,
l’effetto benefico di una tale gestione potrebbe essere vanificato se la moglie del
presidente della banca venisse coinvolta in uno scandalo.
Le grandi imprese non devono lasciare niente al caso al fine di esprimere la
propria personalità. Esse cercano di comunicare al pubblico – grazie al
messaggio pubblicitario diretto come alla più sottile suggestione estetica – che la
qualità dei beni o del servizio che sta offrendo è la migliore possibile. Un
negozio che vuole realizzare un grande volume di vendita con prodotti
economici reclamizzerà ogni giorno i suoi prezzi, concentrandosi sul risparmio
che offre al cliente. Ma un negozio che cerca un ampio margine di profitto su
singoli oggetti cercherà di associare il proprio nome alla distinzione e
all’eleganza, che sia sponsorizzando una mostra dei maestri dell’arte o attraverso
le attività sociali della moglie del proprietario.
Le attività di pubbliche relazioni di un’azienda non mirano a creare una
cortina fumogena per celare i veri scopi della compagnia. Sarebbe un pessimo
affare, oltre che immorale, esibire esclusivamente i pochi articoli di lusso
quando la gran parte delle merci sono di qualità media o economica, poiché
l’impressione generale che sarà data al pubblico suonerà falsa. Una sana politica
di pubbliche relazioni non tenterà di far pressione sull’opinione pubblica con
affermazioni esagerate e false pretese, ma cercherà di interpretare presso il
pubblico, con chiarezza e precisione, la natura stessa dell’impresa. La New York
Central Railroad ha cercato per decenni di persuadere il pubblico, non solo sulla
base della velocità e della sicurezza dei suoi treni, ma facendo appello anche alla
comodità e all’eleganza delle sue carrozze. È appropriato che una compagnia del
genere sia stata rappresentata al grande pubblico dalla personalità soave e
suadente di Chauncey M. Depew – un gentiluomo che incarna un’immagine
perfetta per la compagnia.
Sebbene le indicazioni concrete di un consulente in pubbliche relazioni
possano variare all’infinito in base alle circostanze, il suo piano generale può
essere ridotto a due soli schemi, che potrei definire interpretazione continua e
drammatizzazione dei punti di forza. Questi due schemi potrebbero essere usati
in alternativa oppure perseguiti contemporaneamente.
L’interpretazione continua tenta di controllare ogni modalità di approccio
alla mente collettiva, in modo tale che il pubblico riceva l’impressione
desiderata, spesso senza esserne consapevole. La drammatizzazione dei punti di
forza, d’altro canto, tenta di catturare l’attenzione del pubblico per fissarla su un
qualche dettaglio o aspetto caratteristico di tutta l’azienda. Quando un’impresa
edilizia sta costruendo un palazzo che supera di tre metri in altezza il palazzo più
alto già esistente, questa è drammatizzazione.
Solo dopo un’attenta analisi degli obiettivi e delle specifiche potenzialità è
possibile determinare quale dei due metodi sia quello più indicato, o se entrambi
siano da utilizzare contemporaneamente.
Un altro interessante esempio di focalizzazione dell’attenzione pubblica sulle
virtù di un prodotto si è visto nel caso della gelatina. I suoi vantaggi nel
migliorare la digeribilità e il valore nutrizionale del latte furono prima dimostrati
dal Mellon Institute of Industrial Research. Questi vantaggi furono poi
confermati dai test fatti in ospedali e istituti scolastici, e i risultati positivi furono
successivamente trasmessi a diversi leader del settore. Il risultato fu che essi
seguirono l’esempio e utilizzarono la gelatina per scopi scientifici che si erano
già dimostrati validi grazie al lavoro dell’Institute of Industrial Research. E
l’idea prese slancio.
La tendenza delle grandi imprese è di diventare sempre più grandi.
Attraverso fusioni e monopoli aumentano costantemente il numero di persone
con cui esse stabiliscono un contatto diretto, e tutto ciò intensifica e moltiplica le
relazioni pubbliche dell’impresa.
Le responsabilità dell’impresa sono di vario genere. C’è una responsabilità
verso gli azionisti – che siano cinque o cinquecentomila – i quali hanno affidato i
loro soldi all’azienda e hanno tutto il diritto di sapere come viene utilizzato il
loro denaro. Un’azienda che è pienamente consapevole della propria
responsabilità nei confronti degli azionisti, li solleciterà sia ad acquistare il
prodotto su cui hanno investito che a usare tutta la loro influenza per
promuoverne la vendita. C’è una responsabilità verso i grossisti, che può onorare
invitandoli, a proprie spese, a visitare la casa madre. C’è una responsabilità
verso l’industria in generale che dovrebbe trattenerla dal rendere affermazioni
commerciali esagerate e scorrette. C’è una responsabilità verso i rivenditori, per
cui deve fare in modo che i suoi rappresentanti esprimano in modo giusto le
qualità dei prodotti che devono vendere. C’è una responsabilità nei confronti del
consumatore, che è influenzato da una fabbrica pulita e ben gestita, sempre
disponibile all’ispezione. E il pubblico in generale, al di là della sua funzione di
potenziale consumatore, è influenzato nel suo atteggiamento verso l’impresa da
ciò che conosce delle politiche finanziarie dell’azienda, e persino dalla vivibilità
delle case in cui dimorano i suoi dipendenti.
In breve, non esiste dettaglio che sia da reputare troppo banale: ogni cosa
potrebbe influenzare il pubblico in modo sfavorevole o favorevole; la stessa
personalità del presidente potrebbe rivestire una certa importanza, poiché agli
occhi dell’opinione pubblica egli incarna e drammatizza l’intera impresa.
Potrebbe essere molto importante far sapere a quali enti caritatevoli egli offre il
suo sostegno, e in quali società civili ricopre una carica. Se egli è un leader nel
suo settore industriale, il pubblico potrebbe richiedere che sia un leader anche
nella sua comunità civile.
L’uomo d’affari è ormai responsabile agli occhi della società. Ma non si
tratta di rappresentarne la personalità con una montatura pubblicitaria, o di
creare una finzione pittoresca a uso e consumo del pubblico; piuttosto, si tratta di
trovare il modo appropriato per esprimere – e drammatizzare – la sua
personalità. Alcuni uomini d’affari potrebbero essere i migliori consulenti in
pubbliche relazioni delle loro imprese, ma nella gran parte dei casi la conoscenza
della mente collettiva e dei modi in cui essa reagisce a un appello è
un’operazione specializzata che deve essere intrapresa da un professionista
esperto.
Credo che le grandi imprese stiano comprendendo tutto ciò in termini più
concreti; le aziende ricorrono sempre più spesso allo specialista in pubbliche
relazioni (qualsiasi titolo gli venga accordato) e sono convinto che avranno
sempre maggior bisogno di un’esperta manipolazione dei loro innumerevoli
contatti via via che il pubblico di consumatori diverrà più vasto.
Una ragione per cui le pubbliche relazioni di un’azienda vengono spesso
affidate a un professionista esterno, invece che a un impiegato interno alla
società, è che l’approccio migliore per risolvere un problema potrebbe essere di
tipo indiretto. Prendiamo il caso di quando l’industria di valigie e bauli ha
tentato di risolvere alcuni problemi di relazioni pubbliche. Dall’analisi realizzata
emerse che l’atteggiamento delle compagnie ferroviarie, delle società di
navigazione e dei governi stranieri proprietari di linee ferroviarie, andava
considerato un fattore essenziale per una buona gestione dell’industria.
Compagnie ferroviarie e di facchinaggio, per il loro stesso interesse, potevano
essere educate a gestire i bagagli con maggior facilità e prontezza, arrecando
meno danni ai bagagli e meno disagi ai passeggeri; le società di navigazione
potevano ammorbidire, nel proprio interesse, le restrizioni sui bagagli; i governi
stranieri potevano ridurre i costi di bagagli e trasporti e incoraggiare il turismo.
In breve, fu grazie a questi interventi che i produttori di valigie ottennero il
profitto che cercavano: in sostanza, il problema di incrementare le vendite era
quello di far convergere queste altre forze preponderanti sul punto di vista del
produttore di bagagli. Ecco perché la campagna di pubbliche relazioni non fu
diretta al grande pubblico, ossia ai consumatori finali, ma a questi altri elementi
egemoni.
L’efficacia della propaganda, poiché si propone di andare alle cause basilari
di una questione, può dipendere molto spesso dal modo in cui approccia un
problema. Una campagna contro i cosmetici dannosi per la salute potrebbe al
contempo essere finanziata per stimolare il ritorno a guanti da bagno e sapone –
campagna che logicamente avrà il supporto di tutto il personale sanitario, che
sarebbe spinto a sollecitare l’utilizzo di questi prodotti al posto dei cosmetici.
Il fatto che l’opinione pubblica sposi una causa o una linea d’azione
socialmente utile può essere, molto spesso, il risultato di un desiderio del
propagandista: per affrontare con successo un dato problema può essergli utile
coinvolgere l’opinione pubblica in una causa socialmente costruttiva; e con ciò,
egli realizza a tutti gli effetti uno scopo sociale nel senso più ampio del termine.
La bontà di una politica di pubbliche relazioni è perfettamente illustrata dal
caso del produttore di calzature per poliziotti, pompieri, postini e occupazioni
simili. L’industriale realizzò che se avesse reso accettabile l’idea che per fare tali
lavori la qualità delle calzature è un fattore fondamentale, avrebbe venduto più
scarpe e allo stesso tempo incrementato l’efficienza degli uomini sul proprio
posto di lavoro. Egli istituì un dipartimento dedicato alla protezione del piede
con il preciso compito di diffondere informazioni scientificamente accurate sulla
cura dei piedi – informazioni che, naturalmente, erano parte integrante del
prodotto venduto. Il risultato fu che i corpi civici, i capi della polizia, dei vigili
del fuoco e di altri soggetti simili promossero le idee vantate dal prodotto – e il
prodotto stesso – con il conseguente effetto che le scarpe furono vendute molto
più facilmente.
L’applicazione del principio di un comune denominatore tra gli interessi del
venditore e quelli del consumatore potrebbe essere declinato praticamente
all’infinito.
«Non importa di quanto capitale disponiate, quanto siano favorevoli le
condizioni del vostro servizio, quanto siano economici i prezzi che applicate: se
non avete l’appoggio dell’opinione pubblica siete destinati al fallimento.»
Questa è l’opinione di Samuel Insull, uno dei magnati più importanti del Paese.
E il defunto giudice Gary, della United States Steel Corporation, espresse la
medesima idea quando disse: «Solo quando avete conquistato la buona
disposizione del pubblico potete procedere a una fase di espansione costruttiva.
Troppo spesso si cerca di sminuire questo elemento, che certamente è vago e
intangibile. Ma è in questa trascuratezza che si trova il fallimento».
L’opinione pubblica non è più incline a essere ostile verso le grandi fusioni
aziendali. Essa addirittura si oppone alla censura degli affari da parte della
Federal Trade Commission. Ha fatto persino decadere le leggi anti-trust, ree di
ostacolare lo sviluppo economico. E oggi essa supporta i grandi trust e quelle
stesse fusioni che solo una decina di anni fa erano oggetto di aspre critiche. Ora
il governo consente ampie concentrazioni di diverse unità produttive e
distributive, come evidenziato dalle fusioni tra compagnie ferroviarie e altri
gruppi pubblici, perché il governo rappresentativo, in definitiva, rappresenta
l’opinione pubblica. È dunque la stessa opinione pubblica a favorire la crescita
di giganteschi agglomerati industriali: agli occhi di milioni di piccoli investitori
queste fusioni e trust sono oggi amichevoli giganti – non più orchi malvagi – e
ciò si deve primariamente alla quantità dei volumi di produzione che favorisce il
risparmio e dunque il consumatore.
Questo risultato, in gran parte, si deve al deliberato uso della propaganda
nella sua più ampia accezione. È stato ottenuto non solo modificando le opinioni
del pubblico, come fatto dai governi durante la guerra mobilitando e
irreggimentando le opinioni, ma trasformando il modo stesso in cui opera
l’impresa. Così oggi una compagnia che produce cemento può lavorare
gratuitamente con le amministrazioni pubbliche che si occupano delle strade,
finanziando progetti volti a garantire alla popolazione la buona qualità delle
strade; una compagnia del gas può finanziare una scuola di cucina aperta a tutti.
Ma sarebbe avventato e irragionevole dare per scontato che l’opinione
pubblica si schiererà sempre a fianco della grande impresa. Anche di recente
W.Z. Ripley, docente ad Harvard e una delle principali autorità in materia di
organizzazione e pratica aziendale, ha rivelato alcuni aspetti della grande
impresa che tendono a minare la fiducia del pubblico. Ha sottolineato come il
supposto potere di voto degli azionisti sia spesso del tutto illusorio; che le
relazioni finanziarie annuali siano talvolta così brevi e sommarie che per l’uomo
comune risultano spesso ingannevoli; che la generalizzazione del sistema delle
azioni senza diritto di voto assegna di fatto il controllo delle compagnie e delle
loro finanze nelle mani di una piccola cricca di azionisti; e che qualche
compagnia si rifiuta di fornire informazioni sufficienti per permettere al pubblico
di conoscere le reali condizioni di un’impresa.
E non importa quanto la popolazione possa essere ben disposta verso la
grande impresa in generale: le aziende – soprattutto quelle di carattere pubblico
– sono sempre un bersaglio facile per il malcontento della gente e devono
mantenere la buona disposizione del pubblico con la massima cura e attenzione
possibile. Se le considerazioni come quelle del professor Ripley continuano e
incontrano il favore della pubblica opinione, diverse aziende di carattere
semipubblico rischieranno di passare sotto il diretto controllo dello Stato e delle
municipalità locali, a meno che le condizioni non cambino e queste imprese
tengano costantemente informati i cittadini su tutti gli aspetti della loro attività.
Il consulente in pubbliche relazioni dovrebbe anticipare le tendenze
dell’opinione pubblica e fornire consigli su come evitare contraccolpi, sia
persuadendo il pubblico che le proprie paure e pregiudizi sono ingiustificati, che,
in certi casi, modificando le azioni del cliente in modo tale da rimuovere la causa
del malcontento. In tal caso l’opinione pubblica potrebbe essere analizzata al
fine di scoprire i punti di contrasto irriducibili e quegli aspetti del problema che
sono suscettibili di spiegazione logica; in che misura la critica o il pregiudizio
sono frutto di una reazione emotiva e quali fattori sono dominati da cliché
accettati. Per ciascun caso egli dovrebbe consigliare qualche azione o modifica
in grado di rendere effettivo un cambiamento di politica.
Anche se il controllo totale dello Stato, nella maggior parte dei casi, è
un’eventualità remota, la proprietà pubblica della grande impresa attraverso
l’aumento dell’investimento popolare in azioni e obbligazioni sta diventando
sempre più un dato di fatto. Da questo punto di vista l’importanza delle relazioni
pubbliche deve essere giudicata dal fatto che praticamente tutte le società
prospere tendono ad ampliarsi e per fare ciò emettono nuovi titoli. Il successo di
questa politica dipende dalla reputazione di cui gode la società nel mondo degli
affari e anche dalla buona disposizione che è stata in grado di suscitare
nell’opinione pubblica. Di recente, quando la Victor Talking Machine Company
è stata offerta al pubblico degli investitori, nel giro di una notte sono state
vendute azioni per milioni di dollari. D’altro canto esistono alcune società che,
sebbene siano finanziaramente sane e commercialmente floride, sarebbero
incapaci di far fluttuare un gran numero di azioni, perché l’opinione pubblica
non le conosce abbastanza o perché ha alcuni pregiudizi immotivati nei loro
confronti.
Il buon esito di queste operazioni dipende a tal punto dal favore della
pubblica opinione che il successo o meno di una nuova fusione potrebbe
dipendere dal grado di accettazione pubblica che viene suscitato dall’operazione.
Una fusione può porre in essere nuove enormi risorse, e queste risorse, magari
equivalenti a milioni di dollari in una singola operazione, sono spesso il frutto di
una manipolazione dell’opinione pubblica. Devo ripetere che non sto parlando di
valore fittizio frutto di propaganda disonesta o manipolazione del mercato, ma di
veri valori economici che vengono creati quando nei confronti di un’impresa c’è
una genuina accettazione del pubblico e quando quest’ultimo diventa un vero e
proprio partner dell’impresa.
