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Nicolet Strutture Dell Italia Romana 2 1

Il documento tratta delle strutture dell'Italia romana tra il II e il I secolo a.C. Viene descritta la demografia, l'economia basata sull'agricoltura e le sue trasformazioni nel periodo considerato, con un aumento delle grandi proprietà terriere e dello sfruttamento della manodopera servile. Vengono inoltre analizzate le fonti disponibili per lo studio dell'economia rurale dell'epoca.

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Nicolet Strutture Dell Italia Romana 2 1

Il documento tratta delle strutture dell'Italia romana tra il II e il I secolo a.C. Viene descritta la demografia, l'economia basata sull'agricoltura e le sue trasformazioni nel periodo considerato, con un aumento delle grandi proprietà terriere e dello sfruttamento della manodopera servile. Vengono inoltre analizzate le fonti disponibili per lo studio dell'economia rurale dell'epoca.

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Nicolet strutture dell italia romana

Storia Romana
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna (UNIBO)
22 pag.

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9 NICOLET- STRUTTURE DELL’ITALIA ROMANA
CAPITOLO I: LE DIMENSIONI: GEOGRAFIA E DEMOGRAFIA
Roma diviene in brevissimo tempo la potenza mediterranea per eccellenza, con una forza
d’espansione tale che tutti cercano sin dagli inizi di spiegarla, applicando motivazioni religiose e
morali o anche parlando in termini di potenziale umano.
Il territorio italico subisce un processo di romanizzazione molto lento e solo dopo la Guerra Sociale
(90-88 a.C.) il territorio romano coinciderà con l’Italia geografica: si deve dunque distinguere per il
periodo trattato ciò che è propriamente romano da ciò che è italico. La popolazione romana
aumenta più velocemente di quella non romana dell’Italia perché Roma concedette spesso la
cittadinanza a individui e comunità e non fu limitata dai cittadini “perduti” per fondare colonie di
diritto latino.

1. LE FONTI
Abbiamo i risultati di 37 censimenti i cui hanno dato luogo a molti dubbi e incertezze anche se
colpisce la continuità delle cifre riportate (tra il 508 ed il 28 a.C.).
2. INTERPRETAZIONE DELLE CIFRE DEL CENSO
Lo scopo dei censimenti era di valutare le risorse militari della città e definire la gerarchia fiscale e
quindi civile. Si pensa che la cifra riportata come conclusione dei censimenti riguardasse solo i
maschi in grado di essere reclutati come soldati, i seniores (più anziani di 60 anni), i cittadini sine
suffragio, i proletari e i capite censi. La cifra rappresentata è quindi solo una parte della popolazione
totale in cui erano comprese anche le donne, schiavi, stranieri residenti, bambini, ecc… Si calcola
che il rapporto tra alleati italici e romani sia di 2:1, mentre è impossibile calcolare precisamente la
popolazione servile (troppo dipendente dalle guerre di conquista) anche se doveva essere 1/3 circa
della popolazione locale.
3. RIPARTIZIONE E MOVIMENTI DELLA POPOLAZIONE
Bisognerebbe sapere il tasso di riproduzione e crescita della popolazione, dati sull’immigrazione e
l’emigrazione e la distribuzione della popolazione tra città e zone rurali.
Alcuni dati sono:
a) Movimento globale della popolazione: nonostante guerre, carestie ed epidemie non c’è un
regresso né crollo demografico. Anche se difficoltà di reclutamento sono testimoniate tra il 164 e il
124 probabilmente si tratta di un calo assoluto ma non solo in relazione alla popolazione
militarizzabile. Non si conosce la distribuzione della popolazione tra zone urbane e rurali anche se
si deve tenere conto della popolosità di alcune città (dimostrato dalle cinte murarie e dal numero di
beneficiari di distribuzioni di grano a Roma).
b) Emigrazione: è certo che vi è stata una decisa emigrazione dall’Italia verso le province
occidentali (Spagna, Africa, Gallia) fin dal II secolo con carattere rurale, mentre i romani d’Oriente
erano più spesso commercianti o banchieri.
Il segreto della forza espansionistica di Roma non risiede nelle cifre della popolazione ma nel fatto
che il totale della popolazione italica libera coincide con il totale dei cittadini.

CAPITOLO II: L’ECONOMIA. MENTALITA’ E CONOSCENZE.


L’AGRICOLTURA.
La produzione, gli scambi e il consumo di beni materiali hanno un ruolo considerevole in questo
periodo. Questo è comprovato dall’esistenza di grandi comunità cittadine che dovevano essere
mantenute dal surplus agrario. L’insieme di questi cicli di produzione, scambio e consumo ha
relazioni anche con altri campi (organizzazione civica, relazioni sociali, fatti diplomatici e militari,
ecc…). E’ anche significativo che i trattati d’economia più completi che l’antichità romana ci abbia
tramandato siano di economia rurale e agronomia. Sarebbe inutile cercare nell’antichità dei teorici

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dell’economia, anche se alcune considerazioni pratiche dovettero svilupparsi sul piano pratico e
alcune riflessioni possono trovarsi nei testi degli storici e dei filosofi, non abbiamo mai una politica
economica realmente consapevole e di ampio respiro da parte degli Stati antichi. Un altro tipo di
documentazione è quello delle testimonianze relative alle operazioni finanziarie di senatori e
cavalieri, frammenti di diritto civile, epigrafi che testimoniano associazioni commerciali, infine
l’archeologia potrebbe mettere in evidenza centri di produzione, aree di diffusione, correnti
commerciali.

L’AGRICOLTURA ITALIANA DAL II AL I SECOLO a.C.


1. LE FONTI
L’economia rurale nel mondo antico doveva avere un’assoluta preminenza. Le fonti di cui possiamo
disporre per studiarle sono:
4. gli agronomi e la loro letteratura tecnica (Catone, Saserna, Varrone, Columella, Plinio);
5. gli agrimensores, geometri e giuristi che trattano della condizione giuridica dei terreni e
delle divisioni catastali;
6. frammenti di informazioni estrapolabili dalle fonti letterarie;
7. archeologia, che potrebbe studiare la ripartizione cronologica e l’estensione degli
insediamenti rurali.
2. I DATI GEOGRAFICI E FISICI
L’Italia in questo periodo non può essere considerata come un insieme unitario.
Da un punto di vista generale le condizioni climatiche orientano verso un’agricoltura
tendenzialmente cerealicola e arbustiva, e anche verso l’allevamento. A livello locale la policoltura
rappresenta la norma e l’economia di sussistenza è senz’altro dominante (dopo le conquiste del
Mediterraneo ci fu la fine dell’agricoltura di sussistenza).
Dal I secolo si caratterizzano alcuni grandi complessi di culture “specializzate” (per quanto poco si
possa parlare di specializzazione agricola nel mondo antico):
• viti e ulivi in Campania, nel Sannio;
• agricoltura e allevamento nella pianura del Po’ e in Lucania.
3. LE TECNICHE
Il periodo tra III e I secolo non ha conosciuto grandi cambiamenti tecnici ma solo lenti
perfezionamenti. L’agricoltura è quasi esclusivamente manuale, l’aratro non ha ruote o versoio e gli
attrezzi sono destinati ad un uso prevalentemente manuale.
Nella selezione e introduzione di nuove specie si manifestano invece grandi cambiamenti e le
tecniche di miglioramento dei terreni sono relativamente avanzate, soprattutto nel I secolo.
4. I SISTEMI DI COLTIVAZIONE
Sembra che si abbia su larga scala la scomparsa della policoltura a vantaggio di nuovi tipi di
coltivazioni specializzate ma in realtà non si è mai abbandonata l’idea della fattoria mista e
autarchica.
5. LETRASFORMAZIONI DELL?AGRICOLTURA ITALIANA NEL II-I
SECOLO a.C.
Spedizioni dalle province e importazioni si moltiplicano dal II secolo, ma è probabilmente causato
più dall’aumento del consumo che non da un abbassamento della produzione. Si ha infatti anche il
passaggio da una dieta a base di pappa e focacce a una in cui prevale il pane (per cui devono essere
usati più cereali) e si ha lo sviluppo delle colture arbustive a svantaggio delle coltivazioni
cerealicole.
Il vino era importato dalla Grecia e dalla Gallia, i primi vini italiani si svilupparono solo nel I
secolo a.C.
L’allevamento si sviluppa in modo sensibile, ma è usato per la carne e per la lana o le funzioni
agricole che non per il latte; era consigliato per il basso impiego di manodopera, spesso servile, e
per il poco terreno di cui necessitava.
6. LE STRUTTURE: ESTENSIONE DELLA PROPRIETA’ E DELLE
COLTURE. MODI DI UTILIZZO DEL SUOLO.

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Le fonti antiche sono concordi nel parlare della diminuzione del numero di piccoli e medi
proprietari e di un relativo spopolamento delle campagne a vantaggio della città. Anche se le
piccole proprietà non erano scomparse completamente, medi e grandi proprietari sono molto più
attestati. Queste grandi tenute mirano ad assicurare l’autoconsumo dei prodotti necessari alla
fattoria e la produzione di un surplus largamente commercializzabile. Non bisogna dimenticare
inoltre che la terra era l’investimento per eccellenza di senatori e cavalieri, tradizionalmente grandi
proprietari. Questa situazione si estenderà dopo le guerre civili grazie alle liste di proscrizione
creando un ancor maggiore squilibrio.
7. MODI DI SFRUTTAMENTO: IL PROBLEMA DELLA MANODOPERA
AGRICOLA.
Questo complesso problema presenta sfaccettature sia economiche che sociali. Le condizioni della
manodopera erano molto più varie che la semplice e tradizionale opposizione liberi-schiavi. La
manodopera servile è ampiamente testimoniata già dal III secolo, vi erano però anche mezzadri e
affituari, operai a cottimo e debitori. La sproporzione era però tale che lo Stato dovette intervenire
per garantire che almeno una parte della manodopera impiegata non fosse servile (uno dei
provvedimenti di Cesare).
Dalla fine della Repubblica si estese anche la pratica, già esistente, dell’affitto di lotti di terreno a
contadini indipendenti, liberi o anche schiavi. Non esiste dal punto di vista giuridico, alcun legame
tra la terra e gli uomini che la coltivano, la terra non crea un diritto e i rapporti della manodopera
rurale sono regolati dal diritto civile: è dunque inesatto parlare di feudalesimo o signoria.
La nozione stessa di profitto per quanto riguarda la terra è il più delle volte assente: conta solo il
capitale, che arreca prestigio e dignitas.
CAPITOLO III: LA “QUESTIONE AGRARIA”
La storia della Repubblica è praticamente scandita dalla crisi agraria. La “questione agraria” non è
una crisi agricola ma ha aspetti economici, anche se essi sono subalterni; in realtà la questione è
sociale: la nuova agricoltura italica nutre un numero minore di contadini liberi e proprietari,
soprattutto nelle zone dove l’allevamento ha preso il posto dell’agricoltura. Molti cittadini sono
costretti a trasferirsi nelle città ma richiedono terre da coltivare. La crisi agraria inoltre riguarda
esclusivamente l’ager publicus; le terre private non interessavano lo Stato. Si ha dunque 3 livelli di
crisi: giuridico, geografico-economico e civico-demografico.
.1 L’AGER PUBLICUS: DATI GIURIDICI
L’ager publicus (terreno demaniale di proprietà collettiva dello Stato) è il patrimonio del popolo,
magistrati e senato sono responsabili della sua amministrazione e tecnicamente era possibile, anche
se disdicevole, alienarne alcune porzioni o usarle per creare colonie. I terreni paludosi o boscosi
erano appaltati per il pascolo mentre quelli coltivabili erano spesso lasciati ai vecchi proprietari
dietro il pagamento di un canone. I terreni incolti e mai assegnati potevano essere occupati da chi
ne avesse la possibilità senza tuttavia che divenisse una proprietà privata; questo causò ovviamente
usurpazioni e conflitti, nonostante sporadici controlli statali. Il regime dell’ager publicus era di fatto
ambiguo ed è da questa ambiguità che deriva la crisi agraria.
.2 LA DIMENSIONE GEOGRAFICA
La nostra documentazione sulla geografia dell’ager publicus è purtroppo estremamente lacunosa.
Abitualmente i romani confiscavano una parte variabile del territorio dei popoli vinti. Alcune fonti
potrebbero essere testi storici, la letteratura tecnica degli agrimensori, i cippi graccani e
l’archeologia aerea. Alla geografia dell’ager publicus è legato il problema demografico: i cittadini
autosufficienti erano preziosi perché militarizzabili e il loro numero continuava a calare per le
espropriazioni o le usurpazioni dei terreni. Anche sotto l’aspetto demografico la crisi si riallaccia
agli aspetti giuridici e sociali del problema.
.3 I PRECEDENTI DELLA POLITICA GRACCANA
Tiberio Gracco in un primo tempo presentò la sua “rogatio” agraria come il rinnovamento di una
legge precedente che stabiliva l’impossibilità di possedere più di 500 iugeri dell’ager publicus,
anche se è ancora discusso di quale legge si trattasse. La sua applicazione era però quasi
impossibile a causa degli espedienti escogitati dai grandi possessori.

