Tzvetan Todorov - La Letteratura Fantastica-Garzanti (1977)
Tzvetan Todorov - La Letteratura Fantastica-Garzanti (1977)
I
.I
1 Potocki, Kafka, le Mille e una notte, Hawthorne ·e
i
I Hoffmann, o B~lzac, o Nerval, oppure i cupi gioielli
minori del poliziesco e del feuilleton: la lettera-
, -- tura fantastica offre i piaceri insoliti di un gene-
. re che resta da definire e che ha sempre incon-
'
: trato cultori d'eccezione da Lautréamont ~ Borges .
. Todorov, autore, sulle orme di Propp e Sklovskij,
di una « grammatica della _narrativa », ci intro-
duce a una allettantissima « grammatica del fan-
tastico », che non si irrigidisce in una definizione
«chiusa»: « il fantastico non è altro che la scelta
del lettore - che si identifica con l'autore - fra
la spiegazione naturale (o razionale) e sovranna-
turale di un fatto insolito ». Geniale intuizione me-
todologica che ci introduce al « sovrannaturale
spiegato » dei ror:nanzi di Ann Radcliffe e Clara
Reeve, al « sovrannaturale accettato » di Walpole
e Lewis, allo « strano puro » della Caduta della
casa Usher di Poe,· al « fantastico strano » d1 Po-
tocki, al « fantastico generalizzato » della Meta-
I mor~osi kafkiana. Dalle acute analisi di Todorov
I. risulta che un evento determinante si è prodotto
nella fenomenologia del «fantastico»: il iatto in-
. solito, lo « strano », il mondo del doppio, delle
metamorfosi, della follia, la cattiva coscienza di
un secolo positivista come l'Ottocento si sono
tradotti per noi nell'inquietante prossimità della
scoperta freudiana: sessualità, nevrosi, psicosi,
morte • Incaricato di ricerche al CNRS, Tzvetan
Todorov ha pubblicato Letteratura e significazione,
il. capitolo « Poetica » dell'opera collettiva Che co-
s'è lo strutturalismo, la Grammatica del -Decame-
rone e Poetica della prosa, Teoria del simbolo.
L. 2000 (...)
I Garzanti • Argomenti
La letteratura fantastica
Tzvetan Todorov
La letteratura
fantastica · · ··
Garzanti
Nella collezione I Garzanti • Argomenti
1 edizione: luglio 1977
5
assillato dall'idea che testi nuovi vengano scritti senza posa
e che probabilmente non riuscirà mai ad assorbirli tutti. Ma
una delle prime caratteristiche dell'indagine scientifica è
che essa non esige, per descrivere un fenomeno, l'osserva-
zione di tutte le sue istanze, e procede molto più per dedu-
zione. In pratica, si rileva un numero molto limitato di
circostanze, se ne trae un'ipotesi generale e la si verifica su
altre ipotesi, correggendola (o rigettandola). Qualunque sia
il numero dei fenomeni studiati (nel nostro caso, delle ope-
re), non saremo pertanto maggiormente autorizzati a de-
durne leggi universali; non è la quantità delle osservazioni
ad essere pertinente, ma soltanto la coerenza logica della
teoria. Come scrive Karl Popper: « Ora, da un punto di vista
logico, è tutt'altro che ovvio che si sia giustificati nell'infe-
rire asserzioni universali da asserzioni singolari, per quanto
numerose siano queste ultime; infatti qualsiasi conclusione
tratta in questo modo può sempre rivelarsi falsa: per quanto
numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver
osservato, ciò non giustifica la conclusione che tutti i cigni
sono bianchi. » 1
In compenso, un'ipotesi fondata sull'osservazione di un
numero ristretto di cigni, ma la quale affermasse che il loro
candore è la conseguenza di una certa particolarità organi-
ca, un'ipotesi simile sarebbe perfettamente legittima. Per
tornare dai cigni ai romanzi, questa verità scientifica gene-
rale si applica non soltanto allo studio dei generi, ma anche
a quello di tutta l'opera di uno scrittore, a quello di un'epoca
ecc.; lasciamo quindi ciò che è esaustivo a chi se ne accon-
tenta.
Il piano di generalità sul quale viene a trovarsi questo o
quel genere pone un secondo interrogativo. Vi è soltanto
qualche genere (ad esempio poetico, epico, drammatico), o
ve ne sono molti di più? i generi sono in numero finito o
infinito? I formalisti russi propendevano per una soluzione
relativista; Tomachevski scriveva: « Le opere si- distribui-
scono in vaste classi, le quali, a loro volta, si differenziano in
tipi e in specie. In questo senso, scendendo la scala dei
1 Karl Popper, Logie der Forschum, Wien, Julius Springer. 1935 (trad.
it. Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970, pp. 6-7).
6
generi, dalle classi astratte arriveremo alle distinzioni stori-
che concrete (la poesia di Byron, la novella di Cecov, il
romanzo di Balzac, l'ode spirituale, la poesia proletaria) e
finanche alle opere particolari. »2 Questa frase solleva, a
onor del vero, più problemi di quanti ne risolva e fra breve
la riprenderemo in esame, ma possiamo già accettare l'idea
che i generi esistano a livelli di generalità diversi e che il
contenuto di tale nozione si definisca attraverso il punto di
vista che si è scelto.
Un terzo problema è tipico dell'estetica. Ci dicono: par-
lare di generi (tragedia, commedia ecc.) è vano, poiché
l'opera è essenzialmente unica, singolare. L'opera vale per
quanto ha di inimitabile, di diverso da tutte 1e altre, e non
per le somiglianze che ha con esse. Se mi piace La Certosa di
Parma, non è per il fatto che si tratta di un romanzo (gene-
re), ma perché è un romanzo diverso da tutti gli altri (opera
individuale). La risposta denota un atteggiamento roman-
tico nei confronti della materia osservata. Una posizione
simile non è sbagliata nel vero senso del termine: è sempli-
cemente fuori luogo. Un'opera può benissimo piacere per
una ragione o per un'altra; non è questo che la definisce
come oggetto di studio. Lo scopo che si prefigge un'attività
di conoscenza non deve presiedere alla forma che in seguito
essa assume. Non affronteremo in questa sede il problema
estetico in generale: rton perché sia inesistente, ma perché,
nella sua complessità, supera di gran lunga i nostri mezzi
attuali.
Tuttavia questa stessa obiezione può essere formulata in
termini diversi, per cui diventa più difficile confutarla. Il
concetto di genere (o di specie) è derivato dalle scienze
naturali; non a caso, del resto, il pioniere dell'analisi strut-
turale del racconto, V. Propp, faceva ricorso ad analogie con
la botanica o la zoologia. Ora, esiste una differenza quali-
tativa quanto al senso dei termini« genere» ed « esempla-
re » a seconda che vengano applicati agli esseri naturali o
alle creazioni dello spirito. Nel primo caso, la comparsa di
un nuovo tipo non modifica necessariamente le caratteri-
2 B. Tomachevski, « Thémadque "• in Théorie de la littérature, Paris,
Seuil, 1965.
7
stiche (jella specie; di conseguenza le sue proprietà sono
interamente deducibili a partire dalla forn;iula della detta
specie. Sapendo che si tratta della specie tigre, noi possiamo
dedurne le proprietà di ogni tigre in particolare; la nascita
di una nuova tigre non modifica la specie nella sua defini-
zione. L'azione dell'organismo individuale sull'evoluzione
della specie è così lenta, che nella pratica possiamo fame
astrazione. Lo stesso vale per gli enunciati di una lingua
(benché a un grado inferiore): una frase individuale non
modifica la grammatica e la grammatica deve permettere di
dedurre le proprietà della frase.
Lo stesso vàle nel campo dell'arte o della scienza. Qui
l'evoluzione segue un ritmo del tutto diverso: ogni opera
modifica l'insieme dei possibili, ogni nuovo esempio cam-
bia la specie. Potremmo dire che ci troviamo di fronte a una
lingua di cui ogni enunciato è agrammaticale nel momento
della sua enunciazione. Più esattamente, noi non ricono-
sciamo a un testo il diritto di figurare nella storia della
letteratura o in quella della scienza se non in quanto intro-
Juca un cambiamento nell'idea che ci facevamo fino a quel
momento dell'una o dell'altra attività. I testi che non sod-
disfano a questa condizione passano automaticamente in
un'altra categoria: in quella della letteratura detta « popo-
lare», « di massa» nel primo caso; in quella dell'esercizio
scolastico, nel secondo. (A questo punto un confronto nasce
spontaneo: da un lato il prodotto artigianale, l'esemplare
unico; dall'altro quello del lavoro in serie, dello stereotipo
meccanico). Ma per tornare alla materia che è la nostra, solo
la letteratura di massa (romanzi gialli, di appendice, di
fantascienza ecc.) dovrebbe evocare la nozione di genere
che invece sarebbe inapplicabile ai testi propriamente let-
terari.
Una posizione simile ci obbliga a esplicitare i nostri fon-
damenti teorici. Davanti a ogni testo che appartenga alla
« letteratura », dovremo tener conto di una duplice esigen-
za. In primo luogo non dobbiamo ignorare che esso mani-
festa proprietà comuni all'insieme dei testi letterari o ad uno
dei sottoinsiemi della letteratura (che viene appunto chia-
mato un genere). Oggi è difficilmente immaginabile che si
8
possa difendere la tesi secondo la quale tutto, nell'opera, è
individuale, prodotto i_nedito di una ispirazione personale,
fatto senza alcun rapporto con le opere del passato. In
secondo luogo, un testo non è soltanto il prodotto di un
procedimento combinatorio preesistente (costituito dalle
proprietà letterarie virtuali); è anche una trasformazione di
questo procedimento.
Possiamo quindi già affermare che ogni studio della let-
teratura, che lo voglia o meno, parteciperà a questo duplice
movimento: dell'opera verso la letteratura (o il genere), e
della letteratura (del genere) verso l'opera; privilegiare
provvisoriamente l'una o l'altra direzione, la differenza o la
somiglianza, è un modo di procedere perfettamente legitti-
mo. Ma c'è di più. Vivere nell'astrazione e nel « generico »
fa parte della natura stessa del linguaggio. L'individuale
non può esistere nel linguaggio e la nostra formulazione
della specificità di un testo diventa automaticamente la
descrizione di un genere, la cui sola particolarità è che
l'opera in questione ne sarebbe il primo e l'unico esempio.
Ogni descrizione di un testo, per il fatto stesso che avviene
con l'ausilio delle parole, è una discussione di genere. Non si
tratta di un'affermazione puramente teorica; la storia lette-
raria ce ne offre continuamente l'esempio, dal momento che
gli epigoni imitano appunto quel che vi era di specifico
nell'iniziatore.
È perciò escluso che si possa « rigettare la nozione di
genere», come ad esempio chiedeva Croce: un rigetto si-
mile implicherebbe la rinuncia al linguaggio e, per defini-
zione, non potrebbe essere formulato. Conta, in compenso,
la consapevolezza del grado di astrazione che si assume e
della sua posizione di fronte all'evoluzione effettiva. Tale
evoluzione si trova inscritta così in un sistema di categorie
che le dà fondamento, e al tempo stesso ne dipende. .
Resta il fatto che oggi la letteratura sembra voler abban-
donare la divisione in generi. Già dieci anni fa Maurice
Blanchot scriveva: « Il libro solo importa, così com'è, fuori
dai generi, dalle rubriche, ·prosa, poesia, romanzo, testimo-
nianza, in cui rifiuta d'incasellarsi, negandogli il potere di
fissare quale sia il suo posto e di determinare la_sua forma.
9
Un libro non appartiene più a un genere, ciascun libro
dipende dalla sola ·letteratura, come se in essa giacessero
anticipati nella loro generalità i segreti e le formule che
permettono di dare realtà di libro a quanto si scrive. » 3
Perché allora sollevare questi problemi superati? Gerard
Genette ha risposto in maniera pertinente: « Il discorso let-
terario si produce e si sviluppa secondo strutture che non
può trasgredire se non perché le trova ancora oggi nel
campo del suo linguaggio e della sua scrittura. » 4 Perché vi
sia trasgressione, occorre che la norma sia sensibile. D'altra
parte è dubbio che la letteratura contemporanea sia del
tutto esente da distinzioni generiche; caso mai, dette di-
stinzioni non corrispondono più alle nozioni ereditate dal
passato. È evidente che attualmente non abbiamo l'obbligo
di seguirle. Si manifesta anzi la necessità di elaborare cate-
gorie astratte che possano applicarsi alle opere odierne. Più
in generale, non riconoscere l'esistenza dei generi equivale a
sostenere che l'opera letteraria non mantiene le proprie
relazioni con le opere già esistenti. I generi rappresentano
appunto quel tramite, in virtù del quale l'opera si mette in
rapporto con l'universo della letteratura.
Interrompiamo a questo punto le nostre disparate letture.
Per fare un passo avanti scegliamo una teoria contempora-
nea dei generi e sottoponiamola a un vaglio particolarmente
attento. Così, a partire da un esempio, potremo vedere
meglio quali principi positivi debbano guidare il nostro
lavoro, quali siano i pericoli da evitare. Il che non significa
che, via facendo, principi nuovi non emergano· dal nostro
stesso discorso o che ostacoli insospettati non appaiano in
numerosi punti.
La teoria dei generi che discuteremo dettagliatamente è
quella di Northrop Frye, in particolare nel modo in cui è
formulata nella sua Anatomia della critica. La scelta non è
gratuita: Frye occupa oggi un posto predominante tra i
critici anglosassoni e la sua opera è certamente una delle più
3 M. Blanchot. Le fivre à venir, Paris. Gallimard. 1959 (trad. it. // libro a
venire, Torino. Einaudi, 1969. p. 202).
4 G. Genette, Figures Il. Paris. Seui!, 1969 (trad. it. Figure li, Torino.
Einaudi. 1972. p. 15).
10
rilevanti nella storia della critica successiva all'ultima guer-
ra. Anatomia della critica è insieme una teoria della lettera-
tura (e quindi dei generi) e una teoria della critica. Questo
libro si compone più esattamente di due tipi di testi, gli uni
di ordine teorico (l'introduzione, la conclusione e il secondo
saggio: « Ethical Criticism: Theory of Symbols » ), gli altri
più descrittivi. In esso, appunto, si trova illustrato il sistema
dei generi creato da Frye. Giacché, per essere capito, questo
sistema non può essere isolato dall'insieme, cominceremo
dalla parte teorica.
Eccone le caratteristiche principali.
1. Si debbono praticare gli studi letterari con la stessa
serietà e con lo stesso rigore adottati per le altre scienze. « Se
la critica esiste, deve essere un esame della letteratura nei
termini di un sistema concettuale induttivamente derivabile
dalla letteratura stessa. (... ) Anche nella critica potrebbe
esistere un elemento scientifico che la differenzi da un lato
dal parassitismo letterario e, dall'altro, da un atteggiamento
critico ad essa sovrapposto. » 5
2. Una conseguenza di questo primo postulato è la ne-
cessità di escludere dagli studi letterari ogni giudizio di
valore sulle opere. Su questo punto, Frye è alquanto dra-
stico; potremmo attenuare il rigore del suo verdetto e dire
che la valutazione troverà il suo posto in sede di poetica, ma
che per il momento il riferirvisi complicherebbe inutilmente
le cose.
3. L'opera letteraria, come la letteratura in generale,
forma un sistema; nulla è dovuto al caso. O, come scrive
Frye: « Il primo postulato di questo salto induttivo è iden-
tico a quello di tutte le altre scienze: e consiste nel presup-
porre una coerenza totale. »6
4. Occorre distinguere la sincronia dalla diacronia: l'a-
nalisi letteraria esige che si operino degli spaccati sincronici
nella storia, ed è dentro di essi che si deve cominciare a
cercare il sistema. « Quando un critico tratta d'un'opera
letteraria, la cosa più naturale per lui è di congelarla, (to
5 N. Frye, Anatomy ofCriticism, New York, Atheneum. 1967 (trad. it.
Anatomia della critica. Torino, Einaudi. 1971, p. 15).
6 N. Frye, op. cit.. p. 25.
11
freeze it), di ignorare il suo movimento nel tempo, e di
guardarla come un compiuto modulo di parole con tutte le
sue parti presenti simultaneamente», scrive Frye in un'altra
opera. 7
5. Il testo letterario non entra in un rapporto di riferi-
mento al «mondo», come spesso accade per le frasi del
nostro discorso quotidiano, non è rappresentativo di altro
che di se stesso. Per tale aspetto la letteratura assomiglia alla
matematica, più che al linguaggio corrente: il discorso let-
terario non può essere vero o falso, può soltanto essere
valido nei confronti delle proprie premesse. « Il poeta, come
il matematico puro, fa assegnamento non sulla verità de-
scrittiva, ma sulla conformità ai suoi postulati ipotetici. »8
« La letteratura, come la matematica, è un linguaggio, e il
linguaggio non rappresenta in se stesso alcuna verità, seb-
bene possa fornire i mezzi per esprimere un numero qual-
siasi di verità. »9 Di conseguenza il testo letterario è di
natura tautologica: significa se stesso. « Il simbolo poetico
significa per prima cosa se stesso in relazione con la poe-
sia. »10 La risposta del poeta sul significato di un certo
elemento della sua opera deve sempre essere: « L'ho im-
maginato come parte del lavoro drammatico. »(«I meant it
to forma part ofthe play. ») 11
6. La letteratura si crea a partire dalla letteratura, non a
partire dalla realtà, sia essa materiale o psichica; ogni opera
letteraria è convenzionale.« Non si possono scrivere poesie
se non a partire da altre poesie, o romanzi, se non a partire
da altri romanzi. » E in un altro testo, The Educated
Imagination: « Solo una precedente esperienza letteraria
può avere destato nello scrittore il desiderio di comporre;
(... ) la letteratura può ricavare le sue forme unicamente da
se stessa. »12 « Non vi è nessuna nuova creazione in lette-
7 N. Frye, Fablesrf /denti~y. New York, Harcourt, Brace & World, 1961
(trad. it. Favole d'identità, Torino, Einaudi, 1973, pp. 24-25).
8 N. Frye, Anaromy... , cit.
9 lbid.
10 lbid.
11 lbid.
12 N. Frye, The Educared /magination, Bloomington, Bloomington
12
ratura che non sia una riformulazione di cose già dette( ... ) Il
principio generale implicito è che in effetti non esiste au-
toespressione in letteratura. »13
Nessuna di queste idee è del tutto originale (benché Frye
citi di rado le proprie fonti): si possono riscontrare in Mal-
larmé o in Valéry come pure in una tendenza della critica
francese contemporanea che ne continua le tradizioni
(Blanchot, Barthes, Genette); in ampia misura si ritrovano
altresì nei formalisti russi, e infine in autori come T.S. Eliot.
L'insieme di questi postulati che valgono sia per gli studi
letterari che per la letteratura stessa, costituisce il nostro
punto di partenza. Con questo, ci siamo allontanati sensi-
bilmente dai generi. Passiamo quindi alla parte del libro di
Frye che ci interessa più direttamente. Nel corso del suo
studio (costituito, ricordiamolo, da testi pubblicati prima
separatamente), Frye propone diverse serie di categorie che
permettono tutte le suddivisioni in generi (benché il termine
di « genere >? sia applicato da Frye a una sola di queste
serie). Il mio proposito non è quello di esporle nella loro
sostanza. Trattandosi di una discussione puramente meto-
dologica, mi limiterò a tener conto dell'articolazione logica_
delle sue classificazioni, senza fornire esempi particolareg-
giati.
l. La prima classificazione definisce i « modi della fin-
zione». Essi sono cinque in tutto e si costituiscono a partire
dalla relazione tra il protagonista del libro e noi stessi, o le
leggi della natura:
a) Il protagonista ha superiorità (di natura) sul lettore e
sulle leggi della natura; questo genere si chiama il mito.
b) Il protagonista ha una superiorità (di grado) sul lettore
e sulle leggi della natura; è il genere della leggenda, del
racconto di fate.
c) Il protagonista ha una superiorità (di grado) sul letto-
re, ma non sulle leggi della natura; siamo nel genere mime-
tico alto.
d) Il protagonista è a parità con il lettore e le leggi della
University Press. 1964 (trad. it. L'immagina=ione coltivata. Milano, Lon-
ganesi. 1974, p. 29 e p. 32).
13 N. Frye, op. cit., pp. 53, 54.
13
natura; è il genere mimetico basso.
e) Il protagonista è inferiore al lettore; è il genere dell'i-
ronia.
2. Un'altra categoria fondamentale è quella della vero-
simiglianza: i due poli della letteratura sono allora costituiti
dal racconto verosimile e il racconto in cui tutto è permesso.
3. Una terza categoria pone l'accento su due tendenze
principali della letteratura: -il comico, che concilia il prota-
gonista con la società, e il tragico, che lo isola.
4. La categoria che sembra decisamente più importante
per Frye è quella che definisce certi archetipi. Essi sono
quattro (quattro mithoi), e si fondano sull'opposizione tra la
sfera della realtà e dell'idea. Così troviamo caratterizzate il
«romance»* (nella sfera dell'idea), l'ironia (nella sfera
della realtà), la commedia (passaggio dalla sfera della realtà
alla sfera dell'idea), la tragedia (passaggio dalla sfera del-
l'idea alla sfera della realtà).
5. Segue la divisione in generi propriamente detti, fon-
data sul tipo di udienza che le opere dovrebbero avere. I
generi sono: il dramma (opere rappresentate), la poesia
lirica (opere cantate), la poesia epica (opere recitate), la
prosa (opere lette). A questo si aggiunge la precisazione
seguente: « La distinzione più importante è legata al fatto
che la poesia epica è episodica, mentre la prosa è continua. »
6. Infine vi è un'ultima classificazione che si articola in-
torno all'opposizione intellettuale/personale, introverso/e-
stroverso, e che si potrebbe presentare schematicamente nel
modo seguente:
Intellettuale personale
introverso confessione «romance»
estroverso «anatomia» romanzo
14
Queste sono alcune delle categorie (noi ~iremo anche dei
generi) proposti da Frye. La sua audacia è evidente e lode-
0
15
quello delle superstizioni.
Un'obiezione alle nostre obiezioni potrebbe opporre che
se Frye non enumera che cinque generi (modi) su tredici
possibilità teoricamente enunciabili, è perché cinque generi
sono esistiti, mentre ciò non è vero per gli altri otto. Que-
st'osservazione ci porta a una distinzione importante tra i
due sensi che si danno alla parola genere; per evitare qual-
siasi ambiguità, da una parte si dovrebbero considerare i
~eneri srorici, dall'altra i generi reorici. I primi risulterebbero
da un'osservazione della realtà letteraria, i secondi da una
deduzione di ordine teorico. Quello che abbiamo imparato
a scuola sui generi, si riferisce sempre ai generi storici: si
parla di una tragedia classica perché in Francia vi sono state
opere che ostentavano apertamente la loro appartenenza a
questa forma letteraria. In compenso si trovano esempi di
generi teorici nelle opere di poetica antica; ad esempio, nel
1v secolo, Diomede, sulle tracce di Platone, divide tutte le
opere in tre categorie: quelle in cui parla il solo narratore;
quelle iri cui parlano i soli personaggi e infine quelle in cui
parlano entrambi. La classificazione non si basa su un ac-
costamento delle opere attrav~rso la storia (come nel caso
dei generi storici), ma su un'ipotesi astratta la quale postula
che il soggetto dell'enunciazione sia l'elemento più impor-
tante dell'opera letteraria e che secondo la natura del sog-
getto, si possa distinguere un numero logicamente calcola-
bile di generi teorici.
Ora, come nella poetica antica, il sistema di Frye è costi-
tuito da generi reorici e non storici. Vi è un certo numero di
generi, non perché non se ne siano osservati di più, ma
perché lo impone il principio del sistema. È quindi neces-
sario dedurre tutte le combinazioni possibili a partire dalle
categorie scelte. Si potrebbe anche dire che se una di queste
combinazioni praticamente non si fosse mai manifestata,
dovremmo descriverla anche più volentieri: come nel siste-
ma di Mendeleiev si possono descrivere le proprietà degli
elementi che non si sono ancora scoperti, non diversamente
qui descriveremo le proprietà dei generi - e quindi delle
opere - futuri.
Possiamo trarre altre due conclusioni da questa prima
16
osservazione. Innanzi tutto, ogni teoria dei generi si fonda
su una concezione dell'opera, su una sua immagine che da
un lato comporta un certo numero di proprietà astratte e
dall'altro delle leggi che governano la messa in relazione di
tali proprietà. Se Diomede divide i generi in tre categorie, è
in quanto postula, all'interno dell'opera, una caratteristica:
l'esistenza di un soggetto dell'enunciazione. Inoltre, fon-
dando la sua classificazione su questa caratteristica, dimo-
stra l'importanza primordiale che le accorda. Analoga-
mente, se Frye si fonda, per la sua classificazione, sulla
relazione di superiorità o di inferiorità tra il protagonista e
noi, è in quanto considera la suddetta relazione come un
elemento dell'opera e addirittura come uno dei suoi ele-
menti fondamentali.
Si può altresì introdurre una distinzione supplementare
all'interno dei generi teorici e parlare di generi elementari e
complessi. I primi sarebbero definiti dalla presenza o l'as-
senza di una sola caratteristica, come in Diomede; i secondi
dalla coesistenza di diverse caratteristiche. Ad esempio, si
definirebbe il genere complesso « sonetto » come il genere
che associa in sé le proprietà seguenti: I. determinate pre-
scrizioni sulle rime; 2. determinate prescrizioni sul metro; 3.
determinate prescrizioni sul tema. Simile definizione pre-
suppone una teoria del metro, della rima e dei temi (in altre
parole, una teoria globale della letteratura). Risulta in tal
modo evidente che i generi storici costituiscono una parte
dei generi teorici complessi.
17
lettuale-personale. In questa lista, l'arbitrarietà è ciò che
salta subito agli occhi: perché quelle e non altre categorie,
sarebbero le più utili per descrivere un testo let~~;~rio? Ci
aspetteremmo un'argomentazione serrata che pròv-asse la
loro importanza; di questa argomentazione, nessuna trac-
cia. Inoltre, non si può non rilevare un trattq:cpmune a tutte,
e cioè il loro carattere non letterario .. $'-éhiaro che sono
desunte dalla filosofia, dalla psicologia, o da un'etica so-
ciale, e non da una qualunque psicologia, o filosofia. O
questi termini debbono essere presi in senso particolare,
propriamente letterario, oppure - e giacché non ne viene
fatta parola, è la sola possibilità che si offra - ci portano al
di fuori della letteratura. Di conseguenza la letteratura non
è più che un mezzo per esprimere delle categorie filosofiche.
La sua autonomia viene ad essere messa seriamente in di-
scussione - ed eccoci di nuovo in contraddizione con uno
dei principi teorici enunciati proprio da Frye.
Anche se le categorie citate avessero corso soltanto in
letteratura, esse esigerebbero una spiegazione più esau-
riente. Si può parlare del protagonista come se questa no-
zione fosse ovvia? Qual è il senso preciso della parola? E
cos'è il verosimile? Il suo contrario è peculiare unicamente a
certe storie in cui i personaggi « possono fare qualunque
cosa »? 14 Frye stesso ne darà in altra sede un'interpretazio-
ne diversa che mette in discussione quel primo senso della
parola (« Un vero pittore naturalmente sa che quando il
pubblico esige la somiglianza con l'oggetto rappresentato,
di solito desidera esattamente l'opposto, cioè una somi-
glianza con le convenzioni pittoriche che gli sono familia-
ri. »)15
18
scelta delle categorie. Le conseguenze del nuovo postulato
sono molto più serie, giacché si tratta di un'opzione fonda-
mentale. La stessa per cui Frye si oppone recisamente al-
l'atteggiamento strutturalista, riallacciandosi piuttosto a
una tradizione nella quale si possono far rientrare i nomi di
Jung, Bachelard o Gilbert Durand (nonostante la diversità
delle loro opere).
Ecco il postulato: le strutture formate dai fenomeni let-
terari si manifestano allo stesso livello di questi ultimi: in altre
parole, tali strutture sono direttamente osservabili. Lévi-
Strauss scrive invece: « Il principio fondamentale è che il
concetto di struttura sociale non si riferisca alla realtà em-
pirica, ma ai modelli costruiti in base ad essa. » 16 Semplifi-
cando si potrebbe dire che agli occhi di Frye, la foresta e il
mare formano una struttura elementare, mentre per uno
strutturalista questi due fenomeni manifestano una strut-
tura astratta prodotto di un'elaborazione, e che altrove si
articola, per così dire, tra lo statico e il dinamico. Vediamo
insieme perché certe immagini come quelle delle quattro
stagioni, o le quattro parti della giornata, o i quattro ele-
menti, occupino un posto così importante in Frye. Come lui
stesso afferma (nella prefazione a uno studio di Bachelard),
« la terra, l'aria, l'acqua e il fuoco sono i quat~ro elementi
dell'esperienza dell'immaginario, e lo resteranno sem-
pre ». 17 Mentre la « struttura » degli strutturalisti è innanzi
tutto una regola astratta, la « struttura » di Frye si riduce a
una disposizione nello spazio. Sull'argomento Frye è espli-
cito: « Molto spesso una ,struttura, o un ,sistema, di pen-
siero possono venir ridotti a un modello diagrammatico; e
in realtà tutte e due le parole sono in qualche modo sinoni-
mi di diagramma ». 18
Un postulato non ha bisogno di prove; ma la sua efficacia
può esser valutata in base ai risultati cui si giunge accettan-
dolo. Poiché secondo noi l'organizzazione formale non si
16 C. Lévi-Strauss. Anthropolo~ie structurale, Paris, Plon 1958 (trad. it.
Anrropolo,;:ia srmuurale, Milano, Il Saggiatore, 1966, p. 31 I).
17 N. Frye. « Preface » in: G. Bachelard, The Psychoanalvsis of Fire.
Boston, Beacon Press. 1964.
18 N. Frye, Anatomv.... cit., p. 453.
19
lascia cogliere sul piano delle immagini, tutto quello che di
esse si potrà dire resterà approssimativo. Dovremo conten-
tarci di probabilità, anziché maneggiare certezze e impos-
sibilità. Per riprendere il nostro esempio più elementare, la
foresta e il mare possono, ma non debbono trovarsi spesso in
opposizione, formando così una « struttura ». Lo statico e il
dinamico, invece, formano obbligatoriamente un'opposi-
zione che può manifestarsi in quella della foresta e del ma-
re. Le strutture letterarie sono altrettanti sistemi di regole ri-
gorose, e soltanto le loro manifestazioni ubbidiscono a delle
probabilità. Colui che cerca le strutture sul piano delle imma-
gini osservabili, si nega insieme ogni conoscenza sicura.
t esattamente ciò che accade a Frye. Una delle parole più
ricorrenti del suo libro è certamente la parola often (spesso).
Alcuni esempi: « This myth is o{ten associated with a flood,
the regular symbol of the beginning and the end of a cycle.
The infant hero is o{ten placed in an ark or chest floating on
the sea... On dry land the infant may be rescued either from
or by an animal... ». 19 « Its most common settings are the
mountain-top, the island, the tower, the lighthouse, and the
ladder or staircase. » 20 « He may also be a ghost, like Ham-
let's father; or it may not be a person at all, but simply an
invisible force known only by its effects ... Often, as in the
revenge-tragedy, it is an event previous to the action of
which the tragedy itself is the consequence. » 21 ecc. (Il cor-
sivo è mio).
Il postulato di una manifestazione diretta delle strutture
genera un effetto sterilizzante in diverse altre direzioni. C'è
da notare innanzi tutto che l'ipotesi di Frye non può andare
oltre una tassonomia, una classificazione (secondo le sue
espresse dichiarazioni). Ma dire che gli elementi di un in-
sieme possono essere classificati, significa formulare su
questi elementi l'ipotesi più fragile che esista.
Il libro di Frye fa pensare sempre a un catalogo in cui
siano state repertoriate innumerevoli immagini letterarie;
ora, un catalogo non è che uno degli strumenti della scienza,
19 N. Frye, Ana1omy.•. , cit., p. 198.
20 N. Frye, op. cii., p. 203.
21 N. Frye, op. cii., p. 216.
20
non la scienza stessa. Si potrebbe aggiungere che chi non fa
· altro che classificare non può farlo bene: la sua classifica-
zione è arbitraria non potendosi basare su una teoria espli-
cita - un po' come quelle classificazioni del mondo vivente,
prima di Linné, in cui non si esitava a stabilire una categoria
di tutti gli animali che si grattano ...
Se ammettiamo con Frye che la letteratura è un linguag-
gio, abbiamo il diritto di aspettarci che nella sua attività il
critico non si discosti molto dal linguista. Ma l'autore del-
l'Anatomia della critica fa pensare semmai a quei dialetto-
logi-lessicografi del secolo scorso che percorrevano i villaggi
a caccia di parole rare o sconosciute. Per quanto si faccia
raccolta di migliaia di parole, non pertanto si risale ai prin-
cipi, anche più elementari, del funzionamento di una lin-
gua. Il lavoro dei dialettologi non è stato inutile, e tuttavia
poggia sul falso giacché la lingua non è una riserva di
parole, bensì un meccanismo. Per capire tale meccanismo
basta partire dalle parole più correnti, dalle frasi più sem-
plici. Lo stesso vale per la critica: si possono abbordare i
problemi essenziali della teoria letteraria senza possedere
per questo la sfavillante erudizione di Northrop Frye.
21
che lo riceve (in ogni caso si tratta di un'immagine implicita
nel testo, non di un autore o lettore reale); finora si sono
studiati questi problemi sotto il nome di « visioni » o di
« punti di vìsta ».
Mediante l'aspetto sintattico si spiegano le relazioni che
intercorrono tra le parti dell'opera (una volta si parlava di
« composizione » ). Le relazioni possono essere di tre tipi:
logiche, temporali e spaziali.*
Resta l'aspetto semantico o, se si vuole, restano i « temi »
del libro. In questo campo non avanziamo a priori nessuna
ipotesi globale, in quanto non sappiamo in che modo si
articolino i temi letterari. Possiamo ciò nonostante suppor-
re, senza correre rischi, che esistano alcuni universali se-
mantici della letteratura, temi che si incontrano ovqnque e
sempre e che sono poco numerosi; le loro trasformazioni e
combinazioni generano la moltitudine apparente dei temi
letterari.
Va da sé che questi tre aspetti dell'opera si manifestano in
una interrelazione complessa e che s~ trovano isolati sol-
tanto nella nostra analisi.
2. Una scelta preliminare si impone proprio quanto al
piano su cuj collocare le strutture letterarie. Abbiamo deciso
di considerare tutti gli elementi immediatamente osserva-
bili dell'universo letterario come la manifestazione di una
struttura astratta e scalata, prodotto di un'elaborazione, e di
cercare l'organizzazione solo su questo piano. Si verifica a
questo punto una spartizione fondamentale.
3. Il concetto di genere deve essere specificato e qualifi-
cato. Da una parte abbiamo opposto generi storici e generi
teorici: i primi sono il frutto di un'osservazione dei fatti
letterari, i secondi sono dedotti da una teoria della lettera-
tura. D'altro canto abbiamo distinto, all'interno dei generi
teorici, tra generi elementari e complessi: i primi sono ca-
ratterizzati dalla presenza o l'assenza di un solo tratto
strutturale, i secondi, dalla presenza o l'assenza di una con-
giunzione di questi tratti. Con ogni evidenza, i generi storici
• Questi due' aspetti, verbale e sintattico, dell'opera letteraria, si trova-
no descritti più a lungo nella nostra« Poétique » (Qu'est-ce que le struc-
turalisme? Ed. du Seui), 1968). (n.d.a.)
22
sono un sottoinsieme dell'insieme dei generi teorici com-
plessi.
23
vanti a un'impasse metodologica esemplare: in che modo
prnvare il fallimento descrittivo di una teoria dei generi,
qualunque essa sia?
Guardiamo adesso dall'altro lato, quello della conformità
dei generi noti alla teoria. Inscrivere correttamente non è
più facile che descrivere. Il pericolo è tuttavia di natura
diversa: e cioè le categorie di cui ci_ serviremo tenderanno
sempre a condurci fuori dalla letteratura. Ad esempio ogni
teoria dei temi letterari (almeno finora) tende a ridurre
questi temi a un complesso di categoriè desunte dalla psi-
cologia o dalla filosofia, o dalla sociologia (Frye ce ne ha
dato un esempio). Anche se queste categorie fossero de-
sunte dalla linguistica, la situazione non sarebbe qualitati-
vamente diversa. Si può andare anche più in là: proprio per
il fatto che ci dobbiamo servire di parole del linguaggio
quotidiano, pratico, per parlare della letteratura, affermia-
mo implicitamente che la letteratura tratta una realtà nella
sfera delle idee che si lascia designare anche con altri mezzi.
Ora, come ben sappiamo, la letteratura esiste appunto in
quanto sforzo di dire ciò che il linguaggio ordinl!_rio non
dice e non può dire. Per questa ragione la critica (quella
migliore) tende sempre a diventare a sua volta letteratura:
non si può parlare di ciò che fa la letteratura se non facendo
letteratura. Soltanto a partire da questa differenza con il
linguaggio comune la letteratura può costituirsi e sussistere.
La letteratura enuncia ciò che essa sola può enunciare.
Quando il critico avrà detto tutto su un testo letterario, non
avrà ancora detto niente, giacché la definizione stessa della
letteratura implica che non se ne possa parlare.
Riflessioni così scettiche non debbono arr;::starci; esse ci
obbligano soltanto a prendere coscienza di limiti che non
possiamo valicare. La ricerca della conoscenza mira a una
verità approssimativa, non a una verità assoluta. Se la
scienza descrittiva pretendesse di dire la verità, sarebbe in
contraddizione con la propria ragione di essere. Aggiunge-
remo che una certa forma di geografia fisica non esiste più
da quando tutti i continenti sono stati correttamente de-
scritti. L'imperfezione è, paradossalmente, una garanzia di
sopravvivenza.
24
2 Definizione del fantastico
25
fortunato perché tutto ciò non sia stato che un sogno? » 3
Anche sua madre penserà: « Dovete aver sognato quella
fattoria e tutti quelli che vi erano dentro. » 4 L'ambiguità
sussiste fino al termine dell'avventura: realtà o sogno? ve-
rità o illusione?
Così penetriamo nel cuore del fantastico. In un mondo
che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo, senza
diavoli, né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento
che, appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo
che ci è familiare. Colui che percepisce l'avvenimento deve
optare per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di
un'illusione dei sensi, di un prodotto dell'immaginazione, e
in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono,
oppure l'avvenimento è realmente accaduto, è parte inte-
grante della realtà, ma allora questa realtà è governata da
leggi a noi ignote. O il diavolo è un'illusione, un essere
immaginario, oppure esiste realmente come tutti gli altri
esseri viventi, salvo che lo si incontra di rado.
Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza;
non appena si è scelta l'una o l'altra risposta, si abbandona
la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere
simile, lo strano o il meraviglioso. Il fantastico, è l'esitazione
provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi na-
turali, di fronte a un avvenimento apparentemente sopran-
naturale.
Il concetto di fantastico si definisce quindi in relazione ai
concetti di reale e di immaginario, i quali meritano più di
una semplice menzione. Ci riserviamo di discuterne nel-
l'ultimo capitolo di qi:esto studio.
26
di probabilità interna» (citato da Tomachevski). 5 Vi è
un fenomeno strano che si può spiegare in due modi gra-
zie a dei tipi di cause naturali e soprannaturali. La possibi-
lità di esitare fra le prime e le seconde crea l'effetto fanta-
stico.
Alcuni anni dopo, un autore inglese specializzato in storie
di fantasmi, Montague Rhodes James, adopera quasi gli
stessi termini: « Talora è necessario avere una via d'uscita
per una spiegazione naturale, ma dovrei aggiungere: che
questa porta sia abbastanza stretta perché non ci se ne possa
servire. » 6 Di nuovo, quindi, due soluzioni possibili.
Ecco dalla Germania un altro esempio: « Il protagonista
sente continuamente e distintamente la contraddizione tra i
due mondi, quello del reale e quello del fantastico e lui
stesso è stupito davanti alle cose straordinarie che lo cir-
condano. » 7 Si potrebbe allungare indefinitamente questa
lista. Si noti tuttavia una differenza tra le due prime defini-
zioni e la terza: nelle prime, sta al lettore esitare tra le due
possibilità, nella terza sta al personaggio. Ne riparleremo
fra breve.
C'è altresì da notare che le definizioni del fantastico che si
trovano in recenti studi francesi, non sono proprio identiche
alla nostra, ma nemmeno la contraddicono. Senza dilun-
garci troppo, citeremo alcuni esempi attinti nei testi « ca-
nonici ». Scrive Castex: « Il fantastico ... si caratterizza ... per
una intrusione brutale del mistero nella sfera della vita
reale. » 8 Louis Vax: « Il racconto fantastico è solito presen-
tarci uomini come noi che abitano nel mondo reale dove noi
siamo, posti all'improvviso in presenza dell'inesplicabile. » 9
Roger Caillois: « Tutto il fantastico è rottura dell'ordine
riconosciuto, irruzione dell'inammissibile in seno all'inal-
5 B. Tomachevski, cc Thématique », in Théorie de la lirrérature, Paris,
Seui!, 1965.
6 M.R. James, cc Introduction », in V.H. Collins (ed.), Ghosts and Mar-
vels, Oxford University Press, 1924.
7 Olga Reimann, Das Marchen bei E.T.A. Hoffmann, Miinchen,
Inaugural-Dissertation, 1926.
8 P.G. Castex, Le conte fanrastique en France, Paris, José Corti, 1951.
9 L. Vax, L'Art et la Lirrérature fantastique, Paris. P.U.F. (coli. Que
sais-ie?). 1960.
27
terabile legalità quotidiana. »10 È chiaro che queste tre de-
finizioni sono, in maniera intenzionale o meno, parafrasi
l'una dell'altra: ogni volta vi è il «mistero», l'« inesplica-
bile », l' « innammissibile », che si introducono nella « vita
reale », o nel « mondo reale », o nella « inalterabile legalità
quotidiana».
Queste definizioni si trovano incluse globalmente in
quella che proponevano i primi autori citati e che già im-
plicàva l'esistenza di avvenimenti di due ordini diversi,
quelli del mondo naturale e quelli del mondo soprannatu-
rale, ma la definizione di Soloviov, James, ecc., segnalava
inoltre la possibilità di forn~re due spiegazioni dell'evento
soprannaturale e, di conseguenza, il fatto che qualcuno do-
vesse scegliere fra l'una e l'altra. Essa era quindi più sugge-
stiva, più ricca: anche la nostra ne è una derivazione. Per di
più essa pone l'accento sul carattere differenziale del fan-
tastico (come linea di spartizione tra lo strano e il meravi-
glioso) anziché farne una sostanza (come Castex, Caillois
ecc.). Più in generale si deve affermare che un genere si
definisce sempre in relazione a generi consimili.
Ma la definizione non è ancora precisa, ed è a questo
punto che dobbiamo fare un passo avanti rispetto ai nostri
predecessori. Abbiamo notato che non era stato detto chia-
ramente se ad esitare doveva essere il lettore oppure il
personaggio, né quali erano le particolarità dell'esitazione.
Il diavolo innamorato .offre una materia troppo povera per
un'analisi più approfondita: esitazione, dubbio, ci sfiorano
solo per un attimo. Faremo perciò appello a un altro libro,
scritto circa vent'anni dopo e che ci permetterà di sollevare
un maggior numero di interrogativi; un libro che inaugura
magistralmente l'epoca del racconto fantastico: il Mano-
scritto trovato a Saragozza di Jan Potocki. All'inizio ci viene
riferita una serie di avvenimenti dei quali nessuno, preso
singolarmente, contravviene alle leggi della natura, così
come le conosciamo in base all'esperienza, ma il loro accu-
mularsi costituisce già un problema. Alfonso Van Worden,
protagonista e narratore del libro, attraversa le montagne
della Sierra Morena. All'improvviso il suo « zagal » Mo-
IO R. Caillois, A u coeur du fantastique, Paris, Gallimard, 1965.