La crescita delle grandi aziende è così rapida che in alcuni settori i
proprietari sono più internazionali che nazionali. Se l’industria e il commercio
moderno vogliono trovare nuovi finanziamenti è necessario, infatti, raggiungere
gruppi sempre più ampi di persone. Sin dalla fine della guerra gli americani
hanno acquistato miliardi di dollari di titoli di industrie straniere, mentre gli
europei, secondo le stime, hanno investito per un valore compreso tra gli uno e i
due miliardi di dollari nelle nostre imprese. In ciascun caso è necessario che il
settore o le compagnie in cui si investe abbiano guadagnato il favore della
pubblica opinione.
Anche i prestiti pubblici a paesi stranieri dipendono dalla buona disposizione
che quest’ultimi hanno dimostrato di saper suscitare nei loro confronti. Il prestito
lanciato da un Paese dell’Europa orientale rischia di fallire a causa della
disapprovazione suscitata nell’opinione pubblica americana dal comportamento
dei membri della famiglia regnante. Ma altri paesi non hanno difficoltà
nell’ottenere ciò che desiderano, perché l’opinione pubblica è già persuasa della
prosperità di queste nazioni e della stabilità dei loro governi.
La nuova tecnica dei consulenti in pubbliche relazioni reca un servizio
estremamente utile all’impresa: il consulente agisce come un complemento per
legittimare i pubblicitari e la pubblicità, e in tal modo aiuta a smontare le
pubblicità ingannevoli, esagerate ed eccessive, raggiungendo il pubblico con
canali alternativi rispetto a quelli usati in genere dalla pubblicità. Quando due
concorrenti si affrontano con questo tipo di messaggi pubblicitari, essi minano il
particolare settore in cui operano fino al punto in cui il pubblico potrebbe
perdere tutta la fiducia che riponeva nell’industria. E il solo modo che gli
operatori onesti hanno di combattere questi metodi non etici è quello di utilizzare
l’arma della propaganda e far emergere le verità fondamentali della situazione.
Prendiamo il caso dei dentifrici. Questo è un settore altamente competitivo in
cui l’accettazione pubblica per un prodotto rispetto a un altro si può
legittimamente basare su qualità intrinseche del prodotto stesso. Ma che cosa è
accaduto in questo settore?
Uno o due grandi produttori hanno pubblicizzato l’idea che il loro dentifricio
garantisse vantaggi incredibili mai raggiunti prima da nessun altro prodotto
presente sul mercato. Il produttore concorrente è dunque posto in una situazione
ambigua: porre ulteriore enfasi su un prodotto già troppo enfatizzato oppure
lasciare che la concorrenza gli porti via buona parte dei clienti. Oppure può
ricorrere all’arma della propaganda che efficacemente, attraverso vari canali, può
approcciare il pubblico: cliniche dentali, scuole, club femminili, università
mediche, stampa specializzata e persino stampa generalista; tutti questi gruppi e
canali possono essere mobilitati per divulgare le reali potenzialità del dentifricio.
Questo, ovviamente, riuscirà a far sì che il prodotto onestamente pubblicizzato
arrivi al suo pubblico.
La propaganda è un’arma potente per contrastare la pubblicità immorale o
ingannevole. Con il passare degli anni fare pubblicità efficace è diventato
sempre più costoso. Solo poco tempo fa, quando il nostro Paese era più piccolo e
non esistevano le imponenti macchine pubblicitarie di oggi, era relativamente
facile ottenere riconoscimento nazionale per un determinato prodotto. Un corpo
di rappresentanti, con qualche sigaro e un repertorio di barzellette, poteva
persuadere i rivenditori a mettere in vetrina e raccomandare i propri articoli su
scala nazionale. Oggi una piccola impresa è destinata a scomparire se non riesce
a trovare mezzi relativamente economici per far conoscere le virtù speciali del
proprio prodotto, mentre le industrie più grandi hanno cercato di superare le
difficoltà coalizzandosi in campagne pubblicitarie in cui associazioni di industrie
competono con altre associazioni.
La pubblicità di massa ha prodotto nuove forme di concorrenza. La
competizione tra prodotti rivali è, naturalmente, antica come l’economia. Negli
ultimi anni si è parlato molto della nuova competizione – ne abbiamo discusso in
un capitolo precedente – tra un gruppo di prodotti e un altro. La pietra compete
con il legno nelle costruzioni, il linoleum con i tappeti, le arance con le mele, lo
zinco con l’amianto nella costruzione delle tettoie.
Questo tipo di competizione è stata evocata in modo scherzoso da O.H.
Cheney, vicepresidente dell’American Exchange and Irving Trust Company di
New York, nel suo discorso pronunciato di fronte al Chicago Business
Secretaries Forum:
«Rappresentate articoli per cappelli da donna? Al vostro fianco potrebbe esserci seduto qualcuno
che lavora per l’industria della pelliccia, e promuovendo la moda dei grandi colli in pelliccia sta
rovinando il business dei cappelli costringendo le donne a indossarne di piccoli e a buon mercato. O
magari c’è qualcuno interessato alle caviglie del gentil sesso – voglio dire, un rappresentante
dell’industria delle calze di seta. Potreste aver di fronte due coraggiosi rivali pronti a combattere
fino alla morte – a spendere milioni nella lotta per quelle caviglie: rappresentanti dell’industria del
cuoio, che hanno sofferto per la moda delle scarpe basse, e rappresentanti dell’industria dei tessuti,
che aspirano a tornare ai bei vecchi tempi di quando le gonne erano gonne.
«Se rappresentate l’industria di impianti idraulici o riscaldamento siete i nemici giurati
dell’industria tessile, perché case più calde significano abiti più leggeri. E se rappresentate il settore
tipografico come potete stringere la mano di chi opera nel settore delle radio?
«Questi sono davvero esempi viventi di quella che chiamo nuova competizione. La vecchia
concorrenza era quella tra i membri di ciascun settore commerciale; una fase della nuova
competizione è quella tra associazioni di categoria – ossia tra di voi, signori, che rappresentate
queste industrie. La competizione delle merci è una nuova forma di concorrenza tra prodotti usati in
alternativa ma che hanno lo stesso scopo finale. La competizione inter-industriale è una nuova
forma di concorrenza tra industrie apparentemente non correlate che si influenzano a vicenda o tra
industrie che competono per il portafoglio del consumatore – e questo significa praticamente la
quasi totalità delle nostre aziende.
«La concorrenza tra le merci è certamente la più spettacolare: è quella che sembra aver
maggiormente catturato l’immaginazione industriale del Paese. Sempre più uomini d’affari stanno
iniziando ad apprezzare ciò che questo tipo di competizione significa per loro. E sono sempre più
numerosi quelli tra loro che invitano le proprie associazioni di categoria ad aiutarli – perché la
competizione delle merci non può essere combattuta da soli.
«Prendiamo il caso della guerra che si sta combattendo, ogni giorno, sulle nostre tavole da pranzo.
Tre volte al dì, praticamente in ogni sala da pranzo del Paese, si mette in scena la feroce battaglia di
questa nuova competizione. Dovremo aggiungere le prugne secche per colazione? No! Gridano
schiere di coltivatori di arance e legioni di conservatori di ananas. Mangeremo dei crauti? Perché
non scegliere olive verdi – è la risposta degli spagnoli. Mangiate maccheroni invece delle patate,
dice una pubblicità – e i coltivatori di patate non saranno forse pronti a raccogliere la sfida?
«Dottori e dietisti dicono che un lavoratore manuale necessita dalle duemila alle tremila calorie al
giorno. Per un banchiere, suppongo, ne bastano molte meno. Ma che cosa dobbiamo fare? I
frutticoltori, produttori di cereali, grossisti di carni, produttori di latte, pescatori – tutti vogliono che
si mangino i loro prodotti e stanno spendendo milioni di dollari al giorno per convincerci a farlo.
Dovremmo accontentarli e mangiare fino a scoppiare oppure dovremmo obbedire al medico e
lasciare che i contadini e tutti i produttori di cibo finiscano sul lastrico? Dovremmo bilanciare la
dieta in proporzione agli stanziamenti in pubblicità dei vari produttori o dovremmo sposare una
dieta equilibrata e lasciare che tutti vadano in bancarotta? La nuova concorrenza nel settore
alimentare è probabilmente la più aspra, perché tutti noi abbiamo limitazioni effettive su ciò che
possiamo consumare, indipendentemente dal reddito e dalla qualità della vita: non possiamo
mangiare più di quanto possiamo mangiare.
Credo che in futuro la concorrenza non sarà limitata soltanto a una
competizione pubblicitaria fra singoli prodotti o tra grandi organizzazioni, ma
che sarà anche e soprattutto una competizione di propaganda. L’uomo d’affari e
il pubblicitario se ne stanno già rendendo conto: per raggiungere il grande
pubblico non dovranno essere scartati neppure i metodi Barnum. Un esempio di
successo nell’utilizzo di questo tipo di appello fu la campagna radiofonica su
scala nazionale per il lancio dell’automobile Dodge Victory Six.
Fu stimato che milioni di persone ascoltarono questo programma trasmesso
su quarantasette stazioni diverse. La spesa della campagna si aggirò sui 60.000
dollari. Per l’organizzazione furono installate circa 20.000 miglia aggiuntive di
cavi telefonici per far sentire la trasmissione da Los Angeles, Chicago, Detroit,
New Orleans e New York. Will Rogers da Beverly Hills, Dorothy Stone da
Chicago e Paul Whiteman da New York ricevettero compensi artistici per oltre
25.000 dollari. Nella trasmissione fu incluso il messaggio di quattro minuti del
presidente della Dodge Brothers che annunciava la nuova auto, e che in quei
pochi minuti raggiunse circa trenta milioni di americani, il numero più grande,
senza alcun dubbio, mai focalizzato su un prodotto commerciale nello stesso
identico momento. Era un messaggio in grado di sedurre, in contemporanea,
milioni di persone.
Gli esperti delle moderne tecniche di vendita avranno da obiettare: «Quel che
si dice su questo metodo pubblicitario è vero. Ma aumenta anche il costo di
diffusione del messaggio, mentre la tendenza di oggi è di una sua riduzione
(l’eliminazione dei bonus, ad esempio) per tentare di ottenere la maggior
efficienza possibile dalla spesa pubblicitaria. Se ingaggiate una Galli-Curci per
decantare la bontà della pancetta il suo compenso farà aumentare anche il costo
della pancetta. La sua voce non aggiungerà nulla al prodotto ma aggiungerà una
voce di spesa al suo costo». Questo è indubbiamente corretto, ma tutte le
modalità pubblicitarie richiedono spesa di denaro per rendere attraente l’appello
all’acquisto. Anche l’inserzionista sulla stampa paga qualcosa per illustrare il
suo messaggio con immagini o per avere come testimonial una personalità ben
nota al grande pubblico.
C’è un altro genere di difficoltà che si viene a creare nel processo che
consente a una grande impresa di diventare ancora più grande, ed è legata ai
nuovi modi di stabilire una relazione con il pubblico. La produzione di massa
implica un’offerta di prodotti standardizzati il cui costo per il consumatore tende
a diminuire in proporzione alla quantità venduta. Ma se la corsa al ribasso del
prezzo diviene la sola base di concorrenza con i prodotti rivali – prodotti del
tutto simili – questo tende a creare una competizione spietata che può finire con
la contrazione di tutti i profitti e degli incentivi dell’industria.
La via d’uscita più logica di fronte a questo problema consiste nel far
arrivare al pubblico appelli di tipo diverso rispetto a quello della mera
economicità; ossia, di riuscire a imprimere nella mente collettiva una qualche
altra attrazione, una qualche idea che modificherà leggermente il prodotto,
qualche elemento di originalità che distinguerà il suo prodotto da quelli analoghi
e concorrenti. In questo senso il produttore di macchine da scrivere rivestirà le
proprie macchine con colori sgargianti. Questi tipi particolari di appelli al
pubblico possono essere resi popolari dalla manipolazione da parte del
propagandista di princìpi familiari – gregarismo, obbedienza all’autorità,
emulazione e così via. Un dettaglio minore può essere investito di importanza
economica con la sua fissazione nella mente collettiva in quanto elemento di
stile. La produzione di massa può essere suddivisa e la grande impresa lascerà
ancora spazio alla piccola. Accanto a un enorme grande magazzino potremo
trovare piccoli negozi che prospereranno grazie a un commercio più
specializzato.
È stato un propagandista a rilanciare la moda dei cappelli grandi. Due anni fa
l’industria dei cappelli era minacciata dalla popolarità del semplice cappello di
feltro che aveva spodestato tutti gli altri modelli e gli ornamenti per cappelli.
Grazie a un’indagine si scoprì che esistevano sei tipi di cappelli e che quattro
gruppi sociali erano in grado di orientare il gusto del pubblico per cambiare la
moda: celebrità, l’esperto di moda, il redattore e lo scrittore di riviste di moda,
l’artista che poteva dare la propria approvazione per un determinato stile e le
affascinanti indossatrici. Il problema, dunque, era di riunire questi gruppi davanti
al pubblico di acquirenti di cappelli. A questo proposito fu organizzato un
comitato di artisti di spicco per scegliere le più belle ragazze di New York e per
farle indossare, in una serie di sfilate, i più bei cappelli delle sei categorie
prescelte. Fu poi costituito un comitato con le più illustri donne americane che,
in base al loro interesse per lo sviluppo del progetto, erano disposte a legare il
proprio nome all’idea. Un altro comitato fu formato con redattori delle riviste di
moda e altre personalità del settore. Infine le ragazze, nei loro adorabili costumi
e cappelli, sfilarono in passerella davanti a un pubblico composto da tutti i
professionisti della moda.
Il clamore suscitato dall’evento influenzò le abitudini d’acquisto non solo
degli spettatori, ma anche delle donne di tutto il Paese. La storia che raccontava
l’evento si proiettò sul consumatore finale grazie ai giornali e alle pubblicità.
L’offensiva passò dal compratore di cappelli agli stessi produttori. Uno di questi
dichiarò che mentre prima delle sfilate non vendeva un solo cappello a tesa
larga, adesso ne vendeva a migliaia.
Spesso si ricorre al consulente in pubbliche relazioni per gestire una
situazione di emergenza. Una voce falsa, ad esempio, può portare a un’enorme
perdita di prestigio e denaro se non viene gestita efficacemente e
tempestivamente. Un incidente come quello riportato dal «New York American
of Friday», del 21 maggio 1926, illustra perfettamente ciò che la mancanza di
una corretta gestione delle pubbliche relazioni può comportare.
«IL TITOLO HUDSON PERDE UN MILIONE DI DOLLARI A CAUSA DI UNA FALSA VOCE.»
Le azioni della Hudson Motor Company hanno fluttuato a mezzogiorno di ieri e le perdite stimate
sono comprese tra 500.000 e 1.000.000 di dollari. Il fatto è dovuto è alla diffusione di una notizia
falsa riguardante i dividendi. I dirigenti della società si erano incontrati a Detroit alle 12.30, ora di
NewYork, per fissare un dividendo. Quasi immediatamente ha preso a circolare un falso rapporto in
cui si affermava che era stato previsto solo il dividendo abituale. Alle 12.46 il servizio telescrivente
della Dow Jones & Co. ha ricevuto il rapporto in questione e la sua pubblicazione ha provocato un
ulteriore calo delle azioni. Poco dopo le 13.00 il servizio telescrivente ha ricevuto notizie ufficiali
secondo cui il dividendo era rivisto al rialzo e il consiglio di amministrazione autorizzava
l’immissione sul mercato del 20% dei titoli. L’informazione corretta è stata trasmessa in fretta e
furia e le azioni della Hudson Motor sono risalite quasi subito di oltre sei punti.
Segue un estratto del «Journal of Commerce», del 4 aprile 1925: riporto
quest’articolo come esempio del giusto modo di contrastare le false voci.
CANAJOHARIE, N.Y., 3 APRILE – Oggi, in questa città e in tutta la valle di Mohawk, si è celebrato il
Beech-Nut Day. Gli uomini d’affari e in pratica l’intera comunità di questa regione hanno reso
pubblicamente omaggio a Bartlett Arkell, di New York City, presidente della Beech-Nut Packing
Company in onore del suo rifiuto di cedere la compagnia ad altri interessi finanziari che l’avrebbero
certamente spostata fuori dalla nostra città. Quando il signor Arkell ha negato pubblicamente le
recenti voci secondo cui stava per vendere la sua compagnia alla Postum Cereal Company per 17
milioni di dollari, che avrebbe portato via l’industria dal suo luogo natio, Arkell ha proclamato la
sua fedeltà alla sua stessa città natale, diventata un ricco centro industriale durante i trent’anni che
ha trascorso a capo della compagnia. Egli ha affermato che è in assoluto controllo dell’azienda, e ha
dichiarato senza mezzi termini che non la venderà mai finché sarà in vita, «a nessuno, e a nessun
prezzo», poiché sarebbe sleale verso i suoi amici e compagni di lavoro. E tutta la valle di Mohawk
ha deciso spontaneamente che un tale spirito di appartenenza meritava un riconoscimento pubblico.
