Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
13 visualizzazioni533 pagine

Manuale Di Storia Della Chiesa Antica (PDFDrive)

Caricato da

Manuel Silva
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
13 visualizzazioni533 pagine

Manuale Di Storia Della Chiesa Antica (PDFDrive)

Caricato da

Manuel Silva
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 533

KARL susa FRANK

MANUALE DI STORIA
DELLA CHIESA ANTICA
Collaborazione
della
DoTT. ELISABETH GRÙNBECK

LIBRERIA EDITRICE VATICANA


00120 CITTÀ DEL VATICANO
Titolo originale dell'opera:
Lehrbuch der Geschichte der Alten Kirche

© 1996 Ferdinand Schoning, Paderborn


(Verlag Ferdinand Schoning GmbH,Jiihenplatz a, D-33098 Paderborn)

Traduzione dal tedesco


di Edmondo Coccia

In copertina:
SS. Pietro e Paolo. Scuola degli Angeli Graduale sec. XIV
Firenze, Biblioteca Laurenziana

© Copyright 2000 Libreria Editrice Vaticana - 00120 Città del Vaticano


Tel. (06) 698.85003 - Fax (06) 698.84716

ISBN 88-209-2926-0
PREFAZIONE

Questo manuale di storia della Chiesa non può nascondere la sua prove-
nienza. L'opera da cui trae la sua origine è la nota « Storia della Chiesa» di K.
Bihlmeyer-H. Tiichle. Il nuovo approccio storico si ricollega, in quest'opera
esemplare, con una lunga tradizione invalsa nella rappresentazione della storia
della Chiesa. Questa tradizione ebbe inizio con il modesto contributo didattico
pubblicato nel 1861 a Rottenburg/Neckar da Franz Xaver Funk (1840-1907),
docente di storia della Chiesa a Tubinga. In una forma ampliata il trattato ven-
ne ripubblicato nel 1866 nelle edizioni F. Schoningh a Paderborn.
Per circa un secolo la casa editrice continuò a pubblicare tale trattato, che
dopo la morte del primo compilatore venne curato dal suo successore a Tubin-
ga, Karl Bihlmeyer (1874-1942). Nelle sue mani l'opera ebbe sei nuove edizioni
e venne articolata alla fine in tre volumi. Il « Bihlmeyer » diventò nella prima
metà del ventesimo secolo il testo dell'insegnamento universitario della storia
della Chiesa in Germania. Traduzioni in inglese, francese, italiano e polacco as-
sicurarono all'opera notevoli possibilità di diffusione anche oltre l'ambito ger-
manofono.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, Hermann Tiichle (1905-1986) assunse
la responsabilità del trattato e pubblicò come il suo predecessore altre edizioni.
Negli anni 1966-1969 H. Tiichle concluse il suo lavoro d'integrazione e di con-
tinuazione dell'opera. L'autorevole trattato apparve successivamente in ristam-
pa immutata. Una nuova rielaborazione, auspicata per anni dall'editore e dive-
nuta oggetto di diversi tentativi, non venne purtroppo realizzata. Dall'ultimo
progetto editoriale di una nuova edizione e di un'adeguata prosecuzione dell' o-
pera nel suo impianto generale si è arrivati oggi alla possibilità di offrire, in for-
ma mutata e resa autonoma, la presente «Storia della Chiesa antica».
Il manuale si attiene nella sua struttura al modello originale. Si propone
quindi la tradizionale distribuzione della materia in due grossi periodi: il perio-
do precedente all'imperatore Costantino e quello successivo. Si è conservata an-
che l'ulteriore articolazione, che nelle due parti presenta all'incirca un'eguale
ampiezza. I grandi temi e i singoli eventi procedono di volta in volta dalla storia
esterna a quella interna della Chiesa e cercano di abbracciare cronologicamen-
te e nei fatti reali tutto ciò che riguarda la fede e la vita della Chiesa antica. La
ripartizione di questi singoli eventi in paragrafi è egualmente ripresa dal model-
lo. Ma è sembrato opportuno apportare, qui, alcuni cambiamenti e nuovi ordi-
namenti della materia.
Sono consapevole che questa organizzazione della materia può essere og-
getto di critiche. Ma dubbi e riserve potrebbero sollevarsi anche contro qualsiasi
6 Prefazione

altra articolazione e distribuzione dei materiali raccolti. Il criterio qui adottato


può trovare una sua giustificazione nel modello già sperimentato; esso può sod-
disfare completamente all'esigenza del trattato, che è quella di voler informare
nel modo più ampio possibile.
La realizzazione dell'opera risulta completamente autonoma rispetto al mo-
dello. È rimasta certamente, nel suo insieme, la concatenazione dei fatti, ma si è
avuta cura di riepilogare e di presentare in maniera sintetica e sommaria anche
i risultati offerti dalla ricerca storica negli ultimi cinquant'anni. Ciò doveva con-
durre inevitabilmente a un nuovo testo. A dire il vero, il testo non può informare
su fatti nuovi e diversi. La lunga prassi dell'insegnamento di storia della Chiesa
ha portato a un certo sapere standardizzato e a una certa quantità di notizie in-
dispensabili, che era necessario rispettare. Il nuovo manuale, quindi, non può
dire se non ciò che è stato già detto dai suoi predecessori, niente di più e nien-
te di meno. Non c'è bisogno di rilevare che il manuale non si propone come una
serie di appunti per tenere lezioni, ma va considerato come un'utile guida e un
informatore fidato sulla storia della Chiesa antica.
L'elaborazione del manuale ha richiesto anni e anni di lavoro, condotto in-
sieme ai consueti compiti d'insegnamento e d'attività accademica; spesso si so-
no frapposti altri impegni, che hanno impedito di attendere in maniera conti-
nuativa alla sua stesura.
Al risultato dell'opera, così come oggi si presenta, ha contribuito in misura
notevole la mia collaboratrice, dottoressa Elisabeth Griinbeck. Il suo slancio
giovanile e la sua profonda conoscenza della materia hanno contribuito a con-
ferire al libro, in maniera determinante, il suo aspetto definitivo. Il suo impegno
e la sua dedizione, che l'hanno portata ad accantonare progetti personali, mi
spingono ad esprimerle il mio grazie più sincero. Un grazie altrettanto sincero
va alla mia segretaria, signora Christa Baur. Alle sue mani si deve la produzione
del manoscritto, un lavoro che essa ha condotto con totale partecipazione per-
sonale e impegnando tutte le sue forze. Con gratitudine voglio ricordare anche
tutti gli assistenti degli ultimi anni, che mi hanno aiutato con diligenza e atten-
zione nella ricerca scientifica e hanno svolto volentieri il lavoro loro assegnato.
Ringrazio infine la casa editrice F. Schoningh, dalla quale è venuta da molto tem-
po la sollecitazione per una nuova elaborazione del «Bihlmeyer-Tiichle». L'edi-
tore ha anche accettato il progetto reso autonomo; in paziente attesa ho dovuto
purtroppo pretendere da lui quasi l'impossibile!
I:autore
ABBREVIAZIONI

ACO Acta conciliorum eocumenicorum


ACW Ancient Christian Writers
AHC Annuarium historiae conciliorum
AHP Archivum historiae pontificiae
AHR American Historical Review
a.Le. Al luogo citato
ALW Archiv fiir Liturgiewissenschaft
AnBoll Analecta Bollandiana
AnPh L' année philologique
ANRW Aufstieg und Niedergang der romischen Welt
Aug. Augustinianum
Aug(L) Augustiniana (Lovanio)
AugSt Augustinian Studies
BAG Beitrage zur Alten Geschichte
BAL Bulletin de antiquités Luxembourgeoises
BAug Bibliothèque augustinienne
BGrL Bibliothek der griechischen Literatur
BHG Bibliotheca hagiographica graeca
BHL Bibliotheca hagiographica latina
BHO Bibliotheca hagiographica orientalis
Bib. Biblica
BJRL Bulletin of the John Rylands Library
BKV Bibliothek der Kirchenvater
BLE Bulletin de littérature ecclésiastique
BPat Biblioteca Patristica
BPatr Bibliographia Patristica
BSig.SR Bulletin signaletique. Sciences réligieuses
BSS Bibliotheca Sanctorum
ByF Byzantinische Forschungen
Byz Byzantion
ByZ Byzantinische Zeitschrift
BZ Biblische Zeitschrift
8 Abbreviazioni

c commento
ca. circa
CANT Clavis Apocryphorum Novi Testamenti
CAr Cahier archéologique
CChr Corpus Christianorum, cf § 3,lb
cf confronta
CIAC Atti dei Congressi Internazionali di Archeologia Cristiana
CIG Corpus Inscriptionum Graecarum
CIL Corpus Inscriptionum Latinarum
CJ Codex Iustinianus, cf § 3,le
CM Classica et mediaevalia
COD Conciliorum oecumenicorum decreta
CollTP Collana di testi patristici
Comm. Commentarius, Commentarii (con le abbreviazioni dei libri biblici se-
condo la Vulgata)
Const. Apost. Costituzioni Apostoliche (edizioni cf § 75,10)
CPA Commentario ai Padri Apostolici
CorPatr Corona Patrum
CPG Clavis patrum Graecorum
CPJ Corpus papyrorum Judaicorum
CPL Corpus patrum Latinorum
CPPM Clavis Patristica pseudepigraphorum Medii Aevi
CPS Corona Patrum Salesiana
es Cristianesimo nella storia
esco Corpus scriptorum Christianorum orientalium
CSEL Corpus scriptorum ecclesiasticorum Latinorum
CSHB Corpus scriptorum historiae Byzantinae
CSLPar Corpus scriptorum Latinorum Paravianum
CTh Codex Theodosianus, cf § 3,le
CuFr Collection des universités de France
DACL Dictionnaire d'archéologie chrétienne et liturgie
DH Denzinger, cf § 3, le
DHGE Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastiques
Dig. Digesti, nel Corpus Iuris Civilis, cf CJ
diss. dissertazione
Abbreviazioni 9

DOP Dumbarton Oak Papers


DPAC Dizionario patristico e di antichità cristiane
DSp Dictionnaire de spiritualité
DThC Dictionnaire de theologie catholique
EBB Elenchus Bibliographicus Biblicus
ediz. edizione/i
EJ Encyclopedia J udaica
EL Ephemerides liturgicae
Ep./Epist. Epistula, Lettera
EThL Ephemerides theologicae Lovanienses
FaCh Fathers of the Church
FC Fontes Christiani
FlorPatr Florilegium Patristicum
FMSt F riihmittelalterliche Studien
FS Festschrift [scritti in onore di]
FZPhTh Freiburger Zeitschrift fiir Philosophie und Theologie
GCS Gli scrittori cristiani greci dei primi tre secoli
Gn Gnomon
GRBS Greek, Roman and Byzantine Studies
Greg Gregorianum
GWU Geschichte in Wissenschaft und Unterricht
Gym Gymnasium
HAW Handbuch der Altertumswissenschaft
HDG Handbuch der Dogmengeschichte
H.E. Historia ecclesiastica
Hefele-Leclerq cf § 4,6b
HeyJ Heythrop Journal
Hist. Historia
HJ Historisches J ahrbuch
Horn. Homilia (con le abbreviazioni dei libri biblici secondo la Vulgata o la
corrispondente abbreviazione)
HThR Harvard Theological Review
HZ Historische Zeitschrift
ICUR Inscriptiones christianae urbis Romae
ILCV Inscriptiones Latinae Christianae veteres
10 Abbreviazioni

ILS Inscriptiones Latinae Selectae


Iren Irenikon
JAC J ahrbuch fiir Antike und Christentum
JBL Journal of Biblica! Literature
Jdl J ahrbuch des Deutschen Archaologischen Instituts
JECS Journal of Early Christian Studies
]EH Journal of Ecclesiastica! History
JES Journal of Ecumenica! Studies
JETS Journal of the evangelica! theological society
JLH Jahrbuch fiir Liturgik und Hymnologie
JOB J ahrbuch der èisterreichischen Byzantinistik
JRH J ournal of religious history
JRS J ournal of Roman studies
JThS J ournal of Theological Studies
KGMG Kirchengeschichte als Missionsgeschichte
Kl Kleronomia
KIT Kleine Texte fiir Vorlesungen und Ùbungen
KuD Kerygma und Dogma
LAW Lexikon der Alten Welt
LCI Lexikon der christlichen Ikonographie
LCL Loeb Classica! Library
LJ Liturgisches J ahrbuch
LP Liber Pontificalis
LQF Liturgiegeschichtliche Quellen und Forschungen
MD La Maison-Dieu
MDALR Mitteilungen des Deutschen Archaologischen Instituts. Rèimische Ab-
teilung
MEFRA Mélanges de I' école française de Rome, Série « Antiquité »
MGH Monumenta Germaniae historica, v. § 3,lb
MSR Mélanges de science réligieuse
MThZ Miinchner Theologische Zeitschrift
Mus. Le Muséon
NHC Nag Hammadi-Codex
Nhs Nag Hammadi Studies
Nov. Novellae Constitutiones, cf CJ; Cth
Abbreviazioni 11

NPNF Nicene and Post-Nicene Fathers


NRTh Nouvelle revue théologique
NT Novum Testamentum, Leida
nts neotestamentario
NTS New Testament Studies
NZ N umismatische Zeitschrift
OCP Orientalia Christiana Periodica
OECT Oxford Early Christian Texts
OKS Ostkirchliche Studien
Opitz Urkunden zur Geschichte des arianischen Streits
OrChr Oriens Christianus
par. paralleli dei Vangeli sinottici
ParOr Parole de l'Orient
PG Patrologia Graeca
PL Patrologia Latina
PLS Patrologia Latina Supplementum
PO Patrologia Orientalis
POC Proche-Orient chrétien
Praef. Praefatio
PRE Suppl. Paulys Realencyclopadie der classischen Altertumswissenschaft, Sup-
plementum
prol. prologo
PS Patrologia Syriaca
PTS Patristische Texte und Studien
QLP Questions liturgiques et paroissiales
RAC Reallexikon fiir Antike und Christentum
RAM Revue d'ascétique et de mystique
RB Revue biblique
RBen Revue Bénédictine
RBK Reallexikon zur byzantinischen Kunst
RDC Revue de droit canonique
REA Revue des études anciennes
REArm Revue des études Arméniennes
REAug Revue des études Augustiniennes
RechAug Recherches Augustiniennes
12 Abbreviazioni

REL Revue des études latines


RevSR Revue des sciences religieuses
RHDF Revue historique de droit français et étranger
RHE Revue d'histoire ecclésiastique
RHEF Revue de l'histoire de l'église de France
RHPhR Revue d'histoire et de philosophie religieuses
RHR Revue de l'histoire des religions
rist. ristampa
RivAC Rivista di archeologia cristiana
RMAL Revue du moyen-age
RNord Revue du nord
ROC Revue de l'Orient chrétien
RQ Romische Quartalschrift
RSCI Rivista di storia della chiesa in Italia
RSLR Rivista di storia e letteratura religiosa
RSPhTh Revue des sciences philosophiques et théologiques
RSR Recherches de science religieuse
RThAM Recherches de théologie ancienne et médievale
RThom Revue Thomiste
RThPh Revue de théologie et de philosophie
RTL Revue théologique de Louvain
RUB Revue de l'Université de Bruxelles
Sal. Salesianum
SBFLA Studii biblici Franciscani liber annuus
se Sources chrétiennes
ScEc Sciences ecclésiastiques
ScEs Sciences et Esprit
SecCen The Second Century
ScrGrPatr Scritti greci e patristici
ScrGrLat Scrittori greci e latini
sec. secolo/i
SHG Subsidia hagiographica
SSAM Settimane di studio del centro italiano di studi sull'alto medioevo
Stat.eccl.ant. Statuta ecclesiae antiqua (ediz. cf § 64)
StMed Studi medievali
Abbreviazioni 13

StMon Studia monastica


StPatr Studia Patristica
StTh Studia theologica
testo
TC Traditio Christiana
TeR Testi e ricerche
ThPh Theologie und Philosophie
ThQ Theologische Quartalsschrift
ThR Theologische Rundschau
ThZ Theologische Zeitschrift
Tr. Traditio
trad. traduzione
Trad.Chr Traditio christiana
TRE Theologische Realenzyklopadie
TS Theological Studies
TU Texte und Untersuchungen
ve Verbum caro
VetChr Vetera Christianorum
VigChr Vigiliae Christianae
VigChr.Suppl. Vigiliae Christianae Supplementum
VL Vetus Latina
vts veterotestamentario
vol./voll. volume/volumi
WSt Wiener Studien
ZKG Zeitschrift fiir Kirchengeschichte
ZKTh Zeitschrift fiir katholische Theologie
ZNW Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft
ZRGG Zeitschrift fiir Religions- und Geistesgeschichte
ZSRG.K Zeitschrift der Savigny-Stiftung fiir Rechtsgeschichte. Kanonische
Abteilung
ZSRH.R Zeitschrift der Savigny-Stiftung fiir Rechtsgeschichte. Romanische
Abteilung
ZThK Zeitschrift fiir Theologie und Kirche
I. Introduzione

§ 1. Storia della Chiesa antica

1. Metodi della storia ecclesiastica

La storia ecclesiastica è una disciplina storica che lavora con gli stessi meto-
di della cosiddetta storia profana: esamina fonti scritte e monumentali ricorren-
do agli strumenti dell'analisi storico-critica, della storia della letteratura e del
pensiero, della storia sociale ed economica, dell'antropologia e della psicologia,
ecc. Sia la storia profana che la storia ecclesiastica debbono render conto dei lo-
ro presupposti ermeneutici, riflettere i loro modi di porre i problemi e i loro me-
todi specifici, giustificare la loro interpretazione delle fonti. In tale prospettiva,
esse non sono discipline fondamentalmente diverse, ma operano in ambiti spe-
cifici della scienza storica, che si completano e giovano reciprocamente. Ci si
può occupare in maniera significativa di storia ecclesiastica soltanto in connes-
sione reciproca con la storia profana.

2. Storia della Chiesa

L'oggetto della storia ecclesiastica, cioè l'istituzione storica della Chiesa, è


aperto sia allo storico profano che a quello ecclesiastico. La specifica delimita-
zione di ambito è difficile ed è possibile unicamente dal punto di partenza er-
meneutico, in quanto la storia ecclesiastica rappresenta una disciplina teologica
(cf sotto § 1,3).
Se si prende sul serio la definizione del Concilio Vaticano II, secondo cui la
Chiesa è il popolo peregrinante di Dio, se ne deducono, guardando alle tradi-
zioni più antiche della storiografia ecclesiastica, conseguenze di ampia portata:
- La storia ecclesiastica non può essere semplicemente la storia del magiste-
ro, dei papi e dei concilii, e quindi di quella che oggi, spesso in un'ottica sempli-
ficata e falsificata, viene definita come «Chiesa ufficiale», ma è la storia di tutti i
credenti in Cristo e di tutti i membri della Chiesa nei loro reciproci rapporti, nel-
la consapevolezza che essi hanno di se stessi, nelle loro istitu~ioni, nei loro movi-
menti, nei loro riti e nelle loro forme di pietà, nella loro situazione storica.
- La Chiesa, conseguentemente, non deve essere vista semplicemente in
contrapposizione e in contrasto con il «mondo», con lo Stato, con le altre
16 I. Introduzione

religioni e concezioni del mondo, ecc. Si deve prestare attenzione, anzi, al


suo essere-nel-mondo, alla sua interdipendenza politica e sociale, alle circo-
stanze economiche e sociali nelle quali essa vive, alla molteplicità dei rap-
porti, degli ambiti specifici e delle connessioni reciproche tra correnti e men-
talità diverse.
- La storia ecclesiastica non può presupporre un rapporto definitivo e sta-
bile tra ortodossia ed eresia, ma cerca d'individuare i complessi processi della ri-
cerca e della delimitazione di ambiti, come anche le relazioni reciproche. La sto-
ria dei dogmi, quindi, si colloca in una più ampia storia della teologia e nella sto-
ria della pietà e della spiritualità.
- La storia ecclesiastica, infine, non può essere considerata come quella che
alcuni tendono a definire, con frase ad effetto, «storia dei vincitori», cioè come
la storia di coloro che hanno fatto valere la propria politica, la propria teologia
e la propria spiritualità, ma deve esaminare le idee, i progetti e le attività di tut-
ti gli interessati nel loro rispettivo contesto e nelle loro connessioni storiche.

3. Storia ecclesiastica come teologia

Su questa base, si deve stabilire la collocazione specifica della storia ec-


clesiastica come disciplina teologica. Essa esamina gli effetti della Rivelazione,
che a sua volta si è storicamente manifestata e depositata nel formarsi del-
1' Antico e del Nuovo Testamento. Ricorrendo a formule concise, si potrebbe
parlare di« storia del Vangelo e dei suoi effetti nel mondo» (Bornkamm) o an-
che di storia dell' «interpretazione della Sacra Scrittura» (Ebeling). La storia
ecclesiastica è la storia degli effetti prodotti dalla Rivelazione nel formarsi del-
la tradizione e delle tradizioni, nella teologia e nell'apologetica, nelle struttu-
re comunitarie e nella comprensione del mondo, nelle persone, nei gruppi,
nelle società, ecc. La sua importanza come teologia essa la ricava dalla comu-
nicazione delle varie discipline teologiche. Essa riflette la storia degli uomini
con Dio e in quanto tale rappresenta un completamento e un correttivo della
teologia sistematica, come anche di quella pratica. Essa ne elabora il contesto
storico e mostra le situazioni storiche di progetti sistematici e di programmi
concreti.

4. Storia antica della Chiesa

La limitazione alla storia ecclesiastica dell'antichità o alla storia antica del-


la Chiesa ha come orizzonte la storia dell'Impero Romano, che durante i pri-
§ 1. Storia della Chiesa antica 17

mi secoli rappresentò la cornice geografica, politica e sociale per la diffusione


come anche per lo sviluppo dogmatico e istituzionale del cristianesimo. Il tra-
monto dell' Imperium Romanum e il passaggio al medioevo si consumarono
nell'arco di più secoli, segnati da alcuni avvenimenti decisivi: la divisione de-
finitiva tra Impero d'Oriente e Impero d'Occidente nel 395; il sacco di Roma
da parte dei visigoti di Alarico nel 410; la fine dell'Impero Romano d'Occi-
dente nel 476; il battesimo del franco Clodoveo nel 498/499 (?).Le tribù ger-
maniche penetrarono sempre più in profondità nel territorio imperiale e si re-
sero indipendenti nei loro nuovi territori. In Occidente scomparvero gli anti-
chi confini dell'Impero Romano, mentre esso rimase in un primo momento in
Oriente. La divisione dell'Impero nel 395 aveva confermato i confini lingui-
stici esistenti fin dal III secolo. La separazione all'interno delle Chiese prose-
guì nei secoli seguenti. Mentre la Chiesa occidentale sotto i papi romani ten-
deva a rendersi politicamente indipendente, la Chiesa bizantina rimaneva for-
temente legata al sistema politico ed era più o meno controllata dall'impera-
tore. Con la comparsa di Maometto all'inizio del VII secolo, l'Impero Roma-
no d'Oriente perse potere e influenza.
In concreto, va riconosciuta alla Chiesa antica una particolare importanza,
in quanto in questo tempo la vita e la fede cristiana arrivano ad affermarsi in for-
me storicamente constatabili. Nelle controversie e nei dissensi dei primi secoli
si rispecchiano i molteplici sforzi per concretizzare e attuare il Vangelo sul pia-
no politico, istituzionale, teologico e spirituale. I concilii ecumenici e i loro in-
segnamenti, l'articolazione gerarchica degli uffici, lo svilupparsi della liturgia
cristiana e altri aspetti organizzativi producono nella Chiesa contenuti e forme
che essa conserva ancora oggi.

5. La «Chiesa antica»

Il parlare di Chiesa occidentale e Chiesa orientale suggerisce un'unità che in


questo modo non c'è stata mai. Già nel NT è possibile individuare concretizza-
zioni diverse del messaggio di Gesù Cristo, e la successiva storia della Chiesa an-
tica è anche una storia di controversie, conflitti e scissioni. Per questo motivo,
l'espressione «Chiesa antica» può ritene'rsi un concetto artificiale.
Anche in seguito si possono registrare differenziazioni. È fuori dubbio la
differenza tra
- la Chiesa dagli inizi fino all'imperatore Costantino (306-337) e
- la Chiesa imperiale da Costantino fino al termine dell'evo antico.

A questa differenziazione se ne possono aggiungere anche altre.


18 I. Introduzione

C. Andresen ed altri hanno proposto ulteriori suddivisioni:


- fino a circa il 150: Chiesa primitiva o prime comunità cattoliche;
- fino a Costantino: tutta la Chiesa del primo periodo cristiano o dell'anti-
co cattolicesimo;
- fino a Calcedonia (451): Chiesa imperiale cattolica;
- fino alla fine dell'evo antico: Chiesa imperiale bizantino-ortodossa e Chie-
sa romano-cattolica.
Uno specifico ambito di ricerca è costituito dalla bizantinistica, che analiz-
za la storia e l'arte dell'impero bizantino fino alla conquista di Costantinopoli da
parte degli ottomani (1453). Non tutti sono d'accordo sull'inizio e sulla suddi-
visione dell'epoca bizantina. Con validi argomenti si può far coincidere l'inizio
dell'epoca bizantina con la fondazione di Costantinopoli sotto Costantino. La
prima bizantinistica viene così a coincidere con l'evo antico. La fine della prima
epoca bizantina viene collocata tra Giustiniano I e, con criterio migliore, l'im-
peratore Eraclio (610-641), cioè fino al tempo che vide notevolemente assotti-
gliarsi il territorio imperiale per l'invasione araba. L'epoca di mezzo dell'impero
bizantino arriva fino al 1204, e quella tarda fino al 1453 o 1460/1461.

BIBLIOGRAFIA§ 1: N. BROX, Fragen zur Denk/orm der Kirchengeschichtswissenschaft, in ZKG


90 (1979), 1-21; K. BORNKAMM, Kirchenbegrif/ und Kirchengeschichtsverstandnis, in ZThK 75
(1978), 436-466; Gorres-GESELLSCHAFT, Grund/ragen der kirchengeschichtlichen Methode - heu-
te. Internationales Symposion des Romischen Institutes der Gorres-Gesellschaft in Rom 1981, in RQ
(1985), p. 258; U. KòPF, Dogmengeschichte oder Theologiegeschichte?, in ZThK 85 (1988), 455-
473; R. KOTTJE, Kirchengeschichte heute - Geschichtswissenscha/t oder Theologie?, Trier 1970;
G. RUHBACH, Kirchengeschichte, Giitersloh 1974; H. R. SEELIGER, Kirchengeschichte- Geschichts-
theologie - Geschictswissenschaft. Analysen zur Wissenscha/tstheorie und Theologie der katholi-
schen Kirchengeschichtsschreibung, Diisseldorf 1981; S. STORCK, Kirchengeschichtsscheibung als
Theologie. Theorien der Kirchengeschichtsschreibung in der deutschsprachigen evangelischen und
katholischen Theologie seit 1945, Hamburg 1993.

§ 2. Storiografia ecclesiastica nell'antichità cristiana

1. Storiografia pagana e giudaica

La storiografia cristiana non nacque in un mondo astratto e non dovette inc


ventare strumenti e metodi completamente nuovi. Nel mondo greco-romano in-
tere generazioni di scrittori e cronisti cercarono già dai tempi di Erodoto (V sec.
a.C.), poi di Tucidide e Senofonte, Polibio, Cesare, Sallustio, Livio, Tacito, fino
§ 2. Storiografia ecclesiastica nell'antichità cristiana 19

ad Ammiano Marcellino, Cassio Dionee Procopio (VI sec. d.C.), di raccogliere


e ordinare i fatti del passato e del presente. In questa loro attività essi non sem-
pre furono guidati innanzitutto da interessi d'archivio, ma piuttosto dalla preoc-
cupazione di superare, valorizzando le esperienze della storia, i problemi politi-
ci e morali dei rispettivi tempi. Così, k opere degli antichi storiografi sembrano
dettate non tanto dal criterio della documentazione e dell'analisi critica delle
fonti, così come oggi noi le intendiamo, quanto invece dall'impegno della rap-
presentazione e interpretazione. Essi riferivano fatti ed eventi che sembravano
loro importanti, facevano risalire i vari avvenimenti e fenomeni a forze motrici
da loro ritenute determinanti e cercavano di rilevarne il significato con ogni
espediente letterario.
Se nel mondo pagano c'erano gli dèi o, in una dimensione più astratta, la
Fortuna o il Fatum, ai quali si attribuiva un influsso sul corso della storia, gli au-
tori biblici si concentrarono sulla storia di Dio con il suo popolo, sulla storia del-
la salvezza. La loro rappresentazione d'insieme mirava a un'istruzione e a un'e-
ducazione religiosa. Dalla riflessione sul significato dell'intervento di Dio si svi-
lupparono già nell' AT princìpi di teologia della storia, che poi furono ulterior-
mente sviluppati ed elaborati in senso cristologico da Giustino e Ireneo, Euse-
bio ed altri. La teologia patristica della storia raggiunse un suo vertice con la
concezione di Agostino.

I generi più importanti dell'antica storiografia furono


-l'esposizione storica universale (per es. Erodoto, Tucidide);
-la monografia storica sulla storia contemporanea (per es. Giuseppe Flavio);
- la cronaca, in cui si elencavano cronologicamente date e avvenimenti,
-la biografia (per es. Svetonio), che poteva assumere anche tratti romanzeschi (per
es. Historia Augusta).

A questi generi si aggiungono rappresentazioni di storia locale, illustrazioni di An-


tiquitates (antichità culturali, curiosità, ecc.), scritti panegirici, sussidi per la geografia,
per la spiegazione di nomi, ecc.

2. Cronache

Chronica minora (IV-VII sec.): T. MOMMSEN, t, 3 voli., 1891-1894 (MGH.AA 9;11;13).


Chronica minora (sir.): I. GUIDI, t trad. lat., 6 voli., 1903-1907 (CSCO 1-6).
Chronicon paschale: L. DINDORF, t, 1832 (CSHB 7); M. e M. WHITHY, trad. ingl. e, Liverpool
1989.
Cronaca edessenica: L. HALLIER, Untersuchungen iiber die Edessenische Chronik, t sir., Leipzig
1892.
Cassiodoro, Chronica: T. MOMMSEN, t, 1894 (MGH.AA. 11).
20 I. Introduzione

Eusebio, Chronica: J. FOTHERINGHAM, e lat., London 1923; R. HELM, t lat., 19562 (GCS 47);
A. SCHOENE, t lat. (gr. framm.), Berlin 1866-1875.
Isidoro di Siviglia, Chronica maiora: T. MOMMSEN, t, 1894 (MGH.AA. 11).
Giovanni Malalas, Chronographia: L. DINDORF, t, Bonn 1831; t trad. lat., PG 97; E. }EFFREYS et
al., trad. ingl., Melbourne 1976.
Chronographia (compendio): O. VEH, in Procopius, Perserkriege, t trad. ted., Miinchen 1976.
Niceforo, Opera hist.: C. de BooR, t, Leipzig 1880.
Hist. Rhom: J. L. van DIETEN, trad. ted., 2 voli., 1073-1979 (BGrL 4, 8ss.)
Prospero d'Aquitania, Epitoma Chronicon: T. MOMMSEN, t, 1892 (MGH. AA 9).
Sulpicio Severo, Chronicorum libri II: C. HALM, t, 1866 (CSEL 1).
Theophanes Confessor, Chronographia: C. de BOOR, t, 1883-1885, rist. Hildesheim 1963.

Le cronache vengono tramandate come le prime rappresentazioni storiche


cristiane. Esse iniziavano per lo più con la creazione del mondo e compendia-
vano le epoche e gli eventi decisivi in redazioni concise - spesso ordinate attra-
verso tabelle, secondo determinate date (olimpiadi, consolati, anni degli impe-
ratori) - con riferimento alla storia veterotestamentaria. Poiché quest'ultima ve-
niva interpretata nella prospettiva della storia della salvezza o in senso tipologi-
co rapportato a Cristo, le cronache poterono servire, nella discussione con la
mentalità e la religiosità pagana, come prova di antichità. Secondo la definizio-
ne di Isidoro di Siviglia, «Si dice cronaca in greco ciò che i Latini chiamano suc-
cessione dei tempi (temporum series) » (Etymol. V 28). Cassiodoro vede nella
cronaca« soltanto delle rappresentazioni concise (imagines) della storia e rievo-
cazioni molto brevi (commemorationes) del passato» (Inst. I 17,2).
- La cronaca universale di Giulio Africano (cf § 39,4) ci è rimasta solo in
frammenti. Essa offriva sguardi paralleli sugli eventi pagani, veterotestamentari
e cristiani e giungeva fino al 217. L'opera rispecchiava le teorie del tempo, se-
condo le quali il mondo doveva esistere per 6000 anni (coincidenti con i sei gior-
ni della settimana), e si doveva aspettare ormai il 7° migliaio di anni, corrispon-
dente al regno millenario (per il chiliasmo cf § 33 ).
:- La cronaca d'Ippolito di Roma (cf § 39,8) cercava di confutare il chilia-
smo. Essa termina con il 234 e ci è rimasta egualmente soltanto in frammenti o
in traduzioni.
- Rifletteva a fondo il chiliasmo anche la cronaca d'Eusebio di Cesarea
(cf § 75,1), giunta anch'essa in frammenti, conclusa nel 303, forse già nel 280.
Essa tratta nella prima parte i popoli importanti dell'antichità (Caldei, Egiziani,
Greci, ecc.). La seconda parte principale è costituita da tabelle sincronistiche a
partire da Abramo.
-Girolamo {cf § 76,3) tradusse la cronaca eusebiana e la proseguì con libe-
ra rielaborazione fino al 378. Essa divenne la base di altre cronache universali fi-
no al Medioevo.
§ 2. Storiografia ecclesiastica nel!'antichità cristiana 21

Le più importanti cronache successive appartengono a


-Sulpicio Severo (cf §71C3 ), Chronicorum libri II dall'inizio del mondo fi-
no al 400.
- Prospero d'Aquitania (cf § 76,12b), Epitoma Chronicon fino al 455 (ela-
borata in maniera autonoma soltanto a partire dal 412).
- Cassiodoro (cf § 78,2e), Chronica fino al 519.
- Isidoro di Siviglia (cf § 78,4b), Chronica fino al 615.

In oriente si ebbero le seguenti cronache:


- quella di Giovanni Malalas (o Scholasticus, morto nel 577), che arriva fi-
no al 563;
- la Cronaca edessenica, formatasi dopo il 540 in lingua siriaca, che ab-
braccia il periodo dal 133 a.C al 540 d.C.;
- quella di Giacomo di Edessa, che rielaborò la cronaca eusebiana e la pro-
seguì fino al 710.
- il Chronicon Paschale, che risale al VII secolo e arriva fino al 629;
- quella di Theophanes Confessor (ca. 760-818); egli compose negli anni
810-814 una Chronographia che va dal 284 all'813 e rappresenta una delle po-
che fonti per il VII e l'VIII secolo;
-l'opera di Niceforo di Costantinopoli (ca. 750-828), che lasciò un Brevz'a-
rium e una cronografia.

3. Storie ecclesiastiche

Cassiodoro, Hist. ecc!. tripart.: W. ]ACOB - R. HANSLIK, t, 1952 (CSEL 71).


Eusebio, H.E.: E. SCHWARTZ, t, 1903-1908 (GCS 9,1-3); G. BARDY -PÉRICHON, t trad. frane. e, 4
voli., 1952-1960 (SC 31; 41; 55; 73); H. KKRAFT, trad. ted, Miinchen 1967; E. MASPERO -
M. CEVA, trad it. e, Milano 1979; H.E.; Mart. Pal.: G. del TON, t trad. it., Roma 1964.
Evagrio Scolastico, H.E.: J. BIDEZ- L. PARMENTIER, t, 1898, rist. Amsterdam 1964; A.-J. FETU-
GIÈRE, trad. frane, in Byz 45 (1975), 187-471.
Gregorio di Tours, Hist. Frane.: B. KRuscH- W. LEVISON, t, 195l3 (MGH. SRM 1,1); B. KRUSCH
- R. BuCHNER, t trad. ted., 2 voli., Darmstadt, nuova ediz.1974-1977; R. LATOUCHE, trad.
frane., 19742 •
Isidoro di Siviglia, Hist. Goth. Vand. Sueb.: T. MOMMSEN, t 1894 (MGH.AA 11); G. DONINI -
G. B. FORD trad. ingl. Leida 19702 ; D. COSTE, t trad. ted., Leipzig 19092 •
Jordanes, Hist. Goth.: T. MOMMSEN, t !at., 1882 (MGH.AA 5,1); F. GIUNTA - A. GRILLONE, t,
Roma 1991; E. BARTOLINI, trad. it., Milano 1991; C.C. MIEROW, t trad. ingl. e, Cambridge
1966.
22 I. Introduzione

Orosio, Hist. adv. pag.: M. P. ARNAUD-LINDET, t trad. frane., 3 voli., Paris 1990; A. LIPPOLD, trad.
ted. e, 2 voli., Ziirich/Miinchen 1985/1986; R.J. DEFERRARI, trad. ingl., 1964 (FaCh 50);]. W.
RAYMOND, t trad. ingl., New York 1936; A. LIPPOLD -A. BARTALUCCI et al., t trad. it., 2 voli.,
Milano 1976 (ScrGrLat).
Paolo Diacono, Hist. Langob.: G. WAITZ. L. BETHMANN, t, 1878 (MGH.SRL); A. GIACOMINI, t
trad. it. e, Milano 1977.
Filostorgio, H. E.:]. BIDEZ - E. WINKELMANN, t, 198!3 (GCS).
Rufino, H. E.: L. DATTRINO, trad. it. e, 1986 (ColiTP 54).
Socrate Scholasticus, H. E.: W. BRICHT, t, Oxford 1986; R. HUSSEY, t trad. lat., 3 voli.,
Oxford 1853; A. C. ZENOS - C. D. HARTRANFT, trad. ingl., rist. Grand Rapids 1983
(NPNF II 2).
Sozomeno, H. E.:]. BIDEZ. G. C. HANSEN, t, 1960 (GCS); B. CYRILLET et al., t trad. frane e, 1983
(SC 306); A. C. ZENOS-C. D. HARTRANFT, trad. ingl., rist. Grand Rapids 1983 (NPNF Il 2).
Teodoro il Lettore, H. E.: G.C. HANSEN, t, 19952 (GCS).
Teodoreto di Ciro, H. E.: L. PARMENTIER - E. SCHEIDWEILER, t, 1954 (GCS). Hist. rei.: P. CANI-
VET - A. LEROY-MOLINGHEN, t trad. frane. e, 2 voli., 1977-1979 (SC 234; 257). H. E.; Hist.
re/.: R. M. PRICE, trad. ingl., Kalamazoo 1985; K. GUTBERLET-A. SEIDLER, trad. ted., 2 voli,
1926 (BKV). Haereticarum fabularum compendium: PG 83.
Vittore di Vita, Hist. pers. Afr. prov.: M. PETSCHENIG, t, 1881 (CSEL 7); S. COSTANZA, trad. it. e,
1981 (ColiTP 29).
Zaccaria il Retore, H. E. (cronaca sir.): E. W. BROOKS, t. trad. lat., 2 voli., 1919/1924 (CSCO 83ss;
87ss.); F.]. HAMILTON - E. W. BROOKS, trad. ingl., 1899, rist. New York 1979.
Epitome: K. AHRENS - G. KROGER, trad. ted., Leipzig 1899.

a) Eusebio di Cesarea

Eusebio (cf § 75,1) viene ritenuto il« padre della storiografia ecclesiastica»,
colui che per lungo tempo diede l'impronta alla storiografia cristiana. La sua Hi-
storia ecclesiastica tratta in 10 libri la storia della Chiesa dalla sua fondazione fi-
no al 324.
L'elaborazione deli' opera si trascinò per lunghi anni. I primi sette libri furono pubblicati cer-
tamente prima del 303 (in una prima redazione forse già nel 290), mentre i libri 8-10 seguirono
dopo il 312 e documentano la storia contemporanea dal punto di vista eusebiano.

La rappresentazione rivela un'impalcatura cronologica che fa riferimento ai


periodi di regno degli imperatori ed appare guidata, inoltre, da tematiche cen-
trali: la successione degli apostoli, i maestri e capi delle grandi comunità, le ere-
sie, il destino del popolo giudaico, la storia delle persecuzioni e i martiri della
fede (H. E. I 1-2). Essa abbraccia una molteplicità di avvenimenti ed è integra-
ta da documenti e compendi che, anche se non corrispondono ai criteri scienti-
fici moderni, rimangono ancora oggi d'incalcolabile valore per la storia eccle-
siastica.
La Storia ecclesiastica eusebiana è basata su una concezione apologetica del-
la storia della salvezza: l'azione di Dio in questo mondo si mostrerebbe nella sua
§ 2. Storiografia ecclesiastica nell'antichità cristiana 23

Chiesa, che da lui sarebbe guidata sicuramente alla vittoria trionfale. Gli inizi del-
la Chiesa vengono stilizzati da Eusebio fino a idealizzarne la condizione origina-
ria; le eresie rappresenterebbero la caduta e le persecuzioni sarebbero gli attac-
chi del demonio. Nel piano di Dio esse sono servite come punizione o come mez-
zi educativi che hanno condotto alla conversione e a un ulteriore progresso. Nel-
l'epoca di Costantino Eusebio vede avvicinarsi il compimento. I.:imperatore Co-
stantino diventa per lui lo strumento di Dio, che come un secondo Mosè ha con-
dotto il popolo alla vittoria: ed egli ne interpreta l'ascesa alla sovranità assoluta
come vittoria nel segno della Croce (cf § 41,1). Gli avversari e i rivali politici di
Costantino, invece, vengono da lui rappresentati come «empi tiranni» che, nel-
le loro sconfitte, hanno sperimentato la giusta punizione (H.E. VIII 13-14).

b) Prosecuzioni della storia ecclesiastica eusebiana nell'area linguistica greca

Gelasio di Cesarea (secondo successore di Eusebio come vescovo di Cesa-


rea; morto nel 395) proseguì la storia ecclesiastica eusebiana fino al suo tempo,
la prosecuzione ci è giunta solo in frammenti (cf sotto Rufino)
La Storia ecclesiastica di Socrate Scolastico (ca. 380 - dopo 440; Costantino-
poli) abbraccia gli anni 306-439. Essa viene considerata come la migliore prose-
cuzione di Eusebio e come opera classica della storiografia ecclesiastica. Il dot-
to giurisperito distribuì il suo materiale in sette libri secondo i periodi di regno
degli imperatori. Nella sua storia ecclesiastica si trovano fonti importanti per I' a-
rianesimo, la controversia origeniana e gli inizi del monachesimo. Socrate cercò
di portare un certo ordine nel groviglio di avvenimenti della storia ecclesiastica.
Egli fu legato alla teologia di Origene. Sul piano religioso fu certamente in-
cline a a un rigorismo puritano (con una particolare simpatia per i novaziani),
ma si mostrò anche aperto nei confronti della cultura greco-romana, che secon-
do lui doveva costituire la base dell'educazione anche per i cristiani. Incline al-
la pietà neoplatonica, egli ricondusse le controversie teologiche su un piano di
pericolosa dialettica e litigiosità.
Concetti fondamentali della sua concezione storica sono Katp6cr e cruµna0wx (per es. H.E.
II 25-26): Katp6cr, il« tempo giusto», il tempo della crisi, della decisione, è una versione cristia-
nizzata della fortuna pagana (cf H.E. V praef; II, 25-26); cf anche Evagrio (H. E. III 26); cruµ-
mxa0eta fa riferimento alle correlazioni universali di tutta la storia: non potrebbero esserci né
sconvolgimenti né rivolgimenti nella Chiesa senza che non ne siano interessati anche lo ·stato e la
natura. Il compito dello storico, sempre secondo lui, è quello di ricercare e registrare i Katpoi, i
turbamenti dell'armonia cosmica, ma anche pregare perché questa venga ristabilita, perché la
molteplicità venga ricondotta nell'unità e perché gli uomini diventino assimilati a Cristo.

Sozomeno (morto dopo il 448 in Palestina; giureconsulto) compose tra il


443 e il 448 una Storia ecclesiastica in nove libri, che tratta gli anni dal 324 al 422
24 I. Introduzione

(ma doveva arrivare fino al 439). Contemporaneamente a Socrate, da lui cono-


sciuto e utilizzato, egli scrive in maniera aneddotica e acritica. Le discussioni
teologiche gli sono estranee e mostra una particolare predilezione per la liturgia,
il monachesimo e la missione tra i barbari. La sua opera disegna il quadro della
Chiesa imperiale trionfante e di un'« età aurea» sotto Teodosio II.
Teodoreto di Ciro (§ 75, 4d) si ricollegò espressamente nella sua Storia ec-
clesiastica, composta negli anni 441-449, a quella di Eusebio (H. E. I 1), che pro-
seguì in cinque libri fino al 428. Egli rinunciò per lo più a fornire indicazioni
cronologiche, ma inserì tuttavia nella sua rappresentazione, in ampia misura,
importante materiale documentario. Il suo principale interesse fu rivolto alla vit-
toria sull'arianesimo e alla difesa dell'ortodossia. La sua lotta contro l'eresia lo
indusse inoltre a scrivere una storia delle eresie (Haereticarum fabularum com-
pendium), mentre il suo entusiasmo per la vita monastica gli fece scrivere una
storia agiografica del monachesimo siriano (Historia religiosa, cf sotto).
Evagrio Scolastico di Antiochia (Epifanio, morto ca. 600) proseguì sul fini-
re del VI secolo il lavoro dei tre storici precedenti. Egli scrisse la sua Hz'storia ec-
clesiastica dopo il 593/594 e trattò l'epoca dal 431al594. Il suo interesse è ri-
volto soprattutto alla storia della dottrina e dei dogmi, che rappresenta dal pun-
to di vista calcedoniano. La sua opera costituisce una delle fonti più importanti
per le controversie teologiche (nestorianesimo e monofisismo) del tempo. La
sua concezione storica è strettamente collegata a quella di Socrate.
Scrissero inoltre esposizioni di storia ecclesiastica
- l'eunomiano Filostorgio tra il 425 e il 433, da un punto di vista ariano; la
sua storia arriva fino al 425 e ci è giunta solo in estratti;
- Zaccaria il Retore, prima monofisita, poi neocalcedoniano, morto prima
del 553; la sua opera tratta l'epoca tra il 450 e il 491 e ci è stata tramandata co-
me parte di una cronaca universale siriaca;
- Teodoro il Lettore, che compendiò le storie ecclesiastiche di Socrate, So-
zomeno e Teodoreto in una Historia tripartita e le proseguì fino al 527; ne sono
rimasti degli estratti in una Epitome dei secoli VIINIII.

c) Storiografia latina

La storiografia ecclesiastica latina comincia con delle traduzioni (cf sopra §


2,2: traduzione della cronaca eusebiana da parte di Girolamo). La storia eccle-
siastica eusebiana venne rielaborata in latino da Rufino d'Aquileia e proseguita
in due libri fino al 395. Questa prosecuzione si rifà probabilmente all'opera di
Gelasio di Cesarea. Grazie al lavoro di Rufino la storia ecclesiastica eusebiana
divenne accessibile alla Chiesa latina.
§ 2. Storiografia ecclesiastica nell'antichità cristiana 25

Orosio di Braga, dal 414 nella cerchia di Agostino a Ippona, pubblicò negli
anni 417 /418 una storia universale con intenti apologetici: Historiarum libri VII
adversus paganos. Esortato da Agostino (Prol.), gli fornì per così dire il materia-
. le storico per il De civitate Dei. La sua « Storia contro i pagani» si configurava
quindi come una storia della catastrofe (Prol. 10), alla quale egli contrapponeva
in colori luminosi la Pax christiana. Punto di partenza era una divisione fonda-
mentale della storia tra il tempo pagano precristiano e i tempi cristiani (tempo-
ra christiana). Egli completò questa divisione con una periodizzazione basata su
quattro imperi uniVersali (Hist. II l; VII 2; senza alcun riferimento a Dn 2; 7).
Malgrado la sua tendenza inequivocabile e le sue lacune (utilizzazione unilate-
rale e inesatta delle fonti), la «Storia contro i pagani» venne assiduamente letta
dagli storici medievali (a partire da Beda il Venerabile, morto nel 735) e diven-
ne un testo ampiamente diffuso di storia universale.
La tarda storia ecclesiastica africana fu trattata da Vittore di Vita: Historia
persecutionis Africanae provinciae (ca. 488/489). Essa rappresenta le sofferenze
della Chiesa nordafricana sotto i Vandali.
Cassiodoro (§ 78,2e) fece tradurre in latino le storie ecclesiastiche greche di
Socrate, Sozomeno e Teodoreto e le compendiò secondo un modello greco in
dodici libri (Historia ecclesiastica tripartita). Questa storia abbraccia il periodo
324-439 e lascia molto a desiderare sul piano storiografico e letterario; ampia-
mente diffusa a partire dall'epoca carolingia, la Historia tripartita divenne in tut-
to il Medioevo un manuale molto usato di storia ecclesiastica.
Gli storiografi della tarda antichità dedicarono la loro attenzione anche ai
nuovi regni germanici. Cassiodoro scrisse una Storia dei Goti che ci è rimasta so-
lo nel compendio di Jordanes (VI sec.): De origine actibusque Getarum/Getica.
Isidoro scrisse una Historia Gothorum, Vandalorum et Sueborum. La più im-
portante opera di questo genere è rappresentata dai dieci libri della Storia dei
Franchi (Historia Francorum) di Gregorio di Tours (§ 78,4): dopo un compen-
dio della storia umana fino alla morte di san Martino (397) nel primo libro, se-
gue negli altri nove libri una storia dei Franchi, con la narrazione, dal quinto li-
bro, di avvenimenti personalmente vissuti di storia contemporanea. Gregorio
racconta la storia attraverso racconti che vengono tenuti insieme dalla sua fede
nel fatto che è Dio a guidare gli uomini e nella forza d'intercessione dei santi.

4. Opere biografiche e agiografiche

Biografie: C. MOHRMANN, t trad. it., 4 voli., Milano 1974-1975 (ScrGrLat); R. J. DEFERRARI, trad.
ingl., 1952 (FaCh 15); M. SIMONETTI, trad. it., 1977 (ColiTP 6).
Sulpicio Severo, Vita Martini: J. FONTAINE, t trad. frane. e, 3 voli., 1967-1969 (SC 133-135).
Vittricio di Rouen, De laude sanctorum: A. T. SAUVAGE, t, Paris 1895.
Gennadio, De vir. il!.: E. C. RrcHARDSON, t, 1896 (TU 14,1).
26 I. Introduzione

Girolamo, De vir. ill.: E. C. RICHARDSON, t, 1896 (TU 14,1); A. CERESA-GASTALDO, t trad. it. c,
1988 (Bpat 12).
Isidoro di Siviglia, De vir. il!.: C. CODONER MERINO, t trad. spagn. c, Salamanca 1964.

Eusebio di Cesarea scrisse nel 337 una Vita Constantini. In questo scritto
panegirico egli dipingeva l'immagine di Costantino già presente nella sua Histo-
ria ecclesiastica nei colori più forti e la ingigantiva in un'ammirazione senza li-
miti: l'imperatore era per lui, a imitazione del Logos divino, immagine (dKrov)
di Dio. L'antico ideale di sovrano subì in tal modo la prima interpretatio chri-
stiana, che sarebbe stata gravida di conseguenze. Con il suo scritto Sui martiri di
Palestina (De martyribus Palestinae), pervenuto in due diverse redazioni, Euse-
bio rese autonoma una parte dell'esposizione di storia ecclesiastica (H. E. VIII,
2-15), cioè l'agiografia martirologica, e diede impulso in tal senso anche alla sto-
riografia successiva (cf § 75,1).
L'ultimo scritto menzionato si colloca nel contesto degli Atti dei Martiri
(cf § 15,5c). Nel IV e nel V sec. i martiri vennero celebrati, oltre che in prediche, so-
prattutto nelle cosiddette «Passioni epiche». I donatisti, che si dichiaravano «Chie-
sa dei martiri» (cf § 52), scrissero Passiones con impronta fortemente apologetica.
Le rappresentazioni agiografiche della letteratura martirologica trovarono
un seguito nelle Vite di asceti e vescovi che nei sec. IV e V ebbero fama di san-
tità, come nella già menzionata Historia religiosa di Teodoreto (cf sopra) e nelle
altre numerose biografie di monaci scritte da Palladio, Cirillo di Scitopoli, Gi-
rolamo, Sulpicio Severo ed altri (cf § 78,7; 71). Fondamentale per le agiografie
divenne la biografia di Antonio scritta da Atanasio (cf § 71B1). Accanto a que-
ste si ebbero biografie di vescovi (per es. quella di Ambrogio scritta da Paolino
di Milano) e biografie di donne importanti (cf § 73,4).
Si ebbero inoltre raccolte e cataloghi: Girolamo compilò un primo catalogo
di scrittori ecclesiastici (3 93); lopera è modellata su quella di Svetonio con lo
stesso titolo (De viris illustribus), attinge da Eusebio, formula giudizi critici per-
sonali ed elenca alla fine le opere dello stesso Girolamo. Gennadio di Marsiglia
(ca. 500) curò una continuazione del catalogo. Si debbono aggiungere elenchi di
vescovi (importante: il Liber Ponti/icalis fino al 530, cf § 3,ld), raccolte di atti si-
nodali e conciliari, ecc.

BIBLIOGRAFIA § 2: G. ALFÒLDY, Die Krise des Romischen Reiches. Geschichte, Geschichts-


schreibung und Geschichtsbetrachtung. Ausgewiihlte Beitréige, Stuttgart 1989; G. K. van ANDEL
The Christian Concept o/ History in the Chronicle o/ Sulpicius Severus, Amsterdam 1976; D. BAKER
(a cura di), The Materials, Sources And Methods o/Ecclesiastica! History, Oxford 1975; T. D. BAR-
NES, Panegyric, History And Hagiography in Eusebius' Li/e o/ Constantine, in R. Williams (a cura
di), The Making o/Drthodoxy (FS H. Chadwick), Cambridge 1989, 94-123; S. CALDERONE (a cu-
ra di), La storiografia ecclesiastica nella tarda antichità. Atti del convegno tenuto in Erice 1978, Mes-
sina 1980; A. CAMERON (a cura di), History As Text. The Writing o/ Ancient History, London
1989; G. CLARKE et al. (a cura di), Reading the Past in Late Antiquity, Rushcutters Bay 1990;
§ 3. Fonti e sussidi 27

B. CROKE - A. M. EMMET, History And Historians in Late Antiquity, Sidney [ecc.] 1983;
R. G. HALL, Revealed Histories. Techniques /or Ancient Jewish And Christian Historiography, Shef-
field 1991; C. HOLDSWORTH - T. WISEMAN, The Inheritance o/ Historiography (350-900), Exeter
1986; W KINZIG, « Novitas Christiana ». Die Idee des Fortschritts in der Alten Kirche bis Eusebius,
Gi:ittingen 1994; P. MEINHOLD, Geschichte der kirchlichen Historiographie, Freiburg 1967; A. Mo-
MIGLIANO, Essays in Ancient And Modern Historiography, Oxford 1977; A. A. MOSSHAMMER, The
Chronicle o/ Eusebius And Greek Chronographic Tradition, Lewisberg 1979; S. MUHLBERGER, The
Fi/th-Century Chroniclers: Prosper, Hydatius And the Gallic Chroniclers o/ 452, Leeds 1990.
§ 2.3; P. ALLEN, Evagrius Scholasticus the Church Historian, Louvain 1981; G. F. CHESNUT,
The First Christian Histories: Eusebius, Socrates, Sozomen, Theodoret And Evagrius, Macon 19862;
T. CRISTENSEN, Ru/inus o/Aquileia And the « Historia Ecclesiastica», Lib. VIII-IX o/ Eusebius, Ko-
penhagen 1989; ·F. GEPPERT, Die Quellen des Kirchenhistorikers Socrates Scholasticus, 1898, rist.
Aaalen 1972; M. GòDECKE, Geschichte als Mythos. Eusebs « Kirchengeschichte », Frankfurt 1987;
H. W GOETZ, Die Geschichtstheologie des Orosius, Darmstadt 1980; W GOFFART, The Narrators
o/ Barbarian History (A. D. 550-800). ]ordanes, Gregory o/Tours, Bede, And Paul the Deacon, Prin-
cetown Univ. 1988; R. M. GRANT, Eusebius as Church Historian, Oxford 1980; D. KocH-PETERS,
Ansichten des Orosius zur Geschichte seiner Zeit, Frankfurt 1984;}. STEVENSON - W. H. C. FREND,
A New Eusebius. Documents Illustrating the History o/ the Church to A. D. 337, London 19872; E.
THELAMON, Paiens et chrétiens au 4e siècle. Vapport de l'histoire ecclésiastique de Ru/in d'Aquilée:
J;Histoire Ecclésiastique de Ru/in, in Aquileia nel IV secolo, Udine 1982, 255-272; D. TIMPE, Was
ist Kirchengeschichte? Zum Gattungscharakter der Historia Ecclesiastica des Eusebius, in W
Dahlheim et al. (a cura di), (FS [scritti in onore di] Robert Werner), Konstanz 1989, 171-204; F.
WINKELMANN, Untersuchungen zur Kirchengeschichte des Gelasius von Kaisareia, Berlin 1966; F.
WINKELMANN, Euseb von Kaisarea. Der Vater der Kirchengeschichte, Berlin 1991.
§ 2,4: W BERSCHIN, Biographie und Epochenstil im lateinischen Mittelalter, voli. 1-2, Stutt-
gart 1986-1988; P. Cox, Biography in Late Antiquity. A Quest /or the Holy Man, Berkeley/Los An-
geles/London 1983; A. G. ELLIOTT, Roads to Paradise. Reading the Lives o/ the Early Saints, Ha-
nover/NH [ecc.] 1987; B. FLUSIN, Miracle et histoire dans l'oeuvre de Cyrille de Scythopolis, Paris
1983; F. GHIZZONI, Sulpicio Severo, Roma 1983; H. KECH, Hagiography als christliche Unterhal-
tungsliteratur. Studien zum Phiinomen des Erbaulichen anhand der Monchsviten des hl. Hierony-
mus, Gi:ippingen 1977; E. PATLAGEAN, Ancient Byzantine Hagiography And Socia! History, in
S. Wilson (a cura di), Saints And Their Cults, Cambridge 1983; C. STANCLIFFE, St. Martin And His
Hagiographer. History And Miracle in Sulpicius Severus, Oxford 1983.

§ 3. Fonti e sussidi

1. Le fonti scritte

a) SUSSIDI
Prime informazioni sulle. edizioni, in parte su questioni di autenticità e di datazione,
vengono fornite da:
Clavis Patrum Latinorum (CPL), E. DEKKERS -A. GAAR (a cura di), Steenbrugge 196F
(nuova ediz. 19953 ).
28 I. Introduzione

Vetus Latina (autori cristiani, con repertorio e sigle), H. J. PREDE (a cura di), Freiburg
19954 •
Clavis Patrum Graecorum (CPG), 5 voli., M. GEERARD (a cura di), Turnhout 1974-1987.
Clavis Apocryphorum Novi Testamenti' (CANT), M. GEERARD (a cura di), Turnhout
1992.
Clavis Patristica Pseudepigraphorum Medii Aevi (CPPM), J. MACHIELSEN (a cura di),
Turnhout 1990 ss.
Thesaurus Linguae Latinae (repertorio), B. KROMER-C. G. van LEIJENHORST (a cura di).
Leipzig 19905 (con gli autori latini classici).
Repertorium Jontium historiae .medii aevi, Roma 1962ss.
• Dizionari:
W. BAUER, Griechisch-deutsches Worterbuch zu den Schrzften des NT und der ubrigen ur-
christlichen Literatur, Berlin 19886•
A. OUTER, A Glossary of Later Latin to 600 A.D., Oxford 1949.
G. H. W. LAMPE, A Patristic Greek Lexicon, Oxford 19682 •
CANGE, C. Du (a cura di), Glossarium ad scriptores mediae et in/z'mae graecitatis, 1688,
rist. 1958.
CANGE, C. Dv (a cura di), Glossarium mediae et infimae latinitatis, 10 voli., 1678, inte-
grato 1883-1887, rist. 1954.
Thesaurus graecae linguae, 9 voli., Graz 1861-1865, rist. 1954.
Thesaurus linguae latinae, Leipzig 1900ss.
• Repertori:
Su CD:
Thesaurus linguae graecae, University of California, Irvine (TLG).
Corpus Christianorum. Thesaurus Patrum Latinorum, Turnhout 1992ss.
Corpus Christianorum. Thesaurus Patrum Graecorum, Turnhout 1990ss.
•In stampa:
Instrumenta lexicologica latina, Turnhout 1982ss.
Biblia patristica (repertorio di citazioni e allusioni bibliche nella letteratura patristica),
Paris 1975'ss.

b) TESTI DEI PADRI DELLA CHIESA

• Le grandi raccolte:
PG Patrologiae cursus completus. Series graeca, J. P. MIGNE (a cura di), 161 voli., Pa-
ris 1857-1866 (con trad. latina); rist. parziale, Turnhout.
PL Patrologiae cursus completus. Series latina, J. P. Migne (a cura di), 221 voli., Paris
1841-1855, cui si aggiunge:
PLS Patrologiae latinae supplementum, A. HAMMAN (a cura di), 5 voli., Paris 1958-
1970.
§ 3. Fonti e sussidi 29

I testi sono ristampe di edizioni allora esistenti, in gran parte dall'edizione dei Pa-
dri iniziata nel XVII secolo dai benedettini della Congregazione di San Mauro. L'appa-
rato critico è lacunoso, mentre l'impiego e l'utilizzazione dei manoscritti non corri-
spondono ai criteri scientifici moderni. Ma in molti casi PL o PG contengono le uniche
edizioni a disposizione. Su J. P. Migne cf:
- A. HAMMAN, ]acques-Paul Migne. Le retour aux Pères de l'Église, Paris 1975.
- A. MANDOUZE - J. FOUILHERON, Migne et le renouveau des études patristique, Pa-
ris 1985.
- R. H. BLOCK, God's Plagiarist. Being an Account o/ the Fabulous Industry And Ir-
regular Commerce o/ the Abbé Migne, Chicago 1995.

• Edizioni critiche:
CSEL Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum, Wien 1860, (a cura della
Wiener Akademie der Wissenschaften, detta quindi anche Corpus Vindo-
bonense =CV).
GCS Die griechischen christlichen Schri/tsteller der ersten ]ahrunderte, Berlin
1897ss. (a cura della Kirchenviiterkommission der Preumschen Akade-
mie der Wissenschaften, o dall'istituto che ne proseguì l'attività a Berlino,
detta quindi anche Corpus Berolinense = CB).
CChr Corpus christianorum seu nova Patrum collectio, iniziato nel 1945 da E.
Dekkers e dall'abbazia benedettina belga di Steenbrugge:
CChr.Sl Corpus Christianorum, Series latina, Turnhout 1953ss.
CChr.SG Corpus Christianorum, Series graeca, Turnhout 1977ss.
CChr.SA Corpus Christianorum, Series Apocryphorum, t trad. frane., Turnhout 1983ss.

• Per la letteratura orientale:


PS Patrologia Syriaca, R. GRAFFIN (a cura di), 3 voll., Paris 1894-1926.
PO Patrologia Orientalis, R. GRAFFIN (a cura di), Paris 1907ss.
esco Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, J. B. CHABOT et al. (a cura
di), Paris 1903ss., con 6 serie: etiopica, araba, armena, georgiana (iberica),
copta, siriaca. Questi sussidi sono costituiti da ricerche monografiche.

• Per gli scrittori ecclesiastici latini della tarda antichità e del medioevo:
MGH.AA Monumenta Germaniae Historica, Auctores antiquissimi, a cura della So-
cietas aperiendis /ontibus rerum Germanicarum medii aevi, Hannover-Ber-
lin 1826ss.
MGH.SRL Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, 1878, rist. Hannover
1964.
MGH.SRM Scriptores rerum Merovingicarum, Hannover 1886-1938.

• Per i primi scrittori ecclesiastici bizantini:


CSHB Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, B. G. NIEBUHR (a cura di), Bonn
1828-1897.
30 I. Introduzione

• Scelta di collane minori nelle quali è stata curata l'edizione di singoli Padri o di singo-
li scritti di Padri: .
TU Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literatur, O. van
GEBHARDT-A. van HARNACK (a cura di), Leipzig/Berlin 1882ss.
FlorPatr Florilegium Patristicum, J. ZELLINGER - B. HEYER (a cura di), Bonn 1904-
1941.
PTS Patristiche Texte und Studien, K. ALAND et al. (a cura di), Berlin 1963ss.

• Collane con traduzioni (scelta):


Tedesco:
BKV Bibliothek der Kirchenviiter, F. X. REITHMAYR et al. (a cura di), trad., Kemp-
ten 1869-1888.
BKV2 O. BARDENHEWER et al. (a cura di), trad., Kempten/Miinchen 1911-1930.
BKV2 O. BARDENHEWER et al. (a cura di), trad., Kempten/Miinchen 1932-1938.
BGrL Bibliothek der griechischen Literatur, P. WIRTH- W. GESSEL (a cura di), trad.,
Stuttgart 197 lss.
FC Fontes Christiani, N. Brox et al. (a cura di), t trad. c, Freiburg 1991ss.
Inglese:
LCL Loeb Classica! Library, E. H. WARMINGTON (a cura di), t trad., London-Cam-
bridge/Mass. 1912ss.
ACW Ancient Christian Writers, J. QuASTEN - J. C. PLUMPE (a cura di), trad., Lon-
don 1946ss.
FaCh The Fathers o/ the Church, R. J. DEFERRARI (a cura di), trad., Washington
1947ss.
OECT Oxford Early Christian Texts, H. CHADWICK (a cura di), t. trad. c, Oxford
1971ss.
Francese:
CUFr Collection des universités de France, t trad., Paris 1920ss. (Les Belles Lettres).
se Sources chretz'ennes, H. de LUBAC - J. DANIÉLOU et al. (a cura di), t trad. c,
Paris 192 lss.
Italiano:
CPS Corona Patrum (Salesiana), E. BoLGIANI et al. (a cura di), t trad. c, Torino
1936ss. ·
CollTP Collana di testi patristici, A. QUACQUARELLI (a cura di), t, Roma 1976ss.
BPat Biblioteca Patristica, M. NALDINI - M. SIMONETTI (a cura di), t trad. c, Fi-
renze 197 6ss.
Spagnolo:
Biblioteca de autores cristianos, a cura della Pontificia Universidad de Salamanca, t trad.
c, Madrid 1945ss.
§ 3. Fonti e sussidi 31

e) TESTI DEI CONCILI

Acta conczliorum et epistolae decretales ac constitutiones summorum pontificum, J. HAR-


DOUIN (a cura di), 11 voll., Paris 1714-1715.
Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, J. D. MANSI (a cura di), 53 voli., Fi-
renze/Venezia 1759-1827; rist. e prosecuzione L. PETIT- J. B. MARTIN, 60 voli., Pa-
ris 1899-1927.
Ecclesiae Occidentalis monumenta iurz's antiquissima, C. H. TURNER (a cura di), 2 voli.,
Oxford 1899-1939.
ACO Acta conciliorum oecumenicorum, E. SCHWARTZ et al. (a cura di), Berlin 1914ss.

• Per canali di Chiese locali:


Africa:
C. MuNIER, Concilia Africae 345-525, 1974 (CChr.SL 149).
Inghilterra:
A. W. HADDAN - W. STUBBS, Councils And Ecclesiastica! Documents Relating to Great
Britain And Ireland, Oxford 1869-1978.
Gallia:
C. MUNIER- C. de CLERQ, Concilia Galliae 314-695, 1963 (CChr.SL 148-149 A).
J. GAUDEMET, Conciles gaulois du !Ve s., 1977 (SC 241).
B. BASDEVANT-G. GAUDEMET, Les Canons des Conciles mérovingiens, 2 voli., 1989 (SC 353 ).
Germania:
MGH. Concilia II 1, A. WERMINGHOFF (a cura di), Hannover 1906.
Spagna:
J. VIVES, Concilios visig6ticos e hispano-romanos, t trad. spagn., Barcelona/Madrid 1963.
• Raccolte dei documenti più importanti:
F. LAUCHERT, Die Canones der wichtigsten altkirchlichen Conzilien nebst den apostoli-
schen Canones, 1986, rist. Frankfurt 1961.
H. N. PERCIVAL, The Seven Ecumenica! Councils o/ the Undivided Church. Their Canons
And Dogmatic Decrees Together with the Canons o/ Alt the Loca! Synods Which Ha-
ve Received Ecumenica! Acceptance, 1899, rist. Grand Rapids 1983.
Acta et symbola conciliorum quae saeculo quarto habita sunt, E. J. }ONKERS (a cura di),
Leiden 1954.
P. P. }OANNOU, Discipline générale antique, IIe-IXe s., 3 voli., Roma 1962, 1963.
N. P. TANNER, Decrees o/ the Ecumenica! Councils, vol. 1, t trad. ingl., London 1990.
COD Conciliorum oecumenicorum decreta, J. A. ALBERIGO - P. P. Joannou (a cura di),
Basel/Barcelona [ecc.] 1973'.
DH H. DENZINGER, Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de
rebus /idei et morum (compendio delle professioni di fede e delle definizioni
dottrinarie della Chiesa), P. HUNERMANN (a cura di), t trad. ted., Freiburg
199l37·•
32 I. Introduzione

• Formule e simboli di fede:


A. HAHN, Bibliothek der Symbole und Glaubensregeln, Breslau 18973, rist. 1962.
Traduzioni dei documenti più importanti si trovano, tra l'altro, nelle storie dei concili
scritte da HEFELE - LECLERCQ e da DUMEIGE - BACHT, come anche in KELLY, Alt-
chrzstliche Glaubens-bekenntnisse (cf § 4,6 ).

d) LETTERE DEI PAPI E DOCUMENTI SUL PAPATO


Ponti/icum Romanorum a S. Clemente usque ad S. Leonem epistulae genuinae. P. Cou-
STANT (a cura di), Paris 1721, Gottingen2•
Epz"stulae Romanorum Ponttficum genuinae a S. Hilaro usque ad Pelagium, A. THIEL (a
cura di), vol. II 1, Braunsberg 1867.
Acta Ponti/icum Romanorum inedita, J. PFLUGK-HARTTUNG (a cura di), 3 voli., Tiibin-
gen/Stuttgart 1881-1886.
Collectio Avellana, O. GùNTHER (a cura di), Wien 1895-1898 (CSEL 35).
Decretum Gelasianum, E. DoBSCHÙTZ (a cura di), Leipzig 1912 (TU 38,4).
Acta Romanorum Ponti/icum a S. Clemente I (C. 90) ad Coelestinum III (t 1198), Roma
1943.
C. MIRBT - K. ALAND, Quellen zur Geschichte des Papsttums und des romischen Katho-
lizismus, Tiibingen 19676•
Traduzione tedesca delle lettere dei papi:
S. WENZLOWSKY, 7 voli., BKV1 1875-1880 (contiene scritti autentici e non autentici).
Per edizioni delle opere di singoli papi cf Vetus Latina (§ 3,la).

• Raccolta delle più antiche biografie dei papi:


Liber Ponti/icalz"s (LP), L. DUCHESNE (a cura di), 2 voli., Paris 1907/19152; C. VOGEL, 3
voli., rist. Paris 1955-1957; R. DAVIES, trad. ingl., Liverpool 1989.

e) RACCOLTE GIURIDICHE
CTh Codex Theodosianus, T. MOMMSEN -P. MEYER (a cura di), 2 voli., Berlin 1954 2 ; con
le Constitutiones (Const. Sirm.) e le Novellae (Nov.) edite da J. Sirmond.
C. PHARR, t trad. ingl., New York 1952.
CJ Codex Iustinianus: Corpus Iuris Civilis, P. KRùGER et al. (a cura di), 3 voli., Berlin (di-
verse ediz.) 1954-1959, con Digesta (Dig.), Institutiones (Inst.) e Novellae (Nov.).
O. BEHRENDS et al., trad. ted., Heidelberg 1990ss.
P. R. COLEMAN-NORTON, Roman State And Christian Church. A Collection o/ Lega! Do-
cuments to A. D. 535, trad. ingl., 3 voll., London 1966.
Iuris ecclesiastici graecorum historia et monumenta, I. B. PITRA, 2 voli. Roma 1864/1868,
rist. 1963.
C. H. TURNER, cf § 3, le.

• Per le raccolte giuridiche delle tribù germaniche nell'Impero Romano c/ MGH. Leges,
1835 ss.:
Lex Romana Visigothorum, K. ZEUMER (a cura di), 1902 (MGH.L I 1).
§ 3. Fonti e sussidi 33

Lex Romana Burgundionum, L. R. SALIS (a cura di), 1892 (MBH.L I 2,1).


Edictum Theoderici, F. BLUHME (a cura di), 187? (MGH.L 5).

f) LITURGIA

J. GOAR, Euchologion sive rituale Graecorum, Paris 1647, 1730 2, rist. Graz 1959.
E. RENAUDOT, Liturgiarum orientalium collectio, 2 voli., Paris 1715/1716, Frankfurt
1847 2•
J. A. AssEMANI, Codex liturgicus ecclesiae universalis, 4 voli., Roma 1749-1766.
H. A. DANIEL, Codex liturgicus ecclesiae universae, Leipzig 1847-1853.
H. DENZINGER, Ritus orientalium, trad. lat., 2 voll., Wiirzburg 1863/1864, rist. 1961.
C. A. SWAINSON, The Greek Liturgies Chiefly /rom Origina! Authorities, Cambridge
1884.
H. LECLERCQ, Monumenta ecclesiae liturgica, Paris 1890-1912.
F. E. BRIGHTMAN, Liturgies Eastern And Western, trad. ingl., Oxford 1896, rist. 1967.
Liturgiegeschichtliche Quellen [fonti per la storia della liturgia], K. MOHLBERG -
A. RùCKER (a cura di), Miinster 1918-1927.
Liturgiegeschichtliche Quellen und Forschungen [fonti e ricerche per la liturgia], K.
MoHL-BERG et al., Miinster 1928-1939ss.
M. ANDRIEU, Les Ordines Romani du haut Moyen Age, Louvain 1931-1951, rist. 1956-
1961ss.
R.-J. HESBERT, Antiphonale missarum sextuples, Bruxelles 1935.
J. QuASTEN, Monumenta eucharistica et liturgica vetustissima, 1935 (FlorPatr 7).
R.-J. HESBERT, Corpus antiphonalium offt'cii, 6 voli., Roma 1963-1979.
E. LODI, Enchiridion euchologicum /ontium liturgicorum, Roma 1979 (con Clavis metho-
dologica cum commentariis selectis).
K. GAMBER, Codices liturgici latini antiquiores, 2 voli., Freiburg/Schw. 1984 2 ; Suppl.
1988.
A. S. WALPOLE, Early Latin Hymns, Cambridge 1922.
W. BULST, Hymni Latini antiquissimi, Heidelberg 1956.

g) AGIOGRAFIA

Acta Sanctorum, a cura dei bollandisti (J. BOLLAND et al.), 70 voli., 1643-1944, rist. voli.
1-60, Paris 1966-1971.
Martyrologium Hieronymianum, H. DELEHAYE - H. QUENTIN (a cura di), Bruxelles
1931.
Martyrologium Romanum, H. DELEHAYE et al. (a cura di), Bruxelles 1940.
Cf anche§ 2,4; §§ 12-17: bibliografie.

• Atti dei Martiri:


P. T. RUINART, t, 1859, rist. Verona 1931.
H. HYVERNAT, t copto trad. frane., 1886, rist. Hildesheim 1977.
P. BEDJAN, t sir. trad. frane., 7 voll. 1890, rist. Hildesheim 1968.
34 I. Introduzione

R. KNOPF- G. KRùGER- G. RUHBACH, t, 1901, Tiibingen 1965 4•


O. HAGEMEYER, Ich bin Christ. Friihchristliche Mlirtyrerakten, trad. ted., Diisseldorf 1961.
H. MASURILLO, t trad. ingl, 1972 (OECT).
C. ALLEGRO, t trad. it., Roma 1974.
F. HALKIN, Martyrs Grecs II-VIII siècle, te, London 1974.
A. G. HAMMAN, Les martyrs de la Grande Persecution (304-311), trad. frane., Paris 1979.
V. SAXER, Atti dei martiri dei primi tre secoli, trad. it., Padova 1984.
A. A. R. BASTIAENSEN et al., trad. it., Milano 1987.

•Sussidi:
AnBoll Analecta Bollandiana. Revue critique d'hagiographie, a cura della Societé des
Bollandistes, Bruxelles 1882ss.
BHG Bibliotheca hagiographica graeca, F. HALKIN, Bruxelles 1895; 1957-1984 3 (con
Suppl.)
BHL Bibliotheca hagiographica latina antiquae et medzae aetatis, a cura dei Bollandi-
sti, Bruxelles 1898-1901, Suppl. 191l2; rist. 1949; H. FROS, Novum Supple-
mentum, Bruxelles 1986.
BHO Bibliotheca hagiographica orientalis, P. PEETERS (a cura di), Bruxelles 1910.
Hagiographica: « Rivista di agiografia e biografia d~lla Società Internazionale per lo Stu-
dio del Medio Evo Latino», Firenze 1994ss.
R. GRÉGOIRE, Manuale di agiologia. Introduzione alla letteratura agiografica, Fabriano
1987.
BSS Cf § 4,3.

2. Fonti monumentali: introduzioni, illustrazioni e documentazione

a) INTRODUZIONI, MANUALI, REPERTORI PER L'ARCHEOLOGIA CRISTIANA

• Introduzioni:
C. ANDRESEN, Einfiihrung indie christliche Archaologie, Gottingen 1971.
]. IRMSCHER, Einfiihrung indie Byzantinistik, Berlin 1971.
H. G. NIEMEYER, Einfiihrung indie Archiiologie, Darmstadt 19833.
F. D. DEICHMANN, Ein/uhrung indie christliche Archiiologie, Darmstadt 1983.

•Manuali:
W. F. VOLBACH, Fruhchristliche Kunst. Die Kunst der Splitantike in West- und Ostrom,
Miinchen 1958.
A. GRABAR, Die Kunst des /ruhen Christentums. Von der ersten Zeugnissen christlicher
Kunst bis zu Theodosius I., Miinchen 1967.
ID. Die Kunst im Zeitalter Justinians. Vom Tod Theodosius I. bis zum Vordringen des Islam,
Miinchen 1967.
R. BIANCHI BANDIELLI, I:arte romana nel centro del potere, Rizzoli, Milano 1976.
ID. Lafine dell'arte antica, Milano 1971.
§ 3. Fonti e sussidi 35

C. MANGO, Architettura bizantina, Milano 1974.


T. F. MATHEWS, The Byzantine Churches o/ Istanbul. A Photographic Survey, London
1976.
B. BRENK (a cura di), Spiitantzke und /riihes Christentum, Frankfurt 1977.
B. ANDREAE, Romische Kunst, Freiburg 19783 •
K. WEITZMANN (a cura di), Age o/ Spirituality. Late Antique And Early Christian Art,
IIIrd to VIIth cent., New York 1979.
P. TESTINI, Archeologia cristiana, Roma 1980 2•
A. EFFENBERGER, Friihchristliche Kunst und Kultur. Von den Anfiingen bis zum 7. Jh.,
Miinchen 1986.
R. KRA.UTHEIMER, Early Christian And Byzantine Architecture, Harmondsworth 19864 •
R. MILBURN, Early Christian Art And Architecture, Aldershot 1988.
Naissance des arts chrétiens. Atlas des monuments paléochrétiens de la France, Paris
1991.
F. HOTTENMEISTER - G. REEG, Die antiken Synagogen in Israel, 2 voli., Wiesbaden
1977.
L. I. LEVINE (a cura di), Ancient Synagogues Revealed, Gerusalemme 1981.
R. HACHLILI, Ancient Jewish Art And Archaeology in the Land o/ Israel, Leiden 1988.
Y. HIRSCHFELD, The Judaean Desert. Monasteries in the Byzantine Period, New Haven/
London 1992.

• Repertori; dizionari:
Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale, Roma 1958-1973.
LCI Lexikon der christlichen lkonographie, E. KIRSCHBAUM- W BRAUNFELS (a cura di),
8 voli., Freiburg 1968-1976.
RBK Reallexikon zur bizantinischen Kunst, K. WESSEL - M. RESTLE (a cura di), Stutt-
gart 1966ss.
Cf anche RAC; DACL, § 4,3.

• Materiale cartografico:
F. van der MEER - C. MOHRMANN - H. KRAFT, Bildatlas der friihchristlichen Welt, Gii-
tersloh 1959.
N. OHLER, Atlanten und Karten zur Kirchengeschichte, Freiburg 1987 2 •
D. COHN-SHERBOK, Atlas o/Jewish History, London 1994.
Cf anche DizPatr 3, § 4,3.

•Riviste:
JdI Jahrbuch des Deutschen Archiiologischen Instituts, Berlin 1886ss.
RivACRivista di archeologia cristiana, Roma 1924ss.
DOP Dumbarton Oaks Papers, Cambridge/Mass. 1941ss.
CAr Cahiers archéologiques, Paris 1945ss.
MDAI Mitteilungen des Deutschen Archiiologischen Institut (con diverse sezioni), Miin-
chen.
CIAC Akten der Internationalen Kongresse fiir christliche Archiiologie.
36 I. Introduzione

b) EPIGRAFIA

Per un'introduzione: Testini, cf § 3,2a, 329-543.


C. M. KAUFMANN, Handbuch deraltchristlichen Epigraphik, Freiburg 1917.
E. MEYER, Einfiihrung indie lateinische Epigraphik, Darmstadt 199l3.
ZPE Zeitschri/t fiir Papirologie und Epigraphzk, Bonn 1967ss.

Le epigrafi sono raccolte e pubblicate secondo le lingue e i luoghi di ritrovamento:

• Epigrafi latine.
CIL Corpus inscriptionum latinarum, a cura dell'Academia Litterarum Regiae Borus-
siae, Berlin 1863ss. (con supplementi).
Scelta:
ILCV E. DIEHL, Inscriptiones latinae christianae veteres, 3 voll., Berlin 1925-1931,
1961 2 •
Supplementum: J. MoREAU - H.-L. MARROU, Dublin/Ziirich 1967.
ILS H. DESSAU, lnscriptiones latinae selectae, 3 voll., Berlin 1892-1916.
Roma:
ICUR I. B. de Rossi, Inscriptiones christianae urbis Romae, 2 voll., 1857-1888;
raccolta integrata da J. Gatti, Roma 1915; continuata da: A. SILVAGNI - A. FER-
RUA et al., lnscriptiones christianae urbis Romae, nova series, Roma 1922ss.
Trad. it.: C. CARLETTI, Iscrizioni cristiane a Roma. Testimonianze di vita cristiana (sec. III-
VII), Firenze 1986 (BPat 7).
Nordafrica:
R. CAGNAT et al., lnscriptions latines d'Afrique, Paris 1923.
Gallia:
E. LE BLANT, Inscriptions chrétiennes de la Caule, 3 voll., Paris 1856-1865, rist. 1923;
integrazione: Nouveau recueil d'inscriptions chrétiennes de la Caule, Paris 1892.
H.-L. MARROU et al. (a cura di), Recueil des inscriptions chrétiennes de la Caule anté-
rieures à la renaissance carolingienne, Paris 1975ss.
Britanni a:
E. HOBNER, Inscriptiones Britanniae christianae, Berlin/London 1876 (con Supplemen-
tum inscriptionum christianarum Hispaniae).
Spagna:
E. HOBNER, Inscriptiones Hispaniae christianae, Berlin 1871-1900.
Germania:
W. BRAMBACH, Corpus inscriptionum rhenanarum, Elberfeld 1867.
F. X. KRAUS, Die altchristlichen Inschrzften der Rheinlande, 2 voll., Freiburg 1890/1894.
E. GosE, Katalog der /riihchristlichen lnschri/ten in Trier, Berlin 1958.
W. BOPPERT, Die /riihchristlichen lnschrzften des Mittelrheingebietes, Mainz 1971.
§ 4. Bibliografie, dizionari, manuali e collezioni 37

• Epigrafi greche:
Corpus inscrzptionum graecarum, A. BOECK- J. FRANZ (a cura di), Berlin 1828-1877.
Inscrz'ptiones graecae, Berlin/New York 1924ss., 198l3ss.
L. }ALABERT - R. MOUTERDE - C. MONDÉSERT, Inscriptions grecques et latines de la Sy-
rie, Paris 1929ss.
Asia Minore:
W. H. BUCKLER et al., Monumenta Asiae Minoris antiqua, 9 voli., London 1928ss.
Grecia:
H. LIETZMANN et al., Corpus der griechisch-christlichen Inschri/ten van Hellas, Atene 1941.
Supplementum epigraphicum graecum, Leiden 1932ss.
• Epigrafi giudaiche:
J. B. FREY, Corpus inscriptionum iudaicarum, 2 voll., Roma 1936/1952.
W HORBURY - D. NoY, Jewish Inscriptions o/ Graeco Roman Egypt, t trad. ingl., Cam-
bridge 1992.
D. NOY, Jewish Inscrzptions o/ Western Europe, Cambridge 1993.
W WISCHMEYER, Griechische und lateinische Inschrzften zu Sozialgeschichte der Alten
Kirche, Giitersloh 1982.

e) NUMISMATICA

P. GRIERSON, Byzantine Coins, London/Berkeley 1982.


H. MATTINGLY - E. SYDENHAM et al., Roman Imperia! Coinage, London 1923ss.
H. MATTINGLY, Coins o/ the Roman Empire in the British Museum, London 1965/1966.
C. H. V. SUTHERLAND -R. A. G. CARSON (a cura di), The Roman Imperia! Coinage, Lon-
don 1966.
C. H. V. SUTHERLAND, Roman Coins, London 1974 (Miinchen 1974).
K. CHRIST, Antike Numismatik. Ein/uhrung und Bibliographie, Darmstadt 1991 3•
NZ Numismatische Zeitschrzft, Wien 1869-1937; 1946ss.

§ 4. Bibliografie, dizionari, manuali e collezioni

1. Bibliografie

RHE Revue d'histoire eccésiastz'que. Bibliographie, A. CAUCHIE et al. (a cura di), Lou-
vain 1900ss.
EBB Elenchus bibliographicus biblicus, P. NoBER (a cura di), Roma 1923ss.
AnPh J;année philologique. Bibliographie critique et analytique de l'antiquité greco-la-
tine, J. MAROUZEAU et al. (a cura di), Paris 1924ss.
38 I. Introduzione

EThL Ephemerides theologicae lovanienses, Louvain 1924ss., con Elenchus bibliogra-


phicus.
BPtr Bibliographia patristica, W SCHNEEMELCHER (a cura di), Berlin 1959ss.
BSig.SR Bulletin signalétique. Sciences réligieuses (a cura del CNRS), Paris 1970ss.

Bibliografie specifiche e indicazioni bibliografiche si trovano inoltre in molte riviste spe-


cializzate; cf sotto.

• Bibliografie specifiche autonome:


H. J. SIEBEN, Voces [una bibliografia per parole e concetti ricavabili dalla patristica],
1918-1978, Berlin 1980.
W ScHOLE, Bibliographie der Ubersetzungen griechisch-byzantinischer Quellen, Wiesba-
den 1982.
H. J. SIEBEN, Exegesis Patrum; saggio bibliografico sul!'esegesi biblica dei padri della Chie-
sa, Roma 1983.
M. NALDINI et al., Epistolari cristiani (secoli I-IV). Repertorio bibliografico, 3 voll., Roma
1990.

2. Riviste specializzate

HZ Historische Zeitschri/t, Miinchen 1859ss.


Gn Gnomon. Kritische Zeitschri/t fur die gesamte klassische Altertumswissen-
schaft, Miinchen [ecc.] 1925.
ZKG Zeitschrtft fur Kirchengeschichte, Stuttgart [ecc.] 1877ss
RQ Romische Quartalschri/t, Freiburg 1887ss.
RBen Revue bénédictine de critique, d'histoire et de la littérature religieuses, Mared-
sous 1890ss.
BLE Bulletin de littérature ecclésiastique, Toulouse 1899ss.
RHE Revue d' histoire ecclésiastique, Louvain 1900ss.
ZNW Zeitschri/t fur die neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde der à'lteren
Kirche, Berlin 1900ss.
RThAM Recherches de théologie ancienne et médiévale, Louvain 1929ss., con Bulletin
de théologie ancienne et médiévale.
ChH Church History, Chicago 1932ss.
VigChr Vigiliae Christianae. A Review of Early Christian Lzfe And Language, Amster-
dam 1947ss.
JEH Journal of Ecclesiastica! History, London 1950ss.
JAC Jahrbuch fur Antike und Christentum, Miinster 1958ss.
VetChr Vetera Christianorum. Rivista dell'Istituto di studi classici e cristiani, Bari
1964ss.
SecCen The Second Century, Abilene 1981ss., dal 1993: Journal of Early Christian Stu-
dies (JECS).
JECS Cf SecCen
ByZ Byzantinische Zeitschri/t, Leipzig [ecc.] 1892ss.
§ 4. Bibliografie, dizionari, manuali e collezioni 39

OrChr Oriens Christianus. Hefte Jur die Kunde des christlichen Orients, Roma
1901ss.
Byz Byzantion. Revue internationale des études byzantines, Bruxelles 1924ss.
OCP Orientalia christiana periodica, Roma 1935ss.
REAug Revue des études augustiniennes, Paris 1955ss. (con bibliografie per Tertullia-
no, Cipriano e Agostino; e con supplemento).
RechAug Recherches augustiniennes, 1958ss.
Aug. Augustz"nianum. Periodicum quadrimestre Instituti Patristici « Augustinia-
num »,Roma 1961ss.

Riviste e bibliografie più specifiche saranno indicate sotto i rispettivi paragrafi.

3. Dizionari

PRE Paulys Real-Encyclopiidie der klassischen Altertumswissenscha/t, G. W1ssovA et


al. (a cura di), Stuttgart 1894-1963; 2. Serie 1914ss.; suppi. 1903ss.
DACL Dictionnaire d'archeéologie chrétienne et liturgie, F. CABROL et al. (a cura di),
Paris 1903-1953.
DThC Dictionnaire de théologie catholique, A. VACANT et al. (a cura di), Paris 1909-
1950.
DHGE Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastiques, M. BAUDRILLART et al.,
(a cura di), Paris 1932ss.
DSp Dictz'onnaire de spiritualité, ascétique et mystique, M. VILLER et al. (a cura di),
Paris 1932ss.
RAC Reallexikon fiir Antike und Christentum, T. CLAUSER et al., (a cura di), Stuttgart
1950ss.
LThK2 Lexikon fiir Theologie und Kirche,]. HòFER- K. RAHNER et al. (a cura di), Frei-
burg [ecc.] 1957-1965.
LThK3 Lexikon fiir Theologie und Kirche, W. KASPER et al. (a cura di), Freiburg [ecc.l
1993ss.
BSS Bibliotheca Sanctorum, a cura dell'Istituto Giovanni XXIII, Roma 1962ss.
KP Der Kleine Pauly. Lexikon der Antzke, K. ZIEGLER - W. SONTHEIMER (a cura
di), Stuttgart 1964-1975.
LAW Lexikon der Alten Welt, C. ANDRESEN et al. (a cura di), Ziirich 1965.
EJ Encyclopedia iudaica, Gerusalemme 1971-1972.
RGA Reallexzkon der germanischen Altertumskunde, H. BECK et al. (a cura di), Ber-
lin/New York 1973ss.
TRE Theologische Realenzyklopiidie, G. KRAUSE - G. MùLLER (a cura di), Berlin/
New York 1977ss.
LMA Lexikon des Mittelalters, Ziirich/Miinchen 1980ss.
DPAC Dizionario patristico e di antichità cristiane, A. di BERARDINO (a cura di), 3 voli.,
Casale Monferrato 1983-1988 (il 3° volume contiene tavole cronologiche, ma-
teriale cartografico, ecc.)
40 I. Introduzione

ingl.: Encyclopedia o/ the Early Church, A. di BERARDINO - A. WALFORD (a cura di),


2 voli., Cambridge 1992.

• Miscellanee:
HKAW Handbuch der klassischen Altertumswissenschaft, W. OTTO et al. (a cura di),
Mi.inchen 1885ss.
HAW Handbuch der Altertumswissenschaft, W. OTTO - H. BENGTSON et al. (a cura
di), Mi.inchen 1922ss.
ANRW Aufstieg und Niedergang der Romischen Welt, H. TEMPORINI - W. HAASE (a cu-
ra di), Berlin 1970ss.

4. Illustrazioni storiche

a) GENERALI

• Monografie:
H. BENGTSON, Griechische Geschichte. Von den Anféingen bis in die romische Kaiserzeit,
Mi.inchen 1950, 19867 •
J. VOGT, Der Niedergang Roms. Metamorphose der antiken Kultur von 200-500, Zi.irich
1965.
H. BENGTSON, Grundri/5 der romischen Geschichte mit Quellenkunde. Republik und Kai-
serzeit, Mi.inchen 1967, 19866 •
A. H. M. }ONES et al., The Prosopography of the Later Roman Empire, 2 voli., Cambrid-
ge 1971-1980.
K. CHRIST, Romische Geschichte. Einfiihrung, Quellenkunde, Bibliographie, Darmstadt
1973, 19803.
W. SEYFARTH, Romische Geschichte. Die Kaiserzeit, 2 voll., Berlin 1974.
P. BROWN, Welten im Au/bruch. Die Zeit der Spéitantike. Von Mark Aurei bis Mohammed,
Bergisch-Gladbach 1980.
K. CHRIST, Geschichte der romischen Kaiserzeit. Von Augustus bis zu Konstantin, Mi.in-
chen 1988.
A. DEMANDT, Die Spà"tantike. Romische Geschichte von Diokletian bis ]ustinian, 284-565
n.Chr., Mi.inchen 1989.
D. KIENAST, Romische Kaisertabelle. Grundziige einer romischen Kaiserchronologie,
Darmstadt 1990.
J. MARTIN, Spiitantike und Volkerwanderung, Mi.inchen 1990.
A. ANGENENDT, Das Friihmittelalter, Stuttgart [ecc.] 1990.
• Economia, società, vita quotidiana:
L. FRIEDLANDER, Darstellungen aus der Sittengeschichte Roms in der Zeit des Augustus
bis zum Ausgang der Antonine, 4 voll., 1921-1923 10 , rist. 1963.
M. ROSTOVTZEFF, Storia economica e sociale dell'Impero romano, Firenze 1980 2 •
J. CARCOPINO, La vita quotidiana a Roma all'apogeo dell'impero, Bari 1984 2 •
§ 4. Bibliografie, dizionari, manuali e collezioni 41

V. KAHRSTEDT, Kulturgeschichte der romischen Kaiserzez't, Bern 1940, 19582 •


A. H. M. }ONES, The Later Roman Empire 284-602. A Social Economie And Admini-
strative Survey, 3 voll., Oxford 1964.
G. ALFOLDY, Romische Sozialgeschichte, Wiesbaden 1984 3 (ingl. 1975).
H. BLANCK, Einfuhrung in das Privatleben der Griechen und Romer, Darmstadt 1976.
J. BLEICKEN, Verfassungs- und Sozialgeschichte des Romischen Reiches, 2 voll., Paderborn
(diverse ediz.) 1978-1994.
F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica, 2 voll., Casellina di Scandicci (Fi)
1979-1980.
P. VEYNE (a cura di), Geschichte des privaten Lebens, vol. 1, Frankfurt 1989 2 (frane. 1985).
F. VITTINGHOFF (a cura di), Europà'ische Wirtscha/ts- und Sozialgeschichte in der romi-
schen Kaiserzeit, Stuttgart 1990 (Handbuch der europaischen Wirtschafts- und So-
zialgeschichte I).

b) STORIA DEI GIUDEI


H. L. STRACK - G. STEMBERGER, Einlez'tung in Talmud und Midrasch, diverse ediz. dal
1887, Miinchen 19928•
H. SCHRECKENBERG, Bibliographie zu Flavius ]osephus, Leiden 1968-1979.
E. ScHORER, The History o/ the Jewish People in the Age of]esus Christ (175 B.C. -A.D.
135), 3 voll., Edinburgh 1973.
E. M. SMALLWOOD, The ]ews Under Roman Rule. From Pompey to Diocletian, Leiden
1976.
G. STEMBERGER, Geschichte der judische Literatur. Bine Ein/uhrung, Leiden 1976.
S. SAFRAI, Dasjudische Volk im Zez'talter des Zweiten Tempels, Neukirchen 1978.
G. STEMBERGER, Das klassische ]udentum. Kultur und Geschichte der rabbinischen Zeit,
Miinchen 1979.
J. MAIER, Grundzuge der Geschichte des ]udentums im Altertum, Darmstadt 1981.
P. SCHAFER, Geschichte der ]uden in der Antzke. Die ]uden Paliistinas von Alexander dem
Grof,en bis zur arabischen Eroberung, Stuttgart 1983.
M. Av1-YoNAH, The ]ews Under Roman And Byzantine Rule, Gerusalemme 1984.
A. R. C. LEANEY, The ]ewish And Christian World 200 B. C. to A. D. 200, Cambridge
1984.
L. I. LEVINE (a cura di), The Synagogue in Late Antiquity, Philadelphia 1987.
G. STEMBERGER, Juden und Christen im Hl. Land. Paliistina unter Konstantin und Theo-
dosius, Miinchen 1987.

e) STORIA DELLA CHIESA


• Manuah collezioni:
K. D. SCHMIDT et al. (a cura di), Die Kirche in ihrer Geschichte, Gèittingen/Ziirich 1961 ss.
[un panorama storico sulla Chiesa]:
-L. GOPPELT, Die apostolische und nachapostolische Zeit, 1962.
- R. LORENZ, Das 4.-6. ]ahrhundert (Westen), 1970.
42 I. Introduzione

- R. LORENZ, Das 4. Jahrhundert (Osten), 1992.


- H. G. BECK, Geschichte der orthodoxen Kirchen im byzantinischen Reich, 1980.
- C. D. G. MOLLER, Geschichte der orientalischen Nationalkirchen, 1981.
- G. HANDLER, Geschichte des Fruhmittelalters und der Germanenmissz'on, 1961; 1976 2•
H. }EDIN (a cura di), Handbuch der Kirchengeschichte, voll. 1-2, 1962ss., rist. Freiburg
1985.
B. KOTTJE- B. MOELLER, Okumenische Kirchengeschichte, vol. 1, Mainz/Miinchen 1970,
19895 •
G. HAENDLER et al. (a cura di), Kirchengeschichte in Einzeldarstellungen, Berlin 1980 ss.
[La storia della Chiesa in momenti e situazioni particolari]
- K. M. FISCHER, Das Urchristentum, 1985.
- K.-W TRòGER, Das Christentum im 2. Jahrhundert, 1988.
- G. HAENDLER, Von Tertullian bis zu Ambrosius. Die Kirche im Abendland vom En-
de des 2. bis zum Ende des 4. Jahrhunderts, 1981 2 •
- H. G. THOMMEL, Die Kirche des Ostens im 3. und 4. Jahrhundert, 1988.
- G. HANDLER, Die abendliindische Kirche im Zeitalter der Volkerwanderung, 1980.
- F. WINKELMANN, Die ostlichen Kirchen in der Epoche der christologischen Ausei-
nandersetzungen (5.-7. Jahrhundert), 1980.
Studia patristica: Papers Presented to the International Conference on Patristic Studies,
Berlin 1957ss.
M. GRESCHAT (a cura di), Gestalten der Kirchengeschichte, Vol. 1-2 Alte Kirche, Stuttgart
1981/1984.
E. FERGUSON (a cura di), Studies in Early Christianity. A Collectlon o/ Scholarly Essays,
17 voli., New York 1993.

• Monografie:
C. ANDRESEN, Die Kirchen der alten Christenheit, Stuttgart 1971.
R. A. MARKUS, Christianity in the Roman World, London 1974.
A. MANDOUZE, Prosopographie chrétienne du Bas-Empire, vol. I: I.:A/rz'que chrétienne
(303-533), Paris 1982.
W. H. C. FREND, The Rise o/ Christz'anity, London 1984.
J. MEYENDORFF, Imperia! Unity And Christian Divisions. The Church 450-580 A. D.,
Crestwood/New York 1989.
R. A. MARKUS, The End o/ Ancient Christianity, Cambridge 1990.
E. DASSMANN, Kirchengeschichte I, Stuttgart [ecc.] 1991.
C. ANDRESEN -A. M. RITTER, Geschichte des Christentums, vol. I 1, Stuttgart 1993.
W.-D. HAUSCHILD, Lehrbuch der Kirchen- und Dogmengeschichte, vol. I, Giitersloh 1995.

• Chiesa orientale, storia ecclesiastica bizantina:


G. OSTROGORSKY, Geschichte des byzantinischen Staates, Miinchen 1940, 19633.
H. G. BECK, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, Miinchen 1959,
1989 3•
H. HUNGER, Reich der neuen Mitte. Der christliche Geist der byzantinischen Kultur, Graz
[ecc.] 1965.
§ 4. Bibliografie, dizionari; manuali e collezioni 43

P. KAWERAU, Das Christentum des Ostens, Stuttgart [ecc.] 1972.


H. G. BECK, Das byzantinische Jahrtausend, Miinchen 1978, 19942 •
D. A. ZAKYTHINOS, Byzantinische Geschichte 324-1071, Wien [ecc.] 1979.
P. KAWERAU, Ostkz'rchengeschichte, 2 voli., Louvain 1982-1983.
J. M. HUSSEY, The Orthodox Church in the Byzantine Empire, Oxford 1986.
O. MAZAL, Handbuch der Byzantinistik, Graz 1989.
J. F. HALDON, Byzantium in the Seventh Century, Cambridge 1990.
M. WHITTOW, The Making o/ Orthodox Byzantium 600-1025, London 1993.
• Società cristiana, vita quotidiana.
S. UHLHORN, Die christliche Liebestà'tigkeit in der alten Kirche, 1895, rist. Darmstad 1959.
W. JAGER, Das /rube Christentum und die griechische Bildung, Berlin 1963.
E. OSBORN, Ethical Patterns in Early Christian Thought, Cambridge 1976.
R. GRANI, Christen als Burger im Romischen Reich, Gottingen 1981 (ingl. 1977).
R. CHRISTENSEN, Christus oder Jupiter. Der Kampf um die geistigen Grundlagen des ro-
mischen Reiches, Gottingen 1981.
H. GARTNER, Die Familienerziehung in der alten Kirche, Koln 1985.
R. A. GREER, Broken Lights And Mended Lives. Theology And Common Lzfe in the Early
Church, London 1986.
C. A. VOLZ, Pastora! Li/e And Practice in the Early Church, Minneapolis/Augsburg 1990.
W, WISCHMEYER, Van Golgatha zum Ponte Molle. Studien zur Sozialgeschichte der Kirche
im 3. Jahrhundert, Gottingen 1992.

d) RACCOLTE DI FONTI

M. RITTER, Alte Kirche, trad. ted., Neukirchen 1977, 199!5.


J. STEVENSON - W, H. C. FREND, Creeds, Councils And Controversies. Documents Illu-
strating the History o/ the Church A. D. 337-461, trad. ingl., London 1989.
R. MAC MULLEN - E. N. LANE, Paganism And Christianity 100-425 C. E. A Source-Book,
trad. ingl., Minneapolis 1992.

5. Letteratura

a) LETTERATURA CRISTIANA ANTICA


M. SCHANZ - C. Hosrns - G. KROGER, Geschichte der romischen Literatur bis zum Ge-
setzgebungswerk Kaisers Justinian, 1907-19203-4, rist. Miinchen 1966-1969 (HAW).
W. SCHMID - O. STAHLIN - W. von CHRIST, Geschichte der griechischen Literatur II,
1920-1924, rist. Miinchen 1961-1974 (HAW).
H. von CAMPENHAUSEN, Griechische Kirchenviiter, Stuttgart 1956, 19867•
M. PELLEGRINO, Letteratura greca cristiana, Roma 1956, 19783 •
H. von CAMPENHAUSEN, Lateinische Kirchenvà'ter, Stuttgart 1960, 198V.
M. PELLEGRINO, Letteratura latina cristiana, Roma 1963, 1970 3 •
H. KRAFT, Kirchenvà'terlexikon, Miinchen 1966.
44 I. Introduzione

J. BARBEL, Geschichte der Jruhchristlichen griechischen und lateinischen Literatur, 2 voll.,


Aschaffenburg 1969.
M. SIMONETTI, La produzione letteraria latina fra Romani e barbari (secoli V-VIII), Roma
1986.
A. DII-ILE, Die griechische und lateinische Literatur der Kaiserzeit. Van Augustus bis ]u-
stinian, Miinchen 1989.
R. HERZOG - P. L. SCHMIDT (a cura di), Handbuch der Lateinischen Literatur der Antike,
Miinchen 1989.
R. HERZOG, Restauration und Erneuerung. Die lateinische Literatur van 284-374 n. Chr.,
Miinchen 1989.
M. von ALBRECHT, Geschichte der romischen Literatur van Andronicus bis Boethius, 2
voll., Bern 1992.
O. BARDEMHEWER, Geschichte der altkirchlichen Literatur, 5 voll., 193-1932, rist. Darm-
stadt 1962.
B. ALTANER-A. STUIBER, Patrologie, Freiburg 1938, 19809 •
J. QUASTEN, Patrology, 4 voll., Westminster/Maryland 1986-1994 [IV vol.: A. di Berar-
dino (a cura di)].
F. PIERINI, Mille anni di pensiero cristiano. Le letterature e i monumenti dei Padri, Tori-
no 1988ss.
A. QUACQUARELLI, Complementi interdisciplinari di patrologia, Roma 1989.
H. R. DROBNER, Lehrbuch der Patrologie, Freiburg 1994.

b) PRODUZIONE LETTERARIA SUCCESSIVA


J. de GHELLINK, Patristique et Moyen Age, Paris/Bruxelles 1946-1948.
P. COURCELLE, Les lettres grecques en occident, Paris 1948 2 •
A. SIEGMUND, Die Uberlz'eferung der griechischen christlichen Literatur in der lateini-
schen Kirche bis zum 12. ]ahrhundert, Miinchen/Pasing 1949.
H. G. BECK, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, Miinchen 1959,
1989 3 •
F. BRUNHOLZL, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, vol.1, Miinchen 1975.
W. BERSCHIN, Griechisch-lateinisches Mùtelalter: Van Hieronymus zu Nikolaus van Kues,
Bern 1980.

6. Istituzioni

a) ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA


W. de VRIES, Orient et Occident. Les structures ecclésiales vues dans !es sept premiers con-
ci/es oecuméniques, Paris 1974.

b) CONCILI

C. J. HEFELE - H. LECLERCQ, Histoire des conci/es, voll. 1-3, Paris 1907-1909.


J. N. D. KELLY, Altchristliche Glaubensbekenntnisse. Geschichte und Theologie, Gottin-
gen 199}3 (ingl. 1960 2 ).
§ 4. Bibliografie, dizionarz; manuali e collezioni 45

G . DUMEIGE - H. BACHT, Geschichte der okumenischen Konzilien, voll. 1-3, Mainz


1964-1990.
H. J. SIEBEN, Die Konzilsidee der Alten Kirche, Paderborn 1979.
W. BRANDMULLER, Konziliengeschichte, Paderborn 1981ss.
L. D. DAVIS, The First Seven Ecumenica! Councils (325-787). Their History And Theo-
logy, Wilmington 1988.
AHC Annuarium Historiae Conciliorum, W. BRANDMÙLLER - R. BA.UMER (a cura di)
Amsterdam [ecc.] 1969ss.

e) PAPATO

E. CASPAR, Geschichte des Papsttums von den Anfiingen bis zur Hohe der Weltherrschaft,
2 voll., Tiibingen 1930/1933.
J. HALLER, Das Papsttum. Idee und Wirchlichkeit, vol. 1, Stuttgart (div. ediz.) 1934-1965.
F. X. SEPPELT, Geschichte der Pcipste, vol. 1, Miinchen 1954 2 •
C. PIETRI, Roma Christiana. Recherches sur l'Église de Rame, son organisation, sa politi-
que, son idéologie de Miltiade à Sixte III (311-440), 2 voll., Roma 1976.
M. MACCARONE, Apostolicità, episcopato e primato di Pietro. Ricerche e testimonianze dal
2 al 5 secolo, Roma 1976.
B. M. BILLON, The Early Eastern Tradition o/ the Papacy, Ilfracombe 1979.
M. WOJTOWYTSCH, Papsttum und Konzile von den Anfdngen bis zu Leo I., Stuttgart 1981.
M. GRESCHAT (a cura di), Das Papsttum, vol. 1, Stuttgart 1985.
M. MACCARONE (a cura di), Il primato del vescovo di Roma nel primo millennio, Roma
1991.
G. HAENDLER, Die Rolle des Papsttums in der Kirchengeschichte bis 1200, Gottingen 1993.
AHP Archivum historiae ponti/iciae, a cura dell'Istituto di storia ecclesiastica della Pon-
tificia Università Gregoriana, Roma 1963ss.

d) RACCOLTE GIURIDICHE

F. MAASSEN, Geschichte der Quellen und der Literatur des canonischen Rechts im Abend-
lande bis zum Ausgang des Mittelalters, vol. 1, Graz 1870.
J. GAUDEMET, Le droit romain dans la littérature occidentale chrétienne du 3e au 5e siècle,
Milano 1978.
G. GAUDEMET, Les sources du droit de l'église en Occident du Ile au Vlle siècle, Paris 1985.
D. LIEBS, Die Jurisprudenz im spcitantiken ltalien (260-640 n. Chr), Berlin 1987.

7. Filosofia e teologia

a) STORIA DELLA FILOSOFIA


F. UEBERWEG, Grundrif!, der Geschichte der Phzlosophz'e, vol. I, BaseVStuttgart 1862-1866,
1953 14 •
J. HIRSCHBERGER, Geschichte der Philosophie I, Freiburg 1949, 1984 13 •
46 I. Introduzione

W. K. C. GUTHRIE, A History o/ Greek Philosophy, 6 voli., Cambridge 1962-1981.


A. H. ARMSTRONG (a cura di), The Cambridge History o/ Later Greek and Early Medie-
val Philosophy, Cambridge 1967, 1970 2 •
W. R6D (a cura di), Geschichte der Philosophie, voli. 1-4, Miinchen 1976ss.
E. BRÉHIER- M. SCHUHL - M. de GANDILLAC, Histoire de la philosophie, voi. l, Paris
1931, 19833.
F. UEBERWEG - H. FLASHAR, Grundrif!, der Geschichte der Philosophie, Basel 1983ss.

b) STORIA DEI DOGMI E DELLA TEOLOGIA


M. SCHMAUS -A. GRILLMEIER-L. SCHEFFCZYK, Handbuch der Dogmengeschichte, Frei-
burg 1971ss.
]. PELIKAN, The Christian Tradition. A History of the Development of Doctrine, voi. I:
Emergence o/ Catholic Tradition (100-600), Chicago 1971.
A. GRILLMEIER, Mit ihm und in ihm. Christologische Forschungen und Perspektiven, Frei-
burg 1978 2 •
A. GRILLMEIER, ]esus der Christus im Glauben der Kirche, Freiburg 1979ss.
C. ANDRESEN (a cura di), Handbuch der Dogmen- und Theologiegeschichte, vol. I, Got-
tingen 1882.
K. BEYSCHLAG, Grundrifl der Dogmengeschichte, 2 voli., Darmstadt 1982, 19882ss.

8. Liturgia

L. EISENHOFER, Handbuch der katholischen Liturgik, Freiburg 1932-1933.


K. F. MOLLER - W. BLANKENBURG (a cura di), Leiturgia. Handbuch des evangelischen
Gottesdiensts, Kassel 1954-1966.
A. G. MARTIMORT (a cura di), Handbuch der Liturgiewissenscha/t, Freiburg 1963-1965.
H. B. MEYER et al. (a cura di), Gottesdienst der Kirche. Handbuch der Liturgiewissen-
schaft, Regensburg 1983ss.
C. VOGEL, Medieval Liturgy. An Introduction to the Sources, Washington 1986.
P. BRADSHAW, The Search /or the Origins o/ Christian Worship. Sources And Methods /or
the Study of Early Liturgy, New York [ecc.] 1992.

JLW Jahrbuch fur liturgiewissenschaft, O. CASEL (a cura di), Miinster 1921-1941; re-
pertorio 1982.
ALW Archiv fur Liturgiewissenschaft, H. EDMONDS et al.(a cura di), Regensburg 1950ss,
con bibliografia.
PARTE I

La nascita della Chiesa


e la sua affermazione nell'Impero Romano
fino all'imperatore Costantino
II. Gli inizi della Chiesa
e la sua diffusione nei primi tre secoli

FONTI: CONTESTO STORICO DEL CRISTIANESIMO

Raccolte:}. LEIPOLDT- W. GRUNDMANN, Umwelt des Christentums, t trad. ted. e, 3 voll., Ber-
lin 1966/1967; P. GUYOT- R. KLEIN (a cura di), Das /riihe Christentum bis zum Ende der Ver/ol-
gungen. Bine Dokumentation, t trad. ted. 2 voll., Darmstadt 1993-1994; M. STERN, Greek And La-
tin Authors on Jews And Judaism, t trad. ingl. e, 3 voll., Gerusalemme 1974-1984; P. CARRARA, I
pagani difronte al cristianesimo. Testimonianze dei secoli I e II, t trad. it., Firenze 1984; C. K. BAR-
RET, Die Umwelt des Neuen Testaments, trad. ted., Tiibingen 1959; W. G. KOMMEL, Jiidische
Schri/ten aus hellenistisch-romischer Zeit, trad. ted., Giitersloh 1973ss.; W.-D. HAUSCHILD, Der ro-
mischeStaat und die/riihe Kirche, trad. ted., Giitersloh 1974; H. G. KIPPENBERG-G. A. WEWERS,
Textbuch zur neutestamentlichen Zeitgeschichte, trad. ted. e, Gottingen 1979; M. WHITTAKER,fews
And Christians. Graeco-Roman Vz"ews, trad. ingl. e, Cambridge 1984; L. BESSONE, I cristiani e lo
Stato, trad. it., Palermo 1980.

Giuseppe Flavio, Opera: B. NIESE, t, 7 voll., 1887-194, Berlin 1955 2 ; H. S. J. THACKERAY et al., t
trad. ingl., 9 voli., Cambridge/Mass. - London 1961-1965 3 •
De bello iudaico: O. B. BAUERNFEIND - O. M. MICHEL, t trad. ted., 3 voll., Darmstadt 1959-1969;
A. PELLETIER, t trad. frane., 3 voll., Paris 1975-1982; G. VITUCCI, t traci. it., Milano 1974;
W. WHITSTON et al., traci. ingl., Grand Rapids 1982.
Giovenale, Saturae: J. R. C. MARTYN, t, Amsterdam 1987; H. C. SCHNUR, trad. ted., Stuttgart
1969; G. CERONETTI (a cura di), Torino 1983; t trad. it., Milano 1976.
Plinio il Vecchio, Naturalis historia: R. KòNIG et al., t. trad. ted., Darmstadt 1973ss.; R. RACKHAM
et al., t trad. ingl., 10 voli., London-Cambridge/Mass. 1958-1962; J. BEAUJEU et al., t traci.
frane. e, 35 voli., Paris 1947-1985; t trad. it., 4 voli., Torino 1982-1984.
Plinio il Giovane, Epistulae: R. A. B. MYNORS, t, Oxford 1976 2; H. KARSTEN, t trad. ted., Miin-
chen 1968; B. RADICE, t trad. ingl., 2 voli., London 1972/1975; F. TRISOGLIO, t trad. it., To-
rino 1979.
Svetonio, De vita Caesarum: M. IHM, t, Stuttgart 1958; M. HEINEMANN - R. T111, traci. ted., Stutt-
gart 1957; E. NoSEDA, trad. it., Milano 19822.
Tacito, Opera: S. BORZSAK - K. WELLESLEY, t, 3 voli., Leipzig 1986-1992; A. ARICI (a cura di),
trad. it., 2 voli. 1970-1975 2 •
Annales: E. HELLER, t trad. ted., Miinchen/Ziirich 1982; B. CEVA (a cura di), t trad. it., 2 voli., Mi-
lano 1981.
Historiae: J. BORST, t trad. ted., Miinchen/Ziirich 19845 ; A. BEVIVINO (a cura di), traci. it., Milano
1982.

BIBLIOGRAFIA: PAGANI, GIUDEI, CRISTIANI NEI PRIMI TRE SECOLI

Paganisme, Judaisme, Christianisme. Influences et a//rontements dans le monde antique (FS M.


Simon), Paris 1978; E. BAMMEL - C. F. D. MOULE (a cura di), Jesus And the Politics o/ His Day,
Cambridge [ecc.] 1984; J. BECKER, Das Urchristentum als gegliederte Epoche, Stuttgart 1993;
50 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

J. BECKER et al., Die Anffinge des Christentums. Alte Welt und neue Hoffnung, Stuttgart 1987;
W. BòSEN, Galilà'a als Lebensraum und Wirkungsfeld Jesu. Bine zeitgeschichtliche und theologische
Untersuchung, Freiburg 1985; F. F. BRUCE, Men And Movements in the Primitive Church. Studies
in Early Non-Pauline Christianity, Exeter 1979; H. CONZELMANN, Heiden, Juden, Christen.
Auseinandersetzungen in der Literatur der hellenistisch-romischen Zeit, Tiibingen 1981;
A. FELDTKELLER, Identitfitssuche des syrischen Christentums. Mission, Inkulturation und Pluralità'!
im àltesten Heidenchristentum, Gi:ittingen 1993; R. L. Fox, Pagans And Christians in the Mediter-
ranean World /rom the Second Century A. D. to the Conversion o/ Constantine, London 1986;
J. CAGER, Kingdom And Community. The Socia! World o/ Early Christanity, Englewood Cliffs
1975; R. M. GRANT, Augustus to Constantine: The Rise And Triumph o/ Christianity in the Roman
World, San Francisco 1990 2 ; E. G. HINSON, The Evangelisation of the Roman Empire, Identity
And Adaptility, Macon 1981; J. S. }EFFERS, Conflict at Rame. Socia! Order And Hierarchy in Early
Christianity, Minneapolis 1991; P. KERESZTES, Imperia! Rame And the Christians, 2 voli., New
York/London 1989; E. LOHSE, Umwelt des Neuen Testaments, Gi:ittingen 1983 6 ; K. MATTHIAE,
Chronologische Ubersichten und Karten zur spéitjiidischen und urchristlichen Zeit, Stuttgart 1978;
J. NEUSNER (a cura di), Christianity, Judaism And Other Greco-Roman Cults (FS M. Smith), 4 voli.,
Leiden 1975; K. PAUL, Van Nero bis Konstantin dem Grofien. Politische und saziale Aspekte einer
kirchengeschichtlichen Wende, Frankfurt 1983; B. REICKE, Neutestamentliche Zeitgeschichte. Die
biblische Welt van 500 v. - 100 n. Chr, Berlin 1982'; D. ROKEAH, Jews, Pagans And Christians in
Conflict, Leiden 1982; J. E. STAMBAUGH - D. L. BALCH, Das saziale Umfeld des NT, Gi:ittingen
1992; A. J. WELBURN, The Beginnings o/ Christianity. Essene Mystery, Gnostic RevelationAnd the
Christian Vision, Edinburgh 1991; R. L. WILKEN, Die friihen Christen. Wie die Romer sie sahen,
Graz 1986 (ingl. 1984).

Storia giudaica
J. M. ALLEGRO, The Chosen People. A Study o/Jewish History /rom the Time of the Exile Un-
ti! the Revolt of Bar-Kochba, New York 1971/1972; G. ALoN, Jews, Judaism And the Classica!
World. Studies in Jewish History in the Times of the Second Tempie And Talmud, Gerusalemme
1977; S. FREYNE, Galilee /rom Alexander the Great to Hadrian. A Study o/ Second Tempie Judaism,
Notre Dame 1980; A. R. C. LEANEY, The Jewish And Christian World 200 B. C. to A. D. 200, Cam-
bridge 1984; J. MAIER, Grundziige der Geschichte des Judentums im Altertum, Darmstadt 1981; A.
OPPENHEIMER, The Am Ha-aretz. A Study in the Socia! History o/ the Jewish People in the Helleni-
stic-Roman Period, Leiden 1977; S. SAPRAI - M. STERN (a cura di), The Jewish People in the First
Century. Historical Geography, Politica! History, Socia!, Cultura! And Religious Li/e And Institu-
tions, 2 voli., Assen 1974/1976; P. ScHAFER, Geschichte der Juden in der Antike. Die Juden Paléisti-
nas van Alexander dem Grofien bis zur arabischen Eroberung, Stuttgart 1983; E. ScHORER, The Hi-
story of the Jewish People in the Ageo/Jesus Christ (175 B. C. -A. D. 135), 3 voli., Edinburgh 1973-
1987; E. M. SLAMMWOOD, The Jews Under Roman Rule. From Pompey to Diocletian, Leiden 1976.

Cf anche i commentari al Nuovo Testamento.


§ 5. I.:Impero Romano 51

§ 5. Illmpero Romano

L'annuncio protocristiano inserì la vita di Gesù di Nazaret e gli inizi della


Chiesa nella storia dell'Impero Romano. L'evangelista Luca menziona l'impera-
tore Agusto (27 a. - 14 d.C.), il suo governatore Quirino, l'imperatore Tiberio
(14-37; Le 2,2; 3,1) e Ponzio Pilato, il govenatore romano della Giudea. Negli
eventi che sconvolsero la Repubblica romana al suo tramonto si era imposto Ot-
taviano, figlio adottivo di Cesare. Nel 31 a.C. egli vinse Marco Antonio ad Azio;
nel 27 a.C. venne proclamato Augustus e primo princeps. Da questa nuova for-
ma politica, il principato (fino al 305 d.C.), si sviluppò l'impero. L'Imperium Ro-
manum, organizzato e relativamente pacificato da Augusto (la cosiddetta pax
Augusta) con un'abile politica interna ed estera, costituì lo scenario politico e so-
ciale per gli inizi della Chiesa. I poeti del periodo augusteo, primi fra tutti Ora-
zio (65-8 a.C.) e Virgilio (70-19 a.C.), diedero espressione all'orgogliosa consa-
pevolezza che l'Impero ebbe di se stesso. Essi divennero i cantori di un'« età au-
rea» (aurea aetas), che sembrava finalmente iniziata.

1. Religiosità politica

L'Imperium Romanum fu innanzitutto un potere politico, incarnato nel suo


esercito e nel suo apparato amministrativo. Tuttavia, come ogni collettività anti-
ca, fu anche un regno religioso. Nella religio, cioè nella convinzione che tutto
fosse sottoposto alla guida e al governo degli dèi, i Romani vollero essere supe-
riori a tutti gli altri popoli (Cicerone, De harusp. resp. 9,19; cf De nat. deorum
2.8). «È tuo, e altrettanto tu ti sottometti agli dèi, il regno», proclamava Orazio
(Carmen III 6,5). La venerazione degli dèi era uno dei doveri dello Stato eco-
stituiva un elemento importante del diritto romano, come tutto ciò che riguar-
dava la comunità (cf Ulpiano, Dig. I 1,1,2): publicum ius in sacris, in sacerdoti-
bus, in magistratibus consistit, «il diritto pubblico consiste in luoghi sacri, in sa-
cerdoti, in uffici civili»). Mentre i Romani mostravano attraverso templi, sacer-
dozi, celebrazioni e riti religiosi la dovuta venerazione verso gli dèi, questi, a lo-
ro volta, donavano allo Stato pace, felicità e prosperità (salus publica) e dimo-
stravano in questo modo l'utilità della religione (utilitas publica). Così, ogni
azione politica acquistò un fondamento religioso e ogni atto di culto divenne
espressione di lealtà verso lo Stato (religione della lealtà). La restaurazione po-
litica promossa da Augusto incluse necessariamente, quindi, anche la religione.
Sotto Augusto furono ripristinati gli antichi culti romani. La politica reli-
giosa nei confronti dei popoli conquistati e integrati nell' Imperium rimase sotto
questo punto di vista tollerante: generalmente se ne accettavano le divinità nel
52 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

pantheon romano. Il più importante elemento comune per i diversi culti diven-
ne a poco a poco lo stesso imperatore, che dal 12 a.C. assunse il titolo di Ponti-
/ex maximus ed esercitò le funzioni di sommo sacerdote del culto statale uffi-
ciale. Il legame tra religiosità politica e forma monarchica di governo condusse
infine a un tipo particolare di culto statale, in cui la preoccupazione per la salu-
te dello Stato si concretizzò nella preoccupazione per la salute dell'imperatore.
Gradatamente s'introdusse nell'Impero Romano il culto orientale del sovrano;
sempre più spesso, sempre più palesemente si celebrò l'imperatore come « Fi-
glio di Dio», come «Salvatore». Inizialmente, la venerazione cultuale doveva
essere mostrata soltanto verso l'imperatore defunto. Augusto già nel 42 a.C. ave-
va fatto divinizzare il padre adottivo Cesare con un decreto del senato (conse-
cratio). Una venerazione divina per se stessi fu pretesa poi dagli imperatori Gaio
Caligola (37-41) e Domiziano (81-96). Altri imperatori del primo periodo im-
periale la rifiutarono (cf Svetonio, Vita Vespasiani 23 ). Soltanto nel III sec. s'im-
pose il carattere sacro-pagano della dignità imperiale. Il culto dell'imperatore
divenne l'atto centrale della lealtà politico-sociale e l'espressione suprema di un
patriottismo totalmente ispirato alla pietas (cf Plinio il Giovane, Ep. X 13; X 35).

2. Religioni misteriche e religiosità privata

N. TURCHI, Fontes historiae mysteriorum aevi hellenistici, t, Roma 19302; M. J. VERMASEREN, Cor-
pus cultus Cybelae Attidisque, t, 7 voli., Leiden [ecc.] 1977-1989; ID., Corpus inscriptionum et
mon.umentorum religionis Mithriacae, t, 2 voll., Den Haag 1956/1960; L. VIDMAN, Sylloge in-
scriptionum religionis Isiacae et Sarpiacae, te, Berlin 1969.
K. PREISENDANZ -A. HENRICHS, Papyri graecae magicae, t, Stuttgart 1974 2; G. LUCK, Magie und
andere Geheimlehren in der Antike, Stuttgart 1990; H. D. BETZ, The Greek Magica! Papyri in
Translation, trad. ingl., Chicago 1986ss.
Oracula chaldaica: R. MAJERCIK, t trad. ingl. e, Leiden 1989; E. des PLACES, t trad. frane e, Paris
1989 2 •

Una particolare forza d'attrazione ebbero le religioni misteriche, testimo-


niate fin dal VI sec. a.C. (Eleusi, Dioniso), alla cui origine c'erano culti della ve-
getazione d'importanza soltanto locale. Dopo un'iniziale opposizione (Augusto
e Tiberio proibirono i culti egiziani), i culti misterici si diffusero a partire dal II
sec. in tutto l'Impero Romano e assunsero i tratti di religioni salvifiche. Ma que-
ste religioni non rappresentarono dei sistemi chiusi né furono intese in maniera
esclusiva: ognuno rimaneva libero di praticare altre forme di religiosità e di far-
si iniziare a più culti misterici o di tornare a culti precedenti. Un elemento es-
senziale era costituito dai riti d'iniziazione, che venivano tenuti segreti. L'inizia-
to cercava un rapporto diretto con la divinità e, in questo modo, la salvezza in
situazioni di pericolo e un aiuto contro la paura della morte. Morte e rinascita
erano chiaramente al centro di numerosi culti, e le promesse dell'aldilà svolge-
§ 5. L:Impero Romano 53

vano un ruolo importante. Ma non sembra esserci stata una fede sistematica-
mente ponderata in un superamento della morte.

I culti più noti furono quello della Magna Mater Cibele e di Attis in Asia Minore,
quello di Iside-Osiride-Serapide in Egitto e quello di Atargatis-Adone a Biblos (Siria). I
loro seguaci si riunivano in libere comunità cultuali, che erano organizzate in modo non
uniforme e senza rigide preclusioni reciproche. Un elemento obbligatorio era costituito
dai rituali comuni. Oltre a questo, non sembrano esserci stati altri obblighi. Sembra che
tali culti abbiano esercitato un loro fascino soprattutto sul ceto medio.

Una religione misterica tutta particolare fu quella rappresentata dal culto di


Mitra. La sua figura di salvatore era il dio persiano della luce Mitra. Nel corso
della sua diffusione nell'Impero Romano il culto si trasformò in una nuova reli-
gione, che organizzava i suoi fedeli in sette gradi (corrispondenti alle divinità
che danno nome ai pianeti) e annunciava una dottrina di salvezza legata alla co-
smologia di Platone (Timeo). La religione di Mitra ebbe il suo periodo di mas-
simo sviluppo tra il 140 e il 312 e la capitale Roma ne fu chiaramente il centro
d'irradiazione. Il suo culto era riservato esclusivamente agli uomini ed era dif-
fuso soprattutto tra i pubblici funzionari e i soldati. Numerosi ritrovamenti di
cosiddetti mitrei, i luoghi di culto dei seguaci di Mitra, sono una prova del fa-
scino esercitato da questa religione.
Legate alla preoccupazione di sperimentare l'aiuto e la protezione degli dèi
e di essere al riparo dai loro poteri si ebbero moltre altre forme e pratiche reli-
giose: astrologia, magia, interpretazione di sogni e prodigi, consultazione degli
oracoli e credenza nei miracoli. Gli uomini si ripromettevano da queste pratiche
sicurezza sia in questa vita che nell'aldilà e difesa contro le forze e potenze de-
moniache. Il timore degli dèi doveva trasformarsi in fiducia nei loro confronti.
L'atmosfera religiosa prese corpo nella sfera privata e si espresse in una pietà pa-
gana domestica e familiare. Si veneravano le divinità domestiche (Penati, Lari,
Vesta) con preghiere e offerte. Tutta la vita dell'intera famiglia, con i suoi even-
ti lieti e tristi, era posta sotto la loro protezione.

3. Filosofia e religione

J. von ARNIM (a cura di), Stoicorum veterum /ragmenta, t, Stuttgart 1903-1924, rist. 1964; A. A:
LONG-D. N. SEDLEY, The Hellenistic Philosophers, t trad. ingl. c., 2 voll., Cambridge 1987.
Plotino: R. BEUTLER, t trad. ted., Hamburg 1956-1967; V. CILENTO, Enneadi, trad. it., Napoli 1986.

La filosofia era alimentata dall'eredità del suo periodo classico e si richia-


mava ai grandi maestri: Platone, Aristotele, Pitagora, Epicuro e gli stoici.
La filosofia di Platone ebbe nuova vita nel cosiddetto medioplatonismo (ca.
54 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

50 a. - 250 d.C.) e più tardi nel neoplatonismo (specialmente grazie a Plotino,


ca. 205-270). La loro coloritura decisamente religiosa fece diventare queste filo-
sofie religione di molte persone. Esse contribuirono alla spiritualizzazione del-
l'idea di Dio. Con la loro tendenza a indicare come «divino» o «Dio» il Som-
mo Bene, la Causa ultima, il Fine di ogni conoscenza, molti medio- e neoplato-
nici si avvicinarono al monoteismo biblico, almeno agli occhi dei cristiani di forc
mazione filosofica. La distinzione platonica tra un cosmo spirituale e uno per-
cettibile con i sensi, ritenuto soltanto una figura del primo, assunse il carattere
di una negazione del mondo materiale e diede alla conoscenza spirituale e allo
sforzo morale dell'uomo uno scopo infinito, «l'assimilazione a Dio, per quanto
ciò è possibile» (cf Platone, Theaet. 176a-b).

Divenne particolarmente attuale nell'epoca del principato la Stoa. Seneca


(ca. 4-65), Epitteto (ca. 55-135) e l'imperatore Marco Aurelio (161-180) ne fu-
rono i più importanti rappresentanti. La loro etica, con l'ideale del dominio di
se stessi e della moderazione, assunse il valore di un pratico costume di vita. Gli
stoici erano convinti di una legge morale divina e volevano vivere nell'armonia
con la natura (secundum naturam vivere), in maniera conforme alla ragione co-
smica (logos). Essi insegnavano l'eguaglianza e la comune appartenenza di tutti
gli uomini e richiedevano quindi l'amore fra tutti gli uomini, persino tra nemi-
ci. La loro fede in una provvidenza divina che determina e governa ogni cosa
poteva condurre a una profonda pietà.

4. Antichità classica e cristianesimo

Il culto ufficiale dello Stato e la venerazione degli dèi romani (di nostri) ser-
vivano ad assicurare il benessere pubblico. I di nostri avevano una dimensione
indefinita e il loro culto non coinvolgeva le forme della religiosità privata. Ma
una politica religiosa fondamentalmente tollerante dava anche alla pietà privata
diritto di vita e possibilità di diffusione. L'unificazione politica e organizzativa
dell'Imperium Romanum rendeva possibile lo scambio personale e ideale tra gli
abitanti dell'Impero. Sulle strade così ben costruite marciavano non solo gli
eserciti romani, non si trasportavano soltanto delle merci, ma potevano viaggia-
re, in tutta l'estensione del territorio imperiale, anche gli apostoli della speran-
za e della redenzione.
Ne poté trarre vantaggio la missione della Chiesa primitiva, non appena es-
sa osò diffondere il suo messaggio nel mondo greco-romano. Il programma mis-
sionario messo a punto a tale scopo ci viene chiarito dagli Atti degli Apostoli
(17 ,23 ): «Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio». È un pro-
gramma che vuole riprendere e proseguire i valori precedenti sulla base della
§ 5. [;Impero Romano 55

convinzione di una segreta affinità tra la fede cristiana e la ricerca pagana di Dio
e della verità. La concezione cristiana e quella pagana risultano collegate dall'i-
dea di religione: una viveniva ritenuta come la vera religione, l'altra come la fal-
sa. Ma il vero veniva trovato anche nella religione falsa. Giustino, il filosofo e
martire cristiano (cf § 3 8 A 2), scopriva già nella filosofia greca l'efficacia del Lo-
gos divino (logoi spermatikoz; Apol. II 7.8). Clemente d'Alessandria (cf § 39, 1)
trovava presso i Greci «scintille di verità» (Protr. VII 74,7). Egli vedeva nella fi-
losofia greca, come nella legge giudaica, uno sforzo educativo del mondo elle-
nistico finalizzato a Cristo per volere divino e ne deduceva un «legame tra Dio
e i buoni saggi greci» (Strom. VI 67,1). Tertulliano(§ 40,1) volle addirittura ad-
ditare nella convinzione religiosa di base del pio pagano circa l'esistenza di Dio,
circa la sua provvidenza e il premio o il castigo da lui riservati ai buoni e ai cat-
tivi una «testimonianza dell'anima naturalmente cristiana» (Apol. 17 ,6).
La prima predicazione cristiana non osservò certamente soltanto il principio
dell'accomodamento amichevole. Il politeismo venne decisamente rifiutato, al-
trettanto lo fu ogni concetto materialistico e antropocentrico di Dio, anche
quando predicatori e teologi si servivano degli argomenti con i quali la critica
classica aveva trattato gli dèi. I cristiani rifiutarono anche ogni tipo di culto che
mirasse a venerare lo Stato e l'imperatore, senza tuttavia negare l'importanza
politica della religione. Essi condivisero con i loro contemporanei la convinzio-
ne secondo cui ogni autorità terrena è costituita 'da Dio (Rm 13,1-2; 1Pt2,13-
15; 1Tm2,1-2; Tt 3,1) e si deve pregare per coloro che sulla terra stanno al po-
tere (1 Tm 2,1-2; 1 Clem. 60-61).
Più tardi, la Chiesa antica interpretò il regno dell'imperatore Augusto come
la condizione favorevole per la nascita del cristianesimo. «Dio ha preparato i
popoli e ha fatto in modo che l'imperatore romano dominasse tutto il mondo,
[ ... ] poiché la presenza di più regni sarebbe stata d'ostacolo all'annuncio della
dottrina di Gesù sulla terra» (Origene, C. Cels. II 30). Melitone, vescovo di Sar-
di in Asia Minore, concludeva già sul finire del II sec. che cristianesimo e do-
minio imperiale romano avevano fatto la loro comparsa nel mondo nello stesso
tempo ed erano cresciuti uno accanto all'altro perché per entrambi era stato
chiaramente stabilito dalla Provvidenza un rapporto reciprocamente benefico
(Eusebio, H. E. IV 26). Vlmperium Romanum viene interpretato in queste af-
fermazioni dal punto di vista della storia della salvezza. Insieme a tutte le sue
espressioni di vita, la storia dei primi tempi della Chiesa assume questo conno-
tato specifico: il cristianesimo s'identifica sempre anche con l'antichità classica.
I primi cristiani e le loro tradizioni risultano plasmati dalle forme di vita e dalla
cultura del loro tempo. Essi si servirono delle lingue classiche, frequentarono le
scuole pubbliche, ne seguirono fedelmente le regole di formazione e ne fecero
propri i contenuti: retorica, etica e filosofia. Rimasero coinvolti nei processi la-
vorativi ed economici ed occuparono i loro posti nell'ordine sociale. In tutti gli
56 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

ambiti il mondo greco-romano rappresentò per il cristianesimo la norma da se-


guire o da non seguire.
BIBLIOGRAFIA§ 5: ANRW II 16,1-3, 1978-1986; ANRW II 17,1-4, 1981-1984; ANRW II 18,1-
4, 1986-1990; ANRW II 23,1-2, 1979-1980; J. FERGUSON, The Religions of the Roman Empire,
London 1970; K. LATTE, Romische Religionsgeschichte, Miinchen 1967 2 (HAW 5,4); R. MAc MUL-
LEN, Paganism in the Roman Empire, London 1981; M. P. NILSSON, Geschichte der griechischen
Religion, Miinchen 1974 2 (HAW 5,2); R. M. OGILVIE, The Romans And Their Gods in the Age o/
Augustus, London 1969; R. PROMM, Religionsgeschichtliches Handbuch fiir den Raum der altchri-
stlichen Umwelt, Freiburg 1954 2; H. H. SCULLARD, From the Gracchi to Nero. A History o/ Rame
/rom 133 B. C. to A. D. 68, London 19825 ; U. v. WILAMOWITZ-MòLLENDORFF, Der Glaube der Hel-
lenen, 2 voli., Basel/Stuttgart 1959 3•
§ 5.1: J. R. FEARS, Princeps a diis electus: The Divine Election o/ the Emperor As a Politica!
Concept at Rame, Roma 1977; D. FISHWICK, The Imperia! Cult in the Latin West. Studies in the
Ruler Culto/ the Western Provinces o/ the Roman Empire, 2 voli., Leiden 1987-1992; A. JONES,
Augustus, London 1977 2 ; w KIERDORF, Zu Terminologie und Ablau/ der romischen Kaisera-
potheose. Funus und consecratio, in «Chiron» 16 (1986), 43-69; S. R. F. PRICE, Between Man And
God: Sacri/ice in the Roman Imperia! Cult, in JRS 70 (1980), 28-43; A. V. STRòM - W PòHLMANN
-A. CAMERON, in TRE 15 (1986), 244-255; E. TAEGER, Charisma. Studien zur Geschichte des an-
tiken Herrscherkultes, 2 voli. Stuttgart 1957-1960; A. WARDMAN, Religion And Statecra/t among
the Romans, London 1982; K. WENGST, Pax Romana. Anspruch und Wirklichkeit. Erfahrungen
und Wahrnehmungen des Friedens bei Jesus und im Urchristentum, Miinchen 1986; A. WLOSOK (a
cura di), Romischer Kaiserkult, Darmstadt 1972.
§ 5.2: J. ANNEQUIN, Recherches sur l'action magique et ses représentations (I et II s. après].
Ch.), Paris 1973; J. T. BAKKER, Living And Working with the Gods. Studies o/ Evidence /or Pri-
vate Religion And Its Materia! Environment in the City o/ Ostia (100-500 A. D.), Amsterdam
1994; U. BIANCHI, Mysteria Mithrae, Leiden 1979; W. BURKERT, Antike Mysterien. Funktionen
und Gehalt, Miinchen 1990 (ingl. 1987); M. CLAUSS, Cultores Mithrae. Die Anhiingerschaft des
Mithras-Kultes, Stuttgart 1992; M. CLAUSS, Mithras. Kult und Mysterien, Miinchen 1990; K.
CLINTON, The Sacred Of/icials o/ the Eleusinian Mysteries, Philadelphia 1974; F. LE CORSU, Isis,
Mythe et Mystères, Paris 1977; F. H. CRAMER, Astrology in Roman Law And Politics, Phila-
delphia 1954; J. ENGEMANN, Zur Verbreitung magischer Obelabwehr in der nichchristlichen und
christlichen Spiitantike, inJAC 18 (1975), 22-48; C. A. FARONE-D. 0BBINK (a cura di), Magika
Hiera. Ancient Greek Magie And Religion, Oxford [ecc.] 1990; M. GIEBEL, Das Geheimnis der
Mysterien. Antike Kulte in Griechenland, Rom und Agypten, Ziirich/Miinchen 1990; W. HORN-
BOSTEL, Sarapis. Studien zur Oberlieferungsgeschichte, den Erscheinungs/ormen und Wandlungen
der Gestalt eines Gottes, Leiden 1973; H. LEWY- M. TARDIEU, Chaldaean Oracles And Theurgy.
Mysticism, Magie And Platonism in the Later Roman Empire, Paris 1978; R. MERKELBACH, Mith-
ras, Konigstein 1984; E. PFEFFER, Studien zur Mantik in der Philosophie der Antike, Maisenheim
1976; G. SFAMENI GASPARRO, Soteriology And Mystic Aspects in the Culto/ Cybele and Attis,
Leiden 1986; F. SOLMSEN, Isis among the Greeks And Romans, Cambridge/Mass. 1979; M. J.
VERMASEREN, Cybele And Attis. The Myth And the Cult, London 1977; M. J. VERMASEREN (a cu-
ra di), Die orientalischen Religionen im Romerreich, Leiden 1981; L. VIDMAN, Isis und Sarapis
bei den Griechen und Romern. Epigraphische Studien zur Verbreitung und zu den Triigern des
iigyptischen Kultes, Berlin 1970; R. E. WITT, Isis in the Graeco-Roman World. Aspects o/ Greek
And Roman Li/e, Ithaca/New York 1971.
§ 5.3: ANRW II 36,1-5, 1987-1992; A. H. ARMSTRONG, Plotinian And Christian Studies, Lon-
don 1979; H. D. BETZ, Hellenismus, in TRE 15 (1986), 19-35; H.J. BLUMENTHAL-R. A. MARKUS,
Neoplatonism And Early Christian Thought (FS A. H. Armstrong), London 1981; M. I. COLISH,
§ 6. Il giudaismo al tempo di Gesù di Nazaret 57

TheStoic Tradztion. From Antiquity to the Early Middle Ages, 2 voli., Leiden 1985;}. DILLON, The
Middle Platonists. A Study o/ Platonism 80 B. C. to A. D. 220, London 1977; H. DòRRIE, Platoni-
ca minora, Miinchen 1976; M. POHLENZ, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, 2 voli.,
Gottingen 1984-19906; M. SPANNEUT, Le stoicisme des Pères de l'Église, Paris 1957 6; C. ZINTZEN
(a cura di), Die Philosophie des Neuplatonismus, Darmstadt 1977; C. ZINTZEN (a cura di), Der Mit-
telplatonismus, Darmstadt 1981.
§ 5.4: C. ANDRESEN, Antike und Christentum, in TRE 3 (1978), 50-99; J. FONTAINE, Chri-
stentum ist auch Antike. Einige Uberlegungen zu Bildung und Literatur in der lateinischen Spiitan-
tike, inJAC 25 (1982), 5-21; O. GIGON, Die antike Kultur und das Christentum, Darmstadt 1966;
E. A. JUDGE, «Antike und Christentum»: Towards a De/inition o/ the Field. A Bibliographical Sur-
vey, in ANRW II 23 (1979), 3-58; P. STOCKMEIER, Glaube und Kultur. Studien zur Begegnung von
Christentum und Antike, Diisseldorf 1981.

§ 6. Il giudaismo al tempo di Gesù di N azaret

Apocrifi e pseudoepigrafi dell'AT: R. H. CHARLES, t trad. ingl., Oxford 1913-1963 2 ; E. KAUTZSCH,


trad. ted., 2 voli., Tiibingen 1990; W. G. KùMMEL (a cura di), Judische Schri/ten aus helleni-
stischromischer Zeit, trad. ted. e, 5 voli., Giitersloh 1973ss.; J. H. CHARLESWORTH, trad. ingl.,
Oxford/New York 1983ss.; A. DUPONT-SOMMER-M. PHILONINTZO, Ecrits intertestamentai-
res, trad. frane., Paris 1987.
Filone d'Alessandria: L. COHN -P. WENDLAND et al., t, 7 voli., Berlin 1962/19632; F. H. COLSON -
G. H. WHITTAKER, t trad. frane., 35 voli., Paris 1961-1973; L. COHN - L. HEINEMANN, trad.
ted. 7 voli., Breslau-Berlin 1962-19642 ; G. REALE-R. RADICE (a cura di), trad. it., 2 voli., Mi-
lano 1978ss.
Qumran: J. C. BURROWS et al., The Dead Sea Scrolls o/ St. Mark's Monastery, t, 2 voli., New Haven
1950-1951; E. LOHSE, Die Texte a.us Qumran, t trad. it., Miinchen 1964; J. MAIER, Die Texte
vom Toten Meer, trad. ted., Miinchen 1960; E. L. SUKENIK, The Dead Sea Scrolls o/ the Hebrew
University, Gerusalemme 1955; E. Tov, The Dead Sea Scrolls on Microfiche, Leiden 1993.

M. STERN, Greek And Latin Authors on ]ews And ]udaism, t trad. ingl. e, 3 voli., Gerusalemme
1974-1984.

1. La Palestina sotto il dominio romano

Attraverso la persona di Gesù di N azaret le origini del cristianesimo sono


legate al giudaismo. La Palestin·a si trovava fin dal 63 a.C. sotto il dominio ro-
mano. Erode il Grande, posto sul trono dai Romani, fu re dal 37 al 4 a.C. I
suoi figli gli successero come sovrani su alcune parti della Palestina, che nel 6
d.C. venne associata alla provincia romana di Siria e posta sotto il governo di
procuratori romani. Ad essi seguì nuovamente, con Erode Agrippa, un re (41-
44 d.C.), dopo il quale il paese fu governato di nuovo da procuratori. Costo-
58 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

ro riconobbero al sinedrio, ai sommi sacerdoti, l'autorità nell'ambito religio-


so. La potenza occupante romana rispettò la peculiarità della religione giu-
daica, ma le continue richieste di tributi e le innumerevoli disposizioni di leg-
ge la resero egualmente invisa. I contrasti dei giudei sia con i procuratori che
con la popolazione non giudaica presente nel paese erano all'ordine del gior-
no; questi contrasti favorirono il formarsi di gruppi all'interno dei giudei e
condussero infine alla prima guerra giudaica (66-73 d.C.) e alla distruzione del
tempio di Gerusalemme (cf § 11).

2. Raggruppamenti religiosi

Già precedentemente si erano formati nel giudaismo diversi raggruppa-


menti e movimenti religiosi. Il loro impegno era rivolto all'affermazione di se
stessi e alla salvaguardia della peculiarità del popolo giudaico, alla presa di po-
sizione nei confronti della Legge (Torah) e all'attesa di un Salvatore e Liberato-
re. Nel contesto della difficile situazione politica questa speranza si concretizzò
in attese messianiche di alta tensione: «Guarda, o Signore, e rivolgi lo sguardo
al loro re, il figlio di David, [ ... ], cingilo di fortezza, per schiacciare i prìncipi
ingiusti, per purificare Gerusalemme dai popoli pagani» (Salmi di Salomone
17,21-22).
L'epoca neotestamentaria fu contrassegnata soprattutto dalla rivalità tra fa-
risei e sadducei. Secondo i farisei, il popolo di Dio poteva essere salvato soltan-
to attraverso la rigida osservanza della Legge. In un'interpretazione scrupolosa
e casistica della Legge, essi ordinavano e regolamentavano ogni sfera dell'esi-
stenza. Ponendosi in questo «recinto attorno alla Legge», essi si separavano sia
da chiunque non fosse giudeo, sia dal semplice popolo (am haaretz) che non era
capace di osservarla in maniera integrale. Il loro studio intensivo della tradizio-
ne preparò lo scioglimento dal culto del Tempio (cf § 11,2). Essi rifiutavano una
sollevazione contro la potenza occupante, perché ponevano il potere politico
sotto il dominio divino. «Come il cielo si estende al di sopra della terra, così il
potere divino sacerdotale si estende al di sopra del potere terreno dei re» (Te-
stamentum ]uda 21,4).
I sadducei erano un partito religioso conservatore aristocratico. Anche essi
si attenevano rigidamente alla Legge, ma senza implicare la tradizione orale ed
escludendo le dettagliate spiegazioni casistiche. Essi rifiutavano, come non cor-
rispondente alla Scrittura, ogni fede nell'ispirazione dei libri profetici, negli an-
geli, nel giudizio e nella risurrezione dei morti. Dalle loro file provenivano per
lo più i sommi sacerdoti in Gerusalemme. Politicamente miravano certamente
all'indipendenza del loro popolo, ma accettarono il dominio romano. Non co-
noscevano l'entusiasmo messianico. Con la distruzione del Tempio risultarono
§ 6. Il giudaismo al tempo di Gesù di Nazaret 59

privati della loro base economica e politica. Il partito non sopravvisse alla guer-
ra giudaica.
Vicini ai farisei, per la loro origine, furono gli esseni, i« pii» (chassidim) del-
l'epoca che vide la sollevazione dei Maccabei (1 Mac 2,29-38). Essi si separaro-
no tuttavia dalla massa del popolo, ritenendosi «il santo resto d'Israele». Come
movimento escatologico-apocalittico, essi si ritirarono dalla lotta politica e spe-
rarono di muovere Dio, con la loro vita pia e ascetica, a un sollecito intervento
salvifico nella storia. Gli esseni vengono menzionati, oltre che da Giuseppe Fla-
vio e Filone, anche da Plinio il Vecchio (Hist. nat. V 73 ). Dopo la scoperta dei
rotoli di Qumran nel 1946, oggi se ne sa sempre di più. In questo luogo era esi-
stita una comunità di tipo monastico, che al tempo di Gesù di Nazaret si orga-
nizzò e rappresentò un centro della setta essenica. Dagli scritti ritrovati è possi-
bile ricostruirne approssimativamente la vita: periodo di prova, impegno vinco-
lato da giuramento, rinuncia alla proprietà privata, pasti e deliberazioni comu-
ni, severe prescrizioni di purità rituale, ecc. Le regole sottolineano il carattere
esclusivo della comunità. Il centro venne distrutto nel 68 dai Romani. Filone de-
scrive nel De vita contemplativa una forma particolare di vita essenica comple-
tamente dedicata alla contemplazione.
In tutt'altra direzione, durante o dopo il censimento di Quirino, si stac-
carono dai farisei gli zeloti, che ne rifiutarono l'atteggiamento pragmatico e
mirarono alla liberazione politica del popolo, anche con mezzi militari. Con-
tigui a loro, e in parte indipendenti, si costituirono gruppi estremisti come i
sicari, che finirono con il trascinare il popolo nella guerra contro Roma (cf
§ 11,1).
In questi raggruppamenti giudaici va inserito anche il movimento escatolo-
gico-apocalittico attorno a Gesù di Nazaret. Come setta giudaica, il movimento
riscosse inizialmente scarsa attenzione, ma si sviluppò in seguito nella Chiesa
cristiana con straordinaria efficacia.

3. Giudei nella diaspora

Al tempo di Gesù il giudaismo era presente non soltanto in Palestina. Già la


deportazione assira (722 o 708?) e soprattutto la cattività babilonese (597) ave-
vano disperso il popolo nei paesi dell'area mediterranea. La dominazione stra-
niera e le relazioni commerciali spinsero continuamente i giudei ad emigrare e a
stabilirsi in luoghi anche più lontani nel vasto Impero Romano. Non si cono-
scono cifre precise, ma esse debbono essere state considerevoli. Anche all' este-
ro i giudei rimanevano fedeli alla loro fede e alla loro consapevolezza di essere
il popolo eletto. Nelle sinagoghe essi avevano il loro comune centro religioso,
dove si radunavano per il servizio divino, ma rinunciavano ai sacrifici, che veni-
60 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

vano offerti soltanto nel Tempio di Gerusalemme. Il loro legame con le cose sa-
cre in Gerusalemme rimaneva attraverso l'imposta per il Tempio e le regolari vi-
site festive.
Si arrivò inoltre a intense relazioni tra le comunità e l'ambiente greco-roma-
no in cui esse si trovavano. I giudei ellenistici adottarono la lingua greca e fece-
ro tradurre anche l' AT. La più famosa traduzione è la cosiddetta Septuaginta,
che venne eseguita da giudei alessandrini nel III sec. a. C. e comprese inizial-
mente soltanto il Pentateuco (cf Lettera di Aristea). Questa redazione del testo
divenne l' AT dei cristiani; il nome Septuaginta appare per la prima volta in Giu-
stino (Dia!. 120,4; 124,3; 121,1). In Alessandria visse Filone (morto ca. 40 d.C.),
che con la sua interpretazione allegorica dell' AT volle rendere accessibile la re-
ligione giudaica al mondo ellenistico e divenne il principale rappresentante di
un giudaismo ellenizzato. Le comunità delle sinagoghe operarono in prospetti-
va missionaria, ma senza una specifica teoria della missione e senza una strate-
gia predeterminata. Il loro monoteismo possedeva evidentemente una sua forza
d'attrazione. Ci furono pagani che si convertirono al giudaismo (proseliti) e at-
torno alle sinagoghe si formò una cerchia di simpatizzanti, di cosìddetti «timo-
rati di Dio» (At 10,2; 13,50; 16,14).

4. Giudei e Impero Romano

I giudei vennero rispettati e tollerati nell'Impero Romano come popolo


specifico. La loro religione venne riconosciuta nella sua particolarità e legal-
mente tutelata (religio licita). Un sacrificio per l'imperatore e l'impero doveva
essere offerto nel Tempio. Dal 70 d.C. l'imposta per il Tempio venne trasfor-
mata dai Romani in un'imposta giudaica straordinaria (jiscus iudaicus). Tra le
preghiere delle celebrazioni religiose giudaiche c'era anche la preghiera per la
prosperità dello Stato. Ma, con l'ostentata consapevolezza del proprio essere
e la loro separazione dal resto della società (amixia, diversitas morum; Tacito,
Hist. V 12; cf Giovenale, Sat. XIV 96-106: parole di scherno sui proseliti), i
giudei dovevano sopportare il destino di minoranza invisa. Ci furono spesso
degli eccessi; nel 38 d.C. si arrivò ad Alessandria a un terribile pogrom contro
di loro.
L'imperatore Claudio (41-54) espulse i giudei da Roma (Svetonio,
Vita Claud. 25,4). Dai giudei alessandrini egli pretese che s'inserissero
nell'ordinamento cittadino e ne proibì ogni ulteriore immigrazione nella
metropoli egiziana (Lettera ai Prefetti: H. J. Bell, Juden und Griechen im
romischen Alexandrien, Leipzig 1932, 25ss.). Palesemente egli espresse la
sua diffidenza contro i giudei e vide in loro una piaga comune per tutto
il mondo (CPJ, n. 153). Le sollevazioni giudaiche nel I sec. e all'inizio del
§ 6. Il giudaismo al tempo di Gesù di Nazaret 61

II ne aumentarono la diffusa avversione. Nella «digressione giudaica» del-


le sue Storie Tacito tenne presente l'idea negativa che i Romani avevano dei
giudei.

BIBLIOGRAFIA § 6: ANRW II 19,1979; ANRW II 20, 1986-1987; ANRW II 21, 1983-1984;


U. BAUMANN, Rom und die Juden. Die romisch-jiidischen Beziehungen von Pompeius bis zum Tode
des Herodes (63 v.Chr. -4 n. Chr.), Frankfurt 1983; F. DEXINGER,]udentum, in TRE 17 (1988), 331-
277; H. W. HOEHNER, Herod Antipas, Cambridge 1972; G. PRAUSE, Herodes der Grofle, Konig der
Juden, Miinchen 1980; A. SCHALIT, Konig Herodes. Der Mann und sein Werk, Berlin 1969; G. STEM-
BERGER, Die romische Herrschaft im Urteil der ]uden, Darmstadt 1983; M. E. STONE (a cura di),]ewi-
sh Writings o/ the Second Tempie Period. Apocrypha, Pseudepigrapha. Qumran Sectarian Writings,
Phz"lo, ]osephus, Assen 1984; I. M. ZEITLIN, ]esus And the Judaism o/ His Time, Oxford 1988.
§ 6.1: S. APPLEBAUM, Herod I, in EJ 8 (1971), 375-387; G. BAUMBACH, Herodes!Herodeshaus,
in TRE 15 (1986), 159-162.
S. APPLEBAUM, The Zealots: the Case /or Revolution, in JRS 61 (1971), 155-170; O. BETZ, Es-
sener und Therapeuten, in TRE 10 (1982), 386-391; H. MANTEL, Studies in the History o/ the Sanhe-
drin, Cambridge/Mass. 1961; H. NEUSNER et al. (a cura di), ]udaism And Their Messiahs at the Turn
o/ the Christian Era, Cambridge 1987; G. STEMBERGER, Pharisiier, Sadduzà'er, Essener, Stuttgart
1991; M. SMITH, Zealots And Sicarh Their Origins And Relation, in HThR 64 (1971), 1-19.
§ 6.2 Farisei: L. FINKELSTEIN, The Pharisees. The Sociologica! Background o/ Their Faith, Phi-
ladelphia 19623 ; J. NEUSNER, From. Politics to Piety. The Emergence o/ Pharisaic ]udaism, New
York 1979 2•
§ 6.2 Qumran: «Revue de Qumran», Paris 1958ss.; H. BRAUN, Qumran und das NT, 2 voli.,
Tiibingen 1966; M. DELCOR (a cura di), Qumran. Sa piété, sa théologie et son milieu, Louvain
1978; K. E. GR6ZINGER et al., (a cura di), Qumran, Darmstadt 1981; G. VERMES, The Dead Sea
Scrolls. Qumran in Perspective, London 1982 2 •
§ 6.2 Sadducei: J. LE MOYNE, Les Sadducéens, Paris 1972.
§ 6.2 Zeloti: S. G. F. BRANDON, Jesus And the Zealots: A Study o/ the Politica! Factor in Prz~
mitive Christianity, Manchester 1967; M. HENGEL, Die Zeloten. Untersuchungen zur jiidischen
Freiheitsbewegung in der Zeit von Herodes bis 70 n. Chr., Leiden/Koln 1961; R. A. HORSLEY, ]e-
sus And the Spira! o/Violence. Popular Jewùh Resistance in Roman Palestine, San Francisco 1987;
G. ]OSSA, Giudei, pagani e cristiani, Napoli 1977, 11-80.
§ 6.3: Y. AMIR, Die hellenistische Gestalt des ]udentums bei Philo von Alexandrien, Neukir-
chen 1983; S. P. BROCK, Bibeliibersetzungen I, 2. Die Ùbersetzungen des Alten Testaments in Grie-
chische, in TRE 6 (1980), 163-172; J. COLLINS, Between Athens And Jerusalem. ]ewish Identity in
the Hellenistic Diaspora, New York 1983; U. FISCHER, Eschatologie und ]enseitserwartungen im
hellenistischen Diasporajudentum, Berlin 1978; M. HENGEL,]uden, Griechen und Barbaren. Aspek-
te der Hellenisierung des Judentums in vorchristlicher Zeit, Stuttgart 1976; M. HENGEL, Proseuche
und Synagoge. ]iidische Gemeinde, Gotteshaus und Gottesdienst in der Diaspora und in Paliistina,
in G. Jeremias -H. W. Kuhn - H. Stegemann (a cura di), Tradition und Glaube, Gottingen 1971,
157-184; K. HRUBY, Die Synagoge. Geschichtliche EntuJicklung einer Institution, Ziirich 1971;
R. KUNTZMANN - J. SCHLOSSER, Études sur le Judaisme hellénistique, Paris 1984; P. LAMARCHE,
La Septante, in C. Mondésert (a cura di), Le monde grec ancien et la Bible, Paris 1984, 19-35;
H. A. WOLFSON, Philo, 2 voli., 1947, rist. Cambridge 1968.
§ 6.4: S. BENKO, The Edict of Claudius o/ A. D. 49, in ThZ 25 (1969), 406-418; A. M. RABEL-
LO, The Lega! Condition o/ the ]ews in the Roman Empire, in ANRW II 13, 1980, 662-762
62 II. Gli inizi della Chiesa e la sua di/fusione nei primi tre secoli

§ 7. Gesù di N azaret e il suo proselitismo escatologico

Fonti: scritti neotestamentari.


Bibliografia: commenti al NT.

1. La vita di Gesù

La storia della Chiesa affonda le sue radici in Gesù di Nazaret, di cui gli
scritti neotestamentari descrivono dettagliatamente vita e azione. La ricerca sul-
la vita di Gesù è tutta basata su queste prime notizie riguardanti il cristianesimo.
Queste notizie, tuttavia, sono di natura particolare. Ciò che esse offrono non è
semplice relazione storica, ma testimonianza della fede al servizio dell'annuncio
e della costruzione della comunità. Ciò che i vangeli offrono alla storia è inoltre
già storia interpretata, in cui il «Gesù che annuncia» è inscindibilmente un
tutt'uno con il «Cristo annunciato». Ciò non consente di ricostruire una bio-
grafia nel senso più esatto del termine.
Gesù di Nazaret nacque negli anni 6-4 prima del nostro computo cronologi-
co. Luca (3,1) fa entrare in scena Giovanni Battista «nell'anno decimoquinto del-
l'impero di Tiberio Cesare», cioè nel 25/26 (o 28/29). Proprio con la predicazio-
ne del Battista e il battesimo ricevuto da lui i vangeli fanno coincidere l'inizio del-
1' azione pubblica di Gesù (Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Le 3,21; Gv 1,32-34). Non ci
è noto per quanto tempo il Battista avesse predicato prima che Gesù lo incon-
trasse. Il rapporto tra Gesù e il Battista e la sua cerchia rimane incerto, e neppu-
re sappiamo con certezza quanto a lungo Gesù si aggirasse qua e là predicando:
i sinottici danno notizia di una sola Pasqua, mentre Giovanni parla di tre feste di
Pasqua vissute da Gesù nel corso della sua vita pubblica (Gv 2,13.23; 6,4; 11,55).
Secondo il racconto di tutti e quattro i vangeli Gesù fu crocifisso un venerdì
che coincideva con l'inizio della festa di Pasqua; ma Giovanni parla della vigilia
della festa di Pasqua (13, 1; 19 ,31), quindi del 14 di Nisan, mentre i sinottici par-
lano della stessa festa di Pasqua (Mt 26,17; Mc 14,12; Le 22,7), cioè del 15 di Ni-
san. Se si tiene conto delle indicazioni ricavabili dall'intero NT circa l'inizio del-
l'azione pubblica di Gesù (Le 3,lss.; Gv 2,20), la conversione e la biografia di
Paolo, ed anche il concilio degli apostoli (cf § 9,2), e si mettono a confronto que-
ste indicazioni con i dati storicamente conosciuti (Pilato fu governatore negli an-
ni 26-36; Caifa fu sommo sacerdote tra il 18 e il 36, Gallione proconsole di Co-
rinto nel 51/52), è possibile stabilire il 7/8 aprile del 30 (o del 31) come giorno
della morte. Ma vi sono anche altri tentativi di datazione (tra il 27 e, al più tar-
di, il 35).
§ 7. Gesù di Nazaret e il suo proselitismo escatologico 63

2. La predicazione di Gesù

Al centro dell'azione di Gesù c'è l'annuncio del regno di Dio. Il tema in


quanto tale risulta familiare fin dalla Profezia successiva all'esilio. Nuova è la
promessa della vicinanza immediata, anzi della presenza del regno di Dio: «Il
tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15 par.). La predicazione di
Giovanni Battista nella prospettiva del Giudizio aveva posto tutto Israele (non
soltanto il mondo ellenistico-pagano) ancora in contrasto con il regno di Dio.
Gesù interviene proclamando che nella sua parola e nella sua azione il regno
di Dio è ormai imminente: esso si rende presente nelle guarigioni dei malati e
nella cacciata dei demoni (Le 7 ,22ss. par.; cf il ragionamento espresso in Le
11,20), nella sua predicazione, in particolare nelle parabole (Mc 4,30-32ss. par.;
Le 13,18ss. par.; Mt 13,44.45ss. par), nell'annunciare la bontà e la disponibilità
di Dio al perdono, che è tangibile nella concreta attenzione rivolta da Gesù ai
pubblicani e ai peccatori (Mc 2,25-17 par.; Le 15,4-7), nella pienezza dei poteri
con cui egli, anche contro gli scribi, spiega ed osserva la Legge (Mc 7,1-23 par.;
Gv 8,1-11; Mc 2,23-28), ed anche, elemento non ultimo, nel modo in cui egli si
rivolge a Dio chiamandolo «Abba», instaurando così con lui un nuovo rappor-
to (Mc 14,36; Mt 6,9-13 par.; Le 10,21).

3. I discepoli di Gesù

Gesù, che visse all'interno della comunità giudaica e ne riconobbe fonda-


mentalmente la legge, il culto e la pietà, radunò attorno a sé dei propri seguaci:
persone che nella parola e nell'azione di Gesù ritennero vicino il regno di Dio e
concretizzarono questa convinzione proprio mettendosi al seguito di Gesù. La
sequela fu intesa in parte alla lettera: alcuni condivisero con Gesù l'incertezza di
un'esistenza itinerante (Mt 16,24 par.; 19,16-22 par.); altri rimasero nel loro abi-
tuale ambiente di vita e realizzarono la vicinanza del regno di Dio nelle condi-
zioni offerte dalla situazione territoriale della Palestina (cf l'accoglienza di Gesù
nella casa di Pietro, Mt 8,14; nella casa di Maria e Marta, Le 10,38ss.; nella casa
di Simone il lebbroso, Mc 14,3ss:, certe situazioni, come in Mc 13,14ss.; Mt
17 ,24ss.; Mc 10,2ss., 10,13ss., presuppongono addirittura delle «comunità loca-
li»). Il proselitismo di Gesù, particolarmente rivolto alla cosiddetta gente pove-
ra, fece presa in due correnti, quella di un radicalismo inquieto con motivazioni
escatologiche, e quella di chi intendeva aderire in maniera stabile a Gesù. Ma tut-
ti erano convinti che Dio avesse già ricostituito tra loro il suo regno definitivo (cf
Mt 12,46-50 par.; 18,1-4 par.; 20,24-28 par. ecc.). Tra i seguaci di Gesù alcuni di-
scepoli sembrano essere stati privilegiati, sicuramente il gruppo di tre costituito
da Pietro, Giovanni e Giacomo suo fratello (Mt 17 .1-9 par.; Mt Mt 26,36-46 par.)
64 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

e forse anche la« cerchia dei dodici» (Mt 10,1-4 par.; cf § 8). Non irrilevante era
il numero delle donne al seguito di Gesù, alcune delle quali vengono indicate con
il loro nome (Mc 15 ,40-41; Le 8, 1-3). La tradizione neotestamentaria e' informa
di alcune donne che accompagnarono fedelmente Gesù nella crocifissione e nel-
la deposizione e che furono prime testimoni del sepolcro vuoto.
I vangeli non lasciano dubbi sul fatto che Gesù incontrò con il suo messaggio
delle resistenze. Le tensioni, che avevano le loro radici in differenti attese messia-
niche, ma debbono essere viste anche in connessione con l'inquieta situazione
della Palestina di quel tempo (cf § 6), condussero infine alla crocifissione di Ge-
sù di Nazaret. Sembrò che questa fine violenta del profeta escatologico ne avesse
determinato un definitivo fallimento. Le speranze e le aspettative dei suoi segua-
ci rimanevano disattese; il suo proselitismo sembrò essere giunto alla sua fine.

4. Scritti apocrifi

Clavis Apocryphorum, cf § 3,la


J. JEREMIAS - O. HoFIUS, Unbekannte Jesusworte, Giitersloh 19654 ; A. RESCH, Agrapha. Auf.,erca-
nonische Schri/tfragmente, t c, 19062, rist. 1967 (bibl.) (TU 15,3.4); R. J. HOFFMANN, Jesus
Outside the Gospels, trad. ingl., New York 1984.
Apocrifi neotestamentari: W. SCHNEEMELCHER, trad. ted., 2 voli., Tiibingen 1987119895, cf anche§ 10.
Vangelo di Filippo: W. TILL, t trad. ted., 1963 (PTS 2).
Vangelo di Tommaso: J. LEIPOLDT, t trad. ted., 1967 (TU 101).
Giuseppe Flavio: cfbibl. ai§§ 5-17.

Le testimonianze neotestamentarie sulla vita di Gesù vengono appena am-


pliate e arricchite da altre notizie contemporanee. Le parole del Signore (cosidd.
Agrapha) riferite qua e là in scritti apocrifi o nelle opere dei Padri della Chiesa
difficilmente possono essere ritenute storiche. Completamente falso è lo scam-
bio epistolare tra il principe Abgar di Edessa e Gesù (Eusebio, H. E. I 13). Non
molto valore hanno le celebri notizie fornite da scrittori giudei e romani: Giu-
seppe Flavio, Ant., XX 9,1 (Ant. XVIII 3,3 è certamente nelle formulazioni de-
terminanti su Gesù un'interpolazaione cristiana); Svetonio, Vita Claud. 25,4; Ta-
cito, Ann. XV 44 e Plinio il Giovane, Ep. X 96. Se si esclude la testimonianza
per l'esistenza storica di Gesù, essi non portano alcunché di nuovo e rivelano
con le loro notizie già l'impronta di una storia influenzata dal cristianesimo.
Sul finire del II sec. si ridestò un vivace interesse per la vita di Gesù, che si concentrò sulla
sua infanzia e sui suoi parenti per integrare le notizie sulla sua azione e sulla sua Passione. Lette-
rariamente questo interesse si concretizzò nei vangeli apocrifi dell'infanzia (protovangelo di Gia-
como, leggende intorno all'infanzia di Gesù contenute nel Vangelo di Tommaso) e in altri scritti
apocrifi. Le informazioni non sono utilizzabili per una ricostruzione della vita, ma risulta.no pre-
ziose per conoscere la teologia e la pietà del loro tempo. Questi scritti produssero come effetto il
formarsi di altre leggende (vita di Maria) e influenzarono durevolmente l'arte cristiana.
§ 8. Gli inizi della Chiesa 65

Bibliografia: § 7: ANRW II 25, 1982-1985; K. BACKHAUS, Die «]iingerkreise» des Tiiufers


Johannes, Paderborn 1991;}. BLANK, Der Jesus des Evangeliums, Miinchen 1981; G. BORNKAMM,
Jesus von Nazareth, Stuttgart 19809; R. FENEBERG- W. FENEBERG, Das Leben Jesu im Evangelium,
Freiburg 1980; J. GNILKA, Jesus von Nazareth, Botschaft und Geschichte, Freiburg 1990; M. HEN-
GEL, Zur urchristlichen Geschichtsschreibung, Stuttgart 1984 2 ; K. KERTELGE, Riickfrage nach Jesus,
Freiburg 1974; J. RrCHES, Jesus And the Transformation of]udaism, London 1980; E. P. SANDERS,
Jesus And Judaism, Philadelphia 1985; E. SCHWEIZER, Jesus Christus im vielfiiltigen Zeugnis des
Neuen Testaments, Miinchen/Hamburg 1970; W. SIMONIS, Jesus von Nazareth. Seine Botschaft
vom Reich Gottes und der Glaube der Urgemeinde. Historisch-kritische Erhellung der Urspriinge
des Christentums, Diisseldorf 1985; P. STUHLMACHER, ]esus von Nazareth - Christus des Glaubens,
Stuttgart 1988; G. VERMÈS, Jesus der ]ude. Ein Histariker liest die Evangelien, Neukirchen 1993;
R. WILLIAMS, Jesus Christus II, in TRE 16 (1987), 726-745.
§ 7.l:J. BECKER, Johannes der Taufer und Jesus van Nazareth, Neukirchen 1972; J. BLINZLER,
Der Prozefl Jesu, Regensburg 19694; O. BòCHER,]ohannes der Tiiufer, in TRE 17 (1988), 172-181;
J. ERNST, War Jesus ein Schiiler Johannes' des Tà'u/ers?, in H. Frankemolle - K. Kertelge (a cura
di), Vam Urchristentum zu Jesus, Freiburg 1989, 13-33;}. B. GREEN, The Death a/]esus. Tradition
And Interpretation in the Passion Narrative, Tiibingen 1988; K. KERTELGE (a cura di), Der Prazefi
gegen Jesus: Histarische Riickfrage und theologische Deutung, Freiburg 1988; R. LATOURELLE, Mi-
racle de Jésus et théolagie du miracle, Paris 1986 (ingl. 1988); J.-G. Mumso - M. MUNDLA, Jesus
und die Fiihrer Israels. Studien zu den sogenannten Jerusalemer Streitgespriichen, Miinster 1984;
W. SCHENK, Gefangenschaft und Tod des Tiiufers. Erwàgungen zur Chronalogie und ihren Konse-
quenzen, in NTS 29 (1983), 453-83; E. SCHWEIZER, ]esus Christus I, in TRE 16 (1987), 670-726.
§ 7.2: K. BERGER, Die Gesetzauslegung Jesu. Ihr histarischer Hintergrund im Judentum und im
Alten Testament. I. Markus und Paralleien, Neukirchen 1972; H. MERKLEIN, Jesu Batschaft van der
Gottesherrschaft, Stuttgart 1983; V. K. ROBBINS, Jesus the Teacher. A Socio-Rhetarical Interpreta-
tian of Mark, Philadelphia 1984; H. ScHORMANN, Gattes Reich- Jesu Geschick. Jesu ureigener Tod
im Licht seiner Basileia-Verkiindigung, Freiburg 1983.
§ 7.3: H.-D. BETZ, Nachfolge und Nachahmung]esu Christi ùn NT, Tiibingen 1967; M. HEN-
GEL, Nachfolge und Charisma. Bine exegetisch-relzgiansgeschichtliche Studie zu Mt 8,2 lf und Jesu
Ruf in die Nachfolge, Berlin 1968; A. SCHULZ, Nachfolgen und Nachahmen, Miinchen 1962;
F. F. SEGOVIA (a cura di), Discipleship in the New Testament, Philadelphia 1985.
§ 7.4: J. N. BIRDSALL, The Continuing Enzgm_a a/Jasephus's Testimony About Jesus, in BJRL
67 (1985), 609-622; 0. HOFIUS, Agrapha, in TRE 2 (1978), 103-110; D. WENHAM (a cura di), The
Jesus Traditian Outside the Gaspelperspectives, voi. V, Sheffield 1984.

§ 8. Gli inizi della Chiesa

Fonti: scritti neotestamentari.

1. La fede nel Risorto

L'avvenimento determinante per la nuova comunità dei credenti in Cristo fu


l'esperienza del Signore risorto nelle sue apparizioni (Mt 28,16-20; Mc 16,1-18;
66 II. Gli inizi della Chiesa e la sua di/fusione nei primi tre secoli

Le 24; cf At 1,3; Gv 20-21). Grazie a questa esperienza essi compresero in ma-


niera nuova la missione di Gesù; essi videro mantenuta la sua promessa e tor-
narono a Gerusalemme per aspettarvi il sollecito ritorno del Signore. L'evento
della Pentecoste, la discesa dello Spirito promesso per la fine dei tempi, diven-
ne elemento essenziale per l'annuncio del Cristo, del Risorto. Personalità di pri-
mo piano divenne Pietro, che radunò nuovamente attorno a sé la cerchia dei do-
dici (cf At 1,13.26; 2,14). «Dio lo ha risuscitato dai morti» (Rm 10,9; cf Rm
1,4). Questa fede fu vista dai credenti in Cristo dopo la Pasqua in una continuità
con la loro antica fede: essi ritennero che tutto fosse accaduto« secondo le Scrit-
ture»; non si separarono, così, dal giudaismo e dalla Sacra Scrittura. La loro
concezione del mondo e della storia, la loro attesa della fine del mondo, della ri-
surrezione dei morti, del giudizio e del regno di Dio, conservarono un'impron-
ta giudaica. Ma la fede ricevette un nuovo fondamento: Gesù Cristo, in cui Dio
aveva mantenuto le promesse fatte al suo popolo.

2. Una setta giudaico-messianica

Questo cherigma originario era in completa sintonia con Israele e il suo oriz-
zonte di vita e di pensiero. Il fatto che Gesù avesse localizzato la sua mediazio-
ne salvifica soltanto in Israele determinò il carattere anche della prima predica-
zione cristiana subito dopo la Pasqua. Le prime comunità cristiane furono co-
munità giudaiche, probabilmente in Galilea (qui vengono localizzate da Marco
e Matteo le apparizioni del Risorto), dove era ancora vivo il ricordo della vita e
dell'azione di Gesù. I primi capitoli degli Atti degli Apostoli informano poi, in
forma stilizzata, sulla comunità di Gerusalemme. Elemento costitutivo per que-
sta comunità fu notoriamente, all'inizio, la cerchia dei dodici (elezione supple-
tiva di Mattia, At 1,15-26), ma la sua ulteriore funzione pratica non viene chia-
rita. Paolo menziona in occasione del suo primo soggiorno a Gerusalemme gli
apostoli o i «Dodici», con a capo Cefa e Giacomo fratello del Signore (Gal
1,18ss.; 1 Cor 15,5.7). Una loro azione comune appare solo in At 6,2. Alla cer-
chia dei dodici sembra essere stata attribuita inizialmente, nel contesto del sim-
bolismo escatologico d'Israele, una significativa funzione che non si doveva pro-
lungare. Dopo Mattia non ci furono più altre elezioni suppletive. Nel corso del-
la sua seconda visita a Gerusalemme (48/49?) Paolo venne ad un accomoda-
mento con le tre « colonne» Giacomo, Cefa e Giovanni in quanto costituivano
il gruppo dirigente (Gal 2,9). La storia degli apostoli menziona nel suo raccon-
to parallelo, accanto agli apostoli, gli anziani (presbyteroi; At 15,2.4.6.22ss; cf
16,4; 11,30; in 21,18 soltanto Giacomo e gli anziani).
I credenti sperimentarono fenomeni spirituali che fecero riconoscere la loro
comunità in una prospettiva escatologica di salvezza (At l, 17 .18). Si era accolti
§ 8. Gli inizi della Chiesa 67

attraverso il battesimo (Mt 28,19; Mc 16,16; 1 Cor 14-16). Nel proprio modo
d'intendersi, la comunità primitiva fu incline a far propri gli attributi d'Israele,
ricollegandosi con le parole di Gesù circa il suo compito di raccogliere «le pe-
core perdute d'Israele» (cf Mt 10,6; 15,24; Le 19,10; Mc 6,34). Essi chiamarono
se stessi «assemblea/comunità» o «comunità di Gesù Cristo», ed anche «san-
ti» (1Cor14,34; Rm 15,26; 8,28; 2 Cor 9,12, ecc.) o «eletti». L'autore degli At-
ti degli Apostoli li rappresenta come comunità ideale: essi erano un cuore solo
e un'anima sola ed avevano tutto in comune (At 2,44-45; 4,32-35). Dietro que-
sto loro atteggiamento si potrebbe supporre non tanto un «protocomunismo»
cristiano, quanto invece im' organizzazione economica alle prese con il compito
di prestare assistenza ai credenti che affluivano dall'esterno nella piccola comu-
nità di Gerusalemme.
Gli Atti degli Apostoli fanno intravvedere dei rapporti tesi con le autorità
giudaiche. Ma le notizie sono difficilmente riconducibili a un comune denomi-
natore (cf At 4,1-22; 8,1-4; 9,23ss., ecc.). Senza dubbio la comunità primitiva ri-
scosse con la sua predicazione messianica un rapido successo, anche se le cifre
(At 2,41; 4,4; 5,14; 6,7; 21,20) non possono essere usate come un vero materia-
le statistico. Gerusalemme deve aver avuto allora circa 25-30.000 abitanti; se-
condo gli Atti degli Apostoli (4,4), quindi, i cristiani avrebbero costituito un
quinto/sesto della popolazione.

3. Controversie e dispersione della comunità primitiva

At 6 segna un'importante svolta nella storia della comunità primitiva (certa-


mente prima del 32/34), legata al malcontento suscitato dall'insufficiente assi-
stenza prestata alle «vedove degli ellenisti». Gli ellenisti erano Ebrei di lingua
greca che in Gerusalemme avevano delle proprie sinagoghe. La fede in Gesù
Cristo era stata accolta anche in mezzo a loro. Dietro la controversia sull'assi-
stenza alle vedove c'erano delle tensioni tra questi ellenisti e gli Ebrei cristiani.
La controversia venne appianata con una distribuzione d'incarichi; sette uomi-
ni si videro affidata la responsabilità per i cristiani ellenisti, una responsabilità
che si estese oltre il semplice controllo del sostentamento economico.
L'uccisione di Stefano (tra il 32 e il 34) condusse a <<Una persecuzione con-
tro la Chiesa di Gerusalemme» (At 8,1). Essa fu sicuramente limitata al gruppo
ellenistico e probabilmente ai suoi capi di primo piano. «Quelli però che erano
stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio» (At 8,4).
Viene espressamente nominato Filippo, che predicò in Samaria e più tardi con-
dusse l'Etiope alla fede (At 8,26-39). Con la missione in Samaria e la conversio-
ne dell'Etiope viene annunciata la missione tra i pagani.
Secondo At 11, 19 alcuni dei « dispersi» arrivarono anche ad Antiochia, do-
68 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

ve viveva una forte comunità giudaica (Giuseppe Flavio, Bell. Iud. VII 43-45).
Attraverso i giudei la buona novella fu comunicata anche ai Greci (At 11,20; Gal
2,11-14), ciò che rappresentò la costruzione di un'importante base per la mis-
sione tra i pagani. La comunità di questa grande città, formata di Ebrei e paga-
ni, rimase un centro di missione nel I sec. La sua particolarità venne ricono-
sciuta anche dall'ambiente non cristiano. Qui per la prima volta i discepoli fu-
rono chiamati« cristiani» (At 11,26); gli Atti degli Apostoli (24,5) riportano an-
che l'altra denominazione molto diffusa di « setta dei N azirei ».
La comunità primitiva di Gerusalemme passò da questo momento, negli At-
ti degli Apostoli, in seconda linea. Le basi della Chiesa erano ormai gettate; la
missione cominciò a oltrepassare intenzionalmente i confini d'Israele e a rivol-
gersi a tutti gli uomini. Da Gerusalemme viene ancora comunicata la morte del-
!' apostolo Giacomo, fatto uccidere dal re Erode Agrippa (41-44), mentre fallì
l'azione contro Pietro, che riuscì a sfuggire e «s'incamminò verso un altro luo-
go» (At 12,3-17). In questo tempo nella comunità primitiva di Gerusalemme
era divenuto uomo di primo piano Giacomo, fratello del Signore.

Bibliografia § 8: K. BERGER, Volksversammlung und Gemeinde Gottes. Zu den An/angen der


christlichen Verwendung von «ekklesia», in ZThK 73 (1976), 167-207; K. BERGER, Kirche IL
(NT), in TRE 18 (1989), 201-218;J. BLANK, Vom Urchristentum zur Kirche, Miinchen 1982; R. E.
BROWN, The Churches the Apostles Le/t Behind, New York/London 1984; S. DocKX, Chronolo-
gies néotestamentaires et vie de l'Église primitive. Recherches exégétiques, Paris 1976; J. DUPONT,
Nouvelles études sur les Actes des Apotres, Paris 1984; J. GUILLET, Entre Jésus et l'Église, Paris
1985; C. J. HEMER, The Book o/ Acts in the Setting o/ Hellenistic History, Winona Lake 1990; K.
KERTELGE, Gemeinde und Amt im NT, Miinchen 1972; W. KIRCHSCHLAGER, Dt'e An/ange der Kir-
che. Eine biblische Ruckbesinnung, Graz 1990; H.-J. KLAUCK, Hausgemeinde und Hauskirche im
/rnhen Christentum, Stuttgart 1981; G. LODEMANN, Das /rube Christentum nach den Traditionen
· der Apostelgeschichte. Ein Kommentar, Gottingen 1987; A. J. MALHERBE, Socia! Aspects o/ Early
Christianity, Philaddphia 19832; A. J. MAmL - M. B. MAmL, A Classi/ied Bibliography o/ Lite-
rature on the Acts o/ the Apostles, Leiden 1966; W. A. MEEKS (a cura di), Zur Soziologie des Urch-
ristentums. Ausgewiihlte Beitri.ige zum /ruhchristlichen Gemeinscha/tsleben in seiner gesellschaftlz~
chen Umwelt, Miinchen 1979; M. MULLINS, Called to Be Saints. Christian Living in First-Century
Rome, Dublin 1991;J. ROLOFF,Apostell, in TRE 3 (1978), 430-445;J. RoLOFF, Amt, Amter, Amt-
sverstàndnis IV. (NT), in TRE 2 (1978), 430-445; L. ScHENKE, Die Urgemeznde. Geschù:htliche und
theologische Entwicklung, Stuttgart 1990; G. SCHÒLLGEN, Hausgemeinden, o'ix,oç-Ekklesiologie
und monarchischer Episkopat. Uberlegungen zu einer neuen forschungsrichtung , in JAC 31 (1988),
74-90;J. E. STAMBAUGH-D. L. BALCH, Das soziale Um/eld des Neuen Testaments, Gottingen 1992
(ingl. 1986); G. THEISSEN, Studien zur Soziologie des Urchristentums, Tiibingen 1989 3; A. VòGTLE,
Die Dynamik des An/angs. Leben und Fragen der jungen Kirche, Freiburg 1988; A. VòGTLE -
L. OBERLINNER, Anpassung oder Widerspruch. Von der apostolischen zur nachapostolischen Kirche,
Freiburg 1992; C. ZETTNER, Amt, Gemeinde und kirchliche Einheit in der Apostelgeschichte des
Lukas, Frankfurt 1991.
§ 8.1: J. KREMER, Die Osterbotscha/t der vier Evangelien. Versuch einer Auslegung der Berich-
te uber das leere Grab und die Erscheinung des Au/erstandenen, Stuttgart 1968; K. LEHMANN, Auf
erweckt am dritten Tag nach der Schri/t. Frnheste Christologie, Bekenntnisbildung und Schri/taus-
legung im Lichte von 1Kor15,3-5, Freiburg 1968; G. LOHFINK, Der Ablaufder Osterereignisse und
§ 9. Paolo e la decisione per l'universalità della missione 69

die An/à'nge der Urgemeinde, in ThQ 161 (1981), 81-97; K. MOLLER (a cura di), Die Aktion Jesu
und die Re-Aktion der Kirche. Jesus von Nazareth und die Anfà'nge der Kirche, Wi.irzburg 1972; R.
PESCH, Zur Entstehung des Glaubens an die Au/erstehung]esu, in FZPhTh 30 (1983), 73-98.
§ 8.2: M. DEL VERME, Comunione e condivisione dei beni. Chiesa primitiva e giudaismo esse-
no-qumranico a confronto, Brescia 1977; G. KLEIN, Di zwolf Apostel. Ursprung und Gehalt einer
Idee, Gottingen 1961; B. H. MòNING, Die Darstellung des urchristlichen Kommunismus nach der
Aposteltgeschichte des Lukas, Gottingen 1978; W. PRATSCHER, Der Herrenbruder Jakobus und die
Jakobustradition, G0ttingen; C. ROWLAND, Christian Origins. An Account o/ the Setting And Cha-
racter o/ the Most Important Messianic Sect o/ Judaism, London 1985; E. RUCKSTUHL, Jakobus
(Herrenbruder), in TRE 16 (1987), 485-488; G. THEIBEN, Gruppenmessianismus. Uberlegungen
zum Ursprung der Kirche im Jiingerkreis, inJBTh 7 (1992), 101-123.
§ 8J: F. HAHN, Das Verstéindnis der Mission im NT, Neukirchen 1963; M. HENGEL, Jako-
bus, der Herrenbruder, der erste Papst, in E. GRA.SSER- O. MERCI (a cura di), Glaube und Escha-
tologie (FS W. G. Ki.immel), Ti.ibingen 1985, 71-104; C. C. HILL, Hellenists And Hebrews. Reap-
praising Division Within the Earliest Church, Minneapolis 1992; H. KASTING, Die An/à'nge der
urchristlichen Mission. Eine historische Untersuchung, Miinchen 1969; E. LARSON, Die Helleni-
sten und die Urgemeinde, in NTS 33 (1987), 205-225; F. SCHRÒGER, Gemeinde im 1.Petrusbrief
Untersuchungen zum Selbstverstandnis einer christlichen Gemeinde an der Wende vom 1. zum 2.
]h., Passau 1981; N. WALTER, Apg 6,1 und die An/à'nge der Urgemeinde in Jerusalem, in NTS 29,
1983, 370-393.

§ 9. Paolo e la decisione
per l'universalità della missione

Fonti: Lettere di Paolo e scritti neotestamentari.

1. La vocazione di Paolo

Paolo/Saulo era originario di Tarso in Cilicia (At 21,39). Egli era cittadino di
questa città e, secondo At 22,28, anche cittadino romano (cf At 16,37-38; 23,27).
Apparteneva idealmente al giudaismo ellenistico, di cui aveva assimilato la teolo-
gia. All'interno dei raggruppamenti giudaici apparteneva ai farisei. Se veramente
avesse studiato a Gerusalemme alla scuola di Gamaliele (At 22,3) è oggetto di di-
scussione. Stando alle sue parole, egli, che conosceva bene il messaggio cristiano
nella sua sostanza, aveva «perseguitato fieramente la Chiesa di Dio» (Gal 1, 13; Fil
3.6; At 8,1-3). Nel mezzo della persecuzione egli trovò la via per arrivare alla fede
in Cristo, perché Dio si compiacque di rivelargli suo Figlio (Gal l,15ss.; cf At 9).
Secondo At 9,lOss., Anania lo introdusse nella comunità di Damasco e lo battezzò
(At 9,18). Nella testimonianza che egli dà di se stesso in Gal 1, Paolo insiste nel di-
chiarare di aver riconosciuto Cristo come Messia e Figlio di Dio per sua diretta ri-
70 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

velazione, grazie alla quale egli aveva compreso il messaggio di Cristo come unica
salvezza per il suo popolo, come compimento di tutte le sue speranze.
Sembra che Paolo abbia cominciato la sua attività missionaria subito dopo
la sua conversione, tra il 32 e il 34 (i tentativi di datazione oscillano tra il 30/31
e il 35); egli si recò in «Arabia», nella terra dei Nabatei, a sud di Damasco (Gal
1,17). Soltanto dopo tre anni andò a Gerusalemme, dove conobbe Pietro e Gia-
como (Gal 1,18-19). Negli anni successivi annunziò la fede in Siria e Cilicia (Gal
2,1; cf At 11,25-30). In questo tempo trovò appoggio nella comunità di Antio-
chia (Barnaba). Aveva intanto scoperto, come sua specifica missione, quella di
portare il Vangelo ai pagani. Non fu egli il primo a farlo, ma fu il primo a rico-
noscere l'universalità del messaggio di salvezza in tutta la sua importanza deci-
siva e a porre dei limiti al modo in cui precedentemente s'intendeva la salvezza
da parte d'Israele (Lettera ai Romani). Ma ciò doveva condurre a discussioni in
seno alla Chiesa.

2. Il Vangelo non soggetto alla Legge

La controversia si accese sulla questione se i pagani che si convertivano al


cristianesimo potessero rinunciare alla circoncisione e all'osservanza della Leg-
ge. È legittima la missione tra i pagani già praticata nel senso di non rendere ob-
bligatoria l'osservanza della Legge? E vale la «la libertà dalla Legge» anche per
i giudei convertiti? La risposta, data dal cosiddetto Concilio degli Apostoli at-
torno al 48/49 (le datazioni oscillano tra il 43 e il 50), non sembra essere stata
unanime: At 15 e Gal 2 riferiscono notizie differenti. Storicamente più attendi-
bile poté essere la notizia di Paolo: secondo Gal 2,1-10, le «colonne» di Geru-
salemme, cioè Giacomo, Cefa e Giovanni, confermarono il suo« Vangelo non
soggetto alla Legge». Gli autorevoli personaggi a quanto pare non gli imposero
nulla (Gal 2,6), ma gli raccomandarono unicamente il sostegno materiale dei
«poveri» (Gal 2,10; cf la preoccupazione per la colletta in favore di Gerusa-
lemme: 1 Cor 16,1-4; Rm 15,26-28; 2 Cor 8-9).
Nel successivo «incidente di Antiochia» (Gal 2,11-14), Pietro, seguito
anche da Barnaba, assunse un diverso atteggiamento: evitò infatti di sedere a
tavola insieme ai cristiani di origine pagana, ciò che provocò l'aperta protesta
di Paolo, il quale vide nell'osservanza delle norme veterotestamentarie ri-
guardo ai cibi un pericolo per il suo Vangelo non soggetto alla Legge. Luca
passa sotto silenzio la discussione e collega il concilio degli apostoli con il de-
creto apostolico, che probabilmente rappresenta un compromesso raggiunto
a Gerusalemme dopo il conflitto d'Antiochia (At 15,1-30), secondo cui i pa-
gani convertiti al cristianesimo rimanevano liberi dalla circoncisione e dal-
1' osservanza della Legge, ma dovevano astenersi dalle carni offerte agli idoli,
§ 9. Paolo e la decisione per l'universitalità della missione 71

dal sangue, dagli animali soffocati e dall'impudicizia (le cosiddette« clausole·


di Giacomo »).
Per Paolo questa decisione rappresentò certamente una sconfitta. In effetti,
in seguito non si parla più, dopo Antiochia, di contatti o di una collaborazione
con Barnaba. Ma in linea di principio la missione tra i pagani fu riconosciuta
senza circoncisione e senza imposizioni troppo rigide da parte della Legge. D'al-
tra parte, i conservatori che volevano rimanere fedeli alla Legge si unirono più
strettamente in un rigoroso gruppo giudeo-cristiano (cf § 28). Il rimprovero di
vivere alla maniera dei giudei, formulato contro di loro in Gal 2,14, non viene
più passato sotto silenzio nella Chiesa antica.

3. L'azione missionaria e l'ordinamento delle comunità

Paolo pretese d'ora innanzi mano libera per la sua missione e annunciò il
suo «Vangelo» con infaticabile impegno. La sua attività missionaria si estese
innanzitutto all'Asia Minore e alla Grecia. Un «primo viaggio missionario»
(tra il 35 e il 49) l'aveva condotto a Cipro e nel sud dell'Asia Minore. Un« se-
condo viaggio missionario» appartiene certamente agli anni 49/50-51 (pro-
babilmente anche 51-53?) e lo portò attraverso la Siria e l'Asia Minore nelle
città della Grecia (Filippi, Tessalonica, Atene e Corinto). Negli anni 52-55
(53-56? 54-57?) si trovò impegnato in un «terzo viaggio missionario»: di
nuovo in Asia Minore, con un più lungo soggiorno in Efeso, Macedonia e Co-
rinto. Probabilmente nel 56 (?),in ogni caso poco dopo la fine del viaggio, fu
arrestato a Gerusalemme e un anno o due più tardi venne trasferito come
prigioniero a Roma. Egli rimase qui almeno due anni in un regime non rigo-
roso di detenzione che gli consentiva una certa libertà di movimento. Attor-
no al 60 (secondo il calcolo cronologico tra il 58 e il 63) subì il martirio a
Roma.
Nei circa trent'anni della sua attività missionaria Paolo raccolse frutti sor-
prendenti. Nella sua predicazione egli volle equipararsi come apostolo ai primi
testimoni di Gesù e s'impegnò per il Vangelo senza compromessi. Era solito ri~
manere in vivace contatto con le sue comunità e la preoccupazione che nutriva
per loro non l'abbandonava mai (2 Cor 11,28). Mentre andava costruendo que-
ste comunità e discutendo con avversari e varie correnti, egli sviluppò il suo
«Vangelo ... ricevuto ... per rivelazione» (Gal 1,12) in una prima ampia teolo-
gia, sorretta da un'approfondita cristologia e soteriologia.
Nelle comunità egli rispettava la libera azione dello Spirito. Ma questo Spi-
rito, secondo lui, metteva ordine (1 Cor 14); e quando si rendeva necessario,
Paolo interveniva con tutta la sua energia per conservare tale ordine, mostran-
do il suo specifico impegno per il Vangelo a sostegno della sua autorità (2 Cor
72 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

10-11). Lo Spirito, affermava Paolo, distribuiva a ciascuno determinati carismi,


attraverso i quali tutti i membri della comunità, uomini e donne (cfl'elenco dei
saluti in Rm 16), davano il loro contributo a vantaggio di tutti e per il bene del-
l'unico corpo (1 Cor 12,4-30), sia nella comune attività, sia nell'azione missio-
naria. Paolo elenca il linguaggio della sapienza e, uno dopo l'altro, il ruolo di
maestro, il potere di operare guarigioni e miracoli, il dono della profezia, il do-
no delle lingue e della loro interpretazione, la capacità di assistere e di gover-
nare. In primo luogo, secondo Paolo, c'erano gli apostoli, i profeti e i maestri
(1 Cor 12,28). Altrove nomina i «preposti nel Signore» che si prendono cura
degli altri (1 Ts 5,12), che hanno funzioni di guida (1 Cor 12,28), gli episkopoi
e diakonoi (Fil 1,1), che costituiscono la« primizia» (1 Cor 16,15). La delimi-
tazione e il reciproco coordinamento di questi incarichi nelle varie comunità
non appaiono con molta chiarezza. Fino a questo momento non si erano anco-
ra formati, evidentemente, degli uffici stabili. E quindi l'elaborazione di una
specifica teologia degli uffici da parte di Paolo risulta quanto mai importante
proprio per il fondamento cristologico, ecclesiologico e pneumatologico dato
ai carismi.
Con la prigionia romana si esauriscono le notizie sicure su Paolo. La sua at-
tività missionaria-teologica proseguì in quelle lettere neotestamentarie che por-
tano il suo nome e rappresentano lo sviluppo della sua teologia. Il ricordo della
sua vita e della sua morte si riflette già nella cosiddetta I Lettera di Clemente
(5,7): Paolo vi viene considerato come il missionario universale che sarebbe ar-
rivato fino ai confini dell'occidente (cf Rm 15,24), avrebbe conservato la pa-
zienza anche nelle sue manifestazioni di zelo e nei conflitti, e avrebbe reso testi-
monianza davanti ai potenti. Tra le righe di questa lettera si è voluto leggere un
accenno al martirio dell'apostolo, sul quale soltanto gli Atti apocrifi degli Apo-
stoli della fine del II sec. seppero dire qualcosa di più preciso. Da questo mo-
mento si parla della sua tomba a Roma, sulla strada che conduce a Ostia (Euse-
bio, H. E. 25,7).

Prospetto cronologico: Gesù e la comunità primitiva

Intorno al 4/6 a.C. Nascita di Gesù


30/31 (?) Morte di Gesù
prima del 32/34 Controversia a Gerusalemme sull'assistenza alle vedove degli ellenisti
intorno al 32/34 Uccisione di Stefano
32/33 (?) Conversione di Paolo (?)
intorno al 35 Prima visita di Paolo a Gerusalemme
tra il 35 e il 49 Primo viaggio missionario di Paolo (Cipro, sud dell'Asia Minore)
48/49? Seconda visita di Paolo a Gerusalemme; cosiddetto Concilio degli
Apostoli
§ 9. Paolo e la decisione per l'universitalità della miSsione 73

tra il 49/50 e il 52 Secondo viaggio missionario di Paolo (Siria, Asia Minore, Grecia, Co-
rinto)
51/52 Gallione proconsole a Corinto
52-55 Terzo viaggio missionario di Paolo (Asia Minore, Efeso)
56 (?) Arresto di Paolo a Gerusalemme
57 (?) Trasferimento di Paolo a Roma intorno al 60 Morte di Paolo.

Bibliografia § 9: J. BECKER, Paulus. Der Apostel der VOlker, Tiibingen 1989; J. BLANK, Pau-
lus. Von Jesus zum Christentum, Miinchen 1982; G. BORNKAMM, Paulus, Stuttgart [ecc.] 19835;
E. DASSMANN, Der Stache, im Fleisch. Paulus in der friihchristlichen Literatur bis Ireniius, Miin-
ster 1979; W DAVIES, Jewish And Pauline Studies, London 1984; G. EICHHOLZ, Die Theologie
des Paulus im UmrifS, Neukirchen 19855 ; W. FENEBERG, Paulus der Weltbiirger. Bine Biographie,
Miinchen 1992; J. HAINZ, KOINONIA. «Kirche» als Gemeinschaft bei Paulus, Regensburg
1982; N. HYLDAHL, Die Paulinische Chronologie, Leiden 1986; J. }ERVELL, The Unknown Paul.
Bssays on Luke-Acts AndEarly Christian History, Minneapolis 1984; J. J. KILGALLEN, Paul Be/o-
re Agrippa (Acts 26,2-23). Some Considerations, in Bib. 69 (1988), 170-195; S. LÉGASSE, Paul
Apotre, Paris 1991; A. LINDEMANN, Paulus im iiltesten Christentum. Das Bild des Apostels und
die Rezeption der paulinischen Theologie in der /riihchristlichen Literatur bis Marcion, Tiibingen
1979; G. LODEMANN, Paulus der Heidenapostel, 2 voli. , Gi:ittingen 1980-1983; G. LYONS, Pau-
line Autobiography. Toward a New Understanding, Atlanta 1983; H. MACCOBY, Paul And Hel-
lenism, Philadelphia 1991; W. A. MEEKS, Urchristentum und Stadtkultur. Die saziale Welt der
Paulinischen Gemeinden, Giitersloh 1993 (ingl.1983 ); W. MUNRO, Authority in Paul And Peter.
The Identification o/ a Pastora! Stratum in the Pauline Corpus And I. Peter, Cambridge 1983; N.
TAYLOR, Paul, Antioch And Jerusalem. A Study in Relationships And Authority in Barliest Chri-
stianity, Sheffield 1992; A. VANHOYE (a cura di), J;apotre Paul. Personnalité, style et conception
du ministère, Louvain 1986; H. WARNECKE, Die tatsachliche Romfahrt des Apostels Paulus,
Stuttgart 1987.
§ 9.1: R. DABELSTEIN, Die Beurteilung der «Heiden» bei Paulus, Frankfurt [ecc.] 1981; C.
DIETZFELBINGER, Die Beru/ung des Paulus als Ursprung seiner Theologie, Neukirchen 1985.
§ 9.2: J. ECKERT, Die urchristliche Verkiindigung im Streit zwischen Paulus und seinen Ge-
gnern nach dem Galaterbrief, Regensburg 1971; T. HOLTZ, Der antiochenische Zwischen/all (Gal
2,11-14), in NTS 32 (344-361); H. HOBNER, Das Gesetz bei Paulus. Ein Beitrag zum Werden der
paulinischen Theologie, Gi:ittingen 1982 3 ; H. RAISANEN, Paul And the Law, Tiibingen 1983; E. P.
SANDERS, Paulus und das paliistinische Judentum. Bin Vergleich zweier Religionsstrukturen, Gi:it-
tingen 1985 (ingl. 1977); F. WATSON, Paul, Judaism And the Gentiles. A Sociologica! Approach,
Cambridge 1986.
§ 9.3: K. BERGER, Almosen fiir Israel. Zum historischen Kontext der paulinischen Kollekte, in
NTS 23 (1977), 180-204; U. BROCKHAUS, Charisma und Amt. Die paulinische Charismenlehre au/
dem Hintergrund der friihchristlichen Gemeinde/unktionen, Wuppertal 1972; W. KLAIBER, Recht-
/ertigung und Gemeinde. Bine Untersuchung zum paulinischen· Kirchenverstà'ndnis, Gi:ittingen
1982; M. Y. MAC DONALD, The Pauline Churches. A Socio-Historical Study o/ Institutionalization
in the Pauline And Deutero-Pauline Writings, Cambridge 1988; J. Y. PAK, Paul As Missionary. A
Comparative Study o/ Missionary Discourse in Paul's Bpistles And Selected Contemporary Jewish
Texts, Frankfurt 1991; R. REcK, Kommunikation und Gemeindeau/bau. Bine Studie zu Bntstehung,
Leben und Wachstum paulinischer Gemeinden in den Kommunikationsstrukturen der Antike,
Stuttgart 1991; S. K. STOWERS, Socia! Status, Public Speaking And Private Teaching: the Circum-
stances o/Paul's PreachingActivity, in NT 26 (1984), 59-82; V. D. VERBRUGGE, Paul's Style o/ Chur-
ch Leadership Illustrated by His Instructions to the Corinthians on the Collection, San Francisco
1992; D. ZELLER, Juden und Heiden in der Mission des Paulus. Studien zum Romerbrie/, Stuttgart
1973.
74 II. Gli inizi della Chiesa e la sua di/fusione nei primi tre secoli

§ 10. L'interesse per gli apostoli

Apocrifi nts: E . .KLOSTERMANN, t, 3 voli., Berlin 1908-1929 (KIT); R. A. LIPSIUS - M. BONNET, Ac-
ta Apostolorum Apocrypha, t, 3 voli., Darmstadt 1959; W SCHNEEMELCHER, trad. ted., 2 voli.,
Tiibingen 1987I19895; M. R. JAMES, trad. ingl., Oxford 195Y; M. ERBETTA, trad. it., 3 voli., To-
rino 1966/1981; L. MORALDI, trad. it., 2 voli., Torino 1971; Cchr. SApocr. (in preparazione).
Giovanni: W C. TILL - H. M. SCHENKE, Die gnostischen Schri/ten des koptischen Papyrus Beroli-
nensis 8502, t trad. kopta/ted., 1972 2 (TU 60); A.-J. FESTUGIÈRE, Les Actes apocryphes de Jean
et Thomas, trad. frane., e, Genève 1983.
Pietro: J. BRASHLER-D. M. PARROTT, Nag Hammadi Codices V 2-5 And VI with Papyrus Beroli-
nensis 8502, 1And4, t trad. copta/ingl., Leiden 1979; L. VOUAUX, t trad. frane, Paris 1922.
Vangelo: M. G. MARA, t trad. frane., 1973 (SC 201).

Epistula Apostolorum: L. GUERRIER, Le Testament en Galilée de Notre Seigneur Jésus Christ, t trad.
etiop./franc., 1912 (PO 9,3).
Ascensione di Isaia: E. TISSERANT, trad. frane., Paris 1909.

Cf Clavis Apocryphorum Novi Tesrtamenti, § 3,la; R. M. WILSON, Apokryphen des Neuen Testa-
ments, in TRE 3 (1978), 316-362.

1. Pietro

Simon Pietro, originario di Cafarnao (Mc 1,29), era pescatore e sposato


(Mc 1,30). Secondo Mc 1,16-18 par., egli e il fratello Andrea furono i primi di-
scepoli ad essere chiamati da Gesù (cf Gv 1,42). Delle apparizioni di Gesù ri-
sorto proprio a lui, secondo Paolo, fu riservata la prima (1 Cor 15 ,5; ma cf la
diversa tradizione testimoniata da Mc 16,6-7 par.; Gv 20,11-18). Dopo la Pa-
squa egli radunò nuovamente la comunità che si era formata attorno a Gesù.
In Gerusalemme egli apparve fin dall'inizio come l'uomo più importante (At
1-11) e fu considerato tra le «colonne» della comunità primitiva (Gal 2,9). La
persecuzione scatenata da Erode Agrippa lo costrinse a fuggire da Gerusa-
lemme (At 12,7). Secondo At 15, tuttavia, egli si trova nuovamente qui, per
poi abbandonare definitivamente la città santa. Non ci viene riferito dove si sia
recato in seguito. Antiochia sembra avere a suo favore alcuni argomenti (Gal
2, 11-14); ma accanto a questa città possono essere menzionati tutti i luoghi nei
quali si svilupparono particolari tradizioni legate a Pietro: Mt 16, 13-20
(Cesarea di Filippo); Gv 21,15-19 (Galilea); 1 Cor 1,12 (Corinto). Verso la fi-
ne del primo secolo si afferma la tradizione dell'attività svolta da Pietro a
Roma e del martirio da lui subìto in questa città. A dire il vero, non esistono a
favore di questa tradizione testimonianze univoche, ma vi sono certamente im-
portanti indizi che fanno collocare attorno al 100 la convinzione del soggior-
§ 10. /;interesse per gli apostoli 75

no di Pietro e del suo martirio a Roma. Come accenni a un martirio vengono ·


interpretati Gv 13,36; 21,18 e 2 Pt 1,14.
La Prima lettera di Pietro deve essere stata scritta in Babilonia (nome dietro il quale si na-
sconde Roma). L'anonimo autore avvalora con essa la convinzione del soggiorno romano di Pietro.
La I Lettera di Clemente (5,3-4) parla della «testimonianza data» da Pietro in Roma. La lettera
sembra collegare la sua morte violenta con la persecuzione neroniana. Ignazio, Ad Rom. 4,3, mette
Pietro e Paolo in connessione con la comunità romana e sembra anche additare in essi dei martiri.
L'Ascensione di Isaia (4,3 ): in termini profetici viene predetto a« uno dei dodici» il martirio
a Roma sotto Nerone. Agli stessi anni (prima del 150) risale l'Apocalisse di Pietro. In un fram-
mento greco (che integra il cap. 14) viene predetta a Pietro la morte violenta «nella città dell'oc-
cidente/della prostituzione» (dove si allude a Roma).

Come ulteriori argomenti possono essere addotti i famosi scavi condotti sotto
San Pietro negli anni 1940-1949. Nell'ampia necropoli sotto la basilica non si poté
trovare la sepoltura di Pietro, ma forse quel «trofeo dell'apostolo», che il prete
romano Gaio testimonia verso la fine del secondo sec. (Eusebio, H. E. II 25,6-7)
per offrire in tal modo qualcosa di più rispetto al riferimento montanistico alle
tombe dei santi. Si tratta della più antica testimonianza di una tomba di Pietro a
Roma. Da questo momento s'incontrano più spesso menzioni del soggiorno e del
martirio dell'apostolo a Roma: Dionigi di Corinto, intorno al 170 (Eusebio, H. E.
II 25,8); Ireneo, intorno al 180/90 (Adv. haer. III 3,1-3); Clemente d'Alessandria,
intorno al 200 (Eusebio, H. E. II 15,2); Tertulliano, intorno al 200 (De praescr.
32,36; Scorpiace 15). Notizie dettagliate forniscono gli Atti apocrifi di Pietro sulla
sua attività e sulla sua morte nella capitale dell'Impero. Sulla tradizione della tom-
ba di Pietro sul colle Vaticano (e di quella di Paolo sulla via Ostiense) crea confu-
sione la notizia del cosiddetto Cronografo romano dell'anno 354, secondo cui la
memoria dei due apostoli venne celebrata nel 258 sulla Vta Appia (Basilica Apo-
stolorum, oggi San Sebastiano) [cf Chronographus Anni 354, XII (Feriale Ecclesiae
Romanae), in MGH.AA 9,71). La concorrenza dei luoghi di memoria dei due
apostoli (sulla Vta Appia non si può ammettere la presenza della loro tomba) non
è stata chiarita, finora, in maniera univoca. Un importante sostegno trova la tradi-
zione romana nel fatto che in tutta l'antichità cristiana nessun'altra città abbia ri-
vendicato per sé la tomba di Pietro né abbia posto in dubbio questa tradizione.
Nella Chiesa primitiva venne attribuita a Pietro, ritenuto discepolo predi-
letto, una notevole importanza. Due Lettere del NT portano il suo nome. Papia
di Gerapoli volle vedere in quello di Marco quasi un Vangelo di Pietro, poiché
Marco, in quanto «interprete di Pietro», avrebbe messo in iscritto quanto l' A-
postolo andava insegnando (Eusebio, H. E. III 39,15; cf II 15,lss; VI 14,6). La
letteratura apocrifa del II sec. pretese spesso di presentare Pietro come autore
(Vangelo di Pietro, Apocalisse di Pietro); nella letteratura gnostica egli svolge un
ruolo importante, ma a dire il vero anche contraddittorio.
Infine, gli apocrifi Atti di Pietro fornirono dell'apostolo un'avvincente bio-
grafia.
76 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

2. L'apostolo Giovanni

L'apostolo Giovanni appartenne, insieme a Simon Pietro e a suo fratello


Giacomo, al «gruppo dei tre» che tra i discepoli fu quello prediletto (Mt 17 ,1
par.; 26,3 7 par.). Quando si tenne il« Concilio degli Apostoli», egli fu ritenuto
una delle « colonne» della comunità primitiva (Gal 2, 9). Il successivo svolgi-
mento della sua vita non ha bisogno di ricostruzioni. Il suo nome rimane legato
ai suoi scritti neotestamentari. Ma già la Chiesa antica conobbe la «questione
giovannea» circa il rapporto tra I' apostolo e I' autore o gli autori del Vangelo e
delle Lettere (Eusebio, H. E. III 39,5-6), una questione che finora non ha avuto
ancora una risposta univoca. A parte questo, la tradizione degli scritti giovannei
è legata a un'accettazione indipendente di notevole peso del primo cherigma
cristiano e fa vedere la «comunità giovannea» come un raggruppamento auto-
nomo già alla fine del I secolo.
La biografia incompleta di Giovanni venne integrata da leggende edificanti
che trasferivano gli ultimi anni e la morte dell'apostolo ad Efeso (Policrate di
Efeso secondo Eusebio, H.E. III 31,3; Ireneo, Adv. haer. II 22,5; III 1,1; 3,4) e
raccontavano singoli episodi (Clemente d'Alessandria, Quis dives salvetur 42;
Tertulliano, De praescr. 36,4). Gli atti apocrifi di Giovanni ebbero la pretesa di
fornire ampie informazioni sulla vita e sull'opera dell'apostolo. Nei circoli gno-
stici Giovanni fu tenuto in alta considerazione (Pistis Sophia 96) e vennero com-
posti particolari scritti attribuiti ali' apostolo (Apokryphon di Giovanni; dialogo
tra Giovanni e Gesù).

.
3. Riferimenti tendenziosi agli apostoli

Notizie attendibili sugli altri membri della cerchia dei dodici non esistono.
Ma l'interesse nei loro confronti rimase vivo. Papia descrisse in termini sensa-
zionali, a continuazione di At 1,18, la fine di Giuda (Frammenti 3 Preuschen, cf
§ 37, 7). Circoli gnostici vollero porre i loro scritti sotto il nome di apostoli e pro-
seguirono la letteratura pseudo-apostolica iniziata già nel NT. Di tendenza anti-
gnostica, al contrario, è l'Epistula Apostolorum (intorno al 159, Egitto), che si fa
passare per lettera comune di undici apostoli (tra i quali Cefa sta per Pietro) a
tutta la Chiesa.
Quanto più, nel corso del II sec., il termine« apostolo» o« apostolico» ven-
ne a identificarsi con il concetto di origine, acquistando in tal modo importan-
za normativa, tanto più insistentemente si espresse il bisogno di rappresentare e
illustrare la vita e l'azione degli apostoli. Le loro figure divennero stilizzate in
quelle di missionari universali che annunciarono il Vangelo in tutto il mondo
(Atti di Tommaso l; Rufino d'Aquileia, Expos. symb. 2) e fondarono Chiese do-
§ 10. J; interesse per gli apostoli 77

vunque (Ireneo, Tertulliano, Ippolito). Con particolare ricchezza di dettagli gli


Atti apocrifi degli Apostoli ne raffigurarono la vita come annunciatori esemplari
del Vangelo e potenti taumaturghi, come eroi della vita cristiana. Si tratta di una
letteratura edificante e, in misura anche maggiore, tendenziosa, con cui si cercò
di legittimare determinate correnti teologiche (spesso gnostiche o affini allo
gnosticismo) e soprattutto ascetiche. In tal senso, questi scritti rappresentano
importanti testimonianze di una mentalità ampiamente diffusa nella Chiesa alla
fine del II sec. e all'inizio del III. Ciò che successive leggende e l'arte cristiana
esprimono sugli apostoli risale a questi testi.