28
schito scompare; qualche ora dopo scompare anche il do-
mestico Lopez. Gli abitanti del paese affermano che la
regione è frequentata dagli spiriti. Si tratta di due banditi,
impiccati di recente. Alfonso arriva in una locanda e si
accinge a dormire quando, al primo tocco di mezzanotte,
una bella negra seminuda, con un candeliere in ciascuna
mano 11 entra in camera sua e lo invita a seguirlo. Lo con-
duce fino a una stanza sotterranea dove viene accolto da
due giovani sorelle belle e succintamente vestite, che gli
offrono da mangiare e da bere. Alfonso prova sensazioni
strane e nella sua mente affiora un dubbio: « Non sapevo
più se fossi con delle donne oppure con degli insidiosi suc-
cubi*. » 12 Poi gli raccontano la loro vita e gli rivelano di
essere le sue cugine. Ma al primo canto del gallo, il racconto
viene interrotto e Alfonso si ricorda che, come tutti sanno, il
potere degli spiriti dura soltanto da mezzanotte al primo
canto del gallo.
Tutto questo, beninteso, non esula veramente dalle leggi
della natura quali noi le conosciamo. Tutt'al più si può dire
che sono avvenimenti strani, coincidenze insolite. Decisivo,
invece, è il passo che segue. Si verifica infatti un avveni-
mento che la ragione non può spiegare. Alfonso va a letto, le
due sorelle lo raggiungono (o forse si limita a sognarlo), ma
una cosa è certa: quando si sveglia, non è più in un letto,
non è più in una stanza sotterranea. « Vidi il cielo. Vidi che
mi trovavo all'aperto.( ... ) Ero sdraiato sotto la forca di Los
Hermanos. I cadaveri dei due fratelli di Zoto non erano
appesi, ma coricati accanto a me. » 13 Ecco quindi un primo
avvenimento soprannaturale: due belle fanciulle sono di-
ventate due fetidi cadaveri.
Non pertanto Alfonso è convinto dell'esistenza di forze
soprannaturali: il che avrebbe eliminato ogni esitazione (e
posto fine al fantastico). Cerca un posto dove passare la
notte e giunge davanti alla capanna di un eremita. Qui
11 J. Potocki, Manoscritto trovato a Saragozza, Milano, Adelphi, 1965,
p. 14.
• Spiriti demoniaci che assumono sembianze femminili per tentare gli
uomini durante la notte.
12 J. Potocki, op. cii., p. 17.
13 J. Potocki, op. cii., p. 27.
29
terabile legalità quotidiana. » 10 È chiaro che queste tre de-
finizioni sono, in maniera intenzionale o meno, parafrasi
l'una dell'altra: ogni volta vi è il «mistero», l'« inesplica-
bile», l'« innammissibile », che si introducono nella « vita
reale », o nel « mondo reale », o nella « inalterabile legalità
quotidiana ».
Queste definizioni si trovano incluse globalmente in
quella che proponevano i primi autori citati e che già im-
plicàva l'esistenza di avvenimenti di due ordini diversi,
quelli del mondo naturale e quelli del mondo soprannatu-
rale, ma la definizione di Soloviov, James, ecc., segnalava
inoltre la possibilità di forn~re due spiegazioni dell'evento
soprannaturale e, di conseguenza, il fatto che qualcuno do-
vesse scegliere fra l'una e l'altra. Essa era quindi più sugge-
stiva, più ricca: anche la nostra ne è una derivazione. Per di
più essa pone l'accento sul carattere differenziale del fan-
tastico (come linea di spartizione tra lo strano e il meravi-
glioso) anziché farne una sostanza (come Castex, Caillois
ecc.). Più in generale si deve affermare che un genere si
definisce sempre in relazione a generi consimili.
Ma la definizione non è ancora precisa, ed è a questo
punto che dobbiamo fare un passo avanti rispetto ai nostri
predecessori. Abbiamo notato che non era stato detto chia-
ramente se ad esitare doveva essere il lettore oppure il
personaggio, né quali erano le particolarità dell'esitazione.
Il diavolo innamorato .offre una materia troppo povera per
un'analisi più approfondita: esitazione, dubbio, ci sfiorano
solo per un attimo. Faremo perciò appello a un altro libro,
scritto circa vent'anni dopo e che ci permetterà di sollevare
un maggior numero di interrogativi; un libro che inaugura
magistralmente l'epoca del racconto fantastico: il Mano-
scritto trovato a Saragozza di Jan Potocki. All'inizio ci viene
riferita una serie di avvenimenti dei quali nessuno, preso
singolarmente, contravviene alle leggi della natura, così
come le conosciamo in base all'esperienza, ma il loro accu-
mularsi costituisce già un problema. Alfonso Van Worden,
protagonista e narratore del libro, attraversa le montagne
della Sierra Morena. All'improvviso il suo « zagal » Mo-
IO R. Caillois, Au coeurdu fantastique, Paris, Gallimard, 1965.
28
schito scompare; qualche ora dopo scompare anche il do-
mestico Lopez. Gli abitanti del paese affermano che la
regione è frequentata dagli spiriti. Si tratta di due banditi,
impiccati di recente. Alfonso arriva in una locanda e si
accinge a dormire quando, al primo tocco di mezzanotte,
una bella negra seminuda, con un candeliere in ciascuna
mano 11 entra in camera sua e lo invita a seguirlo. Lo con-
duce fino a una stanza sotterranea dove viene accolto da
due giovani sorelle belle e succintamente vestite, che gli
offrono da mangiare e da bere. Alfonso prova sensazioni
strane e nella sua mente affiora un dubbio: « Non sapevo
più se fossi con delle donne oppure con degli insidiosi suc-
cubi*. » 12 Poi gli raccontano la loro vita e gli rivelano di
essere le sue cugine. Ma al primo canto del gallo, il racconto
viene interrotto e Alfonso si ricorda che, come tutti sanno, il
potere degli spiriti dura soltanto da mezzanotte al primo
canto del gallo.
Tutto questo, beninteso, non esula veramente dalle leggi
della natura quali noi le conosciamo. Tutt'al più si può dire
che sono avvenimenti strani, coincidenze insolite. Decisivo,
invece, è il passo che segue. Si verifica infatti un avveni-
mento che la ragione non può spiegare. Alfonso va a letto, le
due sorelle -lo raggiungono (o forse si limita a sognarlo), ma
una cosa è certa: quando si sveglia, non è più in un letto,
non è più in una stanza sotterranea. « Vidi il cielo. Vidi che
mi trovavo all'aperto.( ... ) Ero sdraiato sotto la forca di Los
Hermanos. I cadaveri dei due fratelli di Zoto non erano
appesi, ma coricati accanto a me. » 13 Ecco quindi un primo
avvenimento soprannaturale: due belle fanciulle sono di-
ventate due fetidi cadaveri.
Non pertanto Alfonso è convinto dell'esistenza di forze
soprannaturali: il che avrebbe eliminato ogni esitazione (e
posto fine al fantastico). Cerca un posto dove passare la
notte e giunge davanti alla capanna di un eremita. Qui
11 J. Potocki, Manoscritto trovato a Saragozza, Milano, Adelphi, 1965,
p. 14.
* Spiriti demoniaci che assumono sembianze femminili per tentare gli
uomini durante la notte.
12 J. Potocki, op. cii., p. 17.
13 J. Potocki, op. cii., p. 27.
29
incontra un invasato, Pacheco, che racconta la propria sto-
ria, ma una storia che assomiglia stranamente a quella di
Alfonso. Pacheco ha dormito una notte nella stessa locanda;
è sceso in una stanza sotterranea ed ha trascorso la notte in
un letto con due sorelle; l'indomani mattina si è svegliato
sotto la forca, tra due cadaveri. La similitudine mette in
guardia Alfonso. Perciò, un po' dopo, racconta all'eremita
che lui non crede ai fantasmi, e fornisce una spiegazione
naturale delle disavventure di Pacheco. In maniera analoga
interpreta le proprie avventure: « Non dubitavo che le mie
cugine fossero delle donne in carne e ossa. Ne ero certo per
non so quale sentimento, più forte di tutto quanto mi era
stato detto sul potere dei demoi:ii. In quanto allo scherzo di
mettermi sotto la forca, ne ero molto indignato. » 14
E va bene. Ma nuovi avvenimenti verranno a rinfocolare
i dubbi di Alfonso. Ritrova lè cugine in una grotta e, una
sera, gli si infilano nel letto. Sono pronte a levarsi le cinture
di castità, ma per questo bisogna che anche Alfonso si tolga
una reliquia cristiana che porta al collo: al suo posto una
delle sorelle mette una treccia dei suoi capelli. I primi tra-
sporti amorosi si sono appena placati che si sente il primo
tocco di mezzanotte ... Un uomo entra in camera, caccia le
sorelle e minaccia di morte Alfonso. Poi, lo obbliga a bere
una pozione. L'indomani mattina, come è facile immagi-
nare, Alfonso si sveglia sotto la forca accanto ai cadaveri;
intorno al collo non ha più una treccia di capelli, ma la
corda di un impiccato. Ripassando dalla locanda della pri-
ma notte, scopre d'un tratto, tra le assi dell'impiantito, la
reliquia che gli avevano tolto nella grotta. « Cominciai a
credere che, in realtà, non fossi uscito da quella disgraziata
locanda, e che l'eremita, l'inquisitore e i fratelli di Zoto
fossero altrettanti fantasmi prodotti da magici incantesi-
mi. » 15 Tanto per far pendere ancora la bilancia, poco dopo
incontra Pacheco che aveva intravisto durante la sua ultima
avventura notturna che gli dà una versione del tutto diver-
sa: « Queste due giovani donne, dopo avergli fatto detle
carezze, gli tolsero dal collo una reliquia e, da quel mo-
14 J. Potocki, op. cit. p. 58.
15 J. Potocki, op. cit., p. 105.
30
mento, persero ai miei occhi ogni loro bellezza tanto che
riconobbi in loro i due impiccati della valle di Los Herma-
nos. Ma il giovane cavaliere, scambiandole sempre per delle
donne meravigliose, le chiamava con i nomi più teneri.
Allora uno degli impiccati si tolse la corda che aveva al collo
e la mise al collo del cavaliere, che gli testimoniò la sua
riconoscenza con nuove carezze. Poi chiusero le tende, e
non so che cosa abbiano fatto in seguito, ma penso che si
trattasse di qualche orrendo peccato. »16
A che cosa credere? Alfonso sa bene di aver trascorso la
notte con due donne amorose: ma allora, il risveglio sotto la
forca, e la corda intorno al collo, la reliquia nella locanda, il
racconto di Pacheco? L'incertezza, la confusione sono al
culmine. Rafforzate dal fatto che altri personaggi suggeri-
scono ad Alfonso una spiegazione soprannaturale delle av-
venture. Ad esempio l'inquisitore che a un certo momento
arresterà Alfonso e gli minaccerà la tortura, gli chiede:
« Conosci due principesse di Tunisi? O piuttosto due infami
streghe, esecrabili vampiri e demoni incarnati? » 17 E in se-
guito Rebecca, la locandiera, gli dirà: « Ora noi sappiamo
che si tratta di due demoni femminili·e che i loro nomi sono
Emina e Zibeddé. » 18
Rimasto solo per qualche giorno. ancora una volta Al-
fonso sente che le forze della ragione prendono il soprav-
vento. Vuol trovare agli avvenimenti una spiegazione
«realista».« Mi ricordai allor.a q1,1alche parola sfuggita a
Don Emmanuel de Sa, governatore di quella città, che mi
fece pensare che egli non fosse del tutto estraneo alla mi-
steriosa esistenza dei Gomelez. Era stato lui a darmi i due
valletti, Lopez e Moschito. Mi misi in testa che essi mi
avessero lasciato al misterioso imbocco di Los Hermanos
per ordine suo. Le mie cugine, e Rebecca stessa, mi avevano
spesso fatto capire che si voleva mettermi alla prova. Forse,
alla venta, mi era stata data una bevanda per addormen-
tarmi, dopodiché niente era più facile che trasportarmi du-
rante il sonno sotto la forca fatale. Pacheco poteva aver
16 J. Potocki, op. cit., p. 107.
17 J. Potocki, op. cir.• p. 61.
18 J. Potocki. op. cit., p. 122.
31.
perso un occhio per tutt'altro incidente che per il suo legame
amoroso con i due impiccati, e la sua storia spaventosa
poteva essere una favola. L'eremita, che aveva sempre cer-
cato di carpire il mio segreto, era senza dubbio un agente dei
Gomelez che voleva mettere alla prova la mia discrezione.
Infine Rebecca, suo fratello, Zoto e il capo degli zingari,
tutte queste persone erano forse d'accordo per sconfiggere il
mio coraggio. »19 .
Ma con questo il dilemma non è risolto: incidenti irrile-
vanti sospingeranno di nuovo Alfonso verso la soluzione
soprannaturale. Dalla finestra vede due donne che gli sem-
brano le famose sorelle, ma quando si avvicina scopre volti
sconosciuti. Poi, legge una storia di diavoli che assomiglia
talmente alla sua da fargli ammettere: « Arrivai quasi a
credere che i demoni avessero animato per ingannarmi dei
corpi di impiccati. »20
« Arrivai quasi a credere»: ecco la formula che riassume
lo spirito del fantastico. La fede assoluta, come l'incredulità
totale, ci condurrebbero fuori dal fantastico; è l'esitazione a
dargli vita.
32
chi con un personaggio particolare, come in Il diavolo in-
namorato e in Il manoscritto? In altri termini, è necessario
che l'esitazione sia rappresentata all'interno del racconto?
La maggior parte delle opere che soddisfano alla prima
condizione, soddisfano anche alla seconda. Esistono tutta-
via alcune eccezioni: come in Vera di Villiers de l'Isle-A-
dam. In questo caso il lettore si interroga sulla resurrezione
della moglie del conte, fenomeno che contraddice le leggi
della natura, ma sembra confermato da una serie di indizi
secondari. Ora, nessuno dei personaggi condivide questa
esitazione: né il conte d'Athol che crede fermamente nella
seconda vita di Vera, e nemmeno il vecchio servitore Ray-
mond. Il lettore non si identifica quindi con nessun perso-
naggio e l'esitazione non è rappresentata nel testo. Diremo
che, nel caso di questa regola di identificazione, si tratta di
una condizione facoltativa del fantastico, il quale può esi-
stere senza soddisfarla, ma che è rispettata dalla maggior
parte delle opere fantastiche.
Quando il lettore esce dal mondo dei personaggi e torna
alla propria funzione (quella di un lettore), un nuovo peri-
colo minaccia il fantastico. Pericolo che si colloca al livello
dell'interpretazione del testo.
Esistono racconti che contengono elementi soprannatu-
rali senza che il lettore si interroghi mai sulla loro natura,
ben sapendo che non deve prenderli alla lettera. Se parlano
gli animali non ci coglie nessun dubbio: sappiamo che le
parole del testo sono da prendersi in un senso diverso che è
detto allegorico.
La situazione opposta si osserva per la poesia. Il testo
poetico potrebbe spesso essere giudicato fantastico, se solo
si chiedesse alla poesia di essere rappresentativa. Ma il
problema non si pone: se ad esempio si dice che l'« io
poetico » s'invola nell'aere, non si tratta che di una se-
quenza verbale, da prendersi come tale senza cercar di
andare al di là delle parole.
Il fantastico implica quindi non soltanto l'esistenza di un
avvenimento strano che provochi un'esitazione nel lettore e
nel protagonista, ma anche una maniera di leggere che per il
momento si può definire negativamente: non deve essere né
33
« poetica », né « allegorica ». Tornando al Manoscritto, ap-
pare chiaro che anche questa esigenza vi è rispettata: da un
lato, niente ci permette di dare immediatamente un'inter-
pretazione allegorica degli avvenimenti soprannaturali
evocati; dall'altro, questi avvenimenti ci vengono proposti
proprio come tali, e noi dobbiamo rappresentarceli senza
considerare le parole che li designano esclusivamente come
una combinazione di unità linguistiche. Nella frase che
segue, di Roger Caillois, si può rilevare un'indicazione circa
tale proprietà del testo fantastico: « Questa specie di im-
magini si colloca proprio nel cuore del fantastico, a mezza
strada tra ciò che mi è capitato di chiamare immagini infi-
nite e immagini ostacolate ... Le prime ricercano per princi-
pio l'incoerenza e rifiutano per partito preso ogni significa-
to. Le seconde traducono testi precisi in simboli di cui un
dizionario appropriato permette la riconversione, termine
per termine, in discorsi corrispondenti. » 21
Adesso siamo in grado di precisare e di completare la
nostra definizione del fantastico. Esso esige che siano sod-
disfatte tre condizioni. In primo_ luogo, occorre che il testo
obblighi il lettore a considerare il mondo dei personaggi
come un mondo di persone viventi e ad esitare tra una
spiegazione naturale e una spiegazione soprannaturale de-
gli avvenimenti evocati. In secondo luogo, anche un perso-
naggio può provare la stessa esitazione; in tal modo la parte
del lettore è per così dire affidata a un personaggio e l'esi-
tazione si trova ad essere, al tempo stesso, rappresentata,
diventa cioè uno dei temi dell'opera. Nel caso di una lettura
ingenua, il lettore reale si identifica con il personaggio. :È
necessario infine che il lettore adotti un certo atteggiamento
nei confronti del testo: egli rifiuterà sia l'interpretazione
allegorica che l'interpretazione « poetica ». La prima e la
terza condizione costituiscono veramente il genere; la se-
conda può non essere soddisfatta. Tuttavia la maggior parte
degli esempi le rispet~a tutte e tre.
In che modo queste- tre caratteristiche si inscrivono nel
modello dell'opera, così come lo abbiamo brevemente
esposto nel capitolo precedente? La prima condizione ci
21 R. Caillois, op. cit.
34
rimanda all'aspetto verbale del testo, più precisamente a
quelle che vengono dette le «visioni»: il fantastico è un
caso particolare della categoria più generale della « visione
ambigua ». La seconda condizione è più complessa: da una
parte si riallaccia all'aspetto sintattico, nella misura in cui
implica l'esistenza di un tipo formale di unità che si riferi-
scono alla valutazione degli avvenimenti del racconto data
dai personaggi: si potrebbero chiamare queste unità le
« reazioni » in opposizione alle « azioni » che di solito for-
mano la trama della storia. Essa si riferisce altresì all'aspetto
semantico, poiché si tratta di un temà rappresentato, quello
della percezione e della sua notazione. Infine la terza con-
dizione ha un carattere più generale e trascende la divisione
in aspetti: si tratta di una scelta tra diversi modi (e livelli) di
lettura.
Possiamo adesso ritenere la nostra definizione sufficien-
temente esplicita. Per giustificarla pienamente, confrontia-
mola di nuovo con qualche altra definizione. Questa volta si
tratterà di vedere per quali aspetti si differenzi e non per
quali si avvicini alle definizioni che prenderemo in esame.
Da un punto di vista sistematico, possiamo cominciare dai
diversi sensi della parola « fantastico ».
Cominciamo col senso che, per quanto raro, viene in
mente per primo (quello del dizionario): nei testi fantastici
l'autore riferisce avvenimenti non suscettibili di accadere
nella vita, almeno se ci si attiene alle conoscenze comuni di
ogni epoca concernenti ciò che può o non può succedere; ad
esempio in Le Petit Larousse: « dove è questione di esseri
soprannaturali: racconti fantastici. » Possiamo effettiva-
mente qualificare di soprannaturali gli avvenimenti, ma pur
essendo una categoria letteraria, qui il soprannaturale non è
pertinente. Non si può concepire un genere che raggruppi
tutte le opere in cui interviene il soprannaturale, che perciò
dovrebbe includere sia Omero· che Shakespeare, Cervantes
o Goethe. Il soprannaturale non cara.tterizza le opere con
sufficiente precisione, giacché la sua estensione è troppo
vasta.
Un altro metodo per situare il fantastico, molto più dif-
fuso tra i teorici, consiste nel mettersi nei panni del lettore:
35
non del lettore implicito nel testo, ma del lettore reale.
Quale rappresentante di questa tendenza, citeremo H.P.
Lovecraft, anch'egli autore di storie fantastiche e che ha
inoltre consacrato al soprannaturale in letteratura uno stu-
dio teorico. Per Lovecraft, il criterio del fantastico non si
situa nell'opera, bensì nell'esperienza particolare del letto-
re, e questa esperienza deve essere la paura. « L'atmosfera è
la cosa più importante, poiché il criterio definitivo di au-
tenticità (del fantastico) non è la struttura dell'intreccio, ma
la creazione di un'impressione specifica. ( ... ) Ecco perché
dobbiamo giudicare il racconto fantastico non tanto dalle
intenzioni dell'autore e dai meccanismi dell'intrecèio, ma
piuttosto in funzione dell'intensità emozionale che provoca.
(... ) Un racconto è fantastico semplicemente se il lettore
avverte profondamente un senso di paura e di terrore, la
presenza di mondi e di potenze insolite. » 22 Questo senso di
paura o di perplessità spesso è invocato dai teorici del fan-
tastico, anche se la possibilità della duplice spiegazione
resta ai loro occhi la condizione necessaria del genere. Così
Peter Penzoldt scrive: « Eccezion fatta per i racconti di fate,
tutte le storie soprannaturali sono storie di paura che ci
costringono a chiederci se quel che crediamo pura immagi-
nazione non sia, dopo tutto, realtà. » 23 Caillois, a sua volta,
propone come « pietra di paragone del fantastico », « l'im-
pressione di stranezza irriducibile ». 24
È sorprendente trovare, a tutt'oggi, giudizi simili sulla
bocca di critici seri. Se si prendono alla lettera le loro di-
chiarazioni, e quindi il senso_ di paura deve essere trovato
nel lettore, si dovrebbe dedurne (è questa l'intenzione dei
nostri autori?) che il genere di un'opera dipenda dal sangue
freddo del suo lettore. Cercare il senso di paura nei perso-
naggi non permette di dare una migliore definizione del
genere: prima di tutto i racconti di fate possono essere storie
di paura, come le fiabe di Perrault (contrariamente a quanto
dice Penzoldt). Inoltre vi sono racconti fantastici da cui ogni
22 H.P. Lovecraft, Supernatural Horror in Litera1ure, New York, Ben
Abramson, 1945.
23 P. Penzoldt, The Supernatural in Fic1ion, London, Peter N evill, 1952.
24 R. Caillois, op. cii.
36
paura è assente: si pensi a testi dissimili come La principessa
Brambilla di Hoffmann e Vera di Villiers de l'lsle-Adam. La
paura spesso è legata al fantastico, ma non ne è una condi-
zione necessaria.
Per quanto possa sembrare strano, si è anche cercato di
riferire il criterio del fantastico allo stesso autore del rac-
conto. Di nuovo, ne troviamo alcuni esempi in Caillois, che
decisamente non teme le contraddizioni. Ecco in che modo
Caillois fa rivivere l'immagine romantica del poeta ispirato:
« Occorre al fantastico qualcosa di involontario, di subito,
un'interrogazione inquieta non meno che inquietante,
emersa inaspettatamente da non si sa quali tenebre, che il
suo autore fu costretto a prendere come capitò ... ( ... ) Ancora
una volta, il fantastico,. che non deriva da un'intenzione
deliberata di sconcertare, ma che sembra scaturire contro la
volontà dell'autore, se-non proprio a sua insaputa, si rivela,
alla prova, più persuasivo. » 25 Gli argomenti contro questa
« intentional fallacy » sono oggi troppo noti per essere
nuovamente formulati.
Ancor meno vale la pena di soffermarsi su altri tentativi
di definizione che spesso si applicano a testi i quali non
hanno niente di fantastico. Ad esempio, non è possibile
definire il fantastico opponendolo alla riproduzione fedele
della realtà, al naturalismo. Né è possibile definirlo come
Marcel Schneider in La Littérature fantastique en France:
« Il fanta~tico esplora lo spazio del dentro; fa lega con
l'immaginazione, l'angoscia di vivere e la speranza della
salvezza ». 26
Il Manoscritto trovato a Saragozza ci ha offerto un esem-
pio di esitazione tra il reale e (diciamo così) l'illusorio: ci si
chiedeva se quel che si vedeva non fosse inganno o errore
della percezione. In altre parole si era incerti sull'interpre-
tazione da dare ad eventi percettibili. Esiste un'altra varietà
del fantastico in cui l'esitazione si situa tra il reale e l'im-
maginario. Nel primo caso dubitavamo non del fatto che gli
awenimenti fossero accaduti, ma dell'esattezza della nostra
25 R. Caillois, op. cit.
26 M. Schneider, La Liuérarure fantastique en France, Paris, Fayard,
1964.
37
comprensione. Nel secondo ci chiediamo se ciò che credia-
mo di percepire non è in realtà frutto dell'immaginazione.
« Distinguo a malapena ciò che veçlo con gli occhi della
realtà da ciò che vede la mia immaginazione», dice un
personaggio di Achim von Amim. 27 Questo « errore » può
verificarsi per diverse ragioni che esamineremo in seguito;
diamone qui un esempio caratteristico in cui esso è impu-
tato alla follia: La principessa Brambilla di Hoffmann.
Certi avvenimenti strani e incomprensibili sopravvengo-
no nella vita del povero attore Giglio Fava durante il car-
nevale di Roma. Crede di diventare un principe, di inna-
morarsi di una principessa e di correre incredibili avventu-
re. Ora, quasi tutti coloro che lo circondano, gli assicurano
che non è vero, e che lui, Giglio, è diventato pazzo. Così
afferma il signor Pasquale: « Signor Giglio, lo so quello che
vi è successo; tutta Roma ha saputo che avete dovuto ab-
bandonare il teatro perché ci avete le pigne in testa. »28 A
volte lo stesso Giglio dubita della propria ragione: « Non
era lontano dal credere che il signor Pasquale e mastro
Bescapé avessero ragione quando lo credevano un poco
matto. »29 Così Giglio (e il lettore implicito), è mantenuto
nel dubbio, ignorando se quanto lo circonda sia, o meno,
prodotto della sua immaginazione.
A questo procedimento, semplice e assai frequente, ne
possiamo opporre un altro che invece sembra assai più raro,
e in cui la follia è di nuovo utilizzata - ma in modo diverso
- per creare l'ambiguità necessaria. Alludiamo all'Aurélia
di Nerval. Come è noto, questo racconto descrive le visioni
di un personaggio durante un periodo di follia. Il racconto è
fatto in prima persona, ma l'io include apparentemente due
persone distinte: quella del personaggio che percepisce
mondi sconosciuti (egli vive nel passato), e quella del nar-
ratore che trascrive le impressioni del personaggio (e che
vive, invece, nel presente). A prima vista, il fantastico non
27 L. Achim von Amim, Contes bizarres, trad. di T. Gautier fils, Paris,
Julliard, I 964.
28 E.T.A. Hoffmann, Romanzi e Racconti, Torino, Einaudi, 1969, v. m,
p.430.
29 E.T.A. Hoffmann, op. cit., v. 111, p. 442.
38
esiste: né per il personaggio che non considera le proprie
visioni come frutto della follia, ma come un'immagine più
lucida del mondo (egli è quindi nel meraviglioso), né per il
narratore, il quale sa che appartengono alla sfera della follia
o del sogno e non della realtà (dal suo punto di vista il
racconto si ri'allaccia semplicemente allo strano). Ma il testo
non funziona così; Nerval ricrea l'ambiguità a un altro
livello, laddove non ce l'aspettavamo, e A urélia resta una
storia fantastica.
In un primo tempo, il personaggio non è del tutto deciso
circa l'interpretazione da dare ai fatti: a volte crede anche
lui alla propria follia, ma non giunge mai fino alla certezza.
« Vedendomi fra quegli alienati mi resi conto che tutto per
me fino allora era stato soltanto illusione. Mi sembrava
nondimeno che le promesse da me attribuite alla dea Iside si
realizzassero, con una serie di prove che ero destinato a
subire. »30 Al tempo stesso il narratore non è sicuro che tutto
quello che il personaggio ha vissuto rientri nella sfera del-
l'illusione, insiste persino sulla verità di certi fatti riferiti:
« Chiesi fuori, nessuno aveva udito nulla. E tuttavia, anche
ora ne sono certo, il grido era reale e l'aria dei vivi ne aveva
risuonato ... » 31
L'ambiguità dipende anche dall'uso dei due procedi-
menti di scrittura che impregnano tutto quanto il testo.
Nerval di solito li utilizza insieme. Essi vengono chiamati:
l'imperfetto e la modalizzazione. Quest'ultima, ricordia-
molo, consiste nell'uso di certe locuzioni introduttive che,
senza cambiare il senso della frase, modificano la relazione
tra il soggetto dell'enunciazione e l'enunciato. Ad esempio,
le due frasi: « Fuori piove » e « Forse fuori piove », si rife-
riscono allo stesso fatto, ma la seconda indica inoltre l'in-
certezza in cui versa il soggetto che parla, circa la verità
della ·frase che enuncia. L'imperfetto ha un senso simile: se
dico « Amavo Aurélia », non preciso se continuo ad amarla
o meno; la continuità è possibile, ma in linea di massima
poco probabile.
Ora, il testo di Aurélia è impregnato di questi due proce-
30 G. de Nerval, I racconti, Torino, Einaudi, 1966, p. 498.
31 G. de Nerval, op. cit., p. 483. •
39
dimenti. Si potrebbero citare pagine intere a convalida della
nostra affermazione. Ecco alcuni esempi presi a caso: « Mi
sembrava di rimettere piede in una dimora nota. (... ) Una
vecchia domestica, ch'io chiamavo Marguerite e che mi
pareva conoscere fin dall'infanzia, mi disse( ... ). Ero convinto
che in quell'uccello vi fosse l'anima del mio avo; ( ... ) mi
parve di precipitare in un abisso che attraversava il globo.
Mi sentivo trasportar via senza sofferenza alcuna da una
corrente di metallo fuso. Allo stesso modo fluivano, s'av-
volgevano e pulsavano quelle correnti, e io sentii che erano
di anime vive, allo stato molecolare( ... ) mi appariva chiaro
che per visitarci sulla terra gli antenati assumevano la forma
di certi animali. » (.. .)3 2 (Il corsivo è mio). Se non ci fossero
queste locuzioni, saremmo calati nel mondo del meravi-
glioso senza alcun riferimento alla realtà quotidiana, abi-
tuale; grazie ad esse ci troviamo mantenuti contempora-
neamente nei due mondi. L'imperfetto, inoltre, introduce
una distanza tra il personaggio e il narratore, di modo che
noi non conosciamo la posizione di quest'ultimo.
Attraverso una serie di incisi, il narratore prende le pro-
prie distanze nei confronti degli altri uomini, dell' « uomo
normale», o più esattamente dell'uso corrente di determi-
nate parole. In un certo senso il linguaggio è il tema prin-
cipale di Aurélia. « Recuperando ciò che gli uomini chia-
mano la ragione », scrive da qualche parte il narratore. E
altrove: « ma evidentemente era solo un'illusione della mia
vista ». 33 E inoltre: « le mie azioni, apparentemente insen-
sate, obbedivano a quello che secondo la ragione umana si
chiama illusione ... ». 34 Si ammiri questa frase: le azioni
sono «insensate» (riferimento al naturale), ma soltanto
«apparentemente» (riferimento al soprannaturale); sono
soggette ... all'illusione (riferimento al naturale), o meglio
no, « a ciò che viene detta illusione » (riferimento al so-
prannaturale); inoltre l'imperfetto significa che non è 'il
narratore presente a pensare in quel modo, bensì il perso-
naggio di un tempo. E ancora questa frase, condensato di
32 G. de Nerval, op. cii., pp. 467-468.
33 G. de Nerval. op. cit., p. 471.
34 G. de Nerval, op. cii., p. 465.
40
tutta l'ambiguità di Aurélia: « una serie di visioni, forse
insensate, o volgarmente morbose ... ». 35 Il narratore prende
così le proprie distanze nei confronti dell'uomo normale e si
avvicina al personaggio: al tempo stesso la certezza che si
tratti di follia cede il campo al dubbio.
Ora, il narratore non si fermerà qui: riprenderà aperta-
mente la tesi del personaggio, vale a dire che follia e sogno
non sono che una ragione superiore. Ecco ciò che ne diceva
il personaggio: « I racconti di coloro che m'avevano visto a
quel modo m'irritavano un po' quando li sentivo attribuire
ad aberrazione di spirito i gesti o le parole corrispondenti
alle diverse fasi di quella che era per me una serie di eventi
perfettamente logici »36 (al che risponde la frase di Edgar
Poe: « La scienza non ci ha ancora insegnato se la follia è, o
non è, il sublime dell'intelligenza. » 37 ). E inoltre: « Con
l'idea che m'ero fatta del sogno, come d'uno spiraglio aperto
all'uomo sul mondo degli spiriti, ancora m'ostin~vo a spe-
rare! » 38 Ma ecco in c;he modo parla il narratore:
« Cercherò di trascrivere le impressioni d'una lunga malat-
tia che si è integralmente svolta nei misteri del mio spirito; e
proprio non so perché adopero questo termine ,malattia,,
dal momento che, per quanto mi concerne, mai mi sono
sentito bene come allora. A volte, le mie forze e la mia
attività mi sembravano raddoppiate; mi pareva di saper
tutto, capire tutto; e l'immaginazione mi arrecava delizie
infinite. »39 Oppure: « Comunque, io credo che l'immagi-
nazione umana non abbia inventato nulla che non sia vero,
in questo mondo o negli altri, né potevo dubitare di quanto
avevo veduto così distintamente. » 40
In queste due citazioni, sembra che il narratore dichiari
35 G. de Nerval, op. cit., p. 465.
36 .G. de Nerval, op. cit., p. 472.
37 E.A. Poe, Histoires grotesques et sérieuses, trad. di Charles Baude-
laire, Paris, Gamier-Flammarion, 1966. p. 95. In questo caso, la nostra
traduzione segue sempre la celebre e bellissima versione di Baudelaire.
perché ad essa specificatamente si riferisce l'autore nei suoi commenti. In
Italia, Poe è stato tradotto da Rizzoli (1950) e da Sansoni (1965).
38 G. de Nerval, op. cit., p. 489.
39 G. de Nerval, op. cit., p. 461.
40 G. de Nerval, op. cit., p. 480.
41
apertamente che ciò che ha visto durante la sua pretesa
follia non è che una parte della realtà; quindi, che non è mai
stato malato. Ma se ciascuno dei passi comincia al presente,
l'ultima proposizione è di nuovo all'imperfetto; essa intro-
duce di nuovo l'ambiguità nella percezione del lettore. L'e-
sempio contrario si trova nelle ultime frasi di A urélia:
« Potevo giudicare più assennatamente il mondo di illusioni
dove per qualche tempo ero vissuto. Tuttavia, mi sento
felice delle convinzioni acquisite ... ». 41 La prima proposi-
zione sembra confinare tutto ciò che precede nel mondo
della follia; ma allora perché quella felicità delle convin-
zioni acquisite?
Aurélia costituisce quindi un esempio originale e perfetto
dell'ambiguità fantastica. Il raggio d'azione di questa am-
biguità è certamente quello della follia; ma mentre in
Hoffmann ci si chiedeva se il personaggio fosse o non fosse
pazzo, qui sappiamo a priori che il suo comportamento si
chiama follia; quel che si tratta di sapere (ed è su questo
punto che verte l'esitazione), è se la follia non sia in realtà
una ragione superiore. Poco fa, l'esitazione riguardava la
percezione. Ora, riguarda il linguaggio. Con Hoffmann, si
esita sul nome da dare a certi avvenimenti; con Nerval,
l'esitazione di riferisce all'interno del nome, al suo senso.
42
3 Lo strano e il meraviglioso
43
di M.G. Lewis e di Mathurin. In questi casi non si tratta di
fantastico vero e proprio, ma' soltanto di generi che gli
assomigliano. Più esattamente l'effetto fantastico si verifica,
ma solo durante una parte della lettura: in Ann Radcliffe,
prima di esser sicuri che tutto quello che è accaduto possa
ricevere una spiegazione razionale; in Lewis, prima di esser
convinti che gli avvenimenti naturali non riceveranno nes-
suna spiegazione. In entrambi i casi - terminato il libro -
ci rendiamo conto che non vi è stato fantastico.
Ci si può chiedere fino a che punto regga una definizione
di genere che consenta all'opera di « cambiare di genere»
per una semplice frase come: « In quel momento si svegliò e
vide i muri della sua camera ... ». Ma, innanzi tutto, niente ci
vieta di considerare il fantastico appunto come un genere
sempre evanescente. Del resto, una categoria simile non
avrebbe niente di eccezionale. La definizione classica del
presente, ad esempio, ce lo descrive come un puro limite tra
il passato e il futuro. Il paragone non è gratuito: il meravi-
glioso corrisponde a un fenomeno ignoto, ancora mai visto,
di là da venire: quindi a un futuro. Nello strano, invece,
l'inesplicabile viene ricondotto a fatti noti, a un'esperienza
precedente, e, di conseguenza, al passato. Quanto al fanta-
stico vero e proprio, l'esitazione che lo caratterizza non può
evidentemente situarsi che al presente.
A questo punto si pone anche il problema dell'unità del-
l'opera. Noi consideriamo questa unità come ovvia e gri-
diamo al sacrilegio non appena vengano praticati dei tagli
in un testo (secondo la tecnica del Reader's Digest). Ma le
cose sono certamente più complesse; non si dimentichi che
a scuola, dove per ciascuno di noi si svolge la prima espe-
rienza della letteratura, nonché una delle più determinanti,
delle opere si leggono soltanto « brani scelti » o « estratti ».
Ai nostri giorni vi è un c:erto feticismo del libro che resta
vivo: l'opera si trasforma al tempo stesso in oggetto prezioso
e immobile e in simbolo di pienezza, mentre il taglio diventa
un equivalente di castrazione. Come era più libero l'atteg-
giamento di un Khlebikov che componeva poesie con pezzi
di poesie anteriori, o che incitava i redattori, e persino i
tipografi, a correggere il suo testo! Solo l'identificazione del
44
libro con il soggetto spiega l'orrore del taglio. .
Dal momento in cui esaminiamo separatamente alcune
parti del testo, si può mettere provvisoriamente tra paren-
tesi la fine del racconto, il che ci consentirebbe di riallac-
ciarne al fantastico un numerò molto ~aggiore. L'edizione
oggi corrente del Manoscritto trovato a Saragozza ce ne
offre una valida prova: privato della fine, dove l'esitazione è
risolta, il libro rientra pienamente nel campo del fantastico.
Charles Nodier, uno dei pionieri del fantastico in Francia,
era perfettamente consapevole di questo fatto e ne tratta in
una delle sue novelle, Ines de las Sierras. Il testo si compone
di due parti sensibilmente eguali e alla fine della prima
parte, ci lascia in balia della più assoluta perplessità. Infatti
non sappiamo come spiegare i fenomeni che sopravvengo-
no. Eppure non siamo nemmeno pronti ad ammettere il
soprannaturale con la stessa facilità del naturale. Il narra-
tore esita allora tra due modi di comportarsi: interrompere
a quel punto il suo racconto (e rimanere nel fantastico) o
continuare (e quindi lasciarlo perdere). Quanto a lui, di-
chiara ai suoi lettori che preferisce fermarsi. giustificandosi
in tal modo: « Ogni altra conclusione sarebbe inutile al mio
racconto, perché ne cambierebbe la natura. » 1
Tuttavia sarebbe sbagliato sostenere che il fantastico
possa esistere solo in una parte dell'opera. Vi sono testi che
mantengono l'ambiguità sino alla fine, il che vuol dire an-
che al di là. Richiuso il libro, rimarrà l'ambiguità. Un
esempio degno di rilievo è quello del romanzo di Henry
James: Il giro di vite. Il testo non ci consentirà di decidere se
dei fantasmi si aggirano nella vecchia proprietà o se si tratta
di allucinazioni dell'istitutrice, vittima del-clima inquietante
che la circonda. Nella letteratura francese, la novella La
Venere d'Ille di Prosper Mérimée offre un esempio perfetto
di questa ambiguità. Una statua sembra che si animi e
uccida uno sposo novello. Ma ci fermiamo al « sembra » e
non raggiungiamo mai la certezza.
Comunque sia, non si può escludere da un esame del
fantastico, il meraviglioso e lo strano, generi ai quali si
sovrappone. Non dimentichiamo altresì, come dice Louis
1 C. Nodier, / demoni della notte, Milano, Sugar, 1968, p. 309.
45
Vax:, che « l'arte fantastica ideale sa mantenersi nell'inde-
cisione. »2
Esaminiamo più attentamente questi due generi simili. E
notiamo che in ambedue i casi un sottogenere transitorio si
fa luce: da un lato, tra il fantastico e lo strano; dall'altro, tra
il fantastico e il meraviglioso. Questi sottogeneri includono
le opere che mantengono a lungo l'esitazione fantastica, ma
che finiscono con lo sfociare nel meraviglioso o nello strano.
Si potrebbero raffigurare queste suddivisioni mediante il
diagramma seguente:
46
ti abbandonarono alla sorgente di Alcomoque (... ). Grazie a
una bevanda soporifera si fece in modo che tu ti svegliassi
l'indomani sotto la forca dei fratelli Zoto. Da là, sei venuto
nel mio romitorio dove hai incontrato il terribile invasato
Pacheco che in realtà è un danzatore basco( ... ). Il giorno
seguente ti sottoponemmo a una prova molto più crudele: la
falsa inquisizione ti minacciò orribili torture, ma non riuscì
a far vacillare il tuo coraggio. » 3
Come è noto, fino a quel momento il dubbio era mante-
nuto tra i due poli, l'esistenza del soprannaturale e una serie
di spiegazioni razionali. Enumereremo adesso i tipi di spie-
gazione che tentano di escludere il soprannaturale: vi sono
innanzi tutto il caso, le coincidenze - giacché nel mondo
soprannaturale non vi è caso, ma vi regna anzi ciò che si può
chiamare il « pandeterminismo » (il caso sarà la spiegazione
che esclude il soprannaturale in Ines de /as Sierras); seguo-
no il sogno (soluzione proposta in Il diavolo innamorato),
l'influenza delle droghe (i sogni di Alfonso nel corso della
prima notte), gli inganni, i giochi truccati (soluzione essen-
ziale nel Manoscritto trovato a Saragozza); l'illusione dei
sensi (ne vedremo in seguito alcuni esempi in La morte
innamorata di Gautier e La, camera ardente di J.D. Carr),
infine la poesia come in La principessa Brambi/la. Eviden-
temente ci troviamo di fronte a due gruppi di « scuse » che
corrispondono alle opposizioni reale-immaginario e rea-
le-illusorio. Nel primo gruppo non si è verificato niente di
soprannaturale, dato che non si è verificato assolutamente
niente: ciò che credevamo di vedere non era altro che il
frutto di un'immaginazione sregolata (sogno, follia, dro-
ghe). Nel secondo, gli avvenimenti sono realmente accaduti,
ma si lasciano spiegare razionalmente (casi, inganni, illu-
sioni).
Ricorderemo che nelle definizioni succitate del fantasti-
co, si affermava che la soluzione razionale era « completa-
mente priva di probabilità interna » (Soloviov), o che si
trattava di una« porta abbastanza stretta perché non ci se
3 J. Potocki, Die Abenreuer in der Sierra Morena, Berlin, Aufban Ver-
lag, 1962, p. 734. Trattasi della edizione tedesca del Manoscriuo. pubbli-
cata originariamente a Lipsia nel 1809.