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.4 LA LEGGE SEMPRONIA E IL SUO DESTINO (133-111 a.C.)
In un primo tempo Tiberio ed i suoi consiglieri avrebbero redatto una proposta moderata che
sarebbe diventata più radicale in risposta all’opposizione degli avversari.
Ecco i punti principali della legge:
a) limitazione del diritto di possesso; inizialmente era prevista un’indennità per i surplus
recuperati che sarebbe scomparsa nella seconda stesura. In compenso si accordava ai proprietari il
pieno diritto di proprietà e l’ager divenne da pubblico a privato.
b) Distribuzioni ai cittadini poveri di lotti inalienabili di estensione variabile, di cui non si sa se
avessero diritto di proprietà o solo godimento.
c) Nomina di un triumvirato agrario incaricato del recupero del trasferimento e
dell’assegnazione dei terren i, a cui si sarebbero aggiunte con una legge successiva competenze
giuridiche sui contenziosi agrari. Esso doveva dividere l’agro pubblico da quello privato, stabilire i
confini ed esaminare i titoli di proprietà e concessione.
.5 L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE SEMPRONIA (133-125)
Il primo triumvirato agrario fu composto da Tiberio, suo fratello Caio e il suocero Appio Claudio.
Dovettero incontrare difficoltà giuridiche e sociali molto vaste, ma la legge agraria pare dai
censimenti aver funzionato anche se è impossibile per noi quantificare con precisione gli effetti. È
però probabile che i possessores allontanati fossero in gran parte italici piuttosto che romani. Nel
123 Caio Gracco, divenuto tribuno, fece votare un’altra legge agraria che doveva essere simile a
quella del fratello ma che comprendeva anche la fondazione di alcune colonie. Fin dal 121 erano
state proposte leggi che pur non abolendo la legge agraria la snaturavano: possibilità di vendere il
proprio lotto, il terreno anziché essere distribuito sarebbe stato venduto e il ricavato destinato al
popolo (limitando comunque l’aumento dei cittadini). Ciò che rimaneva dell’ager publicus fu per la
maggior parte dichiarato privato con o senza pagamento d’indennità. Solo i terreni liberi restavano
pubblici, ma il diritto al pascolo ne rendeva difficile il recupero.
.6 LA QUESTIONE AGRARIA DA APULEIO SATURNINUS
(103-100) FINO ALL’EPOCA DEL II TRIUMVIRATO
Le leggi dei Gracchi miravano alla creazione di uno strato di cittadini militarizzabili. Con Silla (81)
e Cesare (59) si ha l’assegnazione di terra ai veterani dei propri eserciti: politica agraria e coloniale
si confondono.
Livio Druso (91) ripropose un nuovo recupero di ager publicus a danno dei possessores ma questa
proposta allarmò gli alleati italici.
Le distribuzioni sillane avvennero g razie alla confisca di terre di comunità che avevano parteggiato
per Mario e si crearono una ventina di colonie i cui lotti erano inalienabili (ma ciò non fu più
rispettato). Le terre invece frutto delle proscrizioni vennero vendute, accelerando il fenomeno di
concentrazione della proprietà. Le condizioni sfavorevoli, le continue agitazioni socio-politiche e
l’usura portarono al fallimento i lotti dei veterani a vantaggio dei grandi possidenti che le
acquisteranno a basso prezzo.
La lex Iulia (59), approvata con l’appoggio di Pompeo direttamente dai comizi e senza
l’approvazione del senato, prevedeva che si acquistassero terre (con i bottini e le entrate delle nuove
province) da distribuire tra i veterani di Pompeo e la plebe urbana. È l’ultima volta che in una legge
agraria si prevede la distribuzione di terra anche a civili, in seguito ne beneficeranno solo i veterani.
La costituzione del secondo triumvirato nel 43 segnò la ripresa delle assegnazioni e installazioni di
colonie su vasta scala. Si trattava di accattivarsi eserciti con ricompense considerevoli a scapito dei
nemici dei triumviri. Lo scopo da Silla in poi non fu risolvere un problema, ma assicurarsi clientele
militari.
CAPITOLO IV: ARTIGIANATO, INDUSTRIA, COMMERCIO
La produzione urbana di beni di ogni genere è largamente testimoniata e sviluppata in Italia. La vita
urbana, il mantenimento di eserciti e flotte rendono necessarie la produzione di molti manufatti.
Tuttavia correnti commerciali a vasto raggio e regioni specializzate compaiono inizialmente solo
per i metalli preziosi.
.1 PRODUZIONI E PRODOTTI

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A) Tessili, legname e cuoio. Difficilmente tale settore affiora nella grande storia, ha poche
implicazioni politiche e militari e sfugge in gran parte all’archeologia per la natura stessa dei
materiali. Tuttavia rappresenta una parte importante della produzione (molto spesso domestica)
antica.
B) Miniere e metallurgia. In questo campo le differenze geografiche hanno generato ben presto
correnti commercializzabili e zone specializzate. Ferro e metalli preziosi interessavano agli Stati
per le forniture militari ed esigenze militari. L’industria estrattiva, le miniere, costituiscono
indubbiamente il solo settore dell’economia antica che abbia dato luogo a uno sfruttamento su vasta
scala, che implicava tecniche avanzate, grossi capitali e sfruttamento ampio della manodopera. Non
abbiamo informazioni esatte sullo stato giuridico delle miniere, ma probabilmente erano statali e
venivano appaltate. La trasformazione dei metalli in oggetti lavorati avveniva in più luoghi, a volte
vicino alle miniere ma anche lontano perché i lingotti erano facilmente trasportabili.
.2 COSTRUZIONI E LAVORI PUBBLICI
L’edilizia rappresenta il solo investimento consistente dell’antichità. L’acquisto o la costruzione di
villae era un investimento frequente per i senatori e cavalieri ricchi. L’attività è sviluppata
soprattutto in città, specialmente a Roma dove il problema del sovrappopolamento crebbe dal II
secolo, quando gli italici emigrarono nell’Urbe. Un’attività edilizia di questo genere occupava un
gran numero di manodopera ma non conosciamo la loro organizzazione nell’epoca che ci interessa.
Non solo Roma ma anche le altre città italiane videro una fioritura monumentale, soprattutto dopo
la guerra sociale. Siamo al contrario ben informati sui lavori pubblici e sulle opere pubbliche:
restauro o costruzione dei templi, strade, acquedotti, edifici pubblici a destinazione civica, ecc…
solo alcuni di questi lavori furono compiuti direttamente dallo Stato usando manodopera generale
ma solitamente erano dati in appalto a redemptores.
Possono individuarsi tre grandi fasi edilizie: una dopo la II guerra punica (218-201 a.C.), una nel 62
grazie alle vittorie di Pompeo e una tra il 56 e il 50 in una gara di popolarità tra Pompeo e Cesare.
Tutti questi monumenti concorrevano sicuramente a rendere la vita urbana più piacevole e a
conquistare i favori del popolo, ma serviva anche sul piano sociale a dare lavoro ai disoccupati.
.3 COMUNICAZIONE E MEZZI DI SCAMBIO
Centralizzando a Roma la raccolta di surplus e prelievi fiscali dal mondo, unificando Oriente e
Occidente, facendo dell’Italia un polo di consumo sempre più importante e assicurando una relativa
sicurezza nei trasporti, la conquista romana creò condizioni completamente nuove e intensificò
scambi di ogni genere.
Occorre analizzare l’infrastruttura tecnica degli scambi: le vie, le attrezzature portuali e i mezzi di
trasporto, le tecniche di navigazione ma anche le monete, le pratiche finanziarie, il diritto e la
distribuzione sociale delle professioni.
a) le strade: la costruzione e manutenzione del sistema stradale assumono con Roma
un’importanza maggiore di quella che ebbero in Grecia. Lo scopo principale di queste vie era
strategico ma esse potevano trasportare anche persone e merci pur non essendo necessariamente un
polo di attrazione economica. Non deve essere sottovalutata inoltre la navigazione fluviale.
b) Navigazione marittima e porti: i romani scoprirono il mare direttamente piuttosto tardi;
diventa una potenza navale militare già dalla prima guerra punica, dalla seconda diviene una
potenza marittima anche a livello c ommerciale.
Le condizioni tecniche sono quelle del mondo ellenico, con la maggior parte delle navi a vela di
medio tonnellaggio e dalle velocità estremamente variabili. È soprattutto la necessità di assicurare
l’approvvigionamento ufficiale di Roma a determinare l’organizzazione dei primi trasporti regolari.
In ambito portuale l’Italia è molto meno avanzata del mondo ellenico. Fino alla guerra contro
Annibale i porti maggiori furono Taranto e Napoli. Contro entrambi la politica di Roma fu di creare
porti concorrenziali, Brindisi e Pozzuoli. Nel II secolo il maggiore porto era la stessa Roma che
però verrà soppiantata da Ostia nel I secolo anche se si creerà una rete di battelli lungo il Tevere per
trasportare le merci dirette al mercato dell’Urbe. Gli altri grandi porti del Mediterraneo sono molto
meno noti: Marsiglia, Cartagena e fino al 146 Cartagine, poi soppiantata da Utica.
c) sicurezza dei mari e libertà di navigazione: le tecniche di navigazione erano soprattutto
basate sulla conoscenza delle coste, in alto mare l’assenza di strumenti precisi è un grave ostacolo.

