Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
11 visualizzazioni238 pagine

NietzscheAldilaDelBeneDelMale Text

Caricato da

Carlo ES
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
11 visualizzazioni238 pagine

NietzscheAldilaDelBeneDelMale Text

Caricato da

Carlo ES
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 238

FEDERICO NIETZSCHE

AL DI LÀ
DEL BENE E DEL MALE
Preludio d’una filosofia dell’avvenire

VERSIONE DAL TEDESCO

SI

HUDUVLÒITXDO WEISEL

TOKIN0

FRATELLI BOCCA, EDITORI


Librai di S. M. Il Re d'Ilalla

ItOJIA MILANO FlRKJtZB


Corso, SIB Corso Viti. Eman., 31 Via Cerretani, 8

DEPOSITI
PALERMO — MESSINA — CATANIA

1898
Propri età Lktterahi a

lorino, 1898 — Tip, Succ. A. Buglione — Via Ormea, 3.


PREFAZIONE

Supposto che la verità sia femmina — ebbene, non è


forse fondato il sospetto che tutti i filosofi, in quanto
furono dogmatici, s’intendessero poco delle donne? Che
la spaventevole serietà, l’indiscrezione indelicata con
cui sinora erano abituati ad affrontare la verità non
fossero che dei mezzi grossolani e poco adatti, per
cattivarsi una femmina? Quello che havvi di certo si
è che dessa non s’ò lasciata adescare — e i dogma¬
tici d’ogni specie so ne stanno tristi o scoraggiati.
Se del resto può dirsi che stiano ancora in piedi ! Vi
sono dei burloni che pretendono esser la dogmatica ca¬
duta irremissibilmente, anzi che sia agonizzante. Par¬
lando sul serio c’è buon motivo di sperare che in filosofia
il dogmatizzare, quantunque abbia fatto sciupo di frasi
solenni ed apparentemente inoppugnabili, non sia stato
che una nobile fanciullaggine da dilettanti ; e forse è
prossimo il tempo che si comprenderà sempre più
quanto meschine sono le basi degli edifìci sublimi ed
in apparenza incrollabili, eretti dai filosofi dogmatici,
— qualche superstizione risaliente ad epoche preisto¬
riche (come la superstizione dell’anima che oggi an¬
cora continua ad esser fonte di guai con la supersti¬
zione del « soggetto » e dell’ « io »), forse qualche
gioco di parole, qualche suggestione della grammatica
oppure qualche audace generalizzazione di fatti molto
ristretti, molto personali o molto, perfin troppo umani.
vr PREFAZIONE

La filosofìa dei dogmatici è stata, lo vogliamo sperare,


unicamente una promessa oltre i millenni, come nei
tempi ancor più remoti lo fu 1 astrologia, nel cui ser¬
vizio si spesero più denaro, lavoro, perspicacia e pa¬
zienza di quanto sinora siasi speso per una scienza
positiva qualsiasi: — all’astrologia ed alle sue aspira¬
zioni soprannaturali noi dobbiamo in Asia ed in Egitto
lo stile grandioso dell’architettura. Sembra quasi che
tutte le cose grandi per potersi imprimere a caratteri
indelebili nei cuori umani debbano prima passare sulla
terra sotto l’aspetto di caricature mostruose e spa¬
ventose: una simile caricatura mostruosa era la filo¬
sofia dogmatica, ad esempio la dottrina dei Vedanta
in Asia, il platonismo in Europa. Non siamo ingrati
verso di loro, quantunque sia necessario confessarci
che il peggiore, il più pertinace, il più pericoloso di
tutti gli errori fu quello d’un filosofo dogmatico e pre¬
cisamente l’invenzione platonica del puro spirito e del
bene per sè stesso. Ma oggi che l’abbiamo superato,
che l’Europa respira sollevata da un tale incubo e
che per lo meno — può dormire d’un sonno più sa¬
lutare, — siamo noi, il cui compito è unicamente
l’esser desti, siamo noi gli credi di tutta la forza,
accumulata dalla lunga lotta contro quell’errore. Bi¬
sognerebbe proprio capovolgere la verità, rinnegare
la prospettiva, la condizione fondamentale della vita,
per parlare dello spirito del bene come ne parla Pla¬
tone; anzi, come medico, si potrebbe chiedersi « donde
una tale malattia sul frutto più bello degli antichi
tempi, in Platone? Sarebbe forse vero che Socrate
l’abbia corrotto? Dunque Socrate sarebbe stato davvero
il corruttore della gioventù? Se la sarebbe meritata
la sua cicuta ? » Però la lotta contro Platone, o, per
PREFAZIONI VII

dirlo in modo più intelligibile e popolare, la lotta contro


la millcnnaria oppressione clericale cristiana — giac¬
ché il cristianesimo è un platonismo « pel popolo » —
ha prodotto in Europa una stupenda tensione degli
spiriti quale forse mai s’è avuta sinora sulla terra;
con un arco talmente teso si può mirare alle mete più
lontane. È bensì vero che per l’europeo questa ten¬
sione è una causa di malessere ; e due volte digià si
tentò in grande d’allentare l’arco, una prima volta col
gesuitismo, la seconda colla propaganda delle idee
democratiche. — Coll’aiuto della libertà della stampa
e della lettura delle gazzette arriveremo a tanto, che lo
spirito non sentirà più l’incubo di sé stesso. (I Tedeschi
hanno inventato la polvere, facciamoci loro di cap¬
pello ; ma — hanno inventato la stampa e con ciò han
fatto patta!) Ma noi che non siamo nè gesuiti, nè de¬
mocratici e nemmeno abbastanza tedeschi, che siamo
buoni europei e spiriti liberi, ma molto liberi — noi
sentiamo ancora tutta l’oppressione dello spirito, pos¬
sediamo tutta la tensione dell’arco ! E forse anche la
freccia, il compito, e chi lo sa? La meta.

Sils-Maria, nolL’Engaddi sup., nel giugno ISSÒ.


Capitolo Primo

Dei pregiudizi dei filosofi.

JilETZSCHi; — Al di là del'hcna e del Mal;. — 1.


I

1
:
1.

La volontà eli conoscere il vero, elio ci sedurrà ancora a molti


cimenti, quella famosa volontà della_veracità, di cui sinora tutti i vo,rei <à
Klosofi hanno parlato con venerazione, quali questioni non ci ha
digia proposto codesta volontà! Quali questioni curiose, cattive,
problematiche ! È una storia già molto lunga — eppure non sem¬
brerebbe datasse da ieri ? Quale meraviglia, se aitino diventiamo
diffidenti, se perdiamo la pazienza, se ci volgiamo sfiduciati? Se
abbiamo imparato da codesta Sfinge a proporre anche noi dello
questioni? .
Ma chi è mai, che ci interroga ? Quale è in noi quella cosa
che tende alla verità ? — Infatti per lunga pezza noi abbiamo
esitato a chiederci la causa di questa volontà — sino a tanto
che fummo costretti a fermarci tutto a un tratto dinanzi ad una
questione ancor più importante. Ci siamo chiesti quale si fosse
il valore di questa volontà.
Ammesso pure che noi vogliamo la verità : ma perche non piut¬
tosto la menzogna? o l’incertezza? o persino l’ignoranza? — Ci si
affacciò il problema del valore della verità — o forse siamo
andati noi in cerca di tale problema ? Chi di noi ò qui Edipo,
chi la Sfinge ? Sembra un convegno di interrogazioni e di punti
interrogativi. — Eppure, dii lo crederebbe, quasi quasi ci sembra
che il problema sinora mai sia stato ancor proposto — che sia stato
intraveduto da noi por la prima volta, per la prima volta pon¬
derato, affrontato. E per affrontarlo ci vuole un’ audacia della
quale non v’ha la maggiore.
4 CAHTOI.O ritl.MO

lu qual modo una cosa potrebbe aver origine dal suo con¬
trapposto? Per esempio la verità dall'errore, oppure la volontà
del vero dalla volontà del falso? Oppure un’azione disinteres¬
sata dall interesse ? Oppure la contemplazione ascetica del saggio
dalla concupiscenza ?
Una tale origine è impossibile : chi la sogna è un pazzo, anzi
qualche cosa di peggio : le cose che hanno un valore supremo
de\ ono avere un’altra origine, propria — ò impossibile derivarle
da questo inondo miserabile, passeggierò, seduttore ed inganna¬
tore, da questo labirinto di follie c di bassi appetiti ! In seno
all’essere, nell’imperituro, nel dio nascosto, nella « cosa in sò »
- là sta la sua origine e non altrove ! Questo metodo di giudi¬
care ci presenta il pregiudizio tipico, che ci permette di ravvi¬
sare i metafisici di tutti i tempi : questo metodo d’apprezzamento
forma la base di tutti i loro processi logici ; partendo da questo
punto, dalla loro « fede •>, cercano di arrivare alla « conoscenza a,
a qualche cosa infine cui danno il nome di « verità ». La cre¬
denza fondamentale dei metafisici è la credenza nei contrapposti
dei valori.
Anche ai più prudenti tra loro non venne mai in mente di
sostare dubbiosi già sulla soglia, dove il dubbio s’imponeva mag-
giormente : anche quando si fossero proposti fermamente « de
omnibus dubitandum .>.
E lecito cioè dubitare in primo luogo se i contrapposti proprio
esistano, eppoi se siffatti apprezzamenti volgari, siffatti contrap¬
posti di valori, su cui i metafisici hanno impresso il loro sug¬
gello, non siano forse degli apprezzamenti soggettivi, prospettive
approssimative, prese forse da un qualche angolo, o dal basso
in alto, prospettive da rane, come usano esprimersi i pittori?
Per quanto grande possa essere il valore della verità, del
disinteresse, potrebbe darsi cionondimeno elio all’apparenza, alla
volontà del falso, all’intorcsso ed alla cupidigia bisognasse ascri¬
vere un valore superiore c più fondato por tutto ciò elio vive.
DEI PREGIUDIZI Dl-r FILOSOFI y

Sarebbe persino possibile, clic ciò che costituisce il pregio di


quelle cose buono o venerato consistesse proprio in ciò che
possedono un’affinità compromettente con le cose cattive ed ap¬
pai enteiuento opposte, clic anzi essenzialmente sono quasi uguali
alle medesime. I: orse ! — àia chi mai vorrà prendersi cura di
tali <-. forse » pericolosi ?
Perchè ciò avvenga è d’uopo attendere una nuova specie di
filosofi, i quali abbiano dei gusti e delle inclinazioni diametral¬
mente opposti a quelli degli attuali. — Filosofi del pericoloso
« forse » in tutti i sensi. E parlando con tutta serietà — io
vedo l’avvento di tali filosoli.

3.

Dopo avcrjetto a lungo tra le righe c tra le dita dei filosofi,


io mi dico : bisogna ancora collocare la maggior parto del pen¬
sate consciente tra lo attività doli istinto, o fiuauco il pensare
filosofico: bisogna cominciare ad imparare da capo come si è
tatto a proposito dell’atavismo e dell1 « ingenito ». Come l’atto
della nascita per sè stesso non può esser preso in considera¬
zione nel processo c nel progresso dell’ ereditarietà, cosi del
pari 1’ « esser consci » non può venir contrapposto in senso de¬
cisivo all’istinto. — Quasi tutto il pensare consciente del filosofo
è diretto segretamente dai suoi istinti ed è costretto a prendere
una via determinata. Anche dietro la logica o le sue mosse
in apparenza splendidamente indipendenti si celano apprezza¬
menti 4L vaio re, o per parlare più chiaramente, postulati fisio¬
logici per la conservazione d’una data specie di vita. Per esempio,
che il determinato abbia maggior pregio dell’indeterminato, clic
l’apparenza valga meno della « verità •> : dotali apprezzamenti,
per quanta possa essere la loro importanza regolativa per noi,
non sono che apprezzamenti soggettivi, una specie di c niaisorio >
la quale può esser necessaria per la conservazione d’esseri
quali noi siamo. Semprecchò non debba esser proprio l’uomo
c la misura dello cose »...
G CAPITOLO PRIMO

4.

La falsità d’uu giudizio non può servire a noi d’ obbiezione


contro il medesimo. La questione è di sapere quanto tale giu¬
dizio possa giovare a favorire, a conservare la vita, la specie,
quanto possa esser necessario per la loro evoluzione: e per prin¬
cipio noi siamo disposti a sostenere, che i giudizi i più falsi (ai
quali appartengono i giudizi sintetici c a priori a) sono per noi
maggiormente indispensabili, clic non lasciando valere le finzioni
logiche, clic non misurando la realtà alla stregua del mondo pura¬
mente imaginario dell’incondizionato, che senza falsare costan¬
temente il mondo mediante il numero, l’uomo non potrebbe
aivere che il rinunziare ai giudizi falsi equivarrebbe al ri¬
nunziare alla vita, al rinnegare la vita.
Ammettere la menzogna quale condizione della vita, ciò sa¬
rebbe certamente un ribellarsi in modo pericoloso agli usuali
sentimenti di valore, ed una filosofia che ardisce far ciò si col¬
loca per ciò stesso al di là del bene c del male.

5.

Quello che c’induce a riguardare un po’ diffidenti, un po’ con aria


di scherno tutti i filosofi, non si è già, perchè ripetutamente ab¬
biamo avuto campo di convincerci della loro ingenuità — dei
granchi che prendono tanto di sovente o colla massima le-o
— bensì perche non sono del tutto ouesti : mentre essi si collegauo
strettamente per alzare forti strida virtuose, quando si osa°toc-
care il problema della realtà, vorrebbero darci a capirò, elio le
loro opinioni sono il risultato d’una dialettica fredda, plmt
olimpicamente indifferente, da loro scoperta ed ottenuta (per di¬
stinguer so stessi dai mistici d’ ogni classe, i quali, più onesti
ma più imbecilli, parlano d’ « ispirazione »); mentre in fondo
una frase colta a volo, un’idea stravagante, una suggestione, un
desiderio reso astratto o debitamente filtrato, ò quanto essi difen¬
dono con ragioni tirato poi capelli — in fondo sono tanti avvocati
DEI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI 7

che uon vogliono sentirsi chiamare tali, ed anzi talvolta dei volponi
die \ogiiono far passare per tante verità i loro pregiudizi, le
loro idee preconcette — e sono mollo lontani da quella fortezza
d animo, che di tutto ciò particolarmente sa rendersi e si rende
ingioile, molto lontani dal buon gusto del coràggio, che tutto ciò
proclama altamente sia per metter in guardia i nemici e gli amici,
sia per orgoglio, od allo scopo di beffarsi di sè stessi. La tartuf¬
ali:! .ili 1.1 pttantq jigida quanto virtuosa del vecchio Kant, con la
quale ci attira nei sentieri più sdrucciolevoli della dialettica che
devono condurci o piuttosto sedurci al suo « imperatilo catego¬
rico » — è uno spettacolo che fa ridere noi, malavvezzi, noi che
non sentiamo piacer maggiore di quello di metter a nudo i rag¬
giri dei vecchi predicatori di morale.
Così ci fa ridere quel gioco di bussolotti che è la forma ma¬
/ p-wtffàA
tematica di cui Spinoza ha ricinto como_d’_una corazza la sua
filosofia, o, a dir meglio, — l’amore della propria sapienza — ùJbr fosjcJL*
ondo disanimare a bolla prima chiunque s’attentasse guardar in
faccia quell’ invincibile Pallade Atene : quanta timidezza e debo¬
lezza ci rivela quella mascherata d’un infermo solitario.

6.

Un po’ alla volta sono arrivato a farmi un’idea di ciò che è


la grande filosofia: null’altro che la professione di fede di colui clic
la crea, una specie di « mómoires » involontario. Così pine, che il
fino morale (o immorale) costituisca il vero nocciolo vitale d’ogni
filosofìa, dal quale poi si ò sviluppata la pianta tutta intera.
Difatti, è cosa consigliabilere prudente il domandarsi, allor¬
c4\£ r.ì-qv ce
quando si vuole spiegarsi come abbiano avuto origine le affer¬ l&fto
mazioni metafisiche più strambe di tale o tal altro filosofo: a quale Giusi K fa i" r-'ivfC-,

morale si vuole (o vuole lui) far capo?


Perciò io non credo che l’impulso verso la conoscenza sia il
padre della filosofia, bensì che ad un altro impulso, qui come in
altri casi, la conoscenza (od anche l’ignoranza) serva di stromonto.
Ma chi considererà gli impulsi fondamentali dell’uomo dal lato
elio sono geni (o demoni) ispiratori troverà, che ciascuno di loro
s CAPITOLO PRIMO

Ini fatto della filosofia per couto proprio, — e che ciascuno sa¬
rebbe proclive a considerar sò stesso quale ultimo scopo dell’esi¬
stenza c di diritto padrone di tutti gli altri impulsi. Poiché ogni
impulso tende alla dominazione: e come tale tende a filosofare.
Sicuro, nei dotti, negli uomini di scienza propriamente detti, la
cosa può essere diversa, migliore, se vogliamo — può darsi
benissimo che c’entri anche qualcosa che possa chiamarsi l’impulso
verso la conoscenza, qualche piccolo meccanismo indipendente, il
quale, caricato a dovere, possa lavorare da per sè valorosamente,
senza che gli altri impulsi dello scienziato vi siano essenzialmente
cointeressati. Perciò i reali c interessi » dello scienziato sono collo¬
cati, di solito, del tutto altrove, nella famiglia, nel lucro, nella poli¬
tica: di modo che è quasi indiflerente che il piccolo meccanismo
>ia applicato ad uno o ad un altro ramo della scienza, e che il lavo¬
ratore di belle speranze formi di sè stesso un buon filologo, un
conoscitore di funghi od un chimico — non si è già quel tale
meccanismo che gli presti il carattere di diventare questo o
quello. Viceversa nel filosofo nulla c’è d’impersonale; ed anzitutto
la sua morale attesta in modo decisivo chi egli sia vale a
dire iu qual modo siano tra di loro coordinati c subordinati i
suoi istinti naturali.

7.