I più antichi Atti apocrifi degli apostoli:


Atti di Andrea (ca. 150-200); Atti di Pietro (ca. 180-190); Atti di Paolo (ca. 185-195); Atti di
Tommaso (inizio del III sec.).

Bibliografia§ 10.1: (Relazione sugli scavi): Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro in
Vaticano, 2 voli., Città del Vaticano 1956; A. ARBEITER, Alt-St. Peter in Geschichte und Wissen-
scha/t. Abfolge der Bauten, Rekonstruktion, Architekturprogramm, Berlin 1988; K. BERGER, Un-
fehlbare Offenbarung. Petrus in der gnostischen und apokalyptischen O/fenbarungsliteratur, in P.-
G. Miiller - W. Stenger (a cura di), Kontinuitiit und Einheit (FS F. MuBner), Freiburg 1981, 261-
326; R. E. BROWN, The Gospel o/ Peter And Canonica! Gospel Priority, in NTS 33 (1987), 321-343;
R. E. BROWN - K. P. DONFRIED et al. (a cura di), Petrus im NT, Stuttgart 1976 (ingl. 1973); O.
CULLMANN, Petrus, Jiinger -Apostel - Mi:irtyrer, Ziirich/Stuttgart 1960 2 ; J. DENKER, Die theolo-
giegeschichtliche Stellung des Petrusevangeliums, Frankfurt 1975; E. DINKLER, Petrus und Paulus
in Rom. Die literarische und archà'ologische Frage nach den tropaia ton apostolon, in «Gymna-
sium» 87 (1980), 1-37; S. DOCKX, Essai de chronologie pétrinienne, in RSR 62 (1974), 221-241; J.
FINK, Die Ausgrabungen unter St. Peter in Rom und die Fruhgeschichte des Petrusgrabes, in «Ro-
mische historische Mitteilungen» 26 (1984), 57-89; S. GAROFALO et al. (a cura di), Studi petriani,
Roma 1968; M. GUARDUCCI, La tomba di San Pietro. Una straordinaria vicenda, Milano 1990 2; M.
GUARDUCCI, Il culto degli apostoli Pietro e Paolo sulla Via Appia, in MEFRA 98 (1986), 811-842;
H. O. GUENTHER, The Footprints o/ Jesus. Twelve in Early Christian Traditions. A Study in the
Meaning o/ Religious Symbolism, New York-Frankfurt/M. 1985; E. KIRSCHBAUM-E. DASSMANN,
Die Griiber der Apostel/ursten. St. Peter und St. Paul in Rom, Frankfurt/M 1974 3; M. KRAUSE, Die
Petrusakten in Codex VI von Nag Hammadi, in Id. (a cura di), Essays on the Nag Hammadi Texts
(FS A. Bohlig), Leiden 1972, 36-58; R. LUISELLI, In margine al problema della traslazione delle os-
sa di Pietro e Paolo, in MEFRA 98 (1986), 846-854; A. A. de MARCO, The Tombo/ St. Peter. A Re-
presentative And Annotated Bibliography o/ the Excavations; Leiden 1964; A.-G. MARTIMORT, A
propos des reliques de S. Pierre, in BLE 87 (1986), 93-112; M. MEES, Das Petrusbild nach auflerka-
nonischen Zeugnissen, in ZRGG 27 (1975), 193-205; W O'CoNNOR, Peter in Rame. The Literary,
Liturgica! And Archaeological Evtdence, New York 1969; R. PESCH, Simon-Pertrus. Geschichte und
geschichtliche Bedeutung des ersten Jungers Jesu Christi, Stuttgart 1980; G. POUPON, Les Actes de
Pierre et leur remaniement, in ANRW II 25,6 (1988), 4363-4383; C.P. THIEDE, Simon Peter. From
Galilee to Rame, Exeter 1986.
§ 10.2: G. van BELLE, Johannine Bibliography 1966-1985. A Cumulative Bibliography on the
4th Gospel, Louvain 1988; R. E. BROWN, The Community o/ the Beloved Disciple, New York 1979;
E. }UNOD - J. D. KAESTLI, I.:histoire des Actes apocryphes des Apotres du IIIe siècle: le cas des Ac-
tes de Jean, Lausanne 1982; G. REIM, Zur Lokalisierung der johanneischen Gemeinde, in ZNW 74
(1983), 247-267; G. SIRKER-WICKLAUS, Untersuchungen zur Struktur, zur theologischen Tendenz
78 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

und zum kirchengeschichtlichen Hintergrund der Acta Johannis, Bonn 1988; A. STROBEL, Apokaly-
pse des Johannes, in TRE (1978), 174-189; H. THYEN,Johannesbriefe, in TRE 17 (1988), 186-200;
H. THYEN, Johannesevangelium in TRE 17 (1988), 200-225.
§ 10,3: K. BERGER, Judisch-hellenistische Missionsliteratur und apokryphe Apostelakten, in
«Kairos» 17 (1975), 232-248; F. BOVON et al. (a cura di), Les Actes Apocryphes des Apotres. Chrz~
stianisme et monde paien, Genève 1981; E. PLOMACHER, Apocryphe Apostelakten, in PRE Suppl.
15 (197 8), 11-70; G. SFAMENI-GASPARRO, Gli Atti apocrifi degli Apostoli e la tradizione del!' enkra-
teia, in Aug. 32 (1983), 287-225.

§ 11. La separazione dalla Sinagoga

Fonti: Giuseppe Flavio; cf § 6.

1. La guerra giudaico-romana

Le proteste del popolo giudaico contro gli occupanti romani si manifesta-


rono in sempre più frequenti sollevazioni e movimenti rivoluzionari, special-
mente sotto i procuratori che governarono dopo la morte di Erode Agrippa (41-
44). Si ebbe così, al tempo del censimento sotto il governatore di Siria Quirino
(attorno al 7 d.C.), la sollevazione di Giuda di Gamala, detto il Galileo, men-
zionato in At 5,37 (cf anche Giuseppe Flavio, Beli. Iud. II 433 ); Ant. XVIII 1,1;
XX 5,2). Tra il 40 e il 46 d.C. una sommossa venne provocata dal sedicente mes-
sia Teuda (anch'egli di Galilea, cf At 5,36; Giuseppe Flavio, Ant. XX 5,1). Una
costante minaccia fu rappresentata dagli anni Cinquanta dal movimento clan-
destino dei sicari (da sica, un pugnale corto e curvo), che procedette attraverso
attentati contro occupanti romani, samaritani e «collaborazionisti» giudei (At
21,38; Giuseppe Flavio, Beli. Iud. II 254). Rimane questione insoluta se essi co-
stituissero un gruppo all'interno degli zeloti o fossero un movimento indipen-
dente.
A Cesarea si arrivò a conflitti suscitati dal gruppo giudaico della popolazio-
ne, che rivendicava i diritti di cittadinanza; perS,a la causa, i giudei fecero sfo-
ciare il loro dissenso in una situazione da guerra civile. Le spoliazioni perpetra-
te dal procuratore romano Gessio Floro (64-66), che secondo Giuseppe Flavio
(Beli. Iud. II 293) non si trattenne neppure davanti al tesoro del Tempio, fecero
scatenare infine, nel 66, una sommossa che si estese fino a diventare un'aperta
sollevazione di popolo ed accese l'entusiasmo nazionale in tutta la Palestina. Gli
insorti ottennero la cessazione del sacrificio quotidiano per l'imperatore e riu-
scirono ad occupare la fortezza Antonia e il palazzo di Erode in Gerusalemme,
§ 11. La separazione della Sinagoga 79

come anche le fortezze di Masada, Machaerus (odierna Mkaur) e Gerico. Sotto


l'impressione dei successi, anche i circoli più prudenti delle famiglie sacerdota-
li dominanti, e tra gli altri anche il futuro storico Giuseppe Flavio, si disposero
a una guerra contro Roma. Ma si arresero subito dopo l'intervento di Vespasia-
no con tre legioni e si adoperarono contro il fanatismo degli insorti per arrivare
a un accomodamento con Roma. La guerra civile tra i gruppi giudaici e la ri-
conquista della Palestina da parte dei Romani si concentrarono ben presto sul-
la Giudea. Quando nel 69, dopo i prolungati disordini che seguirono la morte
di Nerone (68), Vespasiano divenne imperatore, la guerra fu proseguita da suo
figlio Tito. Nel 70, dopo un lungo e terribile assedio, i Romani conquistarono
Gerusalemme (Giuseppe Flavio, Beli. Iud. V-VI) e distrussero il Tempio. Il po-
polo giudaico veniva privato, in tal modo, del suo centro politico e religioso,
poiché senza il Tempio non fu più celebrato alcun sacrificio, il sommo sacerdo-
te non ebbe più alcuna funzione, il sinedrio cessò di esistere.
Una nuova rivolta sotto Shim'on Bar Kokhebha («figlio della stella», cf Nm
24,17, o, con interpretazione peggiorativa del nome, «figlio della menzogna»),
determinata da una reazione alle limitazioni imposte dall'imperatore Adriano al-
le pratiche religiose giudaiche negli anni 132-135, ebbe conseguenze anche peg-
giori: Adriano, dopo una sanguinosa repressione della rivolta, fece ricostruire
Gerusalemme come città pagana sotto il nome di Colonia Aelia Capitolina ed
edificò sul luogo del Tempio santuari dedicati agli dèi. I giudei si videro proibi-
re l'accesso alla città e ai suoi dintorni, la circoncisione e l'istruzione pubblica
per l'apprendimento della Torah.

2. Nuova organizzazione del giudaismo

La distruzione del Tempio costrinse i giudei a una riforma e a una riorga-


nizzazione. Il ruolo di guida fu assunto dai farisei (cf § 6,2). A Javne Gamnia),
presso Giaffa, sorse attorno all'80 d. C. un nuovo centro spirituale e politico del
giudaismo, sostenuto dai farisei, il cui fondatore viene ritenuto rabbi Jochanan
ben Zakkai. I rabbini che vi studiavano e insegnavano cercarono di assicurare
l'unità e l'identità del popolo giudaico. Si costituì di nuovo il sinedrio, che at-
traverso trattative ottenne da Roma il riconoscimento ufficiale, come anche la
garanzia di uno status giuridico per la popolazione giudaica. La Palestina non
partecipò apertamente alle rivolte della diaspora (115-117).
La vita religiosa-cultuale ebbe un nuovo ordinamento: il servizio del tempio
e il culto sacrificale furono sostituiti dalla preghiera regolare dello Schema ]lsrael
e delle diciotto suppliche, dalle elemosine e dalla fedeltà alla _tradizione della ha-
lakhah, cioè della normativa che regolava la vita degli ebrei. Si cercò d'impedi-
re interpretazioni diverse della Legge, dichiarando valido soltanto l'insegna-
80 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

mento della scuola di Hillel (che al tempo di Gesù era stata una scuola fra tan-
te). Se ne ebbe come conseguenza un rigido rifiuto di tutte le forme particolari
di giudaismo. Prima ancora della rivolta di Bar Kokhebhà la scuola si trasferì in
Galilea. Qui, come anche in Babilonia, nacquero dopo la fine della guerra altre
scuole di scribi che inaugurarono l'epoca del giudaismo rabbinico.

Dalla fine del II sec. i testi della tradizione orale furono redatti dai cosiddetti maestri tan-
naiti [tanna, in aramaico è« colui che tramanda», n.d.t.] nella Mishnah [in ebraico« ripetizio-
ne, studio», insieme della tradizione normativa del giudaismo postbiblico, n.d.t.] . Dopo la fi-
ne di questo processo si ebbero nel III sec. i commenti dei maestri amorei [parola che significa
«parlanti, espositori», n.d.t.] della Mishnah, commenti che formarono la cosiddetta Ghemarà
[che in aramaico significa appunto «complemento», n.d.t.]. Mishnah e Ghemarà costituirono
il Talmud [che in ebraico significa« studio» della tradizione orale, n.d.t.]. La redazione del Tal-
mud palestinese fu conclusa all'inizio del V sec., quella del Talmud babilonese terminò tra il VI
e il VII sec.

3. La fine del giudeo-cristianesimo in Palestina

Per i cristiani di Palestina una partecipazione alle rivolte contro gli occupan-
ti romani non era possibile, perché queste rivolte erano certamente sostenute da
movimenti messianici. Secondo Eusebio (H. E. III 5), la comunità primitiva ab-
bandonò Gerusalemme ancor prima dell'inizio della guerra (66 d.C.) e si stabilì
a Pella (di Perea), a oriente del Giordano. Probabilmente una parte dei suoi
membri ritornò a Gerusalemme, ma, al più tardi dal tempo della rivolta di Bar
Kokhebha, Gerusalemme rimase preclusa anche ai giudeo-cristiani. La comunità
primiti~a di Gerusalemme perse in ogni caso la precedente importanza. Così, a
seguito della guerra giudaico-romana, giudei e cristiani vennero a trovarsi nello
stesso tempo in una situazione analoga; le autorità fino ad allora riconosciute era-
no scomparse. Le comunità furono costrette a riorganizzarsi, ciò che fu accom-
pagnato da un processo di reciproca delimitazione. Il conflitto, che aveva già as-
sunto toni accesi con la decisione anche delle « colonne» di Gerusalemme circa
la possibilità di un Vangelo non soggetto alla Legge, s'inasprì a partire dal 70 d.C.
Verso la fine del I sec., con l'istituzione della preghiera delle diciotto sup-
pliche da parte del nuovo sinedrio, venne inserita come XII supplica una for-
mula di maledizione contro i rinnegati (birqat haminim): « [ ... ]essi possano mo-
rire in un momento, essere cancellati dal libro della vita [ ... ] ».Tra i minim era-
no annoverati anche i cristiani.
Nei Vangeli questa esperienza di espulsione dalla sinagoga trovò già una sua
proiezione al tempo di Gesù (cf Mt 10,17 par.; Gv 12,42; 16,1-4). L'interpreta-
zione della Legge divenne punto centrale di conflitto, che rese impossibile il dia-
logo tra il giudaismo rabbinico e le comunità giudeo-cristiane. Tuttavia, il di-
§ 11. La separazione della Sinagoga 81

stacco completo della Chiesa dalla Sinagoga deve essere inteso come un proces-
so di lunga durata.
Le comunità giudeo-cristiane finirono col diventare geograficamente e poli-
ticamente isolate e sopravvissero, sempre più staccate dai gentili convertiti al cri-
stianesimo, nei raggruppamenti del cosiddetto giudeo-cristianesimo eterodosso
(cf § 28).

4. Allontanamento e separazione tra Chiesa e Sinagoga

Il culto e là preghiera rappresentarono il punto in cui il distacco tra Chiesa


e giudaismo si manifestò in maniera particolare. I cristiani avevano incluso nel-
l'invocazione all'unico Dio anche Gesù Cristo, il Crocifisso e Risorto, presenta-
to addirittura come il Migliore. Ciò non poteva non essere di scandalo per i cu-
stodi dell'identità d'Israele. Il rifiuto ostile da parte della Sinagoga fece progre-
dire a sua volta il processo di formazione della Chiesa. In questo, tuttavia, le co-
munità cristiane presero molti elementi dalla Sinagoga: liturgia e pietà, ordina-
mento della comunità e pratica religiosa conservarono un carattere veterotesta-
mentario-sinagogale. La Didachè testimonia una cristianizzazione delle pratiche
dei giudei, anche se nello stesso tempo si debbono prendere le distanze dalle lo-
ro radici: «I vostri giorni di digiuno dovete osservarli non insieme agli ipocriti.
Essi digiunano infatti il Lunedì e il Giovedì, ma voi dovete digiunare il Merco-
ledì e il Venerdì» (Didachè 8,1). I conflitti continuano a riflettersi nelle discus-
sioni dei secoli successivi sulla data della Pasqua (cf § 25,4; § 68,3) o sull'inter-
pretazione della Bibbia.

I cristiani si richiamavano, come i giudei, alla Sacra Scrittura nella versione dei Settanta,
ma ne proponevano l'interpretazione sulla base della loro fede in Gesù Cristo (2 Cor 3,14-16).
Essi si servivano, in questo, del metodo allegorico familiare sia a giudei che a pagani (cf Gal
4,24; 1 Cor 10,6 e altrove), e valorizzavano, come diversi gruppi del tardo giudaismo (per es. gli
esseni di Qumran), la struttura profetica dell' AT, ricorrendo allo schema «promessa-compi-
mento »(Le 4,18-21; Mt 26,31-64; Gv 6,30-33 e altrove). Il tentativo della Lettera di Barnaba di
strappare completamente l' AT ai giudei e di renderlo un libro cristiano, rimase un caso isolato
estremo, come lo fu anche il rifiuto dell' AT da parte di gruppi gnostici e di Marcione. Si può
seguire la controversia sulla corretta interpretazione dell'Antico Testamento e delle sue profe-
zie attraverso tutta la storia dell'esegesi (cf Giustino, Dia!. c. Tryph.; tutta la serie dei vari scrit-
ti Adversus Iudaeos; la preoccupazione dei teologi antiocheni circa il significato storico della
Scrittura, cf § 75).

L'allontanamento tra Chiesa e Sinagoga si evidenzia anche nella rinuncia a


un'azione missionaria tra i giudei e specialmente in un'aspra polemica anti-
giudaica nella letteratura cristiana antica. Tendenze antigiudaiche si trovano
già negli scritti neotestamentari (1 Ts 2,15; Mt 27 ,25; Gv 8,44 e altrove). Il rim-
82 II. Gli inizi della Chiesa e la sua di/fusione nei primi tre secoli

provero qui formulato di «deicidio», cioè della colpa per la morte di Gesù, è
un topos costante che attraversa tutta l'antica letteratura cristiana e che dà il
via a una fatale storia di comportamenti. Nasce un genere particolare di scrit-
ti Adversus Iudaeos (per es. Tertulliano, Agostino, Giovanni Crisostomo, Ps-
Gregorio di Nissa). Soltanto alcuni scrittori cristiani antichi rinunciano alla
polemica antigiudaica, esprimono la loro speranza per una redenzione d'I-
sraele o esortano alla preghiera per i giudei (Giustino, Dia!. 13 ,1; « Didasca-
lia » siriaca 21).

Prospetto cronologico: la storia giudaica

37-4a.C. Erode il Grande


4 a. -39 d.C. Erode Antipa, tetrarca di Galilea e Perea
4 a. -6 d.C. Archelao, etnarca di Giudea, Samaria e Idumea
6-145 Periodo delle rivolte antiromane
6-41 Giudea, provincia governata da procuratori
intorno al 7 Sollevazione di Giuda di Gamala
18-36 Caifa sommo sacerdote
26-36 Ponzio Pilato procuratore
38 Pogrom contro i giudei ad Alessandria
ca. 40 Morte di Filone d'Alessandria
41-44 Erode Agrippa I, re di Giudea
tra il 40 e il 46: disordini provocati da Teuda
44-50 Giudea, provincia governata da procuratori
49 Cacciata dei giudei da Roma
50-68 Erode Agrippa II, re di Calcide
Nasce il movimento clandestino dei sicari
62 Esecuzione capitale di Giacomo « fratello del Signore » e di altri
66-73 Prima guerra giudaica
70 Distruzione di Gerusalemme
73 Caduta di Masada
70-220 Epoca dei tannaiti
ca. 80 Fondazione della Scuola di Javne
115-117 Rivolte della diaspora
Tumulto dei giudei ad Alessandria
132-135 Rivolta giudaica: Bar Kokhebha
Inizio del III sec.: termina la Mishnah
dal 220 Epoca degli amorei
362/363 Fallisce il progetto di ricostruzione del Tempio sotto Giuliano l'Apostata
inizio del V sec. Termina la redazione del Talmud di Gerusalemme
VI/VII sec. Termina la redazione del Talmud babilonese
§ 11. La separazione della Sinagoga 83

Bibliografia§ 11: ANRW II 25; C. COLPE, Das Siegel des Propheten. Historische Beziehungen
zwischen Judentum, Judenchristentum Heidentum und friihem Islam, Berlin 1990; M. GOODMAN,
State AndSociety in Roman Galilee, A.D. 132-212, Totowa 1983;}. Lrnu et al. (a cura di), The Jews
among Pagans And Christians in the Roman Empire, London 1992; K. H. RENGSTORF- S. KORTZ-
FLEISCH, Kirche und Synagoge. Handbuch zur Geschichte von Christen und Juden, vol. I, Stuttgart
1968; E. P. SANDERS (a cura di), Jewish And Christian Sel/-Definition, vol. I, Philadelphia 1980; P.
ScHAFER, Studien zur Geschichte und Theologie des rabbinischen Judentums, Leiden 1978; A. F. SE-
GAL, Rebecca's Children. Judaism And Christianity in the Roman World. A Parallel History o/ Their
Origins And Early Development, London 1993.
§ 11-1: s_ APPLEBAUM, Prolegomena to theStudy of theSecond Jewish Revolt (A. D. 132-135),
Oxford 1976; D. GOLAN, Hadrian's Decision to Supplant ]erusalem by Aelia Capitolina, in Hist.
35 (1986), 226-239; M. GOODMAN, The Ruling Class o/ Judaea. The Origins of the ]ewish Revolt
Against Rome, A. D. 66-70, Cambridge 1987; P. ScHAFER, Der Bar Kochba-Aufstand. Ztudien zum
2. jiidischen Krieg gegen Rom, Tiibingen 1981; C. THOMA, Auswirkungen desjiidischen Krieges ge-
gen Rom (66-70173) auf das rabbinische Judentum, in BZ 12 (1968), 30-54; 186-210.
§ 11.2: G. ALON, The ]ews in Their Land in the Talmudic Age (70-640 C.E.), Vol. I, Jerusa-
lem 1980; J. AMERSFOORT - J- van OORT, Juden und Christen z'n der Antzlee, Kampen 1990; L. M.
BARTH, ]ohannan ben Zakkai, in TRE (1988), 89-91; D. FLUSSER, Judaism And the Origins o/
Christianity, Jerusalem 1988; W HORBURG, The Benediction of the Mission and the Early Jewish-
Christian Controversy, in JThS 33 (1982), 19-61; S. T. KATZ, Issues in the Separatz'on o/ ]udaism
And Christianity After 60 C. E. A. Reconsideration, in JBL 103 (1984), 43-76; H. C. KEE, The
Transformation of the Zynagogue After 70 C. E. Its Import/or Early Christianity, in NTS (36), 1990,
1-24; L. I. LEVINE (a cura di), The Synagogue in Late Antiquity, Philadelphia 1987; J. MAIER, ]ii-
dische Auseinandersetzung mit dem Christentum in der Antike, Darmstadt 1982; J. NEUSNER, Mes-
siah in Context. Israel's History And Destiny in Formative Judaism, Philadelphia 1984; D. S. Rus-
SEL, From Early ]udaism to Early Church, London 1986.
§ 11.3: J. T. BURTCHAELL, From Synagogue to Church. Public Services And Of/ices in the Ear-
liest Christian Communities, Cambridge 1992; J. WEHNERT, Die Auswanderung der Jerusalemer
Christen nach Pella - historisches Faktum oder theologische Konstruktion?, in ZKG 102 (1991),
231-255.
§ 11.4: N. A. BECK, Mature Christianity. The Recognition And Repudiation of the Anti-Jew-
ish Polemico/ the NT, Cranbury-London 1985; F. BLANCHETIÈRE, Aux sources de l'anti-judaisme
chrétien, in RHPhR53 (1973), 354-398; Cristianesimo e Giudaismo: Eredità e confronti. XVI in-
contro di studiosi dell'Antichità Cristiana, 7-9 Maggio 1987, in Aug. 28 (1988), 1-460; H.
FROHNHOFEN (a cura di), Christlicher Antijudaismus und jiidischer Antipaganismus. Ihre Motive
und Hintergriinde in den ersten drei Jahrhunderten, Hamburg 1990; J. G. GAGER, The Origins
o/ Antz'-Semitism. Attitudes Toward Judaism in Pagan And Christz'an Antz'quity, New
York/Oxford 1983; H. GOLDSTEIN, Gottesveriichter und Menschenfeinde? Juden zwischen ]esus
undfriihchristlicher Kirche, Diisseldorf 1979; R. KAMPLING, Das Blut Christi und die Juden. Mt
27,25 bei den lateinzschsprachigen christliche Autoren bis zu Leo dem Groten, Miinster 1984; R.
M. de LANCE et al., Antisemitismus I-IV, in TRE 3 (1978), 113-137; J. NEUSNER, Judaism And
Christianity in the Age of Constantine. History, Messiah, Israel, and the Initial Confrontation,
Chicago/London 1987; P. RICHARDSON- S. G. WILSON, Anti-]udaism in Early Christianity, Wa-
terloo 1986; R. RUETHER, Nà"chstenliebe und Brudermord. Die theologischen Wurzeln des Anti-
semitismus, Miinchen 1978 (ingl. 1974); H. SCHRECKENBERG, Die christlichen Adversus-lu-
daeos-Texte und ihr literarisches und historisches Umfeld (1. -11. Jh), Frankfurt [ecc.] 1990 2 ; J. S.
SIKER, Disinheriting the Jews. Abraham in Early Christian Controversy, Westminster 1991; M. SI-
MON, Verus Israel. Étude sur !es relations entre Chrétiens et ]ui/s dans !'Empire Romain (135-
425), Paris 1964.
84 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

§ 12. La diffusione del cristianesimo

Fonti: Scritti dei Padri della Chiesa fino al 300. - Letteratura polemica, cf § 17.

Epigrafi: W. WISCHMEYER, Griechische und lateinische Inschri/ten zur Sozialgeschichte der Alten
Kirche, t, Giitersloh 1982.

Gli scritti neotestamentari documentano la diffusione delle comunità cristia-


ne fino all'inizio del II sec. Essi testimoniano vivaci iniziative missionarie al ser-
vizio di una diffusione universale della fede dopo che era stata revocata la limi-
tazione al popolo giudaico. Il quadro di questa prima carta geografica cristiana è
rappresentato dai paesi del Mediterraneo. I primi centri cristiani si trovano, co-
me anche quelli delle comunità giudaiche della diaspora, sia negli agglomerati
urbani della Palestina e dell'Asia Minore, sia nelle città situate sulle grandi vie di
comunicazione. Anche in questo si mostra la derivazione dal giudaismo.

1. Persone impegnate nella missione

La prima diffusione del Vangelo in epoca neotestamentaria non può essere


attribuita soltanto a missionari di professione. Svolsero certamente una decisiva
azione missionaria Paolo e i suoi numerosi collaboratori e collaboratrici. « Profe-
ti, apostoli, maestri ed evangelisti» (cf 1 Cor 12,28; E/ 4,11) operarono al suo
fianco e dopo di lui come propagatori della fede. Ma si deve pensare anche alla
mobilità della popolazione nell'impero romano: i credenti che per motivi profes-
sionali e familiari dovevano spostarsi nel vasto territorio dell'impero finivano con
esercitare anche «l'attività accessoria di missionari». «Il commerciante frigio»
che si recò settantadue volte dalla sua terra a Roma non costituì un caso isolato
(CIG 3920). Grazie a questa spontanea trasmissione della fede si potè ottenere
nell'impero romano quella notevole presenza cristiana che permise di poter dire:
«Il Vangelo è presente in tutto il mondo» (cf Col l,6.23; 1 Ts 1,8; 1Clem.5.7).
Neanche in seguito si ebbe una strategia e organizzazione programmata per
l'annuncio della fede in modo tale da far pensare a missionari appositamente in-
caricati. La sorprendente diffusione della Chiesa nei primi tre secoli è in grande
misura il frutto di una missione non controllata e «spontanea». Operarono co-
me missionari dei liberi maestri come Giustino a Roma, Panteno e Clement~ ad
Alessandria. Ci furono inoltre «predicatori itineranti » che fecero della missio-
ne in città e in campagna un dovere della propria esistenza (Origene, C. Cels. III
9; Eusebio, H. E. V 10,2). Il terzo secolo produsse il tipo di «vescovo missiona-
rio»: Gregorio Taumaturgo e suo fratello Atenodoro nel Ponto, Gregorio l'Il-
luminatore in Armenia, forse anche Agricio a Treviri e Adelfia a Lincoln.
§ 12. La diffusione del cristianesimo 85

Con quale rapidità crescessero realmente le comunità cristiane è difficile


dirlo. Le notizie pervenute da fonte cristiana e non cristiana non si possono
ritenere molto valide sul piano statistico. A Roma, i cristiani dell'ultimo pe-
riodo di Nerone (54-68) sono già conosciuti come uno specifico gruppo reli-
gioso (Tacito, Ann. XV 44). Plinio il Giovane scrive all'imperatore Traiano
(98-117) di «un gran numero di cristiani di ogni età, di ogni condizione, an-
che di entrambi i sessi, [ ... ] non soltanto nelle città, ma anche nelle campa-
gne» (Ep. X 96,9).

2. La provenienza sociale

Anche per quanto riguarda la stratificazione sociale delle più antiche comu-
nità cristiane non si hanno notizie univoche. La sociologia delle comunità giu-
daiche della diaspora può fornire soltanto dei punti d'appoggio: ad esse appar-
tenevano schiavi, artigiani, mercanti, ma anche personalità di riguardo e molto
influenti. I pochi riferimenti a singole persone in passi neotestamentari (special-
mente l' « elenco di nomi» in Rm 16, 1-16 e gli altri elenchi di saluti nelle lettere
paoline) sottolineano il parallelismo tra primitiva comunità cristiana e comunità
sinagogale. I proprietari di abitazioni, spesso menzionati, che mettevano a di-
sposizione la propria casa per i missionari e per la comunità debbono essere sta-
ti cristiani che godevano di una migliore posizione sociale (cf At 1,13; 2,4.6; 5,42;
12,12-17; 18,7; 20,8; 20,20; Rm 16,5.14-15; Fm 2). Accenni all'ambiente sociale
si trovano nell'elencazione di« ruoli domestici» (esempio più antico in Col 3 ,18-
4,1), come anche nella lettera a Filemone. Il duro rimprovero espresso in Gc 2,2-
4 permette di riconoscere differenze sociali e situazioni d'ingiustizia (cf Ap
18,11-15 e altrove).
Un accenno al tessuto sociale può vedersi anche nella redazione in lingua
greca (koine) dei più antichi documenti cristiani. Questa lingua creò unità tra i
credenti, ma limitò inizialmente il raggio d'azione dei missionari soprattutto sul~
la popolazione urbana. Altrettanto si deve dire per l'adozione della lingua lati-
na nella Chiesa occidentale (intorno al 200); anche qui coloro che non possede-
vano bene questa lingua rimasero inizialmente al di fuori dell'evangelizzazione.
Dalla metà del II sec. è possibile individuare le comunità che parlano la lingua
siriaca, nel III sec. quelle copte ed altre (cf sotto§ 12,3).
Complessivamente si rispecchiò nelle comunità cristiane, con qualche svi-
luppo diverso, la stratificazione sociale della società greco-romana. A Roma, per
esempio, sembra che con la crescita generale degli strati più elevati sia divenuta
più forte anche la loro consistenza nella comunità. Stando a quanto scrive Ter-
tulliano, si trovano nella comunità cristiana di Cartagine appartenenti a tutti gli
strati, anche se è impossibile dire qualcosa di più preciso sulle rispettive per-
86 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

centuali. Le fonti gettano luce più su problemi riguardanti singoli gruppi, per
esempio le ricche vedove o i fabbricanti d'immagini d'idoli, che sulla massa di
coloro che s'inserivano senza grosse difficoltà. Il fatto che l'assistenza ai poveri
non rappresentasse per Tertulliano alcun problema, fa ritenere che qui gli stra-
ti inferiori fossero rappresentati in misura meno consistente. Ma in altri casi nei
quali la carità e l'assistenza sociale vengono sollecitate come impegno più ur-
gente della comunità, il numero di coloro che erano bisognosi d'aiuto e di so-
stegno deve ritenersi più alto.

3. Sguardo generale sui singoli paesi (fino al IV secolo)

Palestina
La guerra giudaica (66-73) comportò la fine della comunità di Gerusalem-
me (cf § 11). I giudeo-cristiani emigrarono in parte a Pella, nel territorio oltre
il Giordano (Eusebio, H. E. III 5,3 ), e di qui estesero la loro azione missiona-
ria sui territori confinanti siro-arabi. Dopo la distruzione di Gerusalemme nel
13 2 sotto Adriano (117 -13 8) e la sua ricostruzione con il nome di Aelia Capi-
tolina, poté stabilirsi nella città una comunità di cristiani convertiti dal paga-
nesimo.

Siria
Doctrina Addaei: G. PHILLIPS, t sir., London 1876.
La capitale Antiochia divenne già in epoca apostolica la base della missio-
ne tra i pagani. La comunità della metropoli deve aver fatto registrare una cre-
scita continua. Le lettere d'Ignazio (inizio del II sec.) testimoniano una sor-
prendente vivacità, ma anche notevoli tensioni in seno alla comunità cristiana.
Nella regione orientale il cristianesimo può essere stato conosciuto attraverso
credenti di origine giudaica, e altrettanto può dirsi per Edessa e per la regio-
ne dell'Osroene (a est dell'Eufrate, romana dal tempo di Traiano). La leggen-
da secondo cui lo stesso Gesù avrebbe promesso al re Abgar di Edessa d'in-
viare come missionario uno dei suoi discepoli potrebbe avere, forse, una con-
nessione con questi inizi (Eusebio, H. E. I 13; Doctrina Addaei; cf Peregrinatio
Aetheriae 17, 1). Ci furono certamente delle comunità cristiane fin dalla metà
del secondo secolo. Le notizie controllabili fanno pensare a un cristianesimo
eterodosso [Bardesane (154-222), cf § 31,2; marcioniti, influsso manicheo, cf
§ 31]. Intorno al 200 riuscì a imporsi sotto l'influsso antiocheno una Chiesa
cristiana di notevole entità (vescovo Palut). La lingua di questi cristiani fu la
siriaca. Taziano scrisse in questa lingua il suo Diatessaron e diede così alla
Chiesa siriaca il proprio Vangelo (cf § 38 A 3).
§ 12. La diffusione del cristianesimo 87

Mesopotamia/Persia
Cronaca di Arbela: E. SACHAU, t trad. ted., Berlin 1915; P. KAWERAU, t trad. ted., 1985 (CSCO
467ss.); A. MINGANA, t. trad. sir.-franc., MossotÙ 1907 (Sour. Syr. 1); F. ZORELL, trad. lat., in
«Orientalia Christiana» 8, 4 (1927), 142-204.

Oltre che nella regione dell'Osroene il cristianesimo arrivò nella Mesopota-


mia settentrionale e nell' Adiabene, con il suo centro Arbela, dove l'azione mis-
sionaria fu svolta da mercanti e da comunità giudaiche della diaspora. Intorno
al 250 Dionigi d'Alessandria testimonia (Eusebio, H. W VII 5; VIII 12,1) rap-
porti regolari tra le comunità locali. Nel 250 il re Sapore I (241-272) deportò dei
cristiani dalla Siria occidentale in Persia; qui essi poterono fondare delle proprie
comunità cristiane, mentre una certa azione missionaria passava anche attraver-
so le sinagoghe giudaiche (cf § 42,1).

India
M. K. KURIAKOSE, History o/ Christianity in India: Source Materials, trad. ingl., Madras 1982.

Gli Atti apocrifi di Tommaso presentano l'apostolo come missionario in In-


dia. Una parte dei cristiani dell'India si richiama ancora oggi a questa tradizio-
ne (cristiani di san Tommaso). Probabilmente giunsero in India attraverso la via
commerciale (Eusebio, H. E. III 4.6; Cronaca di Se'ert, in PO 4, 236; Filostor-
gio, H. E.) singoli cristiani che erano in rapporti con le comunità persiane. No-
tizie sicure le abbiamo soltanto nel VI sec. attraverso Cosma Indicopleustes
(Christiana Topographia III 65; XI 13).

Asia Minore
Già in epoca neotestamentaria l'Asia Minore deve ritenersi come territorio
di forte concentrazione cristiana. Soprattutto Efeso, ma anche i luoghi paolini e
le « sette Chiese» dell' Apocalissi, costituirono i punti di partenza per la missio-
ne nell'entroterra (Plinio, Ep. X 96). Il numero dei cristiani crebbe con notevo-
le rapidità. Dionigi d'Alessandria testimonia intorno al 260 la presenza di forti
comunità cristiane in Frigia. All'inizio della persecuzione di Diocleziano deb-
bono esserci state già un paio di città completamente cristiane ( Eusebio, H. E.
VIII 11,1-2; Lattanzio, Inst. V 11,4.10.15). La vivacità del cristianesimo trova
espressione anche nell'entusiastico movimento dei montanisti (§ 34) e in una
teologia propria dell'Asia Minore, che ebbe come rappresentanti Ippolito di Ro-
ma e Ireneo di Lione, entrambi originari di quella terra. Si conoscono riunioni
di vescovi dell'Asia Minore già dal III sec. (Eusebio, H. E. VII 7,5). Dalla Cap-
padocia si recarono come vescovi missionari nel Ponto, verso la metà del III se-
colo, Gregorio il Taumaturgo e suo fratello Atenodoro (Gregorio di Nissa, De
vita Gregorii Thaumaturgi; Socrate, H. E. IV 27).
88 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

L'Armenia, confinante a est, venne egualmente evangelizzata dalla Cappa-


docia, anche se non vi mancarono influssi cristiani provenienti da Edessa. Dio-
nigi d'Alessandria era a conoscenza di comunità cristiane presenti in questa re-
gione (Eusebio, H. E. VI 46,2). Melitene (l'attuale Malatya in Turchia) fu un'im-
portante guarnigione della Legio XII (la cosiddetta Legio fulminata) sotto Mar-
co Aurelio (161-180), in cui debbono aver prestato servizio anche dei cristiani
(Tertulliano, Apol. 5; Eusebio, H. E. V 5,1-3). Verso la fine del III sec. vi operò
Gregorio l'Illuminatore in collaborazione con il vescovo di Cesarea di Cappa-
docia (cf § 42,2).

Egitto
Originario della metropoli egiziana Alessandria fu Apollo, che in modo au-
tonomo collaborò con Paolo (1 Cor 3,5ss.; At 18,24-28). I primi cristiani deb-
bono essere stati giudei ellenisti. La pretesa della Chiesa alessandrina, cioè di es-
sere stata fondata da «Marco interprete di Pietro», rimanda certamente alla sua
origine in epoca neotestamentaria (Eusebio, H. E. II 16). Nel II sec. sembra es-
sersi diffuso in tutto l'Egitto un cristianesimo sincretistico-agnostico [cf il Van-
gelo degli" Egiziani, i Frammenti di Vangeli extra-canonici, i testi scoperti a Nag
Hammadi, il manicheismo (§ 31)]. L'intensa attività della comunità cristiana
alessandrina è testimoniata dai suoi maestri Panteno, Clemente d'Alessandria
(§ 39,1) e soprattutto Origene (§ 39,2). Quest'epoca (intorno al 200) fu decisa-
mente caratterizzata da un cristianesimo pienamente vissuto: il vescovo Deme-
trio (189-231) represse le comunità gnostiche. Mentre i grandi maestri alessan-
drini erano impegnati nella loro attività teologica, Demetrio operò sul piano re-
ligioso-politico e rafforzò la preminenza della Chiesa alessandrina. Il suo suc-
cessore Eraclio (231-247) poté già riunire venti vescovi egiziani. Con il vescovo
Dionigi (247 /248-264/265) la Chiesa cattolica dell'Egitto superò le persecuzio-
ni di Decio (249-251) e di Valeriano (253-260; cf § 16,1-2). L'imperatore Gal-
lieno (260-268) emanò, sotto la pressione di avvenimenti di politica interna
(usurpazione di Macriano), un editto favorevole ai cristiani che restituiva i luo-
ghi di culto e riconosceva il possesso di beni da parte della Chiesa (Eusebio,
H. E. VII 13 ). Per il vescovo Dionigi egli fu per questo motivo« l'imperatore pio
e accetto a Dio», nella cui azione politica si era adempiuta la profezia di Is 42,9;
43,19 (Eusebio, H. E. VII 23,1-3).
Le comunità urbane svolsero la loro azione missionaria all'interno del pae-
se. Già nel III sec. il NT venne tradotto per questo motivo in saidico, un dialet-
to copto. Rimane incerto stabilire se lo zelo organizzativo dei vescovi alessan-
drini abbracciasse anche la Libia, il paese confinante separato dal deserto. Dio-
nigi scrisse anche ai vescovi ivi residenti (Eusebio, H. E. VII 6, 26), che però cer-
carono di sottrarsi alla forte influenza di Alessandria.
§ 12. La diffusione del cristianesimo 89

Nordafrica
Gli inizi del cristianesimo nell'importante provincia romana rimangono in-
certi. Il 17 luglio del 180 sei fedeli cristiani (tre uomini e tre donne) della cit-
tadina africana di Scili furono giustiziati a Cartagine. Gli Atti del loro proces-
so costituiscono la prima testimonianza della presenza cristiana in Africa e il
primo documento cristiano in lingua latina. Intorno al 200 si trovava a Carta-
gine un'importante comunità cristiana. Secondo Tertulliano, il Vangelo era ar-
rivato nel Nordafrica da Roma (De praescr. 36). La Chiesa, saldamente orga-
nizzata su base vescovile, riuscì ad imporsi nell'Africa proconsularis, in Mauri-
tania e in Numidia. Già il vescovo Agrippina di Cartagine (218-222) poté riu-
nire dei vescovi in un sinodo (Cipriano, Ep. 71,4). Nel sinodo di Lambaesis in
Numidia (attuale Lambesi in Algeria) s'incontrarono nel 240 novanta vescovi,
e le decisioni del sinodo del 256 vennero sottoscritte da ottantasette vescovi
(Sententz'ae episcoporum; CSEL 3,1,435-461). Il Nordafrica divenne nel III se-
colo un luogo di grande concentrazione cristiana, che ebbe in Tertulliano
(§ 40,2) e nel vescovo Cipriano (§ 40,3) i suoi consapevoli portavoce nelle di-
scussioni all'interno della Chiesa e i suoi coraggiosi difensori nelle persecuzio-
ni. Missione e appartenenza alla Chiesa rimasero limitate, però, alla popola-
zione urbana romanizzata. Il confine linguistico (qui il latino) divenne il con-
fine religioso. /

Italia
La presenza di cristiani a Roma è testimoniata innanzitutto dalla Lettera del-
l'apostolo Paolo ai Romani (1,10.13; 15,22-23), come anche dall'editto dell'im-
peratore Claudio (41-54) del 49 (?). Sicuramente la comunità cristiana romana
non fu una fondazione apostolica vera e propria, ma la conseguenza di immi-
grati cristiani. L'orgogliosa consapevolezza che Roma era la capitale dell'impero
tornò a vantaggio anche della comunità cristiana (Rm 1,8; Ignazio d'Antiochia,
Ad Rom. praescr.). La persecuzione sofferta sotto Nerone (54-68) rafforzò la sua
stima, ma le procurò anche l'opposizione e la diffidenza da parte dell'ambiente
pagano (Tacito, Ann. XV 44,3: «A Roma confluiscono da tutto il mondo e ven-
gono celebrate tutte le atrocità e mostruosità»). Numerose fonti testimoniano la
crescita e la vivacità di questa comunità della metropoli: I Lettera di Clemente,
la Lettera d'Ignazio d'Antiochia ai Romani, il Pastore di Erma, ecc. (cf § 37).
Non si sa nulla di particolari attività missionarie. Ma Roma fu il luogo dove
operò il «filosofo e martire» Giustino, che in veste di maestro volle convincere
della verità cristiana giudei e pagani. Qui fu scritto anche il Dialogo di Minucio
Felice, i cui interlocutori appartenevano allo strato sociale più elevato
(cf § 40,2). La comunità, che nel III set. fu teatro di serie controversie teologiche,
contava verso la metà del secolo circa 20.000-30.000 cristiani (Eusebio, H. E. VI
90 II. Gli inizi della Chiesa e la sua di/fusione nei primi tre secoli

43, 11) e si trovava anche in una rete di ampie e intense relazioni (cf le lettere di
vescovi romani in Eusebio, H. E. IV 23).
Accenni a prime comunità cristiane fuori di Roma si possono già trovare in
At 28,13ss., con menzione specifica di Pozzuoli (cf anche Eh 13,24). Che prima
del 79 esistessero comunità cristiane a Pompei ed Ercolano è questione più che
mai aperta. Il vescovo Cornelio (251-253) conobbe vescovi di una« regione pic-
cola e insignificante dell'Italia» (Eusebio, H. E. VI 43 ,8) e poté convocare già
sessanta vescovi per un sinodo a Roma (H. E. VI 43,2).

Gallia
Tutte le notizie che parlano di fondazioni apostoliche in Gallia sono leggen-
darie. Gli inizi cristiani si possono datare verso la fine del secondo secolo. Im-
migrati provenienti dall'Asia Minore portarono la fede cristiana e fondarono co-
munità come quelle di Vienne e Lione. Essi subirono intorno al 17 8 una grave
persecuzione (Eusebio, H. E. 5,lss.; § 14,4) e furono guidati poi da Ireneo co-
me vescovo. La lingua greca costituì all'inizio un limite per l'evangelizzazione.
Ma Ireneo afferma di aver predicato anche in celtico (Adv. haer., praef 3) e
informa di aver sentito parlare anche di credenti cristiani tra i celti (I 10,2). No-
tizie sicure sull'ulteriore diffusione del cristianesimo in Gallia appartengono al
III sec. (persecuzioni di Decio e Valeriano; Cipriano, Ep. 68, ecc.); al sinodo di
Arles del 314 presero parte sedici rappresentanti di diocesi galliche.

Spagna
Paolo ebbe l'intenzione di recarsi in Spagna (Rm 15,24), ma non vi giunse
mai. Neanche Giacomo Maggiore, la cui tomba viene venerata in Santiago de
Compostela, ha mai visto il paese (leggenda del VII sec.). Di cristiani in Spagna
sono a conoscenza Ireneo (Adv. haer. I 10,2) e Tertulliano (Adv. Iud. 7,4). Ci-
priano fu in corrispondenza epistolare con vescovi spagnoli (Ep. 67). Le comu-
nità cristiane si trovano nella parte meridionale romanizzata del paese. Il sinodo
di Elvira (306/312?) testimonia la presenza di diciannove vescovi e ventiquattro
presbiteri.

Germania
Ireneo conosce comunità cristiane «in tutte e due le province germaniche,
che, certamente divise dalla lingua, sono tuttavia unite nella sostanza della tra-
dizione di fede» (Adv. haer. I 10,2). Cristiani possono essere arrivati nelle pro-
vince renane insieme ai legionari romani. Strasburgo, Magonza, Metz, Treviri e
Colonia sono sicuramente nel IV sec. sedi vescovili, che risalgono forse al seco-
lo precedente. Al sinodo di Arles presero parte il vescovo Materno di Colonia
§ 12. La diffusione del cristianesimo 91

(impegnato già nel negoziato avutosi a Roma nel 313; cf § 52,2) e Agricio di Tre-
viri. I monumenti in onore dei martiri a Bonn e Xanten accennano a comunità
cristiane presenti già all'inizio del IV sec. (cf § 43 ).

Regioni danubiane
La presenza cristiana nelle province romane della Rezia, del Norico e della
Pannonia è provata da alcune testimonianze di martirio in epoca dioclezianea:
Afra ad Augusta, Vittorino di Pettau nella Stiria, Floriano a Lorch (Lauriacum),
Quirino di Sissek in Croazia. Salona in Dalmazia è sede vescovile già nel III sec.;
Tomi nella Scizia e Sirmio nell'Illirico lo sono sicuramente dal IV sec. (cf § 44).

Britannia
Analogamente a quanto accadde in Germania, il cristianesimo poté arrivare
sull'isola con l'occupazione romana. Le più antiche comunità cristiane si posso-
no individuare in guarnigioni e in empori commerciali: Caerleon (Galles meri-
dionale), Londra, York e Lincoln/Colchester. Al sinodo di Arles presero parte
vescovi provenienti da York, Londra e Lincoln (cf § 44).

Sguardo retrospettivo
Base per la missione rimase fino al IV secolo la posizione conquistata in epo-
ca neotestamentaria: Palestina, Siria, Asia Minore, Grecia, Roma; in questi ter-
ritori la Chiesa poté ulteriormente diffondersi.
Di qui la missione cristiana raggiunse nuove sponde. Come nella prima fa-
se, punti di collegamento venivano offerti per lo più da colonie giudaiche: Siria
orientale, Mesopotamia, Nordafrica e Spagna sud-orientale. A queste si aggiun-
sero le rimanenti regioni dell'impero, ma senza centri o insediamenti cristiani
degni di nota.
Numericamente si deve supporre nel I e II sec. una lenta ma costante cre-
scita [fine del II sec.: diverse decine di migliaia(?)]. L'inizio del III sec. fece re-
gistrare una forte crescita, interrotta a metà del secolo dalle persecuzioni, per ar-
rivare nuovamente negli ultimi decenni a un forte aumento. Al tempo di Co-
stantino un quarto (o due milioni?) della popolazione dell'impero doveva esse-
re cristiana.

Bibliografia§ 12: F. DuMORTIER, La patrie des premiers chrétiens, Paris 1988; H. FROHNES -
U. W. KNORR, Kirchengeschichte als Missionsgeschichte I, Miinchen 1974; M. GOODMAN, Mission
And Conversion. Proselytizing in the Religious History o/ the Roman Empire, Oxford 1994; M.
GREEN, Evangelization zur Zeit der ersten Christen, Stuttgart 1977 2 ; A. von HARNACK, Die Mission
und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderten, Leipzig 1924 4; K. S. LATOU-
RETTE, A History o/ the Expansion o/ Christianity, 7 voli., New York 1937-1945, 19765; U. MAI-
92 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

BURG, Und bis an die Grenzen der Erde ... Die Ausbreitung des Christentums in den Uinderlisten
und deren Verwendung in Antike und Christentum, inJAC 26 (1983), 38-53; R. H. NASH, Chri-
stianity And the Hellenistic World, Grand Rapids/Mich. 1984; H. NESSELHAUF, Der Ursprung des
Problems Staat und Kirche, Konstanz 1975; W. J. SHEILS (a cura di), Persecution And Toleration,
Oxford 1984; A. WIFSTRAND, Die alte Kirche und die griechische Bildung, Bern 1967; R. L.
WILKEN, The Mythe of Christian Beginnings, London 1979.
§ 12.1: H. J. BOVON, Practiques missionaires et communication. de l'Evangile dans le christia-
nisme primitzf, in RThPh 32 (1982), 369-381; G. KRETSCHMAR, Anspruch auf Universalitiit in der
Alten Kirche und Praxis ihrer Mission, in «Saeculum» 38 (1987), 150-177.
§ 12.2: H. J. DREXHAGE, Wirtschaft und Handel in den fruhchristlichen Gemeinden, in RQ 76
(1981), 1-72; W. ECK, Christen im hoheren Reichsdienst im 2. und 3. ]ahrhundert, in« Chiron » 9
(1979), 449-464; W. ECK, Das Eindringen des Christentums in den Senatorenstand bis zu Kon-
stantin dem Gro/Sen, in «Chiron» 1 (1971), 381-406; B. GRIMM, Untersuchungen zur sozialen Stel-
lung der frnhen Christen in der romischen Gesellschaft, Starnberg 1975; A. H. M. ]ONES, The Ci-
ties of the Eastern Roman Provinces, Oxford 197!2; D.]. KYRTATAS, The Socia! Structure of the
Early Christian Communities, London 1987; P. LAMPE, Die stadtromischen Christen in den ersten
beiden Jahrhunderten. Untersuchungen zurSozialgeschichte, Tiibingen 1987; E. PLOMACHER, Iden-
titiitsverlust und Identitiitsgewinn, NeukirchenMuyn 1987; T. SCHLEICH, Missionsgeschichte und
Sozialstrukturen des vorkonstantinischen Christentums. Die These van der Unterschichtreligion, in
GWU 33 (1981), 269-296; G. SCHÒLLGEN, Ecclesia sordida? Zur Frage der sozialen Schichtung
fruhchristlicher Gemeinden am Beispiel Karthagos zur Zeit Tertullians, Miinster 1984.
§ 12.3 Palestina: J. E. TAYLOR, Christians And the Holy Places. The Myth of]ewish-Christian
Origins, Oxford 1993. ·
§ 12.3 Siria: H. J. W. DRIJVERS, History And Religion in Late Antique Syria, Aldershot 1994;
H. J. W. DRIJVERS, East o/ Antioch. Studies in Early Syriac Christianity, London 1984; H.]. W.
DRIJVERS, Cults And Beliefs at Edessa, Leiden 1980; H. J. W. DRIJVERS, Edessa, in TRE 9 (1982),
277-288; J. M. FIEY, Assyrie chrétienne, 3 voli., Beirut 1965-1968; W. A. MEEKS - R. L. WILKEN,
]ews And Christians in Antioch in the First Four Centuries of the Common Era, Ann Arbor 1978;
F. W. NORRIS - B. DREWERY, Antiochien, in TRE 3 (1978), 99-113; A. VòòBUS, History of the
School o/ Nisibis, Louvain 1965.
§ 12.3 Mesopotamia/Persia: G. G. BLUM, Zur religionspolitischen SÙuation der persischen Kir-
che im 3. und 4. ]ahrhundert, in ZKG 91 (1980), 11-32; M.-L. CHAUMONT, La christianisation de
!'Empire iranien. Des origines aux grandes persécutions du IVe siècle, Louvain 1988; A. E. CHRI-
STENSEN, I:Iran sous !es Sassanides, 1936, rist. Kopenhagen 1971; J. LABOURT, Le christianisme
dans !'empire Perse sous la dynastie Sassanide (224-632), Paris 1904; W. A. WIGRAM, An Introduc-
tion to the History o/ the Assyrian Church or the Church of the Sassanid Persian Empire, 100-640
A. D., London 1910.
§ 12.3 India: L. W. BROWN, The Indian Christians o/ St. Thomas. An Account o/ the Ancient
Syrian Church o/Malabar, 1956, Cambridge 1982 2 ; G. M. MORAES, A History of Christianity in In-
dia. From Early Times to St. Francis Xavier A. D. 52-1542, Bombay 1964; A. M. MUNDADAN, Hi-
story of the Christianity in India, I. From the Beginning Up to the Middle of the Sixteenth Century,
Bangalore 1984; S. NEILL, A History o/ Christianity in India. The Beginnings to A. D. 1707, Cam-
bridge 1984; P. PODIPARA, Die Thomaschristen, Wiirzburg 1966 (ingl. 1972 3).
§ 12,3 Asia Minore: H. W. GENSICHEN, Asien, in TRE 4 (1979), 173-195; H. HAGE, Arme-
nien I, in TRE 4 (1979), 40-57; F. MIAN, Gli inizi dell'Armenia cristiana, in VetChr 21(1984),327-
334; S. MOFFET, A History o/ Christianity in Asia I (Beginnings to 1500), New York 1992; V.
SCHULTZE, Altchristliche Stiitten und Landschaften II: Kleinasien, Giitersloh 1922-1926.
§ 12.3 Egitto: R. M. GRANT, Early Alexandrian Christianity, in ChH 40 (1971), 133-144; C.
W. GRIGGS, Early Egyptian Christianity. From Its Origins to 451 C. E., Leiden 1990; A. MARTIN,
§ 13. La forza d'attrazione del cristianesimo 93

Les premiers siècles du christianisme à Alexandrie. Essai de topographie religieuse (Ilie-IVe s.), in
REAug 30 (1984), 211-225; C. D. G. MùLLER, Àgypten IV, in TRE 1 (1977), 512-533; C. D. G
MOLLER, Alexandrien, in TRE 2 (1978), 248-261; B. A. PEARSON - J. E. GOEHRING, The Roots o/
Egyptian Christianity, Philadelphia 1986; R. SOLZBACHER, Monche, Pilger, Sarazenen. Studien zum
Friihchristentum au/ der siidlichen Sinaihalbinsel. Von den Anfà'ngen bis zum Beginn islamischer
Herrscha/t, Altenberge 1989.
§ 12.3 Nordafrica: A. MASTINO (a cura di), UA/rica Romana, Atti del VII Convegno di Studio,
Sassari 15-17 dicembre 1989, Sassari 1990; F. ALTHEIM- R. STIEHL, Christentum am Roten Meer,
2 voli., Berlin 1971/1973; F. DECRET- M. FANTAR, UA/rique du Nord dans l'antiquité des origines
au Ve siècle, Paris 1981; Y. DuvAL, Densité et répartition des éveques dans !es provinces a/ricaines
au temps de Cyprien, in MEFRA96 (1984), 493-521; J.-L. MAIER, Uépiscopat de l'A/rique romai-
ne, vandale et byzantine, Roma 1973; G. MOKHITAR (a cura di), Histoire générale de l'A/rique, vol.
II: A/rique ancienne, Paris 1980; P. MONCEAUX, Histoire littéraire de l'A/rique chrétienne, 7 voli.,
Paris/Bruxelies 1901-1923; G.-P. PrcARD, La civilization de l'A/rique romaine, Paris 1990 2 (ted.
1962); V. SAXER, Saints anciens d'Afrique du Nord, Roma 1979; A. SCHINDLER, Afrika I, in TRE 1
(1977), 640-700.
§ 12.3 Italia: A. MARONI, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo, Sie-
na, Chiusi, Siena 1990; M. SrMONETTI, Roma cristiana, tra II e III secolo, in VetChr 26 (1989), 115-
136; M. SORDI, Il cristianesimo e Roma, Bologna 1965.
§ 12.3 Gallia: J.-P. CLÉBERT, Provence antique, 2 voli., Paris 1966/1970; E. DEMOUGEOT, Gal-
lia I, in RAC 8 (1972), 822-927; J. F. DRINKWATER, The Gallic Empire. Separatism And Continuity
in the North-Western Provinces o/ the Roman Empire A. D. 260-274, Stuttgart 1987; F. D. GILLIARD,
The Apostolicity o/ Gallic Churches, in HThR 68 (1975), 17-33; H. HEINEN, Der Christenpogrom
von Lyon und die An/à'nge des Christentums im romischen Gallien, in BAL 15 (1984), 37-55; H. von
PETRIKOVITS, Germania (Romana), in RAC 10 (1978), 548-654; C. PIETRI, Remarques sur la chri-
stianisation du Nord de la Caule (IVe-VIe s.), in RNord 66 (1984), 55-68; C. PIETRI, Frankreich I,
in TRE 11(1983),346-353;}. Pou110ux (a cura di), Les martyrs de Lyon (177), Paris 1978.
§ 12.3 Spagna: P. B. GAMS, Kirchengeschichte Spaniens, Graz 1874, rist. 1956.
§ 12.3 Germania: E. DASSMANN, Die An/à'nge der Kirche in Deutschland, Stuttgart 1993; N.
GAUTHIER, Uévangélisation des Pays de la Moselle. La province romaine de Première Belgique en-
tre Antiquité et Moyen-Age (IlI-VIIIe s.), Paris 1980.
§ 12.3 Regioni danubiane: P. F. BARTON, Die Friihzeit des Christentums in Osterreich und Siid-
ostmitteleuropa bis 788, Wien 1975; A. MOCSY, Pannonia And Upper Moesz'a, London/Boston
1974; J. ZEILLER, Les origines chrétiennes dans !es provinces danubiennes de !'empire Romain, Pa-
ris 1918; I. ZIBERMAYR, Noricum, Bayern und Osterreich. Lorch als Hauptstadt und die Ein/iihrung
des Christentums, Horn 19562 •
§ 12.3 Britannia: E. KrRSTEN, Britannia, in RAC 2 (1954), 585-611; H. MAYR-HARTING, The
Coming o/ Christianity to Anglo-Saxon England, London 199l3; D. WATTS, Christz'ans And Pagans
in Roman Britain, London 1991.

§ 13. La forza d'attrazione del cristianesimo

Non si possono facilmente additare i motivi per la conversione individuale


al cristianesimo, motivi tali da esigere una chiara rinuncia ai precedenti vincoli
religiosi e, in particolari circostanze, anche a quelli di natura culturale e sociale.
94 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

Il propagarsi sorprendentemente rapido di comunità cristiane durante i primi


secoli, nonostante la loro condizione socialmente precaria, deve inquadrarsi in-
nanzitutto nel contesto delle circostanze storiche. A causa della destabilizzazio-
ne politica ed economica dell'Impero Romano e della conseguente situazione
d'insicurezza, si resero più urgenti negli uomini le esigenze di natura religiosa.
Si aderì in misura maggiore alle religioni misteriche e ai raggruppamenti religiosi
e la visione dell'aldilà crebbe d'importanza. Ma questi motivi non sono suffi-
cienti a spiegare perché sia riuscita ad imporsi proprio la religione cristiana.
Ci sono giunte solo scarse notizie su conversioni che potrebbero spiegarci
I' attrazione esercitata dal cristianesimo nel pluralismo religioso dell'Impero Ro-
mano: Giustino, Dialogo con Trifone 2-8; Clemente d'Alessandria, Strom. I 11;
Cipriano, Ad Donatum; Ilario, De trin. I-1-14. Le informazioni date da questi
scrittori sono ritenute esemplari, ma rivelano preoccupazioni di stile nella loro
redazione ed elaborazione. Riescono tuttavia a chiarire alcuni dei motivi d' at-
trazione. Mostrano inoltre le idee e le concezioni soteriologiche che si trovano
negli scritti cristiani dei primi secoli e le loro connessioni con il concetto di sal-
vezza proprio di giudei e pagani circa le ansie degli uomini e la speranza che es-
si ripongono nel cristianesimo.

1. Fede e confessione

Il Vangelo fu annunciato nel contesto di un mondo religioso. L'esistenza di


dèi, di forze al di sopra e al di fuori del mondo, la dipendenza dell'uomo da lo-
ro e la loro venerazione erano ovvie ed evidenti. La fede in un aldilà e l'attesa di
una vita in un altro mondo simile a quello presente in una prospettiva di premio
o punizione facevano parte delle convinzioni fondamentali dell'uomo. Il mes-
saggio cristiano della redenzione poté collegarsi con il desiderio di salvezza con-
diviso da ciascun uomo e appropriarsi nello stesso tempo della critica tradizio-
nale agli dèi per arrivare a distruggere il politeismo. Alla comune percezione di
un'esistenza abbandonata a un destino impersonale e a forze maligne il messag-
gio cristiano contrapponeva la fede in un Dio trascendente, che rivolgeva tutta-
via la· sua benigna attenzione agli uomini. Esso trasmetteva la salda speranza in
una liberazione dai peccati, dal male, da dèmoni e da forze cosmiche, in un su-
peramento definitivo della paura e in una vittoria sulla morte.
Già i Padri apostolici (I Lettera di Clemente 36,2; Didache 9,3; 10,2) fecero
proprio l'ideale della scienza (yvrocrtç), ampiamente diffuso nella filosofia spie-
gata al popolo, la cui attrazione trovò la sua manifesta espressione nel sorgere
delle correnti della gnosi e dello gnosticismo(§ 29-31). La teologia di Clemen-
te d'Alessandria e di Origene (§ 39) è sostanzialmente basata sulla tendenza al-
la gnosi. Per tale tendenza si trattava non soltanto di conoscere i misteri divini,
§ 13. La forza d'attrazione del cristianesimo 95

ma anche di sapere in che modo si dovesse agire e vivere (Giustino, Apolog.


23,2) per poter arrivare all'imortalità.
Gli apologeti fecero ricorso soprattutto all'ansia di conoscenza della verità.
Essi rappresentarono la fede cristiana come risposta a tutte le questioni filosofi-
che, come punto d'arrivo di ogni ricerca religiosa e filosofica, come compimen-
to dell'antica religione e filosofia (Giustino, Dia!. 1-9). L'annuncio cristiano si ri-
collegava con la filosofia e la religiosità pagane e le interpretava in senso cristia-
no. Il successo di questo metodo missionario-pastorale si rende evidente nel
progressivo avvicinarsi del modo di pensare cristiano a quello ellenistico: il mes-
saggio di Gesù Cristo venne sempre più interpretato, accolto e tramandato ri-
correndo a concetti ed idee familiari al mondo pagano (cf § 5 ,4).

2. La comunità cristiana

Si diventava cristiani con l'accettazione in una comunità, che costituiva la


Chiesa di Dio nei rispettivi luoghi di residenza. Per gli uomini dell'antichità que-
sta comunità diventava il luogo della salvezza, della presenza della «potenza di
Dio», il luogo santo. Che avessero trovato questo luogo i cristiani lo proclama-
vano con la loro professione di fede nella « santa Chiesa» [per la prima volta
nell'Epistula Apostolorum 5 (16)]. Ciò poteva intendersi in senso del tutto pra-
tico. Nella comunità riunita si donava ai credenti la comunione con il loro Dio,
nella stessa maniera sperimentata dai pagani nelle loro feste e riunioni (cf Ori-
gene, De orat. 31,5). Le Costituzioni d'Ippolito (cf § 39,4) promettono ai cri-
stiani che si recano alla ecclesia (locale/personale?) e qui innalzano la loro pre-
ghiera sicurezza da « ogni male quotidiano» (Trad. apost. 41).
La comunità locale offriva un domicilio spirituale-religioso. I meccanismi so-
ciali delle antiche città favorivano l'aggregazione dei loro abitanti in associazioni
e raggruppamenti (collegia). Secondo l'opinione di molti la comunità cristiana de-
ve essere stata inizialmente un'unione di questo genere. Tertulliano la chiama/ac-
tio, secta, coitio e corpus (Apol. 39,1-2). L'accettazione nella comunità dei cristiani
non conobbe alcun criterio di natura professionale, naziònale o di ceto sociale. In
linea di principio, chiunque poteva entrarvi. Le barriere sociali venivano annulla-
te nell'unità di tutti in Cristo (Rm 10,12; 1 Cor 12,13; Gal 3,28; Col 3,11). Ciò of-
friva anche alla gente povera la consapevolezza del proprio valore. Grazie alla lo-
ro esigenza morale e alla loro tipica organizzazione le comunità esercitavano la lo-
ro attrazione anche sulla classe dirigenziale. L' ecclesia venne rappresentata come
la migliore e più stabile polis/civitas (Origene, Contra Celsum VIII 74-75), che
non era limitata a un'unica città, ma era presente sul mondo intero.
Le comunità erano impegnate in attività socio-caritative. Esse finanziavano
i loro bisogni con tributi spontanei (stips menstrua), prestavano aiuto nelle di-
96 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

sgrazie, si prendevano cura dei malati, dei prigionieri, dei condannati ai lavori
forzati, ecc. Il vescovo romano Cornelio (251-253) scrisse di oltre 1500 vedove
e bisognosi d'aiuto nella sua comunità, «che tutti nutriva la grazia e la bontà del
Signore» (Eusebio, H. E. VI 43,11). Che in occasione della sua accoglienza nel-
la comunità un cristiano di condizione agiata portasse con sé una dote lo sap-
piamo dalla Vita di Marcione (Tertulliano, De praescr. 30,2), e ciò corrisponde-
va alla «prima e unica donazione» che città e municipi ricevevano dai loro be-
nefattori. La cassa della comunità si alimentava anche degli introiti derivanti
dalle rinunce nei giorni prescritti di digiuno (Tertulliano, De ieiun. 13,3). L'atti-
vità sociale della comunità contribuiva indubbiamente in misura decisiva alla
stima e alla forza d'attrazione delle comunità cristiane. Lo stupore dei pagani
(«guardate come si amano gli uni gli altri! ») non è soltanto un'esagerazione re-
torica di Tertulliano (Apol. 39,7; cf Minucio Felice, Oct. 9; 31; Origene, Contra
Celsum, III 29; Giustino, Apol. I 16). Lo stesso imperatore Giuliano (361-363)
era impressionato dell'efficacia propagandistica dell'attività caritativa dei « Ga-
lilei» (Ep. 39 ed. Weis).
Non va sottovalutata, inoltre, la preoccupazione per i morti. Dall'inizio del
III sec. le comunità poterono creare dei propri cimiteri (a Roma sotto il vesco-
vo Callisto 217-222). In tal modo le comunità cristiane si posero al fianco delle
«associazioni funerarie» romane (collegia funeratica), delle quali si ambiva far
parte. Esse non soltanto provvedevano a una degna sepoltura, ma, con le loro
preghiere di suffragio, si preoccupavano anche della salute eterna dei morti.

3. Il martirio

Semen est sanguis christianorum, così ebbe a scrivere Tertulliano (Apol. 50,13:
«Un seme è il sangue dei cristiani»). Conseguentemente, anche il martirio poté
esercitare un'attrazione, essere visto come «mezzo di richiamo» per il cristia-
nesimo (cf Giustino, Dia!. 110; Ireneo, Adv. haer. IV 33,9; Lettera a Diogneto 7;
Origene, Contra Celsum VII 26; Lattanzio, Inst. V 19,9: Augetur enim religio
Dei, quanto magis premitur, «Aumenta infatti la venerazione di Dio, quanto più
viene repressa»). Impressionava e affascinava da una parte la risolutezza di co-
loro che erano pronti ad affrontare la morte per la loro fede, e dall'altra l'idea
di avere nei martiri dei potenti intercessori presso Dio.
Come tali furono ritenuti in misura crescente anche maestri riconosciuti (cf Gregorio Tau-
maturgo, «Discorso di gratitudine a Origene» IV 40-47) e stimati vescovi, chiamati «amici di
Dio», ai quali si attribuiva la facoltà di mediare l'amicizia con Dio (cf § 15,5; 69).

Ma nell'insieme l'efficacia propagandistica del martirio non può essere so-


pravvalutata. Da un lato, esso non fu un'esperienza duratura, neppure nel II e
§ 14. Le cause della persecuzione 97

nel III sec., dall'altro poté costituire per coloro che si trovavano al di fuori an-
che un elemento di repulsione.

Bibliografia § 13: K. ALAND, Uber den Glaubenswechsel in der Geschichte des Christentums,
Berlin 1961; P. AUBIN, Le problème de la conversion. Étude sur un terme commun à l'hellénisme et
au christianisme des trois premiers siècles, Paris 1963; G. BARDY, Menschen werden Christen. Das
Drama der Bekehrung in den ersten Jahrhunderten, Basel 1988 (frane. 1949); E. R. Donns, Heiden
und Christen in einem Zeitalter der Angst, Frankfurt 1985 (ingl. 1968); E. R. DbRRIE, Gottesvorstel-
lung, in RAC 12 (1983), 81-154; E. FINK-DENDORFER, Conversio. Motive und Mortivierung zur
Bekehrung in der Alten Kirche, Frankfurt/M 1986; R. M. GRANT, Gods and the One God, Phila-
delphia 1986; P. HERRMANN et al., Genossenscha/t, in RAC 10 (1978), 83-155; L. KoEP et al, Be-
stattung, in RAC 2 (1954), 194-219; R. MAc MULLEN, Two Types o/ Conversion to Early Christianity,
in Vig Chr 37 (1983), 174-192; A. D. NocK, Conversion. The Old And the New in Religion /rom
Alexander the Great to Augustine of Hippo, 193 3, rist. Lanham/London 1988; W POPKES, Gemein-
scha/t, in RAC 9 (1976), 1100-1145; F. R. TROMBLEY, Hellenic Religion And Christianii.ation c. 370-
529, 2 voli., Leiden 1993ss.; H. WrnMANN-P. WELTEN et al., Bestattung, in TRE 5 (1980), 730-757.

§ 14. Le cause della persecuzione

P. GUYOT - R. KLEIN, Das /rube Christentum bis zum Ende der Ver/olgungen, voi. I: Die Christen
im heidnischen Staat, t trad. ted. e, Darmstadt 1993; H. RAHNER, Kirche und Staat im fruhen
Christentum, t trad. ted., Miinchen 1961.

1. Il cristianesimo come minoranza religiosa

Durante i primi secoli la diffusione del cristianesimo e la costruzione di


un'organizzazione ecclesiastica furono ripetutamente impedite e minacciate dal-
lo Stato romano. In linea di principio i cristiani erano pronti a inserirsi nelle esi-
stenti strutture del mondo e dello Stato romano (Rm 13,1-7; Tt 3,1; 1 Pt 2,13-
15). Essi pregavano per il potere costituito (1 Tm 2,l-2; I Lettera di Clemente
60,4-61,2; Apologeti), pagavano le tasse (Giustino, Apol, I 17 e altrove) e ri-
spettavano le leggi dello Stato. Ma c'erano dei limiti: si doveva obbedire più a
Dio che agli uomini (Mt 22,21, cf Rm 13,7; At 4,27-29; 1Pt2,17). Una lealtà at-
tuata con senso critico determinava quindi il loro rapporto con lo Stato romano
e una distanza che essi stessi s'imponevano regolava il loro atteggiamento nei
confronti del mondo che li circondava. Infatti, la vita pubblica nell'impero ro-
mano era così legata al culto ufficiale e a pratiche religiose pagane, che i cristia-
ni erano costretti a tenersene lontani a scopo dimostrativo. Come i giudei an-
ch'essi avevano ampiamente goduto inizialmente dei privilegi concessi a una re-
ligio licita (dispensa dal partecipare al culto statale romano, esenzione dal servi-
98 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

zio militare). Soltanto dopo il 70 d.C. si cominciò a distinguere chiaramente, a


Roma, tra cristianesimo e giudaismo.
Ciò che il pubblico pensasse dei cristiani non si può ricostruire con molta
esattezza. Come piccola minoranza religiosa con propri costumi (diversitas mo-
rum), consapevole e ripiena di stimolo missionario, essi dovevano essere visti
con diffidenza da chi li circondava ed erano percepiti come elemenfo di distur-
bo, se non proprio di pericolo. Fonti pagane e cristiane accennano a un insieme
di sospetti, dicerie e accuse (Tertulliano, Apol. 7,1; 8,14). Poiché rifiutavano le
comuni concezioni e pratiche religiose, i cristiani erano considerati come atei.
La loro religione appariva come una superstizione detestabile e dannosa (Taci-
to parla di superstitio exitiabilis e malefica, Ann. 15 ,44). La presunta empietà su-
scitava il sospetto di slealtà politica e d'inaffidabilità per l'impero. Poiché non
partecipavano alla vita pubblica, si rinfacciava loro di nutrire «odio per il gene-
re umano» (odium humani generis, Tacito, Ann. 15,44). Di qui avevano origine
ulteriori insinuazioni, che fanno parte degli abituali pregiudizi contro minoran-
ze malviste: si diceva che essi erano dei malfattori, gentaglia inutile, amante del-
le tenebre (Tertulliano, Apol. 42; Minucfo Felice, Oct. 8,4), un'associazione im-
morale e disonesta che praticava l'infanticidio e l'incesto (Tertulliano, Apol. 7-9;
Minucio Felice, Oct. 9 e altrove). Le dicerie che correvano contro i cristiani si
prestavano a farli apparire come avversari di un ordinamento umano e civile e a
costringerli nel ruolo di «capro espiatorio». Il loro manifesto disprezzo degli
dèi (neglegentia Deorum) poté quindi essere ritenuto come la causa di tutte le
sciagure private e pubbliche: « Se il Tevere straripa, se il Nilo non irriga più i
campi, se il cielo non manda piogge, se c'è un terremoto, se infuria una carestia
o un'epidemia, subito si grida: "I cristiani al leone!" Tanti cristiani destinati ad
un solo leone?» (Tertulliano, Apol. 40,1-2; 42-43; Minucio Felice, Oct., 8,4; cf
Cipriano, Ep. 75,10).
Le diffuse opinioni poterono diventare una convinzione: l'essere cristiani
non si addice all'essere romani. Si tratta di un modo di vivere che contrasta quel-
lo dei romani, disturba l'ordine pubblico e minaccia lo Stato. Nelle discussioni
private (cf Giustino, Apol. II 2; 8 [3]) o nelle tensioni pubbliche potevano na-
scere contrasti con la posizione cristiana degli interessati e si potevano creare in
questo modo disordini e tumulti. Per questo motivo le pubbliche autorità veni-
vano sollecitate a ristabilire la quiete e l'ordine procedendo contro i cristiani.

2. La situazione giuridica

L'era delle persecuzioni da parte del potere politico romano viene suddivi-
sa in due epoche: 1) fino all'imperatore Decio (249-251) ci furono soltanto per-
secuzioni sporadiche, localmente limitate, di singoli cristiani; 2) dall'imperatore
§ 14. Le cause della persecuzione 99

Decio fino al 311 l'azione fu rivolta contro tutta la Chiesa con lo scopo del suo
annientamento. Nella seconda epoca la persecuzione fu basata su editti impe-
riali; nella prima il motivo giuridico non risulta univoco e continua ad essere an-
cora oggetto di discussione.

a) L'IMPERATORE NERONE

Il modo di procedere di Nerone contro i cristi~ni di Roma nell'anno 64


(§ 15,1) è entrato nella storia come prima persecuzione dei cristiani da parte dei
romani. Se il fatto in quanto tale è indiscutibile, ne rimane controversa la spie-
gazione giuridica. Tertulliano parla di un institutum Neronianum (Ad nat. I 7 ,9;
cf Svetonio, Vita Neronis 16,2). Ciò può essere inteso in senso più ampio: con
Nerone cominciò una criminalizzazione ufficiale del cristianesimo. Questa posi-
zione può ritenersi retorica apologetica: di un tale autore delle persecuzioni sia-
mo orgogliosi (Tertulliano, Apol. 5,3; cf Eusebio, H. E. IV 26,9)! Vi si può an-
che vedere un accenno. a una. direttiva di carattere amministrativo in fotma di
Mandatum, con il quale si proibiva di essere cristiani.

b) IL CARTEGGIO EPISTOLARE TRA PLINIO IL GIOVANE E L'IMPERATORE TRAIANO


DALL'ANNO 112
Come governatore della Bitinia, Plinio si trovò alle prese con processi in-
tentati contro cristiani. Egli comunicò all'imperatore le sue perplessità e
l'informò sul suo comportamento (Ep. X 96). C'erano dunque processi con-
tro i cristiani nell'Impero romano, ma senza fondamenti giuridici e modi di
procedere univoci e chiari. Plinio rivolse quindi a Traiano una serie di do-
mande:
La professione di fede cristiana (nomen christianum) è un sufficiente titolo
di reato?
Sono da punire soltanto i delitti inerenti a questa professione (flagitia cohae-
rentia nomini)?
Si deve tener conto dell'età degli accusati?
Sono da giudicare anche i cristiani apostati?
Plinio trovava nei cristiani soltanto una « stramba e smodata superstizione»
(superstitio prava, immodica) e voleva procedere su questa base.
L'imperatore non entrò nel merito di tutte le questioni proposte e rispose
(Ep. X.97: Rescriptum Traiani):
Titolo sufficiente di reato è il nomen christianum; i delitti imputati non han-
no alcuna importanza. L'autorità non deve mettersi alla ricerca dei cristiani
(conquirendi non sunt), ma agire solo dietro denuncia; le denuncie anonime
100 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

non possono essere accettate. Chi nega di essere cristiano non è passibile di
pena, ma deve darne la prova « supplicando i nostri dèi » (supplicando dis
nostris).
Secondo il Rescriptum Traiani proprio il nomen christianum costituisce l'u-
nico fondamento per l'esecuzione capitale. Ma non vi è alcuna prova che Traia-
no abbia introdotto qualcosa di nuovo. Che professione cristiana e lealtà verso
lo Stato romano si escludessero a vicenda era evidentemente un'opinione co-
mune che non veniva messa in discussione né aveva bisogno di una particolare
giustificazione. I cristiani erano ritenuti come un raggruppamento politico che
veniva considerato ostile allo Stato romano.

c) SULLA QUESTIONE DEGLI ALTRI EDITTI IMPERIALI

Il Rescriptum Traiani poté avere valore normativo per i processi contro i


cristiani fino al 250. La lettera di Adriano (117-138) al proconsole della pro-
vincia d'Asia, Minucio Fundano (Giustino, Apol. I 68; Eusebio, H. E. IV 8,7-
9,3 ), scritta nel 124-125, è in tale contesto di difficile interpretazione. Essa di-
sponeva che un'accusa presso il tribunale (delatio) poteva essere presentata
soltanto se colui che la presentava se ne rendeva personalmente responsabile
e se si poteva provare un'azione contro le leggi. La sanzione doveva essere
proporzionata alla gravità del delitto. L'imperatore voleva impedire in tal mo-
do qualsiasi tendenza alla delazione (sykophantia) e pretendeva un processo
legittimo.
La provenienza del testo è discussa: potrebbe trattarsi di una falsificazione cristiana (Nes-
selhauf), di un rescritto immaginario dell'imperatore o di un'autonoma interpretazione delle sue
espressioni, allo scopo di ottenere per i cristiani un migliore status giuridico. Potrebbe trattarsi
anche di una logica prosecuzione dell'editto di Traiano da parte di Adriano.

Un editto favorevole ai cristiani attribuito ad Antonino Pio (138-161) (Eu-


sebio, H. E. IV 13) è chiaramente una falsificazione cristiana.
Secondo la Historia Augusta, Vita Sept. Severi 17,1, Settimio Severo (193-
211) proibì sotto minaccia di pene severe la conversione al giudaismo o al cri-
stianesimo. In effetti, durante il suo regno i cristiani furono vittime di una per-
secuzione da parte dello Stato (per es. ad Alessandria e a Cartagine). Tuttavia,,
le notizie che si conoscono non inducono in alcun modo ad ipotizzare una leg-
ge imperiale. L'annotazione della Historia Augusta deve essere ritenuta una fal-
sificazione tendenziosa della fine del IV sec.
La competenza per i processi apparteneva a tribunali presieduti da magi-
strati: nelle province i governatori, a Roma l'imperatore o il prae/ectus Urbis, e a
partire da Commodo (180-192) il prefetto del pretorio. I processi erano solita-
ment~ pubblici e si celebravano nel foro del luogo dove risiedeva il tribunale.
· § 15. Persecuzioni dei cristiani/ino alla metà del III secolo 101

L'esecuzione capitale (supplicium ultimum) avveniva per lo più, secondo il dirit-


to romano, attraverso la spada, ma anche attraverso il rogo o nell'arena. Nel III
sec. si aggiunsero anche altri tipi di pena: il sequestro dei beni, il carcere, la de-
portazione nelle miniere (campi di lavoro).

Il numero tradizionale di dieci persecuzioni da parte di dieci imperatori romani non corri-
sponde al reale svolgimento della storia. Motivi apologetici (Eusebio, H. E. IV 26,9-10; Tertullia-
no, Apol. 5,3-8) e un'interpretazione tipologica della storia (Sulpicio Severo, Chron. 2,33; Orosio,
Hist. 7,7) crearono un tale schema, che però venne criticato già da Agostino (De civ. 18,52).

Bibliografia§ 14: W. H. C. FRENO, Martyrdom And Persecution in the Early Church, Oxford
1965; R. FREUDENBERGER, Christenverfolgungen I, in TRE 8 (1981), 23.29; J. MOLTIIAGEN, Der ro-
mische Staat und die Christen im 2. und 3. Jh., Gottingen 1970; J. SPEIGL, Der romische Staat und
die Christen. Staat und Kirche von Domitian bis Commodus, Amsterdam 1970; J. VOGT- H. LAST,
Christenver/olgung, in RAC 2 (1954), 1159-1228.
§ 14.1: D. GRODZYNSKI, Superstitio, in REA 76 (1974), 36-60; L. F. }ANSSEN, Superstitio And
the Persecution o/ Christians, in VigChr 33 (1979), 131-159; L. F. }ANSSEN, Die Bedeutungsentiwick-
lung von superstitio/superstes, in «Mnemosyne» 28 (1975), 135-188; F. VITTINGHOFF, Christianus
sum. Das «Verbrechen» von Auflenseitern der romischen Gesellschaft, in Hist. 33 (1984), 331-357.
§ 14.2: H. BABEL, Der Brie/wechsel zwischen Plinius und Trajan uber die Christen in straf
rechtlicher Sicht, Erlangen 1961; T. D. BARNES, Legislation Against the Christians, in JRS 58
(1968), 32-50; E. dal COVOLO, 202 dopo Cristo. Una persecuzione per editto?, in Sal. 48 (1986),
363-369; R. FREUDENBERGER, Das Verhalten der romischen Behorden gegen die Christen im 2.
Jahrhundert - dargestellt am Brief des Plinius an Trajan und an der Reskripten Trajans und Ha-
drians, Miinchen 19692 ; R. FREUDENBERGER, Christenreskript. Ein umstrittenes Reskript des Anto-
ninus Pius, in ZKG 78 (1967), 1-14; H. NESSELHAUF, Hadrians Rescript an Minicius Fundanus, in
« Hermes » 104 (1976), 348-361; K. H. SCHWARTE, Das angebliche Christengesetz des Septimius Se-
verus, in Hist. 12 (1963), 185-208.

§ 1.5. Persecuzioni dei cristiani fino alla metà


del III secolo

Atti dei Martiri: P. T. RUINART, t, 1859, rist. Verona 1931; P. BEDJAN, t sir., 7 voll., 1890ss., ri-
st. Hildesheim 1968; R. KNOPF- G. KROGER- G. RUHBACH, t, 1901, Tiibingen 1965 4 ; F. HALKIN,
Martyrs Grecs IIe-VIIIe siècle, te, London 1974; H. MUSURILLO, t trad. ingl., 1972 (OECT); H.
HYVERNAT, t copto, trad. frane., 1886, rist. Hildesheim 1977; A. A. R. BASTIAENSEN et al., t trad.
it. e, Milano 1987; O. HAGEMEYER, Ich bin Christ. Fruhchristliche Miirtyrerakten, trad. ted., Diis-
seldorf 1961; A. G. HAMMAN, Les martyrs de la Grande Persecution (304-311), trad. frane., Paris
1979; C. ALLEGRO, trad. it., Roma 1974; V. SAXER, Atti dei martiri dei primi tre secoli, trad. it., Pa-
dova 1984; G. A. BISBEE, Pre-Decian Acts o/ Martyrs And Commentarii, Philadelphia 1988.

Origene, Exh. mart.: C. NOCE, trad. it., Roma 1985.


Tertulliano, Ad mart.: P. A. GRAMAGLIA, trad. it. e, Roma 1981.
102 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

L'imperatore Claudio espulse probabilmente i giudei da Roma nel 49. Se-


condo Svetonio, il motivo fu dato da tensioni nella comunità giudaica, «per im-
pulso di un certo Chrestus» (impulsore chresto). L'esempio mostra in che modo
le autorità romane agissero a seguito di disordini nella popolazione. Il loro in-
tervento non era un'azione spontaneamente programmata, ma una reazione ri-
tenuta necessaria. Questo meccanismo determinò la maggior parte delle azioni
di persecuzione fino all'imperatore Decio.

1. La persecuzione della comunità cristiana sotto l'imperatore Nerone

L'incendio scoppiato a Roma nell'estate 64 venne imputato allo stesso im-


peratore (Svetonio, Vita Neronis 38); secondo Tacito, Ann. XV 38-44 (cf Sulpi-
cio Severo, Chron. II 28-29), questi fece ricadere il sospetto sui cristiani presen-
ti a Roma e ne fece giustiziare una «grossa moltitudine» (ingens multitudo; cf
I Lettera di Clemente 6,1). Una più precisa ricostruzione dei fatti non è possi-
bile, ma in tutte le notizie che ci vengono tramandate Nerone viene messo in
connessione con una persecuzione di cristiani romani (Svetonio, Vita Neronis
16,2; Melitone di Sardi: Eusebio, H. E. IV 26,9; Tertulliano, Apol. 5,3; 21,25, ed
Eusebio H. E. II 25). Nel rapporto di Tacito (scritto circa sessant'anni dopo i
fatti) si rivela chiaramente l'avversione dell'autore nei confronti di Nerone, ma
anche il suo disprezzo per i cristiani (cf § 14,1).
La tradizione cristiana menziona in mezzo alla «grande moltitudine» anche gli apostoli Pie-
tro e Paolo (§ 9 e § 10). Il tipo di esecuzione capitale, cioè nel contesto di una «festa popolare»
nei giardini di Nerone (Vaticano), fa escludere tuttavia la morte di Paolo, che era cittadino roma-
no; anche la tradizionale indicazione topografica di una tomba particolare per Paolo parla contro
questa tradizione.

2. Domiziano

A questo imperatore (81-96) si attribuiscono le successive azioni ostili ai cri-


stiani (cf Ap 2,13; 20,4; I Lettera di Clemente 1,1; Melitone: Eusebio, H. E. IV
26,9; Tertulliano, Apol. 5,4). Le testimonianze cristiane hanno un'impronta ine-
quivocabilmente apologetica, quelle non cristiane rimangono confuse. Secondo
Svetonio, Domiziano ordinò che il cugino Flavio Clemente venisse ucciso a cau-
sa della sua nota indifferenza (inertia) di fronte agli interessi dello Stato (Vita
Domitiani 15,1). Secondo Cassio Dione (Hist. Epit. 67, 14,1-2), egli fece giusti-
ziare Flavio Clemente e la sua sposa Domitilla per le accuse di « ateismo» e di
«simpatia per le usanze giudaiche». L'accusa di ateismo potrebbe trovare una
motivazione nell'opposizione di Clemente nei confronti dell'imperatore Domi-
ziano e della sua pretesa di essere adorato con atto di culto. Eusebio volle de-
§ 15. Persecuzioni dei cristiani fino a metà del III secolo 103

durre dalle accuse che i giustiziati fossero cristiani e fece di Domitilla la nipote
di Flavio Clemente (Eusebio, H. E. III 18,4).
Quando Plinio il Giovane(§ 14,2) alcuni anni dopo il regno di Domiziano
dové occuparsi di processi contro cristiani, scrisse che alcuni di essi già venti an-
ni prima avevano dovuto abbandonare la propria fede. Ciò potrebbe alludere a
fatti accaduti sotto Domiziano. Anche l'osservazione critica di Epitteto contro
la disponibilità dei cristiani ad affrontare la morte è da inquadrare probabil-
mente nel contesto di esperienze di martirio cristiano che risalgono a questo
tempo (Diss. IV 7,6).

3. I conflitti del II secolo

Per l'epoca dell'imperatore Traiano (98-117) sono documentati i processi


del governatore Plinio (cf § 14,2b). Sul modo in cui molti cristiani nel territorio
della sua provincia venivano giustiziati non rimane molto da dire. Eusebio men-
ziona per il regno di Traiano il martirio di Simeone di Gerusalemme (Eusebio,
H. E. III 32,3-6 secondo Egesippo) e quello d'Ignazio d'Antiochia a Roma (III
36,3 secondo Ireneo, Adv. haer. V 28,4), che trova conferma nella sua stessa let-
tera ai cristiani di Roma (§ 37, 4).
Dall'epoca del regno di Adriano (117-138) e di Antonino Pio (138-161) ci
sono stati tramandate notizie sicure sul martirio del vescovo Policarpo di Smir-
ne (ca. 160?) e su un'esecuzione capitale a Roma sotto il prefetto della città Q.
Lollio Urbico, di cui furono vittime quattro cristiani (Tolomeo, Lucio, una don-
na e un cristiano di cui non viene detto il nome, cf Giustino, Apol. II 2).
Sotto Marco Aurelio (161-180) crebbe il numero delle persecuzioni con li-
miti locali. L'imperatore filosofo non provò alcuna simpatia per i cristiani (Me-
dit. Xl 3). Il suo maestro Frontone è noto come avversario letterario del cri-
stianesimo; Celso pubblicò sotto Marco Aurelio il suo scritto anticristiano
(§ 17). L'aggravarsi del pericolo per i cristiani si rispecchia negli scritti con-
temporanei degli apologeti. Ma questo pericolo non può spiegarsi con una di-
retta azione ostile contro i cristiani da parte dell'imperatore. Un editto impe-
riale del 17 6/177, con il quale singoli governatori potevano motivare anche
provvedimenti contro i cristiani, proibiva l'introduzione di nuovi culti (Mo-
destino, Dig. 48,19,30). L'incerta situazione dell'impero (carestia, peste, mi-
nacce ai confini) faceva reagire in maniera allarmata la popolazione contro i
«perturbatori della quiete». Il fanatico movimento del montanismo in Asia
Minore (§ 34), con il suo entusiasmo per il martirio, venne inteso dalle auto-
rità come una provocazione. Per la prima volta vennero perseguitati cristiani
in Nordafrica (Martiri di Scili, 17 luglio 180) e in Gallia (Martiri di Vienne e
Lione, Eusebio, H. E. V 1-2).
104 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

Severe persecuzioni soffrirono sotto l'imperatore Settimio Severo (193-


211) diverse comunità cristiane: Cartagine (Perpetua e Felicita), Alessandria
ed Egitto (Eusebio, H. E. VI 1-5), Cappadocia (Tertulliano, Ad Scap. 3), ecc.
Ma a Settimio Severo non si può certamente attribuire una proibizione uffi-
ciale di passare al cristianesimo(§ 14,2). Il suo regno introdusse piuttosto una
nuova era: sotto l'influsso della sua sposa Giulia Domna, figlia del sommo sa-
cerdote del dio Baal di Emesa, della sua sorella Giulia Mesa e della figlia di
costei Giulia Mamea, si affermò pubblicamente a Roma un sincretismo reli-
gioso che rese la corte imperiale un punto di ritrovo di personalità interessan-
ti; da Giulia Mamea venne invitato anche Origene (Eusebio, H. E. VI 21,3 ).
Lo stato d'animo a corte sembra essere stato caratterizzato dall'antica virtù
della liberalitas, ciò che vale anche per i successivi decenni (fino al 235) della
dinastia severiana.
L'avvenimento più importante di quest'epoca è l'estensione del diritto di
cittadinanza romana a tutti i sudditi dell'Impero nel 212 (la cosiddetta Con-
stitutio Antoniniana dell'imperatore Caracalla, 211-217). La maggior parte de-
gli abitanti dell'Impero venne così equiparata ai cittadini romani. Ciò aprì lo-
ro la strada nelle amministrazioni municipali e rese possibile un'ascesa socia-
le, ma legò anche di più i cristiani ai doveri statali e provocò così nuovi con-
flitti.

Alcuni scritti di Tertulliano (soprattutto quelli del suo periodo montanista) si occupano
esclusivamente di questi problemi: nel De idololatria egli rifiuta energicamente l'idolatria in
ogni sua forma e considera conseguentemente tutte le professioni nelle quali non si possono
evitare contatti (artisti, maestri, funzionari) come inconciliabili con la fede cristiana.
Nel De corona egli discute sulle usanze del ceto militare ed arriva ad analoghe conclusioni.
L'elenco delle professioni interdette nella Traditio apostolica (16) d'Ippolito rivela una posi-
zione meno radicale, ma rispecchia le difficoltà che dovevano incontrare maestri, alti funzio-
nari e soldati.

È significativo il fatto che il giurista romano Ulpiano proprio in questo tem-


po (ca. 215) abbia inserito le direttive imperiali contro il cristianesimo nella sua
raccolta giuridica (Lattanzio, Inst. V 11,19). Contro la tendenza liberale vengo-
no ricordate ai governatori delle province le antiche leggi; usi e modi romani
debbono essere preservati da ogni eccessiva penetrazione di elementi stranieri.
Un programma di restaurazione di questo tipo venne formulato da Cassio Dia-
ne (m. ca. 235): «Onora le forze celesti dovunque e in tutti i modi in armonia
con le tradizioni dei nostri padri e costringi anche tutti gli altri ad onorarle. Ma
quelli che eventualmente vogliono alterare la nostra religione con riti estranei ri-
fiutali e puniscili, e non permettere dunque che qualcuno professi l'ateismo o la
magia» (Hist. 52, 36,1-2).
§ 15. Persecuzioni dei cristiani fino a metà del III secolo 105

4. nperdurare dell'incertezza
La tolleranza che si ebbe sotto i Severi, specialmente sotto l'ultimo della di-
nastia, Alessandro Severo (222-235; cf Hist. Aug. XVIII 22,4), cambiò con i suoi
successori a sfavore dei cristiani. Massimino Trace (235-238), un ex-ufficiale
della guardia e il primo di una lunga serie d'imperatori soldati provenienti dai
territori danubiani, fu un dichiarato nemico degli orientali e dei loro seguaci, tra
i quali erano annoverati anche i cristiani. La gravità della situazione fu ricono-
sciuta da Origene, che in questo tempo scrisse la sua Exhortatio ad Martyrium.
Secondo Eusebio (H. E. VI 28), l'azione dell'imperatore deve essersi rivolta con-
tro le personalità di maggiore spicco del clero. Si ha testimonianza, tuttavia, sol-
tanto del martirio del vescovo romano Ponziano e di quello d'Ippolito di Roma
(esilio e morte in Sardegna). Gli episodi di martirio verificatisi in Cappadocia in
quel tempo si potrebbero nuovamente attribuire alla consueta sollevazione del
popolo, poiché risultano preceduti da una catastrofe sismica (Cipriano, Ep.
75,10). Filippo l'Arabo (244-249) apparve al vescovo alessandrino Dionigi già
così amico dei cristiani da essere ritenuto da lui come cristiano (Eusebio, H. E.
VI 34; VII 10,3), ciò che tuttavia non corrisponde assolutamente al vero. Anche
sotto di lui i cristiani rimasero esposti al pericolo; in Alessandria si arrivò nel 249
a sanguinosi eccessi (Eusebio, H. E. VI 41,1-9).
Nella prima metà del III sec. la situazione fu per la prima volta favorevole ai
cristiani. La diffusione e l'organizzazione della Chiesa poterono allora essere
portate avanti in maniera significativa. Ma le condizioni continuarono ad essere
precarie. In questo, come già nel II sec., fu determinante non tanto la posizione
dell'imperatore nei confronti del cristianesimo, quanto invece l'atteggiamento
del popolo e il comportamento dei funzionari delle province, che potevano es-
sere del tutto contrari a un atteggiamento tollerante o indifferente dell'impera-
tore e agire di conseguenza nel loro territorio (cf Tertulliano, Ad Scapulam).

5. Il martirio cristiano

a) TERMINOLOGIA

Dalla consapevolezza che i cristiani andavano incontro alla morte per la lo-
ro fede nacque nel II sec. la venerazione dei «martiri». La passione e la morte
violenta per la fede cristiana vennero intese come« testimonianza» (µcxprnptl"v;
µcxp-rnpicx; µcxp-cuptov); il giustiziato venne ritenuto semplicemente come il
«martire» (µap-cuç). Questa terminologia si trova per la prima volta nella rela-
zione sulla morte del vescovo Policarpo di Smirne (ca. 160?), ma potrebbe es-
sere sorta già precedentemente in Asia Minore. Il «testimone» era adesso non
106 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

più semplicemente l'annunciatore del messaggio di Gesù Cristo, ma colui che


nelle parole e nei fatti gli dava testimonianza fino al dono della propria vita.
Il martirio fu ritenuto come la forma suprema di sequela di Cristo e il mo-
do più perfetto di essere suoi discepoli (Ignazio d'Antiochia, Ad Rom. 5 ,3). Il
concetto di morte come testimonianza cristiana si formò fondamentalmente nel
corso del II sec. e si sviluppò in una vera e propria teologia del martirio: poiché
il martire moriva nella comunione con Cristo, veniva a partecipare della sua vi-
ta eterna e del suo splendore presso Dio. I martiri diventavano così non soltan-
to modelli, ma anche intercessori per i credenti. Le fonti più importanti per que-
sti concetti sono la Lettera ai Romani d'Ignazio d'Antiochia, il Pastore di Erma
(Vist'o 3,1,8-9; Sim. 8,3,6-7) e di nuovo il Martyrium Polycarpi. La loro com-
prensione risulta influenzata da concetti giudaici (Daniele, Maccabei) e indiret-
tamente anche da idee ellenistiche (cf specialmente Epitteto, Diss. III 26,28).
Nel contesto martirologico va inserito anche il titolo di« confessore» (6µ0-
A.oyiJ'tTJç, confessar). Poiché il termine martys fu riservato per la testimonianza
del sangue, quei cristiani che nella persecuzione avevano dovuto soffrire in ma-
niera particolare, ma erano sopravvissuti, vennero chiamati «confessori». La lo-
ro sofferenza venne considerata come confessione qualificata, che era possibile
soltanto grazie a una particolare assistenza divina (cf Ippolito, Trad. apost. 9).

b) LA TRADIZIONE DEL CULTO DEI MORTI

Il martirio di Policarpo è la prima testimonianza della venerazione di un mar-


tire cristiano. I cristiani di Smirne si premurarono di ottenere le spoglie mortali del
loro vescovo giustiziato e «le seppellirono in un luogo degno» (18,2). Presso la
tomba del santo essi vollero riunirsi nel giorno anniversario del suo martirio, con-
siderato come il suo giorno natalizio per il cielo (18,3 ). La venerazione fu legata al-
la tomba e dedicata alla commemorazione della morte. Essa doveva preparare co-
loro che erano impegnati nella commemorazione a una possibile lotta nel futuro.
Questo nesso tra spazio e tempo si ritrova nella tradizione del culto antico dei
morti. I giudei conoscevano tombe di santi: tombe di profeti che, a quanto si rite-
neva, erano morti di morte violenta. In diversi luoghi essi erano considerati come
intercessori e mediatori tra gli uomini e Dio. Non è certo se presso queste tombe si
sia sviluppato un vero e proprio culto. Presso i pagani vi erano tombe di eroi e si
stabilivano giorni festivi in loro onore; ad essi si portavano doni e se ne sperava un
aiuto. Sia il culto degli eroi che quello dei martiri hanno la loro radice nel culto dei
morti. Ma da parte cristiana questo culto crebbe in considerazione dell'importanza
dei martiri e venne trasferito dalla sfera privata in quella pubblica della comunità.
Soltanto più tardi, quando la venerazione dei martiri assunse forme più cospicue, i
cristiani presero dei prestiti dall'antico culto degli eroi. Per gli inizi non è possibile
indicare, oltre alla comune radice del culto dei morti, altre connessioni.
§ 15. Persecuzioni dei cristiani fino a metà del III secolo 107

c) INIZI DELLA LETTERATURA SUI MARTIRI

I martiri vennero celebrati anche letterariamente. Il martirio di Policarpo


rappresenta di nuovo, a questo proposito, il primo documento. Per i documen-
ti di martirio dell'epoca successiva possono distinguersi due generi:
- Il Martyrium, o Passio, è un racconto dell'intera passione e morte e, in
quanto tale, relazione e interpretazione dei fatti in un unico documento. I più
antichi martyria ci sono pervenuti in forma epistolare: la comunità di Smirne
scrive alla comunità di Filomelio sul martirio del suo vescovo Policarpo; la co-
munità di Lione e Vienne ai fratelli in Asia e Frigia sul martirio del 177/178.
La Passio di Perpetua e Felicita (202/203 a Cartagine) consiste in gran par-
te in annotazioni personali della martire Perpetua e del martire Saturo, che fu-
rono introdotte e integrate da un redattore.
- Il secondo genere è il verbale del processo (Acta). L'atto suscita l'impres-
sione di una stesura autentica e di una registrazione precisa del processo giudi-
ziario. In realtà, soltanto il fatto del processo è storico. Il presunto verbale ven-
ne redatto in forma letteraria: apologia cristiana in forma di verbale giudiziario.
Prediche di martiri e leggende di martiri comparvero soltanto in epoca post-
costantiniana. Nella Chiesa precostantiniana si ebbero esortazioni parenetiche a
cristiani in condizioni di sofferenza, che dovevano incoraggiare alla perseveran-
za di fronte al martirio imminente. Gli esempi più noti sono l'Ad martyres di
Tertulliano e l'Exhortatio ad martyrium di Origene.

Bibliografia§ 15: P. GERLITZ et al., Martyrium, in TRE 22 (1992), 196-220.


§ 15.1: A. GIOVANNINI, Tacitus, l'incendium Neronis et !es chrétiens, in REAug 30 (1984), 3-
23; W. RORDORF, Die Neronische Christenver/olgung im Spiegel der apokryphen Paulusakten, in
NTS 28 (1982), 365-384.
§ 15.2: P. KERESZTES, The Jews, the Christians And the Emperor Domitian, in VigChr 27
(1973 ), 1-18; P. PERGOLA, La condamnation des Flavien «chrétiens» sous Domitien. Persécution re-
ligieuse ou repression à charactère politique?, in MEFRA 90 (1978), 407-423.
§ 15.3: D. BERWIG, Mark Aure! und die Christen, Miinchen 1970; E. dal CovoLO, I Severi e
il cristianesimo. Ricerche sull'ambiente storico-istituzionale delle origini cristiane tra il secondo e il
terzo secolo, Roma 1989; E. dal COVOLO, La politica religiosa di Alessandro Severo. Per una valu-
tazione dei rapporti tra l'ultimo dei Severi e i cristiani, in Sal. 49 (1987), 259-375; W. LAMEERE,
L'empereur Mare Aurèle, in RUB 1975, 347-399.
§ 15.4: A. LIPPOLD, Maximinus Thrax und die Christen, in Hist. 24 (1975), 479-492.
§ 15.5: T. BAUMEISTER, Die An/ange der Theologie des Martyriums, Miinster 1980; G. BuscH-
MANN, Martyrium Polycarpi- Eine /ormkritische Studie, Berlin/New York 1994; C. BUTTERWECK,
«Martyriumssucht »in der Alten Kirche, Tiibingen 1995; A.]. DROGE, A Noble Death. Suicide And
Martyrdom among Christians And ]ews in Antiquity, San Francisco 1992; P. HABERMEHL, Perpetua
und der Agypter oder Bilder des B0sen im /ruhen a/rikanischen Christentum, Berlin 1992; W C.
WEINRICH, Spirit And Martyrdom. A Study o/ the Work o/ the Holy Spirit in Contexts o/ Persecution
AndMartyrdom in the NT And Early Christian Literature, Washington 1981; D. WENDEBOURG, Das
Martyrium in der Alten Kirche als ethisches Problem, in ZKG 98 (1987), 295-320.
108 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

§ 16. La persecuzione della Chiesa

Libelli: J. R. KNIPFING, t trad. ingl., in HThR 16 (1923 ), 345-390; cf § 15.

1. L'impero minacciato

Nel III sec. il cristianesimo non poteva più essere ignorato. L'attrazione
esercitata dalle sempre più numerose comunità era immutata e in numero cre-
scente veniva attratto anche lo strato sociale più alto (cf Ippolito, Re/ut. IX 12;
è l'ambiente sociale che si rispecchia negli scritti di Cipriano o nel Symposium
di Metodio d'Olimpo). Ciò accelerava l'integrazione sociale delle comunità cri-
stiane ed apriva loro nuove possibilità, ma acuiva anche di più il problema del
rapporto tra cristiani e Stato romano (cf § 14 ,3). La Chiesa mostrava la sua for-
za soprattutto attraverso la sua salda organizzazione, sorretta da un clero gerar-
chicamente ordinato, come anche attraverso i suoi sforzi per un'unità oltre la di-
versità dei luoghi e una coesione al di sopra delle differenze regionali (cf §§ 18-
21). In effetti, il cristianesimo era ancora, sul piano civile e giuridico, un'entità
anonima, mentre dal punto di vista ufficiale rappresentava una comunità messa
al bando e proibita; ma i cristiani consapevoli non badavano molto a una tale si-
tuazione. Secondo Cipriano di Cartagine, l'imperatore Decio temeva un nuovo
vescovo in Roma più di un usurpatore (Ep. 55,9).
Nel terzo secolo la situazione nell'Impero Romano si rese sempre più insta-
bile. Le crisi di governo divennero più frequenti. Tra il 235 e il 284 si contesero
il trono più di trenta imperatori. In questa situazione i detentori del potere di-
vennero sensibili di fronte ad ogni minaccia che poteva venire alla sicurezza sia
interna che esterna. La desolata situazione dell'Impero venne interpretata come
conseguenza della neglegentia Deorum (abbandono degli dèi), del distacco dal
mos maiorum (usi e costumi degli antenati), precedentemente tenuto in altissi-
ma considerazione. Tutti e due questi atteggiamenti si potevano ravvisare pres-
so i cristiani. La« questione cristiana», quindi, non si poteva più differire (cf Ci-
priano, Ep. 75, 10-11; Ad Demetrianum 2-7; Eusebio, H. E. VI 41-42).

2. La persecuzione sotto l'imperatore Decio

Origene richiamò l'attenzione sulla svolta cui aveva dato inizio l'imperato-
re Decio (249-251). «Da questo momento le persecuzioni non si svolsero più
in maniera sporadica come prima, ma in forma comune e generalizzata» (Ori-
§ 16. La persecuzione della Chiesa 109

gene, Comm. Matth. ser. 39). Eusebio affermò che l'imperatore aveva dato ini-
zio alla persecuzione per odio contro il predecessore Filippo (H. E. VI 39,1; cf
Oracoli Sibillini XIII 79-88). Ciò semplifica sicuramente la motivazione del-
l'imperatore, ma ne chiarisce anche gli sforzi per un nuovo orientamento poli-
tico. Decio proveniva dalla Pannonia ed aveva nelle truppe pannoniche, che
non avevano alcun rapporto con il cristianesimo, la sua forza principale. Egli
portò con sé l'entusiasmo per Roma che era tipico dei paesi danubiani e pro-
mosse come restitutor sacrorum et libertatis un'ampia politica di restaurazione.
La venerazione degli antichi dèi, che aveva garantito per così lungo tempo la
prosperità dello Stato romano, doveva essere completamente restaurata ed as-
sicurata. In luogo dell'idea cosmopolitico-umanistica di cittadinanza e della
nuova religiosità (neoplatonismo e cristianesimo), che si traduceva nell'alienar-
si dal mondo e nel preoccuparsi per l'anima, doveva nuovamente farsi strada
un'etica patriottica legata alle tradizionali virtù romane. Una prima azione con-
tro la Chiesa si ebbe certamente sul finire del 249, poiché per l'inizio dell'anno
seguente è testimoniato il martirio di alcuni vescovi: Alessandro di Gerusalem-
me, Babila d'Antiochia (Eusebio, H. E. VI 39,3-4) e certamente anche il ve-
scovo romano Fabiano (Eusebio, H. E. VI 39,1; Cipriano, Ep. 9,1). Altri ve-
scovi, come Cipriano di Cartagine, Dionigi d'Alessandria e Gregorio Tauma-
turgo (Gregorio di Nissa, Vita S. Gregorii Thaumaturgi [PG 46, 949A; Opera X
1, p. 49), poterono salvarsi con la fuga (Eusebio, H. E. VI 40, lss.; Cipriano,
Ep. 20 e altrove).
Nel febbraio 250 l'imperatore intimò con un editto a tutti gli abitanti del-
l'Impero una supplica accompagnata da un'offerta sacrificale, una supplicatt'o
ture ac vino (sacrificio con incenso e vino) davanti agli dèi del popolo romano.
Con quest'atto si doveva riconoscere agli dèi il diritto che era loro dovuto. Il
modo di procedere era stabilito con precisione: tutti i cittadini dell'Impero do-
vevano presentarsi e sacrificare davanti alla commissione sacrificale del proprio
luogo di residenza; a documentazione di quest'atto essi ricevevano un certifica-
to scritto (libellus). Sono stati trovati oltre quaranta libelli di questo tipo, che
presentano un formulario redatto in maniera uniforme: «Alla commissione scel-
ta per la sorveglianza dei sacrifici. Io ho sempre sacrificato agli dèi e anche ades-
so ho offerto alla vostra presenza nel modo prescritto libazioni e sacrifici d' ani-
mali e ho assaggiato la carne sacrificale, e vi prego di darmene il dovuto attesta-
to. State bene!» (firma e data; libellus 3 ).
Con l'atto sacrificale ogni suddito dell'Impero doveva dimostrare la propria
preoccupazione per la salus publica e la sua fedeltà all'imperatore. In tali circo-
stanze, l'azione doveva necessariamente tradursi in un massiccio attacco alla
Chiesa cristiana. Anche se i cristiani non venivano costretti direttamente all' a-
postasia, l'esecuzione dell'atto sacrificale comportava il rinnegamento della loro
fede. In caso di rifiuto del sacrificio, si lasciava chiaramente alle autorità locali
110 II. Gli inizi della Chiesa e la sua di/fusione nei primi tre secoli

ogni decisione circa il tipo di provvedimento punitivo: prigionia, tortura, se-


questro dei beni, esilio e morte (Eusebio, H. E. VI 41).
Tutta una schiera di cristiani rimase certamente salda nella propria fede e morì
nelle prigioni o in conseguenza delle torture subìte. Ma il numero degli apostati
fu alto, come risulta dalla corrispondenza di Cipriano di Cartagine e di Dionigi
d'Alessandria. I cristiani, tra i quali anche dei vescovi (Cipriano, Ep. 59,10; 65,1;
67,6; Martyrium Pianti" 15,2; 16,1; 18,13), che obbedirono all'editto imperiale,
vennero detti sacrificati se avevano compiuto l'intero sacrificio, thuri/icati se ave-
vano offerto incenso, e libellatici se si erano procurati il certificato di sacrificio ri-
correndo alla corruzione. Lo scritto di Cipriano De lapsis ci fornisce il quadro mi-
gliore di quanto accadde e ci fa conoscere il problema pastorale di fronte al qua-
le le comunità dovettero trovarsi dopo una tale apostasia di massa (cf § 24; 35,2).
Le disposizioni imperiali ebbero applicazione per oltre sei mesi, fino a quan-
do l'invasione dei Goti richiamò l'imperatore nei paesi danubiani. Con la sua
morte precoce, avvenuta nel giugno 251, la persecuzione era giunta al suo termi-
ne. «La pace viene restituita alla Chiesa e la nostra sicurezza viene ristabilita» (Ci-
priano, De laps. 1). Ciò valeva sicuramente per il Nordafrica. A Roma il vescovo
Cornelio venne esiliato a Civitavecchia (Centumcellae), dove morì nel 253 (Ci-
priano, Ep. 60/61); anche il suo successore, Lucio, venne inviato in esilio (Cipria-
no, Ep. 61,1). Anche in Alessandria ci furono altre persecuzioni, che ebbero fine
provvisoriamente soltanto con l'ascesa al trono dell'imperatore Valeriano nel 253.

3. La persecuzione sotto l'imperatore Valeriano

L'imperatore Valeriano (253-260), che conosceva perfettamente la politica


di Decio, mostrò inizialmente di non avere alcun interesse a proseguirla, ma nel
quarto anno del suo regno cambiò atteggiamento. Dopo aver pacificato militar-
mente i confini, si rivolse al nemico presente all'interno dell'Impero. I provve-
dimenti contro i cristiani trovavano la loro motivazione in due editti.
Il primo editto (agosto 257) imponeva al clero la supplicatio davanti agli dèi
romani. Venivano proibite le riunioni cristiane e la visita dei cimiteri (Eusebio,
H. E. VII 11,10). Il rifiuto di sacrificare veniva punito con l'esilio.
Il secondo editto (estate 258; Cipriano, Ep. 80) mutava la punizione dell'e-
silio nell'immediata esecuzione capitale ed estendeva l'obbligo del sacrificio ai
senatori, agli alti funzionari e ai cavalieri cristiani. I laici di ceto aristocratico do-
vevano perdere rango, uffici, beni patrimoniali e, in caso d'irremovibilità del lo-
ro rifiuto, erano condannati all'esecuzione capitale. Anche le donne apparte-
nenti al ceto elevato degli Honestiores venivano punite con il sequestro del pa-
trimonio e con l'esilio, e ai funzionari imperiali (Caesariani) si minacciavano la
sottrazione dei beni e i lavori forzati.
§ 16. La persecuzione della Chiesa 111

Entrambi gli editti dovettero colpire severamente la Chiesa cristiana. Nella


misura in cui i cristiani non riconoscevano gli antichi dèi come forze che pro-
teggevano l'imperatore e l'Impero, e quindi non praticavano la religione roma-
na (Romanam religionen colere) e non prendevano parte al culto dello Stato (Ro-
manas caeremonias recognoscere), si minacciava loro lo sterminio della Chiesa.
La persecuzione ebbe termine solo nel 259, quando Valeriano, sconfitto nella
guerra contro i Persiani, venne fatto prigioniero e giustiziato (Lattanzio, De
mort. pers. 5). Questa persecuzione ebbe delle vittime illustri. Cipriano venne
giustiziato il 14 settembre del 258 e Sisto morì a Roma il 6 agosto dello stesso
anno; nella spagnola Tarragona toccò al vescovo Fruttuoso, mentre Dionigi d'A-
lessandria riuscì a sopravvivere.

4. Una tacita e interessata tolleranza

La crudele persecuzione di Valeriano non aveva ottenuto il suo scopo. I cri-


stiani avevano mostrato maggiore fermezza di quanta ne avevano mostrata sot-
to Decio; l'organizzazione risultava rafforzata ed aveva superato la prova. Il fi-
glio e successore di Valeriano, Gallieno (260-268), non proseguì la politica osti-
le ai cristiani che era stata messa in atto da suo padre. Egli restituì i luoghi di
culto e i cimiteri sequestrati ed abolì tutte le misure restrittive; «i ministri della
Parola potevano dedicarsi liberamente ai loro consueti doveri» (Eusebio, H. E.
VII 13 ). Questa libertà, già decretata dall'imperatore in diversi editti, venne da
lui menzionata nei suoi vari aspetti in una lettera ai vescovi egiziani (Ibidem).
Per la prima volta, così, si stabiliva in un editto imperiale un rapporto tra libertà
e culto cristiano. Non per questo il cristianesimo diventava ufficialmente una re-
ligio licita, ma veniva tollerato come raggruppamento religioso specifico, se ne
prendeva atto in via ufficiale e veniva riconosciuto nel suo diritto di proprietà.
Dionigi d'Alessandria celebrò per questo motivo l'imperatore nei toni più alti
(Eusebio, H. E. VII 23, 1-3) e non badò al fatto che Gallieno, in una situazione
politicamente pericolosa, aveva cercato degli alleati (Eusebio, H. E. VII 21-22).
La Chiesa era divenuta oggetto di calcolo politico.
La coesistenza padfica tra Impero e Chiesa proseguì sotto l'imperatore Au-
reliano (270-275). Egli rispettò le decisioni del suo predecessore. Nella contro-
versia sul vescovo antiocheno Paolo di Samosata l'imperatore acconsentì a una
rogatoria a favore della Chiesa: «Era dovere del vescovo d'Antiochia stare in co-
munione con i vescovi d'Italia e di Roma» (Eusebio, H. E. VII 30,19). Paolo si
trovava al servizio della regina Zenobia di Palmira, che fu vinta da Aureliano nel
272. A causa della sua teologia trinitaria modalistica e di una cristologia adozia-
nistica (§ 32), egli venne deposto da un sinodo tenuto in Antiochia(§ 27,6), ma
poté essere allontanato solo con l'intervento delle autorità. Personalmente, Au-
112 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

reliano non era in alcun modo incline al cristianesimo. Egli adorava il« Sole in-
vitto» (Sol invictus) e intendeva unificare religiosamente l'Impero sotto il suo
culto. Questa intenzione avrebbe condotto a una nuova controversia con il cri-
stianesimo per un periodo piuttosto lungo del suo regno, come c'informano Eu-
sebio (H. E. VII 30,20-21) e Lattanzio (De mort. pers. 6, 1-2).

5. La crisi sotto Diocleziano e Galerio

a) LA POLITICA DI DIOCLEZIANO E LA PRIMA TETRARCHIA

Durante gli ultimi quattro decenni del III sec. la Chiesa poté vivere abbastan-
za indisturbata. L'imperatore Diocleziano (284-305) inizialmente non po~tò alcun
mutamento al precedente corso religioso-politico. La spartizione del potere, con
cui si cercò di reagire alla difficile situazione dell'Impero, non apportò a questo ri-
guardo alcuna novità: nel 286 Massimiano divenne Augusto per la metà occiden-
tale dell'Impero, mentre Diocleziano si riservò quella orientale, e nel 293 ciascun
Augusto prese un Cesare come socio nel regno e successore al trono: Galerio in
Oriente, Costanzo Cloro in Occidente. Il «comando di quattro» (prima tetrar-
chia) fu tenuto insieme con saldi vincoli: Galerio era il genero di Diocleziano e Co-
stanzo Cloro lo era di Massimiano. Tutti e due gli Augusti ancorarono la loro so-
vranità nel potere divino: Diocleziano la faceva derivare da Giove, Massimiano si
scelse come nume tutelare Ercole. Diocleziano, figlio di un contadino della Dal-
mazia, che aveva cominciato la sua carriera come semplice soldato, divenne uno
dei più importanti imperatori. Il suo programma di governo fu caratterizzato da
una riforma politica di tipo conservatore e da una restaurazione religiosa. Il suo
scopo fu quello di regolare tutto secondo le antiche leggi e l'ordinamento pubbli-
co dei Romani (publica disciplina Romanorum) (cf l'editto del 295 sul matrimonio,
Legum Mosaicarum et Romanarum Legum Coli. VI 4,6: «Le nostre leggi proteggo-
no soltanto le cose sacre e venerande, e.per questo la potenza romana è cresciuta
in maniera così poderosa con il favore della forza divina»). La fedeltà al costume
tradizionale (mos maiorum), agli« dèi immortali», e la speranza di un costante« fa-
vore degli dèi » erano difficilmente conciliabili con la tolleranza verso quel gruppo
di popolazione che rifiutava notoriamente questi valori. Nel 297 Diocleziano
emanò un editto contro i manichei e procedette severamente contro coloro « che
contrappongono le nuove e vergognose sette alle più antiche religioni» (Coli. XV
3 ,3): «Siamo ricolmi di un incredibile zelo che ci spinge a punire l'ostinazione (per-
tinacia) con cui individui oltremodo indegni persistono nel loro modo distorto di
pensare (prava mens) »(Coli. XV 3,3). Una tale concezione rivela quel pensiero re-
ligioso-politico che già precedentemente aveva motivato l'atteggiamento ostile nei
confronti dei cristiani da parte degli imperatori romani.
§ 16. La persecuzione della Chiesa 113

b) GLI EDITTI DI PERSECUZIONE

Questo atteggiamento spinse infine l'imperatore a procedere contro i cri-


stiani. Dalla sua religiosità ispirata ali' antica Roma, caratterizzata da una certa
pretesa d'esclusività, scaturì l'intenzione di riunire tutti i sudditi dell'Impero
sotto gli antichi culti. Ma, di fronte alla resistenza opposta dai cristiani, egli po-
teva raggiungere il suo scopo soltanto attraverso la loro completa eliminazione.
Dopo la vittoria contro i Persiani ebbero inizio nel 298 i prowedimenti contro
i cristiani. Innanzitutto essi furono allontanati dall'esercito, un procedimento
che poté essere causato dall'atteggiamento provocatorio di soldati e ufficiali cri-
stiani (Eusebio, H. E. VIII 4,2-3; Lattanzio, De mort. pers. 10,4; diversi Atti di
Martiri). I sostenitori ufficiali del paganesimo incoraggiarono l'imperatore a
proseguire sulla strada intrapresa.
Il 23 febbraio 303 Diocleziano emanò un primo editto: si dovevano di-·
struggere le chiese dei cristiani, proibire le loro riunioni e bruciare i testi sacri.
I cristiani venivano privati dei loro uffici, dei loro titoli e della loro capacità giu-
ridica (Lattanzio, De mort. pers. 13,1; Eusebio, H. E. VIII 2,4). Il provvedimen-
to ebbe immediata efficacia; non fu legato a un ordine di compiere un sacrificio
e perseguì un chiaro obiettivo: l'annientamento del cristianesimo.
Nell'estate del 303 seguirono il secondo e terzo editto: il clero venne arre-
stato e costretto a sacrificare (Eusebio, H. E. VIII 3 ,1-4; Eusebio, Mart. Palaest.
1,4). Sembra tuttavia che queste disposizioni non avessero in occidente una pie-
na attuazione.
In un quarto editto, emanato nella primavera del 304, Diocleziano dispose
che tutta la popolazione dell'Impero dovesse offrire un sacrificio (Lattanzio, De
mort. pers. 15,4; Eusebio, Mart. Palaest. 3,1). Attraverso il sacrificio i cristiani
dovevano essere costretti all'apostasia dalla loro fede. In caso di resistenza veni-
vano torturati e, qualora avessero persistito nel rifiuto, venivano puniti con la
morte (Eusebio, H. E. VIII 10).
L'ultimo editto ebbe attuazione nelle singole parti dell'Impero con vario esi-
to. La più ampia applicazione si ebbe in oriente, ma anche qui tra incompren-
sioni e resistenze. In Egitto la sua attuazione sfociò in un disordine che rasentò
la guerra civile (Eusebio, H. E. VIII 7-10); Eusebio, Mart. Palaest. 5,3). Nel lon-
tano occidente l'editto non venne affatto rispettato da Costanzo Cloro (Lattan-
zio, De mort. pers. 15,7). Massimiano sembra averlo applicato con esitazione;
nella primavera del 305 eglì stabilì un giorno comune per il sacrificio (Lattan-
zio, De mort. pers. 15,6).
I testimoni cristiani rilevarono che nella parte occidentale dell'Impero, go-
vernata da Costanzo Cloro, i prowedimenti di persecuzione vennero applicati
solo a malincuore. Sotto l'impressione della svolta attuata da Costantino, figlio
di Costanzo, è possibile che se ne sia trasfigurata la prospettiva. Si deve anche
114 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

considerare che i cristiani in questi paesi erano presenti in numero di gran lun-
ga inferiore. Infine, la durezza di Diocleziano, che risultava contraria alla tradi-
zionale tolleranza romana, non riscosse un consenso unanime neppure presso i
non cristiani (Lattanzio, De z'nst. V 19, 22-23; 22, 21-24). La crudeltà dei prov-
vedimenti di persecuzione si rispecchia nelle testimonianze cristiane, anche se
va tenuto conto dell'esagerazione retorico-letteraria (Lattanzio, Eusebio). Al
modo insolito di condurre la lotta la parte cristiana reagì non raramente con
emotività provocatoria. Il numero delle vittime fu considerevole, specialmente
nei territori degli antichi nuclei cristiani dell'oriente, dell'Egitto e del Nordafri-
ca. Questi anni di persecuzione si trasformarono in una decisiva prova di forza
tra romanità e cristianesimo.

c) LA SECONDA TETRARCHIA

Il 1° maggio del 305 Diocleziano e Massimiano abdicarono di comune ac-


cordo e salirono al trono come Augusti i loro due soci Galerio e Costanzo Clo-
ro. In oriente divenne Cesare Massimino Daia e in occidente Flavio Valerio Se-
vero. Dopo questo avvicendamento si ebbe inizialmente una pausa nella perse-
cuzione, che però in oriente riprese già un anno dopo in tutta la sua durezza e
asprezza. In occidente le lotte tra i diadochi condussero a una sua definitiva ces-
sazione (cf § 41,1). Il problema dei cristiani non trovò più nell'Impero unari-
sposta unitaria (Eusebio, Mart.Palaest. 13,lss.).
L'imperatore Galerio (305-311) pose fine alla persecuzione il 30 aprile del
311. Con il suo editto di tolleranza, che venne pubblicato nel nome dei suoi so-
ci Licinio, Costantino ed anche Massimino Daia, egli ammise il fallimento della
politica religiosa imperiale. L'imperatore tolse quindi i cristiani dalla loro condi-
zione d'illegittimità e concesse loro il libero esercizio della propria religione:
«Essi potevano essere nuovamente cristiani e restaurare i loro luoghi di riunio-
ne, ma a condizione di non agire in alcun modo contro l'ordinamento vigente»
(Lattanzio, De mort. pers. 34; Eusebio, H. E. VIII 17,3-10). In tal modo il cri-
stianesimo era divenuto relz'gz'o lz'cz'ta, ma sottoposto all'ordinamento superiore
della dz'scz'plz'na Romana. La religiosità politica romana rivendicava finalmente per
sé anche il cristianesimo: «È loro dovere pregare il loro Dio per la nostra salute,
per quella dello Stato e per quella propria» (Ibidem). Il Deus Chrz'stz'anorum fa-
ceva parte ora di quelle forze divine che garantivano la salus publz'ca dell'Impero.
Bibliografia§ 16.2: K. GROll, Decius, in RAC 3 (1957), 611-629; R. SELINGER, Die Religions-
politik des Kaisers Decius. Anatomie einer Christenver/olgung, Frankfurt 1994; M. B. von
STRITZKY, Erwagungen zum Decischen Op/erbe/eh! und seinen Folgen unter Beriichsichtigung der
Beurteilung durch Cyprian, in RQ 81 (1986), 1-25.
§ 16.3: C. J. HAAS, Imperia! Religious Policy And Valerian's Persecution o/ the Church, A. D.
257-260, in ChH 52 (1983), 133-144; K.-H. SCHWARTE, Die Christengesetze Valerians, in W. Eck
(a cura di), Religion und Gesellscha/t in der romischen Kaiserzeit, Koln 1989, 103-163.
§ 17. La discussione letteraria-scientifica con il cristianesimo 115

§ 16,4: C. ANDRESEN, Der Erla/5 des Gallienus and die Bischo/e Àgyptens, in StPatr 12 (1975),
385-398.
§ 16.5: H. ALTENDORF, Galerius, in RAC 8 (1972), 786-796; S. FILOSI, I.:ispirazione neoplato-
nica della persecuzione di Massimino Daia, in RSCI 41 (1987), 79-91; W. H. C. FREND, Prelude to
the Great Persecution. The Propaganda War, in JEH 38 (1987), 1-18; F. KoLB, Diocletian und die
erste Tetrarchie, Berlin 1987; S. WILLIAMS, Diocletian And the Roman Recovery, London 1985.

§ 17. La discussione letteraria-scientifica


con il cristianesimo

1. Polemica letteraria contro i cristiani

Epitteto, Dissertationes: ]. SOUILHÉ, t trad. frane., 4 voli., Paris 1943-1965 (CUFr); F. D'AMBRO-
SIO, trad. it., Napoli s.d.
Luciano di Samosata, De morte peregrini: D. MELDI, trad. it., Genova 1988 2 •
Marco Aurelio, Ad se ipsum: R. NICKEL, t trad. ted., Miinchen 1990; W. THEILER, t trad. ted. e, Zii-
rich 1984 3; G. M. A. GRUBE, trad. ingl., lndianapolis 1983; C. CARENA, trad. it., Torino 1986.

La persecuzione statale non può essere vista separata dalla discussione let-
teraria con la religione cristiana. Quanto più forte era la presenza dei cristiani,
tanto più intenzionale era l'attacco da loro subìto in letteratura. Accanto ad at-
. tacchi sporadici contenuti in certi scritti come quelli di Epitteto (ca. 50-130:
Diss. IV 7,6), di Marco Aurelio (161-180: Medit. XI,3), o di Frontone di Cirta,
maestro dell'imperatore, per i quale i cristiani« erano gentaglia che temeva la lu-
ce ed agiva nelle tenebre» (Minucio Felice, Oct. 8,4), o del medico greco Gale-
no (ca. 13 3-193), furono scritti trattati veri e propri contro i cristiani. Lo scrit-
tore satirico Luciano di Samosata (ca. 120-180) schernì nel suo De morte pere-
grini l'attività caritatevole dei cristiani e la loro prontezza nell'affrontare la mor-
te; e in questo scritto riecheggiano probabilmente opinioni contemporanee am-
piamente diffuse.

2. Celso, il « Discorso vero» contro i cristiani


Ceiso, ediz. crit.: cf. Origene, Contra Celsum, § 39,2; R. J. HOFFMANN, trad. ingl., Oxford 1987;
L. ROUGIER, trad. frane., Paris 1977 2; G. LANATA, trad. it., Milano 1987

Attorno al 175 il filoso pagano Celso pubblicò il suo «Discorso vero»


(AA:r\0{\ç À.oyoç) contro i cristiani. Lo scritto non ci è pervenuto, ma può essere
ampiamente ricostruito attraverso la confutazione di Origene (Contra Celsum,
116 II. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli

del 248). Celso, nel suo rifiuto del cristianesimo, andò ben oltre le dicerie e le
insinuazioni, rivelando una solida conoscenza dell' AT, del NT e degli scritti cri-
stiani. La sua critica risulta influenzata soprattutto dalla tradizione della pole-
mica antigiudaica e dalla filosofia religiosa del medioplatonismo, basato sul Ti-
meo di Platone (V 35; VI 47; VII 42, ecc.). Egli conosceva la Chiesa e scherniva
sia le scissioni che le dottrine contrapposte dei raggruppamenti cristiani (Contra
Celsum III 12-13), il loro carattere chiuso e settario (III 9; IV 23), come anche
la loro bassa estrazione sociale (III 52; 55). Secondo lui, Gesù era il figlio ille-
gittimo di un soldato romano (I 28; 32), un mago (I 38), un capobanda (II 12;
44), mentre i suoi apostoli non erano che una masnada di briganti (I 62). Perciò
anche i suoi attuali seguaci non potevano essere che una banda di fuorilegge, pe-
ricolosa per lo Stato e la società. Per la loro dottrina richiedevano unicamente
una «fede cieca» (I 9). Celso rifiutava radicalmente l'idea cristiana di Dio eri-
teneva la teologia cristiana quanto mai assurda. Tuttavia, malgrado questo rifiu -
to ostile, egli esortava i cristiani a partecipare attivamente alla vita pubblica e
dello Stato (VIII 73-75) .

.3. Porfirio e Ierocle


Porfirio: « Contro i cristiani », 15 voli.: A. von HARNACK, t, Berlin 1916;
A. von HARNACK, Kritik des NT von einem griechischen Philosophen des 3. ]ahrhunderts, t traci.
ted., Leipzig 1911.

Porfirio (ca. 234-301/305), discepolo e biografo del neoplatonico Plotino


(205-270), compose alla fine del III secolo (attorno al 270 o soltanto nel 300 cir-
ca) la sua voluminosa opera «Contro i cristiani» (Ka-tà xptO"'ttavouç). Egli com-
batté il cristianesimo sulla base del neoplatonismo. I quindici libri non ci sono
pervenuti(§ 41,6); i frammenti, soprattutto presso Eusebio, fanno conoscere le
sue argomentazioni solo approssimativamente. La critica porfiriana è affine a
quella di Ceslo. Egli scopre negli scritti della rivelazione cristiana contraddizio-
ni e assurdità (specialmente nei Vangeli e in Daniele, framm. 43) e rifiuta la dot-
trina cristiana per quanto riguarda la creazione, l'incarnazione e la risurrezione
della carne. Porfirio vede nel modo cristiano di adorare Dio e nella fede in un
redentore un pericolo per la salute dello Stato. Lo preoccupano quindi l'ampia
diffusione del cristianesimo e l'adesione alla Chiesa da parte dei ceti più eleva-
ti: «Essi costruiscono grandi case, dove si riuniscono per la preghiera: nessuno
glielo proibisce; tutto il mondo ha già avuto notizia della fama del Vangelo»
(framm. 76).
La sua critica di principio al cristianesimo, formulata in maniera particolarmente chiara an-
che nella sua «Istruzione filosofica derivabile dagli oracoli», esercitò a lungo la sua influenza. I
Padri della Chiesa, fino ad Agostino, ne fecero oggetto di discussione. Nel 333 l'imperatore Co-
§ 17. La discussione letteraria-scientifica con il cristianesimo 117

stantina condannò al rogo i suoi libri (Harnack, Porphyrius, Berlin 1916, p. 31); Teodosio II con-
fermò nel 448 questa condanna (CJ I 1,3).

La polemica filosofica contro il cristianesimo si fece sentire con particolare


intensità alla vigilia della persecuzione di Diocleziano. lerocle, governatore in
Bitinia, anch'egli neoplatonico e autore di uno scritto ostile ai cristiani (Phila-
lethes, «Discorso amante del vero ai cristiani»), viene considerato non a caso
come uno dei più aspri avversari dei cristiani durante la persecuzione (Eusebio,
Contra Hieroclem; Lattanzio, Inst. V 2-3). Il pericolo che derivava per la Chiesa
da queste confutazioni letterarie del cristianesimo fu tenuto presente nella ma-
niera più chiara da Lattanzio nelle sue Institutiones.

4. Concorrenza sincretistica

Flavio Filostrato, Vita Apollonii: V. MuMPRECHT, t trad. ted., Miinchen 1983; C. P. }ONES, trad.
ingl., Baltimore 1970; D. del CORNO, trad. it., Milano 1978.

Corpus hermeticum: W. SCOTT, t trad. ingl., 4 voll., London 1968; A. D. NOCK -A. J. FESTU-
GIÈRE, t trad. frane. e, 4 voll., Paris 1945-1954; D. TIEDEMANN, trad. ted., Hamburg 1990;
B. P. COPENHAVER, trad. ingl., Cambridge 1992; L. MÉMARD, trad. parz. frane., Paris
1977.

!erode, come già Porfirio, inserì nella sua polemica anticristiana anche il
taumaturgo Apollonio di Tiana (morto ca. 96). Egli si basò per questo sulla
Vita Apollonii di Flavio Filostrato (scritta attorno al 220) e contrappose Apol-
lonia come messia dei pagani al messia cristiano. In questo confronto storico-
religioso Gesù appare come semplice uomo che Apollonia avrebbe superato
nei suoi miracoli (Eusebio, «Contro gli scritti di Filostrato »). In realtà, la Vi-
ta Apollonii non venne concepita originariamente in senso anticristiano; essa
appartiene al sincretismo religioso-filosofico dell'epoca severiana, con il suo
interesse per il misterioso e il meraviglioso, oltre che per la liberazione del-
l'uomo.
Questo interesse si rispecchia anche nei cosiddetti scritti orfici ed ermeti-
ci, nei quali Ermete, indicato come «Ermete Trismegisto» (cioè Ermete tre
volte grandissimo), diventa fondatore di religione, predicatore e salvatore. Gli
scritti (Corpus hermeticum; il più importante: Pimander), formatisi in un lun-
go arco di tempo, non sono né cristiani né anticristiani. Essi furono ampia-
mente diffusi nei primi secoli dell'era cristiana e testimoniano le simpatie de-
gli uomini per un sincretismo religioso in cui il cristianesimo divenne un' of-
ferta di salvezza accanto ad altre.
118 II. Gli inizi della Chiesa e la sua di/fusione nei primi tre secoli

Prospetto cronologico: i cristiani nell'Impero Romano

27 a.C. - 14 d.C. Augusto. Restaurazione degli antichi culti romani.


12 a.C. Augusto come Pontifex maximus
ca. 4-65 Seneca
14-37 Tiberio
dal37 Ammissione ufficiale del culto d'Iside
37-41 Caligola
si segnala per la prima volta il culto del sovrano
41-54 Claudio
49 editto contro gli Ebrei
54-68 Nerone
ca. 55.135 Epitteto
ca. 50 a.C. - 250 medioplatonismo
intorno al 60 morte di Paolo a Roma sotto Nerone
64 incendio di Roma e persecuzione dei cristiani sotto Nerone
68-69 anno dei quattro imperatori
69-79 Vespasiano
da ca. 70 diffusione del culto di Mitra
79-81 Tito
81-96 Domiziano: pretese come uno dei primi imperatori un culto divino
intorno al 96 morte di Apollonio di Tiana
98-117 Traiano
112 scambio epistolare Plinio - Traiano
martirio d'Ignazio d'Antiochia
117-138 Adriano
lettera a Minucio Fundano
ca. 120-180 Luciano di Samosata
138-161 Antonino Pio
140-312 massima diffusione della religione di Mitra
intorno al 160 martirio di Policarpo
161-180 Marco aurelio
intorno al 165 martirio di Giustino a Roma
intorno al 175 Celso pubblica l'Alethes Logos
intorno al 177 pogrom contro i cristiani a Vienne e Lione
176/77 proibizione d'introdurre nuovi culti
martiri di Vienne e Lione
180-192 Commodo
martiri di Scili (Nordafrica)

193 anno dei cinque imperatori


(Pertinace, Didio Giuliano, Pescennio Nigro, Settimio Severo, Clodio Albino)
Dinastia severiana:
193-211 Settimio Severo
persecuzioni limitate all'Africa Proconsularis
Tertulliano, De idololatria
persecuzioni dei cristiani ad Alessandria e a Cartagine
martirio di Perpetua e Felicita (203)
§ 17. La discussione letteraria-scientifica con il cristianesimo 119

211 Tertulliano, De corona: condanna del servizio militare volontario


ca. 205-270 Plotino
211-217 Caracalla
212 Constitutio Antoniniana
intorno al 215 Ippolito, Traditio apostolica («prescrizioni professionali»)
218-222 Elagabalo
222-235 Alessandro Severo
intorno al 220 Vita Apollonii di Filostrato
dal 220/50 culto ufficiale dell'imperatore
intorno al 234-310/315 Porfirio
235-238 Massimino Trace
Origene, Exhortatio ad martyrium
244-249 Filippo lArabo
249 persecuzione dei cristiani ad Alessandria
249-251 Decio
editto con l'obbligo di sacrificare
253-259 Valeriano
agosto 257 primo editto: sacrificio imposto al clero
estate 258 secondo editto: chi rifiuta di sacrificare deve essere giustiziato; martirio di
Cipriano a Cartagine
260-268 Gallieno
270-275 Aureliano
284-305 Diocleziano
293-305 prima tetrarchia: Diocleziano, Massimiano, Augusti Galerio, Costanzo Clo-
ro, Cesari
poco dopo il 300 ordine di sacrificare per appartenenti al palazzo e soldati
23.2.303 primo editto di persecuzione
303 altri due editti: arresto del clero, obbligo di sacrificare
304 quarto editto: ordine generale di sacrificare (in occidente non più eseguito)

305-313 seconda tetrarchia: Galerio, Costanzo (dal 306 Costantino) Augusti


Flavio Severo (dal 308 Licinio), Massimino Daia, Cesari, dal 308 Augusti
306 primo editto di Massimino Daia in oriente
308 congresso degli imperatori a Carnuntum
309 secondo editto di Massimino Daia in oriente
311 editto di tolleranza di Galerio

Bibliografia § 17: P. de LABRIOLLE, La réaction paienne. Etude sur la polémique antichrétien-


ne du Ier au Vie siècle, Paris 1948; L. PADOVESE, Lo scandalo della croce. La polemica anticristiana
nei primi secoli, Roma 1988.
§ 17.1: H. D. BETZ, Lukian von Samosata und das Neue Testament, Berlin 1961; M. Cru-
STOFORI, I.:Oratio di Frontone contro i cristiani e la persecuzione di Marco Aurelio, in RSCI 32
(1978), 130-139. F. KUDLIEN, Galen's Religious Belief, in V. Nutton (a cura di), Galen - Problems
And Prospects. A Collection o/ Papers Submitted at the 1979 Cambridge Conference, London 1981,
117-130; J. SCHWARTS, Biographie de Lucien de Samosate, Bruxelles/Berchem 1965; H. SHEPPARD
et al., Hermettk, in RAC 14 (1988), 780-808; M. SPANNEUT, Epiktet, in RAC 5 (1962), 599-681; R.
WALZER, Galenus, in RAC 8 (1972), 777-786;}. H. WASZINK, Pronto, in RAC 8 (1972), 520-524.
§ 17.2: C. ANDRESEN, Logos und Nomos. Die Polemik des Kelsos wider das Christentum, Ber-
lin 1955; M. BORRET, I.:Ecriture d'après le paien Celse, in C. Mondésert (a cura di), Le monde grec
120 II. Gli inizi della Chiesa e la sua di/fusione nei primi tre secoli

ancien et la Bible, Paris 1984, 171-193; G. T. BURI<E, Celsus And Late Second-Century christianity,
Iowa 1981; P. MERLAN, Celsus, in RAC 2 (1954), 954-965; K. PICHLER, Streit um das Christentum.
Der Angriff des Kelsos und die Antwort des Origenes, Bern 1980.
§ 17.3: T. D. BARNES, Porphyry, Against the Christians. Date And the Attribution o/ Frag-
ments, in JThS 24 (1973), 424-442; P. F. BEATRICE, Le traité de Porphyre contre les chrétiens. J;é-
tat de la question, in «Kernos» 4 (1991), 119-138; B. CROKE, Porphyry's Anti-Christian Chrono-
logy, inJThS 34 (1983), 168-185; ]. M. DEMAROLLE, Un aspect de la polémique paienne a la/in du
3e siècle. Le vocabulaire chrétien de Porphyre, in VigChr 26 (1972), 117-129; A. MEREDITH,
Porphyry And Julian Against the Christians, in ANRW II 23.2 (1980), 1119-1149; G. RrNALDI,
J;Antico Testamento nella polemica anticristiana di Porfirio di Tiro, in Aug 22 (1982), 97-111; W.
SPEYER, Hzérokles I, in RAC 15 (1991), 103-109.
§ 17.4: J. BOCHLI, Der Poimandres - Ein paganisiertes Evangelium. Sprachliche und begri/fli-
che Untersuchungen zum 1. Traktat des Corpus hermeticum, Tiibingen 1987; A FESTUGIÈRE,
Hermétisme et mystique paienne, Paris 1967; W. C. GRESE, Corpus Hermeticum XIII And Early
Christian Literature, London 1979; E. KOSKENNIEMI, Der philostratische Apollonios, Helsinki
1991; G. LUCK, The Doctrine o/ Salvation in the Hermetic Writings, in SecCen 8 (1991), 31-41; G.
PETZKE, Die Traditionen uber Apollonius von Tyana und das NT, Leiden 1970; w SPEYER, Zum
Bild des Apollonius von Tyana bei Hezden und Christen, inJAC 17 (1974), 47-63.
III. La costituzione della Chiesa

Didaché, Traditio apostolica: G. SCHÒLLGEN- W. GEERLINGS, t trad. ted. 1991(FC1); M. dal PRA,
trad. it., Vicenza 1938.
Didascalia Siriaca: H. ACHELIS - J. FLEMING, trad. ted., 1904 (TU 25,2); R. H. CONNOLY, Dida-
scalia Apostolorum. The Syriac Version Translated And Accompanied by the Verona Latin Frag-
ments, 1929.
Didascalia Apostolorum et Constitutiones Apostolorum: F. X. FUNK, t, 2 voll., 1905, rist. Torino
1959.
Constitutiones Apostolorum: M. METZGER, t trad. frane., 1985-1987 (SC 320; 329; 336).

§ 18. Gli uffici ecclesiastici e 1'ordinamento della comunità

Le prime comunità cristiane furono caratterizzate dall'attesa del ritorno del


Signore, come anche dalla spontaneità della situazione missionaria e dal carisma
di chi ne aveva l'incarico. Le prime strutture organizzative furono corrispon-
denti a quelle dell'ordinamento sinagogale; con lo scioglimento della sinagoga
esse vennero rafforzate, modificate e ulteriormente sviluppate, a seconda delle
circostanze, per potersi affermare nel rispettivo ambiente e prevalere contro i
movimenti concorrenti.

1. La direzione collegiale della comunità

I credenti di una comunità urbana formavano la «Chiesa di Dio » di quel


luogo. Essi ebbero inizialmente una guida collegiale, ma organizzata in forme
diverse. Seguendo il modello istituzionale giudaico del consiglio degli anziani,
in alcune comunità i «più anziani» (presbiteri) percepirono il loro ruolo di gui-
da come« servizio d'assistenza» (Gc 5,14; 1 Pt 5,1-4: cf At 15; 16,4), mentre le
comunità paoline non conobbero l'istituzione degli« anziani». Nel loro ordina-
mento carismatico dei ministeri (1 Cor 12,4-11), controllato dallo stesso aposto-
lo Paolo, c'era diversità di operazioni e di uffici: coloro che «presiedevano» ed
«erano preposti» (Rm 12,8; 1Ts5,12) e i vescovi (bticrn:onot) e diaconi (Fil 1,1;
cf § 9,3). Questa struttura venne a confondersi ben presto con l'ordinamento
degli anziani (At 14,23; 20,17-35; 1 Tm 3,1-13; Tt 1,5-9). Vescovi, presbiteri e
diaconi erano responsabili per la comunità locale, la rappresentavano all' ester-
no e provvedevano al suo ordine all'interno. Accanto a questi ministeri di am-
122 III. La costituzione della Chiesa

bito locale si ebbe fino al II sec. inoltrato, soprattutto nell'area siriaco-palesti-


nese, la triade egualmente di ambito locale dei profeti, degli apostoli e dei mae-
stri (cf 1 Cor 12,28-29; E/ 4,11; cf At 13,1), che erano in parte inseriti nell'ordi-
namento della comunità locale (cf Didachè 13; 15). Ma difficilmente se ne pos-
sono determinare le rispettive funzioni. Si trattava per lo più di carismatici iti-
neranti che si stabilivano in una comunità per un periodo piuttosto lungo di
tempo. Le lettere pastorali rispecchiano la crescente importanza dei« deposita-
ri degli uffici» come garanti e custodi dell'interpretazione univoca del Vangelo
e della sua continuità (1 Tm 6,20; 1 Tm 1,12.14). In tempi di crescenti conte-
stazioni dovute alla diversità d' interpretazioni e di correnti (Tt 1,10; 2 Tm 4,3)
aumentò sempre di più la loro responsabilità. Il ministero sembra essere stato
affidato fin dai primi tempi attraverso l'imposizione delle mani (xnpo'tovia, or-
dinatio) da parte degli« anziani», del presbiterio (At 13,3; At 14,23; 1 Tm 4,14;
2 Tm 1,6). Venivano eletti membri stimati della comunità (Didachè 15,1)', che ve-
nivano confermati con «l'approvazione di tutta la comunità» (I Lettera di Cle-
mente 44,3). Questo modo d'insediamento nell'ufficio è chiaramente documen-
tato dalle più antiche testimonianze; esso corrisponde anche alle direzioni col-
legiali delle associazioni del mondo antico.
L'istituzionalizzazione del potere spirituale nei« capi» (iiyouµevot, Eb 13,7;
I Lettera di Clemente 1,3) appare con chiarezza nella I Lettera di Clemente
(§ 37,3). Un tale ordinamento viene qui ampiamente motivato sul piano teolo-
gico e presentato come disposto da Dio: l'ordine cosmico, le forme veterotesta-
mentarie di culto (40-41; 43, 1-6) e uno sguardo mirato nel passato della Chie-
sa, dei vescovi (o presbiteri: la terminologia è ancora oscillante ed evidente-
mente non si distingue ancora tra i due termini) e dei diaconi, indicati come suc-
cessori degli apostoli (42,1-5), si adducono come prove che l'ordinamento della
comunità rappresenta l'ordine divino. Nell'argomentazione l'annuncio del Van-
gelo e la salvaguardia della tradizione passano, di fronte a questo, in secondo
piano. I «presbiteri ordinati» (54,2) vengono a trovarsi di fronte a coloro che
essi guidano. Clemente parla per la prima volta di laici (40,5: À-mKÒç av0pco-
noç). Con l'aiuto della filosofia sociale stoica e dell'ecclesiologia paolina (37-38),
che paragona la Chiesa a un corpo, egli dimostra l'unità tra le due parti della co-
munità: ciascuna al suo posto, secondo la grazia concessa da Dio (cf 38,1; 40,1).

2. Il ordinamento monoepiscopale della comunità

a) FORME TRANSITORIE

Nel corso del II sec. scomparve dalle comunità la direzione di tipo collegia-
le. Ciò accadde non in maniera repentina e certamente non nello stesso tempo
§ 18. Gli uffici ecclesiastici e l'ordinamento della comunità 123

in tutte le regioni ecclesiastiche. Il« Pastore» di Erma (§ 37 ,6) documenta per


la comunità romana, a metà del secolo, la stessa forma costituzionale (con ter-
minologia fluttuante) testimonianta dalla I Lettera di Clemente. La più antica
Didachè menzionava ancora la direzione collegiale di« vescovi e diaconi». Poli-
carpo di Smirne s'introdusse presso i cristiani di Filippi «insieme ai presbiteri
che erano con lui» (praescr.); nella comunità locale egli conosceva soltanto dia-
coni (5,1-2) e presbiteri (6,1; 11,1).
Nelle lettere d'Ignazio(§ 47,4), invece, il vescovo appare sempre al singola-
re, mentre presbiteri e diaconi gli vengono chiaramente subordinati (Ad Smyrn.
8,1; Ad Magn. 6,1; 13,1; Ad Philad. praescr. 7,1; Ad Trall. 2,1-3; cf 3,1). L'unico
vescovo si trova nella comunità al posto dell'unico Dio, la gerarchia terrena è
immagine di quella celeste (Ad Magn. 6,1; Ad Trall 3,1). Grazie a questa identi-
ficazione mistica del vescovo di una comunità con Dio e a quella di Cristo come
unico Signore della Chiesa, Ignazio può rinunciare a trovare un appoggio sulla
successione apostolica. Chi vuole essere una sola cosa con Dio o con Cristo de-
ve essere una sola cosa con il vescovo, che in virtù del suo ufficio è mediatore di
salvezza, di avvicinamento a Dio e, attraverso l'Eucaristia, di vita e d'immorta-
lità (cf Ad Ephes. 5; 20,2). La« Chiesa cattolica» è soltanto lì dove la comunità
è una sola cosa con il suo vescovo (Ad Smyrn. 8,2; l'espressione «Chiesa catto-
lica» appare qui per la prima volta).
Se si parte dalla consueta datazione delle lettere ignaziane (inizio del II sec.;
cf § 37,4), si deve concludere che Ignazio anticipa di gran lunga, con il suo or-
dinamento monoepiscopale della comunità, lo sviluppo che si sarebbe avuto in
tutta la Chiesa. Le lettere mostrano, tuttavia, che nelle comunità interessate il
vescovo unico non rappresenta ancora il modello indiscusso di guida. Si espri-
me in esse, piuttosto, il desiderio impellente che le comunità possano effettiva-
mente radunarsi attorno a un solo vescovo. Ripetutamente egli esorta: «Tenete-
vi uniti al vescovo», «Ascoltate il vescovo», «Non fate nulla senza il vescovo».

b) ORIGINE E SVILUPPO DEL MONOEPISCOPATO

Sono molti i motivi che possono aver determinato in maniera decisiva il pre-
valere del monoepiscopato tra varie forme alternative d'organizzazione.
- Ignazio motivò il suo ordinamento monoepiscopale della comunità con il suo
modo di vedere la Chiesa. Egli deplorava i dissidi tra i cristiani, il disorientamento
che generavano le molteplici interpretazioni di ciò che si chiamava christianismus
(Ad Magn. 10,1-3); Ad Philad. 7,2; 8,1; cf § 27-35). Contro ogni alterazione della
confessione cristiana egli pretendeva la coesione, l'unità con il vescovo, che però
pensava non tanto sul piano organizzativo, quanto su quello pneumatico e cultua-
le. (Ad Philad. 4, 7,2; Ad Eph. 20,2). Questa convinzione sembra essersi prodotta
nell'ambiente siriaco dell'Asia Minore (cf Ap 1,20: gli angeli delle sette Chiese).
124 III.. La costituzione della Chiesa

- Le lettere cosiddette «pastorali», dichiaratamente indirizzate a discepoli de-


gli apostoli, richiedevano dal vescovo la capacità d'insegnare (1 Tm 3,2; 6,10; 2 Tm
4,2-5; Tt l,9). Contro le opinioni contrastanti doveva valere la parola del maestro
ufficialmente incaricato. Ciò che egli aveva ricevuto dai predecessori lo doveva cu-
stodire e trasmettere inalterato. L'annuncio apostolico veniva quindi ritenuto come
un bene definitivamente acquisito (paratheke, depositum), affidato a un fiduciario.
Il successore nell'ufficio era così innanzitutto un successore nell'insegnamento.
- Inoltre, un organismo collegiale tende a crearsi uno« speaker», un suo rap-
presentante scelto. A questa legge furono soggetti anche i collegi presbiterali. La
funzione del vescovo come «sorvegliante» emerse quindi dalla cerchia direttiva;
egli divenne il depositario principale della tradizione. «In ogni città in cui un ve-
scovo succedeva a un altro, la vita della Chiesa era conforme all'insegnamento
della legge, dei profeti e del Signore» (Eusebio, H. E. IV 22 ,3). Egesippo, scrit-
tore dell'Asia Minore, formulò nella seconda metà del II sec. questo criterio e
cercò di compilare serie di successori di vescovi a prova dell'ortodossia (Eusebio,
H. E. IV 22,3: per Roma; cf § 38 B 2). Una successione ininterrotta garantiva: l'au-
tenticità dell'insegnamento e l'apostolicità della comunità presente.
Dopo il 150 la direzione collegiale della comunità venne finalmente sostitui-
ta da quella monoepiscopale. L'unico vescovo divenne «successore degli aposto-
li». La concorrenza tra successione nella tradizione presbiterale e successione
nella tradizione episcopale si può ancora registrare in Ireneo. Egli si richiama al-
la «tradizione apostolica», che si sarebbe conservata nella Chiesa attraverso «la
successione dei presbiteri» (per successiones presbyterorum) (Adv. haer. III 2,2),
e inoltre ai vescovi delle singole Chiese insediati dagli apostoli, che avrebbero
proseguito la tradizione apostolica fino ai nostri giorni (Adv. haer. III 3,1). A di-
mostrazione dell'ortodossia legata alla successione apostolica Ireneo adduceva
l' «elenco dei vescovi» della comunità romana, che «risulta fondata e costruita
dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo» (Adv. haer. III 3 ,2-3). Nella discussione
tra ortodossia ed eresia il cristianesimo definì il suo credo nella forma e nei con-
tenuti(§ 27); con l'ordinamento monoepiscopale della comunità esso trovò an-
che la sua struttura normativa. Le comunità ordinate in tal modo sono dunque
comunità apostoliche (ecclesiae apostolicae), nelle quali si trovano ancora le cat-
tedre degli apostoli (cathedrae apostolorum; cf Tertulliano, De praescr. haer. 36).

3. Successivo sviluppo degli uffici ecclesiastici

a) IL VESCOVO

Alla fine del II sec. il vescovo unico era diventato la figura più importante di
ogni comunità locale, colui che nella Chiesa aveva pieni poteri. La Chiesa appare
§ 18. Gli uffici ecclesiastici e !'ordinamento della comunità 125

come «Chiesa episcopale»: «Il vescovo è nella Chiesa, e la Chiesa è nel vescovo;
se uno non sta con il vescovo, non sta neppure nella Chiesa» (Cipriano, Ep. 66,8).
Secondo l'ordinamento ecclesiastico d'Ippolito il vescovo veniva nominato, pro-
babilmente da membri molto influenti della comunità, eletto con l'approvazione
di tutta la comunità (Trad. apost. 2; cf Const. apost. IV 3, vedi sotto § 18,5), e poi
veniva consacrato da altri vescovi, uno dei quali recitava la preghiera di consacra-
zione durante l'imposizione delle mani (Trad. apost. 3; Const. apost. IV 4). La pre-
ghiera invocava la discesa dello «spirito principale» (spiritus principalis), «dato da
Cristo ai suoi apostoli che in tutti i luoghi hanno fondato la Chiesa» (Ippolito,
Trad. apost. 3 ). In questo spirito i vescovi dovevano reggere e guidare le loro co-
munità. La preghiera li inserisce nella tradizione dei sommi sacerdoti dell'Antico
Testamento: come questi essi dovevano servire Dio, offrire il sacrificio della Chie-
sa, perdonare i peccati e assegnare i necessari uffici a collaboratori idonei (ibidem).

b) I PRESBITERI
Tra i collaboratori del vescovo c'erano in primo luogo i presbiteri, che veni-
vano ordinati con procedura simile a quella dei vescovi: elezione (nomina e ap-
provazione del popolo) e consacrazione da parte del vescovo della comunità. I
presbiteri ricevevano, secondo Ippolito, lo «spirito di consiglio e la forza per
guidare il popolo» (Ippolito, Trad. apost. 7). Con il progressivo moltiplicarsi
delle comunità urbane, essi crebbero anche nella rappresentanza locale del ve-
scovo. Come loro modelli biblici erano ritenuti gli anziani scelti da Mosè per la
guida del popolo di Dio. Ma ora i presbiteri erano diventati sacerdoti (sacerdo-
tes). Presbiteri laici (seniores) risultano documentati per il Nordafrica ancora al-
l'inizio del III sec.

c) I DIACONI

Nel gruppo di coloro che guidavano una comunità conservarono un posto


privilegiato i diaconi, «consacrati al servizio del vescovo» (Ippolito, Trad. apo-
st. 8). In tal modo veniva consolidato l'antico legame tra vescovo e diacono, che
però subì delle complicazioni quando si affermò il ruolo dei presbiteri. I diaco-
ni fecero la loro apparizione nella vita della comunità soprattutto come colla-
boratori del vescovo: «Essi debbono essere l'orecchio, la bocca, il cuore e l' ani-
ma del vescovo» (Didascalia siriaca II 44,4). Il loro servizio si estese alla litur-
gia, alla cura dei poveri e dei malati, come anche all'amministrazione dei beni
della comunità. L'estensione completa di questo servizio dipendeva, come anche
il numero dei diaconi, dalla grandezza della comunità. Roma contava attorno al-
la metà del III sec. sette diaconi, che operavano come amministratori delle set-
te regioni ecclesiastiche. Il numero sette venne ritenuto come il limite più alto
126 III. La costituzione della Chiesa

(Sinodo di Neocesarea, 319/25, can. 15) e fu motivato con i «sette uomini» di


At 6,3-6 (Ireneo, Adv. haer. I 26,3 ). Anche i leviti dell' Antico Testamento furo-
no considerati come modelli dei diaconi (Didascalia siriaca II 26,3; cf Const.
apost. II 26,3 ).

d) ALTRI UFFICI A SERVIZIO DELLA COMUNITÀ

La vita quotidiana della comunità comportava altri doveri. La Chiesa episco-


pale del III sec. si preoccupò di ordinarli, di definire gli ambiti dei vari compiti
e di stabilire i requisiti per la loro accettazione. Questi uffici venivano affidati dal
vescovo, con la partecipazione della comunità, attraverso l'insediamento Unstitu-
tio) o con una nomina (nominatio) che conferiva l'incarico. L'ordinamento eccle-
siastico d'Ippolito menziona il suddiacono come aiutante del diacono (13), il let-
tore (11) e l'esorcista (14), e inoltre le vedove (10) e le vergini (12). Una statisti-
ca della comunità romana compilata nel 251 conosce anche accoliti e ostiari (Eu-
sebio, H. E. VI 43,11). Solo i guaritori, secondo Ippolito, avevano libertà d'ac-
cesso: essi non avevano bisogno di alcun insediamento formale, poiché le loro ca-
pacità per il servizio potevano riconoscersi dal dono che essi dimostravano di
possedere (14). Anche i confessori potevano accedere al servizio della comunità
senza essere tenuti alla consacrazione e all'affidamento ufficiale dell'incarico :
poiché la loro testimonianza di fede nella persecuzione ne aveva dimostrato il
possesso dello Spirito, essi potevano arrivare al diaconato o al presbiterato senza
consacrazione (Trad. apost. 9). In Cipriano si rende evidente che questo accesso
agli uffici ecclesiastici superiori subì una progressiva preclusione e che soltanto i
confessori furono ritenuti candidati privilegiati a tali uffici (Ep. 38; 39).
L'istituzionalizzazione degli uffici e il loro sviluppo dipendeva dalla consi-
stenza della comunità. Non ci fu una «lista di chierici» unica per tutta la Chie-
sa (Const. apost. VIII 47,8: 6 Ka'taÀ.oyoç 'tOU iepmtKoU; altrimenti, anche 6
Ka'taÀoyoç 'téòv KÀ ripéòv).

e) I MAESTRI

Tra i compiti importanti della comunità c'era l'istruzione dei catechumeni e


dei fedeli. Mentre per questi ultimi poteva bastare la predicazione, per i primi
fu istituita una speciale istruzione. L'idoneità per questo tipo d'insegnamento
non era legata a un ufficio particolare. Famosi maestri del II sec. furono laici:
Giustino (e altri apologeti), Panteno, Clemente e Tertulliano. Non sembra es-
serci stato un incarico ufficialmente affidato. Maestro ufficiale della comunità
era il vescovo, che ricorreva per l'istruzione a membri idonei della comunità, as-
sumendo al suo servizio maestri volontari (come Origene sotto Demetrio in
Alessandria) o affidando l'incarico dell'insegnamento a persone che esercitava-
§ 18. Gli uffici ecclesiastici e l'ordinamento della comunità 127

no altri uffici. Secondo l'ordinamento ecclesiastico d'Ippolito, il maestro (doc-


tor) dei catecumeni (15) poteva essere chierico o laico (19). Nel primo caso, egli
veniva preso dal gruppo dei presbiteri o dei diaconi. In effetti, si trova spesso
negli scritti del III sec. ilpresbyter-doctor (per es. Acta Perpetuae 13,1; Cipriano,
Ep. 29; cf Ponzio, Vita Cypriani 4), al quale si affidava l'istruzione dei catecu-
meni (Dionigi d'Alessandria: Eusebio, H. ~. VII 24,6), come anche il tirocinio
dei futuri chierici (cf le lettere di Cipriano).

4. Il ruolo delle donne nelle antiche comunità cristiane

a) LE DONNE NELL'ORDINAMENTO GENERALE DELLA COMUNITÀ

Paolo menziona una notevole serie di donne che come lui e con lui svolsero
un'attività missionaria e collaborarono alla costruzione e alla guida delle comu-
nità (cf Rm 16,1-15; Fi'l 4,2-3 ). Febe della Chiesa di Cenere (Corinto) viene in-
dicata come «diaconessa» (Rm 16, 1), Giunia e Andronico vengono dichiarati
«aposotoli insigni» (Rm 16,7); la madre di Rufo era ritenuta da Paolo, per la sua
attività, anche madre sua (Rm 16,13). Prisca e Aquila erano collaboratori di
Paolo (Rm 16,3 ); nei confronti di questa coppia di sposi, inoltre, l'apostolo si
sentiva anche obbligato (1 Cor 16,19; cf At 18,2-3; 26). Secondo At 16,14-15,
Paolo accettò a Filippi l'invito di Lidia, commerciante di porpora, ad abitare
nella sua casa. Questi ed altri testi degli Atti degli Apostoli testimoniano l'im-
pegno attivo e l'influenza di donne, appartenenti specialmente ai ceti più alti,
per il Vangelo e l'organizzazione delle comunità.
Nel corso del II e del III sec. il quadro cambiò. Regolari indicazioni, come
in 1 Tm 2,11-12 (cf 2 Tm 3,6-7; Tt 2,3-5; 1 Pt 3,16), mostrano che la tradizio-
nale subordinazione delle donne, di cui si aveva il modello nella comunità sina-
gogale della Palestina e nel diritto greco-romano, venne adottata anche nelle co-
munità cristiane (cf 1 Cor 11,1.8-12; 1 Tm 2,13-14), che l'applicarono nei loro
ordinamenti. Risultano sintomatici l'«ordine di tacere» (1 Cor 14,34-35; la di-
scussa autenticità paolina è irrilevante per la storia del modo di agire) e il« di-
vieto d'insegnamento» (1Tm2,12). Si ritenne non necessario (Origene, Comm.
I Cor. 14,35; c'erano uomini a sufficienza) ed anche non conveniente che le don-
ne insegnassero! (cf Didascalia siriaca III 6, 1; Const. apost. III 6, 1: Non decet ne-
que necessarium est, ut mulieres doceant).
In realtà le donne vennero utilizzate come sempre, ma con attribuzioni ri-
dotte al minimo necessario. Le vedove furono inizialmente beneficiarie privile-
giate di assistenza, ma furono riconosciute anche come collaboratrici al servizio
della comunità. Con richiamo a Tm 5,3-6, si raccomandava loro la preghiera
continua per la comunità (Trad. apost. 10; Didascalia siriaca III 7 ,6, oppure Con-
128 III. La costituzione della Chiesa

st. apost. III 7 ,6) e si affidavano loro compiti particolari sotto il controllo del ve-
scovo (Didascalia siriaca III 8,1, oppure Const. apost. III 8,1). Alcuni territori
ecclesiastici istituirono diaconesse per i servizi necessari alle donne. La Dida-
scalia siriaca richiedeva dal vescovo l'ordinazione di una diaconessa, che « deve
collaborare con lui per la vita» (III 16, 1). L'incarico veniva giustificato con la
necessità liturgica e la convenienza pastorale: le diaconesse prestavano assisten-
za nel battesimo delle donne, per le quali erano impegnate anche in compiti di
natura pastorale-caritativa. In occidente e in Egitto un tale ufficio non risulta
con chiarezza; nelle comunità orientali la diaconessa venne chiaramente subor-
dinata al diacono.
Il fondamento biblico per questi compiti veniva visto nell'accenno alle donne che avevano se-
guito Gesù per servirlo (Mt 27,55-56). Secondo le Costituzioni Apostoliche la diaconessa faceva
le veci dello Spirito Santo, così come il diacono faceva quelle di Cristo e il vescovo quelle del Pa-
dre (Const. apost. II 26,6): «Lo Spirito non opera e non parla da sé, ma glorifica Cristo, com-
piendo la sua volontà» (ibidem; cf Gv 16,14). Il suo ruolo preciso rimane non precisato. Negli
elenchi del clero essa risulta classificata in posti diversi. Il Concilio di Nicea le rifiutò una consa-
crazione (cheirothesia/impositio manus, Can. 19). Si hanno tuttavia altre dichiarazioni contrarie
che parlano di una consacrazione, anche se non ne stabiliscono il carattere preciso (Calcedonia,
Can 15: xeipowvetv, ordinare; cf § 61.1).

b) LE DONNE NELLE COMUNITÀ SCISMATICHE

In comunità scismatiche ed eretiche le donne sembrano aver avuto un ac-


cesso più facile, almeno in parte, a determinate funzioni e responsabilità. Nei
circoli gnostici sembra esserci stata una quota alta di donne, insieme a una loro
notevole influenza. Gli scritti apocrifi (per es. gli Acta Pauli, il Vangelo degli
Egiziani, la Pistis Sophia) attribuiscono a donne come Tecla, Salame o Maria
Maddalena un'alta autorità per la missione e la predicazione della dottrina. Ciò
è in stretto rapporto con il modo d'intendere la comunità e i suoi compiti, co-
me anche con l'antropologia gnostica, che include anche un'eliminazione delle
differenze naturali tra i sessi.
Alla fondazione delle comunità montanistiche (cf § 34) avevano collabo-
rato le profetesse Prisca e Massimilla. Tertulliano rimproverava a Marciane
(cf § 31, 1) il fatto che nelle sue comunità delle donne battezzavano, insegnava-
no e praticavano esorcismi (Adv. Mare. 5,8; De praescr. 41,5; cf rimproveri ana-
loghi contro gnostici e montanisti in Ippolito, Refut. 6,40; 7,38; 8,19; 10,25).
Sono sporadici, invece, i documenti riguardanti profetesse e maestre nel-
1' ambiente ecclesiastico in genere. Tecla viene ricordata nei secoli seguenti come
esempio di verginità, non come modello di maestra (Gregorio di Nissa, Vita Ma-
crinae 2). Eusebio menziona, in controversia con i profeti e le profetesse del
montanismo, le figlie di Filippo e Ammia di Filadelfia (H. E. 5, 17). Alle affer-
mazioni influenzate dallo stoicismo per una parità di principio tra uomo e don-
§ 18. Gli uffici ecclesiastici e l'ordinamento della comunità 129

na (Clemente d'Alessandria, Paed. 1,4,lOss.; Sirom. 4,59,1; 62,4) si contrappon-


gono testimonianze sempre numerose per una inferiorità naturale e una subor-
dinazione giuridica delle donne. Contro certi princìpi a favore dell'emancipa-
zione presenti nell'etica stoica e cinica e nella società tardoantica vennero ac-
colte, rafforzate, le tradizioni del platonismo e del neoplatonismo, come anche
del diritto romano. In secoli più tardi, il rimprovero per una presunta eccessiva
influenza esercitata dalle donne fece parte degli stereotipi della polemica antie-
retica (cf Girolamo, Ep. 133,4; Teodoreto, H. E. I 4,5) .

.5. Unità tra clero e laici

Nelle adunanze della comunità si rispecchiava il suo ordinamento, così co-


me esso si era formato all'inizio del III sec.: il clero (presbiteri e vescovo) aveva
il suo posto sul lato orientale dello spazio riservato alle adunanze, i laici sul lato
opposto, distinti e ordinati secondo il ceto e sorvegliati dai diaconi, «poiché no-
stro Signore ha paragonato la comunità a un gregge» (Didascalia siriaca II 57 ,8;
Const. apost. II 57 ,12; cf II, 57 ,2-3 ).
Fondamento e criterio di questo rigido ordinamento era l'unità della eccle-
sia: il clero veniva scelto dal seno della comunità e ordinato per il suo servizio.
La comunità (probabilmente, come negli antichi ordinamenti elettorali, soltan-
to la parte maschile) veniva fatta partecipare attraverso il suf/ragium plebislpo-
puli). I fedeli potevano partecipare anche agli incontri destinati all'insegnamen-
to del vescovo (Eusebio, H. E. VI 37: Arabia; VII 24,6-9: Egitto; Origene, Di-
sputa con Eraclide). Ippolito dava energico risalto nel suo ordinamento ecclesia-
stico, che proseguiva una tradizione più antica, allo stretto rapporto tra i due
stati e all'unità delle comunità: «Abbiamo tutti lo Spirito di Dio» (trad. apost.
16); ed esortava a una comune responsabilità: «Se tutti, cioè, seguissero le tra-
dizioni degli apostoli, da essi apprese e custodite, nessun eretico e nessun uomo
in genere potrebbe sedurvi».
La convinzione della dignità sacerdotale di tutti i fedeli (cf 1 Pt 2,5-9) si ri-
trova continuamente presso i teologi dei primi secoli (cf Giustino, Dia!. 116,3;
Origene, Hom. Lev. 4,6; 6,2-5). Tertulliano la difese appassionatamente e rap-
presentò la Chiesa spirituale montanistica (§ 34) come l'opposto della «Chiesa
burocratica»: secondo lui la differenza tra clero e popolo è creata dall'autorità
ecclesiastica; anche i laici (cf Ap 1,6) sono sacerdoti e «la Chiesa è là dove vi so-
no tre individui, sia pure laici» (Exhort. cast. 7 ,3: Sed ubi tres, ecclesia est, licet
laid). Ciò corrisponde alla concezione montanistica della Chiesa. Ma si deve te-
ner conto del contesto: in Exhort. cast. si tratta del rifiuto delle seconde nozze:
se queste erano vietate al sacerdote, un tale dovere doveva valere per tutti i cre-
denti, perché tutti sono sacerdoti!
130 III. La costituzione della Chiesa

Bibliografia§ 18: C. von CAMPENHAUSEN, Kirchliches Amt und geistliche Vollmacht in den er-
sten drei Jahrhunderten, Tiibingen 1963; A. FAIVRE, Les laics aux origines de l'Église, Paris 1984; A.
FAIVRE, Ordonner la /raternité. Pouvoir d'innover et retour à l'ordre dans l'Église ancienne, Paris
1992; J. FELLERMAYR, Tradition und Sukzesszon im Lichte des romz"schen Erbdenkens. Untersuchun-
gen zu den lateinischen Viitern bis zu Leo dem Gro/Sen, Miinchen 1979; E. FERGUSON (a cura di),
Church, Ministry And Organization in the Early Church Era, New York/London 1993; K. GILES, Pat-
terns o/ Ministry among the First Christzans, Melbourne 1989; R. P. C. HANSON, Amt!Àmter/Amt-
sversti:indnis, in TRE 2 (1978), 533-552; R. M. HOBNER, Die Anfi.inge von Diakonat, Presbyterat und
Episkopat in der friihen Kirche, in P. Imhof (a cura di), Das Priestertum in der Einen Kirche, Aschaf-
fenburg 1987, 45-89; A. ]ILEK, Initiations/eier und Amt. Ein Beitrag zur Struktur und Theologie der
Àmter und des Tau/gottesdienstes in der /riihen Kirche, Bern 1979; E. G. ]OY, From Presbyter-Bisho-
ps to Bishops And Presbyters. Christian Ministry in the 2nd Century. A Survey, in SecCen 1(1981),
125-162; K. KERTELGE (a cura di), Das kirchliche Amt im NT, Darmstadt 1977; K. KOSCHORKE, Bi-
ne neuge/undene gnostische Gemeindeordnung. Zum Thema Geist und Amt in /riihen Christentum,
in ZThK 76 (1979), 30-60; H. O. MAIER, The Socia! Setting o/ the Ministry As Reflected in the Wri-
tings o/ Hermas, Clement And Ignatius, Waterloo/Ont. 1991; J. MARTIN, Die Genese des Amtsprie-
stertums in der /riihen Kz"rche, Freiburg/Basel/Wien 1972; J. MOHLSTEIGER, Zum Ver/assungsrecht
der Friihkirche, in ZKTh 99 (1977), 129-155; 257 -285; J. ROHDE, Urchristliche und friihkatholische
Àmter. Bine Untersuchung zur friihchristlichen Amtsentwicklung im Neuen Testament und bei den
apostolischen Viitern, Berlin 1976; R. SEAGRAVES, Pascentes cum Disciplina. A Lexical Study o/ the
Clergy in the Cyprianic Correspondence, Freiburg/Schw. 1993; H. J. VOGT, Ignatius von Antiochien
iiber den Bischof und seine Gemeinde, in ThQ 158 (1978), 15-27.
§ 18.2: P. BURKE, The Monarchica! Episcopate at the End o/ the Fz"rst Century, inJES 7 (1970),
499-518; E. DASSMANN, Zur Entstehung des Monoepiskopats, in JAC 17 (1974), 74-90; E. DAS-
SMANN, Hausgemeinde und Bischo/samt, in «Vivarium» (FS Th. Klauser), Miinster 1984 , 82-97;
E. LOHSE, Die Entstehung des Bischofsamtes in der friihen Christenhelt, in ZNW 71(1980), 58-73;
J. ZIZIOULAS, Episkopé et épiskopos dans l'Église primitive. Bre/ inventaire de la documentation, in
«lren » 56 (1983 ), 484-502.
§ 18.3: M. BÉVENOT, Sacerdos As Understood by Cyprian, in JThS 30 (1979), 413-429; J. G.
DAVIES, Deacons, Deaconesses And the Minor Orders in the Patrisiic Period, inJEH 14 (1963), 1-
15; A. ]ILEK, Bischo/ und Presbyterium. Zur Beziehung zwischen Episkopat und Presbyterat im Lz~
chte der Traditio Apostolica Hippolyts, in ZKTh 106 (1984), 376-401; G. KRETSCHMAR, Die Ordi-
nation imfriihen Christentum, in FZPhTh 22 (1975), 35-69; U. NEYMEYR, Die christlichen Lehrer
im zweiten Jahrhundert. Ihre Lehrtiitigkeit, ihr Selbstverstà"ndnzs und zhre Geschichte, Leiden 1989;
T. OSAWA, Das Bischo/seinsetzungsver/ahren bei Cyprian. Historische Untersuchungen zu den Be-
gri/fen iudicium, suffragium, testimonium, consensus, Frankfurt/M. 1983.
§ 18.4: R. ARTHUR, The Wzsdom Goddess. Feminine Moti/s in Ezght Nag Hammadi Documents,
Lanham/Md. 1984; O. BANGERTER, Frauen im Au/bruch. Die Geschichte einer Frauenbewegung in
der alten Kirche, Neukirchen 1971; R. GRYSON, Le mznistère des /emmes dans l'Église ancienne,
Genéve 1972; R. J. HOFFMANN, Women in the Marcionite Churches o/ the Second Century. An En-
quiry into the Provenance o/ Romans 16, in StPatr 18,3 (1989), 161-171; A. KALSBACH, Dzakonisse,
in RAC 3 (1964), 917-928; K. L. KING (a cura di), Images o/ the Feminine in Gnosticism, Phila-
delphia 1988; F. C. KLAWITER, The Role o/ Martyrdome And Persecution in Developing the Priestly
Authority o/Women in Early Christianity. A Case Study o/ Montanism, in ChH 49 (1980), 251-261;
R. KoCKWOOD, Potens et factiosa femina. Women, Martyrs And Schism in Roman North Africa, in
AugSt 20 (1989), 165-182; A. G. MARTIMORT, Les dzaconesses, essai historique, Roma 1982; R. NOR-
BERG, Non decet neque necessarium est, ut mulieres doceant. Uberlegungen zum altkirchlichen Lehr-
verbot /iir Frauen, inJAC 31 (1988), 57-73; C. OSIEK, The Widow As Altar. The Rise And Fai! o/ a
Symbol, in SecCen 3 (1983 ), 159-169; K. THRAEDE, Àrger mit der Frezheit. Die Bedeutung von Frauen
§ 19. Requisiti per il clero 131

in Theorie und Praxis der alten Kirche, in G. Scharffenorth- K. Thraede (a cura di), Freunde in Chrz~
stus werden. Die Beziehung von Mann und Frau als Frage an Theologie und Kirche, Gelnhausen/Ber-
lin 1977, 31-182; B. B. THURSTON, The Wzdows. A Women's Ministry in the Early Church, Minnea-
polis 1989; B. WnHERINGTON, Women in the Earliest Churches, Cambridge 1988;]. YSEBAERT, The
Deaconesses in the Western Church o/ Late Antiquity And Their Origin, in G. J. M. Bartelink (a cu-
ra di), Eulogia (FS A. R. Bastiaensen), Steenbrugge 1991, 421-436;
§ 18.5: M. BÉVENOT, Tertullian's Thoughts about the Christian «Priesthood», in E. J. de Smedt
(a cura di), Corona gratiarum: miscellanea patristica, historica et liturgica (FS. E. Dekkers), Briig-
ge 1975, I 125-137; A. FAIVRE, Naissance d'une hiérarchie. Les premiers étapes du cursus clérical
Paris 1977; A. FAIVRE, Naissance d'un laicat chrétien. Les enjeux d'un mot, in FZPhTh 33 (1986),
391-429; A. FAIVRE, Théologiens laics et laics théologiens. Position des problèmes à l'époque paléo-
chrétienne, in «lren » 60 (1987), 193-217; G. H. WILLIAMS, The Role o/ the Layman in the An-
cient Church, in GRBS 1 (1958), 9-42.

§ 19. Requisiti per il clero

Fonti: cf anche§ 18. E. REICHERT, Die Canones der Synode von Elv~ra. Einleitung und Kom-
mentar, Hamburg 1990.

1. Preparazione al servizio della comunità

Il concetto di« clero» (KA.fìpoç, clerus) sembra che sia stato usato per la pri-
ma volta da Tertulliano come denominazione collettiva per vescovi, presbiteri e
diaconi, l'orda sacerdotalis (De monogamia 12,l; De fuga 11,2). Questa norma
linguistica s'impose ben presto.
Mentre è possibile ricostruire, sia pure approssimativamente, l'accesso imme-
diato all'ufficio ecclesiastico attraverso l'elezione e la consacrazione(§ 18), l'istru-
zione e la formazione dei chierici nel II e nel III sec. si possono ricostruire solo con
difficoltà. La responsabilità apparteneva alle comunità e ai loro vescovi. Di un luo-
go di formazione teologica disponeva soltanto Alessandria nella scuola di Origene,
che il vescovo Demetrio aveva posto a servizio della sua Chiesa (intorno al 217).
Cesarea ebbe dal 231 un istituto analogo, di cui Origene fu il maestro di maggio-
re richiamo. Da queste scuole uscirono alcuni vescovi del III sec. (Eracla, Dionigi
e Massimo d'Alessandria; Gregorio Taumaturgo a Cesarea). Ma questo tipo di car-
riera costituiva l'eccezione. La formazione di un'élite intellettuale non era lo scopo
di un'istruzione che doveva condurre al servizio della comunità. L'intento era la
formazione di una classe dotata di capacità organizzative. Per questo l'ascesa at-
traverso i singoli uffici si rivelò come il sistema più adatto di formazione e selezio-
ne. Analogamente alla carriera burocratica si sviluppò una carriera (cursus) cleri-
cale, i cui singoli gradi furono considerati come la condizione più opportuna per
132 III. La costituzione della Chiesa

salire al grado successivo. Secondo alcune testimonianze (cf specialmente Cipria-


no, Ep. 29; 38,2) sembra che il lettorato abbia costituito solitamente il grado d'ac-
cesso alla carriera ecclesiastica. Le eccezioni più note vennero poi spiegate attri-
buendole all'intervento miracoloso di Dio (Eusebio, H. E. VII 11,1-3; 29,2-4).

2. Dimostrazione d'integrità morale nella vita

Per quanto riguardava i requisiti personali per l'ufficio clericale si diede am-
pio risalto al modello proposto nelle cosiddette lettere pastorali di Paolo (1 Tm
3,2-13; Tt 1,5-9). La dimostrazione d'integrità morale nella vita fu ritenuta in se-
guito come la condizione fondamentale: «Soltanto colui che nella propria casa
dà buona prova di sé, può mostrarsi idoneo anche nello Stato» (Sofocle, Anti-
gone 661-662; cf 1Tm3,4-5). La Didascalia siriaca richiede un certo livello d'i-
struzione, ma riconosce anche il vescovo incolto (II 1-2; cf anche Const. apost.
II 1,2). L'«età avanzata» (Didascalia siriaca II 1,2), che è il requisito per l'ele-
zione a vescovo, viene stabilita nelle Const. apost. II 1,1 almeno a cinquant'an-
ni; tuttavia, come la Didascalia siriaca, anche questa disposizione ammette ec-
cezioni (II 1,3-4). Per il presbiterato venne stabilito un limite d'età di trent'an-
ni (Sinodo di Cesarea, can. 11). L'accettazione nel clero rimase negata a coloro
che erano stati sottoposti alla penitenza canonica (§ 24; § 67) o che erano stati
battezzati sul loro letto d'informi (il cosiddetto battesimo clinico: Eusebio, H. E.
VI 43,14), e a coloro che si erano automutilati (Eusebio, H. E. VI 8,2-3). Que-
ste norme protettive illustrano in che modo l'ardo sacerdotalis divenne uno« sta-
to sacro». In ciò continuarono ad avere valore le prescrizioni veterotestamenta-
rie di purità rituale; la consapevolezza di costituire un gruppo elitario dava a
queste prescrizioni una nuova attualità.
Il celibato non fu preteso dall'ardo sacerdotalis. La norma stabilita in 1 Tm
3,2 e Tt 1,6 venne interpretata generalmente nel senso che il chierico dovesse vi-
vere in un matrimonio legittimo. Si proibì al chierico un secondo matrimonio
dopo la morte della sposa, così come rimase escluso da una consacrazione chi si
era sposato due volte (digamus). Solo certe tendenze rigoristiche, la stima del-
1' ascesi e l'esigenza di santità cultuale crearono una disposizione che condusse
all'obbligo del celibato (cf Const. apost. VIII 47,5; Concilio di Ancyra, can. 10;
Sinodo di Elvira, can. 33; 65).

3. Sostegno da parte della comunità

La condizione economica del clero dipendeva dai beni privati e dal patri-
monio della comunità. Questo era costituito dalle donazioni spontanee dei fe-
deli e, fin dal III sec., dalle proprietà acquisite dalla comunità. Poiché il clero
§ 20. Comunità episcopale, unità e molteplicità della Chiesa 133

veniva considerato come la continuazione dell'ufficio sacerdotale e levitico del-


1' Antico Testamento, venne a usufruire anche delle imposte veterotestamentarie
(Nm 18), una volta che queste furono adottate nel Nuovo Testamento (1 Cor
9,13; cf Mt 10,10; Le 10,7). La richiesta delle primizie (Didachè 13) e delle deci-
me regolamentò quei princìpi ed assicurò al clero un certo reddito (Didascalia
siriaca II 25; Const. apost. II 25; 35; VIII 3 O-31).
Cipriano di Cartagine ebbe a lamentarsi degli scarsi contributi che venivano
dalle decime (De unitate 26). Dalla sua corrispondenza veniamo a sapere che i
chierici ricevevano una determinata quota dei soldi che venivano raccolti (spor-
tulae) ed anche dei sussidi mensili (divisiones mensurnae) (Ep. 39,5; 34,4, ecc.;
cf Eusebio, H. E. V 28,10: uno «stipendio mensile» di 150 denari per il vesco-
vo di una comunità monarchianistica). Oltre che di questo i chierici vivevano
del proprio lavoro e dei propri beni o cercavano occupazioni redditizie. È sin-
tomatica la critica di Cipriano ai «vescovi che agivano come procuratori» (De
lapsis 6), e sono altrettanto significativi gli aspri attacchi di Origene contro chieri-
ci affaristi (cf Hom. Jer. 11,3; Hom. Gentile. 16,5; Hom. Num. 2,1; 11,l; 22,4, ecc.).

Bibliografia § 19: H. CROUZEL, Le célibat et la continence dans l'Église primitive: leurs motz~
vations, inJ. Coppens (a cura di),Sacerdoce et célibat, Gembloux 1971, 333-371; G. DENZLER, Das
Papsttum und der Amtszolibat, voi. 1, Stuttgart 1973; R. GRYSON, Les origines du célibat ecclésia-
stique du premier au septième siècle, Genève 1970; R. GRYSON, Les élections ecclesiastiques au 3e
siècle, in RHE 68 (1973), 353-404; A. G. HAMMAN, La/ormation du clergé-latin dans !es quatre pre-
miers siècles, in StPatr 20 (1989), 238-249; T. KLAUSER, Bischofe als staatliche Prokuratoren im III.
]h., inJAC 14 (1971), 140-149; G. H. LUTTENBERGER, The Priest As a Memberof a Ministerial Col-
lege. The Development o/ the Church's Ministerial Structure /rom 96 to c. 300 A. D., in RThAM 43
(1976), 5-63; V. SAXER, Re/lets de la culture des évèques a/ricains dans l'oeuvre de S. Cyprien, in
RBen 94 (1984), 257-284; G. SCHÒLLGEN, Sportulae, Zur Friihgeschichte des Unterhaltsanspruches
der Kleriker, in ZKG 101 (1990), 1-20; P. STOCKMEIER, Aspekte zur Ausbildung des Klerus in der
Spiitantike, in MThZ 27 (1976), 217-232; G. WESCH-KLEIN, Liberalitas in rem publicam. Private
Au/wendungen zugunsten von Gemeinden in romischen A/rika bis 284 n. Chr., Bonn 1990.

§ 20. Comunità episcopale, unità


e molteplicità della Chiesa

1. Comunità episcopale locale

La Chiesa rimase all'inizio essenzialmente circoscritta alla città. I vescovi fu-


rono i primi pastori delle comunità urbane (mx.potKta, parrocchia) e venivano
consacrati solo per questae Chiese locali (cf Nicea, can. 8; Calcedonia, can. 6;
per il divieto di trasferimento cf § 61,3). Il fatto che le maggiori comunità urba-
134 III. La costituzione della Chiesa

ne estendessero la cura delle anime ai territori circostanti (come a Roma e in mi-


sura anche maggiore ad Alessandria) non determinò alcun mutamento in que-
sta disposizione; le comunità che nel III sec. nascevano sulla campagna attorno
alla città rimanevano subordinate alle comunità urbane. Dionigi d'Alessandria
menziona «sacerdoti e maestri dei villaggi d'Egitto» (Eusebio, H. E. VII 24,6;
cf H. E. VII 30,10 per il territorio attorno ad Antiochia). Nell'Asia Minore (Pan-
filia?), a dire il vero, è documentata verso la fine del II sec. l'esistenza di un ve-
scovo di un villaggio (Kc0µ11) (Eusebio H. E. V 16,17), e il Concilio di Ancira
(314), can. 13, parla per la prima volta di «vescovi di campagna» (xropE1ttO'Ko-
not), che però risultano subordinati ai vescovi delle città (cf § 62,1).
Dall'interpretazione dell'ufficio episcopale (i vescovi furono ritenuti depo-
sitari del carisma della guida e della successione apostolica) derivò la teoria del
pari grado di tutti i vescovi. Ma con questa teoria contrastava l'importanza po-
litica della città che di volta in volta fu sede vescovile, come anche il peso che al-
l'interno della Chiesa si riconobbe all' ecclesia apostolica. Nella lotta per l'orto-
dossia le «cattedre apostoliche» (cathedrae) vennero considerate sempre di
più comunità con valore normativo per il corretto modo di credere e di vivere
(cf § 27,5; 21; 63).

2. La Concordia episcoporum

L'unità della Chiesa dipendeva dall'unità dei vescovi. Questa si esprimeva


già nella consacrazione di un nuovo vescovo, alla quale prendevano parte i ve-
scovi vicini. Il can. 4 di Nicea dispose che in una consacrazione episcopale fos-
sero presenti almeno tre vescovi, fissando in tal modo una consuetudine già in
vigore. Subito dopo la sua consacrazione il nuovo vescovo notificava ai suoi col-
leghi nell'episcopato, in una lettera ufficiale, l' awenuto insediamento. Anche in
altre occasioni i vescovi intrattenevano tra di loro una corrispondenza epistola-
re. L' epistula episcopalis divenne espressione di responsabilità ecumenica e di
unità ecclesiale.
Sin dalla fine del II sec. i vescovi di singole province o diocesi cominciaro-
no a incontrarsi in apposite riunioni (cruvooocr, sinodo, concilio) per faccende
che riguardavano l'intera Chiesa (cf Cipriano, Ep. 19,2). Awenimenti straordi-
nari, come la comparsa dei montanisti, la controversia sulla festa di Pasqua, il
trattamento dei lapsi o la controversia sul battesimo degli eretici (cf § 34; 25,4;
35; 22,3), diedero incremento a questa pratica. Ne risultò un'istituzione che di-
mostrò significativamente l'unità della Chiesa sulla base del pari grado dei ve-
scovi. Nella misura in cui ogni singolo vescovo veniva considerato come succes-
sore degli apostoli, i vescovi partecipanti erano equiparati nei diritti: «nessuno di
noi si atteggia a vescovo dei vescovi» (verbale di chiusura del sinodo di Cartagi-
§ 20. Comunità episcopale, unità e molteplicità della Chiesa 135

ne del 256). «L'ufficio episcopale è unico, e ciascuno vi partecipa rispettandone


l'interezza» (Cipriano, De unitate 5). Il sinodo pronunciava il suo giudizio (sen-
tentia) all'unanimità; ogni vescovo sottoscriveva indicando la propria comunità.
Spesso le Chiese vicine venivano informate attraverso lettere sinodali (cf le nu-
merose lettere dei sinodi nordafricani a Roma; vedi sotto § 21,2; 63), ma senza
che questo avesse avuto un influsso sulla legittimità formale delle decisioni.

3. Struttura territoriale

Il sinodo episcopale era una faccenda ecclesiastica regionale cui prendeva-


no parte i vescovi di una determinata regione, che deliberavano con carattere di
obbligatorietà per questo territorio ecclesiastico. Modello di questa struttura re-
gionale fu la suddivisione dell'Impero Romano. La geografia ecclesiastica si
conformò più o meno alla geografia politica. Già nel III sec. si costituì un'unità
ecclesiastica provinciale. La provincia imperiale divenne provincia ecclesiastica
e il vescovo della metropoli della provincia divenne primo vescovo (metropoli-
ta) della provincia ecclesiastica (cf can. 4 di Nicea). Il principio alternativo del-
l'apostolicità delle Chiese importanti rimase subordinato a questo.
Il can. 6 di Nicea confermò la posizione di superiorità di Roma, Alessandria,
Antiochia e delle altre eparchie: « Si deve conservare l'antico uso invalso in Egit-
to, in Libia e nella Pentapoli, per cui il vescovo d'Alessandria ha potere su tutti
questi territori, poiché anche per il vescovo di Roma c'è una tale consuetudine.
Alla stessa maniera si debbono conservare anche in Antiochia e nelle altre epar-
chie gli antichi diritti per le Chiese». In tal modo le capitali dell'Impero veni-
vano designate come capoluoghi ecclesiastici per i tre grossi territori di giuri-
sdizione ecclesiastica: l'occidente (Roma), l'Egitto, la Libia e la Pentapoli (Ales-
sandria), e la diocesi imperiale d'oriente (Antiochia). Le eparchie non menzio-
nate potrebbero essere state le Chiese dell'Asia Minore, della Grecia e del Nor-
dafrica, che certamente non raggiunsero l'importanza delle tre sedi vescovili
espressamente nominate.
Bibliografia: H. C. BRENNECKE, Bischofsversammlung und Reichssynode. Das Synodalwesen
im Umbruch der konstantinischen Zeit,'in F. von Lilienfeld - A. M. Ritter (a cura di), Einheit der
Kirche in vorkonstantinischer Zeit, Erlangen 1989, 35-53; R. E. BROWN -J. P. MEIER, Antiochia e
Roma. Chiese madri della cattolicità antica, Assisi 1987 (in ingl. 1983); G. D'ERCOLE, Communio-
collegialità, primato e sollicitudo omnium ecclesiarum dai Vangeli a Costantino, Roma 1974; E.Ju-
NOD, Naissance de la pratique synodale et unité de l'Église au Ile siècle, in RHPhR 68 (1988), 163-
180; A. LUMPE, Zur Geschichte des Wortes synodos in der antiken christlichen Grà'zitiit, in AHC 6
0974), 40-53; A. LUMPE, Zur Geschichte der Worter concilium und synodus in der antiken Lati-
nitiit, in AHC 2 (1970), 1-21; S. VOGEL, Primatz'alité et synodalz'té dans l'Église locale durant la pé-
riode anténicéene, in Aspects de l'Orthodoxie. Structures et spiritualité. Colloque de Strasbourg, Pa-
ris 1981.
136 III. La costituzione della Chiesa

§ 21. Il primato di Roma

Cipriano, De unit. ecc!.: P. de LABRIOLLE, t trad. frane. c, Paris 1942; G. TOSO (a cura di), Ope-
re, Torino 1980; cf anche Cipriano, § 40,3.

1. Motivazioni politiche e apostoliche del primato

Il can. 6 di Nicea parlò di una preminenza di Roma a motivo di un'antica


consuetudine (vedi sopra § 20.3). Il sinodo confermava in tal modo l'autorità e
la rispettabilità di cui godeva la Chiesa romana anche in Oriente, anche se l'am-
bito giuridico della sua influenza era limitato all'Italia e i legati del vescovo di
Roma non avevano nello stesso concilio un ruolo preminente. Questa posizione
di riguardo era basata da una parte sulla stima con cui veniva considerata la ca-
pitale dell'Impero, e dall'altra sulla tradizione secondo cui la Chiesa di Roma era
stata fondata dai due apostoli Pietro e Paolo, dei quali custodiva le tombe (cf
§ 10.1). Le preminenza politica veniva ad unirsi con il peso dell'apostolicità:
«Regina con la veste aurea e i calzari d'oro » venne detta la Chiesa di Roma at-
torno al 200 da Abercio (vescovo di Geropoli?) [W. Wischmeyer, Die Aberkios-
inschri/t als Grabepigramm, inJAC 23 (1980), 22-47, 25,7ss.].
L'attrattiva esercitata da questa comunità e la stima in cui essa era tenuta do-
vettero essere fin dall'inizio motivo di alta considerazione (Rm 1,8; Ignazio, Ad
Rom praescr.), senza che ciò comportasse una posizione speciale per il vescovo
romano. L'episcopato monarchico si affermò anche in Roma soltanto a metà del
II sec. I primi vescovi dei quali abbiamo notizie s'inserirono nel concetto di con-
cordia episcoporum. Il vescovo Aniceto (154/155-166) trattò con cortesia il ve-
scovo Policarpo di Smirne, quando costui si trattenne a Roma (Eusebio, H. E.,
IV 14,1-2; V 24, 16-17). Il suo successore Sotero (166-174) è noto per l'intenso
scambio epistolare con comunità lontane e per il sostegno materiale che diede
loro (Eusebio, H. E. IV, 23,10). Una prima discussione fu provocata dal vesco-
vo Vittore (189?-199?), che nella cosiddetta controversia sulla festa di Pasqua
(§ 25,4) volle imporre la prassi romana alle comunità dell'Asia Minore e si se-
parò bruscamente dal vescovo Policrate di Efeso (Eusebio, H. E. V 24,9), atti-
randosi per questo motivo i rimproveri di altri vescovi (ibidem 10-17). Non sia-
mo più in grado di stabilire quali argomenti il vescovo romano, che pronunciò
la sua sentenza in unione con altri vescovi, abbia potuto addurre. Ireneo affer-
ma che Vittore poteva certamente basarsi sulla tradizione romana (Eusebio,
H. E. V 23,1; 24,12-14), ma rileva che il predecessore di Vittore Aniceto e Poli-
carpo di Smirne, pur con tutte le differenze di atteggiamento, non si erano se-
§ 21. Il primato di Roma 137

parati per una tale questione. Secondo Eusebio i vescovi dell'Asia Minore si ri-
chiamavano alla loro propria tradizione apostolica e alle tombe degli apostoli Fi-
lippo e Giovanni e di altri« astri» (H. E. V 24,2-6). Non si arrivò, per allora, a
una soluzione comune per tutta la Chiesa.
Una particolare autorità di Roma venne indubbiamente riconosciuta dalle al-
tre Chiese. Agli inizi del III sec. Origene vi si recò «per vedere l'antichissima
Chiesa dei Romani» (Eusebio, H. E. VI 14.10). Per Tertulliano la Chiesa romana
faceva parte delle ecclesiae apostolicae privilegiate (De praescr. 36,3 ). Nel contesto
delle sue argomentazioni per una funzione normativa della tradizione apostolica,
tangibile specialmente nelle Chiese «apostoliche», Ireneo sollecitava l'unità di
tutte le comunità con la Chiesa romana propter potentiorem principalitatem (Adv.
haer. III 3,1-2). Questa «autorevole origine» (principalitas, apxft) rendeva Roma
comunità normativa alla quale tutti dovevano guardare per la trasmissione della
fede. Basandosi sulla sua ininterrotta serie di vescovi (Ireneo menziona i succes-
sori degli apostoli fino ad Eleuterio, 174-189), egli dimostrava in modo esempla-
re l'inalterata tradizione apostolica (Adv. haer. III 3,3-4). Segni visibili di questa
apostolicità si trovavano nelle tombe degli apostoli a Roma, cioè nei loro« trofei»,
che «furono mostrati» nello stesso tempo (Eusebio, H. E. II 25,7).

2. Successione unitaria di tutti i vescovi o romana-petrina

Il posto preminente occupato dalla capitale non contrastava con il concetto


di unità e parità tra i vescovi. In effetti, Cipriano scriveva nel 252 al vescovo ro-
mano Cornelio indicando in Roma «la cattedra di Pietro e la Chiesa principale
dalla quale promana l'unità dei vescovi» (Ep. 59,14; cf 55,8: focus Fabiani come
focus Petri). Ma queste formulazioni sono da leggersi in connessione con il suo
modo d'intendere natura e ufficio della Chiesa, così come egli spiegò nel De uni-
tate ecclesiae catholicae (251), partendo da Mt 16,18ss. (come anche Gv 20,21-
23; 21,17). Contro la discordia e le divisioni che laceravano le Chiese del tempo
egli poneva l'origine della Chiesa nell'unico apostolo Pietro, che fu chiamato
per primo (primatus Petra datur, «il primato viene dato a Pietro»). Questo pri-
mato nel tempo indicherebbe l'unità della Chiesa e dell'ufficio episcopale (una
ecclesia et una cathedra monstratur). Secondo Gv 21,17, il Risorto avrebbe allo-
ra conferito a tutti gli apostoli eguale potere (parem tribuit potestatem). Pietro,
quindi, non fu un «super-apostolo»: tutti gli apostoli sarebbero alla stessa ma-
niera pastori di un unico gregge, si troverebbero in unità con Pietro e sarebbe-
ro partecipi con diritti equiparati di un unico episcopato (De unitate 4).
Il De unit. ci è pervenuto in due redazioni, entrambe attribuite a Cipriano. La prima, più lun-
ga, risale al 251; la datazione della seconda, più breve, rimane discussa. Forse l'opera nacque co-
me riflessione sulle discussioni tra Cornelio di Roma e Novaziano (§ 34), perché la figura di Pie-
138 III. La costituzione della Chiesa

tro viene messa in più forte risalto. O, ciò che appare più probabile, Cipriano reagì all'argomen-
tazione di Stefano di Roma nella controversia sul battesimo degli eretici, esaltando con molta acu-
tezza l'unica cathedra alla quale partecipano alla stessa maniera tutti i vescovi.

Nelle lunghe e complicate discussioni sulla questione circa il trattamento da


riservare a coloro che erano caduti nella persecuzione, Cipriano si comportò in
questo modo: cercò l'unità di tutti i vescovi e comunicò per questo all'autore-
vole Chiesa di Roma le decisioni dei sinodi nordafricani (Ep. 55,6; 67,1.5, e in
molti altri luoghi). La validità delle decisioni dei sinodi locali non dipendeva
dall'approvazione di Roma (cf la polemica in Ep. 59,14; vedi anche Ep. 67 ,5ss.).
Quando in Gallia e in Spagna si arrivò a dei contrasti legati alla distribuzione
degli uffici e a provvedimenti di destituzione (Ep. 67 e 68), venne richiesta la
mediazione sia di Cipriano che del vescovo di Roma. Il fatto che Cipriano chie-
desse l'intervento in Gallia (Ep. 68,3) del suo collega romano era motivato non
dalla particolare posizione giuridica di costui, ma piuttosto da ragioni geografi-
che e pratiche.
Nella controversia sul battesimo degli eretici (§ 22,3 ), tuttavia, Cipriano
venne in contrasto con Stefano di Roma (254?-257). Costui si richiamava alla
sua particolare posizione episcopale e al fatto di essere successore di Pietro
(Cipriano, Ep. 75,17; scritta da Firmiliano di Cesarea nel 256); si appellava quindi
a un'autorità superiore, un'argomentazione che non fu accettata né da Cipriano
né dai vescovi dell'Asia Minore (Cipriano, Ep. 74,1; cf Ep. 71,3; 72,3). La con-
troversia ebbe termine solo con la morte di tutti e due i principali interlocutori.

Bibliografia§ 21: G. HAENDLER, Zur Frage nach dem Petrusamt in der alten Kirche, in StTh
30 (1976), 89-122; T.V. SMITH, Petrine Controversies in Early Christianity. Attitudes Towards Pe-
ter in Christian Writings o/ the First Two Centuries, London 1981; P. STOCKMEIER, Papsttum und
Petrus-Dienst in der friihen Kirche, in MThZ 38 (1987), 19-29.
§ 21.1: P. HrNCHLIFFE, Cyprian of Carthage And the Unity of the Christian Church, London
1974; ]. HOFMANN, Die amtliche Stellung der in der iiltesten romischen Bischofsliste iiberlieferten
Manner in der Kirche von Rom, in HJ 109 (1989), 1-23; R STAATS, Die martyrologische Begriin-
dung des Romprimats bei Ignatius von Antiochien, in ZThK 73 (1976), 461-470.
§ 21.2: M. BÉVENOT, Episcopat et primauté chez S. Cyprien, in EThL 42 (1966), 176-195;
A. DEMOUSTIER, Episcopat et union à Rame selon S. Cyprien, in RSR52 (1964), 337-369; P. A. GRA-
MAGLIA, Cipriano e il primato romano, in RSLR 28 (1992), 185-213; U. WICKERT, Sacramentum
unitatis. Ein Beitrag zum Verstandnis der Kirche bei Cyprian, Berlin/New York 1971.
IV. Vita cristiana

§ 22. Il battesimo

E. C. WHITAKER, Documents o/ the Baptismal Liturgy, trad. ingl., London 1960.

Tertulliano: De bapt.: B. LUISELLI (a cura di), te, Torino 1968 2; trad. it., Edizioni Paoline, Torino
1979; E. EVANS, t trad. ingl. e, London 1964; R. F. REFOULÉ- M. T. DROUZY, t trad. frane. e,
1952 (SC 35).
Riti battesimali (etiop.): A. SALLES, trad. frane., e, 1958 (SC 59).

Che la vita cristiana abbia inizio con il battesimo è un dato di cui si ha l'ov-
vio presupposto nel NT. La prassi dell'immersione si ricollega con il battesimo
di penitenza di Giovanni Battista (Mc 1,9 e par.; Mt 28,19; Mc 16,6; At 2,38 e in
molti altri luoghi) e non si può ricondurre né al battesimo giudaico dei proseli-
ti (auto-battesimo) né ai riti ellenistici di purificazione. Elementi essenziali sono
la conversione e il lavacro con l'acqua come inizio di una vita nuova, ripiena del-
lo Spirito. Che il battezzando venisse completamente sommerso (submersio)
non risulta dimostrato. Si deve pensare piuttosto a un'aspetsione (per/usio) uni-
tamente all'immersione (immersio) del battezzando. A ciò si aggiunge l'invoca-
zione del nome divino («nel nome di Gesù»; «nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo»), con la qual cosa si dà espressione alla fede e alla propria
rinascita in Dio. Come segno del conferimento dello Spirito Santo (Mc 1,8 par.;
Gv 3,5; 1 Cor 12,13, ecc.) servì l'imposizione delle mani.

1. La preparazione al battesimo (catecumenato)

In epoca successiva a quella apostolica le comunità istituirono periodi di pre-


parazione al battesimo. La Didachè presuppone un'istruzione morale/catechetica
che si ricollega alla catechesi sinagogale della cosiddetta « figura delle due vie» (Did.
7,l-4; cf 1-6; cf Barnaba 18-20). Giustino richiede «la convinzione della verità del-
le nostre dottrine» (Apol. I 61). Attorno al 215 Ippolito testimonia un periodo
triennale di preparazione (Trad. apost. 17), che fu ampiamente praticato.
Secondo Ippolito, i neoconvertiti venivano presentati al maestro da un
membro della comunità. I «garanti» confermavano la seria volontà di conver-
sione dell'aspirante al battesimo (Trad. apost. 15; 20). I candidati esponevano i
loro motivi e rendevano conto del loro modo di vivere: si esortavano le persone
sposate alla fedeltà e gli schiavi a un adeguato comportamento nei confronti del
140 IV Vita cristiana

loro padrone. Gli schiavi di padroni cristiani avevano bisogno, inoltre, di un lo-
ro attestato. C'era inoltre tutta una serie di proibizioni o limitazioni di ambito
professionale, che tenevano conto delle esigenze di carattere morale e del peri-
colo di rimanere corrotti da pratiche pagane. (Trad. apost. 16; cf § 15,3; 26,2).
Gli aspiranti al battesimo che venivano accolti, chiamati catecumeni, dove-
vano« ascoltare la Parola» generalmente per tre anni (Trad. apost. 7). A secon-
da del loro comportamento morale (Trad. apost. 20), questo tempo veniva al-
lungato o ridotto. Qualche settimana prima del battesimo cominciava la prepa-
razione più intensiva, caratterizzata liturgicamente da esorcismi piuttosto fre-
quenti (Trad. apost. 20) e dalla preghiera della comunità. I catecumeni diveni-
vano competentes (seriamente aspiranti), electi (prescelti) o photizomenoi (illu-
minati). Da questo momento, al più tardi, essi venivano ammessi all'ascolto del
Vangelo, ma nelle liturgie della comunità venivano congedati prima della cele-
brazione eucaristica. Negli ultimi giorni prima del battesimo digiunavano sia i
batezzandi che coloro che li assistevano (Didachè 7,4; Giustino, Apol. I 61; Trad.
apost. 20). Durante la veglia dell'ultima notte venivano lette loro le Sacre Scrit-
ture e venivano loro impartite le ultime istruzioni.

2. L'amministrazione del battesimo

Date preferite per l'amministrazione del battesimo erano quelle di Pasqua e


di Pentecoste; per Tertulliano il tempo adatto era l'intero periodo di Pentecoste
(De bapt. 19). La cerimonia vera e propria del battesimo era ritualmente ben ar-
ticolata. I momenti salienti erano, oltre all' «immersione», l'unzione con il cri-
sma, impartita una o due volte, la «rinuncia al diavolo, al suo servizio e alle sue
opere» e la professione di fede. Secondo la Trad. apost. 21, l'intera cerimonia
del battesimo può essere ricostruita nel modo seguente:
Nel battistero:
preghiera sull'acqua
deposizione degli abiti
preghiera sugli oli
rinuncia al diavolo: domanda-risposta (apotaxis, abrenuntiatio)
unzione con l'olio dell'esorcismo
battesimo con domande battesimali o apposita professione di fede
unzione da parte del sacerdote con l'olio del rendimento di grazie.
Nella chiesa:
imposizione delle mani e preghiera da parte del vescovo
unzione da parte del vescovo con l'olio del rendimento di grazie
benedizione/suggello col segno di croce (consignatiolsphragis)
bacio di pace.
§ 22. Il battesimo 141

Subito dopo: concelebrazione eucaristica.


Ci furono certamente delle differenze locali, ma la struttura fondamentale
del rito battesimale fu unitaria. Per il Nordafrica gli atti determinanti e il loro
effetto vengono descritti da Tertulliano (De resurr. mort. 8,3 ):
lavacro battesimale - purificazione
unzione - consacrazione
suggello - confermazione/rafforzamento
imposizione delle mani- conferimento dello Spirito Santo.