E con ciò arriviamo alla festa di oggi. Vi hanno preso parte più di 3.000 persone, guidate da un
comitato composto di W.J. Roser (presidente), B.R Spraker, H.V. Bush, B.R Diefendorf e J.H.
Cook. Essi erano sostenuti dalle Camere di commercio e i club di uomini d’affari di Canajoharie e
della valle di Mohawk.
Ovviamente dopo questa giornata chiunque ha capito che le voci secondo cui
la Beech-Nut fosse sul mercato erano del tutto infondate. Una semplice smentita
non avrebbe avuto la stessa forza di persuasione.
Anche il divertimento è un business, uno dei più importanti d’America. È
stato il business del divertimento – prima il circo e i suoi ciarlatani, poi il teatro
– a insegnare i rudimenti pubblicitari all’industria e al commercio. Soprattutto
quest’ultimo adottò presto la tecnica della pubblicità strombazzata tipica dello
show business. Ma sotto lo stress dell’esperienza e della pratica il commercio
adattò e affinò quei grezzi metodi pubblicitari ai fini ben precisi che cercava di
ottenere. Il teatro, a sua volta, ha imparato dal mondo degli affari, e ha affinato i
suoi metodi pubblicitari fino al punto in cui i vecchi e stentorei metodi furono
abbandonati.
Il moderno direttore pubblicitario di un teatro o di un trust cinematografico è
un uomo d’affari a tutti gli effetti, responsabile della sicurezza di decine o
centinaia di milioni di dollari di capitale investito. Egli non può più permettersi
di agire come uno stuntman o un avventuriero freelance del mondo della
pubblicità. Deve conoscere il suo pubblico con precisione maniacale, ed essere
in grado di modificarne i pensieri e le azioni grazie agli strumenti che il mondo
dell’intrattenimento ha appreso dal suo vecchio allievo, la grande impresa. Con
l’aumentare della conoscenza e del gusto del pubblico, il mondo degli affari
deve esser pronto a venirgli incontro e a soddisfarne le esigenze.
Il business moderno deve tastare continuamente il polso della pubblica
opinione, cercare di comprenderne i mutamenti ed essere preparato a farsi
interprete in modo onesto e trasparente di tali cambiamenti.
VI. PROPAGANDA E LEADERSHIP POLITICA
Il grande problema della democrazia moderna è fare in modo che i
governanti riescano a governare. Il dogma secondo cui la voce del popolo
esprima la voce di Dio tende a rendere gli eletti dei meri servitori del corpo
elettorale, del tutto privi di volontà. E questo è senza dubbio un fattore della
sterilità della politica di cui certi nostri concittadini si lamentano continuamente.
Tuttavia, nessun serio sociologo crede più che la voce del popolo rappresenti
qualcosa di divino o un’idea particolarmente saggia e nobile. La voce del popolo
è solo l’espressione della mente del popolo, e questa mente è forgiata dai leader
in cui la gente crede, e da coloro che sanno manipolare l’opinione pubblica.
Questa mente è un insieme di pregiudizi ereditati, simboli e stereotipi, oltre alle
forme verbali instillate in essa dai propri leader.
Fortunatamente, il politico sincero e dotato è capace, grazie allo strumento
della propaganda, di modellare e formare la volontà delle persone.
Disraeli ha espresso cinicamente questo dilemma, quando affermò: «Devo
seguire il popolo; ma non sono forse io il suo leader?». E potrebbe aver
aggiunto: «Devo guidare il popolo. Ma non sono io il suo servitore?».
Purtroppo i metodi che gli uomini politici utilizzano per rivolgersi al
pubblico appaiono oggi arcaici e inefficaci – inadeguati al nostro tempo come lo
sarebbero le tecniche pubblicitarie di inizio Novecento. Sebbene la politica sia
stata il più importante settore della vita pubblica americana a ricorrere alla
propaganda su larga scala, è stata anche la più lenta nell’adattare i suoi metodi
alle mutate esigenze della pubblica opinione. All’inizio le imprese americane
hanno imparato dalla politica i metodi per attrarre l’opinione pubblica, ma poi,
spinte anche dalla lotta della concorrenza commerciale, hanno continuamente
affinato quei metodi, mentre la politica è rimasta attaccata alle vecchie e desuete
formule.
L’apatia politica dell’elettore medio, di cui sentiamo così tanto parlare, è
indubbiamente dovuta al fatto che il politico non sa più come rivolgersi alla
moderna opinione pubblica. Spesso il politico non riesce a drammatizzare la
propria personalità e il proprio programma in termini che possono essere ben
compresi dal pubblico. Basandosi sulla fallacia secondo cui il leader deve
seguire pedissequamente la massa, egli priva la sua campagna di tutto l’interesse
drammatico. Ma un automa non può suscitare l’interesse della gente, mentre un
leader, un combattente, un dittatore, sì. Dunque, date le nostre attuali condizioni
politiche, in base alle quali chiunque aspiri a una carica pubblica deve
compiacere le masse per ottenerne il voto, il solo mezzo con cui un leader nato
può riuscire a imporsi e governare è quello di fare un sapiente uso della
propaganda.
L’uso della propaganda, accuratamente adattata alla mentalità delle masse, è
un elemento essenziale della vita politica, che sia per farsi eleggere a una carica
pubblica, per spiegare e divulgare nuove problematiche o per riuscire a rendere
efficace la gestione quotidiana degli affari pubblici della comunità.
Oggi l’uomo d’affari di successo scimmiotta il politico. Ha adottato i lazzi e
il baccano delle campagne elettorali, organizza spettacolini, partecipa
annualmente a cene che sono un compendio di discorsi, bandiere, pomposità,
magniloquenza – una pseudo-democrazia leggermente intrisa di paternalismo.
All’occasione distribuisce ricompense ai propri dipendenti proprio come la
repubblica dell’età classica ricompensava i suoi cittadini più degni.
Ma questi sono semplicemente spettacolini, montature della grande impresa,
messinscene grazie a cui costruire un’immagine di onorato e onorevole servizio
pubblico: è solo uno dei tanti metodi utilizzati dal grande business per stimolare
gli entusiasmi e la fedeltà dei propri quadri, operai, azionisti e del suo pubblico
di consumatori. Ed è soltanto uno degli stratagemmi utilizzati dalla grande
impresa per produrre e vendere i suoi prodotti al comune cittadino. Il vero lavoro
– e la sua vera campagna – consiste nello studio approfondito del pubblico, nella
produzione di prodotti basati su questo studio, e sull’utilizzo esaustivo di ogni
mezzo al fine di raggiungere il pubblico di consumatori.
Ma le campagne politiche ed elettorali di oggi sono a tutti gli effetti degli
spettacolini di bassa lega. Nella maggior parte dei casi queste campagne non
sono correlate a uno studio approfondito e scientifico del pubblico a cui ci si
rivolge, né ci si pone il problema centrale: come presentare al pubblico un
partito, dei candidati, dei programmi e dei risultati – ovvero come vendere al
pubblico queste idee e prodotti.
La politica è stata la prima grande impresa americana; e c’è quindi una
buona dose di ironia nell’osservare come il mondo dell’impresa abbia imparato
tutto ciò che la politica aveva da insegnare, e che la politica, a sua volta, abbia
fallito nell’apprendere abbastanza dei metodi tipici della distribuzione di massa
di idee e prodotti.
Emily Newell Blair ha riassunto sull’«Independent» un esempio dello spreco
di soldi ed energie tipico di una campagna politica, nel caso specifico una
tournée di una settimana di conferenze a cui lei stessa ha preso parte. La
giornalista stima che durante il viaggio di cinque giorni, quasi mille miglia
percorse, il senatore sia riuscito a rivolgersi personalmente a non più di 1.105
persone, un migliaio di elettori che, presumibilmente, lo voteranno in seguito
agli sforzi prodotti durante il tour. La Blair stima che il costo di questo appello
agli elettori è di circa 15,27 dollari per ogni potenziale voto conquistato in
seguito alla campagna. Questa, scrive nell’articolo, è stata «una campagna
elettorale, proprio come una campagna pubblicitaria per il sapone Ivory è una
campagna di vendita». «Ma» si chiede, «che cosa direbbe un dirigente d’azienda
a un responsabile delle vendite che ha inviato un rappresentante lautamente
pagato per decantare la bontà del suo prodotto a meno di 1.200 persone al costo
di 15 dollari e 27 per ogni possibile acquirente?». La Blair conclude che trova
«sorprendente che uomini che guadagnano milioni grazie a ingegnose campagne
per vendere saponette, obbligazioni o automobili, facciano retromarcia e
accettino di spendere enormi contributi per raccogliere voti con metodi del tutto
inefficaci e antiquati».
È in effetti incomprensibile che i politici non facciano uso degli elaborati
metodi commerciali che il mondo dell’industria ha messo a punto. Poiché i
politici potranno anche conoscere le strategie, e sapere come sviluppare le
questioni della campagna, come individuare i punti forti del programma e
immaginare grandi riforme da applicare, ma da ciò non deriva automaticamente
che debba essere a loro affidata anche la responsabilità di vendere le idee a un
pubblico tanto vasto come quello degli Stati Uniti.
Il politico comprende il pubblico e sa quel che il pubblico è disposto ad
accettare. Ma non per questo possiede le qualità di un direttore generale delle
vendite, o di un consulente in pubbliche relazioni, o di chiunque sappia come
organizzare una distribuzione di massa di idee.
Ovviamente potrà esistere un qualche politico che sia capace di combinare
tutte le qualità necessarie per essere un leader, proprio come nel mondo degli
affari esistono certi brillanti leader industriali che sono al contempo esperti in
finanza, direttori di produzione, ingegneri, direttori delle vendite e pubblicitari.
La grande impresa si basa su dei princìpi fondamentali: deve preparare con
attenzione le sue politiche e seguire un piano generale per vendere un’idea al
grande pubblico di consumatori americani. Lo stratega politico dovrebbe fare lo
stesso; tutta la sua campagna dovrebbe essere elaborata secondo un vasto e
dettagliato programma generale. Programmi, proposte, impegni, budget, attività,
personalità – tutto dovrebbe essere attentamente studiato, stabilito e utilizzato,
esattamente come accade quando una grande impresa desidera ottenere ciò che
vuole dall’opinione pubblica.
Il primo passo di una campagna elettorale è quello di definire gli obiettivi, ed
esprimerli nella forma più attraente possibile e in termini concreti, ossia in un
programma. Nel concepire il programma il leader dovrebbe assicurarsi della
fattibilità dello stesso: impegni e promesse di una campagna elettorale non
dovrebbero esser presi alla leggera dalla pubblica opinione, al contrario,
dovrebbero trasmettere al pubblico lo stesso principio di garanzia, e di sicurezza,
che un’onorata azienda conferisce alla vendita dei suoi prodotti. Oggi l’opinione
pubblica ha perso fiducia nel tipico lavoro promozionale di una campagna
elettorale. Ciò non significa che i politici siano considerati uomini disonesti, ma
che le promesse di una campagna elettorale sono considerate alla stregua di
parole scritte sulla sabbia – di nessun valore. Ecco dunque un primo dato di fatto
relativo alla pubblica opinione che un partito dovrebbe prendere in esame.
La preparazione del programma dovrebbe basarsi su un’analisi il più
possibile scientifica del pubblico e dei suoi bisogni. Un’indagine sulle
aspirazioni e le esigenze dei cittadini sarebbe di enorme aiuto per lo stratega
politico che ha il compito di stabilire un piano generale delle attività del partito e
dei suoi rappresentanti durante il mandato elettorale.
Una grande azienda che vuole vendere un dato prodotto indaga e analizza il
suo mercato di riferimento prima di compiere anche solo un passo relativo alla
produzione e alla commercializzazione del prodotto. Se una parte della comunità
è assolutamente convinta della bontà del prodotto, sarà del tutto superfluo
spendere anche un solo dollaro per spingere le vendite. Se, d’altro canto, un’altra
parte della popolazione è irriducibilmente fedele a un prodotto diverso e
concorrente, sarà altrettanto inutile sprecare denaro per convincerla a cambiare
idea. Questa analisi preliminare, oltre a fornire indicazioni relative alla miglior
presentazione del prodotto al pubblico, è la causa di cambiamenti sostanziali e di
miglioramenti che verranno apportati al prodotto. I mercati e le vendite
realizzate vengono analizzati così accuratamente che quando una compagnia
stabilisce il suo budget pubblicitario annuale, lo suddivide in funzione della
tiratura dei diversi quotidiani e riviste sui quali pubblica i vari annunci,
calcolando con la miglior approssimazione possibile quante volte l’una o l’altra
parte della popolazione viene raggiunta da un determinato appello all’acquisto.
Così, ad esempio, potrà sapere con un buon grado di certezza fino a che punto
una campagna su scala nazionale duplica e replica l’enfasi di una campagna di
vendita su scala locale.
Come accade nel campo degli affari, anche in politica le spese della
campagna dovrebbero essere attentamente preventivate. Oggi una grande
impresa sa esattamente quanto denaro dovrà spendere per la propaganda durante
il prossimo anno – o anni – di attività. Sa che una certa percentuale delle sue
entrate lorde sarà investita in campagne di propaganda – su quotidiani, riviste,
manifesti; che un’altra quota sarà impiegata per l’invio di lettere e circolari e per
la promozione delle vendite – come house organ e materiale pubblicitario;
conosce l’esatta percentuale di spesa destinata ai rappresentanti che viaggiano
per tutto il Paese per infondere ulteriore stimolo alle campagne di vendita locali.
Una campagna politica dovrebbe saper stimare il proprio budget in modo del
tutto analogo. La prima questione da approfondire è quella relativa alla quantità
di denaro che dovrebbe essere raccolto per la campagna. Questo, ovviamente,
può essere stabilito solo dopo un’attenta analisi dei costi della campagna, e vi è
ormai abbastanza esperienza in tali procedure aziendali per consentire agli
esperti di affrontare efficacemente il problema. La seconda questione per
importanza è relativa al modo in cui si dovrebbe raccogliere il denaro.
È ovvio che la politica guadagnerebbe in prestigio se le campagne di raccolta
fondi fossero gestite in modo trasparente e pubblicamente, un po’ come accadde
per le campagne di raccolta fondi in tempo di guerra. A questo proposito le
istituzioni di beneficienza rappresentano eccellenti modelli per le campagne di
finanziamento della politica. L’eliminazione di ogni opacità a propostito dei
finanziamenti farebbe aumentare l’intero prestigio della politica americana, e
l’interesse del pubblico sarebbe infinitamente più grande se l’effettiva
partecipazione economica avvenisse prima e in modo più costruttivo durante la
campagna.
Di nuovo, come nel campo degli affari, ci dovrebbe essere una chiara linea
decisionale circa l’utilizzo del denaro. Le spese dovrebbero essere preventivate
in accordo a un budget corretto e preciso, dove a ogni passo della campagna sarà
assegnato un suo peso specifico, e i fondi assegnati di conseguenza e in modo
proporzionale. La pubblicità su giornali e periodici, manifesti e volantini, lo
sfruttamento delle personalità del grande schermo, i discorsi, le conferenze e i
meeting, gli eventi spettacolari – tutte queste forme di propaganda dovranno
essere considerate in modo conforme al budget, e dovranno essere sempre
coordinate in accordo al piano generale. Certe voci di spesa potranno essere
giustificate se andranno a impegnare una piccola parte del budget, ma potrebbero
essere del tutto ingiustificate se incidessero su gran parte dello stesso.
Ugualmente le emozioni del pubblico a cui ci si appella dovranno esser
considerate come parte essenziale entro il piano generale della campagna. Le
emozioni non correlate a un piano generale rischiano infatti di diventare
stucchevoli o eccessivamente sentimentali, oltre a comportare un dispendio di
energie e denaro.
Già da tempo la grande impresa ha realizzato di dover ricorrere a tutta la
gamma delle emozioni disponibile ma i politici, invece, fanno appello soltanto a
quelle emozioni che riescono a suscitare con i loro discorsi.