Quanto sanno essere maliziosi i filosofi! ifon conosco nulla


d, p.u velenoso dello scherzo che si fece lecito Epicuro verso
acne ed . platonici: egli li denominò: Dìomjsiokolakcs. Te¬
stualmente od anzitutto ciò significherebbe: adulatori di Dionisio
adunque cojlisianLcLe.i tiranni; ma ben di più con quell’appel¬
lativo intese dire esser coloro altrettanti commedianti, nei quali
nulla hawi di \oro (imperocché Dionysiokolax fosse una deimmi
nazione popolare del commediante). E in quest’ultimo significato sta
la malizia lanciata da Epicuro contro Platone; egli si sentivi indi
spettilo dalla maniera grandiosa, dall’effetto scenico, di cui sane
vano valersi Platone ed i suoi discepoli - mentre Epicuro non so
ne intendeva ! lui, il vecchio maestro di scuola di Samo, nascosto
DEI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI 9

nel suo giardinetto in Atene, dovo scrisse trecento volumi, chi


lo sa? forse per odio od invidia di Platone? — Ci vollero cento
anni perché la Grecia giungesse a comprendere chi fosse stato
quel dio degli oidi, Epicuro. — 3Ia, giunse poi mai a com¬
prenderlo ?

8.

In tutte lo filosofie c;ò un punto, in cui la <: convinzione del


filosofo » si presenta sulla scena, o, per dirla col linguaggio dàm
antico dramma medioovale,
ndveutavit asinus
pulcher et fortissimus.

9.

« Secondo la natura » volete voi vivere? Oh, voi nobili stoici,


quale inganno di parole ! Imaginatcvi un essere, quale si è la na¬
tura, prodiga senza misura, smisuratamente indifferente, senza in¬
tenzioni uè riguardi, senza pietà e senza giustizia, feconda e sterile,
o in pari tempo incerta, imaginatevi l’indifferenza divenuta potenza
— corno mai potreste vivere a seconda di questa indifferenza ?
Vivere — non significa ciò forse voler essere qualche cosa di
diverso da quello che è una simile natura ? Vivere — non significa
forse valutare, preferire, essere ingiusti, limitati, differenti ? E
supposto che il vostro imperativo c vivere secondo la natura •'
significhi in fondo, c vivere secondo la vita •> — corno potreste
non farlo ? Perchè fare un principio di ciò, che siete voi stessi,
di ciò elio dovete essere ? — In realtà la cosa sta altrimenti :
mentre ci date ad intendere estatici che nella natura decifraste i
canoni della vostra legge, voi mirate a qualche cosa d’opposto,
voi strani commedianti ed ingannatori di voi stessi ! Il vostro
orgoglio vuole prescrivere, incorporare alla natura, fiuanco alla
natura, la vostra morale, il vostro ideale; voi pretendete ch’essa
divenga una natura « secondo la Stoa > c vorreste informare tutta
la vita alla vostra propria imagine — vorreste farne una mo¬
sti-uosa e perenne glorificazione c generalizzazione dello stoicismo!
10 CAPITOLO MINIO

Con tutto il vostro amore per la verità, vi sforzate sì a lungo, sì


costantemeute, con tale rigidezza ipnotica a vedere la natura falsa,
vale a dire stoica, che intìue non siete capaci di vederla sott’altro
aspetto — ed uu inconcepibile orgoglio v’infondo persino la spe¬
ranza insensata, che perche voi stessi sapete tiranneggiarvi —
stoicismo equivale a tirannia di sè stessi — anche la natura si
lasci tiranneggiare : lo stoico non è forse — una particella- di
natura ?... ila questa ò una storia vecchia : ciò che in altri tempi
ò avvenuto degli stoici, avviene ancor oggi, non appena una filo¬
sofia cominci a credere in sò stessa. Essa crea sempre il mondo
a propria imagine, e non può faro diversamente ; la filosofia non
è altro che questo istinto tirannico, la più spirituale volontà della
potenza, della < creazione del mondo », della « causa prima :>.

10.

Lo zelo e la finezza, starei per dire l’astuzia, di cui oggidì in


tutta Europa ci si vale per affrontare il problema « del mondo
reale^e del mondo apparente », dà a pensare, fa tender rorecchio;
e chi in fondo non ci vede che la <: volontà di conoscere il vero » o
nieut altro, non può vantarsi d’aver buono orecchio. In singoli casi
molto ituì può ammettersi che una talo voloutà di conoscere il
vero, che uu coraggio cicco e avventuroso, uu orgoglio di meta¬
fisico agli avamposti vi sia partecipe, e preferisca una manciata di
ccertezza» ad un vagone carico di belle possibilità; ammetto puro
che ci siano dei puritani fanatici della coscienza, i quali preferi¬
scano un cerio nulla ad un incerto qualche cosa. Ha ciò sarebbe
nichilismo e l’indizio d’un’anima disperante o mortalmente stanca:
per quanto possa esscro valorosamente ammirabile l’atteggiamento
d una simile virtù. Ma i pensatori più forti c pieni eli vitalità ed
ancor assetati di vita sembrano pensarla diversamente: mentre
pigliano partito contro l’apparenza e pronunciano digià con ironia
la parola « prospettico»; mentre giudicano il proprio corpo tanto
poco degno di fede, quanto l’illusione ottica che dico « la terra
non si muove», e mentre così con tutta buona grazia rinun-
ziano al possesso più sicuro (imperocché cosa ritiensi oggidì più
DEr rnEGicDizr dei fieosofi n

sicuro del proprio corpo ?), chi Io sa, se in fondo non intendano
riconquistare qualche cosa che in altri tempi si ò posseduto
ancor più sicuramente? qualche cosa dell’antico possesso fonda¬
mentale della fedo d’altri tempi, forse dell’«anima immortale»
dell «antico Dio», in breve, di quelle ideo che permettevano
di vivere meglio, vale a dire più sicuramente e più lietamente,
che non lo consentano le « idee moderne a ? In essi si riscontra
una certa diffìdcnxu verso le idee moderne, un’ incredulità contro
tutto ciò che ieri ed oggi fu edificato, frammista forse ad una
specie di leggiera sazietà, di scherno, di tutto ciò che si ribella
al bric-à-brac di concetti dalle origini più svariate, quali so;io
quelli che oggidì esibisce in vendita il cosidetto positivismo, in
essi si riscontra forse la nausea d'un gusto raffinato, prodotta
dalla chiassosa esposizione da fiera di tanti filosofastri realisti, e
nella quale il chiasso delle parole è l’unica novità.
In ciò, a mio avviso, si dovrebbe dar ragione a questi scet¬
tici antirealisti c analizzatori microscopici della scienza odierna :
quel loro istinto, elio gli allontana dal realismo moderno, è incon¬
trastabile. — Che cosa importa a noi che se ne allontanino per le
vie torte del regresso ! L’essenziale in loro si è uou già che vogliano
tornare indietro — bensì che vogliano allontanarsene. Un po’
più di forza, d’ispirazione, di coraggio, di sentimento artistico,
ed invece di ritornare indietro — tenderebbero ad innalzarsi.

11.

Mi sembra, che ora si sia generalmente intenti a ritorcere gli


sguardi dalla vera influenza esercitata da Kant sulla filosofìa te¬
desca, e particolarmente a sorvolare prudeutemeute sul valore,
che egli stesso si riconobbe. Kant era anzitutto ed in primo
luogo orgoglioso, della sua Tavola delle categorie, egli diceva
con quella Tavola alla mano : « questa è la cosa più difficile
elio potè esser intrapresa a scopo metafisico ».
Si noti codesto « potè esser » : egli andava orgoglioso d’avere
scoperto nell’uomo una facoltà nuova, quella dei giudizi sintetici
a priori.
12 capitolo rumo

Ammesso pure elio si sia ingannato, lo sviluppo e la rapida fio¬


ritura della filosofia tedesca sono dovuti a codesta scoperta figlia
dell’orgoglio ed al gareggiare di tutti i gióvani nella ricerca di sco¬
perte ancor più superbe — vale a dire di nuove facoltà nol-
l’uomo ! — Ma mettiamo ragione, elio sarebbe proprio tempo,
c Come sono possibili i giudizi sintetici a priori? » si chioso
Kant — e che cosa risponde egli in fondo? « Per lo facoltà d’ima
facoltà; > purtroppo egli non lo dice con queste poche parole,
bensì con un’esposizione tanto circostanziata e venerabile, con
tanto sfoggio di contorni c di profondità germanica, che non si potò
a bella prima afferrare la cniaiscrio allemande» che si cela in
quella risposta. Si era fuor di sù per la scoperta di quella nuova
facoltà, ed il giubilo non conobbe più limiti, allorché Kant v’ag¬
giunse una nuova scoperta, « la facoltà inorale » dell’uomo : —
giacché a quei tempi i tedeschi orano ancora moralisti, o niente
allatto perauco realisti-politici.
Sorse allora la luna di miele della filosofia tedesca : tutti i
giovani teologi del seminario di Tubinga partirono per la caccia
in ceica di nuove facoltà. E elio cosa non si trovò mai a quei
bei tempi d innocenza, di rigogliosa gioventù dello spirito tedesco,
baciato ancora dal soffio della maliziosa fata del romanticismo,
a quei tempi in cui c trovare » ed c inventare » avevano lo
stesso significato !
Anzitutto una facoltàjicl « soprannaturale »: Schelling la bat¬
tezzò per .^intuizione.intellettuale » e con ciò venne incontro
all’intimo desiderio dei suoi buoni tedeschi, elio hanno un fondo
^-bigottismo. Kou si può far maggior torto a codesto movi¬
mento giovanilmente insolente o sentimentale, per quanto si sia
compiaciuto di concetti misantropici e decrepiti, che prenden¬
dolo sul serio od occupandosene con indignazione morale : co¬
munque sia, s’invecchiò — e il sogno disparve.
Sopraggiunse un tempo in cui s’incominciò a stropicciarsi gli
ocelli: lo si fa ancor oggidì. Era stato un sogno: - chi fra
tutti aveva sognato per il primo, era stato il vecchio Kant. « Per¬
la facoltà d’una facoltà », aveva detto, o per lo ~meno inteso
diic. Ma è questa una risposta? una definizione? 0 non è forse
DEI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI 13

ima ripetizione della domanda : » Perchè l’oppio fa dormire? Per


l.i facoltà d una facoltà, vale a diro grazie alla sua « virtù dormi-
tiva ;), come risponde quel medico d’uua commedia di Molière.

Quia est in co virtus dormitiva


Cujus est natura scnsus assoupiro.

Ma simili risposte sono possibili in una commedia, ed è


tempo finalmente di sostituire la proposizione Kantiana « come
sono possibili giudizi sintetici a priori ? 3 con un’altra «perchè
è necessario di credere_jn tali giudizi?» — e di comprendere
che per lo scopo della conservazione d’esseri della nostra specie
simili giudizi devono essere ritenuti per veri : ciò non esclude
che possano essere anche falsi ! Oppure, a dirla più francamente,
giudizi sintetici a priori non dovrebbero atfatto esser « possi¬
bili » : noi non abbiamo alcuu diritto ai medesimi,' in bocca
nostra divengono altrettanti giudizi falsi. Ora con ciò non si
nega, che il credere nella verità dei medesimi sia un bisogno,
che sia necessaria una tale credenza fondamentale e dettata dai
sensi, che fa parte dell’ottica delle prospettive della vita. — Ed
ora, se si pensa all’immenso effetto esercitato dalla « filosofìa
tedesca :> (si comprenderà, lo spero, che abbia un diritto ad
essere sottolineata ?) in tutta Europa, non è lecito dubitare, che
a tale effetto non abbia in parte contribuito una certa « virtus
dormitiva ».
----
Si era proprio incantati di possedere, in un mondo di nobili
fannulloni, di tartufili, di mistici, di artisti, di cristiani da tre
quarti, e di cameadi politici, nella filosofia tedesca un contrav¬
veleno contro il sensualismo ancor strapotente tramandatoci dal
secolo scorso — in breve il modo di — scnsus assoupire.

12.

In quanto all’atomistica materialistica, essa appartiene alle teorie


che meglio furono confutate, 0 forse oggi non havvi in Europa
scienziato alcuno che sia tanto ignorante, da attribuirle una seria
importanza (eccetto che per l’ uso casalingo, vale a. dire quale
14 CAPITOLO PKIMO

mozzo molto comodo per esprìmersi) — o ciò grazio anzitutto


al polacco Doscocicli, il quale, insieme a Copernico, ò stato il
maggiore c più vittorioso avversario dell’apparenza. Yale a dire
mentre Copernico ci ha indotti a ritenere, contrariamente ad
ogni evidenza dei sensi, che la terra non è immobile, Boscovich
c'iuseguò a rinnegare la fede nell’ultima cosa, che della terra
stava ancor ferma, vale a dire la fede nella « materia .•>, nol-
1’ <•• atomo a, e questo fu il massimo trionfo sui sensi, che sinora
sia stato riportato. — Ma bisogna andare ancor più innanzi,
o dichiarare la guerra anche al cosidetto « bisogno atomistico »
che ancor vive d’ una vita clandestina ma pericolosa, là dove
meno lo si aspetterebbe ; unitamente all’ altro bisogno c meta¬
fisico » — una guerra al coltello, senza remissione ; bisogna lai-
anche la guerra a quell’altra atomistica più fatale, che meglio e
più a lungo d’ogni altra, fu insegnata dal cristianesimo, 1’ « ato¬
mistica dell'anima >. Con questa espressione mi sia lecito signi¬
ficare quella credenza die ammette esser l’anima qualche cosa
d indistruttibile, d’eterno, d’indivisibile, una monade, un atomo:
questa credenza si deve fare scomparire dalla scienza ! .Xcm è,
sia detto tra noi, per nulla necessario di sbarazzarsi perciò dcl-
1 animae di rinunziare con ciò ad una delle più antiche e
\ enei abili ipotesi; come ciò accade al naturalista inesnerto. al

i
lanti con la lussuriosa vegetazione ilei tropici intorno al concetto
dell’anima, si troverà certamente trasportato in un nuovo deserto e
getterà intorno a sé uno sguardo sfiduciato — forse i psicologi
anticlii avevano un compito piti facile e più divertente — ma infine
anche il moderno sa che è condannato ad inventare — c chi
lo sa ? — fors’ anco a trovare.
DEI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI 15

13.

I fisiologi dovrebbero rifletter bene prima di ammettere l’istinto


della propria conservazione quale istinto cardinale degli esseri
organici.
Anzitutto una cosa nata intende manifestare la propria forza
— la vita è per se stessa la volontà di potere — la propria
conservazione ne è soltanto una conseguenza indiretta e più fre¬
quente.
In breve, tanto qui come dappertutto, guardiamoci dai prin¬
cipi teleologici superflui ! tra i quali è anche quello dell’ istinto
della propria conservazione (che noi dobbiamo all’inconseguenza
di Spinoza). Così lo esige il metodo, che significa anzitutto par¬
simonia di principi.

14.

In cinque o sei teste forse incomincia ora ad albeggiare l’idea


che anche la fisica non sia altro che un’interpretazione del mondo
a seconda-dei nostri desideri od anche (sia lecito dirlo) un’ar
dettamente dell’universo ai medesimi, e non già una spiega¬
zione dello stesso : però, sino a tanto che si fonda sulla fede
uei sensi, essa ha un valore maggiore e per molto tempo con¬
terà di più, vale a dire come una spiegazione. Per essa attcstano
gli occhi c lo dita, l’evidenza e la palpabilità; o tutto ciò affascina,
persuade, convinco un’età di gusti fondamentalmente plebei —
perchè segue istintivamente il canone della verità d’un sensualismo
eternamente popolare. Che cosa ò manifesto, che cosa è manife¬
stato? soltanto ciò che si può toccare e vedere — sino a tal punto
bisogna spingere ogni problema. Viceversa : precisamente nella
ripugnanza contro la caducità dei sensi consisteva il fascino della
filosofia platonica, la quale era una filosofia aristocratica, — forse
in mezzo ad uomini i quali potevano vantarsi di sensi ancor più
vigorosi o più raffinati dei nostri contemporanei, ma che riguar¬
davano siccome il maggior tlionfo quello di rendersi padroni dei
16 CAPITOLO PRDIO

medesimi : e ciò col mezzo di pallidi, freddi, grigi concetti, con


cui irretivano il vorticoso turbinìo dei sensi, — « la plebe dei
sensi », a detta di Piatone. C’era nu godimento di ben altra
specie in quell’assoggettamento del mondo, iu quella iuterpe-
trazione secondo Platone, ben diversa da quella che ci offrono i
fisici d'oggidì ed, insieme a loro, i darwinisti e gli antiteleologici
tra i fisiologia col loro principio della « forza possibilmente mi-
nuua » e della stupidità possibilmente massima. « Dove all’uomo
pm nulla resta a vedere ed a toccare, egli non ha più nulla a
cercare ;>. Questo imperativo è cortamente ben diverso da quello
i Platone, ma per una generazione rude o lavoratrice di mec-
Cf11,01 G C°flUttorì di l)0nti Avvenne, i quali hanno da com-
picie un lavoro esclusivamente grossolano, sarà forse proprio
li solo imperativo. 1 1

15.

• Per fare (lolla fisiologia co„ cosc.ienz bi


"ver presente, che gli organi dei seusi „„„ ’souo ^

«1°. PTC
elio canse! le, cmÌ<IealiS“r ; ^
sensualismo per M “°" P^ero
lo meno essere
quali i„0(e,i m

E “mmCtterl° «“ euristico!
0 li» chi asserisce essere il mondo esteriore l’onera
0. nostri organi ? „Uora anche il corpo

Sr'V: r!rdoeste,im’ ^ „;s!; ó:;:;


tonostn organi. Questa sarebbe, mi paro, una radicalo , Jcto

: 10 C’*e 11 «“ «* * qualche lesa


m„ XTT
non 'T'°'
c i opera dei nostri Di ? c°“se*u0"2a 11 ■»#*> esteriore
organi

1G.