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Ai pericoli e alle incertezze della navigazione si aggiungevano quelli della pirateria. Nel
Mediterraneo orientale alcune potenze egemoni riuscirono a stabilire un certo controllo; anche in
questo campo la conquista e l’egemonia esercitate da Roma la portarono a sostituirsi agli Stati
ellenistici, con la limitazione che Roma non ebbe una flotta permanente prima dell’Impero (la
creerà Ottaviano).
d) La moneta: l’economia mediterranea, dal VII secolo è in parte un’economia monetizzata e
Roma entrerà a farne parte almeno dal IV secolo grazie a influenze greche. La moneta rimarrà fino
all’Impero romano uno strumento principalmente politico degli Stati, che giocano sul valore reale e
quello nominale della moneta. Per datare le fasi della monetazione ci possiamo basare sia sulle
monete stesse che su alcuni testi. La base della monetazione romana era la moneta in bronzo, la
coniazione di monete d’argento comincerà solo dal 269 su esempio delle monete greche. In seguito
a modifiche estremamente rapide nel corso della seconda guerra punica si sviluppa nel II secolo la
professione del nummularius, legata al cambio e alla banca. Lo Stato del resto s’interessa ai
problemi economici solo se hanno ripercussioni politiche. La quantità di metallo prezioso coniata
da Roma è molto superiore a quella del mondo ellenistico. In seguito la moneta romana tende a
divenire moneta mondiale. L’Italia, e il mondo, verso il I secolo a.C. sembrano aver vissuto una
costante penuria di valuta monetaria e la piccolezza delle monete sembra aver reso difficile, se non
impossibile, il pagamento in contanti di somme considerevoli.
.4 TECNICHE FINANZIARIE E BANCARIE: BANCA E DIRITTO
MARITTIMO
Dal IV secolo, in Attica, le operazioni di attività commerciali e finanziarie avevano portato a
sviluppare pratiche che favorivano gli scambi, anche se molte erano di carattere estremamente
primitivo. Inseritasi tardi in questo mondo, Roma aveva un diritto molto arcaico e formalista che
limita ancor più l’autonomia e lo sviluppo degli affari. Lo strumento fondamentale di ogni attività
finanziaria a Roma è il codex, il libro contabile che ogni pater familias deve tenere, quale che sia la
sua condizione economica, e che aveva valore legale nei contratti (ad esempio nei crediti). Il
trasferimento dei crediti è molto difficile e limitato presso i romani; il sistema romano delle
obbligazioni e dei contratti si fonda sull’uso generalizzato delle cauzioni mediante garanzie (di
solito beni immobili o terreni).
-LA “BANCA ROMANA”. Mancano gli studi esaurienti a causa delle difficoltà dovute alla
documentazione, ci si può basare quasi esclusivamente sul corpus ciceroniano. Il mestiere del
banchiere esiste ma sono molto più numerosi coloro che prestano denaro senza per questo assumere
la qualifica professionale, ma presentando le loro attività come “servizi”. La banca italiana del I
secolo a.C. era soprattutto una banca di deposito e quasi mai d’affari. A Roma non esiste una banca
pubblica, ma solo societas, associazioni a fini di lucro, a cui il diritto dava alcune direttive; questa
forma di costituzione del capitale restava molto poco sviluppata e limitata a persone che si
conoscevano.
Dal II secolo le grandi società appaltatrici hanno funzionato secondo un modello diverso: potevano
essere permanenti, la partecipazione poteva essere trasferibile e possedevano anche una personalità
giuridica.
-IL DIRITTO NAUTICO. Colui che faceva un prestito marittimo assumeva ogni rischio ed era
rimborsato solo se il viaggio aveva successo. A Roma la nozione di assicurazione esisteva già nel
215.
5. FORME ECONOMICHE DEL COMMERCIO E DELL’INDUSTRIA
Una certa integrazione e concentrazione esistevano senza dubbio nell’industria mineraria ed
estrattiva e forse anche in quella ceramica, mentre per il commercio possiamo fare lo stesso
ragionamento con il grano.
Notiamo la tendenza al raggruppamento geografico degli artigiani e dei commercianti nelle città, in
associazioni e collegia dai molteplici scopi, religiosi e funerari ma anche potevano intervenire nella
vita economica e dovevano compiere una specie di controllo sulla corporazione.
6. LE GRANDI CORRENTI DI SCAMBIO E LA LORO EVOLUZIONE
Nonostante le limitazioni, non si può negare l’esistenza di reti di scambio in tutto il Mediterraneo.
Nel II e I secolo a.C. si opera anche una relativa “integrazione” grazie all’unificazione politica e

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amministrativa: Roma ne ricavava soprattutto entrate fiscali. Le correnti di scambio controllate
dall’Urbe si sviluppano prevalentemente verso l’Italia in cui i municipi hanno enormi esigenze.
Naturalmente questo non autorizza a parlare di mercato mondiale, ma era la prima volta nel mondo
antico che gli avvenimenti hanno una loro ripercussione su Roma.
EVOLUZIONE DELLE CORRENTI DI SCAMBIO. Questa è, secondo i moderni, strettamente
legata alla conquista che la determina. I fatti di maggior rilievo sono la voluta rottura degli equilibri
esistenti nell’Egeo a vantaggio di Delo (che, divenuta porto franco, conobbe la sua maggior
prosperità nel II secolo) contro Rodi; la distruzione di Corinto e Cartagine e la presenza di mercanti
italici e romani in stretto contatto con l’Urbe in tutto il Mediterraneo.
La tracciatura delle carte delle correnti commerciali riguardo ai prodotti principali può avvenire
solo tramite direzioni sommarie. Grano e cereali trovano a Roma un enorme consumo, che esigeva
importazioni e rotte ben organizzate.
CAPITOLO V: STRUTTURE E RAPPORTI SOCIALI
1. PROBLEMI DI METODO
Il mondo mediterraneo che si sta unificando grazie ai romani dal II al I secolo non è una società
globale, ma è formata da innumerevoli Stati, città, etnie e microcosmi. Anche l’Italia è un mosaico
di comunità e collettività ancora relativamente autonome fino al 90 a.C. e Roma stessa non è un
tutto coerente e strutturato dal punto di vista sociale. Fare l’analisi di una società significa
inventariare gruppi sufficientemente coerenti, identificarli e isolarli. Ogni individuo appartiene a
numerose gerarchie parallele, secondo il criterio con cui lo si considera. Esistono a Roma tre serie
di termini distinti:
C) termini tecnici e precisi che indicano mestieri e attività professionali, non danno indicazioni
riguardo ai guadagni e non sono applicabili agli strati dominanti.
D) Termini, spesso in opposizione e in coppia, che descrivono fratture e contrasti; vanno
studiati in base al contesto in cui sono inseriti e hanno in comune un carattere vago e metaforico,
descrivono le situazioni ma non le cause.
E) Parole (sostantivi o aggettivi) che hanno tutte un preciso valore di status che attribuiscono a
un individuo o a un gruppo, un posto determinato in una determinata gerarchia. Alcuni di questo
status sono ereditari o lo diventano, gli uomini che li possiedono in comune formano dei gruppi
coerenti. A questi gruppi corrispondono titoli che prendono gli individui e le famiglie che vi sono
riunite.
2. CLASSI, ORDINI, SISTEMA CENSITARIO
Le varie categorie ufficiali e gerarchizzate in cui si suddivide la popolazione civica romana si
articola in base al censo. La città romana è dunque per sua natura profondamente in egalitaria.
All’inizio le finalità del censimento sono limitate al settore militare, fiscale e politico. Coloro che
possono essere arruolati saranno gli assidui, a cui si oppongono i capite censi e proletari, e si
divideranno in 5 classi censitarie numerate. I cavalieri sono i “migliori”, quindi i più ricchi e i
giuridicamente più distinti (sono esclusi i liberti). Le classi sono poi divise in centurie, unità di
reclutamento fiscale e di voto.
Ai censori spetta anche il compito di redigere le liste del senato, degli ufficiali dell’amministrazione
(scribi, littori, banditori, ecc…) e dei pubblicani. Il termine usato per definire i vari gruppi è spesso
ordines (non classis) ma sono gruppi riconosciuti ufficialmente e controllati. Se per tutta l’età
repubblicana si potrà parlare di ordine senatorio e solo per i membri dell’Assemblea, sotto l’Impero
l’ordine coinvolgerà anche mogli e figli dei senatori. Gli ordini romani non sono altro che liste
d’idoneità.
Altri ordini potevano anche essere indipendenti dal censo: patrizi e nobili ad esempio. I patrizi sono
i discendenti dei titolari della magistratura suprema con imperium degli inizi della repubblica.
Socialmente si tratta di un gruppo di famiglie a carattere politico religioso costituitosi tra il 508 e il
433.
La nobilitas sono delle persone di cui un antenato diretto ha esercitato una magistratura curule, o
addirittura solo il consolato; antichità dell’accesso alla magistratura, numero e importanza delle
cariche, presenza di trionfi o censure sono sfumature molto sentite. Nessun privilegio di diritto è
riservato alla nobiltà ma in pratica il consolato dal II secolo le sembra riservato.

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I due ordines più consistenti però sono quello equestre e quello senatorio. Come se ne entra a far
parte e in cosa consistono i loro patrimoni? È corretto trattarli come un unico gruppo, dato che le
differenze esistenti derivano dalla specializzazione politica, dalle proibizioni e dalle incompatibilità
legali.
A) LA TRAFILA DEL RECLUTAMENTO. In senato si entra a far parte dopo aver esercitato una
magistratura per la quale ci si era candidati. Le tradizioni gentilizie e clientelari agiscono in questo
ambito. Un cavaliere che voglia percorrere il cursus dovrà avere compiuto il servizio militare
almeno come membro di uno stato maggiore, o una carriera di avvocatura e non essere dediti ad
attività economiche disdicevoli (gli appalti o l’usura ad esempio).
B) FONDAMENTI ECONOMICI. Cavalieri e senatori sono i più ricchi e la loro ricchezza doveva
consistere per lo più in terre, fonte di dignitas. Non vi sono contrasti tra i due ordini per le altre
attività: entrambi praticavano l’usura, anche se i senatori dovevano farlo illegalmente.
Il solo contrasto riguarderebbe le imposte, formalmente proibite ai senatori, ma alcuni di loro erano
legati ai pubblicani a cui facevano favoriti in cambio di una parte dei guadagni. La
contrapposizione aristocrazia terriera-borghesia equestre non è in realtà mai esistita nella pratica.
F) GLI ORDINI AMMINISTRATIVI. L’ordo dei pubblicani non è costituito che dai socii delle
società permanenti e anonime. Quello degli scribi, aviatore, littori, ecc … sono aperti ai liberti e
danno l’idoneità per l’ordine equestre.
G) LA PLEBE E GLI ALTRI CRITERI DI STRUTTURAZIONE SOCIALE. Roma era
diventata, forse già dal IV secolo un notevole centro economico, sviluppatosi partendo da
un’attività portuale, commerciale e artigianale importante. La vita urbana era imperniata sulla
produzione artigianale, l’edilizia e gli scambi presupponevano l’esistenza di “mestieri” diversificati.
Al vertice della classe finanziaria mercantile ci sono i negotiatores, il cui strato più alto è
appartenente all’ordine equestre, quello inferiore è rappresentato da artigiani e commercianti meno
importanti. I tabernarii erano i bottegai, importantissime pedine di propaganda politica in caso di
disordini; una parte di loro sono liberti e sono spesso in possesso di una specializzazione
economica. Si oppongono perciò molto spesso ai proletari. Questi ultimi sono uomini liberi che
vivono come salariati o che dipendono dalle elargizioni pubbliche o private. Alla fine erano i
lumpenproletarii, le “classi pericolose”, governate da demagoghi per fare pressioni politiche.
H) LA PLEBE RURALE. Al di sotto dei grandissimi proprietari terrieri c’è una gerarchia di
medi e piccoli possidenti e coloni, i salariati e la manodopera servile. Il problema è di stimare la
condizione esatta di questa plebe e dei suoi rapporti con gli schiavi da cui non dovevano differire
molto.
3. LA SCHIAVITU’
La schiavitù è ovunque presente nella società romano-italica fin dall’epoca regia. Lo schiavo per gli
antichi era un individuo che, non disponendo della propria libertà, apparteneva ad un altro
divenendo uno “strumento animato”; nel diritto esso è inteso come un essere sprovvisto della
propria personalità giuridica, oggetto e non soggetto del diritto. Ma appartenendo al padrone lo
schiavo si integra con la famiglia. Nel periodo preso in esame in Italia il ruolo e l’importanza della
schiavitù si accrebbe notevolmente.
A) IL PROBLEMA DEL NUMERO DEGLI SCHIAVI IN ITALIA. Si è cercato di calcolarlo
ma non abbiamo dati precisi. Si può ritenere che il loro numero fosse rilevante, uguale o forse due
volte superiore alla popolazione libera, con una schiacciante superiorità nelle campagne.
B) LE FONTI DI APPROVIGIONAMENTO DEGLI SCHIAVI. Prigionieri di guerra, schiavi
acquistati e bambini nati da genitori schiavi erano i mezzi di schiavitù principali. Altri potevano
essere la schiavitù per debiti o la vendita di bambini. L’origine straniera degli schiavi è riscontrabile
nella dimensione epigrafica; l’arrivo massiccio di schiavi in Italia nel II secolo ha permesso lo
sviluppo di un nuovo tipo di agricoltura, favorendo la concentrazione della proprietà.
Anche se il mestiere del mercante di schiavi era malvisto la crescita del numero degli schiavi di
lusso dai prezzi elevatissimi incoraggiava questo genere di commercio. La condizione giuridica
degli schiavi per debiti è diversa da quella degli schiavi-merce così come lo era la posizione dei
gladiatori.