Il battesimo vero e proprio veniva compiuto in una vasca (piscina), dove il


battezzando, probabilmente immerso in posizione eretta, veniva asperso tre vol-
te con l'acqua. Quando il rito battesimale ebbe un suo sviluppo, venne a farne
parte la confessione di fede. Al battezzando veniva chiesto dal battezzatore se
credeva in Dio, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, ed egli rispondeva
volta per volta con la formula« Credo» (Ippolito, Trad. apost. 21). Il contenuto
del credo battesimale concorda con altre note formule di professione, anche se
il tenore delle parole risulta differente (§ 27,2-3). La professione di fede nello
Spirito Santo stabiliva un legame con la Chiesa in quanto comunità, ripiena ap-
punto dello Spirito, in cui il battezzando veniva accolto e inserito (Tertulliano,
De bapt. 6,2). Un simbolo indipendente per la professione di fede, accanto alla
formula articolata in tre domande e risposte, è documentabile solo a partire dal
IV sec. (cf § 27,2-3; § 65,2).
Per motivi di decenza nel battesimo delle donne si fece ricorso all'aiuto di
assistenti femminili. Nelle Chiese orientali costoro erano le diaconesse. Il luogo
di battesimo dipendeva dalla effettiva situazione locale (Didachè 7,1: «battezza-
te in acqua viva!». Cf Trad. apost. 21; Tertulliano, De bapt. 4,3). Dall'inizio del
III sec. furono costruiti appositi edifici (battisteri) forniti di vasca battesimale
nell'ambito degli spazi destinati alle riunioni della comunità(§ 23,4).
Al battesimo seguiva la celebrazione eucaristica (Giustino, Apol. I 65; Ippo-
lito, Trad. apost. 21). L'usanza di offrire in tale occasione «latte e miele» (Ippo-
lito, ibidem; Tertulliano, De corona 3; cf Adv. Mare. I 14) si ricollega con il sim-
bolismo della rinascita e della consacrazione. La promessa biblica di « un paese
dove scorre latte e miele» (Es 3 ,8.17 e altrove) diede a questo rito il suo conte-
nuto specifico.
La preparazione al battesimo e la sua amministrazione erano previste per il
battezzando adulto. Fu abituale, tuttavia, anche il battesimo dei bambini (Ireneo,
Adv. haer. II 22,4; Origene, Comm. Rom. 5,9; Ippolito, Trad. apost. 21). Se i cate-
cumeni subivano prima del battesimo il martirio, allora la morte violenta per amo-
re di Cristo valeva come «battesimo di sangue» (baptismus sanguinis). Tertullia-
no lo chiama «secondo lavacro» (secundum lavacrum) e ne giustifica il concetto
con Le 12,50 (De bapt. 16; cf Cipriano, Ep. 73,22, che aggiunge Le 23,39-43).
142 IV .Vita cristiana

3. La controversia sul battesimo degli eretici

L'esistenza di comunità cristiane diverse condusse alla questione circa il va-


lore del rispettivo battesimo. Tertulliano rifiutò ogni battesimo che fosse al di
fuori della sua Chiesa. Secondo E/ 4,4-6, non ci sarebbe che un unico battesi-
mo, amministrato esclusivamente nella Chiesa cattolica (De bapt. 15). La Chie-
sa africana si attenne senza alcun compromesso a questa norma (sinodo di Car-
tagine del 220), con la quale fu d'accordo anche la Chiesa dell'Asia Minore (cf
Cipriano, Ep. 75,7).
La questione divenne estremamente attuale in occasione dello scisma di
Novaziano (§ 35,2). La sua« Chiesa dei puri» non riconosceva il battesimo cat-
tolico e richiedeva un nuovo battesimo a chi intendesse farne parte. Cipriano
(Ep. 73 ,2) parlò di un'« imitazione scimmiesca» e di arbitraria appropriazione
«dell'unico battesimo». Egli e il suo alleato Firmiliano di Cesarea rimasero
strettamente fedeli alla prassi delle loro Chiese, secondo la quale non c'era per
loro che un unico battesimo: «Al di fuori della Chiesa non vi è salvezza » (sa-
lus extra ecclesiam non est, Ep. 73,21). Un convertito doveva dunque essere bat-
tezzato. Stefano di Roma, invece, riconosceva un battesimo che fosse ammini-
strato nel nome di Gesù Cristo (Cipriano, Ep. 73,14, con Fil 1,18; cf Ep.
75,18.20). Egli si accontentava, in una conversione, dell'imposizione delle ma-
ni come rito d'accoglienza (Cipriano, Ep. 74,1) e si richiamava per questo alla
tradizione della sua Chiesa: «Nulla si deve introdurre al di fuori di ciò che è
stato tramandato» (nihil innovetur, nisi quod traditum est, ibidem). All'argo-
mento della tradizione, a dire il vero, si fece ricorso anche dall'altra parte (Ci-
priano, Ep. 71,3; 75,19; cf Ep. 74,9).
Per Cipriano l'azione del battesimo rappresenta unitamente il perdono dei
peccati, il conferimento dello Spirito e il riconoscimento di un'unica Chiesa (Ep.
69,3 ). La Chiesa di Roma, invece, non sembra aver dato un tale peso a questa
unità: il lavacro di purificazione poteva essere separato dall'imposizione delle
mani che conferiva lo Spirito (Cipriano, Ep. 73 al vescovo Giubaiano, che sim-
patizzava per la posizione di Stefano). La violenta controversia, personalizzata
in Stefano e Cipriano, non poté arrivare a un accomodamento. Tre sinodi cele-
brati a Cartagine (255 e 256) si dichiararono a favore di Cipriano (Ep. 70; 72);
Sententiae episcop. 82). Dopo questo, Stefano ruppe la comunione ecclesiastica
con il Nordafrica (Cipriano, Ep. 75,25). I tentativi di mediazione da parte di
Dionigi d'Alessandria (Eusebio, H. E., VII 2-9) rimasero infruttuosi. Soltanto la
morte di Stefano nel 257 e la persecuzione sotto l'imperatore Valeriano posero
fine alla controversia, al chiarimento della quale contribuì nuovamente Dionigi
d'Alessandria accettando l'unione con il vescovo di Roma. Il sinodo di Arles del
314 mostrò ancora un cauto riguardo nei confronti della prassi nordafricana
(can. 9 [8]).
§ 23. La liturgia della comunità cristiana 143

Bibliografia § 22: J. DANIÉLOU, La catéchése aux premiers siècles, Paris 1968; E. DASSMANN, Siin-
dervergebung durch Tau/e, Bu/5e und Martyrediirbitte in den Zeugnissen friihchristlicher Fromnmigkeit
und Kunst, Miinster 1973; A. ]ILEK, Initiatt'onsfeier und Amt: Ein Beitrag zur Struktur und Theologie
der Amter und des Tau/gottesdienstes in der friihen Kirche, Frankfurt 1979; H. KlRsTEN, Die Tau/ab-
sage. Bine Untersuchung zu Gestalt und Geschichte der Tau/e nach den altkirchlichen Taufliturgien,
Berlin 1960; G. KRETSCHMAR, Die Geschù:hte des Taufgottesdienstes in der alten Kirche, Kassel 1970
(Leiturgia 5, 1-348); K. MAc DONNELL, Christian Initiation And Baptism in the Holy Spirit. Evidence
/rom the First VIII Centuries, Collegeville 1991; R. NEUNHEUSER, Tau/e und Firmung, Freiburg 1983 2
(HDG IV 2); G. A. NOCILLI, La catechesi battesimale ed eucaristica di San Giustino martire, Bologna
1990; V SAXER, Les rites de l'initiation chrétienne du Ile au VIe siècle. Esquisse historique et signi/ica-
tion d'après leurs principaux témoins, Spoleto 1988; K. THRAEDE, Exorzismus, in RAC 7 (1969), 44-
117; E. YARNOLD, Baptism And the Pagan Mysteries in the IV Century, in HeyJ 13 (1972), 247-267;
J. YSEBAERT, Greek Baptismal Terminology. Its Origins And Early Development, Nimwegen 1962.
§ 22.2: I. ABRAMOWSKI, Die Entstehung der dreigliedrigen Tau/forme! - ein Versuch, in ZThK
81(19.84), 417-446; J. BETZ, Die Eucharistie als Gottes Milch infriihchristlicher Sicht, in ZKTh 106
(1984), 1-26; 167-185; E. FARBER, Der Ort der Taufspendung, in ALW 13 (1971), 36-114; E. FER-
GUSON, Inscriptions And the Origin o/ Infant Baptism, inJThS 30 (1979), 37-46; P. A. GRAMAGLIA,
Il battesimo dei bambini nei primi quattro secoli, Brescia 1973; C. MUNIER, Initiation chrétienne et
rites d'onction (IIe-IIIe siècle), in RevSR 64 (1990), 115-125; 217-234; E. NAGEL, Kindertaufe und
Tau/aufschub. Die Praxis vom 3.-5. Jahrhundert in Nordafrika und ihre theologische Einordnung bei
Tertullian, Cyprian und Augustinus, Frankfurt 1980.
§ 22.3: M. BÉVENOT, Cyprian's Plat/orm in the Rebaptism Controversy, in HeyJ 19 (1978),
123-142; J. FISCHER, Zu den Konzilien in Karthago im Jahr 255, im Friihjahr 256 und im Spiitsom-
mer 256, in AHC 14 (1982), 227-240; 15 (1983), 1-14; 16 (1984), 1-39; H. KIRCHNER, Die Ketzer-
taufstreit zwischen Karthago und Rom und seine Konsequenzen fiir die Frage nach den Grenzen der
Kirche, in ZKG 81 (1970), 290-307.

§ 23. La liturgia della comunità cristiana

]. QUASTEN, Monumenta eucharistica et liturgica vetustissima, t, 1935-1937 (Flor Patr, Fase. VII 1-5);
J. BECKMANN, Quellen zur Geschichte des christlichen Gottesdienstes, t trad. ted., Giitersloh 1956.

1. L'eucaristia

Il legato neotestamentario («Fate questo in memoria di me», Le 22,19;


1 Cor 11,24-25) rimase determinante per la celebrazione eucaristica delle co-
munità cristiane, che venne denominata «frazione del pane», «cena del Signo-
re», « rendimento di grazie» o « sacrificio». La sua cornice esteriore fu un co-
mune banchetto, con rito e preghiere che si rifacevano chiaramente alle usanze
conviviali e al modo di pregare del giudaismo. Nel II sec. l'eucaristia venne se-
parata dalla celebrazione domestica della cena. Mentre in Didachè 9-10 la cele-
brazione, con il « rendimento di grazie sul vino e sul pane» che ricorda la cena
144 TV. Vita cristiana

di Gesù con i discepoli, ma senza un rapporto con la sua morte, viene ancora in-
tesa come un banchetto, Didachè 14 stabilisce la frazione del pane in rendimen-
to di grazie nel giorno di domenica, senza accennare a un comune pasto.
Giustino descrive la forma ulteriormente sviluppatasi della celebrazione co-
me lode, rendimento di grazie e sacrificio (Apol. I 65-67; Dia!. 41,1; 117,2; cf
Ireneo, Adv. haer. I 13,2; III 18,2; IV 17,5-6; IV 18,5-6; Acta Johannis 109). Egli
attesta la bipartizione tra liturgia della parola ed eucaristia. Della prima parte fa-
cevano parte letture dalle «memorie degli apostoli e dagli scritti dei profeti»,
l'omelia e la comune preghiera d'intercessione (cfl Lettera di Clemente 40-61).
Il bacio di pace come segno di comunione terminava questa parte. Subito dopo
colui che presiedeva la celebrazione pronunciava sulle offerte del pane e del vi-
no il rendimento di grazie, confermato dall'Amen della comunità. Poi le offer-
te, cioè «il pane e il vino che con la loro trasformazione erano diventati carne e
sangue di Gesù» (Apol. I 66), venivano distribuite ai presenti.
La stessa informazione ci viene fornita dalle Costituzioni d'Ippolito. Poiché
Ippolito descrive lo svolgersi della celebrazione eucaristica nel contesto di una
consacrazione episcopale, al posto della liturgia della parola c'era la consacra-
zione (cf Giustino, Apol. I 65, dove, a questo posto, c'è il battesimo). Per la li-
turgia eucaristica Ippolito cita un canone (o« preghiera eucaristica») che viene
considerato come testo esemplare (cf Trad. apost. 9); esso viene introdotto dal
dialogo tra sacerdote e fedeli in uso ancora oggi (Trad. apost. 4). Quanto al ca-
none, esso risulta chiaramente strutturato nel modo seguente:
- ringraziamento anamnetico (o anamnesi) per l'evento di Cristo;
- narrazione dell'istituzione con il memoriale della morte e risurrezione;
- invocazione dello Spirito Santo (epiclesi).
Le notizie che abbiamo dal III sec. trovano una loro collocazione in questa
cornice già formata di liturgia della parola e dell'eucaristia. Pur con tutte le dif-
ferenze, l'azione centrale della liturgia eucaristica è costituita dal rito del pane e
del calice nel contesto del canone. Nell'Africa settentrionale la liturgia venne ce-
lebrata per la prima volta in lingua latina. Tertulliano e Cipriano preferiscono
indicare la celebrazione eucaristica con il termine sacrificium, o con l'uso dei
verbi al/erre e sacrzficari, con i quali si dà maggiore risalto al carattere sacrifica-
le. I due scrittori nordafricani testimoniano anche, per la prima volta, l'offerta
dell'eucaristia per i defunti (Tertulliano, De corona 3; Cipriano, Ep. 1,2).
La celebrazione comunitaria dell'eucaristia aveva luogo generalmente di do-
menica (Giustino, Apol. I 67: giorno della creazione e della risurrezione). Ter-
tulliano menziona la celebrazione anche nei giorni stazionali (De orat. 19; cf
§ 25,1); Cipriano conosce il «sacrificio» quotidiano (Ep. 57,3; cf 63,16; Tertul-
liano, De orat. 18). La comunità veniva insistentemente esortata a partecipare al-
la celebrazione, perché questa garantiva ai fedeli l'unità con il Signore innalzato
§ 23. La liturgia della comunità cristiana 145

e ne rendeva tangibile la comunione al di là dello spazio e del tempo. Ai parteci-


panti viene anche promesso, nel III sec., che riceveranno aiuto e forza per af-
frontare le fatiche· quotidiane. «Chi prega in chiesa riuscirà a superare i mali di
ogni giorno» (Trad. apost. 41). Non manca un'energica esortazione al rispetto da-
vanti alla celebrazione eucaristica e al «corpo di Cristo» (Trad. apost. 37; Tertul-
liano, De corona 3,4). Risalgono al III sec. anche racconti meravigliosi sull'euca-
ristia (Cipriano, De lapsis 25; Eusebio, H. E. VI 44; Dionigi d'Alessandria).

2. La comunione

La celebrazione eucaristica includeva la comunione, termine con cui è stata


chiamata la prassi di ricevere le specie del pane e del vino («offerte») mutate in
corpo e sangue di Cristo. Come segno di unità e di distinzione nello stesso tem-
po queste venivano amministrate solo ai battezzati (Didachè 9,5), i soli che po-
tevano partecipare alla liturgia eucaristica. I fedeli ricevevano la comunione sot-
to le due specie. Agli assenti essa veniva portata solo nella specie del pane. An-
che coloro che avevano partecipato alla celebrazione potevano portare con sé il
corpo del Signore per una comunione domestica (Cipriano, De lapsis 25).
Che la comunione si dovesse ricevere a digiuno viene accennato da Tertul-
liano (Ad uxorem II 5,3; cf Ippolito, Trad. apost. 36); l'uso deve essere risultato
dal fatto che la celebrazione aweniva di primo mattino, e in seguito può essersi
collegato con l'idea di un digiuno come preparazione per ricevere la comunione.
Non è dimostrabile una segretezza cultuale (disciplina dell'arcano) per
quanto riguarda la dottrina sull'eucaristia. Gli apologeti hanno ripetutamente
espresso il loro rincrescimento di non poter riferire la verità sulle loro riunioni
e sulle loro dottrine (Tertulliano, Apol. 2,3-6 e in altri luoghi). Deve essersi trat-
tato, in genere, di un riserbo di natura catechetica/pedagogica, che trovava in
Mt 7 ,6 la sua giustificazione (Tertulliano, De praescr. 26,l; 41,2; cf Cipriano, Te-
stimonia 3,50.53). Si favorì un'introduzione prudente e graduale nella dottrina
e nella prassi cristiana. Questo tipo d'istruzione risulta particolarmente accen-
tuato nel sistema di Clemente d'Alessandria e di Origene, che intende condur-
re dalla semplice fede (nl.crnç) alla piena conoscenza (yv&mç).

3. L'agape

Fino a quando la celebrazione eucaristica formò un tutt'uno con il pasto co-


mune poté essere chiamata anche «agape». Dopo che l'eucaristia divenne cele-
brazione autonoma, l'agape rimase come banchetto collettivo e fraterno. Ce ne
offrono la testimonianza, tra gli altri documenti, la Didachè 11,9 («preparare
146 rv. Vita cristiana
un'unica tavola»), il pasto di cui parlano gli Acta Pauli (25), con pane, erbaggi
e acqua, che «si prendevano con grande gioia», come anche l'ultimo pasto dei
martiri (Passio Perpetuae 17). Nelle comunità che andavano crescendo l'agape
divenne una celebrazione per gruppi minori (Clemente d'Alessandria, Strom. IV
10,1; Paed. II 4-8) ed espressione di «socievolezza cristiana». Tertulliano de-
scrive l'uso (convivium, cena, triclinium, discumbere) e la stilizzazione del ban-
chetto con l'adozione di forme paraliturgiche (Apol. 39,14-19). Egli ne sottoli-
nea lo scopo caritativo (Apol. 39,16), ciò che si ricava anche dalle indicazioni di
Ippolito: i banchetti fraterni (Trad. apost. 26: cena communis) venivano control-
lati dal clero ed organizzati a supporto della celebrazione eucaristica (27-28). Il
cibo somministrato prendeva il nome di eulogia (26). Da questa agape comune
l'ordinamento ecclesiastico d'Ippolito distingue la mensa speciale per le vedove
bisognose d'assistenza (30: De cena viduarum), che rientra nell'ambito della ca-
rità comunitaria (cf Didascalia siriaca II 28; Const. apost. II 28). In epoca più
tarda l'agape venne ancora conosciuta solo come parte del sostegno comunita-
rio ai poveri, che veniva fornito dai cristiani di condizione agiata.

4. Il luogo di riunione

Il luogo messo sporadicamente a disposizione della comunità divenne nel


corso del II secolo separato da quello fisso usato per le riunioni. Si trattava di
case private con più ambienti (cf Origene, Hom. Ex. 12,2), che venivano adat-
tate per gli scopi di una comunità cristiana (domus ecclesiae). Di un simile adat-
tamento c'informano le Pseudo-Clementine, Recog. 10,71,2 (che lo fanno risali-
re anacronisticamente al tempo di Pietro). Lo spazio vero e proprio riservato al
servizio divino all'interno della casa deve essere stato proporzionato alla consi-
stenza della comunità. Già la Didascalia siriaca testimonia un saldo ordinamen-
to di coloro che prendevano parte al servizio divino (II 57,2-7); Const. apost. II
57, 2-4). Nelle grandi città debbono esserci state più case di questo tipo per le
comunità cristiane. A Roma se ne può supporre la presenza tra alcune delle co-
siddette «chiese titolari». Il «titolo» (titulus) è il nome del proprietario di un
fondo e dell'edificio su di esso costruito. Il titolo di un proprietario privato di
un'antica domus ecclesiae si trasformò più tardi, in parte, nel titolo di un santo:
per es. titulus Clementis = chiesa di S. Clemente.

Purtroppo, difficilmente le testimonianze letterarie possono essere sostenute da reperti ar-


cheologici. Soltanto a Dura-Europos, sull'Eufrate, poté essere scavata una domus ecclesiae ivi isti-
tuita attorno al 232, dove è evidente l'adattamento di una casa privata per il servizio liturgico di
una comunità (ambiente per le riunioni, ambiente per il battesimo [?] ed altri ambienti disposti
attorno a un cortile interno). L'ambiente indicato per il battesimo era decorato con affreschi che
mostravano scene bibliche. La domus ecclesiae risulta trasformata, così, in una chiesa.
§ 23. La liturgia della comunità cristiana 147

Insieme a questa trasformazione si ebbe anche un mutamento linguistico: la


casa della comunità o «casa di Dio» (Ippolito, Comm. Dan. 1,20; cf 1,7; Cle-
mente d'Alessandria, Strom. VII 29,4) venne detta senz'altro chiesa, prese cioè
il nome di« assemblea» (ecclesia): Tertulliano, De fuga 3,3,2; De idol. 7,1; Adv.
Val. III 1 («casa della nostra colomba»). Le domus ecclesiae divennero sul fini-
re del III sec. più numerose ed anche più imponenti (Porfirio, Fragm. 76). Le
chiese, che sorsero subito dopo l'ultima persecuzione, sono difficilmente imma-
ginabili senza realtà precedenti (per es. a Tiro, Salona ed Aquileia).
A parte Dura-Europos, non è possibile dire qualcosa sullo sviluppo artisti-
co dei luoghi destinati alle riunioni cristiane nel III sec. L'arte cristiana comin-
ciò come arte religiosa minore, in forma di decorazione di oggetti d'uso corren-
te con simboli cristiani: colomba, pesce, nave ecc. (Clemente d'Alessandria,
Paed. III 59,2). Tertulliano polemizzò contro l'immagine del pastore su calici
usati dai cristiani, stabilendo un rapporto tra questa rappresentazione di per sé
neutra e Le 15,4-7 (cf § 69,4). La comunità cristiana ebbe sicuramente sotto il
vescovo Zefirino (198/199-217) un suo proprio cimitero (catacombe di Calli-
sto). Gli ambienti furono decorati, certamente per iniziativa privata, con pittu-
re di scene bibliche che dovevano esprimere il messaggio della salvezza e della
redenzione: Daniele nella fossa dei leoni, Noè nell'arca, Giona, la risurrezione
di Lazzaro, ecc. Accanto alle scene bibliche si svilupparono immagini della vita
cristiana con analoghe espressioni di contenuto: battesimo, agape/eucaristia,
Cristo come maestro e salvatore.
Bibliografia § 23: J. BETZ, Die Eucharistie in der Zeit der christlichen Vater, 2 voli., Freiburg
1955-1963; J. BETZ, Eucharistie. In der Schri/t und Patristzk, Freiburg 1979 (HDG IV 4a); P. F.
BRADSHAW, Gottesdienst TV, in TRE 14 (1985), 39-42; G. DELLING- G. GRETSCHMAR, Abendmahl
II-III 1, in TRE 1 (1977), 47-49; K. GAMBER, Liturgie und Kirchenbau. Studien zur Geschichte der
MefSfeier und des Gotteshauses in der Friihzeit, Regensburg 1976; F. KALB, Liturgie I, in TRE 21
(1991), 358-377; E. KELLER, Eucharistie und Parusie. Liturgie- und theologiegeschichtliche Untersu-
chungen zur eschatologischen Dimension der Eucharistie anhand ausgewà"hlter Zeugnisse aus
friihchristlicher und patristischer Zeit, Freiburg/Schw. 1989; G. KRETSCHMAR, Abendmahlsfeier [mit
QJ, in TRE 1 (1977), 229-278; H. B. MEYER, Von Herrenmahl zur Eucharistiefeier (1.-4. ]h.), in H.
B. Meyer (a cura di), Gottesdienst der Kirche. Handbuch der Liturgiewissenschaft, vol. 4, Regen-
sburg 1989, 87,129; C. A. RIJK,]ewish-Christian Relations And Liturgy, in QLP 52 (1971), 125-140;
W. RORDORF, Liturgie, foi et vie des premiers chrétiens. Études Patristiques, Paris 1986; V. SAXER,
Vie liturgique et quotidienne à Carthage vers le milieu du !Ile siècle. Le témoignage de Saint Cyprien
et de ses contemporains d'Afrique, Roma 19842 ; W ScHOTZ, Der christliche Gottesdienst bei Orige-
nes, Stuttgart 1984; A. STUIBER, Eulogia, in RAC 6 (1966), 900-928; L. WEHR, Arznei der Unster-
blichkeit. Die Eucharistie bei Ignatius von Antiochien und im Johannesevangelium, Miinster 1987.
§ 23.1: A. BOULEY, From Freedom to Formula. The Evolution of the Eucharistic Prayer /rom
Ora! Improvisation to Written Texts, Washington 1981; K. GAMBER, Sacrificium missae. Zum Op-
ferverstà'ndnis und zur Liturgie der Friihkirche, Regensburg 1980; K. GAMBER, Die Eucharistia der
Didache, in EL 101 (1987), 3-32; B. GRIMONPREZ-DAMM, Le« sacri/ice» eucharistique dans la Di-
dachè, in RevSR 64 (1990), 9-25; ]. M. HANSSENS, La liturgie d'Hippolyte. Documents et études,
Roma 1970; L. LIES, Wort und Eucharistie bei Origenes. Zur Spiritualisierungstendenz des Eucha-
148 IV Vita cristiana

ristieverstà"ndnisses, lnnsbruck 1978; M. Loos, Préface eucharistique et confession de fai. Aperçu


sur les premiers textes ligurgiques chrétiens, in RHPhR 59 (1979), 121-142;]. W. R!GGS, From Gra-
cious Table to Sacramenta! Elements. The Tradition History of Didache 9 And 10, in SecCen 4
(1984), 83-101; C. VoGEL, Anaphores eucharistiques préconstantiniennes. Formes non traditionel-
les, in Aug. 20 (1980), 401-410;
§ 23 .3: J. HADOT, Les repas communautaires dans les Églises primitives, in B. Plongeron (a cu-
ra di), Le christianisme populaire, Paris 1976, 25-60; W. P. HAUSCHILD, Agapen I, in TRE 1 (1977),
748-753.
§ 23 .4: J. BOGUNIOWSKI, Epi to auto. Die à"lteste christliche Bezeichnung des liturgischen Rau-
mes, in EL 102 (1988), 446-455; P. du BOURGUET, Premières scènes bibliques dans l'art chrétien, in
C. Mondésert (a cura di), Le mond grec ancien et la Bible, Paris 1984, 233-256; J. COTTIN, Jésus-
Christ en écriture d'images: premières répresentations chrétiennes, Genève 1990; C. DELVOYE, I.:art
paléochrétien en Occident avant Constantin, in « Problèmes d'histoire du christianisme » 12
(1983 ), 5-23; K. GAMBER, Sancta sanctorum. Studien zur liturgischen Ausstattung der Kirche, vor
allem des Altarraums, Regensburg 1981; T. KLAUSER, Studien zur Entstehungsgeschichte der chri-
stlichen Kunst, in JAC 1-10 (1958-1967); W. RORDORF, Was wissen wir iiber die christlichen Got-
tesdienstriiume der vorkonstantinischen Zeit?, in ZNW 55 (1964), 110-128; G. F. SNIJDER, Ante pa-
cem. Archaeological Evidence of Church Li/e Be/ore Constantine, Macon 1985; K. WEITZMANN -
H. L. KESSLER, The Frescoes o/ the Dura Synagogue And Christian Art, Washington 1990.

§ 24. La penitenza

H. KARPP, Die Bufle, t trad. ted., Ziirich 1969; C. de VoGEL, Le pécheur et la pénitence dans
l'Église ancienne, trad. frane., Paris 1966.

Tertulliano, De paen.: C. MUNIER, t trad. frane e, 1984 (SC 316).

1. La remissione dei peccati dopo il battesimo

Le comunità post-apostoliche erano convinte della possibilità della remis-


sione dei peccati anche dopo il battesimo. La confessione W;oµoMyncnç) dei
peccati, la reciproca ammonizione e la comune intercessione (I Lettera di Cle-
mente 2,3-6), come anche le classiche azioni penitenziali, la preghiera, il digiu-
no e I' elemosina, sono pratiche, prese dalla pietà sinagogale, che risultano dif-
fuse fin dai primi tempi (I Lettera di Clemente 52,1; 60,1-3; Tertulliano, De pae-
nitentia 9-12). La Didachè testimonia la confessione nel contesto liturgico (Di-
dachè 14,1). Gravi mancanze venivano espiate con una temporanea esclusione
dalla vita comunitaria (I Lettera di Clemente 54,2-3; Didachè 15,3-4).
Di una discussione all'interno della Chiesa sulla possibilità della penitenza e
della remissione dei peccati si ha indizio nel «Pastore d'Erma» (Man d. IV 3; cf
§ 24. La penitenza 149

§ 37,6). Erma distingue tra remissione dei peccati nel battesimo (acprntç) e pe-
nitenza che porta alla conversione dopo il battesimo (µE'tavoux), che egli difen-
de in maniera decisa. Ma egli limita la nuova possibilità di conversione nella pro-
spettiva dell'attesa di una venuta ormai imminente: essa è valida solo una volta.
Non conosce limiti, invece, per quanto riguarda la natura dei peccati. Persino i
peccati più gravi, come l'apostasia dalla fede e l'adulterio, possono essere per-
donati. L'esortazione di Erma, «Fate quindi penitenza, utile a voi» (Agite enim
poenitentiam utilem vobis, Sim. IX 32,5), implica il riferimento alla santità della
Chiesa e ha in essa la sua motivazione (Visio Ili: immagine della torre; Sim. VIII:
immagine del salice); l'azione penitenziale viene controllata dai capi e dai sacer-
doti (Visio II 4,3; III 9,7-10).
Nell'epoca successiva rimase la possibilità di fare penitenza una sola volta
dopo il battesimo. Essa era ammessa per i cosiddetti peccati capitali di aposta-
sia, impudicizia e omicidio (cf At 15,20) e doveva rendere possibile la «nuova
formazione dell'uomo» (Il Lettera di Clemente 8,2). Tertulliano chiamò questa
remissione dei peccati «seconda penitenza» (poenitentia secunda, De paenit.
7,10; 7,2: «seconda o ultima speranza», secunda vel ultima spes). Nel suo pe-
riodo montanista, tuttavia, egli negò ogni possibilità di perdono da parte della
Chiesa (Tertulliano, De pudiàtia 21,7-9). Egli ritenne i tre peccati capitali come
delicta irremissibilia, peccati imperdonabili che comportavano un'esclusione
dalla comunione ecclesiale per tutta la vita. I montanisti legavano il potere ec-
clesiastico di rimettere i peccati ai soli profeti, o «pneumatici» (spiritalis homo;
cf Tertulliano, De pud. 21,17: «Quindi, sarà certamente la Chiesa a perdonare i
peccati, ma la Chiesa che è lo Spirito, attraverso un uomo spirituale, e non la
Chiesa in quanto insieme di vescovi»). A tale rigorismo si opposero vescovi del-
le Chiese maggiori (Tertulliano, De pud. 1: Agrippino di Cartagine; Ippolito, Re-
fut. 9,12: Callisto). Essi intesero la Chiesa come comunione di peccatori e santi
e in tal senso interpretarono le parabole del Regno di Dio (Mt 13 par.) ed altri
testi neotestamentari (per es. Le 15; Gv 10,11-15) (Tertulliano, De pud. 7). La
comune ecclesiologia insistette nel difendere il potere di rimettere i peccati da
parte della Chiesa, e continuò ad attribuire tale potere ai suoi ministri.

2. La prassi penitenziale ecclesiastica

Un ordinamento della prassi penitenziale ecclesiastica si può dimostrare nel


III sec. Regole e controlli erano nelle mani del vescovo, al quale era stato con-
ferito con la consacrazione il mandato per la remissione dei peccati, il diritto di
«legare e sciogliere» (Ippolito, Trad. apost. 3; cf Pseudo-Clementine, Hom.
3,72-4). Tuttavia, questa esclusività del mandato di rimettere i peccati attraver-
so il vescovo non si affermò senza contestazione. Ne vantarono il diritto anche
150 IV Vita cristiana

i detentori di un potere carismatico di guarigione. Dopo la persecuzione decia-


na si fece ricorso alle «lettere di pace» (libelli pacis) dei martiri e confessori per
eludere questo potere esclusivo dei vescovi.
Elemento costitutivo per la prassi penitenziale ecclesiastica fu la confessio-
ne dei peccati (exhomologesis, riconoscimento con le parole e l'azione peniten-
ziale). L'ammonizione (correptio) del vescovo faceva vedere al peccatore la gra-
vità della sua mancanza e lo inseriva nella classe dei penitenti. Le opere di pe-
nitenza e la loro durata venivano stabilite individualmente secondi il grado di
gravità della mancanza commessa. In questo periodo al penitente veniva riser-
vato un trattamento simile a quello del catecumeno: all'introduzione graduale
nella comunità corrispondeva un altrettanto graduale reinserimento (Tertullia-
no, De paen. 9,4; Cipriano, De lapsis 24; ecc.). Egli poteva partecipare soltanto
alla liturgia della parola, doveva compiere le sue azioni penitenziali «nel cilicio
e nella cenere» (Mt 11,21) e veniva raccomandato alla preghiera della comunità.
Alla fine del periodo di penitenza aveva luogo la «riconciliazione». Attraverso
l'imposizione delle mani da parte del vescovo gli veniva concesso il perdono, in-
sieme alla piena comunione con la Chiesa.

La Didascalia siriaca, che richiede dal vescovo una severa ammonizione dei peccati (II 11-18;
cf Const. apost. Il 11-18), non sembra conoscere la prassi di una ricoriciliazione da concedersi una
sola volta. C'è ancora dietro, forse, la prassi dell'interdetta in uso nella sinagoga. Inoltre, il cata-
logo dei peccati della Didascalia supera ampiamente i tre peccati capitali, ciò che richiede un più
frequente perdono. La testimonianza siriaca richiama l'attenzione su differenze nella prassi peni-
tenziale della Chiesa antica.

3. Penitenza ordinaria e medicinale

La penitenza ecclesiale si praticava solo in rapporto ai peccati gravi che pe-


savano pubblicamente sulla comunità. Nelle sue mancanze ordinarie il cristiano
rimaneva solo. Con digiuni, elemosine, preghiere pubbliche e private, gli rima-
nevano aperte varie strade per arrivare al perdono. In questo non c'erano limi-
tazioni. Sotto questo aspetto il cristiano rimaneva peccatore e penitente per tut-
to il corso della sua vita. Clemente d'Alessandria e soprattutto Origene tratta-
rono il peccato principalmente sotto questo aspetto personale. Essi lo conside-
rarono come malattia individuale, cui si doveva porre rimedio in un processo di
educazione e guarigione da protrarre per tutta la vita. Questa guarigione non si
poteva procurare con un solo atto giudiziario, né spettava unicamente al vesco-
vo, anche se Origene richiamava espressamente l'attenzione sulla prassi peni-
tenziale vescovile-ecclesiale e raccomandava addirittura uno scrupoloso con-
trollo sui membri peccatori della comunità. Anche il cristiano perfetto poteva
prestare un aiuto terapeutico ai suoi fratelli (cf Clemente d'Alessandria, Quis di-
§ 25. Giorni e tempi santificati 151

ves 41,1-6; Origene, Hom. ]os. 7,6; Hom. Ps. 37 [38] 19, II 6). Questa dottrina
sul peccato e la relativa concezione della penitenza influirono più tardi nella
prassi penitenziale del monachesimo, che affidò la guarigione del peccatore e il
perdono dei peccati al potere di un monaco spiritualmente dotato.

Bibliografia§ 24: G. A. BENRATH, Bufle V 1, in TRE 7 (1981), 452-458; V. FATTORINI - G. PI-


CENARDI, La riconciliazione in Cipriano di Cartagine (ep. 55) e Ambrogio di Milano (De paeniten-
tia), in Aug. 27 (1987), 377-406; I. GOLDHAHN-MDLLER, Die Grenze der Gemeinde. Studien zum
Problem der Zweiten Bufle im Neuen Testament unter Berucksichtigung der Entwicklung im 2.
Jahrhundert bis Tertullian, Gi:ittingen 1989;J. GROTZ, Die Entwicklung des Bu/Sstufenwesens in der
vorniciinischen Kirche, Freiburg 1955; P. HENNE, La pénitence et la rédaction du Pasteur d'Hermas,
in RB (1991), 358-397; L. ORABONA, Etica «penitenziale» di Cipriano e aspetti politico-sociali del
cristianesimo nel III secolo, in VetChr 27 (1990), 273-302; B. POSCHMANN, Paenitentia secunda. Die
kirchliche Bu/5e im iiltesten Christentum bis Cyprian und Origenes, Bonn 1940; K. RAHNER, Fruhe
Buflgeschichte in Einzeluntersuchungen, Einsiedeln 1973 (Schriften zur Theol. 11); P. SAINT-ROCH,
La pénitence dans les conciles et les lettres des papes des origines à la mort de Gregoire le Grand, Città
del Vaticano 1991; H. VoRGRIMLER, Bu/Se und Krankensalbug, Freiburg 1978 (HDG IV 3).
§ 24.1: J. BERNHARD, Excommunication et pénitence - sacrement aux premiers siècles de l'É-
glise. Contribution canonique, in RDC 15 (1965), 265-281, 318-330; 16 (1966), 41-70; W. ROR-
DORF, La rémission des péchés selon la Didache, in «lren» 46 (1973), 283-297.
§ 24.2: S. HDBNER, Kirchenbu/Se und Exkommunikation bei Cyprian, in ZKTh 84 (1962), 49-
84; 171-215.

§ 25. Giorni e tempi santificati

R. CANTALAMESSA, La Pasqua nella Chiesa antica, Torino 1981; W RORDORF (a cura di), Sab-
bat und Sonntag in der Alten Kirche, t trad. ted., Ziirich, ecc. 1972 (TC 2) (trad. it. Sabato e Do-
menica nella Chiesa antica, Torino 1979.

1. Il digiuno

Il digiuno cultuale fu in uso sia nel paganesimo greco-romano che nel giu-
daismo. L'Antico Testamento menziona determinati giorni di digiuno nei quali
il popolo ebraico non prendeva cibo «fino a sera» (Gdc 20,26; 1 Sam 14,24).
Inoltre, furono istituiti alcuni giorni di digiuno, tra i quali nel giudaismo figura-
no abbastanza regolarmente il Lunedì e il Giovedì (Didachè 8,1). L'uso cristia-
no si riallacciò direttamente a questa prassi. Come giorni fissi di digiuno furono
considerati fin dai primi tempi il Mercoledì e il Venerdì (ibidem; Tertulliano, De
ieiun. 2,3; Clemente d'Alessandria, Strom. VII 75,2). I due giorni erano certa-
152 IV. Vita cristiana

mente caratterizzati da liturgie comuni. La Chiesa latina chiamò questo tipo di


riunione con il nome di statio, che divenne poi anche una denominazione dello
stesso digiuno (Tertulliano, De ieiun. 10; e già prima Erma, Sim. V 1,1-2). In
oriente questi due giorni furono dichiarati molto presto come giorni di digiuno
obbligatorio, mentre in occidente la loro osservanza fu lasciata allo zelo perso-
nale. Qui, nel corso del III sec., si raccomandò anche il Sabato come giorno ag-
giuntivo di digiuno (Sinodo di Elvira, can. 26; rifiutato da Tertulliano, De ieiun.
14,3; Ippolito, Comm. Dan. 4,20,3). Prima del battesimo si digiunava per pre-
pararsi a ricevere il dono particolare della grazia (Didachè 7 ,4; Ippolito, Trad.
apost. 20). Il digiuno ritenuto come tradizionale «opera buona» e azione peni-
tenziale riconosciuta ampliò le prospettive di questa prassi. Come preparazione
opportuna alla Pasqua si sviluppò il digiuno pasquale annuale, che originaria-
mente, tuttavia, durava solo pochi giorni (menzionato per la prima volta da Ire-
neo: Eusebio, H. E. V 24,12). In Mt 9,15 par. troviamo per questa prassi una
particolare motivazione (Tertulliano, De ieiun. 2,2).

2. La Domenica

Per il giudaismo fu il Sabato il giorno della settimana santificato dal servizio


divino e dall'interruzione dell'attività lavorativa. Per i giudeo-cristiani esso con-
servò inizialmente questa prerogativa; a difesa della sinagoga, il Sabato fu anche
per essi giorno riconosciuto di riposo. I cristiani convertiti dal paganesimo si
staccarono fin dall'inizio da questa pratica e distinsero il« primo giorno della set-
timana» (1 Cor 16,2; At 20,7) come giorno del Signore (x:upta.x:'ll 1̵Épa., dies
dominica, Ap 1,10). In tale giorno le comunità si riunivano per la celebrazione del
banchetto in memoria del Signore (Didachè 14,1; Giustino, Apol. I 67). Questo
ricordo conferì al giorno il suo carattere festivo (Tertulliano, De orat. 23,2: pre-
ghiera permanente), anche quando ad esso non si garantiva il riposo dal lavòro.

3. Giorni e tempi festivi

Il cristianesimo primitivo conobbe soltanto due feste annuali: Pasqua e Pen-


tecoste. Entrambe hanno la loro origine nell'Antica Alleanza (festa della Pasqua
[pesah ebraica] e festa annuale della mietitura), ma ricevettero un nuovo conte-
nuto: Pasqua come ricordo annuale di ringraziamento per la morte e risurrezio-
ne del Signore, Pentecoste come tempo dell'invio dello Spirito Santo. .Abbiamo
una descrizione del contenuto e della forma della celebrazione pasquale dei pri-
mi cristiani nella Epistula Apostolorum 15-18 e nelle omelie pasquali di Melito-
ne di Sardi e dello Pseudo-Ippolito. La Pasqua cristiana veniva celebrata in una
§ 25. Giorni e tempi santificati 153

liturgia notturna che durava fino al «canto del gallo» di primo mattino. La festa
del cinquantesimo giorno (Pentecoste) successivo alla festa di Pasqua è testimo-
niata per la prima volta in Asia Minore (Ep. Apost.) e risulta poi abbondante-
mente documentata per il III sec. (Tertulliano, De orat. 23,2; De bapt. 19; Ippo-
lito, Trad. apost. 33; Origene, C. Cels. 8,22).
Clemente d'Alessandria, Strom. I 146,1, dà notizia di una celebrazione an-
nuale del battesimo di Gesù il 6 gennaio presso la setta gnostica di Basilide. Il
pretesto per questa celebrazione può essere stato offerto dalla loro particolare
cristologia, mentre la scelta del tempo può essere stata ispirata dalla religione
egiziana: dalla nascita del dio sole Eone dalla vergine Core, o da un giorno fe-
stivo del culto del Nilo. Il 6 gennaio divenne festa cristiana dell'Epifania solo nel
IV sec. e per la prima volta in Egitto (cf § 68,2).
La venerazione dei martiri accentuò ulteriormente in senso cristiano il calen-
dario annuale. Fin dal martirio del vescovo Policarpo di Smirne le comunità cri-
stiane cominciarono a celebrare la memoria annuale dei loro martiri. La comme-
morazione fu inizialmente limitata alle rispettive comunità interessate (Mart.
Polycarpi 18,3 ). Nel corso del III secolo le varie comunità si scambiarono queste
feste commemorative, arricchendo così il calendario festivo cristiano (cf § 69).

4. La controversia sulla Pasqua

Secondo Eusebio (H. E. V 23,1), in Asia Minore la Chiesa celebrava la sua


festa annuale di Pasqua, «per un'antica tradizione»,« il quattordicesimo giorno
del mese di nisan », quindi nel primo plenilunio dopo l'equinozio di primavera,
in concidenza con la Pasqua ebraica. Questa cosiddetta prassi quartodecimana
può certamente vantare una maggiore antichità. La sua festa pasquale era la Pa-
squa interpretata dai cristiani in senso escatologico, che comprendeva anche la
passione, la morte e la risurrezione del Signore. Le altre Chiese si orientarono se-
condo il rispettivo calendario locale (a Roma ed Alessandria c'erano differenze di
computo per equiparare l'anno lunare all'anno solare) e stabilirono la data della
Pasqua nella Domenica dopo l'inizio del plenilunio di primavera (prassi dome-
nicale). La celebrazione della settimana santa collegata con la Pasqua mise qui in
primo piano la risurrezione del Signore, che non era certamente scindibile dal ri-
cordo della passione e morte. La differenza di prassi non arrecava eccessivo di-
sturbo e in qualche caso venne rispettata, come dimostra l'incontro (attorno al
.150) tra i vescovi Policarpo di Smirne e Aniceto di Roma (H. E. V 24,16).
Sotto il papa Vittore I (189-198) si arrivò a una violenta controversia sulla
data della Pasqua. Egli sosteneva decisamente e senza alcun compromesso la
prassi domenicale, mentre il vescovo Policrate di Efeso difendeva con altrettan-
ta decisione la prassi quartodecimana. La controversia sfociò in una scissione:
154 IV Vi'ta cristiana

Vittore cercò di escludere i quartodecimani dalla Chiesa (Eusebio, H. E. V 24,9;


cf § 21,1). Non si riuscì, per allora, a raggiungere un accordo per una data co-
mune della festa di Pasqua.

Allo scopo di fornire un computo unitario per la data della Pasqua, Ippolito di Roma com-
pilò un po' più tardi una tabella pasquale, per altro lacunosa, sulla base di un ciclo solilunare di
sedici anni che doveva risultare favorevole alla prassi domenicale (De Pascha computus; cf Euse-
bio, H. E. VI 22,1). Nel III sec. s'impose a Roma il ciclo di ottantaquattro anni di Augustale (co-
siddetto Laterculus), ad Alessandria il computo pasquale di Anatolio di Laodicea (attorno al 277);
esso derivava, in connessione con calcoli di Metone di Atene (432 a.C.), da un ciclo di dicianno-
ve anni.

Bibliografia§ 25,1: H. ACHELIS, Fasttage, in RAC 7 (1969), 500-524; R. ARBESMANN, Fasten,


in RAC 7 (1969), 447-493; H. MANTEL et al., Fasten/Fasttage II-III, in TRE 11(1983),45-59; H.
J. SIEBEN,]eune, in DSp 8 (1974), 1164-1179.
§ 25.2: S. BACCHIOCCHI, From Sabbath to Sunday. A Historical Investigation o/ the Rise o/ Sun-
day Observance in Early Christianity, Roma 1972 (frane. 1984); C. S. J. MOSNA, Storia della Dome-
nica dalle origini fino agli inizi del V secolo, Roma 1969; R. L. ODOM, Sabbath And Sunday in Early
Christianity, Washington 1977; W RORDORF, Ursprung und Bedeutung der Sonntags/eier im friihen
Christentum. Der gegenwiirtige Stand der Forschung, in LJ 31 (1981), 145-158; W RORDORF, Der
Sonntag. Geschichte des Ruhe- und Gottesdiensttages im iiltesten Christentum, Ziirich 1962; R.
STAATS, Die Sonntagnachtgottesdienste der christlichen Friihzeit, in ZNW 66 (1975), 242-263.
§ 25.3: T. KLAUSER, Fest, in RAC 7 (1969), 747-766; F. MANN, Epiphanias/est I, in TRE 9
(1982), 762-769; H. MERKEL, Feste und Feiertage IV, in TRE 11(1983),115-132; E. PAX, Epipha-
nie, in RAC 5 (1962), 832-909.
§ 25.4: N. BROX, Tendenzen und Parteilichkeiten im Oster/eststreit des 2. ]ahrhunderts, in ZKG
83 (1972), 291-324; V. GROSSI, La Pasqua quartodecimana e il significato della croce nel II secolo, in
Aug. 16 (1976), 557-571; W HUBER, Passah und Ostern. Untersuchungen zur Oster/eier der alten Kir-
che, Berlin 1969; B. LEMOINE, La célebration de Paque d'après !es littératures homilétiques quartodé-
cimanes du deuxième siècle et pseudo-chrysostomienne du quatrième, in QLP 74 (1993), 17-29; B.
LOHSE, Das Passah/est der Quartadecimaner, Giitersloh 1953; V. PERI, La data della Pasqua. Nota sul-
l'origine e lo sviluppo della questione pasquale tra le chiese cristiane, in VetChr 13 (1976), 319-348; G.
VrsoNA, Pasqua quartodecimana e cronologia evangelica della Passione, in EL 102 (1988), 259-315.

§ 26. I cristiani nella società dell'Impero Romano

A. HAMMAN, Das Gebet in der Alten Kirche, t trad. ted., Bern 1989 (7C 7); D. G. HUNTER, Mar-
riage in the Early Church, trad. ingl., Minneapolis 1992; M. G. MARA, Ricchezza e povertà
nel cristianesimo primitivo, trad. it., Roma 1980; C. MUNIER, Ehe und Ehelosigkeit in der Al-
ten Kirche (1.- 3. ]ah.), t trad. ted., Bern 1987; E. PUCCIARELLI, I cristiani e il servizio milita-
re. Testimonianze dei primi tre secoli, t trad. it. e, 1987 (BPat 9); V. L. WIMBUSH, A;cetic Beha-
viour in Greco-Roman Antiquity: A Sourcebook, trad. ingl., Minneapolis 1990.

Clemente d'Alessandria, Cipriano, Origene, Tertulliano: cf §§ 39-40.


§ 26. I cristiani nella società dell'Impero Romano 155

t. Chiamati fuori da questo mondo

Nella situazione di diaspora della Chiesa primitiva si richiedeva ai cristiani


una certa distanza nei confronti dell'ambiente non cristiano. Essi vivevano nel
grato ricordo di ciò che Dio aveva operato per loro attraverso Gesù Cristo e nel-
1' attesa ansiosa del ritorno del Signore, la cui assenza produceva certamente tur-
bamento e insicurezza (2 Ts 2; 2 Pt 3,1; I Lettera di Clemente 23, ecc.), ma sen-
za condurre a situazioni catastrofiche.
La solidarietà reciproca, motivata anche dall'isolamento sociale delle pic-
cole comunità nelle città romane, veniva insistentemente sollecitata: i cristiani
dovevano partecipare alle riunioni comuni(« Seguite i santi, poiché coloro che
li seguono si santificheranno», I Lettera di Clemente 46,2), interessarsi alla vi-
ta dei propri fratelli e sorelle, inserirsi ed integrarsi nella comunità cristiana.
La condotta quotidiana era ispirata a un modo di pensare proprio degli stoici
e alle norme della sinagoga, a un vivere pio in cui le «opere buone» (tra le
quali l'elemosina, la preghiera e il digiuno) erano ritenute indizi di una vita
buona.
Venivano proclamate come centrali, inoltre, virtù specificamente cristiane:
misericordia e carità nei confronti del prossimo, amore verso i nemici e rinun-
cia alla vendetta (Didachè 1,3 ;2, 7; Aristide, Apol. 15 ,5; Lettera a Diogneto 5, 11-
15; Atenagora, Supplicatio 11). Alla convinzione di essere i prescelti e alla fede
nella perfezione escatologica essi univano anche l'incoraggiamento ad avere
una spiccata consapevolezza del proprio valore nel mondo. A un tale atteggia-
mento diedero espressione soprattutto gli apologeti. Essi mettevano in rilievo,
a dire il vero, che i cristiani volevano vivere nel mondo con semplicità e senza
dare nell'occhio: «Non siamo davvèro dei brahmani o ginnosofisti indiani, e
neppure abitanti dei boschi o gente che fugge dalla vita» (Tertulliano, Apol.
42,1-2; cf Lettera a Diogneto 5). Ma nello stesso tempo sottolineavano la parti-
colarità del cristianesimo, la singolarità della loro religione e del loro atteggia-
mento etico superiore (cf Giustino, Apol. I 17; 27; 29; Aristide, Apol. 15-16;
Teofilo d'Antiochia, Ad Auto!. 3,15). Di qui veniva fatta derivare l'importanza
universale dei cristiani («Ciò che l'anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel
mondo», Lettera a Diogneto 6), come anche la loro funzione di conservazione
del mondo: «Non ho alcun dubbio che soltanto per la supplichevole preghie-
ra dei cristiani il mondo continua a sopravvivere» (Aristide, Apol. 15-16). Essi
si ritenevano «la terza generazione» dell'umanità dopo i greci/pagani e i giu-
dei (Kerygma Petri, Fragm. 2a; in Clemente d'Alessandria, Strom. VI 41,6; cf
Aristide, Apol. 2). Una tale orgogliosa consapevolezza corroborava la minoran-
za cristiana, ma irritava in egual misura l'ambiente non cristiano (cf Tertullia-
no, Scarp. 10; cf§§ 14-17).
156 IV Vita cristiana

2. In questo mondo: lealtà e integrazione

Nel III sec. cambiò l'atteggiamento dei cristiani nei confronti del mondo. Le
comunità s'ingrandirono e uscirono dal loro isolamento. Con la Constitutio An-
toniniana del 212 molti cristiani ricevettero il diritto di cittadinanza romana, ciò
che ne rese possibile l'ascesa sociale, ma portò con sé anche dei doveri politici.
Le Costituzioni d'Ippolito (ca. 215) testimoniano ancora la severa selezione dei
candidati al battesimo: ogni professione che avesse legami con l'idolatria o con
pratiche immorali veniva ritenuta inconciliabile con il cristianesimo (Trad. apo-
st. 16). Il suddetto criterio faceva escludere la partecipazione al servizio milita-
re attivo, l'assunzione di pubblici uffici e l'esercizio della professione insegnan-
te. Tuttavia, anche rappresentanti di queste categorie professionali divennero
cristiani in numero crescente nel corso del secolo. Già Ippolito ammise ecce-
zioni per maestri che non potevano fare a meno di questa professione o per sol-
dati subalterni: ad essi si richiedeva l'impegno di non giurare e di non uccidere.
I già battezzati, in ogni caso, non potevano diventare soldati (cf Tertulliano, De
corona 11); ma già Cipriano testimonia il martirio di due soldati che erano cre-
sciuti come cristiani (Ep. 39,3 ). Ancora attorno al 245 Origene rifiutava l'assun-
zione di uffici e di mansioni statali per i cristiani, ma nello stesso tempo egli di-
fese contro Celso la consapevolezza della propria responsabilità che i cristiani
avevano nei confronti dello Stato: l'esempio delle comunità cristiane agiva in
maniera esemplare all'interno della società (Contra Celsum VIII 75); i cristiani
pregavano come il« popolo sacerdotale» per le legioni dell'imperatore (ibidem
VIII 73-74). Quanto fosse difficile tenere lontani i cristiani dal loro ambiente lo
dimostra la polemica dei Padri della Chiesa contro l'uso di assistere a rappre-
sentazioni teatrali (cf Tertulliano e Novaziano, De spectaculis).
Un modello per il modo di vivere dei cristiani venne abbozzato da Clemente
d'Alessandria nel suo Paedagogus: ciò che viene detto in questo« prontuario cri-
stiano di buone maniere» su alimentazione, vestiario, casa, bagno e cura del cor-
po, matrimonio e figli, corrisponde al modo di vivere borghese ispirato ai princì-
pi della Stoà, in cui i cristiani si univano con le forze conservatrici della società.
Le virtù pratiche della carità e dell'ospitalità (Tertulliano, De praescr. 20,8: con-
tesseratio hospitalitatis), la visita ai malati e ai carcerati, la sepoltura dei morti, la
cura per i poveri, le vedove e gli orfani sulla base di donazioni spontanee e di ele-
mosine (Giustino, Apol. I 67; Tertulliano, Apol. 39ss.; Didascalia siriaca IV 3-4),
l'atteggiamento umano nei confronti degli schiavi, ritenuti come membri di pie-
no diritto della società (Aristide, Apol. 15; cf § 72,4), divennero altrettante azio-
ni classificate come opere di «misericordia corporale» e istituzionalizzate in una
diaconia al servizio della comunità. Nel grado più alto se ne assumevano la re-
sponsabilità i vescovi; esecuzione e organizzazione erano nelle mani di diaconi e
diaconesse (Didascalia siriaca III 12 [16]). Le comunità prestavano il loro aiuto
§ 26. I cristiani nella società dell'Impero Romano 157

anche in casi straordinari di bisogno (per es. Eusebio, H. E. VIII 22,7-10; IX


8,13-14; Cipriano, Ep. 5; 7; 62,4). Le promesse bibliche di ricompensa venivano
messe in relazione con questa assistenza pratica: «Se diamo a Cristo le nostre ve-
sti terrene, riceveremo abiti celesti» (Cipriano, De opere et eleem. 24; cf 13). In
questa prospettiva le ricchezze private venivano considerate non come riprove-
voli (cf Mt 19,21-26; At 2,44; 4,32), ma come un mezzo per soccorrere e aiutare
gli altri. Era determinante non il possesso in se stesso, ma il giusto rapporto che
si stabiliva con esso (Clemente d'Alessandria, Quis dives salvetur?).

3. Vita di preghiera

Con insistenza veniva raccomandata ai cristiani la preghiera privata e do-


mestica (Didachè 8,3 ). Tertulliano, Cipriano e Origene raccomandarono nei lo-
ro scritti sul Pater noster la preghiera al mattino e alla sera, nell'ora terza, sesta
e nona del giorno, anche prii;na del bagno e a mezzanotte (Tertulliano, De orat.
25; Cipriano, De orat. 35; Origene, De orat. I 12; cf Ippolito, Trad. apost. 42), Il
materiale usato per pregare è di origine biblica: il salterio interpretato su Cristo
divenne, a partire al più tardi dal III sec., il libro preferito di preghiere. Nuovi
testi di preghiera (inni) si svilupparono specialmente in circoli gnostici, ma fu-
rono adottati anche nelle comunità cristiane.
In Clemente d'Alessandria si trova per la prima volta la definizione della
preghiera come 6µtA.ia. npòç 8E6v, come conversazione con Dio (Strom. VII
39,6). Nelle sue riflessioni su questo «intimo colloquio con Dio» egli conduce
l'orante dalla preghiera esteriore a quella interiore, che tiene il credente nella
continua comunione con Dio (cf 1 Ts 5,17). Origene distinse, partendo da 1 Tm
2,1, più tipi di preghiera (De orat. I 14) e intese il pregare, come Clemente, co-
me un salire a Dio (De orat. 9,2; 31,2). Nelle sue istruzioni sulla preghiera egli
creò una specifica devozione a Cristo.

4. Matrimonio e famiglia

Gli insegnamenti su matrimonio e famiglia superavano solo in alcuni tratti


le poche dichiarazioni del NT, della tradizione sinagogale e della Chiesa primi-
tiva e le opinioni della comune filosofia del tempo. L'etica cristiana proibiva l'a-
dulterio per entrambi i coniugi, a differenza del diritto romano, che esigeva la
fedelta coniugale solo da parte della donna, e non ammetteva il divorzio. Men-
tre nel mondo greco e romano si cercava di mantenere piccola la famiglia, ri-
correndo talvolta a mezzi violenti, ai cristiani si proibivano l'aborto e l' abban-
dono dei figli (Didachè 2,2). L'educazione religiosa venne certamente pretesa nei
158 IV Vita cristiana

primi secoli, ma difficilmente con temi specifici (Didachè 4,9; Didascalia siriaca
IV 11).
Anche se nella Chiesa antica i cristiani erano generalmente sposati, solo ra-
ramente i teologi arrivarono ad esprimere un giudizio imparziale sulla vita co-
niugale: apatia ascetica e impassibilità escatologica ne determinarono la conce-
zione (C. Andresen), ciò che si espresse anche nel rifiuto molto diffuso delle se-
conde nozze dopo la morte di un coniuge. Solo sporadicamente si trova espres-
so il desiderio che il matrimonio si debba contrarre «con il consenso del vesco-
vo». Il relativo passo in Ignazio d'Antiochia (Ad Polyc. 5,2) non consente di de-
durne una prassi generale per la celebrazione religiosa del matrimonio.

5. Ascesi cristiana

a) SEQUELA DI CRISTO ED ENCRATISMO

A partire dal II secolo si sviluppò, stimolata dal messaggio neotestamenta-


rio, una tipica ascesi cristiana. Fondamentali erano le parole di Gesù, che ri-
chiedevano una radicale sequela e la partecipazione alla sua esistenza di profeta
itinerante (Mt 8,18-22; Le 9,57-60; Mt 10,1-16 par.), e proclamavano il celibato
«per il regno dei cieli» (Mt 19, 12), un ideale che soprattutto Paolo aveva por-
tato nelle comunità cristiane (1 Cor 7). L'ascetismo itinerante venne diffuso dai
profeti e missionari che si aggiravano qua e là (Didachè 11-12; Lettere pseudo-
clementine Ad virgines Il). Anche nelle comunità vivevano uomini e donne ce-
libi (virgines utriusque sexus; cf Ignazio, Ad Smyrn. 13,1). I« continenti» vi ve-
nivano rispettati; ed anzi si ricordava loro che la continenza (ÉyKp<i'tcta.) era un
carisma donato da Dio (I Lettera di Clemente 28,2; Ignazio, Ad Polyc. 5,2; cf.
Ad Smyrn. 13,1). Gli apologeti fecero riferimento proprio a un tale atteggia-
mento (Giustino, Apol. I 15,6; Atenagora, Suppi. 33) per sottolineare in questo
modo la superiorità del cristianesimo. Il medico pagano Galeno (De sententiis
Politiae Platonicae) vide nella continenza dei cristiani la prova del fatto che essi
vivevano dawero «filosoficamente» (cf R. Walzer, Galen on Jews And Chri-
stians, London 1949, 15; H. Koch, Quellen zur Geschichte der Askese und des
Monchtums in der Alten Kirche, Tiibingen 1923, 63ss.). La sua testimonianza al-
lude alla capacità di concorrenza dell'ascesi cristiana nei confronti della filosofia
contemporanea. Se filosofia ed atteggiamento/comportamento ascetico apparte-
nevano allo stesso genere, allora anche nel cristianesimo l'ascesi doveva acquista-
re importanza, non appena esso apparve al pubblico come «vera filosofia».
Le riserve rintracciabili nella letteratura neotestamentaria e post-apostolica
contro correnti ascetiche radicali che si contrapponevano all'esaltazione biblica
della bontà della creazione fanno intrawedere il rovescio della medaglia, la for-
. § 26. I cristiani nella società dell'Impero Romano 159

za seducente di un encratismo eterodosso (cf Cal 2,18-23; 1 Tm 4,1-5). Così, so-


prattutto gli Atti apocrifi degli Apostoli ridussero la predicazione apostolica a
una predica sulla verginità e sul celibato e stilizzarono gli apostoli in eroi di vita
ascetica. In una prospettiva di concorrenza, un tale rigorismo finì con l'influen-
zare anche la predicazione cristiana moderata: se è vero che già l'eresia rende ca-
paci di una simile ascesi, a maggior ragione deve riuscirci la retta fede. Ma in que-
sto non sempre si riuscì ad eliminare del tutto le motivazioni non cristiane.

b) SANTA CHIESA E VERGINITÀ CRISTIANA

Nel III sec., soprattutto nelle comunità urbane, crebbe fortemente il nume-
ro di donne che vivevano senza maritarsi. Ciò era dovuto anche a motivi socia-
li: eccedenza femminile, rifiuto del matrimonio misto e il distacco nei confronti
di un matrimonio cristiano. L'ideale di un celibato per il regno dei cieli agì in-
vece come forza d'attrazione, principalmente in considerazione della posizione
subordinata della sposa. Le virgines Christi (o virgines sacrae) erano note nelle
comunità in quanto tali (Ippolito, Trad. apost. 12); Tertulliano annovera le don-
ne e gli uomini celibi per propria volontà tra gli «stati ecclesiastici» (Exhort. ca-
st. 13 ,4). Essi vissero inizialmente nelle proprie famiglie, senza unirsi in forme
comunitarie specifiche («ascetismo familiare»).
La loro vita divenne ben presto oggetto di particolare insegnamento: Ter-
tulliano, Cipriano, Origene e Metodio d'Olimpo scrissero sulla verginità come
espressione visibile della santità. Essi videro la santa Chiesa, in quanto sponsa
Christi, direttamente rappresentata dalla vergine cristiana come sponsa Christi:
«Le vergini sono il fiore sul tronco della Chiesa, esse sono l'ornamento e l' ab-
bellimento della grazia spirituale, l'edificio piacevole, l'opera pura e intatta del-
la gloria e dell'onore, l'immagine di Dio corrispondente alla santità del Signore,
la porzione più nobile del gregge di Cristo» (Cipriano, De habitu virginum 3 ).
Una forma particolare d'ascesi del primo cristianesimo fu rappresentata dalla
convivenza di asceti dei due sessi, cioè dalla cosiddetta coabitazione di uomini e
donne consacrati al Signore (virgines subintroductae). Ne danno testimonianza le
Lettere pseudo-clementine Ad virgines ed altri testi (Eusebio, H. E. VII 30,12ss.;
Cipriano, Ep. 4; 13,5; 14,3; Pseudo-Cipriano, De singularitate clericorum). Cipria-
no di Cartagine si rivolse con veemenza contro questa forma di vita (Ep. 4; cf Si-
nodo di Ancira, can. 19; Sinodo di Elvira, can. 27; Concilio di Nicea, can. 3), le
cui origini non sono state chiarite con esattezza. Probabilmente il «matrimonio
spirituil.le» dovette rappresentare un'imitazione della sizigia gnostica, del sistema
di coppia derivato dall'Eone celeste (cf Ireneo, Adv. haer. I 13). Furono determi-
nanti, inoltre, dei motivi pratici. L'ascetismo familiare praticato nelle città favorì
questi tentativi di una comunione di vita tra persone che nutrivano le stesse idee,
tentativi che furono proseguiti malgrado tutte le critiche e condanne.
160 IV. Vita cristiana

c) ISOLAMENTO DALLA SOCIETÀ

Negli ultimi decenni del III sec. si svilupparono nuove forme di vita ascetica
al di fuori delle comunità, «nel deserto». Nelle comunità, ormai ingrandite e
«imborghesite», la preoccupazione per la propria salvezza spinse un numero
crescente di persone insoddisfatte a cercare nuove vie per seguire Cristo. La cri-
si economica dell'Impero Romano, con la sua pressione fiscale, la coscrizione ob-
bligatoria e la generale destabilizzazione, incoraggiarono una mentalità di rifiuto.
Gli inviti evangelici ali'« abbandono del mondo» si arricchirono di un nuovo
contenuto: fuga dal mondo abitato per rifugiarsi in quello disabitato. L'attesa del-
l'Eone che stava per arrivare poteva essere dimostrata in modo persuasivo po-
nendosi già alla ricerca, ormai, di un «altro mondo». Prime tracce di questa nuo-
va forma di vita ascetica si trovano in Egitto. L'egiziano Antonio abbandonò at-
torno al 275 il suo villaggio natio e decise di dedicarsi a un'« ascesi nel deserto»,
dove questa forma di vita era stata sporadicamente vissuta già prima di lui. L'a-
sceta era diventato monaco (µovax6ç, colui che vive da solo). L'epoca d'oro del
monachesimo egiziano nel deserto incominciò nel IV sec. (cf § 71 B).
Nel III sec. si cominciò a cercare rifugio nel deserto anche nell'ambiente si-
riano. Qui era molto diffuso un cristianesimo dal carattere ascetico. Il battesimo
era talvolta legato a un'esigenza di celibato. Un tale rigorismo favorì il movi-
mento ascetico e conferì al più tardo monachesimo siriano il suo tipico caratte-
re, abbastanza eccentrico.

Bibliografia § 26: C. BURINI - E. CAVALCANTI, La spiritualità della vita quotidiana negli scritti dei
Padri, Bologna 1988; A. DIHLE, Ethik, in RAC 6 (1966), 646-795; A. J. DROGE, Homer Or Moses?
Early Christian Interpretations of the History of Culture, Tiibingen 1989; M. LEUTZSCH, Die Wahr-
nehmung sozialer Wirchlichkeit im Hirten des Hermas, Gottingen 1989; J. LIÉBAERT, Les enseigne-
ments moraux des Pères apostoliques, Genève 1970; J. MARTIN - B. QUINT (a cura di), Christentum
und antike Gesellscha/t, Darmstadt 1990; R. MINNERATH, Les chrétiens et le monde (ler et 2e siècles),
Paris 1973; C. MUNIER, J;Eglise dans !'Empire Romain (II-III siècles), Paris 1979; E. OSBORN, Ethik
V, in TRE 10 (1982), 463-473; C. RAMBAUX, Tertullien /ace aux morales des trois premiers siècles, Pa-
ris 1979; R. P. SALLER, Persona! Patronage Under the Early Empire, CAMBRIDGE 1982; M. SPANNEUT,
Le stoiàsme des Pères de l'Eglise. De Clément de Roma à Clément d'Alexandrie, Paris 19692 ; M. SPAN-
NEUT, Tertullien et !es premiers moralistes africains, Genève 1969; M. WACHT, Giiterlehre, in RAC 13
(1986), 59-150; J. L. WOMER, Morality And Ethics in Early Christianity, Philadelphia 1987.
§ 26.1: E. A. }UDGE, Gesellschaft!Gesellschaft und Christentum IV, in TRE 12 (1984), 769-773.
§ 26.2: G. BoURGEAULT, Décalogue et morale chrétienne. Enquete patristique sur l'utilisation et
l'interprétation du décalogue de c. 60 à c. 220, Paris 1971; N. BROCKMEYER, Antike Sklaverei, Darm-
stadt 1979; L. W. COUNTRYMAN, The rich Christian in the Church of the Early Empire. Contradictions
And Accomodations, New York 1980; J. FONTAINE, Le culte des martyrs militaires et son expression
poétique au IVe siècle. J;idéal évangelique de la non-violence dans le Christanisme théodosien, in Aug.
20 (1980), 141-171; R. GARRISON, Redemptive Almsgiving in Early Christianity, Sheffiéld 1993; H.
GOLZOW, Christentum undSklaverei in den ersten dreifahrhunderten, Bonn 1969; G. H. HAMEL, Po-
verty And Charity in Roman Palestine, First Three Centuries e E., Berkeley 1990; R. KLEIN, Die
friihe Kirche und die Sklaverei, in RQ 80 (1985), 259-283; F. LAUB, Die Begegnung des friihen Chrz~
§ 26. I cristiani nella società dell'Impero Romano 161

stentums mit der antiken Sklaverei, Stuttgart 1982; S. LÉGASSE, La prière pour les chefs d'Etat.
Antécédentsjudaiques et témoins chrétiens du premier siècle, in NT 29 (1987), 236-253; M. PUZICHA,
Christus peregrinus. Die Fremdenaufnahme als Werk der privaten Wohltiitigkeit im Urteil der Alten
Kirche, Miinster 1980; A. M. RITTER, Christentum und Eigentum bei Klemens von Alexandrien auf
dem Hintergrund der friihchristlichen Armenfrommigkeit und der Ethik der kaiserzeitlichen Stoa, in
ZKG 86 (1975), 1-25; W. RORDORF, Tertullians Beurteilung des Soldantenstandes, in VigChr 23
(1969), 105.141; E. SCHOCKENHOFF, Zum Fest der Freihet't. Theologie des christlichen Handelns bei
Origenes, Mainz 1990; C. SCHOLLGEN, Die Teilnahme der Christen am stà'dtischen Leben in vorkon-
stantinischer Zeit. Tertulllians Zeugnis fiir Carthago, in RQ 77 (1982), 1-29; M. SCHOEPFLIN, Servizio
militare e culto imperiale. Il De Corona di Tertulliano, in «Apollinaris» 58 (1985), 185-207;
R. STAATS, Deposita pietatis. Die Alte Kirche und ihr Geld, in ZThK 76 (1979), 1-29.
§ 26.3: T. BAUMEISTER, Gebet V, in TRE 12 (1984), 60-65; W. GESSEL, Die Theologie des Ge-
betes nach «De oratione »van Origenes, Miinchen/Paderborn/Wien 1975; C. di SANTE, La pre-
ghiera di Israele. Alle origini della liturgia cristiana, Casale Monferrato 1985; K. B. SCHNURR, Ho-
ren und Handeln. Lateinische Auslegungen des Vaterunsers in der Alten Kirche bis zum 5. Jahrhun-
dert, Freiburg 1985; E. von SEVERUS - O. MICHEL - T. KLAUSER, Gebet I-II, in RAC 8/9 (1972-
1976), 1134-1258; M. B. von STRITZKY, Studien zur Uberlieferungen und Interpretation des Vate-
runsers in der friihchristlichen Literatur, Miinster 1989; G. G. STROUMSA, Ascèse et gnose. Aux ori-
gines de la spiritualité monastique, in RThom 81(1981),557-573;
§ 26.4: K. BRADLEY, Discovering the Roman Family, Oxford 199l;J. P. BROUDÉHOUX, Mariage
et /amille chez Clément d'Alexandrie, Paris 1970; R. CANTALAMESSA, Etica sessuale e matrimonio nel
cristianesimo delle origini, Milano 1976; H. CROUZEL, Ehe!Eherecht!Ehescheidung V, in TRE 9
(1982), 325-330; H. CROUZEL, I:Eglise primitive /ace au divorce, Paris 1971; H. CROUZEL, Mariage et
divorce, célibat et caractère sacerdotaux dans l'Eglise ancienne, Torino 1982; B. KbTTING, Die Bewer-
tung der Wiederverheiratung (der zweiten ehe) in der Antike und in der friihen Kirche, Opladen 1988;
B. LbBMANN, Zweite Ehe und Ehescheidung bei den Griechen und Lateinern bis zum Ende des 5.
Jahrhunderts, Leipzig 1980; P. MATTEI, Le divorce chez Tertullien. Examen de la question à la lumière
des développements que le De Monogamia consacre à ce sujet, in RevSR 60 (1986), 207-234; A. NIE-
BERGALL, Ehe und Eheschlie/5ung in der Bibel und in der Geschichte der alten Kirche, Marburg 1985.
§ 26,5: U. BIANCHI (a cura di), La tradizione dell'enkrateia. Motivazioni ontologiche e proto-
logiche, Roma 1985; G. Blond, Enkratisme, in DSp 4 (1960), 628-642; P. BROWN, Die Keuschheit
der Engel. Sexuelle Entsagung, Askese und Korperlichkeit am An/ang des Christentums, Miinchen
(ingl. 1988); V. BuRRUS, Chastity as Autonomy. Women in the Stories of Apocryphal Acts, Lewiston
1987; H. CHADWICK, Enkrateia, in RAC 5 (1962), 343-365; E DAUMAS, La solitude des Thérapeu-
tes et les antécedentes égyptiens du monachisme chrétien, in Philon d'Alexandrie. Colloques natio-
naux du Lyon, Paris 1967, 347-359; P. DESEILLE, Les origines de la vie religieuse dans le christiani-
sme, in «Lumière et vie» 96 (1970), 25-53;}. GRIBOMONT, Askese IV, in TRE 4 (1979), 204-225;
A. GuILLAUMONT, Monachisme et éthiquejudéo-chrétienne, in RSR 60 (1972), 199-218; G. KRET-
SCHMAR, Ein Beitrag zur Frage nach dem Ursprungfriihchristlicher Askese, in ZThK 61(1964),27-
67; J. LEIPOLDT, Griechische Philosophie und friihchristliche Askese, Berlin 1961; B. LOHSE, Aske-
se und Monchtum in der Antike und in der alten Kirche, Miinchen 1969; J. A. Mc NAMARA, A New
Song. Celibate Women in the First Three Christian Centuries, New York 1983; P. NAGEL, Die Mo-
tivierung der Askese in der alten Kirche und der Ursprung des Monchtums, Berlin 1966; K. NIE-
DERWIMMER, Askese und Mysterium. Ober Ehe, Ehescheidung und Eheverzicht in den An/à'ngen des
christlichen Glaubens, Gottingen 1975; A. RoussELLE, Der Ursprung der Keuschheit, Stuttgart
1989 (frane. 1983 ); R. SCHILLING, Vesta/es et vierges chrétiennes dans la Rame antique, in RevSR
35 (1961), 113-129; G. SFAMENI GASPARRO, Enkrateia e antropologia: le motivazioni protologiche
della continenza e della verginità nel cristianesimo dei primi secoli e nello gnosticismo, Roma 1984;
H. STRATHMANN - P. KESELING, Askese I-II, in RAC 1 (1950), 749-795.
V. Unità e molteplicità della dottrina cristiana.
Ortodossia ed eresia

§ 27. Fede ortodossa e fede erronea

Rufino, Expos. symb.: J. N. D. KELLY, trad. ingl., 1954 (ACW 20).


Canon Muratori: H. LIETZMANN, Das Muratorische Fragment und die monarchianischen Prologe zu
den Evangelien, t lat., Berlin 1902, 5-11 (Kleine Texte 1); W. SCHNEEMELCHER, Neutestamen-
tliche Apokryphen, trad. ted., vol. 1, Tiibingen 1959, 18ss.; S. RITTER, t in RivAC, 1926, 215-68.

Ireneo, Origene, Tertulliano ed altri, cf §§ 37-40.

1. Ortodossia ed eresia

Nel NT si rispecchia una molteplice e contraddittoria storia dell'effetto pro-


dotto dalla venuta di Cristo: Paolo annuncia il «suo vangelo» (Rm 2,16; 16,25;
Gal 1,6) e rifiuta decisamente un «vangelo diverso» (Gal 1,9); Giovanni parla del
contrasto tra verità e menzogna (Gv 8,44; 1 Gv 2,21.27, e altrove). La decisione
per una forma di fede e di vita significava manifestamente la separazione da un' al-
tra, che veniva annunciata da «falsi apostoli» (2 Cor 11,13), da «falsi maestri»
(2 Pt 2,1). Queste altre forme venivano respinte come dottrine erronee (1 Cor
11,19; Gal 5,20; 2 Pt 2,1). Chi aderiva a una di queste dottrine era considerato co-
me eretico (aipEnx:6ç), dal quale il credente ortodosso doveva tenersi lontano (Tt
3,10). L'esperienza dolorosa di tali divisioni veniva spiegata con l'imminenza del-
l'ultima ora, che doveva essere preceduta dall'anticristo come autore della falsa
dottrina (1 Gv 2,18.22; 4,3; 2 Gv 7). Essa poteva anche avere una sua funzione:
attraverso le divisioni si potevano riconoscere i veri credenti (1 Cor 11,19).
il concetto di eresia viene usato in 1 Cor 11,19; Gal 5,20 nel senso negativo di divisione inop-
portuna, scissione; in 2 Pt 2,1 esso significa dottrina falsa, e in questo senso divenne nel lessico re-
ligioso un termine tecnico. La parola scisma (axiaµa) s'incontra per la prima volta in Paolo (1 Cor
1,10; 11,18; 12,25) e significa qui la scissione che distrugge la necessaria unità. Anche questo con-
cetto entrò nella terminologia religiosa. Entrambi indicano un atteggiamento religioso erroneo,
ma senza una loro precisa delimitazione di significato. In linea di massima, con la parola eresia
s'intende una dottrina erronea e con scisma la separazione dalla comunione ecclesiale per motivi
disciplinari (per es. Agostino, Contra Cresc. 2,3,4).

Una completa separazione presupponeva a dire il vero che si definissero


chiaramente i rispettivi modi di credere e di vivere (cf Fil 1,15-18). Ma cosa sia
§ 27. Fede ortodossa e fede erronea 163

la «retta fede» e in che cosa si esprima l'appartenenza all' «unica Chiesa» fu e


continua ad essere nuovamente oggetto di discussioni più o meno violente. La
verità, tuttavia, fu in gioco per gli «eretici», da Sabellio ad Ario, dagli antinice-
ni fino a Nestorio e ai suoi radicali seguaci, non meno di quanto lo fosse per i
loro avversari ortodossi: sia gli uni che gli altri cercarono di capire e d'interpre-
tare nel loro rispettivo tempo il Vangelo e le sue conseguenze teologiche e pra-
tiche. Non è facile rispondere alla domanda su cosa renda una determinata con-
cezone teologica eresia.

In effetti, i vari movimenti proclamavano tutti di essere d'accordo con la Sacra Scrittura e di
aspirare a una perfetta vita cristiana. In tal senso, le differenti concezioni soteriologiche o esigen-
ze etiche non possono servire come criteri di differenziazione. Le tesi che rilevano la forza d' af-
fermazione storica di un movimento nei confronti di altri che volta per volta appaiono diversi non
tengono conto di complessi contesti teologici. L'insistere sull' «unità di fede» (difesa con mag-
giore o minore successo) presuppone che ci sia una tale precedente unità e vede nell'eresia un'a-
postasia o un rifiuto consapevole. Una tale teoria non vede i contesti storici nella loro comples-
sità: i diversi princìpi e movimenti, come le strutture delle loro argomentazioni, risultano connes-
si gli uni con gli altri, sono interdipendenti e s'influenzano reciprocamente.

L'«unità» della Chiesa e della fede venne postulata e difesa solo quando si ri-
tenne che fosse in pericolo: determinati sviluppi verificatisi nei vari ambienti cri-
stiani ed ecclesiastici, determinati insegnamenti o usi di singoli teologi, gruppi o
comunità vennero messi in discussione da altri gruppi, ed anzi ritenuti come in-
conciliabili con la professione di fede cristiana. I criteri di delimitazione e appar-
tenenza, che nel corso di questi processi di chiarimento furono definiti ed elabo-
rati con maggiore precisione, furono i seguenti: la fede nella redenzione operata
dal Figlio di Dio fatto uomo, Gesù Cristo; la fede nell'unità di Dio nelle persone
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, così come essa viene fatta conoscere
nelle formule di battesimo e nei simboli (vedi sotto 2-3 ); il richiamo alla Sacra
Scrittura e alla tradizione della sua interpretazione; il richiamo all'origine aposto-
lica della Chiesa e alla successione dei vescovi. Elementi costitutivi per l' «orto-
dossia» nei confronti dell' «eresia» divennero la professione di fede in Cristo in
formule e simboli, nel battesimo e nell'eucaristia, la formazione del canone della
Sacra Scrittura e la consapevolezza di trovarsi in continuità con gli apostoli.

2. Confessione della fede

a) ARTICOLI DELLA PROFESSIONE DI FEDE

La confessione (6µoA.oyia) è innanzitutto la professione esistenziale di fede


in Gesù il Cristo e nella salvezza in lui promessa. Essa rappresenta un atto pub-
blico e in quanto tale è obbligatoria. Il fondamento di questa confessione è il ere-
164 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

dere che nella morte e risurrezione di Gesù Cristo si compie in maniera definiti-
va e insuperabile la volontà salvifica di Dio testimoniata ed annunciata nell' AT
(Rm 1,3-4; 10,9; Gal 1,4-5). L'annuncio neotestamentario espresse il contenuto di
questa fede in formule concise nelle quali il nome di Gesù viene legato con un ti-
tolo (predicativo) di nobiltà: «Gesù è il Cristo»; «Gesù è il Figlio di Dio». Que-
sti articoli della confessione di fede, che facevano parte della preghiera, della pre-
dicazione e dell'istruzione battesimale, acquistarono importanza a mano a mano
che nella predicazione si manifestarono dei contrasti. La confessione divenne di-
fesa, segno di distinzione (per es. 1 Gv 4,3; 2 Gv 7) e qualificazione della propria
«vera» fede. Con la precisazione e l'ampliamento di questi articoli della profes-
sione di fede si reagì a interpretazioni contrarie della fede in Cristo.

b) LA REGOLA DI FEDE

Verso la fine del II sec. apparve per la prima volta, in Ireneo di Lione(§ 38,2)
e Tertulliano(§ 40,2), il concetto normativo di «regola di fede» (regulafidez!ve-
ritatis, Kavrov 'tfìç éxA.rieeicxç). Per una sua comprensione è ovvio il richiamo al
diritto romano: «Il diritto non si può sottrarre a una regola, ma la regola deve
crearsi dal diritto esistente» (Giulio Paolo, Dig. 50,17,1). Questa regola di fede
non può essere equiparata a una confessione di fede già formulata. Ireneo la chia-
ma «sostanza della tradizione» (Adv. haer. I 10,2), la quale trova espressione nel
fatto che l'annuncio presente della Chiesa concorda con quello degli apostoli (cf
anche Tertulliano, De praescr. 36). Sostanzialmente si concretizza nell'opposizio-
ne a dottrine di diverso tenore: così, contro le differenziazioni gnostiche del Ple-
roma divino (cioè della pienezza divina), i Padri della Chiesa difendono e svilup-
pano il concetto di unità e onnipotenza del Dio Creatore (Demiurgo), contro le
concezioni unitarie del modalismo il concetto di un Dio in tre Persone (per es.
Ireneo, Adv. haer. I 10; 22,1; III, 1,2; 4,1-2; e altrove; Tertulliano, Adv. Prax. 2;
De virg. vel. 1,4; cf § 29-30; 32). Il credente ortodosso osserva la regola di fede
attenendosi all'insegnamento della sua Chiesa. «Non sapere nulla contro la re-
gola di fede significa sapere tutto» (Tertulliano, De praescr. 13).

c) IL SIMBOLO DI FEDE

L'origine della professione di fede (symbolum /idei) non è stata ancora pie-
namente chiarita. Soltanto all'epoca della cristianizzazione dell'Impero la fede
della Chiesa trovò espressione in una formula stabile e obbligatoria. Il primo
simbolo di fede di questo tipo fu quello del Concilio di Nicea(§ 47).

Questo simbolo non si può far derivare da singole formule di professione del NT o dalla
Regula /idei. Ma è problematica anche la spiegazione, a lungo favorita, che lo farebbe derivare
dalla formula articolata in tre domande nel rito battesimale (cf § 22,2). Una tale professione bat-
§ 27. Fede ortodossa e fede erronea 165

tesimale non è dimostrabile prima del III sec., e soltanto nel IV sec. si aggiunse a sostituzione
o integrazione di una professione di fede formulata in forma dichiarativa. Rimangono altret-
tanto non soddisfacenti i tentativi di metterlo in relazione con dispute teologiche: un teologo
sospetto per il suo insegnamento recitava a sua giustificazione la propria professione di fede
(per es. Origene, Dialogo con Eraclide). Questi cosiddetti «simboli privati» comparvero so-
prattutto nelle discussioni teologiche del IV sec., dove venivano messi a confronto con le pro-
fessioni di fede sinodali.

Essenziale per il formarsi dei symbola deve essere stato certamente l'atto di
professione in quanto tale, che produceva un rapporto obbligatorio, per così di-
re contrattuale, con l'effetto di una identificazione con il gruppo, la comunità,
la Chiesa. Proprio questa funzione assunsero nel IV sec. le professioni di fede
interamente formulate, che dovevano stabilire i confini delle interpretazioni fal-
se e delle comunità eretiche.

d) IL SIMBOLO APOSTOLICO

Il Simbolo della comunità romana si richiama direttamente, come Symbolum


apostolorum, agli apostoli. Nella sua forma attuale esso è noto soltanto dal IV
sec., ma in alcune formulazioni risale al III sec. Dalla fine del IV sec. cominciò a
circolare la leggenda che esso fosse di origine apostolica (cf Ambrogio, Explana-
tio symboli ad initiandos). Secondo questa leggenda, ciascun apostolo avrebbe
contribuito alla formulazione della concisa formula di professione con qualcosa
di suo allo scopo di stabilire una dottrina unitaria per tutti i credenti (Rufino, Ex-
positio symboli 2; cf Const. Apost. V 6,14). Più tardi questa tradizione ebbe un in-
teressante sviluppo: dopo l'invio dello Spirito Santo (Gv 20,19), gli apostoli
avrebbero messo insieme la professione di fede formulando ciascuno dei dodici
un articolo del simbolo (Pseudo-Agostino, De symbolo: Sermo 240).

3. La Scrittura dichiarata canonica*

[* Per un evidente disguido editoriale questo paragrafo appare nella stesura originale tede-
sca sotto il n. 4, con il salto completo del n. 3., che però riappare nelle note bibliografiche; la« svi-
sta», ripetuta anche nell'indice generale, ha portato a numerare con i numeri 5. e 6. anche i pa-
ragrafi che da noi sono stati indicati, ovviamente, sotto i numeri 4. e 5., n.d.t.].

Gli scritti neotestamentari non nacquero come «Sacra Scrittura», denomi-


nazione che a quel tempo fu riservata per i sacri libri dell'Antica Alleanza. Ma
la letteratura cristiana apparsa e trasmessa nel primo periodo del cristianesimo
divenne oggetto di alta considerazione e stima. Sembra che per prime siano sta-
te raccolte le lettere di Paolo (2 Pt 3,15-16). I Vangeli furono raggruppati solo
più tardi (Papia di Gerapoli, cf § 37, 7, conosce soltanto Mc e Mt; cf Eusebio,
H. E. III 39,15-17). Giustino parla dei «ricordi degli apostoli, che vengono chia-
166 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

mati Vangeli» (Apol. I 67 ,3 ). Il siriano Taziano (§ 38,3) raccolse insieme attor-


no al 170 i quattro Vangeli in una cosiddetta «armonia dei Vangeli» (Diatessa-
ron). La bipartizione della letteratura in «Vangelo e Apostoli» si trova già in
Marcione (§ 31,1).
Non è possibile ricostruire con maggiore esattezza in che modo queste
raccolte si siano formate. Sicuramente la produzione di nuovi sedicenti van-
geli e scritti apostolici accelerò il processo di scelta e delimitazione. Come cri-
teri per l'accettazione possono menzionarsi i seguenti: uso nella liturgia, pa-
ternità apostolica degli scritti, riconoscimento in comunità molto influenti (cf
Eusebio, H. E. VI 12-16). L'indice più antico ufficialmente accettato degli
scritti neotestamentari è il «Frammento Muratoriano » (Ca.non Muratori, fine
del II sec., Roma), detto così perché scoperto nel 17 40 da L. A. Muratori, che
si richiama all'apostolicità e alla lettura nella liturgia. Il processo incontrolla-
to di canonizzazione del NT aveva compiuto alla fine del II sec. dei sorpren-
denti progressi: quattro Vangeli, Atti degli Apostoli, tredici lettere di Paolo,
lettera di Giuda, prima e seconda lettera di Giovanni, l'Apocalisse di Giovan-
ni e quella di Pietro. Dopo le lettere di Giovanni il Ca.non Muratori menziona
«la Sapienza, che da amici di Salomone fu annotata in suo onore» (69-71).
Del «Pastore d'Erma» viene detto che poteva essere letto solo in privato, per-
ché gli mancava l'apostolicità. Gli scritti riconosciuti, cioè accolti nelle comu-
nità ortodosse, sono ormai ritenuti Sacra Scrittura. Non unanime rimase la va-
lutazione delle restanti parti del NT. L'estensione attuale del canone venne de-
finitivamente stabilita dal IV sec. (Atanasio, «Lettera festale 39•» del 367;
Agostino, De doctr. christ. II 8,13; Breviarium Hipponense, can. 36 [393?]; De-
cretum Gelasianum).

4. La successione apostolica

L'argomento più valido per l'ortodossia divenne l' ordo traditionis (Ireneo,
Adv. haer. III 4,1): l'ininterrotta successione degli apostoli, rappresentata dai
vescovi (§ 18,2), costituiva la dimostrazione della fedeltà alle origini e della
conformità con gli inizi. Le comunità fondate dagli apostoli venivano consi-
derate come« Chiese apostoliche» (Tertulliano, De praescr. 36,1: ecclesiae apo-
stolica.e) ed avevano, come garanti e norma dell'ortodossia, una particolare im-
portanza (cf §§ 20-21). In esse c'erano le «cattedre degli apostoli» (Tertullia-
no, De praescr. 36,1: cathedrae apostolorum; Ireneo, Adv. haer. III 1,1; e altro-
ve), sulle quali ora sedevano i vescovi. Questa successione poteva es~ere di-
mostrata con l'aiuto di elenchi di vescovi (Ireneo, Adv. haer. III 3, 1-3, con ri-
ferimento ai vescovi di Roma).
§ 27. Fede ortodossa e fede erronea 167

5. Procedimenti disciplinari di ambito dottrinario

Eretici e scismatici venivano esclusi dalla comunione dell'altare. Dallo scrit-


tÒ Contra Noetum di Ippolito è possibile ricostruire il procedimento di Roma
contro Noeto (sul quale cf § 32,3): l'accusato recitò la sua confessione di fede; i
presbiteri entrarono in una disputa con lui e pretesero il riconoscimento della
loro formula di confessione, il cui rifiuto portò all'espulsione dell'accusato.
Il procedimento contro Paolo di Samosata ebbe il suo corso a livello supe-
riore: un sinodo di vescovi celebrato in Antiochia ne provò la colpa d'eresia
(cf § 32,2). La destituzione disposta dai vescovi venne poi resa nota pubblica-
mente, così come si rese noto il nome del successore. A dire il vero, il sinodo eb-
be bisogno di una rogatoria imperiale per poter rimuovere il vescovo condan-
nato dalla sua residenza vescovile in Antiochia (Eusebio, H. E. VII 30, 18-19).

Bibliografia§ 27: Eresia ed eresiologia nella Chiesa antica (articoli vari), in Aug 25 (1985), 579-
906; La tradizione. Forme e modi. XVIII Incontro di studiosi dell'antichità cristiana, Roma 1990;
H. D. ALTENDORF et al. (a cura di), Orthodoxie et héresie dans l'Eglise ancienne. Perspectives nou-
velles, Genève 1993; W. BAUER, rechtglciubigkeit und Ketzerei im éiltesten Christentum, Tiibingen
1964 2; G. G. BLUM, Apostel II, in TRE 3 (1978), 445-466; N. BROX, Spiritualità.! und Orthodoxie.
Zum Konflikt des Origenes mit der Geschichte des Dogmas, in E. Dassmann - K. S. Frank (a cura
di), Pietas (FS B. Kotting), Miinster 1980; 140-154; B. D. EHRMANN, The New Testament Canon
o/Didymus the Blind, in VigChr 37 (1983), 1-21; R. M. GRANT, Heresy And Criticism. The Search
far Authenticity in Early Christian Literature, Louisville 1993; P. GRELOT, La tradition apostolique,
in RB 99 (1992), 163-204; R. P. C. HANSON, Tradition in the Early Church, London 1962; P. I.
KAUFMAN, Tertullian on Heresy, History, And the Reappropriation o/Revelation, in ChH 60 (1991),
167-179; J. N. D. KELLY, Altchristliche Glaubensbekenntnisse. Geschichte und Theologie, Gottin-
gen 19932 (ingl. 19723); M. T. NADEAU, Poi de l'Église. Evolution et sens d'une formule, Paris 1988;
T. G. RING, Auctoritas bei Tertullian, Cyprian und Ambrosius, Wiirzburg 1975; T. A. ROBINSON,
The Bauer Thesis Examined. The Geography o/ Heresy in the Early Christian Church, Lewiston
1988; W. RORDORF - A. SCHNEIDER, Die Entwicklung des Traditionsbegriffs in der Alten Kirche,
Bern/Frankfurt/M. 1983; M. SIMONETTI, Ortodossia ed eresia tra I e II secolo, in VetChr 29 (1992),
359-389; R. STAATS, Die katholische Kirche des Ignatius van Antiochien und das Problem ihrer Nor-
matività'! im zweiten Jahrhundert, in ZNW 77 (1986), 126-145; 242-254; C. I. K. STORY, The Na-
ture of Truth in« The Gospel of Truth » And in the Writings o/ Justin Martyr, Leiden 1970; H. E.
W. TURNER, The Pattern o/ Christian Truth. A Study in the Relations between Orthodoxy And He-
resy in the Early Church, 1954, rist. New York 1978; M. WILES, The Making of Christian Doctrine.
A Study in the Principles o/ Early Doctrinal Development, London 1967.
§ 27.1: H. D. BETZ-A. SCHINDLER, Hiiresie II, in TRE 14 (1985), 313-341; N. BROX, Hiire-
sie, in RAC 13 (1986), 248-297; M. DESJARDINS, Bauer And Beyond: On Recent Scholarly Discus-
sions of hairesis in the Early Christian Era, in SecCen 8 (1991), 65-82; S. L. GREENLADE, Schism
in the Early Church, London 19642; A. LE BOULLUEC, La notion d'hérésie dans la littérature grec-
que, 2e-3e siècles, 2 voli., Paris 1985.
§ 27.2: H. von CAMPENHAUSEN, Das Bekenntnis im Urchristentum, in ZNW 63 (1972), 210-
253: E. KATTENBUSCH, Das apostolische Symbol, 2 voll., 1894-1900, rist. Hildesheim 1962; V. H.
NEUFELD, The Earliest Christian Confessions, Leiden 1963; E. PLOMACHER- W. SCHNEEMELCHER,
Bibel II-III, in TRE 6 (1980), 8-48; K. WENGST - A. M. RITTER, Glaubensbekenntnisse IV-V, in
TRE 13 (1984), 392-412.
168 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

§ 27.3: H. von CAMPENHAUSEN, Die Entstehung der christlichen Bibel, Tiibingen 1968; I.
FRANK, Der Sinn der Kanonbildung. Bine historisch-theologische Untersuchung der Zeit vom I. Cle-
mensbrief bis Ireniius von Lyon, Freiburg 1971; B. M. METZGER, Der Kanon des NT Entstehung,
Entwicklung, Bedeutung, Diisseldorf 1993 (ingl. 1992 4); A. SANO - A. ZIEGENAUS, Kanon, Frei-
burg 1974-1990 (HDG 13a).
J. FELLERMAYR, Tradition und Sukzession im Lichte des romisch-antiken Erbdenkens. Unter-
suchungen zu den lateinischen Viitern bis zu Leo dem Gro/5en, Miinchen 1979.
§ 27 4: G. G. BLUM, Tradition und Sukzession. Studien zum Normbegriff des Apostolischen von
Paulus bis Ireniius, Berlin/Hamburg 1963.
§ 27.5: K. HEIN, Eucharist And Excommunication. A Study in Early Christian Doctrine And
Discipline, Bern 1973; G. MAY, Bann IV, in TRE 5 (1980), 170-182.

§ 28. Giudeo-cristianesimo eterodosso

Pseudo-clementine: B. REHM- G. STRECKER, t, indici, 3 voli., ediz. diverse 1986-1994 (GCS).


Testi dei Padri apostolici: cf §§ 37-40.
Epifanio di Salamina: cf § 75,9; cf anche Bibliografia§ 28: A. F. J. KLIJN - G. J. REININK

Con l'espressione «giudeo-cristianesimo eterodosso» vengono definiti i rag-


gruppamenti giudeo-cristiani, che da una parte dichiaravano la propria fede in
Cristo come il Messia promesso.nell'AT, e dall'altra rimanevano fedeli alle idee
messianiche giudaiche, come anche alle consuetudini e alla legge del giudaismo.
In tal modo essi risultavano separati sia dalla Chiesa che dalla Sinagoga. «Poi-
ché vogliono essere sia giudei che cristiani, non sono né giudei né cristiani» (Gi-
rolamo, Ep. 112,13). La derivazione genealogica dei giudeo-cristiani da Thebu-
tis, che avrebbe cominciato a macchiare la Chiesa con dottrine vane perché non
era stato scelto come vescovo di Gerusalemme, non ha fondamento storico e ap-
partiene alla polemica antieretica della Chiesa antica (Egesippo, in Eusebio H.
E. IV 22,4-6). La presenza di comunità giudeo-cristiane è provata da precoci te-
stimonianze fuori della Palestina (cf § 11,3): nella Giordania orientale, in Siria
ed anche in Asia Minore. Fino al II sec. inoltrato esse vengono caratterizzate in
maniere diverse (per es. Giustino, Dia!. 47,1-5); in Ireneo di Lione si trova infi-
ne una chiara schematizzazione eresiologica del giudeo-cristianesimo e dei suoi
diversi gruppi (Adv. haer. I 26,1; III 21,1; V 1,3 ), che risulta seguita anche da Ip-
polito di Roma (Re/ut. VII 34), mentre è diverso il giudizio che ne offre Orige-
ne (C. Cels V 61; Comm. Matth. 11,12; Comm. Matth. ser. 79).
Per lo sviluppo complessivo della Chiesa i gruppi giudeo-cristiani eterodossi
furono di scarsa importanza. I Padri della Chiesa disapprovarono questi tentati-
vi di trovare tra la Chiesa e la Sinagoga una propria strada, che intendeva inte-
grare in questo modo, senza fratture, l'evento di Cristo nella propria tradizione e
conservare nella Chiesa, in una così decisa caratterizzazione, l'eredità giudaica.
§ 28. Giudeo-cristianesimo eterodosso 169

1. Ebioniti

I cosiddetti ebioniti [dall'ebraico ebion =«povero», n.d.t.] sostenevano una


cristologia diffusa nel giudeo-cristianesimo, secondo la quale Gesù era un sem-
plice uomo (cf Cerinto, vedi sotto), e osservavano una Legge purificata e la cir-
concisione come mezzo per arrivare alla redenzione. Paolo era considerato da
loro un traditore della Legge. Per loro l'unico Vangelo era quello di Matteo, rie-
laborato secondo il loro modo d'intendere (Ireneo, Adv. haer. I 26,2). Il loro pa-
trimonio dottrinario si trova anche negli scritti fondamentali delle Pseudo-Cle-
mentine. Frammenti di un Vangelo degli Ebioniti sono tramandti da Epifanio,
Pan.30 (W Schneemelcher, Neutestamentliche Apokryphen I, 138-142).
Epifanio (Pan. 29) rappresenta i nazirei/nazareni come una specifica setta
giudeo-cristifl,na, mentre Girolamo li identifica senz'altro con gli ebioniti (Ep.
112, 13; De vir. il!. 3) e conosce un Vangelo dei Nazareni [noto tra gli apocrifi co-
me Vangelo degli Ebrei, n.d.t.], la cui redazione deve collocarsi probabilmente
in Beroia [Aleppo] (W Schneemelcher, op. cit. I, 128-138).

2. Cerinto

I.:Epistula Apostolorum chiama Cerinto pseudo-apostolo (1,12); Ireneo par-


la di un incontro con Giovanni avvenuto ad Efeso (Adv. haer. III). Anche per
Cerinto Gesù era il figlio naturale di Giuseppe e Maria, segnalatosi per la sua
giustizia, saggezza e sapienza. Dopo il battesimo sarebbe sceso su di lui Cristo
nella forma di colomba. Dopo questo evento egli avrebbe annunciato il «padre
sconosciuto» e compiuto miracoli. Prima della sua morte Cristo l'avrebbe la-
sciato; soltanto Gesù avrebbe sofferto, sarebbe morto sulla croce e poi sarebbe
risuscitato dai morti (Adv. haer. I 26,1). La cristologia rivela evidenti influssi
gnostici, adozianisti e docetisti. D'impronta gnostica è anche la sua dottrina
dualistica della creazione, secondo cui il mondo sarebbe stato creato da una for-
za (dynamis) del tutto lontana e separata da Dio, che essa neppure conoscereb-
be (Ireneo, Adv. haer. III 11,1; Ippolito, Refut. 33; Epifanio, Pan. 28).

3. Elcasaiti

La setta sincretistica degli elcasaiti deve essere nata all'inizio del II sec. nel
territorio di confine romano-persiano (sull'Eufrate superiore). Essa faceva ri-
salire la sua origine a un libro di rivelazione ricevuto da un certo Elcasai [o
Elhasaih] (Ippolito, Refut. IX 13; Epifanio, Pan. 19). Secondo Ippolito, un Al-
cibiade di Apamea cercò d'introdurre il messaggio della setta in Roma; contro
170 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

i suoi seguaci, secondo Eusebio (H. E. VI 38), predicò Origene. Da questo


gruppo provenne certamente Mani, il famoso fondatore del manicheismo
(§ 31, 1).

4. I mandei

I mandei, il cui nome deriva da manda (conoscenza, scienza), esistono an-


cora oggi come specifica comunità religiosa nel sud dell'Iraq. Le loro radici
affondano certamente nelle sette giudaiche dette dei battezzatori. Al tempo del-
le guerre per l'indipendenza giudaica essi si opposero al giudaismo ufficiale ed
emigrarono verso oriente. Come setta giudeo-eretica essi accettarono le specu-
lazioni gnostiche: la redenzione avviene attraverso la scienza gnostica, ma anche
attraverso la prassi cultuale, come il battesimo amministrato più volte, la litur-
gia dei morti, la consacrazione di sacerdoti e vescovi. I mandei crearono una
propria letteratura (in dialetto aramaico orientale): il Ginza (il« tesoro»), il Li-
bro di Giovanni, come anche testi rituali-liturgici.

5. Le Pseudo-clementine

Le Pseudo-clementine, appartenenti agli atti apocrifi degli apostoli, narrano


i viaggi missionari di Pietro, nei quali l'apostolo sarebbe stato accompagnato da
Clemente di Roma. Esse rappresentano, tuttavia, la rielaborazione di tradizioni
più antiche, che costituiscono una fonte importante per il giudeo-cristianesimo
eterodosso:
- gli Anabathmoi ]akobou (Recognitiones I 33-71), di tono fortemente anti-
paolino, utilizzano Mt, Le e gli At, spiegano l'AT in senso cristologico, mari-
mangono fedeli alla circoncisione e alla legge della purità rituale; venerano inol-
tre il vescovo di Gerusalemme Giacomo;
- i Kerygmata Petrou contengono le pretese prediche di Pietro, che annuncia,
secondo il testo, le successive manifestazioni del profeta redentore, il quale, ap-
parso all'inizio del mondo, si sarebbe rivelato infine in Gesù. Una profetessa (la sua
prima incarnazione è Eva) è la sua antagonista. Un importante ruolo svolge la di-
scussione con Paolo, che viene identificato con Simon Mago. Pietro esorta a rice-
vere il battesimo, che conferisce il dono di diventare immagine di Dio e impegna
nelle opere buone, ed esorta anche all'osservanza delle leggi della purità
I
rituale.

Bibliografia § 28: Aspects du ]udéo-Christianisme. Colloque de Strasbourg 23.-25 Avril 1964,


Paris 1965; J. DANIÉLOU, Théologie du Judéo-Christianisme, Tournai 1958; I. GREGO, I Giudeo-
Cristiani alla luce degli ultimi studi e dei recenti reperti archeologici, in Sal 40 (1978), 125-149;
§ 28. Giudeo-cristianesimo eterodosso 171

A. F. J. KLIJN, ]ewish-Christian Gospel Tradition, Leiden 1992; A. F. J. KLIJN - G. J. REININK, Pa-


tristic Evidence for ]ewish-Christian Sects, t trad. ingl., Leiden 1973 (con indicazione delle fonti!);
G. P. LUTTIKHUIZEN, The Revelation of Elchasai. Investigations Into the Evidence fora Mesopota-
mian ]ewish Apocalypse of the 2. Century And Its Reception by ]udeo-Christian Propagandists, Tii-
bingen 1985; J. M. MAGNIN, Notes sur l'Ebionisme, in POC 23 (1973), 233-265; 24 (1974), 225-
250; 25 (1975), 245-273; 28 (1978), 220-248; F. MANNS, Les rapports Synagogue-Église au début du
II siècle après ].-C en Palestine, in SBFLA 31 (1981), 105-146; R. A. PRITZ, A Nazarene ]ewish
Christianity /rom the End of the New Testament Period Unti Its Disappearance in the Fourth Cen-
tury, Jerusalem 1988; M. SIMONETTI, Cristologia giudeo-cristiana: caratteri e limiti, in Aug. 28
(1988), 51-69; G. STRECKER, Ebioniten, in RAC 4 (1959), 487-500; G. STRECKER, ]udenchristen-
tum, in TRE 17 (1988), 310-325;}. E. TAYLOR, The Phenomenon ofEarly ]ewish-Christianity. Rea-
lity Or Scholarly Invention?, in VigChr 44 (1990), 313-334; E. TESTA, La grande Chiesa e le mino-
ranze giudeo-cristiane nell'ultimo scorcio del IV secolo, in SBFLA 28 (1978), 24-44; D. VIGNE,
Christ au Jourdain. Le bapteme de Jésus dans la tradition judéo-chrétienne, Paris 1992.
§ 28.4: E. LUPIERI, I mandei. Gli ultimi gnostici, Brescia 1993; K. RuDOLPH, Die Mandà'er, 2
voli., Gottingen 1960/1961; K. RUDOLPH, Theogonie, Kosmogonie und Anthropogonie in den
mandà'ischen Schriften, Gottingen 1965; K. RuDOLPH, Mandaer/Mandà'ismus, in TRE 22 (1992),
19-25; K. RUDOLPH, Die mandiiische Literatur. Bemerkungen zum Stand ihrer Testausgaben und zur
Vorbereitung einer Ginza-Edition, in TU 120 (1977), 219-236; G. WIDENGREN (a cura di), De
Mandaismus, Darmstadt 1982.
§ 28.5: F. S. JONES, The Pseudo-Clementines: A History of Research, in SecCen 2 (1982, 1-53;
63-96; H. PAULSEN, Das Kerygma Petri und die urchristliche Apologetik, in ZKG 88 (1977), 1-37;
G. STRECKER, Das Judenchristentum in den Pseudoklementinen, Berlin 19812.

§ 29. Gnosi I Gnosticismo

Raccolte di scritti gnostici

Testi di Nag Hammadi: H. G. BETHGE, Vom Ursprung der Welt. Die funfte Schrzft aus Nag Ham-
madi Codex II, t trad. ted. c, Berlin 1975; M. KRAUSE et al. (a cura di), Nag Hammadi Studies
(= NHS), diversi voli., Leiden 1971ss.; The Facsimile Edition of the Nag Hammadi Codices,
Leiden 1972-1984;}. M. ROBINSON, The Nag HammadiLibrary in English (= NHL), trad. in-
gl., Leiden ecc. 1988 3•
Traduzioni di testi scelti: C. SCHMIDT - W TILL, Koptisch-gnostische Schrzften, trad. ted., 19622
(GCS 45); R. HAARDT, Die Gnosis. Wesen und Zeugnisse, trad. ted., Salzburg 1967; W. FOER·
STER (a cura di), Die Gnosis, trad. ted., voli. 1 e 2, Ziirich/Stuttgart 1995 2 ; B. LAYTON, The
Gnostic Scriptures, trad. ingl., London 1987; L. MORALDI, Testi gnostici, trad. it., Torino 1982;
L. MORALDI, I vangeli gnostici, trad. it., Milano 1984.
Vangelo degli egiziani: A. BòHLIG et al., t trad. ingl. e, 1975 (NHS 4).
Evangelium veritatis: M. MALININE et al., t trad. franc./ted./ingl., Ziirich 1956; W. C. TILL, trad.
ted., in ZNW 50 (1959), 165-185; K. GROBEL, trad. ingl. e, London 1960;J. E. MÉNARD, trad.
frane., 1972 (NHS 2); T. 0RLANDI, trad. it.,Brescia 1992.
Giacomo: W.-P. FUNK, Die zweite Apokalypse des ]akobus aus Nag-Hammadi-Codex V (NHC), t
trad. ted. e, 1976 (TU 119); D. KIRCHNER, Epistula Jacobi Apocrypha. Die zweite Shrzft aus
Nag-Hammadi-Codex I, t trad. ted. e, 1976 (TU 136).
172 V. Unità e molteplicità delta dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

Vangelo di Filippo: W. C. TILL, t trad. ted. 1963 (PTS 2); R. Mc WILSON, trad. ingl., New York
1962;J. E. MÉNARD, t trad. frane. e, Paris 1967.
Pistis Sophia: C. SC:HMIDT - V. MACDERMOT, t trad. copt./ingl., 1978 (NHS 9).
Tolomeo, Ad Floram: G. QuISPEL, t trad. frane., e, 19662 (SC 24).
Vangelo di Tommaso: A. GUILLAUMONT et al., t trad. ted., Leiden 1959; J. LEIPOLDT, t trad. ted.,
1967 (TU 101); M. MEYER- H. BLOOM, t trad. ingl., San Francisco 1992; P. de SUAREZ, t trad.
frane. e, Montélimar 1974;].-E. MÉNARD, trad. frane., 1975 (NHS 5).
Vangelo di Tommaso e Canto della perla: O. BETZ - T. SCHRAMM, trad. ted. e, Ziirich 1985.
Tommaso: H. M. SCHENKE, Das Thomas-Buch (NHC II 7), t trad. ted. e, 1989 (TU 138); P.-H. Por.
RIER, t trad. frane., Bruxelles 1984.
Tractatus tripartitus: (NHC 15), E. THOMASSEN, t trad. frane. e, Québec 1989.

Altri testi: cf Bibl. § 29: K. BERGER - R. M. WILSON; K. RUDOLPH.

«Gnosi» è il nome dato a una dottrina soteriologica della tarda antichità. L' o-
rigine di questa religione sincretistica non è stata ancora chiarita: elementi tratti da
religioni, mitologie e filosofie del mondo antico si fusero nel II-III sec. in sistemi
d'impronta cristiana e pagana (il loro insieme viene detto «gnosticismo»). Ne fa-
cevano parte, sostanzialmente, tradizioni di mistica della rivelazione e dell'ascesa,
figure e dottrine intermedie della più svariata provenienza, correnti ascetiche e
concezioni che presupponevano un'unità originaria, una frattura e una riunifica-
zione. L'esistenza di una gnosi precristiana dai caratteri chiari non è dimostrabile.

1. Fonti

La conoscenza della gnosi cristiana si è basata a lungo quasi esclusivamente sugli scritti dei Pa-
dri della Chiesa che l'hanno combattuta: Ireneo, Tertulliano, Ippolito, Clemente d'Alessandria,
Origene ed Epifanio. Tutti costoro videro nella gnosi una pericolosa disgregazione dell'elemento
cristiano e non poterono rappresentarla se non sotto il punto di vista di un'eresia diabolica: essi cer-
carono di svelare il «corpicciolo di questa volpicella deforme» per metterlo a nudo senza alcuna
pietà (cf Ireneo, Adv. haer. I 31,4: male compositae vulpeculae huius corpusculum). Tracce di con-
cezioni gnostiche si trovano già nel NT, dove non sempre si può chiarire se ci si trovi di fronte a
fonti gnostiche o a concetti gnostici volutamente interpretati in senso cristiano (cf le discussioni le-
gate alle ricerche sul Vangelo di Giovanni e sulle lettere apocrife di Paolo: il primo commento a
Giovanni risale allo gnostico Eracleone). La discussione con tali concezioni si riflette chiaramente
negli scritti neotestamentari più tardi: 1 Tm l,4; cf Tt 3,9; 1 Tm l,lOss; 6,20; 2 Tm 2,16ss; 1 Gv;
Gd e 1 e 2 Pt. Anche il cosiddetto « avversario di Paolo » sembra aver fatto ricorso, in parte, a idee
gnostiche. Di un vero e proprio gnosticismo cristiano si può parlare soltanto nel II sec.
Il ritrovamento di codici avvenuto nel 1945/1946 a Nag Hammadi (località egiziana nelle vi-
cinanze dell'antico cenobio di Chenoboskion fondato da Pacomio) ha arricchito la ricerca sulla
gnosi di nuovi elementi: in tredici codici papiracei si sono conservati, in traduzione copta da origi-
nali greci, numerosi scritti gnostici che non si è ancora finito di pubblicare e valutare definitiva-
mente. I giudizi moderni su questi testi e sull'intero sistema differiscono notevolmente: la gnosi vie-
ne rappresentata, tra l'altro, come« religione universale» (G. Quispel, Die Gnosis als Weltreligion,
Ziirich 1951), come« ambiente vitale dello spirito tardo-antico» (H.Jonas, Gottingen 1988 4 ) o co-
me «illuminazione», che poi si muta, tuttavia, nel suo opposto (C. Colpe, in RAC 11 [1981)).
§ 29. Gnosi/Gnosticismo 173

2. Concetti fondamentali dello gnosticismo

La concezione gnostica della redenzione viene elaborata differentemente


nelle varie scuole e risulta sviluppata in diverse direzioni nei singoli sistemi. Si
possono individuare, tuttavia, dei comuni concetti fondamentali (cf R. M. Wil-
son, in TRE, vedi sotto):
- Fondamentale è un dualismo cosmico tra il mondo materiale terreno e la
causa prima divina, ultramondana. Nella conoscenza gnostica il mondo mate-
riale viene considerato come cattivo, malvagio, in mezzo a forze ostili.
- Conseguentemente, si distingue tra il Dio sconosciuto, trascendente, e il
Demiurgo, creatore di questo mondo, che generalmente presenta i tratti del Dio
Creatore dell'Antico Testamento.
- L'uomo viene legato al Dio trascendente, e assimilato a lui, da una scintil-
la divina inestinguibile. Questa scintilla, che è l' «io stesso» (pneuma, «l' ani-
ma») dello gnostico, è prigioniera nel mondo materiale, nel corpo; essa si trova
come «oro nel fango» o «è immersa nel sonno».
- Un mito variamente articolato racconta della caduta dell'uomo e del suo
risollevarsi, ne descrive la condizione presente e ne spiega il desiderio di reden-
zione. Il materiale mitologico è preso dalle fonti più varie: filosofia contempo-
ranea (platonismo, stoicismo), letteratura apocalittica tardo-giudaica, Antico e
Nuovo Testamento, astrologia.
- L'uomo viene liberato dalla conoscenza (yvrocnç). Con questa s'inten-
de non un conoscere razionale; la conoscenza gnostica avviene piuttosto at-
traverso la rivelazione diretta: «È vero che nelle comuni scienze generali
chiunque non abbia appreso non possiede neppure alcuna conoscenza. Ma
per quanto riguarda la gnosi, uno arriva a conoscere non appena ha sola-
mente ascoltato» (Pseudo-clementine, Recogn. III 35,7). Colui che media e
rivela, che chiama alla redenzione attraverso la conoscenza, può assumere la
figura di Gesù Cristo. Allo gnostico tutto diventa« improvvisament.e » chia-
ro: i princìpi fondamentali di Dio, del mondo e del proprio Io. Proprio que-
sto Io viene liberato dai ceppi del mondo e dona al redento la conoscenza
della sua vera natura e della sua origine celeste: «Orsù, alzati dal sonno e
ascolta le parole. Ricordati che sei un figlio di re; guarda alla schiavitù:
a colui di cui tu sei lo schiavo» (Atti di Tommaso, Canto della perla 110,43-
44).
Il desiderio centrale di conoscenza redentrice si può chiaramente cogliere
dalle domande fondamentali dello gnosticismo, spesso variamente formulate:
«Da dove il male e perché?
Da dove l'uomo e in che modo egli è creato?
[ ... ] Da dove è Dio?» (Tertulliano, De praescr. 7,5)
174 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

«Chi eravamo noi? cosa siamo diventati?


Dove eravamo noi? Verso dove siamo lanciati?
Verso dove ci affrettiamo? Da chi saremo salvati?
Cos'è la nascita, e cos'è la rinascita?»
(Clemente d'Alessandria, Excerpta ex Theodoto 78,2).
«Colui che cerca, quando cerca, non cessa fino a quando non trova, e quan-
do trova rimane turbato, e quando sarà turbato si riempirà di stupore e do-
minerà sull'universo» (Vangelo di Tommaso 2).

Questa conoscenza donava agli gnostici gioia ed esultanza, perché avevano


avuto la possibilità di venire a sapere i più profondi segreti di Dio e nel loro Io
avevano la consapevolezza di potersi identificare con Dio. «Il Vangelo della ve-
rità è gioia per coloro che hanno ricevuto dal Padre della verità la grazia di co-
noscerlo» (Inizio dell' Evan gelium veritatis). Di qui deriva il pathos della libertà
degli gnostici: « Sono entrato nel santuario, nulla mi può più accadere» (Cle-
mente d'Alessandria, Strom. III 2,4); e di qui deriva anche il senso di superio-
rità: «lo sono confermato e salvato; io salvo la mia anima da questo eone e da
tutto ciò che ha origine da lui, [ ... ] » (Ireneo, Adv. haer. I 21,3 ). Conseguente-
mente, gli gnostici si ritenevano i cristiani veri e superiori: «Essi s'insuperbisco-
no e si chiamano perfetti e seme di elezione» (Ireneo, Adv. haer. I 6,4).

3. Aspetti esteriori

«Ma per quanto riguarda le sette, esse sono note in parte dal nome dei loro fondatori, come
per esempio la scuola di Valentino e di Marciane e di Basilide, [. .. ],altre sono conosciute dal lo-
ro luogo, altre dal proprio modo di comportarsi [. .. ], ed altre ancora dalle loro particolari dot-
trine[. .. ]» (Clemente d'Alessandria, Strom. VII 108,1-2).

Gli gnostici formavano delle comunità; essi chiamavano se stessi con i nomi
di «iniziati», «eletti», «figli della luce», «perfetti», «liberi», ecc., ed espri-
mevano in tal modo la loro consapevolezza di superiorià. Indicavano se stessi
anche come« discepoli di Cristo» e« Chiesa», dove la loro comunità terrena ve-
niva considerata come copia di una preesistente Chiesa celeste (Ireneo, Adv.
haer. I 1,1; 5,6; Clemente d'Alessandria, Excerpta ex Theod. 24,1). Le loro co-
munità, che come quelle della Chiesa primitiva si stabilivano nelle città (Ales-
sandria, Antiochia e Roma furono roccaforti gnostiche e i luoghi d'azione dei lo-
ro più importanti pensatori e protagonisti); suddividevano i loro membri in per-
fetti/pneumatici e imperfetti/psichici. La guida della comunità fu inizialmente
nelle mani del fondatore, poi si trasmise ai suoi discepoli. Essi si chiamavano ca-
pi, maestri, sacerdoti ed anche vescovi.
§ 29. Gnosi/Gnosticismo 175

Il concentrasi sulla parola redentrice portò a un ricco patrimonio di inni e pre-


ghiere, a una coltivazione della predicazione e a spiegazioni speculative delle Scrit-
ture. Vere e proprie pratiche di culto non furono in uso nel sistema soteriologico
gnostico, ma l'ostilità al culto non durò a lungo. Le comunità gnostiche conobbe-
ro anche azioni rituali: battesimo, abluzioni, unzioni, celebrazioni conviviali. So-
no da rilevare l' apolytrosis («sacramento della redenzione») e il cosiddetto «ma-
trimonio spirituale» (certamente un rito d'iniziazione). La conoscenza come vera
e propria redenzione veniva integrata da tali riti e segni che investivano il modo di
pensare e di vivere. Allo stesso scopo servivano anche le immagini commemorati-
ve e la loro venerazione (Ireneo, Adv. haer. I 23,4; 25,6; cf Acta ]ohannis 27-29).
La natura della redenzione gnostica determinò particolari esigenze etiche: si
voleva custodire il proprio «Io liberato» nella sua libertà e dedicarsi alla neces-
saria liberazione dell'Io altrui. A dire il vero, un'etica che plasmasse il mondo do-
veva rimanere estranea allo gnosticismo, perché si riteneva che ciò oltrepassasse
questa cattiva creazione del Demiurgo. La superiorità nei confronti del mondo
terreno si esprime in due direzioni: libertinismo o ascesi. I Padri della Chiesa che
combatterono gli gnostici ne posero in risalto soprattutto il libertinismo; questo
rimprovero costituisce uno stereotipo antieretico. I testi gnostici testimoniano in-
vece in maniera decisamente più frequente un fondamentale atteggiamento asce-
tico (rifiuto del matrimonio e di determinati cibi). I testi recentemente scoperti,
inoltre, inducono a riconoscere che lo gnosticismo poteva sostenere anche un' e-
tica normativa che rifiutava libertinismo e ascetismo e richiedeva, ricorrendo a
concezioni morali conosciute dovunque, un giusto cambiamento della vita (Let-
tera a Flora; Vangelo di Tommaso; Insegnamenti di Silvano).
L'attrazione esercitata dal messaggio gnostico di salvezza fu certamente notevo-
le. Gli gnostici furono impegnati anche in attività missionaria. Le loro« scuole» era-
no aperte a tutti. I loro principali esponenti erano intellettuali appartenenti ai ceti
sociali che avevano familiarità con l'educazione ellenistica e giudaica. Ed essi si ri-
volgevano agli stessi gruppi sociali ai quali si rivolgeva la missione della Chiesa.

Bibliografia: D. M. SCHOLER, Bibliographia gnostica, Leiden 1971ss.


B. ALAND et al.(a cura di), Gnosis (FS H. Jonas), Gi:ittingen 1978; V. ARNOLD-D6BEN, Die Bil-
dersprache der Gnosis, Ki:iln 1986; P. F. BEATRICE, Gli avversari di Paolo e il problema della gnosi a
Corinto, in es 6 (1985), 1-25; K. BERGER-R. M. WILSON, Gnosis/Gnostizismus I, in TRE 13 (1984),
519-550; U. BIANCHI (a cura di), Le origini dello Gnosticismo. Colloquio di Messina, Apr. 1966, Lei-
den 1970; R. van den BROEK - M. J. VERMASEREN (a cura di), Studies in Gnosticism And Hellenestic
Religions (FS G. Quispel), Leiden 1981; R. van den BROEK, The Present State of Gnostic Studies, in
VigChr 37 (1983), 41-71; M. J. EDWARDS, Neglected Texts in the Study of Gnosticism, in JThS 41
(1990), 26-50; M. FIEGER, Das Thomasevangelium. Einleitung, Kommentar und Systematik, Miinster
1991; G. FILORAMO, A History of Gnosticism, Cambridge/Mass. 1990; J. E. FossuM, The Name of
God And the Angel of the Lord. Samaritan And Jewish Concepts of Intermediation And the Origin of
Gnosticism, Tiibingen 1985; C. W. HEDRICK - R. HoDGSON (a cura di), Nag Hammad~ Gnosticism
And Early Christianity (FS H. Attridge), Peabody/Mass. 1986; H. ]ONAS, Gnosis und spiitantiker
176 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

Geist, 2 voli., Gottingen 19884; K. KOSCHORKE, Die Polemik der Gnostiker gegen das kirchliche Ch-
ristentum, Leiden 1978; A. H. B. LOGAN -A. J. D. WEDDERBURN (a cura di), The New Testament
And Gnosis (FS R. M. Wilson), Edinburgh 1983; R. MORTLEY - C. COLPE, Gnosis I/II, in RAC 11
(1981), 446-659; A. ORBE, Cristologia gnostica, 2 voli., Madrid 1976; B. A. PEARSON, Gnosticism, Ju-
daism, And Egyptian Christianity, Minneapolis 1990; P. PERKINS, The Gnostic Dialogue. The Early
Church And the Crisis o/ Gnosticism, New York 1980; S. PÉTREMENT, Le Dieu Séparé. Les origines
du gnosticisme, Paris 1984 (ingl. 1990); H.-C. PUECH, En quete de la Gnose, 2 voli., Paris 1978; G.
QUISPEL, Gnostic Studies, 2 voli., Istanbul 1974/1975; J. RrEs - J. M. SEVRIN, Gnosticism et monde
hellénistique, Louvain 1981; K. RUDOLPH, Die Gnosis, Wesen und Geschichte einer spiitantiken Re-
ligion, Gottingen 19903; K. RUDOLPH (a cura di), Gnosis und Gnostizismus, Darmstadt 1975; K. Ru-
DOLPH, Gnosis und Gnostizismus, ein Forschungsbericht, in ThR34 (1969), 121-175, 181-231, 358-
361; 36 (1971), 1-61, 89-124; 37 (1972), 289-360; 38 (1973), 1-25; K. RUDOLPH, Die Gnosis: Texte
und Ubersetzungen, in ThR 55 (1990), 113-152; W ScHMITHALS, NT und Gnosis, Darmstadt 1984;
C. SCHOLTEN, Martyrium und Sophiamythos im Gnostizismus nach den Texten van Nag Hammadi,
Miinster 1987; G. A. G. STROUMSA, Another Seed. Studies in Gnostic Mythology, Leiden 1984; H.
STRUTWOLF, Gnosis als System. Zur Rezeption der valentinianischen Gnosis bei Origenes, Gottingen
1993; M. TARDIEU- J. D. DuBOIS, Introduction à la littérature gnostique, Paris 1986; K. W TROGER,
Gnosis und Neues Testament, Giitersloh 1973; K. W TROGER (a cura di), Altes Testament-Friihju-
dentum-Gnosis. Neue Studien zu «Gnosis und Bibel», Giitersloh 1980; D. VOORGANG, Die Passion
Jesu und Christi in der Gnosis, Frankfurt ecc. 1991; J. A. WILLIAMS, Biblica! Interpretation in the
Gnostic Gospel o/Truth /rom Nag Hammadi, Atlanta 1988; M. A. WILLIAMS, The Immovable Race.
A Gnostic Designation And the Theme o/ Stability in Late Antiquity, Leiden 1985.

§ 30. I principali rappresentanti dello gnosticismo

Tertulliano, Adv. Valent.: A. MARASTONI, trad. it., Padova 1971;}. C. FREDOUILLE, t trad. frane. e,
1980/1981 (SC 280ss.).
Cf anche§ 29; §§ 37-49.

1. Gli inizi

I Padri della Chiesa attribuirono a Simon Mago (At'8,9-24) la responsabilità


della falsificazione gnostica del cristianesimo (Giustino, Apol. I 26,1-3; Ireneo,
Adv. haer. I 23 ). Negli Atti apocrifi di Pietro e nelle Pseudo-clementine egli vie-
ne rappresentato come avversario di Pietro. A lui si richiamò anche uno dei
gruppi gnostici, quello dei simoniani. La loro dottrina non si può ricostruire
con precisione. Probabilmente si deve attribuire loro uno dei testi recentemen-
te scoperti, l'«Esegesi sull'anima» (NHC III). Come discepoli di Simon Mago
vengono considerati Menandro e Saturnino. Menandro, originario della Sama-
ria, operò in Antiochia (Giustino, Apol. I 26; Ireneo, Adv. haer. I 23,5), di cui fu
originario anche Saturnino (Ireneo, Adv. haer. I 24,1-2). Saturnino rappresentò
§ JO. I principali rappresentanti dello gnosticismo 177

per la prima volta Cristo come redentore gnostico. Appartengono già al II sec.
Carpocrate e il figlio Epifane (Ireneo, Adv. haer. I 25,1-6; Clemente d'Alessan-
dria, Strom. III 5-10). Gesù è diventato per i carpocraziani il modello e il pro-
totipo al quale lo gnostico, che vive solo di fede ed amore, deve uniformarsi e
che egli può anche superare.

2. I grossi sistemi del II secolo

I Padri della Chiesa conobbero tutta una serie di sette gnostiche: Ofiti, Naas-
seni, Cainiti, Sethiani, Barbelo-gnostici, ecc. Queste sette appartengono al II e al
Ili sec. e dimostrano l'ampia diffusione dello gnosticismo. Lo gnosticismo di
questo tempo ebbe l'impronta particolare di alcuni eminenti maestri, ai quali so-
no tradizionalmente legati famosi sistemi che ebbero un notevole sviluppo.

a) BASILIDE (ca. 125-160)


Originario della Siria, fu caposcuola in Alessandria. Il figlio Isidoro gli suc-
cesse nella guida della scuola e ne assicurò la continuità. Di Basilide sono noti
alcuni scritti: un «Libro di rivelazione», per il quale compose insieme al figlio
delle «spiegazioni» (Exegetica), Salmi (cf Can. Muratori 83ss.) ed altri lavori.
Allusioni sicure alle sue dottrine si trovano in Clemente d'Alessandria (Strom.
IV 81,1-83,1; V 3,2; II 112,1-114,1, sul dolore, sulla fede, sull'etica). Ireneo
(Adv. haer. I 24,3-7) ed Ippolito (Refut. VII 20-27) ne descrissero il sistema. Le
loro descrizioni differiscono notevolmente, ciò che potrebbe essere attribuito o
a errori delle fonti o a sviluppi all'interno dello stesso sistema basilidiano. Il re-
soconto d'Ippolito, che presenta molti punti oscuri, può mettersi a confronto in-
nanzitutto con le notizie fornite da Clemente. Da questo confronto risulterebbe
che Basilide sostenne un sistema «monistico»: dall'unica e inaccessibile causa
originaria divina emanò una specie di sostanza cosmica, da cui derivò e si formò
per gradi successivi tutto ciò che esiste. Il Cristo celeste illuminò il Gesù terre-
stre, che liberò l'elemento divino, mentre Dio estese sulla creazione l'ignoranza
primordiale. Ireneo, invece, ci offre una rappresentazione notevolmente diver-
sa: per liberare l'uomo, cioè la sua anima, dal dominio del Demiurgo-creatore,
il sommo Dio inviò il suo Cristo-Nous, che apparve in Gesù. Prima della croci-
fissione egli scambiò la sua figura con Simone di Cirene, che morì sulla croce,
mentre Cristo tornò nuovamente a suo Padre (Adv. haer. I 24,4).

b) VALENTINIANO (VALENTINO)
Valentiniano, proveniente da Alessandria, insegnò probabilmente negli an-
ni 136-165 a Roma. Appartenne inizialmente alla comunità romana, fino a quan-
178 V. Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

do non ne venne espulso (Tertulliano, Adv. Valent. 4,l, ne spiega l'apostasia con
il fallimento di una « candidatura alla carica di vescovo»). In seguito, egli operò
certamente in oriente. Anch'egli lasciò degli scritti (omelie, inni, lettere, trattati
teologici «sulle tre nature»), dei quali ci sono pervenuti frammenti nelle opere
di Clemente d'Alessandria. Alcuni dei testi di Nag Hammadi possono essere at-
tribuiti sicuramente alla sua scuola, pur escludendo che siano stati composti da
lui stesso: il trattato in tre parti (Tractatus Tripartitus, NHC I 4), il Vangelo del-
la verità (NHC II 3) e la lettera a Regino (NHC I 3 ). Il sistema originario di Va-
lentino non è più ricostruibile con esattezza. I Padri della Chiesa, tra i quali in
primo luogo nuovamente Ireneo (Adv. haer. I 1-8; 11-12; 18-21) e Ippolito (Re-
fut. VI 29-36), forniscono notizie differenti. Elemento caratteristico sembra es-
sere stato un rigoroso dualismo. Al Pleroma divino, che è riempito da quindici
coppie di eoni (sizigie) emanati dalla sostanza divina primigenia, è contrapposto
il mondo creato dal Demiurgo. La sua nascita viene spiegata con una specie di
peccato originale della Sapienza, l'ultimo eone. Un elemento divino di questa
Sapienza, rinchiuso nella materia, sarebbe stato liberato da Gesù, sul quale sa-
rebbe disceso lo Spirito Santo nel battesimo.
Sono noti alcuni discepoli di Valentiniano: Tolomeo, con la sua «Lettera a
Flora», ed Eracleone, con un commentario al Vangelo di Giovanni (frammenti
nel Commento a Giovanni di Origene).

c) NAASSENI ED ALTRI
Tra gli altri gruppi meritano una menzione i Naasseni (Ippolito, Refut. V,
6,3; 11, 1; X 9, 1-3); essi, che chiamavano se stessi «gnostici» (Ippolito, ibidem,
V 6,4), mostrano chiaramente che la gnosi poteva collegarsi anche con idee del-
le religioni misteriche.

3. La reazione ecclesiastica

Come prodotto del sincretismo tardo-antico, lo gnosticismo coinvolse il


cristianesimo in questo movimento e determinò così la più pericolosa crisi per
la giovane Chiesa nel II sec. Evidentemente, l'impegno negli aspetti tradizionali
della pietà e il legame con le autorità ecclesiastiche non riuscivano a soddisfa-
re tutte le attese dei cristiani. La superiore offerta intellettuale degli gnostici fa-
ceva vedere come insufficiente la specifica produzione teologica. Giustino, Ire-
neo, Tertulliano ed Ippolito elaborarono soprattutto in contrapposizione con i
miti e gli insegnamenti gnostici, dichiarati privi di valore storico, le verità cen-
trali della fede cristiana: la fede in Dio come Creatore e Signore della storia, nel
Figlio di Dio fatto Uomo, nella sua morte sulla croce e nella sua risurrezione,
§ 31. Chiese e religioni nell'ambito dello gnosticismo 179

nella redenzione dell'uomo per grazia, nell'efficace azione storica dello Spirito
Santo nella rivelazione dell'antica e della nuova alleanza e nella Chiesa. Una
confutazione costruttiva condusse alla riflessione sull'importanza della tradi-
zione, alla determinazione del canone biblico, alla formulazione di professioni
di fede e allo sviluppo della teologia e della dogmatica. Sotto questo aspetto, le
teorie gnostiche vanno ritenute tra le «più produttive» eresie dei primi tempi
della Chiesa.

Bibliografia: N. BRO~, O/fenbarung, Gnosis und gnostischer Mythos bei Irenà'us van Lyon,
Salzburg/Miinchen 1966; N. BROX, Antignostische Polemik bei Christen und Heiden, in MThZ 18
(1967), 265-291; J. FRICKEL, Hellenistische Erlasung in christlicher Deutung. Die gnostische Naas-
senerschrift, Leiden 1984; R. M. GRANT, Piace de Basilide dans la théologie chrétienne ancienne, in
REAug 25 (1979), 201-216; K. KOSCHORKE, Hippolyts Ketzerbekampfung und Polemik gegen die
Gnostiker, Wiesbaden 1975; B. LAYTON (a cura di), The Rediscovery o/ Gnosticism, vol. I. The
School o/Valentinus, Leiden 1980; B. LAYTON (a cura di), The Rediscovery o/ Gnosticism, vol. II.
Sethian Gnosticism, Leiden 1981; W. A. LòHR, Basilides und seine Schule: eine Studie zur Theolo-
gie- und Kirchengeschichte des 2. Jahrhunderts, Tiibingen 1995; G. LODEMANN, Zur Geschichte des
à1testen Christentums in Rom. I. Valentin und Marcion. II. Ptolemà'us und Justin, in ZNW 70
(1979), 86-114; G. LODEMANN, Untersuchungen zur simonianischen Gnosis, Gottingen 1975; C.
MARKSCHIES, Valentinus gnosticus? Untersuchungen zur Valentinianischen Gnosis mit einem Kom-
mentar zu den Fragmenten Valentins, Tiibingen 1992; E. MOHLENBERG, Basilides, in TRE5 (1980),
296-301; A. ORBE, Estudios valentinianos, 5 voli., Roma 1955-1966; G. VALLÉE, A Study in Anti-
Gnostic Polemics, Waterloo/Ontario 1981.

§ 31. Chiese e religioni nell'ambito dello gnosticismo

1. Marcione

Tertulliano, Adv. Mare.: C. MoRESCHINI, t, Milano 1971; E. EVANS, t trad. ingl., 2 voli., 1972
(OECT); R. BRAUN, t trad. frane. e, 2 voli., 1990 (SC 365; 368).

Marcione (ca. 85-160) fu tra i più importanti teologi del II sec.

A. von Harnack ha raccolto nella sua classica monografia Marcion. Das Evangelium vom Jremden
Gott (1921) il materiale a lui noto di e su Marcione (fonte principale è Tertulliano) e ne ha
fornito un'interpretazione impressionante e gravida di conseguenze. Soltanto negli ultimi
tempi si sono avuti nuovi tentativi d'interpretazione che riesaminano il materiale raccolto da
von Harnack. Essi tolgono Marcione dalla gnosi, danno risalto all'influsso della filosofia con-
temporanea e mettono in discussione il suo biblicismo.

Questo armatore di Sinope sul Ponto giunse attraverso l'Asia Minore (Ireneo,
Adv. haer. III 3,4) a Roma, dove fu accolto nella locale comunità (Tertulliano, De
180 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

praescr. 30,2). Nel 144 venne espulso e fondò la sua propria Chiesa, che si diffuse
rapidamente. Alla fine del II sec. apparvero segnali di scioglimento; tuttavia, la
Chiesa marcionita perdurò, specialmente in ambiente siriaco, fino al VI sec.
Marciane esordì con la sua pretesa di riforma, che intendeva ricondurre la
Chiesa al messaggio originario di Gesù. Secondo lui, Gesù aveva annunciato un
Dio di bontà, mentre l'AT aveva annunciato un Dio di giustizia punitiva. Nelle sue
«Antitesi» (che ci sono giunte in modo frammentario) egli contrapponeva le due
immagini di Dio: all'AT veniva negato il carattere di sacra scrittura, la creazione
veniva discriminata come opera del Dio veterotestamentario. Il Dio assolutamen-
te trascendente e ignorato, Padre di Gesù Cristo, era stato rivelato soltanto da Ge-
sù, ma poi era stato deformato nella predicazione apostolica e falsificato in senso
giudaico ed ellenistico da «falsi apostoli». Paolo era l'unico vero apostolo. Sol-
tanto dieci lettere di Paolo (senza le lettere pastorali; la lettera ai Galati in primo
luogo!), e con notevoli riduzioni, contenevano il vero messaggio; a questi scritti
egli aggiungeva un Vangelo abbreviato di Luca. Tertulliano lo schernì a causa di
questo eclettismo, definendolo un «topo pontico che rosicchiava il Vangelo»
(Adv. Mare. I 1,5). Il fatto che egli legasse la sua Chiesa a un solido corpus di scrit-
ti composto di due parti, Apostolus e Vangelo, non rimase senza influenza sulla
formazione del canone biblico da parte della Chiesa (cf § 27 ,4).
La sua pregiudiziale dogmatica ne determinò anche la soteriologia: il Dio
buono sconosciuto avrebbe dato al Cristo Redentore un corpo apparente o
avrebbe assunto in lui stesso un tale corpo e sarebbe venuto su questo mondo
sotto l'imperatore Tiberio (Tertulliano, Adv. Mare. IV 6). In questa sua manife-
stazione egli avrebbe superato il Demiurgo ed operato la redenzione. La condi-
zione di redenti si manifestava per i marcioniti in una severa ascesi, che veniva
intesa come rifiuto al regno del Demiurgo e attestato d'appartenenza al regno
dell'amore. Nell'ascesi marcionita rientrò originariamente l'esigenza di celibato
per tutti i credenti. Marciane riunì i suoi seguaci in comunità organizzate come
chiese, con gli uffici dei vescovi, dei presbiteri ed anche dei martiri.

2. Bardèsane (Bar Daisan)

Bardèsane: CPG 1152-1153


Liber Legum Regionum: F. NAU, t trad. lat., 1907 (PS 2); H. J. W. DRIJVERS, t trad.ingl., Assen
1966.
E. BECK, Ephriims Rede gegen eine philosophische Schrift des Bardaisan, trad. ted. e, in OrChr 60
(1976), 24-68.

Il siro Bardèsane (154-222), vissuto a Edessa alla corte del re Abgar VIII, di-
sponeva di una solida formazione filosofica e astrologica, che unì con elementi
del messaggio cristiano. Il cristianesimo di Bardèsane non si può ancora defini-
§ 31. Chiese e religioni nell'ambito dello gnosticismo 181

re con esattezza. La sua non fu certamente una pura gnosi, anche se nella sua
speculazione cosmologica può rintracciarsi un latente dualismo e la sua cristo-
logia presenta i caratteri del docetismo. In ogni caso, egli seppe esprimere le sue
idee in una forma piacevole che riscosse ampio successo nel cristianesimo siria-
co. Nulla ci è giunto delle sue opere, ma possiamo ricostruirne qualcosa dalle
repliche dei Padri della Chiesa, principalmente di Efrem il Siro(§ 75,8) e, ancor
prima, di Eusebio (Praep. evang. VI 10). Particolare attenzione merita il «Libro
delle Leggi dei paesi», un dialogò sul destino (jatum) e sulla libertà umana, che
è sicuramente ispirato da Bardèsane.

3. Mani e il manicheismo

Scritti manichei: W. FOERSTER (a cura di), Die Gnosis, 3 voli., rifacimento di A. Bi:ihlig, trad.
ted., Stuttgart/Ziirich 1980.
Alessandro di Licopoli, Contra Manich. op. dis.: A. VILLEY, trad. frane. e, Paris 1985.

Mani, chiamato anche Manes, Manete o Manicheo, nacque nel 216 nei pres-
si di Bassora (Mesopotamia); la sua famiglia era imparentata con la dinastia per-
siana degli Arsacidi. Egli venne a contatto con il cristianesimo attraverso la set-
ta «battista» degli Elcasaiti. Esperienze personali di visioni lo condussero alla
scoperta della sua propria religione, che egli proclamò con successo il 23 aprile
del 240 (confessione da lui stesso formulata nel« Mani-Codex », 120). Essa do-
veva essere una religione universale e superare Buddha e Gesù. L'opera di Ge-
sù e della sua Chiesa venne da lui interpretata solo come un evento che doveva
precedere la sua propria missione. A lui il Paraclèto avrebbe rivelato la verità
nella sua completezza:«[ ... ] le precedenti chiese erano state stabilite per singoli
paesi e singole città. Ma la mia chiesa si diffonderà in tutte le città e il mio van-
gelo toccherà ogni paese» (Kephalaion 154). Con il favore del re persiano Sa -
pore I (241c272), egli poté annunciare la sua religione per trent'anni come
«apostolo del vero Dio» e costruire la sua chiesa manichea. Sotto il successore
di Sapore egli perse la protezione politica; nel 277 venne incarcerato dietro sol-
lecitazione dei sacerdoti zoroastriani e morì in prigione.
Mani affidò il suo messaggio a voluminose opere: il« Vangelo vivo [o gran-
de] », il «Tesoro di vita», il «Libro dei misteri», il «Libro dei salmi», i Kepha-
laia [=«I punti principali dell'insegnamento del maestro»], ecc. In questo mo-
do egli obbligò la sua chiesa ad attenersi a un canone immutabile e rese il ma-
nicheismo una spiccata religione del libro con alta cultura letteraria. In seguito
si sviluppò una vasta letteratura post-canonica con molteplici adattamenti ad al-
tre religioni. Scritti manichei furono scoperti attorno al 1900 nelle grotte del
Turfan (Turkestan) e nel 1930 nell'Egitto Superiore; questi ultimi scritti sono
traduzioni copte di testi originari siriaci, redatti attorno al 400.
182 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

La morte di Mani e la persecuzione che l'accompagnò provocarono un ra-


pido diffondersi della religione; alla fine del IV sec. aderì al manicheismo, nel-
l'Africa settentrionale, il giovane Agostino (Con/ III 6,10). Le invettive teologi-
che dei Padri della Chiesa del IV e del V sec. e la repressione politica degli im-
peratori romani portarono a una sua decadenza (297: editto antimanicheo di
Diocleziano; 372 legge di Valentiniano I contro i manichei). Il manicheismo so-
pravvisse clandestinamente, per tornare nuovamente alla ribalta in nuove forme
nei movimenti medievali. La sua diffusione nel lontano Oriente fece sorgere an-
che qui nuovi centri manichei. Missionari si spinsero fin nella Mongolia e in Ci-
na, dove il manicheismo scomparve solo dopo una storia di mille anni.
La religione manichea si basa su un netto dualismo: il regno della luce è con-
trapposto a quello, sullo stesso piano, delle tenebre : il regno della luce è domi-
nato dal «padre della grandezza» (re del paradiso della luce, Dio, ecc.) ed è cir-
condato da eoni divini. Il regno delle tenebre è dominato da un suo proprio re
e circondato da mondi e dèmoni oscuri. Inizialmente i due regni sono rigida-
mente separati. In una seconda fase essi si mescolano, spinti dalla lotta delle te-
nebre contro la luce. Per separare nuovamente l'uno daWaltro, il «padre della
grandezza» invia l' «uomo primigenio» nel regno delle tenebre. Qui, egli ini-
zialmente soccombe e viene liberato e risollevato solo da un altro inviato dal re-
gno della luce. La salvezza dell'uomo primigenio è esempio per la redenzione
dell'uomo. L'uomo deve riconoscersi come mescolanza di luce e di tenebre. Per
la liberazione dalle tenebre il padre della luce inviò i messaggeri della vera reli-
gione: Buddha, Zoroastro, Gesù e Mani, ma anche figure bibliche come Set,
Noè, Enos, Enoch, Abramo e Paolo. Quanto a Mani, egli intese se stesso come
l'ultimo inviato della luce, come il «sigillo dei profeti». La comunità manichea
apportatrice di salvezza collabora alla separazione redentrice tra luce e tenebre:
essa pone fine alle sofferenze della luce che ancora può trovarsi nel mondo e cer-
ca di purificarla e di farla tornare. Non appena la luce viene liberata, segue la fi-
ne del mondo, in cui luce e tenebre vengono nuovamente separate in maniera
radicale.
Le rappresentazioni cosmologiche e antropologiche della redenzione furo-
no alla base dell'austera ascesi manichea. Essa venne definita con il «triplice si-
gillo»: signaculum oris, manus, sinus (rinuncia nella parola e nel cibo; rifiuto dei
lavori più umili; condanna del matrimonio; cf Agostino, De mar. manich. 10;
18). Soltanto i prescelti (electi) venivano impegnati in una forma ascetica di vi-
ta. Essi costituivano il nerbo delle comunità manichee, da essi provenivano i ge-
rarchi (gli apostoli, i vescovi, i maestri e i più anziani). Tra gli eletti potevano es-
serci anche le donne, ma a loro rimase precluso l'accesso ad uffici nella comu-
nità. Al di sotto degli eletti c'era la grande massa degli uditori o catecumeni, che
non vivevano asceticamente e dovevano sostenere gli eletti. Con questa presta-
zione di aiuto anche essi potevano sperare di arrivare al regno della luce.
§ 32. Discussioni sulla Trinità 183

Bibliografia§ 31.1: B. ALANO, Marcion!Marcioniten, in TRE 22 (1992), 89-101; B. ALANO,


Marcion. Versuch einer neuen Interpretation, in ZThK 70 (1973 ), 420-447; H. J. W. DRIJVERS, Mar-
cionism in S31ria. Principles, Problems, Polemics, in Seceen 6 (1987/1988), 153-172; R.]. HOFF-
MANN, Marcion: On the Restitution o/ Christianity. An Essay on the Development o/ Radical Pau-
linist theology in the 2nd Century, ehico/ealif. 1984; G. MAY, Marciane nel suo tempo, in es 14
(1993), 205-220; G. MAY, Marcion in Contemporary Views: Results And Open Questions, in es 8
(1987), 609-631.
§ 31.2: E. BECK, Bardaisan und seine Schule bei Ephriim, in Mus. 91 (1978), 271-333; L. eER-
FAUX, Bardesanes, in RAe 1 (1950), 1180-1186; H. J. W. DRIJVERS, Bardesanes, in TRE 5 (1980),
206-212; H. J. W. Bardaisan o/ Edessa, Assen 1966; H. KRUSE, Die « mythologischen Irrtiimer »Bar-
Daisans, in Orehr 71 (1987), 24-52; J. TEIXIDOR, Bardesane d'Edesse. La première philosophie sy-
riaque, Paris 1992.
§ 31.3: A. B6HLIG, Manichiiismus, in TRE 22 (1992), 25-45; F. DECRET, UA/rique mani-
chéenne, IVe-Ve siècle, 2 voli., Paris 1978; S. N. C. Lrnu, Manichaism in the Later Roman Empire
And Medieval China. A Historical Survey, Manchester 1985; J. MÉNARD, De lagnose au manichéi-
sme, Paris 1986; L. J. R. ORT, Mani. A Religio-Historical Description o/ His Personality, Leiden
1967; H. C. PuECH, Le manichéisme. Son /ondateur, sa doctrine, Paris 1967; J. Rrns, Aux origines
de la doctrine de Mani. Uapport du Codex Mani, in Mus. 100 (1987), 283-295; E. ROSE, Die mani-
chiiische Christologie, Wiesbaden 1979; G. G. STROUMSA, Aspects de l'eschatologie manichéenne,
in RHR 198 (1981), 163-181; G. WIDENGREN (a cura di), Der Manichiiismus, Darmstadt 1977;
G. WIDENGREN, Mani und der Manichiiismus, Stuttgart 1961.

§ 32. Discussioni sulla Trinità

Tertulliano, Adv. Prax: E. EVANS, t trad. ingl., London 1948; G. SCARPAT, t trad. it. 1985 (ePS 12).
De carn. Chr.: E. EVANS, t trad. ingl. c, London 1956; J. P. MAHÉ, t trad.franc. c, 2 voli., 1975
(Se 216ss.)
ef anche§§ 37-40; § 75,9.

1. Gli inizi

Nel tentativo di rendere plausibile e comprensibile la professione di fede


cristiana in un solo Dio, creatore di tutte le cose, rivelatosi nel suo Figlio e nel
suo Spirito, la base concettuale del mondo giudaico-apocalittico (che a sua vol-
ta aveva già subìto influssi ellenistici) venne sempre più arricchita, modificata e
sostituita da concetti e modelli dell'ellenismo. Le riflessioni riguardarono in-
nanzitutto il rapporto tra Dio-Padre e Dio-Figlio e la difesa dell'unità di Dio. Il
primo importante tentativo degli apologeti si ebbe nell'ambito della speculazio-
ne ellenistico-giudaica sulla sapienza e del concetto ellenistico di Logos e neri-
sultò una specifica dottrina del Logos (Giustino, Atenagora, Teofilo d'Antio-
chia). Richiamandosi a Prv 8,22-31 e al prologo di Giovanni, essi rappresenta-
184 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

rono il Figlio o Logos come il mediatore, cui rendeva testimonianza Dio-Padre,


della creazione e della rivelazione. Questa interpretazione del Logos basata sul-
la sua funzione implicò una certa subordinazione (subordinazianismo), di cui si
riconobbe la problematicità soltanto con la radicalizzazione ariana (cf §§ 47-48).
La teologia trinitaria ortodossa prenicena non ebbe difficoltà di fronte a de-
nominazioni come «secondo» o «altro» Dio (Giustino, Apol. I 13,3-4; Orige-
ne, C. Celsum V 39), ma si espose così al rimprovero di proporre una dottri-
na di due o tre dèi. A tale rimprovero vollero sottrarsi i cosiddetti monarchiani
(cf Tertulliano, Adv. Praxean 3,2; 10,1), che inoltre presero posizione contro la
dissoluzione gnostica di Dio in molti esseri divini. Essi difesero l'unicità di Dio
in diversi princìpi, che si possono raggruppare in un monarchianismo dinami-
stico e uno modalistico. Le loro teorie e i loro sistemi di dottrine si conoscono
quasi esclusivamente attraverso le confutazioni di scrittori ecclesiastici (special-
mente Tertulliano ed Ippolito). Teatro importante delle discussioni teologiche
divenne Roma, dove all'inizio del III sec. erano arrivati i principali sostenitori
del monarchianismo.

2. Monarchianismo dinamistico

Come fondatore del monarchianismo dinamistico viene considerato Teodo-


to il Conciatore (o Calzolaio) di Bisanzio, che attorno al 190 venne scomunica-
to dal vescovo romano Vittore (Eusebio, H. E. V 28,6). L'espulsione portò alla
nascita di una specifica comunità monarchiana a Roma, guidata da Teodoto il
Banchiere e da un Asclepiodoto (Eusebio, H. E. V 28,9). I teodoziani, che nel-
la loro esegesi si richiamavano alla grammatica e alla critica testuale (Eusebio,
H. E. V 28,13-15; cf Epifanio, Pan. 54), rifiutavano un preesistente figlio di Dio
ed anche il Logos come mediatore della creazione. Gesù sarebbe nato dalla Ver-
gine Maria. Nel battesimo (Mt 3,13-17) la forza (dynamis) e lo spirito di Dio sa-
rebbero scesi su di lui e lo avrebbero reso capace di compiere la sua azione di-
vina (Ippolito, Re/ut. VII 35). Per loro, quindi, Cristo non è Dio nella sua es-
senza, ma è adottato come figlio di Dio con l'assegnazione dello spirito (di qui
anche il monarchianismo adozionistico). In tal modo veniva salvata la monar-
chia di Dio, ma non si poteva parlare di un'unità essenziale tra Dio-Padre e Dio-
Figlio. Questo modo monarchiano di rappresentare la realtà divina venne pro-
seguito a Roma da Artemone (Eusebio, H.E. V 28,1).
Un importante difensore di questa dottrina si trovò in oriente, accanto al ve-
scovo Berillo di Bostra, che Origene riuscì a convincere del suo errore (Euse-
bio, H. E. VI 33,1-3; cf 20,2), in Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia. Que-
sto discusso «principe della Chiesa», che esercitò anche l'ufficio accessorio di
ducenarius (funzionario di alto rango [detto così perché inizialmente si trattò di
§ 32. Discussioni sulla Trinità 185

un ufficiale che aveva il comando di 200 uomini, n.d.t.]) della regina Zenobia di
Palmira (Eusebio, H. E. VII 30,8), apportò a quanto sembra una variazione al
monarchianismo romano. La Vergine Maria avrebbe generato l'Uomo Gesù, che
si sarebbe unito con il preesistente Logos. Questa unione non sarebbe sostanzia-
le, ma soltanto concessa per volontà o per grazia. In un sinodo del 268/269 cele-
brato ad Antiochia Paolo venne deposto ed escluso dalla comunione ecclesiasti-
ca. Nella polemica antieretica della Chiesa antica egli s'incontra ancora qualche
secolo più tardi come adozionista (Epifanio, Pan. 65, 1-9; Atanasio, Contra Ar. I
25; Giovanni Crisostomo, Hom. Col. 3,2; Teodoreto, H. E. I 4,35-37).

3. Monarchianismo modalistico

Il monarchianismo modalistico volle risolvere il problema dell'unità e mo-


teplicità in Dio riducendo il Figlio semplicemente a un modo (modus) di mani-
festarsi del Padre. Anziché l'adozione di un uomo si avrebbe l'incarnazione del-
l'unico Dio.Quest'idea, senza dubbio molto diffusa, poteva richiamarsi all'ese-
gesi cristologica dell' AT, che parlava di manifestazioni del preesistente Logos in
figura umana (Giustino, Dia!. 56,1-61,1). Fu certamente Noeto di Smirne colui
che per primo espose questa teoria in maniera teologicamente approfondita. Se-
condo lui, proprio il Padre ha generato se stesso nell'incarnazione, proprio egli
ha patito, proprio egli è morto sulla croce e ha risuscitato se stesso (cf Ippolito,
Contra Noetum). Poiché, secondo loro, proprio il Padre aveva patito, Noeto e i
suoi seguaci furono detti « patripassiani ». Noeto venne condannato attorno al
190 a Smirne, ma il suo monarchianismo modalistico si diffuse fino a Roma e,
certamente grazie a Prassea, anche nell'Africa settentrionale (Tertulliano, Ad-
versus Praxean). A Roma il portavoce dei monarchiani modalistici fu Sahellio,
con il quale vennero a discussione il vescovo Callisto (217-222) e il dotto prete
romano Ippolito. Il vescovo condannò certamente Sabellio, ma nell'interesse
dell'unità della sua comunità trovò a quanto pare una formula di compromesso
che agli occhi d'Ippolito fece apparire persino il vescovo romano come patri-
passiano (Ippolito, Refut. IX 12,18). Ippolito, che si separò da Callisto, basava
le sue argomentazioni su una teologia del Logos che lo fece definire da Callisto
« diteista ».
Dopo la sua condanna Sabellio si recò in Libia (patria d'origine?), dove conti-
nuò a predicare il suo rigido modalismo, che venne accolto anche in Egitto. Per lui
non c'era che un solo Dio, che si è manifestato come Padre nell' AT, come Figlio
nell'incarnazione e come Spirito nel momento della sua missione. Il Figlio venne
indicato da lui come «Figlio-Padre». A dire il vero, egli poté parlare dei modi nei
quali l'unico Dio si è manifestato nel tempo come di «persone» (1tp6crcomx), ma
usò tale concetto nel suo significato originario: prosopa erano nell'antico teatro le
186 V. Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

maschere dell'attore, non persone reali. Nel modalismo venne coinvolto qui, per la
prima volta, lo Spirito divino, ciò che nelle repliche doveva condurre anche alle
prime speculazioni pneumatologiche. Sabellio comprese in quelle sue, chiaramen-
te, anche le idee del precedente modalismo; la sua dottrina (sabellianismo) viene
presentata spesso come se rappresentasse l'intero modalismo, e ogni successiva
teologia monarchiana ha dovuto subire l'accusa di sabellianismo.
Da Alessandria combatté i sabelliani (cf § 39,4) il vescovo Dionigi, che però,
a quanto pare, sottolineò nettamente la differenza tra le Persone divine, chiamò
il Figlio creatura (Kttcrµa, 1tol.nµa) del Padre e formulò così una dottrina trini-
taria di sapore triteistico. Coloro che erano stati attaccati cercarono appoggio a
Roma. L'omonimo vescovo romano, Dionigi (260-267), invitò il collega d'ufficio
a un chiarimento. La discussione entrò nella storia dei dogmi come «contro-
versia dei due Dionigi». Dionigi d'Alessandria espose in conseguenza di ciò, nel
suo scritto «Confutazione ed apologia», la sua teologia trinitaria; se ne conser-
vano frammenti nel De sententia Dionysii di Atanasio.

4. Risposte in ambito ecclesiastico

La precedente teologia del Logos e il monarchianismo si rivelarono insuffi-


cienti di fronte al complesso rapporto tra Unità e Trinità di Dio e alle questioni che
diventavano sempre più difficili circa la divinità del Figlio e dello Spirito Santo. I
teologi antimonarchiani, soprattutto Tertulliano, Ippolito, Novaziano e Origene,
cercarono di mettere a punto una concettualità adeguata. Origene, influenzato dal
medioplatonismo e dal neoplatonismo, operò con una concezione dinamica delle
ipostasi: Padre, Figlio e Spirito dovevano distinguersi in effetti come realtà per sé
sussistenti (imocrtam.ç), ma non potevano essere separati (De princ. I 3,5; IV 4,1).
Creazione e redenzione venivano operate dal Padre attraverso il Figlio nello Spiri-
to Santo; l'innalzamento dell'uomo verso Dio, la divinizzazione, era possibile sol-
tanto attraverso la mediazione dello Spirito e del Logos. La terminologia di Ter·
tulliano appare sorprendentemente progredita: egli parla di un'unica substantia
della Trinità, di distinzione, non di separazione, di/ormae, species o gradus, e qua-
lifica Padre, Figlio e Spirito come personae (cf Adv. Prax. 2; 7; 11 e altri luoghi).
È vero che anch'egli usa i concetti non ancora nel significato della teologia del
IV e del V sec. Egli offre del Figlio e dello Spirito una spiegazione basata sulla lo-
ro funzione per l' Oikonomia e usa la parola persona soprattutto in contesti esege-
tici come terminus technicus per indicare «colui che parla». Il significato originario
legato alla tecnica teatrale si mescola qui con connotazioni giuridiche e retoriche.

Bibliografia § 32: C. ANDRESEN, Zur Entstehung und Geschichte des trinitarischen Personbe-
gri/fs, in ZNW 52 (1961), 1-39; M. DECKER, Die Monarchianer. Friihchristliche Theologie im Span-
§ 33. Attese escatologiche 187

nungsfeld zwischen Rom und Kleinasien, Hamburg 1987 (tesi di laurea); F. R. GAHBAUER, Das
anthropologische Model!. Ein Beitrag zur Christologie der fruhen Kirche bis Chalkedon, Wiirzburg
1984; P. GERLITZ, Auflerchristliche Ein/lusse auf die Entwicklung des christlichen Trinitiitsdogmas,
Leiden 1963; P. RENNE, La christologie chez Clément de Rame et dans le Pasteur d'Hermas, Frei-
burg/Schw. 1992; B. LONERGAN, The Way to Nicea. The Dialectical Development of Trinitarian
Theology, London 1976; J. R. LYMAN, Christology And Cosmology. Models of Divine Activity in
Origen, Eusebius, And Athanasius, Oxford 1993; W MARCUS, Der Subordinatianismus als histo-
riologisches Phiinomen, Miinchen 1963; C. F. D. MouLE, The Origin of Christology, Cambridge
1977; U. B. MOLLER, Die Menschenwerdung des Gottessohnes. Fruhchristliche Inkarnationsvor-
stellungen und die Anfiinge des Doketismus, Stuttgart 1960; H. OFFERMANNS, Der christologische
und trinitarische Personbegriff der fruhen Kirche, Bern/Frankfurt/M. 1976; E. F. OSBORN, The
Emergence of Christian Theology, Cambridge 1993; M. SIMONETTI, Il problema dell'unità di Dio ... ,
in RSLR 22 (1986), 291-240; 439-474; C. STEAD, Divine Substance, Oxford 1977.
§ 32.2: G. BARDY, Paul de Samosate. Etude historique, Louvain 1929 2 ; H. C. BRENNECKE,
Zum Prozefl gegen Paul van Samosata. Die Frage nach der Verurteilung des Homoousios, in ZNW
75 (1984), 270-290; V. BURRUS, Rhetorical Stereotypes in the Portrait of Paul of Samosata, in Vig-
Chr 43 (1989), 215-225; J. A. FISCHER, Die antiochenischen Synoden gegen Paul van Samosata, in
AHC 18 (1986), 9-30; R. L. SAMPLE, The Messiah As Prophet. The Christology of Paul of Samosa-
ta, Northwestern Univ. 1977; M. SIMONETTI, Per la rivalutazione di alcune testimonianze su Paolo
diSamosata, in RSLR24 (1988), 177-210.
§ 32.3: L. ABRAMOWSKI, Dionys van Rom (t 268) und Dionys van Alexandrien (t 2641265)
in den arianischen Streitigkeiten des 4. Jahrhunderts, in ZKG 93 (1982), 240-272; W. A. BIENERT,
Das vornicaenische homoousios als Ausdruck der Rechtglà'ubigkeit, in ZKG 90 (1979), 151-175;
R. CANTALAMESSA, Il Cristo« Padre» negli scritti del 2-3 secolo, in RSLR 3 (1967), 1-27.
§ 32.4: R. BRAUN, Deus Christianorum. Recherches sur le vocabulaire doctrinal de Tertullian,
Paris 1962;]. MOINGT, Le problème du Dieu unique chez Tertullien, in RevSR44 (1970), 337-362;
J. MOINGT, Théologie trinitaire de Tertullien, 4 voli., Paris 1966-1969; A. ORBE, Origenes y los Mo-
narquianos, in Greg 72 (1991), 39-72;J. N. ROWE, Origen's Doctrine of Subordination. A Study in
Origen's Christology, Bern 1987.

§ 33. Attese escatologiche

F. SBAFFONI, Testi sull'Anticristo (I-II secoli), t trad. it., vol. 1, 1992 (BPat 20).
Epist. ad Rheginum. De resurrectione: M. MALININE et al., t copto trad. ted./ingl./franc., Ziirich/
Stuttgart 1963.
Tertulliano, De resurr. mort.: E. EVANS, t trad. ingl. e, London 1960; M. MOREAU, trad. frane., Pa-
ris 1980; C. MICAELLI, trad. it. 1990 (CollTP 87).

Le idee del primo cristianesimo circa le «ultime cose» (foxa'ta) - morte,


giudizio, parusia, fine del mondo e vita nell'aldilà - furono influenzate da quel-
le dell' AT, dall'apocalittica giudaica, con la sua rappresentazione del giudizio
universale, e dalla prima predicazione cristiana, con la sua promessa di una ri-
surrezione della carne; inoltre, non rimasero senza un loro influsso le concezio-
ni ellenistiche, al centro delle quali c'era la sopravvivenza dell'anima. L'attesa
188 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

imminente della parusia costituì un elemento importante nella prima predica-


zione cristiana. Il suo ritardo (2 Pt 3; II Lettera di Clemente 11-12) condusse a
una certa insicurezza, ma in nessun modo a una catastrofe. Il presente rimane-
va determinato in senso escatologico e veniva ritenuto come tempo di prova per
la salvezza definitiva. L'interesse per le ultime cose era vivo; esso si espresse in
una tipica letteratura apocalittica cristiana, con descrizioni in parte fantastiche
che continuarono a caratterizzare le idee circa la morte e la risurrezione, il giu-
dizio, il paradiso e l'inferno (particolarmente l'Apocalisse di Pietro). Anche l'at-
tesa imminente si ripropose sempre di nuovo. Essa determinò il movimento
montanistico (§ 34) e trovò a cavallo tra il II e il III sec. ulteriori seguaci (Ippo-
lito, Comm. Dan. IV 18-19; Eusebio, H. E. VI 7).

1. Chiarimenti antignostici

La discussione con la gnosi spinse ad approfondite riflessioni sull' escatolo-


gia cristiana: se l'anima venisse liberata dalla prigione della materia soltanto at-
traverso la conoscenza, la sua redenzione definitiva sarebbe anticipata. Con ciò
difficilmente doveva ritenersi compatibile una risurrezione della carne (anche se
non mancano accenni isolati a idee di tal genere, per es. nella «Lettera a Regi-
no»: NHC I 3): la realizzazione della salvezza presuppone, per gli gnostici, la
completa distruzione della creazione materiale. I Padri antignostici posero inve-
ce l'accento sulla dottrina biblica della risurrezione, dove nella teologia latina si
preferì parlare di risurrezione della carne (resurrectio carnis), mentre in quella
greca si preferì parlare di risurrezione dei morti (resurrectio mortuorum). La di-
scussione si riflette nella letteratura che tratta tale argomento: Pseudo-Giustino,
De resurrectione; Atenagora, De resurrectione mortuorum; Tertulliano, De carnis
resurrectione I De resurrectione mortuorum (con la nota formula VIII 2: Caro sa-
lutis est cardo, «la carne è il cardine della salvezza»).

2. Chiliasmo

All'interno dell'escatologia cristiana riscosse un particolare favore il cosid-


detto chiliasmo. Il concetto deriva direttamente da Ap 20,1-7: per mille (in gre-
co: XtÀta.) anni satana rimane incatenato, ciò che rende possibile un periodo di
salvezza della durata di un millennio. La visione di un regno millenario risale a
idee apocalittiche del giudaismo, alle quali appartiene anche la speculazione
giudaica sulla durata del mondo, calcolata in analogia con i sette giorni della
creazione in sette periodi di mille anni ciascuno (Dn 9,24-27). I chiliasti aspet-
tavano una duplice fine di questo mondo: una provvisoria, con l'incatenamento
§ 33. Attese escatologiche 189

di satana e la chiamata degli eletti nel regno millenario della pace, e quella defi-
nitiva, con risurrezione e giudizio universale. Tracce di queste idee si trovano,
oltre che in Ap, anche in altri luoghi del NT (cf 1 Ts 4,16 e 1 Cor 15,23-26; Mt
27,52-53 e Mt 25,31-32; Cv 5,17; 9,4; Eb 4,1-11).
L'attesa chiliastica del regno millenario di pace venne vissuta ed alimentata
specialmente dal giudeo-cristianesimo eterodosso (ebioniti, seguaci di Cerinto).
Ma in tale speranza vissero anche circoli ecclesiastici, in particolare nell' am-
biente dell'Asia Minore. Chiliasta fu Papia di Gerapoli (Eusebio, H. E. III
39,12), seguito da Ireneo (Adv. haer. V 33-35, specialmente 33,3-4!). Dipen-
dente da questa tradizione sembra l'escatologia di Giustino (Dia!. 113,3-5;
119,5; 139,4-5, ecc.), come anche Ippolito (Comm. Dan. IV 23,4-5). Nella sua
Cronaca universale, tuttavia, quest'ultimo seguì un'altra tradizione (Chron. 687
[GCS Hipp. 4,196]), che risulta orientata secondo lo schema della settimana di
periodi del mondo e può trovarsi già in Barnaba (Barn. 15).

Lo schema della settimana di periodi del mondo stabiliva un rapporto tra i sei giorni della
creazione e seimila anni di storia del mondo; il settimo giorno (Sabato) diventa il futuro regno mil-
lenario del dominio di Cristo. La nascita di Cristo venne fissata nell'anno 5500, per la prima vol-
ta da Giulio Africano (Cronografia, composta nel 222), poi anche da Ippolito. Il calcolo venne am-
piamente accettato e impedì un'entusiastica attesa imminente.

Tra i sostenitori del chiliasmo ci fu anche il vescovo egiziano Nepote di Ar·


sinoe («Confutazione degli allegoristi»). Dionigi d'Alessandria reagì con il suo
scritto «Sulle promesse» e riuscì a convincere d'errore i seguaci di Nepote con
un discorso di natura dottrinaria (Eusebio, H. E. VII 24,6,6-9). Malgrado la dif-
fusa opposizione, le concezioni escatologiche chialiastiche continuarono ad ave-
re altri sostenitori: Metodio d'Olimpo in forma spiritualizzata (De resurr. I
55,l;IX 1,5); Commodiano (Instr. I 28; II 3); Vittorino di Pettau (Commento
sull'Apocalisse) e infine Lattanzio (Div. inst. VII 14-26). Poiché i chiliasti si ri-
chiamavano preferibilmente all'Apocalisse, questo libro neotestamentario cad-
de in discredito e solo tardi venne accolto nelle Chiese orientali.

3. Teoria dell'apocatastasi

Una particolare forma di escatologia venne sviluppata nella Chiesa antica da


Origene. Egli oppose un netto rifiuto al chiliasmo, come anche a ogni beatitu-
dine intesa in senso fisico-materiale (De princ. II 11,2; III 6,4-7 ecc.). Secondo
la sua teoria, gli esseri originariamente spirituali (À.O"(tKa) che avevano abban-
donato Dio e per questo erano diventati esseri con anime e corpi, avrebbero rag-
giunto la perfezione attraverso un lungo processo di maturazione e una lenta
ascesa: essi si sarebbero liberati di ogni elemento materiale e psichico e sareb-
190 V. Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

bero arrivati nuovamente a una spiritualità al cospetto di Dio. Alla fine tutto sa-
rebbe tornato a Dio: la teoria della «restaurazione di tutte le cose»
(àltoKatacmx.cnç téòv navtcov), descritta in 1 Cor 15,25-28 (De princ. I 6; II 3;
III 5,6-6,6 ecc.), dalla quale neppure il diavolo sarebbe stato escluso, incontrò
opposizioni già ai tempi di Origene, ma ebbe tuttavia sempre nuovi sostenitori
(per es. Gregorio di Nissa, Oratio catech. magna 26).

Bibliografia§ 33: Studi sull'Escatologia. VI incontro di studiosi dell'antichità cristiana, in Aug.


18 (1978), 1-433; A. H. ARMSTRONG, Expectations o/ Immortality in Late Antiquity, Milwaukee
1987; L. V. CRUTCHFIELD, The Apostle fohn And Asia Minor As a Source o/ Premillenialism in the
Early Church Fathers, inJETS 31(1988),411-427; B. E. DALEY, The Hope o/ the Early Church. A
Handbook o/ Patristic Eschatology, Cambridge 1991; A. FERNANDEZ, La escatologia en e! siglo II,
Burgos 1979; C. E. HILL, Regnum Caelorum. Patterns o/Future Hope in Early Christianity, Oxford
1992; H. E. LONA, Ober die Au/erstehung des Fleisches. Studien zur /riihchristlichen Eschatologie,
Berlin/New York 1993; G. MAIER, Die Johannesof/enbarung und die Kirche, Tiibingen 1981; G.
MAY, Eschatologie V, in TRE 10 (1982), 299-305; M. L. PEEL, Gnosis undAu/erstehung. Der Brief
an Rheginus von Nag Hammadi, Neukirchen 1974; C. ROWLAND, The Open Heaven. A Study o/
Apocalyptic in Judaism And Early Christianity, London 1982; K. SCHMOLE, Uiuterung nach dem
Tode und pneumatische Au/erstehung bei Klemens von Alexandrien, Miinster 1974; J. TrMMER.
MANN, Nachapostolisches Parusiedenken, Miinchen 1968; T. H. C. Van EIJK, La résurrection des
morts chez !es Pères Apostoliques, Paris 1974.
§ 33.1: D. DEVOTI, Temi escatologici nello gnosticismo valentiniano, in Aug. 18 (1978), 47 -61.
§ 33.2: 0. BOCHER-G. G. BLUM, Chiliasmus I-II, in TRE 7 (1981), 723-733; D. G. DUNBAR,
The Delay o/ the Parousia in Hippolytus, in VigChr 37 (1983), 313-327; V. FABREGA, Die chiliasti-
sche Lehre des Laktanz, inJAC 17 (1974), 126-146; S. HEID, Chiliasmus undAntichrist-Mythos. Bi-
ne /riihchristliche Kontroverse um das Heilige Land, Bonn 1993; C. MAZZUCCO, Il millenarismo di
Metodio di Olimpo difronte a Origene: polemica o continuità?, in Aug. 26 (1986), 73-87.
§ 33.3: H. CROUZEL, Les /ins dernières selon Origène, Aldershot 1990; A. MEHAT, <<Àpoca-
tastase». Origène, Clement d'Alexandries, Actes 3,21, in VigChr 10 (1956), 196-214.

§ 34. Il montanismo

G. N. BONWETSCH, Texte zur Geschichte des Montanismus, in Kleine Texte fiir Vorlesungen und
Obungen 129, Bonn 1914; R. E. HEINE, The Montanist Oracles And Testimonia, t trad. ingl.,
Macon 1989.
Tertulliano, cf § 40,1.

1. La nuova profezia di Montano

Un'entusiastica speranza escatologica e una viva attesa della prossima fine del
mondo condussero in Frigia, verso la fine del II sec., a una massiccia adesione al
§ 34. Il montanismo 191

profeta Montano e alla sua «nuova profezia» (Eusebio, H. E. V 14-19). Non è


possibile stabilire con esattezza i dati cronologici: Epifanio indica gli anni 156/157
(Pan. 48,10), Eusebio l'anno 172 (Cronaca). Montano comparve sulla scena con la
pretesa di una propria vocazione profetica. Egli intese se stesso come il paracleto
promesso in Gv 14,26 e 16,7, con cui la rivelazione doveva definitivamente con-
cludersi. Nel suo messaggio egli si riallacciò agli inizi della Chiesa e alla sua attesa
di una prossima fine del mondo, e ne ritenne segno distintivo il dono dello spiri-
to profetico (At 2,17-20). Montano e le profetesse Massimilla e Priscilla/Prisca,
che si associarono a lui, annunciarono la loro rivelazione nei cosiddetti Oracula.
Da loro fu anche indicato il luogo per l'attesa della prossima fine del mon-
do: il Signore doveva tornare in una pianura tra i piccoli villaggi frigi di Pepuza
e Tymion (Eusebio, H. E. V 18,2) per fondarvi il suo regno millenario. Gli elet-
ti dovevano radunarsi qui e aspettarvi il Signore. Essi dovevano prepararsi alla
sua seconda venuta con una rigorosa astinenza (rifiuto delle nozze, prolungati
digiuni con la particolare prassi della xerophagia [alimentazione con vegetali
crudi] e pratica dell'elemosina). A questa prassi ascetica di rinuncia al mondo si
univa anche un entusiasmo per il martirio. La consapevolezza di essere eletti fa-
ceva escludere un perdono dei peccati gravi.
La parusia non arrivò, ma il montanismo continuò a vivere. Esso fu non sol-
tanto un'esaltazione escatologica, che aveva a che fare con la fine imminente di
questo mondo, ma un vero e proprio movimento di risveglio del primo cristia-
nesimo, con intenti di riforma e di restaurazione nello stesso tempo. L'autorità
carismatica di profeti e profetesse si ricollegò con la profezia della Chiesa pri-
mitiva e contrastò così il legame tra spirito e struttura gerarchica. Una chiesa
profetica si contrappose alla Chiesa costituita su base episcopale.

2. La diffusione del montanismo

Il montanismo si diffuse fuori della sua terra d'origine, dove certe partico-
larità di natura geografico-religiosa ne caratterizzarono la forma primitiva, e
provocò in tal modo reazioni in tutta la Chiesa. In Asia Minore furono convo-
cati dei sinodi contro i montanisti o frigi, come essi vennero sprezzantemente
chiamati (Eusebio, H. E. V 16,10), che condussero alla loro esclusione dalla co-
munione con la Chiesa. Si sviluppò una letteratura antimontanistica (H. E. V 14-
19: Apollinare di Gerapoli, Milziade, Apollonio), ma il movimento trovò ulte-
riori seguaci. A Roma esso venne giudicato inizialmente con favore (Tertulliano,
Adv. Prax.), ma il prete Gaio scrisse contro il montanista Proclo (Eusebio, H. E.
II 25,6). In Africa settentrionale aderì ai montanisti, al più tardi nel 207, Tertul-
liano, che divenne aspro avversario della Chiesa cattolica, da lui giudicata una
«chiesa corrotta di psichici». Il suoi scritti di questo periodo (§ 40,2) ci fanno
192 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

vedere molto chiaramente l'intransigente rigorosità di questo gruppo di rifor-


matori cristiani.
Malgrado il rifiuto e la condanna della Chiesa, il montanismo sopravvisse
ancora a lungo. Nella sua ultima forma esso conobbe anche una propria gerar-
chia; i «patriarchi» avevano la loro residenza a Pepuza (Girolamo, Ep. 41,3; Epi-
fanio, Pan. 49,2-3 ). Il movimento si disgregò in diversi gruppi e fece proprie, in
parte, anche alcune concezioni eretiche. Più tardi, così, finì con l'essere inserito
nei comuni elenchi delle eresie.
Bibliografia: K. ALAND, Bemerkungen zum Montanismus und zur friihchristlichen Eschatologie,
in Idem, Kirchengeschz'chtlz'che Entwiir/e, Giitersloh 1960, 105-148; T. D. BARNES, The Chronology
o/Montanism, inJThS 21(1970),403-408; F. BLANCHETIÈRE, Le montanisme origine!, in RevSR52
(1978), 118-134; 53 (1979), 1-22; R. BRAUN, Tertullien et le montanisme. Eglise institutionnelle et
église spirituelle, in RSLR21(1985),245-257; B. CZESZ, La «tradizione» profetica nella controversia
montanista, in Aug. 29 (1989), 55-70; J. A. FrSCHER, Die antimontanistischen Synoden des 2.-3.
Jahrhunderts, in AHC 6 (1974), 241-273; W H. C. FREND, Montanism: Research And Problems, in
RSRL 20(1984), 521-537; R. E. HEINE, The Role o/ the Gospel of]ohn in the Montanist Controver-
sy, in SecCen 6 (1987 /1988), 1-19; P. de LABRIOLLE, Les sources de l'histoire du montanisme, 1913,
rist. New York 1980; C. MUNIER, I.:autorité de l'Eglise et l'autorité de l'Esprit d'après Tertullien, in
RevSR 58 (1984), 77-90; A. QUACQUARELLI, I.:antimonarchianesimo di Tertulliano et il suo presun-
to montanismo, in VetChr 10 (1973), 5-45; C. SCHOLLGEN, Tempus in collecto est. Tertullian, der
friihe Montanismus und die Naherwartung ihrer Zeit, in JAC 27 /28 (1984/1985), 74-96; A. STRO-
BEL, Das heilige Land der Montanisten, Berlin/New York 1980; W. TABBERNEE, Montanist Regional
Bishops. New Evidencefrom Ancient Inscriptions, inJECS 1(1993),249-280; C. TREVETT, Monta-
nism. Gender, Authority And the New Prophecy, Cambridge 1996; D. H. WILLIAMS, The Origins o/
the Montanist Movement. A Sociologica! Analysis, in «Religion» 19 (1989), 331-351.

§ 35. Controversia sulla penitenza

Cipriano, De lapsis (cf § 40,2).


Pietro d'Alessandria, Epistula ad Alexandrinos (su Melezio): F. H. KETTELER, Der meletianische
Streit in Àgypten, t lat., in ZNW 35 (1936), 162-163; Epistula Canonica (14 canoni peniten-
ziali): P. P. ]OANNOU, Discipline générale antique (Ile-IXe siècle). T. II: Les canons des Pères
grecs, t trad. frane., Roma 1963, 33-57.

La questione se il potere di rimettere i peccati fosse legato all'ufficio o al ca-


risma di puri, profeti, confessori della fede, fu oggetto di lunga discussione. In-
nanzitutto, nel contesto delle persecuzioni di Decio e di Diocleziano, sotto i
quali caddero numerosi cristiani che poi desiderarono di essere nuovamente ac-
colti nella Chiesa, si accesero sul problema circa la giusta prassi da seguire con
coloro che desideravano sottoporsi a penitenza dei violenti conflitti che con-
dussero sempre di nuovo a degli scismi.
§ 35. Controversia sulla penitenza 193

1. Novaziano

A seguito della persecuzione di Decio (§ 16,1), la questione della penitenza


s'impose con nuova urgenza. Il grande numero dei caduti (lapsi) rappresentò il
motivo oggettivo, mentre la vita e l'opera di Novaziano (Novato) furono il pre-
testo che innescò il conflitto. Dopo l'elezione di Cornelio, il prete romano No-
vaziano si fece eleggere nel 251 antipapa (Eusebio, H. E. VI 43) e fondò una sua
chiesa. Come «chiesa dei puri e santi», questa rifiutava il perdono dei peccati
gravi, anche ogni perdono dei peccati, promesso in nome della Chiesa, che assi-
curasse la «pace con il Signore». A dire il vero, Novaziano esigeva le opere di
penitenza, ma ne voleva rimettere l'efficacia soltanto al giudizio di Dio (Cipria-
no, Ep. 30,8). Un sinodo romano celebrato nel 251 da sessanta vescovi italici
espulse Novaziano dalla Chiesa (Eusebio, H. E. VI 43,20ss.). La condanna non
impedì il diffondersi della chiesa novazianista.
Un centro importante di questa chiesa divenne Cartagine, dove Cipriano la
combatté con energia e sostenne il vescovo di Roma nella sua lotta contro i no-
vaziani. Alla condanna di Roma si associò anche il vescovo d'Alessandria, Dio-
nigi (Eusebio, H. E. VI 45). L'atteggiamento indulgente di Cipriàno e di Corne-
lio nei confronti dei caduti e l'ordinamento canonico della pratica penitenziale
ecclesiastica non trovarono un consenso unanime e condussero i loro avversari
ad aderire alla « chiesa dei puri» di N ovaziano, o dei katharoi, come essi furo-
no detti più tardi in oriente; ancora nel secolo seguente la Chiesa fu costretta ad
occuparsi dei novaziani.

2. Lo scisma cartaginese

La questione della penitenza e rivalità personali provocarono una scissione nel-


la comunità di Cartagine. Nel 250 si formò contro Cipriano un gruppo d'opposi-
zione guidato dal diacono Felicissimo, che nel 251 venne espulso da un sinodo car-
taginese. Il gruppo elesse come proprio vescovo un prete di nome Fortunato (Ci-
priano, Ep. 43-44). Essi, tra l'altro, attaccarono la prassi penitenziale di Cipriano,
che richiedeva un trattamento individuale dei lapsi e giudicava le cosiddette lettere
di pace (libelli pacis, garanzie di perdono attraverso martiri o con/essores) soltanto
come raccomandazione e intercessione caritatevole per l'accettazione della pratica
penitenziale ecclesiastica (De lapsis). Mentre i cosiddetti libellatici, che si erano pro-
curati con mezzi disonesti un certificato di sacrificio (cf § 15,2), dopo un'accurata
indagine venivano nuovamente accolti, i sacrificati, che avevano offerto un sacrifi-
cio davanti a simulacri di dèi, rimanevano esclusi (tranne che in pericolo di morte).
Gli awersari di Cipriano, invece, riconoscevano il perdono attraverso i martiri elu-
dendo la pratica penitenziale ecclesiastica (Cipriano, Ep. 15; 16).
194 V Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia

3. Conflitti dopo la persecuzione di Diocleziano

La persecuzione di Diocleziano condusse nella metropoli egiziana a una


scissione. Il vescovo Melezio (o Melitius) di Licopoli si era arrogato il diritto di
conferimento degli ordini sacri ad Alessandria, mentre il vescovo Pietro era fug-
gito dalla città durante la persecuzione. Questa intromissione nei diritti del ve-
scovo alessandrino e la sua decisione per un indulgente trattamento pastorale
dei caduti (Canoni penitenziali nella lettera pasquale del 306) inasprirono i con-
trasti. I rigoristi si schierarono con Melezio e formarono una propria chiesa in
Egitto (meleziani), che si disgregò negli anni 333-335 a causa di una persecu-
zione da parte degli organi statali.
Avvenimenti simili turbarono anche la comunità romana all'inizio del IV
sec. Sotto il vescovo Marcello (3 07 -3 08) si arrivò, a motivo della penitenza dei
lapsi, al conflitto che durò anche sotto il suo successore Eusebio (308?). Ai con-
trasti pose fine l'imperatore Massenzio mandando in esilio i contendenti (Epi-
grafi di papa Damaso: iscrizione tombale per il papa Eusebio, in ILCV 963 ). Le
più gravi conseguenze della persecuzione di Diocleziano furono vissute dalla
Chiesa di Cartagine. Di nuovo, proprio le questioni pratiche legate alla peni-
tenza e al comportamento tenuto durante la persecuzione, ma anche certe ten-
sioni personali, sfociarono con la doppia elezione del 311 in un aperto conflitto
e portarono al formarsi dell'importante chiesa particolare dei donatisti (cf § 52).

Prospetto cronologico sulla storia della teologia dei primi secoli


intorno al 110 Ignazio d'Antiochia mette in guardia contro docetismo e giudaismo
II sec. Gruppi giudeo-cristiani
ca. 85-160 Marcione
II-III sec. Gnosi/gnosticismo
ca. 125-160 Basilide ad Alessandria
136-165 Valentiniano a Roma
144 Esclusione di Marciane dalla comunità di Roma
154-222 Bardèsane in Siria
metà II sec. Giustino (m. 165) a Roma
intorno al 170 Diatessaron («armonia dei Vangeli») di Taziano
dal 177/178 Ireneo di Lione
metà/fine II sec. Entrata in scena di Montano
fine II sec. Canon Muratori a Roma
ca. 189-198 (?) Vittore di Roma
Controversia sul computo pasquale
intorno al 190 Scomunica del monarchiano Teodoto il Conciatore da parte di Vittore di Roma
ca. 160 - dopo 220 Tertulliano ·
intorno al 207 Tertulliano aderisce ai montanisti
217-222 Callisto di Roma e Ippolito (m. 235) entrano in controversia con Sabellio
216- 277 Mani
§ 35. Controversia sulla penitenza 195

240 Mani comincia ad annunciare una nuova religione


248-258 Cipriano di Cartagine
250 Opposizione contro la prassi penitenziale di Cipriano di Cartagine sotto
Felicissimo
251 Sinodo di Cartagine che espelle Felicissimo
Novaziano viene eletto in Roma antipapa di Cornelio
Comunità novaziane soprawivono fino al VI sec.
255-258 Controversia sul battesimo degli eretici tra Cipriano e Stefano di Roma
260-267 Dionigi di Roma
Dionigi d'Alessandria
Controversia dei due Dionigi
268-269 Sinodo d'Antiochia: condanna di Paolo di Samosata
306 Canoni penitenziali di Pietro d'Alessandria
inizio IV sec. Scisma ad Alessandria da parte di Melezio di Licopoli
Inizia lo scisma dei donatisti in Nordafrica
307-308 Controversia penitenziale sotto Marcello di Roma
333-335 Dispersione della chiesa meleziana in Egitto

Bibliografia§ 35:J. A. FISCHER, Die Konzilien zu Carthago und Rom im ]ahr 251, in AHC 11
(1979), 263-286;}. A. FISCHER, Das Konzil zu Karthago im Mai 252, in AHC 13 (1981), l-ll;J. A.
FISCHER, Das Konzil zu Karthago im Friihjahr 253, in AHC 13 (1981), 12-26; P. GRATTAROLA, Gli
scismi di Felicissimo e di Novaziano, in RSCI 38 (1984), 367-390.
§ 35.1: M. BÉVENOT, Cyprian And His Recognition o/ Cornelius, inJThS 28 (1977), 346-359;
H. GOLZOW, Cyprian und Novatian. Der Briefwechsel zwischen den Gemeinden in Rom und
Karthago zur Seit der Verfolgung des Kaisers Decius, Tiibingen 1975; H. J. VOGT, Coetus sancto-
rum. Der Kirchenbegriff des Novatian und die Geschichte seiner Sonderkirche, Bonn 1968.
§ 35.2: P. GRATTAROLA, Il problema dei lapsi fra Roma e Cartagine, in RSCI 38 (1984), 1-26.
§ 35.3: A. CAMPLANI, In margine alla storia dei Meliziani, in Aug. 30 (1990), 313-351;
A. MARTIN, La réconciliation des « lapsi » en Egypte. De Denys a Pierre d'Alexandrie, in RSLR 22
(1986), 256-269; A. MARTIN, Athanase et le Mélitiens (325-335), in C. Kannengiesser (a cura di),
Politique et Théologie chez Athanase d'Alexandrie, Paris 1974, 31-61; R. WrLLIAMS, Arius And the
Melitian Schism, inJThS 37 (1986), 35-52.
VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

§ 36. La letteratura ecclesiastica dei primi tre secoli

Con gli scritti del Nuovo Testamento ha inizio la letteratura ecclesiastica.


Contemporaneamente agli ultimi libri del NT nacquero nelle comunità cristiane
e per il loro uso altri testi, che tuttavia rimasero fuori dell'elenco di libri successi-
vamente dichiarati canonici. Fin dal XVII secolo i loro autori, riconosciuti o pre-
sunti come tali, vennero indicati come Padri apostolici, per mettere in evidenza,
in tal modo, l'importanza di questi «scritti del cristianesimo primitivo» come pri-
mi mediatori della tradizione apostolica (§ 37). Oggi tutte e due le denominazio-
ni sono diffuse con differenti delimitazioni del periodo d'inizio e di fine.
Questa più antica generazione di scrittori post-neotestamentari e al di fuori
del canone venne separata già dalla metà del II secolo da quella dei cosiddetti
primi apologisti cristiani, che difesero la fede cristiana contro le religioni e filo-
sofie pagane, come anche contro il giudaismo(§ 38 A).

Gli scritti Adversus Iudaeos rappresentano un genere particolare. Essi volevano dimostrare
che Gesù Cristo era il messia annunciato nelle profezie veterotestamentarie, che trovavano una
conferma nell'annuncio neotestamentario, nella storia della Chiesa e in quella del popolo ebraico.
Se Giustino, pur con tutta la sua intransigenza, cercava ancora sostanzialmente il dialogo (Dia!.
cum Tryphone), in seguito gli scritti di questo tipo, condizionati anche dalla concorrenza tra mis-
sione cristiana e missione giudaica, divennero sempre più polemici e astiosi, fino a culminare nel
rimprovero di deicidio (cf Melitone di Sardi, omelia «Sulla festa di Pasqua» 94-96; 73; 86).

Se l'apologia fu innanzitutto una difesa verso l'esterno, la discussione con i mo-


vimenti ereticali (cf §§ 27-35) rese necessaria la difesa all'interno dello stesso cri-
stianesimo. Questa difesa venne compiuta dai primi scrittori antieretici (§ 38 B).
Sulle basi teologiche gettate da apologisti e antieretici, che avevano tentato
d'interpretare il messaggio della Bibbia con l'aiuto di argomentazioni filosofiche
di varia provenienza, continuarono a costruire i grandi teologi del III sec.
(§§ 39-40). Essi elaborarono ampi progetti per un'introduzione alla conoscenza
e alla teologia cristiana (cf Clemente d'Alessandria, Origene, Lattanzio), com-
mentari e illustrazioni di libri biblici (Ippolito, Origene), trattati su problemi
teologici ed etici (Tertulliano, Cipriano), ecc.
Mentre i teologi avevano finora prestato la loro opera come liberi maestri,
nasce ora un'attività scolastica organizzata su basi ecclesiastiche, dove Alessan-
dria, un centro di antica cultura e formazione intellettuale, assunse il ruolo di
battistrada (cf § 74,2). Altri centri importanti di produzione teologica si svilup-
§ 36. La letteratura ecclesiastica dei primi tre secoli 197

parono ad Antiochia e Cesarea, nell'ancora bilingue Roma e infine nella latina


Cartagine. Qui si ebbero certamente già nel II sec. le prime traduzioni latine del-
la Bibbia e probabilmente anche quella della I Lettera di Clemente, mentre a
Roma e nella Gallia, sotto l'influsso d'immigrati provenienti dall'oriente, domi-
nava ancora la lingua greca. Gli Atti dei Martiri di Scili (180) ci sono stati tra-
mandati come lo scritto latino più antico. Solo un po' più tardi, la teologia lati-
na trovò il suo primo vertice nell'opera di Tertulliano, di cui non si sono con-
servati gli scritti in lingua greca. Tra la fine del II sec. e l'inizio del III compose
anche Minucio Felice a Roma il suo dialogo Octavius in latino, mentre Ippolito
di Roma continuò a scrivere fin verso la metà del III secolo in greco. Epigrafi
greche furono scritte ancora sino alla fine del III sec., e fino al IV sec. inoltrato
la liturgia continuò ad essere celebrata in lingua greca, anche se già accanto, in
questo tempo, a quella in lingua latina. Le diversità nel modo di pensare e di vi-
vere nell'ambito di queste due lingue caratterizzarono anche i modi e le forme
della speculazione teologica.

Così, la profondità della speculazione e la base filosofica della teologia rimasero essenzial-
mente, anche nei secoli seguenti, elementi peculiari dei teologi orientali o influenzati dal pensie-
ro orientale, mentre la teologia occidentale risultò fortemente caratterizzata dal pensiero giuridi-
co romano. La sua riflessione fu rivolta in misura più ampia alla posizione dell'uomo nell'ordine
del mondo e del cosmo (cf le discussioni sulla teologia trinitaria e sulla cristologia da una parte, e
sulle questioni ecclesiologiche e sulla dottrina della grazia dall'altra,§§ 47-60; per la teologia si-
riaca cf § 75,12).
La letteratura della Chiesa antica viene esplorata in una specifica disciplina teologica, la pa-
trologia (da intendersi come «studio scientifico dei Padri»). Con i metodi delle scienze lettera-
rie e storiche si debbono ricuperare alla conoscenza la vita e la dottrina della Chiesa antica e il-
lustrarne i vari aspetti: storia della teologia e dei dogmi, storia delle idee e della filosofia, ecc.
La base è costituita dagli autori che vengono considerati come «Padri della Chiesa» (cf 1 Cor
4,15; Ireneo, Adv. haer. IV 41,2). Da questa prospettiva, essa presenta la «teologia come bio-
grafia».

Bibliografia: W BouSSET, Judisch-christlicher Schulbetrieb in Alexandria und Rom. Literari-


sche Untersuchungen zu Philo und Clemens von Alexandria, Justin und Irenlius, Gottingen 1915;
H. CHADWICK, Early Christian Thought And the Classica! Tradition. Studies in Justin, Clement And
Origen, Oxford 1984 2 ; J. C. FREDOUILLE, Uapologétique chrétz'enne antique: naissance d'un genre
littéraire, in REAug 39 (1992), 219-234; R. M. GRANT, Pive Apologists And Marcus Aurelius, in
VigChr 42 (1988), 1-17; H. van den HOECK, How Alexandrian Was Clement o/ Alexandria? Re-
fl,ections on Clement And His Alexandrian Background, in HeyJ 31(1990),179-194;}. MANSFELD,
Heresiography in Context. Hippolytus' Elenchos As a Source /or Gr'eek Philosopy, Leiden 1992;
U. NEYMEYR, Die christlichen Lehrer im zweiten Jahrhundert. Ihre Lehrtatigkeit, ihr Selbstver-
standnis und ihre Geschichte, Leiden 1989; E. OSBORN, An/linge christlichen Denkens, Diisseldorf
1987 (ingl. 1981); P. PILHOFER, Presbyteron kreitton. Der Altersbeweis der judischen und christli-
chen Apologeten und seine Vorgeschichte, Tiibingen 1990; M. SIMONETTI, Alessandria, Scuola, in
DPAC 1 (1983 ), 117-121; M. SIMONETTI, Antiochia, Scuola, in DPAC a (1983 ), 241-242; A. Ww.
SOK, Zur lateinischen Apologetik der constantinischen Zeit (Arnobius, Lactantius, Firmicus Mater-
nus), in «Gymnasium» 96 (1989), 133-148.
198 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

§ 37. I Padri apostolici

Padri Apostolici: CPG 1000.1-6; J. A. FISCHER- K. WENGST, t trad. ted. e, 2 voli., Darmstadt div.
ediz. 1959-1984; A. LINDEMANN - H. PAULSEN, Die Apostolischen Viiter, t trad. ted., Tiibin-
gen 1992; F. ZELLER, trad. ted., 19182 (BKV); H. LIETZMANN, Handbuch zum NT, trad. ted.
e, supplemento, Tiibingen 1923; J. A. KLEIST, trad. ingl. e, 2 voli., 1946/1948 (ACW 1, 6);
R. M. GRANT, trad. ingl. e, 6 voli., London/New York ecc. 1964-1968; J. B. LIGHTFOOT -
M. W. HOLMES, trad. ingl., Grand Rapids 19892 ; F. LOUVEL - C. MONDÉSERT et al., trad.
frane. e, 3 voli., Paris 1975-1979; A. QUACQUARELLI, trad. it. 1976 (ColiTP 5).
Indici: E. J. GooDSPEED, Index patristicus sive clavis Patrum apostolicorum, Leipzig 1960 2; H. KRAFT,
Clavis Patrum apostolicorum, Darmstadt 1963.

Il concetto abbraccia la letteratura ecclesiastica non canonica successiva al-


l'epoca apostolica (fino a ca.150). Soltanto i termini cronologici ne giustificano
l'inserimento in questa categoria di scrittori. A parte il NT, questi scritti con-
tengono le affermazioni più antiche sulla dottrina cristiana, sulla vita cristiana e
sull'ordinamento delle comunità. Proprio qui è il loro straordinario valore. Per
quanto riguarda la storia dei generi letterari, essi si collegano con la forma epi-
stolare del NT, ma introducono anche nuove forme letterarie nella letteratura
ecclesiastica. La loro lingua è, come nel NT, la koinè greca (Kotvit 8taÀEK'toç).

1. Clemente di Roma (I Lettera di Clemente)

Clemente, I Lettera: CPG 1001-1022; G. SCHNEIDER, t trad. lat./ted. 1994 (FC 15); A. ]AUBERT, t
trad. frane. e, 1971(SC167); A. LINDEMANN, Die Clemensbrie/e, trad. ted. e, Tiibingen 1992.

La cosiddetta I Lettera di Clemente è un ampio scritto della comunità cri-


stiana romana a quella dei Corinti, redatto certamente attorno al 96. Motivo del-
la lettera furono i disordini scoppiati nella comunità di Corinto, dopo che i su-
periori legittimamente costituiti erano stati deposti dal loro ufficio (44,3-6 ecc.).
La comunità romana si richiamò, intervenendo nel conflitto, allo «Spirito San-
to» (63 ,2) e al dovere dell'ammonizione fraterna (7, 1). Per quanto riguarda il
contenuto, la lettera indugia sulla situazione concreta e spiega ampiamente la vi-
ta e la fede cristiana, come anche l'ordine voluto da Dio nella comunità. La let-
tera rappresenta una preziosa testimonianza sull'ordinamento delle prime co-
munità cristiane («ciascuno al suo posto secondo la grazia conferitagli» [chari-
sma; 38,1]) e sulla loro direzione collegiale (cf § 18,1). Essa arrivò a godere in
seguito di un'alta considerazione. Secondo il vescovo Dionigi di Corinto (ca.
170), la lettera veniva ancora letta al suo tempo nella celebrazione liturgica (Eu-
sebio, H. E. IV 23,11). Egli menzionò per la prima volta un Clemente come au-
§ 37. I Padri apostolici 199

tore della lettera; Ireneo (Adv. haer. III 3 ,3) ricorda questo Clemente come ter-
zo vescovo di Roma.
Al nome di Clemente furono legati altri scritti, per i quali non si conosce
l'autore: la cosiddetta II Lettera di Clemente rappresenta la più antica predica
cristiana che possediamo (il contenuto è costituito da « esortazioni») e risale
certamente alla prima metà del II sec. Le due lettere Ad virgines sono indirizza-
te ad asceti dei due sessi, ne motivano e regolano la forma di vita e condannano
l'abuso della« coabitazione» (§ 26,5). Esse furono scritte certamente nel III sec.
nell'ambito della Chiesa siriaca. La vita di Clemente venne raffigurata in manie-
ra fantasiosa, nelle Pseudo-clementine, in collegamento con l'attività missiona-
ria di Pietro (§ 28,4).

Bibliografia: K. BEYSCHLAG, Clemens Romanus und der Friihkatholizismus, Tiibingen 1966; B.


E. BowE, A Church in Crisis. Ecclesiology And Paraenesis in Clement of Rome, Minneapolis 1988;
K. P. DONFRIED, The Setting of Second Clement in Early Christianity, Leiden 1974; D. A. HAGNER,
The Use of the Old And New Testaments in Clement of Rome, Leid~n 1973: D. POWELL, Clemens
van Rom, in TRE 8 (1981), 113-120; C. STEGEMANN, Herkunft und Entstehung des sogenannten 2.
Klemensbriefes, Bonn 1974; R. WARNS, Untersuchungen zum 2. Clemensbrief, Marburg 1989.

2. Ignazio d'Antiochia

Ignazio, Lettere: CPG 1025-1036; P. T. CAMELOT, t trad. frane. e, 19694 (SC 10); W. BAUER -
H. PAULSEN, trad. ted. e, Tiibingen 19852; W. SCHOEDEL, trad. ted. e, Miinchen 1990 (ingl.
1985); G. GANDOLFO, trad. it. e, Roma 1980.

Il vescovo d'Antiochia («vescovo di Siria», Ad Rom. 2,2), viene ritenuto au-


tore di sette lettere: alle comunità dell'Asia Minore di Efeso, Magnesia, Traili,
Filadelfia e Smirne, al vescovo Policarpo di Smirne e alla comunità di Roma.
Ignazio le scrisse mentre veniva condotto, dopo la condanna, da Antiochia a Ro-
ma. Nella lettera ai Romani egli li pregava di astenersi dall'intervenire in suo fa-
vore e di concedergli il martirio: «Evitatemi un'inopportuna benevolenza! La-
sciatemi essere un pasto per le fiere, grazie alle quali mi è possibile arrivare a
Dio. Io sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere, perché pos-
sa diventare puro pane di Dio» (Ad Rom. 4,1). Le sue argomentazioni costitui-
scono una straordinaria testimonianza dell'antica teologia cristiana del martirio.
L'idea dominante delle sue lettere, così originali e d'impronta personale nel-
l'uso della metafora, nella formazione delle parole e nella sintassi, è l'unità, che
egli cercò di difendere contro le correnti del giudaismo, dello gnosticismo e del
docetismo («ho fatto solo ciò che mi spettava come uomo creato per l'unità
[Evcocnç] »;Ad Phil. 8,1). Per lui il garante nella comunità è il vescovo, che rap-
presenta l'unico Dio oppure Cristo. Ignazio sostenne energicamente la costitu-
200 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

zione monoepiscopale come forma ideale per l'ordinamento della comunità cri-
stiana (cf § 18,2).
Notizie su Ignazio ci sono giunte soltanto attraverso le sue lettere, nelle quali mancano dati
cronologici. La sua morte viene datata di solito sotto l'imperatore Traiano (98-117) (Eusebio, H.
E. III 22). L'esistenza delle lettere d'Ignazio è attestata da Policarpo (Ep. Ad Phit. 1,1-2), mentre
il loro numero (sette) ci viene riferito da Eusebio (H. E. III 36,5-5; 10). Le lettere sono state tra-
mandate in redazioni diverse (una in forma più breve, una in forma più lunga e una intermedia).
La loro autenticità è stata quindi oggetto di discussione. Dopo le ricerche di Th. Zahn, F. X. Funk
e J. B. Lightfoot si è arrivati a ritenerle autentiche, ma in tempi più recenti la questione è stata
nuovamente discussa: cf J. Rius-Camps, The Four Authentic Letters of Ignatius, the Martyr, Roma
1979. La cosiddetta quaestio ignatiana viene posta così in termini nuovi. Malgrado la persistente
incertezza, che riguarda anche il tempo preciso di redazione, una parte fondamentale delle igna-
ziane può essere annoverata sicuramente tra gli scritti del cristianesimo primitivo.

Bibliografia: F. BERGAMELLI, Nel sangue di Cristo. La vita nuova del cristiano secondo il mar-
tire S. Ignazio di Antiochia, in EL 100 (1986), 152-170; K. BOMMES, Weizen Gottes. Untersuchun-
gen zur Theologie des Martyriums bei Ignatius von Antiochien, Koln/Bonn 1976; R. JOLY, Le dos-
sier d'Ignace d'Antioche, Bruxelles 1979; H. E. LONA, Der Sprachgebrauch von sarx bei Ignatius
von Antiochien, in ZKTh 108 (1986), 383-408; W. R. SCHOEDEL, Ignatius von Antiochien, in TRE
81 (1987), 40-45; R. F. STOOPS, If I Suffer... Epistulary Authority in Ignatius ofAntioch, in HThR
80 (1987), 161-178; C. TREVETT, A Study of Ignatius ofAntioch in SyriaAndAsia, Lampeter 1992.

3. Policarpo di Smirne
Policarpo: CPG 1040-1045; W R. SCHOEDEL, trad. ingl. e, London 1967.
Martyrium Polycarpi: P. T. CAMELOT, t trad. frane. e, 1969 4 (SC 10); cf Atti dei Martiri§ 15.

Policarpo, vescovo di Smirne, morì martire (un 22/23 febbraio da collo-


carsi tra il 155 e, al più tardi, il 177). Ritenuto discepolo degli apostoli (Ire-
neo, Adv. haer. III 3,4; Eusebio, H. E. V 20), fu per lungo tempo la perso-
nalità più insigne della comunità cristiana di Smirne. S'incontrò con il ve-
scovo Aniceto di Roma (154/155-166/167) per discutere con lui su questio-
ni ecclesiastiche, specialmente riguardo alla data per la celebrazione della
Pasqua (Eusebio, H. E. V 24,16-17; cf § 25,4). Scrisse a quanto pare nume-
rose lettere (Eusebio, H. E. V 20,8), ma non rimane che la sua corrispon-
denza con la comunità cristiana di Filippi: un breve scritto d'accompagna-
mento delle lettere inviate da Ignazio e una più lunga lettera pastorale sulla
vera fede e sull'ordinamento ecclesiastico. Le argomentazioni sono affini a
quelle della I Lettera di Clemente.
Il Martyrium Polycarpi è una lettera della comunità di Smirne a quella di Fi-
lomelio (in Frigia), che fu scritta subito dopo la morte violenta del vescovo e sot-
to l'impressione di questo avvenimento. Per la prima volta venne qui descritto
letterariamente un martirio cristiano. La sua autenticità è indiscussa, anche se
non sono da escludere aggiunte di epoca successiva.
§ 37. I Padri apostolici 201

Bibliografia: B. DEHANDSCHUTTER, Martyrium Polyearpi. Ben literair-kritische studie, Lou-


vain 1979; S. RoNCHEY, Indagine sul martirio di San Policarpo. Critica storica e fortuna agiografica
di un caso giudiziario in Asia Minore, Roma 1990.

4. Lettera di Barnaba
Barnaba: CPG 1050; T. KLAUSER, t trad. lat. e, Bonn 1940; R. A. KRAFr-P. PRIGENT, t trad. frane.
e, 1971 (SC 172); F. SCORZA BARCELLONA, t trad. it. e, (CPS 1); R. A. KRAFr, trad. ingl. e,
New York 1965.

Sotto questo titolo è conosciuto un trattato falsamente attribuito. ali' aposto-


lo Barnaba e indicato come lettera. Si tratta in realtà del trattato di un maestro
cristiano, composto certamente attorno al 130 (luogo di composizione e desti-
natari rimangono non accertati). Lo scritto propone una radicale interpretazio-
ne cristiana dell'AT (cap. 1-17), nega l'esistenza di un'alleanza tra Dio e il po-
polo giudaico e riconosce soltanto l'unica alleanza stabilita da Dio in Cristo con
il suo nuovo popolo (14,4). La seconda parte rappresenta una catechesi morale
cristiana secondo la teoria delle due vie (cap. 18-21). Questo tipo d'insegna-
mento («Sono due le vie del sapere e del potere, quelle della luce e delle tene-
bre», 18,1) deriva dal giudaismo (cf le contrapposizioni in Dt 30,15-20; Ger
31,8; Prv 12,28; in Qumran: 1 QS III 18 - IV 14, ecc.; Barn. 18-20).

Bibliografia: P. PRIGENT, Les testimonia dans le christianisme primiti/. I.:épitre de Barnabé


I-XVI et ses sources, Paris 1961; K. WENGST, Trdition und Theologie des Barnabasbriefes,
Berlin/New York 1971; K. WENGST, Barnabasbrief, in TRE 5 (1980), 238-241.

5. La Didachè
Didachè: G. SCHÒLLGEN, t trad. ted., 1991(FC1); W RORDORF-A. TUILIER, t trad. frane. e, 1978
(SC 248); K. NIEDERWIMMER, trad. ted. e, Gi:ittingen 1989 (Kòmmentar zu den Apost. Viitern
1 = KAV); U. MATTIOLI, trad. it. e, Roma 1976.

Soltanto dal 1873 si conosce il testo di questa «Dottrina degli Apostoli» (Doc-
trina apostolorum), che risale ai primi tempi del cristianesimo. Essa intende rego-
lare la vita della comunità cristiana e vi si può vedere, quindi, un «Ordinamento
della comunità». La sua redazione va collocata certamente in Siria (retroterra
d'Antiochia) all'inizio del II sec. La prima parte contiene ammaestramenti etici se-
condo la dottrina delle due vie. La tradizione morale giudaica si trova fissata qui
sotto il duplice comandamento dell'amore verso Dio e il prossimo. La seconda
parte (7-16) regola alcune pratiche della vita comunitaria: battesimo, agape, euca-
ristia, liturgia domenicale. Vi si discutono i rapporti tra la comunità e i «predica-
tori itineranti» (apostoli o profeti e maestri) e vengono formulate regole sull'ele-
202 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

zione di «vescovi e diaconi» nell'interesse di un ordinamento funzionante della


comunità. Il breve scritto godette nell'antichità di un'alta considerazione e venne
utilizzato come modello per successivi ordinamenti ecclesiastici (Didascalia dei
Dodici Apostoli, Traditio apostolica d'Ippolito di Roma e Costituzioni Apostoliche).

Bibliografia: S. GIET, I:énigme de la Didachè, Paris 1970; G. SCHÒLLGEN, Die Didache als
Kirchenordnung. Zur Frage des Abfassungszweckes und seinen Konsequenzen fiir die Interpretation,
in JAC 29 (1986), 5-26; A. TUILIER, Didache, in TRE 8 (1981), 731-736.

6. Il Pastore di Erma (Pastor Hermae)


Pastore di Erma: CPG 1052; M. WHITTAKER, t, 1967 2 ; R. JOLY, t trad. frane. e, 1968 2 (SC 53);
N. BROX, trad. ted. e, Gi:ittingen 1991 (KAV 7); G. F. SNYDER, trad. ingl. e, London 1968.

Lo scritto venne redatto a Roma attorno alla metà del II sec. L'autore deve es-
sere stato un fratello del vescovo di Roma Pio I (Canon Muratori). Il «Pastore», che
si presenta come angelo di protezione e di penitenza, è un personaggio che riceve
e comunica una rivelazione. Erma scrive secondo il modello delle apocalissi ebrai-
che (specialmente IV Libro di Esdra) e suddivide il suo scritto in visioni (visiones),
precetti (mandata) e similitudini (similitudines). Il tema centrale della predicazione
penitenziale apocalittica è la santità della Chiesa. Prima dell'imminente ritorno del
Signore tutti i cristiani vengono invitati alla conversione (cf § 24,1). L'azione dello
Spirito e la disponibilità dei credenti alla penitenza determinano l'immagine della
Chiesa (Sim. 9,13). L'etica di Erma è caratterizzata dal tradizionale spirito d'osser-
vanza, ma con un'inclinazione verso l'encratismo (cf anche§ 26,5). L'unitarietà del-
lo scritto non è indiscussa. Erma ha forse rielaborato parti più antiche; altre parti
sono state aggiunte probabilmente più tardi (per es. la IX similitudine).

Bibliografia: P. ADNÈS -J. PARAMELLE, Hermas, in DSp 7/1 (1969), 316-334; S. GIET, Her-
mas et les Pasteurs. Les trois auteurs du Pasteur d'Hermas, Paris 1963; P. RENNE, T.;unité du Pa-
steur d'Hermas. Tradition et rédaction, Paris 1992; A. HILHORST, Hermas, in RAC 14 (1988), 682-
701; L. PERNVEDEN, The Concept o/ the Church in theShepherd o/ Hermas, Lund 1966;J. REILING,
Hermas And Christian Prophecy. A Study o/ the Eleventh Mandate, Leiden 1973; R. STAATS, Her-
mas, in TRE 15 (1986), 100-108;J. C. WILSON, Toward a Reassessment o/ the Shepherd o/ Hermas.
Its Date And Its Pneumatology, Lewiston/New York 1993.

7. Papia di Gerapoli

Papia: CPG 1047; A. LINDEMANN-: H. PAULSEN, Die Apostolischen Vater, 286-302 (frammenti)

Il vescovo di Gerapoli nella Frigia, di cui abbiamo testimonianze di Ireneo


(Adv. haer. V 33,4) ed Eusebio (H. E. III36,2; dli 15,2), compose nei primi de-
§ 38. La letteratura apologetica e antieretica del II secolo 203

cenni del II sec. (110/130) una Explanatio sermonum Domini(« Spiegazione del-
le sentenze del Signore») in cinque libri, che ci sono arrivati solo in frammenti.
Sono degne di nota le notizie sui vangeli di Matteo e di Marco e sull'autorità del-
la «tradizione presbiterale» come «viva e costante testimonianza orale»; im-
portante dal punto di vista storico è anche il chiliasmo (Eusebio, H. E. III 39,12;
cf § 33).
Bibliografia: U. H. J. KòRTNER, Papias van Hierapolis. Ein Beitrag zur Geschichte des /ruhen
Christentums, Gottingen 1983; J. KDRZINGER - R. M. HDBNER, Papias van Hierapolis und die
Evangelien des NT [conte trad. ted.], Regensburg 1983.

§ 38. La letteratura apologetica e antieretica


del II secolo

A. LETTERATURA APOLOGETICA

Apologisti: J. C. T. de Orro, Corpus Apologetarum christianorum saeculi secundi, t, 9 voli., 1842-


18721 (diverse nuove ediz.), rist. Wiesbaden 1969; E. J. GOODSPEED, t, 1914, rist. 19843;
G. RAUSCHEN et al., trad. ted., 2 voli., 1913 (BKV); C. BURINI, trad. it. 1986 (ColiTP 59).
Sussidi: E. J. GoODSPEED, Index Apologeticus, Leipzig 1912.