Vi sono ancor sempre degli ingenui osservatori


proprio
ilhfT’ 1 '1"n Cred°no c,le gessano esistere delle certi imme-
"te, come ad esempio c i„ penso a, oppure, seconde
super-
DEI PKEGIUDIZI DEI FILOSOFI 17
stiziono dello Schopenhauer e io voglio », come se fosse possibile
afferrare puro e nudo l’oggetto, « quale cosa in sé a e uè da parto
del soggetto nò da parte dell’oggetto la visione fosse falsata. Ma
che la <-. cortezza immediata > al pari della « nozione assoluta ■
c la « cosa in sò » racchiudano una «cpntradiclio in adjccto »,
lo ripeterò cento volte ; sarebbe ora di sottrarsi al fascino delle
parole ! Lasciate credere al popolo che -sapere equivalga..a cono¬
scere a fondo ; il filosofo deve dire a sè stesso : se io dccom-
pongo il procedimento espresso dalla frase, io penna, otten’ò una
serie d’audaci affermazioni di cui mi riuscirà difficile c forse
impossibile il provarle, ad esempio, che proprio « io » pensi,
clic in generale ci debba esistere qualche cosa, che pensi, che il ct een
JO uPtf.
pensare sia un’attività, l’effetto d’uu essere pensato come causa, il ìvsU
che esista un « io » infine, che si sia bene stabilito che cosa t' -*v?i

debba intendersi per pensare, elio io sappia che cosa sia pensare.
Che so io non fossi già ben deciso in tale proposito, come mai
potrei arguire che quello che in un dato momento avviene, non sia
piuttosto un « volere > od un « sentire » ? In breve la frase « io
penso » presuppone.che io confronti il mio stato attuale con
altro stato che io già conosco, per poter determinarlo ; ma un 7
tale riferimento ad altro stato da me conosciuto, non può ancora i,. . .
esser considerato da me quale una « certezza immediata ». In luogo .. ’J
di questa « certezza immediata ;>, nella quale nel caso menzionato
potrà credere il volgo, il filosofo si trova dinanzi una serie di que¬
stioni metafisiche, veri casi di coscienza dell’ intelletto, come :
« Donde ho tolto il concetto pensate? Percliò credo alla causa
ccl all’effetto ? Che cosa mi conferisce il diritto di parlare d’un
«io », o meglio ancora « d’uu io che è causa» ed infine d’uu
« io causa di pensieri ? » Chi avesse 1’ audacia di richiamarsi
ad una specie d’intuizione por rispondere sul momento a tali
questioni, come fa colui elio dice « io penso e so che almeno
questo ò vero, reale, certo » leggerebbe nel volto d un filosofo
d’oggidì un sorriso o duo punti interrogativi. « Signor mio » gli
farebbe forse capire il filosofo « ò improbabile che voi non vi
inganniate; ma perché volere poi la verità a tutti i costi?»

XiEtzsciiK — Ai di là del bene e del male. —


1S CAriTOI.O PRIMO

17.

Per ciò che concerne il pregiudizio deiJogi£Ì»_jion mi stan¬


cherò mai di far risaltare sempre c sempre un breve fatto che
codesti superstiziosi ammettono malvolentieri — vale a dire,
che un pensiero viene, quando c esso » vuole, non quando
c io » voglio; sicché sarebbe un falsare la verità del fatto asse¬
rendo: il soggetto « io » è la condiziono del predicato « penso ».
c esso » pensa, ma che questo e esso » debba esser proprio il
famoso antico c io •> non è, per adoperare un’espressione blanda,
che una supposizione, un’affermazione, ma anzitutto non è una
<; certezza immediata ». E persino quell* « esso » ò non poco com¬
promettente, giacché quell’ c esso » contiene in sé uu’iutcrpetra-
zione del processo del pensare e non appartiene allo stesso. Si
conclude in forza dell’abitudine grammaticale c il pensare è un’atti¬
vità » per ogni attività ci vuole « qualcuno die sia attivo », di con¬
seguenza — secondo questo schema all’incirca l’atomistica d’altri
tempi ricercava iu aggiunta alla « forza efficiente » il granellino di
« materia », in cui essa risiede e dal quale s’irradia la sua attività,
l’atomo; delle teste più serie appresero a fare a mono anche di
quest’ultimo c avanzo terrestre » e forse un bel giorno ci si abi¬
tuerà, anche da parte dei logici, di fare a meno di quel meschino
« esso » (nel quale si é volatilizzato l’onesto « io » d’una volta).

1S.

Di una teoria non è certo la sua attrattiva minore, quella di


essere confutabile; appunto per ciò essa alletta lo teste più fini.
Sembra che la teoria, cento volte confutata, del c libero arbitrio »
non sussista che in forza di tale attrattiva : — c’è sempre qual¬
cuno arrivato di fresco che si sente la forza di confutarla.

19.

I filosofi sogliono parlare della volontà come se fosse la cosa


meglio conosciuta del mondo ; anzi, Schopenhauer ci diede ad in-
DEI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI 19
tendere clic la volontà sola ci sia propriamente conosciuta, ma
conosciuta completamento, senza difalchi nò aggiunte. Eppure mi
sembra elio anche in questo caso Schopenhauer sia proceduto
secondo il metodo di tutti i filosofi; cioè, che abbia fiuto suo un
pregiudizio popolare, esagerandolo. Yolerc anzitutto nr appare
come qualche cosa di complicalo, qualche cosa che soltanto quale
parola rappresenti un’unità, e precisamente nell'unità del vocabolo
ha le sue radici il pregiudizio popolare, clic ritrae profitto dall’eterna
mancanza di circospczione dei filosofi. Dunque siamo una buona
volta più guardinghi, meno filosofi — e diciamo : in primo luogo
ogni volontà comprendo una pluralità di sensazioni, vale a dire, la
sensazione d’uno stato, dal quale si vorrebbe allontanarsi, quella
d’uno stato nel quale si desidererebbe ritrovarsi, la lotta tra queste
duo sensazioni, di più una sensazione muscolare, la quale anche
senza che agitiamo c gambe e braccia » per una specie di consue¬
tudine, non appena <; vogliamo > diviene attiva. Siccome adunque
il sentirò o precisamente un sentire molteplice devo riconoscersi
quale ingredienza della volontà, così in secondo luogo audio il pen¬
sare: in ogni atto della volontà c’è un pensiero imperante: e non
bisogna credere che si possa staccare questo pensiero dal « volere »
che allora nulla resterebbe della volontà ! In terzo luogo la volontà
non è solamente un complesso di sensazioni e di pensieri, ma anzi¬
tutto anche un alletto, e precisamente quello del comandare. Ciò
che si appella « libero arbitrio » ò essenzialmente il sentimento di
superiorità rispetto a colui che deve obbedire: c io sono libero,
egli deve obbedire ••> — questa coscienza si trova in ogni vo¬
lontà, e cosi pure la tensione dell’attenzione, lo sguardo diritto,
che prende di mira una sola cosa, la valutazione immediata
« adesso fa bisogno questo c non altro » l’intima certezza che
si troverà obbedienza, infine tutto ciò che ò proprio dello stato
in cui si trova chi comanda. Un uomo che vuole — comanda a
qualche cosa in sè stesso, che obbedisce o che almeno ritiene
che obbedirà.
Ma ora si consideri ciò che v’ha di più strano nella volontà,
in questa cosa molteplice per la quale il volgo non ha che una
parola : siccome in un dato caso' noi siamo contemporanca-
20 CAPITOLO PRIMO

niente quelli che comandano e quelli che obbediscono, ccl ob¬


bedendo proviamo le sensazioni della costrizione, dell’oppressione,
della resistenza che sogliono seguire l’atto della volontà ; sic¬
come d’altra parto siamo avvezzi a passarci sopra, ad illuderci
su questo dualismo in forza del concetto sintetico « io », al « vo¬
lere » s’è attaccata tutta una catena di conclusioni sbagliate e di
valutazioni false della volontà, — di modo che chi vuole, in
buona fede ritiene che la volontà basii all’azione. Siccome nella
maggior parte dei casi non si è c voluto » che allorquando poteva
attendersi un effetto dal comando, vale a diro l’obbedienza,
l'azione, l’apparenza s’è tramutata nel sentimento della necessità
dell’effetto; in breve, chi vuole, crede, con un sufficiente grado
di certezza, che volontà ed azione siano una cosa sola, — egli
attribuisce la riuscita, l’esecuzione del suo volere alla volontà stessa
per cui s’accresce in lui quel sentimento gaudioso del potere, che
nasce dal successo. « Libero arbitrio •> — è la parola cho esprimo
il complesso di sensazioni aggradovoli di colui che vuole, che
comanda o che s’unifica con colui che eseguisce — e cho come
tale divide la gioia del trionfo sulle resistenze, giudicando nel
suo interno che la sua volontà le abbia superate.
In tal modo colui che vuole confonde le sensazioni aggradevoli,
particolari allo stato di chi comanda con quelle degli strumenti
cho eseguiscono con successo, delle tante volontà o subanime
che stanno al suo servizio, — giacché il nostro corpo non è
che un sistema sociale di molte anime.
L’e/fct e’est mot: avviene qui come in una comunità bene
ordinata, c prosperante dove la classe dominante s’identifica col
buon successo della cosa pubblica. Tutte le volte cho si vuole,
si tratta di comando e di obbedienza sulla base, come ho detto
poc’anzi, d’tin sistema sociale di molte * anime « per cui un
filosofo dovrebbe avocare a sè il diritto di considerare digià il
volere por sè stesso dal punto di vista della « morale 2 ; della
morale quale dottrina dei rapporti di dominio ed obbedienza,
dai quali ha origino il fenomeno c vita
DUI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI 21

20.

Che i siugoli concetti filosofici non siano arbitrari, non siano


cosa che nasce da per sè, bensì crescano in correlazione od
affinità tra di loro; che dessi, per quanto nella storia del pensiero
facciano la loro comparsa improvvisamente c senza motivazione,
appartengano ad un sistema, al pari dei singoli membri della fauna
d'una data parte del mondo, ciò,si manifesta precisamente nella
sicurezza con cui i filosofi delle scuole più svariate sanno riem¬
pire un certo schema fondamentale delle filosofie possibili. Come
attratti da un fascino invisibile essi percorrono nuovamente la
stessa orbita: si sentano pure indipendenti tra loro per la vo¬
lontà critica o sistematica; c’è qualche cosa in loro che li guida,
che gli spinge a muovere con passo cadenzato uno dietro all’altro,
o questo è precisamente la sistematica innata, l’affinità dei con¬
cetti. Il loro pensare in fin de’ conti ò molto meno uno sco¬
prire, clic un ravvisare, un rimembrarsi, un ritorno ad una lontana,
antichissima economia complessiva dell’anima, dalla quale quei
concetti ebbero nascimento : — il filosofare è in tale riguardo
una specie d’atavismo d’altissimo grado.
La strana rassomiglianza che hanno tra di loro tutte le filosofie
indiane, greche e germaniche ò facilo a spiegarsi. Precisamente
dove sussisto una affinità di linguaggio, è assolutamente inevi¬
tabile che, grazie alla comune filosofia della grammatica — in¬
tendo dire grazio all’ inconsciente direttiva di uguali funzioni
grammaticali — a priori tutto sia predisposto per uno sviluppo
aualogo dei sistemi filosofici: nello stesso modo come per l’in-
terpetrazione dell’universo certe altre vie sembrano precluse.
I filosofi del territorio linguistico uralo-ultaico (nel quale il
concetto del soggetto ha avuto il miuore sviluppo) con molta
probabilità vedranno le cose del mondo molto diversamento dagli
■indo-germani e da’ »mxsttlmani : il fascino esercitato da certe
funzioni grammaticali ò in fine de’ conti 1 influenza di giudizi di
valori fisiologici e di condizioni di razza. — Un tanto per confu¬
tare la superficialità del Locke circa all’origine delle idee.
0> CAPITOl.O PRIMO

21.

La causa sui' ò hi più bella contraddizione che sia stata esco¬


gitata, una specie di stupro della logica, qualche cosa di contro
ca^UI* jk* natura: ma l’orgoglio smisurato dell’uomo è arrivato ad invilup¬
parsi profondamente e terribilmente in questa cosa senza senso.
Il desiderio della « libertà della volontà» nell’intelletto superla¬
tivamente metafisico elio regna pur troppo ancor sempre nelle
toste dei semidotti ; il desiderio di portare tutta intera la respon¬
sabilità dei propri! atti e d’esoncraruc Dio, il mondo, gli antenati,
il caso, la società, non 0 infine nieul’altro che il desiderio d’es¬
sere la c causa sm» o di sollevare sò stessi per i capelli, con
un'audacia più che miinchhauseniana, dalla palude del nulla nel¬
l'esistenza delle cose.
Posto che qualcuno s’accorgesse della semplicità contadinesca
del famoso concetto del « libero arbitrio » c lo cancellasse dalla
sua testa, io lo pregherei d’avanzare ancora d’ un passo c di
cancellare dalla sua testa anche il concetto opposto, vale a dire
« la volontà non libera » il quale non è altro clic un abuso
di causa ed effetto. Non bisogna commettere l’errore di render
condizionati la causa e l’effetto, come fanno i naturalisti (e chi
oggidì nel pensare segue il loro metodo) secondo la cretineria
meccanistica in voga, la quale vuole clic la causa spinga o
prema sino a tanto che produca un c effetto»; ò d’uopo ser¬
virsi della <t causa » e dell’ « effetto » quali puri concetti, cioè
di finzioni convenzionali per indicare, comprendere, ma non
già per « spiegare ».
Nell’ « in sò » nulla havvi di j nessi causali » di « neces¬
sità » di « servitù psicològica > c 1’ effetto » non ò una con¬
seguenza della « causa », nessuna legge» impera. Noi, noi
soli abbiamo inventato le cause, le successioni, la relatività la
costiizione, il numero, la legge, la libertà, il motivo, Io scopo;
e se noi frammischiamo alle cose questo mondo di segni c per
sò » convenzionali, noi continuiamo a fare della mitologia, come
abbiamo fatto sempre sino ad ora: nella vita reale non esistono
Dlil PREGIUDIZI DEI FILOSOFI 23
die volontà forti e volontà fiacche. Quasi sempre è un sintomo
di ciò che manca ad un pensatore, allorquando egli in ogni
<• nesso causale », in ogni « necessità psicologica » sente c
vede una costrizione, un bisogno, un dovere d’obbedienza, una
pressione, una mancanza di libero arbitrio.
Questo modo di sentire — tradisce l’indole dell’individuo elio
pensa. E in generale, se ho osservato giustamente, la « servitù
della volontà » viene sempre presa di mira quale problema da due
punti opposti, ma sempre in modo profondamente « personale » :
gli uni non vogliono a nessun costo fare a meuo defila propria
e responsabilità :>, della fede in « sò stessi », gli altri del loro
diritto personale ai propri emeriti » (a questi ultimi appartengono
le razzo vanitose); gli altri all’incontro non vogliono risponder di
nulla, respingono ogni propria parte di colpa, e domandano, mossi
da un tal quale intimo disprezzo del proprio essere, di scaricare
ogni responsabilità altrove.
Questi ultimi oggidì quando scrivono dei libri, avocano a sè
la difesa dei delinquenti; una specie di compassiono socialistica
ò la loro maschera più gradita. Ed infatti il fatalismo dei fiacchi
di volontà s’ abbellisce meravigliosamente, quando sa spacciarsi
por la c róligion de la souffrance humaine »: è questo il suo
« buon gusto ».

22.

Si perdoni ad un vecchio filologo, se nou può rinunziare alla


malizia di mettere a nudo corte cattive ed artificiose interpe-
t razioni : ma quel « conformarsi dolla natura alle sue leggi •> di
cui voi fisici parlato con tant’orgoglio, come se. non esisto
che in grazia dolla vostra intcrpetrazionc o della vostra cattiva
<; filologia » — non è un fatto positivo, non ò un « testo »,
ma unicamente un adattamento ingenuamente umanitario, un'al¬
terazione del senso, con cui venite incontro a sazietà agli
istinti democratici dell’anima moderna! «Uguaglianza univer¬
sale dinanzi alla legge », — la natura in ciò non si trova in
condizioni migliori « un grazioso rctropousiero », sotto cui si
24 CAPITOLO riìIMO

nasconde una volta di più l’avversione plebea contro tutto ciò


che vi ha di privilegiato e d’indipendente, e clic servo a ma¬
scherare una specie d ateismo più raffinato.
c 2\i dicu ni maitre » — ecco quello clic volete ; per cui
•. evviva la leggo naturale » ! — nòli è vero? ila come già detto,
questa è interpetrnzione, non ò testo; per cui potrebbe capitare
benissimo qualeuuo il quale con intendimenti ed artifizi d interpe-
trazioue opposti ai vostri, da quella medesima natura, e dai me¬
desimi fenomeni sapesse derivare precisamente il trionfo tirannico
ed inesorabile della forza ; — un interpotre il quale vi dimo¬
strasse con talo evidenza la volontà del dominare esser la regola
assoluta e senza eccezione, che tutti i vocaboli, e persino la
parola c tirannia diverrebbero improprii e sembrerebbero blande
metafore — troppo umane ; il quale interpetro poi giungerebbe
alle stesse vostre conclusioni, vale a dire che questo mondo segue
un corso « necessario » e « calcolabile a, ma nou già, perchè è
retto da leggi, ma bensì, perchè le leggi vi difettano assoluta¬
mente, ed ogni dominazione in ogni momento sa tirarne le ul¬
timo conseguenze.
E supposto che anche questo c testo » non sia che un’interpetra-
zione — e voi v’affretterete a farmi questa obbiezione, newero ?
— ebbene, tanto meglio.

23.