Appellarsi alle emozioni del pubblico durante una campagna elettorale è
sensato, anzi è indispensabile per una sua buona riuscita. Ma il contenuto
emozionale deve rispondere a tre requisiti:
a) coincidere con le linee generali della campagna, fin nei minimi dettagli;
b) adattarsi ai vari gruppi a cui ci si rivolge;
c) essere adeguata ai mezzi di diffusione delle idee.
Le emozioni suscitate dall’arte oratoria sono ormai logorate da lunghi anni di
uso eccessivo. Cortei, raduni e manifestazioni simili sono eventi di successo solo
quando il pubblico è spinto a parteciparvi con frenetico entusiasmo. Il candidato
che prende i bambini sulle ginocchia, e si mette in posa per i fotografi, sta
facendo una cosa emotivamente molto sensata, sempre che quest’atto simboleggi
e si accordi a un punto ben preciso del programma generale. Vezzeggiare i
bambini ha un senso elettorale solo in quanto simbolo – e quando è pienamente
coerente sul piano programmatico – di una politica rivolta alle famiglie. Ma la
messinscena casuale di eventi emozionali senza che questi siano parte integrante
della campagna generale sarebbe un completo spreco di energie, esattamente
come lo sarebbe per il produttore di pattini da hockey pubblicizzare l’immagine
di una chiesa circondata dalla fioritura primaverile. È vero che la chiesa fa
appello ai nostri impulsi religiosi, ed è vero che tutti amano la primavera, ma
questi impulsi non contribuiscono a vendere l’idea che i pattini da hockey siano
divertenti, o utili, o che rendano più piacevole la vita di chi li acquista.
La politica attuale pone sempre l’accento sulla personalità. Un intero partito,
un programma, una politica internazionale viene venduta al pubblico – o non
venduta – sulla base dell’intangibile elemento della personalità. Un candidato
affascinante è il segreto alchemico che può trasmutare un mero programma
elettorale in una miniera di voti. Ma per quanto sia utile il candidato che per una
qualche ragione ha catturato l’immaginazione del Paese, il partito e i fini del
partito sono certamente più importanti della personalità del candidato. Non
dunque la personalità, ma la capacità del candidato di realizzare adeguatamente
il programma del partito, e il programma stesso, dovrebbero essere enfatizzati
per una piena riuscita della campagna elettorale. Henry Ford, la personalità più
pittoresca del grande business americano, è divenuto una celebrità grazie al suo
prodotto – e non certo il contrario.
Per il responsabile della campagna è essenziale saper gestire le emozioni in
base ai diversi gruppi sociali. Il pubblico non è composto solo da democratici e
repubblicani: oggi la gente è per la gran parte disinteressata alla politica, e
l’interesse per i temi specifici della campagna deve essere stimolato ponendolo
in rapporto con i propri interessi particolari. Il pubblico è composto da gruppi
interconnessi tra loro – economici, sociali, religiosi, culturali, razziali,
corporativi, locali, sportivi e centinaia di altri.
Quando il presidente Coolidge ha invitato alcuni attori a colazione, lo ha
fatto perché ha compreso non solo che quegli attori costituiscono un gruppo, ma
che il pubblico, il ben più vasto gruppo di persone che ama divertirsi, che amano
le persone che li divertono e coloro che sanno divertirsi, avrebbero appoggiato e
approvato quella colazione.
La legge Shepard-Towner sulla maternità è stata approvata perché le persone
che hanno combattuto per garantirne il passaggio avevano compreso che le
madri costituiscono un gruppo, e che gli educatori costituiscono un gruppo, e che
i medici costituiscono un gruppo; e che tutti questi gruppi influenzano a loro
volta altri gruppi, e che presi tutti assieme formavano una massa
sufficientemente forte e compatta per far capire al Congresso che una gran parte
dell’opinione pubblica voleva l’approvazione di questo disegno di legge.
Dopo aver definito gli obiettivi generali e il piano di base della campagna, e
aver chiarito il tipo di appello da utilizzare con il pubblico, si deve assegnare a
ciascun media uno specifico lavoro da svolgere con la massima efficienza. I
media attraverso i quali si può diffondere una campagna politica al pubblico
sono numerosi e ben definiti. Gli eventi e le attività utili alla diffusione delle
idee sono tanto vari quanto i mezzi della comunicazione umana. Tutto ciò che
può essere letto, visto o udito può essere utilizzato a tal fine in un modo o in un
altro.
Oggi l’attivista politico utilizza soprattutto la radio, la stampa, i banchetti, i
meeting di massa, le conferenze e le tribune politiche come mezzi di promozione
delle idee. Ma questa è solo una piccola parte di ciò che può essere fatto perché,
in effetti, si possono creare eventi infinitamente più vari per drammatizzare una
campagna elettorale e fare in modo che la gente ne parli. Possono essere
organizzate mostre, concorsi, cooperazioni con istituti politici, educativi e tutti
quei gruppi che fino a oggi non sono mai stati coinvolti nella politica attiva; in
breve, si deve coinvolgere tutti quei gruppi che possono fungere da veicolo per
la promozione delle idee presso il pubblico.
Ma qualsiasi cosa si decida di fare questa deve essere accuratamente
sincronizzata con tutte le altre forme di appello al pubblico. Le notizie
raggiungono il pubblico attraverso la parola stampata – libri, riviste, lettere,
manifesti, striscioni, quotidiani; attraverso le immagini – fotografie e film;
attraverso il suono – conferenze, discorsi, musica, radio, canti popolari. Se un
partito politico vuole avere successo deve saper impiegare tutti questi strumenti.
Un medium resta sempre e soltanto un medium, e in quest’epoca in cui migliaia
di movimenti e idee sono in competizione per catturare l’attenzione del pubblico,
sarebbe azzardato mettere tutte le uova in un solo paniere.
È sottinteso che i metodi della propaganda possono essere efficaci soltanto
su quegli elettori che decidono sulla base dei pregiudizi e dei desideri del proprio
gruppo di riferimento. Laddove esistono dipendenze e lealtà specifiche, come nel
caso della leadership del capo, queste opereranno per nullificare il libero arbitrio
dell’elettore. In tale stretta relazione tra un leader e i suoi elettori giace,
ovviamente, la forza della sua posizione in politica.
Non è affatto necessario che il politico diventi schiavo dei pregiudizi del
proprio gruppo di riferimento: piuttosto, egli deve imparare come modellare
l’opinione degli elettori in conformità con le sue idee di bene e servizio
pubblico. La cosa essenziale per lo statista dei nostri tempi non è tanto sapere
come piacere al pubblico, ma sapere come influenzarlo. In teoria, questa attività
educativa potrebbe essere fatta per mezzo di opuscoli che spieghino la
complessità delle grandi questioni pubbliche, ma in realtà può essere realizzata
solo soddisfacendo le condizioni della pubblica opinione, creando circostanze
che impostino spunti di riflessione, drammatizzando la propria personalità,
stabilendo un contatto con i vari leader che controllano le opinioni dei loro
gruppi.
Ma la campagna elettorale è solo un momento della vita politica, mentre
l’attività di governo è continua. E l’utilizzo esperto della propaganda è ancor più
utile e fondamentale – anche se meno spettacolare – come ausilio
all’amministrazione democratica che come aiuto per spingere la gente a votare.
Il buon governo della cosa pubblica può essere venduto a una comunità
esattamente come qualsiasi altro tipo di bene. Mi chiedo spesso se i dirigenti
politici del futuro, coloro che sono responsabili di mantenere il prestigio e
l’efficacia dei loro partiti, non si sforzeranno di addestrare politici che siano allo
stesso tempo abili propagandisti. Ho parlato di recente con George Olvany, il
quale mi ha detto che un certo numero di uomini di Princeton si erano uniti alla
Tammany Hall. Se io fossi stato al suo posto li avrei messi prima a lavorare per
le produzioni teatrali di Broadway, o come assistenti ai propagandisti
professionisti.
Un motivo, forse, per cui i politici di oggi sono così lenti a padroneggiare i
metodi che sono già un luogo comune nel mondo degli affari, è che gli uomini
politici hanno immediato accesso ai mezzi di comunicazione da cui dipende il
loro potere.
Il giornalista sollecita il politico per avere notizie, e il politico, col suo potere
di dare o celare informazioni, può spesso censurare la stessa notizia. Ogni giorno
dell’anno, anno dopo anno, il giornalista dipende dal politico per avere
informazioni, ed è quindi obbligato a lavorare in armonia con la sua fonte
primaria di notizie.
Il leader politico deve essere un creatore di circostanze nuove, e non la
creatura di processi meccanici stereotipati. Supponiamo che stia conducendo una
campagna per la riduzione dei dazi. Egli farà certamente uso del moderno
meccanismo della radio per diffondere le sue idee, ma quasi certamente egli
ricorrerà al metodo dell’approccio psicologico che era già desueto al tempo di
Andrew Jackson, e che il mondo del business ha già da tempo abbandonato. Egli
dirà alla radio: «Votate per me e per la riduzione dei dazi, perché i dazi
aumentano il prezzo delle cose che comperate». Ed avrà, è vero, il vantaggio di
poter parlare via radio a milioni di persone. Ma quel che sta adottando è un
approccio vecchio stile: egli sta cercando di argomentare con il pubblico – sta
assalendo, da solo, la resistenza dell’inerzia.
Anche il propagandista avrebbe usato la radio, ma l’avrebbe utilizzata come
uno strumento all’interno di una strategia ben pianificata. Dal momento che sta
conducendo una campagna sulla riduzione dei dazi, non si limiterebbe a dire alla
gente che l’aumento dei dazi farebbe alzare il prezzo delle cose che comprano,
ma creerebbe quelle circostanze che renderebbero la sua opinione drammatica e
ovvia. Farebbe magari allestire esposizioni in venti città diverse per illustrare in
termini concreti il costo aggiuntivo dovuto ai dazi in vigore. Farà in modo che
questi eventi, svolti contemporaneamente, siano inaugurati da uomini e donne
importanti, interessati alla riduzione dei dazi, anche se del tutto estranei alla sua
personale fortuna politica. Farebbe leva sui gruppi i cui interessi sono
particolarmente colpiti dall’elevato costo della vita, incoraggiandoli a farsi
sentire per un abbassamento dei dazi. Drammatizzerebbe la questione, magari
esortando qualche personalità a boicottare gli abiti di lana, e recandosi egli
stesso a importanti cerimonie vestito in abiti di cotone finché i dazi sulla lana
non siano ridotti. Potrebbe coinvolgere la categoria degli assistenti sociali per
illustrare come l’elevato prezzo della lana metta in pericolo le vite dei più poveri
durante l’inverno.
In qualunque modo abbia drammatizzato la questione, l’attenzione della
gente dovrà essere attratta dalla faccenda dei dazi prima ancora che egli ne parli
pubblicamente. Poi, quando parlerà ai suoi milioni di ascoltatori alla radio, non
cercherà di forzare troppo i termini della discussione; al contrario, nel suo
discorso dovrà fare appello alle istanze spontanee del pubblico, limitandosi a
esprimere le esigenze emozionali di una massa già persuasa ad appoggiare la sua
causa.
L’importanza di saper tenere in dovuto conto l’opinione pubblica mondiale
prima di pianificare un evento di grande rilevanza è mostrata dalla saggia
decisione di Thomas Masaryk, allora presidente provvisorio e oggi presidente in
carica della repubblica cecoslovacca.
Lunedì 28 ottobre 1918 la Cecoslovacchia divenne ufficialmente uno Stato
indipendente – e non domenica 27 – perché il professor Masaryk aveva
realizzato che in tutto il mondo la notizia sarebbe stata ricevuta da un numero
maggiore di persone, poiché il lunedì le agenzie di stampa avrebbero avuto
maggior spazio da dedicare all’annuncio dell’indipendenza cecoslovacca.
Quando ne ho discusso con lui, poco prima di fare l’annuncio, il professor
Masaryk mi disse: «Se cambio la data di nascita della Cecoslovacchia come
Stato indipendente scriverò la storia in funzione del cablogramma». Ed era vero:
il cablogramma fa la storia e la data fu cambiata. Questo semplice episodio
illustra tutta l’importanza della tecnica nella nuova propaganda.
Si obietterà, ovviamente, che la propaganda finirà per provocare il suo stesso
declino quando i suoi meccanismi diventeranno ovvi agli occhi del pubblico –
ma la mia opinione è che ciò non accadrà. La sola propaganda che tenderà a
indebolirsi via via che le persone di tutto il mondo si faranno più sofisticate e
intelligenti è quella ingannevole o antisociale.
Di nuovo, si solleverà l’obiezione che la propaganda è utilizzata per
fabbricare le nostre principali personalità politiche, e ci si domanda se, di fatto,
siano i leader a fare la propaganda o se è la propaganda a creare i leader: vi è
infatti la diffusa impressione che un buon addetto stampa possa gonfiare un
signor nessuno fino a farlo diventare un leader riconosciuto.
La risposta a questo interrogativo è analoga a quella che risponde alla
domanda se sia il giornale a fare la pubblica opinione o se è l’opinione pubblica
a fare il giornale. Ci deve essere un terreno fertile per far crescere un grande
leader o qualche grande idea; ma il leader deve anche avere qualche buon seme
da gettare nel campo. Per usare un’altra immagine, le due parti sono necessarie
l’una all’altra affinché l’azione sia efficace. La propaganda è inutile per il
politico, a meno che egli non abbia qualcosa da dire che il pubblico,
consapevolmente o meno, sia disposto ad accettare.
Ma anche supponendo che una certa propaganda sia ingannevole o disonesta,
non possiamo per questo respingere in blocco i metodi della propaganda in
quanto tali. Perché essa, in qualche forma, sarà sempre utilizzata laddove i leader
avranno bisogno di fare appello ai loro elettori.
Una critica che viene spesso mossa alla propaganda è che tende a trasformare
personalità politiche di rilievo – come ad esempio il presidente degli Stati Uniti
– in vere e proprie incarnazioni viventi dell’eroe, per non dire della divinità,
elevandolo a oggetto di culto. Per quanto mi riguarda sono abbastanza concorde
con questa opinione, ma come potremo porre fine a una situazione che riflette i
desideri di una certa parte della pubblica opinione? Il popolo americano
percepisce correttamente l’enorme importanza della carica esecutiva, e il fatto
che tenda a fare del presidente un simbolo eroico di tale carica non è certamente
un difetto da imputare alla propaganda, ma alla reale natura della carica che
riveste il presidente, e al modo in cui tale carica si relaziona con il popolo.
Questa condizione, nonostante sia irrazionale, sarebbe forse migliore se non
si facesse uso della propaganda, o se si ricorresse a una propaganda non adattata
al suo giusto fine? Prendiamo come esempio il caso del principe di Galles. La
sua recente visita in America gli ha procurato un bel pacco di ritagli di giornale
ma ben poca gloria in più, semplicemente perché è stato mal consigliato. L’idea
che il pubblico americano si è fatto di lui è di un giovane ben vestito,
affascinante, sportivo, che ama danzare e forse un po’ frivolo. Non è stato fatto
niente per aggiungere dignità e prestigio alla sua immagine pubblica, almeno
fino alla sua visita alla metropolitana di New York. Quest’unica avventura nel
campo della democrazia e della vita dei lavoratori di tutti i giorni ha suscitato un
nuovo interesse per il principe. Se fosse stato opportunamente consigliato,
avrebbe aumentato questo genere di attività come fu fatto da un altro principe,
Gustavo di Svezia. A causa di una propaganda mal orchestrata il principe di
Galles è diventato – agli occhi del pubblico americano – un semplice simbolo
della bella vita di Long Island, e non invece ciò che – in modo ben più rilevante
– egli incarna costituzionalmente: il simbolo dell’unità dell’Impero britannico.
La Gran Bretagna ha dunque perso un’opportunità inestimabile per migliorare le
buone relazioni e la comprensione reciproca tra i due Paesi, perché non ha
compreso l’importanza di avere un consulente in pubbliche relazioni per Sua
Altezza Reale.