47
ne potesse servire» (M.R. James). In realtà le soluzioni
realiste del Manoscritto trovato a Saragozza o di Ines de las
Sierras sono del tutto inverosimili; invece le soluzioni so-
prannaturali sarebbero state verosimili. Nella novella di
Nodier la coincidenza è troppo artificiale; quanto al Ma-
noscritto, il suo autore non cerca nemmeno di dargli una
fine credibile: la storia del tesoro, della montagna vuota,
dell'impero dei Gomelez è più difficile ad ammettersi di
quella della donna trasformatasi in carogna! Il verosimile,
quindi, non si oppone affatto al fantastico: il primo è una
categoria che fa riferimento alla coerenza interna, al ri-
spetto del genere*, il secondo si riferisce alla percezione
ambigua del lettore e del personaggio. All'interno del ge-
nere fantastico, è verosimile che si manifestino delle rea-
zioni« fantastiche ».
48
strano; molte novelle di Ambroise Bierce potrebbero ser-
virci da esempio.
È evidente che lo strano realizza una sola condizione del
fantastico, e cioè la descrizione di certe reazioni, in partico-
lare della paura. Esso è legato unicamente ai sentimenti dei
personaggi e non ad un avvenimento materiale che sfidi la
ragione (il meraviglioso, invece, si caratterizzerà mediante
la sola esistenza di fatti soprannaturali, senza implicare la
reazione che provocano nei personaggi).
Ecco una novella di Edgar Poe che illustra uno strano
simile al fantastico: Il crollo della casa degli Usher. Il nar-
ratore arriva una sera in questa casa, chiamato dal suo
amico Roderick Usher che gli chiede di restare con lui per
qualche tempo. Roderick è un essere ipersensibile, nervoso,
e che adora sua sorella in quel momento gravemente mala-
ta. Ella muore infatti qualche giorno dopo e i due amici,
piuttosto che seppellirla, depositano il suo corpo in uno dei
sotterranei della casa. Passano alcuni giorni. In una sera di
tempesta, mentre i due uomini si trovano in una stanza dove
il narratore legge ad alta voce un'antica storia di cavalleria, i
suoni descritti nella cronaca sembra che riecheggino i ru-
mori che si odono in casa. Alla fine, Roderick Usher si alza e
dice, con voce appena percettibile:« L'abbiamo messa viva
nella tomba! » 4 Effettivamente la porta si apre e la sorella
appare sulla soglia. Fratello e sorella si gettano l'uno nelle
braccia dell'altro e cadono morti. Il narratore fugge_ dalla
casa appena a tempo per vederla crollare nello stagno
adiacente.
In questa storia lo strano ha due origini diverse. La prima
è costituita da certe coincidenze (non ve ne sono meno che
in una storia di soprannaturale spiegato). Così, mentre po-
trebbero apparire soprannaturali la resurrezione della so-
rella e il crollo della casa dopo la morte dei suoi abitanti,
Poe non ha rinunciato a spiegare razionalmente l'una e
l'altra. Della casa scrive: « Forse l'occhio di un osservatore
minuzioso avrebbe scoperto una fessura, appena visibile,
che partendo dal tetto della facciata, correva a zig zag at-
4 E.A. Poe, Nouvelles histoires extraordinaires, trad. di Charles Baude-
laire, Paris, Gamier, 1961, p. 105. Cfr. nota 37,p. 41.
49
traverso il muro e andava a perdersi nelle lugubri acque
dello stagno. » 5 E della malattia di Lady Madeline: « Delle
crisi frequenti, benché passeggere, di una sorta quasi di
catalessi, ne costituivano le caratteristiche più strane. » 6 La
spiegazione soprannaturale è quindi soltanto suggerita e
non è necessario accettarla.
L'altra serie di elementi che suscitano l'impressione di
stranezza non è legata al fantastico, ma a ciò che potrebbe
chiamarsi un'« esperienza dei limiti », e che caratterizza il
complesso dell'opera di Poe. Già Baudelaire scriveva di lui:
« Nessun uomo ha raccontato con più magia, le eccezioni
della vita umana e della natura»; e Dostoevskij: « (Poe)
sceglie quasi sempre la ·realtà più eccezionale sul piano
esteriore o psicologico ... » (Poe ha anche scritto, su qu~sto
tema, un racconto « metastrano », intitolato L'angelo del
bizzarro. In Il crollo della casa degli Usher, è lo stato quanto
mai malaticcio del fratello e della sorella che turba il lettore.
Altrove saranno scene di crudeltà, il godimento nel male,
l'assassinio, a provocare lo stesso effetto. La sensazione di
stranezza nasce dunque dai temi evocati che sono legati a
tabù più o meno antichi. Se si ammette che l'esperienza
primitiva è costituita dalla trasgressione, si può accettare la
teoria di Freud sull'origine dello strano.
In definitiva, ecco quindi il fantastico escluso da Il crollo
della casa degli Usher. In linea di massima, nell'opera di Poe
non si trovano racconti fantastici in senso stretto, eccezion
fatta, forse, per I ricordi del signor Augusto Bedloe e per Il
gatto nero. Quasi tutte le sue novelle appartengono al ge-
nere dello strano e alcune, a quello del meraviglioso. Ciò
nonostante, sia per i temi, sia per le tecniche che ha elabo-
rato, Poe resta molto vicino agli autori del fantastico.
È noto anche che Poe è all'origine del romanzo giallo
contemporaneo. L'accostamento non è casuale, e d'altra
parte si scrive spesso che le storie poliziesche hanno preso il
posto delle storie di fantasmi. Precisiamo la natura di tale
relazione. Il romanzo giallo a enigma, dove si cerca di sco-
prire l'identità del colpevole, è costruito nel modo seguente:
5 E.A. Poe, op. cit., p. 90.
6 E.A. Poe, op. cit., p. 94.
50
da un lato vi sono diverse soluzioni facili, a prima vista
allettanti, ma che si rivelano fallaci l'una dopo l'altra; dal-
l'altro, vi è una soluzione del tutto inverosimile, alla quale
non si giungerà che alla fine, e che si rivelerà come la sola
vera. Appare già chiaro ciò che apparenta il romanzo giallo
con il racconto fantastico. Ricordiamo la definizione di So-
loviov e di James: anche il racconto fantastico comporta
due soluzioni, una verosimile e soprannaturale, l'altra in-
verosimile e razionale. Basta quindi che sia così difficile
trovare questa seconda soluzione nel romanzo giallo, tanto
da« sfidare la ragione», ed eccoci pronti ad accettare l'esi-
stenza del soprannaturale piuttosto che l'assenza di ogni
spiegazione; Ne abbiamo un esempio classico: ... E poi non
rimase nessuno 7 di Agatha Christie. Dieci personaggi si tro-
vano bloccati su un'isola; viene loro comunicato (mediante
un disco), che moriranno tutti, puniti per un delitto che la
legge non può punire; inoltre, la natura della morte di
ciascuno di loro si trova descritta nella filastrocca di ... E poi
non rimase nessuno. I condannati - e il lettore con loro -
tentano invano di scoprire chi esegua le punizioni che si
susseguono: sono soli sull'isola e muoiono uno dopo l'altro,
ciascuno nel modo annunciato dalla canzone. L'ultimo, ed è
questo che suscita l'impressione del soprannaturale, non si
suicida, ma viene ucciso. Nessuna spiegazione naturale
sembra possibile. Bisogna ammettere l'esistenza di esseri
invisibili, o di spiriti. Evidentemente tale ipotesi non è
realmente necessaria e non mancherà la spiegazione natu-
rale. Il romanzo giallo a enigma si avvicina al fantastico, ma
ne è anche l'opposto: nei testi fantastici si è piuttosto inclini
alla spiegazione soprannaturale; il romanzo giallo, una
volta terminato, non lascia sussistere alcun dubbio circa
l'assenza di avvenimenti soprannaturali. L'accostamento,
d'altro canto, non vale che per un certo tipo di romanzi gialli
a enigma (luogo chiuso) e per un certo tipo di racconti strani
(il soprannaturale spiegato). Inoltre, in ambedue i generi,
l'accento è posto in maniera diversa: nel romanzo giallo,
sulla soluzione dell'enigma; nei testi che hanno a che fare
7 A. Christie, Ten liule niggers, 1940 (intitolato nella traduzione italiana
più recente.... E poi non rimase nessuno, Mondadori, I 972).
51
'con lo strano (come nel racconto fantastico), sulle reazioni
provocate dall'enigma. Risulta nondimeno da questa somi-
glianza strutturale una somiglianza che deve essere messa in
risalto.
Vi è un autore sul quale vale la pena di soffermarsi più a
lungo, quando si tratta della relazione tra romanzi gialli e
storie fantastiche: si tratta di John Dickinson Carr. Nella
sua opera, troviamo infatti un libro che pone il problema in
modo esemplare: The burning court (La camera ardente).
Come nel romanzo di Agatha Christie, ci troviamo davanti
a un problema apparentemente insolubile per la ragione:
quattro uomini aprono una cripta dove qualche giorno pri-
ma è stato deposto un cadavere. La cripta è vuota e non è
possibile che qualcuno nel frattempo l'abbia aperta. C'è di
più: nel corso di tutta la storia, si parla di fantasmi e di
fenomeni soprannaturali. Il delitto compiuto ha avuto un
testimone e questo testimone afferma di aver visto l'assas-
sina lasciare la camera della vittima attraversando il muro
in un punto in cui duecento anni prima esisteva una porta.
Inoltre, una delle persone implicate nella vicenda, una gio-
vane donna, crede di essere una strega, e più esattamente
un'avvelenatrice (il delitto è stato compiuto con il veleno)
che apparterrebbe a un tipo particolare di esseri umani: i
non morti. « In poche parole, i non morti sono quelle per-
sone - soprattutto donne - che sono state condannate a
morte come avvelenatrici e i cui corpi sono stati J,ruciati sul
rogo, morti o vivi », 8 come sapremo in seguito. Ora accade
che, sfogliando un manoscritto ricevuto dalla casa editrice
presso cui lavora, Stevens, il marito della donna, s'imbatta
in una fotografia sulla quale è scritto: Marie d'Aubray, ghi-
gliottinata per assassinio nel 1861. Il testo continua: « Era
una fotografia della moglie di Stevens. » 9 In che modo, circa
settant'aiini dopo, la giovane donna e un'avvelenatrice del
secolo scorso, per di più ghigliottinata, potrebbero essere la
stessa persona? Molto facilmente, se si deve credere la mo-
8 J.D. Carr, The burning court, 1937. In questo caso, la nostra tradu-
zione segue la versione francese La chambre ardente, Paris, le Livre de
poche, 1967 p. 167 (trad. it. Terrore al castello, Roma, Casini, 1937).
9 J.D. Carr, op. cit., p. 18.
52
glie di Stevens che è pronta ad addossarsi la responsabilità
dell'assassinio attuale. Una serie di altre coincidenze sem-
bra confermare la presenza del soprannaturale. Infine arri-
va un detective e tutto comincia a chiarirsi. La donna che
avevano visto attraversare il muro era un'illusione dei sensi
provocata da uno specchio. Il cadavere non era scomparso,
ma abilmente nascosto. La giovane Maria Stevens non
aveva niente in comune con le avvelenatrici morte da tempo
benché si fosse tentato di farglielo credere. Tutta quella
atmosfera di soprannaturale era stata creata dall'assassino
per ingarbugli are la vicenda, per sviare i sospetti. I veri
colpevoli vengono scoperti anche se non si riesce a punirli:
Ed ecco un epilogo grazie al quale The burning court
abbandona la categoria dei romanzi gialli, i quali evocano
semplicemente il soprannaturale, per entrare in quella dei
racconti fantastici. Si vede di nuovo Maria, in casa, che
ripensa alla vicenda; e il fantastico risorge. Maria afferma
(al lettore) che è proprio lei l'avvelenatrice, che il detective
era in realtà amico suo (il che è vero), e che ha fornito tutta
la spiegazione razionale per salvare lei, Maria ( « È stato
veramente molto abile nel dare loro una spiegazione, con
un ragionamento che teneva conto delle tre dimensioni
soltanto, e dell'ostacolo dei muri di pietra. »). 10
Il mondo dei non.morti riprende i suoi diritti, e con esso il
fantastico: eccoci in piena esitazione sulla soluzione da
scegliere. Ma in definitiva bisogna pure ammettere che in
questo caso non si tratta tanto di una somiglianza tra due
generi quanto della loro sintesi.
53
di certi particolari permetterà sempre di decidere.
LA morte innamorata di Théophile Gautier può servire da
esempio. È la storia di un monaco che il giorno della sua
ordinazione si innamora della cortigiana Clarimonde. Do-
po qualche incontro fuggitivo, Romuald (così si chiama il
monaco) assiste alla morte di Clarimonde. Da quel mo-
mento ella comincia ad apparirgli in sogno. Si tratta tra
l'altro di sogni che hanno una proprietà strana: invece di
formarsi a partire dalle impressioni della giornata, costitui-
scono un racconto continuo. In sogno, Romuald non con-
duce più l'esistenza austera di un monaco, ma vive a Vene-
zia nel fasto di feste ininterrotte. E insieme si accorge che
Clarimonde rimane in vita grazie al sangue che gli viene a
succhiare durante la notte ...
Fino a questo punto tutti gli avvenimenti possono avere
una spiegazione razionale offerta in gran parte dal sogno.
(« Voglia Iddio che sia un sogno! » esclama Romùald, si-
mile in questo ad Alvaro in Il diavolo innamorato). Le illu-
sioni dei sensi ne offrono un'altra. Ad esempio: « Una sera,
mentre passeggiavo nei viali fiancheggiati di bosso del mio
piccolo giardino, mi sembrò di scorgere attraverso la spal-
liera dei carpini, una forma di donna ». 11 « Vi fu un mo-
mento in cui mi parve persino di veder muoversi il suo
piede ». 12 « Non so se fosse illusione o riflesso della lampada,
ma si sarebbe detto che il sangue ricominciasse a circolare
sotto quell'opaco pallore. » 13 (Il corsivo è mio) ecc. Infine,
una serie di avvenimenti possono essere considerati come
semplicemente strani e dovuti al caso; Romuald, invece, è
pronto a vedervi l'intervento del diavolo: « La stranezza
dell'avventura, la bellezza soprannaturale di Clarimonde,
lo splendore fosforico de' suoi occhi, l'impressione di fuoco
della sua mano, il turbamento in cui essa mi aveva gettato, il
mutamento improvviso che si era operato in me, la mia
divozione sfumata in un istante, tutto provava chiaramente
11 T. Gautier, Novelle, Milano, Sonzogno. 1905, p. 95. Più recente-
mente, il racconto è stato tradotto da Omelia Volta con il titolo La macabra
amante in I vampiri tra noi, Milano, Feltrinelli, 1960.
12 T. Gautier, op. cit.; p. 98.
13 T. Gautier, op. cit., p. 99.
54
la presenza del diavolo, e quella mano di raso non era forse
che il guanto di cui egli aveva ricoperto il suo artiglio ». 14
Può darsi infatti che sia il diavolo, ma può anche darsi che
sia soltanto il caso. Fin qui rimaniamo dunque nel fanta-
stico puro. Ora, a questo punto, si verifica un avvenimento
che determina una svolta nel racconto. Un altro abate, Sé-
rapion, viene a sapere (non si sa come) dell'avventura di
Romuald; lo porta fino al cimitero dove riposa Clarimonde,
dissotterra la bara, la apre, e Clarimonde appare, fresca
come nel giorno della morte, con una goccia di sangue sulle
labbra... In preda a una santa collera, l'abate Sérapion getta
dell'acqua benedetta sul cadavere.« Non appena la povera
Clarimonde fu tocca dalla santa rugiada, il suo corpo si
disfece in polvere e non fu più che un miscuglio orribil-
mente informe di ceneri e d'ossa a mezzo ridotte in cal-
ce. »15 Tutta la scena, e in particolare la metamorfosi del
cadavere non può non essere spiegata dalle leggi della na-
tura così come noi le conosciamo: siamo proprio nel fanta-
stico meraviglioso.
Un esempio simile lo si trova in Vera di Villiers de l'I-
sle-Adam. Anche qui, per tutta la novella, si può esitare tra
il credere nella vita dopo la morte e il pensare che il conte, il
quale vi crede, sia pazzo. Senonché, alla fine, il conte scopre
in camera sua la chiave della tomba di Vera. Ora, essendo
stat~ proprio lui a gettare la chiave dentro la tomba, deve
essere stata Vera, la morta, a portarvela.
Esiste infine un « meraviglioso puro» che alla stessa
stregua dello strano non ha limiti ben definiti (si è visto nel
capitolo precedente che opere del tutto diverse contengono
elementi di meraviglioso). Nel caso del meraviglioso, gli
elementi soprannaturali non provocano nessuna reazione
particolare, né nei personaggi, né nel lettore implicito. Non
è un atteggiamento verso gli avvenimenti narrati a caratte-
rizzare il meraviglioso, bensì la natura stessa di quegli av-
venimenti.
Si noti per inciso fino a che punto fosse arbitraria l'antica
distinzione tra forma e contenuto: l'avvenimento evocato
14 T. Gautier. op. cit., pp. 92-93
15 T. Gautier, op. cit., p. 112.
55
che appartiene tradizionalmente al « contenuto », diventa
qui un elemento« formale». Il reciproco è altrettanto vero:
il procedimento stilistico (quindi « formale ») di modaliz-
zazione può avere, come si è visto a proposito di A urélia, un
contenuto preciso.
Di solito si associa il genere del meraviglioso a quello del
racconto di fate. In realtà il racconto di fate non è che una
delle varietà del meraviglioso e gli avvenimenti sopranna-
turali non vi destano alcuna sorpresa: né il sonno di cen-
t'anni, né il lupo che parla, né i doni magici delle fate (per
non citare che alcuni elementi dei racconti di Perrault).
Quel che distingue il racconto di fate è un certo modo di
scrivere, non lo statuto del soprannaturale. I racconti di
Hoffmann illustrano chiaramente tale differenza: Schiac-
cianoci e il re dei topi, Il bimbo misterioso, La sposa del re
appartengono per certe proprietà di scrittura, al campo dei
racconti di fate; Il sorteggio della sposa, pur conservando al
soprannaturale lo stesso statuto, non è un racconto di fate.
Bisognerebbe anche definire Le Mille e una notte come
storie meravigliose più che come storie di fate (ma è una
questione che richiederebbe uno studio particolare).
Per ben delimitare il meraviglioso puro, conviene elimi-
nare diversi tipi di racconto nei quali al soprannaturale è
possibile trovare ancora una certa giustificazione.
1) Si potrebbe ,parlare innanzi tutto di un meraviglioso
iperbolico. In questo caso i fenomeni sono naturali soltanto
per le loro dimensioni, superiori a quelle che ci sono fami-
liari. In Le Mille e una notte, ad eserr.pio, Sindbàd il Mari-
naio afferma di aver visto un « pesce lungo duecento cubi-
ti » 16 o « serpenti e vipere, ognuna simile a un tronco di
palma, tanto grandi che se fosse venuto un elefante lo
avrebbero ingoiato ». 17 Ma può darsi che si tratti di un
semplice modo di dire (esamineremo questa ipotesi quando
tratteremo dell'interpretazione poetica o allegorica del te-
16 Le Mille e una notte, Torino, Einaudi, 1948 (v. Il, p. 12). a cura di
Francesco Gabricli. Trattasi della prima versione integrale dall'arabo,
condotta per una ristampa cairina dell'edizione egiziana. più ricca di det-
tagli rispetto al testo cui si riferisce l'autore.
17 Le Mille e.... op. cir., v. 11, p. 17.
56
sto). Si potrebbe dire altresì, riprendendo un vecchio pro-
verbio francese che « gli occhi della paura sono grandi».
Comunque sia, questo soprannaturale non fa troppa vio-
lenza alla ragione.
2) Abbastanza simile al nostro primo tipo di meraviglioso
è il meraviglioso esotico. In questo caso si riferiscono avve-
nimenti soprannaturali senza presentarli come tali; colui
che implicitamente recepisce tali racconti si suppone che
non conosca le ragioni in cui si svolgono gli avvenimenti; di
conseguenza non vi è motivo di metterli in dubbio. Il se-
condo viaggio di Sindbàd offre alcuni esempi eccellenti.
All'inizio vi si descrive l'uccello Rukh: « Il giorno stava per
finire ed eravamo vicini al tramonto: tutto a un tratto l'aria
divenne buia e il sole, nascondendosi, sparì alla vista: pen-
sai che sul sole fosse passata una nuvola ma, dato che
eravamo d'estate, mi meravigliai e, alzata la testa mentre
stavo guardando, vidi un uccello di grande mole, con ali
larghe, che volava nell'aria: era esso che aveva coperto
l'occhio del sole nascondendolo all'isola. »18 Naturalmente
quest'uccello non esiste per la zoologia contemporanea, ma
coloro che ascoltavano Sindbàd erano ben lontani da una
simile certezza, e cinque secoli dopo lo stesso Galland scri-
ve: « Marco Polo, nei suoi viaggi, e il Padre Martin, nella
sua storia della Cina, parlano di quest'uccello. »19 Un po'
dopo Sindbàd descrive nello stesso modo il rinoceronte che
pure ci è ben noto: « In quell'isola vi era anche una specie di
belva chiamata karkadann (rinoceronte) che vi pascolava
come pascolano le vacche e i bufali nei nostri paesi; il corpo
di questa belva era più grande di quello del cammello, ed
essa si cibava di foraggio. Si tratta di un grosso animale con
un corno grosso nel mezzo alla testa, lungo dieci cubiti e vi si
vede la forma di un uomo. In quell'isola vi erano anche
delle specie di vacche. I marinai, i viaggiatori e i viandanti
per monti e per terre, dicono che quella bestia, chiamata
18 Le Mille e.... op. cit., v. n, p. 16.
19 L'orientalista A. Galland ha dato inizio alla fama di Le Mille e una
noue nella cultura occidentale con una libera traduzione in francese,
compiuta fra il 1704 e il 1717, basandosi su un manoscritto arabo venutogli
dalla Siria.
57
karkadann, può portare un grande elefante sul suo corno e
pascolare con esso nell'isola e sulle spiagge senza avveder-
sene. L'elefante gli muore sul corno, e il grasso, a causa del
calore solare, gli cola sulla testa, gli entra negli occhi e così
esso ne viene accecato; si adagia da un lato della spiaggia, e
allora viene l'uccello Rukh, lo prende nei suoi artigli, lo
porta ai suoi piccoli e li ciba di esso e dell'elefante che ha sul
corno. » 20 Questo pezzo di bravura, mescolando elementi
naturali e soprannaturali evidenzia il carattere particolare
del meraviglioso esotico. Ovviamente la mescolanza esiste
soltanto per noi, lettori moderni. Invece, il narratore impli-
cito nel racconto, mette tutto allo stesso livello (quello del
« naturale » ).
3) Un terzo tipo di meraviglioso potrebbe essere chiamato
il meraviglioso strumenta/e. Appaiono piccoli gadgets, per-
fezionamenti tecnici irrealizzabili all'epoca descritta, ma in
definitiva perfettamente possibili. In La storia del principe
Ahmed delle Mille e una notte, ad esempio, questi strumenti
meravigliosi sono, all'inizio: un tappeto volante, una mela
che guarisce, un « tubo » per vedere lontano. Ai nostri
giorni, l'elicottero, gli antibiotici o i binocoli, dotati degli
stessi poteri, non hanno niente a che vedere con il meravi-
glioso; lo stesso vale per il cavallo volante nella Storia del
cavallo d'ebano, oppure per la pietra che gira nella storia di
Alì Babà: basta pensare a un recente film di spionaggio (La
Bionde dé(ie F.B.l.) dove si vede un safe segreto che si apre
soltanto allorché la voce del suo proprietario pronuncia
certe parole. Occorre distinguere questi oggetti, prodotti
dell'abilità umana, da certi strumenti spesso simili in appa-
renza, ma la cui origine è magica e che servono a comuni-
care con altri mondi: come la lampada e l'anello di Aladino
o il cavallo del Racconto del terzo_ mendicante che appar-
tengono a un meraviglioso diverso.
4) Con il meraviglioso strumentale siamo assai vicini a ciò
che nell'800 veniva detto in Francia il meraviglioso scienti-
fico e che oggi si chiama fantascienza. Nella fattispecie il
soprannaturale è spiegato in maniera razionale, ma sulla
base di leggi che la scienza contemporanea non riconosce.
20 Le Mille e... , op. cit., v. n, pp. 19-20.
58
All'epoca del racconto fantastico, rientrano nel meraviglio-
so scientifico le storie in cui interviene il magnetismo. Il
magnetismo spiega « scientificamente » avvenimenti so-
prannaturali. Senonché lo stesso magnetismo appartiene al
soprannaturale. Si veda Lo spettro fidanzato o Il magnetiz-
zatore di Hoffmann; si veda La verità sul caso di Mr. Val-
demar di Poe, o Un pazzo? di Maupassant. La fantascienza
attuale, quando non sconfina nell'allegoria, ubbidisce allo
stesso meccanismo. Si tratta di racconti in cui, partendo da
premesse irrazionali, i fatti si concatenano in modo perfet-
tamente logico. Essi posseggono altresì una struttura del-
l'intreccio diversa da quella del racconto fantastico. Torne-
remo in seguito sull'argomento (cap. x).
A tutte queste varietà di meraviglioso « scusato », giusti-
ficato, imperfetto, si oppone il meraviglioso puro, che non si
spiega in alcun modo. Non è questa la sede per soffermarsi
sull'argomento: da un lato, perché gli elementi del meravi-
glioso, in quanto temi, saranno esaminati in seguito (capp.
vn.vm). Dall'altro perché l'aspirazione al meraviglioso, in
quanto fenomeno antropologico, oltrepassa l'ambito di uno
studio che vuol essere letterario. Non sarà il caso di ram-
maricarsene, tanto più che in quest'ottica il meraviglioso è
stato oggetto di libri assai penetranti; come conclusione
citerò una frase di Pierre Mabille che definisce a pennello il
senso del meraviglioso: « Al di là del piacere, della curiosità,
di tutte le emozioni che suscitano i racconti, le storie e le
leggende, al di là del bisogno di distrarsi, di dimenticare, di
procurarsi sensazioni piacevoli e terrificanti, lo scopo reale
del viaggio meraviglioso è, come siamo già in grado di
capire, l'esplorazione più completa d~lla realtà universa-
le ».21
59
4 La poesia e l'allegoria
60
diare separatamente le due opposizioni.
Cominciamo dal!a più semplice: poesia e _finzione. Fin
dall'inizio di questo studio si è visto che ogni opposizione
fra due generi deve fondarsi su una proprietà strutturale
dell'opera letteraria. Tale proprietà è, in questo caso, la
natura stessa del discorso che può, o non può, essere rap-
presentativo. Il termine « rappresentativo » deve essere
maneggiato con precauzione. La letteratura non è rappre-
sentativa nel senso in cui possono esserlo certe frasi del
discorso quotidiano, giacché essa non si riferisce (nel senso
preciso della parola) a niente che le sia esteriore. Gli avve-
nimenti riportati da un testo letterario sono « avvenimenti »
letterari e alla stessa stregua dei personaggi sono interni al
testo. Ma il rifiutare di conseguenza ogni ·carattere rappre-
sentativo alla letteratura, significa confondere il referendo
con il referente, l'attitudine a denotare gli oggetti con gli
oggetti stessi. C'è poi da aggiui;,.gere che il carattere rappre-
sentativo presiede a una parte della letteratura che converrà
designare con il termine di_finzione, mentre la poesia rifiuta
questa attitudine a evocare e a rappresentare (detta oppo-
sizione tende peraltro ad attenuarsi nella letteratura del
'900). Non a caso, nella prima fattispecie, i termini usati
correntemente sono: personaggi, azione, atmosfera, am-
biente ecc., tutti termini che designano anche una realtà non
testuale. In compenso, allorché si tratta di poesia, si è portati
a parlare di rime, di ritmo, di figure retoriche ecc. Questa
opposizione, come la maggior parte d_i quelle che si trovano
in letteratura, non va intesa in senso assoluto. Si tratta di
una questione di gradi. La poesia comporta anch'essa degli
elementi rappresentativi e la finzione delle proprietà che
rendono il testo opaco, non transitivo. Nondimeno l'oppo-
sizione esiste.
Senza fare in questa sede la cronistoria del problema,
accenneremo al fatto che questa concezione della poesia
non è sempre stata predominante. La controversia fu parti-
colarmente viva a proposito delle figure retoriche: ci si
chiedeva se si dovesse o meno fare di ogni figura un'imma-
gine, passare dalla formula alla rappresentazione. Ad
esempio Voltaire diceva che « la metafora, per essere buo-
61
na, deve essere sempre un'immagine; che deve essere quale
un pittore potrebbe rappresentarla con il pennello ». 1 Que-
sta ingenua esigenza, peraltro mai soddisfatta da nessun
poeta, è stata contestata fin dal xvm secolo. Tuttavia, alme-
no in Francia, si dovrà attendere Mallarmé per cominciare a
considerare le parole come parole e non come supporti
impercettibili di immagini. Nella critica contemporanea
sono stati i formalisti russi a insistere sulla intransitività
delle immagini poetiche. Sklovskij evoca a tal proposito « il
paragone di Tjuttev tra l'aurora e i demoni sordomuti, o
quello, di Gogol, tra il cielo e le pianete di Dio ». 2 Oggi si è·
d'accordo sul·fatto che le immagini poetiche non sono de-
scrittive, che debbono essere lette sul piano puro e semplice
della catena verbale che costituiscono, nella loro letteralità,
nemmeno, cioè, al livello del loro referendo. L'immagine
poetica è una combinazione di parole, non di cose, ed è
inutile, addirittura nocivo, tradurre questa combinazione in
termini sensoriali.
Adesso è chiaro perché la lettura poetica costituisca uno
scoglio per il fantastico, Se leggendo un testo, si rifiuta ogni
rappresentazione e si considera ogni frase come una pura
combinazione semantica, il fantastico non potrà apparire;
come ben si ricorda esso esige una reazione agli avveni-
menti quali si verificano nel mondo evocato. Per tale ra-
gione il fantastico non può sussistere se non nella finzione;
la poesia non può essere fantastica (anche se vi sono anto-
logie di« poesia fantastica» ... ). In poche parole, il fantasti-
co implica la finzionè.
In linea di massima, il discorso poetico si segnala per
innumerevoli proprietà secondarie. Sappiamo perciò a
priori che in un certo testo non dovremo cercare il fantasti-
co: ce ne distolgono le rime, il metro regolare, il discorso
emotivo ecc. Non vi è un gran rischio di confusione. Certi
testi in prosa richiedono tuttavia diversi livelli di lettura.
Riferiamoci di nuovo ad Aurélia. Quasi sempre.i sogni rac-
1 Voltaire, Remarques sur Cornei/le.
2 S'klovskij V., « L'art comme procédé ,. in: Théorie de la liuérature.
Paris, Seui!, 196S (trad. it. L'arte come procedimento, in / formalisti russi, a
cura di T. Todorov, Torino, Einaudi, 1968. pp. 7S-94).
62
contati da Nerval vanno letti come una finzione. Conviene
quindi rappresentarsi ciò che descrivono. Ecco un esempio
di questo tipo di sogni: « Un essere di smisurata grandezza
- uomo o donna, non so - volteggiava faticosamente nello
spazio e sembrava dibattersi fra nuvole spesse. A corto di
fiato e di forze precipitò alla fine in mezzo all'oscuro cortile,
impigliandosi e gualcendosi l'ali lungo i tetti e le ringhie-
re. »3 Questo sogno evoca una visione che deve esser presa
come tale; qui si tratta proprio di un avvenimento sopran-
naturale.
Ed ecco adesso un esempio preso da un sogno dei Me-
morabili che illustra un altro atteggiamento nei confronti
del testo. « Dal profondo delle tenebre mute, due note han
risuonato, l'una grave, l'altra acuta, - e l'orbe eterno si è
subito messo a girare. Sii benedetta, o prima ottava che
dette inizio all'inno divino. Da domenica a domenica,
stringi tutti i giorni nella tua magica rete. I monti ti cantano
alle valli, le fonti ai torrenti, i torrenti ai fiumi, e i fiumi
all'Oceano; l'aria vibra, e la luce screzia armoniosamente i
fiori nascenti. Un sospiro, un brivido d'amore esce dal seno
turgido della terra, e il coro degli astri si spiega nell'infinito;
si allontana e ritorna su se stesso, si assottiglia e si espande, e
semina lontano i germi delle nuove creazioni. » 4
Se cerchiamo di andare al di là delle parole per raggiun-
gere la visione, dovremo includerla nella categoria del so-
prannaturale: l'ottava che intreccia i ·giorni, e il canto dei
monti, delle valli ecc .• il sospiro che esala dalla terra. Ma
non dobbiamo avviarci per questa strada: le frasi citate
richiedono una lettura poetica, non tendono a descrivere un
mondo evocato. Ecco il paradosso del linguaggio letterario:
proprio quando le parole sono usate in senso figurato,
dobbiamo prenderle alla lettera.
63
gnare la lettura che crediamo tipica della poesia. Bisogna
ben guardarsi dal confondere i due usi: in un caso, letterale
si oppone a referenziale, descrittivo, rappresentativo; nel-
l'altro, quello che ci interessa adesso, si tratta piuttosto di ciò
che viene anche detto il senso proprio, contrapposto al senso
figurato: qui, il senso allegorico.
Cominciamo con il definire l'allegoria. Come al solito, nel
passato non sono mancate le definizioni, ed esse vanno dal
senso più restrittivo a quello più ampio. Curiosamente, la
definizione più aperta è anche la più recente; la si trova in
quella vera e propria enciclopedia dell'allegoria che è il
libro di Angus Fletcher, Allegory: « Per parlare semplice-
mente, l'allegoria dice una cosa e ne vuole dire un'altra. » 5
Come è noto, tutte le definizioni sono, in realtà, arbitrarie;
tuttavia quella di Fletcher è ben poco allettante: con la sua
genericità, essa trasforma l'allegoria in ricettacolo, in su-
perfigura. ·
All'altro estremo, si trova un'altra accezione moderna del
termine, molto più restrittiva, e che si potrebbe riassumere
così: l'allegoria è una proposta a doppio senso, ma il cui
senso proprio (o letterale) si è completamente cancellato.
Ad esempio, nei proverbi: « Tanto va la gatta al lardo che ci
lascia lo zampino ». Sentendo queste parole nessuno, o
quasi, pensa a una gatta, al lardo, all'azione di lasciarci lo
zampino; si coglie immediatamente il senso allegorico:
correre troppi rischi è pericoloso ecc. Intesa in tal modo,
l'allegoria è stata spesso stigmatizzata come contraria alla
letteralità degli autori moderni.
L'idea che si faceva dell'allegoria nell'antichità, ci per-
metterà di andare oltre. Scrive Quintiliano: « Una metafora
continua si sviluppa in allegoria. » In altri termini, una
metafora isolata non indica che una maniera figurata di
parlare; ma se la metafora è continua, ininterrotta, essa
rivela la chiara intenzione di parlare anche di qualcosa di
diverso dall'oggetto originario dell'enunciato. Questa defi-
nizione è preziosa in quanto formale. Essa indica il mezzo
grazie al quale si può identificare l'allegoria. Se ad esempio
si parla dapprima dello stato come di una nave, poi del capo
5 A. Fletcher, Allegory, Ithaca, Comell University Press, 1964.
64
dello stato chiamandolo capitano, possiamo dire che l'ico-
nografia marittima offre un'allegoria dello stato.
Fontanier, l'ultimo grande retore francese, scrive: « L'al-
legoria consiste in una proposta a doppio senso, a senso
letterale e a senso spirituale insieme », e illustra la sua af-
fermazione con l'esempio seguente:
J'aime mieux un ruisseau qui. sur la molle arène.
Dans un pré plein defleurs lentement se promène.
Qu'un torrent débordé qui, d'un cours orageux.
Roule plein de gravier sur un terrain fangeux. 6
Si potrebbero prendere questi quattro versi per una poe-
sia ingenua, di dubbia qualità, se ignorassimo che questi
versi appartengono all'Arte poetica di Boileau; la descrizio-
ne cui mira Boileau non è evidentemente la descrizione di
un ruscello, ma quella di due stili, come Fontanier fa d'al-
tronde notare: « Boileau vuol far capire che uno stile fiorito
e accurato è preferibile a uno stile impetuoso, disuguale e
privo di regole. » 7 Il commento di Fontanier è evidente-
mente superfluo; per capirlo, basta il semplice fatto che la
quartina si trova nell'Arte poetica: le parole saranno prese
nel senso allegorico.
Ricapitoliamo. Pri~a di tutto, l'allegoria implica l'esi-
stenza di almeno due sensi per le stesse parole; a volte ci
dicono che il senso primo deve scomparire, a volte che
entrambi debbono essere presenti contemporaneamente. In
. secondo luogo, questo doppio senso è indicato nell'opera in
maniera esplicita: non dipende dall'interpretazione (arbi-
traria o meno) di un qualunque lettore.
Basiamoci su queste due conclusioni e torniamo al fan-
tastico. Se quel che leggiamo descrive un avvenimento so-
prannaturale, e ciò nonostante si debbono prendere le pa-
role non in senso letterale, ma in un altro senso che non
rimanda a niente di soprannaturale, non vi è più spazio per
il fantastico. Esiste quindi una gamma di sottogeneri lette-
6 Preferisco un ruscello che sulla molle arena / in un prato fiorito
lentamente passeggia / ad un gonfio torrente che scorre tempestoso /
trascinando la ghiaia per un letto fangoso.
7 P. Fontanier. Lesfìgures du discours, Paris, Flammarion, 1968.
65
rari, tra il fantastico (il quale appartiene a quel tipo di testi
che debbono essere letti in senso letterale) e l'allegoria pura
la quale non conserva che il senso figurato, allegorico;
gamma che si costituirà in funzione di due fattori: il carat-
tere esplicito dell'indicazione, e la scomparsa del senso pri-
mo. Alcuni esempi ci consentiranno di rendere questa ana-
lisi più concreta.
La favola è il genere che più si avvicina all'allegoria pura,
.in cui il senso primo delle parole tende a cancellarsi com-
pletamente. I racconti di fate, che comportano di solito
elementi soprannaturali, si avvicinano talora alle favole; si
vedano ad esempio i racconti di Perrault. Il senso allegorico
vi è esplicitato al sommo grado: alla fine di ogni racconto lo
troviamo riassunto in_ qualche verso. Si prenda ad esempio
Enrichetto dal Ciuffo. É la storia di un principe, intelligente,
ma molto brutto, che ha il potere di rendere intelligenti
come lui le persone di sua scelta, e di una principessa,
bellissima, ma sciocca, che ha ricevuto un dono analogo per
quanto riguarda la bellezza. Il principe rende intelligente la
principessa; un anno dopo, vincendo innumerevoli esita-
zioni, la principessa accorda al principe la bellezza. Si tratta
evidentemente di avvenimenti soprannaturali, ma in seno al
racconto stesso, Perrault ci suggerisce di prendere le parole
in senso allegorico. « La Principessa non aveva ancora finito
di pfonunciare queste parole che Enrichetto dal Ciuffo ap-
parve ai suoi occhi il più bell'uomo della terra, il più aitante
e simpatico che rriai si sia visto. Alcuni assicurano che non
furono per nulla gl'incantesimi della fata ad agire, ma che
solo l'amore operò tale metamorfosi. Dicono che la Princi-
pessa, avendo riflettuto sulla perseveranza dimostrata dal
suo innamorato, sulla discrezione di lui e tutte le belle
qualità del suo cuore e della sua mente, non vide più la
deformità del suo corpo, né la bruttezza del suo viso: la
gobba che lo deturpava le parve soltanto la schiena rotonda
dell'uomo che bonariamente si tiene un po' curvo; nel
mentre che, fino a quel momento, le era parso ch'egli fosse
orribilmente zoppo, le sembrò adesso che avesse un'anda-
tura un po' buttata da una parte, non priva di grazia e che le
piaceva moltissimo. Dicono pure che i suoi occhi storti le
66
parvero per questo più vivi e brillanti, tanto che quello
strano modo di guardare sembrò a lei la dimostrazione d'un
amore fin troppo violento; perfino il naso di lui, grosso e
rubizzo, prese ai suoi occhi qualcosa d'eroico e di marzia-
le! »8 Per assicurarsi di essere stato capito bene. Perrault
aggiunge ancora alla fine una« Morale»:
Ciò che si vede in questo scrittarello
Non è un racconto in aria, ma verità patente.
In quel che amiamo tutto è buono e bello,
Tutto quello che amiamo è intelligente. 9
Dopo queste indicazioni, evidentemente il soprannatu-
rale non c'è più: ciascuno di noi ha ricevuto lo stesso potere
di metamorfosi e le fate non c'entrano affatto. L'allegoria è
altrettanto evidente negli altri racconti di Perrault. Lui
stesso del resto ne era perfettamente consapevole e nella
prefazione alle sue raccolte, tratta soprattutto il problema
del senso allegorico che _considera essenziale (« la morale,
cosa principale in ogni genere di favola ... »).
C'è da aggiungere che il lettore (reale e non implicito
questa volta) ha tutto il diritto di non preoccuparsi del senso
allegorico indicato dall'autore, e di leggere il testo scopren-
dovi un senso del tutto diverso. È quanto accade oggi con
Perrauh: il lettore contemporaneo è colpito da una simbo-
lica sessuale più che dalla morale difesa dall'autore.
Il senso allegorico può apparire con altrettanta chiarezza
in opere che non sono più racconti di fate o favole, ma
novelle «moderne». L'Homme à la cervelle d'or di Alp-
honse Daudet può illustrare il nostro caso. La novella narra
le disawenture di una persona che aveva « la cima della
testa e il cervello d'oro ». 10 L'espressione - «d'oro» - è
usata in senso proprio (e non nel senso figurato di « eccel-
lente »).Tuttavia, fin dal principio, l'autore suggerisce che il
senso vero è appunto il senso allegorico. « Confesserò per-
8 C. Perrault, Enrichetto dal Ciuffo in Fiabe Francesi della corre del Re
Sole e del secolo xvm, Torino, Einaudi, 19S7, p. SO.
9 C. Perrault, op. cit., p. SI.
IO P.-G. Castex, Anthologie du conte fantasrique français, Paris, José
Corti, 1963, pp. 217-218.
67
sino che ero dotato di un'intelligenza che sorprendeva la
gente e della quale soltanto io e i miei genitori possedevamo
il segreto. Chi non sarebbe stato intelligente con un cervello
ricco come il mio? »11 Questo cervello d'oro si rivela spesso
come il solo mezzo, per il suo possessore, di procurarsi il
denaro necessario per sé e la sua famiglia, e la novella
racconta come il cervello si consumi così a poco a poco.
Ogni volta che viene chiesto un prestito all'oro del cervello,
l'autore non dimentica mai di suggerirci il « vero » signifi-
cato di un simile atto. « A questo punto sorgeva davanti ai
miei occhi un'orrenda obiezione: con quel lembo di cervello
che stavo per strapparmi, mi privavo di altrettanta intelli-
genza? »12 « A stupirmi era soprattutto la quantità di ric-
chezza contenuta nel mio cervello, e come fosse difficile
esaurirla» ecc.1 3 Il ricorso al cervello non presenta nessun
pericolo fisico, ma in compenso minaccia l'intelligenza. E
proprio come in Perrault, caso mai il lettore non avesse
ancora capito l'allegoria, alla fine si aggiunge: « Poi, mentre
mi desolavo e piangevo tutte le mie lacrime, mi misi a
pensare a tanti infelici che vivono del loro cervello come ne
avevo vissuto io, a quegli artisti, a quei letterati privi di beni,
costretti a far pane dalla loro intelligenza, e mi dissi che non
dovevo essere il solo quaggiù a conoscere le sofferenze del-
l'uomo dal cervello d'oro. » 14
In questo tipo di allegoria, il livello del senso letterale ha
scarsa importanza; le inverosimiglianze che vi si trovano
non disturbano, giacché tutta l'attenzione è rivolta all'alle-
goria. Aggiungiamo che ai nostri giorni, racconti di questo
genere sono poco apprezzati: l'allegoria esplicita è consi-
derata come una sottoletteratura (ed è difficile non vedere
in questa: condanna una presa di posizione ideologica).