Tutta la psicologia s’ò trovata imbarazzata sinora dai pregiudizi


c dalle apprensioni morali : non ha osato discendere nelle profon¬
dità. Concepirla quale « Morfologia ed evoluzionismo del voler
dominare » come io la comprendo — ciò a nessuno è passato per
la mente nemmeno in sogno, per quanto, beninteso, da ciò che
sinora fu scritto, si possa farsi un’idea di tutto ciò che fu ta¬
ciuto. L’autorità dei pregiudizi morali è penetrata profondamento
nel mondo il più intellettuale, nel più freddo o più spregiudi¬
cato in apparenza — c come è facile comprendere, in modo
da guastare, reprimere, accecare e falsare lo idee. Una vera
fisiopsicologia deve lottare con resistenze radicato nel cuore
IDEI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI 25

stesso dell’investigatore, essa ha per avversario « il cuore :> :


(ligia una dottrina della reciproca condizionalità dei « buoni :>
c dei « cattivi » istinti, è penosa e ripugnante ad una coscienza
ancora robusta e coraggiosa, che la considera quale un’immo¬
ralità raffinata; — tanto più lo sarà una dottrina clic fa deri¬
vare tutti i buoni istinti dai cattivi. Ma posto clic taluuo giun¬
gesse al punto di considerare i singoli affetti dell’odio, dell’invidia,
della cupidigia, del desiderio di dominazione quali affetti condizio¬
nanti della vita, come qualcosa che deve esistere necessariamente
in principio ed in essenza nell’economia universale delia vita c
elio perciò ò suscettibile d’una potenzialità ancora maggiore —
colui soffrirebbe d’un tale indirizzo del suo giudizio, come del
mal di mare. Eppure anche questa ipotesi non ò ancora la più
penosa e la più strana in questo regno infinito e quasi inesplo¬
rato di nozioni pericolose : — cd infatti i buoni motivi di starsene
lontani si contano a centinaia, per chi — può! — D altra parte :
se la nostra nave fu sospinta sin là, ebbene, tanto meglio: serrato
i denti! aprite bone gli occhi! la mano salda al timone! — la
nostra nave passa oltre la morale, noi calpestiamo, distruggiamo
forse le ultime vestigia della nostra propria moralità, ed osiamo
— ma che importa di noi ! Mai ancora agli arditi esploratori ed
avventurieri s’è schiuso un mondo di conoscenze più profonde,
ed il psicologo che s’accinge a tale « sacrificio :> — il quale non
è c il sacrificio dell’intelletto », tutt’altro ! - potrà pretendere
per lo meno che alla psicologia sia nuovamente riconosciuto il
primo posto tra le scienze, e elio queste servano ad essa di pre¬
parazione. Imperocché la psicologia è ormai nuovamente la strada
che conduce alla ricerca dei problemi fondamentali.
I

».
Capitolo Secondo

Lo spirito libero.
24.

0 scinda simplicitas! In mezzo a quale strana semplicità, a


quale falsità, vive l’uomo ! INon si finisce di meravigliarsene
quando si è giunti ad iutravvedere uu tale prodigio. Come abbiamo
saputo rendere intorno a noi tutto chiaro e libero e facile e sem¬
plice! come abbiamo saputo concedere ai nostri sensi un passaporto
per ogni superficialità, al nostro pensiero un desiderio divino di
salti capricciosi e di conclusioni sbagliate ! — come abbiamo
saputo da bel principio conservarci la nostra ignoranza per godere
d’ima libertà, d’una sconsideratezza, d’un’imprevidenza, d’una
sicurezza, d’una serenità della vita, appena concepibili, iu breve per
godere la vita! Ed appena su questa ormai salda base di granito
dell’ignoranza potè elevarsi sinora l’eclifizio della scienza, la volontà
del sapere sulla baso d’ima volontà molto più potente, della volontà
del non sapere, dell’incertezza, della menzogna ! INfon già come suo
contrapposto, bensì come un suo raffinamento ! Per quanto il
linguaycjìo, il quale qui, come in altri casi, non sa liberarsi della
sua golaggine e continua a parlarci di contrapposti, do\e non
c’è che differenza di gradazione c di raffinamento; e ! incarnata
.tartufferia della morale, la quale oramai c’è penetrata irremis¬
sibilmente nelle carni o nel sangue ci scambino lo parole in bocca !
di quando in quando ce n’accorgiamo e no ridiamo tra noi, al
pensiero che la migliore dello scienze corca di ti attenerci ili
questo mondo semplificalo, interamente artificiale, scientemente
alterato e falsato, e corno anch’essa volontariamente od involon¬
tariamente ami Terrore perchè auch’essa, la vivente, ama la vita :
30 CAriTOLO SECONDO

25.

Dopo un’introduzione sì allegra non si voglia lasciar inascol¬


tata una parola seria : essa è diretta ai più seri tra i seri !
Guardatevi bene, o filosofi ed amici della scienza, dal diventar
martiri ! Dal soffrire per la causa del « vero » ! E guardatovi
anche dal difender voi stessi ! Ciò corrompe rinnocenza, la deli¬
cata neutralità della vostra coscienza, vi rendo cocciuti contro le
obbiezioni c le pezzuole rosse, vi imbecillisce, abbrutisce, quando
voi, nella lotta col pericolò, colla calunnia, colla diffidenza, colla
reiezione, insomma con tutte le peggiori conseguenze delFinimi-
cizia foste costretti a rappresentare la parte dei difensori della
liberta sulla terra : — corno se la verità fosse una « persona a tanto
ingenua e maldestra, da abbisognare di difensori! Ed appunto voi,
miei cavalieri dalla triste figura, fabbricatori o spacciatori di ra¬
gnatele dello spirito, voi lo sapete molto bene elio nulla deve
importare so proprio voi piuttosto d’un altro, avete ragione, che
nessun filosofo alla lunga ha avuto ragiono, o cho c’è maggior
verità in ogni punto interrogativo, che voi mettete dopo corte
vostre parole e certe frasi preferite (ed all’occasione anche dietro
\oi stessi) che in tutti gli atteggiamenti solenni di cui vi fato belli
dinanzi agli accusatori ed alle corti di giustizia! Scostatevi piut¬
tosto! Nascondetevi ! E sappiate portar bene la vostra maschera,
affinchè si possa scambiarvi per qualcun altro ! 0 perchè s’abbia
tema di voi un pochino ! E non mi dimenticato il giardino il
giardino coi suoi cancelli dorati ! E circondatovi di persone che
siano come un giardino, - oppure rassomiglino ad una musica
al disopra dello acque, quando s’avvicina la sera, ed il giorno va
diventando una rimembranza: - cercate la buona solitudine,
quella solitudine libera, impertinentemente leggera che vi per¬
mette di restar buoni in un senso o nell’altro ! Quanto velenosi
astuti, cattivi ci rende ogni guerra, cho non può esser combattuta
apertamente colia forza ! Quanto personali ci rende una paura a
lungo provata, un lungo spiare le mosse del nemico, o di possibili
nemici ! Cotali rejetti della società, lungamente perseguitali, a cui
di
LO SPIRITO UBERO Ol

si dà inesorabilmente la caccia — anche i forzatamente solitari,


gli Spinoza, i Giordano Bruno — finiscono per diventare, nuche
sotto la maschera più intellettuale, o forse senza ch’ossi stessi lo
sappiauo, degli assetati di vendetta raffinati, degli avvelenatori (si
disseppellisca una buona volta la base dell’etica e della teologia
di Spinoza) — senza parlare di cpiella insulsaggine che è l’indi¬
gnazione morale, la quale nel filosofo è un indizio, ch’egli ha già
perduto la sua serenità filosofica. Il martirio del filosofo, il suo
< sacrificarsi per la verità » mette a nudo, quanto c’è in lui
del demagogo e del commediante; e, posto, che sino allora lo si
sia riguardato con mia specie di curiosità artistica, non è diffi¬
cile comprendere come talvolta si desideri vederlo anche nella
sua <: degenerazione » (degenerato nel martire, nello strillono
della tribuna o del palcoscenico). È vero perù elio provando un
tal desiderio, bisogna saper chiaramente, ciò che si potrà vedere :
— nicnt’altro che un divertimento da satiri, una farsa che si dà
in fine di rappresentazione, nient’altro che l’incessante prova che
la lunga tragedia, propriamente detta, è finita: ammesso che ogni
filosofia nel suo nascere sia stata una lunga tragedia.

20.

Ogni uomo eletto tende istintivamente a cercarsi un nido dove


si sentirà al sicuro dal volgo, dai più, dove potrà dimenticare la
regola « uomo » per sentire sè stesso quale un’eccezione: —
escluso il caso, che da un istinto ancor più forte venga sospinto
direttamente verso quella « regola », come un veggente in senso
sublimo od eccezionale. Colui che al contatto cogli uomini non
cangia di colore secondo il caso e diventa verde o grigio dalla
ripugnanza, dalla nausea, dalla compassione, dal pessimismo eh’ò
frutto della solitudine, non ò certamente un uomo di gusti supe¬
riori : ma, ammesso ch’egli non prenda sopra di sè volontaria¬
mente il pondo e la noia di tutto ciò, che tenti di sottrarvisi
con ogni cura, c resti nascosto silenzioso ed altero nella sua
rocca, ebbene, una cosa ò certa, ch’egli non ò nato, non ò pre¬
destinato alla conoscenza delle cose. Imperocché, se così fosse,
32 CAPITOLO SECONDO

un boi giorno dovrebbe dirsi « al diavolo il mio buon gusto, la


regola è più interessante delle eccezioni — di me, « che sono
l’ecceziouc », — e discenderebbe nella folla, anzi vi si spin¬
gerebbe ben addentro : lo studio dell’ uomo mediocre, studio
lungo, serio, che per esser completo esige molta simulazione, abne¬
gazione, confidenza e cattive compagnie — ogni compagnia che
non sia quella dei suoi pari è cattiva — forma parto integrante
della storia della vita cl’ogni filosofo, forse la parte più ingrata,
la più nauseante, la più ricca di disinganni.
JJa se egli è fortunato, come ciò si convieno ai beniamini della
scienza, egli troverà sul suo cammino chi gli abbrevierà c gli
faciliterà il suo compito — intendo dire i cosidotti cinici, i quali
in sè riconoscono senz’altro l’animale, la volgarità, la c regola »
ma possiedono anche oltrccciù un sufficiente grado di spirito o
uno stimolo clic li costringe a parlare di sò stessi o do’ loro simili
dinanzi a testimoni: — talora s’avvoltolano come nel proprio
fango persino nei libri. Il cinismo è la sola l'orma — sotto la quale
le animo volgari rasentino l’onestà; e l’uomo superiore ogni qual
volta si trova dinanzi ad un cinismo rozzo o raffinato deve aprivo
le orecchie o dirsi avventurato se per lui il commediante sver¬
gognato od il satiro di scienza gli riveleranno il loro intimo pen¬
siero. "Vi sono persino dei casi, in cui alla nausea s’aggiunge
un’attrattiva; nei casi cioè, dove per un capriccio della natura
in un sùnilo capro o scimmiotto indiscreto ha preso stanza il
gonio, come nell’abate Galiani — l’uomo più profondo, più
arguto e forse anche più sozzo del suo secolo — molto più
profondo di Voltaire c por conseguenza anche molto meno pa¬
rolaio. Avviene abbastanza spesso, come abbiamo accennato,
che una testa di scienziato si trovi attaccata ad un corpo di
scimmiotto, un’intelligenza superiore ad un’anima volgare; —
per i medici ed i fisiologi moralisti un fatto non raro.
Ed ogni qualvolta taluno parli senza acredine, ma ingenua¬
mente dell’ uomo come d’un ventre che ha duo bisogni o d’una
tosta clic uc ha un solo; o scorga o voglia scorgere nella fame,
negli appetiti sessuali, nella vanità lo vere ed uniche molle di
ogni umana azione ; in breve, dove si parla c male » dell’uomo
i
j •'/

1.0 SPIRITO LIBERO

o ciò nemmeno in senso « cattivo j — sta bene che


della conoscenza tenda assiduamente l’orecchio, anzi e<J
sempre tender l’orecchio dove si parla senza indignazione,
l’uomo indignato c così chiunque sbrani coi propri denti sò stesso
(o in cambio il mondo, Dio o la società) potrà forse, secondo i
criteri della morale, stare più in alto dei satiro ridente e sod¬
disfatto di sò stesso, ma in ogni altro senso egli ci presenta il
caso più comune, più indifferente e meno istruttivo. E nessuno
mentisce in tal misura quanto l’uomo indignato.

E difficile esser compresi, principalmente quando si pensa


o si vive « (jangasrgtognli in mezzo ad uomini che pensano e
vivono diversamente, vale a diro c. Kurmagati » o- tutt’al più
« a salto rii rana » c. ■mandcfynqali » — vedete che faccio il
possibile per esser difficilmente compreso ancor io? — o bisogna
esser riconoscenti di tutto cuore a chi dimostra la buona vo¬
lontà d’interpotrarci con qualche finezza. Ma per ciò elio con¬
cerne i <-. buoni amici s i quali amano troppo i propri comodi
o nella loro qualità d’amici credono aver un diritto alla como¬
dità, si farà bene d’accordar loro a bella prima una piazza per
lo sfogo dei loro malintesi: — così si avrà occasione di ridere;
— oppure d’abolirli del tutto, codesti buoni amici — o cosi ci
si porgerà ancora un’occasione di ridere !

28.

Ciò che d’uua lingua più difficilmente si lascia tradurrò in un’altra


ò il « tempo » del suo stile : il quale ha le sue basi nell’indole
della razza, o per parlare più fisiologicamente nel « tempo :> medio
del suo processo di « assimilazione ». Yi sono dello traduzioni
fatte coscienziosamente, elio sembrano tanto contraffazioni invo¬
lontarie o grossolano dell’originale unicamente perciò che non si
potò tradurne anche il « tempo » allegro e valoroso,- il quale aiuta
Kietzsciii: — Al di là lUi bilie c del male. — 3.
3-i CAPITOLO SI.COXDO

a sorvolare su tante coso e parole pericolose. Il tedesco è quasi


incapace del * presto » nella propria lingua; dunque, come si può
arguire facilmente, anche di molte tra Io più deliziose od ardito
« numices » del pensiero libero o liberale. Xello stesso modo clic
il buffo ed il satiro sono estranei alla sua indole, cosi Aristofane
e Petronio per lui sono intraducibili.
Tutto ciò elio v:ha di grave, di pesante, di solennemente golfo,
tuiti i generi noiosi dello stile limino preso tra i tedeschi uno
sviluppo esuberantemente rigoglioso ; mi si permetta constatare
il fatto, elio persino la prosa del Goethe, nel suo miscuglio di
rigidezza e d’eleganza, non forma un’eccezione alla regola, riflet¬
tendo anch’essa la vita del « buon tempo antico » al qualo
appartiene, ed essendo l’espressione del « gusto tedesco :■> ad un
tempo che un gusto tedesco ancora esisteva ; gusto « rococò :>
m moribus et artibus. Lessila/ forma un’eccezione, grazie alla
sua indole da attore drammatico, la quale sapeva c compren¬
deva molto cose ; egli che non per nulla fu il traduttore del Bai/le
c si tratteneva volentieri nella vicinanza di Diderot, o Voltaire, ed
amava ancor più rifugiarsi tra gli autori comici romani ; Lessine/
anche nel c tempo » cercava il liberalismo, la fuga dalla Ger¬
mania. ila in qual modo il linguaggio tedesco potrebbe mai imi-
tire, foss’anche nella prosa d’un Lessine/, il « tempo » di Mac-
c'navelh il quale, nel suo Principe. » ci fa respirare l’aria fine o
sciutta di Pii ciue e elio non può fare a meno di esporci lo coso
piu gravi con un irrefrenabile « allegrissimo » forse non senza un
sentimento malizioso d’artista che conosce tutto l’ardimento d’uu
simile contrasto, - pensieri lunghi, difficili, rudi, pericolosi, e un
: tempo > da galoppo, insolentemente capriccioso. Chi infine s’at¬
tenterebbe a tradurre in tedesco il Petronio, il quale, più di qual¬
siasi altro grande musicista, sinora fu il maestro del « presto »
negh argomenti, nelle trovate, nelle parole - che cosa può impor¬
tarci alla fine di tutto il fango di questo mondo ammalato, cattivo,
ed anche del mondo « antico quando si possiede, ai pari di
lui, il vento ai piedi, il respiro, Io scherno liberatore d’ira vento,
che mantiene sana la gente, perchè la fa correre ! In quanto
ad Aì istofane, questo spirito trasfigurante complementare, in
1.0 SPIRITO LIBERO 35

grazia del quale si perdona a tutto l’ellenismo d’aver esistito


(ammesso clic si arrivi a comprendere ben profondamento quanta
parte dei medesimo abbia bisogno d’essere perdonata e trasfi¬
gurata) — nulla saprei clic più m’abbia reso meditabondo sul
conto della natura misteriosa di Platone, di quel « petit fait.
elio ci iu tramandato dalla storia; vale a dire clic sotto al guan¬
ciale del suo letto di morte non si trovò alcuna c bibbi» niente
d’egiziano, di pitagorico, di platonico, bensì le opero ù’Aristo¬
fane. Come mai un Platone avrebbe potuto vivere — d'una vita
greca, della quale egli voleva essere la negazione — senza un
A risto fané ? !

29.

È ventura di ben pochi l’essere indipendenti ; ò un privilegio


dei forti. E chi tenta d’esserlo, anche a buon diritto, ma senza
esservi obbligato, dimostra con ciò, che probabilmente egli non
è solamente forte, ma benanco eccessivamente temerario. Egli
si caccia in un labirinto, egli centuplica i pericoli, che la vita
arreca da per sè ; dei quali non è certamente il minore quello,
che nessuno vede coinè c quando egli abbia smarrito la via, e
com’egli venga sbranato lentamente o solitariamente da qualche
miuotauro della coscienza. Quando un simil essere rovina irre¬
missibilmente, il fatto succedo tanto lontano dalla comprensibilità
degli uomini, clic essi non possono averne sentore e sentirne
pietà — ed egli non può più tornare indietro ! — egli ha per¬
duto anche il diritto alla compassione degli uomini.

30.