Le azioni pubbliche del capo dell’esecutivo americano sono, per così dire,
messe in scena. Ma lo sono perché devono rappresentare e drammatizzare
l’uomo in quanto rappresentante del popolo. La pratica politica che ha le sue
radici nella tendenza del leader a seguire, più che a esser seguito, riflette la
tecnica del ballon d’essai, utilizzata per mantenere il contatto con la gente
comune. Il politico, ovviamente, è ben recettivo a ogni suono che arriva dalla
base: si potrebbe chiamare un “orecchio clinico” – egli tocca il suolo e riesce a
cogliere ogni vibrazione dell’universo politico. Ma molto spesso il senso di tali
vibrazioni gli sfugge: egli non sa distinguere se siano superficiali o profonde. Ed
è allora che lancia il suo ballon d’essai: potrebbe essere un’intervista anonima
rilasciata a mezzo stampa, dopo la quale aspetta che i riverberi arrivino dal
pubblico – un pubblico che esprime se stesso in meeting di massa, o risoluzioni,
o telegrammi, o anche manifestazioni più ovvie come gli editoriali sulla stampa,
di partito o meno. Sulla base di queste ripercussioni egli è spinto ad adottare – o
a non adottare o a modificare – la politica che aveva sottoposto al pubblico per
conformarla all’insieme di reazioni che gli sono giunte. Questo metodo si basa
sui meccanismi adottati in tempo di guerra per sondare la disponibilità del
nemico a fare la pace, o per testare una qualsiasi delle grandi tendenze
dell’opinione popolare. È il metodo comunemente usato da un politico prima di
impegnarsi in una legislazione di qualsiasi tipo, e da un governo prima di
impegnarsi in politiche estere o domestiche.
Ma questo metodo ha ben poca giustificazione. Se il politico è un vero leader
egli sarà in grado, per mezzo di un sapiente uso della propaganda, di guidare la
sua gente, invece di inseguire l’opinione popolare con il maldestro metodo
basato sul procedere a tentativi.
L’approccio del propagandista è infatti l’esatto opposto di quello sopra
descritto. L’intero fondamento di una propaganda di successo è saper stabilire un
obiettivo e tentare di soddisfarlo attraverso una esatta conoscenza del pubblico,
modificando le circostanze per manipolarlo e influenzarlo.
«La funzione di uno statista» afferma George Bernard Shaw, «è di esprimere
la volontà del popolo con i modi di uno scienziato».
Oggi il politico capace dovrebbe essere tanto esperto in economia politica e
in scienze sociali quanto nelle tecniche di propaganda. Se egli rimane un mero
riflesso dell’intelligenza media della sua comunità, potrebbe anche ritirarsi dalla
vita politica. Se si ha a che fare con una democrazia in cui il gregge e il gruppo
segue coloro che individua come leader, perché dunque non addestrare i giovani
politici a padroneggiare le tecniche della propaganda, e non solo quelle
ideologiche?
«Quando lo scarto tra le classi intellettuali e le classi lavoratrici si fa troppo
grande» afferma lo storico Buckle, «le prime non esercitano più influenza, e le
seconde non traggono alcun beneficio». Nella nostra moderna civiltà, sempre più
complessa, la propaganda è lo strumento d’elezione per ridurre questo scarto.
Solo un saggio uso della propaganda consentirà al governo, considerato
come organo amministrativo del popolo, di mantenere quell’intima relazione con
il pubblico che è essenziale per il buon funzionamento di una democrazia.
Come David Lawrence ha sottolineato in un recente discorso, il nostro
governo centrale ha assoluto bisogno di un ufficio informativo intelligente e
capace. Esiste, è vero, una Divisione Informazioni presso il Dipartimento di
Stato, che inizialmente era diretta da un giornalista esperto. Ma più tardi la
Divisione è stata riempita da uomini del servizio diplomatico, gente con
pochissima conoscenza dell’opinione pubblica. Sebbene alcuni di questi
diplomatici abbiano svolto un buon lavoro, Lawrence ha affermato chiaramente
che per il Paese sarebbe di grande beneficio se questo ufficio fosse affidato alle
cure di un differente tipo di persone.
Si dovrebbe creare, credo, la figura di un assistente del segretario di Stato,
che abbia familiarità con il problema della diffusione delle notizie alla stampa –
qualcuno che il segretario di Stato può consultare e che abbia sufficiente autorità
per persuaderlo a rendere pubblico ciò che, per ragioni insufficienti, non è stato
divulgato.
Ma la funzione del propagandista ha uno scopo ben più ampio di quello di un
mero comunicatore di informazioni alla stampa. Il governo degli Stati Uniti
dovrebbe istituire un segretario alle Pubbliche Relazioni come membro
permanente del gabinetto del presidente. La sua funzione sarebbe quella di farsi
interprete degli scopi e degli ideali dell’America presso l’opinione pubblica
mondiale, e di tenere i cittadini di questo Paese in contatto con le attività del
governo e con le ragioni che ne muovono l’azione. In breve, egli dovrebbe farsi
interprete del popolo presso il governo e del governo presso il popolo.
Questo funzionario non sarebbe un propagandista né un addetto stampa, nel
senso in cui tali termini sono solitamente intesi. Sarebbe piuttosto un tecnico, un
esperto nell’analisi del pensiero pubblico e delle tendenze pubbliche, con il
compito di tenere il governo informato della pubblica opinione e la pubblica
opinione informata sulle attività del governo. Le relazioni degli Stati Uniti con il
Sud America e l’Europa beneficerebbero notevolmente di tale figura. La nostra
deve essere una democrazia fondata sulla leadership, amministrata da una
minoranza intelligente che sappia come guidare e irreggimentare le masse.
Sarebbe questo il governo della propaganda? Chiamatelo pure, se preferite,
governo dell’istruzione. Ma istruzione, nel senso accademico del termine, non è
ancora abbastanza. Essa deve essere illuminata da una propaganda esperta che
sappia creare gli eventi favorevoli, porre in risalto i punti salienti di avvenimenti
importanti e drammatizzare le questioni più significative. Lo statista del futuro
dovrà essere in grado di focalizzare l’opinione pubblica sui punti cruciali delle
sue politiche, e inquadrare e mobilitare una vasta, eterogenea massa di elettori
verso una chiara comprensione e un’azione intelligente.
VII. ATTIVITÀ FEMMINILI E PROPAGANDA
Le donne dell’America contemporanea hanno raggiunto l’eguaglianza legale
con gli uomini, anche se questo non implica che le loro attività siano identiche a
quelle dei maschi. Le donne hanno interessi e attività particolari, oltre alle loro
occupazioni economiche e ai loro interessi professionali.
La loro influenza diviene evidente quando sono organizzate collettivamente
e in grado di padroneggiare l’arma della propaganda. Così organizzate e armate
possono far sentire la loro forza sulle amministrazioni locali, sulle legislature
nazionali, su dirigenti, su campagne politiche e sull’opinione pubblica in
generale – sia a livello locale che nazionale.
In politica le donne occupano oggi una posizione più importante grazie
soprattutto ai loro gruppi organizzati, più che alla leadership individuale
esercitata in cariche politiche o in posizioni di potere. La donna che fa il politico
di professione non ha avuto, fino ad oggi, una grande influenza, né le donne in
generale la considerano come l’elemento più importante in gioco. La Ferguson,
dopo tutto, era semplicemente una donna di casa, la marionetta di un marito
destituito; di Nellie Ross, l’ex governatrice del Wyoming, non si può certo dire
che fosse una grande statista o una leader dell’opinione pubblica, da qualsiasi
punto di vista la si voglia considerare.
La campagna per estendere il suffragio alle donne, se non altro, ha
dimostrato che grazie alla propaganda è possibile raggiungere determinati fini.
Oggi questa propaganda è utilizzata dalle donne per realizzare i propri
programmi a Washington e in tutti gli altri Stati. Nella capitale si sono
organizzate in una lega di quattordici associazioni, inclusa la Lega delle elettrici,
l’Associazione delle giovani cristiane, la Lega delle donne per la temperanza, la
Federazione dei Club femminili e così via. Queste organizzazioni, dopo aver
messo a punto un programma legislativo, ricorrono alle moderne tecniche di
propaganda per far sì che le loro proposte diventino a tutti gli effetti leggi
nazionali e statali. I traguardi che hanno raggiunto nei vari campi della vita
sociale sono vari e significativi. Al loro lavoro può essere attribuito un grande
merito per l’approvazione di molte leggi per l’assistenza e il benessere sociale,
come la legge per la giornata lavorativa di otto ore per le donne. Anche le leggi
contro il consumo di alcolici si devono a loro, se tali leggi possono essere
considerate un risultato. Lo stesso vale per la legge Shepard-Towner
sull’assistenza alla maternità. Questo disegno di legge non sarebbe mai passato
se non fosse stato per la preveggenza politica e la sagacia di donne come la
signora Vanderlip e la signora Mitchell.
Le proposte federali presentate alla prima convention della Lega nazionale
delle donne elettrici indicavano molto bene le attività di welfare e di protezione
sociale delle organizzazioni femminili. Queste riguardavano interessi molto
ampi come il benessere dei bambini, l’istruzione, il problema delle abitazioni e
del costo della vita, la remunerazione delle donne, la salute pubblica e morale,
l’emancipazione civile per le donne sposate e altre questioni dello stesso tenore.
Per propagandare questi princìpi la Lega nazionale delle donne elettrici ha
pubblicato ogni genere di letteratura – bollettini, calendari, depliant sulle
elezioni, un corso di corrispondenza sull’amministrazione e sull’educazione
civica, e così via.
Forse l’efficacia delle organizzazioni femminili nella politica americana di
oggi si deve a due fattori: in primo luogo all’esistenza di una classe
professionale di segretarie di direzione e di assistenti giuridiche formatasi
durante la campagna per il diritto di voto alle donne, quando per guadagnare il
consenso di una maggioranza recalcitrante si dovette ricorrere a ogni strumento
noto della propaganda; in secondo luogo a quei movimenti di opinione e di
massa sorti durante la guerra, che poi, una volta tornata la pace, si sono dedicati
al tema del suffragio e ad altre attività sociali. In questo senso mi vengono in
mente le signore Frank Vanderlip, Alice Ames Winter, Henry Moskowitz,
Florence Kelley, John Blair e O.H.P. Belmont, Doris Stevens o Alice Paul.
Se mi sono soffermato sui risultati raggiunti dalle donne in politica è perché
il loro lavoro fornisce un esempio particolarmente sorprendente di un intelligente
uso della nuova propaganda, al fine di guadagnare attenzione pubblica e
accettazione di idee minoritarie. È curioso, ma del tutto appropriato, che le più
inesperte reclute dell’agone politico abbiano riconosciuto per prime, e abbiano
padroneggiato, l’utilizzo delle nuove armi di persuasione di massa. Armi, queste,
che hanno compensato qualsiasi mancanza di esperienza di quella che
eufemisticamente viene chiamata “politica attiva”. Come esempio di questa
nuova tecnica voglio citare l’iniziativa presa qualche anno fa dal Comitato delle
donne consumatrici quando, per opporsi all’aumento dei dazi, affittò un negozio
vuoto sulla Cinquantasettesima strada a New York e vi allestì una mostra di
merci in cui ogni articolo in vendita recava due etichette: una con il prezzo
corrente e un’altra dopo l’introduzione dei dazi. Furono centinaia i visitatori del
negozio e tutti loro furono mobilitati per la causa promossa dal Comitato.
Ma ci sono anche settori non politici in cui le donne possono far sentire e in
cui hanno fatto sentire la propria influenza; in cui hanno utilizzato il principio
d’autorità del gruppo per raggiungere gli obiettivi desiderati.
Sotto la Federazione generale dei club femminili si raggruppano circa
tredicimila associazioni. Ampiamente classificate, queste includono associazioni
cittadine e civiche, di madri e casalinghe, club culturali e artistici, musicali o
letterari, imprenditoriali e professionali, ma anche generali, ossia aperti a
interessi civici o comunitari, o che combinano più di una delle attività sopra
citate.
Il club femminile è generalmente efficace per tutte quelle attività che hanno a
che fare con la salute, con la promozione delle belle arti, con le leggi che
influiscono sul benessere delle donne e dei bambini, con lo sviluppo di parchi
giochi e di spazi pubblici, con l’innalzamento di standard morali sia in ambito
politico che sociale, con l’economia domestica, l’istruzione e così via. In questi
campi il club femminile si assume impegni che non sono solitamente trattati da
altre agenzie esistenti, e si fa promotore di movimenti che operano per il bene
della comunità.
Un club interessato principalmente all’economia domestica e alle attività di
casa può sponsorizzare una scuola di cucina per giovani spose e altre attività
simili. Un esempio dell’appassionato interesse delle donne in questo settore è la
scuola di cucina recentemente organizzata al Carnegie Hall, quasi 3000 posti a
sedere, sotto l’egida dell’«Herald Tribune» di New York. Per tutta la durata del
corso la sala è stata completamente riempita, rivaleggiando come popolarità con
un McCormack o un Paderewski, e smentendo in modo drammatico l’idea che le
donne delle grandi città non siano interessate alle attività domestiche.
Un movimento per la distribuzione del latte nelle scuole, o per stabilire un
centro medico per i bambini, sarà vicino al cuore di un club devoto agli interessi
delle madri e al benessere dei bambini.
Un club di musica può ampliare la sfera d’influenza ed essere di servizio alla
comunità cooperando con la stazione radio locale per organizzare programmi
musicali di migliore qualità, e ciò richiede un impegno deciso e la mobilitazione
di ogni risorsa possibile, un po’ come avviene durante una qualsiasi campagna
politica.
Un club artistico può essere attivo organizzando esposizioni temporanee per
la sua città. Può anche organizzare mostre itineranti delle opere d’arte dei suoi
membri e mostrare i lavori di scuole e università.
Un club letterario può uscire dal cerchio incantato di conferenze e grandi
autori e prendere definitivamente parte alla vita educativa della comunità. Può
sponsorizzare, per esempio, una competizione nelle scuole pubbliche per il
miglior saggio sulla storia della città o sulla vita del suo figlio più celebre.
Oltre al particolare scopo per il quale è stato costituito, il club femminile può
lanciare o sostenere un movimento che ha per oggetto un determinato bene o
servizio pubblico. Ancor più importante, esso rappresenta un canale efficace per
permettere alle donne di sentirsi parte attiva dell’opinione pubblica. Proprio
come le donne completano gli uomini nella vita privata, così esse completeranno
gli uomini nella vita pubblica, concentrando i loro sforzi su quegli oggetti che gli
uomini di solito ignorano. Per le donne che vogliono essere protagoniste attive di
nuove idee e nuovi metodi di governo politico e sociale si sta aprendo uno spazio
nuovo e immenso. Quando sono ben organizzate e consapevoli del loro potere di
influenzare la vita pubblica, le donne possono utilizzare la libertà appena
acquisita per fare del mondo un posto migliore in cui vivere.
VIII. PROPAGANDA E ISTRUZIONE
L’istruzione non suscita, presso le masse, tutto l’interesse che merita. Il
sistema scolastico pubblico è supportato in modo adeguato, materialmente e
finanziariamente: sempre più giovani infatti desiderano un’educazione
universitaria. Inoltre una vaga aspirazione culturale, espressa in innumerevoli
corsi e conferenze, interessa molte classi sociali. Ma il pubblico in generale
continua a non esser consapevole del vero valore dell’istruzione: non si rende
conto che quest’ultima, in quanto forza sociale, non stia ricevendo il tipo di
attenzione che dovremmo aspettarci in una democrazia.
Ad esempio l’istruzione non ottiene spazio sui giornali; dibattiti ben
informati sul tema sono rari o a malapena esistenti; e a meno di particolari
provvedimenti pubblici, come la creazione del sistema educativo di Gary o in
occasione della decisione di Harvard di istituire un corso di economia aziendale,
l’istruzione non riesce ad attirare l’interesse attivo del pubblico.
Esistono una serie di ragioni per questa situazione. Innanzitutto, c’è il fatto
che l’educatore è stato preparato per stimolare il pensiero dell’individuo entro le
sole mura dell’aula scolastica, ma non è formato come educatore in senso più
ampio, capace di rivolgersi al grande pubblico. In una democrazia l’educatore, al
di là dei suoi doveri accademici, dovrebbe istituire una relazione definita e
salutare con il pubblico generale.
Questo più ampio pubblico non rientra, ovviamente, nella portata immediata
dei suoi doveri accademici, ma in un certo senso egli ne è dipendente, sia per il
supporto morale che gliene deriva che per il tono culturale generale su cui può
basare il suo lavoro vero e proprio. Nel campo dell’istruzione ritroviamo quindi
ciò che abbiamo già visto in politica e negli altri settori – che l’evoluzione della
figura professionale non ha tenuto il passo con l’evoluzione sociale che la
circonda, e che si è incapaci di utilizzare gli strumenti più consoni alla diffusione
delle idee che la società moderna ha sviluppato. Se questo è corretto, allora la
formazione dell’educatore dovrebbe prevedere, sotto questo aspetto, tutto ciò
che è necessario per ampliare gli orizzonti dell’insegnante. Il pubblico non potrà
mai farsi un’idea chiara delle cose che accadono nel Paese se gli stessi
insegnanti non comprendono la relazione tra pubblico generale e conoscenza
accademica. Le scuole di tirocinio dovrebbero dunque procedere alla formazione
dell’insegnante facendogli capire che il suo è un duplice lavoro: l’istruzione
degli studenti come insegnante e l’educazione del popolo come propagandista.