Facciamo adesso un passo avanti. Il senso allegorico ri-
mane incontestabile, ma è suggerito con mezzi più sottili di
una« morale » posta alla fine del testo. Ne offre un esempio
La pelle r./i zigrino di Balzac. L'elemento soprannaturale è la
11 P.-G. Castex, op. cit., p. 218.
12 P.-G. Castex, op. cit., p. 220.
13 P.-G. Castex, op. cit., p. 223.
14 P.-G. Castex, op. cit., p. 224.
68
pelle stessa: innanzi tutto per le sue qualità fisiche straor-
dinarie (resiste a tutte le esperienze che le vengono fatte
subire), inoltre, e in special modo, per i poteri magici che
esercita sulla vita del suo possessore. Sulla pelle vi è un'i-
scrizione che spiega il suo potere: essa è insieme un'imma-
gine della vita del suo possessore (la sua superficie corri-
sponde alla lunghezza della vita) e un mezzo per realizzare i
suoi desideri; ma una volta esaudito un desiderio, si riduce
un tantino. Si noti la complessità formale dell'immagine: la
pelle è metafora per la vita, metonimia per il desiderio, e
stabilisce inoltre una relazione di proporzione inversa tra
ciò che raffigura nell'uno e nell'altro caso.
Il significato ben preciso che dobbiamo attribuire alla
pelle già ci invita a non ridurla al suo senso letterale. D'altro
canto, diversi personaggi del libro sviluppano teorie in cui
appare questa stessa relazione inversa tra la lunghezza della
vita e la realizzazione dei desideri. Si pensi al vecchio anti-
quario che consegna la pelle a Raphael: « Questo, - ed
alzando la voce, indicava la pelle di zigrino, - è il potere ed
il volere riuniti. Qui sono le vostre idee sociali, i vostri
desideri eccessivi, le vostre intemperanze, le gioie che vi
uccidono, i dolori che fanno troppo intensa la vostra vi-
ta. » 15 Già Rastignac, amico di Raphael, aveva difeso que-
sta stessa concezione assai prima che la pelle facesse la sua
comparsa. Rastignac sostiene che invece di suicidarsi rapi-
damente, si potrebbe perdere più piacevolmente la propria
vita tra i piaceri; il risultato sarebbe lo stesso. « L'intempe-
ranza, mio caro, è la regina di tutte le morti. Non conduce
d'autorità all'apoplessia fulminante? L'apoplessia è un col-
po di pistola che non fallisce il bersaglio. Le orge ci prodi-
gano tutti i piaceri che il corpo può dare: ·non è questo oppio
a piccole dosi? » 16 In fondo Rastignac dice la stessa cosa
espressa dalla pelle di zigrino: la realizzazione dei desideri
conduce alla morte. Il senso allegorico dell'immagine è in-
direttamente, ma chiaramente indicato.
In questo caso non si perde il senso letterale, a differenza
di quanto si è visto nel primo livello dell'allegoria. Prova ne
15 H. de Balzac, La pelle di zigrino. Torino, Einaudi, 1947,p. 2_7.
16 H. de Balzac. op. cit., p. 122.
69
sia il sussistere dell'esitazione fantastica (e noi sappiamo che
essa si colloca sul piano del senso letterale). La comparsa
della pelle è preparata da una descrizione dell'atmosfera
strana che regna nella bottega del vecchio antiquario; in
seguito, nessuno dei desideri di Raphael si realizza in ma-
niera inverosimile. Il festino che egli chiede era già stato
organizzato dai suoi amici; il denaro gli piove sotto forma di
eredità; la morte del suo avversario in duello, può spiegarsi
con la paura che lo coglie davanti alla calma di Raphael;
infine, la morte di Raphael è dovuta apparentemente alla
tisi e non a cause soprannaturali. Soltanto le proprietà
straordinarie della pelle confermano apertamente l'inter-
vento del meraviglioso. Siamo di fronte a un esempio in cui
il fantastico è assente, non per il venir meno della prima
condizione (esitazione tra lo strano e il meraviglioso), ma
per mancanza della terza: è ucciso dall'allegoria, e un'alle-
goria che si manifesta in maniera indiretta.
Stesso caso in Vera di Villiers de l'Isle-Adam. Qui l'esita-
zione tra le due spiegazioni possibili, razionale e irrazionale
(la spiegazione razionale sarebbe quella della follia) per-
mane, specialmente per la presenza simultanea di due punti
di vista, quello del conte di Athol e quello del vecchio
servitore Raymond. Il conte crede (e Villiers de l'Isle-A-
dam vuol far credere al lettore) che a forza di amare e di
volere, si può vincere la morte, si può resuscitare l'essere
amato. L'idea è suggerita indirettamente a più riprese:
« D'Athol, infatti, viveva assolutamente nell'inconsapevo-
lezza della morte della sua adorata! Non poteva che sentirla
sempre presente, tanto la forma della giovane donna era
intimamente fusa alla sua.( ... ) Era infine la negazione della
Morte elevata a potenza ignota! (... ) si sarebbe detto che la
morta giocasse all'invisibile, come una bambina. Si sentiva
talmente amato! Era ben naturale. (... ) Ah! le Idee sono
degli esseri vivi! ... Il conte aveva scavato nell'aria la forma
del suo amore, e bisognava bene che quel vuoto fosse col-
mato dal solo essere che lo eguagliava, diversamente l'Uni-
verso sarebbe crollato. » 17 Tutte queste formule indicano
17 P.A.M. Villiers de l'Isle-Adam. Racconii crudeli. Bologna. Apollo,
1927,pp.23.24,25,27. -
70
chiaramente il senso dell'evento soprannaturale futuro, la
resurrezione di Vera.
E il fantastico ne risulta assai indebolito, tanto più che la
novella comincia con una formula astratta che, per parte
sua, l'apparenta con il primo gruppo di allegorie:« L'amore.
è più forte che la morte, ha detto Sl!-lomone: sì, il suo
misterioso potere è illimitato. » 18 Tutto il racconto appare in
tal modo come l'illustrazione di un'idea, e il fantastico ne
subisce un colpo fatale. .
Un terzo grado dell'indebolimento dell'allegoria lo si
trova nel racconto in cui il lettore giunge fino al punto di
esitqre tra interpretazione all<?gorica e lettura letterale.
Niente, nel testo, indica il senso allegorico e ciò nonostante
tale senso resta possibile. Prendiamo alcuni esempi. La
« Storia del riflesso perduto », contenuta in Le avventure
della notte di S. Silvestro di Hoffmann, ne offre uno. È la
storia di un giovane tedesco, Erasmo Spikher, che durante
un soggiorno in Italia incontra una certa Giulietta di cui si
innamora appassionatamente, dimenticando_ la moglie e il
figlio che lo attendono a casa. Ma un giorno deve ripartire; è
disperato per la separazione e altrettanto lo è Giulietta.
« Giulietta strinse Erasmo a sé, più forte, più teneramente e
bisbigliò: ,Lasciami il tuo riflesso... Almeno questo sarà mio
per sempre., » 19 E davanti alla perplessità di Erasmo, Giu-
lietta dice: « Volevi essere mio anima e corpo, e del tuo ,io,
non mi concedi neppure quest'immagine di sogno riflessa
nello specchio? ... Dunque, neppure la tua labile immagine
dovrà rimanere con me, seguirmi attraverso la mia povera
vita, priva di gioia, di amore quando· sarai fuggito ... - I
begli occhi scuri di Giulietta si velarono di lacrime cocenti.
Pazzo di dolore, Erasmo esclamò: - Dunque, devo la-
sciarti? ... Se devo andarmene, il mio riflesso rimanga eter-
namente con te. E che nessuna forza al mondo - nemmeno
il diavolo - possa strappartelo fino a quando non riavrai
tutto me stesso, anima e corpo. » 20
18 P.A.M. Villiers de l'Isle-Adam. op. cit.• p. 15.
19 E.T.A. Hoffmann, Roman=i e Racconti. Torino. Einaudi, 1969. v. 1.
p.256.
20 lbid.
71
Detto fatto, Erasmo perde il proprio riflesso. Siamo qui al
livello del senso letterale: Erasmo non vede assolutamente
più niente allorché si guarda in uno specchio. Ma a poco a
poco, durante le diverse avventure in cui incorre, verrà
suggerita una certa interpretazione dell'evento sopranna-
turale. Il riflesso si identifica talora con la dignità sociale.
Ad esempio, nel corso di un viaggio, Erasmo è accusato di
non aver riflesso. « Pieno di rabbia e di vergogna Erasmo si
rifugiò nella sua camera. Ma poco dopo gli venne ingiunto
dalla polizia di presentarsi entro un'ora all'autorità con un
riflesso perfettamente rassomigliante; altrimenti lasciasse la
città. » 21 Anche sua moglie gli dichiarerà in seguito: « Ma
capirai anche tu che senza riflesso faresti ridere la gente;
non potresti mai essere un padre di famiglia come si deve,
ispirare rispetto a tua moglie, ai tuoi bimbi. » 22 Il fatto che
questi personaggi si stupiscano per l'assenza del riflesso solo
in quanto la trovano sconveniente più che sorprendente, ci
fa supporre che tale assenza non debba essere presa alla
lettera.
Al tempo stesso ci viene suggerito che il riflesso designa
semplicemente una parte della personalità (!_1.el qual caso
non vi sarebbe niente di soprannaturale nella sua perdita).
Erasmo stesso reagisce così: « Con un sorriso forzato (... )
tentò in ogni rnodo di dimostrarle quanto fosse assurdo
credere che uno potesse perdere il proprio riflesso ... D'al-
tronde, perderlo non significava un gran che: l'immagine
riflessa nello specchio era, in fondo, una mera illusione, una
tentazione alla vanità ... Peggio: scindeva la personalità d'un
uomo in due aspetti - quello della· realtà e quello del
sogno. » 23 Ecco, a quanto pare, un'indicazione circa il senso
da dare a quel riflesso perduto; ma essa rimane isolata, non
convalidata dal resto del testo. Perciò il lettore ha perfetta-
mente ragione di esitare prima di adottarla.
William Wilson, di Poe, offre un esempio analogo, oltre
che sullo stesso tema. È la storia di un uomo perseguitato
dal proprio doppio; è difficile decidere se questo doppio sia
21 E.T.A. Hoffmann, op. cii., p. 258.
22 E.T.A. Hoffmann, op. cii., p. 262.
23 E.T.A. Hoffmann, op. cii., p. 259.
72
un essere umano in carne ed ossa, o se l'autore ci proponga
una parabola in cui il preteso doppio altro non sia che una
parte della sua personalità, una sorta di incarnazione della
sua coscienza. A favore di questa seconda interpretazione
interviene la somiglianza del tutto inverosimile dei due uo-
mini. Hanno lo stesso nome, la stessa data di nascita; sono
entrati in collegio lo stesso giorno; sono simili nell'aspetto e
ancor più nel loro modo di camminare. La sola differenza
importante - ma non potrebbe avere anch'essa un signifi-
cato allegorico? - sta nella voce: « Il mio rivale era afflitto
da un'imperfezione della laringe che non gli consentiva di
elevare la voce più alto di u,; sommesso mormorio. » 24 Non
soltanto quel doppio appare come per magia ad ogni istante
della vita di William Wilson « colui che aveva avversata la
mia ambizione a Roma, la mia vendetta a Parigi, la mia
passione a Napoli e, in Egitto, ciò che a torto definì la mia
cupidigia », 25 ma si ~ascia identificare da attributi esteriori
di cui è difficile spiegare l'esistenza. Si ricordi il mantello
dello scandalo di Oxford: « Il mantello che avevo avuto su
di me era, inutile a dirsi, di una pelliccia di qualità supe-
rioret rara e follemente cara. Il taglio era di un taglio fan-
tasia, di mia invenzione ... Perciò, quando Preston mi tese
quello che aveva raccolto per terra vicino alla porta della
camera, fu con uno stupore che rasentava il terrore che mi
accorsi di avere già il mio sul braccio, dove probabilmente
lo avevo messo ·senza· farvi caso, e che quello che egli mi
porgeva ne era la contraffazione esatta nei benché minimi
particolari. » 26 È chiaro che si tratta di una coincidenza
eccezionale; a meno di dire che non vi sono due mantelli,
bensì uno solo.
La fine della storia ci risospinge verso il senso allegorico.
William Wilson sfida il suo doppio a duello e lo ferisce
mortalmente; allora « l'altro », barcollante, gli rivolge la
parola: « Hai vinto ed io soccombo. Ma d'ora in poi anche
tu sei morto - morto al Mondo, al Cielo e alla Speranza! In
24" E.A. Poe, Nouvelles histoires extraordinaires, trad. di Charles Bau-
delaire, Paris, Gamier, 1961, p. 46. Cfr. nota 37,p. 41.
25 E.A. Poe, op. cit., p. 58.
26 E.A. Poe, op. cii.. pp. 56-57.
73
me tu esistevi - e ora, guarda nella mia morte, guarda in
questa mia immagine che è la tua, come hai definitivamente
assassinato te stesso! » 27 Queste parole sembra che esplici-
tino pienamente l'allegoria; ciò nonostante esse restano si-
gnificative e pertinenti sul piano letterale. Non si può dire
che si tratti di una pura allegoria; ci troviamo piuttosto di
fronte a un'esitazione del lettore.
Il naso di Gogol costituisce un caso limite. Il racconto non
rispetta la prima condizione del fantastico, cioè l'esitazione
tra reale e illusorio o immaginario e viene quindi a collo-
carsi di primo acchito nel meraviglioso (un naso si stacca dal
suo proprietario e, diventato una persona, conduce una vita
indipendente per poi tornare al proprio posto). Ma varie
altre proprietà del testo suggeriscono una prospettiva di-
versa e, in particolare, quella dell'allegoria. Si tratta in pri-
mo luogo delle espressioni metaforiche che ogni volta in-
troducono la parola naso. Ora serve a formare un cognome
(Signor Nàsov), ora c'è chi dice a Kovaliov, il protagonista
della storia, che non si priverebbe del naso un uomo per-
bene e infine l'espressione « prendere il naso » viene tra-
sformata in « lasciare con il naso », espressione idiomatica
che significa « lasciare sbalordito ». Il lettore ha quindi
motivo di chiedersi se, anche in altre parti del testo, il naso
non abbia un senso diverso dal suo senso letterale. Inoltre, il
mondo descritto da Gogol non è affatto un mondo del
meraviglioso, come ci si potrebbe aspettare. È invece la vita
di San Pietroburgo nei suoi particolari più. quotidiani. Gli
elementi soprannaturali non sarebbero perciò presenti al
fine di evocare un universo diverso dal nostro e di conse-
guenza si è tentati di cercarvi un'interpretazione allegorica.
Ma giunto a questo punto, il lettore, perplesso. non procede
oltre. L'interpretazione psicoanalitica (si dice che la scom-
parsa del naso significhi la castrazione), anche se fosse sod-
disfacente, non avrebbe un senso allegorico: non vi è nulla
nel testo che costituisca in questo senso un invito esplicito.
C'è da aggiungere altresì che la trasformazione del naso in
una persona non sarebbe spiegata. Lo stesso vale per l'alle-
goria sociale (il naso perduto equivale al riflesso perduto in
27 E.A. Poe. op. cir.• p. 60.
74
Hoffmann): è pur vero che vi sono indicazioni più nume-
rose a suo favore. ma essa non giustifica in modo più con-
vincente la trasformazione centrale. D'altra parte, davanti
agli avvenimenti, il lettore prova un'impressione di gratuità
che è in contraddizione con un'esigenza di senso allegorico.
Questa sensazione contraddittoria si accentua con la con-
clusione: a questo punto l'autore si rivolge direttamente al
lettore rendendo così esplicita questa sua funzione inerente
al testo e atta di conseguenza a facilitare l'apparire di un
senso allegorico e pur tuttavia afferma che questo senso non
può essere trovato. « Ma ciò che vi è di più strano, ciò che vi
è di più incomprensibile è il fatto che gli scrittori possano
scegliere simili soggetti.( ... ) In primo luogo non se ne ricava
decisamente alcuna utilità per la nazione; in secondo ... ma
anche in secondo luogo non c'è alcun utile. » 28 L'impossi-
bilità di attribuire un senso allegorico agli elementi so-
prannaturali del racconto ci rimanda al senso letterale. Su
questo piano Il naso diventa l'incarnazione pura dell'as-
surdo. deli"impossibile: anche se si accettassero le meta-
morfosi. non si potrebbe spiegare l'assenza di reazioni dei
personaggi ~ile ne sono testimoni. Quel che Gogol afferma è
appunto il non senso.
Il naso presenta perciò doppiamente il problema dell'al-
legoria: da un lato mostra che si può suscitare l'impressione
della presenza di un senso allegorico il quale, in realtà,
rimane assente; e d'altra parte, raccontando la metamorfosi
di un naso, racconta le avventure stesse dell'allegoria. Per
queste proprietà (ed alcune altre), Il naso annuncia quale
sarà la sorte della letteratura del soprannaturale nel '900
(cfr. cap. x).
Riassumiamo la nostra indagine. Abbiamo distinto di-
versi gradi: dall'allegoria evidente (Perrault, Daudet) al-
l'allegoria illusoria, passando attraverso l'allegoria indiretta
(Balzac, Villiers de l'Isle-Adam) e l'allegoria « esitante »
(Hoffmann, Edgar Poe). In ciascuno di questi casi, il fanta-
stico si trova ad essere rimesso in questione. Dobbiamo
insistere sul fatto che non si può parlare di allegoria a meno
75
di trovarne indicazioni esplicite all'interno del testo. Altri-
menti, si pass:-i alla semplice interpretazione del lettore; e a
questo punto non esisterebbe testo letterario che non fosse
allegorico, giacché è tipico della letteratura essere interpre-
tata dai suoi lettori, senza fine.
76
5 Il discorso fantastico
77
fluenzati tutti gli altri. Occorre quindi scoprire in che modo
la scelta di tale carattere incida sugli altri, mettere in luce le
sue ripercussioni. Se l'opera letteraria forma realmente una
stru~tura, dobbiamo trovare, ad ogni livello, le conseguenze
di quella percezione ambigua del lettore in virtù della quale
si caratterizza il fantastico. Formulando questa esigenza,
dobbiamo al tempo stesso guardarci dagli eccessi in cui sono
incorsi diversi autori che si sono occupati del fantastico.
Taluni hanno infatti presentato tutti i caratteri dell'opera
come obbligatori, fino a includervi, a volte, particolari mi-
nimi. Nel libro di Penzoldt sul fantastico, si trova ad esem-
pio una descrizione minuziosa del romanzo nero (descri-
zione che peraltro non pretende di essere originale). Pen-
zoldt precisa persino l'esistenza delle trappole e delle cata-
combe, menziona la cornice medioevale, la passività del
fantasma ecc. Simili dettagli possono essere storicamente
veri e non si tratta di negare qui l'esistenza di un'organiz-
zazione al livello del « significante » letterario primo, ma è
difficile (almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze)
trovar loro una giustificazione teorica; dobbiamo studiarli a
proposito di ogni singola opera e non nella prospettiva del
genere. In questa sede ci limiteremo unicamente ai caratteri
più generali, dei quali possiamo offrire la ragione struttu-
rale. Inoltre non accorderemo la stessa attenzione a tutti gli
aspetti: passeremo brevemente in rassegna alcuni tratti
dell'opera attinenti al suo aspetto verbale e sintattico, men-
tre l'aspetto semantico ci occuperà sino alla fine della nostra
ricerca. Cominciamo da tre proprietà particolarmente ido-
nee a dimostrare in che modo si realizzi l'unità strutturale.
La prima attiene all'enunciato, la seconda all'enunciazione
(entrambe, quindi, all'aspetto verbale); la terza all'aspetto
sintattico.
1. Il primo carattere rilevato è un certo uso del discorso
figurato. Il soprannaturale deriva spesso dal fatto di pren-
dere alla lettera il senso figurato. In pratica le figure retori-
che sono legate al fantastico in diversi modi e dobbiamo
distinguere le loro relazioni.
Abbiamo già parlato della prima a proposito del mera-
viglioso iperbolico in Le Mille e una notte. Il soprannaturale
78
può talora scaturire dall'immagine figurata, rappresentarne
l'ultimo gradino; si pensi agli immensi serpenti o agli uccelli
nei racconti di Sindbàd: si slitta allora dall'iperbole nel
fantastico. In Vathek, di Beckford, ci troviamo di fronte a un
uso sistematico di questo procedimento: il soprannaturale
vi appare come un prolungamento della figura retorica.
Ecco alcuni esempi tratti dalla descrizione della vita nel
palazzo di Vathek. Il califfo offre un'alta ricompensa a colui
che decifrerà un'iscrizione, ma per escludere gli incapaci,
decide di punire coloro che non ci riusciranno bruciando
loro la barba « fino all'ultimo pelo ». 1 Qual è il risultato? « I
dotti, i semidotti e quelli che non lo .erano affatto ma si
ritenevano pari alle due prime categorie, vennero audace-
mente a mettere a rischio le loro barbe e tutti miseramente
le perdettero. L'esazione di questo tributo, giudicato inca-
rico adatto per gli eunuchi, diede loro unà tale puzza di peli
bruciati da disgustare oltremodo le signore del serraglio e da
rendere necessario il trasferimento in altre mani di questa
nuova occupazione dei custodi. » 2
L'esagerazione porta al soprannaturale. Ecco un altro
passo: il califfo è condannato dal diavolo ad avere sempre
sete: Beckford non si contenta di dire che il califfo assorbe
molto liquido, ma evoca una quantità d'acqua· che ci intro-
duce nel soprannaturale. « La sete che lo tormentava era
.così insaziabile che la sua bocca, come un imbuto, era sem-
pre aperta per ricevere le varie bevande che altri gli porge-
va, specialmente acqua fredda da cui aveva particolare
giovamento.» (... )3 E ancora: « Suoi compagni erano la
madre, le mogli e alcuni eunuchi che si occupavano assi-
duamente di riempire capaci bacini di cristallo di rocca e
gareggiavano nel presentarli al califfo. Ma spesso avveniva
che la sua avidità superava il loro zelo, tanto che egli giun-
geva a buttarsi per terra e ad abbeverarsi dell'acqua sempre
insufficiente. » 4
L'esempio più eloquente è quello dell'Indiano che si tra-
I W. Beckford, Varhek, Torino, Einaudi, 1946, p. 11.
2 W. Beckford. op. cir.. p. 12.
3 W. Beckford, op. cir., p. 14.
4 W. Beckford, op. cit., pp. 15-16.
79
sforma in una palla. Ecco la vicenda: l'Indiano, che è un
sottodiavolo travestito, ha preso parte al pranzo del califfo;
ma si comporta tanto male che Vathek non può più tratte-
nersi: « Con una pedata lo buttò giù dai gradini; quindi
scese dal trono, gli assestò un altro calcio e continuò con tale
assiduità da indurre tutti quelli che erano presenti a seguire
il suo esempio. Ogni piede si sollevò e colpì l'Indiano, e non
appena uno dei presenti gli aveva dato un calcio si sentiva
costretto a ripetere il colpo. Lo straniero dava a tutti un
notevole incitamento perché, piccolo e grasso, si era ridotto
simile a una palla e rotolava da tutte le parti sotto i calci
degli assalitori, i quali si affannavano a corrergli dìetro con
movimenti rapidissimi e crescevano sempre di numero. La
palla infatti, passando da un appartamento all'altro, si tira-
va dietro chiunque si trovasse sulla sua strada.» ( ... )5 Così,
dall'espressione« si era ridotto simile a una palla», si passa
a un'autentica metamorfosi (come rappresentarsi, altri-
menti, quel rotolare da appartamento in appartamento?) e a
poco a poco l'inseguimento assume proporzioni gigante-
sche. « Dopo avere traversato gli atrii, le gallerie, le camere,
le cucine, i giardini e le stalle del palazzo, l'Indiano continuò
la sua corsa attraverso i cortili; mentre il califfo, seguendolo
più da vicino di tutti gli altri, gli assestava quanti più calci
poteva; non senza ricevere di quando in quando quelli che i
suoi competitori nella loro precipitazione destinavano alla
palla. (...) La vista della fatale palla bastava a trascinare
qualunque spettatore. Gli stessi muezzin, benché la vedes-
sero da lontano, si precipitavano giù dai minareti e si me-
scolavano alla folla che cresceva in modo sorprendente. In .
ultimo, non un solo abitante rimase a Samarah, eccetto i
vecchi, i malati costretti a letto e i bambini alla mammella le
cui nutrici potevano correre più spedite senza di loro.( ... ) In
ultimo il maledetto Indiano, che manteneva la sua rotondità
di figura dopo essere passato attraverso tutte le strade e le
piazze pubbliche e averle lasciate vuote, rotolò verso la
piana di Catoul e imboccò la vallata ai piedi della montagna
delle quattro fontane. »6
5 W. Beckford, op. cit., p. 19.
6 W. Beckford, op. cit., pp. 20-21.
80
Questo esempio ci introduce già in una seconda relazione
delle figure retoriche con il fantastico: il quale .realizza
allora il senso proprio di un'espressione.figurata. Ne abbia-
mo visto un esempio con l'inizio di Vera: il racconto pren-
derà alla lettera l'espressione « l'amore è più forte della
morte». Analogo procedimento si ritrova in Potocki. Ecco
un episodio della storia di Landolfo da Ferrara:« La povera
donna era con sua figlia, e stava p~r mettersi a tavola.
Quando vide entrare il figlio, gli chiese se Bianca (costei
amante di Landolfo è stata assassinata poco prima dal fra-
tello della madre di Landolfo stesso) sarebbe venuta a cena.
<Potesse venire,, disse Landolfo <e portarti all'inferno, con
tuo fratello e tutta la famiglia Zampi,. La povera madre
cadde in ginocchio e disse: . <Oh, Dio mio, perdonategli
queste bestemmie!, In quel momento la porta si aprì con
fracasso, e videro entrare un pallido spettro, dilaniato da
colpi di pugnale; che aveva tuttavia una spaventosa rasso-
miglianza con Bianca. »7 Così, la semplice bestemmia di cui
in generale non si coglie il senso primo, in questo testo viene
presa alla lettera.
Ma l'interesse maggiore sarà suscitato da un terzo uso
delle figure retoriche: nei due casi precedenti la figura era la
sorgente, l'origine dell'elemento sopran·naturale, la loro re-
lazione era diacronica; nel terzo caso, la relazione è sincro-
nica: la figura e il soprannaturale sono presenti sullo stesso
piano e la loro relazione è funzionale, non « etimologica ».
Qui l'apparizione dell'elemento fantastico è preceduta da
una serie di paragoni, di espressioni figurate o semplice-
mente idiomatiche, assai correnti nel linguaggio comune,
ma che designano, se prese alla lettera, un avvenimento
soprannaturale: quello, appunto, che accadrà alla fine della
storia. Ne abbiamo visti degli esempi in Il naso, esempi
peraltro innumerevoli. Prendiamo La Venere d'Ille di Mé-
rimée. L'avvenimento soprannaturale si verifica quando
una statua si anima e nell'amplesso uccide un novello sposo
che ha avuto l'imprudenza di lasciarle al dito la sua fede
nuziale. Ecco in che modo il lettore è « condizionato » dalle
7 J. Potocki, Manoscritto trovato a Saragozza, Milano, Adelphi, 1965,
p. 54.
81
espressioni figurate che precedono l'avvenimento. Uno dei
contadini descrive la statua: « Vi fissa con quei grandi occhi
bianchi ... Si direbbe che vi scruta. »8 Dire degli occhi di un
ritratto che sembrano vivi è una banalità, ma qui la banalità
ci prepara ad una «animazione» reale~ Un po' dopo il
novello sposo spiega perché non vuol mandare nessuno a
riprendere la fede lasciata al dito della statua: « D'altronde
che penserebbero qui della mia distrazione? Si burlerebbe-
ro anche troppo di me. Mi chiamerebbero il marito della
statua ... »9 Ancora una volta, semplice espressione figurata;
ma alla fine della storia la statua si comporterà effettiva-
mente come se fosse la sposa di Alfonso. E dopo l'incidente,
ecco in che modo il narratore descrive il corpo morto di
Alfonso: « Sollevai la camicia e vidi sul petto una traccia
livida che si prolungava sulle costole e fin sulla schiena. Si
sarebbe detto ch'egli fosse stato avvinghiato da un cerchio
di ferro. »10 « Si sarebbe d_etto »: ora, è proprio quello che ci
suggerisce l'interpretazione soprannaturale. Non diversa-
mente, nel racconto della giqvane sposa dopo la notte fata-
le: « Qualcuno entrò. (... ) Un attimo dopo, il letto gemette
come se un peso enorme gli si fosse gettato sopra ». 11 Ogni
volta, come si vede, l'espressione figurata è introdotta da
una formula modalizzante: « si direbbe », « mi chiamereb-
bero », « si sarebbe detto », « come se ». ·
Non si tratta di un procedimento esclusivo di Mérimée: lo
ritroviamo in quasi tutti gli autori del fantastico. Ad esem-
pio, in Ines de las Sierras, Nodier descrive l'apparizione di
u'n essere strano che deve sembrarci uno spettro: « Non
c'era niente in quella fisionomia che appartenesse alla ter-
ra ». 12 Se si tratta veramente di uno spettro, deve essere
quello che nella leggenda punisce i suoi nemici posando sul
loro cuore una mano bruciante. Che fa appunto Ines? « -
Ecco una cosa ben fatta, - disse Ines gettando un braccio
attorno al collo di Sergy e appoggiando di quando in
8 P. Mérimée. La Venere d'llle, Milano, Rizzoli, 1950. p. 161.
9 P. Mérimée. op. cii .. p. 179.
10 P. Mérimée, op. cii.. pp. 184-185.
11 P. Mérimée. op. cii., p. 186.
12 P. Mérimée. op. cii.• pp. 292-293.
82
quando sul suo cuore una mano ardente come quella di cui
ci aveva parlato la leggenda di Estevan. » 13 Il paragone si
accompagna a una« coincidenza ». La stessa Ines, spettro in
potenza, non si limita a questo: « Oh! meraviglia! - ag-
giunse improvvisamente. - Qualche demonio amico ha
infilato delle nacchere nella mia cintura ... » 14
Stesso procedimento in Vera, di Villiers de l'Isle-Adam:
« Lo spirito compenetrava così bene il loro corpo, da ren-
dere intellettuali le loro forme_. (... ) Le perle erano ancora
tiepide, e la loro luce quasi raddolcita dal calore della sua
carne.(... ) Quella sera l'opale brillava come se ella l'avesse
lasciato allora( ... ): 15 i due suggerimenti della resurrezione
sono introdotti da dei ,come,. »
Stesso procedimento in Maupassant: in La capigliatura, il
narratore scopre una treccia di capelli nel cassetto segreto di
una scrivania; presto avrà l'impressione che quella capi-
gliatura non sia tagliata, ma che la donna alla quale appar-
tiene sia anch'essa presente. Ecco come si prepara l'appari-
zione: « Guardi un oggetto e a poco a poco ti seduce, ti
turba, ti incanta come il viso d'una donna.( ...)» E ancora:
« Lo accarezziamo con l'occhio e con la mano come fosse di
carne; (... ) andiamo a contemplarlo con la tenerezza d'un
amante. » 16 Eccoci così preparati all'amore «anormale»
del narratore per quell'oggetto inanimato, la capigliatura. E
si noti ancora l'uso del « come se ». ·
In Chissà?: « La grande macchia d'alberi pareva una
tomba dove fosse sepolta la mia casa. »17 Di primo acchito
siamo introdotti nell'atmosfera sepolcrale della novella. E
in seguito: « Avanzai come un cavaliere delle epoche tene-
brose penetrava in un covo di sortilegi. » 18 a questo punto
entriamo davvero in un regno di sortilegi. Il numero e la
varietà degli esempi dimostrano chiaramente che non si
13 P. Mérimée. op. cit.. pp. 297-298.
14 P. Mérimée. op. cit.• p. 300.
15 P.A.M. Villiers de l'Isle-Adam. Racconti crudeli. Bologna. Apollo,
1927.pp.20.25. ·
16 G. de Maupassant. Racconti e novelle. Torino. Einaudi. 1968, v. 11. p.
1189.
17 G. de Maupassant. op. cit .• v. 111. p. 2196.
18 G. de Maupassant, op. cit., v. 111, p. 2201.
83
tratta di un elemento di stile individuale, ma di una pro-
prietà legata alla struttura del genere fantastico.
Le diverse relazioni osservate tra fantastico e discorso
figurato si chiariscono l'una con l'altra. Se il fantastico si
serve continuamente delle figure retoriche, è in quanto vi ha
trovato la propria origine. Il soprannaturale nasce dal lin-
guaggio: ne è insieme la conseguenza e la prova. Non sol-
tanto il diavolo e i vampiri non esistono se non nelle parole,
ma per di più il linguaggio solo consente di concepire ciò
che è sempre assente: il soprannaturale. Questo diventa
perciò un simbolo del linguaggio allo stesso titolo delle
figure retoriche, e la figura è, come si è visto, la forma più
pura della letteralità.
84
possiede un'esigenz!l, di validità o di coerenza interna: se
alla pagina seguente dello stesso libro immaginario, ci viene
detto che non vi è nessun letto nella camera di Jean, il testo
non risponde all'esigenza di coerenza. Cons~guentemente
fa della coerenza un problema, la introduce nella sua te-
matica. Ciò non è possibile per la verità. Bisogna anche
guardarsi dal confondere il problema della verità con quello
della rappresentazione: la poesia sola rifiuta la rappresen-
tazione, ma tutta la letteratura sfugge alla categoria del vero
e del falso.
Converrà a questo punto introdurre un'ulteriore distin-
zione all'interno stesso dell'opera: in realtà sfugge alla pro-
va della verità solo ciò che nel testo viene affermato a nome
dell'autore, mentre la parola dei personaggi può essere vera
o falsa come nel parlare quotidiano. II romanzo giallo, ad
esempio, gioca costantemente sulle false testimonianze dei
personaggi. II problema si fa più complesso nel caso di un
narratore-personaggio, di un narratore che dica «Io». In
quanto narratore, il suo discorso non ha da essere sottoposto
alla prova delle verità, ma in quanto personaggio egli può
mentire. Come è noto, questo doppio gioco è stato sfrutta-
to _in uno dei romanzi di Agatha Christie, Dalle nove alle
dieci, 19 in cui il lettore non sospetta mai il narratore di-
menticando che è anche un personaggio.
II narratore rappresentato si addice quindi perfettamente
al fantastico. Egli è preferibile al semplice personaggio il
quale può facilmente mentire, come vedremo in alcuni
esempi. Ma è anche preferibile al narratore non rappre-
sentato per ben due ragioni. Prima di tutto, se l'avveni-
mento soprannaturale ci fosse riferito da un narratore di
questo tipo, ci ritroveremmo subito nel meraviglioso: in
effetti non vi sarebbe ragione di dubitare delle sue parole.
Ma il fantastico, come sappiamo, esige il dubbio. Non a
caso i racconti meravigliosi usano di rado la prima persona
(non la usano, ad esempio, né Le Mille e una notte, né le
fiabe di Perrault, né i racconti di Hoffmann, né Vathek).
Non ne hanno bisogno: il loro universo soprannaturale non
19 A. Christie, The murder of Roger Ackroyd. 1926 (trad. it. Dalle nove
alle dieci, Mondadori, 1930).
85
deve far nascere dubbi. Il fantastico ci pone di fronte a un
dilemma: credere o no? Il meraviglioso realizza questa
unione impossibile, proponendo al let,tore di credere senza
credere veramente. In secondo luogo, ciò si riallaccia alla
definizione stessa del fantastico; la prima persona « nar-
rante » è quella che permette più facilmente l'identificazio-
ne del lettore con il personaggio, giacché, come è noto, il
pronome « io » appartiene a tutti. Inoltre, per facilitare l'i-
dentificazione, il narratore sarà un « uomo medio » nel
quale ogni lettore (o quasi) potrà riconoscersi. Così si pe-
netra nell'universo fantastico nel modo più diretto possibile.
L'identificazione che evochiamo non deve esser presa per
un gioco psicologico individuale: si tratta di un meccanismo
interno al testo, un'inscrizione strutturale. Evidentemente
niente vieta al lettore reale di mantenere le proprie distanze
nei confronti dell'universo del libro.
Alcuni esempi dimostreranno l'efficacia di questo proce-
dimento. Tutta la« suspense» di una novella come Ines de
las Sierras si basa sul fatto che gli avvenimenti inesplicabili
sono narrati da qualcuno che è uno dei protagonisti della
storia e insieme il narratore: si tratta di un uomo come gli
altri e la sua parola è doppiamente degna di fiducia; in altre
parole, gli avvenimenti sono soprannaturali e il narratore è
naturale: condizioni eccellenti perché il fantastico faccia la
sua apparizione. Lo stesso accade in La Venere d'Ille (che
. propende per il fantastico meraviglioso mentre in Nodier si
era piuttosto nel fantastico strano): se il fantastico appare, è
appunto in quanto gli indizi del soprannaturale (il marchio
dell'amplesso, il rumore dei passi per le scale, e soprattutto
la scoperta dell'anello nella camera da letto) sono osservati
dal narratore stesso, un archeologo degno di fiducia, tutto
compenetrato dalla certezza della scienza. La parte del
narratore in queste due novelle ricorda un po' quella di
Watson nei romanzi di Conan Doyle, o quella dei suoi
innumerevoli epigoni: testimoni più che attori nei quali, ad
ogni lettore, è possibile riconoscersi.
In Ines de las Sierras, come in La Venere d'/1/e, il narra-
tore facilita dunque l'identificazione; altri esempi illustrano
la prima funzione che abbiamo individuata: autenticare
86
quel che è narrato, senza per questo essere obbligati ad
accettare definitivamente il soprannaturale. Si pensi alla
scena di Il diavolo innamorato in cui Soberano dà prova dei
suoi poteri magici: « Mentre diceva queste parole la sua
pipa si era spenta. Batté tre colpi per fame uscire il po' di
cenere che era rimasta nel fondo, posò la pipa sul tavolo
accanto a me e alzando il tono della voce: - Calderon -
esc~amò - venite a prendere la mia pipa, accendetela e
riportatemela. Ebbe appena finito di dare quest'ordine che
vidi sparire la pipa, e, prima ancora che potessi tentare di
capire· come ciò fosse avvenuto, o domandargli chi fosse
questo Calderon, la pipa accesa fu di ritorno- ed il mio
interlocutore riprese tranquillamente a fumare. » 20
Lo stesso vale per Un pazzo? di Maupassant. « C'era sul
mio tavolo una specie di coltello-pugnale di cui mi servivo
per tagliare le pagine dei libri. Jacques allungò la mano
verso l'oggetto. La faceva. strisciare, avvicinandola lenta-
mente; poi all'improvviso, vidi, sì, vidi il coltello stesso
trasalire, muoversi, scivolare dolcemente, da solo, sul legno,
verso la mano ferma che l'aspettava, fino a posarsi.sulle sue
dita. Mi misi a gridare per il terrore. » 21
In ciascuno di questi esempi, non abbiamo dubbi sulla
testimonianza del narratore; cerchiamo piuttosto, con lui,
una spiegazione razionale di questi fatti singolari.
II personaggio può mentire, il narratore non dovrebbe:
tale è la conclusione che si potrebbe trarre dal romanzo di
Potocki. Abbiamo due versioni dello stesso avvenimento, e
cioè della notte trascorsa da Alfonso ,con le sue due cugine:
quella di Alfonso, la quale non contiene elementi sopran-
naturali, e quella di Pacheco che vede le due cugine tra-
sformarsi in cadaveri. Ma mentre la versione di Alfonso non
può (quasi) essere falsa, quella di Pacheco potrebbe essere
soltanto una sequela di menzogne, come sospetta Alfonso (a
buon diritto, come sapremo in seguito). Oppure Pacheco
avrebbe potuto avere delle visioni, essere pazzo ecc., ma
non Alfonso, almeno per quella sua parte che lo confonde
con l'istanza sempre « normale » del narratore.
20 J. Cazottc.11 diavolo innamorato. Firenze, Sansoni, 1954. p. 7.
21 G. de Maupassant. op. cir .• v.n. p. 1317.
87
Le novelle di Maupassant illustrano i diversi gradi di
credibilità che i racconti potranno avere ai nostri occhi. Ne
possiamo distinguere due, a seconda che il narratore sia
estraneo alla storia o ne sia uno degli attori principali.
Estraneo, egli può o meno garantire personalmente l'au-
tenticità delle affermazioni del personaggio, e il primo caso
rende il racconto più convincente, come nel brano citato di
Un pazzo?. Altrimenti il lettore sarà tentato di spiegare il
fantastico con la follia, come in La capigliatura e nella
prima versione di Le Hor/a, tanto più che la cornice del
racconto è ogni volta una casa di salute.
. Ma nelle sue migliori novelle fantastiche, - Lui?, La
notte, Le Horla, Chissà? - Maupassant fa del narratore il
protagonista stesso della storia (è il modo di procedere di
Edgar Poe, e di molti altri dopo di lui). In tal caso l'accento è
posto sul fatto che si tratta del discorso di un personaggio
più che di un discorso dell'autore: la parola è poco attendi-
bile e noi possiamo ben supporre che tutti quei personaggi
siano dei pazzi; tuttavia, dal momento che non sono intro-
dotti da un discorso distinto del narratore, continuiamo ad
avere in loro una paradossale fiducia. Non ci viene detto che
il narratore mente, e la possibilità che menta, in un certo
senso, strutturalmente, ci urta; ma questa possibilità esiste
(giacché egli è anche personaggio), e l'esitazione può na-
scere nel lettore.
Riassumendo: il narratore rappresentato si addice al
fantastico, poiché facilita la necessaria identificazione del
lettore con i personaggi. Il discorso di questo narratore ha
uno statuto ambiguo, e gli autori l'hanno diversamente
sfruttato, ponendo l'accento sull'uno o sull'altro dei suoi
aspetti: se appartiene al narratore, il discorso è al di qua
della prova della verità; se appartiene al personaggio, deve
assoggettarsi alla prova.
88
critici; ne troviamo uno studio abbastanza completo nel
libro di Penzoldt, che vi consacra un capitolo intero. Ecco,
in sintesi, la teoria di Penzoldt: « La struttura della storia
ideale di fantasmi, scrive, può essere rappresentata come
una linea ascendente che conduce al punto culminante.( ...)
Il punto culminante di una storia di fantasmi è evidente-
mente l'apparizione dello spettro. Nel mirare al punto cul-
minante, la maggior parte degli autori cerca di pervenire a
una certa gradualità, dapprima in maniera vaga, poi sempre
più direttamente. » 22 Questa teoria dell'intreccio nel rac-
conto fantastico è in realtà derivata da quella che Poe aveva
proposto per la novella in generale. Per Edgar Poe la no-
vella viene caratterizzata dall'esistenza di un effetto unico,
che si trova alla fine della storia, e dall'obbligo, per tutti gli
elementi della novella, di contribuire a tale effetto. « In
tutta l'opera, non dovrebbe esservi una sola parola che non
tenda direttamente o indirettamente a realizzare quello
scopo prestabilito. » 23
Non mancano esempi che suffragano detta regola. Pren-
diamo La Venere d'Jlle di Mérimée. L'effetto finale (o il
punto culminante, secondo i termini di Penzoldt) risiede
nell'animazione della statua. Fin dall'inizio diversi partico-
lari ci preparano all'avvenimento, e dal punto di vista del
fantastico questi particolari costituiscono una gradazione
perfetta. Come si è visto, fin dalle prime pagine un conta-
dino riferisce al narratore la scoperta della statua e la ca-
ratterizza come un essere vivente (è « cattiva », « ti scruta » ).