Le nostre convinzioni più elevato devono suonare stoltezza


o talvolta anco delitto alle orecchie incapaci e non predestinate
ad intenderle. L! essoterico e l’esoterico, come distinguevano i
filosofi antichi, gV Indiani, i Greci, i Persiani, i Mussulmani,
che credevano ad un ordinamento per casto e non già nella
uguaglianza ed in eguali diritti, — non differiscono tra loro uni¬
camente perchè l’essoterico sta al di fuori e dal di fuori, c non
S6 CAPITOLO SECONDO

giù dal suo intorno, vede, valuta, niisura e giudica ; l’essen¬


ziale si ù che egli vedo le cose dal basso in alto, — invece
Vesoterico (bill, alto in basso! L’anima può raggiungere certo
altezze, osservata dalle quali anche la tragedia perdo la sua
forza tragica; e, concentrando in uno solo tutti i dolori del
mondo, olii oserebbe affermare con sicurezza, che la vista d’un
tanto dolore indurrebbe o costringerebbe alla compassione ed
in tal modo ad un raddoppiamento del dolore ?... Ciò che serve
di alimento o di ristoro al genero più elevato degli uomini, ad
un’altra specie che dal medesimo differisca per esser più bassa
devo far l’effetto d’un veleno. Le virtù d’un uomo volgare in un
filosofo potrebbero significare vizi o debolezze ; potrebbe darsi che
un uomo d’ima specie superiore col degenerare e coll’andaro in
perdizione acquistasse appunto con ciò delle qualità, per lo quali
si dovesse ritener necessario, nei basso mondo nel quale fosse
caduto, di venerarlo come un santo.
Ti sono dei libri, i quali per l’anima e per la saluto di co¬
loro che se ne servono possiedono uu valore inverso, a seconda
che la vitalità della lor anima è inferiore o debole o superiore
e possente; nel primo caso quei libri sono pericolosi, distrut¬
tili, dissolventi, nel secondo sono squilli d’araldo, clic invitano
i più \aloiosi a entrare in lizza per mostrare la propria bravura.
I libri alla portata di tutti emanano sempre un cattivo odore:
l’odore della gente minuta. Dove il popolo mangia c bove, e
persino dove adora, è inevitabile la puzza. Non bisogna andar
nelle chiese, se si vuol respirare l’aria pura.

31.

Da giovani si è soliti a venerare e deprezzare senza quell’arte


della « nuance *, che è il più bel fratto della vita, e coni’è
ben naturale, più tardi si devo far aspra penitenza dell’nver dato
l’assalto si fieramente agli uomini ed allo cose coi si c coi wo.
Tutto è disposto in modo, che il peggiore di tutti i gusti, quello
dell incondizionato, debba esser atrocemente mistificato, prima
che 1 uomo impari a condire d un po’ d’arte i suoi sentimenti o
I

1.0 SPIRITO LIBERO 37

si vocia quasi ridotto a preferire l’artifizioso, corno sogliono faro


i 'ori artisti della vita. Sembra quasi che lo sdegno o la vene¬
razione die sono propri della gioventù non si diano pace sino
a tanto che non abbiano falsato la visione degli uomini e dello
cose in modo da giustificare la propria foga : — già per sò stessa
la gioventù è qualcosa di snaturante c d’ingannevole.
Più tardi, quando la giovano anima, martoriata da incessanti
disinganni, finisce col rinchiudersi sospettosamente in sò stessa,
ancor sempre appassionata e selvaggia, malgrado i sospetti ecl i
rimorsi, oh! come allora si sente adirata contro sò stessa, come
sbrana sò stessa con impazienza, quasi a vendicare su sò stessa il
proprio lungo accecamento, come so l'accecamento fosse stato
volontario !
Durante questa transizione ci castighiamo da per noi stessi, me¬
diante la sfiducia nel proprio sentimento : martirizziamo l’entu¬
siasmo col dubbio, e persino nella propria buona coscienza scor¬
giamo un pericolo, un adombramento, una rilassatezza della vera
onestà; ed anzitutto pigliamo partito, per principio, contro la
• « gioventù ». — Un decennio più tardi si comprenderà che anche
tutto ciò era ancora gioventù !

Durante l’epoca più lunga della storia umana — conosciuta


col nome di tempi preistorici — il merito od il demerito di
un’ azione si giudicava dalle conseguenze che seco arrecava :
l’azione per sò stessa, come puro l’origine della medesima, non
si prendeva in considerazione, ma nello stesso modo all’incirca,
come usasi ancora prosontemonto in China, il merito od il diso¬
noro dei genitori si tramandava ai figli. La forza retroattiva del
successo o dell’ insuccesso avviò gli uomini a giudicare buona
o cattiva ogui singola azione.
Chiameremo questo periodo il periodo p remora ìc dell’umanità :
l’imperativo « conosci te stesso ! » era allora ancor ignoto. In¬
vece negli ultimi dieci millenni in alcune parti principali della
terra si è arrivati di passo in passo al punto di far decidere del
S CAi’iryi.o skcun'do

valore d’un’ozione non più lo conseguenze, ma beasi lo cause :


ciò è per sò stesso un grande avvenimento, un notevole raffi¬
namento dell’occhio c della misura, un effetto incousciento del
predominio di valori aristocratici, della fede nell’ < origine», la
caratteristica d’uu periodo che in un senso più ristretto si può
chiamare c morale »: il primo tentativo di conoscer sè stessi.
Invece delle conseguenze le cause : quale inversione della pro¬
spettiva ! E per corto un’inversione ottenuta con lunghe lotte e
titubanze! Certo: un nuovo o fatalo pregiudizio, una singolare
angustia d’interpetrazione acquistò con ciò il potere: s’inter-
petrù nel senso il più determinato l’origine d’un’aziono essere
derivabile da \m’intenzione e si credette fermamente che il valore
d’un’aziono riposasse nel valore dell’intenzione.
L’intenzione quale origine e preistoria d’un’aziono: si può asse¬
rire che sotto il dominio di questo pregiudizio sino ai tempi più
recenti sulla nostra terra: si è moralmente lodato, biasimato, giudi¬
cato od anche filosofato. — .Ala non ci troviamo noi forse posti
oggi dinanzi alla necessità di deciderci per una nuova inversione,
per un nuovo spostamento do’ valori — non stiamo noi per ventura .
sulla soglia d’un periodo negativo, il quale potrebbe definirsi un
periodo cstramorale V Oggi, quando almeno in noi, immoralisti, si
desta d sospetto, che precisamente in ciò, che in un atto ò privo
d intenzione, risieda il suo vero valore e elio ogni intenzione, o
tutto ciò che come tale possa esser intraveduta, risaputa,conosciuti,
sia un accessorio superficiale, o (piasi la buccia dell’atto stesso -
la quale permette d’intravedere qualche cosa, ma nascondo molto
di pui? In breve, noi crediamo clic ritenzione non sia die un
indizio ed un sintomo, che abbisogna dell’mtcrpotrazionc, di più
un indizio, che può significare molte cose e in conseguenza nulla
per se stesso, — che la morale, nel senso finora attribuitole,
quale morale d’intenzioni, sia un pregiudizio, una cosa precipi¬
tata, provvisoria, qualche cosa- sul genere dell’astrologia e del¬
l’alchimia, ma in ogni modo qualche cosa che debba esser de¬
bellata. La debellazione della morale, e in un corto senso, la
debellazione della morale in noi stessi : possa esser questo il
titolo del lungo lavoro segreto che fu riservato allo più sottili,
1.0 SPJKITO UBERO 39

allo più onesto ed anche alle più maligno coscienze di oggidì,


(piali viventi pietre del paragone dell’anima.

33.

Xon c’ò rimedio: è necessario fare il processo inesorabilmente


ai sentimenti d’abnegazione, di sacrilicio pel prossimo, a tutta
la morale altruistica: così puro all’estetica della « contemplazione
disinteressata » clic servo in oggi a mascherare in modo ancor
troppo seducente l’effeminatezza dell’arte. C’ò troppo incauto e
troppo zucchero in quei cotali sentimenti « tutto per gli altri »
o « niente per me ;>, perchè non si debba sentire il bisogno d’esser
doppiamente diffidenti e di domandare : <•. non si ha forse con ciò
10 scopo d’adescare ?» — Clic tali sentimenti piacciano a colui,
elio gli ha e a chi ne fruisce, od anche al semplico spettatore
— codesta non ò ancora lina buona ragione, anzi ciò invita ancor
maggiormente ad esser guardinghi. Dunque siamo guardinghi!

34.

Da qualsiasi punto di vista della filosofia si voglia considerare


11 mondo, in cui crediamo di vivere, la cosa più sicura c più
stabile, elio il nostro occhio possa percepire è la sua erroneità:
— in conferma di ciò militano molte ragioni le quali vorrebbero
indurci a congetturare che un principio ingannevole si trovi nel-
1’ « essenza dello eosc:>.
Ha colui che rondo responsabile il nostro pensiero, adunque
« lo spirito >, della falsità del mondo — una scappatoia dignitosa,
alla quale devo arrivare ogni conscieute od inconsciento cadcocalus
dei s — : clic suppone malo compreso questo mondo, lo spazio,
il teiiipo, la forma, il movimento, avrebbe per lo meno un
buon motivo per imparar a diffidare del pensare in generale :
non ci ha desso forse fatto sinora dei brutti tiri ? c chi no ga¬
rantisce, che non continui a farcene ancora? Ha sul serio:
l’ingenuità dei pensatori ha in sò qualche cosa clic commuovo
ed ispira rispetto, quell’ingenuità che permette loro audio ai nostri
giorni, di porsi in faccia alla propria coscienza per pregarla
40 CATIT0I.0 SECONDO

di dar loro delle risposte « sincere, » per esempio, so essa ò


reale e perché con tanta risolutezza cerchi di tener lontano da.
sò il mondo esteriore. Il credere nelle « certezze immediate :
è un’ingenuità inorale clic fa onore a noi filosofi : ma — è
venuto il tempo di non essere soltanto uomini morali ! Astraendo
dalla morale, quella credenza è una stolidità elio ci fa poco
onore ! Ammesso pure clic nella vita borghese la diffidenza
sempre desta possa essere un indizio di <• cattivo carattere »,
e sia per conseguenza una cosa imprudente : qui tra noi, al
di là del mondo borghese e dei suoi « si a e < no » —
che cosa può mai impedirci d’essere imprudenti c di dire :
il filosofo ha proprio il diritto d’avere < un cattivo carattere
Perché è l’essere che più d’ogni altro sulla terra è stato
canzonato, — oggi egli ha il dorcre d’essere diffidente e di
guardar di bieco rintanato negli abissi del sospetto. — Mi si
perdoni questo scherzo : giacché io stesso ho imparato a pensar
di' cibamento per quanto concerne l’ingannare e l’esser ingannato,
o saprei distribuire delle buono fiancate se dovessi esser colto dal
luror cieco dei filosofi elio non vogliono esser ingannati. E perchè
no? Clic la verità valga di più dell’apparenza non è un mero
pregiudizio morale : anzi è la supposizione la meno provata
che ci sia. Abbiamo il coraggio di confessare a noi stessi che nes¬
suna vita potrebbe esistere so non fosso basata sulle valutazioni o
sulle apparenze prospettiche ; e se mai col virtuoso ed imbecille
entusiasmo di taluni filosofi si volesse del tutto abolire il c mondo
apparente •> ebbene, anche ammesso che voi lo potesto — anello
della vostra « verità » non vi resterebbe clic un bel nulla ! Eppoi, elio
cosa ci obbliga infine ad ammettere elio esista una contraddizione
essenziale tra il « vero •> od il <• falso » ? Ma ò sufficiente am¬
metterò dei gradi d’apparenza, ombre più o meno cupe, — dei
differenti « valeurs » per adoperare il linguaggio dei pittori !
Perchè mai il mondo, che a noi importa qualche cosa — non
dovrebbe essere una finzione ? Ed a chi obietta : « ma per o<mi
finzione si richiedo un autore — non si potrebbe rispondere
francamente: Perchè? Codesto - si richiede » non potrebbe es¬
sere una finzione esso pure ? Xon è forse permesso d’essor un po’
LO SPIRITO LIBERO 41

ironici \crso il soggetto, corno pure verso il predicato e l’oggetto?


.Non dovrebbe esser forse possibile al filosofo di sollevarsi al di
sopra della cieca fede nella grammatica ? Ho tutta la stima por
le governanti, ma non sarebbe giunto il momento di ri inumar
a giurare nel loro verbo ?

35.

Oh Voltaire ! Oh umanità ! Oh imbecillità ! La < verità •» la


ricerca del « vero » non è cosa facile ; se l’uomo in ciò procede
troppo umanamente — < il ite eliache le trai qne pour fairc
le bicn > — ci scommetto elio finirà col non trovar niente.

36.

Ammesso che nulPaltro ci sia « dato di reale all’infuori del


nostro mondo di brame e di passioni, e che noi non possiamo nè
elevarci nè abbassarci a nessun’ altra « realtà », che non sia
quella dei nostri istinti — giacché il pensare non è altro che il
rapporto dei vari istinti tra di loro — : perchè non sarebbe permesso
di fare una prova c di domandare se codesto « dato » non sia
sufficiente per comprendere da noi stessi anche il mondo cosi¬
detto meccanistico (o «materiale»)?
Non intendo già di comprenderlo come un' « illusione, » una
« apparenza, » una « rappresentazione » (nel senso di Berkeley c di
Schopenhauer) ma bensì nel senso clic abbia lo stesso valore di
c realtà » che hanno le nostro stesse emozioni, — una specie di
forma più primitiva del mondo delle emozioni, nel quale tutto ancora
è racchiuso in una potente unità, per diramarsi e trasformarsi poi (e
conio è naturale assottigliarsi e indebolirsi) mediante il processo
organico — una specie di vita impulsiva, nella quale tutte lo fun¬
zioni organiche, che si regolano da sè medesime, l’assimilazione,
I’ alimentazione, 1’ eliminazione, la trasmutazione della materia
vi esistano ancor collegate sinteticamente — come una preforma
della vita. — Anzi non è soltanto permesso, bensì ò un dovorc,
dal punto di vista della coscienziosità del metodo, di fare un
42 CAPITOLO SECONDO

simile tentativo. Di non accettare moire specie di causalità, sino


a tanto che non si sia spinto sino all’estremo limite (sino all’as¬
surdo, sia detto con licenza) il tentativo di poter far sì elio basti
una sola : è questa la morale del metodo, alla quale oggidì è im¬
possibile sottrarsi ; — ciò consegue dalla sua * definizione •
come direbbe un matematico. La quistione in fine dei conti sta
in ciò, so noi proprio riconosciamo la volontà come efficiente,
se crediamo alla causalità della volontà, nel qual caso in fondo
il credere in ciò equivale al nostro credere nella causalità —
noi dobbiamo tentare di ammettere ipoteticamente la causalità
unica della volontà. La « volontà - è ben naturalo non possa
agire che su altre « volontà » — e non già sulla « materia »
(per esempio sui nervi) : in breve, bisogna avere il coraggio di
ammettere l’ipotesi che. dovunque si riconoscano degli «■ effetti »
si tratti d una volontà che agisca su d’un’altra volontà — e
che tutto il c divenire » meccanico in quanto sia dovuto ad una
iorza attiva, non sia altro che forza di volontà, effetto di volontà.
- Supposto infine, che si riuscisse a spiegare tutta la nostra vita
impulsiva come un’evoluzione ed una diramazione di un’unica
torma fondamentale della volontà, - vale a dire della volontà
di dominare, corno io sostengo; - supposto che si potesse rife¬
rire tutte io funzioni organiche a codesta volontà del domi¬
nare, e in ossa si potesse scoprire anche la soluzione del pro¬
blema della generazione e dell’alimentazione - perchè codesto
e un problema, - si avrebbe con ciò conquistato il diritto di
poter determinare ogni forza ayrnle con un’unica definizione :
la volontà della dominazione. Il mondo visto dall’interno il
mondo determinato c definito nel suo c carattere iuteilegibile >
- sarebbe per l’appunto la « volontà della dominazione * c
nient’altro clic ciò.

37.

3In comeIn lingua povera non significherebbe ciò : Iddio


è confutato, ma il diavolo non Io è ? - AI contrario ! Al con¬
trario, amici miei ! L del resto chi diavolo vi obbliga a parlare
in lingua povera?
LO SPIRITO UBERO
4:J

c»S.

.La sorto toccata, al solo dei tempi moderni, alla rivoluzione


francese, farsa terribile c inutile, se considerata da vicino, ma
nella quale in tutta Europa gli spettatori sentimentali e generosi
s industriarono a scoprirvi sì a lungo c con tanto appassiona-
mento 1 interpetmzioue dei proprii sdegni c dei proprii entu¬
siasmi, sino a tanto che il testo scomparse sotto l’intcrpe trazione;
la stessa sorte potrebbe toccare ai nostri posteri, di comprendere
cioè falsamente tutto il passato, e di renderne forse in tal guisa
sopportabile l’aspetto. — 0 di più: non è questo digià avve¬
nuto.-' non fummo noi stessi — codesti « posteri generosi? »
E tutto ciò non scomparisce forse a seconda die incominciamo
a comprendere ?

ÌÌ9.

Nessuno riterrà per vera una dottrina unicamente perchè


essa ci renderà felici o virtuosi : eccettuati i graziosi idealisti
che spasimano per il buono, per il vero, per il bello c che nel
proprio stagno fanno guazzare i desideri degni specie, goffi
ed ingenui. Felicità o virtù non sono argomenti. Ma d'altro
canto si dimentica molto volentieri, persino da menti ponderate,
elio anche il render infelici e cattivi non souo argomenti da
contrapporre. Una cosa potrebbe essere vera, anche se dovesse
essere pericolosa nel massimo grado : essere cioè una condizione
fondamentale dell’esistenza, quella di dover perire per aver rag¬
giunto la piena conoscenza delle cose, di modo che la robustezza
d’una mente si misurerebbe dal grado di « verità :> cli’ò stata
capace di sostenere, o per parlare più chiaramente, dal grado sino
a cui è stata obbligata a rarefarla, a raddolcirla, ad intorbidirla, a
falsarla. Ma è fuor di dubbio, che per la scoperta d’alcuno parti
della verità i cattivi o gli infelici sono maggiormente privilegiati ed
hanno una maggior probabilità di riuscita; senza parlare dei cattivi
clic sono felici, — una specie, che dai moralisti vieno passata
44 CAPITOLO SECONDO

sorto silenzio. Forse clie la durezza e l’astuzia sono condizioni


più favorevoli alla formazione d’uno spirito robusto od indi-
pendente nel « filosofo » di quanto lo possano essere la bona¬
rietà o l’arte mollemente arrendevole del prender alla leggera Io
cose, arte elio si ammira e si pregia, o con diritto, in uno scien¬
ziato. Ammesso, anzitutto, che non si restringa il concetto
« filosofo » unicamente a quel filosofo che scrive dei libri —
o peggio ancora, che stempera nei libri la propria filosofia ! —
Un ultimo tratto per completare la figura del filosofo liberale
ce Io fornisce Slmullatl ed io non tralascierò di sottolinearlo
per riguardo al gusto tedesco, — giacché desso va contro il
gusto tedesco: c Poni- ciré boa philosophc » dico quoll’ultinio
grande psicologo, c il faut ciré .soc, clair. sana il/usions. Un
■■ han^nici\ quia fa il fortune, a line parlie da curactèrc requis
« pour fairc des dccouvcrtcs cn phìlosophìc, Pesi à dire polir
'« coir clair, dans ce qui. est s>.