Una seconda ragione che può spiegare la distanza tra istruzione e interesse
del grande pubblico può essere rintracciata nell’atteggiamento mentale del
pedagogo – che sia l’insegnante di scuola elementare o il professore
universitario – nei confronti del mondo esterno alla scuola, e questo è un
complicato problema psicologico. L’insegnante si trova a operare in una società
che pone particolare enfasi su obiettivi e realizzazioni materiali, che sono così
apprezzati dall’opinione pubblica americana. Ma d’altro canto il suo lavoro è
solo modestamente retribuito o addirittura mal pagato: giudicando se stesso
secondo gli standard comunemente accettati, egli non può che provare un senso
di inferiorità nel trovarsi continuamente confrontato, nella mente dei suoi stessi
allievi, con il ricco imprenditore o il leader di successo che opera nel mondo al
di fuori della scuola. È dunque normale che l’educatore si senta represso, e
soppresso, dalla nostra civiltà. Per come stanno le cose, una simile condizione
non può essere cambiata dall’esterno, a meno che il pubblico generale non muti i
suoi standard di successo, cosa che certamente non accadrà in breve tempo. Però
potrebbe essere cambiata dallo stesso corpo docente, a condizione che divenga
consapevole della relazione sociale che lo lega al pubblico generale, e non solo
di quella individuale che lo lega allo studente.
La professione dell’insegnante in quanto tale ha il diritto di portare avanti
una propaganda ben definita, che abbia in vista l’illuminazione del pubblico in
generale e l’affermazione della sua intima relazione con la società che serve.
Oltre a ciò, è fondamentale accrescere la considerazione generale per la
professione dell’insegnante. Se questo non accadrà, il corpo insegnante si priverà
rapidamente dei mezzi atti ad attrarre talenti preziosi alla professione.
La propaganda non può cambiare tutto ciò che è attualmente insoddisfacente
nel campo educativo. Ci sono fattori, come la bassa retribuzione e la mancanza
di fondi pensione adeguati, che influenzano definitivamente lo status della
professione. È però possibile, per mezzo di intelligenti appelli basati sull’attuale
composizione dell’opinione pubblica, modificare l’atteggiamento generale verso
il corpo docente. Un tale cambiamento di attitudine inizierà esprimendosi con
insistenza sull’idea di salari più adeguati all’importanza della professione.
Esistono vari modi in cui le organizzazioni accademiche americane
gestiscono i loro problemi finanziari. Alcuni college e università, per il proprio
sostegno finanziario, dipendono da fondi statali; altri dipendono da sovvenzioni
private, altri ancora da organizzazioni confessionali, ma i primi due tipi
costituiscono la stragrande maggioranza delle nostre istituzioni educative di tipo
superiore.
Le università statali sono sostenute da sovvenzioni concesse dal governo,
con l’approvazione della legislatura dello Stato. In teoria, il tipo di sostegno che
l’università riceve dipende dal grado di accettazione accordato dagli elettori.
L’università statale si trova quindi in una posizione poco invidiabile, a meno
che il presidente dell’università non sia un eccezionale propagandista capace di
drammatizzare le questioni relative all’istruzione. E anche se questo fosse il
caso, – se l’universtà plasmasse tutte le sue politiche per ottenere il supporto del
legislatore – la sua funzione prettamente educativa potrebbe risentirne.
L’università potrebbe essere tentata dal basare il suo appello ai cittadini sul suo
unico servizio pubblico, reale o supposto, mettendo in secondo piano le sue
funzioni educative. Potrebbe essere tentata dall’istruire il popolo dello Stato a
spese dei suoi stessi allievi, e questo potrebbe rendere l’università un mero
strumento investito dal potere politico. E se il presidente dell’università
controllasse sia il pubblico che il politico, ciò potrebbe condurre a una situazione
in cui la sua personalità arriverebbe a sovrastare la vera funzione dell’istituzione
universitaria.
I college o le università finanziate da privati sono in una situazione
altrettanto complessa. Le istituzioni dipendono dal sostegno, in genere, di
uomini chiave dell’industria i cui obiettivi sociali ed economici sono concreti e
limitati, e dunque spesso in disaccordo con la ricerca della conoscenza astratta e
disinteressata. Spesso l’uomo d’affari critica le grandi università di essere troppo
accademiche, ma raramente di essere troppo pratiche. Si potrebbe quindi
immaginare che questi uomini chiave che finanziano le università vorrebbero
vederle specializzarsi in istituti di scienze applicate, di pratiche commerciali o di
gestione industriale. E potrebbe accadere, in molti casi, che le richieste dei
potenziali finanziatori delle università siano in aperta contraddizione con gli
interessi dell’istruzione e della cultura in generale.
Ci troviamo quindi di fronte a una situazione anomala: università che devono
propagandare il sapere a persone che non sono interessate agli obiettivi per i
quali si chiede di donare i loro soldi. Uomini che – secondo gli standard
comunemente accettati – hanno fallito o ottenuto un successo appena dignitoso
nel nostro mondo americano (i pedagoghi), che devono cercare di convincere
coloro che hanno ottenuto un successo straordinario (gli uomini d’affari) che essi
dovrebbero donare i loro soldi per sostenere la causa di ideali a cui non sono
interessati. Uomini che per un senso di inferiorità disprezzano il denaro, che
devono cercare di ottenere la buona disposizione di uomini che del denaro hanno
fatto un culto.
Sembra probabile che la condizione futura delle università sovvenzionate dai
privati dipenderà da un bilanciamento di queste due forze, in modo che sia gli
universitari che i finanziatori possano ricevere la dovuta considerazione.
L’università deve ottenere il sostegno dell’opinione pubblica. Se il potenziale
donatore è indifferente, si deve ottenere l’approvazione di un pubblico entusiasta
al fine di convincerlo. Se egli cerca indebitamente di influenzare la politica
educativa dell’istituzione, la pubblica opinione deve sostenere l’università nel
proseguire in ottemperanza alle proprie specifiche funzioni. Se l’uno o l’altro
fattore dovesse dominare indebitamente, è probabile che per compiacerlo
l’università ceda alla demagogia o allo snobismo culturale.
C’è tuttavia un’altra possibile soluzione al problema. Attraverso una
propaganda educativa che miri a sviluppare una maggior consapevolezza sociale
da parte del popolo del nostro Paese, è possibile risvegliare nella mente degli
uomini d’affari, considerati in quanto classe, quella coscienza sociale in grado di
produrre più personalità come Julius Rosenwald, Everitt Macy, John D.
Rockefeller o il compianto Willard Straight.
In molte università sono stati creati uffici informazioni interni, al fine di
avviare una relazione seria e duratura con il grande pubblico; e a loro volta
questi uffici si sono coalizzati in un’associazione inter-universitaria in cui
vengono discusse le questioni di pubbliche relazioni delle università. Tra i temi
in oggetto vi è l’istruzione dell’alunno e il suo effetto sul pubblico in generale e
su gruppi specifici; i consigli da dare al futuro studente sulla scelta di un
particolare college; il mantenimento di un esprit de corps affinché i successi
sportivi dell’istituto non prevalgano su tutto il resto; propagandare il lavoro di
ricerca svolto all’università; propagandare gli obiettivi e il lavoro dell’università
al fine di attrarre finanziamenti speciali per scopi specifici. Circa settantacinque
di questi uffici sono oggi affiliati nell’American Association of College News
Bureaus, tra i quali Yale, Wellesley, Illinois, Indiana, Wisconsin, Western
Reserve, Tufts e California. Viene pubblicato un bollettino bimestrale per
informare i membri delle novità circa la loro professione. L’associazione si
sforza di difendere gli standard etici della professione e si prefigge di lavorare in
armonia con la stampa.
Anche la National Education Association e altre organizzazioni stanno
portando avanti una propaganda ben definita per promuovere i più ampi scopi
del settore educativo. Uno di questi è ovviamente il miglioramento del prestigio
e della posizione materiale degli insegnanti stessi. Un caso come quello
McAndrew richiama l’attenzione del pubblico sul fatto che in alcune scuole
l’insegnante è ben lontano dal godere di piena libertà accademica, mentre in
certe comunità la scelta degli insegnanti si basa su considerazioni politiche o
confessionali più che sulle capacità pedagogiche e didattiche dell’insegnante. Se
tali questioni, per mezzo della propaganda, fossero poste come questioni di
interesse pubblico su scala veramente nazionale, vi sarebbe senza alcun dubbio
una tendenza generale al miglioramento della condizione dell’insegnamento.
Molte delle nostre principali università sostengono, e a ragione, che i risultati
delle loro ricerche non dovrebbero essere circoscritti solo a biblioteche e
pubblicazioni accademiche, ma, laddove praticabile e utile, dovrebbero essere
presentati anche al grande pubblico nella forma appropriata e in termini che
possa comprendere. Harvard è solo un esempio di un’università che ha iniziato
un lavoro del genere. Come scrive Charles A. Merrill su Personality:
«Qualche giorno fa un professore di Harvard ha occupato un grande spazio sulle pagine dei giornali
delle grandi città. Non passava giorno senza che un quotidiano non ne riportasse il nome e il
successo delle sue scoperte.
«Il professore, ritornato da un viaggio nello Yucatan d’interesse scientifico, aveva risolto il mistero
del calendario venusiano degli antichi Maya. Aveva scoperto la chiave dell’enigma, il modo in cui i
Maya tenevano conto del passare del tempo. Confrontando gli eventi celesti registrati dai Maya
rispetto a noti fatti astronomici, egli aveva trovato una correlazione perfetta tra il conteggio del
tempo del popolo centroamericano e la reale posizione del pianeta Venere nel Sesto secolo a.C.
Una civiltà che prosperò venticinque secoli fa aveva raggiunto altezze finora non apprezzate dal
mondo moderno.
«Ma perché la scoperta del professore è stata raccontata nelle nostre cronache popolari? Anche
questa, tutto sommato, è una questione interessante […].
«Se fosse dipeso dal professore il suo nome non sarebbe mai apparso sulla stampa popolare, al
massimo su qualche rivista specialistica, e le sue osservazioni sarebbero state incomprensibili per il
grande pubblico, più o meno come se fossero state rese in geroglifici maya.
«La popolarizzazione di questo messaggio dall’antichità si deve infatti all’iniziativa di un giovane
uomo, James W. D. Seymour […].
«Per alcuni potrebbe essere scioccante e sorprendente sapere che oggi i più eminenti e dignitosi
professori d’America assumano addetti stampa esattamente come le compagnie ferroviarie, le
associazioni professionali, i produttori cinematografici e i partiti politici. È tuttavia un dato di fatto
[…].
«Che non ci sia quasi più college o università che non ne abbia uno, con l’approvazione degli
organi direttivi delle facoltà. L’assunzione di un ufficio alla pubblicità, con tanto di direttore e staff
di assistenti, ha lo scopo di stabilire relazioni amichevoli con i giornali e, attraverso i giornali, con il
grande pubblico […].
«Questo è un fatto che rompe bruscamente con la tradizione. Per i più antichi luoghi della cultura
rappresenta una novità assoluta, oltre a violare il credo fondamentale delle vecchie società
accademiche, per cui il restare appartati dal mondo era il primo passo sulla via dell’erudizione. Una
volta il college era ansioso di preservare la sua indifferenza rispetto al mondo.
«Le facoltà erano solite risentirsi per un eccesso di interesse nei loro confronti. In certi casi, ma
sempre con riluttanza e quasi con disprezzo, potevano ammettere giornalisti per le cerimonie di
laurea, ma senza mai spingersi oltre questo […].
«Oggi se il reporter di un quotidiano vuole intervistare un professore di Harvard, non ha che da
telefonare alla segreteria dell’Ufficio Informazioni dell’università. Ufficialmente Harvard continua
a evitare il titolo di “direttore alla pubblicità” ma informalmente l’impiegato con quel lungo titolo è
proprio l’addetto alla pubblicità. E oggi è un importante funzionario di quell’università.
Che il rettore di un’università si occupi del tipo di immagine mentale che la
sua istituzione deve produrre sul pubblico rappresenta certamente una nuova
idea. Eppure fa parte del suo lavoro: da responsabile dell’università egli si deve
occupare che l’istituzione che dirige occupi un giusto posto nella comunità, e
quindi anche nell’immaginario della collettività, e che produca i risultati
desiderati sia in senso culturale che in senso finanziario.
Se la sua istituzione non riflette sulla collettività l’immagine mentale
appropriata, una di due cose potrebbe essere sbagliata: o il mezzo di
comunicazione che utilizza non è quello giusto oppure la sua istituzione sta
commettendo qualche errore. Quando il pubblico ha un’impressione sbagliata
dell’università, quell’impressione dovrebbe essere modificata; oppure potrebbe
darsi che il pubblico stia avendo una giusta impressione, e in quel caso, assai
probabilmente, il lavoro stesso dell’università dovrebbe essere modificato. E per
entrambe le possibilità la soluzione rientra nel campo d’azione di un consulente
in pubbliche relazioni.
La Columbia University ha recentemente istituito una Casa Italiana, che è
stata solennemente inaugurata alla presenza di un dignitario del governo italiano
al fine di enfatizzare l’elevato standard raggiunto nello studio del latino e delle
lingue romanze. Anni fa Harvard fondò il Museo Germanico, che fu inaugurato
in pompa magna dal principe Enrico di Prussia.
Diverse università tengono corsi speciali per aprire al pubblico la vita
universitaria. È ovviamente corretto dire che simili corsi dovrebbero essere resi
noti al grande pubblico, ma se questi sono stati organizzati malamente dal punto
di vista delle pubbliche relazioni – se ad esempio sono troppo eruditi e distaccati
– il loro effetto sarà opposto a quello auspicato. In tal caso il consulente non si
limiterà a rendere maggiormente nota l’esistenza di questi corsi, ma solleciterà
una loro modifica per renderli più adatti all’impressione che l’università desidera
creare, almeno per quanto compatibile con i propri ideali accademici.
Di nuovo, potrebbe essere opinione generale che il lavoro di un certo ateneo
è per l’ottanta per cento dedicato a ricerche post laurea, opinione che potrebbe
alienare l’interesse del pubblico. Una tale opinione potrebbe essere vera o falsa.
Se falsa, dovrebbe essere corretta da attività universitarie di altro profilo.
Se, d’altro canto, fosse vera, allora si dovrà cercare di trarne il massimo
vantaggio. Il rettore dovrebbe far conoscere le scoperte che possano attrarre
l’attenzione del grande pubblico. Una spedizione universitaria in Terra Santa
può essere poco interessante come impresa puramente accademica, ma se può
contribuire a far luce su qualche fatto narrato nella Bibbia susciterà
immediatamente l’interesse di grandi masse della popolazione. La facoltà di
zoologia potrebbe essere alla ricerca di qualche strano bacillo che non ha
relazione con nessuna malattia umana, ma il fatto stesso di essere alla caccia di
un bacillo sconosciuto può rappresentare di per sé un fatto di grande interesse
per il pubblico.
Oggi molte università autorizzano volentieri i loro docenti a contribuire a
inchieste di interesse pubblico. Così la Cornell ha permesso al professor Wilcox
di aiutare il governo a preparare il censimento nazionale. Il professor Irving
Fisher di Yale è stato chiamato come consulente su questioni valutarie. In senso
etico, la propaganda ha con l’insegnamento lo stesso rapporto che ha con il
settore imprenditoriale o politico.
Se ne potrebbe abusare, potrebbe essere utilizzata per creare una pubblicità
eccessiva o ingannevole, o per creare un’immagine artificiosa di una certa
istituzione. E non può esservi alcuna garanzia contro un suo cattivo uso.
IX. PROPAGANDA E SERVIZIO SOCIALE
Il consulente in pubbliche relazioni è una figura necessaria per ogni
iniziativa in ambito sociale. E poiché il servizio sociale, per sua stessa natura,
può essere intrapreso solo grazie al sostegno volontario dei ceti più ricchi, il
consulente sarà costretto a ricorrere continuamente alla propaganda; in questo
senso, i leader dei movimenti sociali sono stati tra i primi a utilizzare
consapevolmente la propaganda nella sua accezione moderna.