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C) CONDIZIONE DEGLI SCHIAVI. Al più basso gradino della gerarchia servile erano i
minatori, sfruttati nel modo più duro. Immediatamente sopra questi troviamo la manodopera rurale
da cui si distinguono gli schiavi agricoltori specializzati e di grande valore.
Gli schiavi urbani avevano altre possibilità: alcuni, vicini al padrone e con un ruolo importante
all’interno della casa, potevano essere liberati. Il legame personale con il padrone giocava a favore
dello schiavo procurandogli una condizione proporzionale a quella del padrone. Altri schiavi urbani
lavoravano nell’artigianato e nel commercio, come gladiatori o bravi.
D) I LIBERTI. In generale le possibilità di essere liberati erano molto minori per gli schiavi
rurali che per quelli urbani. Il diritto riconosceva 3 forme di manomissione:
-attraverso il censo: il padrone autorizz ava lo schiavo a farsi iscrivere davanti ai censori;
-mediante la vindicta: davanti a un pretore una terza persona rivendicava lo schiavo in libertà;
-tramite testamento ed era la forma più frequente.
Si aveva poi una manomissione informale che dipendeva solo dalla volontà del padrone. Rimaneva
un legame tra liberto e patrono: il primo doveva l’obsequium, il secondo protezione. Per quanto
riguarda il diritto pubblico le condizioni dei liberti sono complesse: diventano cittadini di pieno
diritto e costituiscono un ordo; il problema fondamentale era quello dell’attribuzione a una tribù. I
liberti infatti erano una forza politica reale, divenivano praticamente clienti del proprio patrono e i
leader politici dovevano tenerne conto. In teoria poi i liberti non potevano far parte dell’ordine
equestre ma potevano inserirvisi con alcuni espedienti.
Le cause delle manomissioni potevano essere diverse: ricompense per certi servizi o per valorizzare
uomini in cui si aveva fiducia, o era la logica conclusione di una relativa indipendenza economica
tramite il riscatto; poteva anche succedere che lo Stato decidesse la liberazione individuale o
complessiva di alcuni schiavi per ricompensa o in caso di necessità. Le manomissioni erano
diventate estremamente numerose alla fine della Repubblica.
E) I RAPPORTI “SCHIAVISTICI”. La schiavitù produce nella società antica rapporti
particolari e ambigui. La città proteggeva soprattutto i padroni: contro la fuga e in caso di rivolta. Si
ebbero infatti grandi rivolte servili: quella di Spartaco (72-71) fu l’ultima grande insurrezione che
richiese la mobilitazione di veri e propri eserciti.
4. LEGAMI PERSONALI
Nella società romana le distinzioni più marcate erano di ordine giuridico (cittadini liberi, ecc…),
spesso accostate e intrecciate a distinzioni economiche. Il problema dei debiti sconvolgeva la
società a tutti i livelli, la società privilegia al massimo la proprietà privata ma non impone su di essa
nessuna rendita di posizione a vantaggio dei gruppi intermedi. Lo Stato riduce i suoi prelievi fiscali
al minimo. Vi sono poi altre tensioni o conflitti, ad esempio tra contadini e urbani: questi ultimi
erano maggiormente privilegiati dalle distribuzioni o dalle leggi, del resto erano loro a poter creare
le rivolte politiche più distruttive ed era a loro che i più ricchi si rivolgevano per acquisire
popolarità. La società romana riconosce l’uguaglianza del cittadino davanti alla legge nel diritto
privato ma nel diritto pubblico vi sono una serie di distinzioni. In linea di principio non era
riconosciuta la dipendenza individuale tra cittadini ma tali rapporti ancora sussistevano, basti
pensare ai rapporti di clientela e patronato. Inoltre ogni individuo faceva parte di uno o più gruppi:
il vicinato, il distretto, l’etnia, la clientela, le fazioni, ecc…
Un sistema di questo tipo è chiaramente determinante nella sfera politico-civica: i clienti mireranno
a favorire la carriera del patrono con interventi elettorali, giudiziari e militari se necessario. Da
parte sua il patrono manifesterà la sua benevolenza con elargizioni o dando aiuto in caso di bisogno
e nel raggiungimento di obbiettivi economico-politici.
CAPITOLO VI: LE FINANZE PUBBLICHE DELLO STATO
ROMANO
Ogni Stato presuppone l’esistenza di finanze pubbliche, ma la città-stato implica una particolare
sensibilità finanziaria: esiste una contabilità pubblica. A Roma le questioni finanziarie si spostano
su scala praticamente mondiale.
5. FONTI E METODI

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I conti pubblici sono sottoposti a Roma sotto la responsabilità dei magistrati a loro volta controllati
dal Senato. Le possibili fonti per ricostruire i rendiconti dei magistrati al senato possono essere:
- dati quantitativi che la tradizione letteraria o storica ci ha conservato, che pongono però delicati
problemi di lettura e di interpretazione;
- calcolo delle entrate e delle uscite basandosi sulle fonti letterarie;
- cercare di circoscrivere più precisamente l’aspetto monetario della politica finanziaria, reso
possibile dalla valutazione quantitativa dell’importanza delle emissioni di monete coniate.
2. PRINCIPI E ORGANIZZAZIONE DELLE FINANZE PUBBLICHE
Agli inizi e fin verso il III secolo a.C. avendo necessità molto ridotte si suppone che la città vivesse
essenzialmente dei redditi del suo territorio. Una parte impegnativa per tutta la Repubblica del
bilancio è costituita dal culto. Il principio delle finanze pubbliche è quindi che le spese ordinarie
debbano essere coperte il più possibile dalle entrate statali, escludendo ogni imposta diretta e
regolare, sentita come segno di schiavitù. Imposte e tasse indirette sono al contrario sopportabili. Il
sistema civico ammette le spese straordinarie, soprattutto per coprire le spese militari. La fiscalità
romana ha la tendenza a cadere su alleati e sudditi, le conquiste contribuiscono ad assicurare il
finanziamento dello Stato.
3. ELABORAZIONE E PRESENTAZIONE DEL “BILANCIO”
E’ sicuro che non esistesse a Roma un documento annuale globale che presentasse l’insieme delle
entrate e delle uscite: esistevano vari conti. Con lo sviluppo delle province si ha la sicurezza
derivante da +redditi fissi che servono a coprire le sempre più ingenti spese militari. Di fatto le
decisioni finanziarie importanti si avevano solamente con i contratti pubblici stipulati ogni 5 anni
dai censori e con l’attribuzione annuale da parte del Senato ai magistrati di somme per coprire le
spese relative alla loro area di competenze. Magistrati e pro magistrati erano tenuti a dare
rendiconti, secondo regole contabili sempre più perfezionate.
)A LE USCITE
• l’amministrazione: le cariche pubbliche sono gratuite ma i magistrati hanno diritto a
un’indennità di viaggio, assegnazioni di grano e i loro stati maggiori alle spese di mantenimento.
Sono poi a carico dell’Erario i salari dei funzionari di ciascun magistrato, i tecnici e gli impiegati
necessari alle operazioni pubbliche il cui numero è stato spesso sottovalutato.
• La religione: occorre distinguere le spese ordinarie e permanenti dalle spese eccezionali.
• La giustizia: le funzioni di giudice e giurato sono gratuite, le spese sono per il personale
subalterno (carnefici) e alcune ricompense straordinarie.
• Lavori pubblici e manutenzione: entrambi sotto la responsabilità dei censori che decidono a
chi darli in appalto ogni 5 anni.
• La guerra: le spese essenziali consistevano nel soldo e nell’equipaggiamento,
nell’armamento della flotta, nelle forniture e nel vettovagliamento. I contingenti alleati erano pagati
con le somme fornite dalle città in virtù dei trattati.
• Altre spese: potevano essere causate da ambascerie straniere che dovevano essere
alloggiate, dall’invio di ambascerie, da ricompense e regali, ecc…
• Approvvigionamento e distribuzioni: diventeranno permanenti dopo il 123 e completamente
gratuite dopo il 58 a.C.
)B LE ENTRATE
• redditi demaniali: terreni ed edifici pubblici dovevano essere fonti di reddito per lo Stato
grazie ai vectigal (una sorta di canone d’affitto) e ai diritti di pascolo. Si hanno poi i diritti doganali
e di pedaggio. Infine vi erano i proventi di foreste, cave e monopoli.
• Contributi dei cittadini: hanno per definizione un carattere straordinario; il più gravoso è il
tributum, un’imposta proporzionale sulla proprietà pagata da coloro che potevano essere arruolati a
favore di coloro che lo erano realmente. Il suo tasso non era fisso e inoltre poteva essere
rimborsabile.
• Vicesima libertatis: tassa del 5% sulle manomissioni.
• Contribuzioni di alleati e provinciali: il loro ruolo nel bilancio è fondamentale. C’è una
grandissima varietà di statuti, il Senato esercita un controllo generale come per tutte le questioni

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finanziarie ma spesso l’organizzazione delle nuove province dipende dal pro magistrato che le ha
conquistate. Ciò che distingueva l’Italia dalle province era l’esistenza di un’imposta diretta
permanente che c’è in ogni provincia anche se con nette differenze tra chi pagava un importo fisso
e chi uno variabile a seconda del raccolto (decima o ventesima). La riscossione della decima era
appaltata al luogo e a singoli individui città per città e non ad una co m mpagnia centralizzata, ma
questo metodo si prestava frequentemente a ingiustizie di ogni tipo.
4. LO SVILUPPO DELLE FINANZE ROMANE: CRESCITA E CRISI
Le finanze romane conobbero un relativo equilibrio solo sotto Augusto.
A) LA CRISI DELLA SECONDA GUERRA PUNICA: La crisi di quest’epoca è ben
testimoniata ma essa deve essere messa in rapporto con i profondi mutamenti della monetazione.
Per far fronte alle spese belliche eccezionali lo Stato dispone in linea di principio solo del tributum,
anche se probabilmente ci si basava su un contributo medio (tributum simplex) che all’occorrenza
veniva raddoppiato.
B) ESPEDIENTI FINANZIARI: Fu creato un triumvirato bancario; lo Stato ricorse a
crediti da parte dei fornitori in cambio di garanzie supplementari, si ricorse a liturgie supplementari
per i più ricchi, si rinunciò a pagare immediatamente il prezzo dei lavori pubblici e quello degli
schiavi affrancati per essere arruolati. Si chiedono prestiti a senatori e cavalieri, ci si appella a
contributi volontari di privati e città e furono vendute porzioni dell’agro pubblico. Queste misure
ebbero l’effetto di perfezionare il sistema finanziario statale.
C) IL BILANCIO ROMANO NEL I SECOLO a.C.: Le entrate principali consistettero
nelle pred e di guerra e nelle indennità imposte ai vinti; nel ricavato delle miniere spagnole e nelle
decime di Spagna e Sicilia. Nella prima metà del II secolo si ha una percentuale altissima delle
spese statali che però vengono in parte coperte dai bottini, alla fine del II secolo queste voci saranno
stabilizzate e il bilancio sarà assicurato dai proventi delle province. Si hanno ora massicci
trasferimenti monetari dalle province verso l’Italia e Roma.
D) DAL 150 AL TRIONFO DI POMPEO: Siamo male informati su questo periodo. La
legge annonaria del 58 che rese gratuite le distribuzioni granarie e aumentò il numero dei
beneficiari assorbiva 1/5 delle entrate.
E) LE FINANZE NELL’EPOCA DELLE GUERRE CIVILI: E’ praticamente
impossibile parlare delle finanze pubbliche romane tra il 49 e il 31 a.C. Gli aggravi fiscali
produssero nel 40 a.C. i soli moti fiscali attestati in questo periodo, probabilmente nel tentativo di
introdurre i diritti di successione (lex Falcidia).
F) IL PROBLEMA DELLE FINANZE PUBBLICHE E DELLE EMISSIONI
MONETARIE: Vi sono grandissime incertezze ma possiamo cercare di stabilire delle curve che
riflettono l’ampiezza delle emissioni e delle spese che si sono calcolate.
6. IL SISTEMA DI RISCOSSIONE DELLE ENTRATE E DI APPALTO
DELLE SPESE: LE SOCIETA’ DEI PUBBLICANI
L’appalto delle spese e delle entrate, praticato da Roma dal III secolo è diffuso anche in area greca.
Questo sistema evita le amministrazioni fiscali numerose e consente di disporre in anticipo di
entrate future, anche se è spesso fonte di ingiustizie. Gli appaltatori romani si distinguono da quelli
greci per l’ampiezza delle somme trattate e per la creazione di organismi relativamente complessi,
organizzati su scala provinciale e per il ruolo di primo piano svolto da questi organismi.
6.)A ORIGINI E SVILUPPO: E’ probabile che i più antichi proventi attestati dallo
Stato romano fossero appaltati. Nelle prime province organizzate verso il 227 (Sardegna e Sicilia)
Roma ha utilizzato l’organizzazione fiscale punica e greca. Nel 123 c’è un cambiamento radicale:
con la lex Sempronia de vectigalibus vengono regolate le condizioni dell’assegnazione degli appalti
in Asia e da questo momento trov iamo società “anonime” indicate con il nome della provincia.
6.)B IL \FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA DI APPALTO: Se lo Stato tollera
e riconosce le società non si deve credere che siano scomparsi i contratti individuali. Le grandi
società “anonime” sono nel I secolo organizzate in modi diversi: riuniscono un numero alto di soci
al cui vertice c’è un gruppo di responsabili che trattano con lo Stato a nome della società.