40.

Tutto ciò che è profondo ama mascherarsi ; le coso lo più


profonde od.ano anzi rimugino e la similitudine. Non sarebbe
orso appunto il contrasto la vera forma di travestimento preferita
dal pudore d’un Dio? Una domanda invero degna d’essor fatta :
e saicbbo curioso se qualche mistico non avesse digià fatto un
tentativo di questo genere. Vi sono dei procedimenti'tanto doli-
cai che si opera molto saggiamente nascondendoli sotto una
maschera di brutalità por renderli irriconoscibili; vi sono dello
azioni ispirate da tanto amore c da una sì esuberante generosità
che c, invoglierebbero a caricare di legnato chiunque sia stato
estimomo oculare delle medesime: con ciò la sua memoria si
mici buferebbe. Taluni conoscono l’arte d’intorbidire da sò stessi
“ FOpm Bmoria>(Ii ^trattarla per potersi vendicare almeno
di quest unico complice delle loro azioni ; - il pudore ò in¬
gegnoso. Aon sono già lo cose peggiori, delle quali maggior-
mente si ha vergogna : dietro una maschera non c’è soltanto
perfidia - havvi anche tanta bontà nell’astuzia. Io potrei
LO SPIRITO LIIJKRO 45

immaginai mi benissimo che un uomo, che avesse da nascondete


qualcosa di molto prezioso, di fragilissimo, possa attraversare la
vita colla brutalità e la schiacciante rotondità d’una grande botto
da \ ino . la delicatezza dol suo pudore cosi lo esige. Un individuo,
che ò profondo anche nel proprio pudore, trova i suoi destini, lo
risoluzioni più importanti por certo vie alle quali a pochi è dato
di accedere, e la cui esistenza devono ignorare anche gli amici
più fidati: egli nascondo loro i suoi pericoli mortali, ed anche
la riconquistata sicurezza della vita. Un simile essere misterioso
che istintivamente si serve della parola per tacere e dissimulare,
ed è inesauribile nei mezzi di sottrarsi alle risposte, vuole e
contribuisce affinchè in vece sua una maschera di lui s’imprima
nella mento o nei cuori dei suoi amici ; e supposto, ch’egli non
lo voglia, un bel giorno s’accorgerà, che ciononostante la sua
maschera esisto — ed è bene che cosi sia. Ogni mente pro¬
fonda abbisogna d’una maschera : di più ancora, intorno ad
ogni mente profonda si va formando senza cessa in corso di
tempo una maschera, grazie all’ iuterpetrazioue costantemente
falsa, perchè superficiale, d’ogni sua parola, d’ogni suo passo,
d’ogui segno di vita che da lui emani.

41.

Bisogna fornire a sè stessi la prova che si è destinati ad


esser indipendenti, a dominare ; e ciò a tempo opportuno. Non
bisogna sfuggire a simili provo per quanto un tal giuoco sia peri¬
coloso, giacché alla prova noi soli assisteremo quali testimoni, e
non vi sarà alcun altro giudice. .Non nll'ezionatevi mai ad una
persona : e sia puro la più diletta, — ogni persona è una pri¬
gione, un vincolo. Non attaccatevi alla patria: c sia pure la più
infelice e la più bisognevole d’aiuto, — è già più facile stac¬
care il proprio cuore da una patria vittoriosa. Non attaccatevi
alla compassione : anche se no doveste provare por gli uomini
superiori di cui il caso ci ha permesso di conoscere l’interno
martirio e l’impotenza della difesa. Non alla scienza : per quanto
ossa possa allettarci colle piti mirabili scoperte, che in apparenza
46 CAPITOLO SECONDO

proprio a noi riserva. ÌSron attaccatevi all'idea della vostra propria


liberazione, della lontananza, dell’inaccessibilità delPuccello, elio
vola sempre più in alto per vedere sempre di più al disotto di
sé : — pericolo comune a chi vola. Non allo vostre proprie virtù,
correndo forse il rischio che il vostro essere complesso divenga
vittima d’una parte dello stesso, per esempio della nostra « ospi¬
talità » ciò che tra i pericoli è il maggiore per lo anime nobili
e generose, le quali si danno con una prodigalità indifferente e
spingono la virtù della liberalità sino a tramutarla in un vizio.
Bisogna sapere preservare sò stessi : la prova più forte dell'in¬
dipendenza !

42r -

Ina nuova specie di filosofi sta sopravveuondo: io ardisco bat¬


tezzarli con un nome olio non ò non pericoloso. Come io gli
indovino, come essi stessi lasciano indovinare — giacché ò spe¬
cialità dei filosofi, di coler restare sempre enigmatici in qualche
cosa — questi filosofi dell’avvenire potrebbero a buon dritto,
forse anche a torio, essere chiamati c tentatori a . Questo nomo
non è infine elio un semplice tentativo, e, so si vuole, una
tentazione.

43.

Sono dessi amici della c verità .» codesti filosofi venienti? Ciò


è ben probabile: giacché sino ad ora tutti i filosofi amavano le
proprie verità. Ala per certo non saranno dei dogmatici.
Dovrebbero sentirsi contrariati nel loro orgoglio, anche nel loro
gusto, se la loro verità dovesse essere una verità alla portata di
tutti: ciò elio sinora era stato l’intimo desiderio ed il senso recon¬
dito di tutte le aspirazioni dogmatiche. <11 mio giudizio è mio :
ed altri non potranno vantare un diritto sul medesimo almeno
così senz’altro dirà forse il filosofo dell’avvenire. Bisogna affran¬
carsi dal cattivo gusto di voler andare d’accordo con molti.
c Bene » non suona più bene in bocca al vicino. E come mai
potrebbe darsi un « bene comune ! ^ Questa parola contraddico
1.0 SPUNTO L1UER0 47

su stessa: ciò clic può esser connine, non può avere che un
valore molto scarso. Infine le cose devono essere come sono o
conio sempre sono state: le cose grandi riservate agli uomini
glandi, gli abissi alle profondità, le delicatezze ed i brividi ai
raffinati c, in breve, tutto ciò ch’è raro a coloro che sono rari.

44.

]■. necessario elio dopo di ciò io soggiunga ancora, che anello


essi, 1 filosofi del l'avvenire saranno degli spiriti liberi, molto liberi,
e tanfo vero, elio non saranno soltanto degli spiriti liberi, ma
qualche cosa di più, di più elevato, d’ affatto diverso, che non
potrà essere misconosciuto o scambiato?
L orò, mentre dico questo, sento, quasi altrettanto verso di
loio, quanto verno di noi, che siamo i loro araldi, o precursori,
noi, spiriti liberi! — il dovere di allontanare da noi di co¬
mune accordo un antico pregiudizio, un equivoco elio purtroppo
molto a lungo al pari d’ima nebbia ha reso impenetrabile il con¬
cetto « spirito libero».
In tutti i paesi (l’Europa c cosi pure in America havvi dii
abusa di quel nomo, havvi una specie di spiriti molto angusti in¬
carcerati, incatenati, i quali vogliono ad un dipresso il contrario
di ciò che sta nello nostre intenzioni e nei nostri istinti, — senza
diro clic di fronte ai nuovi filosofi venturi, essi assomiglieranno
a delle porte c a delle finestre ben tappate. Essi appartengono,
per dirlo in breve, alla specie dei Kvcllalori detti falsamente
« spiriti liberi » — mentre altro non sono che schiavi eloquenti o
bene versati nell’arte dello scrivere del gusto democratico e delle
« idee moderno » elio no derivano: uomini nella loro totalità
che ignorano la solitudine, la propria solitudine, dei ragazzi buoni
e impacciati, ai quali non negheremo nò il coraggio nò i buoni
costumi, ma clic non sono uomini liberi, superficiali sino al ridicolo,
anzitutto per la loro inclinazione fondamentale di scorgere nello
forme dell’attuale vecchia società la causa d’ogui miseria umana o
d’ogni insuccesso : di modo che la verità si trova felicemente inver¬
tita! Essi tendono con tutte le loro forzo alla verde uniformità dei
CAPITOLO SECONDO

pascoli, dio forma la felicità delle greggi, die procura ad ognuno


una vita sicura, scevra di pericoli, comoda e tacile, e i cui 1 itoi nel li
più noti sono 1’ « uguaglianza dei diritti » e la * compassione
per tutte le sofferenze » — chè il soffrire per sò stesso viene da
loro riguardato come cosa elio dev’essere abolito.
Xoi al contrario, che ci siamo fatti rocchio e la coscienza per
rispondere alla quistione, dove c come sinora la pianta <; uomo > sia
cresciuta più rigogliosa, riteniamo che ciò sia sempre avvenuto in
condizioni opposto c elio a raggiunger questo fino le difficoltà della
sua situazione debbano essere aumentate mostruosamente, che
l’imaginazione dell’individuo, la sua simulazione (il suo «spirilo»)
sotto una lunga oppressione abbiano dovuto svilupparsi in finezza
ed audacia, e la sua volontà di vivere, sublimarsi tanto da diventar
la volontà di dominare: — noi riteniamo, che durezza, prepotenza,
schiavitù, pericoli esterni ed interni, stoicismo, arti tentatrici c dia¬
boliche d’ogui specie, clic tutto il inalo, ciò che v’ha di terribile, di
tirannico, la brutalità degli animali rapaci, la perfidia ilei serpente
che s’incontra nelFuomo, che tutto ciò abbia ugualmente contri¬
buito ad innalzare la specie « uomo » per lo meno quanto i contrap¬
posti di tutto ciò: — c dicendo questo, non diciamo ancora tutto,
eppure col nostro parlare c col nostro tacere in questo punto noi
ci ritroviamo al polo opposto di tutto le moderno ideologie ed aspi¬
razioni pecorili: forse no siamo gli antipodi! C’ù da stupirsi, se
noi c. spiriti liberi » non siamo forse i più loquaci? clic non
desideriamo di far trapelare ad ogni occasione da che cosa lo
spirito può rendersi libero e verso che coso egli potrà più allora
sentirsi sospinto? E richiamandoci alla formola pericolosa del-
1’ « al di là del bene e del male » con la quale noi ci preserviamo
dal rischio d’essere scambiati con gli altri, noi ci sentiamo d’esscr
qualche cosa di diverso dai « libres-pensenrs » dai « liberi pensa¬
tori » o comunque amino appellarsi tutti codesti bravi avvocati
delle « idee moderne ». Siamo padroni, o per lo meno ospiti in
molto regioni intellettuali; rifuggenti sempre dai cantucci privi
d’aria e snervanti nei quali s’affannano a spingerci le nostre sim¬
patie e le nostre antipatie, la gioventù, la nascita, il caso, sia
esso dovuto agli uomini od ai libri c persino la stanchezza d’un
I
<1
J

LO SPIRITO UBERO 49

lungo pellegrinaggio, pieni di malignità contro gli allettamenti


della dipendenza che si cela negli onori, nei danari, nei pubblici
ufiici o negli entusiasmi dei sensi: riconoscenti persino ai bisogni
ed alle infermità, perchè ci porsero ogui volta la possibilità di
liberarci da una qualche regola e dal « pregiudizio » che le è
annesso, riconoscenti a tutto ciò che in noi è Dio o demonio,
pecora e verme, curiosi sino al vizio, investigatori sino alla cru¬
deltà, con delle dita che tastano Finafferrabile, dei denti e degli
stomachi che sfidano ogni cosa più indigesta, pronti a qualunque
opera, che richieda sagacità, pronti ad ogni ardimento grazie ad
un avanzo di «libero arbitrio>, muniti d’anime c subauime, di
modo che nessuno possa penetrare i nostri ultimi fini, con fondi
e doppi fondi che nessun piede giungerebbe a percorrere sino alla
fine, nascosti dall’ombra sotto la luce, conquistatori, e quantunque
ci si possa confondere con degli eredi o degli scialacquatori, siamo
ordinatori o raccoglitori da mane a sera, avari delle nostre ricchezze
e dei nostri scrigni rigurgitanti, economi nell’apprendero e nel
dimenticare, ingegnosi noll’inventar progetti, talora superbi delle
nostro tabelle categoriche, talora pedanti, talora gufi notturni del
lavoro, anche in pieno giorno ; sì, se fa bisogno, anche spauracchi
da uccelli — ed oggidì co n’ò bisogno : perchè noi siamo gli amici
nati, giurati e gelosi della solitudine, della nostra stessa più pio¬
fonda solitudine, della mezzanotte o del meriggio : — ecco quali
siamo noi, spiriti liberi! e forse siete anche voi qualche cosa
di tutto ciò, o nuovi filosofi veuieuti ?

KiETZSClif. — M ‘li !à del buie e del male. — I,


.1

/
t
I
Capitolo Terzo

L’essenza religiosa
I
:
45.

L’anima umana o i suoi coufuii, il complesso delle umane


esperienze interne sinora ottenute; le altezze, le profondità, le
distanze di cotali esperienze, tutta la storia doU’nuima sino ad
ora e le suo possibilità ancora inesplorate: tutto ciò per un psi¬
cologo nato e per clù ama la « caccia grande » è il vero terreno
predestinato. Ma quanto spesso deve egli esclamare disperando.
« sono solo, ahimè, solo in questa grande selva, in (presta foresta
vergine! » Ed egli si augura un centinaio di compagni e dei
buoni segugi bene ammaestrati, per poterli sguinzagliare addosso
alla sua preda, per scovare la sua selvaggina, l’anima. Invano:
egli s’accorge sempre più, con suo amaro disinganno, quanto
sia diffìcile a trovare i compagni ed i cani adatti per scoprire
le cose che hanno destato la sua curiosità. L’inconveniente,
quando si manda i dotti a cacciare in territori inesplorati e
pericolosi, nei quali fanno bisogno il coraggio, la prudenza, la
fermezza in tutti i sensi, sta in ciò, ch’essi divengono inservi¬
bili, quando incomincia la caccia « grande » ed in conseguenza
il maggior pericolo: — perchè allora essi perdono la sicurezza
dello sguardo, la finezza dell’odorato. Così, per esempio, per
indovinare e constatavo quanta parte di storia abbia avuto si¬
nora il problema della « scienza o della coscienza » nell’anima
degli « homines religiosi » bisognerebbe che un individuo tosso
egli stesso tanto profondo, talmente vulnerato, tato smisurato,
come lo fu la coscienza intellettuale d’un Pascal: — e con
tutto ciò gli farebbe ancor bisogno quell’ampio cielo di spiritila-
54 CAPITOLO TEIÌZ0

libino sereno c maligno per poter riguardare, dall’alto in basso,


il brulicame degli avvenimenti pericolosi o dolorosi, per ordi¬
narli c costringerli in formolo. — Ma chi sarebbe da tanto
da rendermi un tale servigio, c chi avrebbe il tempo di restar
in attesa di tali servitori?! — Essi sono evidentemente molto
rari, e che si trovino a tutti i tempi è molto inverosimile ! Sicché
bisogna lar tutto da sè, per sapere qualche cosa : e ciò vuol
diro clic si ha molto da fare ! — Ma una curiosità conio la
mia sarà sempre uno dei vizi più allettanti, — domando per¬
dono! Intendevo diro che l’amore del vero ottiene il suo guider¬
done in ciclo, ed anche digià sulla terra.
La lede, quale la richiedeva e non di rado 1’ ha ottenuta il
cristianesimo primitivo, in mezzo al mondo scettico e meridio¬
nalmente liberale, elio s’era lasciato dietro una lotta più volto
secolare di scuole filosofiche ed in sè • ne portava il frutto ; edu¬
cato alla tolleranza, voluta dall’« imperami rouiauum » — non
era già la fede ingenua o rozza di gente soggetta, per cui un
Luterò od un Groinuello o qualche altro nordico barbaro dello spi¬
rito si sentivano attaccati al loro Dio, al loro cristianesimo; essa
s a\ viciua più alla fede di Pascal, c rassomiglia in modo orribile
ad un lento suicidio della ragione, — della ragione d’una rammol¬
lita e decrepita longevità, che non si lascia ammazzare d’iui sol
colpo. La fede cristiana già dai suoi primordi è uu sacrifizio:
sacrifizio d’ogni libertà, d’ogni orgoglio, d’ogni indipendenza
delio spirito; in pari tempo asservamento o dileggio di sè stessi,
mutilazione di sè stessi. Ci vuole della crudeltà, del fenicismo
religioso per imporre cotcsta fede ad una coscienza rammollita,
multipla e viziata; la qual fede parte dalla presupposizione, che
l’assoggettamento dello spirito rechi un dolore indescrivibile, elio
tutto il passato c tutte lo abitudini dello spirito si ribellino contro
1’ « absurdissinmm > come quale gli si presenta la fede.
Gli uomini moderni con la loro indiflerenza per ogui nomen¬
clatura cristiana, non risentono piii il superlativamente orribile,
che per il gusto dogli antichi si racchiudeva nella paradossai
della forinola « Dio sulla croco *. Mai o in nessun luogo si ri¬
scontrò sinora un simile ardimento nell’invertire, nulla eh si
l’essenza, religiosa 55

terribile, di si interrogativo e di sì discutibile come quella for¬


inola : essa prometteva ima rivoluzione radicale di tutti i valori
antichi. — È 1’ Oriente, il profondo Oriente, lo schiavo orien¬
tale, che iu tal modo si vendica di Roma e della sua tolleranza
aristocratica e frivola, del « cattolicismo » romano dell’incre¬
dulità: — o sempre si fu, non già la fede, ma la libertà della
fede, l’indifferenza stoica e sorridente contro la serietà della fede,
che suscitò lo sdegno degli schiavi contro i loro padroni, che
li spinse alla ribellione contro di loro. Il < liberalismo » pro¬
voca lo sdegno; giacché lo schiavo non vuole che l’incondizio¬
nato, egli comprende solamente il tirannico, anche nella morale,
egli ama come odia, senza gradazioni, sino 'all’ultima profon¬
dità, sino al dolore, alla malattia — tutta la sua grande miseria
nascosta si ribella contro il gusto aristocratico elio sembra negare
il dolore. Il mantenersi scettici dinanzi al dolore, che in fondo
ò una posa della morale aristocratica, ha contribuito non poco
all’ultima grande insurrezione di schiavi, incominciata colla rivo¬
luzione francese.