Contemporaneamente, almeno in parte, con gli «scritti del cristianesimo


primitivo» si sviluppò un nuovo tipo di letteratura cristiana che caratterizzò per
lungo tempo la produzione letteraria degli autori cristiani: l'apologetica. Scrit-
tori per lo più noti e colti scelsero dall'antica letteratura i generi letterari del
«discorso» (/ogos) e del« dialogo». Ufficialmente essi si rivolgevano al mondo
greco-romano dell'Impero, spesso direttamente agli imperatori. Questo fatto,
tuttavia, non deve essere sopravvalutato (cf Tertulliano, De test. anim. I 4). Que-
sti scritti si rivelarono veramente efficaci all'interno della propria casa, dove ser-
virono a una giustificazione intellettuale della fede cristiana e a rafforzare la co-
scienza stessa della Chiesa.
Gli apologisti discussero con la filosofia pagana e cercarono di dimostrare il
cristianesimo come «vera filosofia», come realizzazione di tutte le attese reli-
giose e di tutte le conoscenze filosofiche dei secoli che avevano preceduto la
nuova religione. Con riferimento all'unità tra Antica e Nuova Alleanza, essi at-
tribuirono alla religione cristiana il pregio di essere la più antica e, quindi, la cor-
rispondente autorità e importanza nella storia del mondo. Nella loro confuta-
zione del politeismo pagano essi fecero proprie molte delle antiche critiche ri-
volte contro gli dèi. La loro difesa del monoteismo cristiano era preliminare al
204 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

compito di spiegare il rapporto tra il Logos-Christus e l'unico Dio e la sua posi-


zione nel fatto della salvezza. Di fronte ai rimproveri pagani di costituire un' as-
sociazione di scarso valore morale, essi posero in risalto l'alta coscienza etica del
cristianesimo. Essi fecero vedere le persecuzioni come provvedimenti ingiusti
che non erano conciliabili con il senso giuridico romano e che, inoltre, ignora-
vano la sostanziale lealtà dei cristiani nei confronti dell'Impero.

Bibliografia: L. W BARNARD, Apologetikl, in TRE 3 (1978), 371-411; R. M. GRANT, Greek Apo-


logists o/the Second Century, Philadelphia 1988; R. ]OLY, Christianisme et Philosophie. Études sur ]u-
stin et !es Apologistes grecs du deuxième siècle, Bruxelles 1973; W l<INZIG, Der « Sitz im Leben » der
Apologie in der Alten Kirche, in ZKG 100 (1989), 291-317; U. KDHNEWEG, Die griechischen Apolo-
geten und die Ethik, in VigChr 42 (1988), 112-120; D. W PALMER, Atheism, Apologetic, And Nega-
tive Theology in the Greek Apologists o/ the Second Century, in VigChr 37 (1983), 234-259.

1. Aristide

Arisitide: CPG 1062, 1065-1067.


Apol.: J. GEFFCKEN, Zwei griechische Apologeten, te, 1907, rist. Darmstadt 1970 2 ; C. ALPIGIANO,
t trad. it., 1988 (BPat 11); C. VONA, t trad. it. e, Roma 1950; R. L. WOLFF, trad. ingl., in
HThR 30 (1937), 233-247.

L'apologia del «filosofo» cristiano d'Atene è diretta all'imperatore Adriano


(117-138) (Eusebio, H. E. IV 3,3). Aristide rappresentò i cristiani, dopo Barba-
ri, Greci e Giudei, come la quarta «razza» che si distingueva rispetto a quelle
precedenti per la conoscenza della verità e dell'unico Dio e per l'alta purezza dei
costumi. Essi erano quindi i garanti per la sopravvivenza del mondo:« Non ho
neppure alcun dubbio che soltanto grazie alla supplicevole preghiera dei cri-
stiani il mondo continua a sussistere» (16,6).

Bibliografia: K. G. ESSIG, Erwligungen zum geschichtlichen Ort der Apologie des Aristzdes, in
ZKG 97 (1986), 163-188.

2. Giustino, il «filosofo e martire»

Giustino: CPG I 1073-1089.


Opera: T. B. FALLS, trad. ingl., 1948 (FaCh 6).
Apol.: T. MARCOVICH, t, 1994 (PTS 38); A. WARTELLE, t trad. frane. e, Stra.Bburg 1989; C. Mv.
NIER, t trad. frane., Freiburg/Sehw. 1995; G. GANDOLFO, trad. it. e, Roma 1983.
Dia!.: G. ARCHAMBAULT, t trad. frane. 2 voli., Paris 1909; P. HAEUSER, trad. ted. 1917 (BKV);
A. L. WILLIAMS, trad. ingl., London 1930; G. VISONA, trad. it., Torino 1988.

Giustino, originario di Flavia Neapolis (Nablus) in Samaria, esercitò la libe-


ra attività di maestro cristiano a Roma, dove subì il martirio nel 165 (Martyrium
§ 38. La letteratura apologetica e antieretica del II secolo 205

S. Iustini et sociorum). Egli è il più importante dei primi apologisti cristiani. L'e-
lenco delle sue opere (Eusebio, H. E. IV 18) comprende anche scritti non apo-
logetici, che però non ci sono giunti. In Dia!. 2-8 egli ci fornisce una relazione
formulata in senso apologetico della sua conversione, in cui descrive la via che
l'ha condotto, attraverso le varie filosofie e i loro differenti maestri, fino al cri-
stianesimo, la «vera filosofia». La sua teologia è influenzata soprattutto dal me-
dioplatonismo, di cui utilizza le idee per fare propaganda per il cristianesimo.
Intorno al 150-155 nacque la sua ampia difesa del cristianesimo (I Apolo·
gia), indirizzata all'imperatore Antonino Pio (138-161). La cosiddetta II Apolo-
gia è una postilla della stessa per i Romani, indirizzata probabilmente al senato
romano. Per lui la religione cristiana era, come «vera filosofia», il compimento
di tutto ciò che lo spirito umano aveva conosciuto ed era riuscito a conoscere
grazie al Logos divino sulla verità. Il Logos divino aveva sparso molto tempo
prima della sua incarnazione «semi» di buona qualità attraverso i quali l'antica
filosofia era già arrivata alla conoscenza parziale della verità (Apol. II 7 -8; 13:
Myoç 0"1tEpµcx'ttK6ç). Dall'AT egli raccolse le profezie sulla divinità di Cristo,
che spiegò con l'aiuto di metodi esegetici pagani. Respinse i consueti rimprove-
ri contro i cristiani (cf § 14), dei quali sottolineò l'alta moralità. Per la storia del-
la liturgia cristiana risultano preziose le indicazioni di Apol. I 65-67 (battesimo
e celebrazione eucaristica domenicale,§§ 22-23).
Il suo Dialogo con il giudeo Trifone (ca. 160), che probabilmente rielabora
discussioni svoltesi realmente tra giudei e cristiani, rappresenta il giUdaismo co-
me passo storico preliminare del cristianesimo, sviluppa l'interpretazione cri-
stiana dell' AT e sposta la cristologia al centro dell'argomentazione.

Bibliografia: (cf anche §§ 22, 23) L. W. BARNARD, Justin Martyr. His Ltfe And Thought, Lon-
don 1967; G. A. BISBEE, The Acts o/Justin Martyr. A Form-Critica!Study, in SecCen 3 (1983), 129-
157; M. FÉDOU, La vision de la Croix dans l'oeuvre de St. Justin philosophe et martyr, in RechAug
19 (1984), 29-110; R. HOLTE, Logos Spermatikos. Christianity And Ancient Philosophy According
to St. Justin's Apologies, in StTh 12 (1958), 109-168; N. HYLDAHL, Philosophie und Christentum.
Eine Interpretation der Einleitung zum Dialog Justins, Kopenhagen 1966; E. F. OSBORN, Justin
Martyr, Tiibingen 1973; O. SKARSAUNE, The Proof/rom Prophecy. A Study in Justin Martyr's Proof-
Text Tradition. Text-Type, Provenance, Theological Pro/ile, Leiden 1987; O. SKARSAVNE,]ustin der
Miirtirer, in TRE 17 (1988), 471-478; J. C. M. van WINDEN, An Early Christian Philosopher. Justin
Martyr's Dialogue with Trypho, Chapters I-IX. Introduction, Text And Commentary, Leiden 1971.

3. Taziano

Taziano: CPG 1104-1106.


Oratio ad Graecos: E. SCHWARTZ, t, 1888 (TU 4,1)
Frammenti: M. WHITTAKER, t trad. ingl., 1982 (OECT); A. PUECH, Recherches sur le Discours aux
Grecs de Tatien, trad. frane., Paris1903; S. di CRISTINA, trad. it., Roma 1991.
Diatessaron (pers.), G. MESSINA, t trad. it., Roma 1951.
206 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

Il «filosofo dei barbari della terra degli Assiri» (Oratio 42) venna dalla Siria a
Roma, dove fu discepolo di Giustino, grazie al quale trovò· la via per arrivare al cri-
stianesimo (Oratio 35,1; 19,4). Probabilmente tornò nel 172 nella sua patria. Egli so-
stenne un cristianesimo ascetico-rigoristico e divenne «il fondatore degli encratisti»
(Ireneo, Adv. haer. I 28,1; Clemente d'Alessandria, Strom. III 12, 80-81; Tertulliano,
De ieiun. 15). Appartiene alla prima apologetica cristiana la sua Oratio ad Graecos
(Discorso ai Greci), dove si nega ogni valore alla filosofia, alla religione e alla cultu-
ra greca. Soltanto la «filosofia dei barbari», cioè dei cristiani, condurrebbe alla ve-
rità nella conoscenza di Dio. Dei rimanenti scritti di Taziano (Eusebio, H. E. IV
29,7) è rimasto soltanto il Diatessaron, un'«armonia dei vangeli», la cui redazione
originaria fu certamente in lingua siriaca (tramandata in una versione armena del
commento di Efrem il Siro[§ 75,12], ed anche in traduzioni in arabo e persiano).
Bibliografia: M. E. BOISMARD, Le Diatessaron: De Tatien à Justin, Paris 1992; M. Elze, Tatian
und seine Theologie, Gottingen 1960; W L. PETERSEN, Tatian's Diatessaron. Its Creation, Disse-
mination, Signi/icance, And History in Scholarship, Leiden ecc. 1994.

4. Atenagora

Atenagora: CPG 1070-1071.


Opera: E. SCHWARTS, t, 1981 (TU 4,2); W R. SCHOEDEL, t trad. ingl., Oxford 1972; B. PUDERON, t
trad. frane., 1992 (SC 379);}. H. CREHAN, trad. ingl., 1956 (ACW 23); S. Dr MEGLIO, trad. it.,
Siena 1974.
Legatio pro Christianis: M. MARCOVICH, t, 1990 (PTS 31).
Supplicatio: P. GRAMAGLIA, trad. it., Roma 1965.

Scrisse attorno al 177 una supplica (Supplicatio) per i cristiani, indirizzata


all'imperatore Marco Aurelio e a suo figlio Commodo. In forma già tradiziona-
le, con chiarezza e oggettività di esposizione, egli respingeva le note accuse con-
tro i cristiani (l'ateismo, la cosiddetta cena tiestea e l'incesto). Egli ne metteva in
risalto l'alta moralità e ne sottolineava l'importanza per il mondo in modo simi-
le a quello di Aristide e della cosiddetta Lettera a Diogneto. Nella sua illustra-
zione della fede cristiana in «Dio, Creatore dell'universo e nel suo Logos »
(cap. 30), gli capitò di formulare affermazioni notevoli e di ampia portata sulla
dottrina trinitaria (spec. cap. 10). In aggiunta alla supplica Atenagora volle scri-
vere sulla «risurrezione dei morti» (cap. 36). Mal' autenticità del trattato giun-
to sotto il suo nome, De resurrectione mortuorum, è discussa.
Bibliografia: (cf anche § § 32 ,3 3) L. W. BARNARD, Athenagoras. A Study in Second Century Chri-
stian Apologetic, Paris 1972; H. E. LONA, Bemerkungen zu Athenagoras und Pseudo-Athenagoras, in
VigChr 42 (1988), 352-363; B. PoUDERON, Athénagore d'Athènes, phzlosophe chrétien, Paris 1989;
B. POUDERON, I.:authenticité du Traité sur la Resurrection attribué à /'apologiste Athenagore, in VigChr
40 (1986), 226-244; B. POUDERON, Public et adversaires du Traité sur la résurrection d'Athenagore
d'Athènes, in VetChr 24 (1987), 215-336.
§ 38. La letteratura apok>getica e antieretica del II secolo 207

5. Teofilo d'Antiochia

Teofilo d'Antiochia: CPG 1107-1109.


Ad Autolycum: R. M. GRANT, t trad. ingl. 1970 (OECT); J. SENDER - G. BARDY, t trad. frane. e,
1948 (SC 20); P. GRAMAGLIA, trad. it., Torino 1965.

Scrisse subito dopo il 180 i tre libri AdAutolycum. Il primo libro tratta del-
la conoscenza di Dio, che è possibile soltanto attraverso la rivelazione. Nel se-
condo libro Teofilo sviluppa, contro la mitologia pagana e le contraddittorie
teorie della filosofia greca, il concetto cristiano di Dio (2,14: compare per la pri-
ma volta la triade Dio, Verbo, Sapienza) e la dottrina della creazione. Il terzo li-
bro difende la concezione morale del cristianesimo e dimostra la priorità cro-
nologica di suoi scritti sacri. Teofilo compose inoltre, secondo la sua stessa te-
stimonianza, un'opera storica (2,30), trattati contro Marcione e lo gnostico Er-
mogene, eq anche degli « scritti catecheti ci» (Eusebio, H. E. IV 24); Girolamo
dà notizia di lavori biblici (De vir. ill. 25; Ep. 121,6: viene menzionata un'« ar-
monia dei vangeli»)

Bibliografia: C. CURRY, The Theogony o/ Theophilus, in VigChr 42 (1988), 318-326.

6. La lettera a Diogneto

Diogneto: CPG 1112; H. I. MARRou, t trad. frane. e, 1965 2 (SC 33); S. ZINCONE, trad. it., Ro-
ma 1977.

Il breve scritto apologetico viene indicato solitamente come «Lettera a Dio-


gneto ». Tuttavia, non si tratta di una lettera, ma di un breve discorso di difesa
scritto da un ignoto autore a un certo « Diogneto ». In forma stilisticamente no-
tevole, il trattato offre una rappresentazione concisa e profonda dell'idea cri-
stiana di Dio (raffigurato come colui che crea, rivela e salva) e della vita cristia-
na nel suo distacco dal culto pagano e giudaico di Dio. I capitoli 5-6, che de-
scrivono la condotta dei cristiani nel mondo (6,1), costituiscono uno dei vertici
della prima apologetica cristiana. I capitoli 11 e 12 furono aggiunti più tardi.
Non si è ancora arrivati all'identificazione dell'autore e si discute anche sul tem-
po e sul luogo di composizione.

Bibliografia (cf anche§ 26): R. BRA.NDLE, Die Ethik der Schri/t an Diognet. Bine Wiederauf-
nahme paulinischer und johanneischer Theologie am Ausgang des 2. ]ahrhunderts, Ziirich 1975;
M. RIZZI, La questione dell'unità dell'Ad Diognetum, Milano 1989; M. RIZZI, Per un approccio me-
todologico nuovo alla questione del!'autenticità dei Capp. 11-12 del!'Ad Diognetum, in « Orpheus »
9 (1988), 198-218; K. WENGST, Paulinismus und «Gnosis» in der Schri/t an Diognet, in ZKG 90
(1979), 41-62.
208 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

7. La Satira di Ermia

Ermia: CPG 1113.


Gentilium philosophorum irrisio: H. DIELS, Doxographi graeci, t, 1958\ 649-656; R. P. C. HANSON -
D. }OUSSOT, t trad. frane. e, 1993 (SC 388); E. A. RIZZO, trad. it. c., Livorno 1931.

Il breve scritto Gentilium philosophorum irrisio, di autore ignoto, deride la


filosofia greca per le contraddittorie opinioni dei suoi maestri. Con riferimento
a 1 Cor 3,19 viene data una motivazione cristiana alla discussione, che rimane
piuttosto superficiale. Si discute sul tempo di composizione; l'opera potrebbe
essere collocata nel III sec., ma se ne potrebbe anche spostare la redazione già
nel periodo della Chiesa imperiale.

Bibliografia: R. BAUCKHAM, The Fa!! o/ the Angels As the Source o/ Philosophy in Hermias And
Clement o/ Alexandria, in VigChr 39 (1985), 313-330;}. F. K:!NDSTRAND, The Date And Character o/
Hermias'Irrisio, in VigChr 34 (1980), 341-357;]. H. WASZINK, Hermias, in RAC 14 (1988), 808-815.

8. Sesto ed altri

Sesto: CPG 1115; H. CHADWICK, The Sentences o/ Sextus, te, Cambridge 1959; R. A. EDWARDS-
R. A. WrLD, t trad. ingl., Chico 1981.

Oltre agli autori menzionati ci sono noti, soprattutto grazie ad Eusebio, al-
tri difensori del cristianesimo. Egli menziona Claudio Apollinare (H. E. IV 27),
Milziade (H. E. V 28,4) e Quadrato (H. E. IV 3). Le Sentenze di Sesto (ca. 180-
210), importanti per l'etica cristiana, sono da attribuirsi a un ignoto compilato-
re che mise insieme materiale raccolto dal pensiero neopitagorico, stoico e pla-
tonico e lo fece passare come esempio ~i saggezza pratica cristiana. L'autore vol-
le dare certamente al suo lavoro una finalità apologetica. Rufino, intorno al 400,
tradusse in latino questa raccolta di sentenze, che attribuì al vescovo di Roma
Sisto II (257-258).

B. LETTERATURA ANTIERETICA

Quando le controversie su ortodossia ed eresia si acuirono, nacquero in mi-


sura crescente scritti antieretici che cercarono, talvolta in polemica letteraria-
mente stilizzata, di confutare le dottrine contrarie e di motivare e rappresentare
in maniera convincente il proprio punto di vista. La difesa fu occasione per svi-
luppare, approfondire ed esporre in maniera sistematica i contenuti della fede
(dogmi riguardanti Dio, la creazione, la cristologia, l'etica) e le motivazioni for-
§ 38. La letteratura apologetica e antieretica del II secolo 209

mali per la pretesa di verità della dottrina proposta dalla Chiesa. Inoltre, gli au-
tori intendevano rafforzare le proprie comunità e proteggerle dalla seduzione
che poteva esercitare la propaganda degli avversari.

1. Ireneo di Lione

Ireneo: CPG 1306-1321.


Epideixis {Dimostrazione della Predicazione Apostolica]: K. TER-MEKERTTSCHIAN - E. TER-MI-
NASSIANTZ, t trad. ted. 1907 (TU 31,1); J. P. SMITH, trd. ingl. e, 1952(ACW16); L. M. FROI-
DEVAUX, trad. frane. e, 1959 (SC 62).
Adversus haereses: N. T. BROX, t trad. ted. e, 3 voli., 1993 (FC 8); A. ROUSSEAU-1. DOUTRELEAU,
t trad. frane e, 10 voli., 1965-1982 (SC 100; 152ss.; 210ss.; 263ss.; 293ss.); J. J. DILLON, trad.
ingl., 1992 (ACW 55); E. BELLINI, trad. it. e, Milano 1981.

Il più importante teologo del II sec., proveniente dall'Asia Minore, fu di-


scepolo di Policarpo di Smirne (Eusebio, H. E. V 20,5-8). Dopo la morte del
vescovo e martire Fatino, Ireneo gli successe alla guida della comunità cristia-
na di lingua greca di Lione (ca. 177/178 - ca. 200), che era composta d'immi-
grati provenienti dall'Asia Minore. Nulla di certo sappiamo sugli anni più tar-
di della sua vita. Soltanto Gregorio di Tours dà notizia del suo martirio (Hist.
Frane. I 29; In gloria mart. 49). Ireneo ebbe intensi rapporti con Roma ed an-
che con l'Asia Minore, sua terra d'origine. La sua più importante opera lette-
raria è costituita dai cinque libri «Contro le eresie» (Adversus haereses; l' ope-
ra fu da lui chiamata anche Smascheramento e confutazione della falsa gnosi);
l'opera ci è giunta al completo soltanto in un'antica traduzione latina, mentre
dell'originaria redazione in greco possediamo solo dei frammenti. Ireneo af-
frontò la discussione soprattutto contro gli gnostici; ci tramanda, così, impor-
tanti notizie sulle loro scuole e sui loro maestri. Principale avversario è Valen-
tiniano, con i suoi discepoli. Nei libri III-V, aggiunti progressivamente, egli
espose la teologia cristiana attingendo da una molteplicità di fonti, testimoni
della tradizione.
Sono tre i criteri che sorreggono la sua argomentazione (cf specialmente Adv. haer. III 1-5):
la Sacra Scrittura (AT e NT) come mezzo che fissa per iscritto il messaggio di Gesù e la predica-
zione apostolica, a loro volta continuazione e compimento della storia veterotestamentaria della
salvezza; la «regola di fede» (regula /idei) come annuncio vivente del messaggio; i vescovi come
successori degli apostoli e garanti della tradizione originaria e immutata (elenco della successione
romana in III 3,1-4; cf § 27,4). Secondo lui, questi criteri sono efficaci soltanto nella Chiesa, che
ha ricevuto e conservato fedelmente la vera fede (III 1,1; 3,1; V praef), perché solo in essa agisce
lo Spirito di Dio (III 24,1).

La teologia d'Ireneo è guidata dal motivo conduttore dell'« economia di-


vina» che governa la storia della salvezza. Secondo questa teologia, nella crea-
210 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

zione e nella storia dell' AT Dio prepara gli uomini all'evento centrale, l'Incar-
nazione del Figlio (III 20,2; 10,2; IV 33,8 ecc.). La salvezza si realizza nella
Chiesa e culmina nella «ricostituzione e nel compimento dell'umanità e del
tutto in Cristo» (recapitulatio, àvaKEcpaÀ.airocnç; per le idee chiliastiche
cf § 33,2). Fondamento della teologia d'Ireneo sono quindi le concordanze da
ravvisare nell'Antico e nel Nuovo Testamento, come anche nella storia della
Chiesa, che debbono dimostrare l'unità del progetto di salvezza, e l'Incarna-
zione, il paradosso del Figlio di Dio che è diventato Figlio dell'Uomo, del fi-
lius Dei /ilius hominis, concetti attorno ai quali Ireneo gira con continue va-
riazioni (III 19,1.3 ecc.).
Ci è rimasta anche la «Dimostrazione della predicazione apostolica» (De-
monstratio praedicationis apostolicae, ritrovata nel 1904 in una traduzione ar-
mena). Il trattato è costituito da un'esposizione catechetica (cap. 1-42) e da una
demonstratio basata sulla Scrittura (cap. 43-100), che tratta soprattutto questio-
ni cristologiche. Degli altri suoi scritti sono stati tramandati soltanto alcuni
frammenti.

Bibliografia (cf anche § 27; § 30): Y. de ANOIA, Homo vivens. Incorruptibilité et divinisation
de l'homme selon Irénée de Lyon, Paris 1986; Y. de ANOIA, I:héresie et sa ré/utation selon Irénée de
Lyon, in Aug. 25 (1988), 609-644; A. BENOÌT, Saint Irénée. Introduction à l'étude de sa théologie,
Paris 1960; R. BERTHOUZOS, Liberté et grdce suivant la théologie d'Irénée de Lyon, Fribourg/Paris
1980; N. BROX, O/fenbarung, Gnosis und gnostischer Mythos bei Irenà·us van Lyon. Zur Charakteri-
stik der Systeme, Miinchen 1966; J. FANTINO, I:homme image de Dieu chez Saint Irénée de Lyon,
Paris 1986; J. FANTINO, La théologie d'Irénée. Lecture des écritures en réponse à !' exégèse gnostique.
Une approche trinitarie, Paris 1994; H.-J. HASCHKE, Der Hl. Geist im Bekenntnis der Kirche. Bine
Studie zur Pneumatologie des Irenà'us van Lyon im Ausgang vom altchristlichen Glaubensbekennt-
nis, Miinster 1976; H.-J. }ASCHKE, Irenà·us van Lyon, in TRE 16 (1987), 258-268; A. ORBE, Espi-
ritualidad de San Ireneo, Roma 1989; E. PERETTO, Criteri di ortodossia e di eresia nella Epideixis di
Ireneo, in Aug. 26 (1985), 645-666; L. REGNAULT, Irénée de Lyon, in DSp 8 (1971), 1923-1969;
R. TREMBLAY, La mani/estation et la vision de Dieu selon Saint Irénée de Lyon, Miinster 1978.

2. Letteratura andata perduta

Egesippo: CPG 1302.


Hypomnemata: T. ZAHN, Forschungen zur Geschichte des neutestamentlichen Kanons und der
altkirchlichen Literatur, vol. VI, te, Leipzig 1900, 228-250.
Melitone: CPG I 1092-1098.
Opera: S. G. HALL, t trad. ingl. 1979 (OECT).
Hom. Pasch.: B. LOHSE, t, Leiden 1958; M. TESTUZ, t trad. frane., Koln/Genève 1960; 0. PERLER,
t trad. frane. e, 1966(SC123);}. BLANK, trad. ted. e, Freiburg 1963; R. C. WHITE, trad. in-
gl. e, Lexington/Kentuccky 1976.
Rodone: CPG I 1300; E. SCHWARTZ, Eusebius Werke 11,1, 1903 (GCS 9,1), 454,22-456,8; 456,11-
17; 456,19-458,4.
§ 39. Gli scrittori cristiani greci del III secolo 211

Tra gli scrittori antieretici del II sec. Eusebio menziona anche i seguenti:
Egesippo, con le sue« memorie» (intoµvfiµata) scritte attorno al 180, che si ri-
volgevano contro gli gnostici e mostravano la verità della tradizione apostolica
(Eusebio, H. E. IV 22,3, ricorda un elenco, compilato da Egesippo, della suc-
cessione romana); Rodone, un discepolo di Taziano (Eusebio, H. E. V 13 ), Fi-
lippo di Gortina e Modesto, che scrissero contro Marcione (H. E. IV 25). Gli
scritti apologetici ed antieretici di Melitone di Sardi sono quasi totalmente per-
duti (Eusebio, H. E. IV 26). Nel 1940 fu ritrovato il testo della sua omelia pa-
squale, una delle più antiche prediche che ci siano giunte. L'omelia è concepita
dal punto di vista della storia della salvezza e degenera qua e là in attacchi sel-
vaggi contro i Giudei (cf § 11,4; § 36).

Bibliografia: L. ANGERSTORFER, Melito und das Judentum, Regensburg 1985; H. R. DROBNER,


15 Jahre Forschung zu Melito van Sardes, 1965-1980. Bine kritische Bibliographie, in VigChr 36
(1982), 313-333; S. G. HALL, Melito van Sardes, in TRE 22 (1992), 424-428; R. M. HOBNER, Me-
lito van Sardes und Noet van Smyrna, in D. Papandreou et al. (a cura di), Oecumenz'ca et Patristi-
ca (Scritti in onore di W. Schneemelcher), Stuttgart 1989, 219-240; O. PERLER, S. Meliton de Sar-
des, in DSp 10 (1980), 979-990; F. TRISOGLIO, Dalla Pasqua ebraica a quella cristiana in Melitone
di Sardi, in Aug. 28 (1988), 151-185.
L. ABRAMOWSKI, Diadoche und orthos logos bei Hegesipp, in ZKG 87 (1976), 321-327;
N. HYLDAHL, Hegesipps Hypomnemata, in StTh 14 (1960), 70-113; H. KEMLER, Hegesipps romi-
sche Bischofsliste, in VigChr 25 (1971), 182-196.

§ 39. Gli scrittori cristiani greci


del III secolo

1. Clemente d'Alessandria

Clemente d'Alessandria: CPG 1375-1399.


Opera: O. STAEHLIN -L. FRUECHTEL, t, 4 voli., div. ediz. 1909-1960 (GCS); O. STAHLIN, trad. ted.,
5 voli., 1934-1948 (BKV).
Eclogae propheticae: C. NARDI, t trad. it., 1985 (BPat 4).
Quis dives salvetur?: C. NARDI, trad. it., Roma 1991.
Protrepticus: C. MONDÉSERT -A. PLASSART, t. trad. frane. e, 1976 3 (SC 2bis); M. GALLONI, trad.
it., Roma 1991.
Paedagogus: H. - I. MARROU et al., t trad. frane. e, div. ediz. 1965-1983 (SC 70; 108; 158).
Stromata: A. Le BOULLUEC et al., t trad. frane. e, 1952ss. (SC 30; 38; 278ss.); J. FERGUSON, trad.
ingl., 1991ss. (FaCh 85).

Clemente (nato ca. 160, morto prima del 215) aveva acquisito una solida
conoscenza della letteratura classica e filosofica greca e conosceva anche la let-
212 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

teratura cristiana dei primi tempi. Attorno al 190 avrebbe incontrato ad Ales-
sandria il maestro cristiano Panteno (Strom. I 11). Clemente fu un entusiasta
difensore del cristianesimo ed un attento osservatore della spiritualità e della
cultura ellenistica. Come Giustino, vide anch'egli l'azione del Logos divino già
nella filosofia greca, i cui migliori rappresentanti si trovavano in un rapporto
d'alleanza con Dio. Parlò di« semi» del cristianesimo, che erano stati sparsi in-
sieme ai semi dell'erba cattiva (Strom. VI 67,1), ed affermò senza esitazione che
anche la filosofia poteva contribuire alla salvezza, poiché l'intelletto era un aiu-
to importante sulla strada che portavli al timore di Dio (Strom. I, 273). Tre
scritti della sua volumonosa opera risultano strettamente connessi l'uno con
l'altro:
- l' «Ammonimento ai pagani» (Protrepticus) confuta come scritto apolo-
getico il politeismo pagano ed esorta a riconoscere la rivelazione cristiana;
- nell' «Educatore» (Paedagogus) il Logos divino deve condurre, come pe-
dagogo, a un modo cristiano di vivere, dove l'etica stoica, cioè la maniera ordi-
nata di vivere, viene cristianizzata;
- le «Tappezzerie» (Stromata, «raccolta variopinta») spiegano la fede cri-
stiana e la rappresentano come «vera gnosi».
L'idea dominante di questi scritti è il Logos divino come «educatore» di
tutti gli uomini, dove l'antico ideale di paideia viene superato dalla rivelazione
biblica.
Nella sua lunga omelia su Mc 10,17-31 (Quis dives salveturr) Clemente si
pronuncia contro l'assolutizzazione della povertà come valore salvifico e discu-
te limiti e possibilità della ricchezza materiale per i cristiani. Notevoli frammen-
ti (Excerpta ex Theodoto, Eclogae propheticae, Hypotyposen ecc.) testimoniano la
sua ulteriore produzione letteraria (Eusebio, H. E. VI 13,14). L'insieme delle
opere consente di riconoscere un maestro cristiano impegnato che cercò di uni-
re armonicamente scrittura e filosofia e volle presentare al suo tempo la fede e
la vita cristiana in forma accessibile e comprensibile: «Bello è il rischio di pas-
sare a Dio» (Protr. X 93,2).

Bibliografia: (cf anche§ 26) A. Le BOULLUEC, Clément et Origène, Paris 1986; A. van den
HOEK, Clement o/ Alexandria And His Use o/ Philo in the Stromateis. An Early Christian Resha-
ping o/ a Jewish Model, Leiden 1988; S. R. C. LILLA, Clement of Alexandria. A Study in Christian
Platonism And Gnosticism, Oxford 1971; A. MÉHAT, Étude sur !es «stromates» de Clément d'A-
lexandrie, Paris 1966; A. MÉHAT, Clemens von Alexandrien, in TRE (8) 1981, 101-113; R. MOR-
TLEY, Connaissance réligieuse et herméneutique chez Clément d'Alexandrie, Leiden 1973; D.
WYRWA, Die christliche Platonaneignung in den Stromateis des Clemens von Alexandrien, Ber-
lin/New York 1983.
§ 39. Gli scrittori cristiani greci del III secolo 213

2. Origene

Origene: CPG 1410-1525.


Opera: P. KOETSCHAU et al., t, 12 voli., div. ediz. 1899-1983 (GCS); scelta. P. KOETSCHAU, trad.
ted., 3 voll., 1926-1927 (BKV).
Philocalia: E. }UNOD - M. HARL, t trad. frane. e, 2 voll., 1976/1983 (SC 226; 302).
De principiis: H. GOERGEMANNS - H. KARPP, t trad. ted. e, Darmstadt 19923 ; H. CROUZEL -
M. SIMONETII, t trad. frane e, 1978-1984 (SC 252ss.; 268ss.; 312); M. HARL et al., trad.
frane., Paris 197 6.
Hom. Gen.: M. I. DANIELI, trad. it., 1978 (CollTP 14).
Hom. Gen.; Hom. Ex.: R. E. HEINE, trad. ingl., 1982 ( FaCh 71); G. GENTILI, trad. it. e, Alba 1976.
Hom. Ex.: M. BORRET, t trad. frane. e, 1985 (SC 321); M. I. DANIELI, trad. it., 1981 (CollTP 27).
Hom. Lev.: M. BORRET, t trad. frane. e, 1981 (SC 286ss.); G. W BARKLEY, trad. ingl., 1990 (FaCh
83); M. I. DANIELI, trad. it., 1985 (CollTP 51).
Hom. Num.: A. MÉHAT, trad. frane. e, 1951 (SC 29); M. I. DANIELI, trad. it. e, 1988 (CollTP 76).
Hom. Ios.: A. }AUBERT, t trad. frane. e, 1960 (SC 71), R. SCOGNAMIGLIO - M. I. DANIELI, trad. it.,
1993 (CollTP 108).
Hom. Iud.: P. MESSIÉ et al., t trad. frane e, 1993 (SC 389):
Hom Sam.: P. NAUTIN - M. T. NAUTIN, t trad. frane e, 1986 (SC 328).
Hom. Ps.: E. PRINZIVALLI, t trad. it e, Firenze 1991.
Comm. Cant.: L. BRÉSARD - H. CROUZEL, t trad. frane. e, 199111992 (SC 375ss.); M. SIMONETTI,
trad. it. e, 1976 (CollTP 1).
Comm Cant.; Hom. Cant.: R. P. LAWSON, trad. ingl. e, 1957 (ACW 26).
Hom. Cant.: 0. ROUSSEAU, t trad. frane. e, 19662 (SC 37bis); M. I. DANIELI, trad. it., 1990 (Col-
lTP 83).
Hom. Ier.: P. NAUTIN - P. HussoN, t trad. frane. e, 2 voll., 1976/1977 (SC 232;238); E. SCHADEL,
trad. ted. e, 1986 (BGrL 10).
Hom. Ezech.: M. BORRET, t trad. frane. e, 1989 (SC 352); N. ANTONIONO, trad. it., 1987) CollTP 83).
Comm. Matth.: R. GIROD, t trad. frane. e, 1970 (SC 162); H. J. VOGT, trad. ted. e, 1983-1993
(BGrL 18; 30,. 38).
Comm. Luc.: H.-J. SIEBEN, t trad. ted. e, 1991 (CF 4); H. CROUZEL et al., t trad. frane e, 1962 (SC 87).
Comm. lob.: C. BLANC, t trad. frane. e, 5 voll. 1966ss. (SC 120); 157; 222; 290; 385); R. E. HEINE,
trad. ingl., 1989ss. (FaCh 80).
Comm. Rom. C. P. H. BAMMEL, t, Freiburg 1990ss: (Vetus Latina 16); T. HEITHER, t trad. ted.,
1990ss: (CF 2); F. COCCHINI, trad. it., Casale Monferrato 1985.
De orat.; Exh. ad mart.: J. J. O'MEARA, trad. ingl. e, 1954 (ACW 19).
De Pascha: O. GUÉRAUD - P. NAUTIN, t trad. frane. e, Paris 1979; G. SGHERRI, trad. it., Milano 1989.
De Pascha: Disp. Heracl.; R. J. DALY, trad. ingl. e, 1992 (ACW 54).
Disp. Heracl. : J. SCHERER, t trad. frane. e, 1960 (SC 67).
Disp. Heracl.; Exh. ad mart.: E. FROCHTEL, trad. ted., 1974 (BGrL 5),
Contra Celsum: M. BORRET, t trad. frane. e, 5 voll., 1967-1976 (SC 132; 136; 147; 150; 227);
H. CHADWICK, trad. ingl. e, Cambridge 1980; L. DATTRINO, trad. it., Padova 1987.

Con Origene (ca. 185-253/254) la teologia greca raggiunse un suo primo ver-
tice. Eusebio gli dedicò nel sesto libro della sua Storia ecclesiastica una « biogra-
fia», che presenta certamente ornamenti agiografici ed apologetici. Sappiamo da
queste notizie biografiche che Origene fu originario di Alessandria; suo padre
Leonida deve essere morto come martire (202). Origene crebbe nell'ambiente ec-
214 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

clesiastico della metropoli d'Alessandria e vi fu impegnato inizialmente come li-


bero maestro. Dall'attività d'insegnamento, che risultò coronata da successo, si
sviluppò un'autorevole scuola cristiana/filosofica, che il vescovo Demetrio volle
subito legare alla comunità della sua Chiesa (Eusebio, H. E. VI 3 ,8). Intorno al 212
Origene si recò per un breve soggiorno a Roma, «per vedere l'antichissima Chie-
sa dei Romani» (Eusebio, H. E. VI 14,10). Egli visitò anche la comunità cristiana
di Cesarea e trovò riconoscimenti ben oltre i confini della sua comunità d' appar-
tenenza. Qui, dopo lunghi anni di efficace attività d'insegnamento, arrivò a ten-
sioni che condussero alla fine, nel 23 0/231, alla rottura con il vescovo Demetrio.
Origene venne espulso da Alessandria. Amici vescovi in Palestina accolsero l' esu-
le e gli procurarono, a Cesarea, la possibilità d'insegnare senza alcun impedimen-
to, fino a quando, nella persecuzione che scoppiò sotto Decio, venne rinchiuso in
carcere e sottoposto a torture; in conseguenza delle torture subìte, questo confes-
sore della fede morì qualche anno più tardi (facilmente nel 253/254).
Origene fu e non volle essere nient'altro che un « uomo di Chiesa» (Hom.
Luc. 16,6). Egli conobbe la tradizione ecclesiastica e si attenne alla« regola di fe-
de», ma si avventurò anche in ardite speculazioni e insolite interpretazioni del
mistero cristiano. Si era occupato intensamente di filosofia, specialmente del
platonismo contemporaneo, e forse aveva aderito anche al neoplatonico Am-
monio Sacca. A dire il vero, questo interesse per la filosofia era nutrito da Ori-
gene con un certo distacco (cf la sua dichiarazfone su Dt 21,10-13 in Hom. Lev.
7,6 e in Ep. ad Gregorium, 2-3), ma il neoplatonismo fu da lui utilizzato come
una «filosofia divina» (prologo al Com. Cant.) e gli servì per creare un origina-
le ed ampio sistema teologico.
Fondamento e punto di partenza del suo pensiero teologico rimase sempre
l'unica rivelazione divina negli scritti dell' AT e del NT. Nell' Esapla, una sinossi
dell' AT che, accanto al testo ebraico e alla sua trascrizione in caratteri greci, di-
sponeva le note versioni greche di Aquila, di Simmaco, dei LXX e di Teodozio-
ne, egli volle assicurarsi del testo esatto della rivelazione di Dio, che cercò di pe-
netrare sempre più profondamente in numerose opere esegetiche, attraverso
commentari scientifici, brevi appunti (scoliz), sermoni ed omelie su quasi tutti i
libri biblici. Egli sviluppò, sulla base dei metodi filologici appresi dai gramma-
tici e dagli esegeti di Omero del &uo tempo, un'esegesi allegorica che costruì
sull'antropologia platonica e sugli armamentari filosofici dell'esegesi pagana e
giudaico-alessandrina (specialmente Filone d'Alessandria, cf § 6,3). Nel De
princ. IV 1-3 Origene illustrò la sua dottrina del triplice senso scritturale: quello
storico-grammaticale (somatico), quello morale (psichico), che ricercava l'inter-
pretazione per il singolo individuo, e quello allegorico-mistico (pneumatico),
che elaborava l'interpretazione teologica. Ma nell'attuazione pratica egli non si
attenne rigorosamente a un determinato schema e variò la successione e l' ordi-
ne dei diversi piani d'intepretazione.
§ 39. Gli scrittori cristiani greci del III secolo 215

Come apologista egli scrisse otto libri contro Celso (Contra Celsum), per
confutarne gli attacchi al cristianesimo (cf § 17,2). L'opera consente di rico-
struire il «Discorso vero» ('A"A110iìç A6yoç) di Celso. Origene difende il cristia-
nesimo con tono oggettivo e sereno, ma la sua argomentazione non sempre è
sufficientemente profonda.
Con il De principiis (IIEpÌ àpxéòv) Origene produsse il primo ampio pro-
getto sistematico-teologico della Chiesa antica. Egli comincia con la dottrina di
Dio, Uno e Trino (cf § 32,4), degli Angeli e della loro caduta (De princ. I). Il II
libro tratta della creazione del mondo, dell'uomo e della sua caduta, della sua
redenzione per mezzo di Gesù Cristo e delle ultime cose. Il III libro discute sul-
la libertà del volere, sul peccato e sulla ricostituzione finale di tutte le cose in
Dio (cf § 33,3 ). Il IV libro, infine, si occupa della Sacra Scrittura e della sua in-
terpretazione secondo il triplice senso. La composizione dell'opera risale agli
anni 220-230; va collocata, quindi, ancora in Alessandria. Le argomentazioni su-
scitarono allora molto scalpore e contribuirono più tardi alla condanna dell' au-
tore, avvenuta dopo la sua morte. L'opera ci è rimasta nella sua completezza sol-
tanto nella traduzione latina di Rufino, che difese appassionatamente il teologo
alessandrino nel IV secolo.
Questioni di vita pratica cristiana sono contenute nello scritto sulla pre-
ghiera (De oratione, con una spiegazione del Pater noster) e in quello che esorta
al martirio (Exhortatio ad martyrium).
La voluminosa opera ci è giunta solo in modo frammentario, per lo più uni-
camente in traduzioni latine (come quelle di Rufino e Girolamo), oppure in rac-
colte frammentarie, l'autenticità delle quali non è facilmente dimostrabile. In
epoca più recente (il ritrovamento del 1941 a Tura) sono stati scoperti fram-
menti di due omelie sulla Pasqua e del dialogo con Eracla, in cui Origene inter-
viene come esperto in una disputa teologica.
L'importanza dell' «uomo d'acciaio» (àòaµéxvnoç, Eusebio, H. E. VI 14,10;
Girolamo, De viris ill. 54) per la teologia della Chiesa antica e per la teologia in
genere difficilmente può essere sopravvalutata. I suoi lavori biblici sono risulta-
ti fondamentali per l'intera esegesi della Chiesa antica e hanno condotto alla teo-
ria, sistematizzata nel Medioevo, dei quattro sensi delle Scritture. La sua teolo-
giii spirituale ha lasciato la sua impronta nell'ascesi e nella mistica cristiana
(«precursore del monachesimo»). I suoi princìpi per la soluzione di problemi
di teologia trinitaria e cristologica, che furono interpretati e ulteriormente svi-
luppati in diverse direzioni, hanno costantemente influenzato le discussioni dei
secoli successivi.
Per i suoi contenuti l'opera di Origene suscitò già ai suoi tempi dubbi eri-
sentimenti. Sebbene egli avesse continuamente sottolineato il carattere prope-
deutico della filosofia (da lui ritenuta scienza umana e «palestra» per l'educa-
zione dell'anima, «la cui meta più alta è la divina sapienza», Contra Cels. VI 13),
216 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

essa rimase per lui, ed in misura minore di quanto lo era stata per gli apologeti,
solo uno strumentario concettuale e un sussidio per interpretare la rivelazione
biblica. Egli creò nelle sue opere un'unità indissolubile tra Bibbia e filosofia
neoplatonica, che caratterizzò soprattutto la sua cosmologia, la sua antropolo-
gia, ma anche la sua teologia. I suoi avversari gli rimproverarono di aver pensa-
to, nella sua concezione del mondo e di Dio, come un greco, e di aver interpo-
lato idee greche in miti nuovi (Porfirio, secondo Eusebio, H. E. VI 19, 7ss.). Ori-
gene non si accontentò di esporre teorie di fondamentale importanza, ma cercò
anche di approfondirle e di capirle sul piano speculativo, e volle apportare chia-
rezza anche in questioni ancora aperte (De princ. I praef). Eppure, anche per i
suoi contemporanei molto di ciò che egli scrisse rimase oscuro ed estraneo. Le
sue teorie sulla preesistenza delle anime, sulla creazione materiale come reazio-
ne a un peccato originale in un mondo precedente, sul ritorno della creazione a
Dio (cf § 33 ,3), che secondo 1 Cor 15 ,28 sarà tutto in tutti, in modo tale che al-
la fine non vi saranno più né inferno né diavolo, incontrarono nel corso dei se-
coli una crescente incomprensione. Di quella proscrizione che dovette già subi-
re in Alessandria quest' «uomo di Chiesa» non si è mai più liberato. Ciò che Ori-
gene aveva detto nella pietà del suo sentire («Se io, che porto il nome di sacer-
dote e debbo annunciare la parola di Dio, dovessi contravvenire all'insegna-
mento della Chiesa e alla regola del Vangelo, in modo tale da diventare scanda-
lo per te, o Chiesa, possa l'intera Chiesa togliermi i suoi diritti con decisione
unanime e gettarmi via da sé», Hom. Jos. 7, 6), la Chiesa lo realizzò più tardi
(II Concilio di Costantinopoli, 553 ), dopo che la controversia origeniana aveva
già sensibilmente turbato, in più fasi, i circoli ecclesiastici (cf § 51; 59,3).

Bibliografia (cf anche§§ 17; 23; 32; 33,3): Congressi Internazionali su Origene: Origeniana
I, Montserrat 1973; II, Bari 1980; III, Bari 1985; IV, lnnsbruck 1987; V, Louvain 1992; U. BER-
NER, Origenes, Darmstadt 1981; N. BROX, Spiritualitiit und Orthodoxie. Zum Konflikt des Orige-
nes mit der Geschichte des Dogmas, in E. Dassmann- K. S. Frank (a cura di), Pietas (Scritti in ono-
re di B. K0tting), Miinster; H. CROUZEL, Origène, Paris 1985; H. CROUZEL Bibliographie critique
d'Origène, Den Haag/Steinbriigge 1971 (Suppi. I 1982); H. CROUZEL et al., Chronique Origé-
nienne, in BLE 86 (1985), 127-138; 92 (1991), 123-132; 93 (1992), 225-230; 94 (1993), 131-144;
95 (1994), 333-342; M. FEDOU, Christianisme et relz'gions paiennes dans le « Contre Celse » d'O-
rigène, Paris 1988; R. HAUCK, The More Divine Proof Prophecy And Inspiration in Celsus And Ori-
gen, Atlanta 1989; P. HEIMANN, Erwiihltes Schicksal. Priiexistenz der Seele und christlicher Glaube
im Denkmodell des Origenes, Tiibingen 1988; R. E. HEINE, Stoic Logie As Handmaid to Exegesis
AndTheology in Origen's Commentary in the Gospel o/John, inJThS 44 (1993), 89-116; M. HoRN-
SCHUH, Das Leben des Origenes und die Entstehung der alexandrinischen Schule, in ZKG 71
(1960), 1-25; 193-214; C. KANNENGIESSER - W. L. PETERSEN, Orz'gen of Alexandria. His Worfd
And His Legacy, Notre Dame 1988; L. Lrns, Origenes' Peri Archon. Eine undogmatische Dogma-
tik, Darmstadt 1992; L. LIES, Zum derzeitigen Stand der Origenes/orschung, in ZKTh 115 (1993),
37-62; 145-171; H. de LUBAC, Geist aus der Geschichte. Das Schri/tverstcindnis des Origenes, Ein-
siedeln 1968 (frane. 1950); A. MONACI CASTAGNO, Origene predicatore e il suo pubblico, Milano
1987; P. NAUTIN, Origène, sa vie et son oeuvre, 2 voli., Paris 1977 /1979; B. NEUSCHAFER, Orz'genes
§ 39. Gli scrittori cristiani greci del III secolo 217

als Philologe, 2 voli, Basel 1987; H. PIETRAS, I:amore in Origene, Roma 1988; G. Q. REIJNERS, Das
Wort vom Kreuz. Kreuzes- und Erlosungssymbolik bei Origenes, Koln/Wien 1983; J. N. ROWE, Ori-
gen's Doctrine o/ Subordination. A Study in Origen's Christology, Frankfurt 1987; C. SCHOLTEN,
Die alexandrinischen Katechetenschule, inJAC 38 (1995), 16-37; A. ScoTT, Origen And the Li/e o/
the Stars. A History o/ an Idea, Oxford 1991; G. S. SFAMENI GASPARRO, Origene. Studi di antro-
pologia e di storia della tradizione, Roma 1984; G. SGHERRl, Chiesa e Sinagoga nella opere di Ori-
gene, Milano 1982; K. J. TORJESEN, Hermeneutical Procedure And Theological Method in Origen's
Exegesis, Berlin 1986; H. J. VOGT, Das Kirchenverstiindnis des Origenes, Koln 1974.

3. I teologi alessandrini

a) DISCEPOLI DI 0RIGENE
Gregorio Taumaturgo: CPG 1763-1794; H. CROUZEL, t trad. frane. e, 1969 (SC 148); E. MAROT-
TA, trad. it., 1983 (CollTP 40).
Gregorio di Nissa, Vita Greg. Thaum.: L. LEONE, trad. it., 1988 (CollTP 73).

Tra gli immediati discepoli di Origene vi fu Gregorio Taumaturgo, che ave-


va studiato presso il grande maestro a Cesarea. Come vescovo di Neocesarea,
egli si adoperò per la diffusione del cristianesimo nella sua terra del Ponto, do-
ve morì intorno al 270. Ci sono giunti diversi suoi scritti: il discorso in cui espri-
me gratitudine al maestro; la cosiddetta «Lettera canonica», che è preziosa per
le notizie sulla pratica penitenziale ecclesiastica; una « Metafrase dell'Ecdesia-
ste », la cui autenticità tuttavia non è indiscussa, ecc.
Discepolo di Origene fu anche il più tardo vescovo Firmiliano di Cesarea in
Cappadocia (morto intorno al 268), che scrisse una lettera diretta a Cipriano du-
rante la controversia sul battesimo amministrato dagli eretici (Cipriano, Ep. 75).
Particolari meriti sull'opera e sulla questione di Origene acquisì il dotto presbi-
tero Panfilo, che scrisse un'Apologia per Origene (PG 17, 521-616) e morì mar-
tire all'inizio del IV secolo.
Bibliografia: H. CROUZEL, La cristologia in Gregorio Taumaturgo, in Gr. 61 (1980), 745-755;
M. SIMONETTI, Una nuova ipotesi su Gregorio il Taumaturgo, in RSLR 24 (1988), 17-41; M. SLUS-
SER, Gregor der Wundertiiter, in TRE 14 (1985), 188-191; F. VINEL, La Metaphrasis in Ecclesiasten
de Grégoire le Thaumaturge. Entre traduction et interpretation, une explication de texte, in Lectu-
res anciennes de la Bz"ble, StraBburg 1987, Cahiers de Biblia Patristica 1, 191-216.

b) DIONIGI D'ALESSANDRIA
Dionigi d'Alessandria: CPG 1550-1612; C. L. FELTOE, t, Cambridge 1904; W.A. BIENERT, trad.
ted. e, 1972 (BGrL 2); C. L. FELTOE, trad. ingl., London 1918.

La scuola alessandrina continuò ad esistere. Quando Erada intorno al


231123 2 divenne vescovo d'Alessandria, Dionigi (morto intorno al 264) gli sue-
218 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

cesse nella direzione della scuola. Qui aveva ascoltato Origene, ma dopo le no-
te controversie e il trasferimento a Cesarea rimase a distanza. Nel 247 /248 di-
venne vescovo d'Alessandria e probabilmente continuò ad essere a capo della
scuola. Dei suoi scritti sono rimasti soltanto scarsi frammenti (Eusebio, H. E.
VII, 1-26). Prese parte alle discussioni ecclesiastiche-teologiche sulle questioni
della penitenza, del battesimo degli eretici, del chiliasmo e della teologia trini-
taria. La sua confutazione dei sabelliani libici lo portò in conflitto con Dionigi
di Roma (260-268), che lo accusò di triteismo. Con la Con/utatio et apologia di
Dionigi d'Alessandria ebbe fine la «controversia dei due Dionigi» (cf § 32,3).
Appartengono a lui, inoltre, alcuni frammenti delle più antiche «lettere pa-
squali» dei vescovi alessandrini, nelle quali ogni anno veniva annunciata la da-
ta della festa di Pasqua nel contesto di una specie di «lettera pastorale».

Bibliografia (cf anche § 32,3 ): W. A. BIENERT, Dionysius von Alexandrien. Zur Frage des Ori-
genismus im 3. Jahrhundert, Berlin 1978; W. A. BIENERT, Dionysius von Alexandrien, in TRE 8
(1981), 767-771.

c) Grnuo AFRICANO
Giulio Africano: CPG 1690-1695. Epist.: W REICHARDT, te, 1909 (TU 34,3).
Cesti: J. R. VIEILLEFOND, t trad. frane. e, Firenze/Paris 1970.

Sesto Giulio Africano (ca. 170-dopo 240), un erudito laico originario della Pa-
lestina, fu in rapporto con la scuola alessandrina. Alla sua voluminosa opera, che
ci è giunta solo in maniera frammentaria e testimonia un singolare cristianesimo
di aspetto sincretistico, appartiene la prima cronaca mondiale (Cronographia;
cf § 33,2) cristiana, che influenzò la successiva cronologia della Chiesa antica.

Bibliografia: H. CHANTRAINE, De metrologische Traktat des Sextus Julius Africanus, seine Zu-
gehOrigkeit zu den KESTOI und seine Authentizitèit, in« Hermes » 105 (1977), 422-441;]. CREHAN,
Julius A/ricanus, in TRE 1 (1977), 635-640; F. C. R. THEE, Julius A/ricanus And the Early Christian
View o/ Magie, Tiibingen 1984.

4. Metodio d'Olimpo

Metodio: CPG 1810-1830. Opera: G. N. BONWETSCH, t, 1917 (GCS).


Apocal. : A. LOLOS, t, Meisenheim 197 6.
De lib. arb. : A. VAILLANT, t (slavo/greco) trad. frane., 19742 (PO 22,5).
Symposium: H. MusuRILLO, t trad. frane. e, 1963 (SC 95); L. FENDT, trad. ted., 1911 (BKV);
H. MUSURILLO, trad. ingl., 1958 (ACW 27).

Metodio d'Olimpo fu attivo verso la fine del III sec. Della sua vita sap-
piamo soltanto che fu certamente asceta e libero maestro, probabilmente nel-
§ 39. Gli scrittori cristiani greci del III secolo 219

l'Asia Minore. Tra i suoi scritti (Sulla risurrezione, Sul libero arbitrio), che so-
no in parte diretti contro singole teorie di Origene, emerge il Symposion (Con-
vivium decem virginum). Alla maniera del Symposion di Platone, Metodio vi
celebra la verginità cristiana: dieci donne e la Virtù (Aretè) personificata loda-
no l'una dopo l'altra, in maniera entusiastica, la vita verginale. Dalle loro ar-
gomentazioni risulta chiara la stima di questa forma di vita; esse mostrano la
propaganda ecclesiastica e gli argomenti che si mettevano in campo per una
vita casta.
Bibliografia (cf anche § 26,5): C. MAzzucco, Il millenarismo di Metodio di Olimpo di fronte
a Origene. Polemica o continuità?, in Aug. 26 (1986), 73-87; H. MUSURILLO, Méthode d'Olympe,
in DSp 10 (1980), 1109-1117; E. PRINZIVALLI, I:esegesi biblica di Metodio di Olimpo, Roma 1985;
C. TIBILETTI, Metodio d'Olimpo. Verginità e platonismo, in «Orpheus» 8 (1987), 127-137.

5. Didascalia siriaca

Didascalia: CPG 1738; F. Z. FUNK, t, 2 voli., Paderborn 1905; E. TIDNER, t, 1963 (TU 75);
R. H. CONNOLLY, t trad. ingl., 1929, Oxford 1969 2 ; A. V66BUS, t trad. ingl., 1979 (CSCO 401ss.;
407ss.); H. ACHELIS - ]. FLEMING, trad. ted. e, 1904 (TU 10).

La Didascalia («Dottrina cattolica dei dodici apostoli e dei santi discepoli


del nostro Redentore») è un ordinamento ecclesiastico che venne compilato al-
l'inizio del III sec., con tutta probabilità nella Siria settentrionale (cosiddetta
Didascalia siriaca). Il testo contiene informazioni sulla vita comunitaria del tem-
po, sull'ufficio del vescovo e dei diaconi, sui gruppi nella comunità, sulla litur-
gia e sulla penitenza. Come nella Didachè, vengono motivate le ordinanze con
l'autorità apostolica (dottrina degli apostoli). Alcune disposizioni entrarono a
far parte di successivi ordinamenti ecclesiastici. Il testo greco originario è per-
duto, ma possediamo integralmente una traduzione siriaca ·e gran parte di una
traduzione latina (Didasc. apost.).

Bibliografia: cf §§ 18; 22-24.

6. Teologi antiocheni

CPG 1720-1723.

Sulla teologia antiochena nel III sec. non sappiamo molto. Il dotto presbi-
tero Malchione, che era a capo di una scuola laica di retorica, sollecitò il proce-
dimento contro il vescovo antiocheno Paolo di Samosata (Eusebio, H. E. VII
29,2; cf § 32,2). Eusebio dà notizia anche della profonda erudizione del presbi-
220 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

tero Doroteo, da collocarsi alla fine del III sec. (H. E. VII 32,2-4). Si è tradizio-
nalmente collegato l'inizio di una scuola antiochena con Luciano (di Antiochia
o Samosata), ma le fonti a disposizione non consentono di saperne molto. Si di-
scute anche se egli sia da identificarsi con il martire ucciso nel 312 (cf § 47,1).
Di una specifica scuola teologica in Antiochia si può parlare soltanto dalla metà
del IV sec. (Diodoro di Tarso, cf § 75).

7. Ippolito di Roma

Ippolito: CPG 1870-1925.


Opera: G. N. BONWETSCH et al., t trad. ted., 4 voli., 1897-1929 (GCS).
Refut. omn. haer.: M. MARCOVICH, t e,m 1986 (PTS 25).
Contra Noetum: R. BUTTERWORTH, t trad. ingl., London 1977.
De Antichristo: G. GARITTE, t (lingua georgiana) trad. lat., 1965 (CSCO 263ss.); E. NORETTI, trad.
it., 1987 (BPat 10).
De ben. Is. et Iac.; De ben. Mos.: M. BRIERE - L. MARIES - B. C. MERCIER, t trad. frane. e, 1954
(PO 27).
De ben. Iac.: M. SIMONETTI, trad. it. e, 1982 (CollTP 33).
De ben. Iac.; Comm. Dan.: C. DIOBOUNIOTIS - N. BEIS, t trad. ted. 1911 (TU 38).
Comm. Dan.: M. LEFÈVRE, t trad. frane., 1947 (SC 14).
Trad. apost.: W. GEERLINGS, t trad. ted., 1991 (FC l); B. BOTTE - A. GERHARDS, t trad. ted. e,
Miinster 19895 (LQF 39); B. BOTTE, t trad. frane e, 1968 2 (SC 11); G. DIX~ H. CHADWICK,
trad. ingl. e, London 1991.
Pseudo-Ippolito, In s. Pascha: G. VISONA, t trad. it. e, Milano 1988; P. NAUTIN, Homelies pasca/es
I, t trad. frane., 1950 (SC 27).

Alla letteratura cristiana greca del III sec. appartiene anche l'opera d'Ippo-
lito (ca. 170-235). Oriundo dell'oriente ellenico, lavorò come presbitero a Ro-
ma. La sua biografia non può ricostruirsi con molta esattezza. Entrò in aperto
conflitto con il vescovo di Roma Callisto (217-222), da lui aspramente criticato
per l'eccessiva indulgenza che mostrava nella questione della penitenza (cf Re-
fut. IX 11-12). In seguito a ciò, Ippolito deve essere diventato vescovo di una
comunità scismatica a Roma. Al suo nome è legata un'imponente opera lettera-
ria, che è però oggetto di discussioni per quanto riguarda problemi di autenti-
cità e di consistenza (P. N autin volle distribuire l'opera fra due autori, un Ippo-
lito e un Josippo, ma andò incontro a violente critiche). Ippolito scrisse volumi-
nosi trattati antieretici, come il perduto Syntagma (Adversus omnes haereses) e
la Refutatio omnium haeresium («Confutazione di tutte le eresie») in 10 libri,
dove egli si rivolgeva soprattutto contro gli gnostici e rimproverava loro il lega-
me con la filosofia greca (il I libro e probabilmente anche i libri II-IV furono
chiamati da lui Philosophumena); nel libro IX discuteva con Callisto; il libro X
offre un riepilogo (Epitome) e nei capp. 32-34 un compendio della «vera dot-
trina».
§ 40. La letteratura cristiana latina 221

A Ippolito appartengono i primi commentari biblici (a Daniele e al Cantico


dei Cantici, cf anche De Antichristo) che ci siano pervenuti, ma per lo più sol-
tanto in traduzioni. Il suo interesse per la storia è testimoniato dalla, Cronaca uni-
versale (cf § 4,1) e dalla sua «tabella per il computo della festa di Pasqua» (De-
monstratio temporum Paschatis). Di particolare importanza è il suo ordinamento
ecclesiastico, noto sotto il titolo di Traditio apostolica, Anocri:oÀ.tKTJ na.p&.oocrtç »;
scritta intorno al 215, l'opera fornisce importanti notizie aulla comunità cristiana
di Roma e sulla sua liturgia (cf §§ 18; 22-23). L'originale greco è andato perduto;
il testo, tuttavia, ci è pervenuto in diverse lingue orientali e in una traduzione la-
tina, e inoltre ha influenzato anche successivi ordinamenti ecclesiastici.

Bibliografia (cf anche §§ 18; 22; 23; 32; 33 ): Ricerche su Ippolito, Roma 1977 (Studia Ephe-
meridis «Augustiniant1m» 13); Nuove ricerche su Ippolito, Roma 1989 (Studia Ephemeridis «Au-
gustinianum» 30); G. BERTONIERE, The Cult Center o/ the Martyr. Hippolytus on the Via Tiburti-
na, Oxford 1985; A. BRENT, Hippolytus And the Roman Church in 3rd Century, Leiden 1995; J.
FRICKEL, Das Dunkel um Hippolyt. Ein Losungsversuch: Die Schriften Elenchos und Contra Noe-
tum, Graz 1988; M. MARCOVICH, Hippolyt von Rom, in TRE 15 (1986), 381-387; C. OSBORNE,
Rethinking Early Greek Philosophy. Hippolytus of Rome And the Presocratics, lthaca 1987; A. ZA-
NI, La cristologia di Ippolito, Brescia 1983.

§ 40. La letteratura cristiana latina

1. Tertulliano

Tertulliano: CPL 1-36.


Opera:]. V. BORLEFFS et al., t, 2 voli., 1954 (CChr.SL 1-2), A. H. KELLNER, trad. ted., 2 voli., Koln
1882.

Scritti parenetici: R. ARBESMANN, trad. ingl. 1959 (FaCh 40).


Ad. mart.; De pat.; De paen.: F. ScruTo, t trad. it., Catania 1961;
De cult./em.: M. TURCAN, t trad. frane. e, 1971 (SC 173); S. !SETTA, t. trad. it., 1986 (BPat 6).
De cor.; De cult.fem.: J. MARRA, t, Torino 1951;
De cor.: ]. FONTAINE, te, Paris 1966; P. A. GRAMAGLIA, trad. it. e, Roma 1980.
Exhort. cast.: C. MORESCHINI-}. C. FREDOUILLE, t trad. frane. e, 1985 (SC 319).
De orat.; De virg. ve!.: G. F. DIERCKS, t, Utrecht 1956.
De paen.; De pudic.: W. P. le SAINT, trad. ingl. e, 1959 (ACW 28).
De pat.:}. C. FREDOUILLE, t trad. frane. e, 1984 (SC 310).
Ad uxorem: C. MUNIER, t trad. frane. e, 1980 (SC 273).
De orat.: A. INTAGLIATA, trad. it., Cavallermaggiore 1992.
Scritti apologetici: R. ARBESMANN - E.}. DALY - E. A. QUAIN, i:rad. ingl., 1950 (FaCh 10).
Apol.: C. BECKER, t trad. ted., Miinchen 19924; I. GIORDANI, trad. it., Roma 1967.
Ad nat.: A. SCHNEIDER, t trad. frane. e, Roma 1968.
222 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

Ad nat.; De test. an.: M. HAIDENTHALER, trad. ted. e, 2 voll., Paderborn 1942.


De test. an.: C. TIBILETI1, t trad. it. e, 1984 (BPat).
Adv. !ud.: H. TRA.NKLE, te, Wiesbaden 1964.

Scritti dogmatici e polemici:


De anima: J. H. WASZINK, te, Amsterdam 1947; J. H. WASZINK, trad. ted. e, Ziirick 1980.
De praescr. haer.: REFOULÉ- P. LABRIOLLE, t trad. frane. e, 1957 (SC 46).
Adv. Herm.: J. H. WASZINK, te, Utrecht; J. H. WASZINK, trad. ingl. e, 1956 (ACW 25).
Ad Scap.: A. QUACQUARELLI, t c., Roma 1957; P. A. GRAMAGLIA, trad. it. e, Roma 1980.
Scorp.: G. AZZALI BERNADELLI, t trad. it., 1990 (BPat 14).
(altre fonti: cf §§ 26; 30; 31; 32; 33).

Sussidi: C. CLAESSON, Index Tertullianeus, 3 voll., 1974-1975; REAug: annuale: Chronica Ter-
tulliana.

L'inizio importante di una letteratura cristiana latina autonoma fu stabilito


da Quinto Settimio Florente Tertulliano (ca. 160-dopo 220), di Cartagine. Egli
aveva acquisito una fondamentale formazione nella retorica e nel diritto, come
anche nella filosofia (spec. quella stoica), e per qualche tempo fu a Roma, dove
esercitò certamente l'avvocatura. In età matura trovò la via per arrivare al cri-
stianesimo, alla cui difesa e interpretazione avrebbe poi dedicato la sua vita. In-
torno al 195 tornò a Cartagine, ma certamente non vi ricoprì alcun incarico ec-
clesiastico ufficiale. Al più tardi nel 207 si staccò dalla comunità cattolica della
sua città natale e aderì al montanismo, che corrispondeva al suo modo di pen-
sare per il rigorismo e la mancanza di compromessi (§ 34). Secondo Agostino
(Haer. 86), egli deve essere diventato più tardi capo di una specifica setta, quel-
la dei tertullianisti.
Il focoso nordafricano (vir ardens; Girolamo, Ep. 84,2) possedeva magistral-
mente la lingua latina e la piegò al suo servizio come voleva. I neologismi, uno
stile puntiglioso, spesso di difficile comprensione, l'ironia e il sarcasmo caratte-
rizzarono il suo modo di scrivere. Rimangono 31 scritti, dei quali non può indi-
carsi con sicurezza l'ordine cronologico. In base al loro contenuto, essi vengono
ditribuiti in tre gruppi:
- scritti apologetici: Apologeticum (197), Ad nationes, De testimonio ani-
mae, ecc.
- scritti dogmatici e polemici, soprattutto contro le dottrine erronee dello
gnosticismo, del docetismo e del modalismo (cf § 32): De praescriptione hareti-
corum (ca. 200), Adv. Marcionem, Adv. Valentinianos, Adv. Praxean, De anima,
De baptismo, ecc.
- scritti di carattere pratico-ascetico, che abbracciano e regolano con se-
vera disciplina tutta la sfera della vita cristiana: De spectaculis, De oratione
(con la più antica spiegazione latina del Pater noster), De paenitentia, De cul-
§ 40. La letteratura cristiana latina 223

tu feminarum, De exhortatione castitatis (contro le seconde nozze), De coro-


na, De idololatria, De pudicitia (tra l'altro,contro la prassi ecclesiastica nella
remissione dei peccati). In questi scritti il passaggio al montanismo si con-
densò in un'accresciuta esigenza di rigore e in un rifiuto non celato della
Chiesa cattolica.
Il Tertulliano apologista oppose un netto rifiuto a qualsiasi compromesso
con il mondo pagano, ma nello stesso tempo elaborò il concetto di sostanziale
lealtà dei cristiani nei confronti dello Stato e dell'imperatore (Apol. 30-34). Egli
mostrò quale importanza avesse una Chiesa cristiana riconosciuta per l'Impero
Romano (Apol. 37) e stigmatizzò l'ingiustizia delle persecuzioni, il cui fonda-
mento giuridico era esclusivamente il fatto in se stesso di essere cristiani. Non
c'erano crimini di alcun genere dei quali i cristiani potessero essere dimostrati
colpevoli. Unicamente sulla base di dicerie venivano attribuiti ai cristiani certi
crimini, con l'effetto d'incoraggiare un incontrollato furore del popolo, che per
ogni sciagura riteneva responsabili i cristiani e ne richiedeva conseguentemente
la punizione («I cristiani ai leoni!», Christianos ad leonem, Apol. 40,2). Ai pa-
gani che erano alla ricerca della verità egli volle spianare la strada con la sua idea
di «anima cristiana per natura» (anima natura/iter christiana, Apol. 17 ,6; cf De
testimonio animae).
Una discussione formale con le eresie venne da lui affrontata nel De prae-
scriptione haereticorum. Una praescriptio era, secondo il diritto romano, il ri-
corso dell'accusato a una legge secondo la quale il querelante veniva a trovar-
si nel torto, fino a rendere un processo non necessario e inammissibile. Come
fondamento giuridico che privava tutte le accuse degli eretici contro la Chie-
sa della loro sostanza Tertulliano propose il principio della Tradizione
(cf § 27): legittimo possesso e legittima interpretazione delle Sacre Scritture da
parte della Chiesa (15; 19); la regula /idei (14,5); la normatività dell'ecclesia
apostolica (36). Negli argomenti pratici della sua confutazione (soprattutto di
Marcione, di Prassea, di Ermogene e di altri) Tertulliano sviluppò princìpi ese-
getici e concetti dogmatici senza i quali non è più possibile immaginare la teo-
logia latina.
Si pensi alla differenziazione tra Unità e Trinità sulla base di una concezione della storia
della salvezza (Oikonomia) e con il ricorso a concetti come substantia o potestas da una parte,
species, persona, forma o gradus dall'altra. Formulazioni come tres unius substantiae («tre di
un'unica sostanza») o unaquaeque persona in sua proprietate («ciascuna persona nella sua pro-
prietà») per la teologia trinitaria (cf Adv. Prax. 2,4; 11,10), oppure proprietas utriusque sub-
stantiae («proprietà dell'una e dell'altra sostanza») o duplex status, non con/usus, sed coniunc-
tus in una persona(« duplice stato, non confuso, ma congiunto in un'unica persona» per la cri-
stologia (cf Adv. Prax. 27,11) sono affascinanti nella loro chiarezza. Non hanno certamente bi-
sogno di essere comprese nel senso della terminologia nicena o addirittura calcedoniana (cf
§ 32,2).
224 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

Anche se Tertulliano nella sua intransigenza montanistica non parlò più per
tutta la Chiesa, la sua opera rimane tuttavia una documentazione straordinaria
per la vita e la dottrina cristiana del suo tempo.

Bibliografia: cf anche §§ 18,22; 27; 32; 34: T. D. BARNES, Tertullian. A Historical And Lite-
rary Study, Oxford 1971; G. L. BRAY, Holiness And the Will of God. Perspectives on the Theology
o/Tertullian, London 1979; M. S. BURROWS, Christianity in the Roman Forum. Tertullian And the
Apologetic Use o/ History, in VigChr 42 (1988), 209-235; R. CANTALAMESSA, La cristologia di Ter-
tulliano, Freiburg/Schw. 1962; J. C. FREDOUILLE, Tertullien et la conversion de la culture antique,
Paris 1972; V. GROSSI, A proposito della conversione di Tertulliano al montanismo (De pudic. I 10-
13), in Aug. 27 (1987), 57-70; E. HECK, Me theomachein oder: Die Bestrafung des Gottesverà'ch-
ters. Untersuchungen zu Bekà'mpfung und Aneignung romischer religio bei Tertullian, Cyprian und
Laktanz, Frankfurt 1987; B. J. HrLBERATH, Der Personbegriff der Trinitiitstheologie in Ruckfrage
von K. Rahner zu Tertullians Adversus Praxean, Innsbruck 1986; R. KLEIN, Tertullian und das
Romische Reich, Heidelberg 1968; P. MATTE!, Habere ius sacerdotis. Sacerdoce et laica! au té-
moignage de Tertullien De exhortatione castitatis et De monogamia, in RevSR 59 (1985), 200-
221; D. MICHAÉLIDÈS, Sacramentum chez Tertullien, Paris 1970; J. MOINGT, Théologie trinitat're
de Tertullian. Histoire, Doctrine, Méthodes, 4 voli., Paris 1966-1969; I. OPELT, Die Polemik in der
christlichen lateinischen Literatur von Tertullian bis Augustin, Heidelberg 1980; L. RADITSA, The
Appearance of Women And Contact. Tertulliani De habitu feminarum, in « Athenaeum » NS 63
(1985), 297-326; R. D. SIDER, Ancient Rhetoric And the Art of Tertullian, New York 1971; H.
STEINER, Das Verhàltnis Tertullians zur antiken Paideia, St. Ottilien 1989.

2. Minucio Felice

Minucio Felice: CPL 37.


Octavius: C. HALM, t, 1867 (CSEL 2); G. QUISPEL, t e, Leiden 1949; B. KYTZLER, t trad. ted.,
Darmstadt 1993; G. H. RENDALL, t trad. ingl., Cambridge 1960;}. BEAUJEU, t trad. frane., Pa-
ris 1974 2; M. ALBANESE, trad. it., Napoli 1975.

Il suo dialogo Octavius appartiene alla prima apologetica latina. Nell'amiche-


vole disputa tra due avvocati, il cristiano Ottavio e il suo amico pagano Cecilio Na-
tale, che ha luogo un giorno d'autunno sulla spiaggia di Ostia, vengono esposti l'u-
no dopo l'altro i noti argomenti dell'antica apologetica cristiana. Alla fine entram-
bi gli interlocutori si riconoscono come vincitori: «Abbiamo vinto entrambi. Poi-
ché, come egli (il Cristo) ha vinto su di me, così io (il pagano) trionfo sull'errore»
(40,1). Il dialogo imita quello di Cicerone De natura deorum e vi si possono perce-
pire chiaramente argomentazioni proprie dello stoicismo (Seneca, De providentia).
La datazione non è del tutto chiara. E probabile una dipendenza da Tertulliano.

Bibliografia: K. BECKER, Der Octavius des Minucius Felix. Heidnische Philosophie und fruh-
christliche Apologetik, Miinchen 1967; G. W. CLARKE, The Historical Setting of the Octavius ofMi-
nucius Felix, in JRH 4 (1967), 267-286; E. HECK, Minucius Felix und der romische Staat, in Vig-
Chr 38 (1984), 154-164.
§ 40. La letteratura cristiana latina 225

3. Cipriano

Cipriano: CPL 38-67.


Opera: W. HARTEL, t, 3 voli., 1868-1871 (CSEL 3); G. SIROLLI, t, 2 voli., Siena 1969; R. WEBER et
al., t, 2 voli., 1972-1976 (CChr.SL 3/A); G. Toso, trad. it., Torino 1980; antologie: J. BAER,
trad. ted., 2 voli., 1918-1928 (BKV); G. Toso, trad. it.,Torino 1986.
Epist.: L. BAYARD, t, trad. frànc., 2 voli., Paris 1961-1962 2 ; G. W. CLARKE, trad. ingl. e, 2 voli.
1984-1989 (ACW 43ss.; 46ss.); N. MARINANGELI, trad. it., Alba 1979.
De laps.; De unit.: M. BÉVENOT, t trad. ingl., 1971 (OECT).
De opere et eleem.: E. REBENACK, t trad. ingl. e, Washington 1962.
De bono pat.: M. G. E. CONWAY, t trad. ingl. e, Washington 1957.
Ad Demetr.: E. GALLICET, t copto, trad. it. e, Torino 1976.
Ad Donat.; De bono pat.: J. MOLAGER, t trad. frane. e, 1982 (SC 291).
De hab. virg.; De morta!.; De bono pat.: R. J. DEFERRARI, trad. ingl., 1958 (FaCh 36).

Sussidi: P. BOUET et al., Cyprien, Traités. Concordance. Documentation lexicale et grammaticale,


2 voli., Hildesheim 1986.

Ponzio, Vita Cypriani: M. PELLEGRINO, t, Roma 1955.

Tascio Cecilio Cipriano (ca. 200/210-258) nacque da una stimata famiglia a


Cartagine. Fu retore, divenne cristiano intorno al 246 e appena qualche anno
più tardi vescovo (248/249). Il suo decennio di episcopato rimase caratterizza-
to da lotte interne ed esterne, nelle quali egli si dimostrò un classico difensore
dell'antica Chiesa cattolica e del ruolo affidato ai vescovi. Durante la persecu-
zione di Decio si tenne nascosto; morì martire sotto Valeriano il 14.9.258 (Acta
proconsularia Cypriani). La Vita Cypriani, scritta dal diacono Ponzio, è la prima
biografia cristiana di un vescovo.
Cipriano si formò sui libri di Tertulliano, che avrebbe letto ogni giorno (Gi-
rolamo, De vir. ill. 53 ). La sua opera letteraria, scritta in stile accurato, ricco
d'immagini e gradevole, fu il risultato del suo impegno pastorale, che si estese
molto al di là dei confini della Chiesa della sua città. Accanto ad alcune opere
apologetiche, come l'Ad Donatum (una storia stilizzata della sua conversione) e
l'Ad Demetrianum, va messo in risalto il trattato De ecclesiae (catholicae) uni-
tate (scritto nel 251). Il trattato ha certamente il suo contesto nelle controversie
con Novaziano e Felicissimo e i loro scismi (cf § 35). Cipriano sottolinea la ne-
, cessità di rimanere nell'unica Chiesa per avere la salvezza: Habere iam non po-
test Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem (cap. 6: «Non può più avere
Dio come padre chi non ha la Chiesa come madre»; cf Ep. 73,21: Salus extra ec-
clesiam non est, «Al di fuori della Chiesa non vi è salvezza»). L'unità della Chie-
sa viene da lui motivata con l'investitura dell'apostolo Pietro, senza che se ne
possa dedurre una posizione di primato per Roma, e con l'unità tra l'ufficio di
apostolo e l'ufficio di vescovo.
Nello scritto De lapsis (251) Cipriano si dichiara favorevole alla possibilità
226 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

di riconciliazione per coloro che durante la persecuzione avevano rinnegato la


fede e si oppone al potere incontrollato di rimettere i peccati che veniva rico-
nosciuto ai confessori e martiri(§ 24,35). Nel De dominica oratione spiega il Pa-
ter noster, nel De habitu virginum esalta la verginità cristiana. Altri scritti sono
dedicati alla disciplina ecclesiastica e alla coscienza morale cristiana. L'ampio
epistolario (65 lettere di Cipriano e 16 lettere indirizzate a lui) risulta di straor-
dinario valore per la documentazione che offre su quel tempo: contiene lettere
alla comunità durante la persecuzione di Decio, la corrispondenza con Roma,
documenti relativi alla controversia sul battesimo amministrato dagli eretici
(cf § 22,3), ecc.

Bibliografia: cf anche§§ 18; 20-21; 22,3; 24; 35: M. BÉVENOT, Sacerdos As Understood by
Cyprian, inJThS 30 (1979), 413-429; M. BÉVENOT, Cyprian von Karthago, in TRE 8 (1981), 236-
254; S. DELÉANI, Christum sequi. Étude d'un thème dans l'oeuvre de Saint Cyprien, Paris 1979;
L. DUQUENNE, Chronologie des lettres de Saint Cyprien. Le dossier de la persécution de Dèce,
Bruxelles 1972; M. A. FAHEY, Cyprian And the Bible: a Study in Third Century Exegesis, Tii-
bingen 1971; P. HINCHLIFF, Cyprian o/ Carthage And the Unity o/ Christian Church, London
1974; B. RENAUD, I.:église camme assemblé liturgique selon Saint-Cyprien. Ses charactéristiques.
Ses principes d'unité, in RThAM 38 (1971), 5-68; M. M. SAGE, Cyprian, Cambridge/Mass. 1975;
U. WICKERT, Sacramentum unitatis. Ein Beitrag zum Verstiindnis der Kirche bei Cyprian, Ber-
lin/New York 1971.

4. Novaziano

Novaziano: CPL 68-76.


Opera: G. F. DIERCKS, t, 1972 (CChr.SL 4); R. J. de SIMONE, trad. ingl. (FaCh 67).
De trin.: H. WEYER, t trad. ted. c, Diisseldorf 1962; V. LOI, t trad. it. c, 1975 (CPS 32).

Questo presbitero romano si fece consacrare vescovo di Roma dopo l' e-


lezione di Cornelio nel 251 (Eusebio, H. E. VI 43,8ss.), divenendo così anti-
papa e dando luogo allo scisma che prende il nome da lui (§ 35,1). Novazia-
no fu uomo di notevole cultura e valido scrittore. La sua opera più impor-
tante è il De trinitate, in cui tratta, in termini corrispondenti alla discussione
teologica del suo tempo, dell'unità di Dio come anche, ricorrendo tra l'altro
alla teologia giovannea, della testimonianza del Figlio e della sua importanza
per la creazione e per la storia della salvezza; lo Spirito Santo viene celebra-
to, come «qualcosa di divino», soprattutto nella sua azione mediatrice di sal-
vezza.

Bibliografia: cf anche§ 35: R.J. de SIMONE, The Treatise o/Novatian the Roman Presbyteron
the Trinity. A Study o/ the Text And the Doctrine, Roma 1970; H. J. VOGT, Coetus Sanctorum. Der
Kirchenbegri/f des Novatian und die Geschichte seiner Sonderkirche, Bonn 1968.
§ 40. La letteratura cristiana latina 227

5. Commodiano
Commodiano: CPL 1470-71.
Opera: B. DOMBART, t, 1887 (CSEL 15); J. T. MARTIN, t, 1960 (CChr.SL 128).
Carmen apologeticum: A. SALVATORE, t trad. it. c, 1977 (CPS 5).
Instructiones: A. SALVATORE, t trad. it. c, 2 voli., Napoli 1965/1968.

Commodiano è noto come autore di due poemi: Instructiones (esortazione


ai pagani perché si convertano; ammonimenti ai catecumeni e ai fedeli) e Car-
men apologeticum (esortazione ai timorati di Dio perché si rivolgano al cristia-
nesimo e non al giudaismo). Egli oppone un rifiuto persistente e deciso all'atti-
vità missionaria giudaica, che vede in concorrenza con quella cristiana. La sua
opera, quindi, è da inserirsi nell'antico uso letterario cristiano dell'Adversus ]u-
daeos. La sua lingua mostra uno stile molto popolare e non è facilmente com-
prensibile.. Per l'oscurità dei suoi concetti, Commodiano può classificarsi solo
con difficoltà nella storia dei dogmi. Nulla di certo può dirsi su di lui, sul suo
tempo e sulla sua provenienza. Di solito viene collocato nel III sec. e si vede in
lui il primo poeta cristiano latino che si conosca. Con argomenti più deboli è sta-
to assegnato anche al IV o V secolo.

Bibliografia: V. LOI, Commodiano nella crisi teologica ed ecclesiologica del 3. secolo, in


E. Majorana (a cura di), La poesia tardoantica: Tra retorica, teologia e politica. Atti dd 5 Cor-
so della Scuola Superiore di Archeologia e Civiltà Medievali presso il Centro di Cultura
Scientifica, Messina 1984, 187-207; K. 1'HRAEDE, Zur Datierung Commodians, inJAC 2 (1959),
90-114.

6. Vittorino

Vittorino: CPL 79-83.


Opera: J. T. HAUSSLEITER, t, 1916 (CSEL 49).

Vittorino, vescovo di Pettau, morto nel 304 come martire della perse-
cuzione(?) di Diocleziano, è il più antico esegeta latino. Nei suoi commen-
tari alla Bibbia dipende dai precedenti esegeti, specialmente da Origene.
Ci è rimasto al completo soltanto il .commento all'Apocalisse, di netta
tendenza millenarista, che venne rielaborato da Girolamo; ci è stato tra-
mandato anche un breve trattato sulla creazione del mondo (De fabrica
mundi).

Bibliografia: cf anche§ 33,2: C. CURTI, Il regno millenario in Vittorino di Petovio, in Aug. 18


(1978), 419-433; M. DULAEY, Victorin de Poetovio est-il l'auteur de l'opuscule sur l'Antéchrist pu-
blié par A. C. Vega?, in RSLR 21 (1985), 528-261.
228 VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre

7. Arno bi o di Sicca

Arnobio: CPL 93.


Adv. nat.: A. REIFFERSCHEID, T, 1875 (CSEL 4); C. MARCHESI, t, Torino 19532; G. E. McCRACKEN,
trad. ingl. e, 1949 (ACW 7ss.).
Adv. nat.: H. le BONNIEC, t trad. frane. e, Paris 1982.
Sussidi: L. BERKOWITZ, Index Arnobianus, Hildesheim 1967.

Arnobio appartiene al gruppo di apologeti della Chiesa antica. Maestro di re-


torica nella sua città natale di Sicca (Numidia), si convertì all'inizio del IV sec. al
cristianesimo. Nel suo Adversus nationes, egli combatté il paganesimo e cercò di
esporre la fede cristiana. La professione di fede vi appare del tutto insufficiente e
sembra aver subìto l'influenza di Marciane e del giudeo-cristianesimo eterodosso.

Bibliografia: B. AMATA, Problemi di antropologia arnobiana, Roma 1984; B. AMATA, Problemi


di antropologia arnobiana, in Sal. 45-46 (1983-1984), 775-844; 15-80; H. le BONNIEC, Tradition de
la culture classique. Arnobe témoin etjuge des cultes paiens, in BAG 3 (1974), 201-222; Y. M. Du-
VAL, Sur la biographie et !es manuscrits d'Arnobe de Sicca. Les informations de Jérome, leus sens et
leurs sources possibiles, in «Latomus» 45 (1986), 69-99; G. GIERLICH, Arnobius von Sicca. Kom-
mentar zu den ersten beiden Buchern seines Werkes Adversus nationes, Mainz 1985; R. LAURENTI,
Spunti di teologia arnobiana, in «Orpheus» 6 (1985), 270-303; A. VICIANO, Retorica, filosofia y
gramatica en el Adversus nationes de Arnobio de Sica, Frankfurt/M ecc. 1993.

8. Lattanzio

Lattanzio: CPL 85-92.


Opera: S. BRANDT - G. LAUBMANN, t, 1890-1893 (CSEL 19; 27); U. BOELLA, t trad. it., Firenze
1973; M. F. McDONALD, trad. ingl., 1964-1965 (FaCh 49; 54). Antologia: A. HARTL et al.,
trad. ted., 1919 (BKV 36).
De mort. pers.: J. L. CREED, t trad. ingl. e, Oxford 1984; J. MOREAU, t trad. frane. e, 2 voli., 1954
(SC 39); P. CALLIARI, trad. it., Roma 1967; U. MoRICCA, trad. it., Milano s.d.
Epitome: M. PERRIN, t trad. frane. e, 1987 (SC 335).
Div. inst.: P. MONAT, t trad. frane. e, 1973ss. (SC 204ss; 326; 337; 377).
De ira Dei: H. KRAFT-A. WLOSOK, t trad. ted. e, Darmstadt3 1974; C. INGREMAU, t trad. frane.
e, 1982 (SC 289).
De opificio Dei: M. PERRIN, t trad. frane. e, 2 voli., 1974 (SC 213ss.).

Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio (ca. 260-ca. 330) fu anch'egli originario


dell'Africa settentrionale, dove probabilmente aveva studiato presso Arnobio
(Girolamo, De vir. ill. 80). Svolse più tardi la sua attività di maestro di retorica
a Nicomedia, dove si fece cristiano; quando scoppiò la persecuzione di Diocle-
ziano, fu costretto a rinunciare alla sua attività d'insegnamento. Verso il 317 fu
chiamato alla corte di Costantino, e qui visse come educatore del figlio dell'im-
peratore, Crispo.
§ 40. La letteratura cristiana latina 229

Lattanzio («il Cicerone cristiano») mise le sue doti di scrittore a servizio


dell'annuncio della fede cristiana. Accanto a opere minori (De opificio Dei; De
ira Dei) vanno menzionate le sue Divinae institutiones (scritte negli anni 304-
313), un'apologia in 7 libri che confuta il politeismo pagano, ammonisce contro
la pericolosità della filosofia pagana e vuole esporre le verità fondamentali del
cristianesimo. Si tratta del primo tentativo latino di un approccio sistematico,
che fa constatare chiaramente le difficoltà di una simile impresa. Notevole ri-
mane la sua definizione di religione a sostituzione di quella di Cicerone: religio
deriverebbe da religare («legare» [con allusione al «vincolo di pietà che ci uni-
sce a Dio», Div.inst. IV 28, n.d.t.], e non da relegere («rileggere» [cioè cono-
scere esattamente gli atti del culto per eseguirli con diligenza, n.d.t.], cf Cicero-
ne, De nat. deor. 2,72). Il cristiano ne risulterebbe legato nel battesimo alla sua
origine (Div. inst. IV 28,3; cf De opi/. 19,8). L'uomo viene definito da Lattanzio
come homo religiosus, come adoratore di Dio (cultor Dei): «Per questo noi na-
sciamo, con questo noi riconosciamo il Creatore del mondo e nostro Dio. Per
questo riconosciamo, con questo adoriamo. Per questo adoriamo, con questo
conseguiamo l'immortalità come premio per le nostre fatiche. Ma il nostro im-
pegno più grande è l'adorazione di Dio» (Div. inst. VII 6,1).
Lattanzio è apologista anche nella sua opera De mortibus persecutorum,
scritta certamente tra il 313 e il 316, dove egli prende la storia al servizio della
difesa cristiana: i persecutori dei cristiani sarebbero morti tutti di una morte or-
ribile! Chi osa combattere contro Dio deve essere chiaramente punito. Lo scrit-
to rappresenta una fonte importante per la persecuzione di Diocleziano, per l' e-
poca di Massimino Daia, di Licinio e di Costantino.

Bibliografia: A. BENDER, Die naturliche Gotteserkenntnis bei Laktanz und seinen apologetischen
Vorgangern, Frankfurt/Main 1983;}. BRYCE, The Library o/Lactantius,. New York 1990; A. S. CHRI-
STENSEN, Lactantius the Historian. An Analysis o/ the De mortibus persecutorum, Kopenhagen
1980; J. FONTAINE - M. PERRIN (a cura di), Lactance et son temps. Recherches actuelles, Paris 1978.
E. HECK, Lactanz und die Klassiker. Zu Theorie und Praxis der Verwendung heidnischer Literatur in
christlicher Apologetik, in « Philologos » 132 (1988), 160-179; U. LOI, Lattanzio. Nella storia del lin-
guaggio e del pensiero teologico pre-Niceno, Ziirich 1970; P. MONAT, Lactance et la Bible, 2 voli., Pa-
ris 1982; C. OCKER, Unius arbitrio mundum regi necesse est. Lactantius' Concern /or the Preserva-
tion o/ Roman Society, in VigChr 40 (1986), 348-364; R. M. OGILVIE, The Library o/Lactantius,
Oxford 1978; M. PERRIN, I.:authenticité Lactancienne de l'Epitome des Institutions divines, in REAug
32 (1986), 22-40; A. WLOSOK, Laktanz und die philosophische Gnosis, Heidelberg 1960.
PARTE II
La Chiesa imperiale
tra tarda antichità e alto medioevo
VII. Il cristianesimo come religione dello Stato.
La cristianizzazione dell'Impero Romano

Bibliografia:§§ 41-45: P. CHUVIN, Chronique des derniers paiens. La disparition du paganisme


dans !'Empire romain du règne de Constantin à celui de Justinien, Paris 199F; P. P. }OANNOU, La
législation impériale et la christianisation de !'Empire romain (311-476), Roma 1972; R. KRAUTHEI-
MER, Rom. Schicksal einer Stadt (312-1308), Miinchen 1987; J. MATTEWS, Western Aristocracies
And Imperia! Court A. D. 364-425; Oxford 1975; A. MOMIGLIANO (a cura di), The Conflict between
Paganism And Christianity in the IV Century, Oxford 1963; P. THRAMS, Christianisierung des Ro-
merreiches und heidnischer Widerstand, Heidelberg 1992; F. R. TROMBLEY, Hellenic Religion And
Christianization c. 370-529, 2 voli., Leiden 1993.

§ 41. Da Costantino a Teodosio

J. N. HILLGARTH, Christianity And Paganism, 350-750. The Conversion o/ Western Europe, trad.
ingl., Philadelphia 1986.
Eusebio, Vita Const.: H. A. DRAKE, In Praise o/ Constantine, trad. ingl. e, Berkeley 1976 (cf anche
§ 75,1: edizioni delle opere;§ 23: H. E.); L. TARTAGLIA, trad. it., Napoli 1984.
Costantino il Grande: W. KEIL, Quellensammlung zur Religionspolitik Konstantis des Groflen, t
trad. ted., Darmstadt 1989.
Giuliano l'Apostata, Opera: W. C. WRIGHT, t trad. ingl., 3 voli., London 1962-1969; J. BIDEZ et
al., t trad. frane., 4 voli., Paris 1932-1964.
Epist.: B. K. WEIS, t trad. ted., Miinchen 1973; M. CALTABIANO, t trad. it. e, Napoli 1991.
Misopogon: C. PRATO - D. MICALELLA, t trad. it. e, Roma 1979.
Orat.: C. PRATO - C. MARCONE, t trad. it., e, Milano 1987 (ScGrLat).
Contra Galil.: E. MASARACCHIA, t trad. it. e, Roma 1990.
Libanio, Orat.: J. MARTIN - P. PETIT, t trad. frane., 2 voli, Paris 1979-1988; R. ROMANO, trad.
it. e, Napoli 1982; antologia: A. F. NORMAN, t trad. ingl., 2 voli., London 1977. Epist.: G. FA-
TOUROS - T. KRISCHER, t trad. ted, Miinchen 1980.
Simmaco, Relat.: R. H. BARROW, t trad. ingl., Oxford 1973; D. VERA, .t trad. it., Pisa 1981.
Relatio III. R. KLEIN, Der Streit un den Victoria-Altar, t trad. ted., Darmstadt 1972.
Panegirici: XII Panegyrici Latini: R. A. B. MYNORS, t, 1964, rist. Oxford 1973.

1. Costantino il Grande

a) LA DECISIONE PER IL DEUS-CHRISTUS


Con l'editto dell'imperatore Galerio del 311 la politica religiosa subì una
svolta a favore del cristianesimo (§ 16,5). Costantino, a dire il vero, non aveva
234 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

preso parte direttamente a questa decisione, ma fu proprio lui a rendere la reli-


gio christiana, ormai pubblicamente tollerata, una religione generosamente fa-
vorita, alla quale egli stesso legò il suo destino politico.
Dopo la fine della prima tetrarchia, nel 305, subentrarono regolarmente co-
me Augusti i precedenti Cesari, cioè Costanzo Cloro e Galerio Massimiano; co-
me nuovi Cesari furono da loro designati Flavio Valerio Severo in occidente e
Massimino Daia in oriente (cf § 16,5c). Dopo l'improvvisa morte di Costanzo
Cloro, nel 306, gli successe Flavio Severo. Costantino, che era nato intorno al
280 (o 272?) da Costanzo Cloro ed Elena, venne proclamato illegalmente Au-
gusto dalle sue truppe a York e riconosciuto come Cesare da Galerio. Nel
306/307 Massenzio, figlio di Massimiano e cognato di Costantino, soppiantò Se-
vero dopo una sollevazione a Roma e si fece proclamare Augusto; ma nel «con-
vegno di Carnuntum » (308) Galerio riconobbe come Augusto d'Occidente Li-
cinio Liciniano, e non Massenzio.
Dopo la morte di Galerio (maggio 311) si contesero il trono in oriente
Massimino Daia e Licinio Liciniano. Licinio si attenne all'editto di tolleranza
di Galerio, mentre Massimino Daia tornò a una politica ostile ai cristiani. Co-
stantino, che intanto aveva consolidato la sua posizione in Britannia, Gallia e
Spagna, si alleò con Licinio e gli promise in sposa sua sorella Costanza. Assi-
curatosi in questo modo, egli attaccò il suo rivale in occidente Massenzio, che
dominava l'Italia e dal 311 anche l'Africa. Il 28 ottobre del 312 si arrivò allo
scontro decisivo tra i due eserciti. Nella battaglia presso Ponte Milvio Mas-
senzio rimase sconfitto e trovò la morte nel Tevere. Costantino entrò come
trionfatore in Roma.
Già grazie ai suoi primi successi militari e politici Costantino si vide legitti-
mato e destinato da un potere divino ad essere sovrano. Dopo una visione di
Apollo nel tempio di Grand (Lorena) (Paneg. VI 21, t a cura di Mynors), egli si
era scelto il Sol Invictus come sua divinità protettrice. La vittoria su Massenzio,
con cui egli era divenuto sovrano assoluto dell'occidente, segna un ulteriore
evento religioso decisivo dell'imperatore.

Secondo il racconto di Lattanzio (De mort. pers. 44), l'imperatore avrebbe ricevuto in sogno
l'ordine di far dipingere sugli scudi dei suoi soldati «il segno celeste di Dio» (caeleste signum Dei):
uno staurogramma, cioè un simbolo a forma di croce, la cui punta superiore era ricurva [si trat-
tava in pratica del monogramma di Cristo, n.d.t.]. Eusebio è a conoscenza nella sua Storia eccle-
siastica (IX 9,2, pubblicata intorno al 315) soltanto di una preghiera al Cristo Dio prima della bat-
taglia. Nella sua Vita Constantini (I 28) egli racconta che Costantino avrebbe pregato il «Dio di
suo padre» (Costanzo Cloro era stato manifestamente incline al monoteismo e degli editti di per-
secuzione di Diocleziano aveva fatto applicare unicamente il primo, e anche questo soltanto nei
princìpi). In pieno giorno l'imperatore avrebbe poi visto disegnarsi nel cielo una croce luminosa,
insieme alle parole: In hoc signo vinces ! («vincerai con questo segno», toutéò vuca). Nella notte
seguente il Cristo gli sarebbe apparso in sogno e gli avrebbe ordinato di riprodurre il segno cele-
ste e di usarlo come mezzo di difesa.
§ 41. Da Costantino a Teodosio 235

Questi racconti così abbelliti potrebbero avere la loro base nel fatto che Co-
stantino, secondo l'antico uso, prima della battaglia avrebbe scelto Cristo come
aiuto divino per il combattimento e gli avrebbe quindi riconosciuto il merito del-
la sua vittoria. In effetti, dopo il suo ingresso in Roma tralasciò il consueto sacri-
ficio di ringraziamento sul Campidoglio. L'iscrizione dedicatoria dell'arco di
trionfo eretto nel 315 attribuiva la vittoria all' «ispirazione divina» (instinctu di-
vinitatis). Il segno di Cristo apparve per la prima volta chiaramente nel 315 co-
me ornamento dell'elmo imperiale (medaglione d'argento di Ticino [Pavia]).
L'insegna militare descritta da Eusebio (Vita Constantini I 31), cioè lo stendardo
a forma di croce con il monogramma di Cristo cui viene dato il nome di làbaro,
è dimostrabile dal 326. Costantino, inoltre, prese a partire dalla primavera 313
una serie di provvedimenti a favore della Chiesa cristiana, tra i quali l'Accordo
[comunemente noto come Editto] di Milano e la Lettera al proconsole Anullino.
- L'Accordo di Milano: in 'occasione delle nozze di Costanza con Licinio
nella primavera del 313 a Milano, i due imperatori si accordarono su una co-
mune politica religiosa che fosse benevola nei confronti dei cristiani. L'accordo
si basava sull'editto di Galerio, ma concedeva inoltre una generale libertà di cul-
to e richiedeva il risarcimento di tutti i danni che la Chiesa aveva dovuto subire
durante l'ultima persecuzione. Gli imperatori avrebbero sperimentato il «favo-
re divino» (divinus Javor), che avrebbero voluto assicurare per sempre all'Im-
pero (Lattanzio, De mort. pers. 48,11). Quanto era stato dichiarato a Milano si
può dedurre da una lettera circolare scritta dall'imperatore Licinio dopo la sua
vittoria conseguita su Massimino Daia il 13 giugno 313. Con questa lettera (De
restituenda ecclesia) egli estendeva la politica favorevole ai cristiani al territorio
su cui aveva precedentemente regnato Massimino Daia (Lattanzio, De mort.
pers. 48,2-12; Eusebio, H. E. X 5,2-14).
-Le Lettere al proconsole Anullino nel Nordafrica: nella primavera del 313
Costantino intervenne a favore della Chiesa dell'Africa settentrionale, conside-
rata come un «granaio», Si tratta di ordinanze (Eusebio, H. E. X 5,15-17;
7,1-2) che dispongono la restituzione del patrimonio ecclesiastico, sovvenzioni
finanziarie per la Chiesa e l'esenzione dei chierici cristiani da prestazioni di ser-
vizi pubblici (i cosiddetti munera publlca, cf anche CTh XVI 2,2), perché l'im-
peratore vedeva nel loro servizio religioso una condizione indispensabile per il
benessere dello Stato.

b) LA PROTEZIONE DELLA RELIGIO CHRISTIANA

La conversione personale di Costantino a Cristo Dio portò alla Chiesa cri-


stiana un riconoscimento pubblico senza limiti e l'equiparazione con i culti
pagani. La religione cristiana interessava ormai direttamente l'Impero Roma-
236 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

no, entrava in questo modo nella sfera dello jus publicum e nell'ambito di per-
tinenza dell'imperatore. Oltre ai privilegi menzionati nelle lettere ad Anullino
sono da ricordare anche i seguenti: la capacità di ereditare riconosciuta alla
Chiesa (nel 321: CTh XVI 2,4), una giurisdizione civile pubblicamente rico-
nosciuta per i vescovi (324[?]: CTh I 27,1; cf § 61,4.7), il riconoscimento giu-
ridico della liberazione degli schiavi davanti al vescovo (manumissio in eccle-
sia, 316: CJ I 13,l; 321: CTh IV 7,1), la Domenica come giorno di riposo (321:
CJ III 12,2; cf CTh II 8,1; Eusebio, Vita Const. IV 18-20). A tutto questo si
aggiungevano sovvenzioni finanziarie e donazioni a chiese, con le quali Co-
stantino proseguiva la tradizione delle donazioni imperiali ai templi. Ai se-
guaci dell'antica religione veniva lasciata la libertà di seguire i propri culti. La
stragrande maggioranza della popolazione dell'impero, specialmente in occi-
dente e in campagna, era ancora pagana e in nessun caso abbandonò rapida-
mente i «templi della menzogna» per passare alla «luminosa casa della ve-
rità» (Eusebio, Vita Const. II 56). Nel 319 venne proibita la cerimonia sacri-
ficale privata (CTh IX 16,2), ritenuta politicamente sospetta. Azioni ostili
contro i pagani non si possono accertare nei primi anni di potere assoluto di
Costantino.
Costantino divenne sovrano assoluto nel 324 con la battaglia di Crisopoli. Il
suo cognato e collega nel regno Licinio aveva seguito subito dopo il 313 una po-
litica autonoma, con iniziative sul piano politico-religioso che lo avevano porta-
to a riprendere la persecuzione dei cristiani nella parte orientale dell'impero. La
vittoria, sotto il segno della Croce (Eusebio, Vita Const. II 16), rafforzò Costan-
tino nella fiducia verso il suo «Dio Salvatore» (Vita Const. IV 36): «Il mio ser-
vizio l'ha voluto Dio, che l'ha ritenuto adatto per realizzare i suoi disegni» (ibid.
II 28). In occasione del giubileo ventennale di governo, celebrato nel 326, l'im-
peratore rinunciò a partecipare al sacrificio dell'esercito sul Campidoglio eden-
trò così in conflitto con il senato romano, che si presentava ormai come difen-
sore e custode dell'antica tradizione romana. Nella distribuzione delle più alte
cariche pubbliche e statali si privilegiarono i cristiani (Vita Const. II 44). Ai fun-
zionari pagani venne proibito il sacrificio (ibidem); non è dimostrabile, tuttavia,
una proibizione generale dei sacrifici. In Oriente vennero distrutti alcuni templi
(Eusebio, Laus Const. 8,1-3; Vita Const. III 56-58), al posto dei quali dovevano
istituirsi luoghi destinati alle riunioni cristiane, «più alti, più larghi e più lunghi,
affinché potessero accogliere in futuro tutti gli uomini» (Vita Const. II 45).
Questo deciso favore di Costantino ne dimostra la volontà di porre l'Impero Ro-
mano sotto la protezione del Cristo Dio e di assicurare il benessere dello Stato
attraverso un conveniente culto di questo Dio. Per tale motivo egli condannò
anche quei cristiani che non seguivano la catholica lex (CTh XVI 5,1), o quelli
che ai suoi occhi ne ostacolavano l'unità, come accadde nella controversia aria-
na e sulla divinità di Cristo.
§ 41. Da Costantino a Teodosio 237

La legislazione imperiale si liberò del formalismo giuridico a favore di uno


spiccato moralismo. Essa risultò in questo ampiamente sorretta da forme giuridi-
che contemporanee e rimase anche all'interno di questi limiti. Concezioni cristia-
ne influenzarono le leggi matrimoniali: nel 326 venne proibito il concubinato per
i mariti (CJ V 26,1; cf CTh IX 7,1); nello stesso anno 326 (?)si rifiutarono le se-
conde nozze (CJ V 37,22,5) e nel 331 si rese difficile il divorzio (CTh III 16,1).
Furono revocate le di~posizioni che danneggiavano coloro che non avevano figli
e i celibi (320: CTh VIII 16,1; cf Eusebio, Vita Const. IV 26,2-4). La proibizione
della crocifissione come mezzo di esecuzione capitale (Aurelio Vittore, Caes. 41,4;
Sozomeno, H. E. I, 18,12-13) potrebbe aver avuto una motivazione cristiana, co-
me anche il divieto di deturpare il volto umano (CTh IX 40,2; Sozomeno, H. E.
IV 2,4). In senso inequivocabilmente cristiano, infine, vanno interpretate tutte
quelle leggi che riguardano direttamente religione e Chiesa cristiana (vedi sopra).
L'intento di riorganizzare il territorio imperiale condusse alla fondazione di
Costantinopoli. La piccola città di Bisanzio, sul Bosforo, divenne una nuova ca-
pitale, solennemente inaugurata nel 330, che avrebbe portato in seguito il nome
dell'imperatore. Egli la costruì come sua città di residenza e in chiaro parallelo
con Roma. Soltanto più tardi (Concilio di Costantinopoli del 381, can. 3 ), ne di-
venne la rivale come nuova/seconda Roma.

c) L'IMPORTANZA DI COSTANTINO

Costantino operò la svolta dal culto pagano alla religione cristiana come an-
tico homo religiosus che aveva personalmente sperimentato il favore del Dio cri-
stiano ed ora doveva dargli ciò di cui gli era debitore nella pienezza del potere
imperiale. Poiché gli interessi della Chiesa riguardavano anche lo Stato romano,
poiché dissidi e scissioni nella Chiesa potevano mettere in pericolo e destabiliz-
zare lo Stato dall'interno, Costantino e i suoi successori intervennero continua-
mente con tutto il loro peso nelle faccende ecclesiastiche.
Costantino nominò i giudici che, presieduti da Milziade, dovevano appianare la controversia
nordafricana con i donatisti, e convocò nel 314 un sinodo ad Arles (cf § 52). In una lettera ad Ales-
sandro d'Alessandria e Ario egli formulò la sua idea circa l'unità dei popoli, con concetti che do-
vevano essere conformi alla dimensione divina e influenzare positivamente, così, la natura dello
Stato e il mondo intero, l'ecumene (Eusebio, Vita Const. II 64,72; cf anche Opitz, Urkunden zur
Geschichte des arianischen Streites, N° 17). Nelle discussioni su Ario egli cercò sempre di fare da
mediatore; oltre a numerose assemblee minori, egli convocò a Nicea un sinodo imperiale, il pri-
mo concilio ecumenico, e lo presiedette (cf § 47), s'intromise nelle faccende dei vescovi, ne de-
pose alcuni, riabilitò Ario, minacciò e ammonì, senza capire sempre nel modo giusto il problema
teologico e il suo significato. ·

Lo ius in sacris di pertinenza imperiale non poteva esplicarsi in maniera di-


versa nei confronti della Chiesa cristiana. Coerentemente con questo principio,
238 V.II. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

egli interpretò il proprio ruolo: come «servo di Dio», egli rimase sovrano al di
sopra della Chiesa; come Ènicn.:onoç téòv ÈKt6ç, «vescovo per le cose esterne»
(Eusebio, Vita Const. IV 24; questa interpretazione sembra, nella prospettiva
della sua autoconsapevolezza, più plausibile di quella che si propone in alterna-
tiva: «vescovo di coloro che sono al di fuori»), egli si vide come nominato e in-
viato direttamente da Dio, «una specie di vescovo universale», come ebbe a
chiamarlo Eusebio di Cesarea (Vita Const. I 44). Eusebio, legato a Costantino a
partire dal 325 e pieno di sincera ammirazione per lui e per la sua politica, for-
mulò in maniera determinante la teologia di corte, quella che sarebbe stata la
nuova teologia imperiale.
Costantino morì il giorno di Pentecoste (22 maggio) del 337; poco prima era
stato battezzato da Eusebio di Nicomedia (Vita Const. IV 62-64). Secondo il suo
desiderio, venne sepolto a Costantinopoli, nella chiesa degli Apostoli (ibid. 70-71).

La Chiesa greca lo venerò più tardi insieme alla madre Elena come santo, con sviluppi leg-
gendari nel racconto del ritrovamento della Croce da parte di Elena (Vita Const. III 41-47; Am-
brogio, De obitu Theodosii 4.3 ), e come« eguale agli apostoli», ÌO'<X1tOO'toÀ.oç, o« tredicesimo apo-
stolo». Nella Chiesa occidentale egli ricevette il soprannome di «Grande». Qui la sua figura è
stata plasmata attraverso la leggenda di Silvestro (derivante sicuramente da una traqizione roma-
na formatasi sul finire del V sec.), che esalta il ruolo del «papa» Silvestro nei confronti dell'impe-
ratore. Questa tendenza culmina nella leggenda della cosiddetta «donazione costantiniana»
(Constitutio Constantina), secondo la quale Costantino avrebbe donato al papa le insegne impe-
riali insieme allo Stato della Chiesa.

2. Il regno dei figli di Costantino

Dopo la morte di Costantino e l'uccisione di probabili rivali al trono appar-


tenenti alla stessa famiglia (settembre 337), assunsero il potere i suoi tre figli:
Costantino II (337-34) in Gallia, Costanzo II (337-361) in oriente e Costante
(337-350) in Italia, Africa e Pannonia. Poiché i rispettivi ambiti di potere e di
competenza non erano chiaramente definiti, si arrivò a una guerra fratricida tra
Costantino e Costante, di cui rimase vittima nel 340 Costantino. Costante rima-
se allora unico sovrano in occidente, Costanzo in oriente. Contro i due si sollevò
l'usurpatore Magnenzio. Mentre Costanzo perdette la vita combattendo contro
costui, Costanzo riuscì a vincerlo, anche se con gravi perdite, nella battaglia
combattuta presso Mursa (Illirico) nel 351 (durante la battaglia l'imperatore
pregò sulla tomba di un martire); due anni più tardi, dopo il suicidio di Ma-
gnenzio, egli rimase incontrastato sovrano assoluto.
Per quanto riguarda la politica religiosa, i figli di Costantino proseguirono
sulla linea tracciata dal padre. Sorretti dalla stessa consapevolezza della loro
missione, essi seguirono la teologia politica di Eusebio. Sul piano confessionale,
essi seguirono strade diverse: Costanzo fu antiniceno, Costante niceno (cf §§ 47-
§ 41. Da Costantino a Teodosio 239

48), con prese di posizione da parte delle corrispondenti professioni di fede in


merito alla lealtà o slealtà attribuibili ai rispettivi imperatori.
I figli di Costantino furono concordi, invece, nel rifiuto del paganesimo, ed
anzi rinunciarono al cauto atteggiamento del padre. La loro parola d'ordine fu:
«Deve cessare la superstizione, si deve eliminare la follia dei sacrifici» (Cesset
superstitio, sacri/iciorum aboleatur insania, CTh XVI 10,2). In questo, l'atteggia-
mento imperiale fu accompagnato da una crescente intolleranza religiosa da
parte dei cristiani, così come venne espressa da Firmico Materno (De errore re-
ligionum pro/anarum). Nel 341 l'imperatore Costanzo emanò un decreto che
proibiva i sacrifici (CTh XVI 10,2). Ma nel 342 si vietò la distruzione di templi
nel territorio di Roma (CTh XVI 10,6). Costanzo proibì tutte le forme di magia
e di pratiche divinatorie (CTh IX 16,5-6), come anche i sacrifici e l'adorazione
delle immagini degli dèi (CTh XVI 10,6), e pretese la chiusura dei templi (CTh
XVI 10,4). Le leggi, tuttavia, non furono rigorosamente osservate. La forza del
paganesimo costrinse a fare delle concessioni. È pur vero che l'imperatore Co-
stanzo ordinò, in occasione della sua visita a Roma nel 357, la rimozione dell' al-
tare della dea Vittoria (Ara Victoriae) dalla curia senatoria (Simmaco, Ep. 10,3,6;
Ambrogio, Ep. 73,32), ma dovette anche riconoscere e garantire i privilegi e il
sostegno finanziario dei culti pagani (Simmaco, Ep. 10,3,7). L'aristocrazia paga-
na presente a Roma si sentì così rafforzata e divenne per gli anni successivi il
centro di un'opposizione pagana.

3. La politica di restaurazione di Giuliano

Il successore dei figli di Costantino, Giuliano (361-363), figlio di un fratel-


lastro di Costantino il Grande, operò un radicale capovolgimento. Egli aveva
frequentato ad Efeso la scuola del neoplatonico Massimo e, malgrado la sua
educazione cristiana, dichiarò nuovamente la sua fede negli antichi dèi. Come
Costantino, anch'egli era pienamente consapevole di una missione da compiere
e credeva di essere stato chiamato a salvare l'ellenismo e, con esso, l'Impero. Nel
355 Costanzo l'aveva inviato come Cesare in Gallia, dove si era dimostrato un
abile condottiero. Cinque anni più tardi le sue truppe lo proclamarono Augu-
sto. La morte del cugino Costanzo aprì a Giuliano nel 361 la strada per il trono.
Egli si appoggiò sull'opposizione pagana nell'impero e formulò coscientemente
la sua politica religiosa come politica di restaurazione, forse in senso voluta-
mente anticostantiniano. Furono abrogate le leggi che limitavano il paganesimo
e furono di nuovo promossi pubblicamente gli antichi culti (Editto di restitu-
zione, dicembre 361; Ammiano Marcellino, Res gestae 22,5,2). Ritirò invece il
favore di cui godevano la Chiesa e il clero. All'interno della Chiesa nacquero
gravi difficoltà quando Giuliano fece ritornare i vescovi esiliati da Costanzo.
240 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

Inoltre, i funzionari cristiani furono allontanati dai posti più alti e si proibì ai cri-
stiani di esercitare la professione di maestri (362; Ammiano Marcellino, Res ge-
stae 22.10,7; cf CTh XIII 3,5; CJ X 53,7; Socrate, H. E. III 13,2). A Roma ven-
ne ripristinato l'altare della Vittoria, a Gerusalemme venne iniziata la ricostru-
zione del tempio, che però a causa di un terremoto non fu proseguita (Ammia-
no Marcellino, Res gestae 23,1,2-3; Teodoreto, H. E. III 20).
Giuliano scrisse anche contro i cristiani, «i galilei», come egli li chiamava
con disprezzo. Veramente non procedette a una diretta persecuzione, ma azio-
ni cruente e violazioni nei confronti dei cristiani rimanevano impunite: «Che
importanza ha se una mano ellenica ha ucciso dieci galilei?» (Epist., raccolta del
Weis, framm. 9). L'imperatore, !'«ultimo santo degli dèi greci», prese la sua
missione molto seriamente. In veste di Ponti/ex Maximus eseguiva egli stesso at-
ti di culto e riti sacrificali (Ep. 21, Weis), ma le sue iniziative non riscossero mol-
to successo ed ebbero uno scarso seguito. Al cristianesimo volle contrapporre
un paganesimo organizzato quasi come una Chiesa. Pretese grande serietà per
la formazione e la condotta dei sacerdoti (Epist. 39; 47, Weis) e sollecitò attività
caritative da parte delle comunità adibite al culto. Ma proprio in questo zelo
missionario gli rimase negato il successo. La sua morte precoce durante la spe-
dizione militare contro i Persiani nel 363 pose fine all'energica opera di restau-
razione.
Secondo Teodoreto, Giuliano morente avrebbe esclamato: «Galileo, hai
vinto!» (H. E. III 25,7; cf invece Ammiano Marcellino, Res gestae 25,3 ). Si trat-
ta di un'invenzione cristiana, che però corrisponde alla situazione effettiva.
L'Impero Romano rimase avviato a diventare un impero cristiano. I Padri della
Chiesa videro in Giuliano l'Apostata, sul quale essa aveva trionfato, «una pic-
cola nube che si dileguò rapidamente» (Atanasio, secondo Sozomeno, H. E. V
15,3; cf gli scritti dei Padri della Chiesa Contra Iulianum, per es. di Gregorio di
N azianzo, di Cirillo d'Alessandria, ecc.).

4. Predominio cristiano e resistenza romana

Gli imperatori che vennero dopo Giuliano [Gioviano (363-364), Valentinia-


no I (364-375, in occidente) e Valente (364-378, in oriente)] tornarono alla pre-
cedente politica religiosa. Le chiese cristiane furono restituite alla loro posizio-
ne privilegiata, ma in compenso si determinò politicamente una certa tolleranza
nei confronti del paganesimo.
L'opposizione pagana, sostenuta dall'aristocrazia e da circoli intellettuali,
continuò ad essere vivace. La sua religiosità comprendeva culti misterici orien-
tali, il neoplatonismo di un Giamblico, astrologia e venerazione entusiastica
dell'antichità romana, così come possiamo percepirla nell'iscrizione tombale
§ 41. Da Costantino a Teodosio 241

(ILS 1259) del prefetto di Roma Pretestato (morto nel 384), nei Saturnalia di
Macrobio e negli scritti di Simmaco. Un mezzo di propaganda pagana furono
certamente le cosiddette «contornate», monete commemorative con immagi-
ni di dèi, che furono coniate per la prima volta a Roma nel 356. Ma tutte que-
ste attività pagane non riuscirono più a mutare il corso degli eventi. Nella stes-
sa antica capitale dell'Impero, Roma, cominciò a farsi sentire in quegli anni un
deciso ritorno alla Chiesa cristiana. Sotto il papa Damaso (366-384) vasti set-
tori dell'aristocrazia romana trovarono il modo di arrivare al cristianesimo.
Roma divenne anche visibilmente una città cristiana. Sotto Valentiniano I il se-
guace dell'antica religione viene denominato nelle leggi imperiali come paga-
nus (CTh XVI 2,18). La denominazione non viene spiegata in modo univoco:
a) paganus da pagus, con allusione al fatto di vivere in villaggi (pagi), in cam-
pagna, dove sarebbe sopravvissuta più a lungo l'antica religione; b) paganus
nel senso di civile, borghese, non-soldato, in quanto non appartenente ai mili-
tes Christi (soldati di Cristo) [il rapporto con la parola pagus, desunto da un
testo di Tertulliano, è da vedersi in tal caso nell'indole pacifica e tranquilla
propria degli abitanti dei pagi, in contrapposizione all'indole dei milites,
n.d.t.].
I successivi imperatori abbandonarono l'atteggiamento di tolleranza nei
confronti dei pagani e accelerarono una legislazione antipagana. L'imperatore
Graziano (375-383) depose sotto l'influsso del vescovo di Milano Ambrogio (cf
§ 76,2) il titolo di Ponti/ex maximus. Ne risultava chiara la separazione dell'Im-
pero dagli antichi culti, ma anche la superiorità del culto cristiano difesa da Am-
brogio. Il vescovo di Milano rivendicava l'autonomia della Chiesa in questioni
di fede, ma anche nella sfera sacramentale: le faccende interne della Chiesa (in-
terna ecclesiae) erano prerogativa dei sacerdoti, solo quelle esterne (externa) era-
no sottoposte al compito di protezione dell'imperatore. Ambrosio, in tal modo,
assegnava all'imperatore il suo posto: come figlio della Chiesa (jilius ecclesiae),
egli stava non al di sopra, ma dentro la Chiesa (Contra Auxentium 36 = Ep. 75a,
36; 76). Graziano fu costretto a revocare nel 379 l'editto di tolleranza emanato
a Sirmio nel 378, che assicurava un'equiparazione dei diritti a tutti:i gruppi e a
tutte le confessioni cristiane, tranne che ai manichei e agli ariani estremisti (So-
crate, H. E. V 2,1): tutte le eresie vennero proibite (CTh XVI 5,5; per la con-
troversia con gli ariani cf § 48,6).
Nel 382 Graziano promulgò diverse leggi contro il paganesimo: ritiro delle
sovvenzioni statali per i culti romani, per i sacerdoti e le vestali, sequestro della
proprietà terriera dei templi e proibizione di lasciti testamentari di terre a sa-
cerdoti e vestali (CTh XVI 7,1-2; X 7,8). Certamente nello stesso anno egli fece
rimuovere dalla curia senatoria l'altare della Vittoria. Proprio quest'ordine sca-
tenò a Roma l'opposizione pagana, che protestò a viva voce e difese i suoi anti-
chi diritti. Ma la sua protesta era destinata a rimanere senza esito, tanto più per
242 . Vff Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

il fatto che Ambrogio appoggiava energicamente le disposizioni di Graziano. Il


successore di Graziano, Valentiniano II (383-392), mantenne sotto l'influsso di
Ambrogio la stessa rotta del suo predecessore, che dopo qualche esitazione ini-
ziale fu condivisa anche dall'imperatore d'oriente, Teodosio I (379-395).

L'opposizione pagana si rivolse a dire il vero anche a questi imperatori per reclamare il dirit-
to alla propria esistenza e il sostegno statale. Nella Relatio III di Simmaco (tarda estate del 384)
essa metteva insieme tutti i suoi argomenti e pretendeva la tolleranza religiosa: «A un così gran-
de mistero (Dio) non si può arrivare percorrendo un'unica strada!» (Re!. 3,10; cf Ambrogio, Ep.
72a). Questa relazione può essere considerata come documento classico degli« antichi credenti».
Essa era abilmente formulata (un sincretismo neoplatonico guida la penna, la storia di Roma pro-
va l'utilità dei culti pagani) e rimase non senza influenza nella corte imperiale. Ma Ambrogio ne
ottenne il rifiuto senza alcun compromesso (Ep. 72; 73 ).

5. Teodosio il Grande

Teodosio il Grande (379-395, sovrano unico dal 392) condusse a termine il


lungo processo di separazione dell'Impero Romano dalla religione pagana. Con
il legame esclusivo tra Impero e religione cristiana egli fondò la Chiesa imperia-
le. Il 28 febbraio 380 egli emanò, anche a nome degli imperatori Graziano e Va-
lentiniano II, il suo famoso editto Cunctos populos (CTh XVI 1,2), al quale se-
guì il rescritto esecutivo del 10 gennaio 381 (CTh XVI 5,6). Con questa «di-
chiarazione programmatica» di politica religiosa egli pose fine alla lunga con-
troversia all'interno della Chiesa sulla professione di fede nicena (cf §§ 47-49):
tutti i sudditi dell'Impero dovevano riconoscere la professione di fede nicena, e
precisamente nella stessa forma in cui era stata interpretata dai vescovi Damaso
a Roma e Pietro ad Alessandria. La legge riguardava innanzitutto non solo i cri-
stiani nell'Impero, ma, nella misura in cui si rivolgeva a «tutti i popoli», indi-
cava come mèta ultima un'unica religione dell'Impero, in cui il popolo dell'Im-
pero si sarebbe identificato nel popolo della Chiesa.
A partire dal 388 i templi furono chiusi e spesso distrutti o trasformati in chie-
se cristiane. Invano il rètore pagano Libanio si rivolse all'imperatore con la sua Ora-
tio pro templis (388). Ad Alessandria, sotto la guida del vescovo Teofilo, furono di-
strutti nel 391 gli antichi santuari, tra i quali il famoso Serapeion. Si susseguirono ra-
pidamente proibizioni dello stesso tenore, come il divieto di frequentare i templi e
di adorare le immagini degli dèi (CTh XVI 1O,1 O), il convertirsi al paganesimo (CTh
XVI 7,4-5), e infine, 1'8 novembre 392, ogni forma di culto pagano (CTh XVI
10,12). Quando nel 392 l'usurpatore Eugenio si sollevò a Roma contro Teodosio,
l'opposizione pagana si raccolse per l'ultima volta in un'azione politica. Due anni
più tardi, il 5/6 settembre 394, Eugenio venne battuto sull'Isonzo (il Frigido) pres-
so Aquileia e l'esercito pagano cedette a quello cristiano (Ambrogio, De obitu
§ 41. Da Costantino a Teodosio 243

Theod. 7; Teodoreto, H. E. V 24ss.). Il paganesimo veniva così definitivamente


sconfitto e diventava addirittura socialmente emarginato. Non era più possibile es-
sere pagani e romani nello stesso tempo, almeno ufficialmente. La vita pagana e il
pensiero pagano continuarono a trovare le loro nicchie, ma i violenti attacchi di
Agostino all'antica Roma, alla sua storia, alla sua religione e alla sua cultura, così co-
me li vediamo espressi nella Civitas Dei, non furono un semplice gioco letterario.

Il guardare in maniera sempre più esclusiva alla Chiesa (nicena) danneggiò anche la posi-
zione dei giudei. Essi non erano certamente inclusi negli «sforzi di conversione»; non vi furo-
no contro di loro divieti di riunione e di culto, ed in linea di principio vennero punite le vio-
lenze commesse contro di loro (393: CTh XVI 9,9); ma d'altra parte Ambrogio poté impedire
a Teodosio di costringere alla ricostruzione di una sinagoga distrutta da cristiani (Ambrogio,
Epist. extra col!. 1/la; Paolino, Vita Ambr. 22-23 ). La religione giudaica venne considerata co-
me superstizione (superstitio, cf CTh XVI 8,8); si cercò di contrastarne l'azione missionaria
(CTh XVI 8, 1-3), si proibirono le nozze tra giudei e cristiani Costanzo II, CTh XVI 8,6; Teo-
dosio I, CTh III 7,2; CJ I 9,6), si vietò l'acquisto di schiavi cristiani o la circoncisione di schia-
vi (Costantino II, CTh XVI 9,2; Teodosio I, CTh III 1,5). Come sempre, i giudei reclamarono
il diritto alla protezione dello Stato.

6. Tramonto del paganesimo

Teodosio spartì la sovranità sul territorio imperiale tra i suoi due figli. Arca-
dio (395-408) divenne imperatore della parte orientale, Onorio (395-423) della
parte occidentale. Entrambi gli imperatori fecero valere coerentemente le leggi
antipagane. Arcadio tolse ai sacerdoti pagani ciò che rimaneva dei loro privilegi
e dei loro introiti e fece sopprimere i templi nelle campagne (leggi degli anni 396
e 399). Il figlio Teodosio II (408-450) escluse nel 416 i pagani dagli uffici statali.
Le violenze contro i pagani rimasero impunite. Di un pogrom provocato dai cri-
stiani ad Alessandria nel 415 rimase vittima la filosofa neoplatonica Ipazia (So-
crate, H. E. VII 15). Nel 448 l'imperatore ordinò di bruciare gli scritti di Porfi-
rio ostili al cristianesimo (cf § 17,3 ). L'imperatore Giustiniano (527-565) fece
chiudere nel 529 l'Accademia di Atene, l'ultimo centro del sapere pagano. Sotto
di lui si arrivò anche a battesimi forzati e a misure coercitive contro i pagani.

7. Sguardo d'insieme

Le speranze di un'unità tra Impero Romano e Chiesa cristiana, espresse dai


cristiani fin dal II sec., si erano realizzate. Imperatori cristiani governavano un
Impero cristiano, ma senza che il rapporto tra imperatore e Chiesa fosse così
chiaro come poteva far pensare la teologia politica di Eusebio. Le pretese del
potere imperiale {«Ciò che io voglio deve valere come canone ecclesiastico»;
244 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

Costantino ad Atanasio, Hist. Arian. 33,7) e la tendenza autonomistica della


Chiesa cambiavano a seconda della situazione e della confessione.
Alla fine del IV secolo il seme per una reciproca rottura e per una vita da
condurre in reciproca indipendenza era già gettato. Valentiniano I fu l'ultimo
imperatore occidentale che riuscì a difendere i confini. Già poco dopo la sua
morte i visigoti giunsero oltrepassando il Danubio (375), e all'inizio del V sec.
i vandali si spinsero verso la Gallia, la Spagna e il Nordafrica: nel 410 il visi-
goto Alarico irruppe in Roma. L'Impero d'Occidente fu costretto ad assestar-
si nel contesto di popolazioni germaniche che erano per lo più ariane (cf § 43 ).
Ciò rafforzò da una parte i legami locali nelle varie regioni, ma dall'altra de-
terminò il trasformarsi del papato in unico fattore stabile di potere in Roma
(cf § 63).
L'Impero d'oriente rimase invece, anche se in differente estensione geogra-
fica, indipendente. Giustiniano I (527-565), a dire il vero, riuscì a riconquistare
provvisoriamente l'Italia, ma le continue guerre con i persiani portarono a favo-
rire la scelta orientale. L'imperatore continuò ad essere considerato come il su-
premo custode dell'ortodossia, ma per lui l'unità dogmatica della Chiesa era so-
prattutto garanzia per l'unità dell'Impero. Soltanto in rari casi egli pretese un
potere decisionale in questioni dogmatiche (cf §§ 58-60). Al contrario, non ca-
pitò mai che un imperatore fosse deposto perché ritenuto poco ortodosso. E per
motivi politici e militari gli imperatori bizantini non ruscirono neppure ad at-
tuare misure coercitive efficaci nei confronti di gruppi confessionali divergenti
come gli armeni o gli arabi monofisiti. Anche se in estensione ridotta, l'Impero
bizantino si oppose fino al XIII secolo alle spedizioni di conquista degli eserci-
ti islamici (§ 45).

Prospetto cronologico: verso la Chiesa imperiale

Occidente Oriente

305-313 II tetrarchia:
Costanzo Cloro Galerio (Augusti)
Severo Massimino Daia (Cesari)
306 Morte di Costanzo
Costantino proclamato come Augusto,
riconosciuto da Galerio come Cesare
Massenzio usurpatore in Roma
307 Morte di Severo: vinto da
Massenzio e Massimino Daia
308 Convegno imperiale di Carnuntum:
Licinio e Costantino Galerio e Massimino Daia (Augusti)
310 Fallisce l'usurpazione di Massimiano
§ 41. Da Costantino a Teodosio 245

Occidente Oriente

Morte di Massimiano
311 Morte di Galerio
312 Battaglia di Ponte Milvio:
Costantino vince Massenzio
313 Accordi di Milano
Lettere ad Anullino Licinio vince Massimino Daia
314 Sinodo di Arles
(controversia sul donatismo)
315 Arco di Costantino (instinctu divinitatis)
316 Manumissio in ecclesia
316/17 Guerre tra Costantino e Licinio
321 Capacità di ereditare da parte della Chiesa
Domenica come giorno di riposo
324 Battaglia di Crisopoli:
Costantino sconfigge Licinio
325 Concilio di Nicea (controversi~
sulla divinità del Figlio)
326 Costantino rifiuta di partecipare
ai sacrifici dell'esercito
333 Riconoscimento della giurisdizione
civile dei vescovi
337 Morte di Costantino
337-340 Regno dei tre imperatori:
Costantino II (Occ.) - Costante (parte centrale) - Costanzo II (Or.)
340 Sconfitta di Costantino II contro Costanzo
340-350 Costante Costanzo
341 Proibizione dei sacrifici
da parte di Costanzo
342 Proibizione di distruggere i templi
nei dintorni di Roma
350 Rovesciamento di Costante da parte
di Magnenzio
350-361 Costanzo sovrano unico
Vittoria di Costanzo su
Magnenzio presso Mursa
356 Vengono coniate per la prima volta le contornate:
monete commemorative con immagini di dèi
357 Rimozione dell'altare della Vittoria
dalla curia senatoriale
361-363 Giuliano lApostata: restaurazione pagana
361 Editto di restituzione: incoraggiamento
statale dei culti
362 I funzionari cristiani vengono allontanati
dai posti più alti; si proibisce ai cristiani
la professione di maestri
363-364 Gioviano
364-375 Valentiniano I 364-378 Valente
246 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

Occidente Oriente

373-397 Ambrogio di Milano


367 Graziano associato come Augusto
375-383 Graziano 379-395 Teodosio I
Graziano depone il titolo di
Ponti/ex Maximus
379 Proibizione di tutte le eresie
380 Editto: Cunctos populos
381 Concilio di Costantinopoli
382 Legge contro il paganesimo
383 Controversia sull'altare della Vittoria
384 III Relatio di Simmaco
383-392 Valentiniano II
dal 388 Distruzione dei templi
390 Eccidio di Tessalonica:
pubblica penitenza di Teodosio
391 Distruzione del Serapeion in Alessandria
392-395 Teodosio sovrano unico
392 Proibizione dei culti pagani
394 Vittoria su Eugenio sul fiume Frigido
395 Divisione dell'Impero
395-423 Onorio 395-408 Arcadio
396;399 Ritiro dei privilegi
ai sacerdoti pagani
408-450 Teodosio II
415 Uccisione di Ipazia ad
Alessandria
416 I pagani non possono
assumere cariche pubbliche
448 Vengono bruciati gli scritti
di Porfirio ostili ai cristiani
529 Chiusura dell'Accademia
ad Atene

Bibliografia§ 41: M. T. W. ARNHEIM, The Senatoria/ Aristocracy in the Later Roman Empire,
Oxford 1972; D. BOWDER, The Age o/ Constantine And ]ulian,London 1978; W. H. C. FREND, Monks
And the End o/ Greco-Roman Paganism in Syria And Egypt, in es
11 (1990), 469-485; J. GAUDEMET,
La législation anti-paienne de Constantin à ]ustinien, in es
11 (1990), 449-468; w. GOFFART, Rome,
Constantinople And the Barbarians, in AHR 86 (1981), 275-306; R. von HAEHLING, Die Religionszu-
gehorigkeit der hohen Amtstriiger des Romischen Reiches seit Constantins I. Alleinherrscha/t bis zum
Ende der Theodosianischen Dynastie, Bonn 1978; E. HERRMANN, Ecclesia in Re Publica. Die Entwick-
lung der Kirche von pseudostaatlicher zu staatlich inkorporierter Existenz, Frankfurt ecc. 1980;}. IRM-
SCHER, La politica religiosa dell'Imperatore Giustiniano contro i pagani e la fine della scuola neoplato-
nica ad Atene, in es 11 (1990), 579-592; K. L. NbTHLICHS, Die gesetzgeberischen Maflnahmen der
christlichen Kaiser des 4. ]ahrhunderts gegen Hiiretiker, Heiden und ]uden, Koln 1971; A. PABST, Divi-
sio regni. Der Zer/all des Imperium Romanum in derSicht der Zeitgenossen, Bonn 1986; F. PASCHOUD,
I.:intolérance chrétienne vue et jugée par les paiens, in CS 11 (1990), 545-577; J. ROUGÉ, La politique
§ 41. Da Costantino a Teodosio 247

de Cyrille d'Alexandrie et le meurtre d'Hypatie, in es 11 (1990), 485-504; G. RUHBACH (a cura di),


Die Kirche angesichts der konstantinischen Wende, Darmstadt 1976; J. VOGT, Constantin der Gro/5e
und sein ]ahrhundert, Mi.inchen 1973;}. WYTZES, Der letzte Kampf des Heidentums in Rom, Leiden
1977; J. ZIEGLER, Zur religiosen Haltung der Gegenkaiser im 4. ]ahrhundert n. Chr., Kallmiinz 1970.
§ 41.1: P. A. BARCEL6, Die Religionspolz'tik Kaiser Constantins des Gro/5en vor der Schlacht an
der Milvischen Briicke (312), in« Hermes » 116 (1988), 76-94; T. D. BARNES, Constantine And Eu-
sebius, Cambridge 1981; T. D. BARNES, The New Empire o/ Diocletian And Constantine, Cam-
bridge 1982; T. CHRISTENSEN, The So-Called Edict o/ Milan, in CM 35 (1984), 129-175; H. DòR-
RIES, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, Gottingen 1953; C. DUPONT, Les privilèges des clercs
sous Constantin, in RHE 62 (1967), 729-752; T. G. ELLIOTT, Constantine And the Arian Reaction
A/ter Nicaea, in JEH 43 (1992), 169-194; T. GRONEWALD, Constantinus Maximus Augustus. Herr-
scha/tspropaganda in der zeitgenassischen Uberlie/ereung, Stuttgart 1990; E. HORST, Konstantin der
Gro/5e. Bine Biographie, Di.isseldorf 1984; A. KEE, Constantine Versus Christ. The Triumph o/Ideo-
logy, London 1982; P. KERESZTES, Constantine, a Great Christian Monarch And Apostle, Amster-
dam 1981; H. KRAFT (a cura di), Konstantin der GroEe, Darmstadt 1974; B. KRIEGBAUM, Die Re-
ligionspolitik des Kaisers Maxentius, in AHP 30(1992), 7-54; R. LEEB, Konstantin und Christus. Die
Verchristlichung der ùnperialen Repriisentation unter Konstantin dem Gro/5en als Spiegel seiner Kir-
chenpolitik und seines Selbstverstiindnisses, Berlin/New York 1992; O. NORDERVAL, The Emperor
Constantine And Arius. Unity in the Church And Unity in the Empire, in StTh 42 (1988), 113-150;
W. POHLKAMP, Kaiser Konstantin, der heidnische und der christliche Kult in den Actus Silvestri I,
in FMSt 18 (1984), 357-400; H.R. SEELIGER, Die Verwendung des Christogramms durch Konstan-
tin im ]ahre 312, in ZKG 100 (1989), 149-168; L. VOELKL, Die Kirchensti/tungen des Kaisers Kon-
stantin im Lichte des romischen Sakralrechts, Koln 1964.
§ 41.1-2: K. M. GIRARDET, Kaisergericht und Bischo/sgericht. Studien zu den An/iingen des
Donatistenstreites (313-315) und zum Proze/5 des Athanasius von Alexandrien (328-346), Bonn
1975.
§ 41.2: R. KLEIN, Constantius II. und die christliche Kirche, Darmstadt 1977; R. KLEIN,
Die Kampfe um die Nachfolge nach dem Tode Constantins des Gro/5en, in ByF 6 (1979), 101-
150;
§ 41.3: P. ATHANASSIADI-FOWDEN, ]ulian And Hellenism. An Intellectual Biography, New
York 1981; J. BIDEZ, ]ulian der Abtrunnige, (frane. 1930, 19652), Mi.inchen 1947'; R. BRAUN -
J. RICHER (a cura di), I.:Empereur ]ulien: De l'histoire à la légende (331-1715), Paris 1978;
R. BROWNING, Der Kaiser ]ulian, (ingl. 1975), Mi.inchen 1977; C. FOUQUET, ]ulien. La mort du
mond antique, Paris 1985; L. ]ERPHAGNON, Julien dit l'Apostat. Histoire nature/le d'une famille
sous le Bas-Empire, Paris 1986; R. KLEIN (a cura di), ]ulian Apostata, Darmstadt 1978; W. ]. MAL-
LEY, Hellenism And Christianity. The Con/lict between Hellenistic And Christian Wisdom in the
Contra Galilaeos o/ ]ulian the Apostate and the Contra Julianum o/ Cyrill o/ Alexandria, Roma
1978; V. UGENTI, Altri spunti di polemica anticristiana nel discorso« Alla madre deglio dei» di Giu-
liano Imperatore, in VetChr 29 (1992), 391-404.
§ 41.4 M. FASOLINO, Valentt'niano I. L'opera e i problemi storiografici, Napoli 1976; G. GOT-
TLIEB, Ambrosius von Mailand und Kaiser Gratian, Gottingen 1973; R. KLEIN, Der Streit un dem
Victoriaaltar. Die dritte Relatio des Symmachus und die Briefe 17, 18 und 57 des Mailà'nder Bischo/s
Ambrosius, Darmstdat 1972; R. KLEIN, Symmachus. Bine tragische Gestalt des ausgehenden Hez~
dentums, Darmstadt 1971.
§ 41.5 W. ENllLIN, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius' des GrofSen, Mi.inchen 1953;
N. Q. KING, The Emperor Theodosius And the Establishment o/ Christianity, London 1961;
A. LIPPOLD, Theodosius der Gro/5e und seine Zeit, Stuttgart 1968.
§ 41.6 A. DEMANDT, Die Feldziige des alteren Theodosius, in «HermeS» 100 (1972), 81-113;
C. LACOMBRADE, Hypatia, in RAC 16 (1994), 956-967.
248 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

§ 42. La diffusione del cristianesimo in Asia e Africa

L'Impero Romano divenuto cristiano offrì alle attività missionarie nuove


possibilità oltre i suoi confini. I rapporti politici ed economici con i paesi vicini
poterono essere messi a servizio di una diffusione della Chiesa. Gli effetti, tut-
tavia, non possono essere sopravvalutati. Il legame tra missione e potere roma-
no poté rivelarsi anche un motivo di disturbo; le tendenze nazionalistiche favo-
rirono la nascita di chiese autonome (autocefale), che anche sul piano confes-
sionale presero strade diverse.

1. Persia

Il cristianesimo fu sicuramente conosciuto nel grande impero persiano fin


dal III sec (§ 12,3). Esso poté diffondersi e consolidarsi specialmente nelle re-
gioni occidentali dell'impero, dove erano fiorite le antiche civiltà assira e babi-
lonese, rimanendo però un corpo estraneo per i sovrani sasanidi. Il destino del-
la Chiesa persiana dipese sempre dai rapporti precari tra Persia e Roma. L'unità
della chiesa risultò continuamente minacciata, inoltre, da tensioni di natura lin-
guistica ed etnica, oltre che da rivalità tra vescovi. Secondo Eusebio, l'impera-
tore Costantino cercò d'intervenire a favore della missione cristiana in Persia,
suggerendo al re persiano Sapore II (309-3 79) la protezione del «mite, clemen-
te e amorevole Signore del mondo » (Vita Const. IV 9-13). Ma la successiva
guerra di Costanzo II condusse dal 340 a una violenta persecuzione dei cristia-
ni, «alleati con l'imperatore (romano)» (Sozomeno, H. E. II 9-15). La persecu-
zione durò circa quarant'anni e provocò numerose vittime. In una fase piutto-
sto lunga di tolleranza la Chiesa persiana riuscì a riprendersi. Viene considerato
suo restauratore il vescovo Maruta di Maipherkat (morto prima del 420), il qua-
le convocò nel 410 un concilio a Seleucia-Ctesifonte, ché accettò solennemente
le decisioni del concilio di Nicea e si allineò alla tradizione dei «Padri occiden-
tali». Egli, inoltre, diede alla Chiesa persiana una nuova organizzazione, in cui
il metropolita di Seleucia-Ctesifonte venne considerato come il capo supremo e
assunse poco dopo il titolo di katholicos. La Chiesa, così rinnovata, poté esten-
dersi (isole di Bahrein e Khorasan), ma sotto il re Bahram V venne (420-428)
nuovamente perseguitata. Si determinarono in seguito nuovi sviluppi all'interno
della Chiesa persiana, che accolse i nestoriani provenienti dall'impero bizantino
(§ 54,5) e divenne essa stessa nestoriana (sinodo di Seleucia-Ctesifonte, 486).
Essa divenne il punto di partenza per un'importante missione che portò il cri-
stianesimo nestoriano fino all'estremo Oriente.
§ 42. La di/fusione del cristianesimo in Asia e in Africa 249

Le Chiese costituite in Turkestan, India, Cina e Mongolia, testimoniate da


reperti archeologici, furono considerate nella Chiesa-madre persiana come
«province esterne».

2. Armenia

R. W. THOMSON, The Teaching o/ St. Gregory. An Early Armenian Catechism, trad. ingl. e, Cam-
bridge/Mass. 1970.

L'Armenia, situata tra l'impero romano e quello persiano, era stata certa-
mente raggiunta nel II sec. dalla missione cristiana di Siria(§ 12,3 ). Il cristiane-
simo vi raggiunse la sua importanza grazie a Gregorio l'Iluminatore. Egli aveva
ricevuto la sua educazione a Cesarea di Cappadocia, dove fu battezzato e più
tardi consacrato vescovo. Verso la fine del III sec. o all'inizio del IV, riuscì a con-
vertire il re armeno Trdat (Tiridate) III, sotto il quale il cristianesimo divenne
per la prima volta religione di Stato. Come katholik6s, Gregorio sostenne un cri-
stianesimo d'impronta greca, nella forma conosciuta in Cappadocia, ma fece
proprie anche alcune tradizioni armene e fondò una propria dinastia sacerdota-
le, in cui il catolicosato era ereditario. Nel sud del paese si formò una dinastia ec-
clesiastica rivale, che era legata alla più antica tradizione del cristianesimo siria-
co. Inoltre, la Chiesa fu soggetta, come il paese, all'awicendarsi dell'influenza
che di volta in volta vi ebbero l'Impero d'Oriente e la Persia. Il katholik6s Nar-
sete, un pronipote di Gregorio l'illuminatore (m. nel 373 ), riuscì a rafforzare an-
cora una volta l'influsso greco e a riorganizzare la Chiesa armena secondo que-
sto modello (concilio nazionale del 365 ad AstiS'at). Egli rimase vittima di un at-
tentato del re. Dopo essersi staccata da Cesarea, la Chiesa armena accettò il mo-
nofisismo (§ 58-60). San Mesrope (m. ca. 400) fondò con i suoi discepoli una
propria letteratura armena-cristiana (cf § 75,12b).

3. Georgia

La regione occidentale della Georgia, situata a nord dell'Armenia sul versan-


te meridionale del Caucaso, fu sotto l'influenza greca. Il cristianesimo vi entrò dal
sud, attraverso le colonie greche. Come missionaria del IV sec. viene ritenuta san-
ta Nino/Nune (Rufino, H. E. X 11; Socrate, H. E. I 20; Teodoreto, H. E. I 24; cf
anche la tradizione georgiana). Nel suo insieme la Chiesa georgiana fu plasmata
direttamente da quella armena e, come questa, divenne una Chiesa nazionale au-
tonoma, con propria scrittura e letteratura, sotto la guida del katholik6s di Mtz-
cheta. Intorno al 600 essa si separò dalla Chiesa d'Armenia, divenuta nel frattem-
po monofisita, seguì la confessione calcedoniana e si attenne di più a Bisanzio.
250 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

4. Arabia
Sotto Costanzo II missionari cristiani raggiunsero l'Arabia meridionale (Ye-
men, « himyariti » [popolazione della penisola araba cui oggi si preferisce dare
il nome di« sudarabici », n.d.t.] ). L'ariano Teofilo («l'Indiano») istituì nella ca-
pitale Zafar un arcivescovato. All'inizio del VI sec. i cristiani furono perseguita-
ti. Persecuzioni da parte di persiani e musulmani decimarono la Chiesa cristia-
na tra gli himyariti. I superstiti aderirono ai nestoriani.

5. Etiopia

L'Etiopia venne raggiunta dalla missione cristiana nel IV sec. attraverso le


vie commerciali. Nel 330 vi operò come missionario un certo Frumenzio (Gela-
sio di Cesarea, H. E. III 9; Rufino, H. E. X 9; Socrate, H. E. I 19; Sozomeno,
H. E. II 24; Teodoreto, H. E. I 23 ); egli fu promosso infine al servizio del re Eza-
na di Axum, divenuto anche lui cristiano. La conversione del re è documentata
anche da iscrizioni etiopiche. Come «apostolo dell'Abissinia», F rumenzio si fe-
ce consacrare vescovo da Atanasio, in Alessandria. Contro questa consacrazio-
ne protestò Costanzo, che ne pretese una nuova da parte del vescovo Giorgio
da lui insediato ad Alessandria (Lettera ai sovrani in Axum: Atanasio, Apol. ad
Const. 31). Il vescovo della lontana Etiopia, importante per Costanzo nella guer-
ra contro i persiani, doveva essere un tramite di fiducia dell'imperatore e non un
un uomo legato ad Atanasio, accusato di «alto tradimento».
L'interesse dell'imperatore per la missione in Etiopia, come anche per gli altri
paesi confinanti orientali, era motivato da ragioni di politica estera; si dovevano
rafforzare legami economici e ottenere punti strategici di appoggio contro i per~
siani. La Chiesa etiopica, d' impronta siriaca nei suoi inizi, rimase strettamente le-
gata a quella alessandrina. Essa la seguì nel monofisismo, ma conservò e sviluppò,
tuttavia, la sua autonomia nella lingua (ge'ez), nella liturgia e nella teologia.

6. Nubia
La Nubia (Sudan) venne forse sporadicamente visitata nel IV sec. da missio-
nari cristiani che vi giunsero al seguito di mercanti. Testimonianze archeologiche
risalgono fino all'anno 400. Un'azione missionaria e tendente all'organizzazione
della Chiesa è dimostrabile nel VI sec.: l'imperatrice Teodora inviò in Nubia un
missionario monofisita, Giustiniano ne inviò alcuni ortodossi. La divisione confes-
sionale scomparve a favore del monofisismo. Più tardi la Chiesa risu.ltò fortemen-
te penetrata da elementi islamici e cadde infine sotto il dominio dell'Egitto arabo.

Bibliografia § 42: Passaggio dal mondo antico al medio evo da Teodosio a San Gregorio Magno.
Convegno internazionale Roma 25.-28.5.1977, Roma 1980; A. S. ATIYA, A History o/Eastern Chri-
§ 43. Il cristianesimo presso i germani durante la trasmigrazione dei popoli 251

stianity, London 1968; J. CUOQ, I:Église d'Afrique du Nord du 2e au 12e siècle, Paris 1984; I. DE-
CRET, Les conséquences sur le christianisme de l'affrontement des deux empires romain et sassanide,
in RechAug 14 (1979), 91-152; J. D. FAGE (a cura di), The Cambridge History of Africa, vol. II,
New York 1978; S. GSELL, Études sur l'Afrique antique, Lille 1981; R. von HAEHLING, Heiden im
griechischen Osten des 5. Jahrhunderts nach Christus, in RQ 77 (1982), 52-85; P. KAWERAU, Ostkir-
chengeschichte, 2 voli., Louvain 1982; C. D. G. MOLLER, Stellung und Bedeutung des Katholikos-
Patriarchen von Seleukia-Ktesiphon im Altertum, in OrChr 53 (1969), 227-245.
§ 42.1: M.-L. CHAUMONT, La christianisation de !'Empire iranien. Des origines aux grande per-
sécutions du IVe siècle, Louvain 1988; W. HAGE, Die ostromische Staatskirche und die Christenheit
des Perserreiches, in ZKG 84 (1973), 174-187.
§ 42.2: B. BREN1JES, Drei]ahrtausende Armenien, Wien 1974; P. CHARANIS, The Armenians in
the Byzantine Empire, Lisboa 1963; M.-L. CHAUMONT, Recherches sur l'histoire d'Arménie de l'avé-
nement des sassanides à la conversion du royaume, Paris 1969; N. G. GARSOIAN, Armenia between
Byzantium And the Sasanians, London 1985; N. G. GARSOIAN et al. , East of Byzantium. Syria And
Armenia in the Formative Period, Washington 1982; R. GROUSSET, Histoire de l'Arménie des origi-
nes à 1071, Paris 1973; P. KROGER, Zur Einfuhrung des Christentums in Armenien durch den Konig
Trdat (Tiridates), in OKS 19 (1970), 339-346; B. MacDERMOT, The Conversion of Armenia in 294
A. D., in REArm NS 7 (1970), 281-359; J. MÉCÉRIAN, Histoire et institutions de l'église Armé-
nienne, Beirut 1965; F. MrAN, Gli inizi dell'Armenia cristiana, in VigChr 21 (1984), 327-334; K.
SARKISSIAN, The Council of Chalcedon And the Armenian Church, New York 1965.
§ 42.3: J. AilFALG, Georgien I-IV, in TRE 12 (1984), 389-392; B. L. ZEKIYAN, La rupture en-
tre les Eglises géorgienne et arménienne au début du le siècle, in REArm NS 16 (1982), 155-174.
§ 42.4: A. HAVENITH, Les Arabes chrétiens nomades au tepzps de Mohammed, Louvain-la-
Neuve 1988; C. D. G. MOLLER, Kirche und Mission unter den Arabern in vorislamischer Zeit, Tii-
bingen 1967; J. S. TRIMINGHAM, Christianity among the Arabs in Pre-Islamic Times, London 1979.
§ 42.5: B. w. w. - F. A. DOMBROWSKI, FrumentiuslAbba Salama. Zu den Nachrichten uber die
Anfiinge des Christentums in Athiopien, in OrChr 68 (1984), 114-169; S. HABLE SELASSIE, Ancient
And Medieval Ethiopian History to 1270, Addis Abeba 1972; F. HEYER, Athiopien, in TRE 1
(1977), 572-596; E. IsAAC, An Obscure Component in Ethiopian Church History. An Examination
of Various Theories Pertaining to the Problem of the Origin And Native of Ethiopian Christianity,
in Mus 85 (1972), 225-258.
§ 42.6: A. SCHINDLER - E. DAMMANN, Afrika I-II 1, in TRE 1 (1977), 640-702; G. VANTINI,
Il cristianesimo nella Nubia Antica, Verona 1985.

§ 43. Il cristianesimo presso i germani


durante la trasmigrazione dei popoli

Eugippio, Vita Severini: T. NOBLEIN, te, Bamberg 1985; T. NOJlLEIN, t trad. ted., Stuttgart 1990;
P. RÉGERAT, t trad. frane e, 1991(SC374); L. BIELER-1. KRESTAN, trad. ingl. 1965 (FaCh 55).
Venanzio Fortunato, Vita Radegundis: B. KRuscH, t, 1888 (MGH.SRM 2), 364-377.
Vita Hilarii: G. PALERMO, trad. it., 1989 (CollTP 81).

Paolo Diacono; Gregorio di Tours; Cassiodoro, ecc.: cf § 2.


Isidoro di Siviglia, Historia Gothorum, cf § 78,4b.

cf anche: J. MARTIN, Spà'tantike und Volkerwanderung, Miinchen 1987, 217-230.


252 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

1. Il predominio dei germani nell'Impero Romano

Mentre Bisanzio conservava l'eredità dell'antica Roma, che cercò di custo-


dire in confini sempre più ridotti, in occidente si assistette al tramonto dell'Im-
pero Romano. Dalla fine del IV sec. stirpi germaniche irruppero sempre più
spesso nel suo territorio, dove a poco a poco riuscirono a stabilirsi. Quando da
oriente l'invasione degli unni provocò lo spostarsi di tutta una serie di stirpi go-
tiche verso occidente, la situazione si fece più grave. A dire il vero, diversi grup-
pi furono accolti nell'impero sotto Valente, ma si determinarono sempre nuovi
conflitti. Nel 378 i tervingi sotto Fritigerno e gli ostrogoti sotto Alateo e Safra-
ce inflissero ad Adrianopoli una grave sconfitta all'esercito romano guidato da
Valente. Successivamente stirpi gotiche s'insediarono in Pannonia e in Tracia.
Teodosio stabilì un patto (/oedus) con loro come se fossero dei regni stranieri
(382): esse avrebbero continuato ad avere dei propri capi, proprie leggi e un' am-
pia autonomia, ma avrebbero difeso i confini esterni e fornito truppe ausiliarie.
In tal modo, i confini dell'impero e la sua unità giuridica andarono incontro a
una cres~ente dissoluzione.
All'interno delle antiche strutture crebbe in questo tempo l'influenza di ge-
nerali «barbarici»: sotto Valentiniano I e Valentiniano II ricoprirono posti di
primo piano i franchi Merobaude, Bauto e Arbogaste. Teodosio I, dopo la sua
vittoria sull'usurpatore Eugenio e su Arbogaste nella battaglia sul Frigido (394),
pose come capo supremo in occidente il vandalo Stilicone (395-408). Nel 429
divenne comandante supremo dell'esercito Ezio, originario della Pannonia, che
negli anni seguenti (fino al 454) riuscì a mantenere il dominio romano in Gallia
e ad assicurare la continuazione dell'Impero d'Occidente. Dopo la morte di Va-
lentiniano III (455) gli imperatori d'occidente divennero vere e proprie mario-
nette nella lotta per il potere tra i capi militari e l'Impero d'Oriente. Dal 457 al
472 il potere romano fu nelle mani dello svevo Ricimero, prima magister mili-
tum, poi riconosciuto dall'Impero d'Oriente come patricius. Il successivo capo
militare germanico, Odoacre, riconosciuto dall'imperatore Zenone (474-491)
come patricius e magister militum, pose fine a quella che era ormai era soltanto
l'ombra dell'Impero d'Occidente: nel 476 egli depose l'ultimo imperatore Ro-
molo Augustolo e si fece proclamare come re. Un potere unitario, tuttavia, non
riuscì più ad imporsi. Nel 486 scese in Italia l'ostrogoto Teodorico, che nel 493
vinse e uccise Odoacre.
I germani s'imbatterono in un Impero Romano ormai cristiano. Ci furono
alcuni che, nel mettersi al servizio dell'impero, accettarono anche il cristianesi-
mo. Tuttavia, l'evangelizzazione dei germani non procedette attraverso la con-
versione di singoli, ma dell'intera stirpe. Sotto l'influenza del cristianesimo pla-
smato da Ulfila (o Wulfila, vedi sotto § 43,2), numerose stirpi germaniche di-
vennero inizialmente ariane o, per meglio dire, appartenenti al gruppo degli
§ 43. Il cristianesimo presso i germani durante la trasmigrazione dei popoli 253

«omei» (da oµowç =simile; detti così perché ritenevano il Verbo non conso-
stanziale, ma simile al Padre, n.d.t.), o furono tali per un certo tempo durante il
V sec. Soltanto con il ripiegamento dei goti in Spagna (507), l'arianesimo visi-
gotico perse molta della sua forza d'irradiazione (cf § 49,4).

2. I visigoti

La popolazione dei goti si era insediata dal II/III sec. sul mar Nero. A parti-'
re dal III sec. essi si spinsero continuamente nell'Impero Romano. Verso la fine
del III sec. risultarono divisi in ostrogoti(= goti dell'est) e visigoti (=goti dell'o-
vest). La prima stirpe germanica raggiunta da ignoti missionari cristiani fu quella
dei visigoti, stanziati sul basso Danubio e sul mar Nero. Già al Concilio di Nicea
era presente un vescovo Teofilo di Gothia (Socrate, H. E. II 41). Costantino strin-
se con una parte di quei goti un patto (/oedus) che favorì ulteriormente la cristia-
nizzazione, ma condusse anche a una persecuzione dei cristiani da parte dei goti
ostili ai romani. Il gruppo maggiore dei goti (i cosiddetti« piccoli goti») si stabilì
su territorio romano (nell'odierna Bulgaria). Il loro capo ecclesiastico fu Ulfila
(m. 383 ), consacrato vescovo nel 336 (o forse soltanto nel 341). Egli divenne l'or-
ganizzatore e il maestro della sua Chiesa, soprattutto con la sua traduzione della
Bibbia in lingua gotica. Sul piano teologico Ulfila ebbe una formazione ispirata
alla teologia di corte sotto Costanzo II, fu quindi omeusiano (cf § 49,4). Un ap-
poggio politico fu da lui trovato presso il principe Fritigerno, favorevole ai ro-
mani, sotto il quale i goti continuarono a retrocedere sotto la spinta degli unni sul
territorio dell'Impero Romano (poco dopo il 376) e si raccolsero ora come lega
di popolazioni visigotiche. Alarico I (3 95-410) li guidò verso ovest. Irradiandosi
dal loro nuovo centro, il regno visigotico d'Aquitania, il loro cristianesimo si este-
se alle popolazioni germaniche vicine: vandali, burgundi e svevi.
La propria confessione di fede con la Bibbia in lingua nazionale, una pro-
pria liturgia e un proprio ordinamento ecclesiastico (Chiesa nazionale sotto il re,
status ecclesiastico proprio dei signori locali, cf § 62,3) rafforzò l'indipendenza
dei vari regni germanici, che riuscirono ad affermare la propria autonomia ec-
clesiastica anche contro la politica religiosa di Teodosio I, che tendeva ad im-
porre l'uniformità.
L'ulteriore espansione della missione germanica ariana fu costretta a fer-
marsi di fronte alla resistenza del re dei franchi Clodoveo (vedi sotto§ 43,7). Il
regno visigotico d'Aquitania si disgregò; i goti ripiegarono nel 507 verso la Spa-
gna. I visigoti ariani conservarono qui la loro indipendenza ecclesiastica e la lo-
ro confessione omeusiana, fino a quando non si determinò un cambiamento sot-
to i figli di Leovigildo (568-576). Ermenegildo, sposato con la principessa fran-
ca lngunde, accettò grazie alla sua influenza la confessione cattolica. La conver-
254 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

sione, legata a una sollevazione contro il padre, rimase senza conseguenze. Solo
il figlio minore di Leovigildo, Reccaredo (586-601), pose termine alla politica
del padre e passò egli stesso alla fede cattolica. Nel contesto del Concilio di To-
ledo del 589, il primo concilio nazionale della Spagna cristiana visigota, Recare-
do venne celebrato come «nuovo Costantino» e «Marciano » (Giovanni di Bi-
claro, Chronicon, PL 72,869).
Dietro questa conversione nazionale, con cui Recaredo ottenne sotto la gui-
da visigotica una Spagna politicamente unita, c'era l'episcopato cattolico, con a
capo Leandro di Siviglia (m. ca. 600), amico del papa Gregorio I. Nel secolo se-
guente venne promossa una solerte azione di conversione religiosa che ebbe nel
fratello di Leandro, Isidoro di Siviglia (ca. 600-636), la personalità determinan-
te nell'opera di riforma e di costruzione della Chiesa (§ 78,4). Nella sua Hz'sto-
ria Gothorum egli professava quello stretto legame tra Stato e Chiesa dal quale
sarebbe risultata per cento anni, in Spagna, una particolare forma di Chiesa sta-
tale/nazionale. Nell'arcivescovo di Toledo, dvz'tas regia, questa Chiesa aveva il
suo supremo capo spirituale; qui si svolgevano i concili del regno visigoto di
Spagna, che venivano convocati dal re e dimostravano, con il loro lavoro, l'unità
tra Stato e Chiesa. La sorprendente struttura di questa Chiesa nazionale visigo-
ta soccombette infine ali' assalto degli arabi (711).
Gli svevi (o suebi) si erano insediati nel 409 nella Spagna nord-occidentale
(Galizia). Verso la metà del secolo essi divennero cattolici, ma poco dopo furo-
no raggiunti dalla missione ariana e dalla sua confessione omeusiana. Sotto il re
Chararico (550-559) essi si convertirono nuovamente alla fede cattolica. Una
straordinaria attività religiosa venne qui svolta da Martino di Dumio (§ 78,4), un
monaco proveniente dalla Pannonia, che dal 561 al 580 fu arcivescovo di Braga
e fondò la Chiesa nazionale cattolica degli svevi. Sotto il re Leovigildo gli svevi
furono annessi al regno visigoto e ne condivisero da questo momento la storia.

3. Gli ostrogoti

Verso la fine del IV sec. si erano insediate in Pannonia delle stirpi ostrogo-
te, che intorno alla metà del V sec. divennero ariane (di confessione omeusiana)
grazie all'influenza esercitata da Ulfila sul cristianesimo gotico-balcanico. Nel
489 gli ostrogoti, guidati dal loro principe Teodorico il Grande (471-526), en-
trarono in Italia. Per un accordo (487) stipulato con l'imperatore Zenone, Teo-
dorico doveva soppiantare Odoacre e regnare in Italia in nome dell'imperatore
d'oriente. Teodorico conquistò inizialmente il potere combattendo contro
Odoacre, che vinse e uccise nel 493, dopo la cosiddetta« battaglia dei corvi»
presso Ravenna. Costruì poi il suo regno ostrogoto in Italia, Sicilia, Dalmazia,
Pannonia, Norico e Rezia, e infine anche in Provenza.
§ 43. Il cristianesimo presso i germani durante la trasmigrazione dei popoli 255

Nonostante la sua fede omeusiana, egli fu tollerante nei confronti dei catto-
lici: Religionem imperare non possumus (Cassiodoro, Varùze Il 27: «non possia-
mo imporre la religione»). La storia e la civiltà di Roma lo riempivano di am-
mirazione, ciò che lo trattenne da una violenta gotizzazione del paese. I romani
videro in lui il difensore e il custode della loro tradizione e si mostrarono di-
sponibili a una collaborazione con il sovrano ostrogoto. Il nobile romano Cas-
siodoro (cf § 78,2e) si pose al suo servizio e venne a trovarsi come magister offi-
ciorum al vertice dell'amministrazione civile(§ 78,2). Nella controversa elezione
papale del 498 (che vide in competizione Simmaco e Lorenzo), i romani si ap-
pellarono alla decisione di Teodorico (§ 63,4). La convivenza pacifica risultò
sensibilmente turbata soltanto verso la fine del regno di Teodorico. L'influenza
bizantina si rafforzò dopo lo scisma acaciano (519) in Italia, quando Teodorico
si vide anche politicamente isolato. In questa difficile situazione egli abbandonò
il suo atteggiamento di tolleranza.
Boezio (§ 78,2d) ed altri nobili romani vennero giustiziati dopo un processo per alto tradi-
mento. Si rimproverarono loro contatti con il cattolico imperatore d'oriente. Più tardi la figura di
Boezio venne stilizzata in quella di testimone e martire per la vera fede, senza prestare la dovuta
attenzione alle circostanze del contesto politico. Dal papa Giovanni I (523-526) Teodorico otten-
ne un intervento presso la corte bizantina per i diritti degli omei, che erano stati limitati dall'im-
peratore d'oriente. La missione non ebbe successo, e così Teodorico tenne prigioniero a Ravenna
il papa, che poco dopo vi morì.

Dopo la morte del re, il regno ostrogoto d'Italia si disgregò lentamente a


causa di difficoltà interne e cedette infine al predominio bizantino (552/53 ).

4. I longobardi

Nel 568, provenienti dalla Pannonia, i longobardi giunsero in Italia guidati


dal re Alboino e conquistarono vasti territori del paese. Alboino aveva aderito
all'arianesimo poco prima di entrare in Italia. L'atteggiamento dei longobardi
ariani nei confronti dei cattolici non fu univoco. Malgrado una fondamentale
tolleranza, si ebbero continue devastazioni di città e sedi vescovili. Il re Autari
sposò nel 589 la cattolica Teodelinda, figlia del duca dei bavari, ma proibì an-
cora nel 590 il battesimo cattolico. Soltanto sotto il secondo sposo di Teodolin-
da, Agilulfo (591-615/616), si delineò un cambiamento. Il loro figlio Adaloaldo
venne battezzato con il rito cattolico. Dopo la caduta di Adaloaldo (625) si eb-
bero nuovamente diversi re ariani, fino a quando il re Ariperto (653-661) ab-
bandonò l'arianesimo.

Il lungo fluttuare delle decisioni religiose nel regno dei longobardi fu connesso con lo svol-
gersi di avvenimenti all'interno della Chiesa. I cattolici delle province di Milano ed Aquileia, ed
256 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

anche la regina Teodelinda, che era in rapporti con il papa Gregorio I, non avevano riconosciuto
il II Concilio di Costantinopoli (553) e la sua condanna dei Tre Capitoli (§ 58). Ciò condusse a
delle tensioni con l'imperatore d'oriente e con papa Gregorio, che premeva per il superamento
dello scisma dei Tre Capitoli nell'Italia settentrionale. Ciò accadde solo dopo il 625. Nella corte
ariana di Pavia la tradizione romana fu consolidata allora dalla regina Gundeberga, figlia di Agi-
lulfo e Teodelinda, che aveva sposato successivamente i due re longobardi Arivaldo e Rotari. A
ciò si aggiunse il fatto che l'abbazia di Bobbio, fondata negli anni 612/614 da Agilulfo e Teode-
linda per san Colombano (cf § 43,7), era uscita dal suo isolamento rispetto a Roma ed era diven-
tata sotto l'abate Attala (prima del 625) un centro di evangelizzazione ortodossa longobarda.

Tribù germaniche minori erano approdate al cristianesimo ariano grazie al lo-


ro legame con quelle maggiori, che seguirono nelle migrazioni dalle regioni orien-
tali in quelle occidentali e meridionali dell'Europa. Con la dissoluzione del regno
degli unni (453, dopo la morte di Attila), i rugi si stabilirono nel Norico (Austria
superiore e inferiore), dove vissero accanto alla popolazione romanizzata.

In mezzo a loro operò come missionario impegnato anche nella sfera politica ed economica
san Severino, un monaco di provenienza sconosciuta. Per il suo carisma egli fu onorato e ammi-
rato anche dai rugi ariani, che però ne rifiutarono l'attività missionaria. Il santo morì nel 482; la
sua vita e la sua opera furono raccontate dal suo discepolo Eugippio.

5. I burgundi

I burgundi, popolazione appartenente ai germani orientali, si erano insedia-


ti all'inizio del V sec. nella regione compresa tra il corso medio del Reno
(Worms), il Neckar e il Meno. Dopo severe sconfitte subìte dagli unni negli an-
ni 435 e 437, ripiegarono verso sud-ovest e vennero insediati da Ezio come fe-
derati nel territorio tra il Giura, il Rodano e i vosgi. Essi avevano certamente ac-
cettato dai visigoti l'arianesimo germanico (contrariamente alle notizie di Oro-
sio, Hist. adv. pag. VII 32, e di Socrate, H. E. VII 30). Nella loro nuova patria
essi trovarono la via per arrivare, grazie ai loro rapporti con gli strati superiori
della popolazione gallo-romana e con l'episcopato, alla confessione cattolica.
Sotto il re Sigismondo (m. 523) iniziò la conversione della popolazione alla
Chiesa cattolica (dopo il 500), conversione incoraggiata principalmente dal ve-
scovo Avito di Vienne (§ 78,3c). Qualche anno più tardi (534) i burgundi cad-
dero sotto il dominio dei franchi.

6. I vandali

I vandali si erano spostati nella loro migrazione da oriente verso la Gallia e la


Spagna, dove nel 411 fondarono un regno: solo un po' più tardi, sotto il re Gen-
serico (428-477) s'insediarono nella parte occidentale dell'Africa settentrionale
§ 43. Il cristianesimo presso i germani durante la trasmigrazione dei popoli 257

(429). Qui essi consolidarono il loro dominio, inizialmente come/oederati, come


alleati indipendenti dell'imperatore romano. Dopo ulteriori spedizioni di con-
quista Genserico venne riconosciuto nel 442 come sovrano indipendente sul
Nordafrica, su Sicilia, Corsica, Sardegna e sulle Baleari. I suoi successori dovet-
tero accettare perdite territoriali, ma solo nel 533 il Nordafrica fu nuovamente in-
corporato nel regno di Giustiniano I dalle truppe bizantine guidate da Belisario.
Nel corso della loro migrazione da oriente verso la Spagna i vandali aveva-
no accettato la confessione omeusiana e, al più tardi in Africa, l'arianesimo era
diventato religione del regno. Capo supremo anche sulle faccende ecclesiasti-
che, e sullo stesso patriarca,· era il re. I vandali non avevano con gli altri omei
germanici alcuna comunione ecclesiastica e si differenziavano da essi anche per
la pretesa di voler imporre la loro fede, sotto la minaccia di persecuzione, ai cri-
stiani romano-cattolici, politicamente impotenti ma culturalmente superiori.
Con i loro ripetuti attacchi essi distrussero l'organizzazione ecclesiastica, cac-
ciarono o uccisero i cattolici, ne scoraggiarono e impedirono la vita religiosa.
La fase di conquista (429-442) fu accompagnata da una prima dura ondata
di persecuzione. I vescovi furono esiliati o giustiziati; la stessa sorte venne riser-
vata a nobili laici che rifiutavano di diventare ariani. Le chiese all'interno delle
città venivano assegnate al culto ariano o profanate; soltanto le chiese fuori del-
le mura urbane e in campagna rimasero cattoliche. Nel 442 Valentiniano III ce-
dette ai vandali altre province nordafricane, ciò che per breve tempo condusse
a una certa calma. Il profondo odio per Roma e la civiltà romana si mostrò nel
giugno del 455, quando Genserico piombò su Roma e saccheggiò senza alcun
riguardo l'antica capitale dell'Impero. Il papa Leone I riuscì con il suo inter-
vento a impedire eccidi nella popolazione e che la città fosse ridotta in cenere.
Il re Unerico (477-484) rinunciò a persecuzioni e a misure coercitive. Egli per-
mise anche l'elezione del vescovo Eugenio di Cartagine (481), il cui comportamen-
to esemplare suscitò l'invidia del clero vandalo, che nel 483 indusse nuovamente il
re a misure persecutorie. Circa cinquemila persone, chierici e laici di ogni ceto so-
ciale, furono esiliate nel deserto. L'intervento dell'imperatore Zenone condusse il
primo febbraio del 484 a un colloquio religioso, che però non portò a una concilia-
zione, ma anzi provocò nuove vessazioni: le precedenti leggi contro gli eretici ven-
nero riutilizzate contro i cattolici (esili, confisca dei beni, chiusura di chiese e proi-
bizione della liturgia cattolica, deportazione nelle miniere, pena di morte).
Sotto il successore, il re Guntamondo (484-496), si ebbe un ritorno della pa-
ce, gli esuli poterono tornare a casa e si consentì nuovamente la liturgia cattoli-
ca. Ma suo fratello Trasamondo (496-523) riprese la pratica della persecuzione.
Ilderico (523-530) sostenne invece una politica tollerante. Nuove misure contro
i cattolici da parte del re Gelimero (530-534) non furono più attuate. Sotto il do-
minio bizantino venne repressa con la forza ogni religione che non fosse catto-
lica (sinodo di Cartagine, 534).
258 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

7. I franchi

I franchi, che tra le grandi stirpi germaniche avrebbero riscosso il maggiore


successo, penetrarono nel V sec. in Gallia, dove si erano formati piccoli regni
uniti tra di loro come federati. Soltanto il merovingio Clodoveo (482-511) riuscì
innanzitutto a sconfiggere il generale gallo-romano Siagrio nella battaglia di
Soissons (486) e a porre fine così al dominio romano in Gallia. Negli anni se-
guenti egli vinse tutti gli altri piccoli re franchi, respinse i visigoti verso sud (496)
e sottomise gli alemanni (496/497). Nello spazio di pochi anni Clodoveo aveva
esteso la sua sovranità sull'intera Gallia settentrionale e sui territori alemanni
(Svizzera, Alsazia, Palatinato). Nel 507 riuscì a conquistare l'Aquitania e a spin-
gere i visigoti verso la Spagna.
I franchi giunsero in territorio cristiano come pagani, pur senza escludere
singole conversioni. La Chiesa gallica era stata certamente indebolita dalla tra-
smigrazione dei popoli, ma I'episcopato gallico era pronto all' incontro con i
nuovi signori e al compito missionario.

La conversione dei franchi al cristianesimo cattolico è strettamente connessa con la storia del-
la conversione di Clodoveo. La decisione non avvenne in maniera spontanea né, almeno all'inizio,
con chiarezza d'intenti. Nel 494 Teodorico si era preoccupato di avere Clodoveo dalla sua parte.
Un'alleanza politica avrebbe potuto condurre all'accettazione della fede degli ostrogoti. Ma Clo-
doveo sposò la principessa cattolica dei burgundi Clotilde e i figli furono battezzati con rito cat-
tolico. Secondo Gregorio di Tours (Hist. Frane. II 29-30), Clodoveo collegò la sua decisione reli-
giosa con la fortuna della sua famiglia e del suo potere; egli volle la prova del Dio più forte, e que-
sta gli venne nella vittoriosa battaglia sugli alamanni nel 496/497 (Gregorio, Hist. Frane. II 30;
Avito di Vienne, Ep. 46). In una festa di Natale (498 o più tardi?) Clodoveo, d'accordo con la gen-
te del suo seguito, venne battezzato dal vescovo Remigio a Reims. Nulla, ormai, poteva più osta-
colare la conversione dei franchi alla Chiesa cattolica. «La vostra fede è la nostra vittoria», scris-
se l'arcivescovo Avito al re (Ep. 46).

Clodoveo rifiutò un'unione politica con i goti. Egli collaborò con gli espo-
nenti dell'episcopato gallico che in quel momento avevano responsabilità di na-
tura civile e culturale e creò in tal modo la base per un successivo legame con
Ro~a. L'imperatore Anastasio (491-518) gli conferì le insegne del consolato e lo
riconobbe come rappresentante imperiale in occidente. I figli di Clodoveo con-
quistarono nel 531 la Turingia, nel 534 la Borgogna e nel 536 la Provenza; ot-
tennero inoltre la sovranità sugli alamanni, su Coira [l'antica Curia Rhaetorum
dei romani, nell'attuale cantone svizzero dei Grigioni, n.d.t.] e sulle regioni cen-
trali delle Alpi. Ma Clodoveo aveva diviso il regno tra i suoi figli, e ciò condus-
se già nel VII sec. a un indebolimento.
La conversione del re e del popolo dei franchi fu inizialmente soprattutto un
cambiamento esteriore di religione che diede luogo a una Chiesa nazionale cat-
tolica. Le sedi vescovili vennero poste sotto l'influenza del re e dei grandi del pae-
§ 43. Il cristianesimo presso i germani durante la trasmigrazione dei popoli 259

se, e per questo motivo la Chiesa franca rimase completamente legata al potere
secolare. L'attività sinodale fu nel VI sec. ancora molto vivace: tra il 511 (primo
sinodo del regno ad Orléans) e il 614 si conoscono oltre trenta concili celebrati
nel regno, che testimoniano l'autonomia della Chiesa nazionale fondata dal re.
La difficile opera di cristianizzazione del regno dei franchi rimase compito
dei vescovi. Il santo vescovo Martino di Tours venne considerato come il patro-
no celeste del regno (§ 71,3c). La venerazione di santi e reliquie divenne l'e-
spressione preferita della pietà religiosa. Molti i vescovi s'impegnarono con le
loro prediche e con i loro scritti di contenuto spirituale: Avito di Vienne (m. 518;
cf § 78,3c), Remigio di Reims (m. 535), Cesario d'Arles (m. 542; cf § 78,3c), Ni-
cezio di Treviri (m. 566), Germano di Parigi (m. 576), Gregorio di Tours (m.
594; «lo storico della prima epoca franca») e Venanzio Fortunato di Poitiers
(m. 601; cf § 78,3e). Accanto ai vescovi acquistarono un'importanza centrale i
monasteri, volutamente inseriti dai merovingi nella loro struttura territoriale. A
dire il vero non si possono provare fondazioni da parte dello stesso Clodoveo,
ma al più tardi con i suoi figli ebbe inizio una politica monastica voluta dalla
corte, forse già con la sua sposa Clotilde (S. Germano d'Auxerre).

Diverse donne importanti legarono il loro nome a questi primi monasteri merovingi: la regi-
na Radegonda, sposa di Clotario I (morta nel 587), a Potiers; la discussa regina Brunechilde (o
Brunilde), più tardi deposta (m. 613), a Autun; la regina Batilde (m. 630) a Corbie e Chelles; ma
risultano legati a questi monasteri molti altri sovrani e nobili. Indipendentemente da questi mo-
nasteri d'importanza regale, sorse dopo il 590 a Luxeuil il centro dei monaci irlandesi guidati da
Colombano (ca. 543-615). Questo fondatore di monasteri trovò l'appoggio del re Sigeberto e del-
la nobiltà franca. Ciò consolidò sicuramente le fondazioni di monasteri irlandesi e consentì loro
di esercitare una vasta influenza, ma legò tuttavia questi monasteri alla classe sociale dominante.
Colombano, che si sentiva chiamato al compito di riformatore e missionario, venne infine in con-
flitto con la corte e con l'episcopato; nel 610 egli abbandonò il regno dei franchi.

La Chiesa nazionale franca fondata da Clodoveo rimase legata al destino


della dinastia merovingia. Il tramonto della dinastia ebbe effetti immediati an-
che sulla Chiesa del regno merovingio e ne determinò la fine.

Bibliografia § 43: P. COURCELLE, Histoire littéraire des grandes invasions germaniques, Paris
1964J; W. GOFFART, Barbarians And Romans A. D. 418-584. The Techniques o/ Accomodation,
Princeton 1980; G. HAENDLER, Das Christentum und die Germanen bis Bomfatius, Berlin 1961;
]. B. HALL, Pollentia Verona And the Chronology o/ Alaric's First Invasion o/ Italy, in « Philolo-
gus » 132 (1988), 245-257; B. KROGER (a cura di), Die Germanen. Geschichte und Kultur der ger-
manischen Stamme in Mitteleuropa, vol. 2, Berlin 1983; C. PIETRI, La géographie de l'Illyricum ec-
clésiastique et ses relations avec l'Eglise de Rame (Ve-Vle siècle), in Villes et peuplement dans l'Il-
lyricum protobyzantin. Actes du colloque organisé par l'Ecole française de Rome, 12-14.5.1982,
Roma 1984; L. PIETRI, La ville de Tours du IV au VI siècle. Naissance d'une cité chrétienne, Roma
1983; J. D. RANDERS-PEHRSON, Barbarians And Romans. The Birth Struggle o/ Europe A. D. 400-
700, Norman 1983; P. Rl:CHÉ-P. Le MAìTRE, Les invasions barbares, Paris 198J6; M. RoUCHE, L'A-
quitaine des Wiszgoths aux Arabes (418-781). Essai sur le phénomène régional, 2 voll., Lille 1977;
260 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano
' '
K. SCHÀFERDIEK, Germanenmission, in RAC 10 (1978), 492-548; K. SCHÀFERDIEK, Germanenmis-
sion, arianische, in TRE 12 (1984 ), 506-510; L. SCHMIDT, Geschichte der deutschen Stamme bis zum
Ausgang der Volkerwanderung I. Die Ostgermanen, Miinchen 1969;K. F. STROHEKER, Germanen-
tum und Spl.itantike, Ziirich 1965; E. A. THOMPSON, Romans And Barbarians. The Decline of the
Western Empire, Madison 1982; L. VARAoY, Das letzte Jahrhundert Pannoniens 376-476, Am-
sterdam 1969; R. WENSKUS, Stammesbildung und Verfassung. Das Werden der friihmittelalterlichen
gentes, Koln-Graz 1961; H. WOLFRAM, Die Geburt Mitteleuropas. Geschichte Osterreichs vor sei-
ner Entstehung, 378-907, Wien 1987.
§ 43.1: J. H. G. LIEBESCHUETZ, Barbarians And Bishops. Army, Church And State in the Age
o/ Arcadius And Chrysostom, Oxford 1990; J. R. Moss, The Effects of the Politics of Aetius on the
History o/Western Europe, in Hist. 22 (1973), 711-731; C. PIETRI, Aristocratie et société clericale
dans l'Italie chrétienne du temps d'Odoacre et de Théodoric, in MEFRA 93 (1981), 417-467; K. ScHA.-
FERDIEK, Zur Frage friiher christlicher Einwirkungen auf den westgermanischen Raum, in ZKG 98
(1987), 149-166; M. SIMONETI1, I.:arianesimo di Ulfila, in B. Luiselli - M. Simonetti (a cura di),
Romano-barbarica, Roma 1976, 297-323; U. WANKE, Die Gotenkriege des Valens. Studien zur To-
pographie und Chronologie im unteren Donauraum von 366-378 n. Chr., Frankfurt-Bern ecc. 1990;
M. A. WES, Das Ende des Kaisertums im Westen des Romischen Reiches, S'Gravenhage 1967; G.
ZECCHINI, Aezio. I.:ultima difesa dell'occidente romano, Roma 1983.
§ 43.2: D. CLAUDE, Ade!, Kirche und Konigtum im Westgotenreich, Sigmaringen 1971; D.
CLAUDE, Geschichte der Westgoten, Stuttgart 1980; D. CLAUDE, Prosopographie des spanischen
Suebenreiches, in «Francia» 6 (1978), 647-676; D. CLAUDE, Untersuchungen zum Untergang des
Westgotenreiches (711-725), in HJ 108 (1988), 329-358; R. J. H. COLLINS, Early Medieval Spain.
Unity in Diversity 400-1000, Basingstoke 1986;J. FONTAINE, Culture et spiritualité in Espagne du
!Ve au Vlle siècle, London 1986; P. GRASSMANN, Der Episkopat in Gallien im 5. ]h. , Bonn 1977;
E. GRIFFE, J.:épiscopat gaulois et !es royautés barbares de 482 à 507, in BLE 76 (1975), 261-284;
P. HEATHER, The Crossing ofthe Danube And the Gothic Conversion, in GRBS 27 (1986), 289-318;
E. JAMES, Visigothic Spain, New York 1980; A. KELLAUTZ, Orient und Okzident am Ausgang des
VI. ]h. Johannes, Abt von Biclarum, Bischof von Gerona, der Chronist des westgotischen Spaniens,
in Byz 12 (1983), 463-506; P. D. KING, Law And Society in the Visigothic Kingdom, Cambridge
1972; L. NAVARRA, Leandro di Siviglia. Profilo storico-letterario, Roma 1987; K. SCHÀFERDIEK,
Die Kirche in den Reichen der Westgoten und Suewen bis zur Einrichtung der westgotischen katho-
lischen Staatskirche, Berlin 1967; K. SCHÀFERDIEK, Gotien. Bine Kirche im Vorfeld des friihbyzan-
tinischen Reiches, in JAC 33 (1990), 36-52.
§ 43.2-3: M. PAVAN, La politica di Teodosio nella pubblicistica del suo tempo, Roma 1964;
H. WOLFRAM, Geschichte der Goten. Von den Anfà'ngen bis zur Mitte des 6. ]h., Miinchen 1979.
§ 43.3: G. ALBERT, Goten in Konstantinopel. Untersuchungen zurostromischen Geschichte um
das ]ahr400 n. Chr., Paderborn 1984; T. S. BURNS,A History o/ the Ostrogoths, Bloomington 1984;
T. S. BURNS, The Ostrogoths. Kingship And Society, Wiesbaden 1980; W ENSSLIN, Theoderich der
Gro;3e, Miinchen 1947; H. LbWE, Theoderich der Grof3e und Papst Johann I, in HJ 72 (1953),
83-100; K. SCHÀFERDIEK, Wul/ila. Vom Bischof von Gotien zum Gotenbischof, in ZKG 90 (1979),
251-291.
§ 43.4: G. P. BOGNETI1, I.: età longobarda, 4 voli., Milano 1966-1968; G. DE ROSA, Gregorio
Magno e Agilulfo, Napoli 1970; S. C. FANNING, Lombard Arianism Reconsidered, in «Speculum»
56 (1981), 241-258; O. GIORDANO, I.: invasione longobarda e Gregorio Magno, Bari 1970; J. JAR-
NUT, Geschichte der Langobarden, Stuttgart 1982; W. MENGHIN, Die Langobarden. Archà"ologie
und Geschichte, Stuttgart 1985.
§ 43.5: L. BbHM, Geschichte Burgunds, Stuttgart 1971; O. PERRIN, Les Burgondes. Leur hi-
stoire, des origines à la fin du premier royaume (534), Neuenburg 1968.
§ 43.6: H.-J. DIESNER, Die Auswirkungen der Religionspolitik Thrasamunds und Hilderichs
§ 44. La Chiesa presso i celti e gli anglosassoni sulle isole britanniche '261

auf Ostgoten und Byzantiner, Berlin 1967; H.-J. DIESNER, Das Vandalenreich. Aufstieg und Unter-
gang, Stuttgart 1966; C. COURTOIS, Les Vandales en d'A/rique, Paris 19652; L.J. VAN DERLOF, Der
Fanatische Arianismus der Vandalen, in ZNW 64 (1973), 146-151.
§ 43 .7: F. BEISEL, Studien zu den friinkisch-romischen Beziehungen. Von ihren Anfiingen bis zum
Ausgang des 6. ]h., Idstein 1987; R. VAN DAM, Leadership And Community in Late Antique Caul,
Berkeley 1985; E. EWIG, Spi.itantikes und /riinkisches Callien, Miinchen 1979; E. EWIG, Die Me-
rowinger und das Frankenrez'ch, Stuttgart 1988; E. GRIFFE, La Caule chrétienne à l'époque romaine,
voi. 2: I:Église des Caulers au 5e siècle. I:Église et les Barbares. La hierarchie ecclésiastique, Paris
1966; M. HEINZELMANN, Bischofsherrschaft in Callien, Miinchen 1976; M. HEINZELMANN, I:art~
stocratie et les évechés entre Loire et Rhin, jusqu'a la fin du VIIe siècle, in RHEF 66 (1976), 75-90;
E. }AMES, The Frtinks, Oxford 1988; R. W. MATHISEN, Ecclesiastica! Factionalism And Religious
Controversy in Vth Century Caul Washington 1989; C. PIETRI, Remarques sur la christianisation du
nord de la Caule (IVe-VIe siècle), in RNord 66 (1984), 55-68; O. PONTAL, Die synoden im Me-
rowingerreich. Paderborn 1986; F. PRINZ, Friihes Monchtum in Frankenreich, Miinchen/Wien
1988 2; K. SCHAFERDIEK, Chlodwig, in TRE 8 (1981), lss.; K. ScHAF'ERDIEK, Franken, in TRE 11
(1983), 330-335; K. SCHAFERDIEK, Remigius von Reims. Kz'rchenmann einer Utnbruchszeit, in ZKG
94 (1983 ), 256-278; R. SCHNEIDER, Das Frankenreich, Miinchen 1990 2; }. M. W ALLACE-HADRILL,
The Frankish Church, Oxford 1983; K. F. WEINER, Le ròle de l'aristocratie dans la chrz'stz'anisation du
nord-est de la Caule, in RHEF 66 (1976), 45-73; R. WEISS, Chlodwigs Tau/e: Reims 508. Versuch ei-
ner neuen Chronologie fiir die Regierungszeit des ersten christlz'chen Frankenkonigs unter Beriickst~
chtigung der politischen und kz'rchlich-dogmatischen Probleme seiner Zeit, Bern 1971; E. ZòLLNER,
Ceschichte der Franken bis zur Mitte des 6. Jahrhunderts, Miinchen 1970.

§ 44. La Chiesa presso i celti e gli anglosassoni


sulle isole britanniche

Adamnano, Vita Columbaei: A. O. ANDERSON, t trad. ingl., Oxford 1991.


Anonimo, Historia Brittonum III. The Vatic. Recension: D. N. DUMVILLE, t, Cambridge 1985.
Beda il Venerabile, Historia ecc!. gentis Anglorum: G. SPITZBART, t trad. ted., Darmstadt 1982;
B. COLGRAVE - R. A. B. MYNORS, t trad. ingl., Oxford 1969.
Gildas, De excidio Britanm'ae: T. MOMMSEN, t, 1898 (MGH.AA 13).
Patrizio, Confessio, Epistula ad milites Corotici: R. P. C. HANSON - C. BLANC, t trad. frane. e, 1978
(SC 249); L. BIELER, t, in «Classica et Medievalia» 11(1950),1-150; L. BIELER, trad. ingl.,
1963 (ACW 17); A. W HADDAN - W. STUBBS, Councils And Ecclesiastica! Documents Rela-
ting to Creat Britain And Ireland, 1869-1873, rist. Oxford 1981.

1. Deromanizzazione dell'Inghilterra

Presso i britanni il cristianesimo aveva trovato sotto il dominio romano


una modesta diffusione(§ 12,3). La Chiesa insulare non fu certamente mol-
to diversa da quella sul continente. Al sinodo di Arles (314) furono presenti
tre vescovi provenienti dalla Britannia. Vescovi britannici presero parte an-
che al sinodo di Rimini del 359, dove si lamentarono della loro povertà (Sul-
262 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

picio Severo, Chron. II 41,3). Nel 384 arrivò a Roma, proveniente dall'isola,
Pelagio(§ 56).
Dopo il 450 ebbe inizio con l'invasione degli anglosassoni la deromanizza-
zione della Britannia. I britanni vennero respinti verso la parte occidentale del-
l'isola e con essi anche il cristianesimo romano-britannico. Le prime tracce di
una cristianizzazione degli anglosassoni si trovano nel Kent: Il re Etelberto ave-
va sposato (prima del 589) la principessa merovingia Berta, con la quale il cri-
stianesimo entrò nella corte di Canterbury. La regina aveva portato con sé un
«vescovo di corte»; l'antica chiesa di S.Martino venne sistemata per ospitarvi le
funzioni religiose (Beda, Hist. I 26).

2. Cristianesimo irlandese

Mentre i cristiani britanno-romani erano ormai confinati nel loro isolamen-


to, il cristianesimo riuscì a prender piede saldamente in Irlanda e Scozia. L'Ir-
landa non era mai stata conquistata dai romani e non era stata toccata neppure
dalla trasmigrazione dei popoli. Attorno al 430 il papa Celestino I (422-432) in-
viò come vescovo in Irlanda il diacono Palladio per combattervi i pelagiani (Pro-
spero, Chronicon, all'anno 431; Contra coll. 21). Come missionario e fondatore
della chiesa irlandese viene considerato tuttavia san Patrizio. Egli proveniva dal
cristianesimo britanno-romano ed aveva conosciuto l'isola come prigioniero;
dopo il suo ritorno in patria divenne chierico, si trattenne a lungo in Gallia e in-
torno al 432, dopo essere stato consacrato vescovo nella sua patria, si recò nuo-
vamente in Irlanda. Gli annali irlandesi datano l'inizio della sua attività missio-
naria al 431. La ricerca oscilla tra il 400 e il 460. Aiutato dai nobili del paese, egli
poté costruire una Chiesa irlandese che nella sua organizzazione si appoggiò ai
piccoli regni tribali. La sua sede vescovile fu certamente Armagh. Il suo model-
lo fu probabilmente quello gallico, che favoriva la vita ascetica e monastica. Pa-
trizio morì poco dopo il 460, dopo circa trent'anni di attività. Egli stesso ci ha
lasciato il ricordo della sua vita e delle sue opere nella Con/essio, che è un'auto-
biografia apologetica, e nella Epistola ad milites Corotici.
Soltanto nel secolo seguente la Chiesa irlandese divenne una «Chiesa mo-
nastica». I monaci dei numerosi monasteri legati alle varie tribù erano respon-
sabili della cura delle anime. La giurisdizione ecclesiastica era nelle mani dell' a-
bate, che per lo più era anche vescovo. Questa organizzazione ecclesiastica con-
ferì alla Chiesa irlandese un carattere rigidamente ascetico. I monasteri diven-
nero centri di formazione culturale e depositari di un proprio ideale monastico,
che infine venne portato anche sul continente, quando i monaci irlandesi, per
motivi ascetici che si esprimevano nella peregrinatio propter Christum («pelle-
grinaggio per amore di Cristo»), lasciarono la loro patria(§ 71.C 3).
§ 44. La Chiesa presso i celti e gli anglosassoni sulle isole britanniche 263

3. Scozia

Come missionario tra i pitti di Scozia viene considerato san Ninian, che sul
finire del IV sec. o all'inizio del V arrivò nel paese attraverso i confini settentrio-
nali della Britannia romana e fondò una sede vescovile a Candida Casa
(Whithorn, Galloway) (Beda, Hist. III 4). Questa iniziativa missionaria non sem-
bra aver avuto un grande successo. Un successo più duraturo ebbero i monaci ir-
landesi, che giunsero in Scozia dall'Irlanda guidati da Colomba (il Vecchio, 521-
597). Colomba era nato in una famiglia principesca d'Irlanda ed aveva ricevuto
la sua formazione classica in un monastero irlandese; nel 563 si trasferì in Scozia
con dodici compagni come peregrinus pro Christo («pellegrino per Cristo»). Qui
fondò chiese e monasteri. lona divenne il centro della sua attività monastica e
missionaria, che egli condusse in stretto legame con le famiglie nobili predomi-
nanti. Grazie a Colomba il cristianesimo riuscì ad inserirsi nel tipico ordinamen-
to sociale di irlandesi, scoti e pitti. La sua opera fu di fondamentale importanza
per l'aspetto particolare della concezione ecclesiastica d'Irlanda e Scozia.

4. La cristianizzazione degli anglosassoni

L'evangelizzazione dell'Inghilterra anglosassone ebbe inizio verso la fine del


VI sec. Attraverso la regina cattolica Berta esistevano già dei legami con i mero-
vingi, ma l'impulso all'attività missionaria venne dal papa Gregorio I (Ep. VI
10), che nel 596 inviò in Inghilterra Agostino, priore del suo monastero roma-
no di S. Andrea, insieme a quaranta monaci. Essi furono accolti nel 597 a Can-
terbury da Etelberto, la cui sovranità si estendeva su tutti e sette i regni d'In-
ghilterra. Il primo giugno del 597 il re si fece battezzare, a novembre Agostino
venne consacrato vescovo ad Arles, e il giorno di Natale dello stesso anno die-
cimila sudditi del re del Kent ricevettero il battesimo (Beda, Hist. I 25-26; Gre-
gorio, Ep. VIII 29). A ciò dovette seguire l'assetto dell'organizzazione ecclesia-
stica (che utilizzò certamente l'antica amministrazione britanno-romana): due
arcivescovati, a Canterbury e a York, e diversi vescovati. Venne intensificata la
missione, e a tale scopo Gregorio intervenne specialmente presso la coppia re-
gale (Ep. XI 35) e diede precise istruzioni all'arcivescovo Agostino (Ep. XI 56,
la cosiddetta «istruzione missionaria»). L'attività missionaria continuò a dipen-
dere dal favore e dall'incoraggiamento dei re. Soltanto la conversione di una ca-
sa reale apriva ai missionari la strada nei vari regni d'Inghilterra.

Ciò si rivelò vero specialmente per il regno di Northumbria, per il quale fu responsabile Pao-
lino, arcivescovo di York. Quando cadde in battaglia il re cristiano Edwin (617-632) e il re paga-
no Penda di Merda allargò la sua sfera d'influenza, si ebbe anche il cròllo della missione romana.
I re Osvaldo (633-641) e Oswiu (641-670) incoraggiarono di nuovo la cristianizzazione e fecero
venire missionari irlandesi nel paese (Aidano da Lindisfarne, m. 652).
264 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

Dal nord si diffuse infine una Chiesa d'impronta irlandese, mentre nel sud
agiva la Chiesa romana di Agostino, rafforzata da attività missionarie promos-
se dal regno dei merovingi. Le due diverse concezioni di Chiesa s'intersecava-
no e si scontravano reciprocamente con le loro forme diverse di vita cristiana
(vi erano differenze soprattutto nella data della Pasqua e nelle strutture del-
l'organizzazione ecclesiastica), pur senza arrivare ad aperte ostilità. Nel sinodo
di Whitby, celebrato nel 664, le questioni ecclesiastiche vennero risolte nel
senso della forma romana. Ne fu il patrocinatore l'arcivescovo di York Vilfre-
do; il re Oswiu aderì e si dichiarò pronto a seguire le istruzioni di san Pietro,
«il portinaio del cielo» (Beda, Hist. III 25). Dietro il sinodo di Whitby vi so-
no tensioni, sintomatiche per la storia dei primi tempi della chiesa inglese, tra
i capi delle varie tribù e le famiglie reali; occasione immediata per il sinodo po-
trebbero essere state certe divergenze tra il re Oswiu e il figlio Egfrido. Le ri-
soluzioni di Whitby assicurarono l'unità ecclesiastica dell'Inghilterra. Il com-
pito di rafforzarla e di portarla a termine appartenne all'arcivescovo di Can-
terbury Teodoro, inviato in Inghilterra nel 667 dal papa Vitaliano.
Bibliografia§ 44: Angli e sassoni al di qua e al di là del mare, 2 voli., Spoleto 1986; M. W. BAR-
LEY -R. P. C. HANSON (a cura di), Christianity in Britain 300-700, Leicester 1968; F. BYRNE, The
Ireland o/ St. Columba, Dublin 1970; R. P. C. HANSON -H. MAYR-HARTING, England I-II, in TRE
9 (1982), 616-626; K. HUGHES -A. HAMLIN, Celtic Monasticism, New York 1981; G. }ENAL, Gre-
gor der Groj3e und die Anfiinge der Angelsachsenmission (596-604), in SSAM 32 (1984), 793-875;
J. MAc QUEEN, St. Nynia, Edinburgh 1961; H. MAYR-HARTING, The Coming of Christianity to
Anglo-Saxon, London 199l3;]. MORRIS, The Age o/ Arthur. A History of the British Isles /rom 350
to 650, London 1973; H. MYTUM, The Origins o/ Early Christian Ireland, London 1992; T. D.
O'SULLIVAN, The «De excidio »o/ Gildas. Its Authenticity And Date, Leiden 1978: S. M. PEARCE
(a cura di), The Early Church in Western Britain And Ireland, Oxford 1982; P. SALWAY, Roman Bri-
tain, London 1981; C. THOMAS, Britain And Ireland in Early Christian Times A. D. 400-800, Lon-
don 1971; M. J. WALSH, Askese V· Keltische und irische Askese, in TRE 4 (1979), 225-229.
§ 44.1: M. GALLYON, The Early Church in Northumbria, Lavenham 1977; C. THOMAS, The
Early Christian Archaeology o/ North Britain, London 1971.
§ 44.2: A. ANGENENDT, Columbanus, in TRE 8 (1981), 159-162; L. BIELER, Irland. Weg-
bereiter des Mittelalters, Lausanne 1961; L. BIELER, St. Patrick And the Coming of Christianity,
London 1967; L. M. BITEL, Isle of the Saints. Monastic Settlement And Christian Community in
Early Ireland, A. D. 400-1200, lthaca 1990; B. BRADSHAW, Irland, in TRE 16 (1987), 273-287;
R. P. C. HANSON, Saint Patrick. His Origins And Career, Oxford 1968; K. HUGHES, Early Chri-
stian Ireland. Introduction to the Sources, Ithaca 1972; H. LòWE (a cura di), Die Iren und Eu-
ropa im fruhen Mittelalter, 2 voll., Stuttgart 1982; C. Los, Keltentum. Untergang und Au/er-
stehung. Die altirische Kirche, Stuttgart 1977; J. T. Mc NEILL, The Ce/tic Churches. A History
A. D. 200 to 1200, Chicago 1974; P. Ni CHATAIN - M. RrCHTER (a cura di), Irland und die Chri-
stenheit. Bibelstudien und Mission/Ireland And Christendom. The Bibel And the Missions,
Stuttgart 1987; P. Ni CHATAIN, Columba, in TRE 8 (1981), 156-159; R. SHARPE, Keltische Kir-
chen, in TRE 18 (1989), 85-92.
§ 44.4: P. SIMS-WILLIAMS, Religion And Literature in Western England 600-800, Cambridge
1990; F. PRINZ, Zumfriinkischen und irischen Anteil an der Bekehrung der Angelsachsen, in ZKG
95 (1984), 315-336; H. VOLLRATH, Die Synoden Englands bis 1066, Paderborn 1985; M. J. WHIT-
TOCK, The Origins o/ England, 410-600, London 1986.
§ 45. La concorrenza dell'islam 265

§ 4.5. La concorrenza dell'islam

Giovanni di Damasco, «Scritti sull'islam»: D. J. SAHAS, t trad. ingl., Leiden 1972; R. LE Coz, t
trad. frane. e, 1992 (SC 383 ).

1. La comparsa di Maometto

Mentre il cristianesimo si diffuse nei paesi germanici dell'occidente, dovette


invece subire gravi perdite nei territori orientali delle sue origini. Al confine orien-
tale dell'Impero Romano si profilò un cambiamento di portata storica mondiale
che restrinse l'impero bizantino allo spazio costituito da Grecia e Asia Minore.
Questo taglio netto nella storia dell'Impero Romano e del cristianesimo è le-
gato al nome del profeta Maometto, «il lodatissimo» (ca. 570/580-632), e alla
sua nuova religione, l'islam. Il fondatore di questa religione era originario del-
1' Arabia (La Mecca) e si presentò a partire dal 610 come profeta di un rigido
monoteismo. Egli conosceva sia il giudaismo che il cristianesimo, che da diver-
se tribù arabe era stato abbracciato in parte nella forma monofisita, in parte in
quella nestoriana. Nella sua missione come messaggero dell'Unico Dio, egli vo-
leva condurre gli arabi alla verità della pura fede in un unico Dio e riunirli sul-
la base di questa fede. Soltanto dopo il 622, dopo la sua emigrazione (in arabo
higra, «egira», inizio dell'era musulmana) a Yathrib, la futura Medina, venne ri-
conosciuto nella sua pretesa di guida religiosa e politica. La sua comparsa a Me-
dina coincise con l'ini~o dell'ultima guerra tra bizantini e persiani (622-628).
L'imperatore Eraclio sconfisse infine il re di Persia Cosroe II e lasciò quindi un
impero persiano indebolito. Durante la guerra le tribù arabe legate ai due im-
peri si staccarono dai rispettivi patroni; la fine della guerra, con i suoi problemi
economici, e gli errori politici nei confronti delle tribù arabe alleate, favorirono
il movimento di unificazione e le tendenze espansionistiche di Maometto.

2. La diffusione dell'islam

Dopo la morte di Maometto, i suoi successori ne proseguirono le spedizioni


di conquista. Il messaggio religioso risultò legato in maniera inseparabile al pre-
dominio politico. Sollecitate alla« guerra santa» (gihad), che doveva essere con-
dotta contro tutti gli infedeli (non-musulmani), per sottometterli politicamente,
le tribù arabe si lasciarono riunire sotto i califfi (i «vicari», successori di Mao-
metto). Dopo la battaglia del fiume Yarmuk [affluente del Giordano] (20 agosto
636), il califfo Omar (634-644) conquistò la Siria bizantina; nel 638 cadde Ge-
266 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

rusalemme, nel 639/640 la Mesopotamia, nel 640 Alessandria; veniva aperta, co-
sì, la strada verso l'Egitto e il Nordafrica; nello stesso anno gli arabi conquista-
rono l'Armenia e nel 698 Cartagine. Alla fine del VII sec. la carta del Mediter-
raneo mostra a sud e ovest un territorio chiuso sotto il dominio arabo. L'antica
unità dello spazio mediterraneo era finalmente spezzata. Sul mare nostrum si.
fronteggiavano ormai due culture contrapposte e reciprocamente ostili.

3. I cristiani sotto gli arabi


Dal loro territorio centrale dell'Arabia i musulmani cacciarono gli ebrei e i
cristiani. Nei paesi conquistati il giudaismo e il cristianesimo, in quanto « reli-
gioni del libro», rimasero ufficialmente consentiti. Per le chiese monofisite e ne-
storiane la conquista fu inizialmente una liberazione dalle misure persecutorie e
repressive dell'ortodossia politica. Con l'accettazione del dominio il rapporto
tra conquistatori e conquistati veniva stabilito in maniera sopportabile. In qua-
le misura le regolamentazioni (libero esercizio della religione in cambio del pa-
gamento di un'imposta personale) fossero rispettate dipendeva ampiamente dai
governatori arabi nei paesi conquistati. Una testimonianza per il modo di vive-
re e di comportarsi dei cristiani sotto gli arabi ci viene fornita da Giovanni di
Damasco (675-754), che interpretò l'islam come eresia e gli assegnò quindi un
posto nella storia delle eresie (Lib. de haer. 100). Vi sono inoltre notizie isolate
di vessazioni, di occasionali conversioni forzate ed anche di martirii, soprattut-
to sotto i califfi 'Abd al-Malik (685-705) e Omar II (717-729) a Damasco.
I cristiani divennero nella società una minoranza che doveva sottostare alla
cultura araba e persiana, altamente sviluppata. Continuarono certamente ad esi-
stere gli antichi patriarcati di Alessandria e Antiochia, ma essi furono sostituiti
sempre di più dal patriarca di Costantinopoli. Dalla loro situazione di scarsa im-
portanza le Chiese cristiane uscivano ancora quasi esclusivamente in certe occa-
sioni nelle quali potevano essere motivo di tensione politica tra bizantini e arabi.

Prospetto cronologico: lepoca della trasmigrazione dei popoli

Occidente Oriente

306-337 Costantino I Fine III I inizio IV sec.: sotto


Tiridate III il cristianesimo diventa
in Armenia religione di Stato
Frumenzio evangelizza l'Etiopia
Santa Nino/Nune evangelizza la Georgia
309-379, Sapore II di Persia:
persecuzioni dei cristiani
§ 45. La concorrenza dell'islam 267

Occidente Oriente

337-361 Figli di Costantino: dal 350


Costanzo II
341 L'ostrogoto Ulfila viene consacrato
vescovo (m. 383)
364-375 Valentiniano I 364-378 Valente
375 Gli unni travolgono gli
alani e ostrogoti
376 Tervingi e altri germani
attraversano il Danubio
378 Sconfitta di Valente contro
i germani presso Adrianopoli
375-383 Graziano 379-395 Teodosio I
380 Insediamento di goti in Pannonia
382 Patto con goti tervingi
383-392 Valentiniano Il,
Generale Bauto (franco)
dal 387 Arhogaste (franco)
392 Eugenio come usurpatore sotto
Arhogaste
394 Vittoria di Teodosio contro
Eugenio sul Frigido
395-423 Onorio 395-408 Arcadio
395-408 Il vandalo Stilicone capo
supremo dell'esercito
401 Visigoti sotto Alarico
in marcia verso l'Italia
406 Burgundi sul Basso Reno
408-450 Teodosio II
409 Insediamento dei suebi in Galizia
410 Sacco di Roma Concilio di Seleucia-
Ctesifonte in Persia
411 Regno dei vandali in Gallia e Spagna
418 Visigoti fondano un regno in Aquitania
420-428 Bahram V di Persia:
persecuzioni contro i cristiani
424-455 Valentiniano III
429-454 Il pannonio Ezio capo
supremo dell'esercito
429 I vandali invadono il Nordafrica
sotto Genserico (428-477)
Vengono perseguitati ripetutamente
i cattolici
Tra 400 e 460 cristianizzazione
dell'Irlanda attraverso Patrizio
437-454 Incursioni degli unni nelle regioni
del corso medio del Reno, in Tracia,
Italia sotto Attila (445-453)
268 VII. Il cristianesimo come religione di Stato. La cristianizzazione dell'Impero Romano

Occidente Oriente

Burgundi si trasferiscono nel territorio tra


il Giura, il Rodano e i vosgi
440-461 Papa Leone I
450-457 Pulcheria e Marciano
455-472 Generale Ricimero (suebo)
457-461 Maioriano 457-474 Leone I
473 Ostrogoti abbandonano Pannonia
474-491 Zenone l'lsaurico
476 Fine dell'Impero d'Occidente:
Odoacre assume il potere
486 Concilio di Seleucia-
Ctesifonte:
Persia: la Chiesa persiana
diventa nestoriana
489 Ostrogoti calano in Italia
493 Vittoria dell'ostrogoto Teodorico
(471-526) su Odoacre
(cosiddetta «battaglia dei corvi»)
Dal 497 Teodorico è riconosciuto
come sovrano d'Italia
482-511 Clodoveo, re dei franchi,
conquista tutta la Gallia , vince
gli alamanni e i visigoti
491-518 Anastasio
498 Battesimo di Oodoveo
507 Vittoria dei franchi sui visigoti:
visigoti si ritirano verso la Spagna
518-527 Giustino I
521-597 Monaci irlandesi sotto Colomba
il Vecchio cristianizzano la Scozia
527-567 Giustiniano I e Teodora
529-534 Pubblicazione del Codex
lustinianus
533-552 Bizantini sotto Belisario e
Narsete riconquistano Africa
(dai vandali) e Italia (dagli
ostrogoti)
Evangelizzazione della Nubia
534 Franchi conquistano Turingia e terre
dei bµrgundi
536-545 Franchi conquistano Provenza, Rezia,
Liguria, terre del Norico e dei veneti
546 Longobardi occupano la Pannonia
550-560 Suebi diventano cattolici
565-578 Giustino II
568 Longobardi occupano territori
dell'Italia e diventano in Italia
settentrionale la potenza predominante
(fino al 774)
§ 45. La concorrenza dell'islam 269

Occidente Oriente

ca. 570/580-632 Maometto


610-641 Eraclio, assume per primo
il titolo di basileus
586-601 Reccaredo, re dei
visigoti, abbraccia la fede nicena
589 Concilio di Toledo
Azione di Leandro di Siviglia
591- Agilulfo, re dei longobardi,
615/616 sposa Teodolinda
Conversione al cattolicesimo
590-604 Papa Gregorio I
Fine VI sec. Cristianizzazione degli anglosassoni
610 Comparsa di Maometto
dal 635 diffusione dell'islam in oriente
664 Sinodo di Whitby, Inghilterra:
risoluzione delle questioni ecclesiastiche
con adeguamento a Roma

Bibliografia § 45: J. BERTUEL, I:Islam. Ses veritables origines. Un predicateur à la Mecque. Es-
sai critique d'analyse et de synthèse, 2 voll., Paris 1981; C. CAHEN, Der Islam I. Vom Ursprung bis
zu den Anfà'ngen des Osmanenreiches, Frankfurt 1968; F. M. DONNER, The Early Islamic Conque-
sts, Princeton 1981; N. ELISSÉEFF, I:Orient musulman au moyen age, 622-1260, Paris 1977; G. FI-
NAZZO, I Musulmani e il Cristianesimo. Alle origini del pensiero islamico (secoli VII-X), Roma
1980; G. E. VON GRUNEBAUM, Der Islam in seiner klassischen Epoche, 622-1258, Ziirich/London
1966; P. E. HOBINGER (a cura di), Bedeutung und Rolle des Islam beim Ubergang vom Altertum
zum Mittelalter, Darmstadt 1968; B. LANDRON, Les relations originelles entre chrétiens de !'Est
(Nestoriens) et Musulmans, in ParOr 10 (1981/1982), 191-222; B. LEWIS, Der Islam van den
An/à'ngen bis zur Eroberung van Konstantinopel, 2 voll., Ziirich/Miinchen 1981/1982 (ingl. 1974);
R.- J. LILIE, Die byzantinische Reaktion auf die Ausbreitung der Araber. Studien zur Strukturwand-
lung des byzantinischen Staates im VII. und VIII. Jh., Miinchen 1976; E. RABBATH, Les chrétiens
dans l'Islam des premiers temps, Beirut 1980; A. SCHALL, Islam -Religionsgeschichtlich, in TRE 16
(1987), 315-336; M. A. SHABAN, Islamic History, A. D. 600-750. A New Interpretation, London
1971; J. SHAHID, Rame And the Arabs. A Prolegomenon to the Study o/ Byzantium And the Arabs,
Washington 1984; C. J. SPEEL, The Disappearance o/ Christianity /rom North Africa in the Wake o/
the Rise o/ Islam, in ChH 29 (1960), 379-397; W. M. WATT - A. T. WELCH, Der Islam, vol. 1:
Mohammed und die Friihzeit, islamisches Recht, religioses Leben, Stuttgart 1980.
§ 45.1: M. COOK, Muhammad, Oxford 1983; J. KUBERSKI, Mohammed und das Christentum.
Das Christentum zur Zeit Mohammeds und die Folgen fiir die Entstehung des Islam, Bonn 1987;
M. S. SEALE, Muslim Theology. A Study o/ Origins with Re/erence to the Church Fathers, London
1964; W. M. WATT, Muhammad. Prophet And Statesman, London 1961.
§ 45.2: H. KENNEDY, The Prophet And the Age o/ the Caliphates. The Islamic Near East /rom
the VIth to the XIth Century, London 1986; M. LOMBARD, I.:Islam dans sa première grandeur (VIIIe-
XIe siècles). Paris 1971; R. MANTRAN, I:expansion musulmane (VIIe-XIe siècles), Paris 1969.
§ 45.3: B. AHMAD, Muhammad And the Jews. A Re-Examination, New Delhi 1979; G. R.
HAWTING, The First Dynasty o/ Islam: the Umayyad Caliphate A. D. 661-750, London 1~86; A. T.
KHOURY, Der theologische Streit der Byzantiner mit dem Islam, Paderborn 1969; D. J. SAHAS, fohn
o/ Damascus on Islam. The « Heresy o/ the Ishmaelites », Leiden 1972; A. S. TRITTON, The Caliphs
And Theirs Non-Muslim Subjects. A Critica!Study o/ the Covenant o/ Umar, London 1970.
VIII. Sviluppo dottrinario:
dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia.
Eresie e scismi concomitanti

§ 46. I temi teologici centrali

Sulla professione di fede nell'unità e trinità di Dio e sull'incarnazione del


Verbo, che costituisce ancora oggi la base e l'elemento distintivo della fede cri-
stiana, si accesero nel IV e nel V secolo violente controversie. Le discussioni eb-
bero luogo in sinodi e concili (§ 64), in dialoghi di contenuto religioso, scritti
polemici, omelie e trattati teologici. La teologia patristica giunse all'apice e nu-
merosi scritti di questo tempo erano destinati ad avere un'ampia influenza sulla
storia della teologia e della Chiesa. Le questioni teologiche riguardarono quasi
ogni sfera della vita cristiana ed ecclesiastica, mentre i processi attraverso i qua-
li si cercava di chiarire e risolvere problemi filosofici e teologici risultarono tan-
to più aggravati dal fatto di essere coinvolti anche in lotte per il potere politico.
Si assistette continuamente ad episodi di corruzione e di slealtà, a liti esaspera-
te, a decisioni arbitrarie d'inviare in esilio e ad eccessi di violenza.
Furono soprattutto tre i problemi teologici sui quali si alimentarono le di-
scussioni.
- Durante i primi secoli il mistero dell'Unità e Trinità di Dio era stato con-
siderato ed esposto dal punto di vista della storia della salvezza: il Padre si rive-
lava attraverso il Figlio nello Spirito Santo. Come concetto centrale servì quello
di oikonomia.
La posizione del Figlio nei confronti del Padre venne descritta sostanzialmente in termini
funzionali: il Logos venne considerato come mediatore della creazione e della rivelazione, come
maestro e intermediario di ciò che è veramente buono e divino. Formulazioni di tipo subordina-
ziano, e quindi certe concezioni che proponevano una subordinazione del Figlio nei confronti del
Padre, erano di uso corrente e non venivano considerate eretiche, almeno nella misura in cui non
risultavano legate ad ulteriori limitazioni (cf § 32).