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L’organizzazione finanziaria di queste organizzazioni è perfetta e spesso usata anche per altre
operazioni finanziarie (depositi soprattutto). La società aveva poi relazioni molto organizzate con la
sede a Roma e talvolta lo Stato può usare il loro sistema di corrispondenza. Nel I secolo alcune
società di pubblicani ebbero probabilmente un nuovo status, con personalità giuridica e
un’organizzazione simile a quella statale con assemblea plenaria, magistrato e Senato propri.
6.)C LA “LOCATIO”: Sono i censori i magistrati che sono incaricati di concedere gli
appalti tramite un meccanismo complesso che prevede la pubblicazione di un editto e le offerte da
parte della società.
6.)D RAPPORTI CON I CONTRIBUENTI E LO STATO: Il pubblicano riceve
una certa delega dal potere pubblico. Le contestazioni tra i contribuenti e i pubblicani dovevano
essere frequenti: difficilmente erano riconosciute esenzioni e immunità e i confini dei territori non
erano sempre ben definiti. I contribuenti usavano i legami di clientela per inviare lamentele ai
governatori provinciali e al Senato.
I pubblicani di rango più elevato appartenevano di solito all’origine equestre ma nonostante le
grosse somme trattate si è lontani dal raggiungere le grandi fortune principesche.
CAPITOLO VII: ROMA E L’ITALIA. LA CONFEDERAZIONE
ITALICA. LA QUESTIONE ITALICA. LA GUERRA SOCIALE.
Dopo il trattato con Taranto nel 272 (Taranto diventa un municipio di Roma, a seguito delle guerre
contro Pirro) non ci sono più in Italia a sud dell’Arno popoli o città realmente indipendenti: sono
tutti legati a Roma, che si trova in posizione egemonica. Quattro grandi civiltà si dividevano la
penisola: una zona celtica, una etrusca, una umbro-sabina, una sabellica. Gli umbri, i latini, i sabelli
e i sabini erano strettamente imparentati ma si diversificarono in epoca storica. Le popolazioni
sabelliche dell’Italia centrale nel III secolo non conoscono quasi lo stato cittadino ma sono rimaste
allo stadio delle tribù con un’economia agricolo-pastorale e una vita collettiva incentrata sulla
guerra.
La zona greca si limita ad alcune città e al territorio circostante. La zona etrusca conserverà fino al
I secolo d.C. una sua personalità linguistica e culturale. A queste divisioni etniche si sovrappongono
distinzioni di carattere giuridico e politico. Roma entra in contatto con i diversi popoli in momenti
e modi differenti; la conquista romana è in principio molto lenta e si intensifica dopo la
sottomissione dei latini e campani dopo il 348. I greci dell’Italia meridionale sono sottomessi nel
272 e per i galli si dovrà aspettare fino al 225. Con l’invasione cartaginese si assisterà a moti di
rivolta di rilievo che portarono a una dura reazione da parte di Roma e alla creazione di una
“questione italica” che sfocerà nella guerra sociale.
.1 L’ORGANIZZAZIONE DELL’ITALIA ROMANA
Il periodo delle guerre puniche metterà alla prova la coesione del “sistema italico”. È impossibile
caratterizzare in modo unitario l’organizzazione politica dell’Italia.
Il termine migliore è “alleanza” perché il settore principale del rapporto è quello militare; solo più
tardi si presenteranno problemi politici e giuridici con le comunità italiche.
L’Italia conta 3 grandi categorie di abitanti:
a) I cittadini romani: in alcune zone la conquista romana è un’annessione del territorio e una
concessione della cittadinanza con o senza il diritto di voto (sine suffragio). Nel IV e III secolo lo sc
n opo è quello di costruire un complesso geografico coerente per stabilire una protezione contro i
popoli dell’Appennino. La cittadinanza è anche concessa individualmente in casi particolari. La
cittadinanza sine suffragio scompare nel II secolo e la maggior parte delle comunità dotate di tale
statuto ottenne la piena cittadinanza.
b) I latini: si svilupparono le colonie latine, formate all’occorrenza anche da cittadini romani
che accettavano di perdere la cittadinanza, create a scopo principalmente difensivo. Le colonie
erano città autonome con istituzioni proprie. I latini godevano di alcuni diritti: lo ius connubium, lo
ius commercium, lo ius migrandis; dalla fine del II secolo i cittadini latini potranno anche in parte
beneficiare della provocatio. Per il resto ai latini sarà lasciato il loro diritto. Gli obblighi erano di
intervento militare in aiuto a Roma, a cui rimasero fedeli anche durante la guerra annibalica.
L’equivalente greco dello statuto latino è la isopoliteia.

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c) Gli alleati e la “formula togatorum”: le alleanze con popolazioni italiche sono le più antiche
e il termine togatus indica che questi alleati sono vicini a Roma per sangue e costumi. L’alleanza
presuppone un contributo massiccio e regolare alle imprese belliche romane. Il problema essenziale
è di sapere su quali basi fossero fissate le prestazioni degli alleati, ma più probabilmente dovevano
solo rispondere alle richieste di Roma che variavano a seconda delle circostanze.
.2 I RAPPORTI TRA ROMA E GLI ITALICI FINO ALLA FINE DEL
II SECOLO
La fedeltà dell’Italia fu la posta in gioco nella guerra di Annibale ma bisognerà aspettare la vittoria
di Canne (216) per vedere un certo numero di alleati italici passare dalla parte cartaginese, e nessun
latino o romano defezionò. Roma sul momento non poté reagire ma nel 204 furono stabilite alcune
sanzioni per le colonie latine che si erano rifiutate di fornire altri contingenti (era stata una rivolta
per il peso eccessivo della guerra, non un vero tradimento). Gli alleati traditori già alla presa di
Capua (212) ebbero una sorte più dura: persero ogni forma di organizzazione politica, subirono
notevoli confische del territorio e gli abitanti furono trattati con sospetto e in modo umiliante.
.3 IL PROBLEMA DEL SERVIZIO MILITARE DALLA SECONDA
GUERRA PUNICA ALLA GUERRA SOCIALE
Per tutto il II secolo il numero degli italici in servizio nelle armate romane ha sempre sorpassato
quello dei cittadini in proporzioni variabili e il loro trattamento era più duro (servizio più lungo,
meno ricompense, tasso di mortalità più elevato). A questi oneri rispetto alle risorse umane si
aggiungono probabilmente oneri finanziari. Il problema dell’equa spartizione dei benefici delle
conquiste si presenta sempre più nettamente verso la fine del II secolo, in concomitanza con lo
sviluppo della questione agraria.
.4 LE ORIGINI E LO SVILUPPO DELLA “QUESTIONE ITALICA”
Si nota una duplice tendenza: gli alleati e i latini divengono in numero crescente cittadini e lo Stato
romano tende a invadere la sfera d’autonomia delle città ogni volta che la sicurezza di Roma era
messa in causa.
Dal 129 l’attività della commissione agraria requisiva anche la terra dei possessores italici senza
includere gli alleati tra i beneficiari delle nuove assegnazioni. In questi anni la questione degli
alleati inizia a porsi in maniera netta.
.5 L’INSURREZIONE DEL 91 E LA GUERRA SOCIALE
È in occasione del tribunato di Livio Druso nel 91 che scoppia il conflitto più grave che l’Italia
abbia mai conosciuto dopo Annibale: il bellum marsicum o bellum italicum; una guerra contro
alcuni degli alleati coalizzati e organizzati politicamente e militarmente contro Roma.
La guerra si sviluppò su due fronti dal 90 all’88: a nord tra i picentini, i marsupi e i vestini; a sud in
Campania e Lucania.
La guerra fu l’avvenimento essenziale della storia romana poiché accelerò il processo di
romanizzazione a tutti i livelli.
A) CHI ERANO GLI INSORTI?
Si erano confederati contro Roma 12 popoli in due gruppi: uno a nord marso-picentino che usava
l’alfabeto latino e a sud un gruppo sannitico-lucano dall’alfabeto osco. È chiaro che i principali
insorti erano i popoli sabellici, poco urbanizzati e con forti tradizioni guerriere.
B) I FINI DELL’INSURREZIONE
Si prospettano due interpretazioni sulle cause della guerra sociale: per ottenere la cittadinanza e con
essa i vantaggi economici e politici propri dei cittadini, oppure per rivendicare l’indipendenza nei
confronti di Roma, e questo spiegherebbe l’organizzazione che i ribelli si diedero.
Conosciamo qualche nome dei capi militari alleati ma la ricostruzione completa dell’elenco è
impossibile, tanto più che la carica era annuale.
.6 L’ATTEGGIAMENTO DI ROMA E LA CONCESSIONE DELLA
CITTADINANZA AGLI ALLEATI ITALICI
I romani accettarono l’estensione della cittadinanza ma le leggi che la decretarono crearono
conseguenze che durarono fino ad Augusto. Le leges de civitates emanate in questo periodo furono
almeno tre: la lex Iulia (che dava la cittadinanza ai latini, agli alleati che avessero immediatamente