In seguito ci descrive la verità del suo aspetto per arrivare
alla conclusione di « una certa illusione che ricordava la
realtà, la vita ». Al tempo stesso si vanno sviluppando gli
altri temi del racconto: il matrimonio profanatore di Al-
fonso, le forme voluttuose della statua. Segue poi la storia
dell'anello lasciato per caso all'anulare della Venere; Al-
fonso non riesce più a sfilarlo. « La Venere - afferma - ha
stretto il dito », e conclude: « è mia moglie, apparentemen-
22 -P. Penzoldt, The Supernatural in Fiction, Londra, Peter Nevill, 1952,
. pp. 16, 23.
23 B. Eikhenbaum, « Sur la théorie de la prose », in: Théorie de la
littérature, Paris, Seui!, 1965, p. 207.
89
te. » Da questo momento siamo posti a confronto con il
soprannaturale, benché questo resti fuori dal campo della
nostra visione: i passi che fanno scricchiolare le scale, « il
letto il cui legno era spezzato », i segni sul corpo di Alfonso,
l'anello ritrovato in camera sua,« alcuni passi che avevano
lasciato una profonda impronta nella terra», il racconto
della sposa, e infine la prova che le spiegazioni razionali non
sono soddisfacenti. L'apparizione finale è stata quindi ac-
curatamente preparata e l'animazione della statua segue
una linea gradualmente regolare: dapprima ha avuto sem-
plicemente l'aria di un essere vivente, poi un personaggio
afferma che ha stretto il dito, alla fine sembra che abbia
ucciso quello stesso personaggio. Ines de las Sierras di No-
dier, si sviluppa secondo una gradazione analoga.
Altre novelle fantastiche non comportano una gradazio-
ne di questo tipo. Esaminiamo La morte innamorata di
Gautier. Fino alla prima apparizione in sogno di Clari-
monde, vi è una certa gradazione, ancorché imperfetta; ma
gli avvenimenti che sopravvengono in seguito sono, né più
né meno soprannaturali - fino all'epilogo, che è la de-
composizione del cadavere di Clarimonde. Lo stesso accade
per le novelle di Maupassant: il punto culminante del fan-
tastico in Le Boria non è affatto la fine, bensì la prima
apparizione. Chissà? presenta un'organizzazione ancora
diversa: praticamente non vi è nessuna preparazione al
fantastico prima della sua brusca intrusione (quella che lo
precede è piuttosto un'analisi psicologica indiretta del nar-
ratore); dopo di che ecco l'avvenimento: i mobili lasciano
da soli la casa. Poi, per un certo periodo, l'elemento so-
prannaturale scompare; ricompare, ma attenuato, durante
la scoperta dei mobili nel negozio di antichità; e riprende
tutti i suoi diritti un po' prima della fine, quando i mobili
tornano in casa. Tuttavia, di per sé, la fine non contiene
nessun elemento soprannaturale. Nondimeno è avvertita
dal lettore come un punto culminante. D'altro canto Pen-
zoldt rileva una costruzione simile in una delle sue ·analisi, e
conclude: « Si può rappresentare la struttura di questi rac-
conti non come la solita linea ascendente che conduce a un
punto culminante unico, ma come una linea retta orizzon-
90
tale che dopo essere brevemente salita durante l'introdu-
zione, rimane fissa a un livello appena al di sotto di quello
del punto culminante abituale. » 24 Ma un'osservazione del
genere invalida evidentemente la generalità della legge
precedente. Cogliamo l'occasione per notare la tendenza,
comune a tutti i critici formalisti, di rappresentare la strut-
tura dell'opera secondo una figura spaziale.
Analisi simili ci portano alla conclusione che esiste di
sicuro un elemento caratteristico obbligatorio del racconto
fantastico, ma che esso è più generale di quanto non lo
presentasse inizialmente Penzoldt, e non si tratta di una
gradazione. D'altra parte, occorre spiegare perché quest'e-
lemento è necessario al genere fantastico.
Torniamo ancora una volta alla nostra definizione. Il
fantastico, a differenza di molti altri generi, comporta nu-
merose indicazioni sul ruolo che spetterà al lettore (il che
non significa che ogni testo rion lo faccia). Abbiamo visto
che tale proprietà è legata, in maniera più generale, al
processo di enunciazione, quale è presentato all'interno
stesso del testo. Un altro impor-tante elemento, costitutivo di
questo processo, è la sua temporalità: ogni opera contiene
un'indicazione circa il tempo della sua percezione; il rac-
conto fantastico, il quale sottolinea fortemente il processo di
enunciazione, pone insieme l'accento su questo tempo della
lettura. Ora, la caratteristica prima di tale tempo è di essere,
per convenzione, irreversibile. Ogni testo comporta un'in-
dicazione implicita: esso deve esser letto dall'inizio alla fine,
dall'alto verso il basso. Ciò non vuol dire che non esistano
tes.ti che ci obbligano a modificare quest'ordine, ma la mo-
dificazione acquista pienamente il suo senso, proprio in
relazione alla convenzione che implica la lettura da sinistra
a destra. Il fantastico è un genere che accentua più degli altri
tale convenzione.
Si deve leggere un romanzo normale (non fantastico), ad
esempio un romanzo di Balzac, dal principio alla fine; ma se
per capriccio si legge il quinto capitolo prima del quarto, il
danno non è grave come nel caso di un racconto fantastico.
Se si conosce fin dall'inizio la fine di questo tipo di racconto,
24 P. Penzoldt. op. cit. p. 129.
91
tutto il gioco ne risulta falsato, giacché il lettore non può più
seguire a passo a passo il processo di identificazione che è la
prima condizione del nostro genere. D'altra parte non si
tratta necessariamente di una gradazione, nonostante la
frequenza di questa figura che implica l'idea del tempo: in
La morte innamorata, come in Chissà? vi è irreversibilità del
tempo senza grad~zione.
Donde le impressioni assai diverse che suscitano la prima
e la seconda lettura di un racconto fantastico (molto più che
di un altro tipo di racconto); in pratica, alla seconda lettura
l'identificazione non è più possibile, la lettura diventa ine-
vitabilmente metalettura: si notano i procedimenti del fan-
tastico anziché subirne il fascino. Nodier, che lo sapeva,
faceva dire al narratore di Ines de las Sierras alla fine della
storia: « Non sono capace di dotarla di attrattive sufficienti
per farla ascoltare due volte. »
Notiamo infine che il discorso fantastico non è il solo a
porre così l'accento sul tempo di percezione: il romanzo
giallo a enigma gli conferisce un rilievo ancor maggiore.
Poiché vi è una verità da scoprire, saremo posti di fronte a
una catena rigorosa di cui non si può spostare il minimo
anello; proprio per questa ragione, e non per un'eventuale
esilità di scrittura, non si rileggono i romanzi gialli. Sembra
che il motto di spirito debba subire limitazioni dello stesso
genere; la descrizione che ne fa Freud si adatta perfetta-
mente a tutti i generi di temporalità accentuata: « In se-
condo luogo, ci è chiara quella particolarità del motto di
spirito che consiste nel produrre il suo pieno effetto sull'u-
ditore soltanto quando possiede il fascino della novità,
quando lo sorprende. Questa proprietà, responsabile della
vita effimera dei motti di spirito e della necessità di crearne
continuamente di nuovi, dipende apparentemente dal fatto
che l'impossibilità di aver successo una seconda volta risie-
de nella natura stessa della sorpresa o del tranello. Quando
si ripete un motto di spirito, l'attenzione è orientata dal
ricordo della prima volta in cui fu pronunciato. » 25 La sor-
25 S. Freud, Der Witz und seine Beziehung zum Unbewussten, 1905
(trad. it. Il mollo di spirito e la sua relazione con l'inconscio, in « Opere di S.
Freud» v. v, Torino, Boringhieri, 1972). _
92
presa non è che un caso particolare della temporalità irre-
versibile: così l'analisi astratta delle forme verbali ci fa
scoprire delle parentele, laddove la prima impressione non
le lasciava nemmeno supporre.
93
6 I temi del fantastico: introduzione
94
ma senza « avvenimenti strani », il fantastico non può
nemmeno apparire. Certamente il fantastico non consiste in
questi avvenimenti, ma essi ne sono una condizione neces-
saria che perciò richiama particolarmente la nostra atten-
zione.
Il problema può essere messo a fuoco altrimenti, parten-
do dalle funzioni del fantastico nell'opera. l:. opportuno
chiedersi: qual è l'apporto degli elementi fantastici all'opera
che li contiene? Adottando questo punto di vista funzionale.
si possono ottenere tre risposte. In primo luogo, il fantastico
suscita un effetto particolare sul lettore - paura, o orrore, o
semplicemente curiosità - che non possono suscitare altri
generi o forme letterarie. In secondo luogo il fantastico è
utile alla narrazione, mantiene la suspense: la presenza di
elementi fantastici consente un'organizzazione particolar-
mente serrata dell'intreccio. Infine il fantastico ha una fun-
zione a prima vista tautologica: permette di descrivere un
universo fantastico, e non pertanto questo universo ha una
realtà al di fuori del linguaggio; la descrizione e il descritto
non sono di natura diversa.
L'esistenza di tre funzioni, e di tre soltanto (a questo
livello di generalità) non è un caso. La teoria generale dei
segni - nel cui ambito, come sappiamo, rientra la lettera-
tura - ci dice che vi sono tre funzioni possibili per un segno.
La funzione pragmatica risponde alla relazione intrattenuta
dai segni con i loro fruitori, la funzione sintattica concerne
la relazione dei segni tra di loro. la funzione semantica
riguarda la relazione dei segni con ciò che designano, con la
loro referenza.
Noi non ci occuperemo in questa sede della prima fun-
zione del fantastico: essa rientra nel campo di una psicolo-
gia della lettura alquanto estranea all'analisi propriamente
letteraria in cui ci stiamo cimentando. Per la seconda, ab-
biamo già segnalato certe affinità tra fantastico e composi-
zione, e ci torneremo sopra alla fine del nostro studio. Ci
soffermeremo invece sulla terza funzione, e da questo mo-
mento ci dedicheremo allo studio di un universo semantico
particolare.
Possiamo subito fornire una risposta semplice, ma senza
95
rapporto con la sostanza della questione. :È. ragionevole
supporre che ciò di cui parla il fantastico non sia qualitati-
vamente diverso da ciò di cui parla la letteratura in gene-
rale, ma che vi sia una differenza di intensità nei due casi. Il
massimo grado di intensità lo si trova nel fantastico. In altre
parole (e in tal modo ritorniamo su un'espressione già uti-
lizzata a proposito di Edgar Poe), il fantastico rappresenta
un'esperienza dei limiti. Non lasciamoci illudere: questa
espressione non spiega ancora niente. Parlare dei « limiti »
- che possono essere di mille generi - di un« continuo»
di cui ignoriamo tutto, significa rimanere comunque nel
vago. Ciò nonostante, questa ipotesi ci fornisce due indica-
zioni utili: prima di tutto, ogni studio dei temi del fantastico
si trova in relazione di contiguità con lo studio dei temi
letterari in generale; in secondo luogo, il superlativo, l'ec-
cesso, saranno la norma del fantastico. Cercheremo di te-
nerne costantemente conto.
Una tipologia dei temi del fantastico sarà quindi omologa
della tipologia dei temi letterari in generale. Invece di. ral-
legrarcene, possiamo soltanto deplorarlo, giacché con que-
sto abbordiamo il problema più complesso, meno chiaro di
tutta la teoria letteraria, che si può formulare nei termini
seguenti: come parlare di ciò di cui parla la letteratura?
Schematizzando il problema si potrebbe dire che vi sono
da temere due pericoli simmetrici. Il primo sarebbe quello
di ridurre la letteratura a un puro contenuto (in altre parole,
di non tener conto che del suo aspetto semantico); è un
atteggiamento che porterebbe a ignorare la specificità let-
teraria, che metterebbe la letteratura sullo stesso piano, ad
esempio, del discorso filosofico: si studierebbero i temi, ma
questi non avrebbero più niente di letterario. Il secondo
pericolo, inverso, equivarrebbe a ridurre la letteratura a una
pura« forma» e a negare la pertinenza dei temi per l'analisi
letteraria. Con il pretesto che in letteratura il solo che conti è
il « significante »., ci si rifiuta di percepire l'aspetto seman-
tico (come se l'opera non-fosse significante a tutti i suoi
molteplici livelli). ·
:È. facile intuire per quale aspetto ciascuna di queste op-
zioni è inaccettabile: ciò che si dice in letteratura è altret-
96
tanto importante del modo in cui lo si dice; il« che cosa » ha
lo stesso valore del « come » e reciprocamente (supponen-
do, ma noi non lo credian:io, che fra i due si possa stabilire
una distinzione). Tuttavia non si deve credere che l'atteg-
giamento giusto consista in una mescolanza equilibrata
delle due tendenze, in un ragionevole dosaggio tra lo studio
delle forme e quello dei contenuti. La stessa distinzione tra
forma e contenuto deve essere superata (questa frase è cer-
tamente banale sul piano della teoria, ma conserva tutta la
sua attualità se si esaminano gli studi critici particolari di
oggi). Una delle ragioni di essere del concetto è proprio
quella di superare l'antica dicotomia della forma e del con-
tenuto, per considerare l'opera come ·totalità e unità dina-
miche.
Nella concezione dell'opera letteraria, quale è stata da
noi proposta fino a questo momento, i concetti di forma e di
contenuto non sono mai stati menzionati. Abbiamo parlato
di diversi aspetti dell'opera, ciascuno con la propria strut-
tura e ciascuno di per sé significativo; nessuno di essi è pura
forma o puro contenuto. Si potrebbe obiettare che l'aspetto
verbale e sintattico sono più «formali» dell'aspetto se-
mantico, che è possibile descriverli senza nominare il senso
di un'opera particolare, mentre invece, parlando dell'a-
spetto· semantico, non è possibile evitare di preoccuparsi del
senso dell'opera e perciò di far apparire un contenuto.
Occorre dissipare fin da adesso questo malinteso, in
quanto potremo precisare meglio il compito che ci attende.
Occorre non confondere lo studio dei temi come noi lo
intendiamo in questa sede, con l'interpretazione critica di
un'opera. Noi consideriamo l'opera letteraria come una
struttura suscettibile di un numero infinito di interpreta-
zioni. Esse dipendono dal t~mpo e dal luogo della loro
enunciazione, dalla personalità del critico, dalla configura-
zione contemporanea delle teorie estetiche, e via di seguito.
Il nostro compito, invece, consiste nella descrizione di
quella struttura vuota che viene riempita dalle interpreta-
zioni dei critici e dei lettori. Ci terremo lontani dall'inter-
pretazione delle opere particolari come lo eravamo allorché
ci interessavamo dell'aspetto verbale o sintattico. Come in
97
precedenza, anche qui si tratta per noi di descrivere una
configurazione, più che di nominare un senso.
È chiaro che se accettiamo la contiguità dei temi fantastici
e dei temi letterari in generale, il nostro compito diventa
estremamente difficile. Prima, disponevamo di una teoria
globale che riguardava gli aspetti verbali e sintattici dell'o-
pera, e potevamo inscrivervi le nostre osservazioni sul fan-
tastico. Qui, invece, non disponiamo di niente, e proprio per
questo dobbiamo svolgere contemporaneamente due com-
piti: studiare i temi del fantastico, e proporre una teoria
generale dello studio dei temi.
Affermando che non esiste nessuna teoria generale dei
temi, diamo l'impressione di dimenticare una tendenza cri-
tica che pure gode del più alto prestigio: la critica tematica.
A questo punto è indispensabile spiegare le ragioni per cui il
metodo elaborato da questa scuola ci lascia insoddisfatti. A
titolo di esempio, prenderò alcuni testi di Jean-Pierre Ri-
chard che ne è certamente l'esponente di maggiore spicco. I
testi sono scelti in maniera tendenziosa e di conseguenza
non pretendo affatto di render giustizia a un'opera critica la
cui importanza è capitale. Mi limiterò perciò ad alcune
prefazioni non recenti: in alcuni degli ultimi studi di Ri-
chard è possibile infatti notare una certa evoluzione. D'altra
parte, anche· in testi meno recenti, i problemi di metodo si
rivelano molto più complessi non appena ci accingiamo a
studiare le analisi concrete (sulle quali non ci potremo sof-
fermare).
Innanzi tutto c'è da osservare che l'uso del termine « te-
matico » è di per sé contestabile. Sotto questa denomina-
zione, ci si aspetterebbe infatti di trovare uno studio di tutti
i temi, di qualsiasi natura. Ora, i critici operano in pratica
una scelta tra i temi possibili, ed è tale scelta a definire
meglio il loro atteggiamento che si potrebbe definire di
« sensualista». In effetti, per la suddetta critica, solo i temi
che si riferiscono alle sensazioni sono veramente degni di
attenzione. Ecco in che modo Georges Poulet descrive sif-
fatta esigenza nella prefazione al primo libro di critica te-
matica di Richard, Littérature et Sensation (il titolo è già
significativo): « Da qualche parte, in fondo alla coscienza,
98
dall'altro lato di quella regione dove tutto è diventato pen-
siero, nel punto opposto a quello attraverso cui si è pene-
trati, vi è dunque stata, e ancora vi è, una certa luce, vi sono
degli oggetti e anche degli occhi per percepirli. La critica
non può contentarsi di pensare un pensiero. Occorre altresì
che attraverso il pensiero, essa risalga di immagine in im-
magine fino a delle sensazioni. »1 (Il corsivo è mio). In que-
sto passo vi è un'opposizione nettissima tra, diciamo così, il
concreto, e l'astratto. Da un lato si trovano gli oggetti, la
luce, gli occhi, l'immagine, la sensazione; dall'altro, i pen-
sieri, i concetti astratti. Il primo termine dell'opposizione
sembra doppiamente valorizzato: innanzi tutto è il primo
nel tempo (cfr. il «diventato»); in secondo luogo è il più
ricco, il più importante, e costituisce, di conseguenza, l'og-
getto privilegiato della critica.
Nella prefazione al suo libro successivo, Poésie et Pro-
fondeur, Richard riprende esattamente la stessa idea. Egli
descrive il proprio tragitto come un tentativo di « ritrovare e
di descrivere l'intenzione fondamentale, il progetto che do-
mina la loro avventura. Tale progetto, ho cercato di co-
glierlo al suo livello più elementare, quello in cui si afferma
con maggiore umiltà, ma anche con maggiore franchezza:
livello della sensazione pura, del sentimento bruto o del-
l'immagine nel suo farsi. (... ) Ho ritenuto l'idea meno im-
portante dell'ossessione, ho creduto la teoria inferiore ri-
spetto al sogno ». 2 Gérard Genette ha qualificato que-
sto punto di partenza in maniera assai puntuale, allorché
ha parlato del« postulato sensista, secondo cui il fondamen-
tale (e quindi l'autentico), coincide con l'esperienza sensibi-
le ». 3
Abbiamo già avuto occasione (a proposito di Northrop
Frye) di esprimere il nostro disaccordo circa questo postu-
lato. E seguiremo ancora Genette quando scrive: « Il po-
99
stulato o il credo strutturalista è all'incirca proprio l'inverso
di quello dell'analisi bachefardiana: esso dice che certe
funzioni elementari del pensiero più arcaico partecipano
già di un'alto grado d'astrazione, che gli schemi e le opera-
zioni dell'intelletto sono forse più « profondi », più originari
delle fantasticherie dell'immaginazione sensibile e che esi-
ste una logica, se non addirittura una matematica dell'in-
conscio.4 Si tratta, come è chiaro, di un'opposizione tra due
correnti di pensiero che in realtà vanno al di là dello strut-
turalismo e dell'analisi bachelardiana: da un lato troviamo
sia Lévi-Stra'uss che Freud o Marx, dall'altro sia Bachelard
che la critica tematica, Jung e insieme Frye.
Si potrebbe dire, come già dicemmo a proposito di Frye,
che i postulati non si discutono, che risultano da una scelta
arbitraria. Nondimeno sarà utile considerarne di nuovo le
conseguenze. Tralasciamo le implicazioni riguardanti la·
« mentalità primitiva » e teniamo conto soltanto di quelle
attinenti all'analisi letteraria. Il rifiuto di accordare un'im-
portanza all'astrazione nel mondo che descrive, induce Ri-
chard a sottovalutare il bisogno di astrazione nel lavoro
critico. Le categorie di cui si serve per descrivere le sensa-
zioni dei poeti, oggetto del suo studio, sono altrettanto
concrete di quelle stesse sensazioni. Per convincersene, ba-
sta dare un'occhiata agli « Indici » dei suoi libri. Eccone
alcuni esempi: « Profondità diabolica - Grotta - Vulcano »,
« Sole - Pietra - Mattone rosa - Ardesia - Verdezza - Ciuf-
fo », « Farfalle e uccelli - Sciarpa involata - Terra murata -
Polvere - Limo - Sole» ... 5 E sempre a proposito di Nerval:
« Nerval per esempio vagheggia l'essere come un fuoco
perduto, sepolto: perciò ricerca insieme lo spettacolo di soli
nascenti e quello di mattoni rossi che rilucono al tramontar
del sole, il contatto della capigliatura fiammeggiante delle
giovani donne o il fulvo tepore della loro carne bionda
e grassotta. * »6 I temi descritti sono quelli del sole, del matto-
100
ne, della capigliatura; il termine che li descrive è quello del
fuoco perduto ..
Ci sarebbe molto da dire su questo linguaggio critico.
Non contestiamo la sua pertinenza: spetta agli specialisti di
ogni singolo autore dire in che misura tali osservazioni siano
corrette. È sal piano dell'analisi vera e propria che un lin-
guaggio del genere può sembrare criticabile. Termini così
concreti non costituiscono evidentemente nessun sistema
logico (la critica tematica sarebbe la prima ad ammetterlo);
ma se la lista dei termini è infinita e disordinata, in che cosa
è preferibile al testo medesimo che, dopo tutto, contiene
tutte quelle sensazioni e le organizza in un certo modo? A
questo stadio la critica tematica non sembra essere nien-
t'altro che una parafrasi (parafrasi indubbiamente geniale
nel caso di Richard); ma la parafrasi non è un'analisi. In
Bachelard o in Frye abbiamo un sistema, pur se questo
sistema non esula dal piano del concreto: quello dei quattro
elementi o delle quattro stagioni ecc. Con la critica tematica,
si dispone di una lista infi!).ita di termini che per ogni testo
bisogna inventare partendo da zero.
Da questo punto di vista esistono due critiche: diciamo
che l'una è narrativa, l'altra logica. La critica narrativa
segue una linea orizzontale, va di tema in tema, sofferman-
dosi in determinati momenti più o meno arbitrari. I temi,
tutti egualmente poco astratti, costituiscono una catena in-
terminabile, e il critico, in ciò simile al narratore, sceglie
quasi a caso l'inizio e la fine del suo racconto (proprio come,
si potrebbe dire, la nascita e la morte di un personaggio non
sono, in definitiva, che momenti scelti arbitrariamente per il
principio e la fine di un romanzo). Genette cita una frase da
l'Univers imaginaire de Mallarmé di J.P. Richard dove si
concentra questo atteggiamento: « La caraffa non è quindi
più un azzurrino e non ancora una lampada. » L'azzurro, la
caraffa e la lampada formano una serie omogenea. che il
critico sorvola mantenendo sempre la stessa distanza. La
struttura dei libri di critica tematica illustra chiaramente
questo atteggiamento narrativo e orizzòntale: si tratta quasi
sempre di raccolte di saggi in cui ·ogni saggio traccia il
ritratto di uno scrittore diverso. Passare a un livello più
101
generale è per così dire impossibile: vi è, per la teoria, come
un'interdizione di soggiorno.
Quanto all'atteggiamento logico, esso segue piuttosto una
verticale: la caraffa e la lampada possono costituire un
primo livello di generalità; ma in seguito sarà necessario
elevarsi ad un altro livello, più astratto; la figura disegnata
dal tragitto è quella di una piramide più che di una linea di
superficie. La critica tematica, invece, non vuole abbando-
nare l'orizzontale, ma così facendo, essa abbandona ogni
pretesa analitica e, ancor più, esplicativa.
È anche vero che talvolta, negli scritti di critica tematica,
si trovano delle preoccupazioni teoriche, particolarmente in
Georges Poulet. Ma evitando il pericolo del sensualismo,
detta critica contravviene a un altro postulato che noi ave-
vamo formulato sin dall'inizio: quello di considerare l'ope-
ra letteraria non come la traduzione di un pensiero preesi-
stente, ma come il luogo ove nasce un senso che non può
esistere da nessun'altra parte. Supporre che la letteratura
non sia che l'espressione di certi pensieri o esperienze del-
l'autore, significa condannare a priori la specificità lettera-
ria, accordare alla letteratura un ruolo secondario, quello di
un « medium » fra molti altri. Ora, questo è il solo modo in
cui la critica concepisce l'apparire dell'astrazione in lette-
ratura. Ecco alcune affermazioni caratteristiche di Richard:
« Ci piace vedere in essa (la letteratura) un'espressione delle
scelte, delle ossessioni e dei problemi che si collocano nel
cuore dell'esistenza personale. » 7 « Mi è sembrato che la
letteratura fosse uno dei luoghi in cui si tradiva con la
maggior semplicità o anche con la maggiore ingenuità
quello sforzo della coscienza per concepire l'essere. » 8 (Il
corsivo è mio). Espressione o tradimento, la letteratura non.
sarebbe mai altro che un mezzo per tradurre certi problemi
che sussistono al di fuori di essa e indipendentemente da
essa. È un partito, questo, che possiamo difficilmente ac-
cettare.
La nostra analisi succinta ci rivela che la critica tematica,
per definizione antiuniversale, non ci procura i mezzi per
7 J.P. Richard, Liuérature et ...• cit.
8 J.P. Richard, Poésie et ..., cit.
102
analizzare e spiegare le strutture generali del discorso lette-
rario (indicheremo in seguito su quale piano sembra che
tale metodo sia perfettamente pertinente). Eccoci di nuovo,
come prima, sprovvisti di metodo per l'analisi dei temi; e
intanto, hanno fatto la loro comparsa due ostacoli che oc-
corre tentar di evitare: il rifiuto di abbandonare il campo
del concreto, di riconoscere l'esistenza di regole astratte;
l'utilizzazione di categorie non letterarie per descrivere temi
letterari.
103
condannato a una corsa disordinata ed eterna (es.: Mel-
moth); la morte personificata che compare in mezzo ai vivi
(es.: Lo spettro della morte rossa di Edgar Poe); la «cosa»
indefinibile e invisibile, ma che pesa, che è presente (es.: Le
Horla); i vampiri, vale a dire i morti che si assicurano una
perpetua giovinezza succhiando il sangue dei vivi (numerosi
esempi); la statua; il manichino, l'armatura, l'automa, che
all'improvviso si animano e acquistano una temibile indi-
pendenza (es.: La Venere d'Ille); la maledizione di uno
stregone che provoca una malattia spaventosa e sopranna-
turale (es.: Il marchio della bestia, di Kipling); la donna
fantasma, emersa dall'al di là, seduttrice e mortale (es.: Il
diavolo innamorato); l'interversione del regno del sogno e di
quello della realtà; la camera, l'appartamento, il piano, la
casa, la strada cancellati dallo spazio, la sospensione o la
ripetizione del tempo (es.: il Manoscritto trovato a Saragoz
za). »11
Come si vede, la lista è ben nutrita. Al tempo stesso
Caillois insiste molto sul carattere sistematico, chiuso, dei
temi del fantastico: « Mi sono forse spinto un po' troppo
avanti affermando che era possibile fare una rilevazione di
questi temi benché abbastanza strettamente dipendenti da
una data situazione. Ciò nonostante contin\lo a ritenerli
enumerabili e deducibili; di modo che, al limite, si potrebbe
arrivare a ipotizzare quelli che mancano alla serie, proprio
come la classificazione ciclica di Mendeleiev permette di
calcolare il peso atomico dei corpi semplici che non sono
stati ancora scoperti o che la natura ignora, ma che esistono
virtualmente. »12
Non si può che sottoscrivere un auspicio di questo genere,
ma si cercherebbe invano negli scritti di Caillois la regola
logica che permetta la classificazione; e non penso che la
sua assenza sia effetto del caso. Tutte le classificazioni enu-
merate fino a questo momento contravvengono alla prima
regola che ci eravamo dati: quella di classificare non im-
magini concrete, ma categorie astratte (con l'eccezione non
significativa di Vax). Sul piano in cui li descrive Caillois,
11 R. Caillois, /mages, images ... , Paris, José Corti, 1966.
12 R. Caillois, op. cit.
104
questi «temi» sono invece illimitati e non ubbidiscono a
leggi rigorose. Si potrebbe riformulare la stessa obiezione
nel modo seguente: alla base delle classificazioni si trova
l'idea di un senso variabile di ogni elemento dell'opera,
indipendentemente dalla struttura in cui sarà integrato.
Classificare tutti i vampiri insieme, ad esempio, implica che
il vampiro significhi sempre la stessa cosa, qualunque sia il
contesto in cui appare. Ora, dato il nostro presupposto che
l'opera formi un tutto coerente, una struttura, dobbiamo
ammettere che il senso di ogni elemento (in questo caso, di
ogni tema), non possa articolarsi al di fuori delle sue rela-
zioni con gli altri elementi. Ciò che qui ci viene proposto,
sono etichette, apparenze, non veri elementi tematici.
Un articolo di Witold Ostrowski va anche oltre queste
enumerazioni cercando di formulare una teoria. Del resto lo
studio è intitolato significativamente: The Fantastic and the
Realistic in Literature. Suggestions on how to define and
analysefantastic_fiction çFantastico e realistico in letteratu-
ra. Suggerimenti per definire e analizzare la narrativa fan-
tastica). Secondo Ostrowski si può rappresentare l'espe-
rienza umana secondo lo schema seguente:
l l
personaggi
I 2
(materia + coscienza)
in a~one cau~alità 8
mondo degli oggetti governata 7 nel tempo
3 4 e/o scopi
(materia + spazio)
105
(e per di più non letterario) delle categorie che si suppone
vengano descritte dai testi letterari.
In poche parole, tutte queste analisi del fantastico scar-
seggiano di suggerimenti concreti come la critica tematica
scarseggiava di indicazioni di ordine generale. I critici si
sono limitati fino ad oggi (eccezion fatta per Penzoldt) a
redigere liste di elementi soprannaturali senza riuscire a
indicarne l'organizzazione.
106
fatto che si sogni e la gioia che questo suscita. L'ammira-
zione che fa nascere in lui l'esistenza del mondo sopranna-
turale gli impedisce spesso di dirci di che cosa è fatto quel
mondo. L'accento viene trasferito dall'enunciato all'enun-
ciazione. In questo senso la conclusione di Il vaso d'oro è
rivelatrice. Dopo aver raccontato le meravigliose avventure
dello studente Anselmo, il narratore entra in scena e di-
chiara:« Ma ad un tratto mi sentii dilaniare da una crude-
lissima pena. ,Ah, felice te, Anselmo,, esclamai, ,che
gettasti il fardello della vita quotidiana per librarti ardita-
mente in volo verso la bella Serpentina ... ed ora vivi una vita
di gioia e di delizia nel tuo feudo, in Atlantide! ... Misero me,
invece! ... Presto, fra pochi minuti me ne andrò da questa
bella sala - pur ben lontana dall'essere un. feudo in Atlan-
tide - per ritornare nella mia piccola soffitta e rituffarmi
nelle miserie d'una vita disagiata, nei mille guai che incep-
peranno di nuovo tutti i miei pensieri e mi veleranno gli
occhi come una nebbia densa. No ... Io non potrò mai vedere
il giglio! ... ,
« ,Zitto. zitto, illustrissimo!, mi disse l'archivista Lind-
horst battendomi un colpetto sulla spalla. ,Non si lamenti
così! Non è stato anche lei in Atlantide un momento fa? ... E
non vi possiede anche lei una graziosa piccola fattoria. re-
taggio poetico della sua vera interiorità? ... E che altro è la
felicità di Anselmo se non la vita nella poesia, cui si rivela il
più profondo segreto della natura: la sacra armonia re-
gnante fra tutti gli esseri? ... , » 13 Questo passo degno di nota.
appone utl segno di eguaglianza tra gli avvenimenti so-
prannaturali e la possibilità di descriverli, tra il tenore del
soprannaturale e la sua percezione: la felicità che scopre
Anselmo è identica a quella del narratore che ha potuto
immaginarla, che ha potuto scrivere la sua storia. E per
questa gioia davanti all'esistenza del soprannaturale, si rie-
sce a conoscerlo solo a malapena.
Situazione inversa in Maupassant, ma con effetti simili.
Nel suo caso, il soprannaturale suscita una tale angoscia, un
tale orrore, che riusciamo difficilmente a distinguere ciò che
lo costituisce. Chissà? è forse l'esempio migliore di questo
13 E.T.A. Hoffmann, Romanzi e Racconti, v. I, pp. 236-237.
107
processo. L'evento soprannaturale, punto di partenza della
novella, è l'animarsi improwiso e strano dei mobili di una
casa. Non vi è alcuna logica nel comportamento dei mobili e
davanti al fenomeno, è la stranezza del fatto stesso che ci
colpisce più di « quello che vuol dire». Non conta tanto
l'animarsi dei mobili, bensì il fatto che qualcuno abbia
potuto immaginarlo e viverlo. Di nuovo la percezione del
soprannaturale getta una fitta ombra proprio sul sopran-
naturale e ci rende difficile il suo approccio.
Il giro di vite di Henry James 14 offre una terza variante di
quel fenomeno singolare in cui la percezione fa da schermo
più di quanto non sveli. Come nei testi precedenti, l'atten-
zione è così potentemente concentrata sull'atto di percezio-
ne che noi ignoreremo sempre la natura di ciò che è perce-
pito (quali sono i vizi dei vecchi servitori?). Qui l'angoscia
predomina, ma riveste un carattere molto più ambiguo che
in Maupassant.
Dopo questi esordi un po' tentennanti di uno studio dei
temi fantastici, disponiamo perciò unicamente di alcune
certezze negative: sappiamo ciò che non dobbiamo fare,
non in che modo procedere. Adotteremo di conseguenza
una posizione cauta: ci limiteremo all'applicazione di una
tecnica elementare senza far troppo assegnjlmento sul me-
todo da seguire in generale.
In primo luogo raggrupperemo i temi in modo pura-
mente formale, o più esattamente distribuzionale: partire-
mo da uno studio delle loro compatibilità e incompatibilità.
Otterremo in tal modo alcuni gruppi di temi; ogni gruppo
riunirà quelli che possono apparire insieme, quelli che
realmente si trovano insieme in opere particolari. Una volta
ottenute queste classi formali, cercheremo di interpretare la
stessa classificazione. Vi saranno perciò due tappe nel no-
stro lavoro che corrispondono all'incirca ai due tempi della
descrizione e della spiegazione. Per quanto possa sembrare
innocente, questa procedura non lo è completamente. Essa
implica due ipotesi che sono lungi dall'essere state verifica-
te: la prima, che alle classi formali corrispondano delle
14 H. James, The Turn o( Screw, 1898 (trad. it. Il giro di vite, Milano,
Garzanti, 1974).
108
classi semantiche, vale a dire che temi diversi abbiano ob-
bligatoriamente una distribuzione diversa; la seconda, che
un'opera possieda un tal grado di coerenza che le leggi della
compatibilità e della incompatibilità non possano mai es-
sere trasgredite. Il che è lungi dall'essere assodato, se non
altro per le numerose derivazioni che caratterizzano ogni
opera letteraria. Un racconto folkloristico, ad esempio,
meno omogeneo, comporterà spesso elementi che non
compaiono mai insieme in testi letterari. Occorrerà quindi
lasciarsi guidare da un'intuizione che per il momento è
difficile spiegare.
109
7 I temi dell'io
110
squisita e inoltre gli propone di condividere il suo letto per
la notte. Ma l'indomani, commette l'imprudenza di fargli
bere del vino; in stato di ebrietà, il principe decide di pro-
vocare il genio: « ••. e diedi un calcio violento alla cupola. » 1
Compare il genio. Basta il suo arrivo a provocare sì gran
fragore che il principe fugge spaventato lasciando tra le
mani del genio la principessa indifesa e alcuni capi del suo
vestiario sparsi per la camera. Quest'ultima imprudenza lo
perderà: il genio trasformato in vecchio, viene in città e
scopre il proprietario degli abiti; rapisce il nostro principe in
cielo, poi lo riconduce alla grotta per ottenere la confessione
del suo delitto. Né il principe, né la principessa confessano,
ma ciò non li sottrae alla punizione del genio il quale taglia
un braccio alla principessa. 2 La principessa muore. Quanto
al principe, nonostante la storia che riesce a imbastire e
secondo cui non bisogna mai vendicarsi di chi ci ha fatto del
male, si ritrova trasformato in scimmia.
Questa situazione sarà all'origine di una nuova serie di
avventure. La scimmia intelligente è presa a bordo di una
nave il cui capitano è incantato dalle sue buone maniere.
Un giorno, la nave arriva in un regno dove il gran vizir è
morto da poco; il sultano chiede a tutti i nuovi venuti di
inviargli un saggio della loro scrittura per scegliere, con
questo criterio, l'erede del gran vizir. Naturalmente, la
scrittura della scimmia sarà quella che risulterà la più bella;
il sultano la invita nel suo palazzo e la scimmia scrive dei
versi in suo onore. La figlia del sultano viene a vedere il
miracolo, ma poiché in gioventù ha preso lezioni di magia.
indovina immediatamente che si tratta di un uomo il quale
ha subito una metamorfosi. Chiama il genio e ingaggia con
lui un'aspra lotta durante la quale ciascuno dei due si tra-
sforma in una serie di animali. Alla fine, lanciano fiamme
l'uno contro l'altra. La figlia del sultano vince la battaglia,
ma poco dopo muore avendo avuto appena il tempo di
ridare al principe forma umana. Rattristato dalle sventure
che ha provocato, il principe si fa mendicante e saranno i
1 Le Mille e una noue. cit. v. I, p. 73. (Si tratta di un talismano a cupola.)
2 Nell'edizione Einaudi questo episodio è riportato in una versione più
lunga e ricca di dettagli suggestivi (cfr. v. 1, p. 75).
lll
casi del viaggio a condurlo proprio in· quella casa dove
racconta, ora, la sua storia.
Dinanzi a questa apparente varietà tematica, si comincia
col sentirsi perplessi: come descriverla? Tuttavia, se isolia-
mo gli elementi soprannaturali, vedremo che è possibile
farne due gruppi. Il primo sarebbe quello delle metamorfosi.
Abbiamo visto l'uomo trasformarsi in scimmia e la scimmia
in uomo. Fin dall'inizio il genio si trasforma in un vecchio.
Durante la scena del combattimento, le metamorfosi si
susseguono. Dapprima il genio diventa ~n leone; la princi-
pessa lo taglia in due con una sciabola, ma la testa del leone
si cambia in un grosso scorpione. « Allora la fanciulla, tra-
sformatasi a sua volta in una grossa serpe, diede addosso a
quel maledetto démone in forma di scorpione. Si accese fra
i due una lotta furibonda; indi lo scorpione diventava una
procellaria e la serpe, fattasi aquila, si dava ad inseguirla. » 3
Poco tempo dopo, compare un gatto bianco e nero; lo in-
segue un lupo nero. Il gatto si trasforma in un verme che
entra in una melagrana che si gonfia come una zucca; la
melagrana si spacca in tanti pezzi; il lupo trasformato allora
in gallo, si mette a inghiottire i chicchi della melagrana. Ne
rimane uno che cade nell'acqua e diventa un pesciolino; « a
sua volta il gallo si cambiava in un grosso pesce e scompa-
riva nell'acqua dietro a quello. » 4 Alla fine, i due personaggi
riassumono forma umana.
L'altro gruppo di elementi fantastici è legato all'esistenza
stessa di esseri soprannaturali, quali il genio e la principessa
maga, e al loro potere sul destino degli" uomini. Ambedue
possono metamorfosizzare e metamorfosizzarsi; volare o
spostare esseri e oggetti nello spazio ecc. Ci troviamo da-
vanti a una delle costanti della letteratura fantastica: l'esi-
stenza di esseri soprannaturali, più potenti degli uomini. Ma
oltre che constatare questo fatto, occorre altresì interrogarsi
sul suo significato. Evidentemente si può dire che esseri del
genere simbolizzano un sogno di potenza. Ma vi è di più. In
linea di massima, gli esseri soprannaturali sopperiscono a
una causalità deficitaria. Diciamo che nella vita quotidiana
3 Le Mille e... , op. cii., v. I, p. 80. Vedi nota 2, p. 111.
4 Le Mille e... , op. cii., v. 1, p. 80.
112
vi è una parte di avvenimenti che si spiegano grazie a cause
a noi note, e un'altra parte che ci sembra dovuta al caso. In
questa fattispecie, non vi è, in realtà, assenza di causalità,
ma intervento di una causalità isolata, non direttamente
legata alle altre serie causali che governano la nostra vita. Se
tuttavia noi non accettiamo il caso, se postuliamo una cau-
salità generalizzata, una necessaria relazione di tutti i fatti
fra di_!oro, dovremo ammettere l'intervento di forze o di
esseri soprannaturali (fino a quel momento a noi ignoti).
Quella certa fata che assicura il felice destino di una persona
non è che l'incarnazione di una causalità immaginaria che
potrebbe anche essere detta: il caso, la sorte. Il genio male-
fico che interrompeva gli amorosi amplessi nella storia del
mendicante non è altro che la cattiva sorte dei nostri perso-
naggi. Ma le parole « sorte » o « caso », sono escluse da
questa parte del mondo fantastico. In una delle novelle
fantastiche Eickmann-Chatrian, si legge: « Dopo tutto, che
cos'è il caso se non l'effetto di una causa che ci sfugge? » 5
Possiamo parlare a questo punto di un determinismo gene-
ralizzato, di un pandeterminismo: tutto, ivi compreso l'in-
contro di diverse serie causali (o « caso » ), deve avere la sua
causa, nel senso pieno della parola, anche se questa non può
essere che di ordine soprannaturale.
A interpretare così il mondo dei geni e delle fate, si finisce
con l'osservare una curiosa somiglianza tra queste immagini
fantastiche, tutto sommato tradiziçmali, e l'insieme delle
immagini molto più « originale » che si trova in opere di
scrittori come Nerval o Gautier. Non vi è rottura tra l'uno e
l'altro, e il fantastico di Nerval ci aiuta a capire quello di Le
Mille e una notte. Non saremo quindi d'accordo con Hubert
Juin allorché oppone i due registri: « Gli altri notano i
fantasmi, le strigi, i ghiil, * insomma tutto quello che dipen-
de dall'imbarazzo gastrico e che è il cattivo fantastico. Gé-
rard de Nerval, solo, vede( ... ) che cos'è il sogno. »6
5 Eickmann-Chatrian, L'Esquisse mystérieuse da Anthologie du conte
(antastiquefrançais, di P.-G. Castex, Paris, José Corti, 1963.
• Essere demoniaco femminile nella mitologia orientale. (n.d.r.)