Nel IV sec. 'il piano ontologico passò al centro dell'attenzione. Complemen-


tare al concetto di ozkonomia divenne quello di theologia: in che modo va inte-
so il rapporto tra Padre e Figlio, o tra Padre, Figlio e Spirito all'interno della
Trinità? In che modo Unità e Trinità si possono pensare in un tale nesso onto-
logico che ne impedisca la reciprocà eliminazione?
Erano in concorrenza soprattutto due idee fondamentali: da una parte c'erano modelli che
proponevano gradi diversi, nei quali il sommo Dio increato e il mondo creato materiale venivano
§ 46. I temi teologici centrali 271

connessi attraverso piani esistenziali o ipostasi differenti; dall'altra parte c'era l'idea secondo la
quale il divario tra la pura spiritualità di Dio e la materialità della creazione non poteva essere col-
mato attraverso costruzioni sussidiarie, poiché queste distruggevano l'Unità e l'Onnipotenza as-
soluta di Dio.

Il conflitto venne provocato dalle teorie di Ario. La soluzione del Concilio


di Nicea non riuscì inizialmente ad essere persuasiva sul piano teologico, cosic-
ché il conflitto tra «niceni» e « ariani» delle più varie sfumature condizionò le
attività teologiche e di politica ecclesiastica dei decenni seguenti, fino a quando,
dopo i lavori preparatorii dei cosiddetti neo-niceni, non fu trovato nel Concilio
di Costantinopoli del 381 un consenso ampiamente accettato anche per la divi-
nità dello Spirito Santo(§§ 47-49).
- La questione teologica trinitaria circa la divinità del Figlio sollevò neces-
sariamente anche quella cristologica circa il rapporto tra divinità e umanità in
Gesù Cristo. Soluzioni estreme come il docetismo o I' adozianismo erano state
respinte già nei primi secoli (CF §§ 28,2;32,2). Ma con l'approfondimento del-
la teologia trinitaria si pose il problema, tanto più urgente, del modo di pensa-
re un' antropologia cristologica.

La prima cristologia elaborata nel IV sec. fu allora anche un tentativo di difendere l'ho-
moousios niceno: Apollinare sviluppò la sua cristologia rifiutata come eretica per salvare la divi-
nità di Cristo(§ 53). La presa di posizione contro l'arianesimo o contro arianesimo e apollinari-
smo condusse nelle scuole teologiche d'Alessandria e d'Antiochia a concezioni cristologiche dif-
ferenti, per la giustificazione delle quali ci furono nella prima metà del V sec. aspre contese.

Le controversie non trovarono con il Concilio di Calcedonia del 451 una


conclusione definitiva (§§ 54-55). Intere regioni orientali della Chiesa si stacca-
rono e sussistono in parte ancora oggi come chiese monofisite o nestoriane. At-
torno ad alcuni problemi riguardanti la dottrina delle due nature (la questione
sulla volontà divina ed umana di Gesù Cristo e sulla sua energeia, o modo di agi-
re) si ebbero fino al VII sec. posizioni contrastanti, che portarono tra l'altro al
monotelismo e al monenergetismo (§§ 58-60).
- La Chiesa latina fu meno interessata dagli inizi delle discussioni trinitarie
e cristologiche e dalle loro alte speculazioni teologico-filosofiche. Essa venne
coinvolta nei conflitti e diede il suo contributo anzitutto nel modo autonomo di
recepire i problemi e in una chiara mediazione orientata in senso biblico o bi-
blicistico.

Ilario di Poitiers scrisse la sua opera antiariana De Trinitate sotto l'influenza della teologia
orientale, da lui conosciuta durante il suo esilio. I trattati di Ambrogio De fide e De Spiritu Sanc-
ta rappresentano una mediazione della teologia di Origene, Basilio di.Cesarea e Didimo. L'unico
abbozzo sistematico autonomo per una teologia trinitaria è quella offerto da Agostino all'inizio
del V sec. (cf §§ 49,3; 76,4).
272 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

L'interesse degli occidentali sembra essersi concentrato più sulla posizione


degli uomini di fronte a Dio e nel mondo: ne sono indizio già le discussioni svi-
luppatesi con motivazioni ecclesiologiche sulla penitenza e la posizione dei pec-
catori durante i primi secoli; lo dimostrano più che mai la lotta con la chiesa do-
natista in Nordafrica (§ 52) e soprattutto le controversie sulla dottrina della gra-
zia. La questione circa il rapporto tra libertà umana e grazia divina riflette in
certo modo il problema cristologico, riferito agli uomini. Ai primi violenti scon-
tri tra Agostino e Pelagio seguirono negli anni successivi ulteriori controversie e
diversi modelli di compromesso che si è soliti raggruppare sotto il nome di se-
mipelagianismo.
In connessione con queste discussioni centrali e i loro sviluppi nella teolo-
gia della Chiesa antica si ebbero altre numerose controversie che talvolta furo-
no soltanto di ambito locale, ma talvolta riuscirono a turbare altri circoli eccle-
siastici. La loro importanza per la vita della Chiesa nella sua interezza, per le va-
rie forme di spiritualità cristiana e per le diverse questioni teologiche non può
essere sottovalutata (§ 50).

Bibliografia: T. E. GREGORY, Vox Populi. Popular Opinion And Violence in the Religious Con-
troversies o/ the Vth Century A. D., Columbus 1979; B. STUDER, La riflessione teologica nella Chie-
sa imperiale, secoli IV e V, Roma 1989.

§ 47. Ario e il Concilio di Nicea del 325

B. NEUNIER - B. SESBOUÉ, Dieu peut-il avoir un fils? Le débat trinitaire du IV siècle, trad. frane.,
Paris 1993.
Scritti ariani: G. OPITZ, Urkunden zur Geschichte des arianischen Streites 318-328, t, 1934-1935
(GCS Ath. 2); (l'opera verrà citata in seguito in questo modo: Opitz, Urk.);J. LIÉBAERT, Deux
homélies anoméennes sur l'octave de Pàque, t trad. frane. e, 1969 (SC 146).
Atanasio: cf § 75,2a.
Asterio, Fragmenta: M. VINZENZ, t trad. ted. e, Leiden 1993 (VigChr Suppl. 20). Hom. Ps.: M. Rr-
CHARD, t, Oslo 1956.
Simboli: G. L. DOSSETTI, Il simbolo di Nicea e di Costantinopoli, t, Roma/Freiburg 1967; D. SPA-
DA, Le formule trinitarie da Nicea a Costantinopoli, trad. it., Roma 1988.

1. La teologia di Ario

Ario, originario della Libia, divenne diacono ad Alessandria e infine prete.


Sotto il vescovo Alessandro d'Alessandria (312-328) esercitò il ministero nella
chiesa alessandrina di Bàucalis e gli vennero affidate specialmente la catechesi e
§ 47. Ario e il Concilio di Nicea del 325 273

la predicazione (Epifanio, Pan. 68,4,2; 69,1,2; Socrate, H. E. V 22; Teodoreto,


H. E. I 2,9). Aria venne considerato teologo capace e zelante, come «eminente
dialettico» (Sozomeno, H. E. I 15 ,3). Ci sono rimasti di lui solo pochi scritti: let-
tere al vescovo Eusebio di Nicomedia (intorno al 318; Opitz, U rk. 1), al vesco-
vo Alessandro d'Alessandria (intorno al 320; Opitz, Urk. 6) e all'imperatore Co-
stantino (327; Opitz, Urk. 30). Tutti i tentativi di ricostruire la sua dottrina, inol-
tre, fanno riferimento esclusivo alle testimonianze frammentarie e almeno in
parte polemicamente distorte di Alessandro e Atanasio d'Alessandria. L'auten-
ticità dei frammenti di Thalia («Banchetto»), un misto di prosa e di poesia, che
ci sono stati tramandati da Atanasio (De syn. 15; Contra Ar. I 5-6.9), continua ad
essere messa in dubbio.
La sua provenienza teologica non è quindi indiscussa. Sicuramente egli si
trovò inserito nella tradizione della teologia alessandrina, che mostrava un'evi-
dente impronta origenista, e subì in misura notevole l'influsso del medio e nuo-
vo platonismo. Ulteriori dipendenze sono difficilmente dimostrabili.

Dal fatto che Eusebio di Nicomedia lo abbia definito come «seguace di Luciano» (Opitz,
Urk. 1,1) si è voluta dedurre una sua appartenenza alla cosiddetta scuola antiochena, che si pre-
sume fondata da Luciano d'Antiochia. Quest'ultimo, così, è stato considerato come il maestro di
Ario e come colui che in certo senso ne avrebbe già anticipate le teorie. Le prove per una simile
opinione, tuttavia, non reggono a un esame critico. L'esistenza di una scuola teologico-esegetica
in Antiochia, per altro, si può dimostrare soltanto a partire della metà del IV secolo. Il poco che
si conosce sulla teologia di Luciano è troppo generico perché se ne possano dedurre rapporti con-
creti. Che Luciano abbia redatto la seconda formula antiochena, è una tradizione di epoca tarda.
I tentativi di attribuire a Luciano una recensione della Bibbia sono tutti falliti.

Certamente prima del 318, Ario cominciò a esporre la sua propria teologia,
che parte dall'assoluta trascendenza, immutabilità e inalterabilità di Dio. Egli se-
parava nettamente Dio-Padre da Dio-Figlio. Per lui, vero Dio sarebbe soltanto
il Padre ingenerato (à'ytvv11-coç), il Figlio apparterrebbe alle creature e non sa-
rebbe eterno: «Ci fu un tempo in cui egli [il Logos] non era» (Tìv 7tO'tc, O'tc oÙK
nv, Atanasio, Contra Ar. I 5). Al massimo egli potrebbe essere detto solo in sen-
so figurato come generato da Dio; egli sarebbe stato creato dal Padre dal nulla
prima dei tempi (npò XP6vrov KaÌ airovrov, Opitz, Urk. 1,4 ecc.), ma sarebbe
stato tuttavia la prima e la prediletta fra tutte le creature (K'ttcrµa, nol.11µa) (Prv
8,22), definito dal Padre come Figlio. In quanto creato per primo, egli è per
Aria intermediario e strumento (opyavov) di Dio, assolutamente trascendente,
nell'opera della sua creazione.
Ario incontrò in Alessandria un notevole interesse, ma suscitò anche obie-
zioni. Era impossibile raggiungere un accordo. Il vescovo Alessandro lo escluse
insieme ai suoi seguaci, probabilmente nel 318 o 319, dalla Chiesa alessandrina
(cf Opitz, Urk. 1; 4b).
274 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

2. L'allargamento della controversia

La controversia alessandrina si allargò così nella Chiesa orientale, poiché


Ario trovò rapidamente degli appoggi. Offrirono il loro aiuto i cosiddetti «se-
guaci di Luciano», specialmente il vescovo Eusebio di Nicomedia e ben presto
anche Eusebio di Cesarea (Opitz, Urk. 4b;7). Uno dei primi e più importanti
teologi ariani fu Asterio il Sofista (originario della Cappadocia, m. dopo il 341),
che nel suo Syntagmation (scritto prima del 325), di cui si hanno soltanto dei
frammenti, elaborò gli argomenti teologici centrali.

Atanasio discusse, oltre che con Ario, soprattutto con Asterio, ed anzi nella terza orazione
contro gli ariani esclusivamente con lui. Gli scritti di Atanasio rappresentano pressoché l'unica
fonte per l'opera quasi completamente perduta del dotto scrittore della Cappadocia. Il corpus di
commenti e omelie sui salmi, edito da M ..Richard, potrebbe essere attribuito anche a un altro
Asterio vissuto tra la fine del IV sec. e l'inizio del V (cf W. Kinzig).

Nel 320 venne celebrato, presieduto da Eusebio di Nicomedia, un sinodo in


Bitinia che si espresse a favore di Ario e chiese la sua riammissione nella Chie-
sa d'Alessandro (Opitz, Urk. 5; 10; Sozomeno, H. E. I 15,10). Il vescovo Ales-
sandro oppose un netto rifiuto (Opitz, Urk. 14; 15). Proprio in tale situazione
di profonda spaccatura tra avversari e difensori di Ario Costantino trovò la
Chiesa dopo la sua vittoria su Licinio nel 324. Anche se non conosceva l'impor-
tanza teologica delle discussioni, cercò egli stesso, inizialmente, di comporre la
controversia. La sua politica religiosa tendeva a far regnare una piena concordia
fra tutti coloro che servivano Dio, nella consapevolezza che dall'unità nella fede
dipendeva anche il benessere dello Stato. Che si discutesse su tali «questioni
prive d'importanza» egli non riusciva a capirlo (lettera ad Alessandro ed Ario;
Opitz, Urk. 17). Il suo consigliere ecclesiastico-teologico, il vescovo Osio di
Cordova (m. 357 /358), doveva intervenire per una mediazione.
Un sinodo ad Antiochia (cf Opitz, Urk. 18; fine del 324 o inizio del 325)
presieduto da Osio si espresse a favore di Alessandro, condividendone ampia-
mente la posizione teologica (Opitz, Urk. 14; 18) e rinnovando la condanna di
Ario e dei suoi seguaci, tra i quali Eusebio di Cesarea. Intanto l'imperatore ave-
va deciso di restaurare l'unità della Chiesa con un concilio generale. I vescovi
dell'intero ecumene dovevano ritrovarsi a Nicea (l'odierna Iznik), nella residen-
za imperiale. L'imponente assemblea di circa 250-300 vescovi, che provenivano
quasi esclusivamente dall'oriente (Roma era rappresentata da due presbiteri), si
riunì probabilmente il 20 maggio del 325 nel 212 palazzo imperiale di Nicea.
L'imperatore, che presumibilmente intervenne di persona ai dibattiti, si aspetta-
va dal concilio la soluzione della questione ariana.
Dopo la condanna di Antiochia la fazione degli alessandrini risultava
rafforzata. Essi persistettero intransingentemente nella loro posizione antiaria-
§ 47. Aria e il Concilio di Nicea del 325 275

na. Anche Eustazio d'Antiochia e Marcello d'Ancira (§ 48,2) si erano espressi


inequivocabilmente contro Ario. Il partito favorevole ad Ario era guidato dai
due Eusebi, i vescovi di Nicomedia e di Cesarea, che sostenevano un punto di
vista meno rigoroso di quello sostenuto dal prete accusato. La maggioranza
dei partecipanti al concilio poté schierarsi su una posizione intermedia tra le
due parti estreme.

3. La risoluzione di Nicea

Poiché non ci sono pervenuti atti e verbali del concilio, il suo svolgimen-
to non può ricostruirsi con esattezza. Dal rapporto di Eusebio (Vita Const.
III) e da altre notizie si può dedurre quanto serie e quanto vivaci fossero le
discussioni che vi furono condotte. Il risultato dogmatico è compendiato nel-
la professione di fede di Nicea. Il testo fondamentale fu probabilmente un
simbolo usato nell'atto liturgico del battesimo, anche se non, come suggeri-
sce il relativo passo di Eusebio (Opitz, Urk. 22,4), quello di Cesarea. Questo
testo venne integrato e precisato in senso antiariano. Secondo tale testo si de-
ve confessare che «il Figlio di Dio è della natura del Padre» (ÈK 'tfìc; oùcriac;
'tOU Ila'tp6c;), «che egli è Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della
identica natura del Padre» (oµooucrwc; 'tcp Ila'tpi). Proprio questo termine
tecnico (homoousia = «consustanzialità»), favorito dallo stes~o imperatore
(Opitz, Urk. 22,7; cf Vita Const. III 13), doveva diventare più tardi il punto
controverso centrale.

La provenienza del concetto di homoousios è discussa: se gli studiosi furono propensi in pas-
sato ad accettare la tesi secondo cui con tale espressione si doveva definire positivamente l'unità
numerica dell'essenza divina, oggi si fa strada l'opinione secondo cui per i padri si trattò innanzi-
tutto di un acuto concetto contrapposto alle formulazioni di Ario, senza che il termine tecnico fos-
se stato realmente ponderato nelle sue conseguenze teologiche.

L'orientamento antiariano del Simbolo di Nicea venne sottolineato da


un'appendice in cui le concise formulazioni dottrinali di Ario (creazione del Fi-
glio nel tempo, dal nulla e di sostanza o essenza diversa da quella del Padre) ve-
nivano respinte e ogni difensore di queste tesi «veniva escluso dalla Chiesa cat-
tolica ed apostolica». Ario non si sottomise, come non si sottomisero i suoi con-
terranei vescovi Secondo di Tolemaide e Teone di Marmarica. Essi furono sco-
municati e poi esiliati dall'imperatore. Lo stesso provvedimento colpì Eusebio
di Nicomedia e il vescovo locale Teognide. In tal modo sembrò che il pericolo
fosse allontanato e che si fosse ottenuta l'unità della Chiesa: che i vescovi al ter-
mine delle loro discussioni fossero tutti « della stessa idea e della stessa opinio-
ne» (Vita Const. III 15).
276 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

Il concilio si occupò anche di tutta una serie di questioni che riguardavano la Chiesa in ge-
nerale (festa e data della Pasqua, elezione del vescovo, articolazione territoriale della Chiesa,
problemi penitenziali, ecc.). Venti canoni sancirono i risultati. La sua conclusione venne cele-
brata con una splendida festa: l'imperatore Costantino festeggiò i suoi venticinque anni di po-
tere imperiale e invitò coloro che avevano preso parte al concilio a un banchetto. Eusebio, col-
pito dalla situazione dei vescovi, così diversa rispetto agli anni della persecuzione, descrive il
tutto in toni di commossa celebrazione: « Si poteva quasi ritenere o supporre che ci si trovasse
di fronte a un'immagine del regno di Cristo, che tutto fosse soltanto un sogno e non la realtà!»
(Vita Const. III 15).

Il Concilio di Nicea non aveva certamente espresso, nella discussione con


Ario e la teologia ariana, l'ultima parola. Rimaneva molto da chiarire, come si
dovesse intendere, per esempio, l' «unità di natura», innanzitutto per il fatto
che il concetto non si trova nella Sacra Scrittura. Le controversie decisive eb-
bero luogo nei decenni successivi. Soltanto negli anni Cinquanta del secolo il
niceno sarebbe divenuto per i suoi difensori un evento d'incomparabile im-
portanza: il «grande e santo sinodo dei trecentodiciotto padri» (con riferi-
mento a Gn 14,14), il «responso divino»; soltanto ora il concetto di
oµooucnoç divenne il pomo della discordia, la cui interpretazione provocò la
divisione degli animi. I conflitti sulla confessione di fede di questo sinodo, che
era praticata soltanto da pochi sostenitori dell'occidente e solo più tardi avreb-
be avuto importanza ecumenica, provocarono anche la riflessione sulla natura
e sul significato di un concilio e contribuirono alla costruzione di una teoria
conciliare nella Chiesa antica (cf § 64).

Bibliografia§ 47: G. BARDY, Recherches sur Saint Lucien d'Antioche et de son école, Paris
1936; L. W. BARNARD, The Antecedents ofArius, in VigChr 24 (1970), 172-188; M. R. BARNES-
D. H. WILLIAMS, Arianism After Arius. Essays on the IV Century Trinitarian Con/licts, Edin-
burgh 1993; W. A. BIENERT, Das vornicaenische homoousios als Ausdruck der Rechtglaubz'gkeit,
in ZKG 90 (1979), 5-29; T. BòHM, Die Christologie des Arius, St Ottilien 1991; T. BòHM, Eini-
ge Aspekte zur jiingeren Ariusforschung, in MThZ 44 (1993), 109-118; E. BoULARAND, I.:hérésie
d'Arius et la «/oi» de Nicée, 2 voll., Paris 1972; F. DINSEN, Homoousios. Die Geschichte des Be-
grif/s bis zum Konzil von Konstantinopel (381), Kiel 1976; T. G. ELLIOTT, Constantine And the
Arian Reaction After Nicaea, inJEH 43 (1992), 169-194; R. C. GREGG (a cura di), Arz'anism. Hi-
storical And Theological Reassessments, Philadelphia 1985; R. C. GREGG - D. E. GROH, Early
Arianism. A View o/Salvation, Philadelphia 1981; R. P. C. HANSON. The Search /or the Christz'an
Doctrine of God: The Arian Controversy 318-381, Edinburgh 1988; R. P. C. HANSON, The In-
/luence of Orz'gen on the Arian Controversy, in «Origeniana» 4 (1985), 410-423; R. M. HOBNER,
Der Gott der Kirchenvà'ter und der Gott der Bibel. Zur Frage der Hellenisierung des Christentums,
Miinchen 1979; C. KANNENGIESSER, Arius And the Arians, in TS 44 (1983), 456-475; J. T.
LIENHARD, The «Arian » Controversy. Some Categories Reconsidered, in TS 44 (1983), 415-437;
U. LOOSE, Zur Chronologie des arianischen Streites, in ZKG 101 (1990), 88-92; R. LORENZ, Arius
judaizans? Untersuchungen zur dogmengeschichtlichen Einordnung des Arius, Gottingen 1979;
R. LORENZ, Die Christusseele im arianischen Streit. Nebst einigen Bemerkungen zur Quellenkri-
tik des Arius und zur Glaubwiirdigkeit des Athanasius, in ZKG 94 (1983), 1-51; C. LUIBHÉID,
The Council of Nicaea, Galway 1982; K. METZLER - F. SIMON, Ariana et Athanasiana. Studien
§ 48. Le controversie sulla confessione di Nicea e la vittoria sull'arianesimo 277

zur Oberlie/erung und zu philologischen Problemen der Werke des Athanasius von Alexandrien,
Opladen 1991; I. ORTIZ DE URBINA, Niziia und Konstantinopel, Mainz 1964; F. RrCKEN, Zur Re-
zeption der platonischen Ontologie bei Eusebios von Kaisareia, Areios und Athanasios, in ThPh
53 (1978), 321-352; A. M. RrTTER, Arianismus, in TRE 3 (1978), 692-719; A. M. RrTTER, Arius
redivivus? Ein Jahrzwol/t Arianismus/orschung, in ThR 55 (1990), 153-187; M. SIMONETTI, Stu-
di sull'Arianesimo, Roma 1965; M. SIMONETTI, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975; R. WIL-
LIAMS, Arius: Heresy And Tradition, London 1987.
§ 47.1: G. C. STEAD, The Thalia o/Arius And the Testimony o/Athanasius, inJThS 29 (1978),
20-52.
§ 47.2: L. ABRAMOWSKI, Die Synode von Antiochien 324-325 und ihr Symbol, in ZKG 86
(1975), 356-366; D. L. HOLLAND, Die Synode von Antiochien (324-325) und ihre Bedeutung/ur
Eusebius von Caesarea und das Konzil von Niziia, in ZKG 81 (1970), 163-181; W. KINZIG, In Search
o/ Asterius. Studies on the Authorship o/ the Homilies on the Psalms, Gottingen 1990.
§ 47.3: H. VoN CAMPENHAUSEN, Das Bekenntnis Eusebs von Ciisarea (Niciia 325), in ThPh 44
(1969), 321-341; O. SKARSAUNE, A Neglected Detail in the Creed o/ Nicaea (325), in VigChr 41
(1987), 34-54.

§ 48. Le controversie sulla confessione di Nicea


e la vittoria sull'arianesimo

Aezio, Syntagmation: L. R. WICKHAM, t trad. ingl. c, inJThs 19 (1968), 532-569.


Eunomio, Opera: r. p. vaggione, t trad. ingl., Oxford 1987.
Ilario, De synodis: L. LONGOBARDO, trad. it., 1993 (CollTP 105).
Marcello d'Ancira, «Frammenti»: E. KLOSTERMANN-G. C. HANSEN, t, Berlin 19722 (GCS Eus. 4),
255-263.
Pseudo-Atanasio (Marcello?), Expositio /idei;- Sermo maior de fide etc.: H. NORDBERG, Athanasia-
na I. t, Helsinki 1962.
De incarn. et contra Arianos: t, PG 26, 984-1028.
Cf anche§§ 47; 49; 76,1

1. Sguardo d'insieme sugli altri avvenimenti

La controversia sulla confessione nicena durò per cinque decenni. Gli ales-
sandrini la intesero come una conferma della loro posizione teologica e persi-
stettero in questa interpretazione. Il partito che si era mostrato favorevole ad
Ario ne prese certamente le distanze (<<noi non siamo seguaci di Ario», Atana-
sio, De syn. 23), ma si schierò decisamente anche contro l'homoousios. L'impe-
ratore Costantino venne a trovarsi negli anni dopo il Concilio di Nicea sotto l'in-
fluenza di questo partito (detto degli eusebiani), il cui capo fu dal 328 Eusebio
di Nicomedia (m. 341/342).
278 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

Prima fase:

Dalla fine del 327 Riabilitazione di Ario; l'imperatore Costantino sotto l'influsso eusebiano
335 Sinodo di Tiro: 1• deposizione di Atanasio (335-337)
337-340 Imperatore Costantino II in Gallia
337-350 Imperatore Costante in Africa, Italia, Pannonia, dal 340
in occidente (niceno)
337-361 Imperatore Costanzo II in oriente (antiniceno)
337-352 Giulio I di Roma
339-346 2° esilio di Atanasio
341 Sinodo d'Antiochia in occasione della consacrazione della «gran-
de chiesa» (chiesa aurea) di Costantino; (formule antiochene)
342 o 343 Sinodo di Serdica (o Sardica): separazione tra oriente e occidente
345 Ekthesis makrostichos (formula di fede detta, forse per la lunghezza,
« macrostica »)

Seconda fase:

350-361 Costanzo sovrano assoluto


352-366 Liberio di Roma
351 Sinodo di Sirmio (l" formula di Sirmio)
353 Sinodo di Arles, 355 Milano, 356 Béziers
356-361 3° esilio di Atanasio
357 2• formula di Sirmio
358 Sinodo di Ancira, 3• formula di Sirmio
359 4" formula di Sirmio

Divisione della fazione antinicena in:


Omoiusiani
Omei
Anomei
359-360 Doppio sinodo di Seleucia e Rimini
Nike (Tracia): confessione omeusiana dell'impero

Terza fase:

361-363 Imperatore Giuliano


362 Sinodo dell'unione ad Alessandria
362-363 4° esilio di Atanasio
364-378 Valente: tentativo di restaurazione omeusiana
365-366 5° esilio di Atanasio
379-395 Imperatore Teodosio I
380 Editto Cunctos populos: la confessione nicena diventa
confessione dell'Impero
381 Concilio di Costantinopoli
§ 48. Le controversie sulla confessione di Nicea e la vittoria sul!'arianesimo 279

2. Digressione: la teologia di Marcello d'Ancira


La situazione risultò aggravata dalle dottrine di Marcello d'Ancira (m. in-
torno al 374). Egli rifiutava rigorosamente la posizione ariana come anche la
dottrina origenista delle ipostasi e interpretava l' homoousios sulla base di una
teologia miahypostatica (= con una sola ipostasi). Il Logos è quindi «forza»
(ouvaµtç) o «energia» (ÈvÉpyi::u:x) del Padre e, in quanto tale, certamente pree-
sistente, ma senza una propria sussistenza. Egli emanerebbe dal Padre in con-
nessione con l'incarnazione e tornerebbe nell'unità divina, conformemente a
1 Cor 15, 24-28, alla fine dei tempi. Non si potrebbe parlare, quindi, di un re-
gno eterno di Cristo. Questa dottrina venne respinta nel sinodo celebrato ad
Antiochia nel 341, in occasione della consacrazione della «grande chiesa» di
Costantino, e subito dopo emerse nella professione di fede la formula « cuius re-
gni non erit finis» (Le 1,33; cf il Simbolo Costantinopolitano, 381). Il fatto che
Atanasio prendesse le distanze da Marcello solo molto tardi diede altra esca al
rimprovero degli antiniceni, secondo il quale l' homousios ratificherebbe una
teologia sabelliana (cf § 32,3; cf anche la discussione presso Eusebio di Cesarea
in Contra Marcellum e De Theologia ecclesiastica).

La consistenza precisa del Corpus Marcellinum rimane ancora discussa: oltre ai frammenti
tramandati in Eusebio potrebbero essergli attribuite alcune delle opere che ci sono giunte sotto il
nome di Atanasio (cf specialmente le ricerche di M. Tetz). L'influenza di Marcello sui teologi del
IV sec. (come Atanasio, Ilario e gli esponenti occidentali della teologia trinitaria, Gregorio di Nis-
sa, ecc.) non va sottovalutata. Anche se venne ripetutamente condannato e isolato, egli continuò
a trovare molti seguaci, che radicalizzarono la sua teologia (per es. Forino, § 50,4) e vennero con-
dannati come eretici nel canone 1 di Costantinopoli (381).

3. Nuovo orientamento della politica religiosa imperiale

a) IL SINODO DI TIRO

Alla fine del 317 l'imperatore Costantino revocò il decreto d'esilio emanato
contro Ario e i suoi compagni e chiese che Ario fosse riammesso nella comunità
ecclesiastica alessandrina. Ad Alessandria venne eletto vescovo, 1'8 giugno del
328, Atanasio, che aveva partecipato al Concilio di Nicea come diacono. Egli di-
venne uno dei più intransigenti difensori della confessione di Nicea e, in con-
trasto con gli eusebiani, l'oppositore della politica religiosa imperiale. Nel 335
venne deposto da un sinodo celebrato a Tiro e l'imperatore lo mandò in esilio a
Treviri (Apol. II 87,2). Nello stesso tempo venne concessa ad Ario la piena co-
munione con la Chiesa; un anno più tardi egli morì, probabilmente a Costanti-
nopoli (Apol. II 84; De syn. 21). Nel 336 Costantino destituì Marcello d'Ancira,
rigorosamente antiariano, dal suo ufficio.
280 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

Il cambio avvenuto ai vertici dell'Impero nel 337 pose fine al primo esilio di
Atanasio e creò una nuova situazione nella politica ecclesiastica. In oriente, Co-
stanzo II (337-361, sovrano assoluto dal 350) rimase sulla strada tracciata dal pa-
dre; in occidente, Costante (337/340-350) sostenne piuttosto il partito niceno.
La rivalità tra i due fratelli si trasferì sul piano confessionale. Già nel 339 Ata-
nasio fu nuovamente costretto ad abbandonare la sua sede vescovile.

b) IL SINODO ROMANO DEL 341


Il vescovo di Roma, Giulio I (337-352), accolse nella comunione ecclesiasti-
ca i vescovi condannati in oriente. Con questa decisione egli ignorava le deci-
sioni sinodali orientali, in particolare la deposizione di Atanasio da parte del si-
nodo di Tiro (335). Per un certo tempo, così, Roma divenne il centro dell'op-
posizione contro la politica ecclesiastica degli eusebiani. Il legame con Atanasio
rafforzò l'antico asse Roma-Alessandria. Giulio progettò la convocazione di un
sinodo per tutta la Chiesa, ma il progetto venne rifiutato dagli eusebiani. Per es-
si non c'era nulla da cambiare, poiché il caso di Atanasio era stato deciso da un
sinodo. Giulio riunì, probabilmente nella primavera del 341, un sinodo romano
al quale parteciparono circa cinquanta vescovi italici. I padri sinodali chies_ero la
reintegrazione dei vescovi deposti (Lettera sinodale di Giulio agli orientali: Ata-
nasio, Apol. II 21-35; 51,5-53).

c) IL SINODO TENUTO AD ANTIOCHIA NEL 341

All'iniziativa romana gli orientali reagirono con un sinodo convocato ad An-


tiochia in occasione della consacrazione della «grande chiesa» nell'autunno del
341. A questo cosiddetto sinodo in encaeniis (= «per la consacrazione») prese-
ro parte i cento vescovi della fazione eusebiana (Atanasio, De syn. 25; Ilario, De
syn. 29). Essi non aderirono alla richiesta di revisione avanzata da Roma e insi-
stettero nuovamente sul problema di fede. I risultati si possono constatare in
quattro testi che formulano la professione di fede («quattro formule antioche-
ne »). La più importante è la seconda formula. Si tratta di una dettagliata pro-
fessione di fede che condanna sia la posizione ariana radicale che la dottrina di
Marcello d' Ancira, la cui confessione era stata accettata a Roma. Viene rifiutato
anche l' homoousios niceno. Sotto l'influsso evidente della teologia trinitaria di
Origene, la formula propone, sulla scia del subordinazianismo preniceno, tre di-
stinte ipostasi, ciascuna con il proprio grado ('tcil;tç) e la propria magnificenza
(06/;a), che sarebbero una sola cosa attraverso la loro armonia (cruµcprovl.a).
Con la quarta formula alcuni vescovi orientali rimasti anonimi cercarono
inutilmente, più tardi, un riavvicinamento e una riconciliazione, rinunciando
ampiamente ai concetti contestati (oùcrl.a, ousia e derivati, un6cr'tacrtç, hyposta-
sis etc.).
§ 48. Le controversie sulla confessione di Nicea e la vittoria sull'arianesimo 281

4. Tentativi falliti di unione

a) IL SINODO DI SERDICA DEL 342/343


In tale situazione l'occidente, con Giulio di Roma e l'imperatore Costante,
sollecitò sotto l'influenza di Atanasio un nuovo concilio imperiale, che fu con-
vocato per l'autunno del 342 o 343 a Serdica (o Sardica, l'odierna Sofia). All'in-
vito aderirono circa novanta/cento vescovi occidentali e circa settantacinque/ot-
tanta vescovi orientali. La maggior parte degli orientali favorevoli agli ariani in-
sistette nella propria richiesta, cioè che Atanasio, Marcello e i loro seguaci do-
vessero considerarsi come deposti, ciò che venne rifiutato dalla parte occiden-
tale. I vescovi orientali si rifiutarono perciò di prendere parte alle discussioni. Il
concilio fece registrare così una rapida disgregazione e le due parti si scomuni-
carono reciprocamente. Gli orientali difesero in un'ampia lettera circolare a tut-
ta la Chiesa la loro posizione e rinnovarono la loro professione di fede, inte-
grando la quarta formula antiochena con anatematismi. Anche gli occidentali
esposero in una lunga lettera la loro concezione di fede, che in rigida opposi-
zione non solo con le dottrine ariane, ma anche con l'intera teologia trinitaria
orientale, ribadiva energicamente certi assunti come l'unicità delle ipostasi e l'u-
nità tra Padre e Figlio (Teodoreto, H. E. II 8,40; cf Ilario, Collectanea antiaria-
na B II 1,8; § 63,2).
Sul piano teologico le due posizioni si possono descrivere nel modo se-
guente: i niceni si attenevano a una dottrina che difendeva l'unità dell'ipostasi
(cf l'interpretazione atanasiana dell' homoousios come unità di natura in De decr.
20), ciò che dai loro awersari venne inteso come sabellianismo. Gli antiniceni
sostenevano una dottrina che difendeva due o tre ipostasi, una posizione che ai
loro awersari apparve sospetta di arianesimo e triteismo.

b) EKTHESIS MAKROSTICHOS

Due anni più tardi gli orientali fecero arrivare a Milano, come proposta di
mediazione per l'imperatore Costante e l'episcopato occidentale, una nuova for-
mula di fede nota come Ekthesis makrostichos (con allusione alla sua lunghezza;
letteralmente: «esposizione in lunghe righe»; la redazione sarebbe awenuta ad
Antiochia). Il suo nucleo essenziale era costituito dalla formula di Serdica, e
quindi anche dalla quarta formula antiochena, ampliata da brani esplicativi. Per
venire incontro ali' occidente, la formula evitava i concetti discussi, come «le tre
ipostasi», espressione sostituita da certe formulazioni che ricorrevano a termini
come« cose» (1tpayµcx·m) o« persone» (1tp6crro1m), ed inoltre sottolineava con
forza l'unità della divinità come comunione senza spazi intermedi o elementi di
mediazione. La proposta non venne accettata.
La situazione politica dell'Impero sembrò svilupparsi a favore dell'occiden-
282 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

te: Costanzo II fu costretto ad affrontare il problema dei persiani; Costante ap-


profittò di questa situazione e riuscì ad ottenere che i niceni non fossero più og-
. getto di persecuzione in oriente. Anche Atanasio poté tornare nel 346 ad Ales-
sandria (Gregorio di Nazianzo, Or, 21,27).

5. Politica di unificazione sotto l'imperatore Costanzo II

Nel 350 Costanzo II divenne sovrano unico (nel 353 vinse l'usurpatore oc-
cidentale Magnenzio). Come suo padre anch'egli si adoprò per una pace ecu-
menica nella Chiesa, con cui si doveva superare la divisione che si era creata tra
oriente e occidente dal sinodo di Serdica.

a) PROVVEDIMENTI ANTINICENI

Il sinodo di Sirmio del 351 depose il vescovo locale Potino, in quanto rite-
nuto discepolo e seguace di Marcello d' Ancira. I padri sinodali, provenienti
esclusivamente dall'oriente, redassero una confessione di fede (la prima formu-
la di Sirmio), con la quale essi rimanevano sulla linea di Serdica: essa era costi-
tuita dalla quarta formula antiochena, integrata da numerosi anatematismi.
Dopo il 353 Costanzo II estese la sua politica di unificazione anche all'occi-
dente. Il via fu dato dal sinodo di Arles (353 ), cui seguirono i sinodi di Milano
(355) e di Béziers (356). In primo piano c'era nuovamente il caso di Atanasio.
Sotto la pressione dell'imperatore la maggior parte dei vescovi occidentali pre-
se le distanze da Atanasio, mentre gli altri furono esiliati: nel 353 Paolino di Tre-
viri, nel 355 Eusebio di Vercelli, Lucifero di Cagliari(§ 50,3), Dionigi di Mila-
no, Liberio di Roma (§ 50,2), Osio di Cordova e Ilario di Poitiers (§ 76,1), in-
sieme a Rodanio di Tolosa. Contro Costanzo essi lottarono per la libertà della
Chiesa; grazie all'esilio in oriente essi ebbero occasione di conoscere diretta-
mente le controversie teologiche e l'importanza del niceno. Infine anche Atana-
sio fu costretto a lasciare nuovamente Alessandria egli trovò rifugio negli inse-
diamenti monastici dell'Egitto. La resistenza del partito atanasiano sembrò così
spezzata. Sul piano della politica ecclesiastica veniva ristabilita una certa unità.

b) p ARTITI ANTINICENI

In tal modo, da una parte guadagnarono terreno teologi ariani estremisti co-
me il diacono Aezio ed Eunomio di Cizico, i quali, in possesso di una forma-
zione dialettica, asserivano che il Padre e il Figlio erano dissimili (àv6µotoç,
anhomoios), per cui furono detti anomei; dall'altra, coloro che erano di opinio-
ne contraria si strinsero compatti a difesa del niceno e dell' homoousios. Notevoli
contrasti suscitò la seconda formula di Sirmio (357). Indipendentemente da tut-
§ 48. Le controversie sulla confessione di Nicea e la vittoria sull'arianesimo . 283

.te le precedenti formule di fede, e con una forte venatura biblicistica, essa vie-
tava qualsiasi discorso che affermasse un'unica «natura» (o'Òcrta) di Dio, insi-
steva su una rigorosa subordinazione del Figlio e, come se ciò non bastasse, ve-
nivano evitati per la prima volta anatematismi contro l'arianesimo.
Contro questo rifiuto di Nicea si sollevò alta la protesta. Ilario di Poitiers de-
finì la formula come la« bestemmia di Sirmio » (De syn. 10). Febadio, vescovo
di Agen nel sud della Gallia, scrisse contro la formula e le contrappose la con-
fessione di Nicea come «perfetta regola di fede» (Contra Arianos 6,3). Le for-
mule che erano state pensate originariamente per un'unificazione ottennero un
rafforzamento dei cosiddetti omoiusiani (vedi sotto), come anche una divisione
tra i loro avversari.
Tra anomei e homousiani venivano a trovarsi ora teorie con differenti sfuma-
ture, che cercavano tutte di evitare il malvisto homoousios. Gli omei affermava-
no una somiglianza (oµotoç, omoios =«simile») tra Padre e Figlio; i loro porta-
voce erano i vescovi illirici Valente di Mursa (Esseg) e Ursacio di Singidunum
(Belgrado), che si ritenevano successori degli eusebiani, e Acacio di Cesarea. Se-
condo gli omoiusiani, un partito di compromesso incline al niceno, di cui subì
l'influsso anche Ilario, Padre e Figlio sono simili nella sostanza (6µow6cnoç,
homoiousios; òµofoç Ka't' oùcrtav). Basilio d' Ancira fu il loro più importante rap-
presentante (Lettera sinodale di Ancira 358; Epifanio, Pan. 73,2-11).
Questi ultimi videro crescere inizialmente la propria influenza, anche sul-
l'imperatore, di cui ottennero l'adesione alla terza formula di Sirmio (358), che
era costituita in pratica dalla prima formula e da ulteriori anatematismi.

c) IL DOPPIO SINODO DI SELEUCIA-RrMINI

Un nuovo tentativo di mediazione tra anomei e omoiusiani, compiuto a Sir-


mio nel 359 (quarta formula di Sirmio, cosiddetta« confessione datata» del 22
maggio 359; Atanasio, De syn. 8; Socrate, H. E. II 37), venne a trovarsi chiara-
mente sotto il segno omeusiano, cioè degli omei. Esso servì come preparazione
di un sinodo imperiale che doveva portare all'unità della Chiesa. La sua attua-
zione avvenne nella forma di doppio sinodo. Gli occidentali dovevano riunirsi a
Rimini, mentre gli orientali furono convocati a Seleucia (Isauria). Con la pres-
sione esercitata dall'imperatore prevalsero in entrambi i sinodi parziali gli omei
e si pose fine all'opposizione dei due partiti. Nuova confessione di fede nell'im-
pero fu ritenuta quella omeusiana: il Figlio è simile al Padre secondo la Scrittu-
ra o «simile in tutte le cose» (quarta formula di Sirmio, Acacio di Cesarea). La
confessione venne dibattuta e definitivamente formulata a Nike (Tracia) nel 359.
Da questo momento si proibì di parlare di homoousios, homoiousios e anomeo;
la formula di Nike evitava anche l'espressione «unica ipostasi» e parlava sol-
tanto di «simile», senza altre aggiunte (Valente e Ursacio).
284 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

Con questo risultato del concilio, ottenuto con la forza, l'Impero era uffi-
cialmente omeusiano. La parola conclusiva fu detta in un'udienza imperiale a
Costantinopoli (fine del 359) e confermata nel 360 da un sinodo tenuto nello
stesso luogo. L'imperatore aveva raggiunto il suo obiettivo di un'unità della
Chiesa nell'Impero: «Tutto l'orbe emise un sospiro di sollievo e si meravigliò di
essere diventato ariano» (Girolamo, Altercatio Luci/eriani et orthodoxi 19).
La confessione imperiale omeusiana non rimase a lungo in vigore nell'Im-
pero romano, ma per lungo tempo rappresentò la confessione che unificò i po-
poli germanici stabilitisi in un Impero che andava ormai in rovina (cf §§ 43;
49,4).

6. La svolta politica

L'imperatore Costanzo morì nel novembre del 361. Il suo successore Giu-
liano (361-363; § 41,3) tolse al cristianesimo il suo appoggio; non era ammis-
sibile per lui una fede cristiana giuridicamente protetta dallo Stato. I vescovi
esiliati poterono rimpatriare. Atanasio riprese di nuovo la guida dei niceni e
cercò un'unione con gli omoiusiani. Un sinodo convocato ad Alessandria nel
362 doveva ripristinare l'unità nella Chiesa e nella fede. Esso fu dominato da
Atanasio, che nel frattempo si era separato da Marcello d'Ancira e diffuse in-
fine il risultato del sinodo nel suo Tomus ad Antiochenos. L'indulgenza con la
quale si venne incontro a coloro che fino ad allora erano stati considerati av-
versari sconcertò alcuni veteroniceni, alla protesta dei quali diede espressione
Lucifero di Cagliari (§ 50,3). Sorsero problemi anche sull'occupazione di sedi
vescovili che finora erano state nelle mani di ariani. In Antiochia i contrasti
condussero a uno scisma che durò per anni(§ 50,1). Gli sforzi per unificare la
Chiesa s'interruppero nuovamente quando l'imperatore Valente (364-378)
mandò in esilio niceni e omoiusiani e si affidò nuovamente alle forze omeu-
siane. Atanasio fu costretto per la quinta volta ad andare in esilio (365). Men-
tre niceni e omoiusiani venivano violentemente perseguitati e sotto questa
pressione trovavano il modo di riavvicinarsi, i cosiddetti neoniceni preparava-
no una soluzione teologica che includeva anche la sopraggiunta questione sul-
lo Spirito Santo (§ 49).
Al lavoro dei teologi («Avanzando e progredendo di chiarezza in chiarezza
la Luce della Trinità doveva risplendere su coloro che risultavano sempre più il-
luminati», Gregorio di Nazianzo, Or. theol. 5,26) venne incontro infine il
profondo cambiamento politico. Nel 379 divenne imperatore d'oriente Teodo-
sio. Egli era niceno ed emanò già nel 380 il suo famoso editto (Cunctos populos)
che prescriveva ai cristiani, richiamandosi a Damaso di Roma e a Pietro d' Ales-
sandria, la confessione nicena. Il sinodo di Costantinopoli, convocato da Teo-
§ 48. Le controversie sulla confessione di Nicea e la vittoria sull'arianesimo 285

dosio nel 381, fu dominato dai teologi neoniceni. Con la loro confessione, che
confermava il niceno e condannava l'arianesimo e tutte le correnti antinicene, si
chiudeva un'importante epoca nella storia dei dogmi(§ 49).

Bibliografia § 48 (cf anche§§ 47,49): L. W. BARNARD, East-West Conciliatory Moves And


Their Outcome in the Period 341-351 A. D., in HeyJ 20 (1979), 243-256; C. F. A. BORCHARDT, Hi-
lary o/ Poitiers'role in the Arian Struggle, Den Haag 1966; H.-C. BRENNECKE, Hilarius von Poitiers
und die Bischofsopposition gegen Konstantius II. Untersuchungen zur dritten Phase des Arianischen
Streites (337-361), Berlin/New York 1984; H.-C. BRENNECKE, Studien zur Geschichte der Homoer.
Der Osten bis zum Ende der homoischen Reichskirche, Tiibingen 1988; K. M. GIRARDET, Kaiser-
gericht und Bischofsgericht. Studien zu den Anfiingen des Donatistenstreites (313-315) und zum Pro-
zefl des Athanasius von Alexandrien (328-346), Bonn 1975; K. M. GIRARDET, Kaiser Konstantius
II. als «Episcopus Episcoporum» und das Herrscherbild des kirchlichen Widerstandes (Ossius von
Cordoba und Luczfer von Calaris), in Hist. 26 (1977), 95-128; T. A. KOPECEK, A History of Neo-
Arianism, 2 voll., Cambridge/Mass. 1979; W. A. LòHR, Die Entstehung der homoischen und
homousianischen Kirchenparteien. Studien zur Synodalgeschichte des 4. Jh., Bonn 1986; M. MESLIN,
Les Ariens d'Occident, 335-430, Paris 1967; W. TIETZE, Luci/er von Calaris und die Kirchenpolitik
des Constantius II. Zum Konfl.ikt zwischen dem Kaiser Constantius II. und der nikilnisch-ortho-
doxen Opposition, Tiibingen 1976 (tesi di laurea); J. ULRICH, Die Anfiinge der abendlà'ndischen Re-
zeption des Niziinums, Berlin/New York 1994.
§ 48.2: G. FEIGE, Die Lehre Markells von Ankyra in der Darstellung seiner Gegner, Erfurt
1991; R. HOBNER, Gregor von Nyssa und Market! von Ankyra, in M. Harl (a cura di), Écriture et cul-
ture philosophique dans la pensée de Grégoire de Nysse, Leiden 1971, 199-229; E. SCHENDEL, Herr-
schaft und Unterwerfung Christi. 1 Kor 15,24-28 in Exegese und Theologie der Viiter bis zum Aus-
gang des 4. Jahrhunderts, Tiibingen 1971; K. SEIBT, Marce!! von Ancyra, in TRE 22 (1992), 83-89;
J. T. LIENHARD, Marcellus o/ Ancyra in Modern Research, in TS 43 (1982), 486-503; M. TETZ, Zur
Theologie des Markell von Ankyra I-III, in ZKG 75 (1964), 217-270; 79 (1968), 3-42; 83 (1972),
145-194; M. TETZ, Markellianer und Athanasios von Alexandrien. Die markellianische Expositio fi-
dei ad Athanasianum des Diakons Eugenios van Ankyra, in ZNW 64 (1973 ), 75-121; M. TETZ, Zum
altromischen Bekenntnis. Ein Beitrag des Marcellus von Ankyra, in ZNW 75 (1984), 107-127.
§ 48,3: L. W. BARNARD,. The Council of Serdica, 343 A. D., Sofia 1983; L. W. BARNARD, The
Council o/ Serdica. Some Problems Re-Assessed, in AHC 12 (1980), 1-25; H. HESS, The Canons of
the Council o/ Sardica, A. D. 343, Oxford 1958; W. SCHNEEMELCHER, Die Kirchweihsynode von
Antzochien 341, in A. Lippold - N. Himmelmann (a cura di), Banner Festgabe Johannes Straub,
Bonn 1977, 319-346; M. TETZ, Ante omnia de sancta fide et de integritate veritatis. Glaubensfra-
gen auf der Synode von Serdica (342), in ZNW 76 (1985), 243-269.
§ 48.5: E. CAVALCANTI, Studi eunomiani, Roma 1976; Y-M. DUVAL, La «manoeuvrefraudu-
leuse »de Rimini. A la recherche du « Liber adversus Ursacium et Valentem »,in Hilaire et son tem-
ps, Paris 1969, 51-103; K. H. UTHEMANN, Die Sprache der Theologie nach Eunomius von Cyzicus,
in ZKG 104 (1993), 143-175; M. WILES, Eunomius. Hair-Splitting Dialectician Or Defender o/ the
Accessability of Salvation?, in R. Williams (a cura di), The Making o/ Orthodoxy (FS H. Chadwick),
Cambridge 1989, 157-172.
§ 48.6: M. SIMONETTI, Il concilio di Alessandria del 362 e!'origine della formula trinitaria, in
Aug. 30 (1990), 353-360; A. M. RITTER, Eunomius, in TRE 10 (1982), 525-528; M. TETZ, Uber
nikciische Orthodoxie. Der sogenannte Tomus ad Antiochenos des Athanasius von Alexandrien, in
ZNW 66 (1975), 194-222; M. TETZ, Ein enzyklisches Schreiben derSynode von Alexandrien (362),
in ZNW 79 (1988), 262-281.
286 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

§ 49. La controversia pneumatomaca


e il concilio di Costantinopoli del 381

Atanasio, Epist. ad Serap.: J. LEBON, trad. frane., 1947 (SC 15); E. CATTANEO, trad. it. 1986 (Col-
ITP 55). .
Basilio, De Spir. S.: H. J. SIEBEN, t trad. ted. e, 1993 (FC 12); B. PRUCKE, t trad. frane. e, 1968 (SC
17bis).
Didimo, De Spir. S.: L. DOUTRELEAU, t trad. frane. e, 1993 (SC 386); C. NOCE, trad. it. 1990 (Col-
ITP 89).
Gregorio di Nazianzo, «Discorsi teologici»: cf § 75,3b.
Giovanni Crisostomo, De incompr. Dei: J. DANIÉLOU - A. MALINGREY - R. FLACELIÈRE, t trad.
frane. e, 19702 (SC 28bis); P. W. HARKINS, trad. ingl., 1984 (FaCh 72).
Giuliano (Ariano), Comm. Hiob: D. HAGEDORN, t, 1973 (PTS 14).
Massimino, Collatio S. Augustini cum Max.(4271428); t, PL 42, 709-742.
Hom. lect. Evang.: B. CAPELLE, t, in RBen 40 (1928), 49,-86.

Scritti ariani:
Opus imperf in Matth.: J. VAN BANNING, t, 1988 (CChr.SL 87B).
Scripta Arriana Latina: R. GRYSON, t, 1982 (CChr.SL 87).
Scholia Arriana in concilium Aquileiense: R. GRYSON, t trad. frane. e, 1980 (SC 267).
Gesta concilii Aquileiensis: M. ZELZER, t, 1982 (CSEL 82,3), 315-368.

1. Chiarimenti di teologia trinitaria: la divinità dello Spirito Santo

Le discussioni sulla divinità del Figlio vennero ulteriormente aggravate dal-


la controversia sullo Spirito Santo. Il concilio di Nicea aveva dichiarato la fede
della Chiesa nello Spirito Santo con parole semplici e senza altre spiegazioni. Le
discussioni sul niceno condussero allo sviluppo di una specifica dottrina della
Chiesa sullo Spirito Santo («pneumatologia»). Indipendentemente in un primo
tempo dalle controversie di teologia trinitaria, l'importanza dello Spirito Santo
venne più decisamente alla ribalta in personalità e movimenti d'impronta cari-
smatica ed ascetica (Cirillo di Gerusalemme, Eusebio d'Emesa, rappresentanti
del monachesimo). La seconda formula antiochena ampliò l'articolo riguardan-
te lo Spirito Santo: lo Spirito «è donato ai credenti a consolazione, a santifica-
zione e a perfezionamento» (2a formula antiochena).

a) PNEUMATOMACHI
Nelle quattro lettere di Atanasio al vescovo egiziano Serapione di Tmuis (358-
362) i princìpi spirituali vennero approfonditi e teologicamente considerati: con-
tro i cosiddetti «tropici», che ritenevano lo Spirito come un essere creato (cf la
loro interpretazione di Am 4 ,23), come uno degli spiriti «inviati per servire» (Eb
§ 49. La controversia pneumatomaca e il concilio di Costantinopoli del 381 287

1,14), che però doveva essere distinto dalle nature angeliche e spirituali, Atanasio
difese la sua divinità. Egli faceva riferimento alla sua azione per la creazione e la
redenzione, che poteva spiegarsi solo come opera di Dio, dell'unità tra Padre, Fi-
glio e Spirito. Nel suo Tomus ad Antiochenos (362), la fede nella consustanzialità
dello Spirito con il Figlio diventa criterio per stabilire l'ortodossia.
L'opposizione si annunciò invece dalle fila degli omoiusiani, influenzati an-
che dal vescovo Eustazio di Sebaste (ca. 356 - dopo 377), un austero asceta fa-
moso per le sue opere di carità (cf § 71 B 4). I cosiddetti pneumatomachi (detti
anche macedoniani dal nome di Macedonia di Costantinopoli) vedevano nello
Spirito un essere intermedio e insistevano sull' indeterminatezza della tradizio-
nale affermazione: «Per quanto mi riguarda, non sono favorevole a chiamare lo
Spirito Santo Dio, ma neppure oso chiamarlo creatura» (cf Socrate, H. E. II 45).

b) I NEO-NICENI
Coloro che sul piano teologico indicarono la strada sia per la pneumatolo-
gia che per la divinità del Figlio furono i tre cappàdoci, come anche Apollinare
di Laodicea(§§ 75,3; 5c; 53) e Didimo il Cieco(§ 75,2b). Con l'òµooucnoç ni-
ceno era stata stabilita la netta separazione tra l'unica natura increata ed eterna
di Dio e il mondo creato. I neo-niceni introdussero inoltre la categoria dell' es-
sere ipostatico, della concreta realizzazione (da ucptO''t'llµt = «sussistere»): l'uni-
ca ouaia (ousia) di Dio si realizzerebbe nelle tre ipostasi di Padre, Figlio e Spi-
rito, che sarebbero certamente da distinguere per quanto riguarda le loro «par-
ticolarità» (ìòt6't11tEç, proprietates), ma non per quanto riguarda la loro OUO'ta
(ousia) e l'adorazione che spetta a Dio (Ml;a, doxa o npoaKuv11cnç, adoratio). In
tal modo venivano evitati sia gli equivoci modalistici che i modelli di gradazio-
ne influenzati dal neoplatonismo. Rimaneva, tuttavia, la concezione dinamica
proposta, tra gli altri, da Origene: dal Padre derivano il Figlio e lo Spirito; at-
traverso lo Spirito e il Figlio si rivela il Padre.
Vero e proprio teologo dello Spirito Santo divenne Basilio il Grande. Per
quanto riguarda la precisione terminologica, egli mostra ancora delle esitazioni
(preferisce, per esempio, l'espressione 6µonµia, homotimia, «di eguale onore»,
al termine così controverso homoousios), ma pone in risalto nella maniera più ri-
soluta la natura divina dello Spirito Santo (De Spiritu Sancta; Adv. Eunomium).
Punto di partenza della sua argomentazione è l'unità nell'adorazione, così come
questa trova espressione soprattutto nella dossologia (la formula liturgica di lo-
de al Padre, al Figlio e allo Spirito), come anche l'eguaglianza d'azione delle tre
«ipostasi» nella creazione, nella storia della salvezza e nella redenzione. La sua
opera fu proseguita con maggiore chiarezza terminologica e sistematica dai due
Gregari e diede così un'impronta teologica determinante ai lavori del Concilio
di Costantinopoli.
288 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

2. Il Concilio di Costantinopoli

Alle discussioni teologiche con gli pneumatomachi si pose fine nel 381 con
il Concilio di Costantinopoli. I centocinquanta padri del sinodo appartenevano
in maggioranza alla corrente neo-nicena. A dire il vero, furono invitati anche
rappresentanti degli pneumatomachi, ma questi abbandonarono ben presto l' as-
semblea conciliare. Un'unificazione diretta con loro non sarebbe stata più con-
seguita; si arrivò tuttavia a un chiarimento dogmatico.
Già nei preliminari del sinodo Basilio di Cesarea aveva scritto che alla pro-
fessione di fede nicena non c'era altro da aggiungere se non una chiara dottrina
sullo Spirito Santo (Ep. 258,2). Il Simbolo di Costantinopoli formulò allora con
espressioni bibliche il terzo articolo: «Crediamo nello· Spirito Santo, che è Si-
gnore e dà la vita, che procede dal Padre (Gv 15,26), che con il Padre e il Figlio
è adorato e glorificato, che ha parlato per mezzo dei Profeti». La Chiesa rico-
nosceva così l'appartenenza dello Spirito a Dio e la sua funzione soteriologica
nella creazione e nella rivelazione.
Ci resta inoltre una serie di Canones, il primo dei quali condanna tutte le
eresie, tra le quali anche quella degli pneumatomachi (per i canoni 2 e 3
cf §§ 62; 63). La lettera sinodale inviata ai vescovi d'occidente da un successivo
sinodo celebrato a Costantinopoli nel 382 tramanda infine un'istruzione che so-
stiene la teologia neo-nicena e la sua differenziazione trinitaria (Teodoreto, H.
E. V 9). Un concilio imperiale generale progettato per quest'anno, sollecitato so-
prattutto da Ambrogio e Damaso, non venne effettuato. In suo luogo si tenne-
ro due sinodi separati a Roma e a Costantinopoli. Nel 382, con l'accettazione da
parte di Roma della lettera sinodale orientale e della sua risoluzione dogmatica,
si poneva fine alla controversia trinitaria.

Oltre all'istruzione, ai canoni e al simbolo, non ci sono stati tramandati altri testi, neppure gli
atti del concilio. L'autenticità e la genesi del simbolo niceno-costantinopolitano sono state a lun-
go oggetto di discussione: il testo si differenzia in alcuni punti da quello del concilio niceno, tan-
to da dare adito a una tesi secondo la quale si sarebbe trattato di un simbolo distinto accanto a
quello di Nicea. Inoltre, esso risulta testimoniato già nell'Ancoratus, un compendio dogmatico re-
datto qualche anno prima da Epifanio di Salamina (Anc. 18). Si può dare per certo, intanto, che
si tratta di una più tarda interpolazione. Soltanto nel 451, con il concilio di Calcedonia, troviamo
nuovamente documentato il testo della confessione di fede, ed anzi espressamente come simbolo
dei sinodi di Nicea e Costantinopoli. Secondo A. M. Ritter e J. N. D. Kelly, la confessione di fe-
de nicena venne ampliata a Costantinopoli (e non prima, come qualcuno potrebbe supporre) in
senso pneumatologico, e in quest'ampliamento si rinunciò, per riguardo agli pneumatomachi, a
formulazioni decise sulla divinità e sull' homoousia dello Spirito.

Il concilio di Calcedonia del 451 innalzò il sinodo di Costantinopoli, che si


era proposto soltanto come sinodo particolare orientale, al rango di concilio ge-
nerale e adottò il «simbolo dei centocinquanta padri di Costantinopoli» come
§ 49. La controversia pneumatomaca e il concilio di Costantinopoli del 381 289

professione di fede obbligatoria (accanto a quella nicena). Il testo della «pro-


fessione di fede niceno-costantinopolitana » venne ampiamente accettato a par-
tire dal 451. Nella Chiesa greca esso si sviluppò in una formula esclusiva di pro-
fessione di fede da usarsi nel battesimo e nell'eucaristia. Verso la fine del VI sec.
esso venne adottato nella liturgia latina della messa e nel rito battesimale, e per
un certo tempo (fino al IX sec.) sostituì in diverse Chiese latine l'antica profes-
sione di fede della Chiesa romana (cf Sacramentarium Gelasianum; Orda Roma-
nus VII [PL 78, 997ss.J).

3. Il Filioque

Al testo latino del niceno-costantinopolitano è legata l'importante contro-


versia che si accese sul Filioque. Il testo originario proclama la processione dello
Spirito Santo dal Padre. Non sappiamo con chiarezza quando venne inserita nel
simbolo per la prima volta la formula: «che procede dal Padre e dal Figlio
(. .. a patre filioque procedens) ». Il sinodo VIII di Toledo (653) adottò ufficial-
mente questa formula per la Spagna. Già nel sinodo III di Toledo (589) la for-
mula viene tramandata come professione di fede del re dei visigoti Recaredo. La
presenza del filioque è inoltre provata nel simbolo pseudo-atanasiano Quicum-
que (composto probabilmente nella Gallia meridionale nel VNI sec.), ed anche
nel sinodo inglese di Hatfield (680). Attraverso Alcuino l'aggiunta arrivò nella
Chiesa franca, dove venne confermata nei sinodi di Francoforte (794) e del Friu-
li (796). Carlo Magno ne favorì l'uso in una chiara contrapposizione all'oriente
(cf Teodulfo d'Orleans, 750/760-821, De Spiritu Sancta). Roma, invece, mostrò
a lungo un certo riserbo. Leone III difese il niceno-costantinopolitano contro il
sinodo di Francoforte. Soltanto nel 1014, sotto Benedetto VIII, venne introdot-
to nella messa il credo con l'ampliamento latino.
La Chiesa greca rifiutò decisamente l'aggiunta; nelle discussioni che avreb-
bero condotto al grave scisma tra Roma e Bisanzio il Filioque fu uno dei punti
controversi di maggiore importanza. La diversa formulazione della professione
di fede mostrò molto prima delle rivendicazioni di politica ecclesiastica la diffe-
renza tra la teologia orientale e quella occidentale. I padri greci insegnavano una
processione dello Spirito Santo dal Padre attraverso il Figlio. Essi vedevano il
Padre come unica fonte della vita all'interno della natura divina e attribuivano
al Figlio il ruolo di una mediazione dinamica nei confronti dello Spirito. Diver-
so era il pensiero dell'occidente nel IV.sec.: il Padre genererebbe lo Spirito San-
to in comunione con il Figlio. Accanto a Mario Vittorino (Hymn. I 4; III 242-
250), fu soprattutto Agostino colui che elaborò questa concezione, fino a de-
scrivere lo Spirito Santo come Amore reciproco tra Padre e Figlio (De trin. XV
17,29; 26,47; cf § 76,4).
290 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

4. L'arianesimo dopo Costantinopoli

L'arianesimo non scomparve completamente con il concilio del 381. In orien-


te sopravvissero comunità neo-ariane fin oltre la metà del V sec. (cf la Storia ec-
clesiastica del neo-ariano Filostorgio). I goti, il cui vescovo Ulfila aveva preso par-
te al concilio di Costantinopoli, adottarono la confessione omeusiana. Sotto la lo-
ro influenza diventarono inizialmente ariane (§ 43) la maggior parte delle stirpi
germaniche che nei decenni e secoli seguenti penetrarono nell'Impero Romano.
È vero che il sinodo d'Aquileia (autunno del 381; PL 16, 955) condannò,
sotto la guida di Ambrogio, l'arianesimo nell'Italia settentrionale e nell'Illiria;
ma anche nell'ambito latino sopravvisse la teologia omeusiana ariana. Si arrivò
così nel 385/386, sotto Valentiniano II (382-392), al conflitto scatenato dall'or-
dine di consegnare chiese milanesi (come la Basilica Portiana) agli ariani. Omeu-
siani occidentali, come Palladio di Ratiaria, il vescovo Massimino (probabil-
mente lo stesso con il quale nel 4271428 Agostino discusse nel Nordafrica) e l'i-
gnoto autore dell'Opus imper/ectum in Matthaeum, hanno lasciato scritto il più
grosso corpus di scritti ariani che ci sia giunto. La loro teologia presenta, diffe-
renziandosi dall'acuta argomentazione filosofica dei neo-ariani orientali, un'im-
pronta prevalentemente biblicistica.
Bibliografia § 49; vedi anche §§ 47-48: W. CRAMER, Der Geist Gottes und des Menschen in
friihsyrischer Theologie, Miinster 1979; H. D6RRIES, De Spiritu Sancto. Der Beitrag des Basilius
zum Abschlu/5 des trinitarischen Dogmas, Gottingen 1956; A. DE HALLEUX, La profession de l'E-
sprit-Saint dans le Symbole de Constantinople, in RTI 10 (1979), 5-39; W.-D. HAUSCHILD, Gottes
Geist und der Mensch. Studien zur friihchristlichen Pneumatologie, Miinchen 1972;
W.-D. HAUSCHILD, Die Pneumatomachen. Bine Untersuchung zur Dogmengeschichte des 4.
Jahrhunderts, Hamburg 1967 (tesi di laurea); W.-D. HAUSCHILD, Das trinitarische Dogma von 381
als Ergebnis verbindlicher Konsensusbildung, in K. LEHMANN- W. PANNENBERG (a cura di), Glau-
bensbekenntnis und Kirchengemeinscha/t. Das Model! des Konzils von Konstantinopel (381), Frei-
burg/Gottingen 1982, 13-48; A. LAMINSKI, Der Hl. Geist als Geist Christi und Geist der Gliiubi-
gen. Der Beitrag des Athanasios von Alexandrien zur Formulierung des trinitarischen Dogmas im 4.
Jahrhundert, Leipzig 1969; A.-M. RrTTER- P. GRAY - K. SCHÀFERDIECK, Konstantinopel Okume-
nische Synoden, in TRE 19 (1990), 518-529; R. STAATS, Die Basilianische Verherrlichung des Hl.
Geistes auf dem Konzil zu Konstantinopel 381. Ein Beitrag zum Ursprung der Forme! «Kerygma
und Dogma», in KuD 25 (1979), 232-253.
§ 49.1: H. CROUZEL, Geist (Hl. Geist), in RAC 9 (1976), 490-545; A. DE HALLEUX, «Hypo-
stase »et personne dans laformation du dogme trinitarie (ca. 375-381), in RHE 79 (1984), 313-369;
625-670; A. DE HALLEUX, Personnalisme ou essentialisme trinitaire chez les Pères cappadociens?
Une mauvaise controverse, in RTI 17 (1986), 129-155; W.-D. HAUSCHILD, Geist (Hl. Geist/Geist-
gaben) IV, in TRE 12 (1984), 196-217; R. HOBNER, Gregor von Nyssa als Ver/asser der sog. Ep. 38
des Basilius. Zum unterschiedlichen Verstandnis der ousia bei den kappadozischen Briidern, in
J. Fontaine - C. Kannengiesser (a cura di), Epektasis (FS [scritti in onore di] Daniélou), Paris
1972, 463-490; W. HAEGER, Gregor von Nyssa's Lehre vom Heiligen Geist, Leiden 1966.
§ 49.2: L. ABRAMOWSKI, Was hhat das Nicaeno-Constantinopolitanum (C) mit dem Konzil von
Konstantinopel zu tun?, in ThPh 67 (1992), 481-534; A.-M. RrTTER, Das Konzil von Konstantino-
pel und sein Symbol, Gottingen 1965; R. STAATS, Die romische Tradition im Symbol von 381 (NC)
§ 50. Scismi ed eresie concomitanti 291

und seine Entstehung au/ der Synode von Antiochien 379, in VigChr 44 (1990), 209-221; B. M.
WEISCHER, Die urspriingliche nikà'nische Form des ersten Glaubenssymbols im Ankyrotos des
Epiphanios von Salamis, in ThPh 53 ( 1978), 407-414.
§ 49.3: A. DE RALLEUX, Cyrille, Théodoret et le Filioque, in RHE 74 (1979), 597-625; D. RA-
MOS-LISS6N, Die synodalen Urspriinge des Filioque im romisch-westgotischen Hispanien, in AHC
16 (1984), 286-299.
§ 49.4: G. CUSCITO, Fede e politica ad Aquileia. Dibattito teologico e centri di potere (secoli
IV-VI), Udine 1987; G. GOTTLIEB, Das Konzil von Aquileia (381), in AHC 11 (1979), 287-306;
F. W SCHLATTER, The Pelagianismo/ the Opus imperfectum in Matthaeum, in VigChr 41 (1987),
267-285; M. SIMONETTI, Arianesimo Latino, in StMed (Ser. 8) 3 (1967), 663-744.

§ 50. Scismi ed eresie concomitanti

Nelle controversie teologiche le comunità risultarono totalmente coinvol-


te. I tentativi di limitare le discussioni ai soli esperti fallirono. Le questioni
dottrinarie sulle quali si discuteva venivano dibattute pubblicamente. Grego-
rio di Nazianzo ebbe a lamentarsi delle chiacchiere teologiche e dei teologi che
si rendevano dipendenti dall'opinione del pubblico (Oratio 20,1). Gregorio di
Nissa descrisse la situazione in maniera pittoresca: «Non c'è luogo nelle città
che non sia ripieno delle chiacchiere di chi si atteggia a teologo: vicoli e stra-
de, mercati e piazze. Di teologia parlano i venditori di vestiti, i cambiavalute,
i negozianti di generi alimentari. Se in un negozio chiedi quanti oboli costa
una data merce, il venditore ti comincia prima a dogmatizzare su natura crea-
ta e natura increata. Se chiedi il prezzo del pane, ti viene risposto che il Padre
è maggiore del Figlio e il Figlio è subordinato al Padre. Se vuoi sapere se il ba-
gno è già pronto, ti viene detto che il Figlio è creato dal nulla. Non saprei pro-
prio come chiamare questa malattia! È una psicosi o una mania o qualche al-
tra malattia di questo tipo quella che si aggira in mezzo alla gente e crea unta-
le turbamento dello spirito?» (De deitate filii e spiritus sancti; cf Basilio, De sp.
s. 30).
La molteplicità delle confessioni di fede condusse all'incertezza, a liti all'in-
terno della Chiesa e a scissioni tra le varie comunità. La destituzione e l'insedia-
mento di vescovi per motivi politici rese più acuti i conflitti. L'imperatore Giu-
liano, che fece tornare nelle rispettive comunità tutti i vescovi esiliati da Co-
stanzo, inserì le conseguenze negative di questa amnistia nella sua strategia po-
litica ostile alla Chiesa: «Nessun animale è così ostile agli uomini come lo è la
maggioranza dei cristiani nei loro rapporti reciproci» (Ammiano Marcellino,
Res gestae 22,5). Scismi locali fanno parte, dunque, dell'aspetto esteriore che la
Chiesa offre di sé nel IV secolo.
292 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

1. Lo scisma antiocheno

In Antiochia, accanto a una piccola comunità nicena guidata a partire dal


350 circa dal presbitero antiocheno Paolino, ce ne fu dal 327 una più grande di
fede ariana. Nel 360, con l'appoggio anche di colleghi d'ufficio omeusiani, di-
venne vescovo di Antiochia Melezio. Quando costui, subito dopo, cominciò a
predicare in senso antiariano, venne deposto da Costanzo, che nominò al suo
posto il vescovo ariano Euzoio. Sotto l'imperatore Giuliano, nel 362, Melezio
tornò ad Antiochia e fu riconosciuto dalla maggior parte della comunità, non
però da quella più antica di fede nicena, che aveva in Paolino il suo capo. La
scissione dei cristiani antiariani si approfondì quando Lucifero di Cagliari, nel-
lo stesso anno, consacrò vescovo Paolino, che ottenne il riconoscimento di Ales-
sandria (Atanasio). Nel 364 l'imperatore Valente esiliò di nuovo Melezio, che
potè tornare definitivamente ad Antiochia solo nel 37 8; l'esilio sofferto aveva
rafforzato la stima nei suoi confronti.
Lo scisma antiocheno ostacolò il già difficile processo di unificazione tra co-
munità orientali e occidentali, così penosamente coinvolte nel dissidio attorno
all'homoousios niceno (cf § 48). Melezio poté contare sul forte appoggio dei
neo-niceni, specialmente di Basilio, che però cercò inutilmente di ottenergli il ri-
conoscimento di Roma (Ep. 216; 243 ecc.). Gli alessandrini (dal 373 Pietro d'A-
lessandria) rimasero dalla parte di Paolino e dell'antica comunità nicena, che
riuscirono a far riconoscere anche da Damaso di Roma. Quando nel 381 Mele-
zio morì, gli venne scelto come successore Flaviano (un presbitero della sua co-
munità), ma senza il riconoscimento di Roma e Alessandria, che continuarono a
sostenere Paolino. Nel 388 morì anche Paolino, dopo aver designato come suc-
cessore per la sua comunità Evagrio. Flaviano venne infine riconosciuto nel 394
da Alessandria e quattro anni più tardi anche da Roma. Allo scisma antiocheno
si riuscì a porre termine definitivamente soltanto nel 413.

Bibliografia: F. CAVALLERA, Le schisme d'Antioche, Paris 1905 (tesi di laurea); B. DREWERY,


Antiochien II 4. Das Antiochenische Schisma, in TRE 3 (1978), 109-111.

2. Lo scisma romano

Liberio di Roma (352-366) cercò come il suo predecessore Giulio di rivendi-


care alla Chiesa un suo potere decisionale. Ma mentre Giulio poteva avere anco-
ra il sostegno dell'imperatore Costante, Liberio si trovò ad esercitare il suo ufficio
sotto il potere assoluto di Costanzo (Liberio, Ep. 5). Quando egli intervenne a fa-
vore d'Atanasio, l'imperatore rispose esiliandolo in Tracia (356; dopo una tratta-
tiva con l'imperatore a Milano: Atanasio, Historia Arianorum 3 7; Sozomeno, H.
E. IV 11; Teodoreto, I:f. E. II 16). Al suo posto egli insediò come vescovo il dia-
§ 50. Scismi ed eresie concomitanti 293

cono romano Felice (Atanasio, Hist. Arian. 75), che però non ottenne il ricono-
scimento dell'intera comunità, rimasta fedele nella sua maggior parte al vescovo
esiliato (Coll. Avell. 1,2). Nella comunità della capitale si determinò così una scis-
sione. Liberio cedette infine alle pressioni dell'imperatore, si separò da Atanasio
e si dichiarò favorevole, ora, anche alla 2• formula di Sirmio del 357 (Quattro let-
tere dall'esilio: Ilario, Opus historicum adversus Valentem et Ursacium).
Dopo queste concessioni Costanzo lo richiamò dall'esilio. Nel 358 il vesco-
vo poté tornare a Roma (Coll. Avell. 1,3) e il suo avversario Felice fu allontana-
to dalla città. L'unità era così ristabilita, ma rimasero delle tensioni nella comu-
nità, che esplosero nuovamente nel 366 con l'elezione del successore di Liberio,
Damaso(§ 64,3).

3. Lo scisma luciferiano

Lucifero, Opera: W. HARTEL, t, 1886 (CSEL 14); G. F DIERCKS, t, 1978 (CChr. SL 8).
Moriendum esse pro Dei /ilio: L. F'ERRERES, t c, Barcelona 1982.
De reg. apost.; Moriendum esse pro Dei/ilio: V. UGENTI, t trad. it., Lecce 1980.

Lucifero di Cagliari (Sardegna; m. 370/371) venne esiliato da Costanzo nel


355 per il suo zelo mostrato a difesa del niceno e per la sua adesione ad Atana-
sio. In una serie di scritti polemici egli si espresse contro l'imperatore. Il suo at-
teggiamento rigido e alieno da compromessi si manifestò nel 362, quando il si-
nodo d'Alessandria cercò sotto Atanasio l'unione con gli omoiusiani (§ 48,6).
Nello stesso anno egli consacrò Paolino vescovo ad Antiochia(§ 50,1). Non sep-
pe accettare gli sviluppi che si verificarono all'interno della Chiesa dopo il 362
e si separò bruscamente dalla nuova maggioranza nicena. I suoi seguaci (chia-
mati « luciferiani ») si riunirono in comunità scismatiche che si formarono in
oriente (Antiochia, cf § 50,1) e in occidente; intorno al 380 ci fu una comunità
luciferiana anche a Roma. I luciferiani occidentali dopo la morte di Lucifero
trovarono un loro capo nel vescovo Gregorio d'Elvira(§ 76,6).

Bibliografia: G. KRDGER, Luci/er, Bischo/ von Calaris und das Schisma der Luci/erianer, 1886,
rist. Hildesheim/New York 1969; M.-M. TODDE, Peccato e prassi penitenziale secondo Luci/ero di
Cagliari, Vicenza 1965.

4. Fotino di Sirmio

Del vescovo Fotino di Sirmio, ritenuto discepolo di Marcello d' Ancira


(cf § 48,2), non ci è rimasto neppure uno scritto. Egli fu condannato la prima volta
nell' Ekthesis makrostichos (345) e venne infine deposto ed esiliato nel sinodo di
294 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

Sirmio del 351. Egli insegnava l'unicità della persona di Dio e rifiutava una ge-
nerazione e figliolanza del Logos. Come figlio egli ammetteva soltanto l'uomo
ispirato nato da Maria. La sua dottrina sopravvisse alla sua morte (376); i suoi
seguaci, i fotiniani, apparvero più tardi in maniera stereotipata tra altri eretici
condannati, senza che ne fosse specificata la dottrina. In occidente la setta ven-
ne equiparata in parte a quella di Bonoso, vescovo di Serdica (§ 70,3) ..

Bibliografia: L. SPELLER, New Light on Photinians. The Evidence o/ Ambrosiaster, in JThS 34


(1983), 99-113.

5. Gli audiani

Gli audiani vengono così chiamati dal nome del loro fondatore, Audio (Epi-
fanio, Pan. 70). Questo personaggio, originario della Mesopotamia, visse nel IV
sec. come asceta ed austero riformatore monastico e si segnalò per le sue criti-
che nei confronti del clero. Consacrato vescovo in maniera illegittima (proba-
bilmente subito dopo il concilio di Nicea), fondò una propria Chiesa dai tratti
rigoristici e arcaizzanti. Si attenne, così, ali' antica data della Pasqua degli ebrei
e difese un'immagine antropomorfa di Dio. Grazie al suo esilio nella Scizia poté
svolgere attività missionaria e fondare chiese e monasteri tra i goti. Gli audiani
persistettero nella loro aspra critica nei confronti della Chiesa legata all'impera-
tore. Più tardi fecero proprie le speculazioni gnostiche e persero rapidamente
d'importanza.

Bibliografia: ·H.-C. PUECH, Audianer, in RAC 1 (1950), 910-915.

6. I messaliani

I messaliani («oranti») sono un movimento rigorosamente ascetico. Il loro


nome fa riferimento a un'origine siriaca. Nell'ambiente greco, dove essi si dif-
fusero specialmente in Asia Minore, furono chiamati euchiti o anche entusiasti
(Girolamo, Dial. adv. Pelag.; Teodoreto, H. E. IV 11 ecc.). Furono attaccati uf-
ficialmente per la prima volta in un sinodo celebrato attorno al 390 a Side (Pan-
filia). Condanne ecclesiastiche seguirono in altri sinodi fino al concilio d'Efeso
del 431. I capi d'accusa non sono del tutto chiari. A quanto pare, fu ritenuta di-
scutibile la loro dottrina del peccato originale: fin da Adamo abiterebbe in ogni
creatura umana un dèmone cattivo. Proprio a causa di questa visione molto rea-
listica del male essi sono stati continuamente messi in relazione, fin dall'inizio,
con il manicheismo. In particolare, essi limitavano chiaramente l'efficacia del
battesimo e vedevano nella preghiera continua l'unico mezzo di salvezza che po-
§ 50. Scismi ed eresie concomitanti 295

tesse estirpare la radice del peccato e rendere possibile l'abitazione dello Spiri-
to Santo. Come forma esteriore di vita essi propagandavano un'austera ascesi,
che arrivava in parte fino al rifiuto del lavoro (quietismo). Le accuse sommarie
fanno riconoscere i messaliani come. pneumatici entusiasti che misero in discus-
sione l'ordinamento ecclesiastico e la mediazione sacramentale della salvezza. Il
loro rappresentante più eminente, ma nello stesso tempo anche il più modera-
to, è Macario/Simeone(§ 75,8). Il suo messalianismo «purificato» influenzò an-
che grandi maestri della Chiesa (Gregorio di Nissa, Diadoco di Fotica).
Bibliografia: K. DEPPE, Der wahre Christ. Bine Untersuchung zum Frommigkeitsverstiindnis
Symeons des Neuen Theologen und zugleich ein Beitrag zum Verstiindnis des Messalianismus und
Hesychasmus, Gottingen 1971; H. DùRRIES, Die Theologie des Makarios/Symeon, Gottingen 1978;
J. GRIBOMONT, Le dossier des origines du messalianisme, in J. Fontaine - C. Kannengiesser (a cu-
ra di), Epektasis (FS [scritti in onore di] Daniélou), Paris 1972, 611-625; R. STAATS, Messalianer,
in TRE 22 (1992), 607-613; C. STEWART, « Working the Earth o/ the Heart». The Messalian Con-
troversy in History, Texts, And Language to A. D. 431, Oxford 1991.

7. Il priscillianismo

Priscilliano, Opera: G. SCHEPSS, t, 1899 (CSEL 18).


Trattato anonimo priscillianista, De trin. /idei cath.: G. MORIN, t, in PLS 2, 1913, 1487-1507.

Sul finire del IV sec. apparve in Spagna un movimento di austero ascetismo


che ebbe rapida diffusione e trovò seguaci anche nella Gallia meridionale. Il
movimento prende il suo nome da Priscilliano, un ricco laico originario della
Spagna meridionale, colto e di temperamento ascetico, che nel 381 divenne ve-
scovo di Avila. Sembra che il suo esigente cristianesimo abbia attirato soprat-
tutto persone di ambienti aristocratici. La sua dottrina non è facilmente rico-
struibile, anche se sotto il suo nome sono conosciuti undici trattati. Probabil-
mente egli fu indotto da un'inclinazione fondamentalmente gnostica alla rinun-
cia ascetica a un mondo ritenuto satanico. Un tale impegno derivava dal batte-
simo, che giustificava una spiccata consapevolezza di costituire il gruppo dei
prescelti (viri Christ~ Christi homines, servi domini). I suoi seguaci si riunivano
in conventicole e si dedicavano alla lettura della Bibbia, con una certa predile-
zione per gli scritti apocrifi; lo studio delle Sacre Scritture consentiva loro di ri-
conoscere la «profondità di Satana» e li rendeva capaci di superare le forze sa-
taniche (cf i trattati: CSEL 18).
Al diffondersi dei circoli priscillianisti cercò di opporsi un sinodo convocato
a Saragozza nel 380, ma senza attacchi diretti a Priscilliano. Principali avversari
dei priscillianisti furono i vescovi !dazio (ldacius) di Merida e ltazio (Ithacius) di
Ossonoba, che ottennero dall'imperatore Graziano l'esilio di Priscilliano e di al-
cuni dei suoi amici di rango vescovile (sotto l'accusa pretestuosa di manicheismo:
296 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

Sulpicio Severo, Chron. II 47). Gli esuli cercarono invano un aiuto presso Da-
maso di Roma (Liber ad Damasum) e Ambrogio di Milano. Si rivolsero allora al
potere laico, nel quale trovarono un appoggio per breve tempo. Ma nel 383 l'u-
surpatore Massimo si lasciò influenzare dagli avversari di Priscilliano e lo con-
dannò a morte «per magia (male/icium) ». Con lui vennero giustiziati sei seguaci
(probabilmente nel 386). Contro la condanna a morte si sollevò ampia la prote-
sta all'interno della Chiesa. Martino di Tours e Ambrogio di Milano non vollero
più essere in comunione con i vescovi che stavano dietro la condanna. !dazio e
Itazio, principali avversari di Priscilliano, persero infine le loro sedi vescovili.
Non per questo, tuttavia, il priscillianismo scomparve. Il suo entusiasmo per
un cristianesimo ascetico trovò un incoraggiamento nel movimento ascetico-
monastico ortodosso in Spagna e Gallia. Quanto ai priscillianisti, essi approfit-
tarono del disagio ampiamente diffuso per l'esecuzione capitale del loro capo,
che ora celebrarono come martire. Essi poterono sopravvivere in Spagna e ac-
quisire nuovi seguaci. Un sinodo di Toledo (tra il 397 e il 400) si occupò di nuo-
vo delle loro idee. Nelle discussioni che si ebbero successivamente alcuni stimati
vescovi priscillianisti tornarono alla Chiesa cattolica. Soltanto nel VI sec. scom-
parvero in Spagna gli ultimi resti di questo movimento.

Bibliografia: V. BURRUS, The Making o/ a Heretic, Berkeley 1995; H. CHADWICK, Priscillian o/


Avila. The Occult And the Charismatic in the Early Church, Oxford 1976; A. ROUSSELLE, Quelques
aspects politiques de l'affaire priscillianiste, in REA 83 (1981), 85-96.

§ 51. Per e contro Origene


(conflitti attorno al 400)

Anastasio I, Epist.: PLS 1, 790-792.


Evagrio Pontico, Epist. ad Melaniam: M. PARMENTIER, Evagrius o/ Pontus' Letter to Melania I,
trad. ingl. e, in «Bijdragen» 46 (1985), 2-38; cf § 75,7.
Girolamo, Apol. adv. Ruf: P. LARDET, t trad. frane. 1983 (SC 303 ).
Apol. adv. Ruf; C. ]oh. Hieros.: t, PL 23, 355-492; cf § 76,3.
Teofilo d'Alessandria, frammenti: I. HILBERG, trad. lat., in Girolamo, Epist. 87; 92; 96; 98; 100,
1912 (CSEL 55).
Epifanio: cf § 75,9.
Rufino: cf § 76,10.

Nelle discussioni sulla fede in Dio Uno e Trino tornò sempre alla ribalta il
nome di Origene (cf § 39,2). Il suo modello delle ipostasi da una parte, la sua
dottrina della generazione eterna del Verbo dall'altra, influenzarono sia i siste-
mi teologici degli anti-niceni che quelli dei niceni (cf § 47 ,1). I problemi teolo-
§ 51. Per e contro Origene 297

gici risultarono aggravati dalla radicalizzazione delle idee origeniste presso i mo-
naci del deserto di Sceti. I loro princìpi mistici ed ascetici culminano nel siste-
ma di Evagrio Pontico (m. 399/400), che venne attaccato soprattutto nella se-
conda controversia origeniana (cf §§ 59,3; 75,7). Gli avversari rimproveravano
ad Origene una cristologia intellettualistica, che sminuiva il valore dell'incarna-
zione, e inoltre la dottrina della preesistenza delle anime e l'escatologia (apoka-
tastasis; cf § 33 ,4), come anche l'interpretazione allegorica delle Scritture, con
l'aiuto della quale egli giustificava le sue teorie spiritualizzanti.
Le discussioni sulla sua teologia s'inasprirono quando s'intrecciarono con
lotte e rivalità personali. I più importanti contendenti furono i vescovi Epifanio
di Salamina a Cipro (376-403), Teofilo d'Alessandria (385-412) e Girolamo co-
me avversari di Origene, il vescovo Giovanni di Gerusalemme e Rufino come
suoi difensori.
Epifanio di Salamina, il più pericoloso «cacciatore di eretici» della Chiesa
antica, condannò Origene come il «padre di Ario, la radice e l'autore di tutte le
altre eresie» (Girolamo, Ep. 51,3; Epifanio, Pan. 63ss.). Richiamandosi a Metodio
d'Olimpo (§ 39,5), egli criticò l'influsso della filosofia ellenistica sul sistema ori-
genista e le sue particolari formulazioni (vedi sopra). Nel 394 invitò il vescovo
Giovanni di Gerusalemme a condannare le opere di Origene, ricevendone però
un netto rifiuto. Epifanio trovò un alleato in Girolamo, che viveva a Betlemme.
Girolamo, che fino ad allora era stato un fervente seguace di Origene e ammira-
tore della sua produzione teologica, si schierò dalla parte di Epifanio e si mise a
combattere, ormai, il vescovo Giovanni. Dalla parte di quest'ultimo si schierò in-
vece Rufino d'Aquileia (§ 76,7), che viveva come monaco sul Monte Oliveto a
Gerusalemme e stava assiduamente traducendo Origene in latino. Si ruppe così la
lunga amicizia tra Girolamo e Rufino. Rufino volle dimostrare con una sua tra-
duzione del De principiis l'ortodossia di Origene. Girolamo si accinse subito ad
una sua traduzione e sottolineò in lettere d'accompagnamento la pericolosità del-
le dottrine origeniste (Ep. 80-84). Rufino si difese più tardi (400-407) con la sua
Apologia contra Hieronymum, alla quale Girolamo reagì con un'Apologia adversus
libros Rufini, in cui aggravava i suoi rimproveri contro Origene e il suo difensore.
Nel 399 si staccò da Origene, dopo un iniziale riserbo, anche il vescovo ales-
sandrino Teofilo (385-412). Girolamo lo esortò insistentemente a procedere
contro l'«empia eresia» (Ep. 63; cf Ep. 82; 86-89; 99). Difficoltà con i monaci
del deserto di Nitria, tra i quali c'erano ammiratori di Origene, inasprirono il
polemico atteggiamento di Teofilo (cf le sue lettere pasquali: Girolamo, Ep. 96;
98; 100). Egli perseguitò i monaci origenisti e li scacciò dal deserto di Nitria. Al-
cuni fuggirono a Costantinopoli e trovarono aiuto presso Giovanni Crisostomo.
Così anche il vescovo della capitale dell'Impero veniva coinvolto nelle discus-
sioni (cf § 75,4c). In un sinodo celebrato nel 400 o nel 401 Teofilo condannò l'o-
rigenismo (Girolamo, Ep. 98; 90). Anastasio di Roma (399-402), che probabil-
298 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

mente conosceva soltanto degli estratti della traduzione di Rufino, per giunta
anche falsificata (Rufino, Apol. I 17-21), si associò alla condanna della persona
e dell'opera di Origene. Un decreto imperiale proibì la lettura dei suoi scritti
(Anastasio, Ep. 1,5 ad Johannem Hier.). Gli antiorigenisti risultarono vincitori in
questa triste controversia. Essi cercarono di eliminare dalla Chiesa l'opera del
teologo alessandrino come «bestemmia e follia» e di toglierle qualsiasi possibi-
lità di esercitare la sua influenza. La controversia che si accese su Origene all'i-
nizio del V sec. fu un preludio per la sua definitiva condanna nel 553 (§ 58,6).

Bibliografia: E. A. CLARK, The Origenist Controversy. The Cultura! Construction o/ an Early


Christian Debate, Princeton 1992; E. A. CLARK, New Perspectives on the Origenistic Controversy.
Human Embodiment And Ascetic Strategies, in ChH 59 (1990), 145-162; J. F. DECHOW, Dogma
And Mysticism in Early Christianity. Epiphanius o/ Cyprus And the Legacy o/ Origen, Macon 1988;
]. DECLERCK, Théophile d'Alexandrie contre Origène. Nouveaux /ragments de l'Epistula synodalis
prima (CPG 2595), in Byz 54 (1984), 495-507; Y.-M. DUVAL, Sur !es insinuations de Jéròme con-
tre Jean de Jérusalem. De l'arianisme à l'origénisme, in RHE 65 (1970), 353-374; A. FAVALE, Teofi-
lo d'Alessandria (345-412). Scritti; vita e dottrina. Torino 1958; J. A. FISCHER, Die alexandrinischen
Synoden gegen 01·igenes, in OKS 28 (1979), 3-16; A. GRILLMEIER, La« Peste d'Origène », soucis du
patriarche d'Alexandrie dus à l'apparition d'Origénistes en Haute Égypte (444-451), in Alexandrina
(FS [scritti in onore di] C. Mondésert), Paris 1987, 221-238; K. HOLL-A.}OLICHER, Die Zeit/ol-
ge des ersten origenistischen Streits, in K. Holl (a cura di), Gesammelte Au/siitze zur Kirchenge-
schichte, vol. II, 1928, rist. Darmstadt 1964, 310-350; J.-M. LEROUX, Jean Chrysostome et la que-
relle origéniste, in J. Fontaine - C. Kannengiesser (a cura di), Epektasis (FS [scritti in onore di]
J. Daniélou), Paris 1972, 335-341; L'ORIGENISMO: Apologie e polemiche intorno a Origene (XIV In-
contro di studiosi dell'Antichità Cristiana, Roma 9-11.5.1985), in Aug. 26 (1986), 7-303; F. X.
MURPHY, Evagrius Ponticus And Origenism, in R. Hanson - H. Crouzel (a cura di), Origeniana
Tertia, Roma 1985, 253-269; P. NAUTIN, La lettre de Théophile d'Alexandrie à l'Église de Jérusalem
et la réponse de Jean de Jérusalem (juin-juillet 396), in RHE 69 (1974), 365-394; B. STUDER, A pro-
pos des traductions d'Origène par Jéròme et Ru/in, in VetChr 5 (1968), 137-155.

§ 52. Il donatismo

Fonti, sguardo generale: P. MONCEAUX, Histoire littéraire de l'Afrique chrétienne, vol. V, Paris 1920.
Raccolte: H. VoN SODEN, Urkunden zur Entstehungsgeschichte des Donatismus, t, 1913, Berlin
19502; J.-L. MAIER, Le dossier du Donatisme, t trad. frane. , 2 voli. Berlin 1987-1989.
Acta conciliorum Carthaginiensis: S. LANCEL, t, 1974 (CChr.SL 149A); S. LANCEL, t trad. frane. e,
2 voli., 1972-1975 (SC 194ss.; 224).
Agostino, Scritti antidonatisti: M. PETSCHENIG, t, 3 voli., 1908 (CSEL 51-53); G. FINAERTet al., t
trad. frane., 5 voli., Paris 1963-1968 (BAug 28-32).
Ottato di Milevi: C. ZIWSA, t, 1893 (CSEL 26); L. DATTRINO, trad. it. e, i988 (CollTP 71).

Il donatismo nacque in Nordafrica dalla protesta contro quei chierici ai qua-


li si rimproverava di aver ceduto nella persecuzione di Diocleziano, perché do-
§ 52. Il donatismo 299

po il primo editto (303) avevano consegnato (di qui la parola traditores) la Bib-
bia alle autorità. Sul piano teologico esso trovava un appoggio in più antiche tra-
dizioni nordafricane che legavano la mediazione sacramentale della salvezza al-
la santità personale del ministro (Tertulliano, Cipriano; cf la controversia sul
battesimo degli eretici, § 22,3 ). A ciò si aggiungevano tensioni di natura sociale
e politica, come anche rivalità tra comunità ecclesiastiche della provincia Pro-
consularis, che era influenzata più fortemente da Roma, e la provincia di Numi-
dia. La controversia scosse la Chiesa nordafricana fino all'inizio del V sec.

1. L'imperatore Costantino e i donatisti

Occasione immediata delle discussioni fu l'elezione dell'arcidiacono Cecilia-


no a vescovo di Cartagine nel 311/312. I suoi avversari, con i quali c'erano state
già precedentemente delle discussioni su certe forme di venerazione dei martiri,
gli rimproveravano l'incertezza mostrata nella persecuzione; tra i suoi consa-
cranti, inoltre, c'erano stati dei traditores, e quindi la sua consacrazione era inva-
lida. Conseguentemente, essi elessero a vescovo di Cartagine il chierico cartagi-
nese Maggiorino. Quando costui poco dopo morì (estate 313?), assunse la guida
dell'opposizione, che si diffuse fino a ca. il 355 in tutto il Nordafrica, Donato di
Case Nigrae (Numidia). Proprio da lui lo scisma prese infine il suo nome.
Dal 313 la separazione della Chiesa nordafricana era diventata una faccen-
da imperiale. L'imperatore Costantino considerò inizialmente i donatisti come
sobillatori (Eusebio, H. E. X 6,4ss.: lettera a Ceciliano). Ma quando essi si ap-
pellarono a lui, egli incaricò il vescovo romano Milziade di appianare la contro-
versia insieme ad alcuni colleghi della Gallia. Milziade convocò nell'ottobre del
313 un sinodo a Roma (« Giudizio di Milziade»), che si espresse a favore di Ce-
ciliano (cf Von Soden 10-12). Dopo un ulteriore appello dei donatisti Costanti-
no convocò nel 314 un sinodo ad Arles, che di nuovo giustificò Ceciliano (Von
Soden 14,15; 16-17). Sul piano dogmatico i padri di Arles sostennero il punto
di vista romano, secondo il quale l'efficacia di un sacramento non dipende dal-
la santità del ministro (can. 9 [8] sul battesimo; can 14-15 [13-14] sulla consa-
crazione). I donatisti si rivolsero allora, ancora una volta, all'imperatore (Von
Soden 18), che infine, il 10 novembre del 316, li condannò (Von Soden 25). La
per~ecuzione che accompagnò la condanna si svolse in parte in maniera incon-
trollata e tumultuosa (cf la cosiddetta Passio Donati). Non si riuscì ad assogget-
tare i donatisti, ed anzi si aggravò il conflitto tra le due Chiese del Nordafrica.
La persecuzione venne motivata, ora, anche con la diversa posizione di fron-
te allo Stato romano e al suo potere. La Chiesa cattolica era considerata come
una comunità religiosa e cultuale legata allo Stato; quella donatista rifiutava in-
vece questo legame: «Cosa ha a che fare l'imperatore con la Chiesa?» (Quid est
300 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

imperatori cum ecclesia?, Donato attorno al 346; cf Ottato, Contra Parmenianum


Donatistam III 3 ). Questo atteggiamento si collegò con forze politiche e sociali
impegnate per un'autonomia nordafricana, che la Chiesa cattolica cercò di con-
trastare unitamente al potere statale.

2. Consolidamento dei donatisti

Poiché il suo intervento era rimasto inefficace, l'imperatore Costantino po-


se fine nel maggio del 321 alle azioni contro i donatisti: gli esuli poterono ritor-
nare e l'imperatore esortò alla tolleranza (Von Soden 30-31). I donatisti usciro-
no rafforzati dalla persecuzione come «Chiesa dei martiri» e si diffusero ora
con maggiore ampiezza nel Nordafrica. Attorno al 336 Donato poté riunire 270
vescovi in uno dei più grandi sinodi della Chiesa antica. Di fatto c'erano ora nel
Nordafrica, una accanto all'altra, due Chiese riconosciute.
Nel 346 Donato cercò di unirle sotto il segno donatista. Per questo motivo
Costante si rifece all'editto emanato dal padre nel 316, cominciò nuovamente a
perseguirare i donatisti e volle costringerli all'unione con la Chiesa cattolica
(editto d'unione del 347; Ottato III 1-3). Donato venne bandito e morì nel 355
in esilio. Ma il suo successore Parmeniano (m. 3911392), molto dotato sul pia-
no teologico e organizzativo, tenne unita la Chiesa donatista (Agostino, Sermo
46,17; Parmeniano compose uno scritto dal titoloAdversus ecclesias traditorum;
cf Ottato I 6). L'imperatore Giuliano fece tornare i vescovi esiliati e ingiunse il
ripristino dello stato patrimoniale ecclesiastico così come era prima dell'unione
forzata del 347. Ciò condusse, dopo la sua morte (363), a nuove ed aspre con-
troversie (Ottato II 16-18).

3. Repressione da parte dello Stato e tentativi di conciliazione


da parte della Chiesa

La scissione nella Chiesa fu aggravata dai cosiddetti circoncellioni. Sul pia-


no confessionale essi appartenevano ai donatisti, che dopo la morte di Parme-
niano avevano fatto registrare a loro volta una divisione in massimianisti e par-
menianisti che sarebbe durata per diversi anni. Essi non tennero nascoste, tut-
tavia, le loro azioni d'impronta criminale (ruberie, saccheggiamenti e violenze).
È evidente nella loro azione l'influsso d'idee sociali rivoluzionarie.
Diversi tumulti e disordini, nei quali era in gioco la condizione dei contadi-
ni africani, provocarono nuovamente l'intervento del potere statale negli ultimi
decenni del IV sec. Intorno al 372 si ebbe una rivolta contro Roma capeggiata
da Firmo, figlio di un «re berbero» della Mauritania. A lui si unirono alcuni ve-
§ 52. Il donatismo 301

scovi donatisti, ed egualmente da alcuni donatisti venne appoggiata la successi-


va rivolta capeggiata da suo fratello Gildo (3 97 -3 98). La loro partecipazione ad
azioni antiromane affrettò le misure imperiali per la repressione dei donatisti.
Nel febbraio/marzo del 405 l'imperatore Onorio emanò una serie di editti nei
quali il donatismo veniva bandito (CTh XVI 5,37; 6,4-5; 11,2).
Le misure politiche furono affiancate da quelle ecclesiastiche. Dal 395/396
la causa cattolica fu energicamente sostenuta da Agostino d'Ippona, che inizial-
mente discusse con i donatisti soprattutto con motivazioni teologiche. Insieme
ad Aurelio di Cartagine (392/393-429/430) egli organizzò una serie di sinodi
che miravano a ristabilire un'unione. Dal 393 al 420 egli pubblicò le sue opere
antidonatiste, che rifiutavano il concetto donatista di Chiesa e di sacramento
(per es., Contra litteras Petilianz;- Contra epz'stulam Parmenian~· De baptismo;
Contra Cresconium).
Fondamentale è per lui l'unità e unicità universale della Chiesa, fuori della quale non è pos-
sibile una vera fede. Agostino propone qui una netta distinzione tra segni esteriori e azione inte-
riore della grazia, tra Chiesa visibile e invisibile. La Chiesa visibile, il suo ufficio e i sacramenti so-
no inidispensabili come mediazione per l'invisibile comunione dei santi (communio sanctorum). Il
fatto che la Chiesa rappresenti un corpus permixtum, un misto di peccatori e di eletti (De doctr. ch-
rist. III 32,45) non cambia qui nulla. I sacramenti, infatti, rappresentano innanzitutto e soprat-
tutto sacramenti di Cristo e rimangono segni, anche qualora dovesse mancare la retta fede o l'in-
tima appartenenza alla Chiesa. I segni dei sacramenti del battesimo e dell'ordine producono per
i segnati, nella misura in cui sono amministrati in forma corretta, un carattere, un'impronta che
non si può più cancellare (C. epist. Parm. II 13,29). In queste condizioni, quando si passa dagli
scismatici o eretici alla Chiesa cattolica non è necessario un nuovo battesimo.

Gli sforzi per un'unione all'interno della Chiesa rimasero certamente in-
fruttuosi. L'imperatore fu quindi invitato a procedere nuovamente contro i do-
natisti; la conversione forzata venne infine considerata come mezzo estremo
(Agostino, Ep. 185,6 con Le 14,23: Cogite intrare, spingeteli a entrare).
Si trattava di un cambiamento gravido di conseguenze, che Agostino cercò ripetutamente di
difendere (cfEp. 93 ecc.), ma venivano stabilite tuttavia delle barriere tra l'azione statale e quella
ecclesiastica e si approvavano anche mezzi coercitivi da parte cattolica (Ep. 89,7 ecc.). Egli li giu-
stificava soprattutto sulla base della sua dottrina della grazia (cf § 56ss.). Soltanto Dio ha il pote-
re di convertire gli uomini, e soltanto lui sceglie i giusti. Ma come contesto per un possibile suc-
cessivo assenso dell'uomo l'appartenenza alla Chiesa cattolica è indispensabile. In tale prospetti-
va , al processo di educazione e di esortazione possono appartenere anche il timore e la costrizio-
ne (cf Ep. 173,3; 105,3,12-4,13; 93). Nell'ambito di sua competenza Agostino insistette nella pras-
si di unire le misure coercitive con l'insegnamento, ma si mostrò incapace di far cessare la violen-
za brutale messa in atto da alcuni colleghi d'ufficio e da membri di primo piano della propria co-
munità e d'impedire esecuzioni capitali. Senza volerlo, e certamente senza la possibilità di preve-
derne le conseguenze, egli formulò in anticipo le teorie che sarebbero servite all'Inquisizione.

Neppure nell'ultimo grande convegno religioso tenuto sotto il comes Mar-


cellino a Cartagine dall'l all'8 luglio 411 si giunse a un'intesa teologica. Sul pia-
302 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

no politico, tuttavia, i donatisti furono considerati come finiti. Un rescritto im-


periale del 30 gennaio 412 decretava l'unione (CTh XVI 5,52) e riprendeva le
precedenti leggi contro i donatisti. Nell'applicare queste leggi Agostino esorta-
va alla mansuetudo catholica (Ep. 139,2; 153), ma senza rivedere il suo fonda-
mentale consenso a misure coercitive.
L'unione forzata non cancellava completamente il donatismo. Una mino-
ranza consapevole di sé rimase fedele alla tradizione donatista, riuscì a soprav-
vivere anche sotto il dominio dei vandali e scomparve soltanto con la conquista
dell'Africa da parte degli arabi.

Prospetto çronologico

311-312 Ceciliano di Cartagine: inizio della controversia


dal 313 Donato
313 Giudizio di Milziade
314 Sinodo di Arles
316 Condanna dei donatisti da parte di Costantino e conseguente persecuzione
321-362 Consolidamento dei donatisti: diffusione del loro scisma
347 Editto d'unione dell'imperatore Costanzo; esilio di Donato
355 Morte di Donato
355-391/392 Parmeniano
361-363 Giuliano l'Apostata: restituzione dei beni patrimoniali ai donatisti
363-398 Radicalizzazione e politicizzazione
Comparsa dei circoncellioni
372 Rivolta capeggiata da Firmo di Mauritania
dal 393 Scritti antidonatisti di Agostino d'Ippona
392/393-429/430 Aureliano di Cartagine
397/398 Rivolta capeggiata da Gildo
ca. 400-430 Tentativi di concz1iazione da parte della Chiesa e repressione statale
diversi sinodi celebrati a Cartagine
405 Editto d'unione dell'imperatore Onorio: misure coercitive contro i donatisti
410 Dichiarazione di tolleranza
411 Convegno religioso a Cartagine; condanna
412 Editto di Onorio che conferma la condanna; misure coercitive

Bibliografia: J. S. ALEXANDER, The Motive /or a Distinction between Donatus o/ Carthage And
Donatus o/ Casae Nigrae, in JThS 31 (1980), 540-547; J.- P. BRISSON, Autonomisme et christianisme
dans l'Afrique romaine de Septime Sévère à l'invasion vandale, Paris 1958; R. CRESPIN, Ministère et
sainteté. Pastorale du clergé et solution de la crise Donatiste dans la vie et la doctrine de 5. Augustin,
Paris 1965; W. H. C. FREND, The Donatist Church, Oxford 197!3; W. H. C. FREND - K. CLANCY,
When did the Donatist Schism Begin?, in JThS 28 (1977), 104-109; K. M. GIRARDET, Kaisergericht
und Bischo/sgericht. Studien zu den Anfà'ngen des Donatistenstreits (313-315) und zum Proze/5 des
Athanasius von Alexandrien, Bonn 1975; G. GOTILIEB, Die Circumcellionen. Bemerkungen zum do-
natistischen Streit, in AHC 10 (1978), 1-15; E. L. GRASMUCK, Coercitio. Staat und Kirche im Dona-
tistenstreit, Bonn 1965; A. HETTINGER, Katholiken und Donatisten. Die a/rikanische Kirche im Spie-
gel der Brie/e Gregors des Gro/Sen, in AHC 24 (1992), 35-77; B. KRIEGBAUM, Kirche der Traditoren
§ 53. Apollinare di Laodicea e gli inizi delle controversie cristologiche 303

oder Kirche der Miirtyrer? Die Vorgeschichte des Donatismus, Innsbruck/Wien 1986; B. KRrEGBAUM,
Zwischen den Synoden von Rom und Arles. Die donatistische Supplik bei Optatus, in AHP 28 (1990),
23-61; E. LAMIRANDE, La situation ecclésiologique des Donatistes d'après S. Augustin, Ottawa 1972;
W MARSCHALL, Karthago und Rom. Die Stellung der nordafrikanischen Kirche zum apostolischen
Stuhl in Rom, Stuttgart 1971; A. SCHINDLER, J;histoire du Donatisme considerée du point de vue de
sa proprie théologie, in StPatr 17,3 (1982), 1306-1315; W SIMONIS, Ecclesia visibilis et invisibilis. Un-
tersuchungen zur Ekklesiologie und Sakramentenlehre in der afrikanischen Tradition von Cyprian bis
Augustinus, Frankfurt 1970; E. TENGSTROM, Donatisten und Katholiken. Saziale, wirtschaftliche und
politische Aspekte einer nordafrikanischen Kirchenspaltung, Gi:iterborg 1964; M. A. TILLEY, Dilatory
Donatists Or Procrastinating Catholics? The Tria! at the Con/erence o/ Carthage, in ChH 60 (1991),
7-19; W WISCHMEYER, Die Bedeutung des Sukzessionsgedankens fiir eine theologische lnterpretation
des donatistischen Streites, in ZNW 70 (1979), 68-85.

§ 53. Apollinare di Laodicea e gli inizi


delle controversie cristologiche

Fonti, sguardo generale: CPG 3645-3695; ibidem 3705-3732; ibidem 3735-3741.


Raccolte: H. LIETZMANN, Apollinaris von Laodicea und seine Schule, t, Tiibingen 1904.
Scritti siriaci: J. FLEMMING- H. LIETZMANN, t, Berlin 1904.
Per la cristologia cf E. BELLINI, Su Cristo. Il grande dibattito nel IV secolo, t trad. it., Milano 1978.

1. La cristologia di Apollinare

La cristologia ariana, almeno per quanto si può ricostruire, sembra aver inteso
l'incarnazione come assunzione della carne da parte del Logos creato. Il Logos en-
trò in un corpo senza anima (créòµa &'lfuxoç) e assunse la funzione dell'anima. L'in-
sufficienza di questo schema Logos-Sarx (Verbo-Carne) rimase a lungo inavvertita.
Anche Atanasio argomenta su questa base (cf per es. Contra Ar. III 25-37). Soltan-
to nella discussione con Apollinare di Laodicea egli parlò di un'anima umana in Ge-
sù Cristo, ma senza attribuirle una particolare importanza (Tom. ad Ant. 7).
Apollinare, uno strenuo assertore della dottrina nicena, fu dal 361 ca. ve-
scovo di Laodicea (Siria), ma fu attivo principalmente in Antiochia (§ 75); morì
prima del 392. Contro gli ariani egli difese la divinità del Logos e fu inoltre im-
pegnato soprattutto nella discussione con tendenze cristologiche che vedevano
una rigorosa distinzione tra Dio e uomo e (secondo la sua interpretazione) con-
sideravano Gesù Cristo unicamente come uomo dotato di grazia (per es. Paolo
di Samosata; più tardi Diodoro di Tarso).
Alla base della sua cristologia c'era un'antropologia che a dire il vero non è
più possibile ricostruire perfettamente: l'uomo è composto di due (o tre) ele-
menti: carne (carne e anima sensitiva) e mente/intelletto (vouç, anima intelletti-
304 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

va), che formano insieme un essere perfetto, «che si muove da sé» (aino1dvTJ-
wv). Un'unione di due nature indipendenti, entrambi dotate di anima, era per
lui impensabile (framm. 81; 150; 2). Nell'Incarnato, quindi, il Logos divino de-
ve prendere il posto dell'anima umana: Cristo è «Dio/Intelletto» nella carne
(9Eòcr/voucr EvcrapKoç, framm. 108). C'è in lui un unico principio di vita e d'a-
zione e quindi una sola effettiva unità sostanziale di natura, composta o risul-
tante dal Logos e dalla carne, strumento del Logos (cf framm. 113; 10).
Da questa unità vivente (ÉvonT]ç çro-nKil; cf framm. 144) Apollinare deriva-
va decise affermazioni cristologiche che continuarono ad influenzare la discus-
sione fino a Cirillo d'Alessandria(§ 54). Egli descrisse Cristo come <<Unica na-
tura incarnata del Logos di Dio» (µta cpucriç 'tOU ewu A6you O'EO'apKroµÉVT];
Ep. adlovianum), una natura (oùcrta), un'ipostasi, unprosopon (cfframm. 117;
119; 163). Cristo sarebbe uomo in una maniera del tutto unica (cf framm. 45;
Anakephalaiosis), un uomo celeste (Anakeph. 4,12; framm. 25).
C'era dietro un'esigenza soteriologica: la redenzione è possibile soltanto
quando Dio e uomo sono effettivamente una sola cosa e quando colui che si è
fatto uomo è senza peccato, senza conflitto di due volontà (framm. 150ss.). Il
problema della concezione apollinaristica è nel fatto che essa riduceva radical-
mente l'elemento umano di Cristo e comprometteva la trascendenza del Logos.
Apollinare trovò discepoli e seguaci. Per una comunità antiochena egli con-
sacrò vescovo (probabilmente nel 376) il presbitero antiocheno Vitale; fu quin-
di attivo anche nella politica ecclesiastica. Proprio qui dovettero accendersi le
prime controversie sulla sua dottrina, che venne discussa nel sinodo d'Antiochia
del 362 (Atanasio, Tom. ad Ant. 7). Seguirono condanne nel 377 a Roma, nel
379 ad Antiochia, nel 381 a Costantinopoli. Leggi dello Stato contro gli apolli-
naristi furono emanate dal 388 (CTh XVI 5, 14); la comunità apollinarista an-
tiochena fu riunita a quella ortodossa solo nel 425.

2. Reazioni teologiche

Il rifiuto della sua cristologia determinò un approfondimento della coscienza


che portò a riconoscere una natura umana perfetta nell'incarnazione. Già Eustazio
d'Antiochia (m. prima del 337) aveva contrapposto allo schema ariano Logos-Sarx
un modello Logos-Anthropos (Verbo-Uomo). Questo modello venne accettato e ap-
profondito fin dal sinodo d'Antiochia del 379 dagli avversari di Apollinare (come
Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, e inoltre Epifanio e Damaso di Roma,
Diodoro di Tarso, ed altri). Venne ripreso l'antico principio soteriologico:« Ciò che
non è assunto non è sanato.» (Quod non assumptum - non sanatum; cf Gregorio di
Nazianzo, Ep. 101,32; Damaso, Ep. 2 framm. 2 [PL 13, 352-353]). Il Logos doveva
aver assunto una perfetta natura umana, se davvero voleva redimere gli uomini.
§ 53. Apollinare di Laodicea e gli inizi delle controversie cristologiche 305

Inoltre, i cappàdoci cercarono di esprimere concettualmente l'unità di Cristo


come Dio e Uomo. Fondamentale risultò la distinzione di Gregorio di Nazianzo:
«l'una e l'altra cosa»; e non «l'uno e l'altro» (&A,A,o Kcà aÀÀo, e non &,A,A,oç Kaì
&A,A,rn;), costituiscono l'unico Cristo. Essi definirono l'unità sul piano delle natu-
re, ricorrendo al concetto di mescolanza (Kpfonç; Gregorio di Nazianzo, Or.
2,23). Il Verbo divino avrebbe assunto un uomo perfetto, costituito di corpo e
anima intellettiva, in una mescolanza insolubile, senza per questo eliminare le par-
ticolarità delle due nature (Gregorio di Nazianzo, Ep. 101,20ss.; Gregorio di Nis-
sa, C. Apoll. 21, 26; 51, 55). Non fu chiaro, anche dopo queste formulazioni, in
che modo si dovesse giustificare e pensare l'unicità della persona di Cristo. La di-
scussione su questo problema rimase riservata a Cirillo d'Alessandria e Nestorio.
Bibliografia: cf anche § 75,5: R. HOBNER, Gotteserkenntnis durch die Inkarnation Gottes, in
Kl 4 (1972), 136-161; E. MOHLENBERG, Apollinaris, in TRE 3 (1978);-162-371.

Prospetto cronologico: storia della teologia e dei dogmi nel IV secolo

Occidente Oriente

ca. 314 Sinodo di Arles: condanna


del donatismo
ca. 318 Espulsione di Ario dalla
Chiesa alessandrina
Atanasio, C. gentes;
De incarnatione
325 Concilio di Nicea
dal 327 Distacco di Costantino
dal Niceno
335 Sinodo di Tiro: primo
esilio di Atanasio
Deposizione di Marcello d' Ancira
da parte di Costantino
dal 335? Atanasio, Orationes c. Arianos
dal 336 Eusebio di Cesarea scrive
contro Marcello d'Ancira
337 Morte di Costantino; regno
dei suoi figli; Costanzo II
sovrano assoluto dal 350
341 Sinodo d'Antiochia in occasione della consacrazione
della «grande chiesa» (formule antiochene)
Sinodo a Roma sotto Giulio I
ca.341 Morte dell'ariano Asterio
342/343 Sinodo di Serdica: separazione tra
Oriente e Occidente
350/351 Atanasio, De decretis Nicaenae
306 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

Occidente Oriente

synodi
351 Sinodo di Sirmio: 1• formula
di Sirmio;
Deposizione di Fotino di Sirmio
352-366 Liberio di Roma
356-358 Scisma romano
357 2• formula di Sirmio
358-362 Serapione di Tmuis;
Atanasio, Epist. ad Serapionem
sulla divinità dello Spirito Santo
359/360 Doppio sinodo di Seleucia/Rimini
Confessione omeusiana dell'Impero
360-413 Scisma antiocheno
361-363 Giuliano l'Apostata
dal 361 Apollinare di Laodicea
362 Sinodo d'Alessandria;
discussioni su Apollinare
Atanasio: Tomus ad Antiochenos
dal 362 Scisma luciferiano
ca. 364 Basilio di Cesarea.
Adversus Eunomium
370 Basilio diventa vescovo di Cesarea
370 Morte di Atanasio
ca. 374 Morte di Marcello d' Ancira
375 Basilius, De spiritu Sancta
dal 377 Condanne di Apollinare
379 Morte di Basilio
379-395 Teodosio I
380 L'editto Cunctos populos: il niceno
diventa confessione dell'impero
Gregorio di Nazianzo, «Discorsi
teologici»
379-383 Gregorio di Nissa, C. Eunomium
Sinodo di Saragozza: contro i
Priscillianisti
381 I Concilio di Costantinopoli
381 Sinodo di Aquileia:
condanna dell'arianesimo
occidentale sotto
Ambrogio
376-403 Epifanio di Salamina 381 Priscilliano, vescovo di Avila
385-412 Teofilo d'Alessandria 385/386 Conflitto tra ariani e
cattolici per la
Basilica Portiana a Milano
ca. 386 Esecuzione capitale
di Priscilliano
ca. 387? Gregorio di Nissa, Antirrheticus
§ 54. Nestorio e il concilio di Efeso del 431 307

Occidente Oriente

adv. Apollinarem
ca. 390? Sinodo di Side: prima condanna
dei messaliani
dal 394 Prima controversia su Origene ca. 400-430 Sinodi antidonatisti
e misure coercitive in
Nordafrica
400/401 Sinodo d'Alessandria condanna
Ori gene
589 3° sinodo di Toledo: /ilioque
653 8° sinodo di Toledo: adozione
ufficiale del filioque

§ 54. Nestorio e il concilio di Efeso del 431

Nestorio, Frammenti: F. LoOFS, t, Balle 1905.


Liber Heracl.: P. BEDJAN, t, Paris/Leipzig 1910; F. NAU, t trad. frane, 1910, rist. Famborough 1969.
Atti del Concilio, Efeso 431: E. ScHWARTZ, t, 1922-1930 (ACO I).
Efeso 499 sir.: G. HOFFMANN, t trad. ted. e, 1917, rist. Gottingen 1970.
Efeso e Calcedonia, testi scelti: A. J. FESTUGIÈRE, trad. frane., Paris 1982.

Le discussioni cristologiche del tardo IV secolo portarono ad elaborare con-


tro la cristologia ariana il concetto di vera divinità del Logos e contro la cristo-
logia apollinaristica il concetto di vera e completà umanità di Cristo. I successi-
vi sviluppi dottrinari si concentrarono sulla questione circa il rapporto tra divi-
nità e umanità in Gesù Cristo. Ricorrendo a modelli antropologici (Logos-Car-
ne, oppure Logos-Uomo), i teologi svilupparono differenti concezioni cristolo-
giche che si possono definire approssimativamente con le espressioni conven-
zionali di« cristologia dell'unità» e «cristologia della separazione».

1. Le scuole teologiche

a) ANTIOCHENI
La cosiddetta scuola antiochena si colloca nella tradizione di Diodoro di
Tarso (m. prima del 395; § 75,4a), il quale, anche se non consente di stabilire
chiaramente quale fosse il suo proprio schema, mise in forte risalto, contro l'a-
rianesimo e più tardi anche contro l' apollinarismo, la distinzione tra Logos e
Carne/Uomo, per esaltare in tal modo, al di là di ogni dubbio, la trascendenza
del Verbo divino. Egli rifiutò quindi un'unità sostanziale, essenziale, secondo il
308 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

modello di un'analogia corpo-anima e preferì formulazioni del tipo «assumere


l'uomo» all'espressione« diventare uomo». All'uomo Gesù Cristo spettereb-
be lo stesso onore, la stessa adorazione che spetta al Logos divino, perché que-
sto lo riempirebbe in maniera perfetta, abiterebbe in lui e in tal modo raggiun-
gerebbe la sua perfezione e il suo innalzamento. In tal senso l'uomo Gesù Cri-
sto dovrebbe ritenersi al di sopra dei profeti dotati di spirito. Su questa impo-
stazione proseguì il suo discepolo Teodoro di Mopsuestia (m. 428; § 75,4b),
classico esponente della cristologia antiochena della «separazione» o, per me-
glio dire, della «distinzione». Egli precisò l'importanza soteriologica dell' ani-
ma di Gesù, la sua libera volontà, che vinse il peccato (Hom. cat. 5), e distinse
rigorosamente tra il Dio che assume e l'uomo assunto (Deus assumens - homo
assumptus; Hom. cat. 8,10). Rifiutò nettamente una mescolanza delle due natu-
re o ipostasi (o anche prosopa; cf i frammenti dal De incarn. VII; Adv. Apoll.
IV). Tanto più difficile, quindi, fu per lui precisare con maggiore chiarezza l'u-
nità. Accanto a definizioni metaforiche, come l' «abitare del Logos nell'uomo»
o il« rivestirsi dell'uomo» (Hom. cat. 7 ,1) si trova anche l'idea di unione (evro-
cnc;) o di congiunzione (cn>vaq>Eta) delle due nature o ipostasi in un'ipostasi o
in un prosopon (cf Hom. cat. 6,3; Comm. ]oh. 8,16; De incarn. VIII 62). Que-
st'unico prosopon, che viene adorato nella liturgia, è il risultato di un'unione
che però Teodoro non riuscì ad esprimere concettualmente in modo più preci-
so: egli la definì come partecipazione dell'Uomo Gesù all'onore e all'adorazio-
ne del Figlio di Dio (Hom. cat. 6,3; 8,13), come obbedienza perfetta di que-
st'Uomo e come azione dello Spirito Santo in lui (Hom. cat. 6,10; Comm. ]oh.
3,29). Non ebbe alcuna difficoltà, inoltre, con la communicatio idiomatum (ve-
di sotto, b).
Poiché egli non intese l'unità come concetto ontologico, i suoi avversari ales-
sandrini interpretarono la sua distinzione come giustapposizione di natura divi-
na ed umana e videro la sua concezione di unità appoggiata semplicemente su
una motivazione morale. Le oscurità delle sue formulazioni gli procurarono il
rimprovero di scindere l'unità soggettiva di Cristo, un'accusa che avrebbe por-
tato alla sua condanna nel 553 (cf § 59,3 ).

b) .ALESSANDRINI

Per la cristologia alessandrina veniva in primo piano l'unità delle due natu-
re. Essa rimase ampiamente legata allo schema Logos-Sarx, ma cercò anche di
prendere sul serio l'intera umanità in Cristo. Ciò si mostrò molto chiaramente
in Didimo il Cieco (m. 398), che insegnò a lungo ad Alessandria (§ 75,2b). Egli
risultò fortemente influenzato da Origene e difese contro l'arianesimo e l' apol-
linarismo, nella prospettiva della concezione cristologica alessandrina del Dio
fatto uomo, la divinità e la completa umanità di Cristo con corpo e anima. Ri-
§ 54. Nestorio e il concilio di Efeso del 431 309

sulterebbe del tutto insufficiente descrivere la sua cristologia soltanto nei termi-
ni di uno dei due schemi, Verbo-Uomo o Verbo-Carne.
Come principale rappresentante della cristologia alessandrina viene ritenuto
Cirillo d'Alessandria (vescqvo dal 412, m. 444; § 75,2c). Nella controversia con
Nestorio, al quale rimproverava un dualismo cristologico, egli approfondì losche-
ma mutuato da Atanasio, Logos-Sarx: il Logos consustanziale a Dio-Padre diven-
ta uomo, della stessa nostra natura, senza cessare di essere Dio (cf Oratio ad do-
minas 3-5; 20-21, ecc.). Basandosi su Fil 2,6ss, egli preferì parlare di kenosi [cioè
del fatto che il Verbo semet ipsum exinanivit (h:Évcocrev), /ormam servi accipiens,
«umiliò se stesso assumendo la condizione di servo», n.d.t.]. Il suo merito è nel-
1' aver separato i piani sui quali dover ricercare l'unità e la distinzione e nell'aver
precisato il soggetto del' azione di Gesù Cristo: le due nature (cpùcreii;, oùcrim) sa-
rebbero unite nell'unica ipostasi o persona del Logos divino fatto carne
(Kcx-c'im6cr-ccxcrtv), in modo tale che tutte le espressioni di vita, anche quelle del-
l'uomo, si dovrebbero attribuire al Logos divino (communicatio idiomatum, « co-
municazione degli idiomi» [cioè la mutua attribuzione delle proprietà, loicoµcx,
della natura divina e della natura umana in Cristo, n.d.t.]). Si tratterebbe di un'
unione fisica (€vcocrtç <pucrtKil; cf Apol. XII capit. 19-31 ecc.), e non soltanto di
un'unione riguardante la dignità, il potere e l'adorazione (à~icx, cxùeev-ctcx, npo-
crKUV'l"\crtç). Dio non sarebbe venuto in un uomo, ma sarebbe divenuto egli stesso
veramente uomo, senza cessare di essere Dio (Or. ad dom. 31). Problematica, nel
contesto della testimonianza dei padri da lui addotta nell'argomentazione teolo-
gica, è l'accettazione delle formule apollinaristiche attribuite ad Atanasio, come
quella di «un'unica natura incarnata del Logos di Dio» (µicx <pucrtc; wu Oeou
')..,6-you crrncxpKcoµÉvTJ). Queste formule gli procurarono l'accusa di monofisismo.
Le concezioni di tutte e due le scuole volevano corrispondere all'idea che
del Cristo offrono i vangeli. Esse si espressero secondo le rispettive tradizioni
teologiche e con differenti modelli di pensiero filosofico. Nelle successive con-
troversie i due schemi cristologici risultarono nettamente contrapposti. I con-
trasti tra le scuole furono inaspriti dalle tensioni e dalle lotte di potere tra le me-
tropoli di Roma, Alessandria e Costantinopoli. La durezza e l'asprezza della
controversia non si possono capire senza queste rivalità.

2. Lo scoppio della controversia

La controversia teologica scoppiò quando, nel 428, Nestorio divenne ve-


scovo di Costantinopoli. L'imperatore Teodosio II (408-450; imperatrice Eudo-
cia) aveva fatto venire il monaco e presbitero da Antiochia nella capitale del-
l'Impero. Nestorio, che non nascondeva la sua provenienza teologica, interven-
ne nella discussione sul titolo di «Madre di Dio» (Theotokos) per Maria, che te-
310 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria; cristologia, dottrina sulla grai.ia

neva occupati i circoli pii della capitale. Il titolo, già prima in uso, era stato ac-
colto nella liturgia ed era particolarmente favorito nella teologia alessandrina.
Nel contesto della sua teologia orientata in senso antiariano e antiapollinaristi-
co, che affermava una scrupolosa separazione tra Dio e Uomo in Cristo, Nesto-
rio rifiutava il titolo onorifico, come anche la comunicazione degli idiomi in ge-
nere. Secondo lui Maria doveva essere chiamata soltanto «Madre di Cristo»
(Christotokos), perché Cristo era il «nome comune delle due nature» e comune
soggetto delle espressioni cristologiche (Ep. 2 ad Cyr.). Agli occhi degli alessan-
drini egli era quindi sospetto d'eresia.
La controversia venne aperta nel 429 da Cirillo d'Alessandria (Lettera pa-
squale; Ep. 1 ai monaci egiziani), che vide offrirsi la possibilità d'intervenire nella
Chiesa della capitale dell'Impero e divenne accanito avversario di Nestorio. En-
trambi cercarono il proprio riconoscimento a Roma. Un sinodo romano del 430,
informato soltanto da Cirillo, esortò Nestorio alla ritrattazione e papa Celestino I
(422-432) incaricò Cirillo di eseguire la decisione sinodale. Cirillo aggiunse alla
sentenza, dopo un sinodo celebrato ad Alessandria (nel novembre 430), un elen-
co di dodici errori, ai quali Nestorio doveva rinunciare, e inviò tutto a Costanti-
nopoli. In questi «dodici anatematismi » egli proponeva formulazioni anche più
acute della teologia alessandrina e parlava di unione fisica delle due nature (evro-
cnç cpucnid1, Ka-c'fot6cn:acnv), ciò che per gli antiocheni era inaccettabile e pro-
vocò i cosiddetti« antianatematismi » di Teodoreto di Ciro (§ 75 ,4d).

3. Il concilio di Efeso (431) e il Simbolo di unione del 433

L'imperatore Teodosio II aveva intanto convocato un sinodo ad Efeso per il


7 giugno 431, festa di Pentecoste. Cirillo, il «faraone cristiano», forte dell' ap-
poggio di Celestino, arrivò con un grosso seguito ad Efeso. Nestorio, che per or-
dine del vescovo di Antiochia aveva intanto accettato il titolo Theotokos, era ar-
rivato con una piccola minoranza. Senza aspettare l'arrivo dei vescovi orientali
della diocesi imperiale d'Antiochia e dei legati occidentali, il 22 giugno Cirillo
aprì di propria autorità l'assemblea nella « grande chiesa» («Maria Theoto-
kos »). Nestorio e i suoi seguaci non intervennero. Come norma di fede valeva
il niceno. La cristologia di Cirillo, così come risultava esposta ultimamente nel-
la sua seconda lettera a Nestorio (inizio 430), fu ritenuta conforme a questa pro-
fessione di fede, mentre fu giudicata in contrasto la lettera di Nestorio a Cirillo
(giugno 430). Nestorio fu accusato di eresia come «nuovo Giuda» e venne de-
posto dal suo ufficio di vescovo (ACO I 1,2, 64).
Il 26 giugno arrivò Giovanni d'Antiochia (429-441/442) con gli orientali. Es-
si tennero insieme al commissrio imperiale una loro propria assemblea, dichiara-
rono eretici i « dodici anatematismi » e deposero Cirillo e il vescovo locale Mem-
§ 54. Nestorio e il concilio di Efeso del 431 311

none. L'intricata situazione divenne anche più confusa quando il 9 luglio appar-
vero i legati romani, che aderirono subito a Cirillo. Con l'appoggio romano ven-
nero ora scomunicati anche Giovanni d'Antiochia e una parte dei suoi vescovi. In
settembre la delegazione alessandrina riuscì, ricorrendo pesantemente alla corru-
zione, a fare accettare la propria versione del concilio a Teodosio II, che aveva
messo agli arresti domiciliari i protagonisti Cirillo, Nestorio e Memnone di Efeso:
Nestorio venne esiliato e gli fu designato come successore Massimiano (431-434);
Cirillo, senza essere stato formalmente rilasciato, tornò ad Alessandria.
Il concilio del 22 giugno aveva riconosciuto la seconda e la terza lettera di
Cirillo a Nestorio (Ep. 4; 17), senza spiegare più dettagliatamente formulazioni
come quella dell' «unità secondo l'ipostasi» e senza proporre una propria for-
mula. I vescovi orientali del contro-sinodo del 26 giugno si rifiutarono tuttavia
di accettare questa conclusione e respinsero soprattutto gli anatematismi di Ci-
rillo. Essi elaborarono a loro volta una formula cristologica che testimonia l'u-
nione delle due nature senza mescolanza e assegna a Maria anche l'attributo di
Theotokos (ACO I 1,7, 69-70). Questa professione di fede (talvolta indicata co-
me Symbolum Ephesinum) non riuscì a far cessare subito lo scisma.
Il modesto risultato del concilio di Efeso venne migliorato due anni più tar-
di dall' unione d'Antiochia. Gli sforzi solleciti di tutti i partecipanti, tra i quali
svolse un ruolo importante anche Teodoreto di Ciro (cf § 75,4d), condussero in-
fine a un accordo. Nella primavera del 433 anche Cirillo si dichiarò pronto a sot-
toscrivere un «simbolo di unione» che si atteneva alla cristologia degli antio-
cheni del 431 (Ep. 39,4-5 Laetentur caeli: ACO I 1,4, 17; la cosiddetta lettera
Laetentur). Questo cosiddetto simbolo antiocheno approvava il titolo Theotokos
e dichiarava la propria fede in Gesù Cristo come perfetto Dio e perfetto Uomo
e nell'unione delle due nature. Giovanni, a sua volta, acconsentì ora alla con-
danna di Nestorio.
A questo accordo si oppose una minoranza antiochena, che fece proprie le
conseguenze della deposizione e dell'esilio. Cominciò a formarsi una specifica
Chiesa nestoriana. La teologia antiochena subì un'evidente spaccatura e il cen-
tro di potere d'Antiochia, che era stato in concorrenza con Alessandria, risultò
indebolito. Ma anche ad Alessandria si ebbe una vivace opposizione, perché an-
che qui erano stati accolti concetti di orientamento nestoriano.

4. Nestorio

Nestorio, che aveva causato la controversia, venne esiliato da Antiochia, do-


ve si era ritirato, e morì infine nel suo ultimo luogo d'esilio nell'Alto Egitto non
prima dell'anno 451. Nel suo tragico destino egli fu una vittima delle lotte di po-
tere legate alla politica ecclesiastica. La sua teologia era nelle sue intenzioni cer-
312 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

tamente ortodossa, ma sul piano concettuale non fu in grado di opporsi adegua-


tamente alla cristologia alessandrina. Al discusso Theotokos egli poté acconsenti-
re con una certa sicurezza e verso la fine della sua vita vide la sua teologia anche
in accordo con la dottrina delle due nature di Flaviano di Costantinopoli e di
Leone di Roma. Nel suo esilio egli cercò di giustificarsi in due scritti apologetici,
la cosiddetta Tragoedia (scritta poco prima del 439, conservata solo in frammen-
ti) e il Uber Heraclidis (scritto poco prima della sua morte). Ricerche più recen"
ti hanno potuto dimostrare quale importante contributo per la soluzione delle
questioni cristologiche abbia rappresentato proprio quest'ultimo scritto.

Bibliografia § 54 (cf anche § 4,7b): M. V. ANASTOS, Nestorius Was Orthodox?, in DOP 16


(1962), 117-140; P.-T. CAMELOT, Ephesus und Chalcedon, Mainz 1963; A. DE HALLEUX, Nestorius,
histoire et doctrine, in Iren. 66 (1993 ), 38-51; 163-178; J. LIÉBAERT, I.:évolution de la christologie
de S. Cyrille d'Alexandrie à partir de la controverse nestorienne. La lettre pasca/e XVII et la lettre
aux moines (4281429), in MSR 27 (1970), 27-48; J. LIÉBAERT, S. Cyrille d'Alexandrie et l'unique
<<prosopon» du Christ aux origines de la controverse nestorienne, in MSR 34 (1977), 49-62; L. I. Scr.
PIONI, Nestorio e il concilio di Efeso, Milano 1974.
§ 54.1: J. M. DEWART, The Notice of «Person» Underlying the Christology o/Theodore o/Mo-
psuestia, in StPatr 12 (1975), 199-207; R. A. GREER, The Analogy of Grace in Theodore of Mo-
psuestia's Christology, inJThS 34 (1983), 82-98; R. A. GREER, The Antiochene Christology o/Dio-
dor of Tarsus, in JThS 17 (1966), 327-341; J. LIÉBAERT, La doctrine christologique de saint Cyrille
d'Alexandrie avant la querelle nestorienne, Lille 1951; M. MANDAC, I.:union christologique dans !es
oeuvres de Théodoret antérieures au concz'le d'Éphèse, in EThL 47 (1971), 64-96; R. A. NORRIS,
Manhood And Christ. A Study in the Christology of Theodore of Mopsuestia, Oxford 1963; F. A.
SULLIVAN, The Christology o/Theodore of Mopsuestia, Roma 1956; D. S. WALLACE-HADRILL, Chri-
stian Antioch. A Study of Early Christian Thought in the East, Cambridge 1982; F. M. YOUNG, A
Reconsideration of Alexandrian Christology, inJEH 22 (1971), 103-114.
§ 54.lb: B. DE MARGERIE, I.:exégèse christologique de S. Cyrille d'Alexandrie, in NRTh 102
(1980), 400-425.
§ 54.3: A. DE HALLEUX, Les douze chapitres Cyrilliens au Concile d'Éphèse (430-433), in RTL
23 (1992), 425-458.
§ 54.4: L. ABRAMOWSKI, Untersuchungen zum Liber Heraclidis des Nestorius, Louvain 1963;
H. J. VOGT, Papst Colestin und Nestorius, in G. Schwaiger (a cura di), Konzil und Papst (FS [scrit-
ti in onore di] H. Tiichle), Miinchen 1975, 85-101.

§ 55. L'insorgere del monofisismo


e il concilio di Calcedonia

Atti del Concilio, Calcedonia: E. SCHWARTZ, t, 6 voli., 1932-1938 (ACO II 1-6)


Ille-Vle sess.: A. J. FESTUGIÈRE, trad. frane., Genève 1983.
Leone Magno, Tomus: E. SCHWARTZ, t, 1932 (ACO II 2,1), 24-33.
Epist.: E. SCHWARTZ, t, 1932 (ACO II 4); C. SILVA-TAROUCA, t, 4 voli., Roma 1932-1937; E. HUNT,
trad. ingl., 196J2 (FaCh 34); G. TRETTEL, trad. it., 1993 (ColiTP 109).
§ 55. L:insorgere del monofisismo e il concilio di Calcedonia 313

Serm.: A. CHAVASSE, t, 2 voli., 1973 (CChr.SL 138/A); T. STEGER, trad. ted., 1927 (BKV).
Liberato, Breviarium causae Nestorianorum et Eutychianorum: E. SCHWARTZ, t, 1936 (ACO II 5),
98-141; F. CARCIONE, trad. it. e, Anagni 1989.

1. Tentativi di compromesso e nuovi conflitti

Il simbolo di unione (formula unionis) del 433 non rimase l'ultima parola.
Cirillo aveva, soprattutto in ambiente egiziano e siriaco, numerosi seguaci che
difendevano le sue formulazioni dell'unica natuna, esasperandole in senso mo-
nofisistico: la natura umana di Cristo sarebbe mescolata con quella divina e ad-
dirittura mutata in essa. Cirillo non aveva ripudiato neppure dopo l'unione i
suoi anatematismirifiutati da antiocheni moderati come Giovanni, Teodoreto di
Ciro e Andrea di Samosata. Formule conciliative di Proda di Costantinopoli
(434-446) nel suo Tomus ad Armenos (435), come quella dell'unione delle due
nature nell'unica ipostasi del Verbo di Dio fatto carne, non fecero progredire in
un primo momento la situazione. Un sinodo di vescovi antiocheni celebrato nel
438 approvò in effetti il Tomus, ma protestò, guidato da Iba di Edessa (435-457;
lettera al vescovo persiano Maris: ACO II 1,3, 32-34), contro la condanna, che
vi era stata aggiunta, di alcuni testi del non menzionato Teodoro di Mopsuestia.
Intervenne allora Cirillo d'Alessandria, che chiese la condanna di Teodoro di
Mopsuestia e Diodoro di Tarso come «padri del nestorianismo ». Gli antioche-
ni rifiutarono con successo un tale verdetto postumo.
Gli anni quaranta portarono, con la comparsa di nuovi attori, unà svolta de-
cisiva. A cirillo succedette Dioscoro (444-451), che volle estendere e rafforzare
in maniera drastica e ambiziosa l'influenza d'Alessandria e appoggiò la teologia
monofisistica. Il nuovo vescovo di Costantinopoli Flaviano (446-450), seguace
di Cirillo, si apprestò ad opporre resistenza contro Alessandria. Ad Antiochia
Giovanni Domno (443-449) difese energicamente la tradizione antiochena. A
Roma entrò in scena con Leone I (440-461) un papa che intervenne in maniera
autonoma nella discussione teologica e fece valere tenacemente gli interessi e le
pretese di potere di Roma (cf anche§ 63,3).

2. Il processo contro Eutiche e il sinodo di Efeso (449)

Colui che fece scoppiare la nuova controversia fu l'archimandrita di Co-


stantinopoli Eutiche (ca. 378-454), che, appoggiato da Dioscoro, propagò un
chiaro monofisismo: «lo confesso che nostro Signore prima dell'unione era
composto di due nature, dopo l'unione confesso soltanto una natura» (ACO II
1,1, p. 143). Tra i monaci della capitale dell'Impero egli ebbe un grosso seguito,
ed altrettanto nei circoli pii, fin dentro il palazzo imperiale. Contro queste ten-
314 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

denze radicali Teodoreto di Ciro compose nel 447 il suo scritto polemico Era-
nistes («Mendicante»), un dialogo tra un ortodosso e un monofisita (Eutiche);
a costui egli rimproverava di aver accumulato mendicando, nellè sue teorie, qua-
si tutte le dottrine erronee già note. Teodoreto vi esponeva la differenza tra na-
tura divina ed umana nell'unica persona di Cristo, senza ricorrere a concetti di-
scussi, come quello di «uomo assunto».
Flaviano si oppose al fanatico Eutiche. Nel cosiddetto sinodo endemico
(cf § 64,2b) celebrato a Costantinopoli nel novembre 448, Eutiche fu deposto e
scomunicato (ACO II 1,1, p. 100-147). I padri sinodali proposero contro la sua
cristologia, che scioglieva la duplice consustanzialità di Cristo, la seguente for-
mula: «Noi confessiamo che Cristo dopo l'incarnazione è composto di due na-
ture, in una ipostasi e una persona; lo confessiamo come unico Cristo, unico Fi-
glio, unico Signore» (ACO II 1,1, p. 114). Stabilirono quindi parallelamente il
termine hypostasis, che nella teologia alessandrina era connesso con physis, e il
concetto di prosopon favorito dagli antiocheni, dando in questo modo un im-
portante contributo alla differenziazione tra physis e hypostasis. Nello stesso
tempo questa equiparazione conferiva un significato più ontologico al concetto
di prosopon associato alla forma apparente.
Eutiche, condannato, trovò aiuto a corte ed anche ad Alessandria, dove Dio-
scoro si schierò subito dalla sua parte. Papa Leone, invece, si fece inviare gli at-
ti sinodali e si associò alla condanna decretata dal sinodo del 448. Inoltre, inviò
a Flaviano una dettagliata esposizione cristologica (Epistola dogmatica ad Fla-
vianum, detta anche Tomus Leonis), in cui difendeva la distinzione delle nature
anche dopo l'unione, come anche l'unità della persona.
Il Tomus elenca successivamente, in lunghi tratti, citazioni bibliche e brani dalla sue proprie
prediche. Punto di partenza dell'argomentazione è l'umanità di Cristo, che in nessuno modo si
potrebbe ridurre. Contro Eutiche e le dottrine monofisistiche Leone chiarisce la distinzione del-
le caratteristiche (proprietates) della divinità e dell'umanità di Cristo anche dopo l'incarnazione e
l'unione in una persona. Risultano fondamentali, in questo, la terminologia sviluppata da Tertul-
liano e la predilezione di Leone per antitesi e paradossi. Ciascuna delle due nature farebbe in co-
munione con l'altra ciò che le è proprio (agit utraque forma cum alterius communione quod pro-
prium est; Ep. 28,4 [= Tomus Leonis]: ACO I 2,1, 28). Ma soggetto sarebbe l'unica persona di Ge-
sù Cristo. Si potrebbe quindi parlare anche di Uomo Divino e di Figlio di Dio Umano(« comu-
nicazione degli idiomi»).

Intanto i seguaci di Eutiche avevano indotto l'imperatore a convocare nuo-


vamente un concilio generale. Sotto la presidenza di Dioscoro, venne stabilito il
corso del dibattito conciliare. 1'8 agosto 449 si riunirono circa centoquaranta
vescovi, come diciotto anni prima, nella grande chiesa efesina di «Maria Theo-
tokos». Teodoreto di Ciro non venne neppure ammesso; i sinodali che l'anno
prima avevano condannato Eutiche potevano certamente partecipare ali' assem-
blea, ma senza diritto di voto! Il patriarca egiziano aveva portato con sé mona-
§ 55. I:insorgere del monofisismo e ti concilio di Ca/cedonia 315

ci fanatici e una specie di guardia del corpo (parabolani), ed inoltre erano a sua
disposizione le guardie imperiali. Sotto il comando dispotico di Dioscoro il si-
nodo sbrigò rapidamente il suo compito: Eutiche venne riabilitato e la sua cri-
stologia dichiarata come ortodossa (ACO II 1,1; pp. 90-91; 94-96; 182-186).
Flaviano di Costantinopoli venne condannato, deposto e mandato in esilio dal-
l'imperatore. La stessa sorte toccò agli altri awersari di Eutiche. Essi vennero
banditi come «nestoriani», la formula d'unione del 433 fu praticamente annul-
lata. L'Epistola dogmatica di Leone non poté essere letta. Il monofisismo sembrò
diventare la professione ortodossa di fede.
Papa Leone descrisse in modo preciso il triste awenimento del secondo
concilio efesino: «Mani prigioniere si prestarono per empie firme» (Ep. 44:
ACO II 4,20); e definì la riunione un «sinodo di ladroni» (Latrocinium; Ep. 95:
ACO II 4,51).
La revisione di questa risoluzione conciliare fu possibile soltanto un anno
più tardi, quando Teodosio Il, il 20 luglio 450, morì di morte improwisa. Gli
succedette la sua energica sorella Pulcheria (m. 453 ), che si sposò con il genera-
le Marciano (450-457) (cf § 73 ).

3. Il concilio di Calcedonia del 451

a) Lo SVOLGIMENTO

L'imperatrice Pulcheria si sganciò dalla politica religiosa del fratello. Già


prima era stata in contatto con Leone, che ora voleva avere un ruolo decisivo ne-
gli sviluppi della situazione. Dopo il cambiamento nel potere politico awenuto
a Costantinopoli, il papa non riteneva più attuali i progetti per un cdncilio (Ep.
82-85; ACO II 4, pp. 41-45), mentre Pulcheria e Marciano persistevano nel vo-
lerlo celebrare. Alla fine Leone acconsentì, ma stabilendo le sue condizioni: i
suoi legati dovevano presiedere lassemblea per riparare così i torti subìti ad
Efeso e per arrivare a un chiarimento dogmatico nel senso della sua Epistola
dogmatica ad Flavianum (Ep. 89-92; 94-95: ACO II 4, pp. 47-52); il concilio do-
veva iniziare a Nicea il primo settembre 451, ma poco dopo venne trasferito a
Calcedonia, dove fu solennemente aperto 1'8 ottobre 451. Esso durò fino al pri-
mo novembre 451, sotto la direzione di alti funzionari imperiali, e con gli oltre
trecentocinquanta partecipanti (si hanno dati differenti) rappresenta il più gran-
de sinodo della Chiesa antica.
Nelle prime sedute fu approvata la condanna del sinodo endemico del 448 e
venne deposto Dioscoro. I padri conciliari si accontentarono inizialmente di ri-
conoscere la lettera dogmatica e la lettera Laetentur di Cirillo con la formula
d'unione antiochena (Epp. 4 e 39; cf § 54), come anche il Tomus Leonis, dichia-
316 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

rato conforme ai simboli di Nicea e di Costantinopoli (381). La seconda seduta


del 1O ottobre finì con un trionfo per Leone: « Questa è la fede dei Padri. Que-
sta è la fede degli Apostoli ... Pietro ha parlato per bocca di Lèone ... Noi tutti
crediamo così. Come Cirillo, così crediamo noi. Eterna la memoria di Cirillo! ...
Leone e Cirillo hanno insegnato la stessa cosa ... » (Seconda seduta, 10 ottobre:
ACO II 1,2, 78-82, 81). Dietro pressione dei legati imperiali, che volevano di-
sinnescare il potenziale conflitto tra le differenti formulazioni di Leone e Ciril-
lo, i padri di Calcedonia elaborarono infine un'altra loro formula, che venne so-
lennemente proclamata il 25 ottobre. Nelle successive sedute vennero riabilita-
ti Teodoreto e Iba di Edessa e furono emanati ventotto canoni riguardanti l' or-
dinamento e la disciplina della Chiesa; l'ultimo di questi canoni creava il pa-
triarcato di Costantinopoli (cf §§ 62,2; 63).

b) LA CONFESSIONE DI FEDE

La formula di fede decretata da Calcedonia confermava nel preambolo la dot-


trina dei precedenti concilii «ecumenici», compreso quello efesino del 431, come
anche la dottrina delle menzionate lettere di Cirillo e Leone. Quanto alla formu-
la, essa si collega con la formula d'unione del 433 e con la lettera Laetentur di Ci-
rillo e fa proprie soltanto alcune delle formulazioni di Leone. Essa confessa, con-
tro la (presunta) dottrina erronea di Nestorio e il monofisismo propagato da Eu-
tiche, la propria fede in un unico e medesino Figlio, Signore, Gesù Cristo, vero
Dio e vero Uomo, consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a
noi secondo l'umanità (òµooucrtoç, consubstantialis). Essa stabilisce i limiti contro
ogni falsa cristologia unitaria e di separazione falsamente intesa: «Confessiamo un
unico e medesimo Cristo, il Figlio e Signore, l'Unigenito, che è composto di due
nature in maniera non confusa e immutabile (àcruyxutcoç, àtpÉTttcoç, incon/use,
immutabiliter), non divisa e inseparabile (àùtmpÉtcoç, àxcoptcrtcoç, indivise, inse-
parabilt'ter). Giammai la distinzione delle nature viene annullata dall'unione, ed
anzi viene conservata la peculiarità di ciascuna natura, incontrandosi le due natu-
re in una persona e ipostasi, e non risultando divise o separate in due persone»
(ACO II 1,2, pp. 126-130, 129). A ciò si aggiunge una sanctio, che minaccia la de-
posizione o lanatema a chiunque si discosti da questa fede.
Per il momento, così, aveva fine la lunga controversia cristologica. Ma ben
presto si sarebbe dimostrato che la confessione di Calcedonia rappresentava non
soltanto la fine, ma anche l'inizio di nuove controversie e discussioni teologiche.
Il grande concilio, in cui per un'ultima volta la Chiesa antica fu rappresentata nel-
la sua totalità, pose anche le premesse per la dissoluzione dell'unità confessiona-
le. I monofisiti seguaci di Cirillo e Dioscoro, non soltanto ad Alessandria, non riu-
scirono a dimenticare la loro sconfitta, e negli anni seguenti si arrivò in tutto I'o-
riente a proteste e sommosse contro l'unità di fede imposta d'autorità dallo Stato.
§ 56. La controversia sulla grazia -Agostino e Pelagio 317

Bibliografia§ 55: L. ABRAMOWSKI, Der Streit um Diodor und Theodor zwischen den beiden
ephesinischen Konzilien, in ZKG 67 (1955/1956), 252-287; H. ARENS, Die christologische Spra-
che Leos des Grof!,en. Analyse des Tomus an den Patriarchen Flavian, Freiburg 1982; G. MAY,
Das Lehrverfahren gegen Eutyches im November des Jahres 448. Zur Vorgeschichte des Konzils
van Chalkedon, in AHC 21 (1989), 1-61; M. RrCHARD, Opera minora I-II, Turnhout/Louvain
1977; J. RIST, Proklos van Konstantinopel und sein Tomus ad Armenos: Untersuchungen zu Le-
ben und Wirken eines konstantinopolitischen Bischofs des 5. Jahrhunderts (micro/), Wiirzburg
1993; P. STOCKMEIER, Das Konzil van Chalkedon. Probleme der Forschung, in FZPhTh 29
(1982), 140-156; W. DE VRIES, Das Konzil van Ephesus (449), eine Riiubersynode?, in OCP 41
(1975), 357-398.
§ 55.3: A. DE HALLEUX, La définition christologique à Chalcedoine, in RTL 7 (1976), 3-23;
155-170; L. R. WICKHAM, Chalkedon, in TRE 7 (1980/1981), 668-675.
§§ 55, 58-60: W. H. C. FREND, The Rise of the Monophysite Movement. Chapters in the Hi-
story o/ the Church in the Fi/th And Sixth Centuries. Cambridge 1972; A. GRILLMEIER- H. BACHT
(a cura di), Das Konzil van Chalcedon I-III, Wiirzburg 19795•

§ 56. La controversia sulla grazia - Agostino e Pelagio

Sguardo generale: J. MORRIS, Pelagian Literature, in JThS 16 (1965), 26-60; A. BRUCKNER, Quel-
len zur Geschichte des pelagianischen Streites, t, Tiibingen 1906; PLS 1(1958),1101-1704; B.
R. REES, The Letters o/ Pelagius And His Followers, trad. ingl., Woodbridge 1991.
Agostino, scritti antipelagiani: C. F. URBA et al. t, 3 voll., 1902ss. (CSEL 42; 60; 85); G. DE
PLINVAL et al., t trad. frane., 4 voll., Paris 1962-1975 (BAug 21-24); A. KUNZELMANN -
A. ZUMKELLER, et al. (a cura di), Sankt Augustinus, der Lehrer der Gnade, trad. ted.,
Wiirzburg 1955ss.; J. A. MOURANT - W. J. COLLINGE (a cura di), trad. ingl., 1992 (Fa-
Ch 86).
Testi scelti su grazia e predestinazione: J. CHÉNÉ, La théologie de S. Augustin. Grace et prédesti-
nation, trad. frane., Lyon 1961.
C. Julian. M. A. SCHUMACHER, trad. ingl., 1957 (FaCh 35).
Quaest. ad Simpl. I 2: K. FLASCH, Logik des Scherckens, t trad. ted., Mainz 1990.
Giuliano d'Eclano, Opera: L. DE CONINCK, t, 1977 (CChr.SL 88).
Orosio, Liber Apol. c. Pelag.: C. ZANGEMEISTER, t, 1882 (CSEL 5).
Pelagio, Opera (lettere e trattati): C. P. CASPARI, Briefe, Abhandlungen und Predigten, t, Christia-
nia 1890, 1-167.
Expos. in epist. Pauli: A. SOUTER, t, 3 voli., 19221931, rist. Cambridge 1967.
Epist. ad Demetr.: PL 30, 1846, 15-45; 3?, 1861, 1099-1120; G. GRESHAKE- W. GEERLINGS, trad.
ted., in Quellen geistlichen Lebens. Die Zeit der Viiter, Mainz 1980, 139-178.
Comm. Rom.: T. DE BRUYNE, trad. ingl. e, Oxford 1993.

Mentre l'oriente era scosso dalle controversie trinitarie e cristologiche, nel-


la parte occidentale dell'Impero si arrivò ad analoghi violenti conflitti su antro-
pologia e soteriologia (cf § 46). I principali contendenti furono Agostino e Pe-
lagio. Il corso del conflitto si può dividere, qui, in quattro fasi:
318 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

1) Agostino e Pelagio prima del 411.


2) Rifiuto della dottrina pelagiana da parte di Agostino.
3) L'azione all'interno di tutta la Chiesa
4) La dottrina di Agostino sulla predestinazione e il semipelagianismo.

1. Agostino e Pelagio prima del 411

a) AGOSTINO: GRAZIA DELLA CONVERSIONE

Fondamentale per la concezione agostiniana della grazia fu da una parte il


suo superamento del determinismo dei manichei, che negavano la libertà del-
l'uomo e non ammettevano una responsabilità umana per il male, e dall'altra la
sua propria esperienza religiosa, così come egli la descrive nelle Con/essiones:
«Concedimi ciò che comandi e comanda ciò che vuoi» (X,29). Agostino aveva
sperimentato la sua conversione come pura azione di grazia da parte di Dio, che
dopo anni di ricerca e di lotta l'aveva sopraffatto. Questo tempo di dubbio e di
via errata egli lo interpretò in seguito partendo dalla sua nuova scoperta della
teologia paolina, soprattutto da certi passi come quello di Rm 7,14-25: l'uomo
agisce non secondo le norme da lui riconosciute come giuste, è anzi dominato
dal peccato e può essere salvato soltanto da Dio. Se la grazia deve essere real-
mente grazia, cioè donata gratuitamente come dice il nome, non può essere pre-
ceduta da alcun merito né da alcuna azione previa (Ep. 186,6). Se soltanto Dio
salva l'uomo, allora non è pensabile, per Agostino, che ciò debba dipendere in
qualsiasi modo dalla volontà degli uomini (Ep. 214,2).
Già nelle risposte alle domande del presbitero milanese Simpliciano (De di-
versis quaestionibus ad Simplz'cianum), scritte contemporaneamente alle Confes-
siones, risultano chiaramente formulati i princìpi della dottrina agostiniana del-
la grazia: soltanto la grazia dona la volontà necessaria per credere e per agire ret-
tamente (Ad Simpl. I qu. 2,13; Ep. 194,4,16). Tutto ciò che agisce per la nostra
salvezza è dunque dono di Dio: «Quando Dio corona i nostri meriti, corona al-
lora soltanto i suoi doni» (Ep. 194,5,19). Da questi elementi fissi e caratteristici
del suo pensiero Agostino non si allontanerà più. Nella controversia che ben
presto si vide imporre, egli poté soltanto chiarire, ulteriormente spiegare e por-
tare alle sue estreme conseguenze questa dottrina.

b) PELAGIO: GRAZIA DELL'ASCESI

Verso la fine del IV sec. arrivò a Roma dalla Britannia Pelagio (ca. 350/354 -
dopo 418). Il colto asceta acquistò stima e influenza soprattutto nei circoli asceti-
ci e aristocratici della capitale. Nel 410 seguì la tendenza a trovare rifugio nel Nor-
dafrica, dove però si trattenne solo per breve tempo, e poi si recò in Palestina.
§ 56. La controversia sulla grazia -Agostino e Pelagio 319

Pelagio volle proporre attraverso tutta una serie di sermoni, di esortazioni


ascetiche e di esposizioni moraleggianti della Sacra Scrittura (particolarmente di
Paolo; l'entità delle sue opere esegetiche non è stata ancora accertata) una con-
cezione austera della vita cristiana e protestò contro una comoda interpretazio-
ne del cristianesimo. Egli sostenne un idealismo morale basato sulla capacità
d'operare donata da Dio all'uomo. Secondo lui all'uomo in quanto immagine di
Dio è possibile, in linea di principio, osservare i comandamenti, distinguere il
bene dal male e decidere così liberamente per il bene per rassomigliare a Dio. Il
fondamento è la grazia della creazione (Expos. Rom. 8,3 ), come anche la giusti-
ficazione donata nel battesimo (ibidem 4,3 ). La legge e gli esempi biblici mo-
strano la strada, e l' exemplum di Cristo rappresenta l'ideale normativo; la pro-
messa della ricompensa celeste motiva l'uomo sempre di nuovo (Expos. Rom.
6,14; 8,26; Ep. ad Demetr. 8). La grazia è così per Pelagio la ragione e la libertà
che Dio dona all'uomo nella creazione e l'intero progetto educativo con il qua-
le Dio restaura l'immagine deformata dal peccato. Con il suo programma di
riforma Pelagio non intendeva fondare una Chiesa particolare; egli rifiutava an-
che la limitazione monastica del cristiano perfetto. L'intera Chiesa doveva esse-
re «senza macchia né ruga» (E/5,27; cf Expos. I Cor. 1,2; Ep. ad Demetr. 24).
In Nordafrica non si era giunti a un serio confronto tra le due posizioni an-
titetiche. Ma proprio qui Pelagio aveva lasciato il suo zelante discepolo Celestio,
che nella sua propaganda radicalizzò le dottrine del maestro, e proprio con que-
st'ultimo Agostino e la Chiesa nordafricana vennero inizialmente a discussione,
ma sempre con lo sguardo rivolto a Pelagio.

2. Rifiuto della dottrina pelagiana da parte di Agostino

Verso la fine del 411 Celestio venne condannato a Cartagine da un tribuna-


le vescovile presieduto da Aurelio. La condanna faceva riferimento a sei tesi di
Celestio:
- Adamo è stato creato mortale, e quindi sarebbe morto anche senza peccato.
- Il peccato di Adamo ha ferito soltanto lui, non il genere umano.
- I bambini neonati si trovano nella stessa condizione di Adamo prima della caduta.
- Non è vero che l'intero genere umano muore con la morte o la caduta di Adamo, e nep-
pure è vero che l'intero genere umano risuscita con la risurrezione di Cristo.
- La legge conduce al regno dei cieli non meno del Vangelo.
-Anche prima dell'arrivo del Signore ci sono stati uomini senza peccato (cf Mario Mercato-
re, in ACO I 5,1, 66).

Agostino non aveva preso parte al dibattito svoltosi a Cartagine, ma di-


venne ben presto l'avvocato difensore nella Causa Gratz'ae. In una serie di
320 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

scritti nei quali prese posizione contro varie teorie, egli cercò di penetrare nel
mistero del peccato e della grazia. Ma risulta difficile ricavarne un sistema or-
ganico. Nel 412 egli scrisse il trattato De peccatorum meritis et remissione et de
baptismo parvulorum, in cui rifiutava l'opinione secondo la quale il peccato di
Adamo agirebbe soltanto per imitazione e sosteneva invece, basandosi su Rm
5,12.14.18, che il peccato si trasmette con la procreazione (propagatione) e
macchia ogni uomo. Con riferimento a questo peccato originale o ereditario
egli difendeva il battesimo dei bambini, una prassi che gli serviva anche come
prova per una tale dottrina. Nello scritto De spiritu et grafia, pubblicato nello
stesso anno, Agostino rifiutava l'idea di legge come grazia salvifica. Legge e
Vangelo sono per lui soltanto un aiuto esterno; la grazia è invece il dono della
santificazione interiore, l'azione di Dio nell'anima dell'uomo, con la quale sol-
tanto diventa possibile, generalmente, vivere secondo la legge e il Vangelo. Tre
anni più tardi egli compose contro lo scritto De natura di Pelagio il trattato De
natura et grafia, in cui respingeva l'antropologia pelagiana, perché renderebbe
superfluo il Redentore (34,39). Vi descriveva invece la natura umana come fe-
rita e vulnerata dal peccato originale (natura vulnerata, sauciata, perdita), che
ha assolutamente bisogno della grazia sanatrice e redentrice di Cristo. Questa
grazia viene donata .all'uomo non per i suoi meriti, ma per puro favore (non
meritis, sed gratis), ed anzi in certe circostanze contro la sua stessa volontà (cf
Retract. II 1).

3. L'azione all'interno di tutta la Chiesa

a) PRIME CONDANNE

Agostino diede inizio in Nordafrica a una forte opposizione contro il pe-


lagianismo, che poi proseguì con azione tenace (Ep. 156-157; Sermones 293-
294). Pelagio aveva intanto attirato l'attenzione anche in oriente e venne
attaccato da Girolamo (Dialogus contra Pelagianos, 415). Di fronte allo scal-
pore suscitato da questa controversia la Chiesa di lingua e mentalità greca
mostrò un atteggiamento alquanto distaccato; un'assemblea riunitasi a Geru-
salemme nel 415 sotto il vescovo Giovanni si astenne da una condanna (Oro-
sio, Liber apologeticus 3-7). La campagna contro Pelagio in Palestina e in
oriente fu promossa dai latini (specialmente da Girolamo e dallo spagnolo
Orosio), che nel sinodo celebrato a Diospoli nel 415 subirono una dura scon-
fitta. I quattordici vescovi riuniti, ai quali Pelagio doveva render conto, sen-
tenziarono che Pelagio «apparteneva alla comunione ecclesiastica e cri-
stiana» (Agostino, De gestis Pelagii 20,44; Girolamo, Ep. 143 ,2: miserabilis sy-
nodus).
§ 56. La controversia sulla grazia -Agostino e Pelagio 321

I nordafricani ribadirono in seguito, nei sinodi di Cartagine e di Milevi


(416), la loro condanna del 411. Essi chiesero a Innocenzo I di Roma (402-
417) di approvare questa sentenza e di condannare anche da parte sua la dot-
trina di Pelagio. Il papa cedette alle pressioni degli africani soltanto a metà:
ne approvava la dottrina sulla grazia, acconsentiva al fatto che Pelagio e Ce-
lestio (in quanto «inventori di nuove formule», inventores vocum nova rum)
fossero esclusi dalla comunione ecclesiastica, fino a quando fossero rimasti
nei loro errori, ma non volle citarli di fronte a un tribunale romano (gennaio
417, Agostino, Ep. 181-183). Una tale risposta non poteva certamente rite-
nersi in Africa del tutto soddisfacente, ma venne intesa in ogni caso come una
conferma della linea africana, ed Agostino poté annunciare il 23 settembre
417: «Dalla Sede Apostolica sono giunti dei decreti, la faccenda è chiusa (cau-
sa finita est), possa anche l'errore essere eliminato quanto prima» (Sermo
131,10).

b) INQUIETUDINI SUSCITATE DA ZOSIMO DI ROMA

Subito dopo, tuttavia, sopravvenne per Agostino una pericolosa svolta. A


Roma era già succeduto ad Innocenzo I, nel marzo 417, il papa Zosimo (417-
418). Pelagio e Celestio si rivolsero al nuovo papa, che nelle loro dottrine non
riuscì a trovare alcun elemento di scandalo e invitò gli africani a rivedere la lo-
ro condanna (Coli. Avei!. 45-46). A questa risoluzione romana gli africani con-
trapposero una nuova sentenza sinodale (Cartagine, maggio 418), che persiste-
va nella precedente condanna. A differenza dell'accusa del 411, i nuovi canoni
ponevano al centro il rapporto tra grazia e libero arbitrio e trattavano in manie-
ra più concisa la colpa di Adamo e della sua discendenza. Nel De gratia Christi
et de peccato originali (418) Agostino discuteva nuovamente sia con la negazio-
ne del peccato originale da parte di Pelagio, sia con la sua insufficiente maniera
d'intendere la grazia.
Intanto era stata informata dall'Africa anche la corte di Ravenna, alla quale
era stato richiesto un atto rogatorio. Dall'autunno del 417 soggiornò a Roma Ce-
lestio, che nella certezza della sua vittoria non aveva esitato a suscitarvi motivi
di turbamento. La corte imperiale si fece quindi indurre a un intervento ufficia-
le. Il 30 aprile 418 Celestio venne bandito dalla città con un editto imperiale e
venne proibita un'ulteriore diffusione della sua dottrina (come crimen e sacrile-
gium; editto: PL 48, 379-386 o PL 56, 490-492; per il rispettivo decreto delprae-
fectus urbis cf PL 48, 408-409). Sotto questa pesante pressione papa Zosimo ri-
nunciò alla sua decisione dell'anno precedente e nella perduta Epistola tractoria
(maggio 418) condannò il pelagianismo. Pelagio, che era rimasto in oriente, ven-
ne condannato da un sinodo celebrato ad Antiochia e morì in un luogo scono-
sciuto. Celestio persistette nella sua dottrina.
322 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

c) GIULIANO D'ECLANO

All'Epistola tractoria di Zosimo si opposero diciotto vescovi italici, tra i quac


li anche Giuliano, un esponente della nobiltà campagnola dell'Italia meridiona-
le e dal 416 vescovo d'Eclano (presso Benevento, nell'antico territorio dell'A-
pulia). Egli era diventato nel frattempo il portavoce del pelagianismo, da lui or-
dinato in sistema, e l'aspro oppositore di Agostino. Come pensatore completa-
mente autonomo, egli difese l'antropologia antimanichea di Pelagio, mitigando-
ne tuttavia l'austerità ascetica. Nella discussione con Agostino egli si concentrò
sulla dottrina del peccato originale e della concupiscenza. Contro tale dottrina
Agostino si difese già nel 419/420 con il suo scritto De nuptiis et concupiscentia.
In questa discussione Agostino identificava il peccato quasi esclusivamente con
la concupiscenza (bramosia dei sensi), mentre si trovò non legato alla contro-
versia anche su altre affermazioni (amore di se stessi, amor sui, come causa del
peccato). Giuliano vide in questa visione ristretta un aperto manicheismo e un
attacco alla santità del matrimonio cristiano. Nella sua polemica contro Agosti-
no egli non conobbe limiti. Agostino s,e ne sentì di nuovo profondamente col-
pito e reagì contro il «giovane uomo» con estrema asprezza (Contra Julianum;
Contra Julianum opus imper/ectum). La controversia rafforzò Agostino nella sua
idea pessimistica dell'uomo di per sé completamente incapace nei confronti del
bene, perché corrotto dal peccato.
I pelagiani condannati, tra i quali Giuliano, avevano cercato rifugio dopo il
418 in oriente; risultarono così coinvolti nelle discussioni su Nestorio: Teodoro
di Mopsuestia accolse Giuliano e divenne avvocato difensore di Pelagio. Giu-
liano e Celestio chiesero invano all'imperatore Teodosio II, negli anni 429/430,
una revisione del loro processo. Il concilio di Efeso (431) si associò senza alcu-
na discussione alla condanna occidentale (can. 1; 4). Giuliano non trovò più, in
seguito, alcun riconoscimento; morì in Sicilia dopo il 450.

Bibliografia: J. S. ALRXANDER, ]ulian von Aeclanum (ca. 385-ca. 450), in TRE 17 (1988), 441-
443. P, E BEATRICE, Tradux peccati, Alle fonti della dottrina agostiniana del peccato originale, Mila-
no 1978; G. BONNER, Augustine And Modern Research on Pelagianism, Villanova 1972; G. BON-
NER, Augustine's Doctrine o/ Man. Image o/ God And Sinner, in Aug. 24 (1984), 495-514; G. BoN-
NER, Pelagianism And Augustine, in AugSt 23 (1992), 33-51; J. P. BuRNs, Augustines' Role in the
Imperia! Action Against Pelagius, inJThS 30 (1979), 67-83;J. Mc WILLIAM DEWART, The Christo-
logy o/ the Pelagian Controversy, in StPatr 17,3 (1982), 1221-1244; R. E EVANS, Pelagius. Inquiries
And Reappraisals, London 1968; J. FERGUSON, Pelagius. A Historical And Theological Study, 1956,
rist. New York 1978; G. GRESHAKE, Gnade als konkrete Freiheit. Bine Untersuchung zur Gnaden-
lehre des Pelagius, Mainz 1972; V. GROSSI, La liturgia battesimale in S. Agostino. Studio sulla cate-
chesi del peccato originale negli anni 393-412, Roma 1970; B. HAMM, Unmittelbarkeit des gottlichen
Gnadenwirkens und kirchliche Heilsvermittlung bei Augustin, in ZThK 78 (1981), 409-441; W D.
HAUSCHILD, Gnade N, in TRE 13 (1984), 476-495; M. LAMBERIGTS,]ulian o/Aeclanum. A Piea/or
a Good Creator, in« Augustiniana » 38 (1988), 5-24; R. LORENZ, Gnade und Erkenntnis bei Augu-
stin, in ZKG 75 (1964), 21-78; A. MANDOUZE, Saint Augustin. I.:aventure de la raison et de la gra-
§ 57. La dottrina di Agostino sulla predestinazione e il semipelagianismo 323

ce, Paris 1968; R. A. MARKus, The Legacy o/ Pelagius. Orthodoxy, Heresy And Conciliation, in R.
Williams (a cura di), The Making o/ Orthodoxy (FS [scritti in onore di] H. Chadwick), Cambridge
1989, 214-234; G. MASCHIO, I:argomentazione patristica di S. Agostino nella prima fase della con-
troversia pelagiana (412-418), in Aug. 26 (1986), 459-279; F. G. NUVOLONE-A. SOLIGNAC, Pélage
et Pélagianisme, in DSp 12b (1986), 2889-2942; R. PIRENNE, La morale de Pélage. Essai histori-
que sur le role primordial de la grace dans l'enseignement de la théologie morale, Roma 1961; G. DE
PLINVAL, Pélage, ses écrits, sas vie et sa réforme, Lausanne 1943; B. R. REES, Pelagius. A Reluctant
Heretic, Suffolk 1988; A. SAGE, Le peché origine! dans la pensée de Saint Augustin de 412 à 430, in
REAug 15 (1969), 75-112; R. SCHWAGER, Un/eh/bare Gnade gegen gottliche Erziehung. Die Erlo-
sungsproblematik in der pelagianischen Krise, in ZKTh 104 (1982), 257-290; W. SIMONIS, Anliegen
und Grundgedanke der Gnadenlehre Augustins, in MThZ 34 (1983), 1-21; J. C. STARI<, The Pauli-
ne Inf/.uence on Augustine's Notion o/ the Will, in VigChr 43 (1989), 345-361; C. TIBII..ETTI, Teolo-
gia pelagiana su celibato/matrimonio, in Aug. 27 (1987), 487-507; F.]. THONNARD, La notion de
«nature» chez Saint Augustin. Ses progrès dans la polémique antipélagienne, in REAug 11 (1965),
239-265; A. TRAPÈ, S. Agostino. Introduzione alla dottrina della grazia, vol. I: Natura e grazia, Roma
1987; H. ULBRICH, Augustins Briefe zur entschet'denden Phase des Pelagùznischen Streltes. (Von den
Verhandlungen in ]erusalem und Diospolis im ]ahre 415 bis zur Verdammung des Pelagius im ]ahre
418), in REAug 9 (1963 ), 51-75; 235-258; A. VANNESTE, Nature et grace dans la théologté de Saint
Augustin, in RechAug 10 (1975), 143-169; O. WERMELINGER, Rom und Pelagius. Die theologische
Position der romischen Bischo/e im pelagianischen Streit in den ]ahren 411~432, Stuttgart 1975;
J. WETZEL, Augustine And the Limits of Virtue, Cambridge 1992.

§ 57. La dottrina di Agostino sulla predestinazione


e il semipelagianismo

Fausto di Riez, Opera: A. ENGELBRECHT, T, 1891 (csel 21), cf anche§ 76,lle


Prospero d'Aquitania, scritti in difesa di Agostino: P. DE LETTER, trad. ingl., 1963 (ACW 32), cf
anche§ 76,llb.
Vincenzo di Lerino, Commonitorium: R. S. MoxoN, t, Cambridge 1915; C. COLAFEMMINA, trad.
it., Alba 1968.
Excerpta: ]. MADOZ, t, in PLS 3, 23-45.

1. La dottrina di Agostino sulla predestinazione

Le lunghe controversie sulla grazia condussero Agostino ad asserzioni sem-


pre più radicali. Il rapporto tra libero arbitrio e grazia, le questioni sull'inizio
della fede e sul perseverare in essa ebbero bisogno di ulteriori approfondimen-
ti di pensiero. Se tutto dipende dall'iniziativa di Dio, la libertà dell'uomo non
può più essere libertà di scelta, ma soltanto realizzazione del destino da lui sta-
bilito. La volontà di compiere il bene e di credere è, secondo Agostino, intera-
mente suscitata da Dio «in maniera invincibile e insuperabile» (De correptione
324 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

et grafia 12,38) e viene portata a termine con il concorso di Dio, dal quale sol-
tanto è resa possibile la perseveranza nella fede (De gratia et libero arbitrio
17,33; cf De dono perseverantiae, 4281429). Conseguentemente, soltanto all'ele-
zione e predestinazione (praedestinatio) della grazia divina spetta decidere chi
debba arrivare alla salvezza: dall'umanità divenuta per il peccato di Adamo mas-
sa damnata Dio elegge una parte (De praedestinatione sanctorum 8,16; Ep.
109,3,1; De corrept. et grat. 10,28; Sermo 111,1) affinché creda, e non perché cre-
de (De praed. sanct. 19,38), mentre l'altra rimane abbandonata alla perdizione.
La mancata elezione di questa parte sicuramente maggiore rappresenterebbe il
giusto giudizio per il peccato (Ench. 25 [99], ecc.). Il numero degli eletti (nu-
merus electorum) venne messo da Agostino in relazione con gli angeli caduti: il
vuoto formatosi con la loro caduta deve essere riempito dagli eletti (Ench. 16
[62]; Civ. Dei 22,l). Agostino venne in conflitto, con la sua dottrina della pre-
destinazione, con la volontà salvifica universale di Dio; a tale conflitto egli cercò
di rimediare attraverso una contorta esegesi di 1 Tm 2,4: questo passo si riferi-
rebbe soltanto agli eletti da Dio (Ench. 27 [103 ]; De corrept. et grafia 14, 44;
15,47; Ep. 217,6, 19).

2. Nuova critica ad Agostino: il semipelagianismo

a) MONACHESIMO E SEMIPELAGIANISMO

Il «maestro della grazia» ebbe a combattere non soltanto contro i pelagia-


ni. Anche da altri ambienti furono espresse perplessità e si obiettò che Agosti-
no negava il libero arbitrio e, con il suo modo d'intendere la grazia, rendeva pri-
ve di significato le opere buone e le esortazioni reciproche. Sono note le obie-
zioni sollevate dal monastero nordafricano di Adrumeto. Agostino rispose con i
due scritti De gratia et libero arbitrio e De correptione et gratza (427). Contro la
seconda opera si espressero i monaci della Gallia meridionale (Provenza e re-
gione attorno a Marsiglia). I cosiddetti marsigliesi si opposero soprattutto alle
conseguenze della dottrina della predestinazione. Ad essi replicò Agostino con
il De praedestinatz'one sanctorum e il De dono perseverantiae (429), ma senza riu-
scire con questo a tranquillizzarli. Essi avevano trovato il loro portavoce in Gio-
vanni Cassiano (cf § 76,12), che rifiutava completamente la dottrina pelagiana,
ma non voleva neppure seguire la dottrina agostiniana della predestinazione,
perché secondo lui sarebbe in contraddizione con l'esperienza umana, ostacole-
rebbe ogni impulso morale-ascetico (Coni. Patrum 13) e per il resto non con-
corderebbe con la tradizione della Chiesa (cf Vincenzo di Letino, Commonito-
rium 26,37). I monaci/teologi mitigarono la predestinazione assoluta in una con-
dizionata: Dio sceglierebbe coloro che, a quanto egli conosce, si mostrano me-
§ 57. La dottrina di Agostino sulla predestinazione e il semipelagianismo 325

ritevoli della predestinazione (praevisis meritis). Il primo desiderio di salvezza


(initium /idei) potrebbe venire anche dall'uomo e all'inizio darebbe poi il suo
compimento la grazia; il dono della perseveranza non sarebbe necessario. I mo-
naci della Gallia meridionale difesero fin dall'inizio la loro prassi ascetica di vi-
ta e non sono da ritenersi in alcun modo discepoli di Pelagio. Nel corso delle di-
scussioni con i discepoli di Agostino essi organizzarono in forma sistematica i lo-
ro insegnamenti. La denominazione storicamente falsa di « semipelagiani » e di
«semipelagianismo» è stata coniata in epoca moderna.
Dopo la morte di Agostino, Prospero Tirone d'Aquitania (m. dopo il 455;
cf § 76,12b) e il suo amico Ilario (al quale Agostino aveva dedicato il suo scritto
De praedestinatione) proseguirono le discussioni e difesero Agostino contro gli
attacchi dei semipelagiani. Essi smussarono alcune durezze della dottrina ago-
stiniana e riconobbero anche la volontà salvifica universale di Dio (cf in parti-
colare De vocatione omnium gentium, ca. 450).
La controversia tra l'agostinismo rigoroso e il semipelagianismo non trovò
inizialmente una possibilità di composizione. Il semipelagianismo continuò ad
essere professato specialmente in ambienti ascetico-monastici: da ricordare, do-
po Giovanni Cassiano e Vincenzo di Lerino (m. 450) con il suo Commonitorium,
soprattutto Fausto di Riez (m. 485). La posizione agostiniana venne energica-
mente difesa, con tutte le sue conseguenze (cf, tra le altre opere, De veritate prae-
destinationis), da Fulgenzio di Ruspe (m. 533; cf § 78,10).

b) IL CONCILIO DI 0RANGE

Soltanto nel VI sec. venne pronunciata nella Causa Gratiae una sentenza co-
mune per tutta la Chiesa. Cesario di Arles (m. 542; cf § 78,4), che proveniva dal-
1'ambiente monastico ma non era meno devoto nei confronti di· Agostino, si
adoperò per un chiarimento. Contro di lui, ancora nel 528, un sinodo celebrato
nella Gallia meridionale a Valence si era espresso all'unanimità in senso semi-
pelagiano. L'anno seguente (luglio 529) l'arcivescovo Cesario di Arles, in occa-
sione della consacrazione di una chiesa a Orange (2° concilio di Orange), pro-
pose ai suoi vescovi suffraganei e ad alcuni alti funzionari una serie di capitoli
che su richiesta di Bonifacio II (530-532) gli erano stati recapitati da Roma. Es-
si riprendevano la sentenza del sinodo di Cartagine del 418 e difendevano la gra-
zia preveniente di Dio in considerazione dello strapotere del peccato. La natu-
ra umana sarebbe incapace, da sola, senza l'illuminazione dello Spirito Santo, di
compiere opere buone. I canoni passano sotto silenzio le dottrine agostiniane
sulla predestinazione e sulla perseveranza nel bene. Con i chiarimenti del sino-
do provinciale di Orange, che fu confermato dal papa Bonifacio II e più tardi
venne registrato come Arausicanum II, la controversia della Chiesa antica sulla
grazia era finalmente finita.
326 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

Prospetto cronologico: la dottrina della grazia


395/396 Agostino, Confessiones;
De diversis quaestz"onibus ad Simplicianum
Fine IV sec. Pelagio a Roma
410 Pelagio e Celestio in Nordafrica;
Pelagio si reca poi in Palestina
411-415 Rifiuto delle dottrine pelagiane
411 Condanna di Celestio a Cartagine
412 Agostino, De peccatorum meritis et remissione; De spiritu et gratia
415-418 Le discussioni con il pelagianismo coinvolgono tutta la Chiesa
De natura et gratza, contro Pelagio, De natura
Girolamo, Diaf.ogus contra Pelagianos
Sinodo di Gerusalemme
Sinodo di Diospoli
416 Sinodi di Cartagine e di Milevi: condanne del pelagianismo
dal 416 Giuliano d'Eclano
417 Innocenzo I di Roma (402-417): condanna errori senza convocare tribunale romano
Zosimo di Roma (417-418) invita i nordafricani alla ritrattazione;
Celestio a Roma
418 Sinodo di Cartagine: ribadita la condanna del 416
Agostino, De gratia Christi et de peccato originali
418 Editto imperiale: esilio di Celestio
Zosimo, Epistola tractoria: condanna del pelagianismo
Pelagiani in oriente
419-430 Dottrina agostiniana della predestinazione e semipelagianismo
419 Agostino, De nuptiis et concupiscentia, contro Giuliano
431 Concilio d'Efeso: condanna del pelagianismo
426/427 Obiezioni sollevate da monastero di Adrumeto
Agostino, De gratia et libero arbitrio; De correptione et gratza
428/429 Opposizione dei monaci della Gallia meridionale
Agostino, De praedestinatione sanctorum; De dono perseverantzae
430 Morte di Agostino
430-529 Discussioni sul semipelagianismo
ca. 430/43.5 Morte di Giovanni Cassiano
434 Vincenzo di Lerino, Commonitorium
ca. 450 Prospero d'Aquitania, De vocatione omnium gentium
473/474 Fausto di Riez, De gratza
502-542 Cesario di Arles
ca. 507-533 Fulgenzio di Ruspe
528 Sinodo di Valence
529 Sinodo di Orange

Bibliografia § 57: T. A. SMITH, De gratia. Faustus o/ Riez's Treatise on Grace And Its Place in
the History o/ Theology, Notre Dame/Ind. 1990.
§ 57.1: R BERNARD, La prédestination du Christ tota! selon saint Augustin, in RechAug 3
(1965), 1-58; V. GROSSI, Il termine praedestinatio tra il 420-435. Dalla linea agostiniana dei «salva-
ti» a quella di« salvati e dannati», in Aug. 25 (1985), 27-64; H. RONDET, La prédestination augu-
stinienne. Genèse d'une doctrine, in ScEc 18 (1966), 229-251; A. SAGE, La volonté salvzfique unz~
§ 58. Opposizione contro Ca/cedonia 327

verselle de Dieu dans la pensée de saz'nt Augustin, in RechAug 3 (1965), 107-131; F.]. THONNARD,
La prédestz'nation augustz'nienne, sa place en philosophie augustinienne, in REAug 10 (1964), 97-123.
§ 57.2: C. M. KASPER, Theologie und Askese. Die Spirz'tualz'tiit des Inselmonchtum van Lérins
im 5. ]ahrhundert, Miinster 1991; C. M. KASPER, Der Beitrag zur Entwicklung des Gnadenstrez'tes
in Siidgallz'en, dargestellt an der Korrespondenz des Augustinus, Prosper und Hilarius, in A.
Zumkeller (a cura di), Signum Pietatis (FS [scritti in onore di] C. P. Mayer), Wiirzburg 1989, 153-
182; R. LORENZ, Der Augustinismus Prospers van Aquitanien, in ZKG 73 (1962), 217-252; G. DE
PLINVAL, Prosper d'Aquitaine, interpréte de saint Augustin, in RechAug 1 (1977), 125-145; M. $1.
MONETTI, Il De gratia di Fausto di Riez, in «Studi storico-religiosi» 1(1977),125-145; C. TIBI-
LETTI, Libero arbitrio e grazia in Fausto di Riez, in Aug 19 (1979), 259-285; C. TIBILETTI, La sal-
vezza umana in Fausto di Riez, in « Orpheus » 1 (1980), 371-389; F. WòRTER, Beitriige zur Dog-
mengeschichte des Semipelagianz'smus, 1898, rist. Paderborn 1978; F. WòRTER, Zur Dogmengeschi-
chte des Semipelagianismus, Miinster 1899.

§ 58. Opposizione contro Calcedonia

Sguardo generale in A. GRILLMEIER,]esus der Christus im Glauben der Kirche, II 1, Freiburg 1986,
22-103.
L. ABRAMOWSKI - A. E. GOODMAN, A Nestorian Collection o/ Christological Texts, t sir. trad. ingl.,
2 voli., New York 1972.
Severo d'Antiochia, cf § 77,2.

La formula di fede di Calcedonia era stata proclamata come confessione che


doveva unificare, ma i monofisiti condannati formarono il nucleo di una risolu-
ta opposizione, cui aderirono altri avversari del concilio. L'opposizione eccle-
siastica/teologica trovò un sostegno e un rafforzamento in motivi nazionali, so-
ciali e politici.

1. Il rifiuto di Calcedonia

Ad Alessandria venne ucciso nel 457 il patriarca calcedoniano Proterio.


Suo successore divenne Timoteo Eluro (457-477), uno zelante seguace di Ciril-
lo. Egli sosteneva un monofisismo moderato che eludeva il calcedonense e si ap-
poggiava sul concilio di Efeso (431) con la formula della µ1.a <pucnç, ottenendo
così un seguito maggiore. Ad Antiochia divenne patriarca illegittimo, attorno al
470, Pietro Fullone (il «lavandaio»), che insegnò un radicale teopaschismo
(§ 59,2) e aderì all'opposizione dei monofisiti. In Palestina si costituì contro
Calcedonia un'opposizione di monaci che fu appoggiata dall'imperatrice Eu-
dossia (vedova di Teodosio II, cf § 73,2). Essi cacciarono via da Gerusalemme
Giovenale, che cercava di destreggiarsi con il potere politico, e vi nominarono
328 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

patriarca il monofisita Teodosio (452-453 ). Soltanto dopo lotte violente Giove-


nale poté tornare. L'imperatore Leone I (457-474) depose nel 460 Timoteo Elu-
ro e nel 470 Pietro Fullone. L'opposizione contro Calcedonia rimase tuttavia in-
tatta; nello stesso tempo Basilisco (475-476), usurpatore dopo la morte di Leo-
ne, riabilitò i due patriarchi e inflisse l'anatema (Enkyklion) alla confessione di
Calcedonia. Calcedonia veniva annullata e la Chiesa era nuovamente vincolata
alle professioni di fede del 325-431. Cinquecento vescovi sottoscrissero il docu-
mento imperiale (Evagrio, H. E. III 4ss.). Anche in Asia Minore, con il centro
Efeso, si rafforzò ora l'opposizione contro Calcedonia.
Quando il legittimo imperatore Zenone (474-491) guadagnò nuovamente
potere, e il patriarca di Costantinopoli Acacio (471-489) mobilitò i monaci e le
masse della capitale contro l'Enkyklion, Basilisco ritirò il suo documento (Anti-
Enkyklion: Evagrio, H. E. III 7).

2. L' Henotikon dell'imperatore Zenone e lo scisma acaciano

Nel 476 Zenone (474-491) riuscì a prevalere su Basilisco e a rientrare in Co-


stantinopoli. Sembrò possibile, così, un ritorno a Calcedonia. Anche Roma spin-
geva l'imperatore su questa linea. I vescovi che capeggiavano l'opposizione mo-
nofisistica furono privati del loro ufficio e al loro posto furono insediati dei cal-
cedoniani. Tuttavia, l'opposizione contro Calcedonia non si lasciò piegare e
un'unificazione dell'Impero sotto la confessione calcedoniana non fu possibile.
L'imperatore Zenone emanò allora nel 482, insieme al patriarca Acacio di
Costantinopoli, un editto religioso (Henotikon, «Editto di unione», Evagrio,
H. E. III 14; Zaccaria il Retore, H. E. V 8), al quale si riuscì a guadagnare an-
che il patriarca monofisita d'Alessandria, Pietro Mongo. L'editto obbligava le
Chiese a riconoscere le confessioni di Nicea e Costantinopoli, con le quali con-
cordava anche la risoluzione di Efeso del 431: l'incarnazione di uno della Tri-
nità non distruggeva né la trinità delle persone né l'unità del Figlio. L' « Enoti-
co »si poneva al di sopra del calcedonensee del discorso sulle due nature eri-
gettava sia il nestorianismo che l' eutichianismo. Esso si basava sul «simbolo di
unione» del 433 come anche sui dodici anatematismi di Cirillo e contribuì con
la sua poca chiarezza e contraddittorietà ad allargare le controversie. In orien-
te aumentarono le spaccature sul fronte degli avversari del concilio (Evagrio,
H. E. III 30) e s'inasprì la protesta dei calcedoniani. Felice II (III) di Roma
(483-492) oppose un netto rifiuto all'Editto di unione dell'imperatore e sco-
municò il patriarca Acacio (484). Ciò condusse a una separazione tra Chiesa
orientale e Chiesa occidentale che sarebbe durata per alcuni decenni: il cosid-
detto scisma acaciano (484-519).
Dopo diversi vani tentativi di unione ebbe inizio sotto l'imperatore Giusti-
§ 58. Opposizione contro Ca/cedonia 329

no (518-527) e il papa Ormisda (514-523) una svolta politico-religiosa. Nella ca-


pitale dell'Impero, sotto la pressione dei calcedoniani, il patriarca Giovanni II
di Costantinopoli (518-520) fu innanzitutto costretto a riconoscere pubblica-
mente il calcedonense; nella liturgia bizantina venne inserita la festa di Calce-
donia (celebrata per la prima volta il 16 luglio 518, anche come Memoria degli
altri tre concilii riconosciuti). Dopo questo ritorno ufficiale a Calcedonia l'im-
peratore cercò di ristabilire l'unità con Roma. Ormisda pretese come condizio-
ne previa l'accettazione di un Libellus da lui scritto (Formula Hormisdae, Coli.
Avell. 116b), che già nel 515 aveva inviato a Costantinopoli come base per un'e-
ventuale unione. In esso il papa imponeva l'accettazione della definizione di
Calcedonia, come anche del Tomus Leonis, e richiedeva la condanna dei noti av-
versari del concilio. Pretendeva inoltre di pronunciare la sua sentenza sui ve-
scovi già esiliati e sulle accuse contro i seguaci del calcedonense (Coll. Avell.
116a). Incontrò resistenza soprattutto la richiesta di esiliare gli avversari del con-
cilio. Soltanto dopo tenaci trattative si riuscì a ristabilire, il 31 marzo 519, l'u-
nità nella Chiesa. Ciò rappresentava un successo per la pretesa del primato pa-
pale, secondo cui soltanto presso la sede di Roma si può trovare «tutta la vera
e perfetta saldezza della fede cristiana» (Coll. Avell. 116b). L'unione con Roma
non condusse tuttavia, in oriente, a una vera unità nella fede.

3. Scissioni tra i monofisiti

Nei patriarcati di Alessandria e Antiochia vasti settori degli ambienti reli-


giosi si rifiutarono di aderire all'unione del 519. Misure coercitive da parte del-
lo Stato, sotto Giustino e Giustiniano I (527-565), non riuscirono inizialmente
a cambiare la situazione. Si ebbe poi un'inversione di rotta. L'imperatrice Teo-
dora (527-548) si mostrò addirittura piuttosto incline a seguire la corrente mo-
nofisistica, mentre motivi di politica interna costrinsero l'imperatore a un com-
portamento più cauto. Si arrivò così nel 532 a un confronto religioso a Costan-
tinopoli, la cosiddetta Collatio cum Severianis, che non condusse a una conci-
liazione e provocò un'ulteriore ondata di persecuzioni. La politica imperiale
non unitaria consentì agli avversari di Calcedonia di organizzare e sviluppare
proprie chiese monofisistiche.
I monofisiti non costituirono assolutamente un'unità compatta. Uno dei loro
teologi più importanti, Severo d'Antiochia (m. 538, cf § 77,2), fu patriarca d'An-
tiochia negli anni 512-518. Egli sostenne un monofisismo moderato:·physis, hypo-
stasis e prosopon sarebbero per lui sinonimi e da distinguere rigorosamente dal-
l'unica natura di Dio Uno e Trino. Divinità e umanità non si annullerebbero a mo-
tivo dell'unione. Il Figlio avrebbe sofferto nella carne. Ma egli rifiutava la formu-
la «in due nature», perché distruggerebbe l'unità di Cristo e della sua azione.
330 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

In Egitto si arrivò a una controversia sulla questione circa la misura in cui


anche il corpo umano di Cristo si debba ritenere incapace di soffrire. Secondo
Severo, Cristo prese prima della risurrezione un corpo corruttibile. Ciò veniva
negato da Giuliano d' Alicarnasso (m. dopo il 527), che come Severo era mono-
fisita e gli era stato originariamente amico: secondo lui il corpo di Cristo era in-
corruttibile. Egli e i suoi seguaci, i giulianisti, vennero perciò detti a/tartodoceti
[dal gr. a. (privativo) + <p9dpco (=corrompo)].
Dai vari gruppi nacquero Chiese nazionali, autonome (autocefale), che ri-
masero fedeli al loro cristianesimo di confessione monofisistica (Chiesa armena,
giacobita-siriaca [cf § 59,5], copto-egiziana, abissina). Le minoranze che nei ri-
spettivi luoghi rimasero fedeli alla confessione imperiale-calcedonense, per lo
più di origine greca, furono denominate melchite (dall'aramaico:= «imperiali»).

Bibliografia § 58: R. C. CHESNUT, Three Monophysite Christologies: Severus o/ Antioch, Phi-


loxenus of Mabbug And ]acob of Sarug, Oxford 1976; F. DVORNIK, Early Christian And Byzantine
Politica! Philosophy, Washington 1966; F. T. R. GRAY, The Defense of Chalcedon in the East (451-
553), Leiden 1979; C. LAGA et al., After Chalcedon. Studies in Theology And Church History,
Louvain 1985; J. MEYENDORFF, Byzantine Theology. Historical Trends And Doctrinal Themes,
London 1974; J. MEYENDORFF, Christ in Eastern Christian Thought, New York 19752; F. X.
MURPHY - F. SHERWOOD, Konstantinopel II und III, Mainz 1990 (frane. 1974); L. FERRONE, La
Chiesa di Palestina e le controversie cristologiche. Dal concilio di Efeso (431) al secondo concilz'o di
Costantinopoli (553), Brescia 1980; A. N. STRATOS, Byzantium in the VIIth Century, 5 voli., Am-
sterdam 1968-1980; I. R. TORRANCE, Christology After Chalcedon. Severus o/Antioch And Sergius
the Monophysite, Norwich 1988; F. WINKELMANN, Die ostlichen Kirchen in der Epoche der chri-
stologischen Auseinandersetzungen (V bis VII. ]h.), Berlin 1980.
§ 58.3: L. FERRONE, Il dialogo contro gli a/tardoceti di Leonzio di Bisanzio e Severo di Antio-
chia, in es 1 (1980), 411-442; J. SPEIGL, Das Religionsgespriich mit den severianischen Bischofen in
Konstantinopel im ]ahre 532, in AHC 16 (1984), 264-285.

§ 59. Teologia nell'epoca di Costantino

Giovanni Grammatico, Opera: M. RrcHARD- M. T. AUBINEAU, t,'1977 (CChr.SG 1).


Giovanni Massenzio et al., Opera, F. GLORIE, t, 1978 (CChr.SL 85A).
Giustiniano I, «Scritti dogmatici»: E. SCHWARTZ, t, Miinchen 1939; K. F. WESCHE, trad. ingl.,
New York 1991.
Scritti teologici ed ecclesiastici di Giustiniano: M. AMELOTTI - L. MIGLIARDI ZINGALE, t, Milano
1977.

1. La Chiesa imperiale bizantina

L'imperatore Giustiniano I (527-565) cercò ancora una volta di ricostituire


nella sua estensione geografica nel Mediterraneo l'antico Impero Romano. Esso
§ 59. Teologia nell'epoca di Costantino 331

doveva essere sorretto dall'unica Chiesa, di cui egli intendeva essere supremo
patrono e garante di unità. Nei suoi sforzi teologici e di politica ecclesiastica egli
fu il più importante rappresentante della cosiddetta «ortodossia politica». La
restaurazione politica fu per un certo tempo coronata da successo: nel 532 Giu-
stiniano concluse con i persiani una «pace perpetua» (rinnovata nel 562); nel
533-534 venne conquistato da Belisario il Nordafrica; negli anni 535-552 fu con-
quistata l'Italia e nel 554 la Spagna meridionale (Baetica e costa sud-orientale).
Alla riforma interna dell'Impero servì il nuovo ordinamento giuridico attra-
verso il Codex Justinianus (cf § 3,le). L'ampia opera legislativa era dedicata par-
ticolarmente alle relazioni e istituzioni ecclesiastiche e documentava la consape-
volezza della missione imperiale. Per assicurare l'unità della religione cristiana
nell'impero egli proseguì e inasprì la precedente legislazione contro i pagani (CJ
I 11, 9-10); ai giudei veniva senz'altro conservato il privilegio di religio licita, ma
una serie di leggi ne limitava la libertà di movimento (CJ I 5,17; Nov. 45; 146).
Agli eretici il Codex toglieva ampiamente tutti i diritti e si arrivò alla chiusura
delle loro chiese. La struttura ecclesiastica venne adattata a quella politica, ma
rispettando per Roma una preminenza· rispetto agli altri quattro patriarcati di
Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme (Nov. 123,3; 131). Tutta-
via, la pretesa del potere imperiale e la consapevolezza che Roma aveva di se
stessa non ne risultavano ridotte a un comune denominatore.

2. La controversia teopaschita

Ad Antiochia già intorno al 470, sotto Pietro Fullone, era stata inserita nel
«Trisagio » liturgico, cioè nella triplice invocazione «Santo ... Santo ... Santo ... »
(&:ytoç 6 0E6ç, &:ytoç i.crxup6ç, &:ytoç &06.va'tOç, Sanctus Deus, Sanctus /ortis,
Sanctus immortalis), la formula aggiuntiva del crocifisso (6 O''taupro0dç 8t'iiµ&.ç,
qui crucz/ixus es pro nobis). L'imperatore Anastasio I (491-518) aveva accolto
nella sua confessione di fede la formula teopaschita («Dio che patisce»; cf Zac-
caria il Retore, H. E. VII 8) e l'aveva resa obbligatoria a Costantinopoli. Le pa-
role Unus ex trinitate passus est furono dirette inizialmente contro la dottrina
delle due nature intesa da Calcedonia in senso nestoriano.
I cosiddetti monaci sciti a Costantinopoli, capeggiati da Giovanni Massen-
zio, ripresero la formula e la precisarono in questo modo: uno della Trinità ha
sofferto nella carne (eva 'tlìç ayl.aç 'tpt6.8oç 7tE7tov0É:vm crap1cl., cf. Giov. Mas-
senzio, Lib. /id. XI 20: unus ex trinitate Chrz'stus, qui pro nobis est carne passus).
Essi cercavano una via di mezzo tra il calcedonense e un monofisismo modera-
to, fissando l'unità dell'ipostasi in un contesto di teologia trinitaria e accennan-
do alla distinzione delle nature attraverso il «patire nella carne». A differenza
di Severo d'Antiochia, che si richiamava alla formula teopaschita per rigettare il
332 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

calcedonense, i monaci sciti si servirono di questa formula come principio per


una nuova interpretazione del concilio attraverso la formula efesina del 431 e la
cristologia di Cirillo. In linea di principio le due formule, quella di «una natu-
ra» e quella di «due nature», sarebbero entrambi ammissibili, in quanto po-
trebbero correggersi reciprocamente.
La loro interpretazione del calcedonense distingue chiaramente tra affermazioni astratte e
concrete: «Uno della Trinità ha sofferto» si riferisce alla concreta seconda persòna della Trinità.
La differenziazione avviene con il ricorso a concetti astratti: l'unica persona divina ha sofferto« se-
condo l'umanità» (Giovanni Massenzio, Prof brev. cath. /id. 4). I termini persona e subsistentia,
7tp6crro7tov E 'Ì>7t6crmcrtç vengono intesi come sinonimi: l'ipostasi o persona del Verbo di Dio
avrebbe assunto la natura umana. Questa sussisterebbe non per sé, ma nell'ipostasi o persona del
Verbo. Ci sarebbe quindi soltanto l'unica ipostasi o persona delle due nature (Giovanni Massen'
zio, Dia!. c. Nest. I 11). Ma Giovanni Massenzio e i monaci sciti non riuscirono ancora a formu-
lare una coerente distinzione tra persona.e natura/q>i>criç.

Mentre papa Ormisda persistette in un atteggiamento contrario (Col!. Avell.


231), la formula teopaschita venne accolta dal papa Giovanni II (533-535) (Coll.
Avell. Nr. 84), probabilmente sotto l'influenza di Dionigi il Piccolo (cf § 78,2é),
che a Roma aveva tradotto in latino alcuni scritti di Cirillo. Anche Giustiniano,
intanto, si era fatto garante per la formula (cf CJ I 1,5.6), per conquistarsi così i
monofisiti raccolti attorno a Severo d'Antiochia (cf § 58,3). Ma questo tentativo
fallì. È vero che il concilio di Costantinopoli del 553 accettò la formula come
espressione ortodossa di fede (can. 10: ACO IV 1,218; 242), ma i monofisiti pla-
smati da Severo, che sotto la protezione di Teodora (cf § 73,2) si erano rafforza-
ti nella loro organizzazione e nella consapevolezza di se stessi, continuarono a in-
sistere per una revisione completa della dottrina calcedoniana delle due nature.

3. Condanna definitiva di Origene

Intanto ripresero nuovamente vigore, negli ambienti monastici della Pale-


stina, le agitazioni attorno al nome di Origene (cf § 51). Presso Gerusalemme
era sorta nel 483 la Laura dell'anacoreta Saba di Cappadocia (m. 532; Mar Sa-
ba, cf § 71 B2). Saba non riusciva a capire l'estrema spiritualizzazione incul-
cata soprattutto da Evagrio Pontico (cf § 75,7) tra gli anacoreti palestinesi, dei
quali era egli superiore dal 494 come archimandrita, e cominciò a perseguita-
re gli origenisti. Questi si raccolsero nel 507, sotto la guida di Nonno, nella
Nuova Laura presso Thekoa. Dopo esserne stati allontanati per un certo tem-
po, gli origenisti cominciarono dal 519 a tramandare in segreto le loro dottri-
ne. Alcuni di essi arrivarono a Costantinopoli, dove, sostenuti da Leonzio di
Bisanzio, poterono predicare apertamente; .e due vennero creati metropoliti da
Giustiniano: Domiziano ad Ancira e Teodoro Aschidas a Cesarea. Ma subito
§ 59. Teologia nell'epoca di Costantino 333

dopo spuntò fuori la controversia monastica sulle faure palestinesi. Gli antio-
rigenisti trovarono l'appoggio dei patriarchi di Antiochia e Gerusalemme e
presentarono un'accusa presso Giustiniano. Probabilmente sotto l'influsso di
Pelagio, apocrisario papale a Costantinopoli che più tardi sarebbe divenuto
papa, l'imperatore emanò nel 543 un editto che condannava la persona e la
dottrina di Origene (ACO III, 189-214; per gli anatematismi cf anche DH
403-411). I vescovi dell'Impero, compreso papa Vigilio (537-555), approvaro-
no la condanna. Immediatamente prima del concilio di Costantinopoli del 553
la condanna venne ribadita, e in tale occasione vennero inclusi nella sentenza
(ACO IV 1, 248ss.) anche Didimo d'Alessandria (cf § 75,2c) ed Evagrio Pon-
tico (§ 75,7).

4. La controversia dei Tre Capitoli

Dopo questo intermezzo tornò in primo piano, sotto una nuova angola-
zione, la controversia sul calcedonense. Fu probabilmente Teodoro Aschidas
colui che indusse l'imperatore a nuove attività, per distoglierlo dalla contro-
versia origeniana (Facondo, Pro de/ensione trium capitulorum IV 4, cf § 78,lc).
Nel 5441545 Giustiniano emanò un decreto dottrinario che condannava per-
sona ed opera di Teodoro di Mopsuestia, ritenuto il padre del nestorianismo,
gli scritti contro Cirillo di Teodoreto di Ciro e la lettera di Iba d'Edessa al ve-
scovo persiano Maris, i cosiddetti Tre Capitoli, per purificare in questo modo
il calcedonense da qualsiasi sospetto di nestorianismo e per guadagnare l' as-
senso dei monofisiti. Teodoreto ed Iba erano stati riabilitati a Calcedonia do-
po il «sinodo di ladroni» (/atrocinium) del 449. I vescovi orientali acconsen-
tirono quindi alla sentenza solo con esitazione. In Africa, Italia e Gallia si sol-
levò più forte l'opposizione, perché i teologi attaccati erano considerati come
testi principali della dottrina occidentale delle due nature a Calcedonia. An-
che papa Vigilio (537-555), già apocrisario a Costantinopoli e divenuto papa
con l'aiuto di Teodora, rifiutò inizialmente di sottoscrivere. In conseguenza di
ciò venne citato a Costantinopoli e sottoposto a pressioni. Nell'aprile 548 egli
acconsentì alla condanna, ma volle che fossero rispettate le decisioni di Calce-
donia (Iudicatum; cf Col!. Ave!!., Nr. 83, 299-302). La forte protesta dall'occi-
dente (nel 550 l'episcopato nordafricano escluse Vigilio dalla comunione ec-
clesiastica) indusse il papa a un'esitante ritrattazione del suo consenso. L'im-
peratore e il papa volevano chiarire definitivamente il caso in un futuro sino-
do. Ma già nel 551 l'imperatore emanò un editto (Epistula contra tria capitula)
che ribadiva la precedente condanna. A questo punto Vigilio si oppose aper-
tamente e scomunicò il patriarca Menas di Costantinopoli (m. 552) e i suoi se-
guaci.
334 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

5. Il concilio di Costantinopoli del 553

Il 5 maggio 553 si riunì l'assemblea di centosessantasei vescovi; soltanto


una dozzina di essi erano giunti dall'occidente ed anche Vigilio si era tenuto
lontano. Egli pubblicò il 14 maggio un Constz'tutum (Coli. Avell. Nr. 83) in cui
condannava 60 proposizioni tratte dagli scritti di Teodoro di Mopsuestia, ma
si rifiutava di anatematizzare lo stesso Teodoro, come anche Teodoreto ed Iba.
Dopo la pubblicazione di precedenti lettere ed atti più concilianti del papa,
l'imperatore e il concilio passarono sopra alla protesta e fecero cancellare il
suo nome dai dittici. Il 2 giugno 553 il concilio si chiudeva con la rinnovata
condanna dei Tre Capitoli. Malgrado questa revisione di una sentenza di Cal-
cedonia, ne rimase la risoluzione dogmatica intatta. Gli anatematismi del 553
dovevano escludere un'interpretazione nestoriana della formula di fede di Cal-
cedonia ed approvavano una nuova interpretazione con il richiamo a Cirillo
d'Alessandria (se ne confrontino i relativi princìpi nella controversia teopa-
schita, § 59,2). Il concetto calcedoniano diphysis venne chiarito ora partendo
dall'unità dell' ousia divina che sussisterebbe nelle tre ipostasi: il Figlio eterno
di Dio si unirebbe secondo l'ipostasi o persona con la sostanza o natura uma-
na e formerebbe non un'« unità fisica», ma un'« unione ipostatica», cioè lana-
tura umana non sarebbe mai esistita separata da quella divina, ma avrebbe in
essa il suo fondamento (en-ipostasi). Questa formula cristologica derivante da
tentativi di mediazione, alla quale aveva aderito anche Giustiniano nel suo
editto De recta fide del 551 (cf Schwartz, Drei dogmatische Schrtften, 71-111),
viene chiamata « neo-calcedonismo ». Essa venne elaborata dai monaci sciti e
fu sostenuta soprattutto da Leonzio di Bisanzio, Giovanni di Scitopoli e Gio-
vanni Grammatico.
L'imperatore ottenne infine anche il consenso del papa. Come condizione
previa per il ritorno a Roma Giustiniano gli chiese di condannare i Tre Capito-
li. 1'8 dicembre 553 Vigilio ritrattò il suo Constitutum (ACO IV 1, 245-247) e il
23 febbraio 554 presentò un ulteriore chiarimento (ACO IV 2, 138-168). L'an-
no seguente poté partire per il ritorno, ma durante il viaggio morì a Siracusa il
7 giugno 555. Intanto aveva approvato la risoluzione del concilio anche il suo
diacono Pelagio, che venne insediato come suo successore a Roma (Pelagio I,
556-561) dallo stesso Giustiniano.
Neanche al concilio del 553 riuscì la sospirata unione con i monofisiti. Il ve-
scovo siriano Giacomo Baradai (542-578), protetto da Teodora, aveva fondato
accanto all'episcopato calcedoniano una propria Chiesa monofisita siriaca. In
occidente il concilio provocò delle scissioni; la separazione da Roma che durò
più a lungo fu quella delle province ecclesiastiche di Milano ed Aquileia; sol-
tanto con il papa Sergio I (687-701) si poté mettere fine allo scisma dell'Italia
settentrionale.
§ 60. Il monotelismo e il VI concilio ecumenico di Costantinopoli del 680/81 335

Bibliografia§ 59: H. S. ALVISATOS, Die kirchliche Gesetzgebung des Kaisers Justinian I., 1913,
rist. Aalen 1973; R BROWNING, Justz"nian und Theodora. Herrscher in Byzanz, Berghisch-Gladbach
1988 (ingl. 1971); D. B. EVANS, Leontius o/ Byzantium. An Origenist Christology, Washington
1970; A. GEROSTERGIOS, Justinian the Great. The Emperor And Saint, Belmont/Mass. 1982;
P. GRAY, Justinian, in TRE 17 (1988), 478-486; J. MEYENDORFF, Justinian, the Empire And the
Church, in DOP 22 (1968), 43-60; J. SPEIGL, Der Autor der Schrift «De sectis » uber die Konzilien
und die Religionspolitik Justinians, in AHC 2 (1970), 207-230; E. ZETTL, Die Bestiitigung des
V Oekumenischen Konzils durch Papst Vigilius. Untersuchungen uber die Echtheit der Briefe
«Scandala» und «Aetius »,Bonn 1974; E. ZOCCA, Onorio I e la tradizione occidentale, in Aug. 27
(1987), 571-615.
§ 59.2: J. CHÉNÉ, Unus de Trinitate passus est, in RSR 53 (1965), 545-588; J. A. Mc GUCKIN,
The Theopaschite Confession. A Study in the Cyrilline Re-Interpretation o/ Chalcedon, in JEH 35
(1984), 239-255; A. THANNER, Papst Honorius I. 625-638, St Ottilien 1989.
§ 59.3: J. F. DECHOW, The Heresy Charges Against Origen, in « Origeniana » 4 (1987), 112-
122; D. B. EVANS, Leontius von Byzanz, in TRE 21(1991),5-10; H. J. VoGT, Warum wurde Ori-
genes zum Hiiretiker erkliirt? Kirchliche Vergangenheitsbewiiltigung in der Vergangenheit, in «Ori-
geniana » 4 (1987), 78-100.
§ 59.4: G. EVERY, Was Vigilius a Victim Or an Ally o/Justinian?, in HeyJ 20 (1979), 257-266;
R SCHIEFFER, Zur Beurteilung des norditalienischen Dreikapitel-Schismas. Eine uberlieferungsgeschi-
chtliche Studie, in ZKG 87 (1976), 167-201; J. STRAUB, Die Verurtetlung der Drei Kapitel durch Vigi-
lius, in Kl 2 (1970),347-375.