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deposto le armi e agli ausiliari a discrezione dei generali), la lex Plautia (che estendeva la
cittadinanza a quanti degli italici si fossero registrati presso il pretore di Roma entro sessanta
giorni) e la lex Calpurnia (che permetteva l’elargizione della cittadinanza come ricompensa). Alla
fine il solo problema importante era di sapere come fare a integrarli nel sistema delle tribù, ma le
fonti a questo proposito sono ambigue e divergenti.
I conflitti etnici e geografici s’intrecceranno ormai con quelli sociali e politici; la romanizzazione
dell’Italia si realizzò completamente sul piano culturale (linguistico e onomastico).
CAPITOLO VIII: L’ESERCITO ROMANO
Lo strumento essenziale della continua espansione di Roma sotto la Repubblica è l’esercito. Non va
considerato però solo il punto di vista tattico o strategico ma anche i rapporti tra fenomeni militari
e vita civica e politica tra i romani.
)C FONTI E METODI
La tradizione storica antica è essenzialmente una cronaca militare, ma gli autori spesso non erano
tecnici esperti, per cui alcuni dettagli sono quasi sempre poco attendibili, anche se alcuni autori
fanno eccezione (Polibio, Cesare, ecc…). L’archeologia ci aiuta più per i periodi arcaici che per il
III-I secolo e l’epigrafia si sviluppa maggiormente in epoca imperiale. La nostra documentazione
permette però di valutare bene l’importanza e il peso dell’esercito sulle istituzioni civiche e sociali.
)D L’ARRUOLAMENTO DELL’ESERCITO ROMANO
L’esercito romano in epoca repubblicana ha tre caratteristiche fondamentali: è nazionale, censitario
e non permanente e i contingenti alleati si basano sugli stessi principi. A partire dal II secolo vi è
qualche modifica: sono reclutati alcuni contingenti mercenari e sono ammessi anche i proletari:
l’esercito diviene via via volontario e professionale, anche se era obbligatorio un servizio militare
per percorrere il cursus honorum e talvolta si dovrà ancora ricorrere alla coscrizione.
A) SERVIZIO MILITARE E ARRUOLAMENTO
Fino al 106 (la guerra giugurtina) almeno l’armata romana resta di principio un’armata censitaria e i
soldati hanno un posto differente a seconda delle classi a cui appartenevano. Non c’è poi alcuna
distinzione tra servizio prestato in tempo di pace o guerra: ogni anno si arruolavano le truppe in
base alle necessità. Questo compito spetta al Senato ma sono i consoli ad averne la responsabilità; il
Senato può anche decretare una leva straordinaria, il tumultus nella quale possono essere arruolati
anche seniores e proletarii. La leva è per propria natura sempre coercitiva (i consoli, grazie
all’imperium militare, potevano imporla con la forza).
B) L’INCORPORAMENTO DEI SOLDATI
L’arruolamento avviene per tribù e viene fatto in modo da separare le reclute della stessa tribù,
anche se il sistema non funziona con regolarità. Dopo la guerra sociale l’armata è reclutata
essenzialmente nelle regioni rurali e il carattere etnico di alcune unità si accrebbe.
La religione aveva un ruolo importante per il coscritto a partire dal giuramento solenne
(sacramentum) che lo vincolava allo Stato (o a un capo), fino ai culti propri dell’esercito.
)E GLI EFFETTIVI DELL’ESERCITO ROMANO
Dal III secolo gli effettivi romani sono maggiori di quelli di qualunque altra potenza mediterranea.
L’esercito romano è però in gran parte un esercito italico. Tramite un senatoconsulto ogni anno
venivano chiamati in servizio i contingenti alleati decisi dal consiglio. Il peso del prelievo
demografico dell’esercito è sicuramente variato in base ai regolamenti di reclutamento e alle
tecniche militari o alle circostanze proprie di ogni guerra.
)F L’ORGANIZZAZIONE DELL’ESERCITO ROMANO DELLA
TARDA REPUBBLICA
d) LE UNITA’ E I CORPI
L’unità strategica e tattica dell’esercito romano è la legione, detta “a manipoli”, cioè l’unità base
composta da due centurie di 60 uomini ciascuna circa. L’effettivo totale di una legione era variabile
tra i 4.200 e i 5000 uomini. All’interno della legione e dei manipoli si distinguevano ranghi
originariamente indicanti le classi censitarie. I manipoli sono unità autonome fatte per assalti e
ritirate che avvantaggiavano la scioltezza dei combattimenti. Nel corso della seconda guerra punica

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fa la sua comparsa la coorte, ciascuna composta da 3 manipoli, 10 per legione, di circa 400-500
uomini. La sua caratteristica è di presentare un fronte continuo.
e) L’ARMAMENTO
Le tre modifiche principali rispetto all’armamento iniziale (grande scudo rotondo in bronzo, elmo,
armatura, schinieri, asta e spada in ferro) sono la sostituzione dello scudo con lo scutum, ovale o
rettangolare, l’adozione da parte delle prime file del pilum, la lancia da getto, e infine l’adozione
della spada corta “spagnola”. L’equipaggiamento romano doveva essere effettivamente molto
buono e mostra una varietà ed una elasticità maggiore rispetto a quello che ci si poteva aspettare.
L’esercito romano ha una cavalleria cittadina dall’inizio del I secolo ed è dalla cavalleria, reclutata
nella prima classe, che provengono ufficiali e magistrati. Dalla seconda guerra punica almeno i
romani dovettero adottare tecniche d’assedio in cui diventeranno specialisti.
f) IL COMANDO
Gli storici hanno sempre insistito sull’efficienza del comando delle legioni. I ruoli subalterni
principali sono i centurioni della fanteria. I quadri superiori sono costituiti da tribuni militari e da
prefetti che comandavano ciascuno una coorte o un’ala della cavalleria, i legati, i questori e poi gli
imperatores, i magistrati o pro magistrati dotati d’imperium. All’inizio tutti gli ufficiali erano
designati dal comandante in capo poi il popolo acquisì il diritto di eleggerne alcuni. L’alto comando
è totalmente dipendente dalla politica; in territorio extra-italico l’imperium esercitato da questi
uomini è civile e militare insieme e si estende all’intera provincia. Si nota in ogni caso l’assenza di
un organo tecnico permanente che raccolga informazioni e sia documentato su diversi eserciti
provinciali, è il Senato a svolgere questo ruolo disciplinatore, centralizzatore e di programmazione,
inoltre la professionalizzazione dell’esercito è meno netta all’apice della gerarchia che non alla
base.
)G TATTICA E STRATEGIA: VALORE TECNICO
DELL’ESERCITO ROMANO
I legami tra guerra e vita civica sono da Polibio sottolineati sul piano generale. A livello logistico è
da notare l’abilità d’assedio, quella di sentinelle e pattuglie e il buon sistema di comunicazione. Sul
piano tattico il combattimento resta uno scontro individuale in cui l’abilità personale e l’armamento
sono determinanti. Questo esercito non ha però né guarnigioni proprie né zone riservate di
spiegamento, né comando centralizzato se non a livello finanziario-politico in Senato. La
supremazia dei romani dipenderebbe dalla mentalità e dalle strutture sociali non da una superiorità
tecnica.
6. ESERCITO, STATO, SOCIETA’
Fino ad Augusto incluso, l’esercito romano resta in buona parte un esercito cittadino reclutato con
la coscrizione. In esso può essere considerata mercenaria solo una minima parte e sicuramente non
in contingenti ausiliari degli alleati.
A) IL POSTO DELL’ESERCITO E DELLA GUERRA NELLE FINANZE E
NELL’ECONOMIA
La guerra stessa rappresenta in larga misura un fenomeno economico. Malgrado la sua origine
censitaria, l’armata romana è divenuta dal IV secolo un’armata assoldata dal Tesoro pubblico:
l’armamento, unificato nel III-I secolo è fornito dallo Stato e il soldato riceve una razione
alimentare ma dietro rimborso. Il problema della paga in età repubblicana rimane invece uno dei
più oscuri per la mancanza di fonti. Lo Stato doveva provvedere anche alla flotta, alle macchine,
alle forniture, ecc… I guadagni dei soldati invece venivano integrati dai bottini e dalle distribuzioni
in occasione dei trionfi a cui si aggiungevano i traffici individuali più o meno legali.
Sulla fine del II secolo si presenta il problema della distribuzione delle terre ai veterani. Dopo le
guerre civili appare chiaro che la guerra provoca un trasferimento consistente dei beni delle
province verso il centro del potere.
B) COMPOSIZIONE SOCIALE ED ETNICA DELL’ESERCITO
Le fonti letterarie e storiche permettevano d’intravedere il movimento incontestabile di
“proletarizzazione” (rurale) del reclutamento prima e dopo Mario. Le fonti epigrafiche e
prosopografiche però ci forniscono più informazioni sui quadri ufficiali che sulle semplici truppe. I
centurioni sono nominati solo in casi eccezionali ma sembrano appartenere tutti allo strato italico.

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Tribuni e prefetti dovevano provenire dall’ordine equestre come minimo, e spesso erano figli di
senatori o nobili. Anche dopo la guerra sociale il grosso proviene dalle regioni più antiche dell’ager
romanus. L’esercizio di queste cariche è per i cavalieri una condizione necessaria per entrare in
Senato e inoltre i profitti erano considerevoli.
C) RUOLO POLITICO DELL’ESERCITO
Dalla fine del IV secolo all’88 a.C. (quando Silla marcia su Roma e l’esercito viene impiegato a fini
politici) l’armata romana non entra mai in conflitto con la città, né mette in discussione le decisioni
prese dal popolo, dal Senato o dai magistrati. In questo periodo non c’è traccia di un impiego a fini
politici dell’esercito né individuale né degli organi di potere. Bisogna arrivare agli ultimi anni del II
secolo , con l’intervento dei veterani di Mario, per vedere un’ingerenza dell’esercito nelle lotte
intestine e anche quando accadrà nelle guerre civili, il movimento partì raramente dal basso.
CAPITOLO IX: LE ISTITUZIONI. IL POPOLO.
F) DEFINIZIONE E COMPOSIZIONE DEL POPULUS ROMANUS
Di fronte al Senato e ai magistrati il populus romanus rappresenta la comunità estensiva di tutti i
cittadini romani. Definendo il popolo come un’associazione organica fondata sul diritto comune, la
civica è la forma di organizzazione del popolo e della Res Publica, l’insieme delle cose che
appartengono al popolo. Sebbene nettamente distinto dalla plebe, il popolo finisce per designarla
nel linguaggio comune in opposizione a cavalieri e senatori.
POPULUS E CIVITAS: Anche a Roma si è cittadini principalmente per nascita, ma la cittadinanza
poteva essere concessa a stranieri con procedimenti nominali o collettivi spesso su iniziativa del
Senato. È inoltre da notare che i liberti divenivano cittadini con la manomissione. Si poteva anche
perdere la cittadinanza: divenendo cittadino di un’altra città, disertando, ecc…
Per essere cittadini bisognava essere registrati e far parte dei gruppi della città, era dunque
fondamentale il censimento. La vita politica romana risultava sempre contrattuale tra popolo e i
magistrati: si deve quindi essere fisicamente presenti per votare e rispettare determinate regole
rituali e formali.
G) LE ASSEMBLEE DEL POPOLO ROMANO (COMITIA)
Il popolo agiva in caso di giudizi importanti, nelle elezioni e nell’approvazione delle leggi o nelle
dichiarazioni di pace e guerra. Vi sono parecchia assemblee che si differenziano per composizione,
organizzazione, competenze e funzionamento. Con tre (o 4 considerando i concilia plebis)
assemblee il diritto romano era particolarmente complesso anche perché non cessò mai di
modificarsi.
COMPOSIZIONE E COMPETENZE DEI DIVERSI COMIZI:
1) COMIZI CURIATI: Conservano solo un valore formale e rituale: l’assemblea curiata non si
riunisce se non per rarissime formalità (lex de imperio) che però rimarranno fondamentali.
2) COMIZI CENTURIATI: E’ la più antica e importante tra le assemblee romane. La
tradizione la fa risalire a Servio Tullio. Il legame con l’organizzazione fiscale e militare è evidente.
Siccome le centurie sono chiamate a votare in ordine gerarchico, il sistema è fatto per
avvantaggiare le prime classi. Negli ultimi due secoli i comizi centuriati non hanno importanza se
non per l’elezione dei magistrati superiori, per le dichiarazioni di guerra e per le ratifiche dei
trattati.
3) COMIZI TRIBUTI: Radunavano i cittadini divisi in tribù a loro assegnate dai censori. Qui
non vi era ordine di precedenza e il carattere era più “democratico”, ma contava comunque non il
singolo voto ma la maggioranza delle unità di voto. Le competenze dei comizi tributi erano
elettorali (eleggevano i magistrati minori), legislativi (votavano le leggi proposte dai magistrati e
dai tribuni) e giudiziari (è di loro competenza ogni crimine che prevedesse un’ammenda).
H) IL FUNZIONAMENTO DELLE ASSEMBLEE DEL POPOLO:
PROCEDURE E MANIPOLAZIONI
A) IL REGOLAMENTO DEI COMIZI: CONVOCAZIONE, CALENDARIO E
TOPOGRAFIA: E’ sempre necessario che sia un magistrato a convocare il popolo, ma alcune
convocazioni erano obbligatorie (quelle per le elezioni dei magistrati). Così come ci sono calendari