6 Hubert Juin, prefazione a A urélia et autres contes fantastiques, Ver-
viers, Murabout, 1966.
113
Ecco alcuni esempi di pandeterminismo in Nerval. Un
giorno, accadono simultaneamente due awenimenti:
Aurélia è appena morta e il narratore, che lo ignora, pensa a
un anello che le aveva regalato. L'anello era troppo grande
·e lo aveva fatto tagliare. « ... non m'ero reso conto dell'er-
rore se non quando avevo udito il rumore della sega. Allora
m'era parso di veder scorrer del sangue ... » 7 Caso? Coinci-
denza? Non per il narratore di A urélia.
Un altro giorno, entra in una chiesa. « Mi inginocchiai
negli ultimi posti del coro, e da un dito mi feci scivolare un
anello d'argento che sul castone portava incise le tre parole
arabe: Allah! Maometto! Afif·Subito parecchi ceri s'acce-
sero nel coro ... » 8 Quella che per altri sarebbe soltanto una
coincidenza nel tempo, qui è una causa.
Un'altra volta, durante un temporale, passeggia per la
strada.« L'acqua cresceva nelle str::tde vicine. Scesi di corsa
rue Saint Victor, e nell'intento di arrestare quello che cre-
devo il diluvio universale gettai nella pozza più profonda
l'anello comprato a Saint-Eustache. Quasi nello stesso
istante l'acqua si calmò e spuntò un raggio di sole. » 9 L'a-
nello provoca qui il mutamento atmosferico; si noti insie-
me con quale cautela viene presentato il pandetermini-
smo: Nerval esplicita la coincidenza temporale, non la
causalità.
Un ultimo esempio è tratto da un sogno: « Eravamo in
una campagna rischiarata dalle luci delle stelle; ci fer-
mammo a contemplare lo spettacolo, e lo spirito posò la
mano sulla mia fronte come avevo fatto io il giorno prima
nell'intento di magnetizzare il mio compagno; subito una
delle stelle che vedevo in cielo cominciò ad ingrandirsi ... » 10
Nerval è pienamente consapevole del significato di simili
racconti. A proposito di uno di essi, osserva: « Mi si dirà
senza dubbio che sarà stato il caso a far sì che proprio in
quel momento una donna sofferente gridasse nei pressi
della mia casa. Ma gli. eventi terrestri, secondo me, erano
7 G. dc Nerval, / racconti, Torino, Einaudi, 1966, p. 474.
8 G. de Nerval, op. cii., p. 494.
9 G. de Nerval, op. cit., p. 496.
10 G. de Nerval, op. cii., p. 504.
114
legati a quelli del mondo invisibile. » 11 E altrove: « L'ora
della nostra nascita, il punto della terra dove si viene alla
luce, il primo gesto, il nome, la stanza, e tutte le consacra-
zioni, e tutti i riti che ci vengono imposti, tutto collabora a
instaurare una serie fortunata o funesta da cui l'avvenire
dipende totalmente. (... ) Giustamente fu detto che nulla è
indifferente, nulla è impotente nell'universo: un atomo può
tutto dissolvere e tutto salvare!, » 12 Oppure, con una for-
mula tacitiana: « Tutto si corrisponde. »
Facciamo osservare a questo punto, per poi tornarvi più a
lungo, la somiglianza di tale convinzione che Nerval attinge
nella follia, con quella che si può avere durante l'esperienza
della droga. Mi riferisco al libro di Alan Watts, The Joyous
Cosmology: « ... Giacché in questo mondo non vi è nulla di
erroneo, e nemmeno di stupido. Sentire l'errore, significa
semplicemente non vedere lo schema in cui si inscrive un
certo avvenimento, non sapere a quale livello gerarchico
appartiene quell'avvenimento. » 13 .Anche qui, « tutto si
corrisponde ».
Il pandeterminismo comporta come conseguenza natu-
rale quella che si potrebbe chiamare la « pansignificazio-
ne »: poiché esistono relazioni a tutti i livelli, tra tutti gli
elementi del mondo, questo mondo diventa altamente si-
gnificante. Lo abbiamo già visto con Nerval: l'ora in cui si è
nati, il nome della camera, tutto ha mutato senso. C'è di più:
al di là del senso primo, evidente. si può sempre scoprire un
senso più profondo (una sovrinterpretazione). Si pensi al
personaggio di Aurélia nella casa di salute: « Ai discorsi dei
guardiani e a quelli dei miei compagni attribuivo un signi-
ficato mistico. » 14 E Gautier, durante un'esperienza di ha-
scisc: « Nella mia mente si squarciò un velo, e fu chiaro per
me che i membri del club altro non erano che cabalisti ... » 15
115
« Le figure dei quadri ... si agitavano con contorsioni penose,
come quei muti che vorrebbero esprimere un'opinione im-
portante, in un'occasione suprema. Si sarebbe detto che
volessero avvertirmi di un tranello da evitare. » 16 In questo
mondo, ogni oggetto, ogni essere, significa qualcosa.
Passiamo a un grado di astrazione ancor più elevato: qual
è il senso finale del pandeterminismo di cui si vale la lette-
ratura fantastica? Non è certamente necessario essere sulle
soglie della follia, come Nerval, o di passare per la droga,
come Gautier, per credere al pandeterminismo; noi tutti lo
abbiamo conosciuto, pur senza attribuirgli la portata che ha
in questo caso: le relazioni che stabiliamo fra gli oggetti
restano puramente mentali e non toccano affatto gli oggetti
in sé. Invece, in Nerval o in Gautier, queste relazioni si
estendono sino al mondo fisico: si tocca l'anello e si accen-
dono le candele, si getta l'anello e cessa l'inondazione. In
altre parole, al livello più astratto, il pandeterminismo si-
gnifica che il confine tra fisico e mentale, tra materia e
spirito, tra cosa e parola, cessa di essere ermetico.
Torniamo adesso, con questa conclusione ben presente
alla mente, verso le metamorfosi che abbiamo un po' tra-
scurato. Sul piano di generalità in cui ci troviamo, esse
rientrano nell'ambito della stessa legge di cui formano un
caso particolare. Noi diciamo facilmente che un uomo fa la
scimmia, o che si batte come un leone, come un'aquila ecc.;
il soprannaturale comincia a partire dal momento in cui si
scivola dalle parole alle cose che si suppone siano designate
da quelle parole. Le metamorfosi costituiscono quindi a
loro volta una trasgressione della separazione tra materia e
spirito nel modo in cui viene generalmente concepita. No-
tiamo inoltre che non vi è rottura tra l'insieme delle imma-
gini apparentemente convenzionale di Le Mille e una notte e
quella più « personale » degli scrittori del xxx secolo. Gau-
tiet stabilisce il legame descrivendo nel modo seguente la
propria trasformazione in pietra: « Effettivamente sentivo
le mie estremità pietrificarsi e il marmo avvolgermi fino alle
anche come la Dafne delle Tuileries; ero statua fino a metà
corpo, come quei principi incantati di Le Mille e una not-
16 T. Gautier, op. cit., p. 208.
116
te. » 17 Nella stessa storia il narratore si vede attribuita una
testa di elefante; in seguito si assiste alla metamorfosi del-
l'uomo mandragora: « Questo sembrava che contrariasse
assai l'uomo mandragora, il quale rimpiccioliva, si appiat-
tiva, si scoloriva ed emetteva gemiti inarticolati; infine perse
ogni apparenza umana e rotolò sul parquet con la forma di
una scorzonera a due fittoni. » 18
In A urélia si osservano metamorfosi analoghe. A un certo
punto, una dama « circondò con il br.accio nudo un lungo
stelo di malvarosa, e cominciò poi, sotto un fulgido raggio di
luce, ad ingrandirsi, in modo che a poco a poco il giardino
assumeva la sua forma, e le aiuole e gli alberi diventavano i
rosoni e i festoni delle sue vesti ... » 19 Altrove troviamo mo-
stri che ingaggiano battaglie per spogliarsi delle loro forme
bizzarre e diventare uomini e donne; « altri trasformandosi
assumevano l'aspetto di bestie selvatiche, di pesci e di uc-
celli. » 20
Si può dire che il denominatore comune dei due temi,
metamorfosi e pandeterminismo, sia la rottura (vale a dire
anche la messa in luce) del limite tra materia e spirito.
Eccoci di colpo autorizzati ad avanzare un'ipotesi circa il
principio generatore di tutti i temi riuniti in questa prima
rete: Il passaggio dallo spirito alla materia è diventato possi-
bile.
Nei testi in esame è possibile trovare alcup.e pagine dove
tale principio si lascia cogliere direttamente. Nèrval scrive:
« Dietro la guida discesi dal luogo dov'ero nell'interno di
una di quelle alte abitazioni dai tetti serrati che avevano uno
strano aspetto. Sembrava che i miei piedi penetrassero at-
traverso strati successivi di edifici di diverse età. » 21 Il pas-
saggio mentale da un'età all'altra diventa qui passaggio
fisico. Le parole si confondono con le cose. Lo stesso accade
in Gautier. Qualcuno ha pronunciato la frase: « È oggi che si
deve morir dal ridere! » La frase rischia di diventare realtà
17 T. Gautier, op. cii., p. 208.
18 T. Gàutier, op. cii.• p. 212.
19 G. de Nerval, op. cii., p. 473.
20 G. de Nerval, op. ci1., p. 476.
21 G. de Nerval, op. cii., pp. 470-471.
117
palpabile: « La frenesia gioiosa era al culmine; non si sen-
tivano più che sospiri convulsi, risolini inarticolati. Il riso
aveva perduto il suo timbro e stava diventando grugnito, lo
spasmo succedeva al piacere, il ritornello di Daucus-Carota
stava per diventare vero. » 22
Tra idea e percezione, il passo è agevole. Il narratore di
Aurélia ode queste parole: « Il nostro passato e il nostro
avvenire sono solidali. Viviamo nella nostra stirpe; e la
nostra stirpe vive in noi.
« Istantaneamente questa idea mi si fece percettibile-: co-
me se le pareti della sala si fossero aperte su prospettive
infinite, mi sembrò di vedere una ininterrotta catena di
uomini e di donne, fra cui io ero e che erano me. » 23 (Il
corsivo è mio). L'idea diviene subito percettibile. Ecco un
esempio opposto in cui la sensazione si trasforma in idea:
« Quelle infinite scale che ti affannavi a scendere o a salire,
erano i lacci delle antiche illusioni che impacciavano il tuo
•
pensiero ... »-~4
È curioso osservare che una simile rottura dei limiti tra
materia e spirito veniva considerata, specialmente nel xix
secolo, come la prima caratteristica della follia. Gli psi-
chiatri affermavano in genere che l'uomo « normale » di-
spone di diversi schemi di riferimento e collega ogni fatto a
uno solo di questi. Lo psicotico invece non sarebbe capace
di distinguere ·tra loro diversi schemi e confonderebbe il
percepito con l'immaginario. « L'attitudine degli schizofre-
nici a separare la sfera della realtà da quella dell'immagi-
nazione è notoriamente ridotta. Contrariamente al pensiero
detto normale che dovrà rimanere all'interno della stessa
sfera, o schema di riferimento, o universo di discorso, il
pensiero degli schizofrenici non ubbidisce alle esigenze di
un unico riferimento. » 25
L'identico cancellarsi dei limiti, si trova alla base dell'e-
118
sperienza della droga. Proprio all'inizio della sua descrizio-
ne, Watts scrive: « La più grande delle superstizioni consiste
nella separazione del corpo e dello spirito. » 26 Stranamente
si ritrova la stessa caratteristica nel lattante; secondo Piaget
« all'inizio della sua evoluzione, il bambino non distingue il
mondo psichico dal mondo fisico ». 27 Questo modo di de-
scrivere il mondo dell'infanzia è evidentemente prigioniero
di una visione adulta, in cui i due mondi sono appunto
distinti; ciò che viene maneggiato è un simulacro adulto
dell'infanzia. Ma è proprio quello che accade nella lettera-
tura fantastica: il confine tra materia e spirito non vi è
ignorato, come ad esempio nel pensiero mitico. Esso conti-
nua ad essere presente per fornire il pretesto a trasgressioni
incessanti. Scriveva Gautier: « Non sentivo più il mio cor-
po; i legami della materia e dello spirito erano sciolti. » 28
Questa legge che troviamo alla base di tutte le deforma-
zioni introdotte dal fantastico all'interno della nostra rete di
temi, ha alcune conseguenze immediate. Si può, ad esem-
pio, generalizzare il fenomeno delle metamorfosi e dire che
una perso]J.a si moltiplicherà facilmente. Noi ci sentiamo
tutti come diverse persone: nella fattispecie, l'impressione si
incarnerà sul piano della realtà fisica. La dea si rivolge al
narratore di A uré/ia: « Io sono una sola con Maria, una sola
con tua madre, la sola che sotto tutte le forme tu hai sempre
amato. » 29 Altrove Nerval scrive: « Ed ecco che mi venne
una terribile idea: ,L'uomo è doppio,, mi dissi.
« ,Sento due uomini in me,, ha scritto un Padre della
Chiesa. (... ) C'è in ogni uomo uno spettatore e un attore,
colui che parla e colui che risponde. » 30 La m·oltiplicazione
della personalità, presa alla lettera, è una conseguenza im-
mediata del passaggio possibile tra materia e spirito: siamo
diverse persone mentalmente, le diventiamo fisicamente.
119
Un'altra conseguenza dello stesso principio è anche più
radicale: è il càncellarsi del confine tra soggetto e oggetto.
Lo schema razionale ci rappresenta l'essere umano come un
soggetto che entra in relazione con altre persone o con cose
che gli rimangono esteriori e che hanno statuto di oggetto.
La letteratura fantastica fa vacillare questa separazione ca-
tegorica. Si ascolta musica, ma non vi è più l'uditore da un
lato, e dall'altro lo strumento musicale che produce suoni ed
è esterno rispetto all'uditore. Scrive Gautier: « Le note vi-
bravano con tanta potenza che mi entravano nel petto come
frecce luminose; ben presto mi parve che quell'aria uscisse
da me stesso ( ... ); l'anima di Weber si era incarnata in
me ». 31 Così pure in Nerval: « Sdraiato su un lettuccio da
campo, udivo i soldati discorrere d'uno sconosciuto arre-
stato come me e di cui avevo sentito echeggiare la voce in
quella stessa sala. Per un singolare effetto di vibrazione, mi
pareva che la voce risuonasse· dentro il mio petto ... ». 32
Si guarda un oggetto; ma non vi è più frontiera fra l'og-
getto, con le sue forme e i suoi colori, e l'osservatore. Sem-
pre Gautier: « Per un prodigio bizzarro, in capo a qualche
minuto di contemplazione, mi fondevo con l'oggetto fissato,
e diventavo io stesso quell'oggetto. »
Perché due persone si capiscano, non è più necessario che
si parlino: ciascuna può diventare l'altra e sapere ciò che
l'altra pensa. Il narratore di Aurélia ne fa l'esperienza al-
lorché incontra suo zio. « Volle che mi mettessi accanto a lui
e tra di noi si stabilì una specie di comunicazione: la sua
voce infatti non potrei dire che la udivo; soltanto, a misura
che il mio pensiero si poneva una domanda istantanea-
mente mi si chiariva la risposta. » 33 E ancora: « Senza nulla
chiedere alla mia guida, per intuizione capii che quelle
alture e profondità ad un tempo erano l'asilo dei primitivi
abitanti della montagna. » 34 Poiché il soggetto non è più
separato dall'oggetto, la comunicazione avviene diretta-
mente, e il mondo intero si trova p~eso in una rete di co-
31 T. Gautier, op. cii., p. 203.
32 G. de Nerval, op. cii.• p. 466.
33 G. de Nerval, op. cii., p. 468.
34 G. de Nerval, op. cit., p. 471.
120
municazione generalizzata. Ecco come si esprime questa
convinzione in Nerval:
« Questo pensiero me ne suggerì un altro, che ci fosse una
vasta congiura di tutti gli esseri animati per ristabilire nel
mondo la primigenia armonia, e che essi comunicassero
mediante il magnetismo astrale; che una ininterrotta catena
collegasse tutt'intorno alla terra le intelligenze devote a
questa comunione generale, e che i canti, le danze, gli
sguardi, attraendosi gli uni con gli altri, esprimessero quel-
l'unica aspirazione. »35
Si noti di nuovo come siano vicine fra loro questa co-
stante tematica della letteratura fantastica e una delle ca-
rattéristiche fondamentali del mondo del bambino (o più
esattamente, come abbiamo visto, il suo simulacro adulto).
Piaget scrive: « Al punto di partenza dell'evoluzione men-
tale non esiste certamente nessuna differenziazione tra l'io e
iÌ mondo esteriore. »36 Lo stesso vale per il mondo della
droga: « L'organismo e il mondo circostante formano uno
schema di azione unico e integrale, in cui non vi è soggetto,
né oggetto, non vi è agente, né paziente. »37 E inoltre:
« Comincio a sentire che il mondo è insieme all'interno e
all'esterno della mia testa( ...). Non guardo il mondo, non
mi pongo di fronte ad esso; lo conosco per un processo
continuo che lo trasforma dentro di me. »38 Anche per gli
psicotici, infine, vale la stessa cosa. Goldstein scrive: « (Lo
psicotico) non considera l'oggetto come una parte di un
mondo esteriore ordinato, separato da sé, alla stregua di una
persona normale.» (... ) « Le frontiere normali tra l'io e il
mondo scompaiono, al loro posto si trova una sorta di fu-
sione cosmica... »39 Cercheremo in seguito di interpretare
queste somiglianze.
Il mondo fisico e il mondo spirituale s'interpenetrano: le
121
loro categorie fondamentali si trovano di conseguenza mo-
dificate. Il tempo e lo spazio del mondo soprannaturale, così
come sono descritti in questo gruppo di testi fantastici, non
sono il tempo e lo spazio della vita quotidiana. Il tempo, qui,
sembra sospeso, si prolunga ben al di là di ciò che si crede
possibile. Così per il narratore di A urélia: « Fu il segno
d'una completa rivoluzione tra gli Spiriti, che non vollero
riconoscere i nuovi padroni del mondo. Non so quante
migliaia di anni durarono quei combattimenti che insan-
guinarono il globo. »40 Il Tempo è anche uno dei temi
principali di Il Club des hachichins. Il narratore ha fretta,
ma i suoi movimenti sono anche incredibilmente lenti. « Mi
. alzai con gran fatica e mi diressi verso la porta del salone
che raggiunsi dopo un bel pezzo, giacché una potenza
ignota mi obbligava a indietreggiare di un passo su tre.
Secondo i miei calcoli, misi dieci anni a percorrere quel
tragitto. »41 Dopo di che scende una scala, ma i gradini
sembrano interminabili. « Arriverò in fondo il giorno dopo
il giudizio universale» si dice. E quando arriva: « Quel
maneggio durò mille anni, secondo i miei calcoli ». 42 Deve
arrivare alle undici, ma a un certo momento gli dicono:
« Non arriverai mai alle undici; sono già millecinquecento
anni che sei partito. »43 Il nono capitolo della novella rac-
conta la scena della sepoltura del tempo. Si intitola: « Non
credete ai cronometri.» Al narratore viene dichiarato: « Il
tempo è morto, ormai non vi saranno più né anni, né mes~,
né ore; il tempo è morto e noi andiamo al suo funerale( ... )
<Mio Dio!, esclamai colpito da un'idea improvvisa, se non vi
è più tempo, quando potranno essere le undici? ... »44 An-
cora una volta, la stessa metamorfosi .si osserva nell'espe-
rienza della droga in cui il tempo sembra« sospeso », e nello
psicotico che vive in un presente eterno, senza idea di pas-
sato e d'avvenire.
Lo spaziç> è trasformato nello stesso modo. Ecco alcuni
40 G. de Nerval, op. cii., p. 476.
41 T. Gautier. op. cii., p. 207.
42 T. Gautier, op. cii.• pp. 208-209.
43 T. Gautier, op. cii., p. 210.
44 T. Gautier, op. cii., p. 211.
122
esempi tratti da Le Club des hachichins. Descrizione di una
scala: « Mi sembrava che le due estremità immerse nel-
l'ombra, si tuffassero nel cielo e nell'inferno, due baratri;
alzando la testa, scorgevo distintamente, in una prospettiva
prodigiosa, delle sovrapposizioni di pianerottoli innumere-
voli, delle rampe da salire come per arrivare in cima alla
torre di Lylacq: abbassandola, presentivo abissi di gradini,
turbini di spirali, abbaglio di circonvoluzioni. » 45 Descri-
zione di un cortile interno: « Il cortile aveva assunto le
proporzioni dello Champs-de~Mars e in qualche ora erano
sorti a fiancheggiarlo edifici giganteschi che stagliavano
sull'orizzonte una dentellatura di guglie, di cupole, di torri,
di pignoni, di piramidi, degni di Roma e di Babilonia. » 4·6
Non stiamo tentando di descrivere in questa sede un'o-
pera particolare in maniera esauriente, e nemmeno un te-
ma; ad esempio, lo spazio in Nerval richiederebbe, di per sé
solo, uno studio vastissimo. A noi interessa segnalare le
principali caratteristiche del mondo in cui si verificano gli
avvenimenti soprannaturali.
Riassumendo: il principio che abbiamo scoperto può la-
sciarsi definire come la 'rimessa in discussione del confine
tra spirito e materia. Tale principio genera diversi temi
fondamentali: una causalità particolare, il pandetermini-
smo; la moltiplicazione della personalità, la soppressione
della frontiera fra soggetto e oggetto, e infine la trasforma-
zione del tempo e dello spazio. La lista non è esauriente, ma
si può affermare che essa raggruppa gli elementi essenziali
della prima rete di temi fantastici. Per ragioni che si faranno
luce in seguito, abbiamo assegnato a questi temi il nome di
temi dell'io. Abbiamo comunque rilevato, nel corso della
nostra analisi, da un lato, una c~rrispondenza tra i temi
fantastici ivi raggruppati, e dall'altro, le categorie alle quali
è necessario far ricorso per descrivere il mondo del drogato,
dello psicotico, o quello del bambino in tenera età. Ecco
perché un'osservazione di Piaget sembra applicarsi parola
per parola al nostro oggetto: « Quattro processi fondamen-
tali caratterizzano questa rivoluzione intellettuale compiuta
45 T. Gautier, op. ·cit., p. 205.
46 T. Gautier. op. cit., p. 209.
123
durante i due primi anni dell'esistenza: sono le costruzioni
delle categorie dell'oggetto e dello spazio, della causalità e
del tempo. 47
Possiamo ancora caratterizzare questi temi dicendo che
riguardano essenzialmente la strutturazione del rapporto
tra l'uomo e il mondo: in termini freudiani, siamo nel si-
stema percezione-coscienza. Si tratta di un rapporto relati-
vamente statico, nel senso che non implica azioni partico-
lari, ma semmai una posizione, una percezione del mondo,
più che un'interazione con esso. Il termine di percezione è
importante: le opere legate a questa rete tematica ne fanno
risaltare continuamente la problematica, e in modo parti-
colare quella del senso fondamentale, la vista ( « i cinque
sensi che poi sono· un solo senso: la facoltà di vedere»,
diceva Louis Lambert): a tal punto che si potrebbero desi-
gnare tutti questi temi come « temi dello sguardo ».
Sguardo. La parola ci permetterà di abbandonare rapi-
damente riflessioni troppo astratte e di tornare alle storie
fantastiche che abbiamo appena lasciato. Sarà facile verifi-
care la relazione tra i temi enumerati e lo sguardo in La
principessa Brambilla di Hoffmann. Il tema di questa storia
fantastica è la scissione della personalità, lo sdoppiamento
e, più genericamente, il gioco tra sogno e realtà, spirito e
materia. Significativamente, ogni apparizione di un ele~
mento soprannaturale è accompagnata dall'introduzione
parallela di un elemento che appartiene alla sfera dello
sguardo. In particolare saranno gli occhiali e lo specchio a
permettere di penetrare nell'universo meraviglioso. Ad
esempio, il ciarlatano Celionati proclama alla folla, dopo
aver annunciato che fra la gente si trova la principessa:
« Sareste in grado di riconoscere l'eccellentissima princi-
pessa anche se fosse qui in mezzo a voi? ... No, voi non siete
in grado di farlo se non vi servite degli occhiali che il sa-
piente mago indiano Ruffiamonte in persona ha fabbricato.
(...) Così dicendo il ciarlatano aprì una cassetta e tirò fuori
una quantità di occhiali di una grandezza indescrivibile. »48
Soltanto gli occhiali aprono l'accesso al meraviglioso.
47 J. Piaget, Six ..., cit.
48 E.T.A. Hoffmann, Romanzi e Racconti, v. lii, p. 420.
124
Lo stesso accade per lo specchio - miroir -, quell'og-
getto di cui Pierre Mabille indicava giustamente la paren-
tela con « meraviglia » da un lato, e sguardo (« mirarsi » ),
dall'altro. Lo specchio è presente in tutti i momenti in cui i
personaggi del racconto debbono fare un passo decisivo
verso il soprannaturale (questa relazione è attestata in quasi
tutti i testi fantastici). ·
« Nello stesso tempo avvenne che la coppia innamorata,
cioè il principe Cornelio Chiapperi e la principessa Bram-
billa, si svegliarono dallo stordimento in cui erano caduti e
senza volere guardarono il limpido specchio d'acqua del
lago, sulle cui rive si trovavano. Ma solo nel momento in cui
il loro sguardo toccò l'acqua, riconobbero se stessi, si guar-
.darono negli occhi e scoppiarono a ridere in un modo così
meraviglioso, come solo il re Ofioch e la regina Liris ave-
vano riso una volta, e quindi, trasportati dall'estasi, si ab-
bracciarono. » 49 L'autentica ricchezza, la vera .felicità (le
quali si trovano nel mondo del meraviglioso), sono accessi-
bili solamente a coloro i quali riescono a guardar(si) nello
specchio. « Meritano veramente di essere chiamati ricchi e
felici coloro ai quali è riuscito di scorgere la vita, se stessi,
tutto il loro essere, nel meraviglioso specchio solare della
Fonte di Urdar... » 50 Solo grazie agli occhiali Giglio poteva
riconoscere la principessa Brambilla. Grazie allo specchio
tutti e due possono cominciare una vita meravigliosa.
Ben lo sa la « ragione » che rifiuta il meraviglioso, che
rinnega anche lo specchio. « Molti filosofi sconsigliarono
totalmente di guardare dentro lo specchio della fonte,
perché l'uomo, se vede se stesso e l'universo con la testa
all'ingiù, facilmente perde l'equilibrio. » 51 E inoltre:« Molti
di coloro i quali vi scorgevano rispecchiati se stessi e tutta la
natura, erano presi da ira e da dispetto perché considera-
vano contrario alla dignità e all'intelligenza umana e a tutta
la saggezza faticosamente acquisita, guardare le cose, e
specialmente il proprio lo, coi piedi per aria. » 52 La
49 E.T.A. Hoffmann, op. cir., p. 513.
50 E.T.A. Hoffmann, op. cir.• p. 517.
51 E.T.A. Hoffmann, <Jp. cir., p. 453.
52 E.T.A. Hoffmann, op. cir.• p. 479.
125
« ragione » si dichiara contro lo specchio che non offre il
mondo, ma un'immagine del mondo, una materia smate-
rializzata, insomma una contraddizione nei confronti della
legge di non contraddizione.
Sarebbe quindi più giusto dire che in Hoffmann non è lo
sguardo in sé che si trova legato al mondo del meraviglioso,
ma quei simboli dello sguardo indiretto, falsato, sovvertito,
che sono gli occhiali e lo specchio. Giglio in persona stabi-
lisce l'opposizione tra i due tipi di visione, come pure la loro
relazione con il meraviglioso. Allorché Celionati gli dichia-
ra che soffre di un« dualismo cronico», Giglio rifiuta que-
sta espressione come « allegorica », e definisce così il pro-
prio stato: « Soffro soltanto di un male d'occhi che mi è
venuto perché da piccolo portavo gli occhiali. »53 Guardare
attraverso gli occhiali fa scoprire un altro mondo e falsa la
visione normale; il disturbo è simile a quello provocato
dallo specchio: « Si deve essere scombinato qualcosa nella
mia pupilla; perché purtroppo vedo quasi sempre tutto di
traverso e mi succede di trovare oltremodo allegre le cose
più serie (... ) ». 54 La visione pura e semplice ci scopre un
mondo piatto, senza misteri. La visione indiretta è la sola
via verso il meraviglioso. Ma questo superamento della
visione, questa trasgressione dello sguardo, non sono il suo
. simbolo stesso, e quasi il suo elogio più grande? Gli occhiali
e Io specchio divengono l'immagine di uno sguardo che non
è più un semplice mezzo perché l'occhio si congiunga con
un punto dello spazio, che non è più puramente funzionale,
trasparente, transitivo. In un certo modo questi oggetti sono
sguardo materializzato od opaco, una quintessenza dello
sguardo. D'altro canto si trova la stessa ambiguità feconda
nella parola« visionario ». Visionario è colui che vede e non
vede, grado superiore e insieme negazione della visione.
Ecco perché, volendo esaltare gli occhi, Hoffmann ha biso-
gno di identificarsi con gli specchi: « E nei suoi occhi (qµelli
di una fata potente) si rispecchia ogni follia amorosa, che
riconosce se stessa, e trova in se stessa un'intima gioia. »55
53 E.T.A. Hoffmann, op. cit., p. 506.
54 lbid.
55 E.T.A. Hoffmann, op. cir.• p. 469.
126
LA principessa Brambilla non è l'unico racconto di Hoff-
mann nel quale lo sguardo sia il tema dominante: nella sua
opera si è letteralmente invasi da microscopi, occhialetti,
occhi veri o falsi ecc. D'altro canto Hoffmann non è il solo
narratore che permetta di stabilire la relazione della nostra
~ete di temi con lo sguardo. Occorre tuttavia essere prudenti
nella ricerca di un simile parallelismo: se le parole« sguar-
do », « visione », « specchio » ecc., compaiono in un testo,
ciò non significa ancora che ci troviamo di fronte a una
variante del « tema dello sguardo ». Sarebbe come postu-
lare per ogni unità minimale del discorso letterario un senso
unico e definitivo, che è proprio quanto abbiamo rifiutato
di fare.
In Hoffmann, almeno, c'è realmente coincidenza tra il
« tema dello sguardo » (nell'accezione attribuitagli dal no-
stro lessico descrittivo) e le « immagini dello sguardo»,
quali si scoprono nel testo stesso; in questo senso la sua
opera è particolarmente rivelatrice.
Possiamo altresì constatare che è dato qualificare questa
prima rete di temi in più di una maniera, a seconda del
punto di vista dal quale ci poniamo. Prima di scegliere tra
queste maniere o anche semplicemente di· precisarle, do-
vremo passare in rassegna un'altra rete tematica.
127
8 I temi del tu
128
All'improvviso, ecco la sventura. La vigilia del matrimo-
nio Louis Lambert impazzisce. Dapprima cade in uno stato
catalettico, poi in una malinconia profonda la cui causa
diretta sembra essere l'idea che egli si fa della propria im-
potenza. I medici lo dichiarano incurabile e Lambert, rin-
chiuso in una casa di campagna, si spegne dopo alcuni anni
di silenzio, di apatia e di istanti fuggitivi di lucidità. Perché
questo svolgimento tragico? Il narratore, che gli è amico,
azzarda diverse spiegazioni: « L'esaltazione alla quale do-
vette condurlo l'attesa del più grande piacere fisico, accre-
sciuta in lui dalla castità del corpo e dalla potenza dell'ani-
ma, aveva ben potuto determinare quella crisi i cui risultati
non sono più conosciuti di quanto ne sia nota la causa. » 3
Ma al di là di queste cause psichiche o fisiche, vi è suggeri-
ta una ragione che potremmo qualificare di formale. « Forse
anche, infine, vide nei piaceri del suo matrimonio un ostaco-
lo alla perfezione delle facoltà interne e al suo volo nei mon-
di spirituali. » 4 Si dovrebbe quindi scegliere tra la soddisfa-
zione dei sensi esteriori o interiori: volerli soddisfare tut-
ti, porta a quello scandalo formale che viene detto follia.
Andando oltre, diremo che lo scandalo formale attestato
nel libro si accompagna con una trasgressione propriamente
letteraria: due temi incompatibili si sono trovati l'uno ac-
canto all'altro nello stesso testo. Potremo partire da questa
incompatibilità per dare un fondamento alla differenza fra
due reti di temi: la prima, che già conosciamo sotto il nome
dei temi dell'io; la seconda, dove per il momento troviamo
la sessualità, sarà designato da « i temi del tu». Anche
Gautier ha messo in evidenza la stessa incompatibilità in Le
Club des hachichins: « Niente di materiale si mescolava a
quell'estasi, nessun desiderio terrestre ne alterava la· pie-
nezza. Del resto, nemmeno l'amore avrebbe potuto accre-
scerla, Romeo hascisciano avrebbe dimenticato Giulietta.
(... ) Debbo convenire che la più bella fanciulla di Verona,
3 H. de Balzac, op. cit., p. 152.
4 H. de Balzac, op. cit., p. 156.
5 T. Gautier, Le Club des hachichins: mancando di questo racconto una
traduzione italiana, facciamo riferimento alla edizione francese Contes
fantastiques, Paris, José Corti, 1962, p. 205.
129
per un hàscisciano, non vale la pena che si scomodi. » 5
Esiste quindi un tema che non incontreremo mai nelle
opere che fanno apparire la pura rete dei temi dell'io, ma
che in compenso torna insistentemente in altri testi fanta-
stici. La presenza o l'assenza di questo tema fornisce un
criterio formale per distinguere, all'interno della letteratura
fantastica due campi, di cui ciascuno è costituito da un
numero considerevole di elementi tematici.
130
un'avidità insaziabile quel globo seducente. Una sensazione
fino a quel momento ignota gli riempì il cuore di un misto di
angoscia e di voluttà. Un fuoco ardente lo percorse e mille
desideri sfrenati travolsero la sua immaginazione. Ferma-
tevi! gridò con voce smarrita. Non resisto più. » 8
In seguito, il desiderio di Ambrosio cambierà d'oggetto,
ma non di intensità. La scena in cui il monaco osserva
Antonia in uno specchio magico mentre questa si accinge a
fare il bagno, ne è la prova; ancora una volta, « i suoi
desideri si erano mutati in frenesia ». 9 E ancora, durante un
tentativo fallito di stupro: « Il cuore gli batteva in gola,
mentre con lo sguardo divorava quelle forme che presto
sarebbero state la sua preda. (... ) Provò un piacere vivo e
rapido che lo infiammò sino alla frenesia. » 10 Si tratta real-
mente di un'esperienza che per la sua intensità non si può
paragonare a nessun'altra.
Di conseguenza non sarà sorprendente scoprire la rela-
zione con il soprannaturale: sappiamo già che questo fa
sempre la sua comparsa in un'esperienza dei limiti, in stati
« superlativi ». Il desiderio, come tentazione sensuale, trova
la propria incarnazione in alcune delle figure frequenti nel
mondo soprannaturale, in particolare in quella del diavolo.
Semplificando, si può dire che diavolo è solo un'altra parola
per designare la libido. Come verremo a sapere, la seducente
Matilda di Il monaco, è « uno spirito secondario, ma mali-
gno », servitore fedele di Lucifero. E già in Il diavolo inna-
morato abbiamo un esempio non ambiguo dell'identicità
del diavolo e dell~ donna o, più esattamente, del desiderio
sessuale. In Cazotte, il diavolo non cerca di impadronirsi
detranima eterna di Alvaro; proprio come una donna, si
contenta di possederlo quaggiù, sulla terra. L'ambiguità in
cui viene mantenuto il deciframento da parte del lettore,
dipende in gran parte dal fatto che il comportamento di
131
Biondetta non differisce affatto da quello di una donna
innamorata. Prendiamo questa frase: « Si diffonde dovun-
que una voce, accreditata da molte lettere, secondo cui uno
spirito ha rapito un capitano delle guardie del re di Napoli e
l'ha portato a Venezia. »11 Non suona forse come la con-
statazione di un fatto mondano, in cui la parola « folletto »,
lungi dal designare un essere soprannaturale, sembra ap-
plicarsi a meraviglia a una donna? E nel suo epilogo, Ca-
zotte lo conferma: « Capita alla sua vittima quello che po-
trebbe capitare a un galantuomo, sedotto dalle apparenze
più oneste. » Non c'è differenza tra una semplice avventura
galante e quella di Alvaro con il diavolo; il diavolo è la
donna in quanto oggetto del desiderio.
Non diversamente accade nel Manoscritto trovato a Sa-
ragozza. Allorché Zibeddé tenta di sedurre Alfonso, gli pare
di vedere delle coma che spuntano sulla fronte della sua
bella cugina. Thibaud de la Jacquière crede di possedere
Orlandine e di essere « il più felice degli uomini»; 12 ma al
colmo del piacere, Orlandine si trasforma in Belzebù. In
un'altra delle storie inserite nel testo, si incontrano, simbolo
trasparente, le caramelle del diavolo, caramelle che provo-
cano il desiderio sessuale e che il diavolo offre di buona
grazia al protagonista. « Zorilla trovò la bomboniera;
mangiò due pasticche e ne offrì a sua sorella. Subito quel
che mi era parso di vedere, prese realtà: le due sorelle
furono dominate da un qualche impulso interno e vi si
abbandonarono senza conoscerlo.( ... )
Entrò la madre. (...) I suoi sguardi, cercande di evitare i
miei, caddero sulla fatale bomboniera; vi prese qualche
pasticca e se ne andò. Tornò poco dopo, mi accarezzò an-
cora, mi chiamò figlio suo e mi strinse tra le braccia. Mi
lasciò a malincuore e facendo un grande sforzo su se stessa.
Il turbamento dei miei sensi raggiunse il furore: nelle vene
sentivo circolare il fuoco, a malapena riuscivo a vedere gli
oggetti che erano intorno a me, una nebbia mi copriva la
vista. .
Mi avviai verso la terrazza: la porta delle fanciulle era
11 J. Cazotte, Il diavolo innamorato, Firenze, Sansoni, 1954, p. 60.
12 J. Potocki, Manoscritto trovato a Saragozza, Milano, Adelphi, 1965,
p. 134.
132
socchiusa, non potei trattenermi dall'entrare; il disordine
dei loro sensi era più grande del mio e mi spaventò. Volli
strapparmi alle loro braccia, ma non ne ebbi la forza. Entrò
la madre; il rimprovero si spense sulla sua bocca, e subito
dopo perse il diritto di farcene. » 13 C'è da aggiungere che
una volta vuotata la bomboniera, il trasporto dei sensi non
si interrompe; il dono del diavolo è proprio il risveglio del
desiderio che in seguito più nulla può far cessare.
Il severo abate Sérapion, in La morte innamorata, si
spingerà ancor più lontano in questo collocamento temati-
co: la cortigiana Clarimonde che fa del piacere il proprio
mestiere non è altro, per lui, che« Belzebù in persona ». 14
La persona dell'abate illustra insieme l'altro termine del-
l'opposizione, ovverosia Dio, e ancor più i suoi rappresen-
tanti sulla terra, i servitori della religione. Questo è, tra
l'altro, il modo in cui Romuald definisce il suo nuovo stato:
« Essere prete! Vale a dire, casto, non amare, non distin-
guere né sesso né età. » 15 E Clarimonde sa qual è il suo
avversario diretto: « Ah! quanto non sono io gelosa di Dio,
che tu hai amato e che ami ancora più di me! » 16
Il monaco ideale, quale appare in Ambrosia all'inizio del
romanzo di Lewis, è l'incarnazione dell'asessualità. « E
inoltre (dice un altro personaggio), ha fama di osservare così
strettamente il suo voto di castità che è del tutto incapace di
distinguere la differenza che esiste fra un uomo e una
donna ». 17
Alvaro, il protagonista di Il diavolo innamorato, vive nella
consapevolezza della stessa opposizione; e quando crede di
aver peccato comunicando con il diavolo, decide di rinun-
ciare alle donne e di farsi monaco. « Bisogna che mi faccia
prete. Adorabile sesso, debbo rinunziare a te ... » 18 Affer-
mare la sensualità, significa negare la religione; ecco perché
Vathek, il cui unico pensiero sono i propri piaceri, si com-
piace nel sacrilegio e nella bestemmia.
13 J. Potocki, op. cit., pp. 218-219.
14 T. Gautier, op. cit., p. 101.
15 T. G~utier, op. cit., p. 90.
16 T. Gautier, op. cit., p. 104.
17 M.G. Lewis, op. cit., p. 29.
18 J. Cazotte. op. cit., p. 86.
133
La stessa opposizione si riscontra nel Manoscritto trovato
a Saragozza. L'oggetto che impedisce alle due sorelle di
darsi ad Alfonso è il medaglione che costui porta al collo:
« È un medaglione che mi ha dato mia madre e che ho
promesso di portare sempre; contiene un pezzo della vera
croce », 19 e il giorno in cui lo accolgono nel loro letto, per
prima cosa Zibeddé taglia il nastro del medaglione. La
croce è incompatibile con il desiderio sessuale. ·
La descrizione del medaglione fornisce un altro elemento
che appartiene alla stessa opposizione: la madre come op-
posta alla donna. Perché le cugine si tolgano le cinture di
castità, occorre che Alfonso si sbarazzi del medaglione, re-
galo della madre. E, in La morte innamorata si trova questa
frase curiosa: « Non mi ricordavo di essere stato prete più di
quanto non mi ricordassi di ciò che avevo fatto nel seno di
mia madre. » 20 Vi è una specie di equivalenza tra la vita nel
corpo della madre e lo stato di prete, vale a dire il rifiuto
della donna come oggetto del desiderio.
Tale equivalenza occupa un posto centrale in Il diavolo
innamorato. La forza che impedisce ad Alvaro di darsi
completamente alla donna-diavolo Biondetta, è appunto
l'immagine di sua madre; ella apparirà in tutti gli istanti
decisivi della vicenda. Ecco un sogno di Alvaro in cui l'op-
posizione si manifesta senza travestimenti: « Credetti ve-
dere in sogno mia. madre. (... ) Mentre passavamo per una
stretta gola montana in cui io mi inoltravo tranquillamente,
una mano mi spinse improvvisamente in un precipizio: la
riconosco, è la mano di Biondetta. Sto per cadere nel vuoto,
un'altra mano mi trae indietro, e mi trovo tra le braccia di
mia madre. » 21 II diavolo spinge Alvaro nel precipizio della
sensualità: sua madre lo trattiene. Ma Alvaro cede sempre
di più alle grazie di Biondetta e la sua caduta non è lontana.
Un giorno, sorpreso dalla pioggia mentre passeggia per le
vie di Venezia, si rifugia in una chiesa. Avvicinandosi a una
19 J. Potocki, op. cit. In questa citazione è condensato un dialogo che il
lettore troverà riportato più diffusamente a pag. 90 dell'edizione italiana.
20 T. Gautier, op. ci1. Nelle edizioni italiane citate questa frase non·
risulta tradotta.
21 J. Cazoue, op. cii., p. 46.
134
delle statue, crede di riconoscervi sua madre. Capisce allora
che il suo amore nascente per Biondetta gliela fa dimenti-
care e decide di lasciare la giovane donna per tornare da lei:
« Andiamo ad aprire il mio cuore a mia madre, corriamo a
metterci ancora una volta sotto quel dolce riparo. » 22
Il diavolo-desiderio si impadronirà di Alvaro prima che
questi abbia trovato protezione presso la madre. La scon-
fitta di Alvaro sarà completa, ma non per questo definitiva.
Proprio come se si trattasse di una semplice relazione ga-
lante, il dottor Quebracuernos gli indica la via della salvez-
za: « Unitevi con legittimi vincoli ad una donna; che la
vostra rispettabile madre presieda alla vostra scelta. » 23 La
relazione con una donna, per non essere diabolica, deve
sentirsi sorvegliata e censurata maternamente.