§ 60. Il monotelismo e il VI concilio ecumenico


di Costantinopoli del 680/81

L'imperatore Giustiniano aveva cercato di venire ampiamente incontro agli


avversari del calcedonense, ma senza riuscire ad appianare il dissidio. Anche i
suoi immediati successori si videro negato il successo nella politica di unione.
Essi, inoltre, si videro minacciati da seri pericoli di politica estera: gli avari e gli
slavi premevano dal nord verso Costantinopoli; i persiani si stavano spingendo
attraverso Siria, Egitto e Asia Minore fino al Bosforo. Soltanto l'imperatore Era-
clio (610-641) riuscì a riconquistare dopo lunghe guerre le province orientali.
L'intento di restituire a Gerusalemme (630) la reliquia della croce che era stata
portata a Ctesifonte diede ai successi militari la consacrazione religiosa.

1. Il monenergetismo

Era nell'interesse della stabilizzazione politica riunire i monofisiti presenti


nei territori riconquistati con la Chiesa imperiale. L'imperatore volle venire loro
incontro con una formula d'unione. Nel 633 si arrivò a un'unione con i mono-
336 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

fisiti egiziani sulla base della cosiddetta formula monenergetistica. Con questa
formula, elaborata da Sergio di Costantinopoli (610-638) insieme a Teodoro,
vescovo di Pharan, si cercava di risolvere il problema dell'unità delle due natu-
re ricorrendo al concetto di un unico soggetto operante umano-divino, quindi
di un'unità dinamica in Cristo (µta. 0ea.voptK1Ì ÈvÉpyeia.). La formulazione ven-
ne legittimata dall'autorità dello Pseudo-Dionigi Areopagita (Ep. 4; cf77,1), che
aveva già avuto accoglienza presso Severo d'Antiochia.

2. Il monotelismo

Ma contro questa formula si sollevò nuovamente un'opposizione di cui si re-


se portavoce il monaco Sofronio, che subito dopo sarebbe divenuto patriarca di
Gerusalemme (634-638): le due nature in Cristo richiederebbero anche due
energie, perché l'energia fluisce dalla natura. Il dibattito tra Sofronio e Sergio di
Costantinopoli non condusse a un risultato chiaro. In un abboccamento con il
papa Onorio I (625-638), Sergio sostituì la formula monenergetistica con quel-
la monotelistica di un'unica volontà (ev 0ÉA.TJµa.), che venne resa obbligatoria
nel 638 da un'Ekthesis dell'imperatore Eraclio.
I seguaci del calcedonense, soprattutto in occidente, sollevarono contro que-
sta formula una decisa protesta guidati da Massimo il Confessore (cf § 77 ,3), che
si era stabilito in Nordafrica. Intorno al 640 egli intervenne nella questione eri-
chiese la condanna del monotelismo. Poiché la volontà deve essere associata in-
nanzitutto alla natura, non all'ipostasi, si può parlare soltanto di due volontà;
nell'unica ipostasi del Logos incarnato esse sarebbero una sola cosa.

Secondo Massimo il èonfessore le due volontà sono certamente distinte, ma non contrappo-
ste. Alla base di questa affermazione c'è il principio secondo cui l'unità e la rispettiva differenza
delle due nature si comportano in maniera proporzionata : quanto più l'uomo è immagine di Dio,
e quanto più egli è legato con Dio, tanto più egli è uomo. Teologia trinitaria e cristologia corri-
spondono: la volontà divina e quella umana in Cristo corrispondono al rapporto tra il Figlio fat-
to uomo e la volontà del Padre

Anche il papa Giovanni IV (640-643) condannò nel 641 la formula mono-


telistica. Di fronte alla conquista araba (cf § 45), l'imperatore Costante II (641"
668) temette per l'unità del suo impero divenuto più piccolo: nel 648 ritirò co-
sì l'Ekthesis del 638, proibì la discussione su una o due volontà ed energie e pre-
tese la professione di fede secondo gli antichi simboli (il cosiddetto Typos del
648; Mansi X 777ss.)
Il papa Martino I (649-653) si espresse tuttavia proprio nel suo primo anno
di pontificato, in un sinodo celebrato in Laterano completamente sotto l'influen-
za di Massimo e di altri monaci greci, a favore di «due volontà ed energie natu-
§ 60. Il monotelismo e il VI concilio ecumenico di Costantinopoli del 680181 337

rali in Cristo». I portavoce sinodali scomunicarono i monoteliti. L'imperatore


reagì duramente e nel 653 fece tradurre a forza Martino a Costantinopoli, dove lo
accusò di alto tradimento; gli venne imputato, infatti, il suo legame con l'esarca di
Ravenna Olimpio, che a Roma si era fatto proclamare anti-imperatore. Il suo at-
teggiamento teologico non era più in discussione. Martino venne condannato a
morte, e poi all'esilio nella penisola di Crimea, dove morì nel 655. A Massimo il
Confessore toccò una sorte simile: fu accusato a Costantinopoli di aver avuto in
Nordafrica dei contatti con un usurpatore, venne esiliato nel 655 in Tracia e sette
anni più tardi fu sottoposto nuovamente a processo; al Confessore venne tagliata
la mano destra e strappata la lingua; morì subito dopo, il 16 aprile 662.

3. Il concilio di Costantinopoli del 680/681 (<<trullano I»)

A Costante II succedette il figlio Costantino IV Pogonato (668-685). Dopo


che all'impero erano state strappate le roccaforti del monofisismo, cadute sotto
il dominio islamico, era libera la via per una soluzione teologica in seno alla
Chiesa senza il loro consenso. L'imperatore si mise in contatto con Roma. Il pa-
pa Agatone (678-681) già nel 680 aveva condannato il monotelismo in un sino-
do lateranense ed aveva inviato a Bisanzio un'esauriente lettera dottrinaria sulle
due volontà ed energie in Cristo (PL 87, 1161-1258). Costantino IV convocò ora
un sinodo imperiale a Costantinopoli, che si svolse dal novembre 680 al settem-
bre 681 nella sala del trullo, cioè della cupola, del palazzo imperiale (di qui il no-
me di Concilium Trullanum). La lettera dottrinaria del papa servì di base per la
formulazione di una dettagliata professione di fede che integrava la dottrina cal-
cedoniana delle due nature: «Crediamo in due volontà naturali e due energie na-
turali». La volontà umana sarebbe subordinata a quella divina. La volontà ef-
fettiva di Gesù Cristo viene attribuita, aderendo a quanto aveva detto Massimo
il Confessore, all'unica ipostasi. I pochi difensori del monotelismo vennero pu-
niti con l'esilio e la deposizione. L'anatema venne esteso ai portavoce già defun-
ti, tra i quali anche il papa Onorio.

La condanna del vescovo di Roma come eretico (definito« strumento del diavolo per il ve-
leno dell'eresia» nell'esposizione di fede del concilio) non rappresentò per i padri conciliari qual-
cosa di mostruoso. Con lui furono condannati quattro patriarchi di Costantinopoli, uno di An-
tiochia e uno di Alessandria. Il vescovo di Roma, in quanto patriarca d'occidente, stava certa-
mente al primo posto, ma era tuttavia subordinato all'autorità del concilio. Anche il papa Leone
II (682-683) accettò la sentenza del concilio (ACO II 2,2, 866-885). La «questione di Onorio»,
se ebbe scarsa importanza durante il medioevo, trovò in epoca moderna un'attenzione di gran
lunga maggiore. Essa venne a trovarsi al centro della discussione al tempo del Concilio Vaticano
I, dove rappresentò la più importante obiezione contro la dichiarazione del dogma dell'infallibi-
lità del papa (C. J. Hefele, Honorius und das sechste allgemeine Conci!, 1870).
338 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

La risoluzione dogmatica del VI concilio generale poneva fine alle contro-


versie della Chiesa antica sulla persona di Gesù Cristo. L'usurpatore Filippico
Bardane (711-713) abolì a dire il vero questo concilio e favorì il monotelismo,
ma si trattò di un episodio, poiché il suo successore, Anastasio II (713-715),
tornò al concilio di Costantinopoli.

Come confessione il monotelismo rimase presso i cosiddetti maroniti, così chiamati dal no-
me del monaco siriaco Marone che era stato il loro padre (Vita presso Teodoreto, Hist. re!. 16).
Centro originario fu il monastero di Apamea sull'Oronte; i suoi monaci erano rigidi calcedoniani
che durante l'invasione persiana accettarono il monotelismo. Dal IX secolo i maroniti si concen-
trarono in Libano. All'epoca delle crociate (1181) essi aderirono alla Chiesa romana.

4. Il concilio di Costantinopoli del 691/692 («trullano II»)

L'imperatore Giustiniano II (685-695 e 705-711) volle integrare i due ultimi


concilii di Costantinopoli (553 e 680/681), cioè il quinto e il sesto (di qui la de-
nominazione di « quinisexto »). Poiché le due precedenti assemblee ecclesiastiche
si erano occupate esclusivamente delle questioni di fede sul tappeto, si dovevano
stabilire ora in maniera nuova ed ampia anche l'ordinamento e la disciplina della
Chiesa. Il sinodo si svolse nuovamente nella sala del trullo del palazzo imperiale
di Costantinopoli (di qui la denominazione di «sinodo trullano Il»). I suoi cento-
due canoni si riferivano soltanto alla Chiesa bizantina ed esprimevano chiara-
mente il modo specifico in cui essa intendeva se stessa. Alcune disposizioni met-
tevano apertamente in risalto certe differenze rispetto alla Chiesa occidentale: il
can. 36 definiva la posizione del patriarca di Costantinopoli in appoggio al can. 3
di Costantinopoli (3 81) e al can. 28 di Calcedonia (cf § 63); il can. 13 ammetteva,
in contrasto con le disposizioni romane sul celibato, il matrimonio dei presbiteri
e dei diaconi; il can. 55 rifiutava il digiuno del Sabato e il can. 82 la raffigurazio-
ne di Cristo come agnello, ecc. Questo sinodo integrativo è significativo per la for-
te differenziazione che stabilisce nel modo di vivere delle due Chiese. Il papa Ser-
gio (687-701) si rifiutò di riconoscerne le decisioni, ed anche l'imperatore proce-
dette con forza contro di esso. Presso i greci questo sinodo viene considerato co-
me concilio ecumenico; i latini lo definiscono invece synodus erratica.

Prospetto cronologico: la controversia sulla cristologia

378-prima del 394 Diodoro, vescovo di Tarso


398 Morte di Didimo il Cieco
392-428 Teodoro, vescovo di Mopsuestia
412-44 Cirillo, vescovo d'Alessandria
423-466 Teodoreto, vescovo di Ciro
§ 60. Il monotelismo e il VI concilio ecumenico di Costantinopoli del 680181 339

428 Nestorio diventa vescovo di Costantinopoli


429 Apertura della controversia da parte di Cirillo
429-448 Giovanni d'Antiochia
430 Sinodi a Roma e Alessandria: condanne di Nestorio;
dodici anatematismi di Cirillo
431 Concilio di Efeso: condanne reciproche
433 Formula d'unione di Antiochia
Esilio di Nestorio; Liber Heraclzdis; morte dopo il 451
435 Proclo di Costantinopoli (443-457): Tomus ad Armenos
438 Iba di Edessa (435-457): lettera a Maris
444-451 Dioscoro d'Alessandria
446-450 Flaviano di Costantinopoli
443-449 Giovanni Domno d'Antiochia
440-461 Leone I, vescovo di Roma
Entrata in scena di Eutiche (m. 454)
447 Teodoreto, Eranistes
448 Sinodo endemico di Costantinopoli: deposizione di Eutiche
Leone I, Epist. dogm. ad Flavianum, cosidd. Tomus Leonis
449 «Sinodo dei ladroni» (Latrocinium) di Efeso
450 Morte di Teodosio II, Pulcheria e Marciano come successori
451 Concilio di Calcedonia
4571460-4751477 Timoteo Eluso d'Alessandria
ca. 470; 475-477;485-488 Pietro Fullone ad Antiochia
471-489 Acacio di Costantinopoli
4751476 Imperatore Basilisco: Enkyklion e Anti-Enkyklion
474-491 Imperatore Zenone
482-490 Pietro Mongo, vescovo d'Alessandria
482 Henotikon
483-492 Felice III di Roma
484-519 Scisma acaciano
483-532 Saba, dal 494 archimandrita degli anacoreti palestinesi:
avversari di Origene
507 Nuova Laura presso Thekoa sotto Nonno: si riuniscono
i seguaci di Origene
512-518 Severo, patriarca d'Antiochia (m. 538)
514-523 Ormisda di Roma
518-520 Giovanni II di Costantinopoli
515 Formula Hormisdae
519/520 Monaci sciti intervengono per la formula teopaschita
dopo 527 Morte di Giuliano d'Alicarnasso
527-565 Giustiniano I e 527-548 Teodora
532 Colloquio religioso a Costantinopoli: Collatio cum Severianis
533-535 Giovanni II di Roma: consenso alla formula teopaschita
542-578 Giacomo Baradai, « vescovo di Siria »
543 Editto imperiale: condanna di Origene
Approvazione di Vigilio di Roma (537-555) e degli
altri vescovi; conferma nel 553
5441545 Decreto di Giustiniano: condanna di Teodoro di Mopsuestia, degli
scritti contro Cirillo di Teodoreto e della lettera a Maris di Iba di Edessa
340 VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla grazia

548 Vigilio, Iudicatum


550 Scomunica del papa da parte dei nordafricani
551 Condanna ribadita dei Tre Capitoli
553 Vigilio, Constitutum
Concilio di Costantinopoli : unione ipostatica
610-641 Imperatore Eraclio
610-638 Sergio di Costantinopoli
633 Formula monenergetistica: unione con i monofisiti egiziani
634-638 Sofronio di Gerusalemme
625-638 Onorio I di Roma
638 Ekthesis imperiale: formula monotelistica
Protesta di Massimo il Confessore
640-643 Giovanni IV di Roma
641 Condanna della formula monotelistica
641-668 Imperatore Costante II
648 Typos: ritiro dell'Ekthesis; proibizione di parlare
di due volontà ed energie
649-653 Martino I di Roma
678-681 Agatone di Roma
680 Sinodo lateranense: condanna del monotelismo
680/681 Concilio di Costantinopoli (« trullano I »)
6911692 Concilio di Costantinopoli (« trullano II »)

Bibliografia § 60: F. CARCIONE, Enérgheia, Tbélema e Tbeokinetos nella lettera di Sergio pa-
triarca di Costantinopoli a papa Onorio Primo, in OCP 51(1985),263-276;}. L. VAN DIETEN, Ge-
schichte der Patriarchen von Sergios I bis Johannes VI (610-715), Amsterdam 1972; C. HEAD., Ju-
stinian II o/ Byzantium, Madison 1972; H. J. VoGT - H. OHME, Mehrere Au/siitze zum Konzilsbe-
grif/ und zur Ekklesiologie des Trullanum, in AHC 24 (1992), 95-144.
§ 60.2: M. DOUCET, La volonté humaine du Christ, spécialement en son agonie. Maxime le
Con/esseur, interprète de l'Ecriture, in ScEs 37 (1985), 123-159; F. HEINZER, Gottes Sohn als Men-
sch. Die Struktur des Menschseins Christi bei Maximus Con/essors, Freiburg/Schw. 1980; F. HEIN-
ZER, Anmerkungen zum Willensbegrif/Maximus' Con/essors, in FZPhTh 28 (1981), 372-392; P. PI-
RET, Le Christ et la trinité selon Maxime le Con/esseur, Paris 1983; R. RIEDINGER, Zwei Briefe aus
den Akten der Lateransynode von 649, inJOB 29 (1980), 37-59; C. VON SCHòNBORN, Sophrone de
Jérusalem. Vz'e monastique et con/ession dogmatique, Paris 1973.
§ 60.3: G. KREUZER, Die Honorius/rage im Mittelalter und in der Neuzeit, Stuttgart 1975.
§ 60.4: H. OHME, Das Concilium Quinisextum und seine Bischofsliste: Studien zum Konstan-
tinopeler Konzil von 692, Berlin 1990; H. OHME, Das Concilium Quinisextum. Neue Einsichten
zu einem umstrittenen Konzil, in OCP 58 (1992), 367-400.
IX. IJufficio ecclesiastico
e la costituzione della Chiesa

Bibliografia §§ 61-64: H. CHADWICK, The Role o/ the Christian Bishop in Ancient Society,
Berkeley 1979; L. DE GIOVANNI, Chiesa e Stato nel codice Teodosiano. Saggio sul libro XVI, Napoli
1980; P. GASSMANN, Der Episkopat in Galllien im 5. ]ahrhundert, Bonn 1977; J. GAUDEMET, La
formation du droit séculier et du droit de l'Eglise aux IVe et Ve siècle, Paris 1979 2 ; V. MONACHINO,
S. Ambrogio e la cura pastorale a Milano nel secolo 4, Milano 1974; C. PIETRI, Roma Christiana.
Recherches sur l'Eglise de Rome, son organisation, sa politique, son idéologie de Mi/tiade à Sixte III
(311-440), 2 voli., Roma 1976; C. PIETRI, Clercs et serviteurs laics de l'Eglise romaine au temps de
Grégoire le Grand, in J. Fontaine et al. (a cura di), Grégoire le Grand, Coli. internat. 1982, Paris
1986, 107-122; P. RENTINCK, La cura pastorale in Antiochia nel IV secolo, Roma 1970; C. SCHWEI-
ZER, Hierarchie und Organisation der romischen Reichskirche in der Kaisergesetzgebung vom 4. bis
zum 6. ]ahrhundert, Bern ecc. 1991.

§ 61. Il clero

Anonimo, Pseudo-Girolamo, De septem ordinibus: A. W. K.ALFF, t, s.l. 1937.


Gregorio I, Regula pastoralis: B. Jumc et al., t trad. frane. e, 2 voli., 1992 (SC 381; 382); H. DA-
VIS, trad. ingl., 1978 (ACW 11); M. T. LOVATO, trad. it.,1981 (ColiTP 28).
Giovanni Crisostomo, De sacerdotio: A.-M. MALINGREY, t trad. frane. e, 1980 (SC 272); A. QUAC-
QUARELLI, trad. it., 1980 (ColiTP 24).
Pseudo-Cipriano, De singularitate clericorum: W. HARTEL, t, 1871 (CSEL 3,3), 173-220.

1. Nuovi uffici ecclesiastici

Con la crescente importanza del cristianesimo nella società romana e la for-


te crescita delle comunità cristiane a partire dalla fine del IV sec. le forme del-
1'ordinamento ecclesiastico e la costituzione generale della Chiesa risultarono,
con riferimento all'epoca precostantiniana, ulteriormente differenziate. Le sin-
gole comunità conservarono nel vescovo il loro vertice monarchico, sostenuto
dal clero nella guida della comunità. Nelle comunità locali più grandi un arci-
presbitero era il rappresentante del vescovo nelle funzioni sacerdotali, mentre il
primo diacono, in veste di arcidiacono, era il suo rappresentante nell'ammini-
strazione e nella gestione degli affari della comunità (Girolamo, Ep. 125,15;
Const. apost. II 57,16; Leone I, Ep. 111,2; 112;1). Spesso, specialmente a Roma,
l'arcidiacono divenne il successore del vescovo.
342 IX. I:ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

Tra sacerdoti e diaconi si arrivò apertamente a situazioni conflittuali. I dia-


coni aspiravano a un'equiparazione con i presbiteri, mentre questi vantavano la
superiorità del loro rango sacerdotale (Nicea, can 18; De septem ordinibus; Am-
brosiaster, Quaest. 102; Girolamo, Ep. 146; Epifanio di Salamina, Adv. haer.
74,5). L'ufficio sacerdotale (sacerdotium) consolidò infine la preminenza dei pre-
sbiteri: ad essi, in quanto secundi sacerdotes (Innocenzo I, Ep. 25,3; Gelasio I,
Ep. 14,6), spettò il primo posto dopo il vescovo.
In tutte le comunità c'era un clero inferiore (Innocenzo I, Ep. 2,3: clerici in-
ferioris ordinis), ma con ordinamenti differenti. Generalmente venivano anno-
verati nel clero inferiore il suddiacono, l'accolito (addetto al servizio dell'altare
e della messa), il lettore (incaricato di leggere durante la celebrazione liturgica,
ma impegnato anche nell'amministrazione della comunità), l'esorcista (un uffi-
cio che includeva la cura dei malati) e l'ostiario (incaricato di aprire e chiudere
le porte della chiesa e di custodirla). Ma questi uffici non erano presenti in tut-
te le comunità. L'accolito, per esempio, non si trova menzionato nelle fonti
orientali. L'antico ufficio dell' esorcista, che si prendeva cura dei catecumeni e
degli energumeni (posseduti dal demonio), scomparve a poco a poco dalla serie
degli uffici, come anche quello dell'ostiario.
Nuovi uffici, in compenso, vennero introdotti nelle comunità maggiori per
far fronte a nuovi compiti e allo sviluppo di una più ricca liturgia. La Chiesa
orientale conobbe la categoria specifica dei cantori (µEAQlOOt; cantores, con/es-
sores). L'attività missionaria richiese l'ufficio dell'ermeneuta (interprete), che
doveva tradurre nella rispettiva lingua locale le letture bibliche e l'omelia. Il la-
voro nei cimiteri appartenenti alle comunità era assegnato ai «copiati» (josso-
res) e la custodia della casa di Dio era affidata ai «mansionari» (custodes). I
consiglieri del vescovo che vivevano insieme a lui venivano chiamati « sincelli »
(= segretari); gli infermieri, che i potenti vescovi d'Alessandria impiegarono an-
che come guardia del corpo, furono detti «parabolani». Il concilio di Calce-
donia (can. 26) richiese per la sede vescovile un oikonomos come amministra-
tore dei beni della Chiesa (in lat.: vicedominus). «Difensori» conducevano i
processi ecclesiastici; «notai» e «archivisti» prestavano servizio nelle cancel-
lerie vescovili. L' « apocrisario » (apocrisarius, responsalis, nuntius) era il rappre-
sentante, o incaricato d'affari, di un patriarca, in senso più stretto il rappre-
sentante del papa alla corte di Costantinopoli e presso l'esarca imperiale a Ra-
venna.
Con la prassi ampiamente diffusa del battesimo dei bambini perse la sua
motivazione pastorale e liturgica l'ufficio presente nella Chiesa antica della dia-
conessa(§ 18,4), che però fu conservato nella Chiesa greca (Calcedonia, can. 15;
CJ Nov. 3; 123,21.43). La sua consacrazione era chiaramente modellata su quel-
la dei chierici, ma senza essere legata a funzione ben definita nella comunità. Ta-
le consacrazione, alla quale si associò il voto di continenza, venne spesso consi-
§ 61. Il clero 343

derata a Bisanzio come un segno di distinzione per nobili dame (vedove). Nella
Chiesa occidentale, come anche in Egitto, il diaconato femminile non fu mai
pienamente riconosciuto.

È evidente che ci furono sempre nuovi tentativi d'introdurre quest'ufficio; ma questi tentati-
vi furono logicamente soffocati (Ambrosiaster, Comm. I Tim 3,11; Pelagio, Expos. Rom 16,1; Ex-
pos. I Tim 3,11; concilio di Nimes 396, can. 2; Orange 441, can. 25-26; sinodo di Epaone 517, can.
21, 2; sinodo di Orléans 533, can. 17 ecc.). Singoli casi famosi di consacrazioni di diaconesse (per
es. Radegonda, cf. Venanzio Fortunato, Vita Radegundis 12). sono certamente da interpretare co-
me solenni segni distintivi del voto di verginità o continenza. In questo senso va considerata an-
che l'Oratio ad diaconam faciendam (Sacramentarium Hadrianum).

2. Formazione del clero

Il clero veniva formato secondo il modello di carriera degli uffici statali, cioè
del cursus honorum, e quindi assumeva gradualmente le responsabilità e le fun-
zioni di guida nelle comunità (cf § 19,1). La legislazione papale insisteva su una
serie ben ordinata di uffici e ne stabiliva anche i tempi di durata (tempora, in-
terstizi; Siricio, Ep. 1,9-10; Zosimo, Ep. 9,3). Secondo questa legislazione l'ac-
colito e il suddiacono dovevano avere almeno 21 anni, il diacono 25, il presbi-
tero 30. Una formazione teologico-pastorale non era obbligatoria in modo asso-
luto, ma dipendeva dall'iniziativa del rispettivo vescovo o di altri chierici esper-
ti in seno alla comunità.
Nuove vie furono cercate da vescovi come Eusebio di Vercelli (m. 371), Am-
brogio (Ep. 14,66) e soprattutto Agostino (per es. Ep. 60; Serm. 355-356). Essi
radunavano i loro chierici in comunità, dove accoglievano anche gli aspiranti al
servizio ecclesiastico. In tal modo si dava la possibilità di una più accurata pre-
parazione al servizio sacerdotale. L'ideale di queste comunità era la vita mona-
stica; per questo la vita sacerdotale fu assimilata a quella dei monaci. Vie simili
furono percorse da altri vescovi che accoglievano nell'episcopio i chierici più
giovani e li preparavano al servizio clericale nella vita comune. Cesario di Arles
dispose un simile sistema di formazione per la sua provincia ecclesiastica nel si-
nodo di Vaison del 529 (can. 1).
Una posizione particolare si conquistò nel V sec. il monastero di Lérins [Le-
tino] nella Gallia meridionale. Grazie alla sua caratteristica connessione della
teologia con l' ascesi e ali' afflusso di colti ed eminenti monaci che vi trovarono
rifugio, esso divenne un luogo di formazione che esercitò una notevole influen-
za sul clero della regione. Cosa ci si debba aspettare dal chierico e quali siano i
requisiti ai quali egli deve corrispondere ci viene indicato dallo scritto di Gio-
vanni Crisostomo sul sacerdozio (De sacerdotio) e dalla Regula pastoralis di Gre-
gorio Magno.
344 IX. I: ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

3. Elezione dei vescovi

Per l'assegnazione delle sedi vescovili ebbe valore essenzialmente l'antico


ordinamento (§ 18,3 ): elezione da parte del clero con l'approvazione della ri-
spettiva comunità, consacrazione da parte dei vescovi vicini. La partecipazione
attiva del popolo all'elezione del vescovo venne limitata in oriente sotto l'impe-
ratore Giustiniano I (527-565; Nov. 123; cf 137). Clero e nobili avevano soltan-
to un diritto di proposta. Più tardi la partecipazione della comunità venne com-
pletamente abolita e il diritto di proposta fu riservato soltanto ai vescovi della
provincia. Ma già nel IV sec. la nomina dei vescovi veniva decisa spesso soltan-
to dall'imperatore. Dal tempo di Teodosio I l'imperatore si riservò la nomina del
vescovo di Costantinopoli.
Il trasferimento di un vescovo in un'altra diocesi era proibito (Nicea, can.
15; Calcedonia, can. 5 ecc.), ma divenne tuttavia una prassi frequente. Con al-
trettanti limiti un vescovo poteva designare il suo proprio successore. Contro
l'arcidiacono Bonifacio, che per desiderio del papa Felice III (IV) ne divenne il
successore, protestò la maggior parte della comunità romana, che elesse un al-
tro vescovo, morto però dopo qualche settimana; e soltanto allora venne rico-
nosciuto Bonifacio II (530-532). Quando costui volle egualmente regolare la sua
successione attraverso la designazione, clero e senato lo costrinsero a revocare
questa norma (Liber pontificalis 57).
Nelle Chiese regionali e nazionali che sorsero sul territorio dell'Impero Ro-
mano d'occidente (cf §§ 43; 62,3 ), i re si arrogarono il diritto di confermare l'e-
lezione del vescovo (sinodo di Orléans del 549, can. 10: cum voluntate regis).
Nella Chiesa merovingia i re nominavano spesso i vescovi anche contro l'oppo-
sizione ecclesiastica. I sovrani ostrogoti pretesero, come anche l'imperatore bi-
zantino, un diritto di conferma per l'elezione del vescovo di Roma.

4. Sostentamento del clero

Il sostentamento economico del clero proveniva da varie fonti: beni privati,


redditi del proprio lavoro e cassa della comunità.

Attività commerciali secolari furono ripetutamente proibite ai chierici (per es. Nicea, can.
17). La legislazione statale si occupò inizialmen~e soprattutto del carico fiscale degli affari com-
merciali del clero (per es. CTh XVI 2,10 [del 353]; XIII 1,1 [del 356]; XIII 1,11 [del 379]. Va-
lentiniano III pròibì infine a tutti gli ecclesiastici (sotto determinate condizioni) le operazioni
commerciali (Nov. 35 del 452).

Il patrimonio della Chiesa crebbe dopo che l'imperatore Costantino, già nel
321, aveva concesso alle comunità ecclesiastiche il diritto di accettare dei lasci-
§ 61. Il clero 345

ti. Le rendite del patrimonio della Chiesa venivano suddivise, secondo l'uso ro-
mano (Gelasio I nell'anno 494), in quattro parti: per il vescovo, per il resto del
clero, per il culto e per la conservazione degli edifici ecclesiastici, come anche
per i poveri. La Spagna praticò una triplice spartizione, mentre in Gallia furono
presenti modelli diversi. Le nuove comunità sorte nelle campagne poterono ac-
quisire anch'esse proprietà e rendite proprie. Esse amministravano i loro beni in
dipendenza dal rispettivo vescovo urbano, che riscuoteva da loro determinate
imposte. Nell'epoca tardoantica furono sempre più frequenti, agevolati dalla si-
tuazione sociale ed economica dell'Impero, trasferimenti di beni alle comunità
ecclesiastiche. La rinuncia al proprio patrimonio a favore della Chiesa nell'ora
della morte venne considerato come «ultimo rimedio di salvezza», ultimum re-
medium (Salviano di Marsiglia, Ad eccl. I 47-48).

5. Condizioni di accesso

L'accesso al privilegiato stato clericale fu soggetto in questo tempo a deter-


minate norme e regole. Requisito fondamentale era la libertà personale. Gli
schiavi potevano essere consacrati solo con il consenso dei loro padroni. Anche
i liberti erano ammessi soltanto sotto condizioni restrittive, ed altrettanto i co-
loni che come affittuari erano legati al demanio statale o al latifondo. La legisla-
zione statale proibiva inoltre l'ingresso nello stato ecclesiastico anche a deter-
minati gruppi professionali: decurioni (membri delle amministrazioni cittadine)
e membri di certe corporazioni che erano indispensabili per i compiti d' ap-
provvigionamento (per es., a Roma, i fornai) non dovevano mettere in pericolo,
con il loro ingresso nel servizio ecclesiastico, il fun:zionamento dell'amministra-
zione e dell'economia. A queste misure restrittive la Chiesa non poté opporsi.
Di propria iniziativa essa proibì che i laici fossero nominati direttamente all'uf-
ficio episcopale (Serdica, can. 10 ecc.), perché prima essi dovevano dare buona
prova di sé nella fede e nella vita. Queste prescrizioni furono spesso eluse sia in
oriente che in occidente (cf., per es., l'elezione di Ambrogio a Milano). Per lai-
ci colti e distinti l'assunzione dell'ufficio episcopale risultava quanto mai desi-
derabile, e a loro volta le comunità cristiane erano interessate a porre al loro ver-
tice una personalità stimata.

6. Celibato

Un obbligo generale dell'alto clero al celibato non fu conosciuto dalla Chie-


sa fino al quarto secolo inoltrato. Soltanto le seconde nozze erano proibite. Ma
il movimento ascetico, che dal III sec. divenne molto forte e fu anche incorag-
346 IX. J;ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

giato, non poteva rimanere senza ripercussioni sullo stato dei chierici. Un en-
cratismo professato in maniera aperta o nascosta, che vedeva soprattutto nella
sessualità un'opera di Satana, favorì la tendenza al celibato. Le diffuse tradizio-
ni di una purità cultuale incoraggiarono con una loro propria logica la conti-
nenza sacerdotale. Gli sforzi seri in questa direzione, come si può constatare dal
trattato De singularitate clericorum (fine del III sec.), non approdarono tuttavia,
inizialmente, a una regolamentazione stabilita da leggi. Ciò ebbe inizio soltanto
nel IV sec.: oriente e occidente procedettero, allora, per vie diverse.
In occidente il sinodo d'Elvira (ca. 306) richiese ai chierici appartenenti agli
ordini maggiori la pratica della continenza nel loro matrimonio (can. 33). La le-
gislazione papale continuò a prescrivere, a partire da Damaso, questa norma
(Decr. ad episc. Gal!. 5-6; tramandato sotto Siricio, Ep. 10,5-6). Il fatto che si ri-
chiamasse continuamente una tale norma (per es. Siricio, Ep. 1,15ss.; 5,3) di-
mostra che il celibato sacerdotale non venne accettato in maniera assoluta do-
vunque. Questo quadro risulta confermato da sinodi celebrati in Nordafrica
(Cartagine 401), Gallia (Grange 441), Spagna (Toledo 400) e Italia settentriona-
le (Torino 398). I grandi Padri della Chiesa (Ambrogio, Girolamo e Agostino)
fecero propaganda nei loro scritti per la lex continentiae (la legge della conti-
nenza) e offrirono la nota motivazione ascetica che assimilava il chierico al mo-
naco. Un segno esteriore di questa assimilazione era la tonsura, sicuramente te-
stimoniata dal tempo di Gregorio I (Ep. V 57), un uso che venne mutuato dal
monachesimo.
La Chiesa orientale, invece, persistette ampiamente nella precedente prassi.
Contro il tentativo di una generale prescrizione ecclesiastica per il celibato deve
aver lottato nel concilio di Nicea il vescovo Pafnuzio (Socrate, H. E. I 11; Sozo-
meno, H. E. I 23). I chierici degli ordini maggiori che si erano sposati prima del-
la loro ordinazione potevano continuare a vivere nel loro matrimonio. Venne lo-
ro proibito, invece, il matrimonio dopo l'ordinazione. L'imperatore Giustiniano
pretese il celibato dei vescovi e lo motivò con il diritto patrimoniale: il patrimo-
nio della Chiesa non doveva andare perduto con la trasmissione ereditaria ai fi-
gli (CJ I 3; Nov. 6,1,4; 123,1). Questa norma entrò nella legislazione della Chie-
sa bizantina (Trullano 692, can. 12; 13; 48) ed è rimasta valida fino ad oggi.

7. Privilegi concessi dallo Stato

Fin dal tempo di Costantino i chierici fecero parte, a motivo dell'interpreta-


zione politica della religio christiana, di un ceto chiaramente privilegiato nella so-
cietà dell'Impero romano. Il loro servizio fu considerato dall'imperatore come
munus publicum (incarico pubblico) nell'interesse dello Stato; egli li dispensò
quindi dalle prestazioni e dai compiti usuali(§ 41,1; privilegium immunitatis).
§ 61. Il clero 347

L'esenzione dall'imposta fondiaria concessa dall'imperatore Costanzo venne li-


mitata nel 360 al patrimonio della Chiesa; l'imperatore Valentiniano III abrogò
nel 441 tutti i privilegi fiscali che erano stati concessi al clero (cf CTh XVI 2,10;
Nov. 10).
Al privilegium immunitatis si aggiunse ben presto il privilegium fori (foro
competente privilegiato). I chierici dovevano affrontare i loro processi giudi-
ziari davanti al tribunale ecclesiastico (sinodo di Cartagine 397; concilio di
Calcedonia, can. 9); potevano ricorrere a un tribunale civile soltanto con il
permesso del vescovo. L'imperatore Giustiniano stabilì nel 530 che anche i lai-
ci nelle cause contro i chierici dovessero rivolgersi al tribunale ecclesiastico.
Secondo la norma del diritto imperiale giustinianeo sui processi giudiziari de-
gli ecclesiastici dovevano decidere i vescovi, su quelli dei vescovi i metropoli-
ti e patriarchi. In caso di delitti gravi un chierico, dopo la condanna da parte
del tribunale ecclesiastico e l'espulsione dall'ufficio, veniva consegnato altri-
bunale secolare per un'ulteriore punizione. In occidente, specialmente nel na-
scente regno dei franchi, il privilegium fori rimase limitato. Il tribunale civile
poteva, con il permesso del vescovo, procedere contro un chierico. Cause tra
chierici e laici dovevano essere trattate in presenza del superiore ecclesiastico;
nella condanna di ecclesiastici al vescovo doveva spettare un'adeguata parte-
cipazione. Soltanto i vescovi, anche in questo caso a partire dal VI sec., veni-
vano condannati esclusivamente dal sinodo provinciale ed erano puniti, anzi-
ché da una pena stabilità dal potere civile, da una corrispondente ecclesiasti-
ca (cf § 68,3 ).
Una forma particolare di privilegium fori fu la cosiddetta audientia epi-
scopalis (tribunale vescovile). Il trattamento ecclesiastico di casi giudiziari tra
cristiani, preteso sulla base di 1 Cor 6,lss., venne inquadrato sotto Costantino
nel processo civile romano. Innanzitutto venne riconosciuta ufficialmente la
giurisdizione arbitrale dei vescovi (CTh I 27 ,1, del 318), che gradatamente
venne ampliata (Const. Sirmond. 1 [333]): quando una parte contendente si
appellava al vescovo come giudice, il processo doveva svolgersi davanti al suo
tribunale. Il riconoscimento statale di un tale ufficio dava risalto ali' autorità e
all'importanza del vescovo, ma esigeva conoscenze giuridiche da parte dei ve-
scovi e gravava l'esercizio del loro ufficio del peso di faccende giudiziarie. La
delimitazione dell' audientia episcopalis da parte della legislazione statale alla
semplice funzione arbitrale (arbiter), ciò che già nel 397 aveva richiesto un si-
nodo cartaginese, non incontrò perciò un'opposizione ecclesiastica. L'impera-
tore Valentiniano III limitò l'audientia episcopalis a casi prettamente ecclesia-
stici nei quali si poteva presupporre l'intesa fra le due parti (CJ 1,4,7; CTh
1,27 ,2).
L'insieme dei privilegi del clero, specialmente dei vescovi, ne favorì una
consapevolezza del proprio stato che si espresse nella creazione di specifici ti-
348 IX. I.:ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

toli ecclesiastici e si rese visibile nel vestiario liturgico (cf § 70,5), come anche
nelle forme di convenienza sociale che caratterizzarono la condizione dei chie-
rici a seconda del loro rango .. Di una generale nobilitazione dell'episcopato,
tuttavia, non si può ancora parlare. La gerarchia ecclesiastica, inoltre, non s'in-
quadrò nelle classi di rango dello Stato, ma sviluppò un proprio specifico or-
dinamento, anche se non senza prestiti dal sistema statale. I vescovi acquista-
rono indiscutibilmente una maggiore considerazione. Poiché rappresentava
localmente la religione emergente dello Stato, apparteneva ali' élite della città
e svolgeva un ruolo di difesa e di aiuto per i poveri, il vescovo divenne un' au-
torità generalmente riconosciuta (pater populi, pater civitatis, pater urbis, pater
patriae).
Bibliografia § 61: P. BROWN, Macht und Rhetorik in der Spiitantike, Miinchen 1995 (ingl.
1992); G. DOLE, La protection sociale du clergé. Histoire et institutions ecclésiales, Paris 1980; W
EcK, Der Episkopat im splitantiken Afrika. Organisatorische Entwicklung, saziale Herkunft und of
fentliche Funktionen, in HZ 236 (1983 ), 265-295; S. FELICI (a cura di), La formazione al sacerdozio
ministeriale nella catechesi e nelle testimonianze di vita dei Padri, Roma 1992; D. FRYE, Bishops As
Pawns in Early Fi/th Century Gaul, in JEH 42 (1991), 349-61; F. D. GILLIARD, Senatoria! Bishops
in the IVth Century, in HThR 77 (1984), 15 3-175; A. HOHLWEG, Bisho/ und Stadtherr im friihen
Byzans, in JOB 20 (1971), 51-62; R. Lrzzr, Il potere episcopale nell'Oriente romano. Rappresenta-
zione ideologica e realtà politica (IV-V secoli d. C.), Roma 1987; M. LOCHBRUNNER, Uber das Prie-
stertum. Historische und systamatische Untersuchungen zum Priesterbild des Johannes Christosto-
mus, Bonn 1993; G. H. LUTTENBERGER, The Decline o/ Presbyterial Collegzality And the Growth
o/ the Individualization o/ the Priesthood, in RThAM 48 (1981), 14-58; K. L. NOETHLICHS, Zur
Einfluflnahme des Staates auf die Entwicklung eines christlichen Klerikerstandes. Schz"chts- und be-
ru/sspezi/ische Bestimmungenfiir den Klerus im 4. und 5. ]ahrhundert, inJAC 15 (1972), 136-153;
K. L. NOETHLICHS, Materialien zum Bischo/sbild aus den spà"tantiken Rechtsquellen, in JAC 16
(1973), 28-59; K. L. NOETHLICHS, Anspruch und Wirklichkeit. Fehlverhalten und Amtsp/lichtver-
letzungen des christlichen Klerus anhand der Konzilskanones des 4. bis 8. ]ahrhunderts, in ZSRG
107 (1990), 1-61; W W ALDSTEIN, Zur Stellung der Audientia episcopalis im spiitromischen Proze/5,
in H.-P Beni:ihr et al. (a cura di), Iuris pro/essio (FS [scritti in onore di] M. Kaser), Wien 1986,
532-556.
§ 61.1: C. VAGAGGINI, I.:ordinazione delle diaconesse nella tradizione greca e bizantina, in
OCP 40 (1974), 145-189 (cf anche§ 73).
§ 61.3: P. G. CARON, I.:intervention de l'autorité impérzale romaine dans l'élection des évéques,
in R.DC 28 (1978), 75-83; R. GRYSON, Les élections épiscopales en Orient au !Ve siècle, in RHE 74
(1979), 301-345; R. GRYSON, Les élections épiscopales en Occident au !Ve siècle, in RHE 75 (1980),
257-283.
§ 61.6: R. M. T. CHOLIJ, Married Clergy And Ecclesiastica! Continence in Light o/ the Council
in Trullo (691), in AHC 19 (1987), 241-299; D. CALLAM, Clerical Continence in the Fourth Cen-
tury. Three Papa! Decretals, in TS 41 (1980), 3-50; R. GRYSON, Les origines du célibat ecclésiastique
du premier au septième siècle, Genève 1970.
§ 61.7: C. DUPONT, Les privilèges des clercs sous Constantin, in RHE 62 (1967), 729-752; H.
]AEGER,]ustinien et l'episcopalis audientia, in RHDF 38 (1960), 214-262; R. KoTTJE, Das Aufkom-
men der tàglichen Eucharistie/eier in der Westkirche unddie Zolibats/orderung, in ZKG 82, 1971,
218-228; W SELB, Episcopalis audientia von der Zeit Konstantins bis zur Nov. XXXV Valentinians
III, in ZSRG.R 84 (1967), 162-217.
§ 62. Ordinamento in diocesi e al di sopra delle diocesi 349

§ 62. Ordinamento in diocesi e al di sopra delle diocesi

1. Diocesi e parrocchia

In epoca precostantiniana l'organizzazione della Chiesa ebbe carattere


essenzialmente urbano, con le comunità rurali associate a quelle delle città
(cf § 20,1). Il moltiplicarsi delle comunità nel IV sec. richiese un ordinamento
basato su nuovi princìpi. Il territorio di giurisdizione di un vescovo venne ora
chiamato diocesi (ma con accezione differente del termine rispetto a quello usa-
to per l'amministrazione imperiale, dove una diocesi comprendeva più provin-
ce). La subordinazione nei confronti del vescovo della città avvenne inizialmen-
te in due maniere: con struttura patriarcale, nel senso che la giurisdizione del ve-
scovo si estendeva sulle comunità che erano state fondate da quella della sua
città e da questa continuavano ad avere il loro clero (chiesa madre - chiesa fi-
glia), oppure con struttura politico-geografica, quando il territorio del vescovo
coincideva con quello della città. Si sarebbe ampiamente imposto, successiva-
mente, il principio politico-geografico.
Una soluzione provvisoria fu rappresentata dall'istituto del corepiscopo.
Per il territorio extra-urbano (xropa, campagna) venne ordinato un vescovo che
esercitava le sue funzioni in dipendenza dal vescovo della città. Egli poteva ave-
re giurisdizione senza limiti locali per un territorio della diocesi al di fuori del-
l'agglomerato urbano, oppure poteva essere legato a un villaggio che non rara-
mente sarebbe stato innalzato più tardi alla dignità di sede diocesana. Si ebbe-
ro corepiscopi soprattutto in oriente (sinodo d' Ancira 314; concilio di Nicea,
can. 8; sinodo di Neocesarea 314/325; Basilio, Ep. 290-291; Gregorio di Na-
zianzo, Carmen 2,1,11). Ma i loro poteri erano limitati (secondo Basilio, Ep. 54,
i corepiscopi hanno autorità sui nuovi monasteri; sinodo d'Ancira del 314, can.
13; sinodo d'Antiochia del 341 [per la consacrazione della nuova chiesa], can.
10: era loro vietata l'ordinazione di sacerdoti e diaconi). Il sinodo di Serdica
(342/343) proibì l'istituto dei corepiscopi (can. 6) per non menomare l'autorità
del vescovo della città. Il sinodo di Laodicea (ca. 380; can. 57) volle sostituirli
con i «periodeuti» (circuitores, visitatores, sacerdoti con particolari compiti di
vigilanza). Con l'ulteriore sviluppo dell'organizzazione episcopale, in oriente i
corepiscopi finirono con lo scomparire a partire dall'VIII sec. In occidente se ne
può dimostrare l'esistenza prima dell'VIII sec. solo in pochi casi. Nell'XI sec.,
dopo veementi discussioni, si arrivò alla soppressione di quest'istituto.
L'estensione della giurisdizione vescovile oltre la città fece sorgere in cam-
pagna particolari territori per la cura delle anime: la parrocchia con un suo pro-
prio pastore d'anime, cioè il parochus o plebanus (da plebs, il popolo). La giuri-
sdizione su questi territori rimase al vescovo. In oriente questa articolazione del-
350 IX. r: ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

le diocesi si realizzò abbastanza rapidamente. Nelle città maggiori dell'occiden-


te, in particolare a Roma, si conservò più a lungo l'unità della comunità attorno
al vescovo: la liturgia veniva celebrata in maniera unitaria dal vescovo per tutta
la comunità. Celebrazioni liturgiche si organizzavano in più luoghi, ma la con-
sacrazione si effettuava soltanto in quella presieduta dal vescovo, e di qui le al-
tre comunità partecipanti ricevevano le ostie consacrate.
La scarsa densità della popolazione urbana determinò per i latifondisti dell'Im-
pero Romano d'occidente una posizione privilegiata nelle campagne, con effetti an-
che nell'organizzazione ecclesiastica. Essi costruivano sui loro possedimenti cap-
pelle (oratoria, ecclesiae privatae) che affidavano a chierici propri. Il latifondo portò
quindi al costituirsi di chiese private: la chiesa, insieme al terreno assegnatole, ap-
parteneva al proprietario terriero (ecclesia propria), che disponeva liberamente sia
dell'edificio sacro e del patrimonio connesso, sia degli ecclesiastici che vi svolgeva-
no le loro funzioni. Il proprietario terriero veniva così a trovarsi, in quanto padro-
ne di una chiesa propria, tra il vescovo e i fedeli della sua chiesa. La prima testimo-
nianza per una ecclesia privata di questo genere si ha in una Costituzione del 388
(CTh 16,5,14). L'istituzione di chiese proprie, documentabile specialmente in occi-
dente (in Gallia nel 441, concilio di Grange, can. 9 [10]; in Italia nel 471; in Spagna
nel 546, concilio di Lérida, can. 3 ), si diffuse soprattutto nel primo medioevo.
Oltre alla chiesa vescovile e a quella parrocchiale sorsero altre chiese e cap-
pelle, che vennero costruite per motivi pastorali o per la venerazione di martiri
e santi: oratoria, martyria, capellae, tituli minores (§ 70,1). Esse dovevano distin-
guersi dalle chiese parrocchiali; in esse non si poteva amministrare il battesimo
e coloro che vi esercitavano le funzioni spirituali dipendevano dal parroco del
rispettivo territorio di competenza. A partire dal VI secolo il primo sacerdote di
una chiesa parrocchiale maggiore cominciò ad essere chiamato «arciprete».

2. L'organizzazione patriarcale

Le strutture fondamentali di un'organizzazione ecclesiastica su vasta scala si


hanno già nel III sec. (cf § 20,3). Ma il nuovo ordinamento dell'Impero realiz-
zato da Diocleziano nel 297 non trovò immediata applicazione nell'organizza-
zione della Chiesa. Soltanto il vescovo d'Alessandria, a quanto pare, estese il ter-
ritorio soggetto alla sua giurisdizione ecclesiastica, sulla base dell'ordinamento
dioclezianeo, verso ovest (Libia e Pentapoli). Altrimenti, la Chiesa si richiamò
all' «antica consuetudine» e difese così certi propri capoluoghi ecclesiastici che
avevano acquisito un grado superiore rispetto a quello dei rimanenti metropoli-
ti: Alessandria, Roma e Antiochia (Nicea, can. 6, cf § 20,3). La loro importanza
politica, culturale ed economica aveva predestinato queste città, fin dall'inizio,
ad essere centri di potere ecclesiastico.
§ 62. Ordinamento in diocesi e al di sopra delle diocesi 351

Con la fondazione di Costantinopoli come nuova capitale dell'Impero (330)


era stata messa in discussione la validità dell'antico ordine gerarchico (§ 41,2).
Il concilio di Costantinopoli del 381 assegnò al vescovo della capitale dell'Im-
pero una preminenza onorifica (nprn~da. 'tfìç nµfìç; primatus honoris), mentre
Costantinopoli veniva considerata come la «nuova Roma» (can. 3). Gli antichi
capoluoghi orientali si vedevano contrapporre così una seria rivale. La nuova ca-
pitale dell'Impero rimase inizialmente inserita nella giurisdizione metropolitana
di Eraclea. Ma il concilio di Calcedonia del 45.1 creò per il vescovo di Costanti-
nopoli un territorio soggetto alla sua giurisdizione ecclesiastica che includeva le
diocesi (politiche) del Ponto, dell'Asia e della Tracia (can. 28). Anche per que-
sto risultò determinante l'ordinamento politico che si pretese imporre: Costan-
tinopoli, la nuova Roma, con i suoi segni distintivi del potere e del senato (cf an-
che can. 17). La protesta di Leone I non riuscì a mutare il corso delle cose. Co-
stantinopoli occupò ora tra le Chiese principali dell'oriente il primo posto, con
precedenza su Alessandria ed Antiochia.
In tutto il territorio dell'Impero l'organizzazione della Chiesa fece riferi-
mento a questi quattro centri. I loro vescovi furono chiamati a partire dal V/VI
sec. patriarchi; e i loro territori ecclesiastici costituirono i patriarcati imperiali
(cf can. 36 del concilio di Costantinopoli del 692; Socrate, H. E. V 8). Ciascun
patriarca è il primo vescovo (primate) nel territorio di sua giurisdizione. Sono di
sua spettanza la consacrazione di un vescovo, come anche il potere di avocazio-
ne nei suoi confronti, le cause e i processi penali; gli spetta inoltre, generalmen-
te, la presidenza nei sinodi del suo patriarcato. Soggetto a conflitti è il rapporto
tra metropoliti e patriarchi in quanto al di sopra dei metropoliti.
Costantinopoli riuscì ad affermare e a sviluppare ulteriormente la sua posi-
zione di predominio in oriente, tanto più che gli altri due patriarcati orien-
tali erano stati indeboliti dalla risoluzione dogmatica di Efeso e Calcedonia
(cf §§ 54~55). L'imperatore Giustiniano dichiarò che il vescovo di Costantino-
poli occupava il secondo posto dopo il vescovo di Roma, ma aveva la preceden-
za su tutti gli altri vescovi (Nov. 131,2 del 545). Dal tempo di Gregorio Magno,
e malgrado la sua opposizione, il patriarca di Costantinopoli si definì « patriar-
ca ecumenico», un titolo con il quale, a dire il vero, egli rivendicava semplice-
mente la preminenza ecclesiastica nel territorio di sua giurisdizione.
Quanto sia difficile basare una preminenza all'interno della Chiesa soltanto
su un principio ecclesiastico lo mostra la sorte di Gerusalemme. A Nicea si ri-
conobbe al vescovo di Gerusalemme, «secondo la consuetudine e l'antica tra-
dizione», unicamente un posto d'onore, ma senza ledere il diritto del rispettivo
metropolita di Cesarea (can. 7). Soltanto il concilio di Calcedonia (Sess. 7) tirò
fuori Gerusalemme da questo più antico ordinamento e assoggettò al vescovo di
questa città le tre province palestinesi. In tal modo il vescovo di Gerusalemme,
«la Madre di tutte le Chiese», veniva promosso come quinto nella serie dei pa-
352 IX. I.:ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

triarchi. Teologi bizantini (per es. Massimo il Confessore, § 77 ,2) legittimarono


più tardi i cinque patriarcati con Mt 16,19 (nel senso che ciascuno dei patriar-
chi possiede nella successione degli apostoli il potere di legare e di sciogliere) e
li raccolsero insieme sotto il concetto di «pentarchia».
Secondo questi sviluppi dell'ordinamento ecclesiastico il vescovo di Roma
era giuridicamente il patriarca dell'Impero Romano d'occidente, anche se l' o-
riente non gli negava il suo primato d'onore di fronte ai patriarchi orientali. L'ul-
teriore articolazione dell'ordinamento ecclesiastico avvenne nella parte occiden-
tale dell'Impero in maniera non omogenea. Non ci furono, qui, capitali di deter-
minate regioni in seria concorrenza con Roma. Cartagine fu indiscussa metropo-
li dell'Africa proconsularis. Come primate di questa importante provincia, il ve-
scovo di Cartagine rivendicò la funzione di Primas totius Africae. Nelle altre pro-
vince nordafricane il metropolita veniva nominato secondo il principio di anzia-
nità: il più anziano di servizio aveva la precedenza. In Italia, che prima di Diocle-
ziano non conobbe province, non vi fu un sistema metropolitano. Le diocesi era-
no per lo più direttamente coordinate con Roma. In Italia settentrionale Milano
si sviluppò fino a diventare verso la fine del IV sec. un centro ecclesiastico molto
influente. Nei restanti territori dell'Impero alla formazione della costituzione ec-
clesiastica contribuirono varie componenti: l'importanza politica della città, la
connessione con l'amministrazione civile, la dipendenza dall'attività missionaria.
L'istituzione di vicariati apostolici a Tessalonica (412, da parte d'Innocenzo I) e
ad Arles (la prima volta nel 417, da parte di Zosimo) servì ad assicurare l'unità ec-
clesiastica e l'influenza romana nelle parti in questione dell'Impero.

3. Chiese territoriali in Germania

Nel corso della trasmigrazione dei popoli le strutture ecclesiastiche dell'oc-


cidente subirono dei mutamenti. Sulla scia dei goti, la maggior parte delle stir-
pi germaniche aveva adottato la formula omeusiana della fede cristiana. Le Chie-
se dei vari popoli rimasero così per lo più indipendenti dall'organizzazione ec-
clesiastica imperiale, senza intrattenere generalmente relazioni reciproche. An-
che dopo la conversione al cattolicesimo esse conservarono il loro proprio sta-
tus (cf § 43 per quanto riguarda visigoti, franchi, longobardi; soltanto i vandali
rimasero nella loro fede omeusiana, ibidem).
Analogamente a quanto si era verificato sotto gli imperatori romani, l'unità del-
la confessione di fede doveva assicurare l'unità e l'identità del popolo. Sostenitore
e garante era il rispettivo re. Egli convocava sinodi (concilii del regno o nazionali),
stabiliva l'ordine del giorno, confermava le decisioni e provvedeva ad eventuali
cambiamenti. Approvava inoltre le nomine dei vescovi o se ne occupava personal-
mente. Senza il suo permesso non era possibile far accettare le disposizioni del pa-
§ 63. Il papato e il primato di Roma 353

pa. Spesso i re si proposero anche come suprema istanza in questioni di fede {cf il
sinodo visigotico di Toledo del 580 o il carattere sacro assunto dalla dignità regale
nel regno dei franchi sotto i carolingi). Caratteristica per le chiese territoriali ger-
maniche è la diffusione di una propria concezione degli affari ecclesiastici.
Bibliografia § 62: F. DVORNIK, Byzanz und der romische Primat, Stuttgart 1966; c. HAAS,
Patriarch And People. Peter Mongus ofAlexandria And Episcopal Leadership in the Late Fzfth Cen-
tury, in JECS 1 (1993), 297-316; W. HAGEMANN, Die rechtliche Stellung der Patriarchen von
Alexandrien und Antiochien. Eine historische Untersuchung, ausgehend vom Kanon 6 des Konzils
von Niza'a, in OKS 13 (1964), 171-191; R. Lrzzr, Vescovi e strutture ecclesiastiche nella città tar-
doantica. !.:Italia Annonaria nel IV-V secolo d. C., Como 1989; K. L. NOETHLICHS, Zur Entstehung
der Diozesen als Mittelinstanz des spa"tromischen Verwaltungssystems, in Hist. 31 (1982), 70-81;
W. DE VRIES, Die Struktur der Kirche gemafl dem Konzil von Chalkedon, in OCP 35 (1969), 63-122.
§ 62.1: E. KIRSTEN, Chorbischof, in RAC 2 (1954), 1105-1114; C. SCHOLTEN, Der Chorbischof
bei Basilius, in ZKG 103 (1992), 149-173.
§ 62.3 (cf anche § 43 ): J. MARTIN, Spa"tantike und VOlkerwanderung, Miinchen 1995 3, 299ss.
(con altra bibliografia). ·

§ 63. Il papato e il primato di Roma

Fonti: cf § 3,ld.

L'autorità di Roma, così come risulta definita nel can. 6 del concilio di Nicea,
si baserebbe sul rango politico ed ideale della capitale dell'Impero e sulla fonda-
zione apostolica della comunità (cf §§ 10; 21). Lo spostamento del centro di gra-
vità della politica imperiale in oriente diminuì l'importanza della città. Con la ca-
pitale dell'Impero Costantinopoli crebbe un nuovo centro ecclesiastico. I vesco-
vi romani cercarono, tuttavia, di fare accettare la loro pretesa di autorità su tutta
la Chiesa e svilupparono dall'inizio del IV sec. una propria dottrina su Pietro (pe-
trinologia) che doveva convalidare questa pretesa. Essi ripresero l'antica idea ro-
mana della« capitale del mondo» (caput orbis/mundi) e le diedero un nuovo con-
tenuto cristiano: «Roma, la sede di Pietro, è divenuta la capitale dell'onore dei
pastori per il mondo; ciò che essa non possiede con le armi, lo tiene saldamente
con la religione» (Prospero d'Aquitania, Carmen de ingratis 40-42).

1. Roma diventa sedes apostolica

a) MEMORIA PETRI
\
Già in occasione del concilio di Arles del 314 si cominciò ad argomentare
su un nuovo piano. L'assenza del vescovo romano Silvestro al sinodo venne spie-
354 IX. I.:ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

gata dichiarando piena comprensione: «Tu non potevi certamente andar via da
quel luogo (Roma), dove gli apostoli risiedono perennemente e il loro sangue te-
stimonia ininterrottamente la gloria di Dio » (lettera dei padri sinodali al vesco-
vo di Roma). A Roma risiedono (sedent) gli apostoli, e il vescovo di Roma è per
così dire colui che tiene loro il posto.
Poiché Giulio I di Roma (337-352), presso il quale si era rifugiato Atanasio,
aveva chiesto il diritto di partecipare alle discussioni teologiche dell'oriente, i
vescovi,occidentali riuniti nel sinodo di Serdica (342 o 343, cf § 48,3) cercaro-
no di regolamentare la procedura giuridica ecclesiastica. Le istanze di revisione
per i vescovi deposti si dovevano presentare al vescovo di Roma, ma poi l'even-
tuale causa si doveva affidare a vescovi delle rispettive province vicine; poteva
non esserci una nuova sentenza. In questa specie di ricorso i sinodali videro una
possibilità «di onorare la memoria del santo apostolo Pietro» (can. 3 ). Il ve-
scovo di Roma venne posto anche qui in una particolare relazione con san Pie-
tro: chi si rivolgeva a lui, onorava il principe degli apostoli! Ma l'oriente non
prese atto di questi canoni, che anche in occidente rimasero senza un immedia-
to effetto. Tuttavia, essi vennero a far parte nella loro redazione latina, insieme
ai canoni di Nicea, di una raccolta di diritto canonico; furono posti, quindi, sot-
to l'autorità di Nicea (cf § 64 ,3). In questa forma essi servirono ripetutamente
come prova della tradizione per le pretese dei papi.

b) PREROGATIVA DELLA SEDE APOSTOLICA

L'argomentazione petrinologica fece un importante passo in avanti sotto


Damaso, figlio di un sacerdote romano, eletto vescovo di Roma nel 366. Nello
stesso anno gli era stato contrapposto come antipapa Ursino; ne erano derivati
sanguinosi conflitti che funestarono il pontificato di Damaso. Egli si adoprò,
quindi, per una particolare posizione giuridica e per lo sviluppo del potere giu-
risdizionale di Roma nei processi ecclesiastici, ciò che riuscì a ottenere, nel 3 78,
da Graziano. In tale contesto, la sede del vescovo di Roma venne chiamata per
la prima volta, da un sinodo romano celebrato appunto nel 378, sedes apostolica
(Mirbt-Aland, Nr. 298). Subito dopo il concilio di Costantinopoli (381) rico-
nobbe al vescovo della nuova capitale dell'Impero una preminenza d'onore (can.
3, cf § 62,2). A questo segno di distinzione, che aveva una motivazione pretta-
mente politica (in quanto Costantinopoli era considerata come la «nuova Ro-
ma»), Damaso contrappose l'apostolicità, più precisamente la petrinitas, come
principio di ordine gerarchico ecclesiastico. Egli associò gli antichi capoluoghi
ecclesiastici con Pietro: ad Alessandria aveva operato il suo discepolo Marco, ad
Antiochia Pietro era vissuto piuttosto a lungo, a Roma egli aveva fondato la co-
munità di questa città e qui, insieme a Paolo, era morto con la testimonianza del
martirio. Il primato nella Chiesa sarebbe stato conferito a Pietro a norma di Mt
§ 63. Il papato e il primato di Roma 355

16,18ss. Il testo biblico venne ora interpretato in senso papale e dalla posizione
di primato di Pietro vennero tratte conseguenze di diritto costituzionale per l'in-
tera Chiesa (sinodo di Roma del 382; testo nel Decretum Gelasianum: Mirbt-
Aland, Nr 314). Damaso trovò in Girolamo un fervente ammiratore e collabo-
ratore. Per incarico del papa egli intraprese la revisione del testo biblico latino
(cf § 76,3), il cui colorito linguistico giuridico venne sollecitato dall'esegesi pa-
pale. Con la sua cura per le tombe dei martiri romani Damaso incrementò anche
la stima per Roma cristiana. Il crescente numero di conversioni nell'aristocrazia
romana procurò ai suoi sforzi il sostegno sociale ed economico.
Il richiamo di papa Damaso a una «prerogativa della sede apostolica» su-
scitò in Italia una certa opposizione. Secondo Ambrogio, vescovo di Milano
(374-397), i diritti del corpo della Chiesa (corpus ecclesiae) dovevano estendersi
da Roma a tutte le chiese (Ep. 11,4); egli insisteva comunque nel suo diritto di
autonomia episcopale nella sua Chiesa e da Mt 16,15ss. ricavava per Pietro solo
un primato di fede: «Egli esercitò un primato, un primato soprattutto di con-
fessione, non di onore, un primato di fede, non di ordine» (primatum egit, pri-
matum con/essionis utique, non honoris, primatum /idei, non ordinis; cf De in-
carn. 4,32). Anche l'anonimo autore di un commentario alle lettere di Paolo
(Ambrosiaster) fu tra i critici della nuova petrinologia e limitò il primato di Pie-
tro al primatus /idei.

2. Nel nome di san Pietro

a) QUALE CONSAPEVOLEZZA I PAPI EBBERO DI SE STESSI

Innocenzo I, Decentius-Decretale: R. CABIÉ, t trad. frane., Louvain 1973.


I successori di papa Damaso, specialmente Siricio (384-399) e Innocenzo I
(402-417), Bonifacio I (418-422) e Celestino I (422-432), svilupparono ulte-
riormente la petrinologia romana da lui fondata. La rafforzata coscienza del po-
tere papale trovò la sua espressione in un nuovo stile epistolare, la decretale
pontificia, un tipo di documento ripreso dalla cancelleria imperiale. Come l'im-
peratore rispondeva a un'interrogazione (relatio) con un responsum che assu-
meva forza di legge, così ora il vescovo romano scriveva: «comandiamo», «or-
diniamo», «decretiamo» (iubemus, mandamus, decernimus, ecc.). Queste lette-·
re stabilivano leggi che, al contrario delle decisioni di concilii provinciali, non
avevano limiti territoriali. Siricio, dalla cancelleria del quale uscì la prima de-
cretale (a Imerio di Tarragona) che ci sia nota, giustificava i suoi pieni poteri con
una successione petrina addirittura mistiça e con il diritto ereditario romano: su
di lui gravava la preoccupazione per tutt~ le Chiese (cf 2 Cor 11,28), di cui egli
portava il peso; anzi, più precisamente, dle peso era portato dall'apostolo Pie-
356 IX. I.: ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

tro che era in lui e dal quale era protetto come erede dei suoi pieni poteri (Ep.
1,1; cf per il diritto ereditario § 63 ,3). Da Pietro, secondo lui, avevano tratto la .
loro origine apostolato ed episcopato (Siricio, Ep. 5); dovunque, infatti, egli ave"
va fondato Chiese in occidente. La pretesa di guida da parte di Roma viene co-
sì convalidata dal principio patriarcale e Roma viene raffigurata come « Chiesa
Madre» dell'occidente (Innocenzo I, Ep. 52,2). A causa della fondazione petri-
na e della perenne presenza del principe degli apostoli, Roma viene quindi rite-
nuta «fonte» e «capo » (fans, caput) di tutte le Chiese e quindi norma e misura
della vita cristiana e dell'ordinamento ecclesiastico. Tutte le faccende importan-
ti, le cosiddette causae maiores, dovevano essere portate innanzi alla sedes apo-
stolica (Innocenzo I, Ep. 2,6). Culmen apostolicum («vertice apostolico») chia-
ma Bonifacio I (418-422) la sua sede episcopale. La dottrina petrina sulla gerar-
chia viene abilmente legata, nelle decretali pontificie, all'ecclesiologia paolina
del corpo mistico. Anastasio (399-402) parla delle membra del suo corpo, che
sarebbero distribuite su tutto il mondo (Ep. ad ]oh. Hier., ACO I 5, 3-4). Que-
ste singole membra si rivolgerebbero giustamente al loro capo, che dovrebbe
prendersi cura di loro come difensore e avvocato. Linguaggio biblico e diritto
romano vennero così saldati fino a formare un efficace tutt'uno.

b) ROMA E LE CHIESE DELL OCCIDENTE

I vescovi romani si preoccuparono, inoltre, di accrescere e istituzionalizzare


la loro fo.fluenza nelle province e diocesi dell'occidente: nel 412 Innocenzo I isti-
tuì un vicariato apostolico per l'Illiria (Ep. 13 a Rufo). Il vescovo di Tessaloni-
ca doveva occuparsi direttamente del territorio illirico orientale in vece del ve-
scovo romano (vice nostra); con il favore della sede apostolica (/avor apostolicae
sedis) egli era il primo tra i metropoliti di quel luogo e intermediario nei con-
fronti di Roma, ma senza pregiudicarne il primato.
Il papa Zosimo (417/418) conferì al vescovo Patroclo di Arles, nel 417, un
incarico che lo poneva al di sopra del comune grado di metropolita: ne risulta-
vano ampliate le sue competenze e facoltà di metropolita; tutte le relazioni dei
vescovi gallici con Roma dovevano passare attraverso le sue mani (Ep. 1, in
MGH, Ep. 3, S. 5). Nella motivazione si faceva riferimento a un discepolo di
Pietro, Trofimo, che sarebbe stato inviato in missione da Roma nelle Gallie.
Questa posizione di preminenza del vescovo di Arles non rimase senza conte-
stazioni, e Leone Magno si vide costretto a una nuova definizione dell'incarico
(Ep. 10; 65-66).
I papi formularono la loro pretesa nel nome di san Pietro e del principato a
lui conferito. In realtà, essi poterono sperare di essere ascoltati soltanto nella
parte occidentale dell'Impero. Anche qui, per altro, ci furono delle resistenze.
Nella controversia attorno a Pelagio (§ 56) riaffiorarono antiche tensioni tra Ro-
§ 63. Il papato e il primato di Roma 357

ma e il Nordafrica. La Chiesa nordafricana, sotto la guida teologica di Agosti-


no, vantava la propria autonomia, ma dava anche valore al consenso con le altre
Chiese, specialmente con Roma (§ 56,3) Provvedimenti disciplinari delle Chie-
se nordafricane contro alcuni loro chierici (il presbitero Apiario di Sicca [Codex
Apiarii causae: CChr.SL 149] e il vescovo Antonio di Fussala [Agostino, Ep.
209] si erano appellati a Roma contro la loro deposizione) diedero ulteriore oc-
casione per respingere le pretese romane. Nel 418 un sinodo generale celebrato
a Cartagine proibì ai chierici di rivolgersi ai transmarina iudicia (tribunali d' ol-
tremare, cioè di Roma). Un successivo sinodo cartaginese (424/425) dispose in
maniera anche più chiara, in un analogo contesto, « che nessuno osasse di ap-
pellarsi alla Chiesa romana» (CChr.SL 149,266).
La petrinologia agostiniana non concordava certamente con quella romana,
anche se è vero che egli parlò di una preminenza della sede apostolica e di un
primato di Pietro (per es. Ep. 43, 3,7). I pieni poteri dei quali si parla in Mt
16,18ss. Pietro li avrebbe ricevuti come rappresentante di tutta la Chiesa: uni-
versam signzficabat ecclesiam (Tract. ]oh., 124,5; Ep. 53,2:/igura totius ecclesiae),
ma tali poteri si trovavano ora in tutta la Chiesa. Il fondamento della Chiesa sa-
rebbe Cristo (Tract. ]oh. 124,5), tanto da poter dire: «Siamo cristiani, non pe-
triani » (sumus enim christianz; non petriani; Enarr. Ps. 44 ,23).

3. Leone Magno: l'erede di san Pietro

Serm.: J.LECLERCQ - R. DOLLE, t trad. frane., 4 voli., 1964-1976 (SC 22b; 49b; 74b; 200); T. STEE-
GER, trad. ted., 2 voli., 1927 (BKV); A. VALERIANI, trad. it., 3 voli., Alba, diverse ediz. 1966-1972.

Leone I (440-461) riepilogò in maniera definitiva le idee dei suoi prede-


cessori sull'ufficio di Pietro. La sua petrinologia mette in risalto la posizione
eminente di Pietro come primo degli apostoli, coinvolto in un'intima comunio-
ne con Cristo (indeficiens consortium, Sermo 5,4; 4,2). Secondo Mt 16,18ss.,
Le 22,3lss., Gv 21,15-17, Cristo avrebbe trasmesso soltanto a lui tutto il pote-
re (potestas, potentia, ordo), e di questo potere soltanto per suo mezzo avreb-
bero partecipato gli altri apostoli. Questi, in effetti, sarebbero stati eguali al
«principe degli apostoli» (princeps apostolorum) soltanto in dignità (dignitas),
ma non nella loro posizione giuridica. Leon~ spiega la posizione eminente del
successore di Pietro sviluppando coerentemente la teoria dell' «erede» (heres)
sulla base del diritto ereditario romano: i pieni poteri conferiti secondo Mt
16,18ss. a Pietro passerebbero in maniera diretta e intatta dal testatore all'ere-
de e distinguerebbero ora il successore. Il vescovo di Roma sarebbe innalzato
al di sopra di tutti i vescovi, in quanto questi ultimi avrebbero il loro potere ec-
clesiastico e il loro compito di guida soltanto attraverso la sua mediazione; es-
358 IX. L'ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

si sarebbero chiamati soltanto «a una parte della preoccupazione» (in partem


sollicitudinis, Ep. 14,1).
Leone espose questi pensieri nei suoi sermoni (specialmente in quelli per il
giorno della sua «intronizzazione») e nelle sue lettere, incontrando in occidente
scarsa opposizione. Egli si richiamò decisamente a Ilario di Arles, che richiedeva
per sé una posizione di preminenza su tutta la Chiesa di Gallia, e trovò in questo
l'appoggio dell'imperatore Valentiniano III (Leone, Ep. 10-11). All'oriente, inve-
ce, la sua pretesa di guida per la Chiesa universale rimase estranea. Il suo inter-
vento nei conflitti dogmatici ebbe successo solo in parte (cf § 55,2); la sua.oppo-
sizione contro il can. 28 del concilio di Calcedonia rimase inefficace (cf § 62,2).

A Roma e in Italia venne considerato anche come Defensor populi, quando nel 452 si oppo-
se ad Attila, il condottiero degli unni, impedendone così l'invasione, e quando, dopo trattative con
il re dei vandali Genserico, ottenne nel 455 che la popolazione di Roma e i suoi tesori artistici fos-
sero ampiamente risparmiati nell'invasione (Prospero, Chron. 1367; 1375 ad ann. 452; 455).

4. Potere e influenza dei papi in occidente

Nell'ultima fase degli sviluppi che la questione del primato fece registrare
nella Chiesa antica, i papi si videro alle prese con i nuovi regni germanici e i lo-
ro sovrani; nello stesso tempo essi dovettero resistere alla forte pressione degli
imperatori bizantini, per i quali il vescovo di Roma era certamente« capo di tut-
ti i santissimi sacerdoti di Dio» e «primo fra tutti i sacerdoti» (CJ I 1,7; Nov.
131,2 del 545) nella compagine dell'Impero, ma tuttavia soltanto il patriarca im-
periale dell'occidente. Sotto il terzo successore di Leone, Felice II (III) (483-
492) si determinò quella frattura nella comunione ecclesiastica tra Roma e Co-
stantinopoli che sarebbe durata per trentacinque anni, originata dal fatto che il
papa protestò contro l'Henoticon di Zenone del 482 e, nel 484, scomunicò il pa-
triarca Acacio (scisma acaciano, cf § 58,2).
Il successore di Felice, Gelasio I (492-496), fu dopo Leone I ancora una vol-
ta un «grande costruttore dell'idea del primato » (E. Caspar). Egli aveva già ap-
poggiato il suo predecessore nella controversia con Costantinopoli e proseguì la
lotta contro il dominio imperiale sulla Chiesa. All'imperatore Anastasio I egli in-
dirizzò nel 494 le famose parole sulle due potestà dalle quali sarebbe governato
il mondo, l' auctoritas sacrata ponti/icum (la sacra autorità dei vescovi) e la rega-
lis potestas (la potestà regale). La prima avrebbe un peso più grave (gravius pon-
dus), perché dovrebbe rendere conto davanti a Dio anche per i re, mentre nella
sfera dell'ordinamento statale anche i capi (antistites) della religione dovrebbe-
ro obbedire alle leggi imperiali (Ep. 12). Tra le autorità spirituali si troverebbe
al primo posto la sede apostolica, che dovrebbe giudicare ogni Chiesa e non po-
trebbe essere giudicata da alcun tribunale umano.
§ 63. Il papato e il primato di Roma 359

La dottrina delle due potestà venne sviluppata nel medioevo nella cosiddetta «teoria delle
due spade» e divenne il punto centrale di conflitto nelle controversie tra imperatore e papa. Il De-
cretum Gelasianum de libris recipiendis e non recipiendis reca in effetti il nome del papa Gelasio,
ma non risale a lui. È certamente un lavoro privato composto all'inizio del VI sec. nella Gallia me-
ridionale, che ha ripreso documenti ecclesiastici più antichi (dal tempo di papa Damaso), tratta di
concilii e di padri della Chiesa e contiene un elenco di scritti apocrifi e teologicamente sospetti.

Nel 498 si arrivò nuovamente a Roma a una doppia elezione: Lorenzo (498-
505) era il candidato di un partito filobizantino a Roma, Simmaco (498-514) era
sostenuto dal re Teodorico. Poiché tutti i tentativi di conciliazione rimasero in-
fruttuosi e l'opposizione mosse gravi rimproveri contro Simmaco, il re Teodori-
co convocò un sinodo per chiarire le questioni giuridiche (conclusione nell' ot-
tobre del 501). I vescovi riuniti a Roma rinunciarono a una sentenza: essi non
potevano giudicare la sede apostolica. In tal modo non si pose fine allo scisma,
che durò oltre la morte di Lorenzo (nel 506 Teodorico diede ordine di conse-
gnare a Simmaco tutte le chiese romane). Nel frattempo il partito simmachiano
aveva cercato di rafforzare la posizione indebolita di Simmaco in un'ampia pro-
duzione letteraria.

A questa produzione appartengono i cosiddetti falsi (o apocrifi) simmachiani (testi: PL 6; 8;


PLS 3). Con processi papali del tutto inventati s'illustrava la tesi secondo cui nessuno può giudi-
care la prima sede episcopale (Nemo enim iudicabit primam sedem; cosiddetto Constitutum Silve-
stri: PL 8,840). Quest'affermazione, che si trova già presso Gelasio, venne motivata da Ennodio
di Pavia (§ 78,2) argomentando che Pietro si addosserebbe i peccati del suo successore, i cui me-
riti insufficienti sarebbero sostituiti dai meriti di Pietro (Lz'bellus adv. eos, qui contra Synodum scri-
bere praesumpserunt). Dietro l'argomentazione c'è anche l'idea gerarchica dei gradi, secondo la
quale ciò che sta più in alto non può essere determinato da ciò che sta più in basso. L'immunità
giuridica del papa trovò espressione piena nel medioevo nella formula Prima sedes a nemine iudi-
catur (Gregorio VII, Dictatus Papae, sent. 19; cf sent. 23; § 104,2).

Papa Ormisda (514-523) riuscì a porre fine nel 519 allo scisma acaciano, ap-
profittando del cambio di potere a Bisanzio (con l'imperatore Giustino, 518-
527; § 58,2). I papi successivi vennero eletti con il determinante concorso dei re
goti; ma con il crollo del loro potere caddero nuovamente sotto l'influenza di Bi-
sanzio, senza potersi opporre alle leggi dell'ortodossia politica. Con papa Vigi-
lio (537-555), che acconsentì alla condanna imperiale dei Tre Capitoli(§ 59,4),
il papato cadde in una grave crisi.

5. Gregorio Magno

Opera: PL 75-78; P. VERBAKEN et al., t, fino ad 6ra 4 voli., 1963 ss. (CChr.SL 140-144; B. CALATI
et al., t trad. it., Roma 1990ss.; J. PUNK, trad. ted. (antologia), 2 voli., 1933 (BKW).
Moralia in lob: R. GILLET et al., t trad. frane. c, 3 voli. diverse ediz. 1974ss. (SC 32b; 212; 221).
360 IX. I: ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

Epist. 1-50: P. MINARD, t trad. frane. e, 2 voli., 1991 (SC 370; 371). G. CORTI, t trad. it. e, Milano
1992.
Regula Pastoralis: B. Jumc, t trad. frane. e, 2 voll., 1992 (SC 381; 382); M. T. LOVATO, trad. it. e,
Roma 1990 2 •
Hom. Evang.: D. HURST, trad. ingl., Kalamazoo 1990; O. LARI, trad. it., Alba 1975.
Dial.: U. MoruccA, t, Roma 1924; A. DE VOGÙÉ, t trad. frane. e, 3 voli, 1978-1980 (SC 251; 260;
265); O.]. ZIMMERMANN, trad. ingl. (FaCh 39); Conferenza salisburghese degli abati (a cura
di), t trad. ted. e, St. Ottilien 1995.
Hom Ez. P. MOREL, t trad. frane. e, 2 voli., 1986-1990 (SC 327; 369); G. BùRKE, trad. ted., Ein-
siedeln 1983; E. GANDOLFO, trad. it., 2 voli., 1979ss. (CollTP 17ss.).
Comm. Cant.: R BÉLANGER, t trad. frane. e, 1984 (SC 314); K. S. FRANK, trad. ted., Einsiedeln 1987.
Comm. I Regum: A. DE VoGùÉ, t trad. frane. e, 2 voli., 1989ss. (SC 351; 391).

Alla fine dell'antichità cristiana e alle soglie del medioevo si colloca l'impo-
nente personalìtà di Gregorio I (590-604). Originario di una famiglia senatoria,
divenne nei suoi giovani anni prefetto della città (572-573) e si convertì poi alla
vita ascetica monastica. Trasformò il palazzo avito a Roma in un monastero in-
titolato a sant' Andrea. Nel 579 entrò come diacono al servizio della Chiesa ro-
mana. Papa Pelagio II (579-590) lo inviò come apocrisario (rappresentante uffi-
ciale del papa) a Costantinopoli.

Fino ai primi anni del suo pontificato Gregorio fu letterariamente attivo. Profondo conosci-
tore della teologia patristica, cercò di mediarla in una prospettiva pastorale e spirituale. Compo-
se un ampio commentario moraleggiante (Moralia) al libro di Giobbe, omelie su Ezechiele, una
Regula pastoralis, che esercitò a lungo la sua influenza nel medioevo, e i« Dialoghi», nei quali egli
rappresentò le vite di famosi asceti, arricchite con numerosi resoconti di miracoli, e delineò la fi-
gura di san Benedetto come padre del monachesimo (cf § 71 C 4). Ci è stato tramandato inoltre
un ampio epistolario.

Papa Gregorio non diede ulteriori sviluppi alla dottrina del primato roma-
no, ma valorizzò i contributi che nel frattempo si erano accumulati e favorivano
l'unità. Egli accettò il potere imperiale bizantino, come anche il diritto ecclesia-
stico imperiale, ed allacciò rapporti con i longobardi, i burgundi e i visigoti per
portare i regni germanici ariani alla Chiesa cattolica e per riformare la Chiesa
cattolica nel regno dei burgundi. Promosse con successo la missione presso gli
anglosassoni (cf § 44).
Con una riorganizzazione dei beni della Chiesa (Patrimonium Petri) egli riu-
scì a rafforzare la posizione del vescovo romano: i proventi del patrimonio rese-
ro la Roma papale una «potenza economica» (E. Caspar). Gregorio impiegò i
mezzi a sua disposizione soprattutto per mitigare la crisi economica dell'Italia
determinata da catastrofiche inondazioni e dalla peste e per soccorrere i nume-
rosi profughi che si rifugiavano a Roma sotto la minaccia dei longobardi.

Un titolo particolare non ci fu inizialmente per il «successore di Pietro». Papa, apostolicus,


vicarius Christ~ summus sacerdos, summus ponti/ex erano titoli comuni e diffusi per i vescovi. Nel
§ 63. Ilpapato e il primato di Roma 361

VI sec. si cominciò a riservare il titolo di Papa al vescovo di Roma (Ennodio di Pavia e Cassiodo-
ro). Da Gregorio I venne introdotto tra i titoli papali quello ispirato dall'umiltà di servus servo-
rum Dei. Questo titolo non fu scelto come formula di protesta contro quello di «patriarca ecu-
menico» adottato da Costantinopoli, ma corrispondeva piuttosto all'atteggiamento fondamental-
mente ascetico-monastico di Gregorio, dove era determinante l'antitesi agostiniana tra superbia
diabolica e humilitas cristiana.

Bibliografia § 63: Roma, Costantinopoli; Mosca. Atti del I Seminario internazionale di stu-
di storici su aspetti storico-religiosi e giuridici dell'idea di Roma, tradizione e rivoluzioni, 21-23
aprile 1981, Napoli 1983; H. H. ANTON, Kaiserliches Selbstverstà"ndnis in der Religionsgesetzge-
.bung derSpà"tantike und piipstliche Herrscha/tsinterpretation im V ]h.,in ZKG 88 (1977), 38-84;
P.-P. JOANNOU, Die Ostkirche und die Cathedra Petri im IV Jahrhundert, Stuttgart 1972;
G. LANGGARTNER, Vie Gallienpolitik der Piipste im V und VI. Jahrhundert. Bine Studie uber den
apostolischen Vikariat von Arles, Bonn 1964; W MARSCHALL, Karthago und Rom. Die Stellung
der norda/rikanischen Kirche zum apostolischen Stuhl in Rom, Stuttgart 1971; V. TWOMEY, Apo-
stolikos Thronos. The Primacy o/ Rome As Re/lected in the Church History o/ Eusebius And the
Historico-Apologetic Writings o/ St. Athanasius the Great, Miinster 1982; S. VACCA, Prima sedes
a nemine iudicatur. Genesi e sviluppo storico dell'assioma fino al decreto di Graziano, Roma
1993; W. DE VRIES, Die Ostkirche und die Cathedra Petri im IV Jahrhundert, in OCP 40 (1974),
114-144; W DE VRIES, Die Obsorge.des hl. Basilius um die Einheit der Kirche im Streit mit Pa-
pst Damasus, in OP 47 (1981), 55-86; M. WOJTOWYTSCH, Papstum und Konzile von den An/iin-
gen bis zu Leo I. (440-461). Studien zur Entstehung der Uberordnung des Papstes uber Konzile,
Stuttgart 1981.
§ 63.1: H. C. BRENNECKE, Rom und der dritte Kanon von Serdika (342), in ZSRG.K 100
(1983), 15-45; K. M. GIRARDET, Appellatio. Ein Kapitel kirchlicher Rechtsgeschichte in den Kano-
nes des IV Jahrhundert, in Hist. 23 (1974), 98-127; H.-J. SIEBEN, Sanctissimi Petri apostoli me-
moriam honoremus. Die sardicensischen Appellationskanones im Wandel der Geschichte, in ThPh
58 (1983), 501-534.
§ 63.2: H. M. KLINKENBERG, Unus Petrus. Generalitas ecclesiae bei Augustinus. Zum Pro-
blem von Vielheit und Einheit, in P. Wilpert (a cura di), Universalismus und Partikularismus im
Mittelalter, Berlin 1968, 216-242; C. OCKER, Augustine, Episcopal Interests And the Papacy in La-
te Roman Africa, inJEH 42 (1991), 179-201.
§ 63.3: A. DE HALLEUX, Le décret chalcédonien sur les prérogatives de la nouvelle Rame, in
EThL 64 (1988), 288-324; S. O. HORN, Petrou Kathedra. Der Bischo/ von Rom und die synoden
von Ephesus (449) und Chalcedon, Paderborn 1982; P. A. Mc SHANE, La Romanitas et le pape Léon
le Grand. Uapport culture! des institutions impériales à la /ormation des structures ecclésiastiques,
Tournai/Montreal 1979; H.-J. SIEBEN, Zur Entwicklung der Konzilsidee. V· Leo der Grofle uber
Konzilien und Lehrprimat des romischen Stuhles, in ThPh 47 (1972), 358-401; B. STUDER, Leo der
Grofle und der Primat des romischen Bischofs, in J. BRANTSCHEN - P. SELVATICO (a cura di), Un-
terwegs zur Eiheit (Fs [studi in onore di] Stirnimann), Freiburg/Schw. 1980, 617-630.
§ 63.4: L. MAGI, La Sede Romana nella corrispondenza degli imperatori e patriarchi bizantini
(VI-VII secoli), Louvain/Roma 1972; W. ULLMANN, Gelasius I. (492-4?6). Das Papsttum an der
Wende der Spatantike zum Mittelalter, Stuttgart 1981; W. DE VRIES, Das zweite Konzil von Kon-
stantinopel (553) und das Lehramt von Pàpst und Kirche, in OCP 38 (1972), 331-366; E. WIRBE-
LAUER, Zwei Péipste in Rom. Der Kon/likt Z!fischen Laurentius l.!_nd Symmachus (498-514). Studien
und Texte, Miinchen 1993; E. ZETTL, Die P,està"tigung des V Okumenischen Konzils durch Papst
Vigilius. Untersuchungen uber die Echtheit der Brie/e Scandala und Aetius, Bonn 1974.
§ 63.5: Gregorio Magno e il suo tempo. XIX Incontro di studiosi dell'antichità cristiana, Ro-
ma 1991. F. CLARK, The Pseudo-Gregorian Dialogues, Leiden 1987; C. DAGENS, S. Grégoire le
362 IX. I:ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

Grand. Culture et expérience chrétiennes, Paris 1977; G. R. EVANS, The Thought of Gregory the
Great, Cambridge 1988; M. FIEDROWICZ, Das Kirchenverstiindnis Gregors des GrofSen. Eine Un-
tersuchung seiner exegetischen und homiletischen Werke, Freiburg 1995; J. FONTAINE et al. (a cu-
ra di), Grégoire le Grand. Colloques internationaux du CNRS, Chantilly 1982, Paris 1986;
R. GODDING, Bibliografia di Gregorio Magno (1890-1989), Roma 1990; S. C. KESSLER, Gregor der
GrofSe als Exeget. Die theologische Interpretation der Ezechielhomilien, Innsbruck 1995; R. A.
MARKUS, From Augustine to Gregory the Great, London 1983; R. A. MARKus, Gregor I, in TRE 14
(1985), 135-145; J. MODESTO, Gregor der GrofSe. Nachfolger Petri und Universalprimat, St. Otti-
lien 1989; J. D. PETERSEN, The Dialogues o/ Gregory the Great in Their Late Antique Cultura!
Background, Toronto 1984; E. PITz, Papstreskripte im friihen Mittelalter. Diplomatische und rechts-
geschichtliche Studien zum Brief-Corpus Gregors des GrofSen, Sigmaringen 1990; J. RICHARDS, Gre-
gor der GrofSe. Sein Leben - seine Zeit, Graz 1983 (ingl. 1980); C. E. STRAW, Gregory the Great.
Perfection in Imperfection, Berkeley ecc. 1988.

§ 64. I sinodi e il loro ordinamento

Sguardo generale: G. MAY, Kirchenrechtsquellen I, in TRE 19 (1990), 1-44.


Fonti: cf J. GAUDEMET, Les sources du droit de l'église en occident du Ile au VII siècle, Paris 1985.
Dionigi il Piccolo, Codex canonum ecclesiasticorum (1 • redaz.): A. STREWE, t, Berlin 1931.
Statuta Ecclesiae antiqua: C. MUNIER, t, 1963 (CChr.SL 148); C. MUNIER, t c, Paris 1960.

1. Importanza dei sinodi a partire dal IV secolo

Nell'epoca della Chiesa imperiale l'organizzazione dei sinodi venne perfe-


zionata e rivalutata. Le riunioni dei vescovi per discutere le faccende ecclesia-
stiche acquistarono importanza soprattutto per le controversie dogmatiche del
IV e del V sec.
L'innovazione più importante fu il concilio imperiale, che veniva convo-
cato dall'imperatore e si svolgeva in suo nome. Le sue risoluzioni conserva-
vano valore di diritto imperiale e potevano essere applicate anche con l'aiuto
dell'imperatore. Che gli imperatori romani inserissero i sinodi ecclesiastici
nella loro pratica di governo dell'Impero fu un dato di fatto che s'impose con
il riconoscimento ufficiale della religio christiana. Le faccende ecclesiastiche
toccarono direttamente fin dal tempo di Costantino l'Impero Romano e do-
vettero essere inserite, quindi, nell'ampia sfera del diritto pubblico. Questo
nuovo sviluppo ebbe inizio nel 313 a Roma con il «Giudizio di Milziade»
(§313) e si rese manifesto con il sinodo d' Arles dell'agosto 314. A Nicea, nel
325, tutta la Chiesa venne convocata per la prima volta dall'imperatore. Tra i
molti concilii celebrati durante i primi sette secoli della Chiesa, sei sono stati
§ 64. I sinodi e il loro ordinamento 363

definiti« ecumenici»: Nicea 325, Costantinopoli 381, 553 e 680/681, Efeso


431, Calcedonia 451. I due concilii di Costantinopoli degli anni 381e553 fu-
rono originariamente soltanto sinodi particolari dell'oriente. La loro succes-
siva accettazione con il consenso di tutta la Chiesa li fece classificare nel gra-
do superiore di «sinodi ecumenici». Ed invece, quelli di Serdica 342/343
(§ 48,3), di Efeso 449 (§ 55,2) e di Costantinopoli 691/692 furono convocati
e organizzati come concilii generali, ma senza trovare il riconoscimento di
tutta la Chiesa.·
I sinodi ecclesiastici erano sorti su basi prammatiche, senza che ci fosse sta-
ta una particolare teoria circa il valore specifico da darsi alle loro decisioni. Una
tale teoria si sviluppò solo grazie alla preziosa esperienza conciliare, e in questo
svolse un ruolo decisivo la collocazione di Nicea. Diedero il primo avvio alla for-
mulazione di questa teoria. il tentativo di relativizzare e di correggere le decisio-
ni del concilio di Nicea nel sinodo di Tiro (335) e le successive discussioni sulla
confessione nicena.

2. Concilio imperiale e sinodi regionali

a) CONCILIO IMPERIALE

Elemento costitutivo per il sinodo imperiale er;a la convocazione da par-


te dell'imperatore. Egli poteva aggiornarli o anche trasferirli in un altro luo-
go, stabiliva l'oggetto delle discussioni, ne ordinava lo svolgimento e ne aspet-
tava i risultati concreti. Gli imperatori partecipavano personalmente, in par-
te, ai dibattiti e ne facevano controllare lo svolgimento attraverso i loro com-
missari. Confermavano infine le decisioni, che però avevano valore all'inter-
no della Chiesa già con la deliberazione dei sinodali. In quanto istituto di
diritto imperiale i sinodi venivano sostenuti anche finanziariamente dallo
Stato.
L'invito veniva diramato ai vescovi, specialmente ai metropoliti, che poi do-
vevano portare con sé anche una parte dei loro suffraganei. Senza diritto di vo-
to partecipavano anche consulenti teologici, chierici e laici che facevano parte
del seguito dei vescovi. I vescovi di Roma si facevano rappresentare ai concilii
imperiali attraverso propri legati; corrispondentemente al primato d'onore co-
munemente riconosciuto. a Roma, veniva loro riservata una speciale precedenza
nell'ordine dei posti e nella sottoscrizione dei decreti.

Dei primi due concilii generali non esistono verbali. Se ne conservano soltanto le decisioni
dogmatiche e i canoni disciplinari, e inoltr~ anche gli elenchi dei vescovi firmatari. Soltanto a par-
tire dal concilio di Efeso del 431 sono stati tramandati veri e propri verbali e voluminosi atti in
varie raccolte e traduzioni.
364 IX. !:ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa

b) SINODI REGIONALI

Un'ulteriore innovazione nella storia dei sinodi fu la loro distribuzione in ti-


pi diversi di convocazione. Accanto al sinodo imperiale continuò ad esserci an-
che in seguito il sinodo provinciale, che venne ratificato a Nicea (can. 5) e a Cal-
cedonia (can. 19) come salda istituzione ecclesiastica: esso doveva celebrarsi due
volte all'anno in ogni provincia ecclesiastica. Tra sinodi imperiali e sinodi pro-
vinciali si collocarono, come istituzioni interprovinciali, i sinodi generali e pa·
triarcali. I primi svolsero un ruolo particolare in Nordafrica (condlia plenaria) e
furono noti anche in Italia sttentrionale e in Gallia. Al di sotto del sinodo pro-
vinciale c'era il sinodo diocesano.
Una particolare posizione rivendicò il vescovo di Roma, come metropòlita,
per il sinodo romano. Il suo immediato ambito di competenza era certamente
soltanto l'Italia suburbicaria, ma qui spesso venne presa posizione per avveni-
menti che interessavano tutta la Chiesa. Le decisioni dei sinodi di Roma mette-
vano in risalto il peso dell'autorità papale.
Un tipo particolare di sinodo si sviluppò alla fine del IV sec. a Costantino-
poli, il cosiddetto sinodo «endemico» (cr6voBoç ÈVBTJµoucra): vescovi che in
quel momento soggiornavano nella capitale venivano convocati per essere con-
sultati su questioni ecclesiastiche attuali. Questa istituzione incrementò l'auto-
rità del patriarca di Costantinopoli e divenne un importante organo costituzio-
nale della Chiesa bizantina.

3. L'importanza per il diritto ecclesiastico

Oggetto di discussione nei sinodi era tutto ciò che interessava la vita della
Chiesa nelle cose e nelle persone. Le decisioni (Myµa'ta) che riguardavano la
dottrina di fede venivano approvate nella forma di simbolo o di definizione. I pa-
dri conciliari decidevano inoltre su questioni di costituzione, di disciplina e di
culto, che formulavano in canoni.
Per lo sviluppo del diritto canonico generale e particolare furono impor-
tanti specialmente le raccolte delle decisioni sinodali. La più antica raccolta la-
tina che si conosca, la cosiddetta Versio antiqua Romana o Vetus Romana, col-
legava i canoni di Nicea con quelli di Serdica, con l'intento, quindi, di rivalu-
tare l'autorità della sede episcopale romana. Seguirono altre raccolte romarie,
compilate ad Antiochia sul finire del IV sec. con materiale proveniente dall' o-
riente (tra l'altro il Syntagma Canonum) e continuamente ampliate e arricchi-
te. La più importante per l'ulteriore sviluppo del diritto è la Collectio Diony-
siana di Dionigi il Piccolo (cf § 78), compilata probabilmente attorno al 500;
essa è composta di una raccolta di decisioni conciliari che ebbe più redazioni
§ 64. I sinodi e il loro ordinamento 365

(la cosiddetta Prisca) e di una raccolta di decretali papali che risalgono alla fi-
ne del V sec.
Anche dalla Chiesa africana sono state tramandate raccolte che mostrano
una tendenza di politica ecclesiastica che mira a rafforzare la propria autonomia:
il Breviarius Hipponensis (397), il Codex Apiarii causae (Gesta de nomine Apia-
rù) del 419 e i Registri ecclesiae Carthaginensis excerpta (Codex canonum eccle-
siae Africanae) dello stesso periodo. Occasione delle due ultime raccolte fu il ca-
so del presbitero Apiario, che era stato scomunicato negli anni 418 e 423 e si era
allora appellato ai papi Zosimo e Celestino I. Con le raccolte giuridiche s'inten-
deva respingere gli interventi romani.
Nella Gallia meridionale nacquero nella seconda metà del V sec. i cosiddet-
ti Statuta ecclesiae antiqua, che collegavano una confessione di fede con disposi-
zioni disciplinari e liturgiche (la compilazione va attribuita forse a Gennadio di
Marsiglia, morto tra il 495 e il 505).

Bibliografia § 64: B. BOTTE, Das Konzil und die Konzile, Stuttgart 1962 (frane. 1960);
E. CHRYSOS, Konzz'lsakten und Konzilsprotokolle vom IV bis VII. ]ahrhundert, in AHC 15 (1983),
30-40; A. M. CRABBE, The Invitatz"on List to the Council o/ Ephesus And Metropolitan Hierarchy in
the Fi/th Century, in JThS 32 (1981), 369-400; G. GOTTLIEB, Die formalen Bestandteile in der
Uberlieferung der gallischen Konzilien des IV und V ]ahrhundert, in AHC 16 (1984), 254-263; A.
DE HALLEUX, La réception du symbole oecuménique de Nicée à Chalcedoine, in EThL 61 (1985),
5-47; G. LANGGARTNER, Das Aufkommen des okumenischen Konzilsgedankens. Ossius van Corào-
ba als Ratgeber Constantins, in MThZ 15 (1964), 111-126; R. E. PERSON, The Mode of Theologi-
cal Decision Making at the Early Ecumenica! Councils. An Inquiry Inta the Function o/ Scripture
And Tradition at the Councils of Nicaea And Ephesus, Basel 1978; H. J. SIEBEN, Die Konzilsidee
der Alten Kirche, Miinchen ecc 1979; H. J. SIEBEN, Die Partikularsynode. Studien zur Geschichte
der Konzilszdee, Frankfurt/M. 1990.
§ 64.2: H. J. SIEBEN, Zur Entwicklung der Konzz"lszdee. XI: Typen sogenannter Partzkularsyno-
den, in ThPh 51 (1976), 52-92; H. J. SIEBEN, Vom Apostelkonzz'l zum Ersten Vatikanum, Pader-
born 1966, 3-93.
§ 64,3: W. D. HAUSCHILD, Die antiniziinische Synodalaktensammlung des Sabinus van Herak-
lea, in VigChr 24 (1970), 105-126; R. RIEDINGER, Griechische Konzilsakten auf dem Wege ins la-
teinische Mittelalter, in AHC 9 (1977), 253-301; K. SCHAFERDIEK, Das sogenannte zweite Konzil
van Arles und die lilteste Kanonessammlung der arleatenser Kz"rche, in ZSRG.K 102 (1985), 1-19;
E. SCHWARTZ, Die Kanonessammlungen der a/ten Reichskirche, in ZSRG.K 56 (1936), 1-114;
W. SELB, Orientalisches Kirchenrecht, 2 voli., Wien 1981-1989.
X. Cristianità della Chiesa imperiale

Bibliografia: §§ 65-73

S. FELICI, Catechesi battesimale e ricondliazione nei padri del IV secolo, Roma 1984; E. MAZZA, La
mistagogia. Una teologia della liturgia in epoca patristica, Roma 1988 (ingl. 1989); V. MONA.
CHINO, S.Ambrogio e la cura pastorale a Milano nel secolo IV, Milano 1974; R. M. PAYNE,
Christian Worship in Jerusalem in the Fourth And Fifth Centuries. The Development o/ the
Lectionary. Calendar And Liturgy, London 1981; L. PROSDOCIMI - C. ALZATI, La Chiesa am-
brosiana. Profili di storia istz"tuzionale e lz"turgica, Milano 1980; P. RENTINCK, La cura pastora-
le in Antiochia nel IV secolo, Roma 1970; J. SCHMITZ, Gottesdienst im altchristlichen Mailand.
Bine liturgiewissenschaftliche Untersuchung uber Initiation und Meflfeier wà'hrend des Jahres
z. Zt. des Bischo/s Ambrosius (+ 397), Koln/Bonn 1975.

§ 65. Battesimo e catecumenato

Ambrogio, De sacr.; De myst.; Expl. symb.: B. BOTTE, t trad. frane. e, 1961 (SC 25bis)
De sacr.; De myst.: J. ScHMITZ, t trad. ted., 1990 (FC 3 ).
De myst.; De sacr.; Expl. symb.; De paen.: O. FALLER - G. BANTERLE, t trad. it.,
Milano/Roma 1982.
Agostino, De catech. rud.: J. B. BAUER, t, 1969 (CChr.SL 46); W. STEINMANN, trad. ted., Miinehen
1985; J. P. CHRISTOPHER, trad. ingl., 1946 (ACW2); A. M. VELLI, trad. it. e, Roma 1984. De
bapt.: M. PETSCHENIG, t, 1908 (CSEL 51).
Basilio, Hom. bapt.: J. DUCATILLON, t trad. frane. e, 1989 (SC 357); U. NERI, t trad. it e, Brescia
1976.
Gregorio di Nazianzo, Oratio 40: In sanctum baptisma: C. MORESCHINI -P. GALLAY, t trad. frane.
e, 1990 (SC 358).
Giovanni Crisostomo, Catech.: R. KACZYNSKI, t trad. ted., 2 voli., 1992 (FC 6); A. PENGER -
A. PlÉDAGNEL, t trad. frane. e, 1 voli., 1985 (SC 50b; 366); P. W. HARKINS, trad. ingl., 1963
(ACW 36); A. CERESA-GASTALDO, trad. it., 1982 (Coli1P 31).
Teodoro di Mopsuestia, Hom. cat.: R. TONNEAU - R. DEVREESSE, t trad. frane., Roma 1949.

1. Età per il battesimo

Nella prassi battesimale la Chiesa imperiale si attenne innanzitutto alle for-


me precedentemente sviluppatesi. Il battesimo degli adulti rimaneva ancora il
caso normale. Anche i figli di genitori cristiani, tra i quali molti di noti Padri del-
la Chiesa, venivano battezzati solo in età più matura. I genitori, tuttavia, faceva-
no compiere sui figli un rito di esorcismo (Agostino, Con/ I 11,17) e sapevano
di essere tenuti alla loro educazione cristiana.
§ 65. Battesimo e catecumenato 367

A partire dal V sec. il battesimo dei bambini divenne a poco a poco una
prassi comune. Agostino difese questa prassi nelle discussioni con i donatisti e i
pelagiani come «antico uso» (De bapt. 4,22,30; 24; 31) e la giustificò con il fat-
to che l'uomo è soggetto per natura al peccato originale. Ma anche i Padri orien-
tali, che non erano sotto l'influsso di questa dottrina, spingevano al battesimo
dei bambini (Gregorio di Nazianzo, Or. 40,28: a tre anni).

2. Il catecumenato

Il catecumenato rimase anche in seguito la preparazione istituzionale, ma ven-


ne ulteriormente perfezionato sul piano liturgico. Esso cominciava con la richie-
sta del battesimo, dove un garante (sponsor) attestava la genuinità dei motivi che
spingevano il candidato alla conversione. Le Costituzioni Apostoliche ribadirono
le restrizioni per l'ammissione stabilite dalla Traditio apostolica d'Ippolito, ma ten-
nero conto anche della mutata situazione (Const. apost. VIII 32). Ai candidati si
proponeva innanzitutto una sobria catechesi sulle verità fondamentali della fede
cristiana. Secondo lo schema-tipo di Agostino, De catech. rud. II 16-25 (schema
ridotto, ibid. 26-27), l'istruzione era basata su riferimenti alla Bibbia e alla storia
della salvezza. Poi, attraverso un'azione rituale (imposizione delle mani, segni di
croce; in alcune regioni c'era anche il rito del sale), i candidati venivano accolti tra
i catecumeni e per la durata di tre anni venivano istruiti in questioni di fede e nel-
1'etica cristiana. Nelle catechesi che ci sono pervenute si rendono evidenti l'istan-
za morale e il modo di trasmettere gli elementi fondamentali della fede. Conti-
nuava ad aver valore il principio secondo il quale non il tempo, ma il modo di vi-
vere decideva sull'ammissione al battesimo (Const. apost. VIII 32,16).
I catecumeni partecipavano d'ora innanzi alla liturgia della parola (missa ca-
techumenorum). Superato il periodo di prova, aveva inizio la preparazione di-
retta al battesimo, che cominciava con la registrazione nell'elenco dei battez-
zandi (la cosiddetta nomendatio: cf Agostino, Con/ IX 6,14). Nelle ultime setti-
mane prima del battesimo gli electi erano tenuti ad osservare in maniera più in-
tensa il digiuno, la preghiera e le opere di penitenza. A ciò si aggiungevano co-
me riti specifici la consegna della professione di fede (traditio symboli) e del Pa-
ter noster, e la loro «restituzione» (redditio) davanti alla comunità riunita, riti
integrati da opportuni sermoni (sermones ad competentes). Nelle liturgie dome-
nicali si effettuavano inoltre particolari esorcismi, i cosiddetti scrutini (da scru-
tari), per l'esame di coscienza.
Originariamente solo dopo il battesimo, nella situazione ideale durante l'ot-
tava di Pasqua, si schiudevano i misteri e riti sacramentali del battesimo e del-
l'eucaristia attraverso le cosiddette catechesi mistagogiche [in analogia con i ri-
ti d'iniziazione ai misteri dell'.antica religione greca, n.d.t.]. Risultano istruttive,
368 X. Cristianità della Chiesa imperiale

al riguardo, le «Catechesi mistagogiche» giunte sotto il nome di Cirillo di Ge-


rusalemme, come anche le corrispondenti omelie di Ambrogio (De sacramentis;
il De mysteriis è una specie di manuale per neobattezzati). Teodoro di Mopsue-
stia (Sermones catech.) e Giovanni Crisostomo spiegavano i riti battesimali im-
mediatamente prima del battesimo.
Ma nel IV sec. si arrivò a fenomeni che rasentarono la crisi: il grande nu-
mero di candidati al battesimo determinò un sovraccarico per l'istituto del ca-
tecumenato e a lungo andare anche per il clero delle comunità (cf Giovanni Cri-
sostomo, Hom. Act. 46,3). D'altra parte, molti candidati non davano molta im-
portanza a tempi rapidi per il battesimo e rimanevano a lungo nel catecumena-
to. Nonostante il rinvio del battesimo essi erano considerati in pubblico come
cristiani (Cirillo di Gerusalemme, Cat. myst. 3,5) e come tali potevano anche
chiamarsi (Agostino, Tract. ]oh. 44,2; cf Conf VIII 6,14: Christianus quippe et fi-
delis erat). La spiegazione mistagogica dei sacramenti venne riservata sempre di
più agli« ambienti più elevati», al clero e ai monaci (cf già la catechesi eucari-
stica di Teodoro di Mopsuestia, come anche gli scritti di Dionigi l'Areopagita).
Con l'introduzione generalizzata del battesimo dei bambini scomparve il cate-
cumenato. La missione tardoantica e medievale presso i germani continuò a co-
noscerlo soltanto in una forma rudimentale o rinunciò del tutto a una prepara-
zione intensiva e liturgica al battesimo.

3. Battesimo e unzione

Il luogo per l'amministrazione del battesimo fu il battistero (originariamen-


te la vasca per le abluzioni nel frigidarium delle antiche terme). Il rito battesi-
male rimase nella sua struttura fondamentale sostanzialmente immutato
(cf § 22,2), ma venne organizzato in maniera diversa a seconda delle regioni.

Indicazioni si trovano nelle catechesi battesimali e mistagogiche di Cirillo di Gerusalemme,


Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Teodoro di Mopsuestia: il rito della rinuncia si sviluppò sim-
bolicamente e fu collegato in parte con una confessione di fede in Dio uno e trino (cf Giovanni
Crisostomo, Cirillo di Gerusalemme). A Milano si conobbe tra l'azione battesimale e la consegna
della veste candida il rito particolare della lavanda dei piedi. Ci furono differenze soprattutto nel-
le unzioni: oltre all'unzione esorcistica prebattesimale, comune a tutti, Cirillo ed Ambrogio, come
già Ippolito di Roma, testimoniano un'unzione postbattesimale. Crisostomo sembra aver cono-
sciuto soltanto due unzioni esorcistiche prebattesimali, come anche un «suggello» (con/irmatio,
consignatio) sulla fronte con il segno di croce; questo rito era usuale anche a Milano.

La liturgia battesimale romana pose le basi per un ulteriore sviluppo in oc-


cidente. Con il moltiplicarsi delle comunità il vescovo locale non fu più in gra-
do di battezzare personalmente tutti i cristiani. Già nel III sec. ci sono·indizi di
una separazione tra il battesimo e un'imposizione delle mani per conferire lo
§ 65. Battesimo e catecumenato 369

Spirito Santo; questa tendenza fu ulteriormente favorita dalla prassi del battesi-
mo dei bambini. Il papa Innocenzo I (402-417) riservò esclusivamente al vesco-
vo (Ep. 25 ,3) l'unzione postbattesimale della fronte. Questa prassi, affermatasi
anche in occidente solo lentamente, condusse a rendere autonoma la conferma-
zione, che in oriente, e fino ad oggi, non è mai esistita.

Accanto al «battesimo di sangue» (cf § 22,2) venne riconosciuto nella Chiesa latina anche
un «battesimo di desiderio» che procura egualmente la salvezza (Ambrogio, De obitu Valenti-
niani 5 3): « Lo ha lavato la sua pietà e volontà » (Hunc sua pietas abluit et voluntas; cf Agostino,
De baptismo IV 22,29).

4. Battesimo degli eretici

In quest'epoca non si arrivò più, malgrado la presenza di varie comunità cri-


stiane separate le une dalle altre, a una nuova controversia sul battesimo degli
eretici. Il sinodo di Arles, can. 9 (8) proibì ai nordafricani una generale ripeti-
zione del battesimo per i convertiti. Il concilio di Nicea, can. 19, pretese dai se-
guaci di Paolo di Samosata un secondo battesimo (cf invece can. 8). Agostino
lottò, soprattutto nella sua discussione con i donatisti, per una risoluzione dog-
matica. La sua dottrina divenne fondamentale per la distinzione tra un battesi-
mo valido e uno non valido. In genere, nel caso in cui un battesimo venne am-
ministrato secondo la prassi riconosciuta nella Chiesa (regula ecclesiastica; Ago-
stino, De unico bapt. 11,19), cioè con la formula giusta, esso venne riconosciuto
come valido. La Chiesa greca prestò attenzione non tanto alla formula di batte-
simo, quanto invece alla piena confessione di fede nella Trinità. Nel caso in cui
questa non c'era stata, essa richiedeva in una conversione un nuovo battesimo.
Una decisione definitiva venne formulata dal can. 95 del sinodo trullano del
691/692 (Hefele-Leclerq III 560ss.).

Bibliografia§ 65: E. FINK-DENDORFER, Conversio. Motive und Motivierung zur Bekehrung in


der Alten Kirche, Frankfurt/M. 1986; T. M. FINN, The Liturgy o/ Baptism in the Baptismal In-
structions o/ St. fohn Chrysostom, Washington 1967; T. M. FINN, Early Christian Baptism And the
Catechumenate: Italy, North Africa And Egypt, Collegeville 1992; V. GROSSI, La catechesi battesi-
male agli inizi del V secolo. Le fonti agostiniane, Roma 1993; U. GUENZEL, Die mystagogischen Ka-
techesen des Ambrosius van Mailand, Bonn 1989; C. ]ACOB, Zur Krise der Mystagogie in der Alten
Kirche, in ThPh 66 (1991), 75-89; A. KHATCHATRIAN, Les baptistères paléochrétiens. Plans, notices
et bibliographie, Paris 1962; W. NAGEL et al., Exorzismus, in TRE 10 (1982), 747-761; H. M. Rr-
LEY, Christian Initiation. A Comparative Study o/ the Interpretation o/ the Baptismal Liturgy in the
Mystagogical Writings o/ Cyril o/ Jerusalem, John Chrysostom, Theodore o/ Mopsuestia And Am-
brose o/ Milan, Washington 1974; G. WINKLER, Das Armenische Initiationsrituale, Roma 1982.
§ 65.1: M. ARRANZ, Les Sacraments dans l'ancien Euchologe constantinopolitain, II 1: Admis-
sion dans l'Église des convertis des hérésies ou d'autres religions non-chrétiennes, II 2: Admission
dans l'Église des en/ants, des /amilles chrétiennes, in OCP 49 (1983 ), 42-90; 284-302.
370 X. Cristianità della Chiesa imperiale

§ 65.2: G. KRETSCHMAR, Katechumenat/Katechumenen, I. Alte Kirche, in TRE 18 (1989), 1-


5; C. MUNIER, Rites d'onction, bapteme chrétien et bapteme de Jésus, in RevSR 64 (1990), 217-234;
B. V ARGHESE, Les onctions baptismales dans la tradition syrienne, Louvain 1989.
§ 65 .3: P. F. BEATRICE, La lavanda dei piedi. Contributo alla storia delle antiche liturgie cri-
stiane. Roma 1983; M. MACCARRONE, Uunité du bapteme et de la con/irmation dans la liturgie ro-
maine du IIIe au VII siècle, in« Istina » 31 (1986), 259-272.

§ 66. Il culto nella Chiesa imperiale.


Canto sacro e ore canoniche

Addai e Mari, Anaphora: B. D. SPINKS, t trad. ingl. e, Bramcote 1980.


Ambrogio,« Inni»: J. FONTAINE, t trad. frane. e, Paris 1992; M. SIMONETTI, t trad. it. 1988 (BPat 13).
Liturgia di Basilio: The Divine Liturgie o/ Our Father Among the Saints, Basi! the Great, t trad.
ingl., Brookline 1988.
Liturgia di Crisostomo; Liturgia di Basilio, F. VoN LILIENFELD, t trad. ted., Erlangen 1979 (Oiko-
nomia).
Liturgia di Crisostomo: The Divine Liturgy o/ Saint fohn Chrysostom, trad, ingl., Brookline 1985.
Liturgia di Giacomo [di Sarug, +521]: B.-C. MERCIER, t trad. lat., 1964 (PO 26,2).
Liturgia di Marco: G. J. CUMING, t trad. ingl., Roma 1990.

Corpus praefationum: E. MOELLER, 5 voll., 1980-1981 (CChr.SL 161).


Sacramentarium Gelasianum: L. C. MOHLBERG- L. EISENHOFER, t, Roma 198!3.
Sacramentarium Gregorianum: J. DESHUSSES, t, 1° vol. 1971, 1992 3; 2° vol. 1979 (Textes ... pour la
messe); 3° vol. 1982 (Textes complémentaires div.).

K. GAMBER, Liturgische Texte aus der Kirche Athiopiens, Regensburg 1984.


J. Mc KINNON (a cura di), Music in Early Christian Literature, trad. ingl. e, Cambridge 1987.

Le strutture liturgiche fondamentali che .~rano state tramandate furono ulte-


riormente elaborate nella Chiesa imperiale. Accanto alla funzione pubblica-giu-
ridica del culto divino per la salus publica, lasciarono traccia di sé nella storia del-
la liturgia anche le comunità che andavano crescendo nelle città e nelle campa-
gne, i cui rispettivi membri e chierici erano notevolmente differenti gli uni dagli
altri, e la crescente confessionalizzazione, soprattutto dopo il concilio di Efeso
(431) e quello di Calcedonia (451). Le liturgie dei vari gruppi e delle varie regio-
ni si resero sempre più autonome e si rinunciò anche a una lingua unitaria.

1. Differenze liturgiche nelle regioni orientali

Uno stile liturgico proprio fu creato dagli antichi capoluoghi ecclesiastici,


che poi cercarono di farlo accettare nei territori posti sotto la loro influenza.
§ 66. Il culto nella Chiesa imperiale. Canto sacro e ore canoniche 371

Fondamentale rimase la bipartizione tra liturgia della parola e liturgia eucaristi-


ca. Per le diverse liturgie orientali è caratteristico di volta in volta l'uso di de-
terminate «anafore» (dal greco anaphéro, «offro in alto»). In esse spetta una
particolare importanza alla preghiera dell' «epiclesi», con l'invocazione dello
Spirito Santo, e alla preghiera per la trasformazione delle offerte. L'eucaristia
venne intesa innanzitutto come mysterium: Giovanni Crisostomo parlava di« sa-
crificio tremendo», lo Pseudo-Dionigi di «terribile mistero». Essa venne con-
siderata conie figura della liturgia celeste e rappresentazione tipologico-mimeti-
ca della vita e dell'azione salvifica di Cristo. Per questo motivo essa si sviluppò
in modo drammatico-rituale secondo un cerimoniale altamente stilizzato. Clero
impegnato nell'azione liturgica e popolo spettatore risultarono rigorosamente
separati e lo spazio dell'altare venne sottratto allo sguardo.

Struttura fondamentale della liturgia orientale:


Apertura e liturgia della parola
Introito e saluto d'apertura
Letture e canti intercalari
Vangelo e omelia
Riti di congedo per i catecumeni
Preghiera comune
Bacio di pace

Liturgia eucaristica (=anafora in senso più ampio)


Offertorio (pre-anafora)
Preghiera eucaristica [Canone] (=anafora in senso più stretto)

Dialogo introduttivo

liturgia antiochena: liturgia alessandrina:


Preghiera di lode e di ringraziamento (I) Preghiera di lode e di ringraziamento
Intercessioni
Introduzione al Sanctus Introduzione al Sanctus
Sanctus Sanctus
Postsanctus (lode e ringraziamento II) Epiclesi/preghiera di benedizione (I)
Rievocazione dell'istituzione Rievocazione dell'istituzione
Anamnesi e preghiera sulle offerte Anamnesi e preghiera sulle offerte
Epiclesi Epiclesi (Il)
Intercessioni
Dossologia Dossologia

Saluto del celebrante


Pater noster
Sancta Sanctis
Comunione dei liturghi e del popolo
Ringraziamento
Congedo
372 X. Cristianità della Chiesa imperiale

a) LITURGIA ANTIOCHENA

Nel territorio ecclesiastico d'Antiochia si svilupparono due famiglie di


liturgie:
Le liturgie siriache occidentali si formarono soprattutto ad Antiochia e a
Gerusalemme. Esse sono note dagli scritti di Giovanni Crisostomo e di Teodo-
ro di Mopsuestia e dalle Costituzioni Apostoliche. La liturgia di Gerusalemme
è documentata da Cirillo di Gerusalemme e nella relazione del pellegrinaggio
(Peregrinatio ad loca sancta) di Aetheria [Eteria/Eucheria/Egeria]. Nel 451 la
Chiesa antiochena si scisse. La sua tradizione liturgica originaria fu proseguita
dai monofisiti (i giacobiti), che però adottarono la lingua siriaca. I seguaci del
concilio di Calcedonia (i cosiddetti melchiti) aderirono sempre di più, per quan-
to riguardava la liturgia, alla capitale dell'Impero.
Costantinopoli dovette originariamente la sua liturgia a quella siriaca occi-
dentale. Risultò fortemente influenzata, inoltre, dall'Asia Minore, dove Basilio
di Cesarea fu attivo anche nei tentativi di riforma liturgica. Ma le pretese della
capitale dell'Impero portarono all'elaborazione di una propria liturgia. Questo
rito bizantino è caratterizzato originariamente dalle due anafore che prendono
il nome da Basilio e da Giovanni Crisostomo, ma nel corso dei secoli venne sem-
pre più arricchito di riti (processioni con litanie, ecc.). Esso si diffuse ampia-
mente nell'Impero bizantino presso i melchiti della Siria e della Palestina (pri-
ma in lingua siriaca, poi in quella araba) e nell'evangelizzazione degli slavi ven-
ne tradotto in antico slavo.
La liturgia siriaca orientale si sviluppò nell'ambito del dominio persiano.
Dopo essere state originariamente sotto l'influenza di Antiochia e Gerusalem-
me, le Chiese di questo territorio si staccarono per motivi politici e confessionali
da Antiochia e Bisanzio. Esse rifiutarono la risoluzione dogmatica di Efeso (431)
e formarono una propria Chiesa nestoriana (cf §§ 54-55). Grazie alla loro in-
tensa attività missionaria, esse diffusero le loro forme liturgiche, che al confron-
to erano semplici e arcaiche, con ancora molti tratti della tradizione siriaco-pa-
lestinese, fin nell'Asia centrale, in India e in Cina.

b) LITURGIA ALESSANDRINA

Nella sfera d'influenza d'Alessandria ci fu una propria liturgia che fu nota


sotto il nome di san Marco, il presunto fondatore della Chiesa alessandrina. Non
è più possibile ricostruirne la forma originaria. Con il passaggio alla lingua li-
turgica copta l'anafora di Marco, tradotta e rielaborata, venne successivamente
tramandata come anafora di san Cirillo (d'Alessandria). La raccolta di preghie-
re liturgiche (euchologium) che ci è giunta sotto il nome del vescovo Serapione
di Tmuis (m. dopo il 362), non può essere considerata come documento uffi-
§ 66. Il culto nella Chiesa imperiale. Canto sacro e ore canoniche 373

ciale della liturgia alessandrina. Quando dopo il 451 la Chiesa egiziana divenne
in massima parte monofisita, le poche comunità calcedoniane si orientarono
verso la liturgia bizantina.
La Chiesa etiopica trovò il modo di arrivare, malgrado la sua dipendenza da
quella alessandrina, a una liturgia relativamente autonoma, influenzata in parte
da quella siriaca. Nella sua propria lingua, il ge' ez, essa adottò testi liturgici più
antichi e fu strettamente legata al giudaismo.
Associando i formulari liturgici a nomi di apostoli (per es.: anafora di Gia-
como, anafora di Marco), le Chiese dimostravano una continuità con gli inizi.
Su questa base, esse tramandarono anche testi più antichi, come nel caso del-
l'ordinamento ecclesiastico d'Ippolito (Traditio apostolica) o del Testamentum
Domini. In tutti e due i tentativi si rivela una tendenza alla continuità che è pro-
pria della liturgia.

2. La Chiesa occidentale e la sua liturgia

La liturgia della Chiesa occidentale venne celebrata a partire dal IV sec. in


lingua latina. Anche qui si formarono diverse famiglie liturgiche, quelle romano-
africane e quelle gallicane. L'Ordo gallicanus si diffuse in differenti forme parti-
colari regionali nelle chiese della Gallia, della Spagna, della Britannia e dell'Ir-
landa, ed anche dell' Italia settentrionale (Milano). Le due famiglie, somiglianti
nella struttura fondamentale, possono farsi derivare certamente da una comune
tradizione che si differenziò grazie a influssi regionali e orientali (per es. sulla li-
turgia della Gallia). Innovazioni nella liturgia gallicana influenzarono nel primo
medioevo i formulari romani e portarono alla forma romano-franca della liturgia.
La liturgia milanese adottò anche elementi romani (Ambrogio, De sacr. 3,1,5).
La liturgia romana fu caratterizzata dalla fine del IV sec. al VI soprattutto
dalla coscienza che di se stessi ebbero i vescovi romani (cf § 63). L'aspetto nor-
mativo della liturgia episcopale condusse a formulari fissi e immutabili. Il cano-
ne (la preghiera eucaristica) trovò allora la sua forma che per lungo tempo sa-
rebbe stata l'unica valida. Per la lettura delle Sacre Scritture venne stabilito un
proprio ordine di pericope. Si rinunciò ampiamente ad elementi poetici e su-
scettibili di drammatizzazione e si sviluppò il cerimoniale liturgico modellando-
lo su quello della corte.
Particolarmente imponenti erano a Roma le cosiddette liturgie stazionali: il
vescovo celebrava la liturgia in determinate chiese della città secondo un piano
prestabilito, per dimostrare in questo modo l'unità della comunità della capita-
le. Queste <<liturgie itineranti» del vescovo erano certamente usuali anche in
oriente; e da Roma esse furono riprese anche nelle maggiori città dell'occidente
(per es. a Tours, Metz e Strasburgo).
374 X. Cristianità della Chiesa imperiale

Strutturazioni e riforme della liturgia romana sono legate ai nomi di grandi vescovi romani: Da-
maso, Leone I, Gelasio I e Gregorio I, anche se non è possibile stabilire con esattezza la parte da es-
si avuta. I più antichi libri liturgici, i cosiddetti «sacramentari», portano i loro nomi: Sacramenta-
rium Gelasianum (la redazione più antica è del VII sec., mentre il cosiddetto «sacramentario gela-
siano recente» risale all'VIII secolo), Leonianum, o Sacr. Veronense (compilato con messali separati
del VI sec.), e Gregorianum (più precisamente: sacramentari gregoriani, tra i quali il cosiddetto Ha-
drianum, che sotto papa Adriano [772-795] venne mandato a Carlo Magno ad Aquisgrana). Secon-
do questi modelli l'ordinamento della liturgia papale doveva essere ripreso nelle rimanenti chiese di
Roma e d'Italia. I papi mostrarono la loro volontà di organizzare la liturgia anche nelle loro decre-
tali, che tentavano di far accettare la forma liturgica romana in altre Chiese (cf la lettera d'Innocen-
zo I a Decenzio di Gubbio). I cosiddetti Ordines Romani nacquero solo più tardi (dal VII sec.). Si
tratta di Cerimoniali nei quali viene descritto con esattezza lo svolgimento delle azioni liturgiche.

Mentre le preghiere, soprattutto le preghiere solenni (canoni), in oriente


erano normalmente formulate in forma completa e fissa, in occidente ci fu
un'intera serie di elementi intercambiabili. Il nucleo centrale del canone (Quam
oblationem) e le preghiere sulle offerte dopo la transustanziazione esistevano al-
la fine del IV sec. L'epiclesi, tipica della liturgia orientale, non è più chiaramen-
te riconoscibile. La transustanziazione avviene attraverso la parola, cioè rievo-
cando il racconto dell'istituzione (Ambrogio, De sacr. 4,5,21; Agostino, Sermo
227). L'intercessione per i vivi (Memento vivorum) e per i defunti (Memento
mortuorum) venne inserita prima e dopo la consacrazione. Inoltre, le invocazio-
ni ai santi vennero riprese in due preghiere certamente più antiche prima e do-
po la transustanziazione (Communicantes e Nobis quoque).
La «preghiera dei fedeli», che nelle liturgie orientali viene espressa in una
forma litanica, ebbe il suo posto anche nelle liturgie latine più antiche al termine
della liturgia della parola. Ma Gelasio I (492-496) pose questa litania d'interces-
sioni all'inizio della liturgia della parola (Deprecatio Gelasii). Ma dopo che le in-
tercessioni erano state inserite nel canone, la litania iniziale poté essere abbrevia-
ta nell'odierno Kyrie (Gregorio Magno). Il bacio di pace, che originariamente ve-
niva scambiato al termine della liturgia della parola, ricevette il suo posto nella li-
turgia romana prima della comunione, come testimoniano già Innocenzo I (Ep.
25 a Decenzio di Gubbio) ed Agostino (Sermo 227; Enarr. Ps. 124,10).

Struttura della celebrazione romana della messa:


Apertura
Introito
Invocazioni del Kyrie
Inno del Gloria
Preghiera conélusiva (Oratio prima, colleeta)
Liturgia della parola
Letture e canti intercalari (salmo, ritornello [graduale], alleluia)
Vangelo e omelia
Preghiera comune
§ 66. Il culto nella Chiesa imperiale. Canto sacro e ore canoniche 375

Celebrazione eucaristica
Offertorio
Preghiera conclusiva (preghiera sulle offerte)
Canone
Dialogo introduttivo
Prefazio con Sanctus
Preghiera di accettazione e benedizione (Te igitur)
Intercessione I (per la Chiesa, il papa, i vescovi, i vivi; e menzione dei santi)
Preghiera di accettazione (Rane igitur)
Prima epiclesi (Quam oblationem)
Rievocazione dell'istituzione
Anamnesi (unde et memores) con preghiera d'accettazione e seconda epiclesi
Intercessione II (menzione dei defunti, dei chierici in servizio, dei santi)
Acclamazioni conclusive di lode
Comunione
Frazione del pane e bacio di pace
Pater noster
Distribuzione della comunione
Conclusione: Preghiera sul popolo (oratio super populum)

3. Celebrazione eucaristica e comunione

L'unità originaria tra celebrazione eucaristica e comunione andò perduta


gradatamente nel corso del IV e del V sec. Cristiani ferventi, fedeli ali' antica
usanza della comunione frequente, si portavano il cibo eucaristico a casa per po-
tersi comunicare qui nei giorni nei quali non si celebrava la liturgia (Basilio, Ep.
93 ). Molti di coloro che frequentavano la liturgia, tuttavia, non partecipavano
più alla comunione.
Di questo fatto ebbero a lamentarsi i padri della Chiesa sia in oriente (per
es. Giovanni Crisostomo, Hom. Eph. 3,4; Hom. I Tim. 5,3; cf Giovanni Cassia-
no, Conl. Patrum 23,21), sia in occidente (per es. Ambrogio, De sacr. 5, 4, 25).
Il sinodo gallicano di Agde (506), can. 18, prescrisse che la la comunione si ri-
cevesse tre volte all'anno (Natale, Pasqua e Pentecoste). Come sempre, la co-
munione veniva impartita sotto le due specie: il pane consacrato veniva dato nel-
la mano, il vino consacrato si beveva dal calice. Nelle liturgie orientali si svi-
luppò, come sostituzione della comunione, la distribuzione degli eulogia (anti-
doron): pane benedetto che veniva distribuito al termine della celebrazione eu-
caristica. In occidente questa usanza divenne, a partire dal VI sec., soprattutto
una particolarità della Chiesa franca.
Per la celebrazione eucaristica ci furono varie denominazioni: frazione del
pane, cena del Signore, eucaristia, liturgia, in oriente anche anafora per indica-
re l'intera celebrazione, e inoltre sinassi, sacrificio, offerta. In latino s'impose dal
V sec. il nome missa (messa), che soppiantò tutti gli altri usati fino al passato più
376 X. Cristianità della Chiesa impen'ale

recente. Nel suo significato fondamentale la parola significa «congedo» (missio,


dimissio): dai riti di congedo dei catecumeni (missa catechumenorum) e di tutti
gli altri partecipanti alla liturgia (missa fidelium) il nome passò all'intera cele-
brazione.
Come nei tempi più antichi la Domenica rimase il giorno preferito per la li-
turgia eucaristica. A questo giorno si aggiunsero i cosiddetti «giorni stazionali»
(i giorni di digiuno, Mercoledì e Venerdì). In oriente la liturgia venne celebrata
spesso anche il Sabato, che veniva considerato giorno semifestivo (cf § 68,1).
Una celebrazlme quotidiana è difficilmente dimostrabile. In Nordafrica essa fu
usuale, forse, al tempo di Agostino, e altrettanto a Milano sotto il vescovo Am-
brogio. Accanto alla celebrazione collettiva della comunità nei giorni stabiliti ci
fu la celebrazione in cerchie più ristrette, la celebrazione nei luoghi sacri in oc-
casione di un pellegrinaggio (cf la relazione di Aetheria), la celebrazione in ono-
re di santi e sante martiri, ed anche per i defunti.

4. Predicazione

Alla liturgia della comunità apparteneva anche la predicazione, che divenne


con i grandi oratori, secondo l'uso del tempo, una manifestazione di arte retori-
ca. Essa fu soprattutto compito dei vescovi, che parlavano alle loro comunità
nella celebrazione eucaristica, ma anche in specifiche liturgie della parola. I.: o-
melia era una spiegazione della Scrittura che partiva dalla pericope liturgica o
da una lettura continua della Bibbia. Ne costituivano il tema anche particolari
occasioni ed avvenimenti, come soprattutto le feste di santi e sante martiri. Nel-
l'annuncio della fede si supponeva negli ascoltatori una certa conoscenza di al-
ta teologia (cf i Discorsi teologici di Gregorio di Nazianzo, le Omelie sul Cantico
dei Cantici di Gregorio di Nissa, i Sermoni di Agostino su Giovanni, sui Salmi,
ecc.). Poiché la fede doveva essere vissuta in questo mondo, la predicazione era
spesso anche moraleggiante, preoccupata di formare una società modellata in
senso cristiano: giustizia sociale («ricchi e poveri»), matrimonio e famiglia, la
mania di frequentare i teatri e le follie della moda erano i temi preferiti. Si era
molto esigenti, qui, nei confronti degli ascoltatori, che seguivano le esposizioni
spesso lunghe degli oratori con applausi, ma anche con manifestazioni d'irrita-
zione. I.: ostinata rozzezza delle comunità richiedeva d'altra parte, nei predica-
tori e nei pastori, una pazienza infinita.
Esemplari per la produzione omiletica dell'epoca dei Padri risultano le ri-
spettive opere di Basilio Magno, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, co-
me anche di Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Agostino, Pietro Crisologo, Leo-
ne Magno e Cesario di Arles. Ci sono pervenute dal IV e dal V secolo (fino a
Calcedonia) circa tremila prediche, che vanno' distribuite per altro tra circa tren-
§ 66. Il culto nella Chiesa imperiale. Canto sacro e ore canoniche 377

ta autori, e di esse più della metà appartengono a Giovanni Crisostomo e ad·


Agostino. I grandi predicatori svilupparono anche una teoria sul valore delle
prediche (per es., Ilario di Poitiers, Tract. Ps. 13,l; Agostino, De doctrina chri-
stiana IV; Giovanni Crisostomo, De sacerdotio V).
Essi si basarono sull'antica retorica, senza darle valore assoluto: l'eloquenza
senza una corrispondente condotta di vita sarebbe priva di valore, la saggezza
sarebbe più importante della capacità retorica. Obiettivo supremo dovrebbe es-
sere la chiarezza e la semplicità, dato che l'argomento in se stesso della predica
dovrebbe essere già abbastanza impegnativo. La predica dovrebbe istruire, e.in
tal modo piacere e spingere a una nuova condotta di vita .

.5. Musica sacra


Alla liturgia del cristianesimo primitivo appartennero semplici inni da can-
tare o da recitare. Quanto viene detto in E/ 5,19 e Col 3,16 è servito spesso co-
me argomentazione fondamentale per il canto liturgico, che non ha trovato nel-
la Chiesa un diritto di cittadinanza incontestato. La liturgia orientale precedet-
te quella occidentale: la letteratura orientale fu creativa nell'innologia (Bardèsa-
ne, cf § 30,3; Efrem il Siro, cf § 75,8; in lingua greca: Romano «il Melode», cf
§ 77 ,4). L'innologia latina ebbe inizio con Ilario di Poitiers e Ambrogio di Mila-
no. Il vescovo milanese fu tra i promotori più importanti del canto liturgico
(Agostino, Con/ IX 7,15 secundum morem orientalium). Sotto il suo influsso
Agostino acconsentì ad accettare il canto nella liturgia.
Un ruolo importante spettò nella liturgia al primo cantore (psalmista, can-
tar), che ottenne una propria autonomia rispetto al gruppo di coloro che nella
liturgia recitavano le letture, con un insediamento nel proprio ufficio che avve-
niva in parte attraverso una specifica consacrazione (Const. apost. 111,3; cf Sta-
tuta ecci. antiqua, can. 98: insediamento da parte dei presbiteri).
Con l'ulteriore sviluppo del canto liturgico si rese necessario uno speciale
gruppo di cantori (schola cantorum). Gregorio Magno tolse ai diaconi il ruolo di
cantori e lo assegnò ai chierici di grado inferiore (Roma, sinodo del 595; cf Ep.
V 57 ,1). Il suo nuovo ordinamento liturgico si estese anche alle parti cantate del-
la liturgia. Di qui il tipo di canto romano che prese il nome dal papa Gtegorio
(cantus Gregorianus, choralis). Una vera e propria Schola cantorum nacque a Ro-
ma certamente solo più tardi.

6. Ore canoniche

Le ore canoniche divennero la più importante liturgia accanto alla celebra-


zione eucaristica. La loro origine si colloca nella prassi giudaica della preghiera
378 X. Cristianità della Chiesa imperiale

in determinate ore del giorno, che venne ripresa dalle prime comunità cristiane
(cf § 26,3 ). La libertà e la varietà che inizialmente caratterizzarono questa pre-
ghiera lasciarono il posto infine a un ordine fisso per i tempi delle preghiere che
si recitavano in comune: inni, salmi, letture scritturistiche e orazioni. La Sacra
Scrittura poteva essere spiegata in un'om,elia vera e propria: normalmente veni-
vano lette spiegazioni scritte già disponibili. I tempi preferiti per la preghiera
erano il mattino e la sera. La santificazione della notte attraverso la preghiera era
assegnata prevalentemente alla pietà privata. Soltanto per la preparazione alle
feste maggiori c'era una comune liturgia notturna (vigilia); anche anche i tempi
tradizionali di preghiera durante il giorno (ora terza, sesta e nona) vennero con-
siderati inizialmente solo come preghiera privata.
Nel IV sec. ebbe inizio un nuovo sviluppo. Le ore canoniche diventarono
un dovere del clero e ricevettero nelle singole Chiese locali un loro ordine (cur-
sus) fisso. La comunità veniva invitata a partecipare, come testimoniano Ilario,
Ambrogio e Agostino. Per le ore canoniche a Gerusalemme ci offre una chiara ·
rappresentazione la pellegrina Aetheria. Un aumento delle vigilie è dimostrato
per l'oriente, ma è accertabile, attraverso Ambrogio, anche a Milano (De virgi-
nitate 19,126).
Nello stesso tempo il monachesimo stabilì l'ordine delle sue ore canoniche.
Esso aumentò i tempi di preghiera per il giorno e prescrisse rigorosamente an-
che i tempi della preghiera notturna. Contemporaneamente i singoli monasteri
si crearono il loro proprio cursus. A poco a poco si assimilò l'ordinamento ec-
clesiastico (il cosiddetto ordinamento cattedrale) a quello monastico. Lo scam-
bio tra i due cursus portò tuttavia a una riduzione delle ore canoniche nelle chie-
se della comunità: soltanto nelle chiese vescovili e in quelle con un gran nume-
ro di chierici era possibile recitare tutte le ore canoniche.
Dal VI sec. fa parte dell'ufficio notturno, la Domenica e i giorni festivi, l'inno di lode, di rin-
graziamento e di supplica rappresentato dal Te Deum laudamus (Cesario di Arles, Reg. virg. 69;
Regula Benedicti 11,8). L'inno trovò presto accoglienza nella preghiera ecclesiastica al di fuori del-
l'ufficio divino e divenne nella liturgia romana un testo classico pro gratiarum actione, a lode e rin-
graziamento di Dio. Esso venne falsamente attribuito ad Ambrogio(« inno di lode ambrosiano»). La
paternità non è stata ancora accertata; le sue origini potrebbero essere collocate nella Gallia Meri-
dionale, in Nordafrica o anche in Spagna. Il testo risulta forse da frammenti più antichi messi insieme.

Bibliografia § 66: ]. F. BALDOVIN, The Urban Character o/ Christian Worship. The Origins,
Development, And Meaning o/ Stational Liturgy, Roma 1987; R. DEICHGRABER - S. G. HALL,
Formeln, Liturgische, in TRE 11 (1983), 256-265; J. P. MONTMINY, La participation des laics à
l'Eucharistie du IIIe au !Ve siècle, in ScEc 19 (1967), 351-372; T. J. TALLEY, Von der Berakah zur
Eucharistia. Das eucharistische Hochgebet der alten Kirche in neuerer Forschung. Ergebnisse und
Fragen, in LJ 26 (1976), 93-115.
§ 66.1: H. BRAKMANN, Der Gottesdienst der ostlichen Kirchen, in ALW 20 (1988), 303-410;
H. BRAKMANN, Synaxis katholikae in Alexandreia. Zur Verbreitung des christlichen Stationsgotte-
sdienstes, in JAC 30 (1987), 74-89; T. ELAVANAL, The Memoria! Celebration. A Theological Study
§ 66. Il culto nella Chiesa imperiale. Canto sacro e ore canoniche 379

o/ the Anaphora o/ the Apostles Mar Addai And Mari, Kottayam 1989; J. R. FENWICK, The Anapho-
ras o/ St. Basi! And St.James. An Investigation Inta Their Common Origin, Roma 1992; K. FIT-
SCHEN, Serapion van Thmuis. Echte und unechte Schri/ten sowie Zeugnisse des Athanasius und an-
derer, Berlin/New York 1992; K. GAMBER, Der altgallikanische Messritus als Abbild himmlischer
Liturgie, Regensburg 1984; K. GAMBER, Die Mej3/eier nach altgallikanischen Ritus. Anhand der
erhaltenen Dokumente dargestellt, Regensburg 1984; K. GAMBER, Die Epiklese im abendll:indischen
Eucharistiegebet, Regensburg 1988; J. GODART, Traditions anciennes de la grand prière eucharisti-
que. 1: La tradition syrienne occidentale, 2: La tradition syrienne orientale, 3: La tradition d'A-
lexandrie, in QLP 47 (1966), 248-278; 48 (1967), 9-36; 198-218; A. JACOB, Histoire du formulaire
grec de la lt'turgie de saint Jean Chrysostome, Louvain 1968; G. KHouRI-SARKIS, L'origine syrienne
de l'anaphore byzantine de saint ]ean Chrysostome, in« L'orient syrien » 7 (1962), 3-68; G. KRET-
SCHMAR, Die friihe Geschichte der ]erusalemer Liturgie, in JLH 2 (1956), 22-46; E. LANNE, Les
anaphores eucharistiques de saz'nt Basile et la communauté ecclésiale, in« Iren » 55 (1982), 307-331;
E. MAZZA, La struttura dell'Anafora nelle Catechesi di Teodoro di Mopsuestia, in EL 102 (1988),
147-183; M. METZGER, La liturgie eucharistique selon !es Constitutions Apostoliques, 2 voli., StraB-
burg 1968; M. METZGER, Les deux prières eucharistiques des Constitutions Apostoliques, in RevSR
45 (1971), 52-77; P. G. T. PANIKER, Die theologische Bedeutung der Epiklese in der syro-antioche-
nischen bzw malankanischen Liturgie, in OKS 42 (1993), 19-35; F. VAN DE PAVERD, Zur Geschi-
chte der Mej3liturgie in Antiocheia und Konstantinopel gegen Ende des 4, Jahrhunderts. Analyse der
Quellen beifohannes Chrisostomus, Roma 1970; F. VAN DE PAVERD, Anaphoral Intercessions, Epi-
clesis And Communion Rites in fohn Chrysostom, in OCP 49 (1983 ), 303-339; M. H. SHEPHERD,
The Formation And Influence o/ the Antiochene Liturgy, in DOP 15 (1961), 23-44; B. D. SPINKS,
Eucharistic Of/ering in the East Syrian Anaphoras, in OCP 50 (1984), 347-371; A. TARBY, La priè-
re eucharistique del' église de Jérusalem, Paris 1972; G. WAGNER, Der Ursprung der Chrysostomos-
liturgie, Miinster 1973; C. WALTER, Art And Ritual o/ the Byzantine Church, London 1982;
J. WILKINSON, ]ewish Influences on the Early Christian Rite o/Jerusalem, in «Muséon» 92 (1979),
347-359; P. YOUSIF, A Classi/ied Biblzògraphy on the East Syrian Liturgy, Roma 1990; P. YousIF,
I:Eucharistie chez saint Ephrem de Nisibe, Roma 1984.
§ 66.2: J. BEUMER, Die à'ltesten Zeugnisse fiir die romische Eucharistie/eier bei Ambrosius van
Mazland, in ZKTh 95 (1973), 311-324; P. BORELLA, Il rito ambrosiano, Brescia 1964; P. DE
CLERCK, La prière universelle dans le liturgies latines anciennes, Miinster 1977; J. FONTAINE, Les
origines de l'hymnodie chrétienne latine. D'Hilaire de Poz'tiers à Ambroise, in« La Maison-Dieu »
161 (1985), 33-74; K. GAMBER, Missa Romensis. Bez'triige zur friihen romischen Liturgie und zu
abendliindische Evangelien-Perikopenliste, vermutlich van Bischo/ Fortunatianus van Aquile/a, in
MTHhZ 13 (1962), 180-201; J. A. JUNGMANN, Missarum Sollemnia. Bine genetische Erklà'rung der
romischen Messe, Wien/Freiburg/Basel 1962 5; E. MAZZA, Alle origini del Canone romano, in es
13 (1992), 1-46; A. ZWINGGI, Die /ortlau/ende Schriftlesung im Gottesdienst bei Augustinus, in LJ
20 (1970), 92-113; 129-140.
§ 66.3: D. CALLAM, The Frequency o/Mass in the Latin Church ca. 400, in TS 45 (1984), 613-
650; P. NAUTIN, Le rite du fermentum dans les églises urbaz'nes de Rame, in EL 96 (1982), 510-522.
§ 66.4: A. CAMERON, Christianity And the Rhetoric o/ Empire. The Development o/ Christian
Discourse, Berkeley 1991; D. G. HUNTER (a cura di), Preaching in the Patristic Age (FS [scritti in
onore di] J. Burghardt), New York 1989; A. OLIVAR, La duraczon de la predicaci6n antiqua, in «Li-
turgica» 3 (1966), 143-184; A. OLIVAR, Preparaci6n e improvisaci6n en la predicaci6n patristica, in
P. Granfield et al. (a cura di), Kyriakon (FS [scritti in onore di] J. Quasten), vol. 2, Miinster 1970,
736-767; P. PRESTEL, Die Rezeption der ciceronischen Rhetorik durch Augustinus in De doctrina
christiana, Frankfurt 1992; R. C. WoRLEY, Preaching And Teaching in the Earliest Church, Phila-
delphia 1967.
§ 66.5: H. BECKER- R. KACZVNSKI (a cura di), Liturgie und Dichtung, St. Ottilien 1983, 209-
380 X. Cristianità della Chiesa imperiale

546; F. ]. DòLGER, Sol salutis. Gebet und Gesang im christlichen Altertum. Mit besonderer Riick-
sz"cht auf die Ostung in Gebet und Liturgie, Miinster 19252 ; K. G. FELLERER et al. (a cura di), Ge-
schichte der katholischen Kirchenmusik I: Von den Anfà"ngen bis zum Tridentinum, Kassel 1972; E.
FOLEY, Foundations of Christian Music. The Music of Pre-Constantinian Christianity, Bramcote
1992; P. JEFFERY, The Introduction of Psalmody Inta the Roman Mass by Pope Celestine I (422-
432), in ALW 26 (1984), 147-165; M. LATTKE, Hymnus. Materialien zu einer Geschichte der an-
tiken Hymnologie, Freiburg/Schw. 1991; H. LEEB, Die Gesange im Gemeindegottesdienst von Je-
rusalem (vom 5. bis 8. Jahrhundert), Wien 1970; J. QUASTEN, Musik und Gesang in den Kulten der
heidnischen Antike und christlichen Friihzeit, Miinster 1973 2; H. VAN DER WERF, The Emergence
of Gregorian Chant. A Comparative Study ofAmbrosian, Roman And Gregorian Chant, 2 voli., Ro-
chester/New York 1983; E. WERNER, The Sacred Bridge, voi. 2: The Interdependance of Liturgy
And Music in Synagogue And Church During the First Millenium, New York 1984.
§ 66.6: P. F. BRADSHAW, Daily Prayer in the Early Church. A Study ofthe Origin And Early De-
velopment of the Divine Office, London 1981; C. W. DUGMORE, The Influence of the Synagogue
Upon the Divine Office, London 1964; J. FONTAINE, ]}appor! de la tradition poétique romaine à la
formation de l'hymnodie latine chrétienne, in REL 52 (1974), 318-355; A. FRANZ, Die Tagzeitenli-
turgie der Mailà"nder Kirche im 4. Jahrhundert. Ein Beitrag zur Geschichte des Kathedralof/iziums
im Westen, in ALW 34 (1992), 23-83; H. LEEB, Die Psalmodie bei Ambrosius, Wien 1967;
R. TAFT, The Liturgy ofthe Hours in East And West. The Origins of the Divine Office And Its Mea-
ning for Today, Collegeville 1985.

§ 67. La disciplina penitenziale

Ambrogio, De paen.: R. GRYSON, t trad. frane., 1971(SC179).


Agostino,« Testi sulla penitenza»: B. POSCHMANN, t, 1934 (FlorPatr 38).

L. BIELER, The Irish Penitentials, Dublin 1963.

La Chiesa cattolica del periodo imperiale si attenne alla precedente prassi


penitenziale (§ 24), secondo la quale i peccati gravi (peccata mortalia, scelera)
erano soggetti alla penitenza ecclesiastica pubblica, mentre a quelli più leggeri
(peccata venalia) veniva promesso il perdono attraverso opere pie (preghiera, co-
mune professione pubblica di fede, elemosina, opere di penitenza, ecc.).

1. La penitenza pubblica

La penitenza ecclesiastica pubblica rimase un atto unico (Sicut unum bapti-


sma, ita una paenitentia, «come c'è un solo battesimo, così c'è una sola peniten-
za», Ambrogio, De paen. II 10,95). Ma non risultava esattamente stabilito qua-
le «peccato grave» richiedesse la penitenza pubblica. La classica triade (idola-
tria, omicidio, adulterio) venne in parte ampliata: eresia, scisma, pratiche paga-
§ 67. La disciplina penitenziale 381

ne, furto, frode ecc. In quale misura non fosse omogena e addirittura contrad-
dittoria l'enumerazione dei peccati soggetti alla penitenza ecclesiastica, lo di-
mostrano i canoni penitenziali dei sinodi di Ancira (314), N eocesarea (314/3 25)
e Nicea, le direttive pratiche nelle cosiddette «lettere canoniche» (per es. di Ba-
silio Magno) e i «cataloghi di peccati» nelle prediche (per es. di Cesario di Ar-
les, Sermo 179). Decisioni sinodali e lettere di papi e vescovi regolamentarono la
procedura penitenziale e fissarono le opere di penitenza nei loro canoni (« pe-
nitenza canonica»).
L'esecuzione della penitenza si differenziò nel IV secolo. La penitenza ec-
clesiastica era un atto pubblico per il quale era competente il vescovo: «Questo
diritto è riservato soltanto ai vescovi» (cf Ambrogio, De paen. I 2 7: ius hoc so-
lis permissum sacerdotibus). L'atto penitenziale cominciava con la dichiarazione
delle proprie colpe davanti al vescovo, che doveva avvenire certamente in ma-
niera spontanea, ma poteva essere anche determinata dalla pressione della co-
munità o da una delazione. A ciò seguiva, talvolta solo dopo un periodo di pro-
va piuttosto lungo, l'inserimento nella categoria dei penitenti (ordo paeniten-
tium) per il periodo stabilito di penitenza; ciò comportava una parziale esclu-
sione dalla comunità («scomunica»). In questo periodo i penitenti compivano
le opere individuali di penitenza e sperimentavano nella liturgia la partecipazio-
ne orante della comunità. Con riguardo alla rispettiva collocazione nella cele-
brazione liturgica, in oriente si divise il tempo destinato alla penitenza in mo-
menti distinti. In che modo si siano costituite queste diverse classi di penitenti
non è più possibile ricostruirlo con esattezza. Qualche accenno si trova già nel-
1'Epistula canonica di Gregorio Taumaturgo (metà del III sec.). Il sinodo di An-
cira (314; cann. 4-9) conosce quattro classi di penitenti: i piangenti, gli ammes-
si all'ascolto, i costretti a giacere e quelli che possono stare in piedi insieme agli
altri fedeli (cf anche Basilio, Ep. 199,22; Ep. 217 ,56). L'ulteriore sviluppo di que-
ste classi o gradi di penitenti e la rispettiva organizzazione liturgica appartengo-
no a tempi successivi. La Chiesa latina non sembra aver contribuito allo svilup-
po dei gradi di penitenza. Essa conobbe, a quanto ci risulta, soltanto la suddivi-
sione in penitenti che chiedono la penitenza (paenitentiam petentes) e penitenti
veri e propri (proprie paenitentes; cf Tertulliano, De pud. 5,14).
Per quanto riguarda l'aspetto pubblico della penitenza, tra oriente e occi-
dente non ci fu inizialmente molta differenza. Sappiamo, tuttavia, che nel 391 a
Costantinopoli il vescovo Nectario rinunciò a imporre la penitenza ecclesiastica
pubblica e lasciò la pratica della penitenza alla decisione del singolo (Socrate, H.
E. V 19). L'esempio della capitale dell'Impero influì sul resto della Chiesa in mo-
do tale che in oriente la penitenza ecclesiastica pubblica a poco a poco scom-
parve (Sozomeno, H. E. VII 16,7-9). Ma anche qui continuarono ad esserci l'as-
sistenza ai penitenti, giustificata da Origene per i suoi effetti salutari ed educa-
tivi, e la remissione dei peccati, una pratica che fu curata e diffusa soprattutto
382 X. Cristianità della Chiesa imperiale

dal monachesimo. Tale pratica coinvolse anche pii ambienti ecclesiastici, che ri-
chiesero l'assistenza di monaci stimati come direttori spirituali e confessori.
La Chiesa occidentale pet;sistette più a lungo nella penitenza ecclesiastica
pubblica. Essa diede forma liturgica ai momenti destinati alla penitenza e creò
suggestivi riti penitenziali. Ai fedeli ammessi nella categoria dei penitenti (ardo
paenitentium) veniva riservato in chiesa un proprio posto. Gli obblighi peniten-
ziali incidevano profondamente nella vita privata. Modello ideale per i peniten-
ti era la vita ascetica/monastica. Essi indossavano il cilicio [cioè l'indumento o la
cintura di panno ruvido che si portavano sulla pelle nuda per penitenza, n.d.t.]
ed erano soggetti a restrizioni di diritto pubblico. Le persone sposate dovevano
rinunciare ai rapporti coniugali. Le discriminazioni fecero perdere all'istituto
della penitenza pubblica la sua efficacia, tanto più che la penitenza ecclesiastica
poteva avere conseguenze durature anche dopo la riconciliazione (divieto di
nozze, proibizione di accedere a determinate professioni, di entrare nello stato
clericale, ecc.). La penitenza si protraeva quindi fin sul letto di morte.

2. Espedienti pastorali

Questi sviluppi negativi richiesero una reazione pastorale. Agostino voleva


che la penitenza pubblica si sapesse inflitta soltanto in caso di colpa pubblica-
mente conosciuta: «Il male deve morire dove ha avuto luogo» (Sermo 82,8).
Conseguentemente, si limitò la penitenza ecclesiastica alle colpe che erano og-
getto di condanna da parte dei tribunali civili. Il papa Leone I cancellò la con-
fessione pubblica dalla prassi penitenziale (Ep. 168,2 del 459). Peccatori di gio-
vane età non erano ammessi alla penitenza pubblica (Sinodo di Agde [506], can.
15; Cesario di Arles, Sermol79).
Una confessione sacramentale privata non fu conosciuta dalla Chiesa antica.
Non se ne trova testimonianza neppure presso Agostino, che però raccomandò
senz'altro la correctio privata/secreta, la penitenza volontaria, nella speranza del
perdono di Dio. La penitenza era per lui sempre possibile e necessaria (Ep.
142,7), ed anzi senza di essa la Chiesa non era all'altezza del suo compito: «Al-
la penitenza, alla confessio e alla remissio peccatorum, la Chiesa deve la sua esi-
stenza sulla terra» (Ench. 17 [64]).
A questa pietà penitenziale apparteneva anche la cosiddetta « penitenza dei conversi »: la pe-
nitenza ecclesiastica veniva sostituita dalla decisione spontanea e pubblicamente dichiarata per
una vita ascetica (vita religiosa) (Gennadio di Marsiglia, De ecci. dogm. 53). Chi si convertiva (con-
versus) a questa penitenza per tutta la vita riceveva all'inizio la benedictio paenitentiae, la benedi-
zione della penitenza (Sinodo di Agde [506], can. 44; Epaon [507], can. 21 ecc.).

I popoli germanici di più recente conversione non accolsero la pratica della


penitenza pubblica. Essi conobbero attraverso i monaci irlandesi la penitenza
§ 68. Tempi festivi e giorni di digiuno nella Chiesa 383

privata e la confessione privata ripetibile, in cui confessione dei peccati e asso-


luzione erano congiunte l'una ali' altra e a ogni tipo di colpa corrispondeva una
determinata pratica penitenziale (soprattutto il digiuno).
Originariamente anche i chierici furono assoggettati alla pratica penitenziale ecclesiastica.
Ma nel IV sec. ci furono delle innovazioni. Da una parte, si ebbero inasprimenti: al chierico col-
pevole di peccato grave venne negata la penitenza ecclesiastica (Siricio, Ep. I 7; Leone I, Ep.
167,2); dall'altra, la destituzione dall'ufficio venne considerata punizione sufficiente, che non ri-
chiedeva ulteriori opere di penitenza (Basilio, Ep. 188,3). Se è notorio il trattamento particolare
del peccato commeso da chierici, la penitenza ad essi inflitta non risulta, invece, applicata in ma-
niera univoca (per es. Basilio, Ep. 188.3: Agostino, Ep. 185, 10, 45; Sozomeno, H. E. VI 25; Sino-
do di Toledo [400], can. 4 ecc.).

Bibliografia§ 67: A.-M. la BONNARDIÈRE, Pénitence et réconciliation des pénitents d'àpres St.
Augustin, in REAug 13 (1967), 31-52, 249-283; 14 (1968), 181-204; K. DoOLEY, From Penance to
Confession; the Celtic Contribution, in « Bijdragen » 43 (1982), 390-411; B. Jumc, Pénitence pu-
blique, pénitence privée et aveu chez Grégoire le Grand (590-604), in B. Judic et al. (a cura di), Pra-
tiques de la con/ession. Des pères du désert à Vatican II. Quinze etudes d'histoire, Paris 1983, 41-51;
J. A. }UNGMANN, Die lateinischen Buffriten in ihrer geschichtlichen Entwicklung, lnnsbruck 1932;
A. M. TRJACCA, La prassi liturgico-penitenziale alle soglie del IV secolo: Parola di Dio, pastorale e
catechesi patristica, in EL 97 (1983), 283-328. C. VoGEL, Le pecheur et la pénitence dans l'Église
ancienne, Paris 1966; H. VORGRJMMLER, Bu/5e und Krankensalbung, Freiburg 1978 (HDG IV 3 ).

§ 68. Tempi festivi e giorni di digiuno nella Chiesa

Atanasio, Ep. pasch.: P. MERENDINO, trad. ted., Diisseldorf 1965. Ep. pasch .. 10: R. LORENZ, t trad.
ted. e, Berlin 1986 (ZNWBeih. 49).
Agostino, Hom Pasch.: S. POQUE, t trad. frane. e, 1966 (SC 116).
«Omelie per l'anno liturgico»: M. S. MULDOWNEY, TRAD. INGL. 1959 (FaCh 38): T.C. LAWLER,
trad. ingl., 1963 (ACW 15).
Gregorio di Nissa, De tridui inter mortem et resurrectionem ... spatio: H. R. DROBNER, trad. ted.,
e, Leiden 1982.

Omelie pasquali: P. NAUTIN - F. FLOERJ, t trad. frane e, 3 voli., 1950-1957 (SC 27; 36; 48).
Esichio di Gerusalemme et al., Hom. pasch.: M. AUBINEAU, t trad. frane e, 1972 (SC 187).
Testi sulla data di Pasqua: B. KRUSCH, Studien zur christlich-mittelalterlichen Chronologie, 2 voli.,
Leipzig/Berlin 1880/1938; A. STROBEL, Texte zur Geschichte des /riihchristlichen Osterkalen-
ders, Miinster 1984; E. SCHWARTZ, Christliche undjiidische Osterta/eln, Berlin 1905.

1. Santificazione della Domenica


La festa cristiana (la Domenica, Pasqua e i giorni di commemorazione di
santi e sante martiri) non ebbe in epoca precostantiniana un carattere pubblico.
384 X. Cristianità della Chiesa imperiale

Tuttavia, già nel 321 l'imperatore Costantino stabilì la Domenica (dies solis) co-
me giorno di riposo, che doveva essere libero da dibattiti giudiziari, dall'attività
politica e dall'attività lavorativa. Si poteva eseguire soltanto il necessario lavoro
campestre (CTh III 12,2). Le leggi imperiali sulla Domenica dovevano rendere
tutti gli uomini adoratori di Dio (cultores Dei) (Eusebio, Vita Const. IV 18-30).
La successiva legislazione imperiale rimase su questa linea. Gli imperatori Va-
lentiniano II, Teodosio I ed Arcadio proibirono di Domenica giochi del circo e
rappresentazioni pubbliche (CTh II 8,20). Teodosio II estese questi limiti ai
giorni festivi tra Pasqua e Pentecoste. Dalla fine del IV secolo venne proibito nei
giorni festivi anche il lavoro dei campi (sinodo di Laodicea [ca. 380], can. 29
ecc.). Legislazione statale ed ecclesiastica fissarono la Domenica come giorno di
riposo e per la celebrazione della liturgia comune (sinodo d'Elvira, can. 21).

Il Sabato divenne nel IV sec., in oriente, una specie di giorno semifestivo


con una propria liturgia; Gregorio di Nissa lo chiama «fratello della Domeni-
ca» (Adversus eos qui castigationes aegreferunt; PG 46, 309, cfRordorf, Nr. 52).
Le Cost. Apost. difesero il Sabato come «giorno commemorativo della creazio-
ne» e proibirono il digiuno (VII 36,l; VIII 47,64; cf sinodo di Costantinopoli
[691/692, cosiddetto «trullano »], can. 55). In occidente divenne tuttavia gior-
no di digiuno, suscitando polemiche da parte dei Padri orientali. Ma la celebra-
zione del Sabato incontrò resistenze anche in oriente e venne rifiutato come
«giudaizzante» (sinodo di Laodicea, can. 29). Liturgie cristiane in giorno di Sa-
bato non sono più documentate dopo il V sec.

2. Ciclo liturgico di Natale

Oltre alla Domenica e alla celebrazione annuale della Pasqua i cristiani co-
minciarono a costellare il corso dell'anno di feste e a organizzare il calendario in
una prospettiva cristiana. Non si può non rilevare, in questo, una volontà mis-
sionaria-pastorale di influire sulla vita pubblica. Tra le nuove feste si deve an-
noverare innanzitutto il giorno commemorativo della nascita del Signore. La fe-
sta di Natale il 25 dicembre si trova sicuramente testimoniata per la prima vol-
ta nel Cronografo romano del 354 In tal modo l'antico Dies natalis solis invic-
ti era diventato un giorno festivo cristiano (cfla spiegazione di Leone I sul con-
tenuto della festa in occasione delle sue omelie natalizie). L'Africa seguì l'uso ro-.
mano, poi anche Milano. Negli ultimi decenni del IV sec. il Natale venne cele-
brato in oriente nello stesso giorno. Qui si era celebrata originariamente la « na-
scita» di Cristo il 6 gennaio, e precisamente, in alcune regioni (Egitto), in con-
nessione con il suo battesimo nel Giordano, la sua prima «manifestazione»
(Epifania) come Figlio di Dio, e con il suo primo miracolo, la trasformazione
§ 68. Tempi festivi e giorni di digiuno nella Chiesa 385

dell'acqua in vino a Cana. Le Chiese d'Egitto e di Palestina adottarono il 25 di-


cembre nel loro calendario festivo soltanto nel V sec. Fissata la data del 25 di-
cembre per il Natale, l'Epifania divenne esclusivamente la festa del battesimo di
Gesù. Con queste due date fisse (25 dicembre e 6 gennaio) l'anno liturgico che
si stava formando veniva orientato secondo il ritmo solare, mentre la Pasqua di-
pendeva dal ritmo lunare.
La festa di Natale ebbe molto presto un suo proprio tempo di preparazio-
ne, inizialmente in Gallia e Spagna. Anche l'oriente conobbe una preparazione
alla «venuta del Signore», che Roma fece propria solo più tardi, con un ruolo
di mediazione svolto da Ravenna (cf le prediche per l'avvento di Pietro Crisolo-
go). In tal modo venne stabilito, accanto alla Pasqua e alla sua preparazione, un
secondo perno dell'anno liturgico. Un prolungamento della festa di Natale (ot-
tava fino alla «Circoncisione del Signore») si aggiunse nel VI sec. (Vittore di
Capua, 546; sinodo di Tours del 567, can. 18 [17]); questo prolungamento do-
veva servire ad eliminare dal calendario di gennaio le licenziose feste pagane.

3. Ciclo liturgico di Pasqua

Lo sviluppo del ciclo liturgico natalizio non mancò di produrre i suoi effet-
ti sul più antico ciclo liturgico della Pasqua. Il tempo di digiuno stabilito in qua-
ranta giorni (quadragesima) rimase come periodo di preparazione. Una partico-
lare distinzione ricevette ora la Settimana Santa, detta anche «Grande Settima-
na» (Const. Apost. VIII 33,3 ). Ne risultò modello esemplare la liturgia di Geru-
salemme, che in questa settimana continuava a celebrare la Passione del Signo-
re con imponenti e suggestive funzioni religiose (Peregrinatio Aetheriae 30-
39,1). Momenti culminanti erano la Domenica delle Palme (a Roma fin dal VII
sec.), il Giovedì Santo (Cena Domini), il Venerdì Santo (dies passionis) e il Sa-
bato Santo (parasceve, giorno di preparazione), che introduceva nella vigilia pa-
squale. Venerdì, Sabato e Domenica divennero, in quanto memoria della croci-
fissione, della sepoltura nel sepolcro e della risurrezione, il Triduum Sacrum
(Ambrogio, Ep. 13 extra col!., 12-13; Agostino, Ep. 55,14,24).

A causa di differenti calcoli del calendario a Roma ed Alessandria (cf § 25,4),le date fissate
per la Pasqua fecero registrare notevoli differenze. Il sinodo di Arles (314), can. 1, richiese una
data pasquale unitaria computata secondo il calcolo romano (ciclo di 84 anni) (cf § 25,4). Il con-
cilio di Nicea (325) condannò l'uso di appoggiarsi al calendario giudaico (che nel frattempo era
stato cambiato) e dispose che la data della Pasqua si collocasse dopo l'equinozio di primavera, ma
senza prescrivere un calendario solilunare unitario. Nei secoli IV e V cedette nella difesa delle ri-
spettive differenze soprattutto la Chiesa romana; ciò avvenne nel 444 e nel 455 sotto Leone I, ma
soltanto dopo aspre discussioni. Nel VI sec. Dionigi il Piccolo adottò infine per l'occidente il ci-
clo alessandrino di 19 anni. L'ultima Chiesa che aderì nel IX sec. al computo unitario per la festa
di Pasqua fu quella insulare britannica.
386 X. Cristianità della Chiesa imperiale

Anche i «cinquanta giorni» successivi alla Pasqua (fino a Pentecoste), ca-


ratterizzati dalla gioia, ebbero una più articolata organizzazione. I giorni fino al-
la cosiddetta Dominica in albis vennero considerati festivi (ottava di Pasqua);
nelle liturgie di questi giorni si spiegavano ai neobattezzati i sacramenti del bat-
tesimo e dell'eucaristia («Catechesi mistagogiche», cf § 65,2); arrivati alla Do-
menica, essi prendevano parte per la prima volta, nelle loro bianche vesti batte-
simali (di qui l'espressione in albis), alla comune liturgia domenicale. Nella fe-
sta di chiusura, il giorno di Pentecoste (cinquantesimo giorno: pentecostes), si
celebravano il compimento dei cinquanta giorni del tempo pasquale e la disce-
sa dello Spirito Santo. La commemorazione originariamente unitaria dell' ascen-
sione al cielo del Signore si resè autonoma nel IV sec. e venne anticipata, se-
condo At 1,3; al quarantesimo giorno (Gregorio di Nissa, In ascensionem Chri-
sti; Giovanni Crisostomo, In ascensionem D. N. ]esu Christi; Const. Apost. V
20,4; Agostino, Ep. 55,15.28).

4. Altre feste cristiane

Con il ciclo di Pasqua e quello di Natale il mistero di Cristo veniva rappre-


sentato in una successione temporale. Ma il calendario venne ulteriormente
riempito di feste cristiane. I giorni commemorativi dei santi s'inserirono negli
spazi liberi, nella misura in cui tradizioni più antiche non li avevano già stabili-
ti nel calendario. In oriente non furono fissati particolari giorni commemorati-
vi degli apostoli. Qui tali giorni apparvero come «feste concomitanti» del Na-
tale: il 26 dicembre Stefano, il 27 dicembre Giovanni e Giacomo, il 28 dicem-
bre Pietro e Paolo. Roma si attenne alla sua più antica tradizione e celebrò i due
principi degli apostoli il 29 giugno. L'oriente conobbe nel tempo pasquale feste
collettive in onore di «tutti i martiri» e di «tutti gli apostoli». Dall'oriente ven-
ne anche la solennità della dedicazione della chiesa. A Gerusalemme si celebrò
ogni anno il giorno della dedicazione della basilica costantiniana dell'Anastasis
e della chiesa sul Golgota il 13 o 14 settembre (Peregrinatio Aetheriae 48-49).
Le feste di Maria apparvero sul calendario ecclesiastico solo a partire dal V
sec.; ebbe i suoi effetti, in questo, la risoluzione del concilio di Efeso (431). La
Presentazione di Cristo al tempio, celebrata originariamente il 14 febbraio (Pe-
regrinatio Aetheriae 26), venne accolta nella liturgia romana come Purtficatio
Sanctae Mariae e celebrata il 2 febbraio; la processione legata alla liturgia della
festa soppiantò a Roma un corteo licenzioso (amburbale). Una «memoria della
maternità divina di Maria» si celebrava certamente a Costantinopoli attorno al
470 come festa concomitante del Natale, adottata anche da altre chiese orienta-
li; in occidente, secondo Pietro Crisologo, venne celebrata la Domenica prima
di Natale (Sermones 140-144). Dal VI sec. questa festa si trova sotto il 25 marzo
§ 68. Tempi/estivi e giorni di digiuno nella Chiesa 387

come «annunciazione del Signore» o «annunciazione a Maria». Nel ciclo del-


le feste mariane furono annoverate sotto l'imperatore Giustiniano (527-565) le
feste dell'annunciazione di Maria (25 marzo), della morte di Maria (dormitio,
KoiµTJ<nç: 15 agosto) e della natività di Maria (8 settembre). L'accettazione di
queste feste in occidente non awenne in maniera omogenea. Tuttavia, alla fine
del VII sec. si trovavano già anche nel calendario festivo romano le quattro gran-
di feste mariane («Candelora», Annunciazione, «Assunzione» e Natività).

5. Quaresima

L'anno liturgico fu caratterizzato, oltre che da giorni festivi, anche da giorni e


periodi di digiuno. Il più importante periodo di digiuno fu quello del digiuno pa-
squale, che dal IV sec. contò quaranta giorni, con chiaro riferimento ai quaranta
giorni di digiuno di Gesù nel deserto (Mt 4,1-2 par.), e sull'esempio di Mosè o
Elia. Alessandria praticò all'inizio del IV sec. un digiuno di soli 6 giorni; nella sua
sesta lettera pasquale, scritta nel 334, Atanasio richiese un periodo di digiuno di
quaranta giorni, una disposizione che risulta inasprita in altre sue lettere. Egli si
richiamava in questo all'uso romano. Per poter conservare i quaranta giorni, in
oriente, dove si rifiutava il digiuno del Sabato, si rese necessario cominciare il pe-
riodo sette settimane prima di Pasqua; in occidente, invece, il periodo del digiu-
no pasquale venne iniziato sei settimane prima di Pasqua. In tutte e due le parti
della Chiesa si arrivava, in tal modo, a trentasei giorni di digiuno. Ma nel VII sec.
l'occidente anticipò di quattro giorni l'inizio del periodo di digiuno (Mercoledì
delle ceneri come caput quadragesimae) e arrivò così a quaranta giorni pieni. Ge-
rusalemme si mostrò anche più severa: qui si digiunava per otto settimane prima
di Pasqua, raggiungendo così quarantuno giorni (Peregrinatio Aetheriae 27,l).
Al di fuori del periodo di digiuno pasquale, i fedeli vennero invitati a digiu-
nare anche in altri tempi. Una settimana di digiuno dopo Pentecoste è testimo-
niata da Const. Apost. V 20,14-18 (Peregrinatio Aetheriae 44,l; Atanasio, Apol.
fuga 6). Analogamente vennero imposti giorni di digiuno nel tempo che prece-
de il Natale. Senza paralleli orientali vennero a far parte della prassi romana i di-
giuni delle quattro tempora e delle rogazioni. I primi (ieiunia quattuor tempo-
rum), menzionati sicuramente da Leone I (Sermo 19,2), avevano luogo quattro
volte all'anno e dovevano santificare le quattro stagioni. La loro origine, da col-
legarsi certamente con la città di Roma, servì anche al superamento di antiche
celebrazioni naturalistiche romane. Il digiuno delle rogazioni (nei tre giorni pri-
ma dell'ascensione di Cristo) deve essere stato introdotto attorno al 470 dal ve-
scovo Mamerto di Vienne. Si trattava di tre giorni di penitenza, caratterizzati da
processioni propiziatorie, preghiere assidue, digiuni ed elemosine (Sidonio
Apollinare, Ep. 5,14; Avito, Hom. in rag.). Forse Mamerto fece rivivere un uso
388 X. Cristianità della Chiesa imperiale

più antico, che a sua volta potrebbe essere messo in relazione con gli Ambarva-
lia romani (tre giorni di processioni propiziatorie attraverso i campi nel mese di
maggio). Il digiuno delle rogazioni dovrebbe comprendere, probabilmente, an-
che il 25 aprile, il giorno della Litania maior a Roma. Tale giorno veniva cele-
brato con una processione propiziatoria, che sostituiva quella antica romana in
mezzo ai campi, chiamata dei Robigalia.

Bibliografia§ 68: W. EVENEPOEL, La délimitation de «l'année liturgique» dans !es premiers siè-
cles de la chrétienté occidentale. Caput anni liturgici, in RHE 83 (1988), 601-616; K. P. JòRNs -
K. H. BIERITZ, Kirchenjahr, in TRE (1989), 575-299; T. KLAUSER, Der Festkalender der Alten Kir-
che in Spannungs/eld jiidischer Traditionen, christlicher Glaubensvorstellungen und missionarischen
Anpassungswillens, in KGMG I (1974), 377-388; J. M. LEROUX (a cura di), Le temps chrétien de
la fin de l'Antiquité au Moyen Age, IIle-XIIIe siècle, Paris 1984; T. MAERTENS, Heidnisch-jiidische
Wurzeln der christlichen Feste, Mainz 1965; M. R. SALZMAN, On Roman Time. The Codex-Calen-
dar o/ 354 And the Rhythms o/ Urban Lzfe in Late Antiquity, Berkeley 1990; A. H. M. SCHEER,
Aux origines de la /éte de l'Annonciation, in QLP 58 (1977), 97-169; F. SOTTOCORNOLA, I.:anno lz~
turgico nei sermoni di Pietro Crisologo, Cesena 1973; T. J. TALLEY, Liturgische Zeit in der alten Kir-
che. Der Forschungsstand, in LJ 32 (1982), 25-45.
§ 68.2: B. BOTTE, Les Qrigines de la Noel et de l'Epiphanie, 1932, rist. Louvain 1961;
F. MANN, Epiphanias/est I, in TRE 9 (1982), 762-769; J. MOSSAY, Les /étes de Noel et d'Épiphanie
d'après !es sources littéraires cappadociennes du 4e siècle, Louvain 1965; F. NIKOLASCH, Zum Ur-
sprung des Epiphanie/estes, in EL 82 (1968), 393-429.
§ 68.3: R. CABIÉ, Pentecòte: in DSp 21,1 (1984), 1029-1036; F. COCCHINI, I.: evoluzione stori-
co-religiosa della festa di pentecoste, in RB 25 (1977), 297-326; I. H. DALMAIS, Paques, in DSp 12,1
(1984), 171-182; S. }ANERAS, Le Vendredi-Saint dans la tradition liturgique byzantine. Structure et
histoire des ses o/fices, Roma 1988; H. AUF DER MAUR, Die Osterhomilien des Asterius Sophistes
als Quelle fiir die Geschichte der Oster/eier, Trier 1967; G. A. ROUWHORST, Les hymnes pasca/es
d'Éphrem de Nisibe. Analyse théologique et recherche sur l'évolution de la /éte pascale chrétienne à
Nisibe età Édesse et dans quelques Églises voisines au quatrième siècle, 2 voli., Leiden 1989; H. C.
SCHMIDT-LAUBER, Himmels/ahrts/est, in TRE 15 (1986), 341-344; A. STROBEL, Ursprung und Ge-
schichte des friihchristlichen Osterkalenders, Berlin 1977.
§ 68.4: K. GAMBER, Zur Geschichte des Koimesis-Festes, in OKS 33 (1984), 155-163; M. GAR-
RIDO BONANO, La primera fiesta liturgica de la Virgen Maria, in «Ephemerides Mariologicae» 33
(1983), 279-291; T. KLAUSER, Rom und der Kult der Gottesmutter Maria, in JAC 15 (1972), 120-
135; J. M. SALGADO, Le culte marial dans le bassin de la Méditerranée, des origines au début du 4e
siècle, in «Marianum» 34 (1972), 1-41.
§ 68.5: M. FERREIRA LAGES, Étapes de l'evolution du caréme à ]erusalem avant le 5e siècle, in
REArm 6 (1969), 67-102.

§ 69. Presenza e forza taumaturgica dei santi

Aetheria, Peregrinatio: G. RòWEKAMP, t trad. ted. e, 1995 (FC 20); K. VRETSKA- H. PÉTRÉ, t trad.
ted., Wien 1958; P. MARAVAL, t trad. frane. e, 1982 (SC 296); J. WILKINSON, trad. ingl. e, Lon-
don 1971; E. GINGRA, trad. ingl., 1970 (ACW 38); P. SINISCALCO, trad. it. e, 1985 (CollTP 48).
§ 69. Presenza e forza taumaturgica dei santi 389

Costanzo di Lione, Vz"ta Germani: R. Boruus, t trad. frane. ,1965 (SC 112), K. S. FRANK, Friihes
Monchtum im Abendland, trad. ted., Miinchen 1975, voi. 2, 53-96.
Girolamo, C. Helvidium, t, PL 23,183-206; M. I. DANIELI, trad. it., 1988 (CollTP 70).
Itineraria Hierosolymitana: P. GEYER et al. t, 1965 (CChr.SL 175-176); P. GEYER, t, 1898 (CSEL
39); H. DONNER, Pilgerfahrt ins Hl. Land, trad. ted., Stuttgart 1979; J. WILKINSON, trad. in-
gl., Westminster 1977.
Giovanni Crisostomo, De S. Babyla c. Iulian. et gentiles: M. A. SCHATKIN et al., t trad. frane., 1990
(SC 362).

H. DELEHAYE, Propylaeum ad Acta Sanctorum Novembris, Bruxelles 1902; H. QUENTIN - H. HE-


LEHAYE, Martyrologium Hieronymianum, in ASS Nov. 2, Bruxelles 1931.

1. Venerazione dei martiri

La venerazione dei martiri, già precedentemente praticata, venne ulterior-


mente sviluppata nella liturgia e nella pietà della Chiesa imperiale e incoraggia-
ta da Costantino e dai suoi successori (Eusebio, Vita Const. IV 23), come dimo-
strano le costruzioni di chiese imperiali sulle tombe di noti martiri e nei luoghi
santi della Palestina. Le tombe vennero strutturate in forma di monumenti gran-
diosi e si costruirono basiliche. Sorsero così santuari di grande richiamo ai bor-
di delle.città, che si trasformarono in nuovi centri d'insediamento. Le singole co-
munità avevano cominciato con il commemorare i propri martiri e le proprie
martiri nel giorno della loro morte (cf § 15,5); poi, nel IV sec., cominciarono a
scambiarsi gli elenchi dei loro santi, e infine si depositarono nelle chiese mag-
giori dei veri e propri calendari di santi (martirologi) (per es., a Roma, la Depo-
sitio martyrium nel cronografo del 354).

Nell'ambito romano l'opera più importante di questo genere è il cosiddetto Martyrologium


Hieronymianum, che si formò tra il 431 e il 450 in Italia settentrionale sulla base di precedenti mo-
delli e venne rielaborato in Gallia attorno al 600. Nella liturgia bizantina fu diffuso soprattutto il
sinassario di Costantinopoli, una « raccolta » di data più recente.

Già ai tempi delle persecuzioni si usò traslare le ossa dei martiri in altri luo-
ghi che si ritenevano più adatti alla venerazione o che non avevano proprie te-
stimonianze di sangue. Esumazioni e traslazioni vennero in conflitto con I' anti-
co diritto, che difendeva l'inviolabilità della tomba. In singoli casi queste leggi
dovettero essere abolite o semplicemente eluse, anche se la legislazione impe-
riale continuò a sottolineare la sacralità della tomba (religio loci) (CTh IX 17,5-
7; CJ I 2,2-3; III 44,14; IX 19,5). La più antica testimonianza per una traslazio-
ne di questo genere è il trasferimento delle ossa del santo martire Babila nel sob-
borgo antiocheno di Daphne (metà del IV sec.; cf Giovanni Crisostomo, De S.
Babyla contra Iulianum et gentiles 67-69). L'imperatore Costanzo nel 356-357
portò nella chiesa degli Apostoli di Costantinopoli le reliquie dei santi Timoteo,
390 X. Cristianità della Chiesa imperiale

Andrea e Luca. In occidente le prime traslazioni vennero effettuate dal vescovo


di Milano Ambrogio (Ep. 77: Gervasio e Protasio). Spesso i ritrovamenti di mar-
tiri furono preceduti da fatti prodigiosi, come visioni o sogni. Il numero dei
martiri e delle martiri fece registrare, così, un notevole aumento. Le «memorie»
che si andavano costruendo in onore dei martiri incoraggiarono infine l'uso del-
la depositio ad sanctos: per i defunti si cercava la vicinanza della tomba di mar-
tiri perché beneficiassero delle preghiere (cf la tomba di Costantino nella chie-
sa degli Apostoli a Costantinopoli: Eusebio, Vita Const. IV 60) ed avessero nel
santo un efficace intercessore per l'aldilà.
Poiché la pietà privata faceva desiderare di provvedere gli edifici sacri di re-
liquie, invalse sempre di più l'uso di procurarsi frammenti del corpo venerato
dei santi; si credeva infatti ~he anche in un solo frammento delle ossa fosse pre-
sente l'intero martire e così, in questo modo, si potesse moltiplicare il suo pote-
re (praesentia, potentia) d'intercessione (Basilio, Hom. in XL martyres Sebast. 8;
Vittricio di Rouen, De laude sanctorum). Come reliquia si considerò anche ciò
che proveniva dalle vicinanze della tomba (terra, olio di lampade) e ciò che era
stato portato a contatto con il sacro corpo (le cosiddette « reliquie di contatto»).
Il fabbisogno di reliquie non aveva limiti.

I familiari di Basilio di Cesarea possedevano reliquie dei quaranta santi martiri di Sebaste
(Gregorio di Nissa, Encomium in XL martyres II; Gaudenzio di Brescia, Sermo 17), il vescovo
Germano d'Auxerre (m. 448) portava sempre con sé una capsula con reliquie (Vita 4). Cristiani
di ogni condizione si affidavano alla protezione di reliquie, alle quali si si attribuì in misura cre-
scente un potere taumaturgico (Agostino, De civ. Dei 22,8). Le strutture spaziali delle chiese as-
sunsero, per la presenza di corpi e reliquie di martiri, l'aspetto di luoghi di residenza dei santi (cf
Anbrogio, Ep. 77,13; Regula Magistri57,25-27).

Contro gli eccessi di qtJesta pietà, contro pratiche pagane e superstiziose, ed


anche contro certe forme dubbie di commercio, si levaròno sempre di più voci
di ammonimento e di critica (Agostino, De opere monach. 28 [36]). Una critica
di principio venne espressa dal presbitero della Gallia meridionale Vigilanzio
(prima del 406), contro il quale, però, Girolamo difese energicamente l'uso ec-
clesiastico (Contra Vigilantium).

2. Venerazione dei santi

La cerchia delle persone sante invocate per ottenerne l'intercessione sieste-


se a partire dalla fine del IV sec. a santi non martiri, che furono venerati alla stes-
sa maniera dando risalto alla loro tomba e istituendo un giorno destinato alla lo-
ro commemorazione. Nella misura in cui l'ascesi venne intesa come «martirio
protratto per tutta la vita» (per es. Girolamo, Ep. 108,31: «Tua madre [santa
§ 69. Presenza e forza taumaturgica dei santi 391

Paola] è stata coronata da un lungo martirio»), soprattutto ad asceti, vergini e


vedove si aprì la strada per una santità riconosciuta dalla Chiesa. La vita mona-
stica come martirio incruento appare come il tema evidente nelle vite molto in-
fluenti di Antonio (scritta da Atanasio) e di Martino di Tours (scritta da Sulpi-
cio Severo). In un ulteriore passo, si prestò ad essere considerato santo il vesco-
vo, con un concetto di santità basato sul modo esemplare di compiere i doveri
legati al proprio ufficio (Paolino di Milano, Vita Ambrosii). Tutti i santi che era-
no morti senza subire il martirio furono venerati come «confessori» (con/esso-
res). L'antico titolo di confessar ricevette in tal modo un nuovo significato, in
quanto indicò nello stesso tempo la santità dei martiri e il carattere di testimo-
nianza della loro professione di fede.
Oggetto di venerazione divennero anche gli angeli (specialmente Michele) e
le grandi figure dell'Antico Testamento. I patriarchi e i profeti vennero consi-
derati come cristiani prima della venuta di Cristo; i martiri tra i profeti, special-
mente i fratelli Maccabei (2 Mac 7), furono ritenuti testimoni di Cristo in un
martirio subìto anticipatamente.
L'alta stima dell'ascesi e della verginità influì sulla venerazione di Maria. Es-
sa condusse alla convinzione della verginità perpetua di Maria, proclamata spe-
cialmente da Ambrogio e Girolamo. Questa convinzione ebbe come oppositori
Bonoso, Elvidio e, di nuovo, Vigilanzio (Girolamo, Adversus Helvidium de Ma-
riae perpetua virginitate). La risoluzione dogmatica di Efeso, che riconosceva da
parte di tutta la Chiesa il titolo di Theotokos (cf § 54), divenne il secondo moti-
vo che fece fiorire, ormai, il culto di Maria.
La venerazione dei santi cristiani non è comprensibile senza le concezioni
religiose dell'antichità (culto degli eroi, «tombe dei santi» presso gli ebrei,
cf § 15,5). Essa si liberò dei vincoli locali e diede importanza centrale non tan-
to alle azioni prodigiose dei morti, quanto invece alla lqro vita esemplare. Esal-
tati per la loro vita ascetica o per le loro azioni miracolose, essi vennero celebrati
come eroi di vita cristiana. I panegirici e la letteratura agiografica hanno sempre
messo in risalto l'esemplarità dei santi, la loro forza d'intercessione e il loro ruo-
lo di protezione (come advocatus e patronus).

3. La pia pratica dei pellegrinaggi

Della pietà cristiana fece parte, fin dal IV sec., anche il pellegrinaggio. Sua
prima meta furono i luoghi santi in Palestina, già visitati dall'imperatore Co-
stantino e da sua madre Elena, che avevano provveduto alla loro sistemazione
ecclesiastica (Eusebio, Vita Const. III 25-45). Gerusalemme si dispose ben pre-
sto ad accogliere una fiumana di pellegrini, come ci fa sapere il «pellegrino di
Bordeaux» attorno al 333 (Itinerarium Burdigalense). Si conducevano i pelle-
392 X. Cristianità della Chiesa imperiale

grini e le pellegrine ai luoghi che ricordavano la vita e la Passione di Gesù, ma


anche a quelli santificati dalla tradizione veterotestamentaria (cf il resoconto del
pellegrinaggio di Aetheria, compiuto sul finire del IV sec.). Nuove mete dei pel-
legrini diventarono le tombe di famosi martiri e santi.

Anche qui l'oriente precedette l'occidente: Antiochia con le tombe di san Babila a Daphne e
dei santi fratelli Maccabei, Rusafa sull'Eufrate con san Sergio, Aegae in Cilicia e Cirro in Siria con
i santi Cosma e Damiano, la città di Menas presso Alessandria con san Menas, Menuthis in Egit-
to con i santi Ciro e Giovanni, Seleucia in Isauria con la tomba di santa Tecla, ecc. In occidente
divenne meta di pellegrinaggio soprattutto Roma con i suoi santi apostoli e martiri. Nell'Italia me-
ridionale si visitava la tomba di san Felice a Nola. Le reliquie di Stefano, che dopo il 415 giunse-
ro nel Nordafrica, fecero sorgere anche qui luoghi di pellegrinaggio (Ippona, Calama, Uzala). La
Spagna venerò il suo santo martire Vincenzo a Valencia e a Saragoza, santa Eulalia a Merida. Il
più importante luogo di pellegrinaggio in Gallia fu la tomba di san Martino a Tours.

I pellegrinaggi in oriente includevano in parte la visita agli insediamenti mo-


nastici dell'Egitto e della Siria: «pellegrinaggio presso persone viventi», quindi.
La meta più nota di questo tipo di pellegrinaggi fu Simeone il Vecchio (detto lo
Stilita) a Kal'ìat Sim' an, il cui luogo d'azione continuò ad essere meta di pelle-
grinaggio anche dopo la sua morte (cf § 71B3).
Come il culto dei santi, anche l'uso dei pellegrinaggi trova esempi nell'anti-
chità (cf i viaggi ai santuari di Asclepio e ai luoghi di culto di Serapide, Apollo,
Artemide, ecc.). Pur con tutta la preoccupazione di dare loro una motivazione
cristiana, continuarono a sopravvivere nell'usanza dei pellegrinaggi non poche
pratiche pagane. Al riguardo si espressero in termini molto critici i Padri della
Chiesa (come Gregorio di Nissa, Ep. 2; Giovanni Crisostomo, Hom. ad Antio-
chenos 3,2; Girolamo, Ep. 58,4; Agostino, Tract- ]oh. 10,1), anche se in linea di
principio non rifiutarono i viaggi a scopo di pellegrinaggio; essi si preoccuparo-
no di dare ai pellegrinaggi una motivazione cristiana e cercarono di eliminare
nei grossi centri degenerazioni e abusi.

4. La venerazione delle immagini

Con le nuove forme di pietà si fece largo nella Chiesa la venerazione delle
immagini. In connessione con il rifiuto dell'idolatria pagana ci fu inizialmente
nei confronti delle immagini religiose una grande circospezione. La motivazio-
ne teologica veniva data, per un simile atteggiamento, dal comandamento del
decalogo: «Non ti farai immagine alcuna». Ma questo rigoroso riserbo non riu-
scì a imporsi. Le prime controversie mostrano, nel IV sec., che le immagini re-
ligiose erano diffuse. Come loro decisi avversari sono noti, tra gli altri, Eusebio
di Cesarea (Lettera a Costanza, sorella dell'imperatore Costantino, PG 20, 1545-
1549) ed Epifanio di Salamina (Girolamo, Ep. 51,9; cf Ep. 58,7). Altri Padri giu-
§ 69. Presenza e forza taumaturgica dei santi 393

dicarono in maniera più differenziata: le immagini potrebbero illustrare e ap-


poggiare la Parola (Basilio, Hom. in XL martyr. Sebast. 2; cf Hom. 17 ,3 ); esse su-
sciterebbero e rafforzerebbero i sentimenti dei fedeli (Gregorio di Nazianzo,
Carmen I 2,10,802-807; Gregorio di Nissa. De deitate filù' et spiritus sancti, PG
46,572); potrebbero raccontare storie comprensibili per tutti (Paolino di Nola,
Carmen 27, 546-595; cf Gregorio I, Ep. XI 10; IX 208, che cercò d'impedire al
vescovo Sereno di Marsiglia i suoi sconsiderati attacchi contro le immagini).
Forse il rifiuto delle immagini continuò ad essere diffuso nella Gallia meridio-
nale (cf Cesario di Arles, Reg. virg. 45). Anche se è certo che la diffusione di im-
magini religiose nell'ambiente ecclesiastico e nella vita cristiana quotidiana non
venne impedita, non ci fu unanimità nelle rispettive prese di posizione. Mentre
risultarono ampiamente accettate e apprezzate le rappresentazioni sceniche trat-
te dalla Bibbia e dalla storia dei santi, prevalse nei confronti dell'immagine di
Cristo una maggiore cautela. Soltanto a poco a poco, partendo dall'idea neo-
platonica della copia, le motivazioni e le differenziazioni teologiche si chiariro-
no (cf per es. Pseudo-Dionigi Areopagita, De ecc!. hier. III 2,12), e soltanto al-
lora il conflitto divenne veramente esplosivo: se davvero la copia rappresentas-
se l'archetipo, questa rappresentazione dovrebbe egualmente essere venerata.
Le discussioni su questa materia furono portate a conclusione nei secoli VIII e
IX nella cosiddetta contesa per l'iconolatria. Il culto delle immagini ebbe una
sua definitiva legittimazione nel senso che si distinse tra l'adorazione dovuta
esclusivamente a Dio (Àmpticx, latreia) e la devota venerazione delle immagini
«divine» (npocnd)vricnc;, proskynesis) (Giovanni di Damasco, Orationes de ima-
ginibus tres, ca. 730).

5. La venerazione della Croce

Un culto particolare spettò già nell'antichità alla santa croce. La notizia più
antica sulle reliquie della croce, con data che si può far risalire al 348, si trova
presso Cirillo di Gerusalemme (Catech. IV 10; X 19; XIII 4). Queste reliquie di-
vennero quindi, ben presto, oggetto desiderato di culto. Girolamo espresse la
sua indignazione per il fatto che venissero usate come filatteri (amuleti protetti-
vi) (Comm. Matth. IV 96-100).
Eusebio c'informa della preoccupazione di Costantino e di sua madre Ele-
na per i luoghi santi e della particolare venerazione che l'imperatore nutriva per
la croce di Cristo (Vt'ta Const. III 7). Di qui può essere nata tra i pellegrini che
si recavano a Gerusalemme la convinzione che l'imperatrice avesse ritrovata la
croce di Cristo. Questa tradizione si può rintracciare per iscritto nella Storia Ec-
clesiastica di Gelasio di Cesarea (H. E. III 7). La sua versione fu ripresa dagli sto-
rici della Chiesa antica (Rufino, H. E. X 7-8; Socrate, H. E. I 17). Ciò che Am-
394 X. Cristianità della Chiesa imperiale

brogio racconta sul ritrovamento della croce (De obitu Theodosii 41-48) risale
egualmente a resoconti di pellegrini, ma si distingue in certi tratti dalla versione
gelasiana e risulta intonato alla tematica del discorso funebre pronunciato per
l'imperatore Teodosio.
Del culto della croce il Venerdì santo a Gerusalemme riferisce la pellegrina
Aetheria (Peregrinatio Aetheriae 37). Secondo il suo racconto, il ritrovamento
della croce (inventio crucis Domini) si celebrava a Gerusalemme il 14 settembre,
giorno della dedicazione della chiesa del Santo Sepolcro e dell'Anastasis. Que-
sta data ebbe un nuovo significato quando l'imperatore Eraclio, nel 628, riportò
a Gerusalemme le reliquie della croce che erano state sottratte dai persiani (exal-
tatio s. crucis).

Bibliografia § 69: Religiosità popolare nel cristianesimo antico, in Aug. 21 (1981), 7-257;
T. BAUMEISTER - M. VAN UYTFANGHE, Heiligenverehrung I-II, in RAC 14 (1988), 96-183;
P. BROWN, The Cult of the Saints. Its Rise And Function in Latin Christianity, Chicago 1981 (ted.
1991); P. BROWN, Society And the Holy in the Late Antiquity, London 1982 (ted. 1993); Y. DUVAL,
Auprès des saint.r corps et ame. I.:inhumation ad sanctos dans la chrétienté d'Orient et d'Occident
du 3e au 7e siècles, Paris 1988; P. A. FÉVRIER, Le culte des morts dans les communautés chrétiennes
durant le IIIe siècle, in Atti del IX Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana, Studi di An-
tichità Cristiana 32/1, Roma 1978, 211-274; E. FREISTEDT, Altchristliche Totengedachtnistage und
ihre Beziehung zum Jenseitsglauben und Totenkultus der Antike, Miinster 197l2; R GRÉGOIRE, La
funzione dei calendari nel culto dei santi, in Aug. 24 (1984), 21-32; P. KARPINSKI, Annua dies dor-
mitionis. Untersuchungen zum christlichen Jahrgediichtnis der Toten auf dem Hintergrund antiken
Brauchtums, Frankfurt/M. ecc. 1987; T. KLAUSER, Die cathedra im Totenkult der heidnischen und
christlichen Antike, Miinster 1927; H. KOTILA, Memoria mortuorum. Commemoration o/ the De-
parted in Augustine, Roma 1992; B. KòTTING, Der friihchristliche Reliquienkult und die Bestattung
im Kirchengebiiude, Ki:iln-Opladen 1965; B. KòTTING, Grab, in RAC 12 (1983), 366-397; F. VON
LILIENFELD et al. (a cura di), Aspekte friihchristlicher Heiligenverehrung, Erlangen 1977; C. PIE-
TRI, Les origines du culte des martyrs(d'après un ouvrage récent), in RivAC 60 (1984), 293-319;
W. RoRDORF, Aux origines du culte des martyrs, in Iren 45 (1972), 315-331; 335-353; V. SAXER,
Morts, martyrs, reliques en Afrique chrétienne aux premiers siècles, Paris 1980; A. STUIBER, Heid-
nische und christliche Gediichtniskalender, inJAC 3 (1960), 24-33; A. STUIBER, Geburtstag, in RAC
9 (1976), 217-243; F. DE VISSCHER, Le droit de tombeaux romains, Milano 1963; J. VOIGT, Ecce
ancilla Domini. Bine Untersuchung zum sozialen Motiv des antiken Marienbildes, in VigChr 23
(1969), 241-263.
§ 69.1: Y. DuvAL, Loca sanctorum Africae. Le culte des martyrs en Afrique du 4e au 7e siècle,
2 voll., Roma 1982; V. H. C. FREND, The North African Cult of Martyrs. From Apocalyptic to He-
ro-Worship, in Jenseitsvorstellungen in Antike und Christentum (FS [scritti in onore di] A. Stui-
ber), JAC Suppl. 9 (1982), Miinster 1982, 154-167; M. GIRARDI, Basilio di Cesarea e il culto dei
martiri nel IV secolo. Scrittura e tradizione, Bari 1990; A. GRABAR, Martyrium. Recherches sur le
culte des reliques et l'art chrétien antique, 2 voll., Paris 1946.
§ 69.2: H. BARRÉ, Le cult marza! en Afrique après S. Augustin, in REAug 13 (1967), 285-317;
W. DELIUS, Gescht'chte der Marienverehrung, Miinchen/Basel 1963; C. W. NEUMANN, The Virgin
Mary in the Works of S. Ambrose, Freiburg/Schw. 1962; J. LEDIT, Marie dans la liturgie de Byzan-
ce, Paris 1976.
§ 69.3: E. D. HUNT, Holy Land Pilgrimage in the Later Roman Empire, A. D. 312-460, Lon-
don 1982; B. KòmNG, Peregrinatio religiosa. Wallfahrten in der Antike und das Pilgerwesen in
§ 70. L:arte paleocristiana 395

der alten Kirche, Miinster 19802 ; P. MARAVAL, Lieux saints et pèlerinages d'Orient. Histoire et géo-
graphie des origines à la conquete arabe, Paris 1985; L. REEKMANS, Siedlungsbildung bei spà"tan-
tiken Wallfahrtsstà"tten, in E. Dassmann et al. (a cura di), Pietas (FS [scritti in onore di] B. Kot-
ting), JAC Suppl. 8 (1980), Miinster 1980, 325-355; P. W. L. W ALKER, Holy City, Holy Places?
Christian Attitudes to ]erusalem And the Holy Land in the Fourth Century, Oxford 1990; R. L.
WILKEN, The Land Called Holy. Palestine in Christian History And Thought, New Haven 1992;
J. WILKINSON,]erusalem IV, in TRE 16 (1987), 617-624.
§ 69.4: A. BAUMSTARK et al., Bild, in RAC 2 (1954), 287-341; V. PAZZO, La giustificazione del-
le immagini religiose dalla tarda antichità al cristianesimo, 2 voll., Napoli 1977; S. C. MURRAY, Art
And the Early Church, in JThS 28 (1977), 303-345; A. QUACQUARELLI, La società cristologica pri-
ma di Costantino e i riflessi nelle arti figurative, Bari 1978; C. VoN SCHòNBORN, Die Christus-Iko-
ne, Schaffhausen 1984; H. G. THOMMEL, Bilder IV, in TRE 6 (1980), 525-531; H. G. THOMMEL,
Die Fruhgeschichte der ostkirchlichen Bilderlehre, Berlin 1992.
§ 69.5: S. BORGEHAMMAR, How the Holy Cross Was Found. From Event to Medieval Legend,
Stockholm 1991; H. A. DRAKE, Eusebius on the True Cross, in JEH 36 (1985), 1-22; J. W. DRIJ-
VERS, Helena Augusta. The Mother o/ Constantine the Great And the Legend o/ Her Finding o/ the
True Cross, Leiden ecc. 1992; P. A. FÉVRIER, Baptistères, martyrs et reliques, in RivAC 62 (1986),
109-138; A. FROLOW, La relique de la vraie croix. Recherches sur le devéloppement d'un culte, Pa-
ris 1961; S. GERO, The True Image o/ Christ: Eusebius' Letter to Constantia Reconsidered, in JThS
32 (1981), 460-470; S. HEID, Der Ursprung der Helena-Legende im Pilgerbetrieb Jerusalems, in
JAC 32 (1989), 41-71; B. LEONI, La croce e il suo segno. Venerazione del segno e culto della reliquia
nel!'antichità cristiana, Verona 1968; W. STEIDLE, Die Leichenrede des Ambrosius fur Kaiser Theo-
dosius und die Helena-Legende, in VigChr 32 (1978), 94-112.

§ 70. Uarte paleocristiana

1. Edifici religiosi pubblici

Un'arte cristiana propria sembra essersi gradualmente formata solo dal III
sec. (§ 23,4), con sviluppi nel IV sec., quando il cristianesimo venne ufficialmen-
te riconosciuto nell'Impero Romano. Gli imperatori eressero e mantennero chie-
se, secondo la tradizione delle precedenti fondazioni di templi, come luoghi
pubblici di rappresentazione, ai quali si cercò di dare forme artistiche (cf Euse-
bio, Vita Constantini II 45-46; III 25-40). Le comunità ricostruirono gli edifici di-
strutti durante la persecuzione di Diocleziano e ne costruirono di nuovi per il
crescente numero dei cristiani: con il progressivo affermarsi del culto dei martiri
sorse come ulteriore tipo di edificio sacro la chiesa commemo~ativa/cemeteriale.
L'edilizia religiosa assunse carattere pubblico e divenne una testimonianza
preziosa della cristianizzazione dell'impero in città e in campagna. Ma ci furono
per la funzione rappresentativa degli edifici anche degli ostacoli. Le chiese com-
memorative erano legate al luogo che ne giustificava la loro funzione specifica,
e dunque, normalmente, ai luoghi dove sorgevano i cimiteri suburbani. A causa
396 X. Cristianità della Chiesa imperiale

della densità delle costruzioni nei centri urbani, anche le nuove chiese delle co-
munità cristiane furono collocate ai bordi delle città. All'interno delle città si po-
terono riutilizzare in parte precedenti luoghi di riunione (le cosiddette domus ec-
clesiae), e inoltre si acquistarono fondi o case che potevano corrispondere alle
esigenze della comunità (cf le« chiese titolari» romane). Sorsero chiese, inoltre,
dove edifici pubblici venivano abbandonati o erano in rovina, o anche, in certi
casi, quando dei templi pagani vennero distrutti e trasformati in edifici per il
culto cristiano.
Punti focali dell'edilizia religiosa furono le grandi città dell'Impero, innan-
zitutto Roma. Qui si pose nel 315 la prima pietra per la chiesa del Salvatore (la
basilica lateranense) come chiesa cattedrale del vescovo di Roma. Nel progetto
di fondazione di Costantinopoli vennero inseriti edifici religiosi; ma solo più tar-
di ne risultò cristallizzata l'immagine di una città cristiana. Ad Alessandria lari-
costruzione del centro della città dopo il 350 offrì la possibilità di erigere anche
nuovi edifici cristiani. A Gerusalemme e nella Terra Santa sorsero chiese per
conservare il ricordo dei luoghi santi (Eusebio, Vita Constantini III). A Treviri
ed Aquileia sorsero già all'inizio del IV sec. le grandiose costruzioni delle catte-
drali doppie.

2. Architettura paleocristiana

La chiesa paleocristiana viene detta «basilica», un nome che non indica un


certo tipo di costruzione, ma la sua finalità in quanto istituzione pubblica con
determinati compiti. Nella costruzione di nuove chiese si combinarono elemen-
ti e forme dell'antica basilica in una nuova unità: la forma architettonica fonda-
mentale era costituita da uno spazio longitudinale a più navate, con navata cen-
trale sopraelevata; uno dei lati frontali (generalmente a est) era dotato di abside,
mentre il lato contrapposto era preceduto da un vestibolo (narthex, porticus) e
da un'anticorte (atrium). Lo sviluppo delle funzioni liturgiche suggerì la dispo-
sizione interna dell'edificio e i vani accessori che ne determinarono un amplia-
mento. Per la cathedra del vescovo e i posti assegnati al clero fu riservata l' absi-
de; questi posti, tuttavia, potevano trovarsi anche spostati in avanti nella navata
centrale. I fedeli si riunivano, separati e disposti secondo il sesso e la condizio-
ne sociale, nello spazio longitudinale. Ai catecumeni, ai penitenti e alle vergini
consacrate furono riservati appositi spazi (cf Eusebio, H. E. X 4,63-64; Const.
apost. II 57, 10-13).
Oltre all'aula basilicale a sviluppo longitudinale o alla chiesa a forma di sem-
plice sala, ci fu anche l'edificio a impianto centrale, di cui si avevano egualmen-
te esempi precedenti nell'antica architettura. Esso poteva essere costruito come
rotonda su pianta poligonale o cruciforme. Si preferì questo tipo edilizio per
§ 70. I:arte paleocristiana 397

edifici sepolcrali e luoghi commemorativi dei martiri (i cosiddetti martyria; cf


Gregorio di Nissa, Ep. 25). Ma sorsero edifici a pianta centrale anche indipen-
dentemente da intenti commemorativi, come mostra la chiesa di S. Lorenzo a
Milano. I battisteri, spazi indipendenti per il battesimo accanto alle chiese, ven-
nero costruiti prevalentemente a pianta circolare, ottagonale o anche quadrata.
Nella sua iscrizione per il battistero della chiesa milanese di S. Tecla Ambrogio
spiega che l'ottagono simboleggia la perfezione (cf la tradizione dell'ottavo gior-
no come giorno della Resurrezione; tra le altre fonti, ICUR II, 1 p. 161,16,2).
Queste forme architettoniche fondamentali furono trasformate e struttura-
te in maniera autonoma nelle singole regiotii dell'Impero. Dipendentemente da-
gli interessi e dalle mentalità differenti delle rispettive popolazioni e a seconda
delle esigenze della liturgia, del cerimoniale sacro e del prestigio rappresentato
dal clero, si svilupparono così diversi stili architettonici regionali. Elemento co-
mune fu una nuova concezione dell'edificio religioso come luogo sacro, come
casa di Dio, tempio, santuario. In occasione della consacrazione della chiesa di
Tiro nel 313 Eusebio stabilì un parallelo tra l'edificio visibile, con la sua finalità
terrena, e il santuario celeste e il corpo vivente di Cristo, cioè la comunità terre-
stre dei cristiani (Eusebio, H. E. X 4). L'edificio sacro era diventato, così, una
struttura ricca di significato.

3. Arte sepolcrale e sviluppo dello spazio sacro

Pittura e scultura erano state limitate nei primi secoli della produzione arti-
stica cristiana quasi esclusivamente all'arte sepolcrale: soprattutto nel IV e nel V
sec. i sarcofagi vennero riccamente ornati di sculture e rilievi. Gli schemi illu-
strativi delle decorazioni catacombali si moltiplicarono. I motivi furono tratti da
sempre nuove scene dell'Antico e del Nuovo Testamento, alle quali si aggiunse-
ro nuovi temi figurativi: per es., i santi come intercessori.
Nel corso dei secoli, tuttavia, terreno privilegiato della pittura divenne lo
spazio degli edifici sacri: labside e gli archi di trionfo, le pareti della navata
centrale ed anche le cupole negli edifici a pianta centrale si decorarono ricca-
mente con scene bucoliche (allegorie del paradiso), rappresentazioni della Ge-
rusalemme celeste, della Chiesa formata da giudei e pagani, di Cristo come
maestro in mezzo agli apostoli, di Cristo che consegna la Legge (traditio legis),
e soprattutto con scene bibliche che rendevano presente nel luogo sacro la sto-
ria della salvezza. In occidente si rese molto popolare anche l'arte del mosai-
co: i più antichi mosaici parietali si sono conservati nell'edificio circolare di
Centcelles presso Tarragona in Spagna e in quello di Santa Costanza a Roma
(ca. 350). Centri importanti dell'arte del mosaico furono Roma, Milano, Ra-
venna e Napoli.
398 X. Cristianità della Chiesa imperiale

4. Lo spazio attorno all'altare

L'elemento più importante nella suppellettile dello spazio sacro era l'altare.
Dalla semplice tavola mobile dell'epoca precostantiniana si arrivò ali' altare di
marmo, che occupò un posto fisso o nella navata centrale, nel punto di accesso
ali' abside, o nella stessa abside. Già Eusebio testimonia che esso era opportuna-
mente contornato da un recinto di legno finemente lavorato (Eusebio, H. E. X
4,44). Lo spazio era delimitato anche da barriere (cancelli) o colonne. Di qui pre-
se sviluppo nelle chiese orientali l'iconostasi, la parete divisoria ornata d'imma-
gini, che separava lo spazio dell'altare dalla comunità. Spesso s'innalzava al di so-
. pra dell'altare un ciborium (baldacchino). Il culto dei martiri portò a uno stretto
rapporto tra altare e tomba dei martiri. Possibilmente l'altare veniva costruito so-
pra o davanti alla tomba. Le reliquie potevano essere sepolte anche dentro l'alta-
re (Ambrogio, Ep. 77,13; Prudenzio, Perzst., 11,169-174). Con l'altare delle reli-
quie al centro, l'edificio sacro divenne «dimora dei santi» (cf § 69,1).
Una custodia dell'eucaristia sull'altare fu inizialmente sconosciuta. Quando
il cibo eucaristico venne conservato per la comunione dei malati e per la sua am-
ministrazione extra mt'ssam, dò awenne in particolari spazi (pastophorionlsecre-
tarium), non prima del VI sec. (inizialmente in oriente) anche in un apposito re-
cipiente sull'altare (cf Regula Magt'stri 53,56: un recipiente di vetro; Liber Pon-
ti/icalis [LP] I 16).