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fissi (sempre per le elezioni) e altre date variabili (per le leggi), e inoltre solo in alcuni giorni era
possibile adunare i comizi (195 giorni l’anno circa).
B) I LUOGHI DI RIUNIONE: In un primo tempo qualsiasi assemblea deve essere tenuta a
Roma stessa, soprattutto per i comizi curiati, mentre i comizi centuriati, rappresentando l’esercito,
dovevano riunirsi fuori dal pomerio (prevalentemente al campo di Marte). Il carattere formalista
delle assemblee romane esige in effetti certe disposizioni topografiche che spiegano la scelta dei
diversi luoghi: era necessario che il luogo fosse sacro e che fossero presi gli auspici, che vi fosse un
luogo sopraelevato per le urne e per i discorsi. Anche le modalità di voto influivano, infatti variava
lo spazio necessario.
I) PROCEDURE E MECCANISMI DEL VOTO ROMANO
Dal II secolo tutti i cittadini sono elettori e il voto è frequente. La democrazia è diretta ma il peso
del voto è diverso a seconda della classe di appartenenza o dell’ordine di chiamata.
J) IL FUNZIONAMENTO E IL VALORE DEL SISTEMA ELETTORALE
ROMANO
La corruzione e le manipolazioni si moltiplicarono nel corso del I secolo a.C., anche se non si arriva
ancora a considerare i comizi svuotati del loro effettivo potere. Nel I secolo l’equilibrio tra comizi
tributi e centuriati si rompe in modo netto a favore dei primi e della plebe urbana che dominerà i
comizi tributi divenendo la base delle azioni dei tribuni e dei leader che dovevano favorirla se
volevano il suo appoggio.
CAPITOLO X: LE ISTITUZIONI. IL SENATO.
Il ruolo del Senato a Roma è molto maggiore a quello rivestito dai consigli delle altre città e resterà
sempre un centro di potere importante. Le fonti sono rappresentate dai testi storici, dai
senatoconsulti conservati dall’epigrafia e dal corpus ciceroniano.
.5 DEFINIZIONE DEL SENATO
Il Senato è un organo complementare all’assemblea del popolo; funziona come “consiglio” delle
magistrature superiori e giuridicamente non ha quasi rapporti con il popolo.
.6 IL RECLUTAMENTO DEL SENATO
A) IL NUMERO DEI SENATORI: La tradizione lo fissa a 300 membri nell’epoca regia fino a
Caio Gracco, ma le liste erano riviste a intervalli lunghi e poteva darsi che gli effettivi fossero in
realtà molto ridotti. Dall’88 (con Silla) a Cesare, il numero fu portato a 600 e con Cesare si giunse
addirittura a 900 per poi tornare a 600 con Augusto.
B) L’AUTORITA’ COMPETENTE PER IL RECLUTAMENTO DEL SENATO: La lista fu
sempre compilata e controllata da un’autorità ufficiale: in origine si trattava del re, poi dei
magistrati superiori e verso la fine del IV secolo (318-312 circa) una legge la diede ai censori che
ne mantennero la responsabilità fino all’età imperiale e che svolgevano la lectio ogni 5 anni. Altri
magistrati (ad esempio i dittatori) potevano essere incaricati in via eccezionale e con una legge
speciale della revisione della lista.
C) LE CONDIZIONI D’ACCESSO AL SENATO: Le condizioni furono sempre d’ordine
sociale, politico e morale insieme. Bisognava essere cittadini romani, risiedere a Roma, avere
origine indigena, non praticare mestieri infamanti, non essere condannati per reati infamanti, avere
almeno il censo dell’ordine equestre.
Normalmente è l’esercizio di una magistratura a dare il diritto di entrare in Senato, soprattutto
quelle curuli, ma anche alcuni sacerdozi (il laminato di Giove, ad esempio). Il Senato dunque è
essenzialmente un’assemblea di ex magistrati che però poteva anche essere epurata dai censori
qualora avessero ritenuto alcuni senatori “indegni”, grazie ad una nota censoria.
.7 LA COMPOSIZIONE DEL SENATO
In Senato, fin dalle origini, vi erano individui di origine e rango diseguali: la distinzione giuridica
tra senatori patrizi e non per esempio (importante solo in caso di designazione di un interrex). È
però più importante la gerarchia che dipende dalle funzioni esercitate che si manifesta nell’ordine di
chiamata per esprimere il proprio parere durante le sedute e la data in cui le cariche erano state
rivestite. Almeno fin dal I secolo esiste la figura del princeps senatus che veniva interpellato per

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primo in ogni circostanza e al lato opposto della scala gerarchica i pedarii, coloro che non avevano
rivestito alcuna magistratura curule.
Nel corso del II secolo (anche grazie alle leggi tabellarie) crebbe la proporzione dei senatores novi,
di origine equestre e italica. Il reclutamento eccezionale di Silla, Cesare e del triumvirato inserì in
Senato anche personaggi che non avevano mai rivestito magistrature.
Silla avrebbe preso solo membri delle centurie equestri e probabilmente molti ex ufficiali suoi e dei
suoi partigiani. Inoltre al suo Senato Silla affida la competenza esclusiva dei tribunali.
Cesare inserì circa 400 nuovi membri sia direttamente sia aumentando il numero delle magistrature
e così pure i triumviri: l’appartenenza al Senato dava l’accesso a determinati privilegi onorifici e a
una condizione giuridica precisa: diritto di iscrizione nell’albo dei giudici per i processi pubblici,
immunità ma anche divieto di concorrere per gli appalti e di svolgere certi mestieri.
.8 LE COMPETENZE DEL SENATO REPUBBLICANO
Il Senato ha di fatto una competenza globale sugli affari della città. Le sue competenze sono di
ratificare e deliberare soprattutto in alcuni campi privilegiati. Detiene il controllo delle finanze, può
interessarsi all’ordine pubblico, ecc… anche se le diverse sfere di competenza vanno anche studiate
in base all’epoca.
8. RELAZIONI ESTERNE: Il popolo non interviene che per la dichiarazione di guerra e per la
conferma dei trattati, ma i rapporti reali di Roma con le potenze straniere si svolgono tramite le
ambascerie del Senato o ad esso inviate. Inoltre è il Senato a ratificare convenzioni o leges per le
province. In questa direzione il ruolo del Senato è stato assai ridimensionato in questo campo a
partire da Silla.
9. LA GUERRA: La leva dei contingenti e la riscossione del tributum possono essere
formulate in un editto da un magistrato dotato di imperium solo a seguito di un decreto del Senato.
E sempre il Senato stabilisce le rispettive dotazioni di uomini e denaro per le province. Verrà
conservato dal consiglio il diritto di concedere trionfi, orazioni o suppliche ai generali vittoriosi.
10. L’AMMINISTRAZIONE GENERALE E LA GIUSTIZIA (Italia e province): Bisogna
distinguere tra conflitti collettivi per cui l’intervento del Senato dipende dalle sue competenze
diplomatiche e alcuni episodi criminali contro cui il Senato è dotato di potere “inquisitorio”.
11. LE FINANZE: I magistrati possono disporre di capitali dello Stato solo dopo aver avuto
l’autorizzazione del Senato: le deduzioni di colonie, lo sfruttamento di miniere e appalti per i
pascoli, ecc… è regolato da senatoconsulti, così come restano sotto il controllo del Senato le cifre
del tributum e il bottino di guerra. Il controllo del Senato in quest’ambito è totale e verte su tutte le
fasi di elaborazione della politica finanziaria.
.9 I CONFLITTI DI COMPETENZA: RAPPORTI TRA SENATO E
MAGISTRATI, TRA SENATO E POPOLO
• RAPPORTI CON IL POPOLO: L’auctoritas patrum (ratifica preliminare del Senato alle
riunioni del popolo) impedì un numero elevato di leggi o plebisciti fatti contro o senza il parere del
Senato. E anche dopo che fu abolita nel 339 questa competenza il Senato restò giudice della
costituzionalità delle leggi approvate. Fino al II secolo d.C. non si può parlare di poteri legislativi
del Senato, questi spettavano solo al popolo: si parlerà dunque di potere normativo del
senatoconsulto.
• I RAPPORTI CON I MAGISTRATI: L’assemblea senatoria non si può convocare da sola ed
è sempre presieduta e convocata da un magistrato. In linea generale il Senato non dispone dei mezzi
di pressione per costringere i magistrati e si doveva ricorrere ad altri sistemi di procedura per
risolvere la questione, ma i conflitti tra Senato e magistrati superiori sono estremamente rari. Inoltre
anche le nomine eccezionali erano dipendenti dal Senato; nomina di un dittatore, del tumultus e del
senatus consultum ultimum.
.10 LE PROCEDURE: LE SEDUTE DEL SENATO
Numerose fonti permettevano di ricostruire le procedure delle sedute del Senato. Il Senato non può
riunirsi spontaneamente ma deve essere convocato da un magistrato superiore o da un tribuno della
plebe.
Non esisteva un calendario fisso di sedute che dipendevano in parte dal calendario politico-religioso
e in parte dalle precisazioni delle leggi. Anche gli ambienti delle sedute erano variabili: era