47.

Dovunque finora s’ò manifestata la nevrosi religiosa, noi la tro¬


viamo congiunta a tre pericolose prescrizioni dietetiche: solitu-
dme, digiuno ed astinenza sessuale, — ma non si può stabilire
con sicurezza quale sia la causa, quale l’effetto, e nemmeno so
in ciò esista propino un rapporto di causa ed effetto. Ci dà il diritto
di manifestare un tale dubbio la circostanza che tra i sintomi
più regolari che sogliono accompagnarla si riscontra anche una
improvvisa c sfrenata libidine, tauto nei popoli selvaggi quanto
in quegli inciviliti, la quale libidine poi dopo colla stessa cele¬
rità si converte in fanatismo di contrizione, in rinuegazione del
mondo o della volontà: la spiegazione ò forse da ricercarsi in
un’epilessia mascherata ? Ma iu questo più d’ogni altro caso
bisogna guardami dal voler definire ad ogni costo: intorno a
nessuu altro tipo pullularono con tale rigoglio 1 assurdità c la
superstizione, nessun altro tipo più di questo sembra a\ei
interessato gii uomini, e persino i filosofi sarebbe ora il
CAHTOI.O TERZO
56
tempo di mostrarsi qui più freddi, più circospetti : meglio an¬
cora di volgere lo sguardo, d’allontanarsene. — Persino nella
filosofìa più recente, nella « schopenhaueriana » troviamo,
quale un problema per sò, codesto orribile punto interrogativo
della crisi religiosa. Come ò possibile la negazione della volontà?
come è possibile il santo? — tale infatti sembra essere stata
la quistione, elio rese filosofò lo Schopenhauer e con la quale
egli iniziò la sua filosofia. E per una conseguenza prettamente.
schopenhaueriana il suo discepolo più convinto (forse anche
l’ultimo, almeno per la Germania), cioè Riccardo Wagner,
coronò l’opera della propria vita col presentarci infine quel
tipo terribile ed eterno sotto le spoglie di Kundry, type
rècti, in carilo ed ossa: proprio nello stesso momento in cui i
psichiatri di quasi tutta Europa avevano buon motivo di studiarlo
da vicino, dappertutto dove la nevrosi religiosa — o come io
la chiamo « l'essenxa religiosa » — aveva il suo ultimo sfogo
epidemico con 1’ « armata della salute ». — Ma se ci doman¬
diamo che cosa mai agli uomini d’ogui fatta e d’ogni tempo
sia sembrato tanto immensamente interessante in tutto codesto
fenomeno della santificazione, dobbiamo ritenere che debba essere
stato senza dubbio quell’apparenza del miracolo che va congiunto
alla medesima, quella successione immediata di contrasti, di
.'tati dell anima valutati come moralmente opposti: si credeva
di toccare con mano, clic un uomo « cattivo » possa trasfor¬
mai »i da un momento all’altro in un «buono» in un «santo».
-a psicologia naufragava contro questo scoglio: la ragione non
ne sarebbe forse Tessersi essa posta sotto il dominio della rao-
, poiché c ledei a essa stessa nei contrasti dei valori morali,
• r 'e .GTa’ intenuotava quei contrasti nel testo
atti. ila come .J II « miracolo » non sarebbe che un
errore dmterpretaziono? Un difetto di filologia?

4S.

, .. . C*!C iazzo fatine sentano più intimamente il loro cat-


o, di quanto noi gente del Nord il cristianesimo in generale:
c io pei conseguenza l’incredulità nei paesi cattolici debba signi-

• , r\ vJa
l’essexza religiosa 57

ficaie qualche cosa del tutto differente da quella dei paesi prote¬
stanti — perchè equivale ad una specie di rivolta contro lo spi¬
rito della razza, mentre da noi dinota piuttosto un ritorno allo
spirito (o alla deficienza di spirito) — della razza. Noi del Nord
proveniamo indubbiamente da razzo barbare, anche con riflesso
al nostro talento per la religione : per la quale non ne abbiamo
affatto. Si può eccettuarne i celti, i quali appunto perciò fornirono
il miglior terreno per la propagazione dell’ infezione cristiana
nei paesi nordici : — in Francia l’ideale cristiano, per quanto
Io consenti il pallido solo del Nord, raggiunse il suo massimo
sviluppo. Quanto stranamente pii appariscono al nostro gusto
anche gli ultimi scettici francesi, allorquando hanno del sangue
celtico nella loro origine ! Qual odore di cattolicismo, d’anti-
todesco nella sociologia di 2.Luc/ttslo Coitile con la sua logica
romana degli istinti ! Quanto odor di gesuitismo nell’amabile e
prudente Cicerone di Pori JRoyal, Scimi Beine, con tutta la
sua avversione pei gesuiti ! Eppoi Ernesto Renan : quanto suona
inaccessibile a noi del Nord il linguaggio d’un Renan, in cui
ogni momento un principio di tensione religiosa fa perdere l’equi-
librio alla sua anima finamente voluttuosa ed amante dei comodi.
Si ripeta lo seguenti belle frasi di lui e tosto una risposta ma¬
ligna ed impertinente si presenterà aU’anima nostra, meno bella
O più rude, perchè più tedesca: — « Disons clone harclimcnt
que la relicilon est un produit de l'hommc nonna!, que Vhomme
est le plus clans le trai qmnd il est le plus religicia et le plus
assuré cVune destinile infime... C'esl qmnd il est bon quii cent
que la verta corresponde à un orche ctcrnel, c’cst quand il cau¬
le,nplc Ics cltoses dime manière désinléressée quii houve, la
mort rivoltante et absurcle. Commcnt ne pus supposer que c est
dans ces moments-là, que Vhomme volt le mìeux?.» Il
suono di queste frasi è tanto agli antipodi delle mie orecchie
e delle mie abitudini, che quando lo lessi per la prima volta u
scrissi accanto « la niaiserie relicjieuse par excellcnce» - ma
ad onta del mio primo risentimento ho finito per trovar caie
quelle frasi, che capovolgono, la verità! E tanto gentile, tanto
onorevole l’avere i propri antipodi.
5S CAPITOLO TKI'ZO

49.

Ciò che fa stupire nella religiosità degli antichi Greci, ò l’esube¬


ranza di riconoscenza che dalla medesima spira : — 1’uoino che
occupa una tal posizione di fronte alla natura ed alla vita appar¬
tiene ad una specie invero molto aristocratica ! — Più tardi,
allorché la plebe anche in Grecia ottenne il sopravvento, il
timore invade anche la religione ed il cristianesimo va prepa¬
randosi.

50.

L amor di Dio ; havvi l’amoro rusticamente sincero cd indi¬


screto di Lutero, — il protestantesimo manca della « delica¬
tezza » meridionale; nell’amor di Dio v’è l’estasi orientale dello
schiavo graziato od esaltato contro i suoi meriti, por esempio, iu
Agostino, nel (piale ci offende la mancanza d’atteggiamenti o di
appetiti aristocratici ; v’ha la delicatezza e la concupiscenza fem¬
minile la quale, vergognosa ed ignorante, aspira ad un’unione
c mestica et phisica » : come in madama de Gugon. In molti
casi si ii\ ola abbastanza .stranamente quale un travestimento
della pubertà d’nna fanciulla o d’un giovanotto ; talvolta nasconde
1 isterismo duna vecchia zitella, talvolta anche la sua ultima
ambizione : — in simili casi la chiesa ha canonizzato più volte
la donna.

51.

Sino ad ora anche gii uomini più potenti si sono inchinati in


segno di venerazione dinanzi al santo, come dinanzi all’enigma
dell’assoggettamento di sè stessi, dell’ultima privazione volontaria.
Perchè s’inchinarono? Essi presentivano in loro — o piuttosto
dietro il punto interrogativo del loro aspetto meschino c mise¬
rabile — la forza superiore, che sè stessa volle metter alla prova
mercè un tale assoggettamento, la forza della volontà, nella quale
l’essexza religiosa 59

riconoscevano ed onoravano la propria forza, la propria brama di


dominazione : nell’onorarc il santo, onoravano qualche cosa in
sè stessi. Di più la vista del santo insinuava in loro un sospetto :
una tale mostruosità di negazione, contraria alla natura non sarà
stata desiderata c voluta senza un fine, così dicevano o si chiede¬
vano. Dorso havvi per far ciò un motivo, un pericolo molto, ma
molto grande, che l’asceta, grazie ai suoi consiglieri segreti
spera conoscere? In breve, i potenti della terra, da lui appre¬
sero un timor nuovo, presentirono una forza nuova, un nomieo
ignoto ed ancor invitto : — « la volontà della dominazione », fu
dessa che li costrinse ad arrestarsi dinanzi al santo. Sentivano
il bisogno d’intcrrogarlo.

52.

Nell’ « antico testamento » giudaico, cli’ò il libro della giu¬


stizia divina, i personaggi, le cose, i discorsi, tutto è d’uno stile
sì grandioso, che la letteratura greca ed indiana nulla di somi¬
gliante può contrapporgli. Ci arrestiamo compresi di terrore e
di venerazione dinanzi a questi immani avanzi di ciò che già fu
l’uomo, c raffrontando VAsia alla sua penisoletta avanzata cli’ù
l'Europa, la quale ad ogni costo vorrebbe rappresentare a sca¬
pito di quella il « progresso dell’umanità », ci sentiamo colti
da certi pensieri poco lieii. Cortamente : chi per sò stesso non
ò cito un debole animalo domestico, i cui bisogni sono preci¬
samente quelli d'un animalo domestico (come inostri uomini colti
dell’oggi, compresi i cristiani del cristianesimo « illuminato » )
dinanzi a quelle rovino non sa nò meravigliarsi, nò rattristarsi —
il gusto pel « vecchio testamento » ò la pietra del paragone del
grande o del piccolo — : forse, egli trova più di suo genio il nuovo
testamento, il libro della grazia (nel quale abbonda 1 odoro dol¬
ciastro d’ammuffìto delle bacchettone e delle animo minuto). L aver
incollato il nuovo testamento, che ò una specie di rococò dei gusto
sotto tutti i rapporti, insieme col vecchio testamento, formandone
così la « bibbia », il « libro » per eccellenza ò forse la più
grande temerità, il più grande « peccato contro lo spirito » clic
l’Europa letteraria abbia sulla coscienza.
CAPITOLO TERZO
60

Dò.

Perchè in oggi rateiamo V — « H padre 3 Dio ù radicalmente


confutato: così pure « il giudice » « il rimuneratolo ». Del pan
il suo « libero arbitrio » : egli non odo — c se anche udisse
non saprebbe recar aiuto. E ciò clic v’ha di peggio : ci sembra
incapace d’esplicarsi in modo chiaro : è egli oscuro ? — Questo
è quant’io ho scoperto, da molti discorsi, domandando, tendendo
l’orecchio, circa alle causo della decadenza del teismo in Europa :
mi sembra che l’istinto religioso vada bensì poderosamente aumen¬
tando, ma che respinga, profondamente sfiduciato, la rassegna¬
zione teistica.
54-.

Clic cosa fa infine tutta la filosofia moderna ? Da Cartesio in


poi — e ciò più per opposizione contro di lui che sulla base del
suo procedimento — da tutti i filosofi si cominotto un attentato
contro l’antico concetto dell’anima, sotto l'apparonza di criticare
il concetto del soggetto e del predicato — vale a dire un atten¬
tato contro la supposizione fondamentale della dottrina cristiana.
La filosofia moderna essendo una critica dolio conoscenze teo-
riclie è segretamente od apertamente anticristiana, benché, sia
ciò detto per Jc orecchie più delicate, niente affatto antireli¬
giosa. Una volta, cioè, si credeva nell’ « anima > come nella
grammatica e nel soggetto grammaticale : si diceva « io » è la
condizione, « penso » è il predicato o condizionato — il pensare
è un’attività per la (pialo bisogna immaginare un soggetto (pialo
causa. Poi si tentò, con una tenacia ed un’astuzia ammirabile
uscire da questa rete, — si pensò che forse l’opposto ora vero:
« penso » condizione, « io » condizionato; F« io » adunque nul-
l’altro che una sintesi prodotta dal pensare perso stesso; Kant
in fin dei conti voleva provare che partendo dal soggetto, il
soggetto non si possa dimostrare — l'oggetto nemmeno; la pos¬
sibilità d’una c esistenza apparente ~ del soggetto singolo, adunque
dell’ « anima » sembra non gli sia stata sempre nuova, la quale
l’essenza, religiosa 01

idea, nella filosofia del Vedanta già fu sulla terra e v’esercitò un


potere immenso.

55.

Esiste una grande scala della crudeltà religiosa con molti pioli:
ma tre di questi sono i più importanti. Una volta al proprio Dio
si sacrificavano gli uomini, e forse precisamente quelli clic più degli
altri si amava — a questa categoria appartengono il sacrificio
delle primizie, comune a tutte le religioni preistoriche, ed anche
il sacrificio dell’imperatore Tiberio nella grotta di Mitra su
l’isola di Capri, il più orribile di tutti gli anacronismi romani.
Dipoi, durante l’opoca morale dell’umanità, si sacrificò al proprio
Dio i propri istinti più strapotenti, la propria « natura » ; la
gioia di tali sacrifici brilla nello sguardo crudele dell’asceta, del
fanatico « contro natura •>. Finalmente che cosa restava ancora
da sacrificare ? Non si doveva giungere al punto di sacrificare
tutto ciò che havvi di confortante, di sacro, di risanante, di sa¬
crificare le speranze, la fedo in una segreti! armonia, nella bea¬
titudine e nella giustizia eterna ? Non si doveva sacrificare ancor
Dio, e per crudeltà contro sò stossi adorare le pietre, la stol¬
tezza, la forza di gravità, il destino, il nulla?
Sacrificare Dio al Nulla — questo mistero paradossale dell’e¬
strema crudeltà fu riservato alla generazione che sta giungendo :
noi tutti ne sappiamo già qualche cosa.

56.

Chi, al pari di me, s’è occupato a lungo e con un desiderio in


certo modo problematico a studiare a fondo il pessimismo ed a
liberarlo dalla ristrettezza, dalla ingenuità per metà cristiana, per
metà germanica, con cui in questo secolo s’è presentato l’ultima
volta, vale a due sotto la forma della filosofia di Schopenhauer ; chi
con occhio asiaticq_oJp_exasiatico ha guardato realmente dentro
e sino al fondo di quella■ filosofia eh’ ò la più completa nega¬
zione del mondo, clic si possa ideavo — al di là del beno e del
male o uon più, come Budda e Schopenhauer entro l’assurda
62 CAPITOLO TEliZO

cerchia della morale —, colui ha forse con ciò, senza propria¬


mente volerlo, aperto gli occhi all'ideale inverso, all’ideale del¬
l'uomo il più orgoglioso, il più esuberante di vitalità ed affer¬
mante il mondo, il quale non ha solamente imparato ad esser
soddisfatto, rassegnato di ciò che era e che è, ma vuole aver
tutto ciò nuovamente, come era e come è, in eterno, gridando senza
cessa <: da capo > non soltanto a sè stesso, ma a tutto lo spettacolo,
o non soltanto allo spettacolo, ma in fondo a colui cui è neces¬
sario quello spettacolo — o lo rende necessario; perchè sempre
di nuovo egli 6 necessario a se stosso — e si rende noccssario.
— Come? E codesto non sarebbe — <t Circulus vitiosus deus? »

oi.

Colla forza della sua vista spirituale e della sua penetrazione


aumentano la distanza e in certo modo lo spazio intorno all’uomo:
il suo mondo acquista in profondità, sempre nuovi astri, nuovi
problemi, nuove imagini s’affacciano sul suo orizzonte. Forse
tutto ciò, su cui l’occhio suo spirituale aveva esercitato la sua
penetrazione, altro non era che un’ occasione d’ esercitarsi, un
giuoco, una cosa da bambini c da rimbambiti ; forse un giorno
i concetti più elevati, per i quali più a lungo si è lottato e sof¬
ferto, « Dio » e il « peccato » non avranno per noi importanza
maggiore, di quanta un vegliardo possa annettere ai giocattoli
ed ai dolori dell’infanzia, — c forso allora 1’ « uomo vecchio »
sentirà il bisogno d’ un altro giocattolo, d’ un altro dolore, —
sempre fanciullo, fanciullo in eterno!

58.