5. Suppellettili e vesti liturgiche

Tra le suppellettili liturgiche ebbero forma artistica soprattutto il calice e la


patena. Anziché materiale modesto (legno, vetro e terracotta), si usò anche ar-
gento e oro prezioso (Agostino, Enarr. Ps. 113,2,5-6. Per la comunione dei laici
sotto la specie del vino si usò un calice più grande (scyphus, calix mint'sterialis,
calix ansatus). Venivano ornati, inoltre, anche i libri della Sacra Scrittura (Euse-
bio, Vita Const. IV 36-37; cf per l'uso privato: Girolamo, Ep. 107,12), i dittici, i
reliquiari per le chiese e per l'uso privato, le immagini devozionali ecc. I labo-
ratori tardo-antichi trovarono nell'ambito dell'arte minore religiosa una vasta
possibilità d'impiego.
Vesti liturgiche e un abbigliamento particolare per il clero non si conobbe-
ro nell'epoca più antica (cf Celestino I, Ep. 4 ad Episcopos Prov. Vienn.). Il cle-
ro indossava anche per la liturgia il consueto abito migliore (tunica e paenula
[una specie di cappa] o byrrhus [mantello con cappuccio]). Uno speciale ve-
stiario liturgico cominciò ad esserci solo dal V sec. In occidente la tunica diven-
ne l'alba, cioè la veste sacerdotale bianca, o «camice», mentre dalla paenula si
sviluppò il tipico paramento della messa (casula, pianeta). La stola venne consi-
§ 70. I.;arte paleocristiana 399

derata in oriente, a partire dal IV sec., come l'insegna che distingueva i chierici
degli ordini maggiori (orarlon); e attraverso la Spagna e la Gallia arrivò nell'VIII/
IX secolo a Roma. L'indumento speciale dei diaconi romani, la dalmatica, era una
veste onorifica. Dell'abbigliamento onorifico del vescovo di Roma fecero parte le
scarpe decorate (campagl) e il palllum (in oriente: homophorz'on). Una funzione
decorativa assunse anche la mappula (cioè il «manipolo», che originariamente
era una «salvietta»). Come insegne dell'ufficio episcopale il can. 28 del IV sino-
do di Toledo (633) menziona l'anello e il pastorale. Altre disposizioni riguardan-
ti le vesti liturgiche risultarono dal processo di scambio tra l'antica liturgia galli-
cana e germanica e quella romana. Le liturgie orientali, per quanto riguarda l' or-
dinamento delle vesti liturgiche, andarono per la propria strada.

Bibliografia § 70: H. BECK - P. C. BoL - D. STUTZINGER, Spiitantike und friihes Christentum


(catalogo della mostra di Francoforte; Liebighaus), Frankfurt 1983; C. BERTELLI, Il millennio am-
brosiano. Milano una capitale da Ambrogio ai Carolingi, Milano 1987; H. BUCHTHAL, Art o/ the
Mediterranean World A. D. 100 to 1400, Washington 1983; J. W. CROWFORT, Early Churches in
Palestine, 1941, rist. Miinchen 1980; F. W. DEICHMANN, Rom, Ravenna, Konstantinopel, Naher
Osten. Gesammelte Studien zur spiitantz'ken Architektur, Kunst und Geschichte, Wiesbaden 1976;
F. W DEICHMANN, Ravenna, Hauptstadt des spatantiken Abendlandes, Wiesbaden 1976; J. ENGE-
MANN, Bildende Kiinste: I. Friihchristentum, in TRE 20 (1990), 131-135; 0. FELD- U. PESCHOW
(a cura di), Studien zur spà'tantike und byzantinischen Kunst (FS [studi in onore di F. W. Deich-
mann), Bonn 1986; F. GERKE, Spatantike undfriihes Christentum, Baden-Baden 1967; T. KLAUSER,
Die Au/5erungen der Alten Kirche zur Kunst. Revision der Zeugnisse, Folgerungen fiir die archà'olo-
gische Forschung, in Atti del VI congresso internazionale di archeologia cristiana, RavennaNati-
cano 1962/1965, 223-242; R. KRAUTHEIMER- W. FRANKL - S. CORBETT, Corpus basilicarum ch-
ristianarum Romae. Le basiliche cristiane antiche di Roma (secoli IV-IX), 5 voll., Roma 1937-1980;
R. KRAUTHEIMER, The Constantinian Basilica, in DOP 21(1967),115-140; G. MATTHIAE, Le chie-
se di Roma dal 4 al 10 secolo, Bologna 1963; H. SCHLUNK - T. HAUSCHILD, Die Denkmàler der
friihchristlichen und westgotischen Zeit, Mainz 1978; B. W ARD-PERKINS, From Classica! Antzquity
to the Middle Ages. Urban Public Building in Northern And Centra! Italy A. D. 300-850, Oxford
1984.
§ 70.1: H. KAHLER, Die friihe Kirche. Kult und Kultraum, Berlin 1972; U. SOllENBACH, Chri-
stuskult und kaiserliche Baupolitik bei Konstantin, Bonn 1977.
§ 70.2: S. S. ALEXANDER, Studies in Constantznian Church Architecture, in RivAC 47-49 (1971-
1973, 281-330; 33-44; H. BRANDENBURG, Kirchenbau I (Der friichristliche Kirchenbau), in TRE 18
(1989), 421-442; N. DuvAL, Les églises africaines à deux abstdes, 2 voll., Paris 1971-1973; P. C. FIN-
NEY, Early Christian Architecture: the Beginnings, in HThR 81 (1988), 319-339; P. C. FINNEY, Early
Christian Art And Architecture (A. D. 200-500). A Selected Bibliography 1945-1985, in SecCen 6
(1987 /1988), 21-42; 203-238; E. LANGLOTZ, Der architekturgeschzchtliche Ursprung der christlzchen
Basz'lika, Opladen 1972; T. F. MATHEWS, The Early Churches of Constantz'nople. Architecture And Li-
turgy, London 1971; M. RESTLE, Studien zur /riihbyzantinischen Architektur Kappadokiens, Wien
1979; T. ULBERT, Friihchrstliche Basiliken mit Doppelapsiden auf der Iberischen Halbinsel, Berlin 1978.
§ 70.3: I mosaici della Patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore in Roma, Roma 1967; H. BRAN.
DENBURG, Uberlegungen zu Ursprung und Entstehung der Katakomben Roms, in Vzvarium (FS
[scritti in onore di] T. Klauser ), Miinster 1984, 11-49; B. BRENK, Die friihchristlichen Mosaiken in
S. Maria Maggiore zu Rom, Wiesbaden 1975; J. G. DECKERS, Der alttestamentliche Zyklus von S.
Maria Maggiore in Rom, Bonn 1976; F. W. DEICHMANN et al. (a cura di), Repertorium der
400 X. Cristianità della Chiesa imperiale

christlich-antiken Sarkophage (uscito finora il I vol. per Roma e Ostia), Wiesbaden 1967ss.; J. EN-
GEMANN, Untersuchungen zur Sepulkralsymbolik der spiiteren romischen Kaiserzeit, Miinster
1973; A. FAUSONE, Die Tau/e in der fruhchristlichen Sepulkralkunst, Città del Vaticano 1982; A.
GRABAR, A Christian Ikonography. A Study o/ Its Origins, Washington 1968; C. IHM, Di Pro-
gramme der christlichen Apsismalerei vom 4. ]ahrhunderts bis zur Mitte des 8. ]ahrhunderts, Wie-
sbaden 1960; J. KOLLWITZ - H. HEFJJEJORGEN, Die ravennatischen Sarkofage, Berlin 1979; D. Ko-
ROL, Die Jruhchristlichen Wandmalereien aus den Grabbauten in Cimitile/Nola. Zur Entstehung
und Ikonographie alttestamentlicher Darstellung, Miinster 1987; A. NESTORI, Repertorio topografi-
co delle pitture delle Catacombe Romane, Roma 199Y; Pontificio Istituto per l'Archeologia Cri-
stiana (a cura di), Roma sotterranea cristiana, Roma ecc. 1937ss.; J. STEVENSON, Im Schattenreich
der Katakomben: Entstehung, Bedeutung und Wiederentdeckung der fruchristlichen Grabstatten,
Bergish-Gladbach 1980; P. STYGER, Romische Martyrer-Gru/te, 2 voli., Berlin 1935; P. TESTINI, Le
catacombe e gli antichi cimiteri cristiani in Roma, Bologna 1966; W. TRONZO, The Via Latina Cata-
comb. Imitation And Discontinuity in IVth Century Roman Painting, London 1986; R. WARLAND,
Das Brustbild Christi. Studien zur spiitantiken und Jruhbyzantinischen Bildgeschichte, Roma 1986; J.
WILPERT - W. N. SCHUMACHER, Die romischen Mosaiken der kirchlichen Bauten vom 4. bis 13.
]ahrhundert, Freiburg 1976; W. WISCHMEYER, Die Tafeldeckel der christlichen Sarkophage kon-
stantinischer Zeit in Rom. Studien zur Struktur, Ikonographie und Epigraphik, Freiburg 1982.
§ 70.4: F. W. DEICHMANN, Martyrerbasilika, Martyrion, Memoria und Altargrab, in MDALR
77 (1970), 144-169; O. NUSSBAUM, Der Standort des Liturgen am christlichen Altar vor dem Jahre
1000. Bine archaologische und liturgiegeschichtliche Untersuchung, 2 voli., Bonn 1965; A. STUIBER,
Altar II, in TRE 2 (1978), 308-318.
§ 70.5: J. BRAUN, Die liturgische Gewandung im Occident und Orient nach Ursprung und
Entwicklung, Verwendung und Symbolik, 1907, rist. Darmstadt 1964; S. G. MAC CORMACK, Art
And Ceremony in Late Antiquity, Berkeley/Los Angeles/London 1981; C. E. POCKNEE, Liturgica!
Vesture. Its Origins And Development, London 1960.

§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica

§ 71 B: Vita d'Alessandro: E. DE STOOP, La vie d'Alexandre l'acémète, t trad. frane., 1911(PO6,5)


§ 71 B la: Apophtegmata Patrum: PG 65,72-410; 73,740-1066;]. C. GUY, t trad. frane. e, 1993 (SC
387); B. MILLER, trad. ted., Freiburg 1965; B. WAFJJ, trad. ingl., London 1975; L. REGNAULT,
trad. frane., Solesmes 1966-1981.
Atanasio, Vita Antonzi: G. J. M. BARTELINK, t trad. frane. e, 1994 (SC 400), G. J. M. BARTELINK,
t lat. trad. it. e, Milano 1987; A. GOTTFRIED - H. PRZYBYLA, trad. ted., Graz 1986; R. T.
MEYER, trad. ingl., 1950 (ACW 10); L. CREMASCHI, trad. it., Roma 1984.
Historia monachorum in Aegypto: A.-J. FESTUGIÈRE, t gr., Bruxelles 1971 (SHG 53; con trad.
frane. e, 1964); K. S. FRANK, trad. ted., Diisseldorf 1967; N. RUSSEL - B. WAFJJ, trad. ingl.,
London/Oxford 1981; G. TRETTEL, trad. it. e, 1991 (CollTP 91); E. SCHULZ-FLOGEL, t lat.
(Rufino), 1990 (PTS 34).
§ 71 B la e§ 71B6: Palladio, Historia Lausiaca: C. BUTLER, t, 1898-1904, rist. Hildesheim 1967;
G. J. M. BARTELINK, t trad. it. e, Verona 1974; J. LAAGER, trad. ted., Ziirich 1987; R. T.
MEYER, trad. ingl. 19665 (ACW 34).
§ 71 B lb: Pacomio, «Regola e scritti»: A. BOON, Pachomiana Latina, t lat., Louvain 1932;
H. QUECKE, Die Briefe Pachoms, t, Regensburg 1975; H. BACHT, Das Vermachtnis des Ur-
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 401

sprungs, t trad. ted., 2 voli., Wiirzburg 1972/1983; F. HALKIN, Sacnti Pachomii vitae graecae,
Bruxelles 1932 (SHG 19); A. VEILLEUX, Pachomian Koinonia, trad. ingl., 3 voli., Kalamazoo
1980-1982; L.-T. LEFORT, Les vies coptes de S. Pach6me, trad. frane., 1943, rist. Louvain 1966;
L. CREMASCHI, trad. it. e, Magnano 1988.
§ 71 B 2a: Cirillo di Scitopoli, «Biografie di monaci»: E. SCHWARTZ, t, 1939 (TU 49); R. M. PRI-
CE, trad. ingl., Kalamazoo 1991; A.J. FESTUGIÈRE, trad. frane., 1962/1963 (« Les moines d'O-
rient » 3,1-3 ); R. BALDELLI et al., trad. it., Bresseo di Teolo 1990.
§ 71 B 2b: Isaia di Gaza, Asceticon, H. DE BROC, trad. frane., Bégrolles-en-Mauges 1976.
§ 71B3: Teodoreto, Hist. rei.: P. CANIVET-A. LEORY-MOLINGHEN, t trad. frane. e, 2 voli., 1977I
1979 (SC 234; 257); K. GUTBERLET, trad. ted., 1926 (BKV); R. M. PRICE, trad. ingl., Kala-
mazoo 1985; S. Dr MEGLIO, trad. it., Padova 1986.
§ 71 B 4: Basilio, «Scritti ascetici»: PG 31; K. S. FRANK, trad. ted. e, St. Ottilien 1981; W K. L.
CLARKE, trad. ingl., London 1925; L. LÈBE, trad. frane., Maredsous 1969; U. NERI - B. AR-
TIGLI, trad. it., 1980 (CPS); K. ZELZER, t lat. (Rufino), 1986 (CSEL 86).
§ 71 C: K. S. FRANK, Fruhes Monchtum im Abendland, trad. ted. e, 2 voli, Ziirich/Miinchen 1975.
Girolamo, «Biografie di monaci»: PL 23, 17-60; M. FUHRMANN, Christen in der Wuste, trad. ted.
e, Ziirich/Miinchen 1983.
Sulpicio Severo, Vita Martini: C. HALM, t, 1866 (CSEL 1).
Giovanni Cassiano, De institutis coenobiorum: J. C. Guv, t trad. frane. e, 1965 (SC 109); Conla-
tiones Patrum: E. PICHERY, t trad. frane. e, 3 voli., 1955.1959 (SC 42; 54; 64).
Regole minori: A. DE VoGOÉ, Les règles des Saint Pères, t trad. frane. e, 2 voli., 1982 (SC 297; 298);
M. PUZICHA, trad. ted. e, Miinsterschwarzach 1990; C. V. FRANKLIN et al., Early Monastic Ru-
les, trad. ingl., Collegeville 1981; V. DESPREZ, Règles monastiques d'Occident IVe-VIe siècle,
trad. frane. e, Bégrolles-en-Mauges 1980; G. TURBESSI, Regole monastiche antiche, trad. it.,
Roma 1974.
§ 71 c 2: Agostino, «Regola»: L. VERHEIJEN, La règle de s. Augustin, t, 2 voli., Paris 1967;
G. LAWLESS, t trad. ingl., Oxford 1987; A. SAGE, t trad. frane., Paris 1971; T. VAN BAVEL,
trad. ted., Wiirzburg 1990; A. TRAPÈ (a cura di), t trad. it., Roma 1986; G. ScANAVINO (a cu-
ra di), t trad. it., Palermo 1986; De opere monachorum: J. SYCHA, t, 1900 (CSEL 41).
Colombano, Regula monachorum; Reg. coenobialis: G. S. M. WALKER, t trad. ingl., Oxford 1957;
A. VoGOÉ, trad. frane. e, Bégrolles-en-Mauges 1989.
Vita Patrum Iurensium: F. MARTINE, t trad. frane. e, 1968 (SC 142).
Cesario d' Arles, «Scritti monastici»: A. DE VoGOÉ- J. COURREAU, t trad. frane. e, 1988 (SC 345);
M. SPINELLI, trad. it. e, Roma 1981; Reg. ad Virgines: M. C. Mc CARTY, t trad. ingl. e, Wa-
shington 1960.
Regula Benedicti: R. HANSLIK, t, 1960 (CSEL 75); Salzburger Abtekonferenz [Conferenza degli
abati a Salisburgo] (a cura di), t trad. ted., Beuron 1992; B. STEIDLE, t trad. ted., Beuron
1975 2; T. FRY, t trad. ingl. e, Collegeville 1981; A. DE VoGOÉ- J. NEUFVILLE, t trad. frane.,
7 voli., 1971-1977 (SC 181-186a); A. LENTINI, t trad. it. e, Monte Cassino 1980 2•
Regula Magistri: A. DE VoGOÉ, t trad. frane. e, 3 voli., 1964/1965 (SC 105-107); K. S. FRANK, trad.
ted. e, St.Ottilien 1989; L. EBERLE, trad. ingl., Kalamazoo 1966.
§ 71c5: Ambrogio, De virginibus: E. CAZZANIGA, t, 1948 (CSL Par); D. CALLAM, trad. ingl., Sa-
skatoon 2987; De virginitate: E. CAZZANIGA, t, 1954 (CSLPar).
Aureliano d'Arles, Regula ad virgines: Pç 68, 399-406; A. SCHMIDT, t, in StMon 17 (1975), 237-256.
Donato, Regula ad virgines: PL 87, 273-298; A. DE VoGOÉ, t, in «Benedictina» 25 (1978), 219-
313.
Leandro di Siviglia, De institutione virginum: A. C. VEGA, t, Madrid 1948.
§ 71c6: Rutilio Namaziano, De reditu suo: E. DOBLHOFER, t trad. ted. e, 2 voli., Heidelberg 1972;
J. VESSERAU, t trad. frane., Paris 1961 2 ; E. CASTORINA, t trad. it., Firenze 1967.
402 X. Cristianità della Chiesa imperiale

A. ORIGINI E TERMINOLOGIA

Nella Chiesa cattolica imperiale il monachesimo ricevette forme e funzioni


stabili nella vita religiosa. Le sue origini risalgono a epoca precostantiniana. Le
sue radici affondano nell'ascesi del cristianesimo primitivo, che nel III sec. spin-
se talvolta ad allontanarsi dalla comunità (cf § 26,5). La vita dei cristiani venne
così a trovarsi regolata da due norme diverse: una determinava e caratterizzava
una vita ascetica, l'altra una vita inserita nella comune condizione civile del-
l'Impero Romano (Eusebio, Dem. ev. I 8).
Elemento costitutivo per il monachesimo fu il distacco (anacoresi: «tirarsi in
disparte») dalla comunità cristiana, un passo che non dovunque avvenne nello
stesso tempo e alla stessa maniera. Dopo i primi tentativi isolati nacque un mo-
vimento che nel IV sec. abbracciò tutta la Chiesa. I motivi di questo sviluppo ri-
mangono ancora oggi controversi. Non basta certamente un solo motivo per
spiegare un fenomeno così complesso, a determinare il quale può aver contri-
buito tutto un insieme di vari motivi individuali, religiosi, politici ed economici:
la preoccupazione per la propria salvezza in contrasto con un'etica collettiva in-
sufficiente, difesa della libertà ascetica contro le pretese di una comunità orga-
nizzata, fuga dai bisogni economici, mentalità di rifiuto di fronte alla destabiliz-
zazione dell'Impero Romano (cf § 26,5). Non è irrilevante il fatto che in Egitto
si definisca come anacoresi l'esodo dai villaggi o dalla campagna già praticato da
lungo tempo ed economicamente motivato. L'ascesi monastica venne legittima-
ta dalla sequela di Cristo, che ora si fece consistere in un conseguente « evange-
lismo ascetico».
Il «monachesimo» va considerato come un'unità solo nel senso più ampio.
Oltre al comune requisito fondamentale - sono monaci quei cristiani che si li-
mitano alla sola opera di fede e rinunciano alla molteplice e affannata attività del
mondo (Orosio, Hist. adv. pag. VII 33) - il monachesimo occidentale e quello
orientale non rappresentarono un quadro unitario. I modi concreti di essere
presentavano un'impressionante gamma di variazioni, tanto da far vedere un pa-
norama monastico quanto mai variegato.
Una terminologia specifica differenziata si sviluppò gradatamente (cf Euse-
bio, Comm. Ps. 68 [67], 7). Prevalente fu il concetto di «monaco» (µovax6ç),
con il suo significato originario di «colui che vive per sé, da solo», ma valido
anche per gli asceti che vivono in comunità. La Vita Antonii di Atanasio, con le
sue due traduzioni latine, e la letteratura monastica di Girolamo fornirono i con-
tributi decisivi per una prima «filologia monastica». Le forme di vita monasti-
ca vennero classificate sotto il titolo De generibus monachorum; si distinsero ini-
zialmente tre tipi di monaci: i «cenobiti», coloro che vivono insieme; gli « ana-
coreti», coloro che vivono da soli come eremiti; e i« remnuoth/sarabaiti » (cop-
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 403

ti), che costituivano piccole comunità di vita ascetica. Questo e un quarto tipo
di monaci, i cosiddetti «girovaghi» (monaci itineranti), furono nettamente ri-
fiutati (cf Girolamo, Ep. 22,34-36; Giovanni Cassiano, Conl. 18,4-7; Regula Ma-
gistri/Regula Benedicti l; Isidoro di Siviglia, De eccl. off. II 16 [Isidoro menzio-
na sei tipi di monaci]).

B. IL MONACHESIMO ORIENTALE

1. Egitto

a) L'EREMITISMO

L'Egitto viene considerato come la terra classica del primo monachesimo.


Le molteplici motivazioni che spingevano a distaccarsi dalla comunità per ra-
gioni ascetiche agirono chiaramente, all'inizio, nelle condizioni topografiche e
storiche di questo paese. Secondo la Vita Antonz'i di Atanasio, la fuga nel deser-
to cominciò nel tardo III sec. Gli asceti vissero inizialmente al bordo dei loro vil-
laggi nativi, poi si spinsero nel «deserto più distante». Deserto (eremus, deser-
tum, solitudo) significa regioni «disabitate», ma tuttavia abitabili. Papiri recen-
temente scoperti testimoniano che i monaci (spesso chiamati « apotaktiti ») non
si separavano completamente dal mondo, ma continuavano ad intrattenere rap-
porti familiari, economici ed anche di natura spirituale. Sono individuabili an-
che vincoli sociali tra gli eremiti. I padri più esperti tra i monaci vennero consi-
derati come autorità spirituali, con un ruolo d'insegnamento dal quale derivò un
tipico rapporto di maestro-discepolo. Gli anacoreti vivevano in agglomerati più
sparsi di celle (Kellt'a). Centri dell'eremitismo egiziano furono il deserto di Ni-
tria e quello di Scete, a sud di Alessandria; tra questi due centri si trovavano le
Kellia, dette così dal nome «celle». Gli scavi delle Kellia testimoniano in ma-
niera impressionante la densità di questi insediamenti monastici, ai quali si ag-
giungono quelli di altre zone desertiche dell'Egitto (delta e valle del Nilo).
Antonio d'Egitto (ca. 251-356?) divenne grazie alla Vita Antonii di Atana-
sio il prototipo di questa primitiva forma monastica. La Vita (scritta attorno al
357) fu composta come scritto propagandistico e programmatico dell'ideale mo-
nastico (cf prologo e conclusione). Antonio viene quindi rappresentato inten-
zionalmente come perfetto asceta e maestro di ortodossia per i monaci. Tutta-
via, o proprio per questo, è possibile ricavare dall'opera gli elementi costitutivi
del monachesimo egiziano: preghiera, lettura della Sacra Scrittura e lavoro ma-
nuale (produzione di cesti, lavoro negli orti e nei campi) per il proprio mante-
nimento e per il sostentamento dei bisognosi. La Vita illustra anche i rapporti
404 X. Cristianità della Chiesa imperiale

reciproci tra i monaci e testimonia, così, che l' eremitismo rappresentò la forma
sociale visibile del monachesimo egiziano.
La Vita Antonii venne ben presto tradotta in latino (sono note due antiche traduzioni) ed
esercitò notevole influenza nella diffusione e nella formazione del monachesimo anche in occi-
dente (cf Agostino, Con/ VIII 5; cf § 76,11).

Gli insediamenti monastici egiziani furono altamente stimati fino all'inizio


del V sec. Il pellegrinaggio presso i monaci divenne un fenomeno alla moda
(Apophthegmata Patrum, Arsenio 28). Relazioni di pregio letterario come la Hi-
storia monachorum in Aegypto (in redazione greca e latina) e la Historia Lausia-
ca di Palladio (cf § 75,11) proseguirono l'opera d'idealizzazione del monachesi-
mo. Con i loro racconti epico-romanzeschi esse stabilirono le norme per la vita
monastica e la santità cristiana.
Un approccio immediato alla mentalità dei monaci egiziani viene fornito da-
gli Apophtegmata Patrum («detti dei Padri»). La loro origine si deve far risali-
re all'insegnamento orale impartito da monaci esperti considerati come padri
(abbas, geron), ai quali si chiedeva una parola (logion, logos, rhema) che potesse
indicare il cammino da seguire. La redazione scritta di questa tradizione orale
avvenne nel IV sec. Verso la fine del V sec. e nel corso del VI si formarono poi
le grandi raccolte di detti dei Padri: l'Alphabetikon (raccolta compilata secondo
l'ordine alfabetico dei padri del deserto, tra i quali vengono annoverate anche
tre donne) e la raccolta sistematica (ordinata per temi), di cui non è stato chia-
rito più precisamente il processo di elaborazione.

Le raccolte più antiche di apoftegmi da noi conosciute si trovano negli scritti di Evagrio Pon-
tico (345-399; cf § 75,7). Questo discepolo dei cappàdoci visse da ca. il 383 come anacoreta pri-
ma nel deserto di Nitria, poi nelle Kellia. Egli concludeva ciascuno dei suoi scritti Prakticos e Gno-
stikos, di contenuto ascetico quanto mai esigente, con una piccola raccolta di apoftegmi (cf Prakt.
91-100; Gnost. 146-150), alcuni dei quali trovarono accoglienza anche nelle successive grandi rac-
colte. Se Evagrio fosse il primo a mettere per iscritto in questa forma tradizioni orali, o se dispo-
nesse di apoftegmi già scritti è una questione non chiarita.

Il monachesimo egiziano entrò attorno al 400 in una grave crisi. Tensioni tra
monaci immigrati e indigeni, la controversia su Origene e la persecuzione che
ne risultò contro i monaci origenisti da parte del patriarca alessandrino Teofilo
(§ 51), e infine l'invasione dei maziki, una tribù nomade libica, segnarono la fi-
ne dell'epoca aurea. «Il mondo ha perso Roma e i monaci hanno perso Scete»
(Apophthegmata Patrum, Arsenio 21).

b) LA FONDAZIONE DI MONASTERI DA PARTE DI PACOMIO


Quasi contemporaneamente all'eremitismo comparve in Egitto una seconda
forma di monachesimo: la vita in comune dei monaci (Kotvòç ~1.oç», cenobiti-
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 405

smo). L'organizzazione di comunità monastiche viene legata nella tradizione al


nome di Pacomio (ca. 292-346/347). Il copto Pa-hom («falco del re») si dedicò
inizialmente, dopo il suo battesimo (ca. 312), ad attività caritative. Visse poi per
diversi anni come eremita e cominciò infine, per motivi pratici e spirituali, a
spingere gli eremiti a una vita in comune, che doveva ispirarsi al modello ideale
della prima comunità degli apostoli (At 4,32-35). Attorno al 323 fondò nell' Al-
to Egitto il monastero di'Tabennisi, che ebbe un'affluenza così intensa da sug-
gerire ben presto altre fondazioni; comunità monastiche affini aderirono a Pa-
comio. I monasteri (complessivamente nove cenobi maschili e due femminili,
uno dei quali sotto la guida della sorella germana di Pacomio) costituirono una
lega monastica (la «santa koinonia ») sotto la guida dello stesso Pacomio.
L'atto di fondazione, così ricco di conseguenze, fu accompagnato da un'ul-
teriore innovazione: una norma di vita, fissata per iscritto, che .regolava tutte le
questioni importanti della vita comunitaria (struttura gerarchica dei monasteri,
svolgimento della giornata, liturgia, preghiera, sostentamento ecc.). Non è più
possibile ricostruire con esattezza il processo di sviluppo della «regola di Paco-
mio ». Il testo si formò attraverso un lavoro di lunghi anni e con la collabora-
zione di più autori (cf la Prae/atio di Girolamo alla versione latina: «comanda-
menti» di Pacomio, di Teodoro e di Orsiesi). Della redazione originaria in lin-
gua copta si sono conservati solo pochi frammenti; il testo completo - con un' ar-
ticolazione in quattro parti: Praecepta; Praecepta atque instituta; Praecepta atque
iudicia; Praecepta ac leges - ci è giunto soltanto nella versione latina di Girolamo
(eseguita nel 404 da un esemplare greco).

L'influenza di Pacomio si estese ampiamente oltre l'Egitto. La traduzione delle sue regole in
latino da parte di Girolamo diede inizio a una vera e propria storia dell'influsso che esse avreb-
bero avuto nel monachesimo latino. Le biografie di Pacomio, pervenute soprattutto nelle reda-
zioni copta e greca, documentano la stima e l'influenza di cui godette il monaco egiziano, ma dif-
ficilmente ne trasmettono un'immagine autentica.

La lega monastica pacomiana sopravvisse al suo fondatore. I suoi succes-


sori negli anni 347-386- Orsiesi e Teodoro - dovettero certamente affrontare
serie difficoltà, ma poterono egualmente accogliere nella lega altri monasteri.
Dopo il 400 le notizie diventano più rare. Presso il « Convento Bianco » (Deir
el Abiad) in Alto Egitto sorse un monastero autonomo secondo la regola pa-
comiana. Sotto il suo abate Scenute di Atripe (ca. 333/334-451) esso divenne
.un importante centro di riforma, che incise anche nella politica ecclesiastica
alessandrina.
La rapida diffusione del cenobitismo in Egitto non si può spiegare soltanto
con Pacomio. Essa fu preparata dalle incerte forme di transizione tra eremiti e
gruppi di eremiti. Dei monasteri, inoltre, sorsero anche indipendentemente da
Pacomio.
406 X. Cristianità della Chiesa imperiale

L'esistenza di monasteri di meleziani è dimostrabile dal 334 (§ 35,3). Sotto


la pressione della persecuzione atanasiana i meleziani abbandonarono le loro
città e i loro villaggi e vissero in comunità segregate. Il ritrovamento di papiri
consente di gettare uno sguardo nella forma d'organizzazione di questi monaci,
o apotaktiti. Ne risulta che una rinuncia radicale al mondo (apotaxis) non era
obbligatoria: alcuni asceti disponevano liberamente dei propri beni e i loro in-
sediamenti monastici assumevano il carattere di villaggi. Il monachesimo istitu-
zionale oppose ai monaci meleziani un rigoroso rifiuto (Vita Ant. 68; Apophth.
Patr. Arsenio 48); anche a Pacomio vengono attribuiti moniti di diffida nei con-
fronti dei meleziani (Vita sahid. [5 5] 123; cf Vita gr. II 88).

2. Palestina

Il monachesimo palestinese mostra un carattere proprio. Segno distintivo è


una certa moderazione nella vita ascetica (nessuna forma esagerata, come per es.
in Siria), una composizione internazionale delle comunità monastiche, determi-
nata dal crescente movimento di pellegrini verso i luoghi santi, e una vivace par-
tecipazione alle discussioni cristologiche del V e del VI sec.

a) GIUDEA E GERUSALEMME

Il deserto di Giuda e i luoghi santi esercitarono una particolare forza d'at-


trazione su asceti provenienti da altri paesi. Da !conio giunse san Caritone, se-
condo la tradizione il primo monaco in territorio gerosolimitano, vissuto pro-
babilmente dal 275 (330?) come asceta nelle vicinanze di Gerusalemme e con-
siderato come fondatore delle laure di Pharan, Douka (presso Gerico) e Souka
(presso Betlemme) (cfl'anonima Vita di san Caritone).

Laura (=vicolo, viottolo) è il nome con cui viene indicato un insediamento monastico pale-
stinese, in cui asceti conducevano una vita anacoretica, sòtto un superiore responsabile, in singo-
le celle sparse su un territorio circoscritto e collegate da un viottolo. Il Sabato e la Domenica si
riunivano per la liturgia nella chiesa situata al centro.

Nel 405/406 ca. si stabilì nelle vicinanze di Gerusalemme il giovane mona-


co sacerdote Eutimio di Melitene/Eufrate (377-473). Qualche anno più tardi
fondò un proprio monastero, che subito dopo ebbe come capo il suo amico
Teoktisto (monastero di Teoktisto). Dopo alcuni anni, durante i quali, nel ten-
tativo di sottrarsi alla popolarità di cui era oggetto, cambiò continuamente luo-
go per vivere indisturbato come anacoreta, tornò nelle vicinanze di questo mo-
nastero e ne fondò un altro (laura di sant'Eutimio; cf Cirillo di Scitopoli, Vita
S. Euthymt'i). Il monastero di Teoktisto servì ora come «casa di noviziato», in
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 407

cui si praticava la vita cenobitica, fino a quando i giovani monaci non erano ma-
turi per una vita da condursi secondo l'ideale anacoretico nella laura di Eutimio.
Questo sistema - il cenobio come indispensabile primo passo per l'anacoreti-
smo nella laura - venne stabilito nella successiva generazione dal discepolo di
Eutimio Saba (cf § 59,3). Saba (439-532), che aveva raggiunto Eutimio dalla
Cappadocia nel 456 ca., fondò nel 483 la Grande Laura (Mar Saba), seguita da
altri monasteri (Cirillo di Scitopoli, Vita S. Sabae).
Eutimio e Saba furono non solo fondatori di monasteri e organizzatori del monachesimo, ma
furono anche protagonisti di attività missionaria e di politica ecclesiastica al di là dei loro mona-
steri. Nelle controversie tra Giovenale, vescovo di Gerusalemme (422-458), e il suo antagonista
Teodosio (cf § 58,1) i monaci svolsero su tutte e due le parti un ruolo importante. La laura di Eu-
timio rimase immune dalla diffidenza che in Palestina prevaleva contro il concilio di Calcedonia
e divenne luogo di raccolta dell'opposizione calcedoniana. Saba proseguì questa politica del suo
predecessore.

b) GAZA

Girolamo rappresentò Ilarione di Thavata presso Gaza come il primo mo-


naco in Palestina (Vita Hilarionis, prima del 392). Egli fondò probabilmente at-
torno al 330, nelle vicinanze di Maiuma/Gaza, un insediamento monastico. Sot-
to il suo influsso nacque forse il monastero di Epifanio (dal 367 vescovo di Sa-
lamina/Cipro; § 75,6) presso Eleuteropoli. A causa della posizione geografica,
rimase caratteristica per i monasteri attorno a Gaza l'impronta ricevuta dall'in-
flusso egiziano. Così, il monaco monofisita Isaia (m. 491), vissuto a Gaza nel V
sec., deve probabilmente identificarsi nell'abate Isaia di Scete, autore di scritti
ascetici (Asketikon; De gradibus vitae monasticae).
Monaci della regione di Gaza ebbero una parte non di secondo piano nelle discussioni di po-
litica ecclesiastica dopo il concilio di Calcedonia (cf § 58,3; sono da ricordare particolarmente Pie-
tro l'Iberico (m. 491) e il suo discepolo Severo d'Antiochia (m. 538; cf § 77,3 ), che furono i por-
tavoce dei monaci anticalcedoniani. Schierati sulle posizioni di Calcedonia furono invece Barsa-
nufio (m. 540) e Giovanni (m. ca. 530), noto per la sua ampia corrispondenza spirituale, e il loro
discepolo Doroteo di Gaza (m. 560/580), sotto il nome del quale si conservano discorsi dottrina-
ri (Didaskaliaz), lettere e una raccolta di sentenze (cf § 77 ,6a).

c) MONASTERI LATINI

Il pellegrinaggio nei luoghi santi portò a Gerusalemme e in Giudea, sul fi-


nire del IV secolo, numerosi cristiani dell'occidente. Grazie alla loro immigra-
zione, sorsero dei monasteri latini. Molto importante fu quello di Melania senior
sul Monte degli Ulivi (fondato nel 372; cf Palladio, Hist. Laus. 46; 54; 55). La
nipote, Melania iunior, arrivò anch'essa nel 417 a Gerusalemme e vi fondò un
monastero femminile egualmente sul Monte degli Ulivi e un monastero maschi-
le presso la chiesa dell'Ascensione (Geronzio, Vita Melaniae). Nel 385 Girola-
408 X. Cristianità della Chiesa imperiale

mo si era stabilito a Betlemme con Paola ed Eustochio e con i beni di Paola vi


aveva fondato un monastero maschile e uno femminile (Girolamo, Ep. 108,20).
Nello stesso tempo anche Giovanni Cassiano deve essere vissuto in un mona-
stero di Betlemme presso la grotta della natività (Con!. 17,7).

3. Siria

L'encratismo del II sec. (Taziano, cf § 38 A 3) aveva avuto in Siria una forte


diffusione. Già per questo motivo la Chiesa siriaca fu particolarmente sensibile
all'ideale ascetico, che nel IV sec. continuò ad essere coltivato specialmente in
comunità ascetiche di entrambi i sessi. I cosiddetti «figli e figlie dell'alleanza»
(Bnai e Bnat Qyama), dei quali parlano Afraate (Demonstratio 6) ed Efrem (cf §
75,12), vivevano in comunità come membri di eguale diritto. Probabilmente es-
si emettevano al momento del battesimo un voto di celibato e di povertà. In que-
sto tempo si fece sentire in Siria anche l'ideale di una vita ascetica al di fuori del-
le comunità. Si collegano con questo ideale i monasteri fondati in Celesiria, do-
po il 325, da Audio (Epifanio, Pan. 70,l; Anc. 14,3-4). I suoi seguaci, detti «au-
diani », legarono la loro vita ascetico-monastica alla protesta contro i costumi ri-
lassati del clero (cf § 50,5). Una forte presenza dell'ascetismo viene testimonia-
ta da Girolamo e soprattutto dalla Historia religiosa scritta probabilmente nel
444 da Teodoreto di Ciro (§ 4; 75,4d), che con i suoi eroi asceti volle proporre
qualcosa di più degli eroi e dei filosofi greci.
Colpisce, rispetto al monachesimo egiziano, un'ascesi più austera che tal-
volta si esprimeva in forme strane e bizzarre. C'erano asceti di entrambi i sessi
che vivevano come reclusi, altri che rimanevano in perpetuo ali' aperto (« asceti
ali' aria aperta»), altri che si caricavano di catene di ferro.

Una forma particolare di ascesi siriaca fu quella degli stiliti (dal tardo gr. stylos, che significa
« colonna»), che passavano la vita sopra una colonna: il loro primo e più famoso rappresentante
fu Simeone lo Stilita (m. 459), la cui vita risulta descritta da Teodoreto (Hist. rei. 26). Dopo aver
sperimentato varie forme ascetiche di vita, egli si ritirò, per sottrarsi alla pressione della massa dei
suoi ammiratori, sulla piattaforma di una colonna. Ma anche di qui continuò ad annunciare il Van-
gelo e a predicare. La sua colonna, che si ergeva a Ka'lat Siman, era continuamente attorniata da
ammiratori, da persone che cercavano aiuto e che desideravano convertirsi. Simeone trovò in
oriente molti imitatori.

In Siria esistettero una accanto ali' altra tutte e due le forme d'ascetismo:
quella dell' eremitisto e quella del cenobitismo. Malgrado la loro accentuata ten-
denza alla solitudine, gli asceti della Siria si mostrarono anche solleciti nei con-
fronti del mondo. L'attività sociale/caritativa e l'azione apostolica/missionaria
furono aspetti costitutivi della vita di questi monaci« taumaturghi» (operatori
di miracoli). Il monachesimo non soltanto si trovava in una posizione di alta sti-
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 409

ma da parte del popolo, ma intratteneva in prevalenza anche ottimi rapporti con


le comunità ecclesiastiche. I vescovi venivano scelti preferibilmente da ambien-
ti monastici. Un panegirista e difensore entusiasta del monachesimo siriaco-an-
tiocheno fu Giovanni Crisostomo(§ 75,4c).

4. Asia Minore

Iniziatore del monachesimo in Asia Minore viene ritenuto Eustazio di Se-


baste (m. 377). La sua ascesi entusiastica, critica nei confronti della Chiesa, lo
portò continuamente a conflitti con la Chiesa stessa. Nel 340 (o 341) un sinodo
celebrato a Gangra (Paflagonia) si pronunciò contro le esagerazioni ascetiche
dei suoi seguaci, definiti in senso negativo come « eustaziani ». Si rimproverò lo-
ro il disprezzo del matrimonio, il rifiuto di ogni proprietà privata, la negazione
di un cristianesimo inserito nella società civile e la condanna della prassi asceti-
ca della Chiesa, che ai loro occhi era troppo blanda (Hefele-Leclercq I 2, 1029-
1045). Il conflitto mostra quanto facilmente la vita ascetica potesse diventare in-
controllabile nel suo entusiasmo e disturbare un saldo ordinamento ecclesiasti-
co. Quanto a Eustazio, che fu probabilmente il primo asceta a diventare vesco-
vo (a Sebaste), cercò egli stesso di esercitare un'azione moderatrice sui suoi se-
guaci. A una definitiva rottura con la Chiesa si arrivò soltanto quando egli, nel-
la controversia sulla divinità dello Spirito Santo, si schierò dalla parte degli
pneumatomachi, e quindi non a motivo della sua prassi ascetica, ma della sua
presa di posizione dogmatica.
Basilio il Grande (cf § 75,3a) si trovò all'inizio della sua carriera ascetica sot-
to l'influsso di Eustazio, al quale lo legò per molti anni una profonda amicizia
(cf per es. Ep. 1; 123) che si spezzò soltanto quando i due amici si trovarono in
posizioni contrapposte nella controversia pneumatologica. Basilio aveva deciso
di abbracciare la vita ascetica al momento stesso del suo battesimo e, dopo un
viaggio attraverso vari centri del monachesimo, visse per qualche tempo insieme
a persone che condividevano i suoi ideali su una proprietà della sua famiglia ad
Annesi (Ponto). Egli dedicò numerosi scritti alla vita ascetica in comunità, in
quanto giudicava l' eremitismo con atteggiamento estremamente scettico (cf
Reg. Jus. 7). Già nella raccolta minore dei suoi scritti ascetici, noti sotto il titolo
generale di« Ascetica», risultano stabilite le basi per una vita monastica comu-
ne, con norme che vengono poi riprese nella raccolta maggiore. In una redazio-
ne definitiva il contenuto delle sue opere ascetiche appare distribuito nelle due
regole monastiche, quella più lunga (Regulae Jusius tractatae) e quella più breve
(Regulae brevius tractatae).
Secondo Basilio, tutti i battezzati sarebbero tenuti per principio a seguire Gesù Cristo e a
professare la loro fede in Dio nella vita di ogni giorno e attraverso l'ascesi. La vita monastica non
410 X Cristianità della Chiesa imperiale

rappresenterebbe che una forma particolare di questo più ampio programma. L'amore verso Dio
e il prossimo sarebbe già insito nella natura umana come inclinazione al bene (cf Reg. fus. 2-3
ecc.). Il distacco dall' «uomo vecchio», la conversione, non dovrebbe significare, per lui, una fu-
ga dal mondo, ma servizio nel mondo, azione sociale, vita in comune.

Le sue norme per la vita ascetica sono quindi basate su una teologia della
creazione e orientate in senso ecclesiologico. Basilio diede alla vita comune nel
monastero una normativa spirituale e stabilì i princìpi che dovevano regolare le
comunità ascetiche all'interno della Chiesa. Essi dovevano individuare nelle co-
munità compiti spirituali (Reg. /us. 97), educativi (Reg. /us. 15; Reg. brev. 292) e
caritativi (Reg. /us. 42; Reg. brev. 100; 101; 155; 207; 214; 302, ecc.). Le sue re-
gole sono state ampiamente accolte nel monachesimo greco. Attraverso la tra-
duzione latina della redazione più breve degli «Ascetica», curata da Rufino
d'Aquileia attorno al 396/397, Basilio influenzò anche il monachesimo occiden-
tale (cf Regula Benedicti, § 71 c 4).

5. Costantinopoli

Anche nella capitale dell'Impero Costantinopoli furono fondati già nel IV


sec. dei monasteri. Secondo Sozomeno (H. E. IV 27,4), la prima comunità
monastica vi fu eretta attorno al 350 da Maratonio, appartenente alla cerchia
di Eustazio di Sebaste. Nel 382/383 vi fondò un monastero il monaco siro
Isacco. Il numero dei monasteri crebbe rapidamente. Il concilio di Efeso
del 431 riconobbe l'abate Dalmato come «capo di tutti i monaci della città»
(il cosiddetto «archimandrita»; cf ACO I 1,7; S. X-XI). Il monachesimo ri-
sultò a Costantinopoli integrato nella vita della città. Nelle discussioni di poli-
tica ecclesiastica dei secoli V e VI esso svolse un ruolo d'importanza non se-
condaria.
Acquistò grande rinomanza il cosiddetto monastero degli acemeti, fon-
dato nel 405 ca. da Alessandro, vissuto precedentemente in Siria e Palestina
come asceta itinerante. Gli acemeti (da à.icotµ1ycoç, «insonne, sempre in
movimento») presero alla lettera l'invito a pregare sempre, senza stancarsi
(Le 18,1) e lo seguirono stabilendo che un gruppo della comunità fosse sem-
pre riunito in preghiera. Sotto il successore di Alessandro (426/427) vennero
condannati come messaliani (cf § 50,6) ed espulsi dalla città. Fondarono allo-
ra una nuova comunità ad Eirenaion, sul Bosforo. Con il loro aiuto l'ex-con-
sole Studios fondò a Costantinopoli, nel 463, il monastero di san Giovanni
(«monastero di Studios »). Gli studiti, che più tardi divennero famosi grazie a
Teodoro Studita e a una loro grande biblioteca, tramandarono l'eredità spiri-
tuale degli acemeti.
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 411

6. Monachesimo femminile

L'ascesi premonastica era stata ampiamente praticata nelle comunità cristia-


ne anche da donne (cf § 26,5). La fuga dalla comunità per rifugiarsi nel deserto
fu una forma d'ascesi prevalentemente seguita da uomini. Di donne che scelse-
ro la vita eremitica non sappiamo molto. Gli Apophthegmata Patrum, tuttavia,
conoscono anche delle« Madri»: Amma Theodora, Sarrha e Synkletika. Della le-
ga monastica pacomiana facevano parte anche due monasteri femminili. Nelle
città venne incoraggiato, per le vergini, l'uso di abitare e vivere insieme, ciò che
portò a una progressiva sostituzione del tradizionale ascetismo praticato in fa-
miglia. La Historia Lausiaca di Palladio (§ 75,11) costituisce un'importante te-
stimonianza per la varietà dell'ascesi femminile nel IV/V sec. e per l'importan-
za di quelle donne alle quali, oltre all'istruzione e alle ricchezze familiari, era so-
prattutto una scelta di vita ascetica ad offrire la possibilità di organizzare la pro-
pria vita in maniera personalmente responsabile e di dare un proprio contribu-
to nelle discussioni teologiche. Basilio, la cui sorella maggiore Macrina già pri-
ma di lui aveva fondato una comunità ascetica femminile su un terreno di pro-
prietà della sua famiglia, fa riferimento nelle sue «regole» anche alle comunità
della sorella, che potevano aspettarsi dalle comunità maschili un aiuto pratico e
assistenza spirituale. Ma egli sottolinea la responsabilità della superiora per le
sue sorelle, che dai fratelli non dovrebbe essere messa in discussione (cf Reg. /us.
33; Reg. brev. 108-111; 153-154).
Una figura di spicco del monachesimo femminile fu la leggendaria discepo-
la di Paolo Tecla, sulla tomba della quale a Seleucia d'Isauria costruirono mo-
nasteri asceti di entrambi i sessi (Aetheria, Peregrinatio 23,2-5).

7. Monachesimo e pubblico

L'autorità ecclesiastica insistette sempre sull'unità tra ascesi e ortodossia. Se


questa mancava, anche la vita ascetica si vedeva negare il suo riconoscimento.
L'attività caritativa di molti monasteri (Basilio, Reg. fus. 10) fece crescere la
stima per il monachesimo. Tuttavia, il crescente movimento ascetico del IV sec.
produsse anche spiacevoli fenomeni concomitanti che suscitarono critiche con-
tro il monachesimo. Nella distruzione di santuari pagani ordinata da parte del-
lo Stato (per es. del Serapeion presso Alessandria nel 391) si distinsero inglorio-
samente monaci che irrompevano nei luoghi come orde furiose. Scrittori paga-
ni come Eunapio (Vitae Sophistarum 472, 6ss.) o Libanio (Or. 30: Pro templis)
rifiutarono comprensibilmente il monachesimo, mostrando contro di esso tutta
la loro ripugnanza. Durante le controversie teologiche e cristologiche dei secoli
IV e V furono spesso proprio dei monaci fanatici ad esercitare pressioni sui lo-
412 X. Cristianità della Chiesa imperiale

ro vescovi per costringerli a prendere posizione secondo le loro idee. L'impera-


tore Teodosio cercò d'impedire eccessi violenti, proibendo ai monaci di sqg-
giornare nelle città (390; due anni dopo il provvedimento venne ritirato; cf CTh
XVI 3,1 e 2). Anche nei confronti della vita ascetica in se stessa alcuni cristiani
contemporanei si mostrarono piuttosto freddi e distaccati (cf Sinesio di Cirene,
Dian Chrysostomus 7).
A un ampio inquadramento giuridico del monachesimo nella Chiesa si vide
chiamato il concilio di Calcedonia. La legislazione mise i monasteri sotto la giu-
risdizione del rispettivo vescovo diocesano. Soltanto con il suo permesso si po-
tevano fondare monasteri (can. 4). Monasteri già esistenti e riconosciuti non po-
tevano essere secolarizzati (can. 24). Altre numerose disposizioni erano in vigo-
re già da prima: si rese obbligatoria, per i monaci e per le monache, la pratica
ascetica di vivere in disparte e si proibì loro d'ingerirsi nelle faccende ecclesia-
stiche e civili (can. 4; cf can. 3). Gli schiavi potevano essere accettati in un mo-
nastero soltanto con il permesso del loro padrone (can. 4). Un monaco non po-
teva più entrare nel servizio militare o assumere un ufficio civile (can. 7). Alle
vergini consacrate a Dio e ai monaci venne proibito il matrimonio (can. 16).

C. IL MONACHESIMO OCCIDENTALE

Le origini e la prima organizzazione del monachesimo latino percorsero vie


simili a quelle dell'oriente. Inizialmente vergini e asceti di sesso maschile vive-
vano da soli o anche in piccoli gruppi nel contesto delle comunità cristiane.
Presso le donne l'ascetismo praticato in famiglia era ampiamente diffuso (cf per
es. Ambrogio, De virginibus; Sulpicio Severo, Vita Martini 19,1-2). L'eremitismo
ebbe in occidente una minore importanza. La «solitudine tra più persone» era
considerata la forma normale, mentre il vivere da soli era ammesso solo per i
progrediti e già sperimentati. In occidente continuò a svilupparsi una tradizio-
ne che seguiva l'esempio e gli stimoli del monachesimo orientale.

1. Italia

Grazie a vivaci scambi con l'oriente la vita monastica si diffuse verso la fine
del IV sec. a Roma. Qui essa appare inizialmente, a partire dalla metà del IV
sec., come movimento spiccatamente femminile. Negli anni 382-385 Girolamo,
che aveva portato con sé dall'oriente analoghe esperienze, ne divenne autorevo-
le consigliere. La sua corrispondenza fornisce un chiaro esempio di un'azione
§ 71. Il monachesimo neUa Chiesa antica 413

propagandistica per la vita ascetica. Egli invitò illustri dame a una nuova nobiltà
cristiana, basata sull'ascesi e sulla continenza (per es. Ep. 108; 127). Fece pro-
paganda, inoltre, per il sostegno materiale e personale dei monasteri. Rappre-
sentanti dell'aristocrazia tardo-antica, in qualità di patronus/patrona, divennero
autorevoli promotori della vita monastica.
Sotto l'influsso di Girolamo vennero a trovarsi Paola ed Eustochio, che più
tardi l'avrebbero seguito a Betlemme (Ep. 108; 22), Marcella (spec. Ep. 127), Fa·
biola (Ep. 64 ecc.); Proba (Ep. 130,7), come anche Pammachio (Ep. 66). Nu-
merose dame dei circoli aristocratici di Roma aderirono fin dalla giovinezza a
una vita di castità al riparo della famiglia. Anche più frequenti furono le vedove
che rinunciavano alle seconde nozze per poter vivere secondo ideali ascetici. Il
riunirsi di queste donne in comunità domestiche o il ritirarsi in campagna insie-
me a persone con gli stessi ideali caratterizza il passaggio dall'ascesi premona-
stica al modo di vivere monastico (Ep. 43 ).
Tra i più importanti promotori e propagandisti della vita ascetica vanno an-
noverati Damaso di Roma e Ambrogio di Milano. Agostino testimonia l'esi-
stenza di monasteri femminili e maschili a Roma (De mor. ecc!. cath. I 33,70; cf
31,65-68) e a Milano sotto Ambrogio (Con/ VIII 6,15). Vergini cristiane arriva-
vano di lontano per prendere il velo dalle mani del vescovo milanese (De virgi-
nibus I 57-60). Egli c'informa anche di colonie di eremiti sulla costa dell'Italia
settentrionale (Hexaem. III 5,23). Il vescovo Eusebio (m. ca. 370) introdusse a
Vercelli la vita comune, la vita communis, dei chierici e unì così l'ufficio sacer-
dotale con la forma di vita monastica (Ambrogio, Ep. 14 extra coll.). A Nola si
stabilì nel 395 Paolino, che fondò un monastero sulla tomba di san Felice. Me-
lania iunior rese possibile con il suo ricco patrimonio la fondazione di diversi
monasteri in Sicilia (Palladio, Hist. Laus. 61). Già alla fine del IV sec. si posso-
no distinguere varie forme di monachesimo italiano: monasteri fuori le mura,
monasteri urbani, monasteri per chierici, monasteri annessi a santuari, colonie
di eremiti. Al quadro d'insieme appartengono anche monaci che erano giunti
dall'oriente, ma non dappertutto erano stati riconosciuti (Girolamo, Ep. 22,34;
Palladio, Hist. Laus. 37; Agostino, De opere monachorum 28,36).

2. Nordafrica

In Nordafrica la forma di vita monastica fu promossa da Agostino, che l'a-


veva conosciuta di passaggio a Milano e a Roma, ma ne aveva maturato gli idea-
li traendoli dalla sua propria formazione ed esperienza intellettuale: entusiasmo
neoplatonico per l'unità, tendenza ali' amicizia (Con/ IV 8, 13) e desiderio di co-
munione ecclesiastica (At 4,32: Cor unum et anima una, «un cuore solo e un'a-
nima sola») contribuivano insieme nell'alimentare questo ideale (cf § 76,4). So-
414 X Cristianità della Chiesa imperiale

prattutto egli richiedeva la vita communis dei chierici (Ep. 60; Sermo 355; 356).
In Africa settentrionale, tuttavia, continuava a produrre i suoi immediati effetti
anche l'esempio orientale, che reclamava il suo diritto d'esistenza accanto al
progetto agostiniano. Le più antiche regole monastiche latine sono legate al no-
me di Agostino.

Da una storia piuttosto complicata della tradizione si possono ricavare due o tre testi, che
vengono indicati come« Regole di Agostino»: l'Orda monasterii (Regula I), un ordinamento mo-
nastico molto conciso, di cui si discutono la paternità (Agostino o Alipio), la redazione e i desti-
natari; il Praeceptum (Regula II), un ordinamento dettagliato, probabilmente scritto da Agostino
per il suo monastero d'Ippona (non prima del 391; forse attorno al 397?). Questa regola è identi-
ca a quella contenuta in Ep. 211,5-16 (Regularis informatio), che però è destinata alle donne. La
priorità fra i due testi è oggetto di discussione; la maggioranza degli studiosi è incline a ricono-
scere la priorità del Praeceptum; la Regularis in/ormatio sarebbe allora un adattamento di questo
testo per il monastero femminile d'Ippona descritto nell'Ep. 211.

3. Spagna e Gallia

Nella Spagna la vita ascetica aveva ricevuto un forte impulso da Priscilliano


e dal suo movimento, ma nello stesso tempo era caduta in discredito (§ 50,7).
Molti vescovi reagirono al priscillianismo mostrando ostilità e diffidenza contro
il monachesimo in genere.
Come fondatore del monachesimo in Gallia viene considerato Martino di
Tours (m. 397). Il suo biografo Sulpicio Severo lo esaltò negli scritti a lui dedi-
cati e ne difese e propagò la forma di vita monastica. Il monachesimo martinia-
no rimase limitato alla sfera d'azione del santo e non trovò dopo la sua morte
un'ulteriore diffusione. Nella Gallia settentrionale la vita ascetica-monastica fu
promossa dal vescovo Vittricio di Rouen (m. ca. 407). In quella orientale si sta-
bilì un monachesimo a sua volta influenzato dall'oriente, ma incapace di adatta-
menti alle circostanze concrete locali: Onorato fondò attorno al 400/410 il mo-
nastero insulare di Lerino. Giovanni Cassiano (m. subito dopo il 433) visse dal
415/416, dopo un soggiorno tra i monaci orientali, a Marsiglia, dove fondò un
monastero maschile e uno femminile. L'influsso di questi centri monastici fu di
vasta portata. Il monastero del Giura (St.Claude), fondato attorno al 450, fu in
rapporti con il monachesimo insulare di Lerino e stabilì a sua volta legami con
il monastero-santuario eretto sulla tomba del santo martire Maurizio a St. Mau-
rice (Vi'ta Patrum Iurensium). Molti monaci di Lerino vennero chiamati nel V
sec. alle sedi vescovili della Gallia meridionale. Vita monastica e vita clericale ri-
sultarono così reciprocamente congiunte. Giovanni Cassiano esercitò con i suoi
scritti (De institutis coenobiorum e Conlationes Patrum) una vasta influenza sul
monachesimo della regione attraversata dal Rodano. Agli asceti occidentali egli
volle mostrare come esempio normativo il monachesimo orientale, da lui inten-
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 415

zionalmente idealizzato e reso sistematico per scopi pratici. Egli, inoltre, fu il


mediatore della teologia e spiritualità monastica, che era ispirata a Origene ed
Evagrio Pontico.
Con il monachesimo gallico venne in contatto alla fine del VI secolo Co-
lombano (ca. 543-615) con i suoi monaci irlandesi (cf § 43,7). D'accordo con i
merovingi, egli riuscì a fondare monasteri nel territorio dei vosgi (Luxeuil, An-
negray e Fontaine). Le sue regole per queste comunità (Regula monachorum e
Regula coenobialz's) furono seguite anche in altri monasteri merovingi. Il legame
originario con le regole di Colombano cessò gradatamente e venne sostituito
nelle singole case dall'osservanza di regole miste (vedi qui sotto,§ 71 C 4). Do-
po essere stato allontanato dal regno dei merovingi, Colombano si trasferì oltre
le Alpi e fondò nel 612, a Bobbio, il suo ultimo monastero.

4. Regole monastiche

Il monachesimo occidentale fu decisamente incline, più di quello orientale,


a una regolamentazione in cui si prese atto della vita monastica cenobitica, ma
anche dell'esistenza di un libero eremitismo. Le più antiche regole monastiche
latine hanno la loro origine nel monachesimo agostiniano (vedi sopra,§ 71B2).
Rufino d'Aquileia tradusse nel 396/397 per un monastero italiano la raccolta mi-
nore degli« Ascetica» di Basilio: quelle «risposte del diritto divino», che Basi-
lio aveva dato ai suoi monaci, egli volle renderle accessibili, così, al monachesi-
mo latino, perché anche qui si potesse vivere secondo l' «esempio della Cappa-
docia» (prefazione alla traduzione). Dal V sec. ebbe inizio una ricca produzio-
ne di regole latine, che non intendevano formare un proprio monachesimo alla
maniera degli ordini medievali, ma consolidare la tradizione monastica e la sua
pratica per il singolo monastero (cf Cesario d'Arles, § 78,3 ecc.). Accanto a que-
ste autoregolamentazioni all'interno dei monasteri non si può ignorare la legi-
slazione ecclesiastica. Monasteri e vita monastica sono spesso oggetto di deci-
sioni sinodali. A ciò dobbiamo aggiungere l'accettazione dei rispettivi canoni
del concilio di Calcedonia e infine l'osservanza della legislazione imperiale.
Tra le regole monastiche del VI sec. si trova quella posta sotto il nome di Be-
nedetto da Norcia (480/490-550/560), di cui si conoscono la vita e la prove-
nienza solo attraverso Gregorio Magno (cf § 63,5), che offre nel secondo libro
dei suoi Dialogi un'interpretazione teologico-spirituale di quel Benedictus, «un
benedictus (benedetto) secondo la Grazia e il nome» (Dia!. II praef; per la re-
gola: Dia!. II 36). L'autore di questa regola ne conosceva altre, dalle quali trasse
ispirazione. Come fonte più importante viene considerata oggi la Regola del
maestro (Regula magistri, RM). Essa fu scritta probabilmente all'inizio del VI
sec. da un autore sconosciuto, e finora non si è potuto chiarire in maniera sicu-
416 X. Cristianità della Chiesa imperiale

ra se in Italia o nella Gallia meridionale. La Regula magistri è la più lunga rego-


la monastica latina e rappresenta una testimonianza d'incalcolabile valore per la
comprensione stessa del primo monachesimo latino. La regola di Benedetto
concorda nella sua prima parte (fino al cap. 7, ma in forma molto più breve) con
i primi dieci capitoli della Regula magistri. Questa parte, tuttavia, fu già ripresa
e rielaborata dal maestro da un modello più antico (il cosiddetto Actus militiae
cordis). Nelle disposizioni concrete la regola di Benedetto percorre vie proprie.
Il chiaro e conciso regolamento monastico vuole essere soltanto un'introduzio-
ne alla vita nel monastero destinata ai principianti (RB 73 ). La regola si pone
«sotto la guida del Vangelo» (RB, prol. 21 = RM, Ths 17) e definisce il mona-
stero come un'unità chiusa rispetto all'esterno (RB 58,7). Per i monaci c'è sol-
tanto il compito spirituale della <<Vera ricerca di Dio» (RB 58,7) nell'accurato
adempimento dei doveri della vita monastica, nel trinomio «preghiera, lavoro,
lettura». La comunità viene guidata dall'abate, che normalmente viene eletto da
essa (RB 64; in RM 93 è l'abate morente a designare il suo successore). L'abate
fa nel monastero le veci di Cristo (RB 2,2 = RM 2,2: Christi enim agere vices). La
regola traccia per lui un programma di guida spirituale (RB 2; cf RM 2; RB 64),
che è qualificato dalla virtù della discretio (RB 64,19: mater virtutum).
La storia dell'influenza esercitata da questa regola si può seguire fin dall'i-
nizio del VII sec. Nel monastero di Altaripa (diocesi di Albi) essa apparve già
prima del 630 come regolamento monastico obbligatorio. Come suo autore ve-
niva considerato un « abate romano» (5. Benedictus abbas Romensis). Successi-
vamente la regola benedettina venne rapidamente adottata nei monasteri galli-
ci, anche se certamente insieme ad altre regole. Durante l'epoca in cui si osser-
varono regole miste (si viveva in un monastero« secondo la regola di Benedet-
to e Colombano», «secondo la regola di Colombano, di Basilio e di Benedet-
to», ecc.), la regola benedettina ebbe ulteriore diffusione. Il monachesimo an-
glosassone seguì inizialmente soltanto la regola benedettina, che anzi riportò sul
continente. Soltanto la riforma carolingia dei monasteri pose fine alla pratica di
combinare insieme elementi della regola di san Benedetto con elementi di altre
regole e riconobbe quella benedettina come l'unica regola monastica valida e
obbligatoria per tutti.

5. Monachesimo femminile

Come in oriente anche in occidente si sviluppò una forma propria di mona-


1

chesimo femminile (virgines, sorores, moniales, sanctimoniales, .più raramente:


monachae, nonnae). Le donne vivevano nei loro monasteri in maniera corrispon-
dente alla comune tradizione monastica. Parallelamente alla ricca produzione di
regole per i monasteri maschili furono scritte a partire dal VI sec. anche regole
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 417

specifiche per le donne: Cesario d'Arles (524/525-534), Aureliano d'Arles (548),


Donato di Besançon (630-655), Leandro di Siviglia (ca. 580) crearono così delle
norme per un monachesimo femminile che ponevano l'accento sull'ideale della
verginità, richiedevano una rigida clausura, limitavano il lavoro ad attività« tipi-
camente» femminili (lani/icium, lavori con la lana), ma proponevano anche l'ap-
prendimento dalla lettura e della scrittura. Oltre ai vescovi, risultarono fondato-
ri di monasteri femminili anche laici della nobiltà gallo-merovingia e di quella
longobarda (cf § 43,7). Dalla corrispondenza di Gregorio Magno (590-604) si ri-
cava il suo vivo interessamento per monasteri femminili presenti in Italia.

6. Atteggiamenti critici nei confronti ciel monachesimo

Anche in occidente il monachesimo non trovò soltanto riconoscimenti, ma


dovette affermarsi contro correnti antimonastiche. Tra i critici pagani va segna-
lato, in occidente, Rutilio Namaziano, ex-prefetto di Roma (De reditu suo 439-
452, 515-526). Si rimproveravano ai monaci la loro ostilità nei confronti della vi-
ta e della società, la dissolutezza e l'inutilità. In seno al cristianesimo si critica-
rono apertamente gli eccessi, che i decreti imperiali cercarono di eliminare ren-
dendo difficile l'ingresso nel monastero (CTh XVI 3,1; IX 40,16). Le riserve da
parte ecclesiastica riguardavano soprattutto quei movimenti che alla loro esage-
rata ascesi univano critiche nei confronti della stessa Chiesa. I vescovi si ado-
prarono per la piena integrazione delle comunità ascetico-monastiche nelle loro
Chiese. Una critica di principio contro l'ideale ascetico venne formulata soltan-
to da pochi: Elviclio (ca. 382) e soprattutto Gioviniano si espressero energica-
mente contro la stima esagerata della verginità rispetto allo stato coniugale.
Contro entrambi scrisse Girolamo; Gioviniano venne condannato nel 390 ca. da
un sinodo romano. Attorno al 406 si espresse contro la vita monastica Vigilan-
zio, sacerdote della Gallia meridionale, con argomenti che furono egualmente
confutati da Girolamo. La reazione antimonastica rimase senza rilevanti succes-
si. Il monachesimo era diventato elemento integrante della Chiesa ed anche, in
misura non minore, una salda istituzione della società tardoantica e altomedie-
vale. Già per Sulpicio Severo« chiese e monasteri» (Vi'ta Martini 13,8) apparte-
nevano alla realtà ecclesiastica. La Regula magistri vede la «casa di Dio» resa
presente in questo mondo nelle comunità religiose e monastiche (11,8).

Bibliografia § 71 A: Théologie de la vie monastique. Études sur la tradition patristique, Paris


1961; K. S. FRANK (a cura di), Askese und Monchtum in der alten Kirche, Darmstadt 1975;
A. GUILLAUMONT, Aux origines du monachisme chrétien. Pour une phénomenologie du monachi-
sme, Bégrolles-en-Mauges 1969; K. HEussr, Der Ursprung des Monchtums, 1936, rist. Aalen 1981;
H. HOLZE, Erfahrung und Theologie im/riihen Monchtum, Gottingen 1992; D. G. HUNTER, Resi-
stance to the Virginal Idea! in Late Fourth Century Rome. The Case o/ ]ovinian, in TS 48 (1987),
418 X. Cristianità della Chiesa imperiale

45-64; E. A. }UDGE, The Earliest Use of monachos /or «monch» And the Origins o/ Monasticism,
inJAC 20 (1977), 72-89; F. VoN LILIENFELD, Monchtum II in TRE 23 (1994), 150-193; B. LOHSE,
Askese und Monchtum in der Antike und in der alten Kirche, Miinchen 1969; P. MIQUEL, Léxique
du désert. Étude de quelques mots-clés du vocabulaire monastique grec ancien, Bégrolles-en-Mauges
1986; F. E. MoRARD, Monachos, Moine. Histoire du term grecjusqu'au IVe siècle, in FZPhTh 20
(1973), 332-411; A. SOLIGNAC et al., Monachisme, in DSp 10 (1980), 1524-1609; A. DE VoGOÉ,
Histoire littéraire du mouvement monastique dans l'antiquité, 2 voli., Paris 1991/1993; A. DE
VoGOÉ, Le «De generibus monachorum » du Maitre et de Benoit. Sa source, son auteur, in «Re-
gulae Benedicti Studia» 2 (1973 ), 1-25.
§ 71 B: D. BURTON-CHRISTIE, The Word in the Desert. Scripture And the Quest /or Holiness
in Early Christian Monasticism, New York ecc. 1993; K. S. FRANK, Angelikos Bios. Begriffianaly-
tische und begri/fsgeschichtliche Untersuchung zum « engelgleichen Leben » im friihen Monchtum,
Miinster 1964; G. GOULD, The Desert Fathers on Monastic Community, Oxford 1993; S. RUBEN-
SON, The Letters of St. Antony. Origenist Theology, Monastic Tradition And the Making o/ a Saint,
Lund 1990; T. TENSEK, I.: ascetismo nel concilio di Gangra. Eustazio di Sebaste nell'ambiente asce-
tico siriaco dell'Asia Minore nel IV secolo, Roma 1991.
§ 71 B 1: H. BACHT, Zur Typologie des koptischen Monchtums: Pachomius und Evagrius, in K.
Wessel (a cura di), Christentum am Nil Recklinghausen 1964, 142-157; T. BAUMEISTER, Die Men-
talitiit des friihen iigyptischen Monchtums. Zur Frage der Uspriinge des christlichen Monchtums, in
ZKG 88 (1977), 145-160; B. BRENNAN, Athanasius' Vita Antonii. A Sociologica! Interpretation, in
VigChr 39 (1985), 209-227. D. J. CHITIY, The Deserta City. An Introduction to the Study o/ Egyp-
tian And Palestinian Monasticism Under the Christian Empire, Oxford 1966; H. DòRRIES, Die Vita
Antonii als Geschichtsquelle, in H. Dorries (a cura di), Wort und Stunde L Gottingen 1966, 145-
224; A. GUILLAUMONT, La conception du désert chez !es moines d'Egypte, in RHR 188 (1975),
3-21; J.-C. GUY, Recherches sur la tradition grècque des Apophthegmata Patrum, Bruxelles 19842;
H. HOPPENBROUWERS, La plus ancienne version latine de la vie de S. Antoine par S. Athanase,
Nimwegen 1960; M. VAN MOLLE, Essai de classement chronologique des premières règles de vie com-
mune connue en chrétienté, in« Vie spirituelle » Suppl. 84 (1968), 108-127; L. REGNAULT, La vie
quotidienne des pères du désert en Egypte au IVe siècle, Paris 1990; J. RoLDANUS, Die Vita Antonii
als Spiegel der Theologie des Athanasius und ihr Weiterwirken bis ins V. Jahrhundert, in ThPh 58
(1983), 194-216; P. ROUSSEAU, Pachomius: The Making o/ a Community in Fourth Century Egypt,
Berkeley 1985; F. RUPPERT, Das pachomianische Monchtum und die Anfiinge klosterlichen Gehor-
sams, Miinsterschwarzach 1971; C. C. WALTERS, Monastic Archaeology in Egypt, Warminster 1974.
§ 71 B 2: Y. HIRSCHFELD, The Judean Desert Monasteries in the Byznatine Period, New Ha-
ven 1992; N. MOINE, Melaniana, in RechAug 15 (1980), 3-79; R. SOLZBACHER, Monche, Pilger und
Sarazenen. Studien zum Friihchristentum auf der siidlichen Sinaihalbinsel. Von den An/à"ngen bis
zum Beginn islamischer Herrschaft, Altenberge 1989.
§ 71 B 3: S. BEGGIANI, Introduction to Eastern Christian Spirituality. The Syriac Tradition,
London/Toronto 1991; S. P. BROCK, Early Syrian Asceticism, in« Numen » 20 (1973), 1-19; P. CA-
NIVET, Le monachisme syrien selon Théodoret de Cyr, Paris 1977; J. GRIBOMONT, Le monachisme
au sein de l'Eglise en Syrie et en Cappadoce, in StMon 7 (1965), 7-24; O. HENDRIKS, La vie quoti-
dienne du moine syrien orienta!, in« L'Orient syrien » 5 (1960), 293-330; 401-432; O. HENDRIKS,
I.:activité apostolique du monachisme monophysite et nestorien, in POC 10 (1960), 3-25; 97-113;
J. M. LEROUX, Saint Jean Chrysostome et le monachisme, in C. Kannengiesser (a cura di), Chryso-
stome et Augustin. Actes du Colloque de Chantilly (22.-24. September 1974), Paris 1975, 125-144;
G. NEDUNGATT, The Covenanters o/ the Early Syriac-Speaking Church, in OCP 39 (1973 ), 191-215;
419-444; I. PENA - R. FERNÀNDEZ, Les cénobites syriens, Milano 1983; I. PENA et al., Les stylites
syriens, Milano 1975; I. PENA et al., Les reclus syriens. Recherches sur !es anciennes Jormes de vie
solitaire en Syrie, Milano 1980; A. VòòBUS, History of Asceticism in the Syrian Orient. A Contri-
bution to the History of Culture in the Near East, 3 voli., Louvain 1958ss.
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica 419

§ 71B4: B. DRACK, Beschauliches und tiitiges Leben im Monchtum nach der Lehre Basilius des
Groflen, in FZPhTh 7 (1960), 296-309, 391-414; 8 (1961), 93-108; K. S. F'RANK, Monastische Re/orm
im Altertum: Eustathius von Sebaste und Basilius von Caesarea, in R. Biiumer (a cura di), Re/ormatio
Ecclesiae (FS [studi in onore di] E. Iserloh), Paderborn/Miinchen 1980, 35-49; J. GRIBOMONT, Eu-
stathe deSébaste, in DSp 4 (1960), 1708-1712;]. GRIBOMONT, Saint Basile et le monachisme enthou-
siaste, in «lrénikon » 53 (1980), 123-144; W. D. HAUSCHILD, Eustathius van Sebaste, in TRE 10
(1982), 547-550; E. VoN LILIENFELD, Basilius der Grafie und die Monchsviiter der Wiiste, in« Zeit-
schrift der deutschen morgenlandischen Gesellschaft »Suppi. 1 (1969), 418-435; A. DE VoGOÉ, Les
grandes règles de S. Basile. Un survol, in« Collectanea Cisterciensia » 41 (1979), 201-226.
§ 71B5: G. DRAGON, Les moines et la ville. Le monachisme à Constantinoplejusqu'au Con-
cile de Chalcédoine (451), in« Travaux et mémoires » 4 (1970), 229-276; R. RIEDINGER, Akoime-
ten, in TRE 2 (1978), 148-153.
§ 71 B 6: R. ALBRECHT, Das Leben der hl. Makrina au/ dem Hintergrund der Thekla-Traditio-
nen. Studien zu den Urspriingen des weiblichen Monchtums im 4. ]ahrhundert in Kleinasien, Got-
tingen 1986; S. ELM, « Virgins o/ God». The Making o/Ascetism in Late Antiquity, Oxford 1994.
§ 71 C: J. GRIBOMONT, I.:in/luence de l'orient sur les débuts du monachisme latin, in Atti del
Convegno internazionale sul tema L'Oriente cristiano nella storia della civiltà, Roma 1964, 119-
130; G. }ENAL, Italia ascetica atque monastica. Das Asketen- und Monchtum in Italien van den
An/à.ngen bis zur Zeit der Langobarden (ca. 1501250-604), Stuttgart 1995; G.}ENAL, Zum Asketen-
und Monchtum Italiens in der Zeit van Benedikt - Forschungsstand und Probleme, in Atti del 7°
Congresso internazionale di studi sull'alto medioevo, Spoleto 1982, 137-183; R. LORENZ, Die
An/iinge des abendliindischen Monchtums im IV ]ahrhundert, in ZKG 77 (1966), 1-61; F. PRINZ,
Friihes Monchtum im Frankenreich. Kultur und Gesellscha/t in Gallien, den Rheinlanden und
Bayern als Beispiel der monastischen Entwicklung (4.-8- Jh), Miinchen/Wien 1965.
§ 71 c 1: J. T. LIENHARD, paulinus o/Nola And Early Western Monasticism) Koln/Bonn 1977.
§ 71 c 2: E. BOULARAND, Expérience et conception de la via monastique chez S. Augustin, in
BLE 64 (1963), 81-116; 172-194; G. P. LAWLESS, Augustine o/ Hippo And His Monastic Rule,
Oxford 1987; A. SAGE, La vie religieuse selon S. Augustin, Paris 1972; A. SAGE, La Règle de S. Au-
gustin, commentée par ses écritis, Paris 1972; L. VERHEIJEN, Spiritualité et vie monastique chez S.
Augustin. I.:utilisation monastique des Actes des Apotres 4,31-35 dans son oeuvre, in C. Kannen-
giesser (a cura di), ]ean Chrysostome et Augustin, Paris 1975, 93-123; L. VERHEIJEN, Nouvelle ap-
proche de la Règle de S. Augustin, Bégrolles-en-Mauges 1980; A. ZUMKELLER, Das Monchtum des
hl. Augustinus, Wiirzburg 1968 2•
§ 71c3: M.-E. BRUNERT, Das Idea! der Wiistenaskese und seine Rezeption in Gallien bis zum
Ende des 6. ]ahrhunderts, Miinster 1994; O. CHADWICK, fohn Cassian. A Study in Primitive
Monasticism, Cambridge 1968 2 ; O. CHADwréK, Cassianus, ]ohannes, in TRE 7 (1981), 650-657;
H. B. CLARKE- M. BRENNAN (a cura di), Columbanus And Merovingian Monasticism, Oxford 1981;
C. M. KASPER, Theologie und Askese. Die Spiritualità.t des Inselmonchtums van Lérins im 5.
]ahrhundert, Freiburg 1990; J. LEROY, Les cénobitisme chez Cassien, in RAM 43 (1967), 121-158;
R. NOUAILHAT, Saints et patrons. Les premiers moines de Lérins, Paris 1988; R. NORNBERG, Askec
se als sozialer Impuls. Monastisch-asketische Spiritualità'! als Wurzel und Trieb/eder sozz'aler Ideen
und Aktivitiiten der Kirche in Siidgallien im 5. ]ahrhundert, Bonn 1988; L. PIETRI, Martin van
Tours, in TRE 22 (1992), 194-196; S. Prucoco, I.:Isola dei Santi. Il cenobio di Lerino e le origini del
monachesimo gallico, Roma 1978; L. DE SEILHAC, I.: utilisation par S. Césaire d'Arles de la Règle de
S. Augustin. Étude de terminologie et de doctrine monastique, Roma 1974; C. STANCLIFFE, St. Mar-
tin And His Hagiographer. History And Miracle in Sulpicius Severus, Oxford 1983; A. DE VoGOÉ,
Pour comprendre Cassian. En survol des Con/érences , in « Collectanea Cisterciensia » 39 (1977),
250-272; H.-0. WEBER, Die Stellung des ]ohannes Cassz'anus zur auflerpachomz'anischen Monchs-
tradition. Bine Quelleuntersuchung, Miinster 1961.
420 X. Cristianità della Chiesa imperiale

§ 71 C 4: P. CusACK, An Interpretation of the Second Dialogue of Gregory the Great. Hagio-


graphy And St. Benedict, Lewiston 1993; K. S. FRANK, Das Leben der Jurav?.iter und die Magister-
regel, in« Regulae Benedicti Studia» 13 (1984/1986), 35-54; B. JASPERT, Die Regula Benedicti-Re,
gula Magistrt~Kontroverse, Hildesheim 1977 2; T. KARDONG, The World in the Rute of Benedict And
the Rute of Master, in StMon 26 (1984), 185-204; A. LENTINI, Il monachesimo della Regula Magi-
stri, in« Monastica V. Scritti vari», Montecassino 1985, 165-183; F. RENNER, Benediktusregel, in
TRE (1980), 573-577; B. STEIDLE, Beitràge zum alten Monchtum und zur Benediktusregel, Sigma-
ringen 1986; L. VERHEIJEN, La Règle de S. Augustin. L'état actuel des questions, in Aug. 35 (1985),
193-263; L. VERHEIJEN, La Règle de S. Augustzn. Complément bibliographique, in Aug. 36 (1986),
297-303; A. DE VoGOÉ, Die Regula Benedicti. Theologisch-spiritueller Kommentar, Hildesheim
1983; A. DE VOGÙÉ, Le Maftre, Eugippe et S. Benoit. Recueil d'articles, Hildesheim 1984; A. DE
VoGOÉ, Les règles monastiques anciennes (400-700), Turnhout 1985; A. DE VoGOÉ, Scholies sur la
Règle du Maftre, in RAM 44 (1968), 121-159; 261-292; K. ZELZER, I.:histoire du texte des règles de
S. Basile et de S. Benoft à la lumière de la tradition gallo-franque, in « Regulae Benedicti Studia» 13
(1984/1986), 75-89.
c
§ 71 5: A. E. HICKEY, Women of the Roman Aristocracy as Christian Monastics, Ann Ar-
bor/Mich. 1987; M. C. Mc CARTHY, The Rute of Nuns of St. Caesarius of Arles, Washington 1960;
L. MIRRI, Il monachesimo femminile secondo Sant'Ambrogio di Milano, Vicenza 1991; G. Mu-
SCHIOL, Famula Dei. Zur Liturgie im merowingischen Frauenkloster, Miinster 1994; A. QuACQUA-
RELLI, I.: influenza spirituale del monachesimo femminile nel!' età patristica, in VetChr 20 (1983 ), 9-
23; R. R. RUETHER-E. Mc LAUGHLIN (a cura di), Female Leadership, New York 1979;J. SIMPSON,
Women And Asceticism in the IVth Century. A Question of Interpretation, inJRH 15 (1988/1989),
38-60; A. DE VoGOÉ, La Règle de Césaire d'Arles pour les moines. Un résumé de sa Règle pour les
moniales, in RAM 47 (1971), 369-406.
c
§ 71 6: D. KòNIG-OCKENFELS, Amt und Askese. Priesteramt und Monchtum bei den latei-
nz'schen Kirchenviitern in vorbenediktinischer Zeit, St. Ottilien 1985; P. ROUSSEAU, Ascetics, Autho-
rity And the Church in the Age o/Jerome And Cassian, Oxford 1978.

§ 72. La vita sociale sotto l'influsso del cristianesimo

Fonti: sono importanti:


Agostino, Prediche, scritti morali (cf § 76,4).
Ambrogio, De officiis, trattati biblici/morali, lettere (cf § 76,2).
Basilio, Lettere, prediche (cf § 75,3a).
Girolamo, Lettere (cf § 76,3).
Giovanni Crisostomo, Commentari biblici, omelie, lettere, trattati su questioni pastorali e morali
(cf § 76,4).
Fonti giuridiche (cf soprattutto § 3,e).

A titolo d'esempio si fa menzione qui di alcuni scritti per la formazione e l'educazione cristiana:
Agostino, De doctr. christ.: J. J. GAVIGAN, trad. ingl., 1950 2 (FaCh 2); L. ALICI, trad. it. e, Milano
1989.
Basilio, De legendis gentilium libris: N. G. WILSON, t e, London 1975; F. BOULENGER, t trad.
frane., Paris 1965l; M. NALDINI, t trad. it. e, 1984 (BPat 3).
Giovanni Crisostomo, De inani gloria et de educandis liberis: A.-M. MALINGREY, t. trad. frane. e, 1972
(SC 188);J. GLAGLA, trad. ted. e, Paderbom 1968, A. CERESA-GASTALDO, trad. it. 1977 (CollTP 7).
§ 72. La vita sociale sotto l'influsso del cristianesimo 421

1. Cristianizzazione dell'Impero Romano

Nel corso del IV sec. l'Impero romano divenne un impero cristiano, un


gruppo religioso divenne una religione di Stato, che venne adottata dai ceti di-
rigenti e dai regni germanici che si succedettero durante la trasmigrazione dei
popoli (cf § 43). Il distacco tra oriente e occidente coincise anche con un diffe-
renziarsi della posizione della Chiesa: mentre essa in oriente rimase intimamen-
te legata all'imperatore, che la considerò secondo la tradizione romana una co-
lonna portante dell'unità dell'Impero e intervenne conseguentemente nelle sue
faccende interne (cf Giustiniano, VI novella, prologo, 535), in occidente essa di-
venne gradatamente un potere autonomo, che durante gli sconvolgimenti poli-
tici della trasmigrazione dei popoli garantì come unica istituzione la continuità
con l'Impero Romano e definì quindi consapevolmente il proprio ruolo (cf la
cosiddetta« dottrina dei due poteri» di Gelasio I, Ep. 12 [494]).
Mentre il cristianesimo confermava così la sua capacità di conservazione, la
sua forza creativa mostrava dei limiti. Nel IV sec. continuarono ad acuirsi i con-
trasti economici tra poveri e ricchi, motivati dall'enorme pressione fiscale. I la-
tifondisti riuscirono con la loro lotta contro gli esattori ad aumentare le loro pro-
prietà, mentre i liberi contadini caddero in condizione di dipendenza e impove-
rirono: in parte, per il diritto tributario, risultarono legati al possedimento ter-
riero (colonato); in parte si misero «spontaneamente» sotto la protezione di alti
funzionari, di proprietari terrieri o anche di chiese e monasteri per sottrarsi così,
in cambio di corrispondenti tributi, all'arbitrio degli esattori d'imposte (patro-
nato). I cristiani poterono intervenire qui con efficacia, proponendosi addirittu-
ra, come per es. Basilio di Cesarea, come patroni; le strutture di potere o l'ordi-
ne della società rimasero immutati. Cristo non era venuto per mutare i rapporti,
ma veniva presentato con prospettive di giustificazione o di rassegnazione (Pela-
gio, Expos. Eph. 6,5). In misura altrettanto limitata il cristianesimo ufficialmente
riconosciuto riuscì a soppiantare le antiche pratiche superstiziose, che continua-
rono a vivere sotto una veste cristiana. Furono certamente incessanti gli sforzi per
dare un impulso etico, ma lo furono altrettanto le lamentele per la loro ineffica-
cia e per la decadenza della Chiesa: «La Chiesa è certamente cresciuta, con gli
imperatori cristiani, in potere e ricchezze, ma la sua condizione morale è peggio-
rata» (Girolamo, Vita Ma/chi 1). Le condizioni di una tale situazione furono ag-
gravate dalla progressiva confessionalizzazione soprattutto in oriente e dalla de-
stabilizzazione dell'Impero Romano d'occidente a seguito della trasmigrazione
dei popoli (per questo cf, per es., gli scritti di Salviano di Marsiglia, § 76,lld).
L'insegnamento e l'annuncio cristiano, inoltre, portava in se stesso un ele-
mento che poteva ridurre l'impegno. Infatti, nella prospettiva di un ideale eroi-
co di santità che trovava nell'ascesi e nel monachesimo il suo compimento, il cri-
stiano che rimaneva nel mondo veniva a trovarsi su un gradino inferiore.
422 X. Cristianità della Chiesa imperiale

L' « ascesa degli amici di Dio» acuì il divario tra i cristiani che sceglievano la for-
ma monastica di vita e quelli che vivevano nel mondo. La prerogativa di santità
reclamata dagli asceti alleggerì l'impegno del cristiano che rimaneva nel mondo,
anche se pastori d'anime impegnati lottarono contro questa distribuzione di
ruoli. Essi cercarono d'indicare anche nel mondo le vie per raggiungere la per-
fezione, sollecitando ogni cristiano a vivere secondo il Vangelo (Basilio, Regulae
morales; sermoni di Crisostomo, ecc.): «C'è soltanto una strada verso il Signo-
re, e tutti coloro che vi si trovanò procedono insieme, certamente a motivo del-
l'unico impegno di vita sancito dal battesimo» (Basilio, Ep. 150,2).

2. Cultura cristiana

Nell'ambito culturale dominò l'idea della delimitazione. Si rifiutò tutto ciò


che in qualche modo mostrava un influsso pagano: tra le manifestazioni rifiuta-
te ci furono il teatro e le lotte tra i gladiatori, che nella vita pubblica e sociale
svolgevano un ruolo importante. Nel 325 Costantino proibì i giochi dei gladia-
tori per l'oriente (CTh 15,12; CJ 11,44) e Onorio (395-423) confermò definiti-
vamente la proibizione. Quella dell'attore rimase sempre una professione non
conciliabile con l'essenza del cristiano (sinodo di Elvira, can. 62; concilio di Car-
tagine 401, can. 63; Agostino, De àv. Dei II 8-14, ecc.).
Un rapporto critico fu coltivato anche con la letteratura classica, che si do-
veva rifiutare a motivo del suo contenuto, ma tuttavia, in quanto mezzo cultu-
rale per la formazione letteraria, non poteva essere messa semplicemente da par-
te. La tensione trovò un drammatico protagonista in Girolamo, che mise in ri-
salto aspetti positivi e negativi (Ep. 22,30; cf Ep. 21,13; 70,2); al problema diede
una soluzione realistica Basilio (De legendis gentilium libris). Dalle ultime scuo-
le pagane uscì la maggior parte dei grandi maestri della Chiesa, che espressero
la propria formazione filosofica e letteraria nella loro produzione cristiana. Nei
loro trattati esegetici e nelle loro argomentazioni i Padri della Chiesa si serviro-
no di metodi e concetti da essi precedentemente appresi e adattati. Il rifiuto ver-
bale - «la parola di Dio non può essere sottomessa alle regole di Donato» (cf
Girolamo, Ep. 21,13; 22,30, ecc.; Gregorio Magno, Ep. V 53a,5: «il cristiano
scrive e parla alla maniera dei pescatori [piscatorie], non alla maniera dei retori
[oratorie]») - venne a trovarsi, spesso formulato in maniera volutamente retori-
ca, accanto a serie preoccupazioni di ordine stilistico e formale. Un rifiuto nei
confronti dell'antica cultura venne formulato da Agostino. Nel De doctrina chri-
stiana egli abbozzò un programma di formazione cristiana in cui il sapere pro-
fano continuava ad avere un suo riconoscimento soltanto come aiuto per mi-
gliorare la conoscenza della Scrittura. (cf § 76,4). Cassiodoro cercò di arrivare a
una sintesi in termini conciliativi (§ 78,2e).
§ 72. La vita sociale sotto l'influsso del cristianesimo 423

3. La caritas cristiana

La forza dei princìpi umanitari del cristianesimo poté mostrarsi nel modo
migliore sul terreno dell'assistenza sociale e delle opere di carità. L'unità tra
amore di Dio e amore del prossimo e le affermazioni di Mt 25,35-46 circa l'i-
dentificazione di Cristo in persone bisognose stabilirono qui sul piano teoretico
nuovi criteri, ma non del tutto privi di riferimenti a comportamenti ellenistico-
stoici. Anche qui, del resto, non si aspirò a creare un nuovo ordinamento delle
strutture sociali ed economiche, poiché le ingiustizie, lo sfruttamento e l' op-
pressione dei poveri si ritenevano conseguenze del peccato. Il diritto alla pro-
prietà privata non venne rifiutato per principio, se si eccettuano certi gruppi
ascetici intransigenti. Con grande forza, tuttavia, si sottolineava il proprio dove-
re sociale, che portava a considerare i propri beni come soltanto affidati alla pro-
pria amministrazione. Quanto si trova descritto in At 4,32-37 venne considera-
to come ideale utopico di una comunione dei beni (Basilio, Giovanni Crisosto-
mo); valida per tutti e realistica fu comunque l'esortazione al sostegno dei po-
veri. (Ambrogio, Agostino, Salviano, ecc.). Gli appelli di ugual tenore si tradu-
cevano generalmente in proposte concrete: Basilio esortava a dare ai poveri una
parte dell'eredità per il bene della propria anima (Hom. 7,7); secondo Giovan-
ni Crisostomo, i ricchi d'Antiochia e di Costantinopoli potevano prowedere
senza fatica ai poveri delle loro città (Hom. Matth. 66,3; Hom. Act. 11,3 ). Le in-
sistenti esortazioni a consegnare le proprie ricchezze venivano motivate in ter-
mini non soltanto sociali, ma anche antropologici ed ascetici (evitare l'avidità e
l'attaccamento ai beni fugaci di questo mondo), come anche escatologici, con la
promessa del «tesoro nel cielo».
I doveri di carità vennero istituzionalizzati. Fin dall'inizio del principato si
ebbero dei primi tentativi, anche se modesti, di una politica sociale statale, anzi
imperiale: la cura annonae, l'approwigionamento di Roma con frumento a buon
mercato (/rumentatio), dove va menzionata specialmente la pubblica distribu-
zione di frumento ai cittadini bisognosi. Ne venne concesso il diritto a circa
200.000 persone; la quantità di grano bastava probabilmente ai singoli, ma dif-
ficilmente alle loro famiglie. L'alimentatio, cioè il mantenimento di bambini po-
veri nati liberi con imposte sull'acquisto dei terreni, durò soltanto fino alla fine
del III sec. Queste iniziative vennero congiunte, dal tempo di Costantino, alla
cura dei poveri da parte della Chiesa (Eusebio, Vita Const. IV 28). L'ideale clas-
sico della liberalitas venne diversamente interpretato nel senso della carità (Giu-
liano, Ep. 39, ed. Weis; Sozomeno, H. E. V 16,5-15). Poiché le comunità cri-
stiane potevano ora acquistare delle proprietà (CJ I 2,1, del 321; Eusebio, Vita
Const. II 36; IV 28; Sozomeno, H. E. I 8,10), ci furono a disposizione più mez-
zi per una regolare assistenza ai poveri. Quanto fosse efficiente questa cura dei
poveri non è più possibile stabilirlo. Gli appelli non cessarono mai, come anche
424 X. Cristianità della Chiesa imperiale

le lamentele sul cattivo uso della generosità da parte della Chiesa (cf le relative
ammonizioni: Ambrogio, De off I 38; Basilio, Ep. 150,3 ).
Le comunità affidarono l'organizzazione a determinati incaricati, con l' attri-
buzione al vescovo, in quanto difensore dei poveri, dell'ufficio di controllo. Fu
esemplare, per l'impegno vescovile, l'ospizio per poveri costruito da Basilio da-
vanti alle porte di Cesarea (cui si diede il nome di «Basilias», Ep. 94; 142-144;
Gregorio di Nazianzo, Or. 43,63). Alloggi per pellegrini e ospizi furono costruiti
e mantenuti da comunità (CJ I 2,22), ma si ebbero spesso anche fondazioni di ric-
chi privati (Girolamo, Ep. 66,11; 77, 6-14). Al fianco delle comunità scesero in
campo anche i monasteri. Il monachesimo giustificò sempre il suo impegno di la-
voro anche con la possibilità di rendere possibile la distribuzione di elemosine.
Dall'ospitalità si svilupparono l'accoglienza e la cura degli indigenti. La carità
praticata nell'ambito d'influenza del monastero (Regula Benedicti 4,14; 31,9;
53,15) proseguì negli impulsi sociali dei predicatoti e degli scrittori monastici.
L'impegno di carità valeva per tutti i cristiani alla stessa maniera, ma l'assistenza
istituzionalizzata a livello di comunità poté anche impedire l'iniziativa privata.

4. La posizione degli schiavi

Gli schiavi fecero parte della società e della comunità domestica dell' anti-
chità. Anche le chiese e i monasteri disposero di schiavi e dipendenti. L'istituzio-
ne della società era considerata come una conseguenza del peccato (Agostino, De
civ. Dei 19,15). D'altra parte, la Chiesa proseguì i precedenti sforzi per rendere
più umana la sorte degli schiavi. Essa mise in risalto la fondamentale uguaglian-
za di tutti gli uomini davanti a Dio (cf 1 Cor 12,13; Gal 3,28) e definì gli schiavi
fratelli e sorelle in Cristo (cf l'interpretazione patristica della lettera a Filemone).
Questa visione non condusse, tuttavia, a una reale eliminazione delle barriere so-
ciali, anche se vennero presentate richieste di questo genere (gruppi radicali at-
torno ad Eustazio di Sebaste; circoncellioni in Nordafrica). La Chiesa promosse
l'emancipazione degli schiavi; già l'imperatore Costantino aveva riconosciuto una
emancipazione nella Chiesa (manumissio in ecclesia) con tutte le conseguenze
giuridiche (CTh IV 7,1). Spesso si scelse di entrare in un monastero per sfuggire
alla condizione di schiavi. Il concilio di Calcedonia, can. 4, stabilì infine che gli
schiavi potessero entrare in un monastero solo con il permesso dei loro padroni.
La stessa norma valse anche per essere accolti nello stato clericale.
La schiavitù perse certamente nella tarda antichità d'importanza, ma al suo
posto subentrarono altri rapporti di dipendenza, come il patronato e il colona-
to: molti patroni, anche potiores (potentes) cristiani, non rifuggirono dall'utiliz-
zazione e dallo sfruttamento di dipendenti, come testimoniano le prediche dei
Padri della Chiesa e la legislazione ecclesiastica (concilio di Toledo 400, can. 11;
§ 72. La vita sociale sotto l'influsso del cristianesimo 425

Statuta ecclesiae antiqua, can 94). I vescovi, come de/ensores populilcivitatum


(difensori del popolo) poterono intervenire, qui, per aiutare e mitigare, ma non
poterono cambiare i rapporti.
L'antico diritto d'asilo venne esteso alle chiese cristiane; origine e motiva-
zione di un proprio diritto d'asilo ecclesiastico non sono state chiarite in ma-
niera univoca. Esso fu tuttavia riconosciuto dallo Stato romano (CTh IX 45), ma
con più forti vincoli con la legislazione statale in oriente, mentre in occidente fu
concessa una maggiore libertà di spazio. Del diritto d'asilo ecclesiastico potero-
no fruire schiavi (CTh IX 45 ,3 .5) ed altri individui che soffrivano ingiustizie. Ne
rimasero esclusi i delinquenti veri e propri.

5. Matrimonio e famiglia

Il matrimonio cristiano rimase stabilito dalle leggi matrimoniali romane. Un


diritto matrimoniale ecclesiastico poté svilupparsi soltanto all'interno della legi-
slazione statale. I cristiani richiesero certamente che l'adulterio fosse trattato al-
la stessa maniera sia per gli uomini che per le donne; ma non riuscirono a pre-
valere nel diritto in vigore, che favoriva l'uomo (cf Basilio, Ep. 199,21).
Fondamentalmente il matrimonio cristiano venne considerato come indisso-
lubile. Tuttavia, tra le righe di Mt 5,32; 19,9 si volle leggere già nei primi tempi
una clausola di garanzia per lo scioglimento dell'unione matrimoniale in caso di
adulterio. Basilio, Giovanni Crisostomo, Girolamo e Cirillo d'Alessandria nega-
rono anche la possibilità di riprendere il coniuge colpevole dopo un'eventuale
sua correzione. Con richiamo a 1 Cor 7 ,12-16 la diversità di religione continuò ad
essere un motivo per la separazione. Lo scioglimento del matrimonio per motivi
ascetico-monastici venne trattato con atteggiamento non unitario, ma in consi-
derazione dell'alta stima di cui godeva la vita ascetica fu riconosciuto e praticato.
Dallo scioglimento di un matrimonio va distinto il permesso di potersi ri-
sposare. Un secondo matrimonio era consentito dal cosiddetto Ambrosiaster
(§ 76,6), che permetteva nuove nozze all'uomo in caso d'adulterio della donna
(Comm. I Cor 7,10-11) e a tutti e due i coniugi nel caso di separazione a causa
di diversità religiosa (Comm. I Cor. 7,15). La prospettiva pastorale condusse an-
che in casi diversi ad un atteggiamento tollerante (Basilio, Ep. 199; sinodo di Ar-
les 314, can. 11 [10]; ecc.). Le seconde nozze furono considerate in effetti non
come matrimonio legittimo, ma tollerate «per impedire il peggio».
Il fine del matrimonio fu visto dalla Chiesa antica soprattutto nella procrea-
zione, e solo in seconda linea nell'amore reciproco. Entrambi i fini erano in ar-
monia con antiche concezioni: elementi essenziali del matrimonio sono la vita in
comune e la procreazione (Musonio, «Frammenti»: O. Hense, 1905, 67,6-7).
Agostino coniò la formula classica dei tre beni del matrimonio: proles (discen-
426 X. Cristianità della Chiesa imperiale

denza), fides (fedeltà coniugale), sacramentum (indissolubilità; cf De nupt. et


eone. 1,19 ecc.). Anche se il matrimonio venne celebrato come sacramentum ma-
gnum (Agostino, De nupt. et eone. 1,23 ecc.), continuò come prima ad essere ap-
prezzato in maniera imparziale solo raramente (cf Agostino, De bono coniugali
3 [3] - 11 [11]). Da una parte esso venne difeso contro tutte le correnti encra-
tistiche, dall'altra venne relegato in un secondo piano dall'alta stima che si vol-
le professare per la verginità cristiana. Particolari difficoltà ebbe la maggior par-
te dei Padri della Chiesa nel valutare positivamente l'atto coniugale; essi gene-
ralmente non andavano oltre 1 Cor 7,9 (rimedio della concupiscenza). Gravida
di conseguenze per la dottrina matrimoniale cattolica fu la posizione di Agosti-
no, che legò la trasmissione del peccato originale alla concupiscentia carnalis, ri-
tenuta inscindibile dall'atto coniugale.
Un vero e proprio rito religioso di celebrazione del matrimonio non ci fu
nell'antichità. I cristiani si attenevano alle forme consuete dell'ambiente in cui
vivevano; il matrimonio contratto doveva essere vissuto «nel» Signore. Come già
in epoca precostantiniana furono raccomandate la particolare preghiera e la be-
nedizione sugli sposi (Ambrosiaster, Comm. I Cor. 7,40; Ambrogio, Ep. 62,7;
Giovanni Crisostomo, Hom. Gen. 48.6). Il papa Ormisda dispose nel 514 che
nessun fedele sposasse in casa, ma celebrasse le nozze pubblicamente con la be-
nedizione del sacerdote (Decr. Grat. 30 q. 5,2). La Chiesa insistette certamente
nella sua partecipazione al contratto matrimoniale; ma la sua benedizione e la
sua preghiera, come anche i riti particolari che accompagnavano la celebrazio-
ne non avevano alcun effetto sull'atto costitutivo del matrimonio.
La donna sposata, che coram Dea era uguale all'uomo e come lui creata ad
immagine di Dio (Agostino, De mar. ecc!. 63; Ambrosiaster, Comm. Eph. 5,33;
Girolamo, Comm. Eph. 5,33), coram munda era legata al suo ruolo di padrona
di casa e di madre. Come esempi per la diligenza da mostrare nel governo della
casa o per l'obbedienza umile e fedele nei .confronti del marito le venivano pro-
poste le figure di Maria e di Susanna, ma anche quelle di Didone e di Lucrezia
(Tertulliano, De monogamia 17,2; Exhort. cast. 13,3; Girolamo, Contra Iov. 1,43;
49). I modelli femminili continuarono ad essere proposti secondo i princìpi neo-
testamentari e furono arricchiti di elementi tradizionali di saggezza popolare,
come la lode della buona donna di casa e il biasimo di quella cattiva (Gregorio
di Nazianzo, Carm. mar. 2,1; Paolino di Nola, Carm. 25; Prospero d'Aquitania,
Poema coniugis ad uxorem).
Poiché come fine primario del matrimonio si considerava la procreazione
della prole, furono respinti i mezzi contraccettivi, come anche l'aborto e l' ab-
bandono dei figli. Venne fortemente incoraggiata un'educazione cristiana dei fi-
gli, un dovere al quale erano chiamati entrambi i genitori. Ebbe ancora vigore,
tuttavia, la tradizione romana, che assegnava un più alto valore alla patria pote-
stas, all'autorità paterna; gli autori cristiani volevano vederla congiunta con la
§ 72. La vita sociale sotto l'influsso del cristianesimo 427

paterna pietas. Agostino parla di un« ufficio ecclesiastico e in un certo senso epi-
scopale» del padre (Tract. ]oh. 51,13: ecclesiasticum et quodammodo episcopale
o//icium). I genitori cristiani dovevano dare ai loro figli nomi cristiani, e quindi
esempi e intercessori (Giovanni Crisostomo, Hom. Gen. 21,3; Ambrogio,
Exhort. virg. 3).
Il distacco dall'antica educazione non fu seguito da uno specifico program-
ma cristiano d'istruzione e d'insegnamento. I bambini dovevano frequentare le
scuole pubbliche. Un'educazione cristiana doveva essere impartita nella propria
casa. Gli obiettivi e i metodi di questa educazione costituiscono il tema di alcu-
ni scritti dei Padri: Giovanni Crisostomo, De inani gloria et de educandis liberis;
Girolamo, Ep. 107; 128 (lettere sull'educazione per due ragazze). La Bibbia di-
venta in tale prospettiva un testo universale. L'istruzione intellettuale è subordi-
nata alla formazione morale, che ha come suo fine la perfezione cristiana. Essa
viene proclamata come «assimilazione a Dio» (6µoicocm; 'téil ei::q,) o più sem-
plicemente come imitatio Christi (imitazione di Cristo) e pone al centro il per-
fezionamento individuale. Il rapporto con il mondo rimane del tutto incerto.
Comunque, gli ideali educativi e gli stimoli pedagogici di questi scritti, che ri-
sultano rivolti a un ceto elevato, non sembrano estensibili ad altri ceti sociali.
Bibliografia § 72: Etica sessuale e matrimonio nel cristianesimo delle origini, Milano 1976;
H. BERTHOLD, Die /rube christliche Literatur als Quelle /ur Sozialgeschichte, in J. Irmscher -
K. Treu (a cura di), Das Korpus der griechisch-christlichen Schri/tsteller. His{orie, Gegenwiirt,
Zukunft, Berlin 1977, 43-63; G. BONNET, Ethique etfoi chrétienne dans la pensée de S. Augustin, in
RechAug 12 (1977), 46-104; B. BRUNS, Das Ehe-sacramentum bei Augustinus, in Aug. 28 (1988),
205-156; H. CROUZEL, Le remariage après séparation pour adultère selon !es Pères latins, in BLE 75
(1974), 189-204; P.]. FEDWICK, Basi! o/ Caesarea on Education, in Basilio di Cesarea, la sua età, la
sua opera e il basilianesimo in Sicilia (Atti dd congresso internazionale, Messina 1979, vol. I), Mes-
sina 1983, 579-600; R. KIRSCHNER, The Vocation o/Holiness in Late Antiquity, in VigChr 38 (1984),
105-124; A. KNEPPE, Untersuchungen zur stiidtischen Plebs des IV Jahrhunderts n. Chr., Bonn 1979;
E. G. KoNSTANTINOU, Die Tugendlehre Gregors von Nyssa in Verhiiltnis zu der antik-philosophz~
schen undjudisch-christlichen Tradition, Wiirzburg 1966; R. A. MARKus, Die spectacula als religio-
ses Kon/liktfeld stiidtischen Lebens in der Spiitantzke, in FZPhTh 38 (1991), 253-171; O. PASQUA-
TO, Pastorale familiale. Testimonianza di Giovanni Crisostomo, in Sai 51 (1989), 3-46; K.-P. SCH-
NEIDER, Christliches Liebesgebot und weltliche Ordnungen. Historische Untersuchungen zu Ambro-
sius von Mailand, Koln 1975; M. SPANNEUT, Saint Augustin et la violence, in «Studia moralia» 28
(1990), 79-113; A. STòTZEL, Kirche als « neue Gesellschaft». Die humanisierende Wirkung des Chrz~
stentums nach Johannes Chysostomus, Miinster 1984; B. TREUCKER, Politische und sozialgeschichtli-
che Studien zu den Basilius-Briefen, Bonn 1961; W. WISCHMEYER, M. Julius Eugenius. Bine Fallstu-
die zum Thema Christen und Gesellschaft im 3. und 4. Jahrhundert, in ZNW 81 (1990), 225-246.
§ 72.1: A. M. RITTER, Zwischen «Gottesherrschaff>> und «einfachem Leben». Dio Chrysosto-
mus. Johannes Chrysostomus und das Problem der Humanisierung der Gesellschaft, in JAC 31
(1988), 127-143.
§ 72.2: P. BLOMENKAMP, Erziehung, in RAC 6 (1966), 502-559; H. FuCHS, Bildung, in RAC 2
(1954), 346-362; H. FUCHS, Enkyklios Paideia, in RAC 5 (1962), 365-398; C. GNILKA, Chresis. Die
Methode der Kirchenviiter im Umgang mit der antiken Kultur, 2 voll., Basel/Stuttgart 1984/1993;
T. HAARHOFF, Schools o/ Gaul. A Study o/ Pagan And Christian Education in the Last Century o/
428 X. Cristianità della Chiesa imperiale

the Western Empire, Johannesburg 19662; H.-T. JOHANN (a cura di), Erziehung und Bildung in der
heidnischen und christlichen Antike, Darmstadt 1976; H. J. MARROU, Geschichte der Erziehung im
klassischen Altertum, Miinchen 19777 (frane. 1958); A. MONACI CASTAGNO, Paideia classica ed
esercizio pastorale nel IV secolo. Il concetto di « synesis » nel!'opera di Giovanni Crisostomo, in
RSLR 26 (1990), 429-459; O. PASQUATO, Gli spettacoli in S. Giovanni Crisostomo. Paganesimo e
cristianesimo ad Antiochia e Costantinopoli nel 4. secolo, Roma 1976; C. SCHNUSENBERG, Das
Verhiiltnis von Kirche und Theater: Dargestellt an ausgewiihlten Schri/ten der Kirchenviiter und li-
turgischen Texten bis au/Amalarius von Metz (A. D. 775-785), Basel ecc. 1981; W. WEISMANN, Kir-
che und Schauspiele. Die Schauspiele im Urteil der lateinischen Kirchenviiter unter besonderer
Berucksichtigung van Augustzn, Wiirzburg 1972.
§ 72.3: C. CATELLANI, Il buon uso delle ricchezze nell'epistolario di san Girolamo, in CS 13
(1992), 47-72; B. COULIE, Les richèsses dans l'oeuvre de S. Grégoire de Nazianze. Étude littéraire et
historique, Louvain-la-Neuve 1985; B. LEYERLE, fohn Chrysostom on Almsgiving And the Use o/
Money, in HThR 87 (1994), 29-48; R. P. MALONEY, The Teaching o/ the Fathers on Usury. An Hi-
storical Study o/ the Development o/ Christian Thinking, in VigChr 27 (1973 ), 241-265; M. MAZ.
ZA, Poveri e povertà nel mondo bizantino (IV.VII secolo), in «Studi storici» 23 (1982), 283-315;
P. MIKAT, Die Inzestverbote des Dritten Konzils von Orléans (538). Ezn Beitrag zur Geschichte des
/riinkischen Eherechts, Opladen 1993; R. NùRNBERG, Askese als sozzaler Impuls, Bonn 1988; B.
RAMSEY, Almsgiving in the Latin Church. The Late 4th Century And Early 5th Century, in ThSt
43 (1982), 226-259; T. STERNBERG, Orientalium more secutus. Riiume und Institutzonen der Cari-
tas des 5. bis 7. Jahrhunderts in Gallien, Miinster 1991; V. R. VASEY, The Socia! Ideas in the Works
o/ St. Ambrose. A Study on «De Nabuthe», Roma 1982.
§ 72.4: H. BELLEN, Studien zur Sklaven/lucht im romischen Kaiserreich, Wiesbaden 1971;
G. CORCORAN, St. Augustine on Slavery, Roma 1985; W. JAEGER, Die Sklaverei beiJohannes Chry-
sostomus, Kiel 1974; R. KLEIN, Die Sklaverei in der Sicht der Bischofe Ambrosius und Augustinus,
Stuttgart 1988; G. KONTOULIS, Das Problem der Sklaverei bei den Kappadokischen Kirchenviitern
und Johannes Chrysostomus, Bonn 1993; P. LANDAU, Asylrecht III, in TRE 4 (1979), 319-327;
H. LANGENFELD, Christianisierungspolitik und Sklavengesetzgebung der romischen Kaiser von
Konstantin bis Theodosius II., Bonn 1977.
§ 72.5: L. CIGNELLI, La «famiglia-modello» nella chiesa patristica, in SBFLA 32 (1982), 155-
190; E. A. CLARK, «Adam's Only Companion ». Augustine And the Early Christian Debate on Mar-
riage, in RechAug 21 (1986), 139-162;}. GAUDEMET, Le martage en Occzdent. Les moeurs et le droit,
Paris 1987; T. MACKIN, Divorce And Remarriage, New York 1984; A. MONTAN, Alle origini della
disciplina matrimoniale canonica, in «Apollinaris» 54 (1981), 151-182; P. NAUTIN, Divorce et re-
mariage dans la tradition de l'Eglise latine, in RSR 62 (1974), 7-54; K. RrTZER, Formen, Riten und
religioses Brauchtum der Eheschlie/!,ung in den christlichen Kirchen des ersten Jahrtausends, Miinster
198l2; E. SCHMITT, Le mariage chrétien dans l'oeuvre de S. Augustin, Paris 1983; B. D. SHAW, The
Family zn Late Antiquity. The Experience o/ Augustine, in« Past And Present» 115 (1987), 3-51.

§ 73. Le donne nelle comunità cristiane

Fonti: sono importanti le storie ecclesiastiche contemporanee (cf § 2), le fonti giuridiche (§ 3 e),
gli atti dei martiri(§ 3 g), gli scritti sulla verginità (Ambrogio, § 76,2; Giovanni Crisostomo,
§ 75,4c ecc.).
Girolamo, «Lettere» (cf § 76,3 ).
Giovanni Crisostomo, Epist. ad Olympiadem: A. M. MALINGREY, t trad. frane. e, 1968 (SC 13bis), ecc.
§ 73. Le donne nelle comunità cristiane 429

J. MAYER, Monumenta de viduis diaconissis virginibusque tractantia, 1938 (FlorPatr 42); E. A.


CLARK (a cura di), Women in the Early Church (raccolta di testi), Wilmington 1987 2; R. S. KRA-
MER, Maenads, Martyrs, Matrons, Monastics. A Sourcebook on Women's Religions in the Gre-
co-Roman World, Philadelphia 1988; P. WILSON-KASTNER et al. (a cura di), A Lost Tradition.
Women Writers o/ the Early Church, Washington 1981.

Geronzio, Vita Melaniae: D. GORCE, t trad. frane. e, 1962 (SC 90); S. KROTTENTHALER, trad. ted.,
1912 (BKV), E. A. CLARK, trad. ingl. e, New York 1984.
Gregorio di Nissa, Vita Macrinae: P. MARAVAL, t trad. frane. e, 1971 (SC 178); K. CORRIGAN, trad.
ingl., Saskatoon 1987; E. GIANNARELLI, trad. it., Milano 1988; E. MAROTTA, trad. it., 1989
(CollTP 77).

Gli sforzi per escludere definitivamente le donne dal ministero s'intensifica-


rono nel III e nel IV sec. Le Costituzioni Apostoliche polemizzarono ampia-
mente contro il sacerdozio delle donne e l'ordinazione di vedove e vergini (3 ,9;
26,1-3; 8,19.24-25; cf anche il mancato riconoscimento delle diaconesse,§ 61,1);
non ci fu alcuna donna inviata da Gesù (Const. apost. 3 ,6; Pseudo-Clemente, Ad
virg. 2,15,1), e un ministero affidato a donne sarebbe assolutamente inimmagi-
nabile (Epifanio, Pan. 79,2ss.). Si ribadirono costantemente la prescrizione neo-
testamentaria di tacere (1 Cor 14,34ss., 1 Tm 2,11), come anche il divieto d'in-
segnare (1 Tm 2,12). Unicamente nella sfera privata si concesse loro d'«inse-
gnare il bene» (cf Tt 2,3) a giovani e donne. La stessa norma valse per gli am-
bienti ascetici femminili (cf § 71B6; C 5). A prescindere da una condizione ve-
dovile positivamente accettata e dal celibato spontaneamente scelto, l'ideale
proposto agli occhi della donna fu quello tradizionale di onesta padrona di ca-
sa, di sposa fedele e di madre premurosa.

1. L'ideale femminile conservatore e la realtà sociale

«In molte disposizioni di legge del nostro diritto la posizione delle donne è
peggiore di quella degli uomini» (Papiniano, Dz'g. 1,5,9). Anche se alle donne ven-
ne concessa una limitata autonomia nel diritto matrimoniale, patrimoniale ed ere-
ditario, esse rimasero sempre escluse dagli uffici statali e pubblici (Ulpiano, Dz'g.
50,17,2 pr.). Come motivazione di questa disparità si adducevano la consuetudi-
ne e la tradizione (quia receptum est, Dig. 5,1,12,2), non, per esempio, un'inferio-
rità naturale (che, comunque, continuò ad essere affermata). L'ideale determinan-
te fu quello della padrona di casa (matrona), destinata a vivere in casa e ad esser-
ne la custode (domisedens, domiservans). A Roma, nel caso di strutture importan-
ti di economia domestica, ne risultava per la donna una posizione stimata ed au-
torevole; mancano ampiamente notizie sugli strati sociali inferiori. L'educazione
delle ragazze era finalizzata a questo ideale, ma includeva per gli ambienti miglio-
ri anche la formazione intellettuale (puella docta, litterata; cf Agostino, Solil. I 10).
430 X. Cristianità della Chiesa imperiale

Dalla matrona ci si aspettava la fedeltà coniugale; particolarmente celebrata era la


fedeltà conservata oltre la morte: univira, unicuba (ILS 8444). Inoltre, essa dove-
va essere «pudica, pia, laboriosa, brava, energica, vigilante e premurosa» (ibi-
dem). Quando si dà risalto a un lavoro, questo è la filatura della lana (/anificium).
Significativa è l'iscrizione sepolcrale della romana Claudia: «Custodì la casa, filò
la lana» (ibidem 8403: Domum servavit, lanam feàt).
Il quadro ideale non corrispondeva tuttavia alla realtà. Le donne dell'epoca
imperiale romana seppero utilizzare completamente la libertà di spazio che ve-
niva concessa loro dal diritto e dallo sviluppo della società. Soprattutto le don-
ne di rango senatoriale (/eminae clarissimae) ebbero talvolta un notevole influs-
so politico ed economico, intrattennero circoli letterari ed artistici e curarono la
propria formazione. Si ha testimonianza di numerose donne professionalmente
attive: esperte d'affari e di medicina, commercianti, segretarie private, parruc-
chiere, sarte ecc.
Questo divario tra ideale e realtà interessò anche la condizione delle donne
cristiane. Si proclamò e celebrò l'ideale conservatore della donna, ora motivato
e sublimato con argomenti biblico-teologici (Gn 2,18-24; 1 Cor 11,2-12; ecc.).
Ma anche nelle comunità cristiane ci furono donne emancipate che seppero e
vollero far valere la propria influenza. Porfirio (§ 17 ,3 ), avversario dei cristiani,
esagerò sicuramente quando verso la fine del III sec. affermò che le donne era-
no il senato dei cristiani, dominavano nella Chiesa e decidevano sulle carriere
sacerdotali (frammento 97, Harnack), ma le donne ebbero chiaramente nelle
comunità notevoli possibilità d'influenza. In quale misura esse potessero distin-
guersi dipendeva dalle singole personalità e dalla loro posizione sociale. Ne so-
no una dimostrazione quelle cristiane romane alle quali il papa Callisto (217-
222) aveva consentito di eludere le leggi matrimoniali romane (Ippolito, Re/ut.
9,12), o quella donna di condizione agiata che sostenne e aiutò Origene (Euse-
bio, H. E. VI 2,13-14), oppure quelle donne impegnate nella cerchia di Paolo di
Samosata (Eusebio, H. E. VII 30,10-16), ecc. Una tale possibilità d'influenza
può essere illustrata anche dal caso della clarissima /emina (nobile) Lucilla quan-
do scoppiò lo scisma donatista a Cartagine (Gesta apud Zenoph. 23-24; cf Otta-
to, Contra Parmenianum Donatistam I 16; 19). Da Ammiano Marcellino (Res ge-
stae 27,4,14-15) venne registrata con una certa ironia l'importanza delle dame
romane per il vescovo di Roma. Girolamo polemizzò contro l'influenza di don-
ne nelle elezioni di chierici (Comm. in Is. II 3,12).

2. Sovrane cristiane

Con la cristianizzazione della società imperiale romana crebbe il numero


delle donne che a motivo del loro rango sociale pretesero ed anche esercitarono
§ 73. Le donne nelle comunità cristiane 431

una loro influenza e un loro peso nella Chiesa, anche se un'attività politica da
parte delle donne verbalmente fu sempre rifiutata (Lattanzio, Epit. 33 ecc.; Gio-
vanni Crisostomo, Reg./em. 5; Cirillo d'Alessandria, C. Iul. 6). L'imperatore Co-
stantino onorò sua madre Elena con il titolo di Augusta. Questa prima Augusta
cristiana, che probabilmente si convertì dopo il 312, è nota tra l'altro come be-
nefattrice e fondatrice di chiese (Eusebio, Vita Const. III 42-47) e svolse il ruo-
lo principale nella leggenda del ritrovamento della croce (cf § 69,5).
Giustina (m. probabilmente nel 388), moglie di Valentiniano I (364-375),
diresse per il figlio minorenne Valentiniano II (383-392) gli affari di governo.
Essa fu protettrice della comunità ariana a Milano e decisa avversaria di Am-
brogio, che paragonò la combattiva donna a Gezabele (Ep. 76,14-19). L'impe-
ratrice dell'Impero Romano d'oriente Eudossia (m. 404), sposa di Arcadio
(395-408), intervenne in maniera determinante nella politica della Chiesa bizan-
tina, arrivando a sollecitare nel 403/404 la deposizione e l'esilio di Giovanni Cri-
sostomo, dal quale era stata paragonata, anch'essa, a Gezabele (e ad Erodiade)
(Hom. ante exil. 4). La sua nuora Eudocia (Athenais; m. 460), moglie di Teo-
dosio II (408-450), fu anch'essa coinvolta nella politica ecclesiastica. Nel 439
portò a Costantinopoli da un pellegrinaggio in Terra Santa le reliquie di Stefa-
no. Dal 443 visse probabilmente a Gerusalemme, favorì chiese e monasteri
(Evagrio, H. E. I 20-22; Marcellinus Comes, Chronicum ad annum 439) e lo svi-
luppo della città; si occupò anche di poesia cristiana (CPG 6020-6025).
La sua energica cognata Pulcheria (m. 453) fu una delle donne più influenti
sul piano teologico e su quello della politica ecclesiastica. Ben presto venne no-
minata Augusta dal fratello minore Teodosio II e solo per qualche tempo, fino al
trasferimento di Eudocia a Gerusalemme, rimase lontana dai centri di potere di
Costantinopoli. «Soltanto» sorella dell'imperatore, accrebbe la sua autorità come
vergine cristiana. Con le sue sorelle, egualmente vergini, essa visse nel palazzo se-
condo un orario giornaliero di tipo monastico. Intervenne decisamente nella con-
troversia tra Nestorio e Cirillo d'Alessandria ed ebbe parte determinante nella ce-
lebrazione del concilio di Calcedonia (cf §§ 54-55). Fu «imperatrice del concilio»
e venne annoverata tra i salvatori della fede. Fu celebrata come una «nuova Ele-
na», di cui mostrava «la stessa fede e lo stesso zelo» (ACO II 1,2,155).
La più famosa delle imperatrici cristiane della Chiesa antica è Teodora (497?-
548). Di umile origine sociale, conobbe Giustiniano I (527-565), che la innalzò al
rango di patrizia e la sposò. Quando egli divenne imperatore, essa divenne Au-
gusta e compartecipe del regno (consors imperii). I funzionari dovevano giurare
anche in suo nome, e ovvia fu la sua partecipazione all'attività politica. Introdus-
se chiaramente leggi favorevoli alle donne (CJ Nov. 14). Agì in maniera autono-
ma nella politica ecclesiastica, pronunciandosi a favore dei monofisiti e asse-
gnando sedi vescovili; anche papa Vigilio (537-555) dovette a lei la sua nomina.
Donne influenti e attive nelle faccende ecclesiastiche si trovano anche tra le
432 X. Cristianità della Chiesa imperiale

sovrane germaniche. È noto il ruolo svolto dalla regina Clotilde nella conver-
sione del marito Clodoveo (§ 43,7). E secondo Gregorio di Tours, lngunde, la
principessa cattolica dei merovingi, influenzò la conversione del suo sposo Er-
menegildo (Hist. Frane. V 38; cf § 43,2). Nella conversione dei longobardi al cat-
tolicesimo Gregorio Magno poté fare affidamento sulla regina cattolica Teodo-
linda, figlia di un duca bavarese (§ 43,4). La missione dello stesso papa presso
gli anglosassoni era stata preceduta dalla piccola comunità cattolica alla corte di
Canterbury, ivi fondata dalla merovingia Berta,.sposa del re Etelberto (§ 44,1).
L'influenza di queste donne nelle faccende ecclesiastiche e politiche è docu-
mentata soprattutto dalla corrispondenza di Gregorio Magno e da storici come
Gregorio di Tours e Beda il Venerabile (m. 735).

3. Aristocratiche cristiane

Quando nella seconda metà del IV sec. lo strato superiore della società si
convertì in misura crescente al cristianesimo, nelle famiglie aristocratiche spes-
so furono innanzitutto le donne a trovare la strada. I loro mezzi finanziari con-
sentirono loro di partecipare con benefica generosità alle attività caritative del-
la comunità, come anche alla costruzione e al mantenimento di chiese e mona-
steri. Attraverso la fondazione di monasteri queste donne acquistarono una no-
tevole importanza nel movimento ascetico-monastico (§ 71). Dotate spesso di
vasta cultura e di conoscenze letterarie, godevano di una stima particolare,
quando esse stesse vivevano nelle comunità come vedove o vergini.
La loro influenza nelle faccende ecclesiastiche, tuttavia, non si limitò a que-
sto; le donne che a a Costantinopoli appartenevano alla cerchia di Giovanni Cri-
sostomo gli rimasero fedeli anche dopo la sua deposizione e costituirono il nu-
cleo di un'opposizione ecclesiastica nella capitale dell'impero. Melania senior
(m. ca. 410) difese e protesse nella prima controversia origeniana i seguaci di
Origene, ormai oggetto di persecuzione. Dei primi tempi della storia di Parigi è
nota la figura di Genoveffa (m. ca. 500), una giovane cristiana che si prodigò
con la sua azione sociale e politica in soccorso della città minacciata da unni e
franchi (Vita Genove/ae: MGH.SRM 3, 204-238).
L'ordinamento sociale tardo-antico permetteva alle donne di portare titoli,
insegne e abiti d'ufficio dei loro mariti (Giustiniano, Nov. 105). Questa prassi
venne accolta infine anche in ambito ecclesiastico. Essa spiega la presenza nella
letteratura ecclesiastica di termini come presbytera, diaconissa e subdiaconissa
(secondo sinodo di Tours [567], can. 20 [19]. Secondo una tarda testimonianza
(Ord. Romanus 36, Nr. 27) le mogli dei chierici ricevevano anche una propria
benedizione. Gregorio Magno allude forse a uno specifico abbigliamento per la
«presbytera» (PL LXXVII, Epist. l. IX, vi 931, 946).
§ 73. Le donne nelle comunità cristiane 433

4. Donna e letteratura

La storia letteraria della Chiesa antica può presentare soltanto poche scrittri-
ci: le annotazioni personali della martire Perpetua, il centone virgiliano di Proba
(cf § 76,5ss.), la relazione sul pellegrinaggio di Aetheria (§ 69,3 ), i lavori lettera-
ri dell'imperatrice Eudocia (vedi sopra), e infine la relazione di Sergia sulla tra-
slazione di santa Olimpiade (CPG 7981). Lo scarso numero di scrittrici si può
spiegare anche con l'interpretazione estensiva del divieto d'insegnare che nel
Nuovo Testamento appare stabilito per le donne. I pochi testi che proibiscono
alla donna di scrivere opere religiose collocano il divieto in tale contesto (cf il
«Dialogo anonimo antimontanista»: G. Ficker, Widerlegung eines Montanisten,
in ZKG 26 [1905], 447-463; Didimo il Cieco, De Trin. III 41,3). Tuttavia, questi
pochi divieti di scrivere espressamente formulati portano a supporre che nella
tarda antichità una produzione letteraria delle donne ufficialmente riconosciuta
costituisse l'eccezione, e questo sia all'interno che all'esterno della Chiesa.
Così, le donne appaiono nella letteratura della Chiesa antica solo indiretta-
mente e introdotte da altri:
- come oggetto di opere scritte da antichi scrittori ecclesiastici: Gregorio di
Nissa scrisse attorno al 3 80 (o 382/3 83), in uno dei più antichi testi agiografici,
la vita di sua sorella Macrina (Vita Macrinae). Gregorio di Nazianzo pronunciò
un discorso funebre per sua sorella Gorgonia (Or. 8) e celebrò sua madre Non-
na nelle sue poesie (De vita sua 57-81; Or. 18,8-9). Agostino eresse per sua ma-
dre Monica, nelle Con/essiones (spec. il libro IX), un monumento letterario. Bio-
grafie di donne furono scritte da Girolamo nei necrologi per le sue amiche spi-
rituali (Ep. 66; 77; 108; 127, ecc.). Brevi biografie di donne si trovano nella Hi-
storia Lausiaca di Palladio (§ 75,11). La Vita iunioris Melaniae Senatricis (ca.
440) di Geronzio venne pubblicata in una redazione greca e in una latina. La
morte di sante martiri è argomento della predicazione greca e latina e viene ri-
proposta come esempio anche in altri scritti.
Questi e altri testi riferiscono su figure sorprendenti di donne che, in manie-
ra autonoma e consapevole, seppero utilizzare gli spazi di libertà consentiti loro
dalla loro posizione economica e dal loro ideale ascetico. Essi rispecchiano, nel-
lo stesso tempo, anche l'ideale di donna apprezzato dall'uomo, in quanto metto-
no in risalto la cura materna e le virtù della castità e della temperanza. In tal mo-
do i Padri della Chiesa poterono illustrare sotto forma di esempi e modelli emi-
nenti i tipi di vita femminile che essi cercavano di propagandare teoreticamente
nei loro trattati sulla verginità, sulla condizione vedovile o sul matrimonio.
- come destinatarie: una parte notevole della letteratura epistolare della
Chiesa antica è indirizzata a donne, e almeno in parte è possibile riconoscere le
destinatarie come corrispondenti di pari dignità e nobiltà d'ispirazione. A diffe-
434 X. Cristianità della Chiesa imperiale

renza delle lettere scritte da uomini, quelle scritte da donne non vennero rac-
colte in epistolari. Pur nel ruolo d' interlocutrici, quindi, esse hanno la parola
solo indirettamente, come, per esempio, nel dialogo De anima et resurrectione,
in cui Gregorio di Nissa fa comparire Macrina. Altri scrittori dedicarono a don-
ne le loro pubblicazioni (per es. Girolamo, Comm. in Is.; Gregorio di Nissa, In
Cant. Cant.; Isidoro di Siviglia, De fide cath. contra Iudaeos).
- come mecenati: non pochi Padri ricevettero per la loro produzione lette-
raria il sostegno materiale di donne (per es. anche Sulpicio Severo fu sostenuto
dalla suocera Basula).
Questi elementi rendono tanto più deplorevole il fatto che ci siano giunti co-
sì pochi scritti di donne. Almeno le donne dei ceti superiori erano chiaramente
colte e intellettualmente oltremodo aperte. Girolamo chiede nelle sue famose
lettere sull'educazione (Ep. 107; 128) che le figlie dei due nobili romani ai qua-
li sono dirette imparino a leggere. La stessa richiesta viene formulata dalla più
antica regola per monache, scritta da Cesario di Arles (Reg. virg. 18). In questo
punto esse vengono equiparate agli uomini, ai quali si chiede egualmente la ca-
pacità di leggere. In seguito furono soprattutto i monasteri le istituzioni che cu-
rarono la formazione delle donne.
Ma gli esempi di singole personalità eminenti e l'azione consapevole di don-
ne degli strati sociali superiori non possono far trascurare il fatto che la massa
delle donne era già decisa per motivi economici .ad accettare il ruolo di sposa e
di madre o a scegliere, in alternativa, la vita ritirata dell'asceta. E malgrado tut-
to l'apprezzamento per singole donne, s'insisteva nelle prediche e nelle istruzio-
ni pastorali sul tradizionale quadro della donna con i rispettivi elenchi di virtù
e di vizi.

Bibliografia § 73 (cf anche § 26,5): W. AFFELDT ( a cura di), Frauen in Spatantike und Fruh-
mittelalter. Lebensbedingungen - Lebensnormen - Lebensformen, Sigmaringen 1989; W. AFFELDT
et al. (a cura di), Frauen in Fruhmittelalter. Bine ausgewahlte kommentierte Bibliographie, Frank-
furt ecc. 1989; K. ASPEGREN, The Male Woman. A Feminine Idea! in the Early Church, Uppsala
1990; D. BALSDON, Die Frau in der romischen Antike, Miinchen 1989 (ingl. 1977 5); J. BEAUCAMP,
Le statut de la/emme à Byzance (4e-7e siècle), 2 voll., Paris 1990-1992; J. BEAUCAMP, Le vocabu-
laire de la faiblesse f éminine dans !es textes juridiques romains du 3e au 6e siècle, in RHDF 4 (1976),
485-508; J. BREMMER, Why did Early Christzanity Attract Upper-Class Women?, in A. A. R. Ba-
stiaensen et al. (a cura di), Fructus centesimus (FS [scritti in onore di] G. J. M. Bartelink), Steen-
briigge 1989, 37-47; S. P. BROCK- S. A. HARVEY, Holy Women ofthe Syrian Orient, Berkeley 1987;
A. CAMERON-A. KUI-IRT, lmages o/Women in Antiquity, London 1983; A. CHASTAGNOL, Lesfem-
mes dans l'ordre sénatorial: titulaire et rang socia! à Rome, in« Revue historique» 262 (1979), 3-28;
E. A. CLARK, Women in Late Antiquity. Pagan And Christian Life-Styles, Oxford 1993; G. CLARK,
This Female Man of God. Women And Spiritual Power in the Patristic Age, A. D. 350-450, Lon-
don/New York 1995; A. CUNNINGHAM, Women And Preaching in the Patristic Age, in D. G. Hun-
ter (a cura di), Preaching in the Patristic Age (FS [scritti in onore di] J. Burghardt), New York
1989, 53-72; J. DRIJVERS, Virginity And Ascetism in Late Roman Western Elites, in J. Block -
§ 73. Le donne nelle comunità cristiane 435

R. Mason (a cura di), Sexua!Asymmetry, Amsterdam 1987, 241-273;}. FossuM-G. QUISPEL, He-
lena, in RAC 14 (2988), 338-355;}. GARDNER, Women in Roman Law And Society, London 1986;
V. E. F. HARRISON, Male And Female in Cappadocian Theology, in JThS 41 (1990), 441-471;
M. HEINZELMANN - ]. C. POULIN, Les vies anciennes de S. Geneviève de Paris. Etudes critiques, Pa-
ris 1986; P. HUYBRECHTS, Le« Traité de la virginité» de Gregoire de Nysse. Idéal de vie monasti-
que ou idéal de vie chrétienne, in NRTh 115 (1993), 227-242; A. F. IDE, Women As Priest, Bishop
And Laity in the Early Catholic Church to 440 A. D., Mesquite 1984; A. }ENSEN, Gottes selbst-
bewuflte Tochter. Frauenemanzipation imfriihen Christentum?, Freiburg 1992; D. M. KINDER, The
Role of the Christian Woman As Seen by Clement of Alexandria, Iowa City 1988;]. LANG, Mini-
sters of Grace. Women in the Early Church, Slough 1989;}. LA PORTE, The Role ofWomen in Early
Christianity, New York 1982; J. LECLERQ, La sainte Radegonde de Venance Fortunat et celle de
Baudovinie. Essai d'hagiographie comparée, in A. A. R. Bastiaensen et al. (a cura di), Fructus cen-
tesimus (FS [scritti in onore di] G. J. M. Bartelink), Steenbriigge 1989, 207-216; M. LIGHTMAN -
W. ZEISEL, Univira. An Example of Continuity And Change in Roman Society, in ChH 46 (1977),
19-32; R. LOCKWOOD, Potens et factiosa femina. Women, Martyrs And Schism in Roman North
Africa, in AugSt 20 (1989), 165-182; J. MARTIN - R. ZOEPFFEL (a cura di), Aufgaben, Rollen und
Raume von Frau und Mann, 2 voli., Freiburg 1989; G. MILITELLO, Donna e Chiesa. La testimo-
nianza di Giovanni Crisostomo, Palermo 1985; C. PAPA, Radegonda e Batilda. Modelli di santità re-
gia femminile nel regno merovingio, in« Benedictina » 36 (1989), 13-33; S. B. POMEROY, Frauen-
leben im klassischen Altertum, Stuttgart 1985 (ingl. 1984); M. R. SALZMANN, Aristocratic Women.
Conductors ofChristzanity in theIVth Century, in «Helios» 16/2 (1989), 207-220; W. SCHULLER,
Frauen in der griechischen Geschichte, Konstanz 1985; w. SCHULLER, Frauen in der romischen Ge-
schichte, Konstanz 1987; J. SIMPSON, Women And Asceticism in the IVth Century. A Question of
Interpretation, in JRH 15 (1988/1989), 38-60; K. SUGANO, Marcella von Rom, in Roma renascens
(FS [scritti in onore di] I. Op.eh), Frankfurt/M. 1988, 355-370; K. THRAEDE, Frau, in RAC 8
(1972), 197-269; K. THRAEDE, Arger mit der Freiheit. Die Bedeutung von Frau in Theorie und
Praxis der alten Kirche, in G. Scharffenorth - K. Thraede (a cura di), Freunde in Christus wer-
den ... , Gelnhausen/Berlin 1977; 31-178; E. E. VARDIMAN, Die Frau in der Antike. Sittengeschich-
te der Frau im Altertum, Wien 1982; A. YARBROUGH, Christianization in the Fourth Century. The
Example of Roman Women, in ChH 45 (1976), 149-165.
§ 73.2: A. BRIDGE, Theodora. Aufstieg und Herrschaft einer byzantinischen Kaiserin, Miinchen
1980 (ingl. 1978); F. FÈVRE, Théodora, impératrice de Byzance, Paris 1984; K. HOLUM, Theodosian
Empresses. Women And Imperia! Dominion in Late Antiquity, Berkeley 1982; J. TSATSOS, Athe-
nais. Impératrice de Byzance, Paris 1976.
§ 73.3: B. FEICHTINGER, Apostolae apostolorum. Frauenaskese als Befreiung und Zwang bei
Hieronymus, Frankfurt 1995; A. E. HICKEY, Women of the Senatoria! Aristocracy of Late Rome As
Christian Monastics. A Sociologica! And Cultura! Analysis ofMotivation, Ann Arbor 1986; C. KRU·
MEICH, Hieronymus und die christlichen feminae clarissimae, Bonn 1993; G. PETERSEN-SZE-
MERÉDY, Zwischen Weltstadt und Wiiste: Romische Asketinnen in derSpiitantike, Gottingen 1993.
XI. Produzione letteraria
nell'epoca della Chiesa imperiale

§ 74. La letteratura cristiana antica


nell'epoca della Chiesa imperiale

1. Generi e temi

Con il riconoscimento della Chiesa cristiana anche la sua teologia e la sua at-
tività teologica divennero di dominio pubblico. Le sue questioni e le sue fac-
cende fecero ormai parte di ciò che interessava la res publica Romana. Crebbe
conseguentemente la produzione letteraria. Nel IVN sec. la letteratura cristia-
na antica raggiunse il suo apogeo. Oggetto di discussione e di chiarimento, di
difesa e di tentativi di conciliazione furono soprattutto le grandi questioni di fe-
de del periodo tra Nicea e Calcedonia (cf §§ 47-47), come anche i problemi di
vita cristiana ed ecclesiastica e quelli dell'interpretazione delle Scritture e della
spiritualità, ecc.
Si continuarono a cercare modelli e norme nella letteratura e nella scienza,
nella filosofia e nella retorica degli antichi (cf § 72,2). Nella loro attività di scrit-
tori i Padri della Chiesa si attennero alle forme letterarie del periodo preniceno,
che non solo adattarono alle loro esigenze, ma anche ampliarono e sistematiz-
zarono. I più importanti generi letterari che ne risultarono sono i seguenti:
- La trattazione dogmatica, di orientamento polemico, filosofico-dogmatico
o catechetico, nella forma di trattato, di discorso o di lettera dottrinaria.
- L'esegesi della Sacra Scrittura, in forma di commento scientifico, di espo-
sizione spirituale-edificante e di omelia su determinati passi biblici con finalità
pratiche. Il lavoro esegetico viene basato sulle scienze ausiliarie a servizio della
storia, della geografia e della lingua della Bibbia.
Ne risultarono innumerevoli commenti a tutti i libri della Sacra Scrittura, soprattutto ai van-
geli e alle lettere paoline, ai salmi, ai profeti e alla Genesi. Soltanto pochissimi di questi commen-
ti ci sono arrivati al completo in tradizione diretta. Gran parte dei commenti in greco è disponi-
bile, quando ci è giunta, solo in modo frammentario rappressentato da estratti o compendi, nelle
cosiddette catene: teologi dei secoli successivi cercarono di salvare la tradizione compilando ver-
setto dopo versetto singoli brani, estratti, parafrasi o compendi di vari teologi. Fondatore di que-
sta esegesi miscellanea sembra essere stato Procopio di Gaza (465-ca. 530). Le ricostruzioni dei
commenti di singoli autori sono problematiche a motivo della condizione del testo, della com-
plessa storia della tradizione e delle attribuzioni spesso incerte.
§ 74. La letteratura cristiana antica nell'epoca della Chiesa imperiale 437

- Testi catechetici e mistagogici per l'introduzione alla vita cristiana e alla li-
turgia.
- L'omelia come interpretazione delle Scritture, panegirico di santi, presa di
posizione su avvenimenti particolari, ecc.; poteva anche raggiungere vertici d'ar-
te oratoria.
- Letteratura epistolare, che può contenere trattazioni teologiche, prendere
posizione su faccende ecclesiastiche d'attualità e sevire per la guida spirituale o
lo scambio personale.
- Scritti storici, che hanno come oggetto la storia della Chiesa o le passioni
dei martiri o le vite dei santi (agiografia, cf § 4).
- La poesia: inni per il servizio liturgico e la pratica della preghiera, carmi
biblici e particolarmente poemi agiografici.
- Trattati etico-ascetici e trattati di teologia pastorale, che prendono posizio-
ne su questioni pratiche di vita cristiana, di morale e di disciplina comunitaria.
- Ordinamenti ecclesiastici e regole, come anche testi liturgici, che inter-
vengono in maniera ordinata e normativa nella maniera cristiana di vivere.

2. I centri più importanti


I centri più importanti dell'attività teologico-scientifica furono in oriente
Alessandria ed Antiochia, che si segnalarono nelle controversie dogmatiche e di
politica ecclesiastica nelle quali va inquadrato essenzialmente lantagonismo tra.
teologia alessandrina e antiochena. Nella dottrina trinitaria, e ancora di più.nel-
la cristologia, le due correnti teologiche costituirono due punti di riferimento di-
versi e diedero luogo al formarsi di una propria scuola (cf §§ 54-55, special-
mente 54,1). Ciò vale anche per il metodo esegetico che sta alla base della loro
teologia. Ad Alessandria si proseguì l' allegoresi di orientamento filosofico-alle-
gorico nella tradizione di Filone e di Origene (cf § 39,2); ad Antiochia si diede
più forte risalto all'interpretazione storica e tipologica (cf § 75,4). Entrambi si
basarono sui metodi esegetici e filosofici delle antiche scuole filologiche.
Progetti teologici autonomi sorsero nel IV sec. in Siria (cf § 42), come an-
che nelle Chiese nazionali sempre più autonome dell'oriente (cf § 42).
Inizialmente ebbe il sopravvento la teologia della Chiesa imperiale orienta-
le. Dopo il 350 comparvero sempre di più anche in occidente importanti teolo-
gi che conciliarono la teologia orientale con le tradizioni occidentali e prosegui-
rono in sviluppi autonomi (per es. Ilario di Poitiers, Ambrogio di Milano, Gi-
rolamo, ecc.). Con il diminuire della conoscenza del greco in occidente, diven-
nero sempre più importanti le traduzioni. Il suo apogeo fu raggiunto indubbia-
mente dalla teologia occidentale con Agostino.
438 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

Bibliografia§ 74: La poesia tardoantica. Tra retorica, teologia e politica, Messina 1984; J. DEN
BOEFf-A. HrLHORST, Early Christian Poetry. A Collection of Essays, Leiden 1993; L. FATICA, I
commentari a Giovanni di Teodoro di Mopsuestia e di Cirillo di Alessandria. Confronto fra metodi
esegetici e teologici, Roma 1988; J. FoNTAINE, Naissance de la poésie dans l'occident chrétien, Paris
1981; R. HERZOG, Die Bibelepik der lateinischen Spiitantzke, vol. 1, Miinchen 1975; E. MOHLEN-
BERG, Psalmenkommentare aus der Katenenuberlieferung, vol. III (PTS 19), 1978; A. OLIVAR, La
predicaci6n cristiana antigua, Barcelona 1991; I. OPELT, Paradeigmata Poetica Christiana. Unter-
suchungen zur christlichen lateinischen Dichtung, Diisseldorf 1988.

§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale

1. Eusebio di Cesarea

CPG 3465-4507.
Opera: t, 9 voli., div. ediz. 1902-1992 (GCS); antologia: A. BIGELMAIR, trad. ted., 1913 (BKV).
Praep. evang.: E. H. GIFFORD, t trad. ingl. (microf. 1978) , Oxford 1903; É. DES PLACES et al.,
t trad. frane. e, 9 voli., 1974-1991 (SC 206; 215; 228; 262; 266; 292; 307; 338; 369).
C. Ht'erocl.: M. FORRAT - É DES PLACES, t trad. frane. e, 1986 (SC 333 ).
Dem. ev.: W. J. FERRAR, trad. ingl., rist. Grand Rapids 1981.
(Cf § 4; §§ 47-48 [teologia trinitaria]).

All'inizio della serie dei Padri greci si trova Eusebio di Cesarea (ca. 264-
339), un personaggio vissuto tra due epoche diverse. Sul piano teologico egli ri-
mase legato alla tradizione prenicena di Origene, di cui ebbe a disposizione la
biblioteca a Cesarea. Quando nel 325 aderì alla professione di fede di Nicea, egli
l'intese ancora nel senso di precedenti convinzioni. Ciò spiega il suo successivo
distacco (avvenuto non prima del 328) e il suo deciso rifiuto sia di Atanasio che
di Marcello d'Ancira (cd§ 47-48), con il quale discusse nel Contra Marcellum e
nel De ecclesiastica theologia (336).
Uomo erudito e di vasta cultura, interessato alla storia, Eusebio scrisse oltre
a scritti storici minori la prima Storia ecclesiastica (cf § 4). Alla sua ammirazione
per l'imperatore Costantino egli diede espressione, tra le altre opere, nella Vita
Constantini (§ 41,1). Con ampiezza e ricchezza di materiali egli difese la fede cri-
stiana nella Praeparatio evangelica (3211322) contro la religiosità pagana e la fi-
losofia greca. I suoi scritti contro Porfirio e Ierocle sono andati quasi completa-
mente perduti. Nella Demonstratio evangelica egli discute la vita e l'opera di Cri-
sto come compimento delle promesse veterotestamentarie. Le fonti da lui citate
nella Praep. ev. e il suo modo di argomentare nella Dem. ev. dimostrano quanto
fortemente egli fosse influenzato dal medioplatonismo.
Se già la Dem. ev. contiene lunghi passi esegetici e di critica testuale, Euse-
bio brilla più che mai con la sua vasta erudizione nel suo Commento sui salmi:
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 439

egli mette a confronto varianti dei testi, spiega nomi, commenta circostanze sto-
riche, per spiegare allegoricamente il testo, su queste basi, nella tradizione di
Origene. Purtroppo questo commento ci è stato tramandato, come quello su
Isaia, soltanto nella tradizione delle Catene, anche se in frammenti abbastanza
estesi. Dei suoi sforzi di critica testuale è testimone anche un manuale biblico-
geografico, di cui ci è rimasto soltanto l'Onomastikon, una specie di dizionario
di nomi di luoghi biblici. L'opera risulta tradotta e integrata da Girolamo.

Bibliografia: H. V. ATTRIDGE - G. RATA (a cura di), Eusebius, Christianity And ]udaism, Lei-
den ecc. 1992; T. D. BARNES, Constantine And Eusebius, Cambridge/London 1981; H. A. DRAKE,
In Praise of Constantine. A Historical Study And New Translation o/ Eusebius'Tricennial Orations,
Berkeley 197 6; R. FARINA, J;impero e l'imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teolo-
gia politica del cristianesimo, Ziirich 1966; É. DES PLACES, Eusèbe de Césarée, commentateur. Pla-
tonisme et Ecriture Sainte, Paris 1982; F. RrCKEN, Die Logoslehre des Eusebios van Caesarea und
der Mittelplatonismus, in ThPh 42 (1967), 341-358; U. WACHT, Epimixiallcommercium-weltwei-
ter Verkehr und christliche Geschichtstheologie. Zum Geschichtsbild des Eusebios van Kaisareia, in
JAC 36 (1993), 110-128; A. WEBER, ARCHE. Ein Beitrag zur Christologie des Eusebius van Cae-
sarea, Roma 1964.

2. Teologi alessandrini

a) ATANASIO o' ALESSANDRIA

CPG 2090-2309
Opera omnia: t trad. lat., PG 25-28.
Opera (Apol.; Sent.; Decr.): H. G. OPITZ, t, 2 voll., 1934/1941 (GCS); antologia: A. STEGMAN, trad.
ted., 2 voll, 1913/1917 (BKV).
C. gentes; De inc.: R. W. THOMSON, t trad. ingl., 1971 (OECT).
C. gentes: P. T. CAMELOT, t trad. frane. e, 1983 (SC 18bis); E. P. MEIJERING, trad. intl. e, Leiden
1984.
De inc.: C. KANNENGIESSER, t trad. frane. e, 1973 (SC 199); E. BELLINI, trad. it., 1987 (CollTP 2).
Hist. aceph.: A. MARTIN, t trad. frane. e, 1985 (SC 317).
Apol.: J. SZYMUSIAK, t trad. frane. e, 19872 (SC 56bis).
Comm. Ps./ragm.: G. M. VIAN, t, Roma 1978.
(Cf §§ 47-49 (controversia su Nicea);§ 71B1 (monachesimo).

Atanasio d'Alessandria (ca. 295-373) viene considerato come l'intransigente


difensore della confessione di fede nicena. Ammesso da giovane al servizio ec-
clesiastico nella sua città natia, assistette allo scisma meleziano della comunità
(cf § 35) e alle prime controversie su Ario (§ 47) sotto il vescovo Alessandro d' A-
lessandria (313-3 28), del quale sono state tramandate le prime testimonianze an-
tiariane. Partecipò come diacono al concilio di Nicea; nel328 divenne vescovo
della metropoli egiziana. Il cambiamento della politica religiosa imperiale lo re-
se strenuo difensore del niceno. Anche se a partire dal sinodo di Tiro (335) fu
440 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

mandato in esilio complessivamente cinque volte, egli rimase irremovibile nelle


sue convinzioni teologiche e di politica ecclesiastica (cf § 48).
La sua prima produzione letteraria - la Oratio contra gentes e la Oratio de incar-
natione Verbi formano un'opera unica, forse del 335/337 - è ancora impegnata nel-
1' apologetica, alla quale però egli dà nella seconda parte un nuovo orientamento. Qui
all'incarnazione del Figlio di Dio viene data una spiegazione soteriologica: «Il Ver-
bo di Dio si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio» (De incarn. 54,3; cf Contra
Arzanos I 39). Soltanto Dio stesso, diventando uomo, poteva donare all'uomo cadu-
to la deificazione o divinizzazione, 0eonot:11crtç, cioè ripristinare l'originaria immagi-
ne e somiglianza divina degli uomini, la loro conoscenza di Dio e la loro immortalità.
Contro Ario e ogni teologia a lui ispirata egli difese l'unità di natura di Dio-
Padre e Dio-Figlio, dove il concetto centrale di 6µooucnoç soltanto molto tardi,
negli anni quaranta, venne ripreso e discusso. Sono importanti i tre discorsi.con-
tro gli ariani (Orationes contra Arzanos: I e II probabilmente 340-341; III ca.
345/346), come anche le apologie Contra Arzanos e De fuga ad Constantium im-
peratore, la lettera De decretis Nicaenae synodi e la Historia Arianorum ad mo-
nachos. Atanasio vi semplifica, anche per motivi pastorali, le posizioni di Ario e
dei suoi compagni di lotta, in maniera tale da rendere difficile la ricostruzione
della loro sostanza. Ma in parte egli raccoglie anche materiale importante degli
atti dei vari sinodi o testi di precedenti teologi (per es. Dionigi d'Alessandria nel
De sententia Dionysii). Quando si accese la discussione pneumatologica, egli si
schierò decisamente per l'unità di natura (homoousia) dello Spirito Santo con
Dio-Padre e il Logos (cf § 49,1).
Tra gli altri suoi scritti sono da menzionare le lettere /estali: l'annuncio an-
nuale della data della Pasqua (cf § 68,3) veniva congiunto dal vescovo alessan-
drino con una specie di lettera pastorale in cui si affrontavano particolari que-
stioni della vita ecclesiastica (per es., la lettera festale del 367 contiene un elen-
co dei libri canonici dell'AT e del NT). Sotto il suo nome sono noti più scritti
sulla vita verginale. In quale misura questa produzione letteraria sia autentica
non è stato ancora accertato con sicurezza. Esercitò una straordinaria influenza
la sua Vita Antonii (ca. 357; cf § 71 B 1).

Bibliografia: C. BuTTERWECK, Athanasius von Alexandrien. Bibliographie, Opladen 1995.

D. W. H. ARNOLD, The Early Episcopal Career o/ Athanasius o/ Alexandria, Notre Dame


1991; L. W. BARNARD, Studies in Athanasius' Apologia secunda, Bern ecc. 1992; C. KANNENGIES-
SER (a cura di), Politique et théologie chez Athanase d'Alexandrie, Paris 1974; C. KANNENGIESSER,
Athanase d'Alexandrie éveque et écrivain, Paris 1983; C. KANNENGIESSER, The Athanasian Decade
1974-84. A BibliographicalReport, in TS 46 (1985), 524-541; E. P. MEIJERING, Orthodoxy And Pla-
tonism in Athanasius. Synthesis or Antithesis?, Leiden 1974; A. PETTERSEN, Athanasius And the
Human Body, Bristol 1990; J. ROLDANUS, Le Christ et l'homme dans la théo/ogie d'Athanase d'A-
lexandrie, Leiden 1968; G. C. STEAD, Athanasius'Earliest Written Works, in JThS 39 (1988), 76-
91; M. TETZ, Athanasius von Alexandrien, in TRE 4 (1979), 333-349.
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 441

b) DIDIMO D'ALESSANDRIA

CPG 2544-2572.
Comm. Ecc!. (codice papiraceo di Toura): G. BINDER- L. LIESENBORGHS et al., t trad. ted., 6 voll.,
Bonn 1969-1983).
Comm. Hiob (Toura): A. HENRICHS et al., t trad. ted., 4 voll., Bonn 1968ss.
Comm. Ps. (Toura): A. KEHL, Quaternio IX, t trad. ted. e, Koln 1964; L. DOUTRELEAU -A. GE-
SCHÉ- M. GRONEWALD, t trad. ted., 5 voll., Bonn 1968-1969.
Comm. Ps. Fragm.: E. MOHLENBERG, Psalmenkommentare aus der Ketenenuberlieferung 1, t, 1975
(PTS 15).
Comm. Zach.: L. DOUTRELEAU, t trad. frane. e, 3 voll., 1962 (SC 83-85).
Comm. Gen.(Toura): P. NAUTIN-1. DOUTRELEAU, t trad. frane. e, 2 voli., 1976/1978 (SC 233; 244).
De trin.: ]. HòNSCHEID- L. SEILER, t trad. ted., 2 voll., Meisenheim 1974/1975.
(Cf § 49 [teologia trinitaria]; § 54,lb [cristologia]).

Ad Alessandria appartenne anche Didimo il Cieco (ca. 313-398). Privo ~el­


la vista fin da quando era bambino (Palladio, Hist. Laus. 4; Girolamo, De vir. ill.
109), riuscì tuttavia ad essere attivo ad Alessandria come maestro e fecondo
scrittore. Si trovò completamente nella tradizione di Origene (esegesi allegori-
ca, preesistenza delle anime e apocatastasi) e venne perciò condannato nel 543
e nel 553. Per tale motivo la sua produzione letteraria è andata ampiamente per-
duta. I ritrovamenti papiracei del 1941 a Toura (presso il Cairo) portarono alla
luce un'ampia opera esegetica (commentari alla Genesi, a Giobbe, a Zaccaria, ai
Salmi, a Qoelet). :Frammenti di commenti a diversi libri dell'AT e del NT erano
già noti attraverso le« Catene». Secondo Girolamo egli scrisse anche opere dog-
matiche: i libri De Spiritu Sancta furono tradotti in latino da Girolamo. L'auten-
ticità di altri scritti rappresentativi della teologia del IV sec., come De trinitate;
Contra Eunomium, è discussa. L'opera non è stata finora né pienamente rico-
struita né indagata a fondo, e così il profilo di questo importante maestro con-
tinua ad essere poco chiaro (per la cristologia d § 54,lb).
Bibliografia: W A. BIENERT, Allegoria und Anagoge bei Didymos dem Blinden von Alexan-
dria, Berlin/New York 1972; A. GESCHÉ, La christologie du «Commentaire sur !es Psaumes » dé-
couvert à Toura, Geneviève 1962; B. KRAMER, Didymus von Alexandrien, in TRE 8 (1981), 741-
746; M. ·SIMONETTI, Lettera e allegoria nell'esegesi veterotestamentaria di Didimo, in VetChr 20
(1983), 341-389; M. SIMONETTI, Didymiana, in VetChr 21 (1984), 129-155; ]. TIGCHELER, Didyme
l'Aveugle et l'exégèse allégorique, Nimwegen 1977.

c) CIRILLO n' ALESSANDRIA


CPG 5200-5438.
Opera: PG 68-77; P. E. PUSEY, t, 7 voll. 1868, rist. Bruxelles 1965; E. SCHWARTZ, t, 5 voll., 1927
(ACO I 1-5); antologia: 0. BARDENHEWER, trad. ted., 1935 (BKV)
Dia!. de inc.; Quod unus sit Christus: G. M. DE DURANT, t trad. frane. e, 1964 (SC 97): L. LEONE,
trad. it. e, 1983 (CollTP 37).
Dia!. de s. trin.: G. M. DE DURANO, t trad. frane. e, 3 voll., 1976-1977 (SC 231; 237; 246); A. CA-
TALDO, trad. it. e, 1992 (CollTP 98).
442 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

C. Iul.: P. BURGUIÈRE- P. Evrnux, t trad. frane.e, 1985 (SC 322).


Epist.:]. I. Mc ENERNEY, trad. ingl., 2 voli, 1987 (FaCh 76; 77).
Epist. /est.: P. Evrnux et al., t trad. frane. e, 2 voli., 1991/1993 (SC 372; 392).
Epist., antologia: L. R. WICKHAM, t trad. ingl. 1983 (OECT).
Comm. Proph. min.: A. CATALDO, trad. it., 1986 (ColiTP 95).
(Cf § 54,lb [cristologia]).

Nella prima metà del V sec. la teologia alessandrina fu rappresentata da Cirillo


d'Alessandria. Nato in questa città nel 370/380 ca., egli divenne nel 412 vescovo co-
me successore del suo dispotico zio Teofilo (§ 51). Fino alla morte, avvenuta nel
444, egli fu una delle figure dominanti della vita ecclesiastica e teologica (cf § 54 per
la sua controversia con Nestorio e il suo ruolo nel concilio di Efeso del 431).
I suoi primi scritti, dipendenti da Atanasio, si diressero esclusivamente con-
tro gli ariani, senza menzionare le questioni sollevate da Apollinare (cf § 53)
(Thesaurus de sancta et consubstantiali trinitate; Dialogi de sancta trinitate). In
questo tempo uscirono anche numerosi scritti esegetici: il De adoratione e i
Glaphyra in Pentateuchum presentano una sua discussione con il giudaismo. I
commentari su Isaia e i dodici profeti mostrano la sua predilezione per l'inter-
pretazione allegorica delle Scritture. Nel commentario su Giovanni, che com"
prende dodici libri, vengono affrontate questioni cristologiche e soteriologiche.
Dal 429 ca. egli si concentrò sulla controversia nestoriana e sui problemi cristo-
logici (cf § 54). Importanti sono i cinque libri Contra Nestorium e De recta/ide
(indirizzati all'imperatore Teodosio Il), i dodici Anatematismi del 430, con tre
Apologie, e specialmente gli Scholia de incarnatione unigeniti e il dialogo Quod
unus sit Christus, scritti nei quali Cirillo riepilogava la sua cristologia e che ot-
tennero rapidamente un'ampia diffusione e un'alta stima.
Va poi segnalata, tra le altre opere, quella in venti volumi contro l'Adversus
Galileos dell'imperatore Giuliano, dei quali ci sorio giunti in maniera frammen-
taria soltanto dieci libri. Possediamo inoltre le lettere pasquali degli anni 410-
442, un ampio epistolario e molte omelie, tra l'altro sul Vangelo di Luca. L'im-
portanza di Cirillo per la storia della teologia dei secoli dopo Calcedonia non è
certamente da sottovalutare (per le sue discussioni e la sua cristologia cf §§ 55,
58-60). Molti dei suoi scritti vennero tradotti dai monofisiti in lingua siriaca,
etiopica e copta. Attraverso Giovanni di Damasco ed alcune traduzioni latine
egli esercitò la sua influenza anche su Tommaso d'Aquino.

Bibliografia: E. GEBREMEDHIN, Lzfe-Giving Blessing. An Inquiry Inta the Eucharistic Doctrine


o/ Cyril of Alexandria, Uppsala 1977; E. R. HARDY, Cyril von Alexandrien, in TRE 8 (1981), 254-
260; L. KOEN, The Saving Passion. Incarnational And Soteriologica! Thought in Cyril o/ Alexan-
dria's Commentary on the Gospel According to St. fohn, Uppsala 1991; J. M. LABELLE, S. Cyrille
d'Alexandrie. Témoin de la langue et de la pensée philosophique du Ve siècle, in RevSR 52 (1978),
135-158; 53 (1979), 23-42; G. MONCH-LABACHER, Naturha/tes und geschichtliches Denken bei Cy-
rill von Alexandrien, Bonn 1996; E. NACKE, Das Zeugnis der Và.ter in der theologischen Beweis-
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 443

fiihrung Cyrills von Alexandrien nach seinen Brie/en und antinestorianischen Schri/ten, Miinster
1964; R. M. SIDDALS, Logie And Christology in Cyril o/ Alexandria, in JThS 38 (1987), 341-367;
R. L. WILKEN, Judaism And the Early Christian Mind. A Study o/Alexandria's Exegesis And Theo-
logy, New Haven/Conn. 1971.

d) SINESIO DI CIRENE
CPG 5630-5640.
Opera: A. GARZYA, t trad. it., Torino 1989.
Inni: C. LACOMBRADE, t trad. frane. e, Paris 197 8; A. DELVERA, t tra d. it., Roma 1968; J. GRUBER -
H. STROHM, trad. ted. e, Heidelberg 1991.
Dian Chrysostomus: K. TREU, t trad. ted., Berlino 1959.
Epist.: A. GARZYA, t, Roma 1979.

Accanto ai grandi maestri di teologia, Sinesio di Cirene (ca. 3 65-ca. 413) non
ha una vera e propria importanza teologica, ma è ugualmente interessante per la
storia del tempo. Proveniente da distinta famiglia, in possesso di una formazio-
ne filosofica e letteraria, studiò ad Alessandria presso Ipazia (§ 41,6), «sua ma-
dre, sorella e maestra» (Ep. 16) e trovò attraverso il suo neoplatonismo la via per
arrivare alla fede e a una vita ispirata alla filosofia. I suoi conterranei lo onora-
rono come patronus per aver saputo difendere i loro diritti (invio a Costantino-
poli) e nel 410 lo elessero vescovo di Tolemaide e metropolita della Cirenaica.
Malgrado certe sue riserve personali e di natura teologico-filosofica, da lui chia-
ramente espresse (Ep. 105), venne consacrato vescovo da Teofilo d'Alessandria.
Il «vescovo-filosofo» rimase nelle sue convinzioni neoplatoniche, ma fu egual-
mente per il territorio sotto la sua giurisdizione una guida premurosa, che pre-
se con serietà il suo ufficio ecclesiastico come un dovere sociale. Nella sua pro-
duzione letteraria egli volle riconoscere all' «antichità classica» un posto indi-
sturbi;tto nella Chiesa. La sua opera, non priva di pretese, è costituita da trattati
(sulla provvidenza, sui sogni, su Diane Crisostomo), discorsi, tra i quali De re"
gno ad Arcadium imperatorem (sul sovrano ideale), sermoni, inni e lettere.
Bibliografia: J. A. BREGMAN, Synesius o/ Cyrene. Phz'losopher-Bishop, Berkeley ecc. 1982; J. A.
BREGMAN, Synesius o/ Cyrene between Neoplatonism And Christianity, in « The Catholic HistÒri-
cal Review» 79 (1993), 704-709. J. H. W. G. LIEBESCHÙTZ, Why did Synesius Become Bishop o/
Ptolemais?, in Byz 56 (1986), 180-195; D. RoQUES, Études sur la correspondance de Synèsz'os de
Cyrène, Bruxelles 1989; S. VOLLENWEIDER, Neuplatonische und christliche Theologie bei Synesios
von Kyrene, Gottingen 1985.

3. I cappàdoci

Un ruolo di primaria importanza nelle discussioni sulla teologia trinitaria ven-


ne assunto a partire dal 360 ca. da alcuni teologi della Cappadocia, detti anche neo-
niceni per la loro nuova interpretazione della confessione nicena (cf §§ 48,6; 49).
444 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

a) BASILIO DI CESAREA
CPG 2835-3005.
Opera: PG 29-32; antologia: A. STEGMANN, trad. ted., 2 voli., 1925 (BKV).
Adv. Eun.: B. SESBOUÉ, t trad. frane. e, 2 voll., 1982/1983 (SC 299; 305).
Omelie ascetiche: A. C. WAY, trad. ingl., 1963 (FaCh 46).
Hexaem.: S. GIET, t trad. frane. e, 1968 (SC 26bis); M. MALDINI, t trad. it. e, Milano 1990 (Scr-
GrLat).
Hexaem. 10-11: A. SMETS - M. VAN ESBROECK, t trad. frane. e, 1970 (SC 160).
Epist.: R. J. DEFERRARI, t trad. ingl., 4 voli., London-Cmbridge/Mass., div. ediz. 1962-1972; Y.
COURTONNE, t trad. frane., 3 voll., Paris 1957-1966; S. D. HAUSCHILD, trad. ted. e, 3 voli.,
1973-1993 (BGrL 3; 17; 32); A. REGALDO R.ACCONE, trad. it., Roma 1968.
(Cf §§ 47-49 [teologia trinitaria];§ 54 [cristologia];§ 71 [monachesimo]).

Basilio (ca. 330-379) fu la personalità dominante di questo gruppo di teolo-


gi. Originario di famiglia aristocratica e in possesso di una formazione acquisita
presso scuole importanti, si dedicò inizialmente alla vita ascetico-monastica (ca.
356). Nella solitudine in cui si era ritirato compose insieme all'amico Gregorio
di Nazianzo, intorno al 358, un florilegio dalle opere di Origene (Philocalia).
Nel 364 ca. fu ordinato sacerdote nella sua città natale e nel 370 divenne vesco-
vo di Cesarea e metropolita della Cappadocia. In questa posizione guidò l' op-
posizione contro l'imperatore Valente (364-378) e la confessione omeusiana del-
l'Impero da lui protetta. Promosse con energia l'unificazione del partito niceno
(resa più difficile dallo scisma antiocheno, cf § 50,1), ma in questo continuò a
mancargli il sostegno di papa Damaso (Ep. 239). Riconsiderò a fondo le dottri-
ne neoariane di Eunomio di Cizico (§ 48,5) (Adversus Eunomium I-II, contro
l'Apologia di Eunomio) e intervenne con il De spiritu sancta (375) nella contro-
versia pneumatologica (cf § 49,1).
Tra i suoi discorsi sono da menzionare le nove omelie sull'Exaemeron, come
anche i discorsi su aspetti formativi della vita cristiana (sul digiuno, n.1; sulle ric-
chezze, n. 7; contro il vizio del bere, n. 14) e per le feste di martiri (19,8: distri-
buzione delle reliquie). N ell' «ammonimento ai giovani» (De legendis gentilium
libris) egli parlò del valore educativo della letteratura pagana e delineò in que-
sto modo un programma di educazione cristiana di sorprendente apertura men-
tale. Il suo impegno pastorale e di politica ecclesiastica si rivela nella sua estesa
corrispondenza (l'epistolario comprende 366 scritti, tra i quali tuttavia anche
lettere a Basilio ed alcune lettere non autentiche). Per la storia della penitenza
nella Chiesa antica sono significative le cosiddette lettere canoniche (Ep. 188;
199; 217). Basilio rimase legato per tutta la vita all'ideale ascetico-monastico. Ne
sono testimonianza le opere ascetiche, nelle quali egli prospettò la necessità di
una vita secondo il Vangelo per tutti i cristiani e diede all'ascesi un fondamento
teologico e un ordinamento ecclesiastico(§ 71A4).
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 445

Bibliografia: Basilio di Cesarea. La sua età, la sua opera e il Basilianesimo in Sicilia. Atti del Con-
gresso internazionale, Messina 1979, 2 voli., Messina 1983; P. M. BEAGON, The Cappadocian Fathers,
Women And Ecclesiastica! Politics, in VigChr 49 (1995), 165-179; H. DEHNHARD, Das Problem der
Abhiingigkeit des Basilius van Plotin. Quelleuntersuchungen zu seinen Schrzften De spiritu sancto,
Berlin 1964; P.J. FEDWICK, The Church And the Charisma o/Leadership in Basi! o/ Caesarea, Toronto
1979; P. J. FEDWICK, Basi! o/ Caesarea: Christian, Humanist, Ascetic, 2 voli., Toronto 1981; B. GAIN,
I.:église de Cappadoce au !Ve siècle d'après la correspondance de Basile de Césarée (330-379), Roma
1985; W-D. HAUSCHILD, Basilius van Caesarea, in TRE 5 (1980), 301-313; K. KOSCHORKE, Spuren
der Alten Liebe. Studien zum Kirchenbegri/I des Basilius van Caesarea, Freiburg/Schw. 1991; P. LUI-
SLAMPE, Spiritus vivificans. Grundzuge einer Theologie des Heiligen Geistes nach Basilius van Cae-
sarea, Miinster 1981; R. POUCHET, Basile le Grand et son univers d'amis d'après sa correspondance.
Une stratégie de communion, Roma 1992; P. ROUSSEAU, Basi! o/ Caesarea, Berkley 1994.

b) GREGORIO DI NAZIANZO
CPG 3010-3125.
Opera omnia: PG 35-38; Corpus Nazianzenum, 3 voli. (CChr.SG 20; 27; 28).
Orat.: J. BERNARDI - P. GALLAY et al., t trad. frane. e, usciti finora 8 voli., 1978ss. (SC 247; 250;
270; 284; 309; 318; 358; 384).
Orat. theol. : J. BARBEL, t trad. ted., Diisseldorf 1963; F. W. NORRIS et al., trad. ingl. e, 1991 (Vig-
Chr.Suppl. 13).
Orat. theol.(e altre opere): C. MORESCHINI, trad. it., 2 voli., 1983/1986 (ColiTP 39/58).
De vita sua (e altre opere): C. }UNGCK, t trad. ted. e, Heidelberg 1974; D. M. MEEHAN, trad. ingl.,
1987 (FaCh 75); L. VrSCANTI, trad. it., 1987 (ColiTP 62).
Carm. mar.: A. KNECHT, t trad. ted. e, Heidelberg 1972.
Carm. de virtute: R. PALLA - M. KERTSCH, t trad. ted. e, Graz 1985.
De pass. Chr.: A. TUILIER, t trad. frane. e, 1969 (SC 149).
Epist. theol.: P. GALLAY - M. JoURJON, t trad. frane. e, 1974 (SC 208).
Epist.: P. GALLAY, t, 1969 (GCS); P. GALLAY, t trad. frane, 2 voli., Paris 1964/1967; M. WITTIG,
trad. ted., 1981 (BGrL 13 ).

Gregorio (ca. 330 [?] o già 300-ca. 390), figlio del vescovo Gregorio di Na-
zianzo, fu ad Atene compagno di studi di Basilio (Or. 43,13) e più tardi fu da lui
coinvolto nelle sue azioni di politica ecclesiastica. Uomo di profonda cultura e
di animo sensibile, soffrì per tutta vita per la tensione tra il desiderio di una vi-
ta ritirata e l'impegno dell'azione in pubblico. Quando suo padre nel 361 (?)lo
consacrò sacerdote per la comunità di Nazianzo, egli fuggì. Basilio lo insediò nel
372 come vescovo di Sàsima, ma Gregorio non prese mai possesso del suo uffi-
cio. Dopo la morte del padre (374) amministrò per un certo tempo la diocesi di
Nazianzo. Nel 379 divenne vescovo della piccola comunità nicena di Costanti-
nopoli e poi anche presidente, senza fortuna, del concilio ivi celebrato nel 381.
Durante il concilio rinunciò al suo ufficio (Or. 42) e si ritirò nel podere della sua
famiglia ad Arianzo, nei pressi di Nazianzo.
La politica ecclesiastica e la «teologia della strada» (Or. 20 ,1; 21, 1-12, ecc.)
erano lontane dagli interessi di Gregorio. La sua forza fu la rappresentazione re-
toricamente perfetta di conoscenze teologiche (cf § 49,1). Ciò gli riuscì soprat-
446 XI. Produzione letteraria nell'epoca della Chiesa imperiale

tutto nei suoi discorsi dogmatici (Or. 27-31, i cosiddetti discorsi teologici). Con
chiare formulazioni egli difese la divinità dello Spirito Santo (Or. 12,6) e contri-
buì a preparare l'articolata concettualità della cristologia del V sec. (Ep. 101-102
a Cledonio ed Ep. 202, le cosiddette lettere teologiche; cf § 53,2). I restanti di-
scorsi celebrano feste liturgiche e santi, oppure sono dedicati ad elogi funebri,
ad invettive e ingiurie contro l'imperatore Giuliano, o anche a motivi personali.
Le sue doti poetiche trovarono espressione in poemi: Carmina dogmatica, mora-
lia, historica. Tra le poesie storiche vi sono i 1949 versi De vita sua, che appar-
tengono alla storia dell'autobiografia. Ciò che si conserva dell'epistolario com-
prende 245 lettere, che sono per lo più di contenuto personale, ma risultano si-
gnificative anche per la storia del tempo e costituiscono una valida testimonian-
za della cultura letteraria dell'autore. Il contenuto della sua opera procurò a
Gregorio l'appellativo onorifico di «teologo» (ACO II 1,3: 114,14/19), mentre
leleganza della sua forma esteriore fece assegnare agli scritti di teologia cristia-
na un posto sicuro nel mondo culturale tardoantico.

Bibliografia: A.-S. ELLVERSON, The Dual Nature o/ Man. A Study in the Theological Anthro-
pology o/ Gregory o/ Nazianzus, Uppsala 1981; M.-M. HAUSER-MEURY, Prosopographie zu den
Schri/ten Gregors von Nazianz, Bonn 1960; M. KERTSCH, Bildersprache bei Gregor von Nazianz. Ein
Beitrag zur spiitantiken Rhetorik und Popularphilosophie, Graz 1980; A. KURMANN, Gregor von
Nazianz, Oratio 4 gegen Julian. Ein Kommentar, Base! 1988; C. MORESCHINI - G. MENESTRINA,
Gregorio Nazianzeno teologo e scrittore, Bologna 1992; J. MosSAY, Il Symposium Nazianzenum,
Louvain-la- Neuve, 25.-28 aout 1981, Paderborn 1983; J. MOSSAY - M. SICHERL (a cura di), For-
schungen zu Gregor von Nazianz, finora usciti 9 voli. (con t trad. ted. e), Paderborn ecc. 1981ss.;
J. MOSSAY, Gregor von Nazianz, in TRE 14 (1985), 164-173; B. WyE, Gregor von Nazianz, in RAC
12 (1983), 793-863.

c) GREGORIO DI NISSA

CPG 3135-3226.
Opera omnia: PG 44-46; W. JAGER, t, 2 voli., Berlin 1921ss.; W. JAGER et al., t, 10 voli., Leiden
1952ss.
Trattati dogmatici: W. MooRE et al., trad. ingl., rist. Grand Rapids 1983 (NPNF II 5); antologia:
K. WErn - E. STOLZ, trad. ted., 1927 (BKV).
DevitaMoysis:J. DANIÉLOU, t trad. frane. e, 1987' (SC lbis); M. BLUM, trad. ted., Freiburg 1963;
A. J. MALHERBE - E. FERGUSON, trad. ingi., New York 19874 ; M. SIMONETTI, trad. it., Mila-
no 1984.
De virg.: M. AUBINEAU, t trad. frane. e, 1966 (SC 119).
Orat. catech. magna:]. BARBEL, trad. ted. e, 1971(BGrL1); M. NALDINI, trad. it., 1982 (CollTP 34).
De pro/ess. christ. (e altre opere): W. BLUM, trad. ted., 1977 (BGrL 7).
Scritti ascetici: V. W. CALLAHAN, trad. ingl., 1967 (FaCh 58); S. LILLA, trad. it., 1979 (CollTP 15).
De anima et resurr.: C. P. ROTH, trad. ingl., New York 1993; S. LILLA, trad. it., 1981 (CollTP 26).
De opif. hominis: B. SALMONA, trad. it., 1982 (CollTP 32);}.-Y. GUILLAUMIN-A. HAMMAN, trad.
frane., Paris 1982.
Epist.: R. CRISCUOLO, trad. it. e, Napoli 1981; P. MARAVAL, t trad. frane. e, 1990 (SC 363).
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 447

Encom. in S. Steph.: O. LENDLE, t, Leiden 1968.


De orat.; De beat.: H. C. GRAEF, trad. ingl. 1954 (ACW 18).
Rom. Ecl.: S.' G. HALL, trad. ingl. e, Berlin/New York 1993; S. LEANZA, trad. it., 1990 (CollTP 86).
Rom. Cant.: F. DONZL, t trad. ted. e, 3 voli., 1994 (FC 16); C. MORESCHINI, trad. it. e, 1988
(CollTP 72).
De mortuis non esse dolendum: G. LOZZA, t trad. it. e, 1991 (CorPatr 13).
De orat.: G. CALDARELLI, trad. it., Roma 1983.
In s. Pascha; De tridui spatio: A. SPIRA- C. KLOCK, trad. ingl. e, Cambridge/Mass. 1981.
(Cf § 49 [teologia trinitaria]; § 53 [cristologia]).

Gregorio di Nissa (335/340-394/395), fratello minore di Basilio, crebbe sot-


to il suo influsso e quello della sorella maggiore Macrina. Dopo gli studi, che gli
procurarono una profonda formazione retorica e una solida conoscenza della fi-
losofia greca, esercitò per breve tempo l'attività di retore. Proprio in questo
tempo, probabilmente, si sposò (De virg. 3). Nel 3.72 venne nominato da Basilio
vescovo di Nissa, ma non si rivelò all'altezza del compito (Basilio, Ep. 56-60;
100). Soltanto dopo la morte del fratello mise in luce una maggiore capacità
d'autonomia e d'iniziativa e prese parte a una serie di sinodi (381; 382; 383;
394). Grazie alle sue doti speculative superò gli altri cappàdoci come filosofo e
come teologo.
Il suo più importante contributo alla dottrina trinitaria è l'opera in quattro
parti Contra Eunomium, che confuta l'apologia con cui Eunomio (Apologia apo-
logiae) replicò al Contra Eunomium di Basilio (una «somma di teologia cappà-
doce»), cf § 48,3. VOratio catechetica magna è un compendio delle principali
dottrine cristiane. Il Dialogus de anima et resurrectione è un colloquio fittizio
con sua sorella Macrina dove si trattano l'immortalità dell'anima, la morte, lari-
surrezione e la restaurazione universale (cf Cat. 26).
Importanti opere esegetiche sono il De opificio hominis e l'In Hexaemeron
(che si propongono di proseguire e di completare le omelie di Basilio sullo stes-
so argomento). In altre esposizioni di libri biblici Gregorio si rivela uno dei pri-
mi mistici cristiani: nel De inscriptionibus Psalmorum egli interpreta il salterio
come guida per una progressiva ascesa dell'anima in cinque passi; il De vita
Moysis rappresenta Mosè come esempio per un approccio a Dio che viene reso
possibile da un costante impegno di purificazione e d'ascesi e viene motivato da
una sempre più profonda conoscenza e da un amore sempre più grande; le ome-
lie sul Cantico dei Cantici intrattengono sull'assimilazione dell'anima a Dio e
sull'unione con lui. Poiché mistica ed ascesi sono parte integrante della teologia
mistica dei Padri della Chiesa, caratterizzata da dottrine neoplatoniche, Grego-
rio dedica anche alla vita ascetica una certa attenzione. Sono degne di menzio-
ne le opere De virginitate, De instituto christiano (che dipende da Macario-Si-
meone, vedi sotto§ 75,8), De perfectione. Nel De vita sanctae Macrinae egli rap-
presenta in forma biografica/agiografica il suo ideale di vita perfetta. Alla pro-
448 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

duzione letteraria di Gregorio appartengono infine discorsi, omelie ed anche


trenta lettere, tra le quali l'Ep. 2 (critica nei confronti del pellegrinaggio a Ge-
rusalemme) e l'Ep. 25 (sulla costruzione di un martyrium).

Bibliografia: M. ALTENBURGER - F. MANN, Bibliographie zu Gregor van Nyssa. Editionen -


Ubersetzungen - Literatur, Leiden 1988; D. L. BALAS, Gregor van Nyssa, in TRE 14 (1985), 173-
181; M. CANÉVET, Grégoire de Nysse et l'herméneutique biblique. Etude des rapports entre le langa-
ge et la connaissance de Dieu, Paris 1983; G. CASTELLUCCIO, I.:antropologia di Gregorio Nisseno, Ba-
ri 1972; H. R. DROBNER- C. KLOCK (a cura di), Studien zu Gregor van Nyssa und der christlichen
Spà·tantike, Leiden 1990; F. DONZL, Braut und Brdutigam. Die Auslegung des Canticum durch Gre-
gor van Nyssa, Tiibingen 1993; M. HARL (a cura di), Écriture et culture philosophique dans la pen-
sée de Grégoire de Nysse, Leiden 1971; V. E. F. HARRISON, Grace And Human Freedom According
to St. Gregory o/ Nyssa, Lewiston/New York 1992; M. D. HART, Reconciliation o/ Body And Saul:
Gregory o/ Nyssa's Deeper Theology o/ Marriage, in TS 51 (1990), 450-478; R. M. HOBNER, Die
Einheit des Leibes Christi bei Gregor van Nyssa. Untersuchungen zum Ursprung der physischen
Erlosungslehre, Leiden 1974; E. MOHLENBERG, Die Unendilichkeit Gottes bei Gregor van Nyssa.
Gregors Kritik am Gottesbegrif/ der klassischen Metaphysic, Gi:ittingen 1966; A. SPIRA (a cura di),
The Biographical Works o/ Gregory o/ Nyssa, Cambridge 1984; R. STAATS, Gregor van Nyssa und
die Messalianer. Die Frage der Prioritdt zweier altkirchlicher Schrtften, Berlin 1968.

4. Teologi antiocheni

a) DIODORO DI TARSO
CPG 3815-3822.
Comm. Ps.:J. M. OLIVIER, t, 1980 (CChr.SG 6).
(Cf § 54,la [cristologia]).

Diodoro (m. prima del 394), maestro di teologia di Giovanni Crisostomo e


da lui celebrato nella Laus Diodori, esercitò per lungo tempo ad Antiochia l' atti-
vità di presbitero, superiore di un monastero e docente. Nel 378 divenne vesco-
vo di Tarso. Di vasta e profonda cultura, scrisse opere che discutevano di antica
filosofia (Platone, Aristotele, Porfirio, ecc.) e di astrologia (otto libri De fato).
Grazie alle sue opere esegetiche divenne il fondatore della cosiddetta esegesi an-
tiochena. Con l'aiuto di metodi storici e filologici dell'antica esegesi omerica ela-
borò il senso letterale e storico del testo e propose, contro l'uso straripante del-
1' allegoresi, la visione approfondita, la theoria, come chiave ermeneutica. Attra-
verso questo metodo egli cercò di riconoscere nella storia il piano salvifico (oiko-
nomia) di Dio per mettere in risalto in questo modo l'importanza della Bibbia
per la vita cristiana. Conseguentemente, spiegò soltanto pochi passi dell' AT che
accennavano a Cristo (Ps 2; 8, 44, 109), ma stabilì il nesso tra AT e NT per mez-
zo di relazioni tipologiche. Deve aver composto commenti a quasi tutti i libri bi-
blici, come anche uno scritto teoretico sull'esegesi («Sulla differenza tra teoria e
allegoria»). Nei suoi scritti dogmatici (ed anche nella sua opera principale diret-
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 449

ta contro Apollinare, Contra Synousiastas) difese la cristologia antiochena


(cf § 54,la), ciò che più tardi gli procurò l'accusa di nestorianesimo (sinodo di Co-
stantinopoli del 499). Per questa ragione quasi tutta la sua opera andò perduta.
Bibliografia: L. ABRAMOWSKI, Der Streit um Diodor und Theodor zwischen den bezden Ephe-
sinischen Konzilien, in ZKG 67 (1955-1956), 252-287; R. A. GREER, The Antiochine Christology o/
Diodoro/Tarsus, inJThS 16 (1966), 327-341;}. R. POUCHET, Les rapports de Basile de Césaréeavec
Diodore de Tarse, in BLE 87 (1986), 243-272; M.-J. RONDEAU, Le Commentaire des Psaumes de
Diodore de Tarse et l'exégèse antique du Ps 109/110, in RHR 176 (1969), 5-33, 153-188; 177
(1970), 5-33; C. SCHAUBLIN, Diodor von Tarsus, in TRE 8 (1981), 763-767; C. ScHAUBLIN, Unter-
suchungen zu Methode und Herkun/t der Antiochenischen Exegese, Koln/Bonn 1974.

b) TEODORO DI MoPSUESTIA
CPG 38-3873.
Hom. cat.: P. BRUNS, t trad. ted., 2 voli., 1994/1995 (FC 17/1.2).
Comm. Ps.: R. DEVREESSE, t, Roma 1939.
Comm. Ioh.:J.-M. VOSTÉ, t sir. trad. lat., 1940 (CSCO 115ss.); L. FATICA, trad. it., Roma 1991.
Comm. in XII Proph.: H. N. SPRENGER, t, Wiesbaden 1977.
(Cf § 54,la [Cristologia]).

Teodoro (ca. 352-428), nativo di Antiochia, discepolo di Diodoro e amico di


gioventù di Crisostomo (Ad Theodorum lapsum), divenne nel 392 vescovo di
Mopsuestia in Cilicia. Con i suoi commenti sui Salmi, sui Profeti minori, sul
Vangelo di Giovanni, sulle Lettere di Paolo, ecc., condusse l'esegesi antiochena
al suo apice. Nella cristologia (De incarnatione, Contra Apollinarem, cui si deb-
bono aggiungere at;iche le omelie catechetiche) si rivolse soprattutto contro
Apollinare (cf § 54,i). Anch'egli venne considerato più tardi come nestoriano,
e quindi condannato dal concilio di Costantinopoli del 553 (§ 59,4). Conse-
guentemente una grande parte delle sue opere andò perduta.
Bibliografia: L. ABRAMOWSKI, Zur Theologie Theodors von Mopsuestia, in ZKG 72 (1961),
263-293; M. R. DEVREESSE, Essai sur Théodore de Mopsueste, Paris 1948; H. M. DEWART, The
Theology o/ Grace o/ Theodore o/ Mopsuestia, Washington 1971; G. KocH, Die Heislverwirkli-
chung bei Theodor von Mopsuestia, Miinehen 1965; U. WICKERT, Studien zu den Pauluskommen-
taren Theodors von Mopsuestia als Beitrag zum Verstiindnis der Antiochenischen Theologie, Berlin
1962; D. Z. ZAHAROPOULOS, Theodore o/ Mopsuestia on the Bible. A Study o/ His Old Testament
Exegesis, New York 1989.

c) GIOVANNI CRISOSTOMO

CPG 4305-5197.
Opera omnia: PG 47-64; H. SAVILE, t, 8 voli., Eton 1612; antologia:]. C. BAUR et al., trad. ted., 7
voli., 1915-1924 (BKV).
Ep. ad Olymp (e altre opere): A.-M. MALINGREY, t trad. frane. e, 2 voli., 1964/1968 (SC 13bis; 103).
Comm. ls.:}. DUMORTIER-A. LIEFOOGHE, t trad. frane. e, 1983 (SC 304).
Ad Theod. laps.: J. DIMORTIER, t. trad. frane. e, 1966 (SC 117).
450 XI. Produzione letteraria nel!' epoca della Chiesa imperiale

De prov. Dei: A.-M. MALINGREY, t trad. frane. e, 1961 (SC 79).


Hom. Os.:J. DUMORTIER, t trad. frane. e, 1981(SC277).
De laud. S. Pauli: A. PIÉDAGNEL, t trad. frane. e, 1982 (SC 300); S. ZINCONE, trad. it., 1988
(Coll.TP 69).
Adv. Iud.: R. BRANDLE- V. }EGHER-BUCHER, trad. ted., 1995 (BGrL 41); P. W. HARKINS, trad. in-
gl. 1979 (FaCh 68).
Scritti apologetici: M. A. SCHATKIN - P. W. HARKINS, trad. ingl. 1985 (FaCh 73).
C. eos qui subintroductas habent virgines: J. DUMORTIER, t trad. frane., Paris 1985.
Comm. Gal.: S. ZINCONE, trad. it., 1982 (CollTP 35).
Comm. lob: H. SORLIN, t trad. frane. e, 2 voll., 1988 (SC 346; 348).
Comm. lob.: T. A. GOGGIN, trad. ingl., 2 voll., 1957/1960 (FaCh 33; 41).
Hom. Gen.: R. C. HlLL, trad. ingl., 2 voll., 1986ss. (FaCh 74; 87).
Hom. Hebr.: B. BORGHINI, trad. it., Alba 1967.
(Cf § 51 [controversia origeniana]; § 54 [cristologia]).

Giovanni Crisostomo (ca. 350-407) nacque ad Antiochia, dove ricevette la sua


formazione filosofico-retorica (probabilmente alla scuola di Libanio) ed anche
un'istruzione teologica (presso Diodoro di Tarso). Visse a lungo tra gli asceti di
Antiochia. Nel 381 divenne diacono e sei anni più tardi sacerdote ad Antiochia.
Per dodici anni esercitò qui il suo ufficio sacerdotale e quello di predicatore. Il 26
febbraio 398 venne consacrato vescovo di Costantinopoli. Il suo zelo riformatore,
il suo stile ascetico di vita, i suoi programmi sociali e caritativi e il suo intervento
in questioni teologiche controverse (controversia origeniana, cf § 51), incontraro-
no resistenze e atteggiamenti di rifiuto. Forze di ambienti secolari ed ecclesiastici
si coalizzarono contro di lui e gli resero tragicamente penosa l'esistenza negli ul-
timi anni della sua vita: nel 403 venne deposto nel cosiddetto sinodo della Quer-
cia (dal nome di una villa, ilplìç, nei dintorni di Calcedonia); nel 404 venne de-
portato da Costantinopoli a Cucùsa, in Armenia, e nel 407 nel Caucaso; durante
quest'ultimo viaggio morì, consumato dalle sofferenze, il 21settembre407.
Giovanni Crisostomo (« Boccadoro ») fu soprattutto pastore di anime e pre-
dicatore: «Il predicare mi rimette in salute[ ... ]. Non appena apro la bocca, ogni
dolore se ne va via. Non appena comincio a parlare, tutta la stanchezza scompa-
re. Come voi desiderate ardentemente di ascoltarmi, così io desidero ardente-
mente di predicare» (Hom. post terrae motum 50). Nelle grandi controversie
teologiche egli intervenne in maniera non determinante, ma considerò a fondo
le tesi di ariani ed anomei. I suoi discorsi sono basati ampiamente su esposizio-
ni di testi biblici, soprattutto del NT (Mt, Gv, Ate lettere paoline). L'interpreta-
zione veniva condotta secondo il metodo della scuola antioch~na ed era com-
pletamente ispirata alla prassi della vita cristiana: una vita di fede ed amore nel-
l'imitazione di Cristo e in comunione con la Chiesa, «nel corpo di Cristo».
Oltre alle omelie sulla Sacra Scrittura egli tenne importanti sermoni per de-
terminate circostanze: come le 21 «omelie sulle statue», pronunciate nel 3 87 do-
po una sommossa popolare [durante la quale vennero abbattute le statue impe-
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 451

riali per protestare contro un aumento d'imposte, n.d.t.], uno o due sermoni sul-
la caducità, in occasione della caduta del ministro Eutropio (399), i sermoni con-
tro i giudei (386/387), nei quali egli polemizza violentemente contro l'osservan-
za di leggi giudaiche. Da ricordare inoltre le omelie sui santi, tra le quali sette su
san Paolo, al quale egli si sentiva particolarmente legato. Diversi trattati discu-
tevano singoli problemi della vita cristiana: la difesa e la propaganda a favore
della vita ascetico-monastica (Adv. oppugnatores vitae monasticae, De compunc-
tione, Contra eos, qui subindtroductas habent virgines, De virginitate, De non ite-
rando coniugio, ecc.); il valore e i compiti dell'ufficio sacerdotale (De sacerdotio);
il vano orgoglio e l'educazione dei fanciulli (De inani gloria et de liberis educan-
dis). Del tempo del suo esilio ci sono giunte numerose lettere, tra le quali 17 ad
Olimpia, una diaconessa di Costantinopoli. La vita di Giovanni Crisostomo ven-
ne celebrata da Palladio, vescovo di Elenopoli, nel suo Dialogus de vita Johannis
Chrysostomi (ca. 408). L'alta stima di cui fu oggetto si riflette anche nel grande
numero di opere a lui falsamente attribuite (Pseudo-Crisostomo).
Bibliografia: J. A. DE ALDAMA, Repertorium pseudochrysostomicum (Documents, études et
répertoires), Paris 1965; R. BR.A.NLE,fohannes Chrysostomus, in RAC 18 (1996); R. DELMAIRE, Les
«lettres d'exil» de fean Chrysostome. Étude de chronologie et de prosopographie, in RechAug 25
(1991), 71-180; R. KACSYNSKI, Das Wort Gottes in Liturgie und Alltag der Gemeinden des fohan-
nes Chrysostomus, Freiburg 1974;]. N. D. KELLY, Golden Mouth. The Story of]ohn Chrysostom.
Ascetic, Preacher, Bishop, London 1995; M. KERTSCH, Exempla Chrysostomica. Zu Exegese, Stil
und bildersprache bei fohannes Chrysostomus, Graz 1995; M. E. LAWRENZ, The Christology o/]ohn
Chrysostom, Milwaukee 1987; B. LEYERLE, fohn Chrysostom on Almsgiving And the Use of Mo-
ney, in« Harvard Theological Review » 87 (1994, 29-47; F. VAN DE PAVERD, St. fohn Chrysostom,
the Homilies on the Statues. An Introduction, Roma 1991; A. M. RrTTER, Charisma in Verstlindnis
des fohannes Chrysostomus und seiner Zeit, Gottingen 19723; P. STOCKMEIER, Theologie und Kult
des Kreuzes bei f ohannes Chrysostomus. Ein Beitrag zum Verstà'ndnis des Kreuzes im IV f ahrhun-
dert, Trier 1966; A. STòTZEL, Kirche als « neue Gesellschaft ». Die humanisierende Wirkung des
Christentums nach fohannes Chrysostomus, Miinster 1984; R. L. WILKEN, fohn Chrysostom And
the fews. Rhetoric And Reality in the Late 4th Century, Berkeley ecc. 1983.

d) TEODORETO DI CIRO

CPG 6200-6288.
Opera: PG 80-84.
Epist.: Y. AZÉMA, t trad. frane. e, 3 voli., 1955-1965 (SC 40; 98; 111).
Comm. Is.: J.-N. GUINOT, t trad. frane. e, 3 voli., 1980-1984 (SC 276; 295; 315).
Eranistes: G. H. ETTLINGER, t, Oxford 1975.
De provid.: T. HALTON, trad. ingl., 1988 (ACW 49); M. NINCI, trad. it., 1988 (ColiTP 75).
Graec. a/I. cur.: P. CANIVET, t trad. frane. e, 2 voli., 1958 (SC 57).
(Cf § 4; § 54 [cristologia]; § 71 B 3 [monachesimo]).

Teodoreto (ca. 393-446) divenne nel 423 vescovo di Ciro, presso Antio-
chia, e dal 431 deciso avversario di Cirillo d'Alessandria (confutazione dei
suoi 12 anatematismi, § 55,2). Egli difese Nestorio e cercò di spiegare e illu-
452 XI. Produzione letteraria nel!' epoca della Chiesa imperiale

strare la cristologia sulla base della tradizione antiochena. Deposto nel cosid-
detto «sinodo dei ladroni» (latrocinium) di Efeso nel 449, venne riabilitato
nel 451 a Calcedonia, ma nuovamente condannato nella controversia dei «Tre
Capitoli»(§ 58,5). Dell'opera dogmatico-polemica del profondo teologo sono
rimasti in parte soltanto dei frammenti (cinque libri contro Cirillo e il conci-
lio di Efeso; apologia per Diodoro e Teodoro di Mopsuestia). Si sono conser-
vati interamente l'Erant'stes (cf § 55,2), alcuni altri trattati sulla teologia con-
temporanea e un ampio epistolario. Esegeta accurato e competente egli si di-
mostra nei suoi commenti alla Bibbia (Salmi, Profeti, Lettere paoline e Canti-
co dei Cantici). La Graecarum affectionum curatio rappresenta un'ultima apo-
logia della Chiesa antica. Con la sua Historia ecclesiastica egli s'inserì tra i con-
tinuatori di Eusebio (cf § 4) per gli anni 325-428. La Historia religiosa, una
raccolta di vita ascetica, costituisce una fonte importante per il monachesimo
antiocheno-siriaco all'inizio del V sec.

Bibliografia: G. KocH, Strukturen und Geschichte des Heils in der Theologie des Theodoret
von Kyros, Frankfurt 1974; J.-N. GUINOT, La christologie de Théodoret de Cyr dans son Commen-
taire sur le Cantique, in VigChr 39 (1985), 256-272;}.-N. GUINOT, Un éveque exégète. Thédoret de
Cyr, in C. Mondésert (a cura di), Le monde grec ancien et la Bible (Bible de tous !es temps, voI. 1),
Paris 1984, 335-360.

5. Apollinare (Apolinarius) di Laodicea

CPG 3645-3700
Comm. Ps., frammenti: E. MOHLENBERG, Psalmenkommentare aus der Katenenuberlieferung 1,
t trad. ted., 3 voli. 1975 (PTS 15)
(Cf § 53 [cristologia]).

Apollinare (ca. 315-prima del 392) divenne nel 361 vescovo della sua città
natia in Siria e lottò a fianco di Atanasio l'arianesimo. È noto soprattutto per la
sua cristologia, che infine venne con.dannata (cf § 53 ). Ma per lungo tempo egli
fu uno stimato maestro e teologo, che influenzò probabilmente anche Basilio.
Ancora Girolamo affermava di averlo ascoltato come maestro (esegeta) (Ep.
84 ,3). Scrisse opere apologetiche (contro Porfirio, contro Giuliano), dogmati-
che ed esegetiche. Alle leggi dell'imperatore Giuliano sulla scuola, ostili ai cri-
stiani, egli rispose con opere poetiche per la gioventù cristiana. L'opera lettera-
ria è quasi interamente perduta; rimane qualcosa che è stato tramandato sotto
nomi altrui (per es. De fide et incarnatione, sotto il nome di Giulio I di Roma;
così anche, probabilmente, lo scritto pseudo-atanasiano Contra Sabellianos, cf
Hiibner). Una ricostruzione è anche possibile, in parte, dagli scritti contro Apol-
linare (per es. dall'Antirrheticus di Gregorio di Nissa).
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 453

Bibliografia: E. CATTANEO, Trois homélies pseudo-chrysostomiennes sur la Paque camme oeuvre


d'Apollinaire de Laodicée, Paris 1981;}. GOLEGA, Der homerische Psalter. Studien iiber die dem Apol-
linaris von Laodicea zugeschriebene Psalmenparaphrase, Ettal 1960; R. M. HOBNER, Die Schri/t des
Apolinarius von Laodicea gegen Photin (Ps-Athanasius, Contra Sabellianos) und Basilius von Caesa-
rea, Berlin/New York 1989; E. MOHLENBERG, Apollinaris von Laodicea, Gottingen 1969; E. MOH-
LENBERG, Apollinaris von Laodicea, in TRE 3 (1979), 362-371; H. J. VOGT, Zum Brie/wechsel zwi-
schen Basilius und Apollinaris: Ubersetzung der Brie/e und Kommentar, in ThQ 175 (1995), 46-60.

6. Cirillo di Gerusalemme

CPG 3585-3618
Opera: P. HAEUSER, trad. ted., 1922 (BKV).

Cat. myst.: RbWEKAMP, t trad. ted., 1992 (FC 7); A. PIÉDAGNEL, t trad. frane., 1996 (SC 126);
L. P. Mc CAULEY, -A. A. STEPHENSON, trad. ingl., 2 voli., 1969/1970 (FaCh 61; 64); A. QuAC-
QUARELLI, trad. it., 1977 (ColiTP 8).
Catechesi: PG 33; W. C. REISCHL - J. RUPP, t trad. lat., 2 voli., 1848/1860, rist. Hildesheim 1967.

Cirillo (ca. 315-387) divenne vescovo nel 348. Quale posto occupi nella
politica ecclesiastica e nella storia della teologia non si può stabilire con pre-
cisione; fu probabilmente vicino ai circoli omeusiani (più volte mandato in esi-
lio e deposto). È noto come autore di catechesi battesimali: ci sono giunti 18
discorsi per gli aspiranti al battesimo, più uno d'introduzione. Destinati ai
neobattezzati erano altri cinque discorsi che seguivano il battesimo detti cate-
chesi mistagogiche. Si continua a discutere se egli stesso ne sia stato l'autore o
il suo successore Giovanni. Le catechesi rappresentano una fonte importante
per il catecumenato, il battesimo e l'eucaristia nella Chiesa di Gerusalemme
nel IV sec.
Bibliografia (cf anche§ 65): A. BONATO, La dottrina trinitaria di Cirillo di Gerusalemme, Roma
1983; H. CHANTRAINE, Die Kreuzesvision von 351. Fakten und Probleme, in ByZ 86/87 (1993/1994),
430-441; E. YARNOLD, The Authorship o/ the Mystagogic Catecheses Attributed to Cyril o/Jerusalem,
in HeyJ 19 (1978), 143-161; E. YARNOLD, Cyril von Jerusalem, in TRE 8 (1981), 261-266.

7. Evagrio Pontico

CPG 2430-2482
Opera: w. FRANKENBERG, t sir., Gottingen 1912.
Practic6s: A. e C. GUILLAUMONT, t trad. frane. e, 2 voli., 1971(SC170/171), G. BUNGE, trad. ted.,
Koln 1989.
Practic6s; De orat.: J. E. BAMBERGER, trad. ingl., Kalamazoo 1978.
Gnostic6s: A. e C. GUILLAUMONT, t trad. frane. e, 1989 (SC 356).
Sententiae ad monachos: H. GRESSMANN, t, 1913 (TU 39,4).
Schol. in Prov.: P. GÉHIN, t trad. frane. e, 1987 (SC 340).
454 XI. Produzione letteraria nell'epeca della Chiesa imperiale

Epist.: G. BUNGE, trad. ted. e, Trier 1986 (Sophia 24).


Antirrheticus: G. BUNGE, trad. ted., Wiirzburg 1992.
De oratore (e altre opere): M.-H. CoNGOURDEAU, trad. frane. e, Paris 1992.

Evagrio (ca. 345-399) ricevette la sua educazione teologica soprattutto


presso Gregorio di Nazianzo, che lo consacrò diacono e lo chiamò nel 381 al
servizio della Chiesa di Costantinopoli. Un anno dopo egli abbandonò la ca-
pitale dell'Impero e si ritirò nel deserto di Nitria, più tardi nella colonia ere-
mitica delle Kellia (Palladio, Hist. Laus. 38). Nella solitudine del deserto Eva-
grio creò la sua opera letteraria, che è dedicata interamente alla vita ascetico-
monastica e alla perfezione mistica. La fonte più importante della sua visione
ascetica e mistica è Origene. Si possono individuare anche elementi platoni-
ci/neoplatonici, stoici e gnostici.
Al centro della sua cristologia c'è la preesistenza dell'anima di Cristo come
mediatrice dell'incarnazione (cf Origene, De princip. II 6), ora detta voùç. Il nous
avrebbe riconosciuto il logos e sarebbe così diventato un tutt'uno con lui. In ta-
le prospettiva, Evagrio sembra diminuire il valore dell'incarnazione in quanto ta-
le. A questa concezione intellettualistica corrisponde una spiritualità d' apparen-
za gnostica: la visione del logos, theoria, sarebbe partecipata soltanto a pochi ini-
ziati, mentre l'umanità di Cristo sarebbe accessibile alla conoscenza terrena.
Nella prima controversia origeniana Evagrio non venne ancora menzionato.
La definitiva condanna di Origene nel 553 colpì anche lui. Questa condanna re-
se particolarmente difficile la trasmissione delle sue opere: i testi greci sono sta-
ti conservati solo in parte sotto il nome di un altro, altri scritti solo in traduzio-
ni orientali.
Un compendio della dottrina di Evagrio si trova nelle Kephalaia Gnostica (in
6 «centurie», cioè 6 gruppi di 100 sentenze ciascuno). La teoria sulla vita mo-
nastica è illustrata nel Practic6s e nello Gnostic6s [le due parti rimaste di una rac-
colta di sentenze dal titolo Monachic6s; la prima era destinata agli «anacoreti in-
colti», la seconda ai «monaci colti», n.d.t.], nelle Rerum monachalium rationes,
nelle Sententiae ad monachos I ad virginem (uno «specchio» per i monaci e le
monache), ecc. Diversi scritti trattano la dottrina degli «otto vizi capitali». Lo
scritto De oratione offre una teoria della «preghiera pura». Di Evagrio si cono-
scono anche lettere e commenti biblici (in parte solo attraverso frammenti di
«catene»). Malgrado la condanna subìta, l'influsso di Evagrio sull'ascesi e sulla
mistica rimase notevole. Ciò vale sia per l'oriente che per l'occidente, dove so-
prattutto Giovanni Cassiano (§ 71 C 3) si deve ritenere il mediatore delle sue
dottrine.

Bibliografia: G. BUNGE, Origenismus-Gnosticismus. Zum geistesgeschichtlichen Standort des


Evagrios Pontikos, in VigChr 40 (1986), 24-54; J. DRISCOLL, The Ad monachos o/ Evagrius Ponti-
cus. Its Structure And a Select Commentary, Roma 1991; J. DRISCOLL, A Key /or Reading the Ad
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 455

monachos o/ Evagrius Ponticus, in Aug. 30 (1990), 361-392; J. DRISCOLL, Spiritual Progress in the
Works o/ Evagrius Ponticus, in]. Driscoll- M. Sheridan (a cura di), Spiritual Progress, Roma 1994,
47-84; S. ELM, The Sententiae ad virginem by Evagrius Ponticus And the Problem o/ the Early Mo-
nastic Rules, in Aug. 309 (1990), 393-404; A. GUILLAUMONT, Les Képhalaia gnostica d'Evagre le
Pontique et l'histoire de l'origénisme chez !es Grecs et chez le Syriens, Paris 1962; C. e A. GUIL-
LAUMONT, Evagrius Ponticus, in RAC 6 (1966), 1088-1107; A. GUILLAUMONT, Evagrius Ponticus,
in TRE 10 (1982), 565-570.

8. Macario I Simeone

CPG 2410-2427.
Opera: W. STROTHMANN, t sir. trad. ted., 2 voli, Wiesbaden 1981; F. MOSCATELLI, trad. it., Praglia
1988ss.
Opera (raccolta I): E. KLOSTERMANN - H. BERTHOLD, t, 1961 (TU 72), E. KLOSTERMANN -
H. BERTHOLD, t, 1973 (GCS).
Hom. spir. (raccolta Il): H. DòRRIES- E. KLOSTERMANN - M. KROEGER, t, 1964 (PTS 4); D. STIE-
FENHOFER, trad. ted. 1913 (BKV).
Hom. spir. (raccolta Il); Epistola magna: G. A. MALONEY, trad. ingl., New York 1992.
Opera (raccolta III): V. DESPREZ, t trad. frane., 1980 (SC 275).
Epistola magna: W. }AEGER, Two Rediscovered Works o/ Ancient Christian Literature, t, Leiden
1954; R. STAATS, Makarios-Symeon Epistola magna. Bine messalianische Monchsregel und ih-
re Umschri/t in Gregors van Nyssa De instituto christiano, t, Gottingen 1984 3 •

W. STROTHMANN, Schri/ten des Makarios Symeon unter dem Namen Ephraem, Wiesbaden 1981.

A Macario, un monaco dell'Egitto (m. ca. 390), venne attribuito per lungo
tempo un ampio corpus di «omelie spirituali». Approfondite ricerche nei testi
ne hanno resa improbabile la paternità. Le omelie appartengono ali' ambiente
dei messaliani (§ 50,6). Come autore viene ormai ritenuto Simeone di Mesopo-
tamia (fine IV sec.), un moderato sostenitore di questo entusiastico movimento
di risveglio. La sua opera ci è giunta, dopo una quanto mai complicata storia
della tradizione, in diverse raccolte. La raccolta più nota è la II: le 50 omelie spi-
rituali. Sono da aggiungere scritti minori e lettere. I;Epistola magna, che ordina
e descrive la vita ascetico-monastica, presenta una stretta connessione con il
trattato di Gregorio di Nissa De instituto christiano. Macario I Simeone propo-
ne una forma molto esigente di ascesi e una spiritualità che pone in risalto il va-
lore della vita vissuta nella grazia e la «tangibilità» dell'amore di Dio.

Bibliografia: E. A. DAVIDS, Das Bild vom neuen Menschen. Ein Beitrag zum Verstandnis des
Corpus Macarianum, Salzburg/Miinchen 1968; H. DòRRIES, Symeon von Mesopotamien. Die
Oberlie/erung der Messalianischen « Makarios » Schriften, Leipzig 1941; H. DòRRIES, Die Theolo-
gie des Makarios/Symeon, Gottingen 1978; O. HESSE, Makarius (Symeon von Mesopotamien, 4.15.
Jh), in TRE 21 (1991), 730-735; W. STROTHMANN, Textkritische Anmerkungen zu den Geistlichen
Homilien des Makarios/Symeon, Wiesbaden 1981; G. QUISPEL, Makarius, das Thomasevangelium
und das Lied von der Perle, Leiden 1967.
456 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

9. Epifanio di Salamina

CPG 3744-3807.
Opera: K. HOLL - J. DUMMER, t, div. ediz. 1915-1980 (GCS Epiph. 1-3); antologia: J. HòRMANN,
trad. ted., 1919 (BKV), P. R. AMIDON, trad. ingl., New York/Oxford 1990.
Panarion: F. WILLIAMS, trad. ingl., 3 voli., Leiden 1987-1994.
Ancoratus: C. RIGGI, trad. it., 1977 (ColiTP 9).

Epifanio (ca. 315-403) nacque in Palestina, dove fondò un monastero che


resse per lunghi anni. Nel 376 divenne vescovo di Salamina (Costanza) di Cipro.
Asceta austero e tradizionalista, combatté con accanimento le eresie (prima con-
troversia origeniana, cf § 51; lotte iconoclastiche, cf § 70,4) e neppure nell'anti-
chità classica riusciva a vedere qualcosa di buono e degno di essere conservato.
Espose la dottrina della Chiesa (Trinità - incarnazione - risurrezione) nel suo
Ancoratus («il saldamente ancorato»); il Panarion («cassetta dei medicinali»,
intitolato anche Adversus haereses) cita e confuta ottanta eresie. L'opera è deci-
samente polemica, non priva d'insinuazioni, ma rappresenta tuttavia una fonte
importante per la ricostruzione delle eresie nella Chiesa antica. Un breve estrat-
to del Panarion, la cosiddetta Anacephalaiosis (« Recapitulatio ») va attribuito a
una diversa mano. Ci è rimasta di Epifanio anche una serie di scritti minori (Exe-
getica, lettere, ecc.)
Bibliografia: A. POURKIER, L'héresiologie chez Epiphane de Salamine, Paris 1992; W SCHNEE-
MELCHER, Epiphanius von Salamis, in RAC 5 (1962), 909-927.

10. Ordinamenti ecclesiastici


CPG 1735-1743.
Canones Hippolyti: R.-G. COQUIN, t arab. trad. frane., 1966 (PO 31).
Constitutiones Apostolorum: M. METZGER, t trad. frane. e, 3 voli., 1985-1987 (SC 320; 329; 336).
Didascalia et Constitutiones Apostolorum: F. X. FUNK, t lat.-gr., 2 voli., Paderborn 1905.
Testamentum Domini: I. E. RAHMANI, t sir. trad. lat., 1899, rist. Hildesheim 1968.

J. GAUDEMENT, Les sources du droit de l'Église en occident, Paris 1985.


Alla fine del IV sec. risalgono le Costituzioni Apostoliche (Const. apost.), il
più importante e più ampio ordinamento ecclesiastico, che integra la legislazio-
ne imperiale e sinodale. Le Costituzioni Apostoliche sono un'opera di compila-
zione: Didachè, Didascalia e Costituzioni d'Ippoplito vi vengono riprese, rielabo-
rate, integrate con altri scritti e adattate alle condizioni della Chiesa del IV sec.
Si ritiene che l'opera sia stata redatta nel 381 ca., probabilmente ad Antiochia.
Sembra da escludere un unico autore e si può ipotizzare per la sua redazione un
gruppo di lavoro che ebbe la pretesa di porre la propria compilazione sotto l'au-
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 457

torità apostolica. Si attribuiscono spesso al testo tendenze ariane o d'ispirazione


ariana, ma mancano per una simile opinione indizi persuasivi. Gli otto libri del-
le Costituzioni Apostoliche sono davvero preziosi per la ricostruzione della vita
cristiana, della liturgia e degli uffici ecclesiastici. Il « trullano» (cioè il sinodo di
Costantinopoli del 692, can. 2) le rigettò come« falsificate dagli eretici». Dal ri-
fiuto rimase escluso il libro VIII 47: i cosiddetti 85 canoni apostolici, un conciso
compendio di passi dalle Costituzioni Apostoliche, da testi canonici sinodali e
da altri testi di epoca precedente. Dionigi il Piccolo(§ 78,2; 64,3) tradusse i pri-
mi 50 canoni in latino e li accolse nella sua Raccolta di canoni.
Testi affini a questi scritti importanti per lo sviluppo del diritto canonico so-
no i seguenti: Constitutiones per Hippolytum (un'Epitome dalle Const. apost.
VIII), Canones Hippolyti (una rielaborazione dell'ordinamento ecclesiastico d'Ip-
polito), Canones ecclesiastici Apostolorum e il Testamentum D. N. Iesu Christi, che
oltre a un'Apocalisse contiene disposizioni per la costruzione e l'organizzazione
della Chiesa, per l'ordinazione, per la prassi liturgica e per la vita cristiana.
Bibliografia: D. A. FIENSY, Prayers Alleged to Be Jewish. An Examination o/ the Constitutio-
nes Apostolorum, Chieo 1985.