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necessario che il luogo prescelto fosse consacrato. I locali più utilizzati saranno la curia Ostilia e la
curia Iulia. I magistrati che ne hanno diritto convocano il Senato, gli sottopongono (referre) una o
più questioni chiedendo il parere dei senatori (consulere) che votano a maggioranza e infine viene
steso il senatoconsulto. L’ordine di parola è strettamente gerarchico e la discussione, così come la
votazione, erano pubbliche. Durante o dopo la votazione può verificarsi il veto di un magistrato o di
un tribuno che però non impediva la votazione ma annullava il valore del testo votato.
Può capitare che le decisioni del Senato riguardino solo i principi generali e che esso rimandi a una
commissione per redigere il testo definitivo, ma per lo più il testo viene steso immediatamente e a
farlo redigere è il magistrato che ha posto la mozione, affiancato da una commissione. Dal III
secolo la formula dei senatoconsulti rimane più o meno fissa nelle sue varie parti e i documenti
sono poi archiviati all’Aerarium sotto la responsabilità dei questori urbani.
Il Senato doveva avere una preminenza morale (auctoritas) che doveva fare dei magistrati i suoi
ministri, ma di fatto il potere sfuggiva a quest’assemblea sempre più divisa in fazioni a favore delle
folle proletarie armate trascinate dai loro capi, in guerre civili.
CAPITOLO XI: I MAGISTRATI E IL POTERE
Se in partenza l’Italia presenta un numero di magistrature diverso e spesso incompatibili, con la
graduale conquista e la conseguente romanizzazione di queste furono sommerse e cancellate.
C) IMPERIUM E POTESTAS
Talvolta si distingue molto nettamente tra imperium e potestas: solo i magistrati superiori avrebbero
posseduto il primo, di natura essenzialmente militare, mentre quelli di natura inferiore si sarebbero
limitati alla seconda. Ma l’interpretazione è difficile. L’imperium è un potere forte, civile e militare
insieme, giurisdizionale e coercitivo che implica il diritto di prendere gli auspici, comandare le
armate, ordinare la leva e l’esazione delle tasse, emettere editti, ecc… viene conferito con la lex de
imperio votata dal popolo al momento dell’entrata in carica del magistrato.
La potestas implica la possibilità di esprimere la propria volontà in editti e una certa giurisdizione e
potere coercitivo.
D) IL SISTEMA DELLE MAGISTRATURE ROMANE
Non esiste una costituzione romana e storicamente le magistrature sono apparse e si sono sviluppate
in modi diversi: bisognerà attendere il 180 a.C. perché vengano ordinate e l’80 con Silla per avere
una lex de magistratibus. Non è quindi corretto tentare di descriverle come un tutto organizzato,
tuttavia vi sono alcuni tratti comuni.
• La gerarchizzazione: Risulta dall’estensione delle loro competenze e dal modo in cui
potevano intervenire con il diritto di veto gli uni sugli altri; ma anche dall’ordine in cui le diverse
magistrature sono nominate nei testi giuridico-legislativi. Censura, tribunato e dittatura non si
integrano però con questo sistema.
• La specializzazione: Le competenze dei magistrati sembrano però spesso accavallarsi: di
fatto la nostra conoscenza riguardo le competenze dei magistrati romani deriva dalle loro azioni
storiche. Le competenze si ampliano con il salire della gerarchia risultando più limitate alla base.
• La collegialità: E’ una regola generale con due eccezioni: l’interrex e il dittatore. Nel
sistema romano ciascun membro ha la totalità dei poteri; i colleghi non deliberano insieme ma
ciascuno poteva opporsi all’azione di un collega di pari grado o di un magistrato inferiore.
• L’annualità: In opposizione alla regalità a vita, tuttavia le date d’inizio delle cariche non
saranno mai unificate. Fanno eccezione la dittatura (di 6 mesi al massimo) e la censura (di 18 mesi).
Infine le regole emanate da un magistrato non sono obbliganti per il successore.
• L’elettività: Ma anche in questo vi sono delle eccezioni: il dittatore è nominato su
discrezione del Senato dai consoli o dal pretore, l’interrex è cooptato tra i senatori patrizi.
L’elezione inizialmente procede da una “proposta” del magistrato in carica anche se ciò andò
sfumando nella storia della Repubblica e a poco a poco il popolo poté scegliere liberamente.
Le magistrature inoltre sono gratuite, anche se in alcuni casi è previsto il rimborso di alcune spese.
I magistrati godono di privilegi onorifici (indicati con il termine “ornamenta”).

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E) L’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA DELLE
MAGISTRATURE E LO SVILUPPO DEL “GOVERNO” DI ROMA NELLA
TARDA REPUBBLICA
V. la tavola III o il manuale.
4. L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA DELLE MAGISTRATURE E IL
PROBLEMA COSTITUZIONALE
A) LE LEGGI ANNUALI, IL CURSUS E LA GERARCHIA DELLE MAGISTRATURE: Nel 180
una legge (legge Villia) fissò un certo cursus almeno per questura, edilità, pretura e consolato e
fissava l’età minima per potersi candidare alle diverse magistrature. Bisognò attendere Silla perché
si affermasse per la prima volta il tentativo di fissare un ordinamento costituzionale coerente. Silla
aumentò a 20 i questori, i pretori da 6 a 8, i consoli e i pretori dovevano restare a Roma ad
occuparsi degli affari civili mentre le province erano affidate a promagistrati.
B) LA PROROGA DELLE MAGISTRATURE E IL COMANDO PROVINCIALE: La proroga
implica una distinzione tra la carica (che decadeva) e i suoi poteri (che venivano prolungati). Nel II
secolo è il Senato che dispone le proroghe. Nel 123 Caio Gracco diede un regolamento minimo
sulla scelta delle province consolari.
C) LA POSIZIONE DEL TRIBUNATO DELLA PLEBE E LE SUE FUNZIONI: Il tribunato si
presenta come tipo di magistratura differente dalle altre. I suoi poteri si esercitano in 3 campi: nel
diritto di aiutare i cittadini in giudizio (auxilium), nel diritto di veto e in quello di convocare e
presiedere le riunioni del Senato o del popolo per proporre leggi. Il tribunato diviene il vero centro
del potere a partire dai Gracchi ma non dava continuità. Silla tentò di ridurre considerevolmente la
potestà tribunizia con una legge che tolse loro il diritto di proporre leggi (o più probabilmente rese
necessario un dibattito preliminare in Senato) e limitò il diritto di veto, probabilmente opponibile
ora solo agli altri tribuni e infine proibì a chiunque fosse stato tribuno di rivestire altre magistrature.
Tuttavia già nel 70 il tribunato era di nuovo restaurato e divenne il fulcro delle lotte tra fazioni fino
al 50 a.C. circa.
D) IL PROBLEMA DEL POTERE PERSONALE: L’unica magistratura con reale potere
individuale era la dittatura, proclamata dietro indicazione del Senato in caso di pericolo estremo.
Dopo il 202 la dittatura militare scompare completamente, anche se si farà spesso ricorso al senatus
consultum ultimum, destinato a dare ai consoli potere dittatoriale, anche se sarà una misura sempre
molto contestata.
La dittatura di Silla avrà solo poteri costituenti e anche negli anni seguenti si tende a rispettare una
certa forma evitando il ricorso aperto a poteri monarchici: la via più frequentemente utilizzata è
quella delle proposte di leggi tribunizie.
Quella del primo triumvirato è una forma originale che doveva permettere ai tre uomini che lo
componevano di spartirsi onori e poteri in una contrattazione permanente attraverso coalizioni
elettorali, pressioni sul Senato, tribuni, corruzione e manovre giudiziarie.
La moltiplicazione a vantaggio di Pompeo, fin dall’inizio della sua carriera, di poteri straordinari
conferiti con la facciata della legalità non fu un embrione del principato, ma un insieme di manovre
più o meno libere di un uomo che si alleava a individui e fazioni diverse per mantenere il potere.
CAPITOLO XII: LA VITA POLITICA ROMANA: FONDAMENTI;
ESERCIZIO E CENTRI DEL POTERE
I) I PRINCIPI E LA PRASSI: RUOLO E VALORE DELLE
ISTITUZIONI
Mai nessuno a Roma metterà in discussione le istituzioni degli avi nella loro totalità; se il populus
romanus è da tutti considerato come sovrano, questa sovranità conosceva però dei limiti. In primo
luogo la preminenza del diritto sacro su quello pubblico, in più tutti i cittadini non potevano agire
collettivamente fuori dalle divisioni politiche (tribù, centurie, ecc…) e nelle giornate nefaste.
Durante le campagne elettorali i candidati alle magistrature erano obbligati a una relativa pubblicità
delle intenzioni, anche se poi si verificavano giochi di alleanze più o meno nascoste.
J) I CENTRI DEL POTERE

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In regime repubblicano il potere è estremamente diffuso tra le magistrature, soprattutto censura,
consolato e tribunato, ma anche i sacerdozi e l’edilità potevano essere posti strategici per fare
carriera. Esistevano però anche altri posti dai quali era possibile esercitare un potere quasi
altrettanto considerevole e che erano oggetto di forti competizioni:
a) I tribunali: I processi si moltiplicarono e divennero presto un elemento essenziale della lotta
politica e ogni partito si sforzava di “modificare” a proprio vantaggio il reclutamento dei tribunali.
Sia il diritto civile che quello criminale rappresentano a Roma uno dei centri del potere.
b) Il fisco: L’interdizione legale di concorrere alle aste per gli appalti per la riscossione delle
tasse che gravava sui senatori e sui loro familiari ha portato alla formazione di una classe di
appaltatori pubblici, i cui maggiori esponenti dovevano essere cavalieri. L’appartenenza a queste
grandi società permanenti conferiva un potere, se non un prestigio, considerevole.
c) La burocrazia: Una gran parte del personale amministrativo è, in età repubblicana, ancora
privato, ma rappresenta una posizione importante per gli strati più umili del gioco politico (liberti e
clienti).
Ciascuno di questi poteri è legato al rango sociale e alla dignitas familiare, che doveva essere
mantenuta, creando così intorno ai centri di potere, continue competizioni. Tutti gli strati superiori
della popolazione avevano obiettivi politici.
K) GLI STRUMENTI DEL POTERE: FAZIONI E PARTITI. LA
VIOLENZA.
Non esiste a Roma alcun sistema rappresentativo, ma era sempre possibile mandare delegazioni al
Senato o rivolgersi ai magistrati, ma il canale più frequente era quello delle clientele.
La questione dei “partiti” politici romani è estremamente delicata. In latino i termini usati sono due:
C) Factio: che designa la capacità di agire, fondata sulle amicizie a disposizione di un uomo o
di un gruppo limitato.
D) Partes: che designa raggruppamenti più ampi; dei gruppi socio-politici all’interno della città,
anche se di solito si tratta di gruppi che si formavano di fronte a una decisione da prendere; il
termine passerà poi ad indicare anche i partigiani dei grandi capi.
Eccezionali sono i due termini populares e optimates, che non descrivono organizzazioni sul tipo
dei partiti, ma persone che hanno in comune un certo comportamento.
“Populares” passa ad indicare dall’originario “concittadino”, il concetto di “amico del popolo” ed è
usato talvolta in tono elogiativo e talaltra con disprezzo. Le leggi popolari sono quelle che tendono
all’accrescimento dei poteri del popolo e dei tribuni rispetto ai magistrati e al Senato o anche tutte
quelle che miravano ad accrescere i vantaggi economici della plebe (leggi agrarie, frumentarie,
contro i debiti e l’usura, ecc…). Il fatto certo che rivendicazioni che allargassero i poteri politici
delle assemblee fossero graditi al popolo, implica un grado assai sviluppato di coscienza civica
presso le masse. Ogni capo politico doveva dunque preoccuparsi di avere un certo grado di
popolarità presso il pubblico da cui dipendeva e il mezzo più semplice era sostenere azioni
vantaggiose o gradite alle folle.
“Optimates” invece è un termine che ha relazioni con l’ambito sociale e morale; Cicerone afferma
che optimates sono coloro che conducono una vita onorevole, i cui affari privati sono regolari e che
si oppongono alla demagogia, ai disordini e alle rivoluzioni.
L’impiego della violenza divenne tuttavia sempre più frequente con l’organizzazione di bande
armate destinate a “controllare” la città, le congiure e i colpi di mano, e infine con le vere e proprie
guerre civili che si svilupperanno nell’ultimo secolo della Repubblica.
La violenza non si limitò all’ambito politico; divenne uno degli aspetti fondamentali dei rapporti
sociali.
Congiure e allestimento di forze armate imitano l’organizzazione militare, ma il ricorso alle armi
era previsto solo quando non si fosse riusciti a raggiungere legalmente il proprio scopo, come
dimostra l’esempio della congiura di Catilina. La violenza raggiunse la sua punta massima con le
procedure straordinarie delle proscrizioni, che con il loro terribile ricordo portarono all’accettazione
del principato di Augusto come mezzo necessario per evitare nuove guerre civili e nuove
rappresaglie.

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L) ALLA RICERCA DI NUOVE PROCEDURE: LA LEGITTIMITA’
DEL CONSENSUS E LE SUE MANIFESTAZIONI EXTRA-COMIZIALI
Con l’avvento dell’Impero, la vecchia organizzazione repubblicana non viene abolita, anzi si
perfeziona e definisce meglio il funzionamento delle magistrature. I precedenti del regime augusteo
sono nei legami di clientela, nel giuramento sacro di fedeltà delle truppe, nei giuramenti dei
magistrati e dei senatori a rispettare alcune leggi, nelle raccomandazioni di candidati fatte a titolo
privato da Cesare.

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