Il grande nemico di ogni tentativo di cambiare le abitudini degli uomini è
l’inerzia; il progredire stesso della civiltà è ostacolato dalla forza d’inerzia. La
nostra attitudine verso le relazioni sociali, verso l’economia, verso la politica
nazionale e internazionale è plasmata dagli atteggiamenti del passato ed è
rafforzata dal peso della tradizione. Comstock lascia cadere il suo mantello di
proselitismo morale sulle spalle volenterose di un Sumner; Penrose lascia cadere
il suo sulle spalle di Butler; Carnegie su quelle di Schwab e così via, ad
infinitum. Il più grande oppositore di questa tradizionale accettazione delle idee
del passato è un’opinione pubblica consapevolmente diretta contro una tale forza
d’inerzia. Un tempo l’opinione pubblica era creata e modificata
dall’atteggiamento di capi tribali, re, leader religiosi. Oggi ciascuno di noi ha il
privilegio di influenzare l’opinione pubblica, e questo è uno dei fenomeni più
rilevanti della democrazia: chiunque può cercare di convincere un altro uomo e
assumere in prima persona la leadership della tesi che sostiene.
Nuove idee e nuovi eventi sono continuamente in lotta per farsi spazio nel
grande schema delle cose. Iniziative sociali, campagne contro la tubercolosi o
contro il cancro, varie attività di ricerca che mirano a eliminare malattie e disagi
– una moltitudine di attività altruistiche con cui potremmo riempire un enorme
tomo – hanno bisogno della conoscenza dell’opinione pubblica e della psicologia
delle folle se intendono raggiungere i propri obiettivi. La letteratura sulla
propaganda in rapporto al servizio sociale è già ampia, e i suoi princìpi di base
fondamentalmente già stabiliti, e qui basterà citare un solo esempio per illustrare
la tecnica della propaganda e il suo rapporto con le attività sociali.
Il riferimento è alla campagna contro il linciaggio, le leggi Jim Crow e le
discriminazioni civili contro i neri a sud della linea Mason-Dixon.
L’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore ha
combattuto questa battaglia in prima linea. La tecnica di propaganda utilizzata fu
la drammatizzazione della grande convention annuale in cui si concentrò
l’attenzione pubblica sul problema dei neri.
Primo passo: dove tenere la convention? A Nord o a Sud? A Est o a Ovest?
Dato che lo scopo era quello di influenzare l’intera nazione, l’associazione
decise di organizzarla a Sud, esattamente all’epicentro del problema. Un punto
di vista su una questione meridionale, espresso da un centro principale del
meridione, avrebbe avuto maggiore autorità rispetto allo stesso punto di vista
espresso da una qualsiasi altra località del Paese, soprattutto quando quel punto
di vista era in disaccordo con la posizione tradizionale del meridione. E fu scelta
la città di Atlanta.
Il secondo passo fu di coinvolgere personalità che incarnavano le idee più
forti e in grado di attrarre il più ampio consenso possibile, tentando di far
partecipare i leader dei gruppi più vari. Telegrammi e lettere furono inviati a
leader di gruppi religiosi, politici, sociali ed educativi, chiedendo di esprimere il
loro parere sulla conferenza. Ma oltre a queste figure di riferimento nazionale,
era particolarmente importante garantirsi gli opinion leader delle stesse
associazioni meridionali, e di Atlanta stessa, per enfatizzare al meglio, e a tutto il
pubblico, lo scopo della conferenza. C’era un gruppo di Atlanta che poteva
essere avvicinato. Si trattava di un’associazione di sacerdoti che era stata
abbastanza audace da esprimere pubblicamente la necessità di una maggiore
comprensione e amicizia tra bianchi e neri. L’associazione fu contattata ed essi
furono felici di collaborare alla conferenza.
L’evento andò come previsto. Uomini neri e bianchi del Sud, sullo stesso
palco, dettero voce al medesimo punto di vista. Nella conferenza furono discussi
gli elementi più drammatici della questione, ma senza che questi
monopolizzassero l’evento. Un leader nazionale del Massachusetts concordò
nella teoria e nella pratica con un predicatore battista del Sud, e se ci fosse stata
la radio tutto il Paese avrebbe ascoltato commosso i princìpi e i discorsi
enunciati dal palco.
Ma il pubblico poté leggere quelle parole e idee sulla stampa nazionale,
poiché l’evento aveva richiamato personalità e personaggi così in vista da
risvegliare l’interesse di tutto il Paese, e guadagnare alla sua causa persino la
gente del Sud. Gli editoriali apparsi sulla stampa meridionale, riflettendo
l’opinione pubblica delle proprie comunità, dimostravano come il tema fosse
divenuto di importanza centrale grazie soprattutto alla partecipazione dei leader
del Sud.
Ovviamente l’evento dotò la stessa associazione di armi fondamentali per
allargare la propria sfera di influenza, e ulteriore pubblicità fu fatta attraverso
lettere, bollettini e altra propaganda rivolta a gruppi selezionati del pubblico.
Per quanto riguarda i risultati pratici, il più immediato fu il cambiamento di
mentalità di molti giornalisti meridionali, che compresero come la questione in
gioco non fosse di carattere meramente emotivo, ma che meritava di essere
discussa seriamente. Ulteriori risultati sono difficilmente quantificabili o
misurabili. La conferenza esercitò un sostanziale effetto nella generale presa di
coscienza e di solidarietà nei riguardi delle persone di colore. Il declino dei
linciaggi è stato, molto probabilmente, un risultato di quel lavoro, così come di
altri sforzi dell’associazione.
Ormai molte chiese fanno pubblicità a pagamento e propagandano in modo
sistematico le loro attività ordinarie. Hanno sviluppato comitati di promozione
che fanno uso di quotidiani, affissioni e opuscoli. Molti istituti religiosi
possiedono già dei periodici. La chiesa metodista ha un ufficio preposto
all’annuncio e ai comunicati stampa per relazionarsi con quotidiani e riviste.
Ma considerate in senso più ampio, le stesse attività di servizio sociale sono
delle attività di propaganda. Una campagna per l’igiene dentale spinge le
persone a cambiare le proprie abitudini di pulizia e cura dei denti. Una campagna
per avere parchi migliori cerca di cambiare l’opinione della gente
sull’opportunità di pagare tasse più alte per acquistare nuove strutture e
migliorare i parchi. Una campagna contro la tubercolosi è un tentativo di
convincere tutti che la tubercolosi può essere curata, e che le persone che ne
presentano i sintomi dovrebbero rivolgersi immediatamente ai medici. Una
campagna per ridurre il tasso di mortalità infantile è un tentativo di alterare le
abitudini delle madri in rapporto all’alimentazione, al bagnetto, al prendersi cura
in generale dei propri figli. Il servizio sociale, in effetti, è identico per molti
aspetti alla propaganda in senso stretto.
Anche quegli aspetti del servizio sociale che sono governativi e
amministrativi, piuttosto che caritatevoli e spontanei, dipendono, per la loro
efficacia, da un saggio utilizzo della propaganda. Il professor Harry Elmer
Barnes, nel suo libro The Evolution of Modern Penology in Pennsylvania,
afferma che i miglioramenti nell’amministrazione penitenziaria in quello Stato
sono ostacolati dalle influenze politiche. Il legislatore deve essere persuaso a
permettere l’utilizzazione dei migliori metodi della scienza penitenziaria, e per
far questo è necessario lo sviluppo di un’illuminata opinione pubblica. «Finché
una tale situazione non sarà posta in essere» afferma Barnes, «il progresso
nell’amministrazione penitenziaria è destinato ad essere sporadico, locale e
generalmente inefficace. La soluzione al problema della prigione, dunque,
sembra essere fondamentalmente un problema di pubblicità, effettuata in modo
consapevole e scientifico».
Il progresso sociale consiste, semplicemente, nella progressiva educazione e
illuminazione dell’opinione pubblica in relazione ai suoi problemi sociali
immediati come a quelli più distanti.
X. ARTE E SCIENZA
La propaganda svolge un ruolo importante nell’educazione artistica del
popolo americano. Quando una galleria cerca di promuovere il lavoro di un
artista, deve creare consenso pubblico per le sue opere, e per aumentare
l’apprezzamento del pubblico deve fare un deliberato sforzo di tipo
propagandistico.
Nell’arte come in politica, è la minoranza a comandare, ma può farlo solo se
è venuta a patti con il pubblico sul suo stesso terreno, comprendendo l’anatomia
della pubblica opinione e sapendo come manovrarla.
Oggi, nelle arti applicate e commerciali, la propaganda offre agli artisti le
maggiori opportunità. Ciò dipende dal fatto che la produzione di massa
raggiunge un’impasse quando compete esclusivamente sulla base del risparmio
economico. Dunque, essa deve, in vari settori, creare una competizione basata su
valori che sono primariamente estetici, e non meramente economici. Questo è
solo un altro modo per dire che oggi l’artista ha l’opportunità di collaborare con
l’industria, e così facendo di migliorare il gusto del pubblico, iniettando nel suo
prodotto bellezza anziché bruttezza, assicurandosi inoltre denaro e
riconoscimenti.
La propaganda può giocare un ruolo nel sottolineare ciò che è bello e ciò che
non lo è, e l’industria può rendere il suo contributo alzando il livello della
cultura americana. In questo processo la propaganda farà naturalmente uso
dell’autorità dei leader sociali il cui gusto e opinione sono ampiamente
riconosciuti.
Il pubblico va coinvolto per mezzo di valori associativi ed eventi drammatici.
Una nuova ispirazione, che per l’artista può essere un tipo di bellezza molto
tecnica e astratta, deve essere resa vitale per il pubblico, associandola a valori
che la gente riconosce e a cui può rispondere.
Prendiamo l’esempio dell’industria della seta americana, che per sviluppare i
suoi mercati ha trovato a Parigi le sue fonti di ispirazione. Parigi poteva dare alla
seta americana un’impronta di autorevolezza che l’avrebbe aiutata a raggiungere
una sua posizione definitiva negli Stati Uniti.
Il seguente articolo dal «New York Times» del 16 febbraio 1925 riassume la
storia degli eventi:
«Parigi, 15 febbraio – Per la prima volta nella storia alcuni tessuti d’arte americani saranno esposti
presso la sezione Arti decorative del museo del Louvre.
«L’esposizione, che sarà inaugurata il 26 maggio con il patrocinio del ministro delle Belle arti
francese, Paul Leon, includerà i tessuti di seta di Cheney Brothers – South Manchester e New York
– i cui disegni sono frutto dell’ispirazione di Edgar Brandt, celebre artista del ferro battuto, il
moderno Cellini, capace di realizzare opere d’arte lavorando il ferro grezzo.
«Brandt ha progettato e realizzato il monumentale ingresso in ferro del memoriale di guerra
presente a Verdun. A Brandt è stato chiesto di assistere e partecipare all’esposizione, che mostrerà
alla Francia lo stato dell’arte raggiunto dall’industria serica americana.
«Trenta motivi ispirati alle opere di Edgar Brandt sono incarnati in 2.200 metri di tessuti di seta,
decorazioni e velluti tagliati in centinaia di colori […].
«Queste prints ferronnieres sono i primi tessuti in cui si riflette l’influenza del maestro del ferro. Le
sete possiedono una composizione sorprendente, che mostrano i caratteristici motivi di Brandt
incarnati nei disegni degli artisti dei Cheney Brothers, che sono riusciti a realizzare un compito che
a prima vista sembrava impossibile: trasformare il ferro in seta. La forza e la brillantezza dei
disegni originali sono esaltati dalla bellezza e dal calore dei tessuti […].
Il risultato di questa cerimonia è stato così dirompente che i grandi
magazzini di New York, Chicago e altre città hanno richiesto di ospitare la
mostra. Hanno provato a plasmare il gusto del pubblico in modo coerente con
l’idea che ha avuto la grande approvazione di Parigi. I tessuti di Cheney Brothers
– un mero prodotto commerciale realizzato in quantità industriale – ha
guadagnato un posto nella stima del pubblico grazie alla sua associazione con il
lavoro di un artista riconosciuto e con un prestigioso museo d’arte parigino.
Lo stesso può essere detto di qualsiasi altro prodotto commerciale che possa
vantare una presenza estetica. E sono ben pochi i prodotti di utilizzo quotidiano
– mobili, abiti, lampade, poster, etichette commerciali, copertine di libri, agende
o vasche da bagno – che non siano soggetti alla legge del buon gusto.
In America interi settori produttivi sono stati indotti dalla propaganda a
rispondere a esigenze estetiche oltre che economiche, e la produzione è stata
modificata per conformarsi all’esigenza di maggiore bellezza da parte del
pubblico. Un produttore di pianoforti, di recente, ha assunto alcuni artisti per
progettare pianoforti dal design modernista. Questo non perché esista una diffusa
richiesta di pianoforti dal design modernista – anzi, il produttore si aspetta di
venderne pochi pezzi. Oggi però, per far sì che si parli di un pianoforte, si deve
avere qualcosa in più di un semplice pianoforte: la gente che si riunisce nelle
sale da thé potrebbe non voler parlare di pianoforti, ma potrebbe voler parlare
dei nuovi pianoforti dal design modernista.
Il segretario Hoover, tre anni fa, mi chiese di far parte della commissione
istituita in vista dell’esposizione parigina di arti decorative. In quanto membro
della commissione ho contribuito a organizzare il gruppo di importanti leader del
settore che dovevano recarsi a Parigi in rappresentanza dell’industria
statunitense. La propaganda svolta per gli scopi e le finalità della commissione
ha avuto indubbiamente un profondo effetto sull’atteggiamento degli americani
verso l’arte applicata all’industria; e nel giro di pochi anni il movimento dell’arte
moderna è penetrato in tutti i settori produttivi.
I grandi magazzini hanno subito recepito l’idea. R.H. Macy & Company ha
organizzato un’esposizione di Arte e Commercio in cui il Metropolitan Museum
of Art ha collaborato come consulente. Lord & Taylor ha sponsorizzato un’altra
mostra di arte moderna, con la presenza di espositori stranieri. Questi negozi,
operando a stretto contatto con la vita della gente, hanno svolto una funzione
propagandistica nel portare alle persone il meglio di quest’arte applicata
all’industria. Il Metropolitan Museum, allo stesso tempo, ha soddisfatto
l’esigenza di mettersi più strettamente in contatto con l’opinione pubblica, e ha
utilizzato il grande magazzino come veicolo per sviluppare la sensibilità artistica
della gente.
Di tutte le istituzioni artistiche il museo è quella che più soffre per la
mancanza di una propaganda efficace. Oggi la maggior parte dei musei hanno la
reputazione di essere santuari o obitori, mentre dovrebbero essere leader e
maestri della vita estetica della comunità – ma essi non hanno un rapporto vitale
con la gente.
I tesori dei musei devono essere interpretati per raggiungere il grande
pubblico, e questo compito richiede un propagandista. La casalinga in un
appartamento del Bronx senza dubbio prova poco interesse per un antico vaso
greco custodito nel Metropolitan Museum. Però un artista assunto dall’industria
della ceramica può adattare il design di questo vaso a un set di porcellane, e
questa porcellana, venduta a buon mercato grazie alla produzione industriale,
potrebbe arrivare in quell’appartamento del Bronx e sviluppare,
inconsapevolmente attraverso le sue belle linee e colori, un senso estetico e un
apprezzamento della bellezza.
Alcuni musei americani avvertono questa responsabilità. Il Metropolitan di
New York si vanta giustamente del suo milione di visitatori nell’anno 1926; dei
suoi sforzi per drammatizzare e rappresentare la storia della civiltà nei suoi vari
dipartimenti; delle sue conferenze; delle sue collezioni di stampe, fotografie e
diapositive date in prestito; dei servizi offerti a ditte commerciali nel campo
dell’arte applicata; dei conferenzieri invitati nell’auditorium del museo e delle
conferenze tenute dallo staff a organizzazioni esterne; dei concerti da camera
gratuiti organizzati sotto la direzione di David Mannes; in breve, di tutto ciò che
tende a enfatizzare il museo in quanto “casa della bellezza”. Eppure tutto ciò non
risolve il problema.
Non si tratta semplicemente di fare in modo che le persone vadano al museo.
Bisogna far sì che il museo, e la bellezza che ospita, raggiunga le persone.
I risultati di un museo non dovrebbero esser valutati in base al mero numero
di visitatori. La sua funzione non è solo quella di ricevere visitatori, ma di
rivolgersi, con tutto quello che rappresenta, alla collettività che deve servire.