11. Letteratura monastica

a) PALLADIO
CPG 6036-6038.
Historia Lausiaca: C. BuTLER, t, 2 voli. 1898, rist. Hildesheim 1967; G. J. M. BARTELINK, t trad. it.,
Milano 1974;]. LAAGER, trad. ted., Zi.irieh 1987; R. STORF, trad. ted., 1912 (BKV); L. LELOIR,
trad. frane., Paris 1981.
Historia Monachorum in Aegypto: A. J. FESTUGIÈRE, t, 1961; trad. frane. e, 2 voli. Bruxelles 1971
(SHG 34; 53); K. S. FRANK, trad. ted. e, Di.isseldorf 1967; R. RUSSEL- B. WARD, trad. ingl.,
London 1981; versione latina: E. SCHULZ-FLùGEL, te, 1990 (PTS 34).
Dia!. de vita Chrys.: A.-M. MALINGREY -P. LECLERCQ, t trad. frane. e, 2 voli., 1988 (SC 341; 342).

Palladio (m. prima del 431), originariamente monaco in Egitto, discepolo di


Evagrio Pontico, divenne nel 400 ca. vescovo di Elenopoli in Bitinia. Nella sua
Historia La-usiaca [così chiamata perché dedicata a Lauso, ciambellano imperia-
le, n.d.t.] intende fornire notizie sul primo monachesimo. La tradizione testuale
presenta alcune difficoltà . Originale è probabilmente la cosiddetta forma breve,
mentre due altre versioni rappresentano rielaborazioni ed ampliamenti di epoca
successiva. I racconti e le biografie di monaci e monache dell'Egitto si propon-
gono con intenti edificanti e per diffondere l'ideale ascetico-monastico. La vene-
razione di Palladio per Giovanni Crisostomo si espresse nei suoi dialoghi De vi-
ta S. ]ohannis Chrysostomi. Il presunto colloquio tra un vescovo orientale e il dia-
cono romano Teodoro è formalmente modellato sul Pedone di Platone.
I
458 XI. Produzione letteraria nell'epoca della Chiesa imperiale

Una storia monàstica di carattere affine è la Historia Monachorum in Aegyp-


to, scritta forse da un arcidiacono Timoteo d'Alessandria, che si presenta come
registrazione di un viaggio attraverso gli insediamenti monastici dell'Egitto. Più
tardi quest'opera venne fusa con la Historia Lausiaca. Entrambi i testi furono
tradotti anche in latino e influirono notevolmente sul monachesimo latino.
Bibliografia: D. F. BucK, The Structure o/ the Lusiac History, in« Byzantion » 46 (1976), 292-
307; E. MAGHERI CATALUCCIO, Il Lausiakon di Palladio tra semiotica e storia, Roma 1984.

b) ISIDORO DI PELUSIO
CPG 5557-5558.
Epist.: OPG 78; 177-1645.

A Isidoro (m. ca. 435), monaco e sacerdote («padre spirituale») in un mo-


nastero presso Pelusio in Egitto, viene attribuito un ampio epistolario messo in-
sieme tra il 450 e il 550 a Costantinopoli. Le lettere, che si presentano con pre-
gi di stile epistolare, trattano problemi esegetici e ascetici, intervengono nelle
controversie teologiche del tempo e insistono nel promuovere un rinnovamen-
to morale e spirituale della Chiesa e del clero.
Bibliografia: P. EVIEUX, Isidore de Péluse. État des recherches, in RSR 64 (1976), 321-340;
A. M. RrTTER. Isidore de Péluse, in DSp 7 (1971), 2097-2103.

c) NILO n' ANCIRA


CPG 6043-6084
Opera: P. BETTIOLO, t sir. trad. it., Louvain-la-Neuve 1983.
Comm. Cant.: S. LucA, t, in Aug. 22 (1982), 365-403.

Nilo (m. ca. 430), abate di un monastero, scrisse diversi trattati sulla vita
monastica (Liber de monastica exercitatione; De voluntaria paupertate ad Ma-
gnam, ecc.), numerose lettere, per lo più brevi, e opere esegetiche: commenti sul
Cantico dei Cantici (inediti) e sui Salmi. Sotto il suo nome sono stati tramanda-
ti anche scritti di altri autori (per es. Evagrio Pontico, De oratione). Le Narra-
tiones de caede monachorum in monte Sinai, che in passato furono attribuite a
lui, appartengono a un autore ignoto.
Bibliografia: A. CAMERON, The Authenticz'ty o/ the Letters o/ St. Nilus, in GRBS 17 (1967),
181-196; M.-G. GUÉRARD, Nil d'Ancyre, in DSp 11 (1982), 345-355; H.-U. ROSENBAUM, Der
Hoheliedkommentar des Nilus van Ancyra, in ZKG 91 (1980), 187-206.

d) DIADOCO DI fOTICA
CPG 6106-6111.
Capita centum de per/ectione spirituali: E. DES PLACES, t trad. frane. e, 19662 (SC 5bis); K. S.
FRANK, trad. ted. e, Einsiedeln 1982; V. MESSANA, trad. it. 1978 (CollTP 13).
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 459

Diadoco, vescovo di Fotica [Epiro] (ca. 400-ca. 480), appartiene con le sue
centurie (100 sentenze) sulla perfezione spirituale (Capita centum de per/ectione
spirituali) al numero dei maestri di teologia ascetica/mistica.· Le esposizioni si
avvicinano al pensiero messaliano, ma ne correggono gli aspetti più aspri.

Bibliografia: M. DòRRIES, Diadochus und Symeon. Das Verhaltnis der Kephalaia gnostica zum
Messalianismus, in H. Dorries (a cura di), Wort und Stunde, Gottingen 1966, 352-422; T. PoLY-
ZOGOPOULOS, Lzfe And Writings of Diadochus of Photice. The Anthropology of Diadochus of Pho-
tice, in «Theologia»55 (1984), 772-800; 1072-1101; 56 (1985), 174-221; K. WARE, Diadochus von
Photice, in TRE 8 (1981), 617-620. ·

12. Letteratura orientale

a) SCRITTORI SIRIACI
Bibliografia: R MURRAY, Symbols of Church And Kingdom. A Study in Early Siriac Tradition,
London 1975.

A/raate
Opera: G. LAFONTAINE, t armeno trad. frane., 3 voli., 1977-1980 (CSCO 382ss., 405ss., 423ss.)
Demonstr.: J. PARISOT, t trad. frane., 2 voli., Paris 1894/1907; P. BRUNS, trad. ted., 1991 (FC 5);
M. J. PIERRE, trad. frane., 2 voli. 1988/1989 (SC 349; 359).

Il primo dei Padri della Chiesa siriaca è Afraate (ca. 270-ca. 345[?]). Colui
che venne designato col titolo di «Saggio della Persia» visse come asceta. Di lui
sono noti 23 trattati (Demonstrationes), che furono scritti tra il 337 e il 345. La
sua teologia, non influenzata dalla filosofia greca, presenta caratteri biblici-se-
mitici ed anche l'impronta dell'esegesi rabbinica. Le Demonstrationes trattano,
accanto a problemi fondamentali di vita cristiana, il rapporto con il giudaismo e
la forma ascetica di vita, così come questa fu realizzata nella Chiesa siriaca dai
cosiddetti «figli e figlie dell'alleanza».

Bibliografia: G. G. BLUM, Afrahat, in TRE 1 (1977), 625-635; P. BRUNS, Das Christusbild


Aphrahats des Persischen Weisen, Bonn 1990; G. NEDUNGATT, The Authenticity of Aphraat's Sy-
nodal Letter, in OCP 46 (1980), 62-88; J. NEUSNER, Aphrahat And Judaism. The Christian-Jewish
Argument in Fourth-Century Iran, Leiden 1971; A. VoGEL, Zur Lehre von der Erlosung in den Ho-
milien Aphraats. Die Deutung der Christuserlosung als Vollendung der alttestamentlichen Heilsge-
schichte bei Aphraat, dem Persischen Weisen, Hof 1966.

Efrem
Inni De parad.: R. LAVENANT - F. GRAFFIN, t trad. frane. e, 1968 (SC 137), S. BROCK, trad. ingl. e,
New York 1989.
460 XI. Produzione letteraria nell'epoca della Chiesa imperiale

Inni De Pascha: E. BECK, t trad. ted. 1964 (CSCO 248ss.).


Inni De ieiunio: E. BECK, t trad. ted. 1964 (CSCO 246ss.).
Inni De ecclesia: E. BECK, t trad. ted., 1960 (CSCO 198ss.).
Carmina Nisibena: E. BECK, t trad. ted., 2 voli., 1961/1963 (CSCO 223ss.).
Inni De virginitate: E. BECK, t trad. ted., 1962 (CSCO 223ss.).
Comm. Evang. concord.: L. LELOIR, t trad. lat., 2 voli., 1953/1954 (CSCO 137ss., 145ss.); L. LELOIR,
trad. frane. e, 1966 (SC 121).
Serm. de fide: E. BECK, t trad. ted., 1962 (CSCO 212ss.).
Serm.: E. BECK, t trad. ted., 4 voli., 1970-1973 (CSCOI 305ss.; 322ss.; 3209ss.; 334ss.).
Inni: L. MARIÈS - C. MERCIER, t armeno trad. lat., 1961 (PO 30).
Epist. ad Hypat.: E. BECK, trad. ted. e, in OrChr 58 (1974), 76-120.
Comm. Gen.et Ex.: R. TONNEAU, t trad. frane., 1955 (CSCO 152ss.).
Inni De nativitate: E. BECK, t trad. ted., 1959 (CSCO 186ss.).
Inni De fide: E. BECK, t trad. ted., 1955 (CSCO 154ss.).
Inni C. haer. E. BECK, t trad. ted., 1957 (CSCO 169ss.); antologia: 0. BARDENHEWER-A. ROCKER,
trad. ted., 2 voli., 1919-1928 (BKV); E. BECK, trad. ted., Freiburg 1967.
Inni: K. E. Mc VEY, trad. ingl., nEW yORK 1989.
Memre de Nicomedia: C. RENOUX, t trad. frane. e, 1975 (PO 37).

Il più importante teologo siriaco è Efrem (ca. 306-373), che operò come dia-
cono e maestro a Nisibi, dal 363 ad Edessa, probabilmente come maestro della
« Scuola dei Persiani». Questo autore classico della Chiesa siriaca ha lasciato
un'ampia opera letteraria che ancora non è stato possibile ricostruire completa-
mente. Si tratta di opere dogmatico-polemiche contro manichei, marcioniti e
bardesaniti (§ 31), di inni De fide, De paradiso, ecè., di opere esegetiche, tra le
quali un commento al Diatessaron, di scritti sulla vita ascetica, cui egli stesso era
dedito come «figlio dell'alleanza», ed anche di scritti liturgici e storici (per es.
Carmina Nisibena). Gran parte dell'opera rivela il poeta, che si servì per i suoi
componimenti di forme metriche distinte in « Memre » (« discorsi poetici ») e
«Madrasche» («liriche per canto »). Per quanto riguarda i contenuti, anch'egli
appare influenzato non tanto dalla filosofia greca, quanto invece da una teolo-
gia biblica che viene portata ad espressione in tipi e simboli presi dalla Scrittu-
ra e dalla natura.

Bibliografia: E. BECK, Ephriims Polemik gegen Mani und die Manichiier im Rahmen der seit-
genassischen griechischen Polemik und der des Augustinus; Louvain 1978; E. BECK, Dorea und
Charis. Die Tau/e. Zwei Beitriige zur Theologie Ephraems des Syrers, Louvain 1984; P. BRUNS,
Arius hellenizans? Ephriim der Syrer und die neoarianischen Kontroversen seiner Zeit. Ez'n Beitrag
zur Rezeption des Nizlinum im syrischen Sprachraum, in ZKG 101 (1990), 21-57; W CRAMER, Die
Engelvorstellungen bei Ephriim dem Syrer, Roma 1965; N. EL-KHOURY, Die Interpretation der
Welt bei Ephraem dem Syrer (4. ]h.), Tiibingen 1976; L. LELOIR, Doctrines et méthodes de S. Eph-
rem d'après son commentaire de l'Evangile concordant, Louvain 1961; J. MARTIKAINEN, Gerech-
tigkeit und Gute Gottes. Studien zur Theologie von Ephraem dem Syrer und Philoxenos von Mab-
bug, Wiesbaden 1981;}. MARTIKAINEN, Das Base und der Teufel in der Theologze Ephraems des Sy-
rer. Bine systematisch-theologische Untersuchung, Abo 1978; R. MuRRAY, Ephraem Syrus, in TRE
9 (1982), 755-762.
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale 461

Isacco d'Antiochia
Hom. adv. Iud.: S. KAZAN, t trad. ingl., in OrChr 45 (1961), 30-53; 46 (1962), 87-98;
47 (1963), 89-97.
Hom.: P. BEDJAN, t, Paris 1903.

Sotto il nome d'Isacco d'Antiochia, il Grande (V sec.), furono pubblicate 67


omelie su questioni dogmatiche ed ascetiche. Sulla personalità dell'autore e l' at-
tribuzione a lui delle opere in questione (vi sono diversi personaggi con lo stes-
so nome) regna ancora oggi molta incertezza.

Bibliografia: P. FÉGHALI, Isaac d'Antioche, une hymne sur l'incarnation, trad. frane., in ParOr
11(1983),201-222; E. GRAFFIN, Isaacd'Amid et Isaacd'Antioche, in DSp 7 (1971), 2010ss.; S. KA-
ZAN, Isaac o/ Antioch's Homily Against the ]ews, in OrChr 49 (1965), 57-78.

Giacomo di Sarug
Hom. /est.: F. RILLIET, t trad. frane., 1986 (PO 43,4).
De proph. Os.: W. STROTHMANN, t trad. ted., Wiesbaden 1973.
Sull'apostolo Tommaso: W. STROTHMANN, t trad. ted., Wiesbaden 1976.
Epist.: G. OLINDER, t, 1937 (CSCO llOss.).
Hom. metr. de creat.: K. ALWAN, t trad. frane. 1989 (CSCO 508ss.).
Hom. adv. Iud.: M. ALBERT, t trad. frane., 1976 (PO 38,1).

Di Giacomo di Sarug, vescovo di Batna presso Edessa (m. ca. 520), ci sono
giunte omelie metriche (su testi biblici, su feste di santi) e lettere.

Bibliografia: K. ALWAN, Bibliographie générale raisonnée de ]acques de Saroug (m. 521), in


ParOr 13 (1986), 313-383; H. ALWAN, Anthropologie de ]acques de Saroug. J;homme microcosme,
Jounieh 1988; F. GRAFFIN, ]acques de Saroug, in DSp 8 (1974), 56-60; W RAGE, ]akob von Sarug,
. in TRE 16 (1987), 470-474.

Filosseno di Mabbug
De uno e sancta trinitate incorporato et passo: M. BRIÈRE - F. GRAFFIN, t trad. lat., 3 voli., 1977-
1980 (PO 38-40).
Comm. Pro!. Ioh.: A. DE HALLEUX, t trad. frane., 2 voli., 1977 (CSCO 165ss.; 380ss.).
Commento frammentario suMt e Le:]. W WATT, t trad. ingl, 3 voli., 19787 (CSCO 172; 174; 292ss.).

Filosseno, vescovo di Mabbug (m. 523), capo dei monofisiti siriaci, è uno dei
migliori scrittori in prosa della letteratura siriaca. La sua opera comprende scrit-
ti dogmatici (trattati, commentari, lettere) e ascetico-monastici (omelie, lettere).

Bibliografia: F. GRAFFIN, Philoxène de Mabbug, in DSp 12 (1984), 1392-1397; A. DE HAL-


LEUX, Philoxène de Mabbog. Sa vie, ses écrits, sa theologie, Louvain 1963.
462 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

Narsete (Narsai)
Hom./Carmina: F. MINGANA, 2 voli., Mossoul 1905; antologia: F. G. Mc LEOD, t trad. ingl., 1979
(PO 40); P. GIGNOUX, t trad. frane., 1968 (PO 34).
Omelie liturgiche: R. H. CONNOLLY, trad. ingl. e, Cambridge 1909.

Narsete (m. poco dopo il 503), capo della scuola di Edessa, e poi di Nisibi,
compose omelie e canti (memre e madrasche). Fu nestoriano e volle richiamarsi
ad Efrem come teste classico per la tradizione nestoriana.

Bibliografia: P. GIGNOUX, Narsai, in DSp 11 (1982), 39-41.

b) SCRITTORI ARMENI
Con l'invenzione della scrittura armena all'inizio del V sec. da parte di Me-
srope (m. 440), si sviluppò una letteratura cristiana originale in lingua armena. Egli
tradusse la Bibbia, testi liturgici e scritti di Padri greci. Se anche lo stesso Mesro-
pe fosse uno scrittore rimane questione ancora dibattuta; forse appartiene a lui la
dottrina di Gregorio l' «Illuminatore» pervenuta sotto il nome di Agatangelo.

Bibliografia: R. W THOMSON, The Teaching o/ St. Gregory, Cambridge/Mass. 1970.

Eznico
De Deo: L. MARIÈS - C. MERCIER, t trad. frane. e, 1959 (PO 28); S. WEBER. trad. ted., 1927
(BKV).

Il più importante scrittore armeno è Eznico di Kolb, che scrisse attorno al


430 quattro libri «Su Dio» (contro le eresie).

Bibliografia: V. INGLISIAN, Eznik von Kolb, in RAC 7 (1969), 118-128.

§ 76. Teologia e letteratura


della Chiesa imperiale occidentale

1. Ilario di Poitiers

Opera: A. L. FEDER, t, 1916 (CSEL 65); PL 9-10; PLS 1.


Comm. Matth.: ]. DOIGNON, t trad. frane. e, 2 voli., 1978/1979 (SC 254; 258); L. LONGOBARDO,
trad. it. e, 1988 (ColiTP 74).
Tract. Ps.: A. ZINGERLE, 1891 (CSEL 22).
Tract. Ps. 118: M. MILHAU, t trad. frane. e, 2 voli, 1988 (SC 344; 347).
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 463

Tract. myst.:J. P. BRISSON, t trad. frane. e, 1967 2 (SC 19bis); L. LONGOBARDO, trad. it., Roma 1984.
De trin.: P. SMULDERS, t, 2 voli., 1979/1980 (CChr.SL 62/A); A. ANTWEILER, trad. ted., 2 voli., 1933/
1934 (BKV).
C. Const.: A. ROCHER, t trad. frane. e, 1987 (SC 334).
(Cf §§ 47-48; controversia sulla teologia trinitaria).

Ilario di Poitiers (ca. 315[?]-367), nato da distinta famiglia e dotato di for-


mazione retorica e filosofica, trovò in età adulta la via per arrivare alla fede cri-
stiana (cf il modo in cui egli racconta la sua conversione nel prologo al De Tri-
nitate). Nel 350 ca. divenne vescovo della sua città natia Poitiers, ma nel 356
venne deposto dal sinodo di Béziers e l'imperatore Costanzo lo mandò in esilio
in Asia Minore. Soltanto in esilio penetrò a fondo nelle controversie teologiche
e divenne un difensore impegnato della confessione di fede nicena, ma cercan-
do una conciliazione tra i niceni occidentali e gli omeusiani orientali. Nel 359
partecipò al sinodo di Seleucia e nel 360 poté tornare in Gallia.
Il suo capolavoro dogmatico è rappresentato dai dodici libri del De Trinita-
te (356-360), diretti contro gli ariani. Essi testimoniano il suo conflitto con la
teologia orientale, soprattutto con le dottrine e le intepretazioni scritturistiche
ariane, ma anche con le teorie di Marcello d'Ancira (cf §§ 47-48), e presentano
una propria idea che cerca di conciliare la teologia trinitaria orientale con la tra-
dizione occidentale. Il trattato è integrato dallo scritto De synodis (359), che rac-
coglie e spiega le professioni di fede dei sinodi orientali. Sono da aggiungere le
opere di carattere storico-polemico, nelle quali egli ci trasmette numerosi docu-
menti relativi ai sinodi e corrispondenze epistolari del tempo, come anche scrit-
ti a propria difesa contro l'imperatore Costanzo.
Già prima del 356 Ilario scrisse un'esegesi del Vangelo di Matteo, che dimo-
stra la sua formazione classica non meno della sua conoscenza della tradizione
patristica (Tertulliano, Cipriano, Novaziano). Dopo il 365 egli compose i Tracta-
tus super Psalmos, giunti incompleti, con interpretazioni cristologiche e allegori-
che che rivelano la conoscenza di Origene. Il Tractatus mysteriorum, anch'esso
giunto incompleto, interpreta testi difficili dell' AT (mysteria) su Cristo e l~ Chie-
sa. Della sua attività pastorale e liturgica sono testimonianza gli inni, dei quali tre,
anche se incompleti, sono giunti fino a noi. Con questi suoi tentativi il poeta del-
le laudes Dei poteva raggiungere probabilmente solo un modesto successo.
Bibliografia: Hzlaire et son temps. Actes du Colloque de Poitiers 1968, Paris 1969; H. C. BREN-
NECCKE, Hilarius von Poitiers, in TRE 15 (1986), 315-322; P. C. BURNS, The Christology in Hilary
o/ Poitiers' Commentary on Matthew, Roma 1981;}. DOIGNON, Hzlaire de Poitiers avant l'exil. Re-
cherches sur la naissance, !'enseignement et l'épreuve d'une fai épiscopale en Caule au milieu du IVe
siècle, Paris 1971; J. DOIGNON, Hilarius von Poitiers, in RAC 15 (1989), 139-167; M. DURST, Die
Eschatologie des Hilarius von Poitiers. Ei~ Beitrag zur Dogmengeschichte des IV. ]ahrhunderts,
Bonn 1987; M. FIGURA, Das Kirchenverstandnis des Hilarius von Poitiers, Freiburg/Br. 1984;
N. J. CASTALDI, Hilario de Poitiers, exegeta del Salterio, Paris 1969; L. F. LADARIA, La cristologia
de Hilario de Poitiers, Roma 1989; E. P. MEIJERING, Hilary o/ Poitiers on the Trinity. De trinitate
464 Xl. Produzione letteraria nell'epoca della Chiesa imperiale

I 1-19,2,3, Leiden 1982; P. SMULDERS, La doctrine trinitaire de S. Hilaire de Poitiers, Roma 1944;
D. H. WILLIAMS, A Reassessment o/ the Early Career And Exile o/ Hilary o/ Poitiers, in JEH 42
(1991), 202-217.

2. Ambrogio di Milano
Opera: K. SCHENKL et al., t, 7 voll., 1896-1990 (CSEL 32; 62; 64; 73; 78; 79; 82).
Opera omnia: C. M. MAIITINI et al., t trad. it., finora 24 voll., Milano/Roma 1977ss.
Antologia: J. E. NIEDERHUBER, trad. ted., 3 voll., 1914-1917 (BKV).
Scritti teologici: R. J. DEFERRARI, trad. ingl., 1963 (FaCh 44).
Scritti esegetici: J. }. SAVAGE, trad. ingl., 1964 (FaCh 42); M. P. Mc HUGH, trad. ingl., 1972
(FaCh 65).
De bon. mort.: G. GIAPPICHELLI, t, Torino 1961.
De paen.: E. MAROTTA, trad. it., 19872 (CollTP 3).
Expos. Luc.: M. ADRIAEN, t, 1957 (CChr.SL 14); G. TissoT, t trad. frane., 2 voll., 1971/19762 (SC
45; 52).
De off.: M. TESTARD, t trad. frane. e, 2 voll., Paris 1984-1992; G. BANTERLE, trad. it., Milano
1977.
Apol. David: P. HADOT, t trad. frane. e, 1977 (SC 239).
De Naboth: M. G. MARA, t trad. it. e, L'Aquila 1975.
Epist.: M. M. BEYENKO, trad. ingl., 1954 (FaCh 26).

Paolino di Milano, Vita Ambrosii: M. PELLEGRINO, t trad. it., Roma 1961; E. LAMIRANDE, trad.
frane. e, Paris 1983.

Ambrogio (339-397), appartenente all'aristocrazia romana, nacque proba-


bilmente nel 339 a Treviri. Crebbe a Roma, dove ricevette una solida formazio-
ne retorica e giuridica. La sua carriera politica lo condusse nel 370, come con-
sularis Liguriae et Aemiliae, a Milano. Dopo la morte del vescovo ariano Aus-
senzio venne acclamato, sebbene fosse soltanto catecumeno, vescovo di Milano
(Vi'ta Ambrosii 6) e consacrato nei primi giorni di dicembre del 373 (o 374). Il
presbitero milanese Simpliciano lo guidò nello studio della Bibbia e dei Padri
greci e lo introdusse alla conoscenza di Filone, come anche del neoplatonismo
contemporaneo. Consapevole del suo ruolo, Ambrogio diede risalto alla posi-
zione metropolitana di Milano, difese l'autonomia della Chiesa nell'Impero.Ro-
mano (l'imperatore era per luifi'lius ecclesiae, cf § 43,4) e lottò contro l'ariane-
simo occidentale. Ma egli interpretò il suo ruolo soprattutto come pastore d' a-
nime nel senso più ampio della parola, che vide nella predicazione, nella litur-
gia e nella carità il suo compito principale, conquistandosi così rapidamente sti-
ma e autorità ben oltre i confini della sua diocesi (cf Agostino, Con/ V 13 ). Tra
il 412 e il 422 (?) il chierico milanese Paolino scrisse dietro suggerimento di
Agostino la Vita Ambrosii.
A partire dal 375 Ambrogio pubblicò, come frutto della sua attività d'inse-
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 465

gnamento e di predicazione, un grande numero di scritti, che testimoniano il


suo sviluppo teologico e appaiono ispirati sempre di più da un' originale pietas
ambrosiana, da una profonda devozione per la figura di Cristo e da una visione
mistica della Bibbia.
-Ambrogio interpreta la Sacra Scrittura, nella tradizione di Filone d'Alessan-
dria e di Origene, in senso allegorico e con intenti prevalentemente moraleggian-
ti. Egli compose, tra l'altro, i sei libri dell'Hexaemeron (per i quali utilizzò anche
Basilio), i trattati De Paradiso, De Cain et Abel, De Isaac vel anima, De fuga mun-
di; De Jacob vel de vita beata, ecc., i commenti sui Salmi, tra i quali sono partico-
larmente importanti per la sua spiritualità e la vita di preghiera quelli sul salmo 118
(119). Come unico libro del NT commentò dettagliatamente il Vangelo di Luca.
- I suoi scritti dogmatici, cercano di mediare nelle discussioni con gli ariani
occidentali, con lo stesso atteggiamento autonomo dei trattati esegetici, la teo-
logia orientale, soprattutto la teologia trinitaria nicena di Atanasio, Basilio e Di-
dimo, ed anche di Ilario. All'imperatore Graziano (3 75-383) dedicò i trattati De
fide e De spiritu sancta.
- De mysterù"s e De sacramentis sono da inquadrare nell'istruzione cateche-
tica; questi scritti rappresentano fonti importanti per la conoscenza del catecu-
menato e della liturgia della Chiesa milanese.
- Scrisse inoltre opere di carattere morale-ascetico: nel De of/tdis ministro-
rum Ambrogio offre, in appendice all'opera di Cicerone De of/tdis, un'ampia
esposizione dell'etica cristiana. Dedito personalmente alla vita ascetica, egli pro-
mosse e propagò in più scritti soprattutto la vita verginale; il De virginibus (dedi-
cato alla sorella Marcellina) è il più antico trattato latino che espone in maniera
sistematica la spiritualità e la teologia di una verginità cristianamente motivata.
- Alla produzione letteraria di Ambrogio appartengono inoltre una serie
d'importanti discorsi (De obitu Theodosii del 395; Sermo contra Auxentium del
386) e un ampio epistolario in cui sono documentate in maniera impressionan-
te le molteplici attività del vescovo (cf per es. le lettere all'imperatore Teodosio,
Ep. 73 e 11 extra coll., e ai colleghi nell'episcopato, Ep. 72/73; sulla controver-
sia per l'Ara Victoriae [§ 41,4] o Ep. 14 extra coll. alla Chiesa di Vercelli per la
morte del suo vescovo Eusebio).
- Infine Ambrogio, che aveva portato a nuova fioritura anche il canto dei
Salmi, compose diversi Inni (per es. Deus creator omnium; Aeterne rerum con-
ditor), dall'esecuzione dei quali Agostino rimase profondamente impressiona-
to (Con/ IX 7,15). Il loro numero preciso ( 13 o 14 come sicuramente auten-
tici) non è più accertabile. La sua opera, tuttavia, fu tale che l'inno liturgico
venne detto più tardi semplicemente ambrosianus (per es. Regula Benedicti 9,4
ecc.).
466 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

Bibliografia: F. BEATRICE et al. (a cura di), Cento anni di bibliografia ambrosiana, Milano 1981;
E. DASSMANN, Die Frommigkeit des Kirchenvaters Ambrosius von Mailand. Quelten und Entfal-
tung, Miinster 1965; E. DASSMANN, Ambrosius von Mailand, in TRE 2 (1978), 362-386; E. DAs.
SMANN, Ambrosius von Mailand, in « Augustinuslexikon » 1 (1994), 270-285; A.-L. FENGER,
Aspekte der Soteriologie und Ekklesiologie bei Ambrosius von Mailand, Bern ecc 1981; C. ]ACOB,
Arkandisziplin, "Altegorese, Mystagogie. Ein neuer Zugang zur Theologie des Ambrosius, Frankfurt
1990; E. LAMIRANDE, Paulin de Milan et la Vita Ambrosii. Aspects de la religion sous le Bas-Empt~
re, Paris 1983; E. LUCCHESI, I.:usage de Philon dans t'oeuvre exégétique de S. Ambroise. Une« Quel-
lenforschung »relative aux Commentaires d'Ambroise sur la Genèse, Leiden 1977; C. MARKSCHIES,
Ambrosius von Mailand und die Trinitéitstheologie, Tiibingen 1995; H. J. AUF DER MAUR, Das Psal-
menverstà'ndnis des Ambrosius von Mailand. Ein Beitrag zum Deutungshintergrund der Psalmen-
verwendung im Gottesdienst der Alten Kirche, Leiden 1977; S. MAZZARINO, Storia sociale del ve-
scovo Ambrogio, Roma 1989.

3. Girolamo

Opera: M. ADRIAEN et al., t, finora 9 voll., 1958ss. (CChr.SL 72-80); PL 22-30; PLS 2.
Antologia: L. SCHADE, trad. ted., 3 voll., 1936 (BKV).
Epist.:J. HlLBERG, t, 3 voll., 1910-1912 (CSEL 54-56);]. LABOURT, t trad. frane., 8 voll., Paris 1949-
1963; S. COLA, trad. it., 4 voli., Roma 1961-1963.
Comm. Dan.: G. L. ARCHER, trad. ingl., Grand Rapids 1977.
Comm. ]on.: Y.-M. DuvAL, t trad. frane. e, 1985 (SC 323).
Comm. Matth.: E. BONNARD, t trad. frane., 2 voli., 1977/1979 (SC 242; 259).
Hom.: M. L. EWALD, trad. ingl., 2 voli., 1964/1966 (FaCh 48; 57); S. COLA, trad. it., 1990
(CollTP 88).
Scritti dogmatici:]. N. HRITZU, trad. ingl., 1965 (FaCh 53 ).
Vite: M. FUHRMANN, Christen in der Wuste. Drei Hieronymus-Legenden, trad. ted., Ziirich/Miin-
chen 1983; J. MINIAC, trad. frane., Grenoble 1992.
c
(cf § 71, 1).

Sofronio Eusebio Girolamo (ca. 347 - 30.9.419/420) nacque a Stridone


(Dalmazia) da genitori cattolici benestanti (Ep. 7 ,5). Studiò presso il èelebre
grammatico Elio Donato a Roma, dove si entusiasmò per la letteratura classica
(Ep. 22,30) e per la città, in cui venne anche battezzato (Ep. 15,1). Alla fine del
corso di studi fece seguire anni di viaggi (Treviri, Aquileia), che l'avrebbero con-
dotto in oriente. Negli anni 375-377 si trattenne nel deserto di Calcide (Ep. 14;
17). Ad Antiochia fu ordinato sacerdote, ma senza farsi legare alla Chiesa loca-
le (Contra Joannem Hier. 41; cf Ep. 51,1). Dopo altri anni di vita errabonda giun-
se nel 382 a Roma, dove papa Damaso lo assunse al suo servizio (Ep. 123,9). Qui
divenne maestro spirituale di aristocratiche romane che si erano convertite alla
vita ascetica (Marcella e Paola). Per le aspre critiche contro il clero romano si
rese inviso (Ep. 22; 40; 45). Dopo la morte del papa, nel 384, dovette abbando-
nare Roma (Ep. 45,3.6). Nel 386 si stabilì definitivamente a Betlemme, dove lo
seguirono Paola e la figlia di costei, Eustachio. Il ricco patrimonio di Paola con-
sentì di costruire monasteri femminili, presieduti da lei stessa, e un monastero
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 467

maschile (Ep. 108,20; cf Ep. 66,13). Girolamo rimase fino alla morte a Betlem-
me, ma intervenne con la sua instancabile penna in tutte le controversie eccle-
siastiche.
Girolamo ricevette da Damaso l'incarico di rivedere le precedenti versioni
della Bibbia in latino (Vetus Latina) per produrre un testo biblico unitario per
l'uso ecclesiastico. A Roma egli cominciò con i quattro Vangeli (Praef Novum
Opus) e il Salterio (probabilmente si trattava, per quanto riguarda questa prima
traduzione, del cosiddetto Psalterium Romanum, che fu in uso a Roma fino al
XVI sec.). Il lavoro di revisione venne proseguito a Betlemme, ma qualcosa
andò perduto (Ep. 134,2); rimase, tra l'altro, la seconda revisione del Salterio (il
cosiddetto Psalterium Gallicanum). Dal 391 al 406 Girolamo tradusse diretta-
mente dal testo originale l' AT (cf le Prae/ationes ai singoli libri).

Il suo testo biblico non ebbe assolutamente un'accoglienza immediata e


unanime (cf Agostino, Ep. 28,3; 82,34; De civ. Dei 18,43). Soltanto nel medioe-
vo si affermò universalmente la cosiddetta Vulgata, in cui però non si prese in
considerazione la terza traduzione dei Salmi (Psalterium iuxta Hebraeos); i testi
neotestamentari al di fuori dei Vangeli sono basati probabilmente sul lavoro di
Rufino il Siro, un amico di Girolamo. I princìpi che ispirano la traduzione ri-
sultano esaurientemente esposti e motivati da Girolamo nella sua Ep. 57.

Dopo aver tradotto inizialmente opere di scienza ausiliare per lesegesi (per
es. il Liber interpretationis hebraicorum nominum; De locis) e omelie bibliche di
Origene, Girolamo commentò personalmente, in maniera dettagliata, numerosi
libri dell'AT (tra l'altro i Profeti), come anche alcune lettere paoline e il Vange-
lo di Matteo.
Nel contesto della prima controversia origeniana (cf § 51), in cui egli prese
posizione contro Origene, al quale doveva moltissimo, scrisse contro il vescovo
di Gerusalemme il Contra ]oannem Hierosolymitanum (396) e contro l'ex-ami-
co di gioventù Rufino, che ora combatteva accanitamente, il Contra Ru/inum
(401/402). I dialoghi Contra Pelagianos (415) proseguivano la controversia con
Pelagio iniziata nel 414 con l'Ep. 133. Gli scritti Contra Helvidium (383) e Ad-
versus Iovinianum (3 93) difendono la verginità di Maria e la vita ascetica, celi-
be. Nel Contra Vigilantium (406) interveniva a difesa del culto cristiano dei san-
ti e delle reliquie. In questi scritti battaglieri Girolamo si rivela un polemista sa-
tirico che difende la propria posizione senza riguardi per nessuno e senza pren-
dere sul serio gli argomenti dei suoi avversari.
Girolamo fu infine un energico difensore e propagandista della vita asceti-
co-monastica. In tre biografie di monaci - su Paolo di Tebe (personaggio leg-
gendario che da lui viene posto come «primo monaco» ancor prima di Anto-
nio, la cui Vita era stata scritta da Atanasio, cf § 71 B 1), Ilarione e Malco - egli
468 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

esaltava l'ideale monastico. Con traduzioni delle regole di Pacomio e di scritti


provenienti dall'ambiente pacomiano dava indicazioni pratiche che avrebbero
esercitato una forte influenza sul primo monachesimo latino. Della stessa tema-
tica si occupano diverse lettere (Ep. 14; 22; 52; 54; 125; 130, ecc.).
Si conservano infine circa 120 lettere autentiche che rivelano lo stile magi-
strale del letterato. Esse documentano tutta la gamma della sua attività e mo-
strano anche il suo impegno personale, come per es. negli elogi funebri (Ep. 66;
77; 108; 127, ecc.), nell'esposizione di princìpi per una una pedagogia cristiana
(Ep. 107; 128) o nella partecipazione ad avvenimenti personali-familiari. Per gli
scritti storici cf § 4.

Bibliografia: P. ANTIN, Recueil sur saint Jérome, Bruxelles 1968; D. BROWN, Vir trilinguis.
A Study in the Biblica! Exegesis o/ St. Jerome, Kampen 1992; Y.-M. DUVAL (a cura di), Jérome
entre l'occident et l'orient. XVIe centennaire du départ de S. Jérome de Rame et de son installa-
tion à Bethléem (Coll. Chantilly 1986), Paris 1988; C. ESTIN, Les psautiers de Jérome à la lumiè-
re 'des traductions juives antérieures, Roma 1984; W. HAGEMANN, Wort als begegnung mit Chri-
stus. Die christozentische Schri/tauslegung des Kirchenvaters Hieronymus, Trier 1970; H. HA-
GENDAHL-]. H. WASZINK, Hieronymus, in RAC 15 (1989), 117-139; P.JAY, L'exégèse de S. Jéro-
me d'après son Commentaire sur Isaie, Paris 1985; A. KAMESAR, Jerome, Greek Scholarship, And
the Hebrew Bible. A Study o/ the Quaestiones Hebraicae in Genesim, Oxford 1993; H. KECH,
Hagiographie als christliche Unterhaltungsliteratur. Studien zum Phiinomen des Erbaulichen
anhand der Monchsviten des hl. Hieronymus, Goppingen 1977; C. KRUMEICH, Hieronymus und
die christlichen Feminae Clarissimae, Bonn 1993; R NAUTIN, Hieronymus, in TRE 15 (1986),
304-315; I. OPELT, Hieronymus' Streitschriften, Heidelberg 1973; S. REBENICH, Hieronymus und
sein Kreis. Prosopographische und sozialgeschichtliche Untersuchungen, Stuttgart 1992; J. H. D.
ScOURFIELD, Consoling Heliodorus. A Commentary o/Jerome's Letter 60, Oxford 1993;J. STEIN-
MANN, Hieronymus. Ausleger der Bibel, Koln 1961 (frane. Paris 1985); K. SUGANO, Das Rombild
des Hieronymus, Bern ecc. 1983; C. WHITE, The Correspondence (394-419) between Jerome And
Augustine o/ Hippo, Lewiston 1991.

4. Agostino

Opera: PL 32-46; CChr.SL 27-57; Bibliothéque Augustinienne: Oeuvres de S.· Augustin, Paris
1949ss.; C. J. PERL, trad. ted., Paderborn 1940ss.; A. TRAPÉ et al., t trad. it., Roma, div. ediz.
1965ss.; J. E. ROTELLE et al., The Works o/ St. Augustine. A Translation /or the XXIst Century,
Brooklyn/New York 1990ss.
Primi scritti: L. SCHOPP- R. P. RUSSELL, trad. ingl., 3 voll., 1947-1968 (FaCh 4; 5; 59); J. M. COL-
LEAU et al., trad. ingl., 3 voli., 1950-1955 (ACW 9; 12; 22).

Dialoghi filosofici: B. R. Voss et al., t trad. ted., 2 voll., Ziirich 1972/1973.


De dia!.: B. D. JACKSON - J. PINBORG, t trad. ingl., Dordrecht 1975.
De lib. arb.; De ver. rel.: W. THIMME, t trad. ted., Ziirich 1962-
De lib. arb.: G. MADEC- F. DE CAPITANI et al., t trad. it. e, Milano 1987.
De mag.: A. PIERETTI, trad. it. e, Milano 1990; E. SCHADEL, trad. ted. e, Wiirzburg 1975; B. JOLI-
BERT, trad. frane., Paris 1988.
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 469

Scritti autobiografici:
Conf : J: BERNHART, t trad. ted., Miinchen 19663 ; ]. ]. O'DONNELL, t e, 3 voli., Oxford 1992;
K. FLASCH - B. MOJSISCH, trad. ted., Stuttgart 1989; H. CHADWICK, trad. ingl., Oxford 1991; G.
CAPELLO, trad. it. e, Casale Monferrato 1984.
Retract.: I. M. BoGAN, trad. ingl., 1968 (FaCh 60).

Scritti esegetici:
De Gen.ad litt.: O. PERL, trad. ted., 2 voli., Paderborn 196111964; J. H. TAYLOR, trad. ingl., 2 voli.,
1982 (ACW 41; 42); R. ]. TESKE, trad. ingl., 1991 (FaCh 84).
Enarr. in Ps.: S. HEBGIN - F. CORRIGAN, trad. ingl., 2 voli., 1961 (ACW 29; 30).
Antologia: M. SIMONETTI, t trad. it. e, Milano 1988 (ScrGrLat).
Comm. serm. Dom.: ]. ]. ]EPSON, trad. ingl., 1948 (ACW 5); D.]. KAVANACH, trad. ingl., 1951
(FaCh 11).
Tract. in lob. ev.: T. SPECHT, trad. ted., 2 voli., 1913/1914 (BKV); ]. W. RETTIG, trad. ingl., 3 voli.,
1988-1993 (FaCh 78; 79; 88); R. MINUTI - R. MARSIGLIO, trad. it., Roma div. ediz. 1965-1973.
Comm. I. Epist. lob.: P. AGAESSE, t trad. frane. e, 1961 (SC 75).

Scritti teologici:
Encbiridion:]. BARBEL, t trad. ted. e, Diisseldorf 1960; L. A. ARAND, trad. ingl., 1963 (ACW 3).
Defid.: E. P. MEIJERING, trad. ingl. e, Amsterdam 1987; G.]. LOMBARDO, trad. ingl. e, 1988 (ACW 48).
De util. cred.: A. HOFFMANN, t trad. ted., 1992 (FC 9); D. BASSI, t trad. it., Torino 1936.
De trin.: S. Mc KENNA, trad. ingl., 1963 (FaCh 45); P. MONTANARI, trad. it., 2 voli., Firenze 1932-
1934.
De civ. Dei: C.]. PERL, t trad. ted., Miinchen 1979-1981; E. M. SANFORD- W. GREEN, t trad. ingl.,
7 voli., 1963-1972 (LCL); W. THIMME, trad. ted., 2 voli., Ziirich 1955; D. B. ZEMA et al., trad. in-
gl., 3 voli., 1950-1954 (FaCh 8; 14; 24); L. ALICI, trad. it., Milano 1984.
De mor. ecc!. catb.: I. J. GALLAGHER- D. A. GALLAGHER, trad. ingl., 1966 (FaCh 56); A. NENO,
trad. it., Firenze 1935. .

Scritti di teologia morale:


A. KUNZELMANN -A. ZUMKELLER, trad. ted., Wiirzburg 1949ss.; M. S. MULDOWNEY et al., trad.
ingl., 2 voli., 1952/1955 (FaCh 16; 27).
De cur. mort.: G. SCHLACHTER - R. ARBESMANN, trad. ted., Wiirzburg 1975; A. LAUDES, trad.
frane., Paris 1930.
De div. quaest.: D. L. MOSHER, trad. ingl., 1982 (FaCh 70).
Serm. 1-9 (sull'AT),J. E. ROTELLE, trad. ingl. e, New York 1990; G. HuMEAU, trad. frane., 3 voli.,
Paris 1932-1934.
Epist.: W. PARSON - R. B.. ENo, trad. ingl., 5 voli., 1951-1989 (FaCh 12, 20; 30; 32; 81).
De mus.: U. PIZZANI - G. K. MILANESE, e, Palermo 1990.
(Cf § 52 [donatismo]; § 56 [dottrina della grazia]; § 57 [pelagianismo];§ 65 [battesimo]; § 71
[monachesimo];§ 72 [vita sociale e morale]).

Possidio, Vita Aug.: M. PELLEGRINO, t trad. it., Roma 1955; A. A. R. BASTIAENSEN, t trad. it., Ve-
rona 1975.

Aurelio Agostino (354-430) portò al suo vertice la teologia latina della Chie-
sa antica. Nato a Tagaste (Numidia), sentì forte l'influenza della sua pia madre
Monica, morta nel 387 (Con/ IX 11,28). In lei egli incontrò il cristianesimo co-
470 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

sì come veniva ufficialmente insegnato dalla Chiesa; e da questo tipo di cristia-


nesimo egli si staccò esteriormente quando fu adolescente, pur senza rinuncia-
re del tutto alla venerazione di Cristo e alla fede in Dio (Con/ I 11, 17). Studiò
retorica nella città natia e a Cartagine, dove visse insieme a una compagna, che
nel 372 gli diede il figlio Adeodato (morto nel 390). A Milano si staccò per mo-
tivi di reputazione sociale da questa donna, il cui nome non ci è stato traman-
dato (Con/ VI 15 ,25). L'ambizione professionale lo portò attraverso Roma (3 83)
a Milano, dove nel 384 ottenne il posto ambito d'insegnante di retorica (Con/
V 13,23: magister rhetoricae).
Lo sviluppo intellettuale di Agostino fu segnato da vari eventi e incontri. Da
studente egli si entusiasmò per la letteratura latina e la retorica. Per tutta la vita
rimase un maestro della parola e della forza creativa della lingua. Nel 373 s'im-
batté nello scritto esortatorio (protrepticum) di Cicerone Hortensius, che dava
inizio a una conversione filosofica: la ricerca della verità e il desiderio di una vi-
ta beata (Con/ VI 11, 18; De beata vita 1,4). Tuttavia, lo attrassero poi i mani-
chei (cf § 31,3), ai quali appartenne per nove anni come auditor, cioè come
esterno (Con/ III 6,10-7 ,14; 11,20; IV 1,1; V 6,10). Presso di loro Agostino cre-
dette di aver trovato la libertà del proprio pensiero (ratiolintellegere) al posto
della fede dipendente dall'autorità della Chiesa (auctoritas/credere). Anche più
interessante poté essere stato per lui il dualismo fisico-etico, che dava una ri-
sposta semplice all'interrogativo unde malum (da dove proviene il male?). Già
prima della partenza per Roma cominciò a criticare la prospettiva manichea del-
la salvezza (Con/ V 3,3-3,6; 7,12ss.). Il lungo processo di allontanamento dal
manicheismo lo condusse a Roma al gioco mentale con lo scetticismo (Con/ V
10,19; 14,25; De beata vita l,4; Contra Acad.) e preparò l'incontro con il neo-
platonismo (Con/ VIII 2,3 ), che venne a conoscere a Milano. Nel prete milane-
se Simpliciano e in Ambrogio egli incontrò un messaggio cristiano d'impronta
platonica che corrispùndeva esattamente alla sua ricerca e alla sua ansia spiri-
tuale (Con/ V 13,23; De beata vita 1,4): «Poiché fremevo d'ardore, tanto davo-
ler levare ogni ancora[ ... ], gettai via da me ogni cosa e condussi la mia nave già
piena di fessure alla sospirata quiete. Tu vedi anche in quale filosofia trovai ri-
fugio come in un porto» (De beata vita 1,4ss.). Nell'estate del 386 Agostino era
pronto per la conversione. Nell'VIII libro delle Confessiones essa viene conden-
sata in termini drammatici. Il battesimo insieme all'amico Alipio e al figlio
Adeodato nella Pasqua del 387 viene menzionato solo e quasi incidentalmente
(Con/ IX 6,14).

Fonte principale per la biografia di Agostino fino al 387 sono i libri 1-9 delle Con/essiones,
che egli scrisse tra il 397 e il 401. Il contenuto autobiografico è indiscutibile, ma l'esposizione
è una vera e propria biografia interpretata e strumentalizzata: come teologo e vescovo Agosti-
no getta uno sguardo retrospettivo sulla sua vita ed anche sui problemi teologici del suo tem-
po. Egli ha già scoperto Paolo e ha già compendiato la sua dottrina sulla grazia (cf Ad Simpli-
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 471

cianum de diversis quaestionibus, del 396). Le Con/essiones vengono integrate e corrette dai col-
loqui con se stesso contenuti nei primi scritti cosiddetti filosofici (specialmente De beata vita,
De ordine) e nei Soliloquia.

Nell'autunno del 388 Agostino ritornò in patria. Si stabilì a Tagaste e con-


dusse con alcuni amici una vita di tipo monastico. L'uomo così aperto all'amici-
zia (Con/ IV 8,13; cf De civ. Dei 19,8), che vedeva nella sua conversione anche
l'influsso del monaco egiziano Antonio (Con/ VIII 6,15), scoprì nella vita mo-
nastica l'ambiente adatto per il bene vivere, bene arare, bene studere («vivere,
pregare, studiare bene»; De ordine II 19,51). Nello stesso tempo poté collegare
l'anelito all'unità proprio del neoplatonismo, ex pluribus unum facere, con il
quadro ideale della primitiva comunità cristiana (At 4,32: cor unum et anima
una) e dare così un fondamento anche biblico-ecclesiologico a una vita comune
motivata innanzitutto da un ideale filosofico. Ma intanto Agostino si lasciò pren-
dere dalla Chiesa; verso la fine del 390 (o l'inizio del 391) venne consacrato sa-
cerdote a Ippona (Ep. 21; Sermo 355). Cinque anni più tardi, probabilmente nel-
l'inverno del 395/396, divenne vescovo ausiliare e, quando morì il vescovo Va-
lerio, resse la diocesi d'Ippona dall'estate del 396 fino alla morte, avvenuta il 28
agosto del 430.
Oltre alla Vita Augustini di Possidio (scritta tra il 431 e il 439), c'informano
sulla vita e sulle opere del vescovo Agostino soprattutto i suoi scritti, special-
mente il resoconto sulla sua vita, cioè le Retractationes scritte nel 426/427, e il
suo ricco epistolario. Molti dei suoi scritti nacquero come risposta a questioni e
problemi urgenti del suo tempo e spesso furono lavori su commissione. Agosti-
no si lasciò completamente assorbire dall'ufficio episcopale e dai molteplici
compiti pastorali che gli erano congiunti. Spesso ebbe a lamentarsi del peso che
gli imponeva la sua responsabilità di vescovo, che si articolava in compiti am-
ministrativi, nella predicazione, nella liturgia e nella dedizione personale a sin-
goli individui (cf la sua ampia corrispondenza). Inoltre il primate del Nordafri-
ca, Aurelio di Cartagine (391/392-430), gli cedette il ruolo di guida in tutte le
faccende ecclesiastiche.
L'influenza diretta di Agostino sulla Chiesa del suo tempo difficilmente può essere soprav-
valutata, ma essa è essenzialmente limitata alla Chiesa latina. Traduzioni greche delle opere di
Agostino si ebbero soltanto nel medioevo, quando alla sua opera venne assicurato un ascendente
destinato a perdurare nel corso della storia. Nella teologia e nella filosofia, nella mistica e nella
teoria politica egli è rimasto fino ad oggi, soprattutto in ambiente europeo, modello e maestro o
anche avversario.

Secondo uno schema approssimativo si possono distinguere tre ambiti di


produzione, ciascuno con prese di posizione frontali: contro i manichei (fino al
395; cf § 31,1, per es. C. Faustum, C. Fortunatum, De utilitate credendi), contro
i donatisti (all'incirca tra il 400 e il 412; cf. § 52), contro i pelagiani (412-430; cf.
472 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

§§ 56~57). Ma l'importanza teologica dei rispettivi scritti supera i confini imme-


diati della controversia. Contro il manicheismo Agostino espone la sua dottrina
cristiana della creazione, cominciando nel 388 con un'esegesi allegorica della
Genesi (De Genesi c. Manich.). Essa viene proseguita nel 393 con un' interpre-
tazione della Genesi (De Genesi ad litt.) rimasta interrotta, come anche in Con/
X-XIII (ca. 400), e ripresa sistematicamente in De Genesi ad litt. lib. XII (401-
414). Infine egli riepiloga ancora una volta in De civ. Dei XI-XII la dottrina del-
la creazione (ca. 416-418). Le basi della dottrina della grazia furono gettate mol-
to prima della controversia con Pelagio (3 96/3 97: Confessiones; De div. quaest.
ad Simpl.; cf § 56); prima della controversia vanno anche collocate le afferma-
zioni, contrarie a quella che sarebbe stata la posizione di Pelagio, contenute nei
primi scritti (De beata vita; De lib. arbitrio). Contro i donatisti Agostino svilup-
pa una propria ecclesiologia (cf § 52).
Dogmaticamente importanti sono inoltre l'Enchiridion ad Laurentium (ca.
421) come compendio della dottrina cristiana sulla base del «simbolo» profes-
sato ad Ippona, ma soprattutto i 15 libri del De trinitate, ai quali Agostino atte-
se fin dal 399 e poi negli anni 412/420, senza che ne avesse avuta un'apposita ri-
chiesta. In essi egli cercò di sistematizzare e approfondire la teologia trinitaria
della tradizione occidentale.
Nella prima parte (1-7) egli espone l'argomento della Trinità di Dio partendo dalle Scritture;
nella seconda cerca di fornire spiegazioni con l'aiuto di analogie, dove il punto centrale dell'ar-
gomentazione è costituito dal confronto d'ispirazione platonica con l'anima umana e con i moti
dello spirito: egli descrive la Trinità con serie« ternarie», come Mente, Intelligenza, Amore (mens,
intelligentia, amor) o Memoria, Intelligenza, Volontà (memoria, intelligentia, voluntas), ciascuna
delle quali appartiene in maniera insolubile allo stesso complesso. In maniera analoga Agostino
pensa lo Spirito divino: il Padre genererebbe il Figlio come atto del suo pensare, lo Spirito Santo,
che procede dal Padre e dal Figlio, sarebbe l'amore che li lega l'uno all'altro.

Tra l'altro Agostino scrisse anche epistole dottrinarie di contenuto dogmati-


co, per es. Ep. 147 (De videndo Dea, a Paolina), Ep. 187 (De praesentia Dei, a
Dardano).
Alle opere esegetiche appartengono, oltre alle esposizioni di singoli libri
dell'AT (cf quelle già menzionate sulla Genesi) e del NT (per es. sulle lettere
paoline ai Romani e ai Galati), altri scritti come le Locutiones e le Quaestiones
in Heptateuchum, che trattano rispettivamente le difficoltà linguistiche e le dif-
ficoltà di contenuto che s'incontrano nell'Ettateuco; nel De consensu evangeli-
starum egli chiarisce le contraddizioni tra i Vangeli; le Quaestiones evangeliorum
sono dedicate a passi difficili di Mt e Le. Inoltre Agostino commentò, in serie
molto impegnative di prediche, il Vangelo di Giovanni (Tractatus in Ioannis
evangelium, 414-416/417), i Salmi (Enarratz'ones in Psalmos, 392-416/418), Il
«discorso della montagna» (De sermone Domini in monte, 394) e la prima lette-
ra di Giovanni (Tractatus in Ep. Ioannis ad Parthos, 415/416). Si sono conserva-
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 473

te, poi, circa 500 prediche (sermones) su determinati passi della Sacra Scrittura,
oltre che su feste, santi, problemi del tempo, ecc., che in parte sono databili e
localizzabili. Agostino si dedicò sempre e volentieri alla predicazione, convinto
di far scendere così «la pioggia della quotidiana esortazione» (Tract. Ioh. 3,1).
Nel De catechizandis rudibus (400) egli offre una teoria della catechesi e un
modello esemplare per l'istruzione catechetica. Nel De doctrina christiana (par-
te I: 397; parte II: 426/427) progetta un programma di formazione cristiana in
cui alle discipline classiche vengono riconosciute solo funzioni ausiliarie
(cf § 72,2). Nel primo libro Agostino spiega la professione di fede e la differen-
za tra «usare» e «godere» (utz; /rui) come fondamento di ogni scienza cristia-
na: nel secondo e nel terzo libro egli sviluppa, nella prospettiva del rapporto tra
mondo visibile (uti) e invisibile (jrui), la simbologia e regole ermeneutiche; il
quarto libro rappresenta un avviamento all'arte oratoria cristiana.
Come pastore impegnato egli scrisse una grande quantità di opere pastora-
li, per es. De agone christiano; De bono coniugali; De sancta virginitate; De cura
pro mortuis gerenda, ecc. Non poche lettere sono istruzioni pastorali, per es. le
Ep. 54-55 a ]anuarius (su unità e diversità nelle consuetudini ecclesiastiche).
Anche come sacerdote e vescovo Agostino difese e propagò la vita ascetico-
monastica. Sono da menzionare i Sermones 132, 134, 355, 356; le lettere 48, 60,
78, 157, 210, 211; lo scritto De opere monachorum (401), che obbliga i monaci
al lavoro per il proprio sostentamento e propone loro il legame tra preghiera e
lavoro; ed infine la cosiddetta Regola di Agostino (cf § 71 B 2).
Il De civitate Dei («Stato di Dio») appartiene alle opere apologetiche.
Occasione della «grande e difficile opera» (opus magnum et arduum) fu il sac-
co di Roma nel 410. Agostino scrisse quest'ultima grande apologia della Chie-
sa antica negli anni 413-426 come ampia interpretazione della storia dell'uma-
nità, che sarebbe caratterizzata dalla lotta tra le due civitates, la civitas Dei e la
civitas terrena (« stato di Dio » e « stato del mondo»), che non si possono equi-
parare né con la Chiesa né con un regno terreno. Si tratta di due tipi di società
umana (duo genera humanae societatis): uomini che vivono secondo la carne e
uomini che vivono secondo lo spirito (14,1): la loro origine è nei due diversi
tipi d'amore, l'amore di se stessi fino al disprezzo di Dio e l'amore di Dio fino
al disprezzo di se stessi (14,28).
Bibliografia: Generale: C. ANDRESEN, Zum Augustin-Gesprach der Gegenwart, 2 voli., Darm-
stadt 1962/198!2; C. ANDRESEN, Bibliographia Augustiniana, Darmstadt 19732; Congresso Inter-
nazionale su S. Agostino nel XVI Centenario della Conversione, 3 voli., Roma 1987 (Stud. Eph.
Aug. 24-26), W. ECKERMANN, Repertorium annotatum operum et translationum S. Augustini [Edi-
zioni latine e traduzioni tedesche (1750-1920)], Wiirzburg 1992ss.; A.-M. LA BONNARDIÈRE -A.
MANDOUZE (a cura di), S. Augustin et la Bible, Paris 1965; Les lettres de S. Augustin découvertes
par Johannes Divjak. Communications presentees au Colloque des Septembres 1982, Paris 1983; C.
MAYER (a cura di), Augustinus-Lexikon, Stuttgart 1986ss.; C. MAYER - K. H. CHELIUS (a cura di),
Internationales Symposion iiber den Stand der Augustinus-Forschung (1987), Wiirzburg 1989.
474 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

Biografia e sguardo d'insieme: G. BONNER, St. Augustine o/ Hippo. Lzfe And Controversies,
London 1963; P. BROWN, Augustinus van Hippo. Bine Biographie, Frankfurt 1973 (ingl. 1967); H.
CHADWICK, Augustin, Gottingen 1987 (ingl. 1986); E. DASSMANN, Augustinus-Heiliger und Kir-
chenlehrer, Stuttgart 1993; K. FLASCH, Augustin. Ein/iihrung in sein Denken, Stuttgart 1980; C.
HORN, Augustinus, Miinchen 1995; A. MANDOUZE, Saint Augustin. I.:aventure de la raison et de la
grace, Paris 1968; R. A. MARKUS, Saeculum: History And Society in the Theology o/ St. Augustine,
London-Cambridge 19882; H. I. MARROU, Augustinus und das Ende der antiken Bildung, Pader-
born 1981 (frane. 1938, 19584); F. VAN DER MEER, Augustinus der Seelsorger, Koln 1953 (oland.
1951); F. MORGENSTERN, Die Briefpartner des Augustinus van Hippo. Prosopographische, sozial-
und ideologiegeschichtliche Untersuchungen, Bochum 1993. V. PARONETTO, Agostino. Messaggio di
una vita, Roma 1981 (ted. 1986); A. SCHINDLER, Augustinus/Augustinismus I, in TRE 4 (1979),
646-698; E. TESELLE, Augustine the Theologian, London 1980; A. TRAPÈ, Sant'Agostino, Fossa-
no/Cuneo 1976 (ted.1988).
Su singole opere: P. COURCELLE, Recherches sur !es Con/essions de S. Augustin, Paris 1950; D.
F. DONNELLY - M. A. SHERMANN, Augustine's De civitate Dei. An Annotated Bibliography o/ Mo-
dern Criticism 1960-1990, New York/Frankfurt ecc. 1991; D. L. LUDWIG, Der sogenannte Indicu-
lus des Possidius. Studien zur Entstehungs- und Wirkungsgeschichte einer spiitantiken Augustin-Bi-
bliographie, Gottingen 1984; E. P. MEIJERING, Augustin iiber Schopfung, Ewigkeit und Zeit. Das elf
te Buch der Bekenntnisse, Leiden 1979; W. M. NEUMANN, Die Stellung des Gottesbeweises in Au-
gustins De libero arbitrio, Hildesheim 1986; J. VAN OORT, ]erusalem And Babylon. A Study Inta
Augustine's City o/ God And the Sources o/ His Doctrine o/ the Two Cities, Leiden ecc. 1991; P. Pr-
RET, La destinée de l'homme. La cité de Dieu. Un commentaire du De civitate Dei d'Augustin,
Bruxelles 1991; M. RUOKANEN, Theology o/ Socia! Li/e in Augustine's De civitate Dei, Gottingen
1993; K. THRAEDE, Das antike Rom in Augustins De civitate Dei. Recht und Grenzen eines verjlihr-
ten Themas, inJAC 20 (1977), 90-148; M. VINCENT, S. Augustin maitre de prière. D'après !es Enar-
rationes in Psalmos, Paris 1990.
Singoli temi: P. F. BEATRICE, Quosdam Platonicorum libros. The Platonic Readings o/ Augu-
stine in Milan, in VigChr 43 (1989), 248-281; W. BEIERWALTES, Regio Beatitudinis. Zu Augustins
Begriff des gliicklichen Lebens, Heidelberg 1981; J. P. BELCHE, Die Bekehrung zum Christentum
nach Augustins Biichlein De catechizandis rudibus, in Aug(L) 29 (1979), 247-279; 32 (1982), 42-
87; 282-311; F. BOURASSA, Théologie trinitaire chez S. Augustin, in Greg. 58 (1977), 675-725; 59
(1978), 375-412; S. BbHM, La temporalité dans l'anthropologie augustinienne, Paris 1984; P. BOR-
GOMEO, I.:église de ce temps dans la prédication de S. Augustin, Paris 1972; S. BUDZIK, Doctor pa-
cis. Theologie des Friedens bei Augustinus, lnnsbruck/Wien 1988; H. R. DROBNER, Person-Exege-
se und Christologie bei Augustinus. Zur Herkun/t der Forme! una persona, Leiden 1986. U. Du-
CHROW, Sprachverstà'ndnis und biblisches Horen bei Augustin, Tiibingen 1965; G. R. EvANS, Au-
gustin on Evi!, Cambridge 1982; W. H. C. FREND, Augustine And Orosius. On the End o/ the An-
cient World, in AugSt 20 (1989), 1-38; H. DE NORONHA GALVAO, Die existentielle Gotteserkennt-
nis bei Augustin. Bine hermeneutische Lektiire der Con/essiones, Einsiedeln 1981; W. GEERLINGS,
Christus exemplum. Studien zur Christologie und Christusverkiindigung Augustins, Mainz 1978; A.
KELLER, Aurelius Augustinus und die Musik. Untersuchungen zu «De musica» im Kontest seines
Schrifttums, Wiirzburg 1993; A. W. MATTHEWS, The Development o/ St.Augustine /rom Neoplato-
nism to Christianity, 386-391 A.D., Washington, D.C. 1980; C. P. MAYER, Die Zeichen in der
geisitigen Entwicklung und in der Theologie Augustins, 2 voli., Wiirzburg 1969/1974; B. MoNDIN,
Il pensiero di Agostino. Filosofia, teologia, cultura, Roma 1982; G. O'DALY, Augustine's Philosophy
o/ Mind, London 1987; P. O'DONOVAN, The Problem o/ Self-Love in S. Augustine, New Ha-
ven/London 1980; J. PELIKAN, The Mystery o/ Continuity. Time And History, Memory And Eter-
nity in the Thought o/ S. Augustine, Charlottesville 1986; S. POQUE, Le langage symbolique dans la
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 475

prédication d'Augustin d'Hippone. Images héroiques, 2 voli., Paris 1984; G. REALE et al. (a cura di),
I.: opera letteraria di Agostino tra Cassiciacum e Milano, Palermo 1988; G. REMY, Le Christ média-
teur dans l'oeuvre de S. Augustin, 2 voli., Paris 1979; A. SCHINDLER, Wort und analogie in Augu-
stins Trinitiltslehre, Tiibingen 1965; M. SMALBRUGGE, La nature trinitaire de l'intelligence augusti-
nienne de la fai, Amsterdam 1988; B. STUDER, Gratia Christi - Gratia Dei bei Augustinus van Hip-
po. Christozentrismus oder Theozentrismus?, Roma 1993; M.-A. VANNIER, Creatio, conversio, for-
matio chez S. Augustin, Freiburg/Schw. 1991; A. VERWILGHEN, Christologie et spiritualité selon S.
Augustin. I.:hymne aux Philippiens, Paris 1985; J. WETZEL, Augustine And the Limits o/ Virtue,
Cambridge 1992.

5. Inizi della poesia cristiana latina

a) LAUDES DOMINI
Opera: P. VAN DER WEIDEN, t trad. oland., Amsterdam 1967.

Di modesti tentativi di una poesia cristiana si ha notizia fin dal IV sec. (per
Commodiano cf § 40,5). Una prima testimonianza è rappresentata dalle Laudes
Domini (ca. 316/317-324; composte ad Autun). In 148 esametri l'ignoto autore ce-
lebra, prendendo spunto da un fatto miracoloso [una morta leva la mano per sa-
lutare il marito quando questi viene sepolto vicino a lei, n.d.t.], la fede nella risur-
rezione, canta la lode di Cristo come creatore e redentore e termina il suo compo-
nimento poetico con una preghiera per il vittorioso Costantino e la sua famiglia.

Bibliografia: J. FONTAINE, Naissance de la poéisie dans l'occident chrétien, Paris 1981; R. HER-
ZOG, Bibelepzk I, Stuttgart 1975.

b) PRUDENZIO
Opera: M. P. CUNNINGHAM, t, 1966 (CChr.SL 126); H. J. THOMSON, t trad. ingl., div. ediz. 1961-
1969 (LCL); M. C. EAGAN, trad. ingl., 2 voli., 1962/1965 (FaCh 43; 52).
Psychom.: T. ENLGELMANN, t trad. ted., Basel 1959; M. LAVARENNE, t trad. frane., Paris 1933.
Inni: E. BOSSI, t, trad. it., Bologna 1970.

Aurelio Prudenzio Clemente (ca. 348 - dopo 405), aristocratico spagnolo e


alto funzionario statale sotto l'imperatore Teodosio I, pose verso la fine della sua
vita le sue doti poetiche al servizio del messaggio cristiano (Praef 34-35) e creò
un'opera di prim'ordine: Cathemerinon (inni per le diverse ore del giorno, per
il digiuno e per varie feste), Peristephanon (canti in lode di martiri), poemi dog-
matico-apologetici (Apotheosis [difesa della dottrina ecclesiastica sulla Trinità,
n.d.t.], Hamartigenia [sull'origine del peccato, contro il dualismo gnostico,
n.d.t.] e Contra Symmachum [nel contesto della controversia sull'ara della Vit-
toria, n. d. t.]; la Psychomachia è un poema allegorico sulla lotta tra virtù e vizi· che
si contendono l'anima dell'uomo. I componimenti poetici di Prudenzio nonna-
476 XI. Produzione letteraria nel!' epoca della Chiesa imperiale

scondono il loro legame con la poesia classica; essi proseguono un'antica reli-
giosità naturale e costituiscono tuttavia una confessione di fede completamente
cristiana.

Bibliografia: M. M. VAN ASSENDELFf, Sol ecce surgit igneus. A Commentary on the Morning
And Evening Hymns o/ Prudentius (Cathemerinon 1,2,5 e 6), Groningen 1976;}. L. CHARLET, La
création poétique dans le Cathemerinon de Prudence, Paris 1982; C. FABIAN, Dogma und Dichtung.
Untersuchungen zu Prudentius'Apotheosis, Frankfurt ecc. 1988; C. GNILKA, Studien zur Psycho-
machie des Prudentius, Wiesbaden 1963; R. HENKE, Studien zum Romanushymnus des Prudentius,
Bern ecc. 1983; R. HERZOG, Die allegorische Dlchtungskunst des Prudentius, Miinchen 1966; M.
KAH, Die Welt der Romer mit der Seele suchend ... Di Religiosità'! des Prudentius im Spannungsfeld
zwischen pietas christiana und pietas Romana, Bonn 1990; S. G. NUGENT, Allegory And Poetics.
TheStructure And Imagery o/ Prudentius's Psychomachia, Frankfurt/M. 1985; A.-M. PALMER, Pru-
dentius on the Martyrs, Oxford 1989; R. PILLINGER, Die Tituli historiarum oder das sogenannte
Dittochaeon des Prudentius. Versuch eines philologisch-archiiologischen Kommentars, Wien 1980;
M. ROBERTS, Poetry And the Cult o/ the Martyrs. The Liber Peristephanon o/ Prudentius, Ann Ar-
bor 1993; K. THRAEDE, Studien zu Sprache und Stil des Prudentius, Gottingen 1965.

c) PAOLINO DI NOLA
Opera: W. HARTEL, t, 1984 (CSEL 29ss.).
Epist.: P. G. WALSH, trad. ingl., 2 voli., 1975 (ACW 35; 36).
Epist. ad Augustinum: T. PISCITELLI CARPINO, t trad. it. c, Napoli 1989.
Carm.: P. G. WALSH, trad. ingl., 1975 (ACW 40); A. RUGGIERO, trad. it. c, 1990 (CollTP 85).

Paolino di Nola (ca. 353-431), nato a Bordeaux da ricca famiglia senatoria e


impegnato a lungo a servizio dello Stato, nominato infine governatore della Cam-
pania, si convertì attorno al 390 alla vita cristiana ed ascetica. Nel 395 si stabilì a
Nola presso la tomba di san Felice, dove egli visse in una comunità di monaci e
la moglie in una comunità di monache. Il colto letterato fu un solerte scrittore di
lettere. Poeticamente dotato e conoscitore della tradizione poetica, scrisse pre-
valentemente in esametri; tra i suoi componimenti poetici sono da menzionare i
14 Carmina natalicia in onore di san Felice; i Carm. 27-28 descrivono gli edifici
ecclesiastici di Nola; i Carm. 10-11 difendono la decisione di dedicarsi a Cristo,
in risposta al rimprovero di Ausonio, che era stato suo maestro: «I cuori consa-
crati a Cristo respingono le Muse ed escludono Apollo» (Carm. 10,21ss.).

Bibliografia: J. DESMULLIEZ, Paulin de Noie. Etudes chronologiques (393-397), in RechAug 20


(1985), 35-64; W. ERDT, Christentum und heidnisch-antike Bildung bei Paulin von Nola. Mit Kom-
mentar und Ubersetzung des 16. Brie/es, Meisenheim 1976; W. EVENEPOEL, The Vita Felicis o/ Pau-
linus Nolanus And the Beginnings o/ Latin Hagiography, in A. A. R. Bastiaensen et al. (a cura di),
Fructus centesimus (FS [scritti in onore di] J. M. Bartelink), Steenbrugge 1989, 167-176;
R. P. H. GREEN, The Poetry o/ Paulinus o/ Nola. A Study o/ His Latinity, Bruxelles 1971;
K. KOHLWES, Christliche Dichtung und stilistische Form bei Paulinus von Nola, Bonn 1979;
J. T. LIENHARD, Paulinus o/ Nola And Early Western Monasticism. With a Study o/ the Chronology
o/ Works And an Annotated Bibliography 879-19 76, Koln 1977.
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 477

d) GIOVENCO
Opera: J. HUEMER, t, 1891 (CSEL 24); A. KNAPPITSCH, Evangeliorum libri quattuor, t trad. ted.,
Graz 1910-193.

Giovenco, un prete spagnolo, compose attorno al 330 un'« armonia dei Van-
geli» (Evangeliorum libri IV) in 3211 esametri. Questa prima opera epico-bibli-
ca, apprezzata da Girolamo (Ep. 70,5), si colloca nella tradizione dell'epica clas-
sica, ma intende essere per il contenuto (le azioni di Cristo dispensatore di vita)
e per la forma (adeguata alla bellezza della parola di Dio) qualcosa di nuovo.
Bibliografia: R. FICHTNER, Tau/e und Versuchung Jesu in den Ev. libri IV des Bibeldichters Ju-
vencus, Stuttgart 1994; H. HANSSON, Textkritisches zu Juvencus mit einem vollstiindigen Index ver-
borum, Lund 1950; M. A. NORTON, Prosopography o/ Juvencus, in «Folia» 4 (1950), 38-42, rist.
in J. M. F. Marique (a cura di), Leaders of Iberian Christianity, Boston 1962, 114-120; I. OPELT,
Die Szenerie bei Juvencus, in VigChr 29 (1975), 191-207.

e) PROBA
Opera: C. SCHENKL, t, 1888 (CSEL 16, 569-609).

La patrizia romana Faltonia Proba (ca. 322-ca. 370) cantò poeticamente in


un centone virgiliano la storia della salvezza (AT e NT in 694 esametri), unendo
nell'opera l'imitazione dei classici con l'apologetica cristiana: «Virgilio avrebbe
cantato le pie opere di Cristo» (v. 23). Il Decr. Gelasianum ha rifiutato il Cento-
ne di Proba come apocrifo.
Bibliografia: F. ERMINI, Il Centone di Proba e la poesia centonaria latina, 1909; E. A. CLARK -
D. F. HATCH, The Golden Bough, the Oaken Cross: The Vergilian Cento of Fa/tonia Betitia Proba,
Chico 1981; E. A. CLARK - D. F. HATCH, Jesus As Hero in the Vergilian Cento of Fa/tonia Betitia
Proba, in« Vergilius » 27 (1981), 31-39; I. OPELT, Der zurnende Christus im Cento der Proba, in
]AC 7 (1964), 93-106.

f) SEDULIO
Opera:]. HUEMER, t, 1885 (CSEL 10); F. CORSARO, trad. it. e, 2 voli., Catania 1948/1956.

Sedulio fu probabilmente originario dell'Italia e compose verso la metà del


V sec. il suo Paschale Carmen, che è un inno di lode alle mirabili opere di Dio
nell' AT e nel NT. Si conoscono di lui, inoltre, 2 Inni: il primo è un'elegia che
espone, in 55 distici, la storia della salvezza; il secondo è un Abecedarius che can-
ta in 23 quartine la vita di Cristo. Da questo componimento poetico sono stati
ricavati e inseriti nel breviario romano l'inno A solis ortus cardine per Natale e
l'inno Crudelis Herodes Deum per l'Epifania.
Bibliografia: C. P. E. SPRINGER, The Gospels As Epic in Late Antiquity. The Paschale Carmen
of Sedulius, Leiden 1988.
478 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

6. Ambrosiaster

Comm. Epist. Paul.: H. J. VoGELS, t, 3 voli., 1966-1969 (CSEL 81,1-3).


Comm. Rom.: A. POLLASTRI, trad. it., 1984 (ColiTP 43).
Comm. Cor.: L. FATICA, trad. it., 2 voli., 1989 (ColiTP 78/79).
Comm. Gal.: L. FATICA, trad. it., 1986 (ColiTP 61).
Quaest. Vet. et Nov. Test.: A. SOUTER, t, 1908 (CSEL 50).

L'ignoto autore di un commento pseudo-ambrosiano a 23 lettere paoline


viene chiamato a partire da Erasmo Ambrosiaster. La redazione del commento
risale agli anni 363-384. Si tratta di un'opera notevole in cui si vede impiegato
un metodo storico-grammaticale cui si unisce un'esegesi tipologica. Esso offre
un'interpretazione latina preagostiniana di Paolo, che venne fatta propria sia da
Agostino che da Pelagio. Nella sua interpretazione pratica/pastorale del testo il
commento rappresenta anche un importante documento del tempo (per es. a 1
Cor 14: giustificazione del passaggio dalla lingua liturgica greca a quella latina).
Allo stesso autore vengono attdbuiti diversi altri scritti, tra i quali con sicurezza
le Quaestiones Veteris et Navi Testamenti pseudo-agostiniane. In appendice a te-
sti biblici esse trattano questioni esegetiche e dogmatiche: per es. la questione
101, sulla posizione dei diaconi; la questione 127, su matrimonio, divorzio e se-
conde nozze; la questione 115, sull'astrologia.
Bibliografia: 0. HEGGELBACHER, Vom romischen zum christlichen Recht. Juristische Elemen-
te in den Schriften des sogenannten Ambrosiaster, Freiburg/Schw. 1959; L. SPELLER, Ambrosiaster
And the ]ews, in StPatr 17 (1982), 72-78; A. STUIBER, Ambrosiaster, inJAC 23 (1970), 119-123;
M. ZELZER, Zur Sprache des Ambrosiaster, in WSt 83 (1970), 196-213.

7. Firmico Materno

Opera: K. ZIEGLER, t trad. ted., 2 voli., Miinster 1953.


Antologia: A. MOLLER, trad. ted., 1913 (BKV).
De err. prof re!.: A. PASTORINO, t, Firenze 1956; R. TURCAN, t trad. frane. e, Paris 1982; C. A. FoRBES,
trad. ingl., 1970 (ACW 37).
Math.: W KROLL et al., t, Leipzig 1897 -1913.

Giulio Firmico Materno, originario della Sicilia, esercitò la professione di


avvocato a Roma; attorno agli anni 346/348 scrisse De errore pro/anarum reli-
gionum, un'opera violentemente polemica contro il paganesimo, indirizzata agli
imperatori Costanzo e Costante. In essa egli chiedeva l'eliminazione dei culti pa-
gani e polemizzava aspramente contro le religioni misteriche, nelle quali vedeva
delle pericolose concorrenti del cristianesimo. Alla religione pagana egli non ri-
conosceva alcun diritto d'esistenza. «Queste religioni sono da recidere ed eli-
minare del tutto» (Amputanda sunt haec penitus atque delenda, 16,4). Quando
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 479

era ancora pagano Firmico Materno scrisse i Matheseos libri VIII, che sono un
notevole trattato di astrologia.
Bibliografia: K. ZIEGLER, in RAC 7 (1968), 946-959.

8. Teologi antiariani

a) MARIO VITTORINO
Opera theol.: P. HENRY - P. HADOT, t, 1971 (CSEL 83,1); P. HENRY - P. HADOT, t trad. frane. e,
2 voli., 1960 (SC 68ss.); P. HADOT- U. BRENKE, trad. ted., Ziirich/Stuttgart 1967.
Comm. Epist. Paul.: A. LOCHER, t, Leipzig 1972.

Mario Vittorino (ca. 281/- dopo 363 ), originario dell'Africa, fu uno stimato
maestro di retorica a Roma e filosofo neoplatonico (Con/ VIII 2,3: traduttore di
«libri dei platonici») . Attorno al 355 si convertì lal cristianesimo (ibidem). In
12 trattati Adversus Arium - 4 lettere, 4 trattati sull'Homoousios, il De homoou-
sio recipiendo, 3 inni - intervenne nelle discussioni trinitarie e cercò con il suo
neoplatonismo d'impronta porfiriana d'interpretare e di difendere la fede nice-
na. Dopo aver perso il suo posto d'insegnante (362) commentò alcune lettere
paoline con metodi filologico-grammaticali (si conservano i commenti ad E/,
Gal e Fil) e con divagazioni filosofiche. Si tratta dei più antichi commenti latini
a Paolo (cf Girolamo, Com. Gal., pro!.).
Bibliografia: M. T. CLARK, Marius Victorinus, in TRE 22 (1992), 165-169; W. ERDT, Marius
Victorinus A/er, der erste lateinische Pauluskommentator. Studien zu seinem Pauluskommentaren
im Zusammenhang àer Wiederentdeckung des Paulus in der abendliindischen Theologie des 4.
Jahrhunderts, Bern 1980; P. HADOT, Marius Victorinus. Recherches sur sa vie et ses oeuvres, Paris
1971; P. HADOT, Porphyre et Victorinus, 2 voli., Paris 1968; A. ZIEGENAUS, Die trinitarische Au-
spragung der gottlichen Seins/ulle nach Marius Victorinus, Miinchen 1972.

b) LUCIFERO DI CAGLIARI

Opera: G. F. DIERCKS, t, 1978 (CChr.SL 8).


De regibus apost.:]. AVILÉS, t, in «Analecta Sacra Tarraconensia » 49/50 (1976/1977) (app. 1979),
395-433.
Moriundum esse pro Dei Filio: L. FERRERES, te, Barcelona 1982; G. CERRETTI, te, Pisa 1940.

Il fondatore dello scisma luciferiano (§ 50,3) scrisse tra il 355 e il 367 una
serie di opere polemiche, come De Athanasio I-II; De regibus apostaticis (le pu-
nizioni dei re dell' AT come ammonizioni per Costanzo); Moriundum esse pro
Dei/ilio (contro Costanzo), ecc. I suoi scritti, teologicamente scarsi, sono tutta-
via importanti per la storia della lingua latina e per la citazioni di testi biblici nel
latino pregeronimiano.
480 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

Bibliografia: I. OPELT, Formen der Polemik bei Luczfer van Calaris, in VigChr 26 (1972), 200-226;
A. FIGUS, I.:enigma di Luczfero di Cagliari. A ricordo del XVI centenario della morte, Cagliari 1973.

c) GREGORIO DI ELVIRA
Opera: V. BULHART- J. FRAIPONT, t, 1967 (CChr.SL 69); E. SCHULZ-FLOGEL, t, Freiburg 1994.
Comm. Cant.: M. SIMONETTI, t trad. it. e, 1975 (CPS).

Il vescovo spagnolo (m. dopo il 392) fu rigorosamente antiariano; si discute se


sia stato anche luciferiano. Di lui sono stati tramandati i seguenti scritti: i cosiddetti
Tractatus (una selezione di commenti biblici su testi dell'AT), un'interpretazione
del Cantico dei Cantici, il trattato De fide (sulla confessione di fede nicena), ecc.
Bibliografia: F. J. BUCKLEY, Christ And Church According to Gregory o/ Elvira, Roma 1964;
J. FONTAINE, in RAC 15 (1991), 652-653.

9. Predicatori

Cromazio
Opera: R. ETAIX-J. LEMARIÉ, t, 2 voli., 1974/1977 (CChr.SL 9A + Suppl.);J. LEMARIÉ-H. TAR-
DIF, t trad. frane. e, 2 voli., 1969/1971 (SC 154; 164).
Omelie: J. LEMARIÉ, t, in RBen 72 (1962), 201-277; 73 (1963), 181-243.
Semi.: G. BANTERLE, trad. it. e, Roma 1989.
Serm. (liturg.): M. TODDE, trad. it. Roma 1982.
Serm. Act.: J. LEMARIÉ, t, in RBen 75 (1965), 136-142.
Catech.: G. CuscrTO, trad. it., 1979 (ColiTP 20).
Comm. Matth.: G. TRETTEL, trad. it., 2 voli., (ColiTP 46ss.); G. BANTERLE, trad. it. e, Roma/Mila-
no 1990.
Filastrio di Brescia; Gaudenzio di Brescia
Opera: G. BANTERLE, trad. it. e, Milano 1991.
Massimo di Torino
Serm.: A. MUTZENBECHER, t, 1962 (CChr.SL 23); B. RAMSEY, trad. ingl. 1989 (ACW 50): G. BAN-
TERLE, trad. it. e, Milano 1991.
Pietro Crisologo
Opera: A. OLIVAR, t, 1975-1982 (CChr.SL 24/B).
Serm.: M. SPINELLI, trad. it. e, 1978 (ColiTP 12).
Zenone
Opera: B. LòFSTEDT, t, 1971 (CChr.SL 22).
Serm.: B. LòFSTEDT-G. BANTERLE, t trad. it. e, Milano 1987; A. BIGELMAIR, trad. ted., 1934 (BKV).

Di molti vescovi dell'Italia furono raccolte le prediche. Si ricordano, qui, i


seguenti: Zeno/Zenone di Verona, m. ca. 380; Gaudenzio di Brescia, m. dopo il 406;
Cromazio di Aquileia, m. dopo il 407, la cui opera omiletica è stata riscoperta
nella sua ampiezza solo in tempi molto recenti; Massimo di Torino, m. prima del
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 481

423, di cui si hanno 100 prediche, tra le altre, che risultano indicative per la pa-
storale missionaria del vescovo. Il predicatore più importante fu Pietro Crisolo-
go, vescovo di Ravenna, m. nel 450. La raccolta delle sue prediche comprende
180 prediche su testi biblici, per feste, per il battesimo, sul Padre nostro; esse
rappresentano una significativa documentazione della situazione religiosa e pa-
storale di Ravenna. Un'ampia raccolta di prediche ci è pervenuta anche di Leo-
ne Magno (cf § 63,3).
Bibliografia: V. BocCARDI, Quantum spiritaliter intelligi datur. I.: esegesi di Zenone di Verona,
in Aug. 23 (1983), 453-485; L. CERVELLIN, Rassegna bibliografica su Massimo di Torino, in Sai. 54
(1992), 555-565; M. C. CONROY, Imagery in the Sermones ofMaximus, Bishop ofTurin, Washing-
ton 1965; A. FITZGERALD, The Relationship of Maximus ofTurin to Rome And Milan. A Study of
Penance And Pardon at the Turn of the Vth Century, in Aug. 27 (1987), 465-486; R. KAMPLING,
Die Darstellung der Juden und des ]udentums in den Predigten des Zeno van Verona, in « Kairos »
26 (1984), 16-27; J. LEMARIÉ, Chromatiana. Apport de nouveaux témoins manuscrits, in RBen 98
(1988), 258-271; M. MODEMANN, Die Taufe in den Predigten des hl. Maximus van Turin, Frank-
furt/M. 1995; A. QUACQUARELLI, I.: ecclesiologia nella esegesi di Cromazio, in VetChr 26 (1989), 5-
22; G. SGREVA, La teologia di Zenone di Verona: contributo per la conoscenza dello sviluppo del pen-
siero teologico nel Nord Italia (360-380), Vicenza 1989; C. SOTINEL, Maximus von Turin, in TRE
22 (1992), 304-307; F. SOTTOCORNOLA, I.:anno liturgico nei sermoni di Pietro Crisologo, Cesena
1973; M. SPINELLI, Il ruolo sociale del digiuno in Pier Crisologo, in VetChr 18 (1981), 144-256; C.
TRUZZI, Zeno, Gaudenzio e Cromazio. Testi e contenuti della predicazione cristiana per le Chiese di
Verona, Brescia e Aquileia (360-410), Brescia 1985.

10. Rufino

Opera: M. SIMONETTI, t, 1961 (CChr.SL 20).


Libri Origenis adv. haer.: V. BUCHHEIT, t, Miinchen 1966.
De ben. Patr.: M. SIMONETTI, t trad. frane. e, 1968 (SC 140).
De ieiunio (secondo Basilio): H. MARTI, t trad. ted. e, Leiden ecc. 1989 (VigChr Suppl. 6).

Tirannia Rufino (ca. 345-410) di Aquileia, studiò a Roma dove entrò in ami-
cizia con Girolamo. Convertitosi alla vita ascetica, appartenne più tardi alla cer-
chia di Melania senior e visse per circa 20 anni nel suo monastero sul Monte de-
gli Ulivi a Gerusalemme. Nella prima controversia origeniana (§ 51) arrivò a una
rottura definitiva con Girolamo. Nel 397 tornò in Italia e morì nel 410 a Messina.
Egli fu attivo soprattutto come traduttore: gran parte dell'opera di Origene,
omelie e la prima redazione delle «regole dei monaci» (la raccolta minore degli
Ascetica) di Basilio, nove sermoni di Gregorio di Nazianzo, Ad monachos e Ad
virginem di Evagrio Pontico, ed anche le Sentenze di Sesto [filosofo pitagorico;
Rufino le tradusse da una raccolta di detti rielaborata da un autore cristiano ver-
so la fine del II sec., n.d.t.]. Tradusse inoltre la Historia Ecclesiastica di Eusebio
(§ 4,3 ), la Historia Monachorum in Aegypto (cf § 75,lla) e le Recognitiones pseu-
do-clementine (cf § 28,5). Non si occupò, in questi suoi lavori, di questioni fi-
482 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

lologico-letterarie, ma volle soprattutto mediare i contenuti delle opere con l'in-


tento di edificare i lettori latini. I suoi scritti personali gli servirono soprattutto
per difendersi nella controversia origeniana. Scrisse inoltre un commento al
simbolo di fede latino (Commentarium in Symbolum Apostolorum) e un com-
mento allegorico a Gn 49, De benedictionibus patriarcharum.

Bibliografia: C. P. HAMMOND BAMMEL, Der Romerbrieftext des Rufinus und seine Origenes-
Ubersetzung, Freiburg 1985; C. P. HAMMOND BAMMEL, The Last Yen Years o/Ru/inus'Li/e And the
Date o/ His MoveSouth /rom Aquileia, inJThS 28 (1977), 372-429; H. MARTI, Ubersetzer des Au-
gustinus-Zeit, Miinchen 1974.

11. Arnobio il Giovane

Commentarii in Psalmos: K.-D. DAUR, t, 1990 (CChr.SL 25).


Con/I.ictus Arnobii et Serapionis: F. Goru, t trad. it. e, 1993 (CPS 14).

Arnobio il Giovane, probabilmente originario dell'Africa, visse come monaco


a Roma (V sec.). Gli vengono attribuiti diversi scritti, l'autenticità dei quali è og-
getto di discussione. Scrisse sicuramente il Con/lictus cum Serapione: una disputa
tra Arnobio e un monofisita egiziano (ca. 450). Arnobio vi difendeva la cristologia
romana soprattutto con il ricorso a raccolte di testimonianze, ma anche con prove
dalla Sacra Scrittura e con argomenti d'impronta più biblica che filosofica della
tradizione latina. Gli appartiene probabilmente anche il commento ai Salmi giun-
to sotto il suo nome (Commentarii in Psalmos), in cui rielabora in maniera auto-
noma le tradizioni esegetiche (Agostino ecc.), rendendole utili per le discussioni
teologiche del suo tempo. Il commento ai Salmi è particolarmente degno di nota
perché consente di gettare uno sguardo nella liturgia romana del V sec. (iniziazio-
ne, simbolo battesimale, preghiera eucaristica). Forse Arnobio si applicò anche al-
1' agiografia romana; probabilmente fu redatta da lui la «leggenda di Silvestro».
Bibliografia: S. LEANZA, I.: esegesi di Arnobio il Giovane al libro dei Salmi, in VetChr 8 (1971),
223-239; H.-M. DIEPEN, La pensée christologique d'Arnobe le Jeune: Théologie de l'Assumptus
Homo ou de l'Emmanuel?, in RThom 59 (1959), 535-564; M. SIMONETTI, Letteratura antimono/i-
sita d'Occidente, in Aug. 18 (1978), 487-532.

12. Quodvultdeus
Opera: R. BRAUN, t, 1976 (CChr.SL 60).
Liber promissionum et praedictorum Dei: R. BRAUN, t trad. frane. e, 2 voli., 1964 (SC 101, 102).

Vescovo di Cartagine negli anni 437-439, da dove fu cacciato da Genserico,


Quodvulteus visse poi nell'Italia meridionale e morì a Napoli nel 454. Forse va
§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 483

identificato con il diacono cartaginese dello stesso nome, dietro preghiere del
quale Agostino scrisse nel 428 il De haeresibus (Agostino, Ep. 221; 223 ). La sua
opera letteraria comprende, secondo l'edizione di R. Braun (a dire il vero non
priva di contestazioni), lo scritto catechetico Uber promz'ssionum et praedicto-
rum Dei (composto probabilmente tra il 445 e il 451). Si tratta di un progetto
d'istruzione catechetica, in una prospettiva di storia della salvezza, che mostra
una dipendenza dal De catechz'zandz's rudibus di Agostino. L'opera mette insieme
testi biblici che vengono messi in rapporto con Cristo, la Chiesa e la perfezione
cristiana. La produzione omeletica è rappresentata da 13 prediche, tramandate
in parte sotto il nome di Agostino: i tre libri De symbolo sermones fanno riferi-
mento alla traditz'o e redditio symboli nell'istruzione per i catecumeni. Altre pre-
diche respingono influssi di correnti ariane e giudaizzanti.
Bibliografia: R. BRAUN, Quodvultdeus, in DSp 12 (1986), 2882-2889.

13. Teologi della Gallia Meridionale

La Gallia meridionale, con i centri di Marsiglia e di Lerino (§ 72,6), diven-


ne nel V sec. una regione che acquisì una propria importanza teologica. Due te-
mi, l'ascesi e la discussione con la dottrina agostiniana della grazia, risultarono
dominanti nella sua produzione letteraria (cf anche § 57).

a) GIOVANNI CASSIANO
Opera: M. PETSCHENIG, t, 2 voli., 1886/1888 (CSEL 13; 17); K. KOHLHUND, trad. ted., 1879 (BKV).
Con!.: E. PICHERY, t trad. frane. e, 3 voll., 1955-1959 (SC 42; 54; 64); O. LARI, trad. it., 3 voli.,
Roma 1966.
Antologia: O. CHADWICK - C. LUIBHÉID, t trad. frane. e, 1965 (SC 109).
De inc. c. Nest.: L. DATTRINO, trad. it., 1991 (ColiTP 94).

Giovanni Cassiano (m. 435) venne considerato a Marsiglia, dal 415, come
personaggio di spicco per la vita ascetico-monastica. Nei suoi scritti Conlationes
Patrum e De institutis coenobiorum et de octo principalium vitiorum remediis egli
unisce la formazione classica, la propria esperienza monastica e la conoscenza
della spiritualità greca; grazie alle sue opere è divenuto un classico della lettera-
tura monastica (cf § 71 C 3). Il De incarnatione Domini contra Nestorium rap-
presenta un contributo alla questione cristologica. La XIII Conlatio (De protec-
tione Dei) discute con la dottrina agostiniana della grazia e venne considerata
come il manifesto del semipelagianesimo (cf § 57,2a).
Bibliografia: O. CHADWICK, fohn Cassian, Cambridge 19682 ; O. CHADWICK, Cassianus, in
TRE 7 (1981), 650-657; J.-C GUY, fean Cassien. Vie et doctrine spirituelle, Paris 1961; M. J. }EN-
NET, A Descriptive Presentation o/fohn Cassian And His Treatise on Prayer. The Relationship o/
Virtue And Prayer, Roma 1981.
484 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

b) PROSPERO
Opera omnia: PL 51.
Opera (Expos. Ps.; Lib. sent.): P. CALLENS - M. GASTALDO, t, 1972 (CChr.SL 68A).
Carmen de ingratis: T. HUEGELMEYER, t trad. ingl. e, Washington 1962.
De vocat. omn. gent.: P. DE LETTER, trad. ingl., 1952 (ACW 14).
Epist. ad Demetr.: K. C. KRABBE, t, Washington 1965.
Pseudo-Prospero, Carmen de prov. Dei: M. P. Mc HUGH, t trad. ingl. e, Washington 1964.

Tirone Prospero d'Aquitania (m. dopo il 455) visse in un monastero a Mar-


siglia e si trattenne per un certo tempo a Roma. Intervenne con più scritti a fa-
vore della dottrina agostiniana della grazia e si contrappose ai cosiddetti Massi-
lienses (Uber contra collatorem =Giovanni Cassiano). Nel trattato De vocatione
omnium gentium, che dopo lunga discussione viene ora attribuito a Prospero
(cf § 57 ,2), egli difende la volontà salvifica universale di Dio.
Bibliografia: C. BARTNIK, J;universalisme de l'histoire du salut dans le De vocatione omnium
gentium, in RHE 68 (1973), 731-758.

c) EUCHERIO DI LIONE
Opera: C. WOTKE, t, 1894 (CSEL 31).
De Laude eremi: S. PRICOCO, t, Catania 1965.
De cont. mundi: S. PRICOCO, t trad. it., 1990 (BPat 16).

Eucherio (m. 450/455) visse piuttosto a lungo a Lerino e divenne poi vesco-
vo di Lione. Gli scritti De laude eremi e De contemptu mundi appartengono alla
letteratura ascetico-monastica; le Formulae spiritalis intelligentiae e le Instructio-
nes ad Salonium sono delle introduzioni al lavoro esegetico e come tali hanno in-
fluenzato l'esegesi medievale. Con validi motivi gli viene attribuita anche la Pas-
sio Agaunensium martyrum, che racconta il martirio della «Legione Tebea».
Bibliografia: L. CRISTIANI, Eucher (saint), in DSp 4 (1961), 1653-1660; C. CURTI, Spiritalis in-
telligentia. Nota sulla dottrina esegetica di Eucherio di Lione, in A. M. Ritter (a cura di), Kerygma
und Logos (FS [scritti in onore di] C. Andresen), Géittingen 1978, 108-122.

d) SALVIANO DI MARSIGLIA
Opera: F. PAULY, t, 1883 (CSEL 9); G. LAGARRIGUE, t trad. frane. e, 2 voli., 1971-1975 (SC 176;
220); A. MAYER, t trad. ted., 1983 (BKV).
Adv. avarit.: E. MAROTTA, trd. it., e, 1977 (CollTP 10).
De gubern. Dei: E. M. SANFORD, trad. ingl., 1930, New York 1966.

Salviano (m. ca. 480), monaco a Lerino e poi a Marsiglia, si propose di pro-
muovere con i suoi scritti una riforma della Chiesa e della società: nel De gu-
bernatione Dei (ca. 440), egli rappresentò il flagello delle migrazioni barbariche
come giusta punizione del giudizio divino; nello scritto Ad ecclesiam (dopo il
§ 77. Teologia e letteratura greca dei secoli VI e VII 485

435) delineò il quadro ideale di una Chiesa per i poveri; sono da aggiungere no-
ve lettere di contenuto personale (l' Ep. IV giustifica la propria rinuncia al ma-
trimonio e alla vita familiare per la scelta dell'ascesi).
Bibliografia: J. BADEWIEN, Geschichtstheologie ùnd Sozialkritik im Werk Salvians von Mar-
seille, Gottingen 1980; N. BROX, Quis ille auctor? Pseudonymitiit und Anonymitiit bei Salvian, in
VigChr 40 (1986), 55-65; H. FISCHER, Die Schrift des Salvian von Marseille « An die Kirche ». Ei-
ne historisch-theologische Untersuchung, Bern/Frankfurt/M. 1976.

e) FAUSTO DI Rrnz
Eusebio Gallicano, Serm.: J. LEROY - F. GLORIE, t, 3 voli., 1970 (CChr.SL 101 B).

Fausto, dal 433 abate di Lerino e dal 458 vescovo di Riez (m. 490/495),
scrisse contro i macedoniani il suo De spiritu sancta, contro le dottrine agosti-
niane il De gratia, come anche un gran numero di prediche (per lo più traman-
date sotto altri nomi). Alla maniera tipica di Lerino si integrano e motivano re-
ciprocamente nella sua opera ascesi e teologia.
Bibliografia: M. SIMONETTI, Fausto di Riez e i macedoniani, in Aug 17 (1977), 333-354.

§ 77. Teologia e letteratura greca dei secoli VI e VII

La letteratura teologica della Chiesa greca è essenzialmente caratterizzata


dopo il 451 dall'atteggiamento assunto a Calcedonia. Gli scritti polemico-apo-
logetici si esauriscono spesso in raccolte e compendi di testi dei Padri prece-
denti. Le loro opere esegetiche vengono rielaborate nelle« catene» (cf § 74,1).
Analogamente si formano anche nel campo della produzione dogmatica ed
ascetica florilegi ed antologie. Un esempio famoso di florilegio dogmatico di
questo tempo è la Doctrina patrum de incarnatione Verbi (edita da F. Diekamp
nel 1907).
Il termine di chiusura della letteratura patristica viene fatto coincidere ge-
neralmente con Giovanni di Damasco (m. prima del 754). I confini con la bi-
zantinistica, che studia la storia e la letteratura dell'Impero bizantino (fino al-
la conquista di Costantinopoli da parte degli arabi nel 1453, cf § 1,5), sono
fluttuanti.
In occidente la letteratura greca viene ancora ricevuta solo attraverso traduzioni: cf. A. Sieg-
mund, Die Ùberlie/erung der griechisc,hen christlichen Literatur in der lateinischen Kirche bis zum
12. ]ahrhundert, Miinchen 1949; W Berschin, Griechisch-lateinisches Mittelalter. Von Hieronymus
bis Nikolaus von Kues, Bern/Miinchen 1980.
486 XI. Produzione letteraria nel!' epoca della Chiesa imperiale

1. Il Corpus Dionysiacum

CPG 6600-663 5.
Opera: PG 3; G; HEIL - A. M. RITTER - B. R. SUCHLA, t, 2 voll., Berlin 1990 (PTS 33; 36); C.
LUIBHÉID - P. ROREM et al., trad. ingl., New York 1987; M. DE GANDILLAC, trad. frane.
e, Paris 1943; P. SCAZZOSO - E. BELLINI, trad. it., Milano 1981.
De div. nom.; De myst. theol.: trad. ingl., Milwaukee 1980.
De myst. theol.; Epist.: A. M. RITTER, trad. ted. e, 1994 (BGrL 40).
De cael. hier.; De myst. theol.; Epist.: S. LILLA, trad. it., 1986 (CollTP 56).
De cael. hier.: R. RoQUES - G. HEIL- M. DE GANDILLAC, t trad. frane. e, 19702 (SC 58bis).
De ecci. hier.; De cael. hier.: G. HEIL, trad. ted. e, 1986 (BGrL 22).
De div. nom.: B. R. SUCHLA, trad. ted. e, 1988 (BGrL 26).

Il più importante e autorevole gruppo di scritti del tempo porta il nome di


Dionigi Areopagita (At 17,34). Ne fanno parte quattro trattati: De divinis nomi-
nibus, De mystica theologia, De caelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia, co-
me anche 10 lettere. Gli scritti presuppongono il neoplatonismo di Proclo (m.
nel 485). L'autore rinuncia infatti a discussioni polemiche con monofisiti o duo-
fisiti, ma consente di riconoscere la discussione teologica del V sec. Le norme li-
turgiche sono probabilmente basate sul rito siriaco, nella forma in cui questo è
noto dal IV sec. Gli scritti, quindi, debbono essere stati redatti attorno al 500.
Risultano utilizzati senza dubbio per la prima volta dal patriarca monofisita Se-
vero d'Antiochia tra il 510 o dal 518 al 528. Tutti i tentativi d'identificare l'i-
gnoto autore sono finora falliti.
Lo Pseudo-Dionigi sostiene una teologia platonico-mistica, a fondamento
della quale c'è l'idea secondo cui ogni essere dotato di ragione procede da Dio
e a lui ritorna. Dio è per lui, in quanto essere assolutamente trascendente, con-
temporaneamente eguale a se stesso e diverso, al di là di ogni essere (i>nEpoucnoç),
e in quanto «oscuro», inconoscibile e ineffabile. Creazione e incarnazione di
Cristo avvengono attraverso una mediazione di gerarchie celesti (tre triadi dico-
ri angelici); analogamente anche l'innalzamento dell'uomo all'Uomo Gesù Cri-
sto e ulteriormente all'assimilazione e all'unione con Dio è reso possibile solo at-
traverso la mediazione della gerarchia umana, ecclesiastica (due triadi di gruppi
sociali) e celeste. Una cristologia poco chiara può avere il suo motivo nel carat-
tere irenico dell'autore o anche nelle sue premesse filosofiche. Comunque, essa
viene utilizzata allo stesso modo da ortodossi e monofisiti. Con la sua dottrina,
che suscita l'impressione di una grande organicità, ma non riesce ad evitare pun-
ti deboli, lo Pseudo-Dionigi volle rappresentare il cristianesimo come vera sag-
gezza che sotto ogni punto di vista poteva sostituire la filosofia greca.

L'opera dell'ignoto mistagogo ebbe una vastissima influenza, specialmente in occidente, do-
po che Ilduino di S. Denis (827-835) e Giovanni Scoto Eriugena (852) l'ebbero tradotta in latino.
Ilduino identificò l'autore con il leggendario primo vescovo e martire di Parigi Dionigi (§ 89,4).
§ 77. Teologia e letteratura greca dei secoli VI e VII 487

Attraverso Eriugena egli esercitò la sua influenza anche sui vittorini, su Alberto Magno e su Tom-
maso d'Aquino, come anche sui mistici medievali.

Bibliografia: B. BRONS, Gott und die Seienden. Untersuchungen zum Verhiiltnis van neoplato-
nischer Metaphysik und christlicher Tradition bei Dionysius Areopagita, Gottingen 1976; A.
LOUTH, Denys the Areopagite, London 1989; G. O'DALY, Dionysius Areopagita, in TRE 8 (1981),
772-780; R. ROQUES, I.:univers dionysien. Structure hiérarchique du monde selon le Pseudo-Denys,
Paris 1954, rist. 1983; P. ROREM, Biblica! And Liturgica! Symbols Within the Pseudo-Dionysian
Synthesis, Toronto 1984.
Cf le ampie bibliografie in BGrL 22; 26; 40.

2. Severo d'Antiochia

CPG 7022-7080.
Scritti contro Giuliano d' Alicarnasso: R. HESPEL, t trad. frane., 4 voli., 1964-1971 (CSCO 244ss.;
295ss.; 301ss.; 318ss.)
Inni: E. W. BROOKS, t trad. ingl., 2 voli., 1909-19q (PO 6,1; 7,5).
Philalethes: R. HESPEL, t trad. frane., 1952 (CSCO 133ss.).
Orat. ad N ephalium; Severi ac Sergii Grammatici epp. mutuae: J. LEBON, t tra d. frane., 194 9 (esco
119ss.).
Contra impium grammaticum:J. LEBON, t trad. frane., 2 voli., 1929-1938, 19522 (CSCO 93ss.; lOlss.;
lllss.)
Epist.: E. W. BROOKS, t trad. ingl., 1902-1904, London 19692 ; E. W. BROOKS, t trad. ingl., 2 voli.,
1915-1920 (PO 12,2; 14,1).
Anaphora: H. G. CODRINGTON, t, Roma 1939.
Hom. Cathedr.: R. DUVAL et al., t, div. voli., 1906-1977 (PO 4,38).
(cf §§ 58-60 [cristologia]).

Il patriarca antiocheno Severo, battezzato nel 488 ca., vescovo d'Antiochia


dal 512 (m. 538), viene considerato come il portavoce degli avversari monofisi-
ti del concilio di Calcedonia, di cui egli rifiutò come nestoriana la formulazione
«in due nature» (cf § 58,3). La sua teologia si basa su quella di Cirillo d' Ales-
sandria, così come si esprime nella formula di una natura e nei dodici anatema-
tismi. Deposto nel 518, egli trovò rifugio in un monastero in Egitto. Dopo i di-
battiti religiosi di Costantinopoli (cf § 58,3) egli venne nuovamente condannato
nel 536. Le sue opere si conservano per lo più in lingua siriaca.
Scrisse numerose opere di carattere dogmatico-polemico, complessivamen-
te contro i seguaci del concilio di Calcedonia. Vanno qui menzionati, partico-
larmente, i trattati contro Nefalio (ca. 508) e Giovanni Grammatico di Cesarea
(ca. 515); il Liber contra impium grammaticum (cioè Giovanni Grammatico) e la
sua cristologia neo-calcedoniana contiene nello stile tipico del tempo e nella for-
ma caratteristica per il tradizionalismo di Severo, 1250 citazioni di Padri. D'al-
tra parte egli discusse anche con avversari presenti all'interno della sua fazione
tra i monofisiti radicali, e quindi con Giuliano d' Alicarnasso (cf § 58,3) e con
488 XI. Produzione letteraria nel!' epoca della Chiesa imperiale

l' apollinarista Sergio Grammatico. Severo scrisse inoltre 125 cosiddette « ome-
lie della cattedra», importanti per la storia della liturgia. Oltre a un ampio epi-
stolario si attribuiscono alla sua penna anche inni e preghiere.

Bibliografia: J. GRIBOMONT, La catéchèse de Sévère d'Antioche et le Credo, in ParOr 6/7 (1975/


1976), 125-158.

3. Massimo il Confessore

CPG 7688-7721
Opera omnia: PG 90-91; antologia: G. BERTHOLD, trad. ingl., New York 1985.
Quaestiones ad Thalassium: C. LAGA- C. STEEL, t, 2 voli., 1980/1990 (CChr.SG 7; 22); J.-C LAR.
CHET- E. PONSOYE, trad. frane., Suresnes 1992.
Opuscula theol. et polem.: A. CERESA-GASTALDO, trad. it., 1985 (CollTP 50).
Opuscula exegetica: P. VAN DEUN, t, 1991 (CChr.SG 23); A. CERESA-GASTALDO, trad. it. e, 1979
(CollTP 19).
Liber asc.. ; Capit. de carit.: P. SHERWOOD, trad. ingl. e, 1955 (ACW 21).
Capit. de carit.: A. CERESA-GASTALDO, t trad. it. e, Roma 1963; J. PÉGON, trad. frane. e, 1945 (SC9).
Quaestiones et dubia; J. H. DECLERCK, t, 1982 (CChr.SG 10).
Ambigua ad Ioannem: E. JEAUNEAU, t, 1988 (CChr.SG 18); J.-C. LARCHET et al., trad. frane. e, Pa-
ris 1994.
Mystagogia: J. STEAD, trad. ingl. e, Stili River/Mass. 1982.
(Cf § 60,2 [monotelismo]).

Massimo il Confessore (ca. 580-662), prima alto funzionario statale, diven-


ne monaco nel 613/614 e dal 640 ca. combatté energicamente il monofisismo e
il monotelismo (cf § 60,2, dove si danno altre notizie biografiche). La sua ampia
opera è in parte dedicata a discussioni dogmatiche (Capita theologica et oecono-
mica; Opuscula theologica et polemica; Disputatio cum Pyrrho, ecc.); sono da ag-
giungere scritti esegetici, commenti (scholia) a Gregorio di Nissa e Dionigi
Areopagita. Le sue opere di carattere ascetico-mistico (Liber asceticus, 400 Ca-
pita de caritate, 200 Capita gnostica ecc.) costituiscono un compendio di teolo-
gia spirituale che è basato su Origene, Evagrio, Gregorio di Nissa e Pseudo-Dio-
nigi, con l'intento di offrirne una sintesi. L'opera ha esercitato un durevole in-
flusso sulla teologia sia greca che latina.

Bibliografia: H. U. VoN BALTHASAR, Kosmische Liturgie. Das Weltbild Maximus' des Beken-
ners, Einsiedeln 1961 2 ; G. BAUSENHART, «In allem uns gleich aufler der Sunde ». Studien zum Bei-
trag Maximus' des Bekenners zu a!tkirchilichen Christologie; Mainz 1992; P. M. BLOWERS, Exege-
sis And Spiritual Pedagogy in Maximus the Confessar. An Investigation of the Quaestiones ad Tha-
lassium, Notre Dame/Indiana 1991; M. L. GATTI, Massimo il Confessore. Saggio di bibliografia ge-
nerale ragionata e contributi per una ricostruzione scientifica del suo pensiero metafisico e religioso,
Milano 1987; F. HEINZER - C. DE ScHòNBORN (a cura di), Maximus Confessar. Actes du Sympo-
sium sur Maxime le Confesseur. Fribourg 2.-5. septembre 1980, Freiburg/Schw. 1982;V. KARAYAN-
§ 77. Teologia e letteratura greca dei secoli VI e VII 489

NIS, Maxime le Confesseur. Essence et énergies de Dieu, Paris 1993; P. PIRET, Le Christ et la Trinité
selon Maxime le Confesseur, Paris 1983; L. THUNBERG, Man And the Cosmos. The Vision of St.
Maximus the Confessar, New York 1985; C. DE VOCHT, Maximus Confessar, in TRE 22 (1992),
298-304.

4. Romano « il Melode »

CPG 7570.
Inni: J. GROSDIDIER DE MATONS, t trad. frane. e, 4 voli., 1964-1981 (SC 99; 110; 114; 128; 283);
R. ScoGNAMIGLIO, t, Bari 1985; G. H. BULTMANN, Romanos der Melode. Festgeslinge, trad.
ted., Ziirich 1960; G. GHARIB, trad. it. e, 1981.
Hymn. de resurr.: R. R. KHAWAM, trad. frane. Paris 1956.
Cantica: P. MAAS - C. A. TRYPANIS, t, 2 voli., Oxford/Berlin 1963/1970.
Encomio di Giuseppe: J. H. BARKHUIZEN, Portrait of an Athlete, t trad. ingl. e, in JOB 40 (1990),
91-106.

Tra i poeti del tempo va segnalato specialmente Romano il Melode (o il Can-


tore), m. tra il 555 e il 565. Nato ad Emesa (Siria), prima del 518 andò come dia-
cono a Costantinopoli. Il «Pindaro cristiano» ha lasciato un gran numero di
«inni» di contenuto biblico, liturgico e agiografico (cosiddette kontakien, pre-
diche metriche).

Bibliografia: M. ARRANZ, Romanos le Melode, in DSp 13 (1988), 898-908.

5. Giovanni di Damasco

CPG 8040-8127.
Opera: B. KOTTER, t, 5 voli., 1969-1988 (PTS 7; 12; 17; 22; 29); H. F. CHASE, trad. ingl., 1959
(FaCh 37).
Ekth. de fide orth.: E. M. BUYTAERT, t lat., Louvain/Paderborn 1955; L. SADNIK, t gr., trad. in
slavo eccles. e in ted., 4 voli., Freiburg 1967-1983; D. STIEFENHOFER, trad. ted., 1923 (BKV).
Frammenti di Padri della Chiesa preniceni dai Sacra Parallela: K. HOLL, t, 1899 (TU 20,2).
Capit. philos.: G. R.!CHTER, trad. ted. e, 1982 (BGrL 15).
Omelie (crist.; marian.). M. SPINELLI trad. it. e, 1980 (ColiTP 25).
De fide c. Nestorian.: F. DIEKAMP, t, in ThQ 83 (1901), 555-595.
Hom. de nativ. et de dorm.: P. VOULET, t trad. frane. e, 1962 (SC 80).
Dia!.: O. A. COLLIGAN, trad. lat., Paderborn 1953.

F. R. GAHBAUER, Der Osterkanon des ]ohannes Damaskos, t trad. e, in« Studien und Mitteilungen
zur Geschichte des Benediktinerordens und seiner Zweige » 106 (1995, 1-13 3.

Il più importante teologo dell'epoca è Giovanni di Damasco, che viene con-


siderato come l'ultimo Padre della Chiesa greca. Nato dopo il 650 (ca. 675?) a
Damasco, fu all'inizio probabilmente a servizio del califfo, poi divenne monaco
490 XI. Produzione letteraria nell'epoca della Chiesa imperiale

presso Gerusalemme, infine sacerdote a Gerusalemme e morì attorno al 750. Di


lui si conosce una produzione letteraria ampia e di vario contenuto, che ha so-
prattutto carattere compilatorio, ma è egualmente diventata un compendio di
notevole valore della teologia greca. L'opera principale è la «Fonte della cono-
scenza» (mwTi yvrocrnoç) in tre parti: Dialectica, una propedeutica filosofica-ter-
minologica alla teologia; De haeresibus, una sintetica storia delle eresie; Expositio
ftdei (De fide orthodoxa), un'esposizione delle principali verità dogmatiche. Ac-
canto a questa grossa opera vi sono scritti dogmatici e polemici minori, numero-
se omelie di contenuto biblico, spirituale (per es. sulla Trasfigurazione di Cristo),
mariologico e agiografico, ed anche componimenti poetici. Con le sue tre Ora-
tiones de imaginibus (composte negli anni 726-730) egli intervenne nella contesa
per l'iconolatria e formulò gli argomenti teologici per un culto delle immagini
(§ 92). Alle opere incerte appartengono, tra l'altro, i Sacra Parallela, una raccolta
di testi biblici e patristici su morale e ascesi, ed anche il romanzo di Barlaam e
Joasaph [costruito su leggende indiane bhuddiste: Joasaph, figlio di un re india-
no, viene convertito al cristianesimo da un eremita di nome Barlaam, n.d.t.].
Bibliografia: F. R. GAHBAUER, Die Anthropologie des ]ohannes von Damaskos, in ThPh 69
(1994), 1-21; S. GERO, Byzantine Iconoclasm During the Reign o/ Constantine V, Louvain 1977;
B. KOTTER, ]ohannes von Damaskus, in TRE 17 (1988), 127-132; H. G. THOMMEL, Die Fruhge-
schichte der ostkirchlichen Bilderlehre, Berlin 1992.

6. Spiritualità e ascesi

La teologia ascetica/mistica trovò nei monasteri bizantini un'attenzione par-


ticolare. Impulsi e incoraggiamenti furono offerti da tutta una serie di scrittori
ecclesiastici.
Bibliografia: M. VILLER- K. RAHNER, Aszese und Mystik in der Viiterzeit, Freiburg 1939, rist.
1989.

a) BARSANUFIO E GIOVANNI
CPG7350
Quaestiones et responsiones: D. J. CHITTY, t trad. ingl., 1966 (PO 31).
Barsanufio: F. T. LOVATO, trad. it. e, 1991 (CollTP 93).
Barsanufio, Giovanni, Doroteo, antologia: L. REGNAULT, t trad. frane., Solesmes 1967.

I due monaci (prima del 550) vissero come reclusi in un monastero presso
Gaza. Ad essi, ritenuti autorità spirituali, si richiedevano consigli per lettera so-
prattutto da parte di monaci, ma anche da laici. Sono rimaste ca. 850 lettere,
scritte nella responsabilità di una paternità spirituale, che offrono una direzione
spirituale individuale e una guida per una vita spirituale. L'epistolario registra
§ 77. Teologia e letteratura greca dei secoli VI e VII 491

anche, come in un repertorio, le domande rivolte. Nacque così una specie di


Apophthegmata Patrum in forma scritta.
Bibliografia: I. HAUSHERR, Barsanuphe, in DSp 1 (1937), 1255-1262.

b) DOROTEO DI GAZA
CPG 7352-7360.
Opera: T. REGNAULT- J. DE PRÉVILLE, t trad. frane., 1963 (SC 92); E. P. WHEELER, trad. ingl., Ka-
lamazoo 1977; M. PAPAROZZI, trad. it. e, 1979 (ColITP 21); L. CREMASCHI, trad. it. e, Roma
1980.

Il discepolo di Barsanufio e Giovanni, abate di un monastero presso Gaza


(m. 560/580), lasciò conferenze dottrinarie (Doctrinae) sulla vita monastica, let-
tere e una raccolta di detti.

Bibliografia: J. M. SZYMUSIAK- J. LEROY, S. Dorothée, in DSp 3 (1957), 1651-1664.

c) GIOVANNI Mosco
Prat. spir.: M.J. ROUET DEJOURNEL,trad. frane. e, 19602 (SC 12), R. MAISANO, trad. it. e, Na-
poli 1982.

Giovanni Mosco, nato verso la metà del VI sec., fu monaco a Gerusalemme,


in Egitto, sul Sinai e in Antiochia; nel 614 si recò a Roma e morì nel 619; scris-
se il Pratum spirituale («prato spirituale»), una raccolta di 300 storie (discorsi e
fatti edificanti) di famosi asceti.

Bibliografia: E. MIONI,Jean Moschus, in DSp 8 (1974), 632-640; P. PATTENDEN,Johannes Mo-


schus (ca. 550-ca. 634), in TRE 17 (1988), 140-144.

d) GIOVANNI CLIMACO
CPG 7850-7853.
Opera: PG 88; C. LUIBHÉID - N. RUSSELL, trad. ingl. e, New York 1982; L. MOORE, trad. ingl.,
London 1959; P. DESEILLE, trad. frane., Bégrolle-en-Mauges 1978; C. RIGGI, trad. it. e, 1989
(CollTP 80).

Giovanni Climaco, monaco sul Sinai (m. 649), scrisse una «Scala del Para-
diso» (Scala Paradisi): in 30 capitoli, che debbono rappresentare i gradini della
scala, vengono registrati i vizi che il monaco deve evitare e le virtù che egli deve
acquisire per poter salire fino alla sua meta, cioè l'amore per Dio nella quiete in-
teriore ed esteriore.
Bibliografia: G. COUILLEAU, S. Jean Climaque, in DSp 8 (1974), 369-390.
492 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

§ 78. Teologia e letteratura latina dei secoli VI e VII

La letteratura latina mostra nel V e nel VI sec. caratteristiche simili a quel-


le della letteratura greca. La maggior parte del lavoro teologico-letterario con-
siste nel raccogliere, custodire e trasmettere: Lector non nostra leget, sed vete-
rum releget, quod ego loquor illi dicunt, vox mea lingua ipsorum («Il lettore
non legge cose mie, ma rilegge quelle degli antichi; ciò che io dico è ciò che
essi dicono, la mia voce è la loro lingua»; Isidoro di Siviglia, Quaest. Vet. Te-
st.. praef 5). Per quanto riguarda il contenuto questa letteratura riprende le
discussioni teologiche dell'oriente e fa spesso riferimento all'opposizione
contro la politica religiosa imperiale. Essa rispecchia il tentativo di trovare un
modus vivendi con le popolazioni germaniche, di appartenenza ampiamente
ariana. Molte controversie religiose hanno come oggetto la propria afferma-
zione confessionale.

1. Autori nordafricani

a) FULGENZIO DI RUSPE
Opera: J. FRAIPONT, t, 2 voli., 1968 (CChr.SL 91/A); antologia: L. KOZELKA, trad. ted. 1934 (BKV).
Psalmus abecedarius contra Arianos: A. ISOLA, t trad. it. e, 1983 (CorPatr 9).
De remiss. pece.: M. G. BIANCO, trad. it. e, 1986 (CollTP 57).

Fulgenzio, prima monaco, poi vescovo di Ruspe (467-532 o 527), difese la


confessione di fede cattolica in Dio uno e trino e nelle due nature in Cristo con-
tro i vandali ariani (Contra Arz'anos liber unus; Ad Trasamundum libri III, ecc.).
Negli anni 508-515 venne mandato in esilio in Sardegna dal re dei vandali Tra-
samondo, e poi di nuovo dal 517 al 523. Contro il semipelagianismo continuò a
difendere la dottrina agostiniana della grazia (Contra Faustum libri VII, ecc.; cf
§ 57,2). Nello scritto De fide egli cerca di presentare sistematicamente le verità
di fede e rappresenta così un primo precursore della teologia scolastica med~e­
vale. Si conservano di lui anche prediche e lettere. Nelle controversie teologiche
del medioevo Fulgenzio viene citato volentieri come autorità.

Bibliografia: B. BALDUIN, Fulgentius And His Sources, in Tr. 44 (1988), 37-57; R. J. H. COL-
LINS, Fulgentius von Ruspe, in TRE 11 (1983), 723-727; H. J. DIESNER, Fulgentius von Ruspe als
Theologe und Kirchenpolitiker, Stuttgart 1966; P. LANGLOIS, Fulgentius, in RAC 8 (1972), 632-
661; C. MICAELLI, Osservazioni sulla cristologia di Fulgenzio di Ruspe, in Aug. 25 (1985), 343-360;
S. T. STEVENS, The Circle o/ Bishop Fulgentius, in Tr. 38 (1982), 327-341.
§ 78. Teologia e letteratura latina dei secoli VI e VII 493

b) FERRANDO DI CARTAGINE
Epist.: J. FRAIPONT, t, 1968 (CChr.SL 91).
Breviatio canonum: C. MUNIER, t, 1974 (CChr.SL 149).
Vita Fulg.: G. G. LAPEYRE, t trad. frane., Paris 1929; L. KOZELKA, trad. ted. 1934 (BKV); A. Iso-
LA, trad. it., 1987 (CollTP 65).

Il biografo di Fulgenzio (m. 546/547) fu soprattutto un canonista; la sua Bre-


viatio canonum si colloca all'inizio dello sviluppo di un diritto canonico siste-
matico in occidente. In una serie di lettere egli espresse il proprio giudizio sulla
controversia dei Tre Capitoli e sul teopaschismo (cf § 59,2).

Bibliografia: cf CChr.SL 91.

c) FACONDO DI ERMIANE
Opera omnia: J.-M. CLEMENT - R. VANDER PLAETSE, t, 1974 (CChr.SL 90 A).

Il vescovo di Ermiane (m. dopo il 571) intervenne a difesa dei Tre Capitoli
(§ 59,4): lo scritto Pro defensione trium capitulorum libri XII contiene numero-
si frammenti in latino di Teodoro di Mopsuestia, Diodoro ed Iba di Edessa.

Bibliografia: V. MONACHINO, Uno Speculum principum in Facondo di Ermiane, in W. Baum


(a cura di), Kirche und Staat (FS [scritti in onore di] F. Maass), Wien 1973, 55-80.

d) PRIMASIO
Comm. in Apoc.: A. W. AoAMS, t, 1985 (CChr.SL 92).

Il vescovo di Adrumeto (m. dopo il 552) fu uno dei pochi nordafricani che
aderirono alla condanna dei Tre Capitoli. Egli scrisse un commentario all' Apo-
calisse che dipende da quello di Ticonio.
Bibliografia: M. DULAEY, Primasius, in DSp 12 (1986), 2351-2353.

2. Autori italici

a) ENNODIO
Opera: W HARTEL, t. 1882 (CSEL 6); F. VOGEL, t, Berlin 1885 (MGH.AA 7).
Vita Epiphanii: M. CESA, te, Como 1988; G. M. COOK, t trad. ingl. e, Washington 1942.

Magno Felice Ennodio divenne nel 513 vescovo di Pavia, fu nel 515 e nel
517 legato del papa a Costantinopoli, morì nel 521. Dotato di formazione reto-
rica, cercò di unire le forme dell'antica letteratura classica con elementi cristia-
494 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

ni. Della sua vasta produzione letteraria sono da ricordare: 297 lettere, vite di
santi, discorsi e poesie. l}Eucharisticum de vita sua è un'autobiografia (a imita-
zione delle Con/essiones di Agostino). La Paraenesis didascalica mostra in una
specie di programma scolastico la necessità della formazione classica.
Bibliografia: B. NAEF, Das Zeitbewu/Stsein des Ennodius und der Untergang Roms, in Hist. 39
(1990), 100-123; B. MAROTTA MANNINO, La Vita Antoni di Ennodio fra tradizione classica e cri~
stiana, in «Orpheus» 10 (1989), 335-357.

b) ARATORE
Hist. apost.: A. P. Mc KrNLEY, t, 1951 (CSEL 72); R. J. SCHRADER et al., t trad. ingl., Atlanta 1987.

Aratore (m. ca. 550) soggiornò da giovane presso Ennodio, lavorò poi a ser-
vizio dello Stato e infine divenne suddiacono a Roma. Scrisse il poema De acti-
bus Apostolorum (2326 esametri), che nel 544 recitò pubblicamente in quattro
giorni nella chiesa romana di S.Pietro in Vincoli.
Bibliografia: P. ANGELUCCI, La tecnica poetica di Aratore, Roma 1990; R. HILLIER, Arator on
the Acts o/ the Apostles. A Baptismal Commentary, Oxford 1993;}. SCHWIND, Arator-Studien. Un-
tersuchungen zur Antike un zu ihrem Nachleben, Gottingen 1990.

c) DIONIGI IL PICCOLO (EXIGUUS)


Opera: PL 67.
Praefationes: F. GLORIE, t, 1972 (CChr.SL 85).
Vita Pachomii lat.: H. VAN CRANENBURGH, t greco-lat., Bruxelles 1969 (SHG 46).

Monaco proveniente dall'oriente [Schytia minor, Dobrugia], visse a Roma


dal 497 e morì attorno al 550. Fu impegnato nella traduzione di opere greche
(per es. la Vita Pachomii, il De hominis opificio di Gregorio di Nissa, testi di Ci-
rillo d'Alessandria e di teologi orientali contemporanei) e fu intermediario nel-
la controversia teopaschita tra oriente e occidente (cf § 59,2). D'importanza fon-
damentale furono la sua raccolta di documenti canonici (Collectio Dionysiana;
cf § 64,3) e i suoi computi per la festa di Pasqua (Liber de paschate): egli equi-
parò il calendario romano all'alessandrino, stabilì la nascita di Cristo al 25 di-
cembre 754 ab urbe condita, con un errore di calcolo di circa 4-7 anni, e diven-
ne così il fondatore della cronologia cristiana (cf § 68,3 ).
Bibliografia: W. M. PEITZ - H. FOERSTER, Dionysius Exiguus-Studien. Neue Wege der philo-
logischen und historischen Text- und Quellenkritik, Berlin 1960.

d) BOEZIO
Opera omnia: PL 63-64.
De cons. philos.: W. WEINBERGER, t, 2 voli., 1934 (CSEL 67; 78); L. BIELER, t, 19842 (CChr.SL 94);
K. BUECHNER, t, Heidelberg 1977 9; W. GOTHEIN, t trad. ted., Ziirich 1949; E. GEGENSCHATZ-
§ 78. Teologia e letteratura latina dei secoli VI e VII 495

O. GIGON, t trad. ted., Ziirich 1990; R. GREEN, trad. ingl. c, New York 1962; L. 0BERTELLO,
trad. it., Milano 1979.
In Porph. isag. comm.: S. BRANDT, t, 1906 (CSEL 48).
Opusc. theol.; Cons. philos.: H. F. STEWART et al., t trad. ingl., London ecc. 1973 9 (LCL).
Opusc. theol.: M. ELSASSER, t trad. ted., Hamburg 1988; E. RAPISARDA, t trad. it., Catania 1960.
De inst. mus.: C. M. BOWER - C. V. PALISCA, trad. ingl. c, New Haven/Conn. 1989.
De inst. arithm.: M. MASI, trad. ingl. c, Amsterdam 1983.

Anicio Manlio Severino Boezio (ca. 480-524 o 526?), di antica famiglia nobi-
le romana, entrò dopo un'eccellente educazione a servizio dello Stato ostrogoto e
salì fino alla carica di Magister o/ficiorum. Nel 524 divenne vittima delle tensioni
tra ostrogoti e Bisanzio dopo la fine dello scisma acaciano (cf per questo § 58,2);
Teodorico il Grande lo mise in prigione con l'accusa di aver preso parte a una
congiura contro il re ostrogoto e lo fece giustiziare a Pavia. Boezio viene conside-
rato come l' «ultimo romano» ed è tra i più autorevoli maestri del medioevo. Del
suo progetto di tradurre e commentare Aristotele e Platone poté realizzare solo
una piccola parte (per es. le Categorie di Aristotele; l'Isagoge di Porfirio). Trattò la
logica aristotelica in diversi scritti autonomi. De institutione arithmetica e De in-
stitutione musica, traduzioni o rielaborazioni di Nicomaco di Gerasa (I sec. d.C),
furono fondamentali per l'aritmetica e la teoria musicale del medioevo. Negli
Opuscula sacra è raccolta tutta una serie di scritti teologici minori. l;opera più fa-
mosa è il De consolatione philosophiae, che egli scrisse in prigione: si tratta di un
dialogo fittizio con la Filosofia (mulier reverendi admodum vultus), che gli offre
conforto invitandolo a togliere lo sguardo dai beni apparenti e fallaci di questo
mondo e a rivolgerlo ai veri beni, alla conoscenza di Dio e della sua providentia.
Bibliografia: M. BALTES, Gott, Welt, Mensch in der Consolatio philosophiae des Boethius. Die
Consolatio philosophiae als ein Dokument platonischer und neuplatonischer Philosophie, in VigChr 34
(1980), 313-340; R. BEINHAUER, Untersuchungen zu philosophisch-theologischen Termini in De trini-
tate des Boethius, Wien 1990; H. CHADWICK, Boethius. The Consolations o/ Music, Logie, Theology
And Philosophy, Oxford 1981; P. COURCELLE, La Consolation de Philosophie dans la tradition litté-
raire. Antécedents et postérité de Boèce, Paris 1967; M. FUHRMANN -J. GRUBER (a cura di), Boethius,
Darmstadt 1984; S. LERER, Boethius And Dialogue. Literary Method in the Consolation o/ Philosophy,
Princeton 1985; M. Lurz-BACHMANN, Natur und Person in den Opuscula Sacra des A. M. S. Boethius,
in ThPh 58 (1983), 48-70; J. MAGEE, Boethius on Signi/ication And Mind, Leiden ecc. 1989; L. OBER-
TELLO, Severino Boezio, 2 voli., Genova 1974; L. POZZI, Boethius, in TRE 7 (1981), 18-28.

e) CASSIODORO
Opera: A. J. FRIDH - J. W. HALPORN - M. ADRIAEN, t, finora 3 voli. (Expos. Psalm.; Var.; Aniin.),
1958-1973 (CChr.SL 96-98).
De anima: L. HELBLING, trad. ted. Einsiedeln 1965.
Expos. Psalm.: P. G. WALSH, trad. ingl. c, 3 voli., 1990/1991(ACW51-53).
Epist.: T. HODGKINS, trad. ingl., London 1886.
Institutiones: R. A. B. MYNORS, t, 1937, Oxford 196!2; L. W. }ONES, trad. ingl., New York 1966.
(Cf § 4).
496 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (485/490-ca. 580) servì il regno ostro-


goto nei più alti uffici dello Stato, fino a quando nel 537 /538 si ritirò dal servizio
pubblico. Dopo il 550 fondò nella sua terra natia, in Calabria, il monastero di Vi-
vario (presso Squillace). Come vir religiosus visse qui per la scienza. Dalla sua at-
tività ufficiale hanno origine le Variae (epistulae), una raccolta di scritti ufficiali e
formulari che egli mise insieme come modelli per i suoi successori, uno scopo che
però sarebbe stato raggiunto soltanto nel medioevo. Frutto della sua attività pub-
blica e dei suoi sforzi per un'unione tra romani e germani è anche la sua Storia
dei Goti (che ci è giunta solo attraverso la rielaborazione e l'integrazione di Gior-
dane nel 551; cf § 4,3). Come testimonianza della sua conversione viene consi-
derato il breve scritto De anima, che più tardi venne aggiunto alle Variae.
A vivario Cassiodoro pensò a una ricca biblioteca, e a tale scopo fece tra-
durre in latino molte opere greche. Della sua produzione letteraria sono dari-
cordare, oltre alla Historia tripartita (§ 4,3 ), le Institutiones divinarum et huma-
narum rerum (un'introduzione alle scienze spirituali e profane) e il suo com-
mento ai' Salmi (che insieme alle Enarrationes in Psalmos di Agostino rappre-
senta l'unico commeno latino completo ai Salmi che ci sia giunto dal tempo dei
Padri); il commento di Cassiodoro, pur rimanendo saldamente nella traditio
maiorum, nella auctoritas patrum, è tuttavia un'opera originale. Accanto alle In-
stitutiones anche l'Expositio Psalmorum rappresenta un'introduzione agli ele-
menti fondamentali della scienza cristiana. Cassiodoro è tra i più autorevoli
maestri del medioevo.
Bibliografia: S. J. B. BARNISH, The Work o/ Cassiodorus After His Conversion, in « Latomus »
48 (1989), 157-187; A. FRIDH, Cassiodor, in TRE 7 /1981), 657-663; R. MAC PHERSON, Rame
in Involution. Cassiodorus' Variae in Their Literary And Historical Setting, Poznan 1989;
J. J. O'DONNELL, Cassiodorus, Berkeley 1979; R. SCHLIEBEN, Christliche Theologie und Phzlologie
in der Spiitantike. Die schulwissenschaftlichen Methoden der Psalmenexegese Cassiodoro, Berlin/
New York 1974.

3. Autori gallici

a) CESARIO DI ARLEs
Opera omnia: G. MORIN, t, Maredsous 1937-1942.
Serm.: G. MORIN, t, 2 voll., 1953 (CChr.SL 103/104); M. J. DELAGE, t trad. frane. e, 3 voll., 1971-
1986 (SC 175; 243; 330); M. M. MUELLER, trad. ingl., 2 voll., 1956/1964 (FaCh 31); 47).
Opera monastica: J. CoURREAU -A. DE VoGOÉ, t, trad. frane. e, 2 voli., 1988/1994 (SC 345; 398),
Vita; Testamentum; Epist.: W. KLINGSHIRN, trad. ingl., Liverpool 1994.

Cesario (ca. 470-542) fu monaco.a Lerino, poi sacerdote ed abate ad Arles,


di cui divenne vescovo dal 502. Le tensioni politiche tra goti, franchi e burgun-
di resero inquieto il suo lungo episcopato. All'interno della Chiesa pose fine al-
§ 78. Teologia e letteratura latina dei secoli VI e VII 497

le discussioni sulla dottrina agostiniana della grazia (concilio di Orange del 529;
cf § 57,2e) e s'impegnò come zelante pastore d'anime e riformatore della vita
monastica ed ecclesiastica (sinodi). L'opera letteraria è costituita essenzialmente
dai sermoni (238, alcuni di discutibile autenticità). Essi rivelano una buona for-
mazione retorica, tengono conto comunque della capacità di comprensione del-
le sue comunità, sono brevi e risultano chiaramente e interamente ispirati alla
prassi cristiana. Accanto ad altri scritti minori deve essere ricordata la regola per
le monache (Regula ad virgines), la regola più antica per monache, che attraver-
sò più fasi di redazione e venne pubblicata nel 534. Chiaramente dipendente da
questa regola è quella scritta subito dopo per i monaci (Regula monachorum).

Bibliografia: R. J. H. COLLINS, Caesarius von Arles, in TRE 7 (1981), 531-536; W. KLING·


SHIRN, Caesarius o/ Arles, Cambridge 1994.

b) SIDONIO APOLLINARE
Opera: C. LUETHJOHANN, t, 1887 (MGH.AA 8); W. B. ANDERSON, t trad. ingl., 2 voli., London
1965; A. LOYEN, t trad. frane., Paris 1960-1970.
Carm. 14-15: G. RAVENNA, t trad. it., Bologna 1990.

Sidonio Apollinare (431/432-ca. 480/490) appartenne all'aristocrazia gallo-


romana e divenne nel 471 vescovo di Clermont-Ferrand. Come poeta (24 Car-
mina) scrisse completamente nella tradizione classica, in cui s'inserisce anche il
suo ampio epistolario.

Bibliografia: P. ROUSSEAU, In Search o/ Sidonius the Bz'shop, in Hist. 25 (1976), 356-377.

c) AVITO DI VIENNE
Opera: R. PEIPER, t, 1883 (MGH.AA 6,2).
De originali peccato; De sententia Dei: D. J. NODES, te, Toronto 1985.

Avito (ca. 450-518) divenne nel 490 ca. vescovo di Vienne. Si adoperò per la
conversione dei burgundi ariani alla fede cattolica(§ 43,5). 86 lettere documen-
tano il suo impegno politico-ecclesiastico e mostrano la sua presa di posizione
in questioni dogmatiche (monofisismo e semipelagianismo). Delle sue omelie
solo poche sono rimaste nella loro integrità. Come poeta egli si rivela nel De spi-
ritalis historiae gestis (un poema biblico in 2552 esametri su temi dell' AT) e nel
De consolatoria castitatis laude.
Bibliografia: D. J. NODES, Avitus o/ Vienne's Spiritual History And the Semipelagian Contro-
versy. The Doctrinal Implications o/ Books I-III, in VigChr 38 (1984), 185-195; J. RAMMINGER,
Konkordanz (zu Avitus von Vienne), Hildesheim ecc. 1990; M. ROBBERTS, Rhetoric And Poetic Imi-
tation in Avitus's Account o/ the Crossing o/ the Red Sea, in Tr. 39 (1983), 29-80; A. RONCORONI,
I.: epica biblica di Avito di Vienne, in VetChr 9 (1972), 303-329.
498 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

d) GREGORIO DI TouRs
Opera: B. KRUSCH - W. ARNDT, t, 2 voli., 1884/1885, Berlin 19652 ss. (MGH.SRM 1); M. HEIN-
ZELMANN, t lat. trad. ted., Darmstadt 1994.
Miraculorum lib. I (Vitae Patrum; In gloria Martyrum): E. JAMES, trad, ingl., Liverpool 1985.
Miraculorum lib. VIII (In gloria Confessorum): R. VAN DAM, trad. ingl., Liverpool 1988.
(Cf § 4).

Gregorio (ca. 538-594), appartenente alla nobiltà senatoria della Gallia, di-
venne nel 573 vescovo di Tours. Il successore di san Martino è noto soprattutto
come storico dei franchi nell'epoca merovingia(§ 4,3). Dal suo interesse per la
vita dei santi nacquero i Miraculorum libri VIII, una voluminosa opera agiogra-
fica (su martiri, confessori, monaci della Gallia). Quattro libri sono dedicati
esclusivamente alla vita di san Martino e ai miracoli avvenuti sulla sua tomba a
Tours (De virtutibus sancti Martini).
Bibliografia: A. H. BREUKELAAR, Historiography And Episcopal Authority in Sixth-Century
Gaul, G0ttingen 1994; W. GOFFART, The Narrators o/ Barbarian History (A. D. 550-800), Princeton
1988; K. MITCHELL, Saints And Public Christianity in the Historiae o/ Gregory o/ Tours, in T. F. No-
ble (a cura di), Religion, Culture, And Society in the Early Midlle Ages (FS [scritti in onore di] E.
Sullivan), Kalamazoo 1987, 77-94; B. K. VOLLMANN, Gregor von Tours, in TRE 14 (1985), 184-188.

e) VENANZIO FORTUNATO
Opera: F. LEO - B. KRuscH, t, 2 voli., 1881-1885, rist. 1961 (MGH.AA 4,1).
Vita Severini episc. Burdegalensis: W. LEVISON, t, 1919 (MGH.SRM 7).
Carm. Vl,5 (K. SEINMANN, trad. ted. c, Ziirich 1975.
Vita Martini: G. PALERMO, trad. it., 1985 (CollTP 52); S. TAMBURRI, trad. it., Napoli 1991.

Venanzio Fortunato (ca. 530-subito dopo il 600), originario dell'Italia set-


tentrionale, ricevette la sua formazione a Ravenna e si recò attorno al 567 a
Tours presso la tomba di san Martino. Qui conobbe nel monastero della Santa
Croce Radegortda (§ 43,8) e la sua figlia adottiva Agnese, all'amicizia delle qua-
li egli dovette molto. Verso la fine della sua vita divenne vescovo di Poitiers.
Fortunato ebbe notevoli doti poetiche, acquisite alla scuola degli antichi poeti.
Si conservano di lui più di 300 componimenti poetici, costituiti prevalente-
mente da poesie d'occasione per determinate persone o per determinate circo-
stanze. Di particolare importanza è la sua lirica religiosa: inni in onore della
Croce, della Passione, di Maria, ecc. (Vexilla regis prodeunt e Pange lingua glo-
riosi sono ancora oggi nell'uso liturgico), come anche il lungo poema De vita
S. Martini.
Bibliografia: R. BRENNAN, The Career o/ Venantius Fortunatus, in Tr. 41 (1985), 49-78;
R. COLLINS, Beobachtungen zu Form, Sprache und Publikum der Prosabiographien des Venantius
Fortunatus in der Hagiographie des romischen Gallien, in ZKG 92 (1981), 16-38.
§ 78. Teologia e letteratura latina dei secoli VI e VII 499

4. Autori spagnoli

a) Martino di Bracara/Braga)
Opera omnia: C. W. BARLOW, t, New Haven 1950.
Opera: C. W. BARLOW, Iberian Fathers, trad. ingl., 2 voli. 1968 (FaCh 62/63).
De carr. rust.: M. NALDINI, t trad. it. e, 1991 (BPat 19).

Martino (ca. 515-579), originario della Pannonia, fu monaco in Palestina ed


operò da ca. il 550 come abate e missionario tra gli svevi nella Spagna nord-oc-
cidentale (cf § 43,2); prima del 572 divenne metropolita di Bracara. Scrisse trat-
tati di contenuto morale-ascetico in appendice a Seneca; per il suo lavoro mis-
sionario compose il De correctione rusticorum, un'istruzione pastorale che tra-
smette importanti conoscenze sul paganesimo svevo (utilizzate da Pirmino per
il suo Scarapaus). Per i monaci del suo monastero di Dumio tradusse dal greco
gli Apophtegmata Patrum (Sententiae Patrum Aegyptiorum) e fece tradurre
un'altra raccolta in ordine sistematico dal monaco Pascasio di Dumio.

Bibliografia: R. J. H. COLLINS, Martin van Braga, in TRE 22 (1992), 191-194.

b) ISIDORO DI SIVIGLIA

Reg. man.; Sententiae: J. CAMPOS RUIKZ - I. ROCA MELLA, t, trad. spagn., Madrid 1971.
De ecc!. aff.: C. M. LAWSON, t, 1989 (CChr.SL 113).
Etymal.: W. M. LINDSAY, t, Oxford 1981ss.; J. ANDRÉ, t, t trad. frane. e, Paris 1981ss.
De natura rerum: J. FONTAINE, t trad. frane., Bordeaux 1960.
Scritti di medicina: W. D. SHARPE, trad. ingl. e, Philadelphia 1964.
Epist.: G. B. FORD, t trad. ingl., Amsterdam 19702 •
De artu et abitu Patrum: C. CHAPARRO G6MEZ, t, trad. spagn. e, Paris 1985.
(Cf§ 4).

Isidoro (ca. 560[?] - 636), l'<<Ultimo Padre della Chiesa latina», apparte-
nente a una distinta famiglia ispano-romana, successe nel 600 ca. al fratello mag-
giore Leandro come arcivescovo di Siviglia. Svolse una molteplice attività eccle-
siastica e letteraria nel regno visigotico, divenuto nel frattempo cattolico
(§ 43,2). Ciò che ci è rimasto della sua opera è costituito soprattutto dalla rac-
colta, classificazione e trasmissione dei tesori della sapienza antica, ciò che ha
fatto di lui uno dei grandi maestri del medioevo.
Sono da mettere in risalto le seguenti opere:
- 20 libri di Etymologiae/Orzgines, una specie di enciclopedia di tutto il sa-
pere del suo tempo.
- Gli scritti esegetici, che trattano questioni d'introduzione alla scienza bi-
blica.
500 XI. Produzione letteraria nel!'epoca della Chiesa imperiale

- I Sententlarum libri III, che rappresentano un'importantissima opera di


contenuto dogmatico.
- Il De ecclesiasticis officiis, dove vengono trattate questioni di vita e di am-
ministrazione ecclesiastica.
- Una Regula monachorum, scritta per un monastero sconosciuto.

Agli scritti storici appartengono la Historia Gothorum, Vandalorum et Sue-


borum e il De viris illustribus. Isidoro lavorò in tutti i suoi scritti con intento
compilatorio, creando in tal modo per il suo tempo un'opera di valore eccezio-
nale che, pur nella sua completa fedeltà al passato, doveva servire ali' epoca or-
mai imminente del medioevo.

Bibliografia: P. CAZIER, Isidore de Sévzlle et la naissance de l'Espagne catholique, Paris 1994;


R. J. H. COLLINS, Isidor von Sevi/la, in TRE 16 (1987), 310-315; H. J. DIESNER, Isidor von Sevi/la
und das westgotische Spanien, Berlin 1977; J. FONTAINE, Tradition et actualité chez Isidore de Sé-
ville, London 1988; J. FONTAINE, Isz'dore de Sévz'lle et la culture classique dans l'Espagne wz"sigoti-
que, 2 voli., Paris 19832: J. PÉREZ DE URBEL, Isidor von Sevi/la. Sein Leben, sein Werk und seine
Zeù, Koln 1962.
APPENDICE
Tavole cronologiche

Elenco dei papi fino a Gregorio I

Pietro + 64 o 67 Giulio I 337-52


Lino 67-76 Liberio 352-66
Cleto (o Anacleto) 76-88 *Felice II 355-65
Clemente I 88-97 Damaso I 366-84
Evaristo 97-105 '"Ursino 366-67
Alessandro I 105-15 Siricio 384-99
Sisto I 115-25 Anastasio I 399-402
Telesforo 125-135 Innocenzo I 402-17
Igino 136-40 Zosimo 417-18
Pio I 140-55 Bonifacio I 418-22
Aniceto 154/5-6 '"Eulalio 418-19
Sotero 166-74 Celestino I 422-32
Eleuterio 174-89 Sisto III 432-40
Vittore I 189-98 Leone I 440-61
Zefirino 198-217 Ilario 461-68
Callisto I 217-22
Simplicio 468-83
1'Ippolito 217-35
Felice II (III) 483-92
Urbano I 222-30
Gelasio I 492-96
Ponziano 230-35
Anastasio II 496-98
Antero 235-36
Simmaco 498-514
Fabiano 236-50
'"Lorenzo 498-505
Cornelio 251-53
1'Novaziano 251-58 Ormisda 514-23
Lucio I 253-54 Giovanni I 523-26
Stefano I 254-57 Felice III (IV) 526-30
Sisto II 257-58 Bonifacio II 530-32
Dionisio 260-68 '"Dioscoro 530
Felice I 269-74 Giovanni II (Mercurio) 533-35
Eutichiano 275-83 Agapito I 535-36
Caio 283-96 Silverio 536-37
Marcellino 296-304 Vigilio 537-55
Marcello I 307-309 Pelagio I 556-61
Eusebio 309 o 310 Giovanni III 561-74
Milziade (o Melchiade) 311-14 Benedetto I 575-79
Silvestro I 314-35 Pelagio II 579-90
Marco 336 Gregorio I 590-604
504 Tavole cronologiche

Gli imperatori romani e bizantini

Augusto 30 a.C - 14 d.C Massimino Daia 307-13


Tiberio 14-37 Licinio 308-23
Caio Caligola 37-41 Costanzo II 337-61
Claudio 41-54 Costantino II 337-40
Nerone 54-68 Costante 337-50
Galba, Ottone, Vitellio 68-69 Giuliano l'Apostata 361-63
Vespasiano 69-79 Gioviano 363-64
Tito 79-81 Valentiniano I 364-75
Domiziano 81-96 Valente 364-78
Nerva 96-98 Graziano 375-83
Traiano 98-117 Valentiniano II 383-92
Adriano 117-38 Teodosio I il Grande 379-95
Antonino Pio 138-61 Onorio 395-423
Marco Aurelio 161-80 Giovanni Tiranno 423-25
Commodo 180-92 Valentiniano III 425-55
Pertinace 193 Avito 455-56
Settimio Severo 193-211 Maggiorano 457-61
Caracalla 211-17 Severo 461-65
Macrino 217-18 Ricimero 465-67
Elagabalo 218-22 Antemio 467-72
Severo Alessandro 222-35 Olibrio 472
Massimino Trace 235-38 Glicerio 473
Pupieno e Gordiano 238 Giulio Nepote 474
Gordiano III il G. 238-44 Romolo Augustolo 475-76
Filippo l'Arabo 244-49
Decio 249-51 Arcadio 395-408
Gallo e Volusiano 251-53 Teodosio II 408-50
Valeriano 253-60 Marciano 450-57
Galliena 260-68 Leone I 457-74
Claudio II 268-70 Leone II e Zenone 474-91
Aureliano 270-75 Basilisco 475-76
Tacito 275-76 Anastasio I 491-518
Probo 276-82 Giustino I 518-27
Caro 282-84 Giustiniano I 527-65
Diocleziano 284-305 Giustino II 565-78
Massimiano Herculius 286-305 Tiberio II 578-82
Costanzo Cloro 305-06 Maurizio 582-602
Galeri o 305-11 Foca 602-10
Costantino il Grande 306-37 Eraclio 610-41
Indice dei nomi e delle cose
Abercio 136 Ambrogio 26, 241-42, 271, 288"90, 296,
Abgar di Edessa 64, 86 345,355,368,373,376-78,390,393-
Acaciano, scisma 255, 328-29, 359 94, 397, 413, 464-66, 470
Ambrosiaster 478
Acacio di Cesarea 283
Anafora 371, 372, 375
Acacio di Costantinopoli 328
Anastasio (imperatore) 258, 331, 358
Acemeti (insonni) 410
Anastasio di Roma 297, 356
Adelfio 84 Ancira (sinodo) 134, 159, 381
Adrianapoli (battaglia di) 252 Andrea di Samosata 313
Adriano 86, 100, 103, 204 Anglosassoni 263-64
Adrumeto 324 Aniceto di Roma 136, 153
Aetheria (Egeria/Eteria/Eucheria) 3 7 6, Anomei 283
378, 392, 394, 433 Anti-giudaica, letteratura 227
Aezio (teologo ariano) 282 Antiochena, scuola 219-20, 271, 273, 307-
Afra di Augusta 91 08, 311, 313, 437, 448-52
Afraate 408, 459 Antiocheno, scisma 284, 292, 444
Antiochia (sinodi) 280, 284, 286, 293, 311
Aftardoceti 330
Antonino Pio 100, 103, 205
Agape 145-46, 201
Antonio d'Egitto 391, 403-04, 440, 471
Agatone di Roma 33 7
Antonio di Fussala 357
Agde (sinodo) 375 Anullino 235
Agostino 25, 82, 182, 243, 264, 271-72, Apiario di Sicca 357, 365
289, 301, 318-326, 343, 346, 367, 368- Apocatastasi 189-90, 216, 297, 441, 447
69, 376-78, 382, 413, 423, 425, 464, Apocrifi, scritti del NT 64, 76-77, 128,
468-75, 478, 483 166, 169, 172
Agostino di Canterbury 263 Apocrisario 342
Agricio 84 Apollinare di Laodicea 271, 287, 303-05,
Agrippino di Cartagine 89, 149 452
Alarico 17, 244, 253 Apollo 88
Albis, Domenica in 386 Apollonio di Tiana 117
Alcibiade d'Apamea 169 Apophthegmata Patrum 404, 411, 491,
499
Alemanni 258
Apostoli, feste degli 386
Alessandrina, scuola 196-97, 271, 273,
Apostolica, successione, v. Successione
308-09,311,313,437
apostolica
Alessandro d'Alessandria 272-75 Apostoliche, Costituzioni 202, 367, 372,
Alessandro Severo 105 396, 456-57
Alipio di Tagaste 414, 470 Apostolico, Vicariato 352, 356
Altare 398 Ara Victoriae 239-41, 465
506 Indice dei nomi e delle cose

Arabia 250 Basilisco 328


Aratore 494 Batilde 259
Arbela/Adiabene 87 Battesimo 67, 139-43, 366-69, 453
Arcano, disciplina dell'145 - di Gesù (festa) 384
Arcidiacono, arcipresbitero 341 Battistero 368
Ario, arianesimo 236-37, 253-54, 272-76, Belisario 257, 331
277,279,290,297,303,307 Benedetto da Norcia 415-16
Arles (sinodi) 90-91, 142, 237, 261, 282, Berillo di Bostra 184
299, 353, 362, 369 Berta di Kent 262-63, 432
Armenia 88, 249
Bézieres 282, 463
Arnobio di Sicca 228
Bobbio 256, 415
Arnobio il Giovane 482
Boezio 255, 495
Artemone 184
Bonifacio I 355
Ascensione di Cristo (festa) 386
Bonifacio II 325
Ascesi 158-60, 174, 180, 191, 215, 294-96
Bonn 91
Asclepiodoto 184
Bonoso di Serdica 294, 391
Asterio il Sofista 27 4
Brunechilde(oBrunilde)259
Asilo, diritto d' 425
Atanasio 26, 250, 273-74, 279-82, 284, Burgundi253,256
286,293,303,309,354,439-40,463
Atenagora 206 Caerleon 72
Atenodoro 84, 87 Calcedonia (concilio; professione di fede)
Audio, audiani 294, 408 18, 271, 288, 315-16, 327-28, 333-34,
Aristide 204 351, 358, 363, 370, 407, 412, 424,
Augusto 51-52, 55 431,485,487
Aureliano 111 Caligola 52
Aureliano di Arles 417 Callisto 149, 185, 220, 430
Aurelio di Cartagine 301, 319 Candida Casa 263
Aussenzio di Milano 464 Canones.Hippolyti 457
Avari 335 Canon Muratori 166
Avito di Vienne 258-59, 497 Canonizzazione della Sacra Scrittura 166-
Avvento 385 67, 210, 223
Canterbury 262, 264
Babila 389, 392 Canto 377, 489
Bambini, battesimo dei 141, 320, 342, 368 Caracalla 104
Bardèsane 180-81, 377 Carità 95-96, 423-24, 432
Barnaba, lettera di 81, 201 Caritone 406
Barsanufio e Giovanni 407, 490-91 Carpocrate 177
Basilica 396 Cassio Dione 19, 102, 104
Basilide 177 Cassiodoro 20, 21, 25, 255, 361, 422, 495-
Basilio di Cesarea 271, 287-88, 292, 390, 96
409-10, 415, 421-25, 444-47, 481 Catecumenato 139-40, 367-68, 453
Indice dei nomi e delle cose 507

Catene 436, 485 Confessores 126, 193, 226, 391


Ceciliano di Cartagine 299 Constitutio Antoniniana 104
Celestino I 262, 310 Contornate, monete commemorative 241
Celestio 319, 321 Corepiscopo 134, 349
Celibato 338, 345-46 Cornelio di Roma 90, 96, 137, 193, 226
Celso 115-16, 215 Cosma Indicopleustes 87
Cenobiti 405-06, 407, 409-10, 412-13 Cosroe 265
Cerinto 169 Costante 238, 282, 292, 300
Cesario d'Arles 259, 325, 343, 376, 382, Costante II 336, 478
417, 434, 496-97 Costantino il Grande 17, 23, 26, 114, 116-
Chiese private v. Private, chiese 17, 229, 233-38, 239, 248, 253, 273,
Chiliasmo 188-89, 191, 203, 210, 218, 227 276, 277, 279, 299-300, 344, 346-47,
Chronicon Paschale 21 384,389,391,393,422,423,431,438
Cina 249 Costantino II 23 8
Cipriano 89, 90, 94, 108-09, 110, 137, 142, Costantino IV Pogonato 337
150, 159, 193,225-26,299,463 Costantinopoli
Circoncellioni 300 - concilio del 381: 237, 271, 279, 288-89,
Circoncisione del Signore (festa della) 385 316,328,305,351,381
Cirillo d'Alessandria 305, 309, 310-11, - concilio del 553: 216, 256, 334, 449
313, 315-16,327,328,332, 334,425, - concilio del 680/681: 337
431, 441-42, 451
- concilio del 691/692: 338, 351
Cirillo di Gerusalemme 286, 368, 372,
Costanza 234-35
393, 453
Costanzo II 238, 243, 250, 253, 282, 284,
Cirillo di Scitopoli 26, 406
291-92,389,463,478
Claudio 60, 89
Costanzo Cloro 112, 114, 234
Clemente, lettera di 89, 94, 122, 198-99
Crisopoli (battaglia di) 236
Clemente d'Alessandria 55, 75, 84, 88, 94,
Crispo 228
150, 153, 157, 211-12
Clero 110, 113, 125-26, 129, 131-33, 342- Croce, reliquia della 238, 335, 393-94, 431
43, 344-45, 347-48, 368,378, 383, 414 Cromazio di Aquileia 480
Clodoveo 17, 253, 259 Cunctos populos (editto) 242, 284
Clotilde 258-59, 432
Coabitazione (virgines subintroductae) Dalmazio 374
159, 199 Damaso 241-42, 284, 288, 292, 296, 304,
Colomba 263 354-55,374,413,444
Colombano 259, 415 Decenzio di Gubbio 374
Commodiano 189, 227 Decio 88, 90, 98-99, 108-09, 150, 192-93,
Comunità, finanze 95-96, 132-33, 344-45 225
Comunità, ordinamento 71-72, 121-22, Dedicazione della chiesa, festa della 386
198-99, 201, 219 Demetrio d'Alessandria 88, 126, 131
Comunità, uffici e servizi 124-29, 341-43 Dèpositio ad sanctos 390
Confermazione 368-69 Desiderio, battesimo di 369
508 Indice dei nomi e delle cose

Diadoco di Fotica 295, 458-59 Efeso


Diaconesse 128, 141, 342-43 - concilio del 431: 294, 310-11, 316, 322,
Diaconi 121, 125, 341-42 327-28,332,363,370
Diatessaron 166, 206 - concilio del 449: 313-15, 452
Didachè 81, 122, 139, 143-44, 148, 201- Efrem 206, 408, 459-60
202 Egeria/Eteria/Eucheria, v. Aetheria
Didimo d'Alessandria (il Cieco) 271, 287, Egesippo 124, 211
308,333,441,465 Ekthesis (638) 336-37
Digiuno 151-52, 175, 191, 338, 376, 384, Ekthesis makrostichos 281-82, 293
387-88 Elcasaiti 169-70
Diodoro di Tarso 303-04, 307, 313, 448- Elena 234, 238, 391, 393, 431
49 Elenco dei vescovi 124, 137
Dionigi Areopagita (Pseudo-Dionigi) 336, Elvidio 391, 417
368,371,393,486-87,488
Elvira (sinodo) 90, 159, 346, 384
Dionigi d'Alessandria 87-88 105 109-11
Encratismo 158-59, 206, 408
134, 142, 193, 217-18 ' ' '
Endemico, sinodo 315, 364
Dionigi di Corinto 75, 198
Ennodio di Pavia 361, 493-94
Dionigi di Milano 282
Epifane 177
Dionigi di Roma 218
Epifania (festa) 384
Dionigi il Piccolo (Exiguus) 332, 457, 494
Epifanio di Salamina 288, 297, 407, 456
Dioscoro d'Alessandria 313-14, 315
Epitteto 54
Diospoli (sinodo) 320
Eraclio 265, 335, 394
Domenica 152, 376, 383-84
Eraclio d'Alessandria 88
Domiziano 52, 102-03
Eremiti 160, 403-04, 406-07, 408, 411-12
Domiziano d'Ancira 332
Eretici, controversia sul battesimo degli
Donato, donatismo 298, 300, 301-02, 369,
134, 137, 142,225,299
472,
Ermenegildo 253, 432
Donato di Besançon 417
Ermia208
Donna 85, 126, 127-29, 411, 416-17, 425-
27, 466 Erode il Grande 57
- biografie 433 Esseni 59
- esclusione dagli uffici ecclesiastici 182 Etelberto di Kent 262, 263
429 ' Etiopia 250
- influenza sulla Chiesa 429-32 Eucaristia 143-45, 371, 373, 375-76, 398,
- promotrice di letteratura 433-34 453
Doroteo d'Antiochia 220 Eucherio di Lione 484
Dura Europos 146 Eudocia 309, 431, 433
Eudossia 431
Ebioniti 169 Eugenio (l'Usurpatore) 242, 252
Edessa 86, 88, 460 Eugenio di Cartagine 257
Edifici ecclesiastici 114, 146-47, 236, 350, Eulogia 375
395-98 Eunomio di Cizico 282, 444, 447
Indice dei nomi e delle cose 509

Eusebiani 277, 280, 283 Potino di Lione 209


Eusebio di Cesarea 20-26, 274-76, 392, Potino di Sirmio 279, 282, 293-94
393, 395-96, 438-39, 481 Franchi 258-59, 352
Eusebio di Emesa 286 Franchi, generali "barbarici" 252
Eusebio di Nicomedia 238, 273-76, 277 Fruttuoso di Tarragona 111
Eusebio di Roma 194 Frumenzio 250
Eusebio di Vercelli 282, 343, 413, 465 Fulgenzio di Ruspe 325, 492
Eustazio d'Antiochia 275, 304
Eustazio di Sebaste 287, 409 Gaio 75, 191
Eustochio 413 Galerio 111, 114, 233, 234
Eutiche 313-15 Gallieno 88, 111
Eutimio 406 Gaudenzio di Brescia 480
Euzoio d'Antiochia 292 Gelasio I 358-59, 374, 421
Evagrio d'Antiochia 292, 297 Gelasio di Cesarea 23
Evagrio Scolastico 24 Gelimero 257
Ezana di Axum 250 Gennadio di Marsiglia 26
Ezio (generale) 252, 256 Genoveffa di Parigi 432
Eznico di Kolb 462 Genserico 256, 482
Georgia 249
Fabiola 413 Germaniche, chiese territoriali 352-53
Facondo di Ermiane 493 Germano d'Auxerre 390
Farisei 58, 79 Germano di Parigi 259
Fausto di Riez 325, 485 Gerusalemme, comunità primitiva di 65-
Febadio di Agen 283 68, 78-79, 85-86
Féde, regola di 164, 209 Gervasio e Protasio 3 90
Felice II di Roma 293 Gessio Floro 78
Felice II (III) di Roma 328, 358 Giacomo (apostolo) 66, 76
Ferrando di Cartagine 493 Giacomo Baradai 3 34
Filioque 289 Giacomo di Edessa 21
Filippico Bardane 338 Giacomo di Sarug 461
Filippo di Gortina 211 Giamblico 240
Filippo l'Arabo 105 Gildo 301
Filone d'Alessandria 59-60, 214, 437, 465 Giovanni (apostolo) 66, 76
Filosseno di Mabbug 461 Giovanni Battista 62
Firmico Materno 239, 478-79 Giovanni I (Roma) 255
Firmiliano di Cesarea 138, 142, 217 Giovanni II (Roma) 332
Flaviano d'Antiochia 292 Giovanni IV (Roma) 336
Flaviano di Costantinopoli 312-15 Giovanni II (Costantinopoli) 329
Flavio Giuseppe 59, 64, 78-79 Giovanni Cassiano 324-25, 375, 408, 414,
Flavio Severo 234 454, 483-84
Floriano di Lorch 91 Giovanni Climaco 491
510 Indice dei nomi e delle cose

Giovanni Crisostomo 82, 297, 343, 368, Gregorio di Tours 25, 209, 258-59, 498
371,372,375-77,389, 409,423,425, Gregorio l'illuminatore 84, 88, 249, 462
426-27, 432, 449-51, 457 Gregorio Magno 254, 256, 263, 311, 351,
Giovanni d'Antiochia 310-11 359-61, 374, 393, 432
Giovanni di Damasco 266, 393, 442, 485, Gregorio Taumaturgo 84, 87, 131, 217
489-90 Gundeberga 256
Giovanni di Gerusalemme 297, 320 Guntamondo 257
Giovanni di Scitopoli 334
Giovanni Domno 313 Henotikon (482) 328, 358
Giovanni Grammatico 334, 487 Historia Lausiaca 404, 411, 457-58
Giovanni Malalas 21 Historia Monachorum in Aegypto 404,
Giovanni Massenzio 331-32 458, 481
Giovenale di Gerusalemme 327, 407
Giovenco 477 Iba di Edessa 313, 316, 333
Gioviniano 417 !dazio di Merida 295
Girolamo 20, 24, 26, 215, 297, 320, 346, Idiomi, comunicazione degli 309, 314
355, 390-91, 405, 408, 412-13, 422,
!erode 117
425-26,427,430,433,466-68,481
Ignazio d'Antiochia 86, 89, 123, 199-200
Giudei 57-61, 78-82, 84, 102, 243, 331
Ilario d'Arles 358
Giudeo-cristianesimo, eterodosso 80-81,
168-70, 228 Ilario di Poitiers 94, 271, 282-83, 377,
462-63
Giuliano 96, 239, 240, 284, 291, 300, 423,
442,452 llarione di Gaza 407
Giuliano d'Alicarnasso 330 Ilderico 257
Giuliano d'Eclano 322 Ilduino di St.Denis 486
Giulio I 280, 292, 354, 452 Imerio di Tarragona 355
Giulio Africano 20, 189, 218 Immagini, culto delle 392-93, 456, 490
Giura, monastero del 414 Imperatore, culto dell' 52, 55
Giustina 431 India 249
Giustiniano 243-44, 250, 257, 329, 330- Inghilterra 91, 263
31, 344, 347, 421, 431 Ingunde 253, 432
Giustino 55, 84, 89, 144, 176, 189, 204-05 Inni377,463,465,477,489,498
Giustino (imperatore) 329 Innocenzo I 321, 355, 369
Gnosi, gnosticismo 172-79, 181, 294 Iona (monastero) 263
Gorgonia 433 Ipazia 243, 443
Goti 294 Ippolito di Roma 20, 87, 125-27, 139, 145-
Graziano 241-42, 295, 354, 465 46, 167, 177-78, 189, 202, 220-21,
Gregorio d'Elvira 293, 480 367, 373
Gregorio di Nazianzo 291, 304-05, 376, Ireneo di Lione 75, 87, 90, 136, 144, 164,
445-46, 454, 481 166, 176-78, 189, 209-10
Gregorio di Nissa 291, 295, 305, 376, 393, Irlanda 262
446-48, 455, 488 Isacco d'Antiochia 461
Indice dei nomi e delle cose 511

Isaia di Gaza 407 Longobardi 255-56, 352, 360


Isidoro di Pelusio 458 Lorenzo di Roma 255, 359
Isidoro di Siviglia 20, 21, 25, 254, 499, 500 Luciano d'Antiochia 220, 273
Islam, diffusione 265-66 Luciano di Samosata 115
Isonzo/Frigidus (battaglia) 242 Lucifero di Cagliari 282, 284, 292, 293,
Itazio di Ossonoba 295 479
Lucilla 430
Javne/Jamnia 79 Luxeuil 259, 415
Jordanes 25
Macario/Simeone 295, 455
Laodicea (sinodo) 349, 384 Macedonia di Costantinopoli 287
Lapsi 110, 134, 138, 150, 193,225-26 Macrina 411, 433, 447
Lattanzio 96, 189, 228-29 Macrobio 241
Laudes Domini 475 Maestri 126-27, 201
Laura 406 Maestro, Regola del 415-16
Leandro di Siviglia 254, 417, 461 Maggiorino 299
Legio fulminata 88 Magnenzio 238, 282
Leone Magno 257, 312, 313-15, 329, 351, Magonza90
356,357-58,374,376,382,384,481 Malchione 219
Leone I (imperatore) 328 Mandei 170
Leone II (papa) 337 Mani, manicheismo 181-82, 294-95, 318,
322,470,472
Leonzio di Bisanzio 332-34
Maometto 17, 265-66
Leovigildo 254
Maratonio (Costantinopoli) 410
Letino 343, 414, 483-85, 496-97
Marcella 413, 466
Libanio 242, 411, 450
Marcellina 465
Liberio di Roma 282, 292
Marcellino 301, 431
Licinio 114, 229, 234, 235, 236, 274
Marcello d'Ancira 275, 279, 280, 281,
Lincoln 91
284, 293, 463
Lione 90, 103, 107 Marcello di Roma 194
Liturgia Marciano 315
- alessandrina 372-73 Marciane, marcioniti 128, 166, 179-80,
- di Costantinopoli 3 72 222,228
- etiopica 373 Marco Aurelio 54, 88, 103, 115
- occidentale 373-74 Maria, culto di 3 91
- romana 373-74 Maria, feste di 386-87
- siriaca occidentale 372 Mario Vittorino 289, 479
- siriaca orientale 3 72 Marone, maroniti 338
Logos-Anthropos 304, 308 Martino I (Roma) 336-37
Logos, dottrina del 183-84, 205 Martino di Bracara/Braga 254, 499
Logos-Sarx 303, 309 Martino di Tours 25, 259, 296, 391-92,
Londra 91 414
512 Indice dei nomi e delle cose

Martiri, martirio 26, 96-97, 103-04, 105- Miste, regole 415-16


07, 109-10, 114, 153, 191, 199-200, Misterici, culti 52-3, 240
215,354,376,386,389-90,395 Mitra, culto di 53
Maruta di Maipherkat 248 Modalismo 185-86, 287
Materno di Colonia 90 Modesto 211
Massenzio 194, 234 Monachesimo 24, 160, 215, 259, 262-63,
Massimiano 112, 234, 286, 382, 402-12, 412-17
Massimilla 191 Monarchiani 184-86
Massimino Daia 114, 229, 234-35 Monenergetismo 335
Massimino (vescovo omeusiano) 290 Mongolia 249
Massimino Trace 105 Monica 433
Massimo il Confessore 336-37, 488 Monofisismo 24, 249, 265, 271, 327, 337,
Massimo (neoplatonico) 239 372,442,482,486-88
Massimo (usurpatore) 296 Monotelismo 336, 452, 488
Matrimonio e famiglia 157, 237, 425-27 Montano, montanismo 87, 103, 128, 134,
Melania junior 413, 433 190-92, 222
Melania senior 407, 432, 481 Morti, culto dei 106
Melchiti/Melkiti 330 Mursa (battaglia) 238
Meleziani 406
Melezio d'Antiochia 292 Naasseni 178
Melezio (o Melizio) di Licopoli 194 N arsete/N arsai 462
Narsete (katholikos) 249
Melitene 88
Natale (festa) 384-85
Melitone di Sardi 55, 152, 211
Nectario di Costantinopoli 381
Memnone di Efeso 310-11
Neocalcedonismo 24, 334
Menandro 17 6
Neocesarea (sinodo) 126, 132, 381
Menas di Costantinopoli 333
Neoniceni 284, 287, 292
Mesrope 249, 462
Nepote di Arsinoe 189
Messaliani 294-95, 410, 455, 459
Nerone 75, 85, 89, 99
Metodio d'Olimpo 108, 159, 189, 218-19,
Nestorio, nestoriani 24, 248, 265-66, 271,
297
305, 308-10, 311, 333, 372, 431, 442,
Metz 90, 373
451
Milano, accordo/editto di 235 Nicea (concilio 325, simbolo di fede di)
Milano (sinodo) 282 134-35, 136, 159, 237, 242, 248, 271,
Militare, servizio 156 274,275,282-83,286,310,316,350,
Milziade 191, 208 353-54, 362-63, 369, 381
Milziade di Roma 23 7, 299, 362 Niceforo di Costantinopoli 21
Milvio, Ponte (battaglia) 234 Nicezio di Treviri 259
Minucio Felice 89, 98, 224 Nike (confessione di fede del 359) 283
Minucio Fundano 100 Nilo d' Ancira 458
Missa catechumenorum 367, 376 Nino 249
Mistagogiche, catechesi 367, 386, 453 Noeto 185
Indice dei nomi e delle cose 513

Nomendatio 367 Pammachio 413


Nonna 433 Panfilo 217
Nonno di Thekoa 322 Panteno 84, 88, 212
Novaziano, novaziani 23, 142, 193, 226, Paola ed Eustochio 408, 413, 466
463 Paolino d'Antiochia 292-293
Nubia 250 Paolino di Milano 26
Paolino di Nola 413, 476
Odoacre 252, 254 Paolino di Treviri 282
Olimpia 413 Paolino di York 263
Olimpio, esarca 337 Paolo (apostolo) 66, 69-72, 84, 89, 90,
Omei 253-254, 257, 283-284, 289 102,303,354,356,386
Omeusiani 283-284 Paolo di Samosata 111, 167, 184, 219,
Onorato d'Arles 414 369,430
Onorio I 336-337, 422 Papa, titoli per il 360-361
Onorio (imperatore) 243, 301 Papia di Gerapoli 75, 189, 202-203
Opus imperfectum in Matthaeum 290 Parmeniano 300
Orange (concilio) 325, 451 Pasqua (festa) 152, 276, 294, 385
Orazio 51 - controversia sulla festa di 81, 134, 153-
Ore canoniche 377-378 154, 385
Origene 23, 55, 88, 94, 95, 96, 104-105, - lettere per la 440, 442
131,151, 184,189,213-216,227,273, Pastore di Erma 89, 123, 148-149, 166,
280, 287, 296-298, 308, 332, 381, 415, 202
430, 437, 441, 444, 450, 454, 456, Patriarcato 350-52
463,465,467,481,488 Patrizio 262
Ormisda 329, 332, 359 Patroclo d'Arles 356
Orosio 25, 320 Patronato 424
Orsiesi 405 Pelagio, pelagiani, 262, 272, 318°21, 324-
Osroene 86 25, 356, 434, 478
Osio di Cordoba 274, 282 Pelagio di Roma 333-34, 360
Ostrogoti 254-255 Pella 80
Osvaldo 263 Pellegrinaggio 391-92, 404, 407, 431
Oswiu 264 Pellegrino di Bordeaux 391
Penitenza 148-51, 192-9.4, 202, 220, 222,
Pacomio 405-406 225-26, 276, 380-83, 444
Pafnuzio 346 Penitenza, protrarsi della 382
Pagana, opposizione 239-242 Penitenziale, pietà 382
Palestina 57-58, 59-60, 79-80, 86, 332, Penitenziali, canoni 217, 381
406-408 Pentarchia 352
Palladio (vescovo in Irlanda) 262 Pentecoste 152, 386
Palladio di Elenopoli 26, 451, 457-458 Periodeuti (visitatori) 349
Palladio di Ratiaria 290 Perpetua e Felicita 104, 107, 433
514 Indice dei nomi e delle cose

Persia 87, 111, 240, 248-49 Quadragesima (Quaresima) 385, 387


Pietro. (apostolo) 49, 63, 67, 70, 74-75, Quadrato 208
136-37 Quattro Tempora, digiuno delle 387
- "portinaio del cielo" 264 Quicunque 289
Pietro Crisologo 376, 385, 481 Quinisexto 338
Pietro d'Alessandria 194, 242, 284, 292 Quirino di Sissek 12
Pietro Fullone 327, 331 Qumran 59; 81
Pietro l'Iberico 407 Quodvultdeus 482
Pietro Mongo 328
Plinio il Giovane 64, 85, 99-100, 103 Raccolte conciliari I decisioni sinodali
364-65, 494
Pneumatomachi 286-87 -88, 409
Radegonda 259, 498
Policarpo di Smirne 103, 136, 153, 200,
Recaredo 254, 289
209
Regola di fede, v. Fede, regola di
Policrate di Efeso 136, 153
Reliquie, culto delle 389-90, 467
Pontificie, decretali 355, 364-65
Remigio di Reims 258-59
Ponzio 225 Ricimero 252
Porfirio 116, 243, 430, 452 Rimini (sinodo) 261
Possidio 471 Rodanio di Tolosa 282
Prassea 185, 222-23 Rodone211
Predicazione 376-77, 480-81 Rogazioni, digiuno delle 387-88
Preghiera 155, 157, 215, 222, 226 Roma (Primato) 89, 136-38, 142, 329,
- per l'Impero Romano 60, 114, 156, 204 . 331,351,353-61
Pretestato 241 Romano "il Melode" 377, 489
Primasio di Adrumeto 493 Rufino d'Aquileia 24, 215, 297, 415, 481-82
Prisca/Priscilla 191 Rutilio Namaziano 417
Priscilliano 295-96, 414
Privata, confessione sacramentale 382 Saba 332, 407
Sabato 384
Private, chiese 350
Sabellio, sabellianismo 185-86
Proba 413
Sadducei58
Proba (scrittrice) 433, 477
Sacramentari 373
Proclo di Costantinopoli 313
Sacrifici, divieto dei 236, 239
Procopio di Gaza 436
Sacrificio, libelli di attestato del 109
Profeti (nella Chiesa) 122, 191, 202 Salona 91
Prospero Tirone d'Aquitania 21, 325, 484 Salviano di Marsiglia 421, 484-85
Proterio d'Alessandria 327 Sangue, battesimo di 141, 369
Prudenzio 475, 476 Santi, culto dei 390-91
Psalmista (cantor) 377 Santi, tombe dei 106, 389-91, 392, 397
Pseudo-Clementine 170, 199 Sapore 87, 181, 248
Pulcheria 315, 431 Saturnino 176
Indice dei nomi e delle cose 515

Scenute di Atripe 405 Sinesio di Cirene 412, 443


Schiavi 156, 424-25 Sinodo/concilio 134, 191, 254
Schola cantorum 377 Siricio di Roma 355
Scili, Martiri di 89 Sirmio (sinodo) 282, 293
Sciti, monaci 331, 334 - formule di fede 282-83, 293
Scozia 263-64 Sisto di Roma 111
Secondo di Tolemaide 275 Slavi 335
Sedulio 477 Socrate Scolastico 23, 25
Seleucia-Rimini 283-84 Sofronio di Gerusalemme 33 6
Seleucia-Ctesifonte 248 Soissons (battaglia) 258
Semipelagianismo 272, 324-25, 492 Sozomeno 23, 25
Septuaginta 60 Stazionali, liturgie 373
Serapione di Tmuis 286 Stefano 67, 431
Serdica (concilio) 281-82, 349, 354 Stefano di Roma 138, 142
Sereno di Marsiglia 393 Stilicone 252
Sergia (scrittrice) 433 Stiliti 408
Sergio di Costantinopoli 336 Stoa 54
Sergio I di Roma 334, 338 Strasburgo 90, 373
Servizio divino, v. Liturgia Subordinazianismo 184
Sesto, Sentenze di 208 Successione apostolica 123-24, 134, 166
Settimana Santa 385 Suebi (o Svevi) 253-54
Settimio Severo 100, 104 Sulpicio Severo 21, 26, 417, 434
Severino del Norico 256 Svetonio 19, 26, 49, 52, 60, 64, 99, 102
Severo d'Antiochia 329, 331-32, 336, 407,
486-88 Tacito 18, 61, 64, 98, 102
Siagrio 258 Taziano 205-206
Sicari 59, 78 Tecla 128, 392, 397, 411
Side (sinodo) 294 Te Deum laudamus 378
Sidonio Apollinare 497 Templi, distruzione dei 236, 239, 242
Sigiberto 259 Teodolinda 256, 432
Sigismondo 256 Teodora 250, 329, 333-34, 431
Silvestro di Roma 238, 353 Teodoreto di Ciro 24, 26, 311, 313, 316,
Simbolo di fede 163-65 333-34, 408, 451-52
- apostolico 165 Teodorico 225, 254, 258, 359, 495
- v. Nicea; Costantinopoli Teodoro (pacomiano) 405
Simeone (stilita) 408 Teodoro Aschidas 333
Simmaco 241-42 Teodoro di Mopsuestia 308, 313, 322,
Simmaco di Roma 255, 359 333-34,368,372,449
Simon Mago 17 6 Teodoro di Pharan 336
Simone Bar-Kochba 79-80 Teodoro Lettore 24
Simpliciano 318, 464, 470 Teodoro Studita 410
516 Indice dei nomi e delle cose

Teodosio I 242-43, 252-53, 284, 344, 384, Unità dei vescovi 134, 137
394,412 Unni 252, 253, 256
Teodosio II 243, 309-10, 315, 322, 350, Ursado di Singidunum (Belgrado) 283
384, 442 Ursino di Roma 254
Teodosio di Gerusalemme 328
Teodoto il Banchiere - il Conciatore 184 Valente 240, 252, 284, 292
Teofilo d'Alessandria 242, 297, 404, 442-43 Valente di Mursa 283
Teofilo d'Antiochia 207 Valentiniano/Valentino 177 -7 8
Teofilo ("l'Indiano") 250 Valentiniano I 182, 240, 244, 252
Teofilo (vescovo goto) 253 Valentiniano II 252, 290, 384
Teognide di Nicea 275 Valentiniano III 252, 257, 347, 358
Teoktisto 406 Valeriano 88, 90, 110-11, 225
Teone di Marmarica 275 Valerio 471
Teopaschismo 327, 331-32, 453, 493 Vandali 244, 253, 256-57, 352
Tertulliano 55, 75, 82, 89, 96, 98, 104, Venanzio Fortunato 259, 498
140-41, 148-49, 152, 159, 164, 166, Vescovo 121, 123, 133-35, 344, 347-48
178, 186, 191,221-25,299,314,463 Vienne 90, 103-107
Testamentum D. N. Jesu Christi 373, 457 Vigilanzio 390, 417
Theophanes Confessor 21 Vigilio di Roma 333-34, 359, 431
Tiberio 51, 62 Vilfredo di York 264
Timoteo Eluro 327 Vincenzo di Lerino 324-25
Tiridate 249 Virgilio 51
Tiro (sinodo) 279, 363 Visigoti 244, 253-54, 258, 352
Toledo (concili) 254, 259, 296 Vitale d'Antiochia 304
Tomi (Scizia) 91 Vittore di Roma 136, 153
Vittore di Vita 25 .
Tommaso (apostolo) 87
Vittorino di Pettau 91, 189, 227
Tonsura 346
Vittrido di Rouen 390, 414
Tours 373
Traditores 109-10, 299
Whitby (sinodo) 264
Traiano 85, 99-100, 103
Wulfila, v. Ulfila
Trasamondo 257, 492
Tre Capitoli 256, 333, 359, 452, 493 Xanten 91
Treviri 90, 279
Trofimo 356 York 91, 234, 263
Trullano I 337-38
Trullano II 338 Zaccaria il Retore 24
Turkestan 249 Zeloti 59, 78
Zeno/Zenone252,255,257
Ulfila 253, 290 Zeno/Zenone di Verona 480
Ulpiano 104 Zenobia 111
Unerico 257 Zosimo 321-22, 352, 356
Indice generale

Prefazione . . . 5

Abbreviazioni . 7

I. Introduzione 15
§ 1. Storia della Chiesa antica 15
1. Metodi della storia ecclesiastica 15
2. Storia della Chiesa . . . . . . . 15
3. Storia ecclesiastica come teologia 16
4. Storia antica della Chiesa . 16
5. La «Chiesa antica» . . . . . . . . 17
§ 2. Storiografia ecclesiastica nell'antichità cristiana 18
1. Storiografia pagana e giudaica 18
2. Cronache . . . . . . . 19
3. Storie ecclesiastiche . . . . . . 21
a) Eusebio di Cesarea . . . . . 22
b) Prosecuzioni della « Storia ecclesiastica» eusebiana nell' am-
bito linguistico greco . . . . . 23
c) Storiografia latina . . . . . . . 24
4. Opere biografiche e agiografiche . 25
§ 3. Fonti e sussidi .. 27
1. Le fonti scritte . 27
a) Sussidi . . . 27
b) Testi dei Padri della Chiesa 28
c) Testi dei concili . . . . . . . 31
d) Lettere dei papi e documenti sul papato 32
e) Raccolte giuridiche . 32
f) Liturgia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
g) Agiografia . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2. Fonti monumentali: introduzioni, illustrazioni e
documentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
a) Introduzioni, manuali, repertori per l'archeologia cristiana 34
b) Epigrafia . . 36
c) Numismatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
518 Indice generale

§ 4. Bibliografie, dizionari, manuali e collezioni 37


1. Bibliografie . . . . 37
2. Riviste specializzate . 38
3. Dizionari . . . . . . . 39
4. Illustrazioni storiche 40
a) Generali . . . . . 40
b) Storia dei giudei . 41
c) Storia della Chiesa 41
d) Raccolte di fonti . 43
5. Letteratura . . . . . 43
a) Letteratura cristiana antica 43
b) Produzione letteraria successiva . 44
6. Istituzioni . . . . . . . . . . . . 44
a) Organizzazione della Chiesa . 44
b) Concili . . . . . . . 44
c) Papato . . . . . . . 45
d) Raccolte giuridiche . 45
7. Filosofia e teologia . . 45
a) Storia della filosofia 45
b) Storia dei dogmi e della teologia 46
8. Liturgia . . . . . . . . . . . . . . . 46

PARTE I
LA NASCITA DELLA CHIESA E LA SUA AFFERMAZIONE

NELL'IMPERO ROMANO FINO ALL'IMPERATORE COSTANTINO

Il. Gli inizi della Chiesa e la sua diffusione nei primi tre secoli 49
§ 5. L'Impero Romano . . . . . . . . . . . . . 51
1. Religiosità politica . . . . . . . . . . . . 51
2. Religioni misteriche e religiosità privata 52
3. Filosofia e religione . . . . . . . . 53
4. Antichità classica e cristianesimo . . . . 54
Indice generale 519

§ 6 Il giudaismo al tempo di Gesù di Nazaret. 57


1. La Palestina sotto il dominio romano 57
2. Raggruppamenti religiosi . 58
3. Giudei nella diaspora . . . . . . . . . 59
4. Giudei e Impero Romano . . . . . . 60
§ 7. Gesù di Nazaret e il suo proselitismo escatologico. 62
1. La vita di Gesù . . . . . 62
2. La predicazione di Gesù 63
3. I discepoli di Gesù 63
4. Scritti apocrifi . . . 64
§ 8. Gli inizi della Chiesa . 65
1. La fede nel Risorto 65
2. Una setta giudaico-messianica 66
3. Controversie e dispersione della comunità primitiva 67
§ 9. Paolo e la decisione per l'universalità della missione . 69
1. La vocazione di Paolo . . . . . . . . . . . . . . . 69
2. Il Vangelo non soggetto alla legge . . . . . . . . . 70
3. L'azione missionaria e l'ordinamento delle comunità 71
Prospetto cronologico: Gesù e la comunità primitiva 72
§ 10. L'interesse per gli apostoli . 74
1. Pietro . . . . . . . . . . 74
2. L'apostolo Giovanni 76
3. Riferimenti tendenziosi agli apostoli 76
§ 11. La separazione dalla Sinagoga . . . . . 78
1. La guerra giudaico-romana . . . . . 78
2. Nuova organizzazione del giudaismo 79
3. La fine del giudeo-cristianesimo in Palestina 80
4. Allontanamento e separazione tra Chiesa e Sinagoga 81
Prospetto cronologico: la storia giudaica 82
§ 12. La diffusione del cristianesimo . . . 84
1. Persone impegnate nella missione 84
2. La provenienza sociale . . . . . . 85
3. Sguardo generale sui singoli paesi (fino al IV secolo) 86
520 Indice generale

§ 13. La forza d'attrazione del cristianesimo 93


1. Fede e confessione . 94
2. La comunità cristiana . 95
3. Il martirio . . . . . . . 96
§ 14. Le cause della persecuzione 97
1. Il cristianesimo come minoranza religiosa 97
2. La situazione giuridica . . . . . . . . . . 98
a) L'imperatore Nerone . . . . . . . . . . 99
b) Il carteggio epistolare tra Plinio il Giovane e l'imperatore
Traiano dall'anno 112 . . . . . . . . . . . . . . 99
c) Sulla questione degli altri editti imperiali . . . . . . . 100
§ 15. Persecuzioni dei cristiani fino alla metà del III secolo . . . 101
1. La persecuzione della comunità cristiana romana sotto
l'imperatore Nerone . 102
2. Domiziano . . . . . . . . . 102
3. I conflitti del II secolo . . 103
4. Il perdurare dell'incertezza 105
5. Il martirio cristiano . . . . 105
a) Terminologia . . . . . . 105
b) La tradizione del culto dei morti 106
c) Inizi della letteratura sui martiri . 107
§ 16. La persecuzione della Chiesa . . . . . 108
1. L'Impero minacciato . . . . . . . . 108
2. La persecuzione sotto l'imperatore Decio 108
3. La persecuzione sotto l'imperatore Valeriano 110
4. Una tacita e interessata tolleranza . . . . . . 111
5. La crisi sotto Diocleziano e Galerio . . . . . 112
a) La politica di Diocleziano e la prima tetrarchia . 112
b) Gli editti di persecuzione . . . . . . . . . . . . 113
c) La seconda tetrarchia . . . . . . . . . . . . . . 114
§ 17. La discussione letteraria-scientifica con il cristianesimo 115
1. Polemica letteraria contro i cristiani . . . . 115
2. Celso, il« Discorso vero» contro i cristiani 115
3. Porfirio e !erode . . . . . . . . . . . . . . 116
4. Concorrenza sincretistica . . . . . . . . . . 117
Prospetto cronologico: i cristiani nell'Impero Romano. 118
Indice generale 521

III. La costituzione della Chiesa 121


§ 18. Gli uffici ecclesiastici e l'ordinamento della comunità 121
1. La direzione collegiale della comunità . . . . . 121
2. L'ordinamento monoepiscopale della comunità 122
a) Forme transitorie . . . . . . . . . . . . . 122
b) Origine e sviluppo del monoepiscopato 123
3. Successivo sviluppo defli uffici ecclesiastici 124
a) Il vescovo . 124
b) I presbiteri . . . . . . . . . . . . . . 125
c) I diaconi . . . . . . . . . . . . . . . 125
d) Altri uffici a servizio della comunità 125
e) I maestri . . . . . . . . . . . . . . . 125
4. Il ruolo delle donne nelle antiche comunità cristiane 127
a) Le donne nell'ordinamento generale della comunità 127
b) Le donne nelle comunità scismatiche 128
5. Unità tra clero e laici 129
§ 19. Requisiti per il clero . . 131
1. Preparazione al servizio nella comunità 131
2. Dimostrazione d'integrità morale nella vita 132
3. Sostegno da parte della comunità . . . . . 132
§ 20. Comunità episcopale locale, unità e molteplicità della Chiesa . 133
1. Comunità episcopale locale . 13 3
2. La Concordia episcoporum 134
3. Struttura territoriale 135
§ 21. Il primato di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 136
1. Motivazioni politiche e apostoliche del primato . . . . . 136
2. Successione unitaria di tutti i vescovi o romana-petrina 137

IV. Vita cristiana .. 139


§ 22. Il battesimo 139
1. La preparazione al battesimo (catecumenato) 139
2. L'amministrazione del battesimo . . . . . . 140
3. La controversia sul battesimo degli eretici. 142
§ 23. La liturgia della comunità cristiana 143
1. L'eucaristia . . . . . . . . . . . 143
522 Indice generale

2. La comunione .. . 145
3. L'agape . . . . . . 145
4. Il luogo di riunione 146
§ 24. La penitenza . . . . . 148
1. La remissione dei peccati dopo il battesimo . 148
2. La prassi penitenziale ecclesiastica 149
3. Penitenza ordinaria e medicinale . 150
§ 25. Giorni e tempi santificati 151
1. Il digiuno . . . . . . 151
2. La Domenica . . . . . 152
3. Giorni e tempi festivi . 152
4. La controversia sulla Pasqua 153
§ 26. I cristiani nella società dell'Impero Romano 154
1. Chiamati fuori da questo mondo . . . . 155
2. In questo mondo: lealtà e integrazione . 156
3. Vita di preghiera . . . 157
4. Matrimonio e famiglia . . . . . . . 157
5. Ascesi cristiana . . . . . . . . . . . 158
a) Sequela di Cristo ed encratismo . 158
b) Santa Chiesa e verginità cristiana 159
c) Isolamento dalla società . . . . . 160

V. Unità e molteplicità della dottrina cristiana. Ortodossia ed eresia 162

§ 27. Fede ortodossa e fede erronea 162


1. Ortodossia ed eresia . . . . 162
2. Confessione della fede . . . 163
a) Articoli della professione di fede 163
b) La regola di fede . . . 164
c) Il simbolo di fede . . . . . . 164
d) Il Simbolo apostolico . . . . 165
3. La Scrittura dichiarata canonica 165
4. La successione apostolica . . . . 166
5. Procedimenti disciplinari di ambito dottrinario 167
Indice generale 523

§ 28. Giudeo-cristianesimo eterodosso 168


1. Ebioniti . . . . . . . . . . . . 169
2. Cerinto 169
3. Elcasaiti 169
4. I mandei . . . . . . . . 170
5. Le Pseudo-clementine 170

§ 29. Gnosi /Gnosticismo .. . 171


1. Fonti . . . . . . . . . . 172
2. Concetti fondamentali dello gnosticismo 173
3. Aspetti esteriori . . . . . . . . . . . . . . 174

§ 30. I principali rappresentanti dello gnosticismo . 176


1. Gli inizi . . . . . . . . . . . 176
2. I grossi sistemi del II secolo 177
a) Basilide . . . . . . . . . . 177
b) Valentiniano (Valentino) . 177
c) Naasseni ed altri . . . 178
3. La reazione ecclesiastica . . 178

§ 31. Chiese e religioni nell'ambito dello gnosticismo 179


1. Marciane . . . . . . . . 179
2. Bardèsane (Bar Daisan) . 180
3. Mani e il manicheismo 181

§ 32. Discussioni sulla Trinità . 183


1. Gli inizi . . . . . . . . 183
2. Monarchianismo dinamistico . 184
3. Monarchianismo modalistico . 185
4. Risposte in ambito ecclesiasti.ca 186

§ 3 3. Attese escatologiche . . . 187


1. Chiarimenti antignostici 188
2. Chiliasmo . . . . . . . 188
3. Teoria dell'apocatastasi 189

§ 34. Il montanismo . . . . . . 190


1. La nuova profezia di Montano 190
2. La diffusione del montanismo 191
524 Indice generale

§ 35. Controversia sulla penitenza 192


1. Novaziano . . . . . . . . . 193
2. Lo scisma cartaginese . . . 193
3. Conflitti dopo la persecuzione di Diocleziano . 194
Prospetto cronologico sulla storia della teologia dei primi secoli 194

VI. Letteratura ecclesiastica e scienze sacre . . . . . 196

§ 36. La letteratura ecclesiastica dei primi tre secoli 196


§ 37. I Padri apostolici . . . . . . . . . . . . . . . . 198
1.Clemente di Roma (I Lettera di Clemente) . 198
2. Ignazio d'Antiochia 199
3. Policarpo di Smirne . 200
4. Lettera di Barnaba . 201
5. La Didachè. . . . . . 201
6. Il Pastore di Erma (Pastor Hermae) 202
7. Papia di Gerapoli . . . . . . . . . . 202
§ 38. La letteratura apologetica e antieretica del II secolo . 203
A. LETTERATURA APOLOGETICA . . • 203
1. Aristide . . . . . . . . . . . . . 204
2. Giustino, il «filosofo e martire» 204
3. Taziano . . . . . . 205
4. Atenagora . . . . . . 206
5. Teofilo d'Antiochia . 207
6. La lettera a Diogneto 207
7. La Satira di Ermia . . 208
8. Sesto ed altri . . . . 208
B. LETTERATURA ANTIERETICA . 208
1. Ireneo di Lione . . . . . . 209
2. Letteratura andata perduta . 210
§ 39. Gli scrittori cristiani greci del III secolo 211
1. Clemente d' Alessandria 211
2. Origene . . . . . . . 213
3. I teologi alessandrini . . 217
Indice gen(!rale 525

a) Discepoli di Origene . 217


b) Dionigi d'Alessandria 217
c) Giulio Africano . 218
4. Metodio di Olimpo 218
5. Didascalia siriaca 219
6. Teologi antiocheni 219
7. Ippolito di Roma 220
§ 40. La letteratura cristiana latina 221
1. Tertulliano . . . 221
2. Minucio Felice 224
3. Cipriano . . . 225
4. Novaziano . . 226
5. Commodiano 227
6. Vittorino . . . 227
7. Arnobio di Sicca 228
8. Lattanzio .... 228

PARTE II
LA CHIESA IMPERIALE TRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO

VII. Il cristianesimo come religione dello Stato. La cristianizzazione del-


l'Impero Romano . . . . . 233
§ 41. Da Costantino a Teodosio . . . . . . . 233
1. Costantino il Grande . . . . . . . . 233
a) La decisione per il Deus-Christus 233
b) La protezione della religio christiana 235
c) L'importanza di Costantino . . . . . 237
2. Il regno dei figli di Costantino . . . . . 238
3. La politica di restaurazione di Giuliano ·. 239
4. Predominio cristiano e resistenza romana 240
5. Teodosio il Grande . . . . 242
6. Tramonto del paganesimo . . . . . . . . 243
526 Indice generale

7. Sguardo d'insieme . . . . . . . . . . . . . . . 243


Prospetto cronologico: verso la Chiesa imperiale 244
§ 42. La diffusione del cristianesimo in Asia e Africa 248
1. Persia . 248
2. Armenia 249
3. Georgia 249
4. Arabia . 250
5. Etiopia . 250
6. Nubia . 250
§ 43. Il cristianesimo presso i germani durante
la trasmigrazione dei popoli . . . . . . . . . . . . . 251
1. Il predominio dei germani nell'Impero Romano 252
2. I visigoti . . . 253
3. Gli ostrogoti . 254
4. I longobardi 255
5. I burgundi . 256
6. I vandali 256
7. I franchi . . 258
§ 44. La Chiesa presso i celti e gli anglosassoni sulle Isole Britanniche 261
1. Deromanizzazione dell'Inghilterra 261
2. Cristianesimo irlandese . . . . . . . . . 262
3. Scozia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263
4. La cristianizzazione degli anglosassoni . 263
§ 45. La concorrenza dell'islam .. 265
1. La comparsa di Maometto 265
2. La diffusione dell'islam .. 265
3. I cristiani sotto gli arabi . . 266
Prospetto cronologico: l'epoca della trasmigrazione dei popoli. 266

VIII. Sviluppo dottrinario: dottrina trinitaria, cristologia, dottrina sulla


grazia. - Eresie e scismi concomitanti 270
§ 46. I temi teologici centrali . . . . . . 270
§ 47. Ario e il Concilio di Nicea del 325 272
1. La teologia di Ario . . . . . . . 272
Indice generale 527

2. L'allargamento della controversia 274


3. La risoluzione di Nicea . . . . . . 275

§ 48. Le controversie sulla confessione di Nicea e la vittoria sull' ariane-


simo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277
1. Sguardo d'insieme sugli altri avvenimenti . . . . . . . 277
2. Digressione: la teologia di Marcello d'Ancira . . . . . 279
3. Nuovo orientamento della politica religiosa imperiale 279
a) Il sinodo di Tiro . . . . . . . . . . . . 279
b) Il sinodo romano del 341 . . . . . . . 280
c) Il sinodo tenuto ad Antiochia nel 341 . 280
4. Tentativi falliti di unione . . . . . . 281
a) Il sinodo di Serdica del 342/343 . . . . 281
b) Ekthesis makrostichos . . . . . . . . . 281
5. Politica di unificazione sotto l'imperatore Costanzo II 282
a) Provvedimenti antiniceni . . . . . . 282
b) Partiti antiniceni . . . . . . . . . . . 282
c) Il doppio sinodo di Seleucia-Rimini . 283
6. La svolta politica . . . . . . . . . . . . 284
§ 49. La controversia pneumatomaca e il concilio
di Costantinopoli del 381 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 286
1. Chiarimenti di teologia trinitaria: la divinità dello Spirito Santo 286
a) Pneumatomachi . . . . . 286
b) I neo-niceni . . . . . . . 287
2. Il concilio di Costantinopoli 288
3. Il Filioque . . . . . . . . . . 289
4. L'arianesimo dopo Costantinopoli 290
§ 50. Scismi ed eresie concomitanti . 291
1. Lo scisma antiocheno . 292
2. Lo scisma romano .. 292
3. Lo scisma luciferiano 293
4. Potino di Sirmio . 293
5. Gli audiani . . . 294
6. I messaliani . . . 294
7. Il priscillianismo 295
528 Indice generale

§ 51. Per e contro Origene (conflitti attorno al 400) 296


§ 52. Il donatismo . . . . . . . . . . . . . . . 298
1. L'imperatore Costantino e i donatisti 299
2. Consolidamento dei donatisti . . . . 300
3. Repressione da parte dello Stato
e tentativi di conciliazione da parte della Chiesa 300
Prospetto cronologico . . . . . . . . . . . . . . . . 302
§ 53. Apollinare di Laodicea e gli inizi delle controversie cristologiche . 303
1. La cristologia di Apollinare . . . . . . . . 303
2. Reazioni teologiche . . . . . . . . . . . . 304
Prospetto cronologico: storia della teologia
e dei dogmi nel IV secolo . . . . . . . 305
§ 54. Nestorio e il concilio di Efeso del 431 307
1. Le scuole teologiche 307
a) Antiocheni . . . . . . . . . 307
b) Alessandrini . . . . . . . . 308
2. Lo scoppio della controversia 309
3. Il concilio di Efeso (431) e il Simbolo di unione cristologica del 433 310
4. Nestorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311
§ 55. L'insorgere del monofisismo e il concilio di Calcedonia 312
1. Tentativi di compromesso e nuovi conflitti . . . . . 313
2. Il processo contro Eutiche e il sinodo di Efeso (449) 313
3. Il concilio di Calcedonia del 451 315
a) Lo svolgimento . . . . . . . . . . . . . . . . 315
b) La confessione di fede . . . . . . . . . . . . 316
§ 56. La controversia sulla grazia - Agostino e Pelagio 317
1. Agostino e Pelagio prima del 411 . . 318
a) Agostino: grazia della conversione . . . . . 318
b) Pelagio: grazia dell'ascesi . . . . . . . . . . 318
2. Rifiuto della dottrina pelagiana da parte di Agostino 319
3. L'azione all'interno di tutta la Chiesa . . . . 320
a) Prime condanne . . . . . . . . . . . . . . 320
b) Inquietudini suscitate da Zosimo di Roma 321
c) Giuliano d'Eclano . . . . . . . . . . . . . 322
Indice generale 529

§ 57. La dottrina di Agostino sulla predestinazione


e il semipelagianismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323
1. La dottrina di Agostino sulla predestinazione . . . . 323
2. Nuova critica contro Agostino: il semipelagianismo . 324
a) Monachesimo e semipelagianismo . . . . 324
b) Il concilio di Orange . . . . . . . . . . . 325
Prospetto cronologico: la dottrina della grazia 326
§ 58. Opposizione contro Calcedonia . . . . . . . '. 327
1. Il rifiuto di Calcedonia . . . . . . . . . . . 327
2. I}Henotikon dell'imperatore Zenone e lo scisma acaciano 328
3. Scissioni tra i monofisiti . . . . 329
§ 59. Teologia nell'epoca di Giustiniano 330
1. La Chiesa imperiale bizantina . 330
2. La controversia teopaschita . . . 331
3. Condanna definitiva di Origene 332
4. La controversia dei Tre Capitoli 333
5. Il concilio di Costantinopoli del 553 334
§ 60. Il monotelismo e il VI concilio ecumenico di Costantinopoli del
680/81 . . . . . . . . 335
1. Il monenergetismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 335
2. Il monotelismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 336
3. Il concilio di Costantinopoli del 680/681 («trullano» I) 337
4. Il concilio di Costantinopoli del 6911692 («trullano» II) . 338
Prospetto cronologico: la controversia sulla cristologia 338

IX. l}ufficio ecclesiastico e la costituzione della Chiesa 341


§ 61. Il clero . . . . . . . . . . . 341
1. Nuovi uffici ecclesiastici 341
2. Formazione del clero . . 343
3. Elezione dei vescovi . . . 344
4. Sostentamento del clero 344
5. Condizioni di accesso . . 345
6. Celibato . . . . . . . . . 345
7. Privilegi concessi dallo Stato 346
530 Indice generale

§ 62. Ordinamento in diocesi e al di sopra delle diocesi . 349


1. Diocesi e parrocchia . . . . . 349
2. L'organizzazione patriarcale . 350
3. Chiese territoriali in Germania 352
§ 63. Il papato e il primato di Roma . 353
1. Roma diventa sedes apostolica 353
a) Memoria Petri . . . . . . . 353
b) Prerogativa della Sede Apostolica . 354
2. Nel nome di san Pietro . . . . . . . . 355
a) Quale consapevolezza i papi ebbero di se stessi 355
b) Roma e le Chiese dell'occidente . . ... 356
3. Leone Magno: I'erede di san Pietro . . . 357
4. Potere e influenza dei papi in occidente . 358
5. Gregorio Magno . . . . . . . . . . . . . 359
§ 64. I sinodi e il loro ordinamento . . . . . . . . 362
1. Importanza dei sinodi a partire dal IV secolo 362
2. Concilio imperiale e sinodi regionali . 363
a) Concilio imperiale . . . . . . . . . . 363
b) Sinodi regionali . . . . . . . . . . . 364
3. L'importanza per il diritto ecclesiastico 364

X. Cristianità della Chiesa imperiale . 366


§ 65. Battesimo e catecumenato . 366
1. Età per il battesimo . 366
2. Il catecumenato . . . . 367
3. Battesimo e unzione . . 368
4. Battesimo degli eretici 369
§ 66. Il culto nella Chiesa imperiale. Canto sacro e ore canoniche 370
1. Differenze liturgiche nelle regioni orientali 370
a) Liturgia antiochena . . . . . . . . 372
b) Liturgia alessandrina . . . . . . . . 372
2. La Chiesa occidentale e la sua liturgia 373
3. Celebrazione eucaristica e comunione 375
4. Predicazione . . . . . . . . . . . . . . 376
Indice generale 531

5. Musica sacra . . . . . . 377


6. Ore canoniche . . . . . 377
§ 67. La disciplina penitenziale 380
1. La penitenza pubblica 380
2. Espedienti pastorali .. 382
§ 68. Tempi festivi e giorni di digiuno nella Chiesa 383
1. Santificazione della Domenica 383
2. Ciclo liturgico di Natale 384
3. Ciclo liturgico di Pasqua 385
4. Altre feste cristiane . . . 386
5. Quaresima . . . . . . . . 387
§ 69. Presenza e forza taumaturgica dei santi . 388
1. Venerazione dei martiri . . . . . 389
2. Venerazione dei santi . . . . .. 390
3. La pia pratica dei pellegrinaggi . 391
4. La venerazione delle immagini 392
5. La venerazione della Croce . 393
§ 70. L'arte paleocristiana . . . . . 395
1. Edifici religiosi pubblici . . 395 -
2. Architettura paleocristiana . 396
3. Arte sepolcrale e sviluppo dello spazio sacro 397
4. Lo spazio attorno all'altare . . . . 398
5. Suppellettili e vesti liturgiche . . . 398
§ 71. Il monachesimo nella Chiesa antica . 400
A. ORIGINI E TERMINOLOGIA . . 402
B. IL MONACHESIMO ORIENTALE . 403
1. Egitto . . . . . . . . . . . . 403
a) L' eremitismo . . . . . . . 403
b) La fondazione di monasteri da parte di Pacomio 404
2. Palestina . . . . . . . . . . 406
a) Giudea e Gerusalemme 406
b) Gaza . . . . . . 407
c) Monasteri latini . 407
3. Siria . . . . . . . . 408
532 Indice generale

4. Asia Minore . . . . . . . 409


5. Costantinopoli . . . . . . 410
6. Monachesimo femminile 411
7. Monachesimo e pubblico . 411
C. IL MONACHESIMO OCCIDENTALE 412
1. Italia . . . . . . 412
2. Nordafrica . . . . . 413
3. Spagna e Gallia . . 414
4. Regole monastiche 415
5. Monachesimo femminile 416
6. Atteggiamenti critici nei confronti del monachesimo 417
§ 72. La vita sociale sotto l'influsso del cristianesimo 420
1. Cristianizzazione dell'Impero Romano? 421
2. Cultura cristiana . . . . . 422
3 . La caritas cristiana . . . . 423
4. La posizione degli schiavi . 424
5. Matrimonio e famiglia . . 425
§ 73. Le donne nelle comunità cristiane 428
1. L'ideale femminile conservatore e la realtà sociale . 429
2. Sovrane cristiane . . . 430
3 . Aristocratiche cristiane 432
4. Donna e letteratura .. 433

XI. Produzione letteraria nell'epoca della Chiesa imperiale 436


§ 74. La letteratura cristiana antica nell'epoca della Chiesa imperiale . 436
1. Generi e temi . . . . . 436
2. I centri più importanti . . . . . . . . . . . . . . . . 437
§ 75. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale orientale . 438
1. Eusebio di Cesarea . . . . 438
2. Teologi alessandrini . . . . 439
a) Atanasio d'Alessandria 439
b) Didimo d'Alessandria 441
c) Cirillo d'Alessandria 441
d) Sinesio di Cirene . . . 443
Indice generale 533

3. I cappàdoci . . . . . . . 443
a) Basilio di Cesarea . . . 444
b) Gregorio di N azianzo 445
c) Gregorio di Nissa . 446
4. Teologi antiocheni . . . . 448
a) Diodoro di Tarso . . . 448
b) Teodoro di Mopsuestia . 449
c) Giovanni Crisostomo . . 449
d) Teodoreto di Ciro . . . 451
5. Apollinare (Apolinarius) di Laodicea . 452
6. Cirillo di Gerusalemme 453
7. Evagrio Pontico . . . 453
8. Macario I Simeone . . . 455
9. Epifanio di Salamina . . 456
10. Ordinamenti ecclesiastici 456
11. Letteratura monastica 457
a) Palladio . . . . . . 457
b) Isidoro di Pelusio . 458
c) Nilo di Ancira . . . 458
d) Diadoco di Fatica 458
12. Letteratura orientale . 459
a) Scrittori siriaci . 459
b) Scrittori armeni . . 462

§ 76. Teologia e letteratura della Chiesa imperiale occidentale 462


1. Ilario di Poitiers . . . 462
2. Ambrogio di Milano 464
3. Girolamo . . . . . . 466
4. Agostino . . . . . . . 468
5. Inizi della poesia cristiana latina 475
a) Laudes Domini . 475
b) Prudenzio . . . 475
c) Paolino di Nola 476
d) Giovenco . 477
e) Proba . 477
f) Sedulio .. 477
534 Indice generale

6. Ambrosiaster . . . 478
7. Firmico Materno . 478
8. Teologi antiariani 479
a) Mario Vittorino . 479
b) Lucifero di Cagliari . 479
c) Gregorio di Elvira 480
9. Predicatori . . . . . 480
10. Rufino . . . . . . . 481
11. Arnobio il Giovane 482
12. Quodvultdeus . . . 482
13 Teologi della Gallia meridionale . 483
a) Cassiano . . . . . . 483
b) Prospero . . . . . . 484
c) Eucherio di Lione . . 484
d) Salviano di Marsiglia 484
d) Fausto di Riez . . . . 485
§ 77. Teologia e letteratura greca dei secoli VI e VII . 485
1. Il Corpus Dionysiacum 486
2. Severo d'Antiochia . . 487
3. Massimo il Confessore 488
4. Romano «il Melode » . 489
5. Giovanni di Damasco . 489
6. Spiritualità e ascesi .. 490
a) Barsanufio e Giovanni . 490
b) Doroteo di Gaza . 491
c) Giovanni Mosco . . . . 491
d) Giovanni Climaco . . . 491
§ 78. Teologia e letteratura latina dei secoli VI e VII · 492
1. Autori nordafricani . . . 492
a) Fulgenzio di Ruspe 492
b) Ferrando di Cartagine 493
c) Facondo di Ermiane . 493
d) Primasio 493
2. Autori italici . 493
a) Ennodio 493
b) Aratore .. 494
c) Dionigi il Piccolo • J. 494
Indice generale 535

d) Boezio 494
e) Cassiodoro 495
3. Autori gallici 496
a) Cesario di Arles 496
b) Sidonio Apollinare . 497
c) Avito di Vienne . . . 497
d) Gregorio di Tours . 498
e) Venanzio Fortunato 498
4. Autori spagnoli . . . . 499
a) Martino di Bracara (Braga) 499
b) Isidoro di Siviglia . . . . . 499

Appendice ..... 501

Tavole cronologiche • I • O • O •• O O O O O I I I I I I I I I I I I 503

Indice dei nomi e delle cose 505

Potrebbero piacerti anche