Al di là di questo amore intenso, ma « normale » per una
donna, la letteratura fantastica illustra diverse specie di
trasformazioni del desiderio. La maggior parte non appar-
tiene veramente al soprannaturale, ma piuttosto a uno
« strano » sociale. L'incesto ne costituisce una delle varietà
più frequenti. Già in Perrault (Pelle d'asino), si trova il
padre criminale, innamorato della figlia; Le Mille e una
notte narrano casi d'amore tra fratello e sorella (Racconto
del primo mendicante), tra madre e figlio (Storia di Qamar
Az-Zamtin figlio del re Shahrimàn). In// monaco, Ambrosio
si innamora della propria sorella, Antonia, la violenta e la
uccide dopo aver assassinato la madre. Nell'episodio di
Barkiarokh, in Vathek, l'amore del protagonista per la fi-
glia, per poco non giunge a compimento.
L'omosessualità è un'altra varietà d'amore ripresa di fre-
quente dalla letteratura fantastica. Vathek può ancora ser-
virci da esempio: non soltanto nella descrizione dei ragaz-
zini massacrati dal Califfo o in quella di Gulchenrouz, ma
anche e soprattutto nell'episodio di Alasi e Firuz, dove la
relazione omosessuale verrà tardivamente attenuata: il
principe Firuz era in realtà la principessa Firuzkah. Da
notare che la letteratura dell'epoca (come osserva André
Parreaux nel libro su Beckford) gioca spesso sull'ambiguità
22 J. Cazotte, op. cit., p. 58.
23 J. Cazotte, op. cit.. p. 91.
135
circa il sesso della persona amata: si veda ad esempio
Biondetto-Biondetta in Il diavolo innamorato, Firuz-Firuz-
kah in Vathek, Rosario-Matilda in Il monaco.
Una terza varietà del desiderio potrebbe essere caratte-
rizzata come« l'amore a più di due », del quale l'amore a tre
è la forma più corrente. Questo tipo di amore non ha niente
di sorprendente nei racconti orientali: il terzo mendicante
(in Le Mille e una notte) vive infatti tranquillo con le sue
quaranta mogli. In una scena già citata del Manoscritto
trovato a Saragozza, abbiamo visto Hervas a letto con tre
donne, la madre e le due figlie.
In realtà, il Manoscritto offre alcuni esempi complessi che
combinano le varietà enumerate fino a questo momento.
Ad esempio, la relazione di Alfonso con Zibeddé ed Emina,
che è in primo luogo omosessuale, poiché le due fanciulle
vivono già insieme prima di incontrare Alfonso. Descri-
vendo la loro giovinezza, Emina parla continuamente di
quelle che chiama « le nostre inclinazioni», della « infeli-
cità di vivere l'una senza l'altra», del desiderio di« sposare
lo stesso uomo» per non doversi separare. Quest'amore è
anche di carattere incestuoso, poiché Zibeddé ed Emina
sono sorelle (e anche Alfonso è un parente, essendo loro
cugino). Infine, è sempre un amore a tre: nessuna delle due
sorelle incontra Alfonso da sola. All'incirca la stessa cosa
accade nel caso di Pacheco che condivide il letto di Inesilla e
di Camilla (questa dichiara: « Esigo che un unico letto ci
serva questa notte. »24 ) ora, Camilla è la sorella di Inesilla e
la situazione è resa ancor più complicata dal fatto che Ca-
milla è la seconda moglie del padre di Pacheco, vale a dire
che in un certo senso è sua madre, e Inesilla sua zia.
Il Manoscritto ci presenta un'altra varietà di desiderio che
si awicina al sadismo, con la principessa di Mont-Salemo la
quale racconta come si compiacesse« a mettere alla prova
in ogni maniera la sottomissione delle mie donne (... ) le
punivo con pizzicotti·o pungendole con delle spille nelle
braccia e nelle cosce ». 25
In questo caso si raggiunge la crudeltà pura, la cui origine
24 J. Potocki, op. cit., p. 34.
25 J. Potocki, op. cit., p. 171.
136
sessuale non è sempre apparente. In compenso tale origine
si lascia identificare in un passo di Vathek, nella descrizione
di una gioia sadica: « Carathis, che non perdeva mai di vista
il suo obiettivo principale, che era quello di ottenere i favori
delle potenze delle tenebre, riunì le più belle e le più gentili
signore della città; soltanto, nel mezzo delle feste, aveva
l'abitudine di fare entrare vipere e di aprire sotto la tavola
vasi pieni di scorpioni. Tutti credettero in un prodigio; e
Carathis avrebbe lasciato morire le sue amiche se non fosse
stato che, per passare il tempo, ogni tanto si divertiva a
curare le loro ferite con un eccellente anodino di sua in-
venzione: giacché questa buona principessa aborriva dal-
l'ozio. » 26
Nel Manoscritto trovato a Saragozza, le scene di crudeltà
non si diversificano nello spirito. Si tratta di torture che
provocano un piacere in colui che le infligge. Eccone un
primo esempio dove la crudeltà è così intensa che viene
attribuita a forze soprannaturali. Pacheco è torturato dai
due impiccati demoni: « Allora l'altro impiccato, che mi
aveva afferrato la gamba sinistra, volle anche lui giocar
d'artigli: Prima cominciò a solleticarmi la pianta del piede
che teneva stretta. Poi, quel mostro, ne strappò la pelle, ne
separò tutti i nervi, li mise a nudo, e vqlle sonarvi come su
uno strumento musicale; ma, poiché non davo un suono che
potesse fargli piacere, affondò il suo sperone nel mio gi-
nocchio, strinse i tendini e cominciò a torcerli, come si fa per
accordare un'arpa. Infine si mise a sonare sulla mia gamba,
di cui aveva fatto un salterio. Udii il suo riso diabolico. » 27
Un'altra scena di crudeltà è esclusivamente opera di es-
seri umani: la troviamo nel discorso rivolto ad Alfonso dal
falso inquisitore: « Mio caro figlio, non ti spaventare di ciò
che sto per dirti. Ti si farà un po' di male. Vedi queste due
tavole: ci metteremo le tue gambe legandole strettamente
con una corda. Poi, in mezzo, saranno infilati i cunei che
vedi qui, e conficcati a colpi di martello. Prima di tutto, i
tuoi piedi si gonfieranno. Poi, il sangue sgorgherà dagli
alluci, e le unghie di tutte le altre dita cadranno. Infine ti si
26 W. Beckford, op. cii., pp. 38-39.
27 J. Potocki, op. cii., p. 37.
137
spezzerà la pianta del piede, e si vedrà uscire grasso me-
scolato a carni maciullate. Sentirai molto male. Non ri-
spondi niente; eppure questa è soltanto la tortura normale.
Intanto, perderai i sensi. Ecco delle boccette, piene di di-
verse essenze, con cui ti si farà rinvenire. Quando sarai
tornato in te, verranno tolti questi cunei per mettere questi
altri, molto più grossi. Al primo colpo, si spezzeranno gi-
nocchia e caviglie. Al secondo, le gambe si fenderanno per
tutta la loro lunghezza. Ne uscirà il midollo, misto a sangue,
e colerà su questa paglia. Non vuoi parlare? ... Avanti, date
inizio alla tortura. » 28
Attraverso un'analisi stilistica, si potrebbero cercare i
mezzi grazie ai quali questo passo raggiunge il suo effetto.
Non vi è sicuramente estraneo il tono calmo e metodico
dell'inquisitore, come pure la precisione dei termini che
designano le parti del corpo. Si noti altresì che negli ultimi
due esempi, si tratta di una violenza puramente verbale: le
descrizioni non riguardano un avvenimento realmente ac-
caduto nell'universo del libro. Benché il primo sia al passa-
to, il secondo al futuro, ambedue in pratica appartengono a
un mondo non reale, virtuale: sono descrizioni di minaccia.
Alfonso non vive quelle crudeltà, e nemmeno le osserva.
Vengono descritte, vengono concettualizzate davanti a lui.
Non sono i gesti ad essere violenti, giacché in realtà non vi è
alcun gesto. Sono .le parole. La violenza si esercita non
soltanto attraverso il linguaggio (in letteratura non si tratta
mai di altro), ma anche, precisamente, nel linguaggio.
L'atto di crudeltà consiste nell'articolazione di certe frasi,
non in una successione di atti effettivi.
Il monaco ci presenta un'altra varietà di crudeltà, che non
si riferisce a chi la esercita e che perciò non provoca una
gioia sadica nel personaggio: la natura verbale della vio-
lenza, come pure la sua funzione, che si esercita diretta-
mente sul lettore, ne risultano ancor più chiare. In questo
caso gli atti di crudeltà non mirano a caratterizzare un
personaggio, ma le pagine in cui sono descritti rinforzano e
rifiniscono sottilmente l'atmosfera di sensualità in cui è
immersa l'azione. Ce ne fornisce un esempio la morte di
28 J. Potocki, op. cit., p. 61.
138
Ambrosio. Quella della badessa di cui Artaud, nella sua
traduzione, ha sottolineato incisivamente la violenza, è an-
cor più atroce. « I ribelli avevano in pugno la vendetta e non
erano disposti a lasci~rsela sfuggire. Investirono la superio-
ra con gli insulti più immondi, la trascinarono per terra e le
riempirono il corpo e la bocca di escrementi; se la rilancia-
vano tra di loro e ciascuno trovava, per infierire su di lei,
qualche nuova atrocità. Calpestarono le sue grida a colpi di
stivali, la denudarono e trascinarono il suo corpo sul selciato
mentre andavano flagellandolo e coprendo le sue ferite di
lordure e di sputi. Dopo averla trascinata per i piedi ed
essersi divertiti a far rimbalzare le pietre_ sul suo capo in-
sanguinato, la rimettevano in piedi e, a pedate, la costrin-
gevano a correre. Poi, un sasso lanciato da mano esperta le
squarciò le tempia. Cadde a terra e qualcuno le spaccò il
cranio con un colpo di tacco. In capo a qualche istante, ella
spirava. Si accanirono ancora su di lei, e benché non sentisse
niente e non fosse in grado di rispondere, la plebaglia con-
tinuò a chiamarla con i nomi più odiosi. Il suo corpo fu fatto
rotolare ancora per un centinaio di metri e la folla ne ebbe
abbastanza solo allorché non fu più che una massa di carne
senza nome. » 29 (Essere « senza nome » è veramente il gra-
do estremo della distruzione).
139
ciderla, dopo averla violentata. Del resto la scena dello
stupro è posta sotto il segno che accomuna desiderio e
morte. « Il corpo intatto e candido di Antonia addormen-
tata che riposava tra due cadaveri in piena putrefazione. » 30
Questa variante della relazione, in cui il corpo desidera-
bile si trova accostato al cadavere, sarà dominante in Po-
tocki; ma in tal caso si slitta nuovamente dalla contiguità
alla sostituzione. La donna desiderabile si trasforma in ca-
davere: questo è lo schema dell'azione, continuamente ri-
petuto, nel Manoscritto trovato a Saragozza. Alfonso si è
addormentato con le due sorelle fra le braccia. Svegliandosi,
trova al loro posto due cadaveri. Lo stesso accadrà a Pa-
checo, a Ureda, Rebecca, Velazquez. L'avventura di Thi-
baud de la Jacquière è ancor più grave: crede di fare l'a-
more con una donna desiderabile ed ecco che ella diventa
insieme diavolo e cadavere: « Orlandine non c'era più. Al
suo posto Thibaud vide soltanto un viluppo orrendo di
forme sconosciute e schifose. (... ) L'indomani mattina, al-
cuni paesani che andavano a vendere la verdura al mercato
di Lione sentirono dei gemiti in una casupola ai margini
della strada che serviva da immondezzaio. Ci andarono e
trovarono Thibaud disteso su una carogna mezzo imputri-
dita. » 31 Si noti la differenza con Perrault: nelle sue novelle
la morte punisce direttamente la donna che cede ai propri
desideri; in Potocki, punisce l'uomo trasformando in cada-
vere l'oggetto del suo desiderio.
La relazione è ancora diversa in Gautier. Il prete di La
morte innamorata prova un certo turbamento sensuale nel
contemplare il corpo morto di Clarimonde; la morte non
gliela rende affatto invisa; al contrario, sembra persino ac-
crescere il suo desiderio. « Debbo confessarvelo? Quella
perfezione di forme, sebbene purificata e santificata dal-
l'ombra della morte, mi turbava voluttuosamente. » 32 Poi,
durante la notte, non si accontenta più della contemplazio-
ne. « La notte avanzava e, sentendo avvicinarsi il momento
della separazione eterna, non seppi rifiutarmi la triste e
30 M.G. Lewis, op. cii., pp. 317-318. Cfr. nota 8 p. 131.
31 J. Potocki, op. cii., p. 134.
32 T. Gautier, op. cit., p. 98.
140
suprema dolcezza di deporre un bacio sulle labbra morte di
colei che aveva avuto tutto il mio amore. » 33
Questo amore per la morte, qui presentato in forma leg-
germente velata e che in Gautier va di pari passo con l'a-
more per una statua, per l'immagine di un quadro ecc.,
porta il nome di necrofilia. Nella letteratura fantastica, di
solito la morte riveste la forma di un amore con dei vampiri
o con dei morti tornati tra i vivi. Questa relazione può di
nuovo venir presentata come la punizione di un desiderio
sessuale immoderato; ma può anche non essere sancito da
una valorizzazione negativa. Si pensi ad esempio al rap-
porto tra Romuald e Clarimonde: il prete scopre che Clari-
monde è un vampiro femmina, ma la scoperta non altera
affatto i suoi sentimenti. Dopo aver pronunciato un mono-
logo in onore del sangue, davanti a un Romuald che crede
addormentato, Clarimonde passa all'azione. « Finalmente
si decise, mi fece una lieve puntura col suo spillo e si diede a
succhiare il sangue che ne colava. Sebbene ne avesse bevuto
appena alcune gocce, presa dal timore di esaurirmi, mi
circondò il braccio d'una piccola fascia, dopo aver fregato la
puntura con un unguento che la fece tosto cicatrizzare. Non
potevo più aver dubbi. L'abate Sérapion aveva ragione. Ma,
ad onta di questa certezza, non potevo tralasciare d'amare
Clarimonde, e le avrei dato volentieri tutto il sangue di cui
aveva bisogno per serbare la sua fittizia esistenza. (... ) Mi
sarei tagliato il braccio da me stesso e le avrei detto: ,Bevi e
che il mio amore s'infiltri nel tuo corpo col mio sangue!, »34
La relazione tra morte e sangue, amore e vita, è qui evi-
dente.
Allorché vampiri e diavoli si trovano « dalla parte buo-
na», c'è da aspettarsi di vedere preti e spirito religioso
condannati e trattati con i peggiori appellativi: perfino con
quello di diavolo! Questo rovesciamento integrale lo si ri-
trova anche in La morte innamorata. Si consideri quella
incarnazione della morale cristiana, l'abate Sérapion, che si
sente in dovere di disseppellire il corpo di Clarimonde e di
ucciderla una seconda volta: « Lo zelo di Sérapion aveva
33 T. Gautier, op. cit., p. 99.
34 T. Gautier, op. cit., p. I IO.
141
qualche cosa di duro e di selvaggio che lo faceva assomi-
gliare a un demone, assai più che ad un apostolo o ad un
angelo... ». 35 In // monaco, Ambrosio si stupisce di vedere
l'ingenua Antonia che legge la Bibbia: « Come, - pensò -
legge la Bibbia e la sua innocenza non ne è deflorata? »36
Si ritrova quindi, in svariati testi fantastici, una stessa
struttura, ma diversamente valorizzata. Oppure, in nome
dei principi cristiani, l'amore carnale, intenso, se non im-
moderato, e tutte le sue trasformazioni, sono condannati; o
anche lodati. Ma l'opposizione è sempre la stessa, con lo
spirito religioso, con la madre ecc. Nelle opere in cui l'a-
more non è condannato, le forze soprannaturali interven-
gono per aiutarlo a compiersi. Ne troviamo già un esempio
in Le Mille e una notte dove Aladino riesce a realizzare il suo
desiderio appunto con l'aiuto di strumenti magici, l'anello e
la lampada. L'amore di Aladino per la figlia del sultano
sarebbe restato per sempre un sogno, senza l'intervento
delle forze soprannaturali.
Stessa cosa in Gautier. Grazie alla vita che conserva an-
che dopo la morte, Clarimonde permette a Romuald di
realizzare un amore ideale, anche se condannato dalla reli-
gione ufficiale (e noi abbiamo visto che proprio l'abate
Sérapion, non era lontano dall'assomigliare ai demoni).
Perciò non è il pentimento che alla fine domina l'anima di
Romuald: « L'ho rimpianta più di una volta, - dirà, - e la
rimpiango ancora. » 37 Questo tema trova il suo pieno svi-
luppo nell'ultimo racconto fantastico di Gautier, Spirite. 38
Guy de Malivert, protagonista del racconto, si innamora
dello spirito di una fanciulla morta e grazie alla comunica-
zione che si stabilisce fra di loro, scopre l'amore ideale che
cercava invano nelle donne terrestri. Questa sublimazione
del tema dell'amore, ci fa lasciare la rete dei temi che sono al
centro della nostra attenzione, per rientrare in un'altra rete,
quella dell'io.
3S T. Gautier, op. cit., p. 112.
36 M.G. Lewis, op. cit., p. 215. Cfr. nota 8 p. 13 I.
37 T. Gautier, op. cit., p. 113.
38 T. Gautier, Spirite, 1872 (trad. it. Spirito, Bologna, Cappelli,
1930).
142
Riassumendo il nostro percorso vediamo che il punto di
partenza di questa seconda rete rimane il desiderio sessuale.
La letteratura fantastica si dedica alla descrizione partico-
lare delle sue forme immoderate e delle sue diverse tra-
sformazioni, o, se si vuole, delle sue perversioni. Un posto a
parte spetta alla crudeltà e alla violenza, anche se la loro
relazione con il desiderio non lascia adito a dubbi. Analo-
gamente, le preoccupazioni circa la morte, la vita dopo la
morte, i cadaveri e il vampirismo, sono legate al tema del-
l'amore. Il soprannaturale non si manifesta con eguale in-
tensità in ciascuno di questi casi: quando appare è per dare
la misura dei desideri sessuali particolarmente violenti e per
introdurci nella vita dopo la morte. In compenso, la crudeltà
e le perversioni umane non oltrepassano di solito i limiti del
possibile e quindi abbiamo a che fare soltanto con qualcosa,
diciamo così, di socialmente strano e improbabile.
Abbiamo visto che potevamo interpretare i temi dell'io
come altrettante messe in opera della relazione tra l'uomo e
il mondo, del sistema percezione-coscienza. Nel secondo
caso, niente di simile. Se vogliamo interpretare i temi del tu
sullo stesso piano di generalità, dovremo dire che si tratta
piuttosto della relazione dell'uomo con il suo desiderio, e di
conseguenza con il suo inconscio. Il desiderio e le sue di-
verse variazioni, ivi compresa la crudeltà, sono altrettante
figure in cui si trovano ad essere incluse le relazioni tra
esseri umani; al tempo stesso il possesso dell'uomo da parte
di quelli che possiamo chiamare sbrigativamente i suoi
« istinti » pone il problema della struttura della personalità,
della sua organizzazione interna. Se i temi dell'io implica-
vano essenzialmente una posizione passiva, qui in com-
penso osserviamo una forte azione sul mondo circostante;
l'uomo non resta più un osservatore isolato, ma entra in una
relazione dinamica con altri uomini. Infine, se fosse possi-
bile assegnare alla prima rete i « temi dello sguardo », per
l'importanza che la vista e la percezione in generale vi
assumevano, qui dovremmo parlare caso mai di« temi del
discorso », dato che il linguaggio è, in effetti, la forma per
eccellenza, e l'agente strutturante, della relazione dell'uomo
con gli altri.
143
9 I temi del fantastico: conclusione
144
attività distinte: la struttura e il senso, la poetica e l'inter-
pretazione. Ogni opera possiede una struttura che è la messa
in relazione di elementi desunti dalle diverse categorie del
discorso letterario, e questa struttura è al tempo stesso il
luogo del senso. In poetica, ci si contenta di stabilire la
presenza di certi elementi nell'opera; ma si può acquisire un
alto grado di certezza, poiché questo tipo di conoscenza si
lascia verificare da una serie di procedure. Quanto al critico,
egli si propone un compito più ambizioso: designare il senso
dell'opera. Ma il risultato della sua attività non può pre-
tendere di essere né scientifico, né «obiettivo». Natural-
mente esistono interpretazioni che si giustificano più di
altre, ma nessuna può affermare di essere la sola vera.
Poetica e critica non sono perciò niente altro che istanze di
un'opposizione più generale tra scienza e interpretazione.
In pratica, questa opposizione i cui termini sono tra l'altro
égualmente degni di interesse, non è mai pura. L'accento
posto sull'uno o sull'altro, permette di mantenerli distinti.
Non a caso, studiando un genere, ci siamo posti nella pro-
spettiva della poetica. Il genere rappresenta appunto una
struttura, una configurazione di proprietà letterarie, un in-
ventario di possibili. Ma l'appartenenza di un'opera a un
genere non ce ne chiarisce ancora il senso. Ci permette
soltanto di constatare l'esistenza di una certa regola con la
quale quell'opera - e diverse altre - debbono fare i conti.
Si aggiunga che ciascuna delle due attività ha un oggetto
d'elezione: quello della poetica è la letteratura in generale,
con tutte le sue categorie, le cui diverse combinazioni for-
mano i generi; quello dell'interpretazione, invece, è l'opera
particolare; ciò che interessa il critico non è quello che
l'opera ha in comune con il resto della letteratura, ma quello
che ha di specifico. Questa diversità di intenti provoca ov-
viamente una diversità di metodo: mentre per la poetica si
tratta della conoscenza di un oggetto ad essa esteriore, la
critica tende a identificarsi con l'opera, a farsene il soggetto.
Riprendendo la nostra discussione sulla critica tematica,
notiamo che nella prospettiva dell'interpretazione, essa
trova quella giustificazione che le mancava nella prospetti-
va della poetica. Noi abbiamo rinunciato a descrivere l'or-
145
ganizzazione delle immagini che si realizza alla superficie
del testo. Ciò nondimeno essa esiste. È legittimo osservare,
all'interno di un testo, la relazione che si stabilisce tra il
colore del viso di un fantasma, la forma della botola in cui
scompare, !_'odore singolare che ha lasciato la sua scom-
parsa. Un tale compito, incompatibile con i principi del-
la poetica, trova il proprio posto nell'ambito dell'interpre-
tazione.
Non avremmo avuto bisogno df evocare questa opposi-
zione se l'oggetto in questione non fossero, appunto, i temi.
In generale si accetta l'esistenza di due punti di vista, quello
della critica e quello della poetica, quando si tratta degli
aspetti verbali o sintattici dell'opera: l'organizzazione foni-
ca o ritmica, la scelta delle figure retoriche o dei procedi-
menti di composizione, sono da tempo oggetto di uno studio
più o meno rigoroso, Ma fino ad oggi l'aspetto semantico, o
i temi della letteratura, sono sfuggiti a questo studio: come
in linguistica vi era stata fino a tempi recenti la tendenza a
escludere il senso, e pertanto la semantica, dai limiti della
scienza, per non occuparsi che di fonologia e di sintassi,
analogamente negli studi letterari si accetta un approccio
teorico degli elementi « formali » dell'opera quali il ritmo e
la composizione, ma lo si rifiuta non appena vi siano in
gioco i «contenuti». Si è visto tuttavia fino a che punto
l'opposizione tra forma e contenuto fosse non pertinente. In
compenso possiamo distinguere tra una struttura, costituita
da tutti gli elementi letterari, ivi compresi i temi, e il senso
che verrà conferito da un critico: non soltanto ai temi, ma a
tutti gli aspetti dell'opera. Sappiamo ad esempio che i ritmi
poetici (giambo, trocheo ecc.) hanno posseduto, in certe
epoche, delle interpretazioni affettive: gaio, triste ecc. Pro-
prio in questo studio abbiamo osservato che un procedi-
mento stilistico come la modalizzazione poteva avere un
senso preciso in Aurélia, stando a significare l'esitazione
propria del fantastico.
Abbiamo cercato quindi di procedere a uno studio dei
temi che li collochi sullo stesso piano di generalità dei ritmi
poetici; abbiamo stabilito due reti tematiche senza preten-
dere di offrire insieme un'interpretazione dei temi, quali
146
essi appaiono in ogni opera particolare. E ciò per evitare
ogni malinteso. ·
147
bero considerare tutte le immagini come allegorie, e noi
abbiamo visto che l'allegoria implica un'indicazione espli-
cita di un senso diverso, il che ne fa un caso del tutto
particolare. Di conseguenza non seguiremo Penzoldt
quando, a proposito del genio che esce dalla bottiglia (Le
Mille e una notte), scrive: « Il Genio è evidentemente la
personificazione del desiderio, mentre il tappo della botti-
glia, piccolo e debole com'è, rappresenta gli scrupoli morali
dell'uomo. » 1 Noi rifiutiamo questo modo di ridurre le im-
magini a significanti i cui significati sarebbero dei concetti.
Il che implicherebbe l'esistenza di un limite reciso tra gli uni
e gli altri, limite impensabile, come vedremo in seguito.
148
della causalità, dello spazio e del tempo. È merito di Piaget
aver dimostrato che questa trasformazione avviene appunto
grazie al linguaggio, anche quando ciò non appare a prima
vista. Si ricordi a proposito del tempo: « Il bambino, grazie
al linguaggio, diventa capace di ricostituire le proprie azioni
passate sotto forma di racconto e di anticipare le azioni
future con la rappresentazione verbale. »2 Il tempo, come si
ricorda, durante la prima infanzia non era la linea che con-
giunge questi tre punti, ma piuttosto un presente eterno
(evidentemente assai diverso dal presente che noi cono-
sciamo e che è una categoria verbale), elastico o infinito.
Eccoci così ricondotti al secondo accostamento che ave-
vamo stabilito: quello della stessa rete tematica con il
mondo della droga nel quale avevamo trovato una medesi-
ma concezione inarticolata e duttile del tempo. C'è da ag-
giungere che si tratta anche questa volta di un mondo senza
linguaggio: la droga si rifiuta alla verbalizzazione. C'è
inoltre da aggiungere che l'altro continua a non avere esi-
stenza autonoma, si identifica con l'io senza concepirlo co-
me indipendente.
Un altro punto comune ai due universi, quello dell'in-
fanzia e quello della droga, riguarda la sessualità. Si ricor-
derà che l'opposizione che ci ha permesso di stabilire l'esi-
stenza di due reti, si riferiva appunto alla sessualità (in Louis
Lambert). Questa (o più esattamente la sua forma corrente
ed elementare) si trova esclusa sia dal mondo della droga
che da quello dei mistici. Il problema appare più complesso
allorché si tratta dell'infanzia. Il lattante non vive in un
mondo senza desiderio, ma il suo desiderio è prima di tutto
« autoerotico »; la scoperta successiva è quella del desiderio
orientato verso un oggetto. Quanto allo stato di supera-
mento delle passioni, che si raggiunge attraverso la droga
(superamento cui mirano anche i mistici) e che si potrebbe
qualificare di panerotico, esso è una trasformazione della
sessualità che si apparenta con la «sublimazione». Nel
primo caso, il desiderio ha un oggetto esteriore; nel secon-
2 J. Piaget, Six Etudes de psychologie, Paris, Gouthier, 1967 (trad. it. Lo
sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Torino, Einaudi,
1967). ·
149
do, il suo oggetto è il mondo intero. Tra i due, si colloca il
desiderio« normale».
E veniamo al terzo accostamento indicato nel corso dello
studio dei temi dell'io, e che riguarda la psicosi. Anche qui il
terreno è incerto; siamo infatti portati a basarci su descri-
zioni (del mondo psicotico) fatte a partire dall'universo
dell'uomo « normale ». Il comportamento dello psicotico si
trova evocato non come un sistema coerente, ma come la
negazione di un altro sistema, come una deviazione. Par-
lando del « mondo dello schizofrenico », o del « mondo del
bambino », non maneggiamo che simboli di questi stati,
nella forma in cui sono elaborati dall'adulto non schizofre-
nico. Lo schizofrenico, ci dicono, rifiuta la comunicazione e
l'intersoggettività. E la sua rinuncia al linguaggio lo porta a
vivere in un presente eterno. Al posto del linguaggio co-
mune, egli instaura un « linguaggio privato » (il che è evi-
dentemente una contraddizione, e quindi anche un antilin-
guaggio). Parole desunte dal lessico comune prendono un
senso nuovo che lo schizofrenico mantiene individuale: non
si tratta semplicemente di far variare il senso delle parole,
ma di impedire che queste assicurino una trasmissione au-
tomatica di tale senso. « Lo schizofrenico, scrive Kasanin,
non ha nessuna intenzione di cambiare il suo metodo di
comunicazione, altamente indiv!duale, e pare che si rallegri
del fatto che non lo si capisca. »3 Il linguaggio diventa allora
un mezzo per tagliarsi fuori dal mondo, in contrasto con la
sua funzione di mediatore.
Il mondo dell'infanzia, della droga, della schizofrenia, del
misticismo formano tutti insieme un paradigma al quale
appartengono anche i temi dell'io (il che non significa che
non esistano fra di loro differenze notevoli). Le relazioni tra
questi termini, presi a due a due, sono state spesso rilevate.
Balzac scriveva in Louis Lambert: « Certi libri di Jacopo
Bòhme, di Swedenborg, o di madama Guyon , la cui lettura
penetrante fa sorgere fantasie multiformi come i sogni pro-
dotti dall'oppio. »4 Inoltre, si è spesso accostato il mondo
3 J.S. Kasanin, Language and thouglzt in schizophrenia (Linguaggio e
pensiero nella schizofrenia), New York, W.W. Norton & Co., 1964.
4 H. de Balzac, Luigi Lambert, Milano, Corbaccio, 1928, pp. 55-56.
150
dello schizofrenico a quello del bambino in tenera età. In-
fine, non a caso il mistico Swedenborg era schizofrenico, né
a caso l'uso di certe droghe potenti può condurre a stati
psicotici.
Sarebbe tentante, a questo punto, stabilire un accosta-
mento della nostra seconda rete, i temi del tu, con l'altra
grande categoria delle malattie mentali: la nevrosi. Acco-
stamento superficiale che potrebbe fondarsi sul fatto che la
parte decisiva attribuita alla sessualità e alle sue variazioni
nella seconda rete, sembra proprio ritrovarsi nelle nevrosi:
le perversioni, è già stato detto abbastanza, sono l'esatto
«negativo» delle nevrosi. Noi seguitiamo ad essere consa-
pevoli delle semplificazioni subite, qui come in precedenza,
dai concetti derivati. Se ci permettiamo di stabilire facili
passaggi tra psicosi e schizofrenia, è perché crediamo di
metterci su un piano sufficientemente alto di generalità. Le
nostre affermazioni sanno di essere approssimative.
L'accostamento diventa molto più significativo non ap-
pena si faccia appello alla teoria psicoanalitica per fondare
questa tipologia. Freud ha affrontato il problema poco do-
po la sua seconda formulazione della struttura della psiche.
Ecco in qual modo:« La nevrosi è il risultato analogo di una
perturbazione similare della relazione tra l'io e il mondo
esteriore. »5
E per illustrare l'opposizione, Freud cita un esempio.
« Una giovane donna che era innamorata del cognato e la
cui sorella stava morendo, inorridiva nel pensare <Adesso è
libero e ci possiamo sposare!, L'oblio istantaneo di tale
pensiero permise la messa in ,moto del processo repressivo
con conseguenti disturbi isterici. È tuttavia interessante ve-
dere in un caso simile il modo in cui la nevrosi tende a
risolvere il conflitto. Essa spiega il cambiamento della realtà
reprimendo la soddisfazione della pulsione, nella fattispecie
l'amore per il cognato. Una reazione psicotica avrebbe ne-
gato il fatto che la sorella era morente. »6
A questo punto non ci allontaniamo molto dalla nostra
5 S. Frcnd. Gesammelre Werke, v. XIII. p. 391, London. Imago Publi-
shing Co., 1940.
6 S. Freud, op. cit., p. 410.
151
suddivisione. Abbiamo visto che i temi dell'io si fondavano
su una rottura dei limiti tra psichico e fisico: pensare che
qualcuno non è morto, volerlo da una parte, e percepire
questo stesso fatto nella realtà dell'altro, sono due fasi di
uno stesso moto e il passaggio tra loro avviene senza nessu-
na difficoltà. Nell'altro registro le conseguenze isteriche
della repressione dell'amore per il cognato assomigliano a
quegli atti «immoderati» legati al desiderio sessuale che
abbiamo incontrato quando facevamo l'inventario dei temi
del tu.
Non basta: abbiamo già parlato, a proposito dei temi
dell'io, del ru~lo essenziale della percezione, della relazione
con il mondo esteriore; ed ecco che la ritroviamo alla base
delle psicosi. Abbiamo visto altresì che non potevamo con-
cepire i temi del tu senza dover tener conto dell'inconscio e
delle pulsioni la cui repressione crea la nevrosi. Possiamo
quindi affermare a buon diritto che sul piano della teoria
psicoanalitica, la rete dei temi dell'io corrisponde al sistema
percezione-coscienza; quello dei temi del tu, a quello delle
· pulsioni inconsce. C'è da notare che la relazione con altrui,
al livello in cui essa concerne la letteratura fantastica, si
ritrova da quest'ultima parte. Nel notare questa analogia,
non intendiamo dire che nevrosi e psicosi si ritrovino nella
letteratura fantastica, o, inversamente, che tutti i temi della
letteratura fantastica siano reperibili nei manuali di psico-
patologia.
Ma ecco un nuovo pericolo. Tutti questi riferimenti po-
trebbero far credere che la nostra critica è decisamente del
tipo detto psicoanalitico. Per meglio situare, e differenziare,
quella che è la nostra posizione, ci soffermeremo quindi un
istante su questa metodologia critica. Particolarmente ap-
propriati due esempi: le pagine che lo stesso Freud ha
dedicato allo strano, e il libro di Penzoldt sul soprannatu-
rale.
Nello studio di Freud sullo strano, non possiamo che
constatare il duplice carattere dell'investigazione psicoana-
litica. Si direbbe che la psicoanalisi è insieme una scienza
· delle strutture e una tecnica di interpretazione. Nel primo
caso, descrive un meccanismo: quello, si potrebbe dire,
152
dell'attività psichica; nel secondo, rivela il senso finale delle
configurazioni così descritte. Risponde sia alla domanda
«come» che alla domanda« che cosa».
Ecco un'illustrazione del secondo atteggiamento in cui
l'attività dell'analista può essere definita come un decifra-
mento. « Quando qualcuno sogna una località o un pae-
saggio e pensa in sogno: - Io lo conosco, sono già stato qui
- l'interpretazione è autorizzata a sostituire il luogo con gli
organi genitali o il corpo materno. »7 L'immagine onirica ivi
descritta è presa singolarmente, indipendentemente dal
meccanismo di cui fa parte; in compenso, ce ne viene rive-
lato il senso. In questo caso è qualitativamente diverso dalle
immagini; il numero di questi sensi ultimi è ristretto e im-
mutabil~. Ancora: « Molta gente assegnerebbe il premio
dell'inquietante stranezza (Unheimliche) all'idea di essere
sepolti vivi in stato di letargia. Eppure la psicoanalisi ce l'ha
detto: questo spaventoso fantasma non è che la trasforma-
zione di un altro fantasma che in origine non aveva niente di
spaventoso e si associava anzi a una certa voluttà, vale a dire
il fantasma della vita nel corpo materno. »8 Ci troviamo di
nuovo davanti a una traduzione: una certa immagine fan-
tastica ha un certo contenuto.
Esiste tuttavia un altro atteggiamento in cui lo psicoana-
lista tende a non rivelare il senso ultimo dell'immagine, ma
a legare due immagini fra di loro. Analizzando L'Orco
Insabbia di Hoffmann, Freud scrive: « Questa bambola
automa (Olimpia) non può essere altro che la materializza-
zione dell'atteggiamento femminile di Nataniele verso il
padre nella prima infanzia. » 9
L'equazione stabilita da Freud non collega più soltanto
un'immagine e un senso (benché continui a farlo), ma due
elementi testuali: la bambola Olimpia e l'infanzia di Nata-
153
niele, entrambi presenti nella novella di Hoffmann. In
questo modo l'osservazione di Freud non ci illumina tanto
sull'interpretazione da dare alla lingua delle immagini
quanto sul meccanismo di tale lingua, sul suo funziona-
mento interno. Nel primo caso si poteva paragonare l'atti-
vità dello psicoanalista a quella di un traduttore; nel se-
condo si apparenta con quella del linguista. Si potrebbero
trovare numerosi esempi di questi due tipi in L'interpreta-
zione dei sogni. 10
Noi non riterremo che una sola di queste due possibili
direzioni di ricerca. Come abbiamo già sufficientemente
ripetuto, l'atteggiamento del traduttore è incompatibile con
la nostra posizione nei confronti della letteratura. Noi cre-
diamo che la letteratura significhi soltanto se stessa e quindi
non riteniamo che una traduzione sia necessaria. Ciò che in
compenso ci sforziamo di fare, è di descrivere il funziona-
mento del meccanismo letterario (benché non vi sia una
frontiera invalicabile fra traduzione e descrizione ... ). È in
questo senso che può esserci utile l'esperienza della psicoa-
nalisi (la psicoanalisi non è qui che una branca della se-
miotica). Il nostro riferimento alla struttura della psiche fa
parte di questo tipo di derivazione. Il procedimento teorico
di un René Girard può esser considerato come esemplare.
Quando gli psicoanalisti si sono interessati alle opere
letterarie, non si sono contentati di descriverle a qualunque
livello fosse. Cominciando da Freud, hanno sempre avuto
tendenza a considerare la letteratura come una via fra tante
altre per penetrare nella psiche dell'autore. La letteratura si
trova allora ridotta al rango di semplice sintomo e l'autore
costituisce il vero oggetto da studiare. Così, dopo aver de-
scritto l'organizzazione di L'orco Insabbia, Freud, senza
transizione, indica nell'autore ciò che può fornirne la chia-
ve:« E.T.A. Hoffmann era nato da un matrimonio infelice.
Quando aveva tre anni, il padre si allontanò dalla famigliola
e non ritornò mai più a casa. » 11 Questo atteggiamento che
IO S. Freud, Die Traumdeutung, 1900 (Trad. it. L'interpretazione dei
sogni, v. Ili, Torino, Boringhieri, 1966).
11 S. Freud, Essais de psychanalyse appliquée, Paris, Gallimard, l 933, p.
184.
154
da allora è stato spesso criticato, oggi non è più di moda;
tuttavia è necessario precisare le ragioni del rifiuto che noi
gli opponiamo.
Non basta dire infatti che ci interessiamo alla letteratura e
ad essa sola, e che pertanto rifiutiamo ogni informazione
sulla vita dell'autore. La letteratura è sempre qualcosa di
più della letteratura e vi sono certamente dei casi in cui la
biografia dello scrittore si trova ad essere in una relazione
pertinente con la sua opera. Bisognerebbe soltanto che
questa relazione, per essere utilizzabile, fosse presentata
come uno dei tratti dell'opera stessa. Hoffmann, che è stato
un bambino infelice, descrive le paure dell'infanzia, ma
perché questa constatazione avesse un valore esplicativo,
occorrerebbe provare che tutti gli scrittori infelici durante
l'infanzia fanno la stessa cosa, e che tutte le descrizioni delle
paure infantili sono fatte da scrittori la cui infanzia è stata
infelice. Non potendo stabilire l'esistenza dell'una o del-
l'altra relazione, constatare che Hoffmann era infelice da
bambino, equivale solo a indicare una coincidenza, senza
valore esplicativo.
Da tutto questo si deve dedurre che le analisi psicoanali-
tiche possono avvantaggiare gli studi letterari quando esse
vertono sulle strutture del soggetto umano in genere, più di
quando si interessano di letteratura. Come capita spesso,
l'applicazione troppo diretta di un metodo in un campo
diverso dal suo, non fa che reiterare i presupposti iniziali.
Ricordando le tipologie tematiche proposte in diversi
saggi sulla letteratura fantastica, abbiamo lasciato da parte
quella di P. Penzoldt perché qualitativamente diversa dalle
altre. Infatti, mentre la maggior parte degli autori classifi-
cava i terni in rubriche del tipo: vampiro, diavolo, streghe
ecc., Penzoldt invece suggerisce di raggrupparli in funzione
della loro origine psicologica. L'origine si situerebbe sia
nell'inconscio collettivo che in quello individuale. Nel pri-
mo caso, gli elementi tematici si perdono nella notte dei
tempi; appartengono a tutta l'umanità e il poeta riesce a
esteriorizzarli solo in quanto vi è più sensibile. Nel secondo
caso, si tratta di esperienze personali e traumatizzanti: uno
scrittore nevrotico proietterà i propri sintomi nella sua
155
opera. In particolare ciò accade in uno dei sottogeneri di-
stinti da Penzoldt e che egli chiama « il puro racconto d'or-
rore ». Per gli autori che include in questo genere, « la
novella fantastica non è altro che un'eruzione di tendenze
nevrotiche spiacevoli ». 12 Ma queste tendenze non si mani-
festano sempre nettamente al di fuori dell'opera. Si pensi ad
Arthur Machen i cui scritti nevrotici potrebbero spiegarsi
con l'educazione puritana che aveva ricevuto: « Fortunata-
mente, nella vita Machen non era un puritano. Robert Hil-
lyer che lo conosceva bene, ci racconta che gli piacevano il
buon vino, la buona compagnia, che sapeva stare allo
scherzo e viveva una vita coniugale perfettamente norma-
le» (...); « ce lo descrivono come un amico e un padre
squisito. »13
Abbiamo già spiegato perché è impossibile ammettere
una tipologia fondata sulla biografia dell'autore. A questo
proposito, Penzoldt offre un controesempio. Dopo aver
appena detto che l'educazione di Machen ne spiega l'opera,
si sente in dovere di aggiungere: « Per fortuna l'uomo Ma-
chen era abbastanza diverso dallo scrittore Machen. (... )
Così Machen viveva una vita d'uomo normale mentre una
parte della sua opera divenne l'espressione di una nevrosi
terribile ». 14
Il nostro rifiuto ha un ulteriore motivo. Perché ·una di-
scussione sia valida in letteratura, occorre che sia fondata su
criteri letterari e non sull'esistenza di scuole psicologiche a
ciascuna delle quali si dovrebbe riservare un certo spazio (in
Penzoldt si tratta di uno sforzo per riconciliare Freud e
Jung). La distinzione fra inconscio collettivo e individuale,
sia essa valida o meno in psicologia, non ha a priori nessuna
pertinenza letteraria: gli elementi dell' « inconscio colletti-
vo» si mescolano liberamente con quelli dell'« inconscio
individuale», secondo le analisi dello stesso Penzoldt.
Possiamo tornare adesso all'opposizione delle nostre due
reti tematiche.
È chiaro che non abbiamo esaurito nessuno dei due pa-
12 P. Penzoldt, op. cit.
13 lbid.
14 /bid.