Il museo deve ergersi nella sua comunità come leader di un determinato
standard estetico che può, con l’aiuto intelligente della propaganda, permeare la
vita di tutti i giorni dei cittadini. Perché allora un museo non dovrebbe istituire
una sorta di consiglio delle belle arti, imponendo standard estetici nella
decorazione domestica, in architettura e nella produzione commerciale? Perché
un museo non dovrebbe – invece di limitarsi a preservare i tesori che possiede –
vivificare il loro significato in termini che il grande pubblico può comprendere?
Un recente rapporto annuale di un museo d’arte di una grande città degli
Stati Uniti recita: «Una caratteristica fondamentale di un museo d’arte come il
nostro dev’essere la sua attitudine per la conservazione, perché, dopo tutto, il suo
primo dovere è di far tesoro dei grandi traguardi raggiunti dagli uomini nei
campi delle scienze e delle arti».
Ma è vero? Per un museo non è altrettanto importante farsi interprete dei
modelli di bellezza che possiede? Se il dovere di un museo è quello di essere
attivo, esso deve studiare il modo migliore per rendere il suo messaggio
comprensibile alla comunità che serve: esso deve assumere audacemente la
leadership estetica della sua comunità di riferimento.
Ciò che vale per l’arte vale anche per la scienza, che sia pura o applicata. La
scienza pura era un tempo custodita dalle società erudite e dalle associazioni
scientifiche; oggi essa trova sostegno e incoraggiamento anche dall’industria.
Molti dei laboratori in cui si porta avanti la ricerca astratta e teorica sono oggi
collegati con diverse società, le quali sono ben disponibili a investire centinaia di
migliaia di dollari nella ricerca scientifica, al fine di scovare una nuova
invenzione o una scoperta rivoluzionaria.
La grande industria, ovviamente, guadagna molto ogni volta che mette a
punto una nuova invenzione. Ma in quello stesso momento essa si assume una
doppia responsabilità: porre la nuova invenzione al servizio del pubblico e farsi
interprete del suo significato presso le masse.
Le industrie possono fornire a scuole, facoltà o corsi post-laurea delle verità
inequivocabili circa il progresso scientifico della nostra epoca. Non solo possono
farlo: sono obbligate a farlo. La propaganda come strumento di competizione
commerciale ha aperto opportunità per l’inventore e dato grande stimolo alla
ricerca scientifica: negli ultimi cinque o dieci anni i successi di alcune delle più
vaste compagnie sono stati così eccezionali che l’intero settore della scienza ha
ricevuto un tremendo impeto e slancio. L’American Telephone & Telegraph
Company, la Western Electric Company, la General Electric Company, la
Westinghouse Electric Company e altre hanno realizzato l’importanza della
ricerca scientifica e hanno compreso che le loro idee devono essere rese
comprensibili al pubblico se vogliono essere veramente efficaci. La televisione,
le trasmissioni radio, gli altoparlanti, sono in questo senso i nuovi ausili della
propaganda.
La propaganda è un aiuto fondamentale per commercializzare nuove
invenzioni; essa, facendosi interprete presso il pubblico di nuove idee e scoperte,
può rendere i consumatori ben più ricettivi: la propaganda sta abituando il
pubblico al cambiamento e al progresso.
XI. I MECCANISMI DELLA PROPAGANDA
I media con cui i propagandisti trasmettono i loro messaggi al pubblico
comprendono tutti quei mezzi che oggi le persone utilizzano per comunicare le
proprie idee. Non esiste mezzo di comunicazione che non possa essere
considerato anche mezzo di propaganda, poiché la propaganda, semplicemente,
non è che il medium attraverso il quale si facilita la comprensione reciproca tra
un individuo e un gruppo.
Il punto centrale per il propagandista è che il valore relativo dei vari
strumenti di propaganda, e il loro rapporto con le masse, è in continua
evoluzione. Se per il suo messaggio egli vuole ottenere la massima copertura,
deve saper approfittare di questi cambiamenti di valore nel momento stesso in
cui si verificano. Cinquant’anni fa il meeting pubblico era lo strumento di
propaganda par excellence. Oggi è difficile far accorrere anche solo una
manciata di persone a un incontro pubblico, a meno che non sia presente una
straordinaria attrazione. L’automobile li porta via da casa, la radio ce li tiene
dentro, le edizioni del giornale portano loro le informazioni, che siano in ufficio
o in metropolitana, e in fondo, forse sono semplicemente stufi delle
manifestazioni caotiche.
Oggi esistono numerosi altri mezzi di comunicazione, alcuni del tutto nuovi,
altri più vecchi ma che si sono trasformati fino a diventare praticamente nuovi. Il
giornale, ovviamente, resta sempre lo strumento primario per la diffusione di
opinioni e idee – in altre parole, per la propaganda.
Non molti anni fa i giornalisti si risentivano per quello che chiamavano
“l’utilizzo dei giornali a fini di propaganda”. Alcuni arrivavano addirittura a non
pubblicare una buona storia se solo era sospettata di favorire particolari interessi.
Questo punto di vista è oggi ampiamente abbandonato. Il vero criterio che
disciplina la pubblicazione o meno di una notizia è il valore intrinseco della
notizia stessa: questa è l’opinione maggiormente diffusa tra i responsabili delle
varie redazioni. Il giornale non può assumersi, né è suo compito farlo, la
responsabilità di garantire che ciò che pubblica non favorirà l’interesse
particolare di qualcuno. Difficilmente può esserci un solo elemento in qualsiasi
quotidiano che possa, o non possa, avvantaggiare o sfavorire il profitto di
qualcuno, ma questo fa parte della natura stessa delle informazioni. Ciò che
dovrebbe preoccupare il giornale è l’accuratezza della notizia che pubblicherà,
(poiché deve selezionare poche notizie da una vera e propria massa di
informazioni) e il fatto che la notizia che pubblica deve essere di interesse e
importanza per la stragrande maggioranza dei suoi lettori.
Attraverso le colonne dell’editoriale il giornale afferma la sua personalità,
commentando fatti ed eventi dal suo particolare punto di vista. Ma nelle pagine
di cronaca e attualità il tipico giornale americano moderno tenta di riprodurre,
con il dovuto riguardo per le notizie di interesse pubblico, gli eventi e le
dichiarazioni significative della giornata.
Non si chiede se un dato fatto è propaganda o meno: quel che conta è che sia
una notizia. E nella selezione delle notizie il giornalista è di solito
completamente indipendente. Nel «New York Times», per prendere un esempio
eccezionale, le notizie sono pubblicate in base al loro valore e per nessun’altra
ragione. I giornalisti del «Times» determinano in completa autonomia ciò che è,
o non è, una notizia rilevante – e non sono sottoposti ad alcuna censura. Non
sono influenzati da pressioni esterne né da qualsiasi valore di convenienza o
opportunismo. Il giornalista coscienzioso sa bene che il suo obbligo
fondamentale verso il pubblico è quello di riportare le notizie.
Se il consulente in pubbliche relazioni riesce a dar forma concreta a una
nuova idea e a farla pubblicare fra altri eventi o notizie, essa riceverà
l’attenzione che merita. Non si potrà dire che egli «sta contaminando il mondo
dell’informazione»; egli sta creando uno degli eventi del giorno, che nelle
redazioni sarà posto in competizione con altri eventi e notizie. Spesso gli eventi
creati dal propagandista possono essere particolarmente “digeribili” dal pubblico
di un certo quotidiano, e lui li creerà proprio avendo in mente quel pubblico.
Se i fatti importanti della vita odierna sono cose come le conversazioni
telefoniche transatlantiche, o le invenzioni di successo, o le auto rivoluzionarie
di Henry Ford – allora tutto ciò è in fin dei conti parte dell’attualità, ed è notizia.
Il cosiddetto flusso propagandistico che inonda le redazioni dei giornali può
finire nel cestino della spazzatura per una semplice decisione del capo redattore.
A questo riguardo vale la pena precisare che le fonti delle notizie offerte al
redattore dovrebbero essere sempre esplicitate chiaramente, e i fatti
accuratamente presentati.
La situazione delle riviste, dal punto di vista del propagandista, è ben diversa
da quella dei quotidiani. La rivista media non si assume alcun obbligo, come fa il
quotidiano, di riportare notizie d’attualità. Essa seleziona il suo materiale in
modo del tutto deliberato, in conformità con una determinata linea editoriale.
Una rivista non è, come il giornale, un organo di pubblica opinione, ma tende
piuttosto a diventare un organo propagandistico, che diffonde cioè una
particolare idea – che si tratti di gestione domestica, o abbigliamento, o bellezza
della casa, o di smitizzare la stessa opinione pubblica, o di edificazione generale,
di liberalismo o divertimento. Una rivista può mirare a vendere salute; un’altra
giardini all’inglese; un’altra abbigliamento maschile alla moda; un’altra ancora
filosofia nietzscheana.
In tutti i vari settori in cui le riviste si specializzano, il consulente in
pubbliche relazioni può giocare un ruolo importante. Egli potrebbe, per
l’interesse dei suoi clienti, assisterli nella creazione di eventi capaci di diffondere
ulteriormente la loro propaganda. Una banca, al fine di sottolineare la centralità
della sua offerta al pubblico femminile, può organizzarsi per rifornire una serie
di articoli e consigli sugli investimenti a una grande rivista destinata al pubblico
femminile. A sua volta la rivista utilizzerà questa nuova rubrica per aumentare il
suo prestigio e la sua diffusione.
La conferenza, un tempo potente mezzo per influenzare l’opinione pubblica,
ha cambiato il suo valore: di per sé può essere soltanto un simbolo, una
cerimonia; la sua importanza a fini propagandistici sta nel fatto che essa abbia
luogo. Il professor Tal dei tali, mentre sta illustrando una sua invenzione
rivoluzionaria, può parlare a cinquecento come solo a cinquanta persone. La sua
conferenza, se è importante, sarà trasmessa via radio, o un suo resoconto
apparirà sui giornali, e stimolerà discussioni. Il reale valore di una conferenza,
dal punto di vista della propaganda, sta nelle sue ripercussioni sul pubblico in
generale.
Per quanto la radio sia oggi uno degli strumenti più importanti a disposizione
del propagandista, il suo sviluppo futuro è tutto da tracciare. Essa può competere
con la carta stampata come medium pubblicitario, grazie alla sua capacità di
raggiungere contemporaneamente milioni di persone; e poiché l’inserzionista
medio ha un budget generalmente limitato, il denaro speso sulle radio tenderà ad
essere sottratto dai giornali. In che modo l’editore può sopravvivere a questo
nuovo fenomeno? I quotidiani hanno realizzato le potenzialità pubblicitarie delle
compagnie che producono apparecchi radiofonici, e delle compagnie che le
vendono, grandi e piccole; e hanno accordato alla radio, nelle loro pagine e
colonne, un’importanza proporzionale all’aumentare dell’attenzione del pubblico
per questo strumento. Allo stesso tempo alcuni quotidiani hanno acquisito
stazioni radio, e le hanno ricomprese in network di notizie e intrattenimento.
In futuro è possibile che questi grandi gruppi editoriali venderanno spazi
pubblicitari sia sulla radio che sui giornali, stipulando contratti per l’uno e per
l’altro mezzo di diffusione. Al momento ci sono già editori che operano in
questo modo, pur considerando le due imprese come separate.
Grandi gruppi politici, razziali, confessionali, economici o professionali,
tendono a controllare le radio per propagandare i loro punti di vista. È possibile
che l’America sia costretta ad adottare il sistema di licenze inglesi, dove non
sono gli inserzionisti ma gli utenti stessi a pagare? Se il sistema attuale sarà
modificato, l’inserzionista e il propagandista dovranno necessariamente
adattarvisi. Se in futuro lo spazio pubblicitario radiofonico sarà venduto
apertamente per quello che è, o se il messaggio raggiungerà il pubblico nella
forma di intrattenimento e notizie, o attraverso programmi rivolti a gruppi
particolari, il propagandista dovrà essere preparato a soddisfare le nuove
condizioni.
Il cinema americano è il più grande medium inconscio di propaganda oggi
esistente al mondo. Il cinema può standardizzare le idee e le abitudini di una
nazione. Poiché i film sono realizzati per rispondere alla domanda del mercato,
essi riflettono, enfatizzano e addirittura esagerano vaste tendenze popolari,
piuttosto che stimolare nuove idee e opinioni. Il cinema si adatta soltanto a
quelle idee e a quei fatti che sono già in voga: come il giornale cerca di fornire
notizie, così il cinema tenta di fornire intrattenimento.
Un altro strumento di propaganda è la personalità. Ci si è spinti troppo oltre
nello sfruttare i tratti delle personalità? Il presidente Coolidge fotografato in abiti
da cerimonia indiani in compagnia di veri capi tribù pellerossa è stato il climax
di una vacanza abbondantemente sfruttata dalla stampa. Ovviamente il rischio
per una personalità pubblica è di finire ridicolizzata dall’abuso dello stesso
meccanismo che ha contribuito a crearla.
Eppure la vivida drammatizzazione della personalità rimarrà sempre una
delle funzioni principali di un consulente in pubbliche relazioni. Istintivamente il
pubblico esigerà sempre una personalità da mettere in risalto per caratterizzare
una grande compagnia o un’impresa.
Ho sentito una storia secondo cui un grande finanziere aveva scaricato un
socio perché questo aveva divorziato dalla moglie.«Ma perché» chiese il socio,
«che cosa c’entrano i miei affari privati con la mia attività in banca?». «Se non
sei capace di gestire una moglie» fu la risposta, «le persone crederanno che non
sei capace di gestire i loro soldi».
Il propagandista deve trattare la personalità alla stregua di ogni altro fatto
oggettivo entro l’ambito delle sue mansioni.
Una personalità può creare circostanze nuove, proprio come Lindbergh
contribuì al riavvicinamento tra Messico e Stati Uniti. Gli eventi possono creare
personalità politiche, come la guerra cubana creò la figura di Roosevelt. È spesso
difficile dire chi crea chi. Una volta che una personalità pubblica ha deciso quali
fini desidera raggiungere, egli deve considerare se stesso oggettivamente e
presentare una sua immagine esterna che sia coerente con il suo vero carattere e i
suoi scopi.
Esistono una moltitudine di altre vie per approcciare la pubblica opinione,
alcune vecchie e altre, come la televisione, del tutto nuove – ma non tenterò qui
di discuterne singolarmente. Anche la scuola può divulgare informazioni su fatti
scientifici. Il fatto che un’impresa commerciale possa trarre profitto dalla
maggiore comprensione della sua attività non condanna di per sé la diffusione di
tali informazioni, a condizione che l’oggetto di studio abbia un qualche valore
per gli alunni. Se un panificio industriale contribuisce all’attività didattica di una
scuola con tavole e grafici che illustrano il processo di panificazione, e se le
spiegazioni sono precise e sincere, questa propaganda non è in alcun modo
riprovevole, purché le autorità scolastiche accettino o rifiutino questi contributi
esclusivamente in base al loro merito pedagogico.
Oggi può essere annunciato un nuovo prodotto proiettando il film di una
sfilata avvenuta a migliaia di chilometri di distanza. Il costruttore di un nuovo
aereoplano può rivolgersi personalmente a milioni di consumatori attraverso
radio e televisioni. In breve: chi vuole trasmettere all’opinione pubblica un
messaggio nel modo più efficace possibile deve essere pronto a utilizzare ogni
mezzo di propaganda.
Indubbiamente il pubblico sta diventando sempre più consapevole dei metodi
che vengono usati per modellare le sue opinioni e abitudini. Se il pubblico è
meglio informato sui processi che regolano la sua stessa vita, allora sarà tanto
più ricettivo agli appelli che, ragionevolmente, vanno incontro ai suoi stessi
interessi. Non importa però quanto sofisticata o cinica possa diventare l’opinione
pubblica riguardo ai mezzi pubblicitari: essa risponderà comunque agli appelli di
base, perché avrà sempre bisogno di cibo, bramerà divertimento e bellezza e
sempre si conformerà alla leadership.
Se l’opinione pubblica diventerà più intelligente nelle sue esigenze
commerciali, le aziende dovranno soddisfare i nuovi standard; se si stancherà dei
vecchi metodi usati per persuaderla della bontà di un’idea o di un prodotto, i
leader dovranno presentare i loro appelli in modo più intelligente.
La propaganda non morirà mai. Gli uomini intelligenti devono rendersi conto
che la propaganda è lo strumento d’elezione moderno grazie al quale possono
lottare in vista di fini produttivi e positivi – per portare ordine laddove regna il
caos.