156
radigmi di cui la distribuzione dei temi fantastici ci aveva
aperto la via. Ad esempio è possibile trovare un'analogia tra
certe strutture sociali (o anche certi regimi politici) e le due
reti di temi. E, inoltre, il rapporto di opposizione stabilito da
Mauss tra religione e magia si avvicina molto a quello da
noi stabilito tra temi dell'io e temi del tu. « Mentre la reli-
gione. tende verso la metafisica e si immerge nella creazione
di immagini ideali, la magia esce attraverso mille fenditure
dalla vita mistica, alla quale attinge le proprie forze, per
mescolarsi alla vita profana e operarvi. Essa tende al con-
creto, come la religione tende all'astratto. » 15 Una prova tra
le altre: il raccoglimento mistico è averbale, mentre la ma-
gia non può fare a meno del linguaggio. « È dubbio che ci
siano stati dei veri e propri riti muti, mentre è certo che un
grandissimo numero di riti è esclusivamente orale. » 16
Adesso si capisce meglio quell'altra coppia di termini che
avevamo introdotto parlando di temi dello sguardo e di temi
del discorso (stando però attenti a maneggiare con prudenza
queste parole). Del resto, ancora una volta la letteratura
fantastica si è creata la propria teoria: in Hoffmann, ad
esempio, troviamo una netta consapevolezza dell'opposi-
zione: « Che cosa sono le parole? Nient'altro che parole! Il
suo sguardo celeste la dice più lunga di tutti i linguaggi. » E
ancora: « Avete visto quel bello spettacolo che si potrebbe
chiamare il primo spettacolo del mondo, giacché esprime
tanti sentimenti profondi senza l'ausilio delle parole. »
Hoffmann, autore i cui racconti sfruttano i temi dell'io, non
nasconde la sua preferenza per lo sguardo rispetto al di-
scorso. C'è da aggiungere che in un altro senso le due reti
tematiche possono essere considerate ugualmente legate al
linguaggio. I « temi dello sguardo » si fondano su una rot-
tura della frontiera tra psichico e fisico, ma si potrebbe
riformulare questa osservazione dal punto di vista del lin-
guaggio. Come si è visto, in questo caso i temi dell'io ri-
guardano la possibilità di infrangere il limite tra senso pro-
15 M. Mauss, « Esquisse d'une théorie générale-de la magie», in: M.
Mauss, Sociologie et Antropologie, Paris, P.U.F., 1960 (Trad. it. Teoria
generale della magia e altri saggi, Torino, Einaudi, 1965, p. 145.)
16 M. Mauss, op. cit., p. 52.
157
prio e senso figurato; i temi del tu si formano a partire dalla
relazione che si stabilisce, nel discorso, tra due interlocutori.
La serie potrebbe continuare indefinitamente, senza che
fosse mai legittimo dire, di una delle coppie di termini
opposti, che è più « autentica » o più « essenziale » di
un'altra. La psicosi e la nevrosi non sono la spiegazione dei
temi della letteratura fantastica, non più di quanto lo sia
l'opposizione tra infanzia ed età adulta. Non esistono due
tipi di unità di natura diversa, le une significanti, le altre
significate, con le seconde che formano il residuo stabile
delle prime. Noi abbiamo stabilito una catena di corri-
spondenze e di relazioni che potrebbe presentare i temi
fantastici sia come un punto di partenza (« da spiegare » ),
che come un punto d'arrivo ( « spiegazione » ). E lo stesso
accade per tutte le altre opposizioni. ·
158
l'Io della coppia Io-Tu e l'Io della coppia Io-Esso. Quando
l'uomo dice lo, intende uno di questi due. » 17
Ma non è tutto. L'io e il tu designano i due partecìpanti
all'atto di discorso: colui che enuncia, colui al quale ci si
rivolge. Se poniamo l'accento sui due interlocutori, è perché
crediamo all'importanza primordiale della situazione di
discorso, sia per la letteratura che al di fuori di essa. Una
teoria dei pronomi personali, studiata nella prospettiva del
processo dell'enunciazione, potrebbe spiegare innumere-
voli proprietà importanti di ogni struttura verbale. È una
ricerca che resta ancora da fare.
All'ini~io di questo studio di temi, abbiamo formulato
due esigenze principali per le categorie da scoprire che
dovevano essere insieme astratte e letterarie. Le categorie
dell'io e del tu hanno proprio questo duplice carattere:
possiedono un alto grado di astrazione e rimangono interne
al linguaggio. È vero che le categorie del linguaggio non
sono necessariamente categorie letterarie, ma con questo ci
troviamo di fronte a quel paradosso che deve essere af-
frontato da ogni riflessione sulla letteratura: una formula
verbale che riguardi la letteratura ne tradisce sempre la
natura, in quanto la letteratura è di per sé paradossale,
costituita com'è di parole, ma con un significato che va oltre
le parole, verbale e transverbale insieme.
159
IO Letteratura e fantastico
160
l'interno del genere. Abbiamo inteso offrirne uno studio
« immanente », distinguere le categorie dalla sua descrizio-
ne, fondandoci unicamente su necessità interne. Adesso, per
concludere, occorre cambiare prospettiva. Una volta costi-
tuito il genere, possiamo considerarlo dall'esterno, dal
punto di vista della letteratura in generale, o anche della
vita sociale, e porre di nuovo la nostra domanda iniziale, ma
sotto un'altra forma: non più che« cos'è il fantastico?», ma
« perché il fantastico? ». La prima domanda si interessava
alla struttura del genere. Questa, tiene conto delle funzioni.
La domanda circa la funzione si suddivide a sua volta
immediatamente e dà adito a vari problemi particolari. Essa
può vertere sul fantastico, vale a dire su una certa reazione
davanti al soprannaturale. Può anche vertere sul sopranna-
turale stesso e in tal caso dovremo ancora distinguere tra
una funzione letteraria e una funzione sociale del sopranna-
turale. Cominciamo da quest'ultima.
In un'osservazione di Peter Penzoldt troviamo l'abbozzo
di una risposta. « Per molti autori, il soprannaturale non era
che un pretesto per descrivere cose che non avrebbero mai
osato menzionare in termini realistici. »1 È lecito dubitare
che gli avvenimenti soprannaturali siano soltanto dei pre-
testi, ma in questa affermazione vi è sicuramente una parte
di verità: il fantastico permette di valicare certi confini
inaccessibili fino a che non vi si fa ricorso. Se riprendiamo
gli elementi soprannaturali, così come li abbiamo elencati in
precedenza, vedremo la fondatezza di questa osservazione.
Poniamo, ad esempio, i temi del tu: l'incesto, l'omosessua-
lità, l'amore in gruppo, la necrofilia, una sensualità smoda-
ta... Si ha l'impressione di leggere una lista di temi vietati,
stabiliti da una qualche censura: in realtà ognuno di questi
temi è stato spesso vietàto e può ancora esserlo ai giorni
nostri. E, del resto, la colorazione fantastica non ha sempre
salvato le opere dalla severità dei censori. La seconda edi-
zione di // monaco fu vietata.
Accanto alla censura istituzionalizzata, ve n'è un'altra,
più sottile e più generale, che è quella che regna nella psiche
stessa degli autori. La penalizzazione di certi atti da parte
1 P. Penzoldt, The Supernatural in Fiction, London, PeterNeville, 1952.
161
della società provoca una penalizzazione che si esercita
sull'individuo stesso, proibendogli di affrontare certi temi
tabù. Più che un semplice pretesto, il fantastico è un mezzo
per combattere entrambe le censure: gli scatenamenti ses-
suali saranno accettati meglio da ogni specie di censura se
saranno stati addebitati al diavolo.
Se la rete dei temi del tu dipende direttamente dai tabù e
quindi .dalla censura, non diversamente accade per quella
dei temi dell'io, benché in modo meno diretto. Non a caso,
quest'altro gruppo rimanda alla follia. Il pensiero dello
psicotico è condannato dalla società non meno severamente
del criminale che trasgredisce i tabù: alla stessa stregua del
criminale, il pazzo viene rinchiuso. La sua prigione si chia-
ma casa di salute. Non a caso, la società reprime il consumo
della droga e rinchiude anche questa volta, coloro che ne
fanno uso: la droga determina un modo di pensare consi-
derato colpevole.
Possiamo quindi schematizzare la condanna che colpisce
le due reti di temi e dire che l'introduzione di elementi
soprannaturali rappresenta un ricorso per evitare tale con-
danna. Adesso è più chiaro perché la nostra tipologia dei
temi coincidesse con quella delle malattie mentali: la fun-
zione del soprannaturale è di sottrarre il testo all'intervento
della legge, e perciò di trasgredirla. Vi è una differenza
qualitativa tra le possibilità personali di un autore del sef:olo
scorso e quelle di un autore contemporaneo. Non abbiamo
certamente dimenticato le vie traverse che doveva adottare
Gautier per descriverci la necrofilia del suo personaggio,
tutto il gioco ambiguo del vampirismo. Rileggiamo, per
metterne in evidenza il divario, una pagina di Georges
Bataille tratta da L'azzurro del cielo, che parla della stessa
perversione. Quando gli viene chiesto di spiegarsi, il narra-
tore risponde: « M'è soltanto capitato di passare la notte in
una casa in cui era morta una donna d'una certa età, stava
sul suo letto, come tutti i morti, tra due ceri, le braccia
disposte lungo il corpo, le mani non congiunte. Nessuno è
restato nella stanza durante la notte. In quel momento, m'è
parso di capire.
« <Come?>
162
« ,Come?,
« ,Mi sono svegliato verso le tre del mattino. M'è venuto
in mente di andare nella camera in cui si trovava il cadave-
re. Ero terrorizzato, ma avevo un bel tremare, sono restato
davanti al cadavere. Alla fine, mi sono tolto il pigiama.,
« ,E sin dove siete arrivato?,
« ,Non mi sono mosso, ero turbato da perdere la testa; mi
è successo da lontano, semplicemente, guardando.,
« ,Era una donna ancora bella?,
« ,No. Proprio avvizzita., » 2
Perché Bataille può permettersi di descrivere diretta-
mente-un desiderio che Gautier osa evocare solo indiretta-
mente? Si può proporre la risposta seguente: nell'intervallo
che separa la pubblicazione dei due libri, si è verificato un
evento la cui conseguenza più nota è l'apparizione della
psicoanalisi. Oggi si comincia a dimenticare la resistenza
incontrata dalla psicoanalisi ai suoi esordi, non soltanto da
parte degli scienziati, ma anche e soprattutto da parte della
società. Nella psiche umana è avvenuto un cambiamento di
cui la psicoanalisi è il segno; questo stesso cambiamento ha
provocato la soppressione di quella censura sociale che
vietava di affrontare certi temi e che non avrebbe certa-
mente autorizzato la pubblicazione di L'azzurro del cielo nel
xix secolo (ma naturalmente il libro non avrebbe nemmeno
potuto essere scritto). È vero che Sade è vissuto nel xvm
secolo, ma. ciò che è possibile nel xvm secolo non lo è
necessariamente nel xix, e inoltre la secchezza e la sempli-
cità descrittiva in Bataille, implicano un atteggiamento del
narratore assolutamente inconcepibile nel passato. Il che
non significa che l'avvento della psicoanalisi abbia distrutto
i tabù. Si sono semplicemente trasferiti.
Andiamo oltre: la psicoanalisi ha sostituito (e di conse-
guenza ha reso inutile) la letteratura fantastica. Oggi non
abbiamo bisogno di ricorrere al diavolo per parlare di un
desiderio sessuale immoderato, né ai vampiri per designare
l'attrazione esercitata dai cadaveri: la psicoanalisi, e la let-
teratura che direttamente o indirettamente se ne ispira, ne
parlano in termini non mascherati. Letteralmente, i temi
2 G. Bataille, L'azzurro del cielo, ~ilano, Silva, 1962, pp. 40-41.
163
della letteratura fantastica sono diventati esattamente quelli
de_lle ricerche psicologiche degli ultimi cinquant'anni. Ne
conosciamo diversi esempi: qui basterà ricordare che il
doppio, ad esempio, è stato il tema di uno studio classico già
al tempo di Freud (Der Doppelgiinger [Il doppio], di Otto
Ranlc; Der eigene und der fremde Gott [Il dio proprio e il dio
estraneo], di Th. Reik; Der Alptraum in seiner Beziehung zu
gewissen Formen des mittelalterlichen Aberglaubens [L'in-
cubo nella sua relazione con certe forme della superstizione
medievale], di Emest Jones) ecc. Lo stesso Freud ha stu-
diato un caso di nevrosi demoniaca nel xvm secolo e di-
chiara, sulle orme di Charcot: « Non ci stupiamo se le ne-
vrosi di quei tempi lontani si presentano sotto spoglie de-
monologiche ». 3
Ed ecco un altro esempio, per quanto meno evidente,
dell'accostamento tra i temi della letteratura fantastica e
quelli della psicoanalisi. Nella rete dell'io, si è osservata
quella che abbiamo chiamata l'azione del pandeterminismo.
E una causalità generalizzata che non ammette l'esistenza
del caso, e afferma che fra tutti i fatti vi sono sempre rela-
zioni dirette, anche se in generale queste ci sfuggono. Ora, la
psicoanalisi ammette appunto lo stesso determinismo senza
eccezioni, per lo meno nell'ambito dell'attività psichica
dell'uomo. « Nella vita psichiça, non vi è niente di arbitra-
rio, di indeterminato», scrive Freud. 4 Ecco perché il campo
delle superstizioni le quali non sono altro che una credenza
nel pandeterminismo, fa parte degli interessi della psicoa-
nalisi. Nel suo commento, Freud indica il senso traslato che
la psicoanalisi può introdurre in tal campo. « Quel Romano
che rinunciava a un progetto importante perché aveva
scorto un volo di uccelli di cattivo auspicio, aveva quindi
relativamente ragione: egli agiva i_n conformità alle proprie
premesse. Ma quando rinunciava al suo progetto perché
aveva fatto un passo falso sulla soglia della porta, si mo-
strava superiore a noi altri increduli, si rivelava miglior
psicologo di noi. Quel passo falso era per lui la prova del-
3 S. Freud, Essais de psychanalyse appliquée, Paris, Gallimard, 1963.
4 S. Freud, Psicologia della vita quotidiana, in « Opere di S. Freud ». v.
111, Torino, Boringhieri, 1966.
164
l'esistenza di un dubbio, di un'opposizione interiore a quel
progetto, dubbio e opposizione la cui forza poteva neutra-
lizzare quella della sua intenzione al momento dell'esecu-
zione del progetto. »5 Nella fattispecie, lo psicoanalista ha
un atteggiamento analogo a quello del narratore di un .rac-
conto fantastico quando afferma che esiste una relazione
causale tra fatti apparentemente indipendenti.
Varie ragioni giustificano l'osservazione ironica di Freud:
« Il Medioevo, con molta logica, e quasi correttamente dal
punto di vista psicologico, aveva attribuito all'influenza di
demoni tutte queste manifestazioni morbose. Non mi stu-
pirei nemmeno se venissi a sapere che la psicoanalisi, la
quale si occupa di scoprire queste forze segrete, non fosse a
sua volta diventata, per tale ragione, stranamente inquie-
tante agli occhi di non poche persone. » 6
165
dissea, Decameròn, Don Chisciotte possiedono tutti, sia pure
a gradi diversi, degli elementi meravigliosi e sono, insieme, i
racconti più grandi del passato. Ai nostri giorni, non è
cambiato niente: sono i narratori, Balzac, Mérimée, Hugo,
Flaubert, Maupassant, che scrivono storie fantastiche. Non
si può affermare che ci troviamo di fronte a una relazione di
implicazione: esistono autori di storie i cui racconti non
fanno appello al soprannaturale. Tuttavia si tratta di una
coincidenza troppo frequente per essere gratuita. H.P. Lo-
vecraft aveva sotto.lineato il fatto: « Come la maggior parte
degli autori del fantastico, » egli scrive, « Poe si sente più a
suo agio nell'avvenimento e negli effetti narrativi più larghi
che nel disegno dei personaggi. » 7
Per cercar di spiegare questa coincidenza, occorre inter-
rogarsi un istante sulla natura stessa del racconto. Comin-
ceremo con il costruirci un'immagine del racconto minimo,
non di quello che si trova di solito nei testi contemporanei,
ma di quel nucleo senza il quale non si può dire che vi sia
racconto. L'immagine sarà questa: ogni racconto è un mo-
vimentofra due equilibri simili, ma non identici. All'inizio del
racconto, vi è sempre una situazione stabile. I personaggi
compongono una configurazione che può essere mobile, ma
che ciò nonostante conserva intatto un certo numero di
caratteristiche fondamentali. Diciamo, ad esempio, che un
bambino vive in seno alla famiglia, partecipa a una micro-
società che ha le proprie leggi. Sopravviene successiva-
mente qualcosa che rompe questa calma, che introduce uno
squilibrio (o, se si preferisce, un equilibrio negativo). Così il
bambino, per una ragione o per un'altra, lascia la casa. Alla
fine della storia, dopo aver superato innumerevoli ostacoli,
il bambino, che è cresciuto, torna alla casa paterna. L'equi-
librio allora è ristabilito, ma non è più quello dell'inizio: il
bambino non è più un bambino, è diventato un adulto fra
gli altri adulti. Il racconto elementare comporta quindi due
tipi di episodi: quelli che descrivono uno stato di equilibrio
o di squilibrio, e quelli che descrivono il passaggio dall'uno
all'altro. I primi si oppongono ai secondi come lo statico al
7 H.P. Lovecraft, Supernatural Horror in /iterature, New York, Ben
Abrarnson, 1945.
166
dinamico, come la stabilità alla modificazione, come l'ag-
gettivo al verbo. Ogni racconto comporta questo schema
fondamentale, benché spesso sia difficile riconoscerlo: se ne
può sopprimere l'inizio o la fine, intercalarvi digressioni,
altri racconti completi ecc.
Cerchiamo, adesso, di collocare gli avvenimenti sopran-
naturali in questo schema. Prendiamo ad esempio la « Sto-
ria di Qamar Az-Zamàn figlio del re Shahrimàn » in Le
Mille e una notte. Qamar Az-Zamàn è il figlio del re di
Persia; è il giovane più intelligente e più bello non soltanto
nel regno, ma anche al di là delle frontiere. Un giorno, il
padre decide di dargli moglie; ma il giovane principe si
scopre all'improvviso un'avversione insormontabile per le
donne e rifiuta categoricamente di ubbidire. Per punirlo, il
padre lo rinchiude in una torre. Ecco una situazione di
squilibrio che potrebbe anche durare dieci anni. È a questo
punto che interviene l'elemento soprannaturale. Un giorno,
la fata Maimima, durante le sue peregrinazioni, scopre il bel
giovane e ne rimane incantata. Poi incontra un genio,
Dahànnash, il quale invece conosce la figlia del re di Cina,
che è evidentemente la più bella principessa del mondo e
rifiuta ostinatamente di sposarsi. Per confrqntare la bellezza
dei nostri due personaggi, la fata e il genio trasportano la
principessa addormentata nel letto del principe addormen-
tato. Poi li svegliano e li osservano. Ne nasce tutta una serie
di avventure durante le quali i due giovani cercheranno di
ritrovarsi, dopo quel fuggevole incontro notturno. Alla fine
si ritroveranno e formeranno a loro volta una famiglia.
In questo caso abbiamo un equilibrio iniziale e un equi-
librio finale perfettamente realisti. L'avvenimento sopran-
naturale interviene per rompere l'equilibrio mediano e
provocare la lunga ricerca del secondo equilibrio. Il so-
prannaturale interviene nella serie degli episodi che descri-
vono il passaggio da uno stato all'altro. In effetti, che cosa
potrebbe sconvolgere meglio la situazione stabile, che gli
sforzi di tutti i partecipanti tendono a consolidare, se non,
appunto, un avvenimento che sia esteriore non soltanto alla
situazione, ma al mondo stesso?
Una legge fissa, una regola prestabilita: ecco che cosa
167
immobilizza il racconto. Perché la trasgressione della legge
provochi una modificazione rapida, è utile l'intervento di
forze soprannaturali, se non si vuole che il racconto corra il
rischio di andare per le lunghe, in attesa che un « giustizie-
re» umano si accorga della rottura nell'equilibrio iniziale.
Ricordiamo altresì la Storia del secondo mendicante che si
trova nella camera sotterranea della principessa. Egli può
restarvi finché vuole a godervi la sua compagna e i cibi
raffinati che ella gli serve. Ma il racconto finirebbe qui. Per
fortuna esiste un veto, una regola: non toccare il talismano
del genio. Evidentemente è ciò che farà subito il nostro eroe,
e la situazione sarà modificata tanto più rapidamente in
quanto il giustiziere è dotato di forza soprannaturale: « Il
talismano si era appena rotto che il palazzo tremò, e quasi
era sul punto di crollare ... »8 Oppure leggiamo la Stor-ia del
terzo mendicante: la legge prescrive in questo caso di non
pronunciare il nome di Dio. Violandola, il protagonista
provoca l'intervento del soprannaturale: il suo nocchiero -
« l'uomo di bronzo» - è scaraventato in acqua. Ancora: la
legge prescrive di non entrare in una camera; trasgreden-
dola il protagonista si trova di fronte a un cavallo che lo
rapisce in cielo.:. È uno stimolo straordinario per la vicenda.
Ogni rottura della situazione stabile è seguita, in questi
esempi, da un intervento soprannaturale. L'elemento me-
raviglioso viene ad essere il materiale narrativo che adem-
pie nel modo migliore a questa funzione precisa: portare
una modificazione nella situazione precedente, e rompere
l'equilibrio (o lo squilibrio) stabilito.
Bisogna ben dire che la modificazione può verificarsi con
altri mezzi, ma si tratta di mezzi meno efficaci.
Se il soprannaturale si associa di solito al racconto di
un'azione, è raro invece che compaia in un romanzo il quale
si occupi soltanto di descrizioni o di analisi psicologiche
(l'esempio di Henry James non è contraddittorio). Di con-
seguenza la relazione del soprannaturale con la narrazione
diventa chiara: ogni testo in cui entra il soprannaturale è un
racconto, giacché l'avvenimento soprannaturale modifica
8 L'edizione italiana differisce sensibilmente dalla versione citata da
Todorov. Cfr. Einaudi, Le Mille e... , cit. voi. I, p. 73.
168
innanzi tutto un equilibrio preesistente, secondo la stessa
definizione di racconto; ma ogni racconto non comporta
elementi soprannaturali, benché tra l'uno e gli altri esista
un'affinità, nella misura in cui il soprannaturale realizza la
modificazione narrativa nel modo più rapido.
Appare chiaro infine in che senso si identifichino fun-
zione sociale e funzione letteraria del soprannaturale: in
entrambi i casi si tratta di una trasgressione della legge. Che
ciò accada all'interno della vita sociale o del racconto, l'in-
tervento dell'elemento soprannaturale costituisce sempre
una rottura nel sistema di regole prestabilite, e in questo
trova la sua giustificazione.
169
e ciò che non è. Si può dire persino che è in parte grazie alla
letteratura e all'arte che diventa impossibile sostenere que-
sta distinzione. I teorici della letteratura l'hanno detto a più
riprese. Si veda Blanchot: « L'arte è e non è, .abbastanza
vera per diventare la via, troppo irreale per mutarsi in
ostacolo. L'arte è un come se ». 9 E Northrop Frye: « La
letteratura, come la matematica, inserisce un cuneo nel-
l'antitesi tra l'essere e il non essere, che è molto importante
per il pensiero discorsivo.( ... ) Lo stesso genere di ipotesi si
fa in letteratura, dove Amleto e Falstaff non sono né esi-
stenti né non esistenti ». 10
In linea ancor più generale, la letteratura contesta ogni
presenza della dicotomia. Compete alla natura stessa del
linguaggio suddividere il dicibile in pezzi discontinui; il
nome, in quanto sceglie una o più proprietà del concetto che
costituisce, esclude tutte le altre proprietà e stabilisce l'an-
titesi del concetto e del suo contrario. Ora, la letteratura
esiste grazie alle parole; ma la sua vocazione dialettica è di
dire più di quanto non dica il linguaggio, di superare le
divisioni verbali. All'interno del linguaggio, essa è ciò che
distrugge la metafisica inerente ad ogni linguaggio. La
qualità propria del discorso letterario è di andare al di là
(altrimenti non avrebbe ragione di essere); la letteratura è
come un'arma micidiale con la quale il linguaggio compie il
proprio suicidio.
Ma se le cose stanno così, la varietà della letteratura che si
fonda su opposizioni relative al linguaggio come quella del
reale e dell'irreale, non sarebbe letteratura?
In realtà il discorso è più complesso: attraverso l'esita-
zione che fa vivere, la letteratura fantastica mette appunto
in discussione l'esistenza di un'opposizione irriducibile tra
reale e irreale. Ma per negare un'opposizione, occorre in-
nanzitutto riconoscerne i termini; per compiere un sacrifi-
cio, bisogna sapere che cosa sacrificare. Così si spiega l'im-
pressione ambigua che lascia la letteratura fantastica: da un
lato essa rappresenta la quintessenza della letteratura, nella
9 M. Blanchot, La pare dufeu, Paris, Gallimard; 1949.
10 N. Frye, Anatomy ~f Criticism, New York, Atheneum, 1967 (trad. it.
Anatomia della critica, Torino, Einaudi, 1971, p. 473).
170
misura iil cui la rimessa in discussione del limite fra reale e
irreale, tipica di ogni letteratura, ne è il centro esplicito.
Dall'altro, tuttavia, essa non è che una propedeutica iilla
letteratura: combattendo la metafisica del linguaggio quo-
tidiano, essa gli dà vita. Deve partire dal linguaggio, anche
se è per rifiutarlo.
Se certi avvenimenti dell'universo di un libro si dichiara-
no esplicitamente immaginari, contestano con questo la
natura immaginaria del resto del libro. Se una certa appa-
rizione non è che il frutto di_ una immaginazione esaltata,
ciò vuol dire che tutto quello che la circonda è reale. Lungi
quindi dall'essere un elogio dell'immaginario, la letteratura
fantastica presenta la maggior parte di un testo come ap-
partenente al reale, o, più esattamente, come provocata dal
reale, quale un nome dato alla cosa preesistente. La lette-
ratura fantastica ci lascia tra le mani due nozioni, quella
della realtà e quella della letteratura, l'una e l'altra altret-
tanto insoddisfacenti.
Il xix secolo viveva, è vero, in una metafisica del reale e
dell'immaginario, e la letteratura fantastica altro non è se
non la coscienza sporca di quel xix secolo positivista. Ma
oggi non possiamo più credere a una realtà immutabile,
esterna, né a una letteratura che sarebbe soltanto la trascri-
zione di questa realtà. Le parole hanno conquistato un'au-
tonomia che le cose hanno perduto. La letteratura che ha
sempre affermato questa diversa visione è sicuramente una
delle cause dell'evoluzione. Alla stessa letteratura fantastica
che nelle sue pagine sovverte le categorizzazioni linguisti-
che, è stato inferto un colpo fatale; ma da questa morte, da
questo suicidio, è nata una letteratura nuova. Ora, non
sarebbe troppo presuntuoso affermare che la letteratura del
xx secolo è, in 1,m certo senso, più « letteratura » di ogni
altra. Evidentemente questo non deve essere considerato
come un giudizio di valore; è anche possibile che, proprio
per questo, la sua qualità ne abbia sofferto.
Che ne è stato del racconto soprannaturale del xx secolo?
Prendiamo il testo senza dubbio più celebre che si possa far
rientrare nella categoria: La metamorfosi di Kafka. L'avve-
nimento soprannaturale è riferito in tutta la prima fase del
171
testo:« Nel destarsi, un mattino, da sogni inquieti, Gregorio
Samsa si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme
insetto. » 11 Successivamente, nel testo, vi sono alcune brevi
indicazioni di un'esitazione possibile. Gregorio crede dap-
prima di sognare, ma si convince presto del contrario. Ciò
nonostante, non rinuncia subito alla ricerca di una spiega-
zione razionale:« E ora attendeva con curiosità di vedere
come le fantasie della mattinata si sarebbero a poco a poco
dissolte. Era convinto che il cambiamento di voce signifi-
casse soltanto il preannuncio di un grosso raffreddore, ma-
lattia professionale dei commessi viaggiatori. »12
Ma queste indicazioni succinte di un'esitazione vengono
sommerse nell'evoluzione generale del racconto, in cui la
cosa più sorprendente è appunto l'assenza di sorpresa da-
vanti a quell'avvenimento inaudito, proprio come in Il naso
di Gogol.(« non ci stupiremo mai abbastanza di questa
mancanza di stupore», diceva Camus a proposito di Kaf-
ka). A poco a poco, Gregorio accetta la sua situazione come
insolita ma, tutto sommato, possibile. Quando il gerente
della ditta in cui lavora viene a cercarlo, Gregorio è così
seccato che si chiede: « Se un giorno non sarebbe potuto
accadere anche al procuratore, quello che stava accadendo
a lui; in sé, la cosa doveva essere possibile. » 13 Comincia a
trovare un certo conforto in quel suo nuovo stato che lo
libera da ogni responsabilità e fa sì che ci si occupi di lui.
« Se si fossero spaventati, poteva stare tranquillo, era libero
da ogni responsabilità. Non avessero dato a vedere nulla,
anche in questo caso non aveva modo d'inquietarsi. »14 La
rassegnazione si impadronisce allora di lui: « Per il mo-
mento, tale era la sua conclusione, doveva rimanere buono
e tranquillo, per alleviare alla famiglia il disagio che lui le
imponeva. »15
Tutte queste frasi sembrano riferirsi a un avvenimento
perfettamente possibile, come per esempio la frattura di
11 F. Kafka, Racconti, Milano, Feltrinelli, 1957, p. 75.
12 F. Kafka, op. cit., p. 78.
13 F. Kafka, op. cit., p. 81.
14 F. Kafka, op. cit., p. 84.
15 F. Kafka, op. cit., p. 93.
172
una caviglia, e non alla metamorfosi di un uomo in verme.
Gregorio si abitua a poco a poco all'idea della sua anima-
lità: prima di tutto fisicamente, rifiutando il cibo degli uo-
mini e i loro piaceri; ma anche mentalmente: non può più
fidarsi del proprio giudizio per decidere se una tosse è o non
è umana; quando sospetta che sua sorella gli voglia togliere
un quadro sul quale gli piace sdraiarsi, decide che: « Lui
non si sarebbe mosso dal suo quadro: piuttosto le sarebbe
saltato in faccia. » 16
Non c'è quindi più niente di strano nel vedere che Gre-
gorio si rassegna anche al pensiero della propria morte,
tanto auspicata dalla sua famiglia. « Pensava alla famiglia
con tenero affetto. La sua decisione di sparire era, se possi-
bile, ancora più ferma di quella della sorella. » 17
La reazione della famiglia segue uno sviluppo analogo:
prima di tutto vi è sorpresa, ma non esitazione; poi viene
l'ostilità subito dichiarata del padre. Già nella prima scena.
« Il babbo, spietato, continuava a incalzare Gregorio,
emettendo sibili da selvaggio » 18 e ripensandovi, Gregorio
si confessa che: « Sino dal primo giorno della nuova vita,
sapeva che il padre considerava opportuna, nei suoi con-
fronti, la maggiore severità. » 19 La madre continua ad
amarlo, ma è del tutto impotente ad aiutarlo. Quanto alla
sorella, che all'inizio gli era stata la più vicina, passa rapi-
damente alla rassegnazione, per arrivare infine a un odio
manifesto. Ella riassumerà così i sentimenti di tutta la fa-
miglia mentre Gregorio sta per morire: « Davanti a questo
mostro, non voglio pronunciare il nome di mio fratello, vi
dico solo: dobbiamo cercare di liberarcene. Abbiamo fatto
quanto era umanamente possibile per curarlo e sopportarlo,
credo; nessuno potrà farci al riguardo il minimo rimprove-
ro. » 20 Se in un primo momento la metamorfosi di Gregorio
che era la loro unica fonte di guadagno aveva rattristato i
suoi, a poco a poco finisce con l'avere un effetto positivo: gli
16 F. Kafka, op. cit., p. 105.
17 F. Kafka, op. cit., p. 121.
18 F. Kafka, op. cit., p. 90.
19 F. Kafka, op. cit., p. 107.
20 F. Kafka, op. cit., p. I 19.
173
altri tre ricominciano a lavorare, si risvegliano alla vita.
« Appoggiati comodamente agli schienali, discussero le
possibilità del loro avvenire; e, tutto considerato, non le
trovarono troppo brutte: non avevano mai parlato distesa-
mente delle loro faccende, ma i loro impieghi erano buoni e
soprattutto promettevano bene. » 21 E il tratto sul quale la
storia si conclude, è quel « colmo dell'orribile », come lo
chiama Blanchot, il risveglio della sorella a una nuova vita:
alla voluttà.
Se affrontiamo questo racconto con le categorie elaborate
precedentemente, diamo che esso si distingue in maniera
spiccata dalle storie fantastiche tradizionali. Innanzi tutto,
l'avvenimento strano non appare in seguito a una serie di
indicazioni indirette, come il vertice di una gradazione, ma
è tutto quanto contenuto nella prima frase. Il racconto fan-
tastico partiva da una situazione perfettamente naturale per
giungere al soprannaturale; La metamorfosi parte dall'av-
venimento soprannaturale per dargli, nel corso del raccon-
to, un'aria sempre più naturale; e la fine della storia è
quanto di più lontano dal soprannaturale si possa immagi-
nare. Di colpo, ogni esitazione diventa inutile: essa serviva a
preparare il passaggio dal naturale al soprannaturale. Qui,
viene ad essere descritto un movimento contrario: quello
dell'adattamento, che segue l'avvenimento inesplicabile; ed
esso caratterizza il passaggio dal soprannaturale al naturale.
Esitazione e adattamento designano due procedimenti
simmetrici e inversi.
Non si può dire peraltro che per l'assenza di esitazione, di
stupore, anche, e per la presenza di elementi soprannaturali,
noi ci troviamo in un altro genere noto: il meraviglioso. Il
meraviglioso implica che noi siamo immersi in un mondo
dalle leggi totalmente diverse da quelle in vigore nel nostro
mondo; per tale ragione, gli avvenimenti soprannaturali
che accadono, non sono minimamente inquietanti. Invece,
in La metamorfosi, si tratta proprio di un avvenimento
conturbante, impossibile; ma che, paradossalmente, finisce
col diventare possibile. In questo senso, i racconti di Kafka
rientrano insieme nella sfera del meraviglioso e dello strano,
21 F. Kafka. op. cit., p. 125.
174
sono la coincidenza di due generi apparentemente incom-
patibili. Il soprannaturale è scontato, e tuttavia continua a
sembrarci inammissibile.
A prima vista si è tentati di attribuire un senso allegorico
a La metamorfosi; ma non appena si cerca di precisare
questo senso, ci si trova davanti a un fenomeno molto simile
a quello che abbiamo osservato con Il naso di Gogol (la
somiglianza tra i due racconti non si ferma qui, come ha
dimostrato recentemente Victor Herlich). Si possono certa-
mente proporre diverse interpretazioni allegoriche del testo,
ma esso non offre nessuna indicazione esplicita che confer-
mi l'una o l'altra di esse. Lo si è detto spesso a proposito di
Kafka: i suoi racconti debbono essere letti innanzi tutto in
quanto racconti, al livello letterale. L'avvenimento descritto
in La metamorfosi è altrettanto reale di qualunque altro
avvenimento letterario.
C'è da notare a questo punto che i testi migliori di fanta-
scienza si organizzano in -maniera analoga. I dati iniziali
sono soprannaturali: i robot, gli esseri extraterrestri, la cor-
nice interplanetaria. Lo svolgimento del racconto tende a
farci vedere quanto in realtà siano vicini a noi questi ele-
menti meravigliosi, fino a che punto siano .presenti nella
nostra vita. Una novella di Robert Scheckley comincia con
l'operazione straordinaria che consiste nell'innestare un
corpo d'animale su un cervello umano; alla fine ci fa vedere
tutto quello che l'uomo più normale ha in comune con
l'animale (Il corpo). Un altro comincia con la descrizione di
un'inverosimile organizzazione che ci libera dall'esistenza
delle persone indesiderabili; quando termina il racconto, ci
si rende conto che un'idea simile è familiare a ogni essere
umano (Servizio di sbarazzo). 22 Qui è il lettore a subire il
processo di adattamento: messo dapprima di fronte a un
fatto soprannaturale, finisce con il riconoscerne la « natu-
ralità».
Che cosa significa una struttura del racconto di questo
tipo? Nel fantastico, l'avvenimento strano o soprannaturale
22 Le citazioni da Robert Sheckley. notissimo autore americano di
fantascienza, sono tratte dal volume Pè/erinage à la terre, Paris, Denoèl,
della collezione • Présence du futur •• che non ha corrispondenti in Italia.
175
era percepito sullo sfondo di ciò che viene giudicato nor-
male e naturale; la trasgressione delle leggi della natura ce
ne rendeva ancor più consapevoli. In Kafka, l'avvenimento
soprannaturale non provoca più esitazione poiché il mondo
descritto è tutto quanto bizzarro, altrettanto anormale del-
l'avvenimento a cui fa da sfondo. Qui ritroviamo dunque
(capovolto) il problema della letteratura fantastica - lette-
ratura che postula l'esistenza del reale, del naturale, del
normale, per poter poi batterlo in breccia - ma Kafka è
riuscito a superarlo. Egli tratta l'irrazionale come se facesse
parte del gioco: tutto qu~nto il suo mondo ubbidisce a una
logica onirica, se non da incubo, che non ha più niente a che
vedere con il reale. Anche se nel lettore persiste una certa
esitazione, essa non sfiorerà più il personaggio; e l'identifi-
cazione, quale si era osservata prima, non è più possibile. Il
racconto kafkiano esclude quella che noi avevamo presen-
tato come la seconda condizione del fantastico: l'esitazione
rappresentata all'interno del testo, e che caratterizza più
particolarmente gli esempi del xix secolo.
A proposito dei romanzi di Blanchot e di Kafka, Sartre ha
proposto una teoria del fantastico che si avvicina molto alla
nostra ipotesi. Essa è espressa nel suo articolo« Aminadab o
del fantastico considerato come un linguaggio », in Situa-
tions 1. Secondo Sartre, Blanchot o Kafka non cercano più
di dipingere esseri straordinari. Per loro « non vi è più che
un solo oggetto fantastico: l'uomo. Non l'uom:Q delle reli-
gioni e dello spiritualismo, impegnato soltanto fino a metà
corpo nel mondo, ma l'uomo-dato, l'uomo-natura, l'uo-
mo-società, colui che saluta un carro funebre mentre passa,
che si mette in ginocchio nelle chiese, che cammina al passo
dietro una bandiera ». 23 L'uomo «normale» è appunto
l'essere fantastico; il fantastico diventa la regola, non l'ec-
cezione.
Questa metamorfosi avrà delle conseguenze sulla tecnica
del genere. Se prima il protagonista con il quale si identifica
il lettore era un essere perfettamente normale (perché l'i-
dentificazione sia facile e ci si possa stupire con lui davanti
23 J.-P. Sanre, Situations I, Paris, Gallimard, 1947 (trad. it. parziale in
Che cos'è la letteratura? Milano, Saggiatore, 1960).
176
alla stranezza degli avvenimenti), in questo caso è lo stesso
personaggio principale che diventa «fantastico». Si pensi
al protagonista di Il castello: « di quell'agrimensore del
quale dobbiamo condividere le avventure e le vedute, non
conosciamo niente se non la sua ostinazione inintelligibile a
rimanere-in un villaggio proibito. »24 Ne deriva che il letto-
re, se si identifica con il personaggio, si esclude a sua volta
dal reale. « E la nostra ragione che doveva raddrizzare il
mondo alla rovescia, travolta da quell'incubo, diventa a sua
volta fantastica. »25
Coµ Kafka, ci troviamo perciò messi a confronto con un
fantastico generalizzato: tutto il mondo del libro e il lettore
stesso vi sono inclusi. Ecco un esempio particolarmente
chiaro di questo nuovo fantastico che Sartre improvvisa per
illustrare la propria idea: « Mi siedo, ordino un caffè con
panna·, il cameriere mi fa ripetere tre volte l'ordinazione e la
ripete a sua volta per evitare ogni rischio di errore. Si pre-
cipita, trasmette l'ordine a un secondo cameriere, che lo
annota su un blocchetto e lo trasmette a un terzo cameriere.
Alla fine un quarto cameriere torna e dice: ,Ecco,, posando
un calamaio sulla mia tavola. ,Ma,, dico io, ,avevo ordinato
un caffè con panna., ,Appunto,, dice lui andandosene. Se
leggendo storielle di questo tipo il lettore può pensare che si
tratti di uno scherzo dei camerieri o di una qualche psicosi
collettiva (come voleva farci credere Maupassant in Le
Horla, ad esempio), noi abbiamo perso la partita. Ma se
abbiamo saputo dargli l'impressione che gli parliamo di un
mondo nel quale queste manifestazioni strampalate ap-
paiono come una forma di condotta normale, allora si tro-
verà immerso di colpo nel bel mezzo del fantastico. »26 In
una parola, ecco la differenza tra la storia fantastica classica
e i racconti di Kafka: quella che nel primo mondo era
un'eccezione, qui diventa la regola.
Diciamo per concludere che grazie a questa rara sintesi
del soprannaturale con la letteratura in quanto tale, Kafka
ci permette di capire meglio la letteratura stessa. Varie volte
24 lbid.
25 lbid.
26 lbid.
177
abbiamo già evocato il suo statuto paradossale: essa vive
soltanto in quelle che il linguaggio quotidiano, per parte
sua, chiama contraddizioni. La letteratura assurp.e l'antitesi
tra il verbale e il transverbale, tra il reale e l'irreale. L'opera
di Kafka ci permette di an~are oltre e di vedere come la
letteratura faccia vivere un'altra contraddizione proprio al
centro di se stessa: è a partire da una meditazione su que-
st'opera che essa viene formulata nel saggio di Maurice
Blanchot « Kafka e la letteratura». Una visione corrente e
semplicistica presenta la letteratura (e il linguaggio) come
un'immagine della « realtà », come un ricalco di ciò che essa
non è, come una serie parallela e analoga. Ma questa visio-
ne è doppiamente falsa poiché tradisce sia la natura dell'e-
nunciato che quella dell'enunciazione. Le parole non sono
etichette incollate a delle cose che esistono in quanto tali
indipendentemente da esse. Quando scriviamo, non faccia-
mo altro che scrivere: l'importanza del gesto è tale che non
lascia spazio a nessun'altra esperienza. E al tempo stesso, se
scrivo, scrivo su qualcosa, anche se questo qualcosa è la
scrittura. Perché la scrittura sia possibile, essa deve partire
dalla morte di ciò di cui parla; ma questa morte la rende a
sua volta impossibile giacché non c'è più di che scrivere. La
letteratura non può diventare possibile che in quanto si
renda impossibile. O ciò che si dice è lì, presente, e allora
non vi è posto per la letteratura; oppure si fa posto alla
letteratura, e in tal caso non c'è più niente da dire. Come
scrive Blanchot: « Se il linguaggio, e in particolare il lin-
guaggio letterario, già in anticipo non si slanciasse costan-
temente verso la propria morte, esso non sarebbe possibile,
giacché la sua condizione, e il suo fondamento, è questo
movimento verso la sua impossibilità. »27 ·
L'operazione che consiste nel conciliare il possibile e
l'impossibile può fornire la sua definizione alla stessa parola
« impossibile ». Eppure la letteratura è. Ed è questo il suo
più gran paradosso.
178
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Indice
1 I generi letterari 5
2 Definizione del fantastico 25
3 Lo strano e il meraviglioso 43
4 La poesia e l'allegoria 60
5 Il discorso fantastico 77
6 I temi del fantastico: introduzione 94
7 I temi dell'io 110
8 I temi del tu 128
9 I temi del fantastico: conclusione 144
10 Letteratura e fantastico 160
Bibliografia
1 Testi di letteratura fantastica 179
2 Testi critici 180
Collezione I Garzanti • Argomenti
Pubblicazione registrata
presso il Tribunale di Milano n. 49 del 3-2-1976