Si è bene osservato, come una vita strettamente religiosa c la


sua occupazione preferita dell’csamo di coscienza al microscopio,
come pure quello stato di tenera apatia, che si noma « preghiera »
ed è una permanente attesa della <• venuta di Dio :•> richiedano
necessariamente l’ozio, completo o parziale, intendo parlare del non
far niente in buona fede, ereditario, insito nel sangue, al quale non
l’essenza RELIGIOSA G3

à dol tutto estraneo il sentimento aristocratico, clic il lavoro diso¬


nori, — vaio a dire avvilisca il corpo c 1’ anima ? E che per
conseguenza la laboriosità moderna, chiassosa, avara del suo
tempo, «li sò superba, stoltamente superba, più d’ogni altra cosa
spiani la via all'incredulità?
Tra coloro, per esempio, che attualmente vivono in Germania
appartati dalla religione, trovo molte gradazioni del « libero
pensare ^ tanto per la specie quanto per l’origine, ma anzitutto
in maggior numero coloro nei quali la laboriosità di genera¬
zione in generazione ha spento gli istinti religiosi: sicché non
sanno più, a elio cosa siono buone lo religioni c prendono nota
dell'esistenza delle medesimo con una specie di stupore apatico.
Si sentono già abbastanza occupale, quello brave persone, dai loro
affari, c dai loro piaceri, senza parlare della « patria » dei giornali,
o dei « doveri della famiglia » : c pare proprio elio non trovino il
tempo per la religione, tanto più elio non sanno se la medesima
offra loro un nuovo affare o un nuovo passatempo, — giacché,
pensano, non è possibile che si vada in chiesa unicamente per
guastarsi il buon umore. Essi non sono nemici delle usanze
religiose, o so in certi casi si esige da loro, per esempio da parte
dello Stato, che compartecipino a tali usanze, essi fanno quanto
da loro si richiede, al pari di tante altre cose —, con modesta e
paziento gravità, senza desiderio di comprendere e senza sentirsi
a disagio : vivono appunto troppo appartati per trovare per tali
cose una ragiono prò o contro. A codesti indifferenti appartiene
oggidì il gran numero dei protestanti delle classi medie, parti¬
colarmente nei grandi centri laboriosi del commercio e della na¬
vigazione : così pure il più gran numero dei- dotti laboriosi e
tutto ciò che vivo dello e nelle università (eccettuati i teologi,
relativamente ai quali, il fatto c la possibilità che vi possano vi¬
vere, sono pel psicologo un enigma molto delicato). Ben rara¬
mente nello sfere degli uomini religiosi, od anche soltanto cliie-
saiuoli si ha un’ idea, (pianta buona volontà si richieda oggidì
perchè uno scienziato tedesco prenda sul serio il problema della
religione ; la sua professione per sò stessa (vale a dire, come
già abbiamo accennato, la sua laboriosità professionale, alla quale
(3J. CAPITOLO TERZO

dalla sua coscienza moderna si sente obbligato) lo fa propendere


ad un’indifferenza superiormente serena e bonariamente indul¬
gente verso la religione, indifferenza in cui si mesco talora un
leggiero disprezzo per quella « sordidezza » dello spinto ch’egli
presuppone dovunque si professi una religione. Soltanto col¬
l’aiuto della storia (dunque non già per propria esperienza) il
dotto riesce a conservare una rispettosa serietà ed un certo ìiguaulo
pauroso por le religioni; ma quando anche fosse giunto a provaro
una tal quale riconoscenza verso le medesime, malgrado ciò
personalmente non si sarà avvicinato d’un sol passo a ciò elio
ancor sussiste col nomo di chiesa o di società religiosa; forso
tutt'airopposto. L’indifferenza pratica in materia di religione,
nella quale egli è nato e fu educato, si sublima in lui, sino
alla circospezione d’una pulitezza, la quale schiva ogni contatto
con persone o con cose religiose ; e può darsi che precisamente
la profondità della sua tolleranza e del suo umanesimo gli per¬
metta d’evitare la delicata crisi che trae seco la tolleranza por sò
stessa. - Ogni epoca ha una spccio divina d’ingenuità a lei
propria, e per la quale Io epoche successivo possono invidiarla;
— e qualo dose d’ingenuità degna di ammirazione, infantile, c
smisuratamente goffa c’è nella fede clic il dotto ha nella propria
superiorità, nella buona coscienza della propria tolleranza, nella
sicurezza semplice e sincera, clic permetto al suo istinto di con¬
siderare l’uomo religioso come un tipo d’ un valore inferiore o
collocato più al basso, dal qualo egli si è liberato, allontanato c su
cui s’è elevato, — egli, il nano presuntuoso c plebeo ; egli l’in¬
stancabile lavoratore nel campo delle « idee », delle « idee
moderne ».

ó9.

Chi ha guardato bone addéntro nel mondo, indovina facil¬


mente quanta saggezza emani dal fatto che gli uomini sono
superficiali. L'istinto della conservazione apprende loro ad esser
leggieri, volubili e falsi. Si riscontra qua e la un adorazione ap¬
passionata ecl esagerata delle « forme pure », tanto presso i filo-
l’essenza religiosa 65

soli, quanto negli artisti : ma ò fuor rii dubbio che colui che
ritiene talmente necessario il culto della superficie ha fatto alle
volte qualche tentativo mal riuscito al « disotto » della mede¬
sima. l’orso ci sarà anche tra quei bimbi scottati, che sono gli
artisti nati, i quali nella vita non trovano altro godimento, se non
che nell’intenzione di falsarne Pimaginc (come se volessero in¬
terminabilmente vendicarsi della vita) una differenza di grado: si
potrebbe dedurre sino a qual punto siano infastiditi della vita
dal grado a cui è giunta la loro brama di falsarne l’imagine,
di annacquarla, di renderla trascendentale, di divinizzarla — gli
« homincs religiosi dovrebbero esser collocati tra gli artisti,
od al posto più elevalo. L'intima paura sospettosa, frutto d’nn
pessimismo incurabile costringo interi milioni ad attaccarsi coi denti
ad una interpretazione religiosa dell’esistenza: la paura dell’istinto,
il quale presente, che la verità potrebbe venir conquistata troppo
presto e prima clic l’uomo sia divenuto abbastanza forte, abba¬
stanza indurito, abbastanza anista. La pietà, la' < vita in Dio s
considerate da questo punto di vista apparirebbero essere l’ultimo
od il più raffinato aborto della paura che indietreggia dinanzi
alla verità, l’adorazione c l'ebbrezza dell’artista per la più con¬
scguente di tutto lo falsificazioni, la volontà di invertire il vero,
della menzogna a qualsiasi costo.
.Forse, che prima d’ora non ci fu uu mozzo più potente della
pietà religiosa per abbellire l’uomo: grazie a lei l’uomo può acqui¬
stare tanta arte, superficialità, variazione di colori, bontà, clic il
suo aspetto diviene sopportabile.

60.

Amare l’uomo per l’atnor di Dio — questo sentimento fu


finora il più aristocratico ed il più elevato che tra gli uomini
siasi raggiunto.
Che l’amore per l’uomo senza un secondo fino santificante,
sia una stupidità ed una brutalità di più, che 1 inclinazione ad
amar l’uomo debba acquistare da un’inclinazione superiore la sua
Nietzsche — Al di là del bene c del male. — .ì.
(JG CAPITOLO TERZO

misura, la sua finezza, il suo grano di sale, il suo pulviscolo ]|


d’ambra: — chiunque sia stato a provare per il primo un tal
sentimento, il primo a vivere secondo il medesimo, per quanto
la sua lingua possa aver balbettato, quando tentò esprimere per
la prima volta un sentimento sì delicato, egli merita d esser ve¬
nerato da noi in eterno, perchè fu l’uomo ciré volato più alto
di tutti gli altri sino ad ora, ed ha errato nel modo il più
delizioso.

61.

Il filosofo, come lo comprendiamo noi, spiriti liberi, — l’uomo


dalla responsabilità la più ampia, clic ha la coscienza dello svi¬
luppo più completo dell’uomo, codesto filosofo si servirà delle
religioni corno d’uu mezzo d’allevamento e d’educazione, come è
solito servirsi delle contingenze politiche od economiche della sua
epoca. L’influenza elettiva, educativa, vale a diro tanto distrut¬
trice, quanto creatrice o plasmatrice, che può essere esercitata
col mezzo delle religioni, ò varia o molteplice a seconda degli
uomini clic soggiacciono al loro fascino ed in loro cercano pro¬
tezione. Per i forti, per gli indipendenti, preparati c predestinati Sy
a dominare, nei quali s’impersonano l’intelletto c l’arte d’ima razza
dominante, la religione è un mezzo di più per sopprimerò gli
ostacoli, per poter regnare : è un vincolo che congiunge regnanti
e suddiù, e di quest’ultimi che volentieri si sottrarrebbero all’ob¬
bedienza. ai primi tradisco e dà in balìa le coscienze, i più
intimi e reconditi pensièri : c qualora singole indoli d’origine
aristocratica per un’elevata spiritualità propendano ad una vita
ritirata e contemplativa non riservando a sò stesso che la forma più
delicata della dominazione (su discepoli eletti, su fratelli d’uu or¬
dine), la religione può esser usata corno un mezzo di procurarsi
la tranquillità rifuggente dai trambusti della dominazione ninic-
riale e di restar incontaminati d&Winevitabile fango della poli¬
tica. Questo compresero i bramini, per esempio; mercè l'aiuto
d’un'organizzazione religiosa essi si assicurarono il diritto d’eleg¬
gere ai popoli un re, mentre essi si tenevano discosti cd appai’-
1,’kSSKVZA RKMOIOSA 67
tati, sentendo die il loro compito era superiore a quello dei re.
frattanto la religione porge occasiono ad una parte dei soggetti
di prepararsi ad una futura dominazione, a quelle forti classi
cioè clic s'avanzano lentamente c nelle quali, grazie alla vita
costumata, la forza od il desiderio della volontà, la volontà della
dominazione di sò stessi, sono in un crescendo continuo: —
a costoro la religione oltre occasioni c tentazioni sufficienti di
adire lo vie d’uua intellettualità pili elevata, di provare lo sen¬
sazioni della grande dominazione su sò stessi, del silenzio, e
della solitudine : — l’ascetismo ed il puritanismo sono dei mezzi
di educazione c di annobilimonto quasi indispensabili, allor¬
quando una razza vuole trionfare della propria origine plobea ed
elevarsi ad una futura dominazione. — In quanto agli uomini
volgari, infine, clic sono in maggior numero e che esistono
unicamente per servire ed esser utili all’universalità, o soltanto
per questo limino diritto di esistere, la religione ha l’inestima¬
bile vantaggio di renderli soddisfatti della propria posizione, di
procurar loro la paco del cuore, di nobilitare la loro obbedienza,
di confortarli a dividero coi loro pari le gioie ed i dolori, di
contribuire a trasfigurare in un certo modo la loro monotona
esistenza, la bassezza, la miseria della loro anima semibestiale.
La religione ed il significato religioso della vita abbelliscono d’un
raggio di solo l’esistenza di quegli uomini tribolati, c rende loro
Sopportabile la vista di sò stessi, essa influisce, come la filosofia
d’Epicuro sui sofferenti d’un grado superiore, ristorando, affi¬
nando, sfruttando, per cosi dire, le sofferenze, per infine santi¬
ficarle e giustificarlo. Xel Cristianesimo c nel Buddismo forse
nulla havvi di più rispettabile della loro arte d’insegnare, anche
alle intimo creature umane, d'innalzarsi, mediante la pietà, in
un ordine apparente di cose più elevato e d’accontentarsi, grazio
a ciò, dell’ordine reale nel quale vivono tanto duramente, — e
preeisamenro questa durézza è necessaria.
68 CAPITOLO TERZO

62.

D’altro canto, certamente, per fare il contro-conio a cotali


religioni e mettere in luce la loro sinistra pericolosità : — si
paga sempre caro ed in modo terribile ogni qual volta le reli¬
gioni non sono mezzi d’allevamento c d’educazione nelle numi
del filosofo, ma regnano sovrane da sò; (piando vogliono essere
lini ultimi e non soltanto mezzi tra gli altri mezzi.
Tra gli uomini, come in ogni specie d’animali, v’ha un’ecce¬
denza di abortiti, di morbosi, di degenerati, di fragili, di necessa¬
riamente sofferenti; i casi riusciti a bene sono anche nell’uomo
sempre un’eccezione, ed anzi può dirsi, con riflesso a ciò clic
l’uomo è /inanimale non ancora determinato, un’ccccziono rara.
Ma v’ha di peggio ancora: quanto più elevato è il tipo del-
l’uomo, che da questo tipo viene rappresentato, tanto meno è
probabile che riesca bene : il casuale, la legge dell’irragionevole
si manifestano in tutta l’economia dell’uomo nella forma più ter¬
ribile, nell’effètto distruttivo clic esercitano sugli uomini supe¬
riori, nei quali lo condizioni della vita sono delicate, molteplici
e difficilmente calcolabili.
Qual contegno assumono ora le più grandi religioni summenzio¬
nate di fronte a codest’cccedenza' di casi abortiti ? Esso tendono a
conservarli, mantenerli in vita con tutti i mezzi, prendono por
principio partito por loro, c quali religioni di quelli clic soffrono,
danno ragione a tutti coloro, pei quali la vita è una malattia o
vorrebbero far credere e render possibile clic tutti gli altri modi
di sentile la vita siano falsi ed impossibili. .L’or quanto alto si
possa valutare una tale tenera premura di compatire o di con¬
sei vare, in quanto che la medesima si estendi anche al tipo più
elevato, c sino au ora quasi sempre più sofferente, dell’uomo;
in fin di conti le religioni sovrane sino ad ora sono le cause
principali che mantennero il tipo < uomo - ad un grado più
basso, osso conservarono troppo di ciò ch’era destinato a
perire. Si devono alle medesime dei benefici inestimabili : e chi
ha in sé un tale tesoro di riconoscenza da non diventar povero
1. ESSKNZA RF.I.IGrOS.V 09

dinanzi a tutto ciò, clic, per esempio, hanno operato gli uomini
spirituali s del cristianesimo per l’Europa ? ! Eppure, se confor¬
tavano i sofferenti, so infondevano coraggio agli oppressi ed ai
disperanti, so prestavano il loro braccio a chi non poteva cam¬
minare ila solo, se attiravano, lontani dal mondo, nei conventi,
case di correzione dell’anima, tutti gl’insoddisfatti, i naufraghi
della società umana: cosa dovevano l'aro ancora, per poter con¬
tribuire in buona coscienza e premeditatamente alla conserva¬
zione in massima di tutto ciò eh’è ammalalo e sofferente, o, per
parlare più chiaramente, al deterioramento della razza europea ?
Essi dovevano necessariamente invertire tutto le valutazioni
dei valori ! Schiacciare i forti, ammorbare le grandi speranze,
rehder sospetta la felicità che risiede nella bellezza, tramutare
lutto ciò elio v’ha d’indipendente, di virile, di conquistatore, di
dominatore neH’uomo, tutti gli istinti che all’ '< uomo >,il tipo
più elevato o meglio riuscito, sono propri, in incertezza, avvi¬
limento, distruzione di sò stessi, tramutare l’amore per le cose
terrene e per la dominazione delle medesime in odio contro la
terra o tutto che è terreno — ceco il compito prefìssosi dalla
Chiesa e clic doveva prefiggersi sino a tanto che, secondo la
sua valutazione, il desiderio di sottrarsi al inondo, all’azione dei
sensi, s’identificò coH’idea dell’ c uomo superiore ■•. Supposto
che con l’occhio beffardo e sereno d’un dio epicureo si potesse
passar in rivista la commedia stranamente dolorosa, e in pari
tempo grossolana e raffinata del cristianesimo, io credo non si
finirebbe di meravigliarsi e di ridere: non sembra forse, che per
diciotto secoli abbia dominato in Europa un’unica volontà, quella
di fare dell’uomo un aborto sublime ? j\Ia chi, dotato di bisogni
opposti, ed armato d’un martello divino, volesse accostarsi a co-
desto prodotto quasi arbitrariamtìnto degenerato ed intristito, che
nomasi l’europeo cristiano (Pascal, ad esempio, non dovrebbe
egli sciamare sdegnato, impietosito, atterrito : - Oh voi stolti,
stolti che vi presumete pietosi, che cosa avete fatto ? Non era
codesto lavoro perle vostre mani ! Como m’avete sconciato, defor¬
mato il più bello dei blocchi, che uno scultore possa desiderarsi !
Che cosa avete avuto la sfacciataggine di faro?») — Intendevo
70 C.vriTOr.O TERZO

dire : il cristianesimo è stato sinora la specie più nefasta del¬


l’esaltazione di sè stessi. Degli uomini, non sufficientemente ele¬
vati e rudi, per lavorare da artisti intorno all’ «uomo», degli
uomini non sufficientemente forti e previdenti, e difettanti delio
necessaria abnegazione per far trionfare la legge fondamentale
che migliaia e migliaia d’aborti devono perire; dogli uomini non
sufficientemente aristocratici, per vedere l’incolmabilo abisso che
separa l'uomo dall’uomo: — colali, uomini, col loro motto di
« eguaglianza dinanzi a Dio », hanno rotto sinora i destini d’Eu¬
ropa, sino a tanto che si è formata una specie d’uomo rimpicciolito,
una %arieta rjuasi ridicola, un animale di branco, bonario, amma¬
lato, mediocre, il moderno Europeo...
Capitolo Quarto

Aforismi ed interlud
03.

Olii ò nato maestro, prende le coso sul serio solamente in


quanto riguardino i suoi scolari — anello sò stesso.

0-1.
« Lii scienza per la scienza » — è Pultimo tranello tesoci dalla
morale per invilupparci ancor una volta inestricabilmente nella
sua rete.
05.
L’attrattiva della conoscenza sarebbe ben debole, se por giun¬
gere alla stessa non si dovesse vincere tanto pudore.

65 a.
Verso il proprio Dio si è maggiormente disonesti: egli non
può nò deve peccare !
GG.
La propensione ad avvilirsi, a lasciarsi derubare, sfruttale e
caricar di menzogne, potrebbe essere il pudore d’un Dio in
mezzo agli uomini.
67.
L’amore per un unico essere è una barbarie : perchè si eser¬
cita a detrimento di tutti gli altri. Anche l’amor di Dio.

68.
« Io ho fatto questo » mi dice la memoria. « Non posso averlo
fatto » sostiene il mio orgoglio ed è inesorabile. Finalmente
cede la memoria.
74 CAPITOLO QUARTO

69.

Si ha osservato male la vita, so non si ha scorto anche la


mano che pietosamente — uccide.

70.

Quando si ha del carattere si ha anche la propria avventura


tipica, che sempre si rinnova.

71.

Il savio quale astronomo. — Sino a tanto che sentirai gli


astri come qualche cosa al « disopra di te », non possederai
ancora lo sguardo del veggente.

72.

Non la potenza, bensì la durata d’un sentire elevato forma


gli uomini superiori.
73.

Chi raggiunge il suo ideale, per ciò stesso lo oltrepassa.


\

73 a.

Vi sono dei pavoni che nascondono gelosamente la loro coda


occhiata o in ciò ripongono la loro superbia.

74.
Un uomo dotato di genio è insopportabile se gli fanno di¬
tetto due cose per lo meno : la gratitudine e la purezza.

75.

11 grado e la specie della sessualità d’un individuo s’estendono


sino all’estremo vortice del suo spirito.

76.

In condizioni pacifiche l’uomo bellicoso s’accapiglia con sè


stesso.
AFORISMI t:d interludi 75

77.

I principi servono a tiranneggiare le proprie abitudini, a giu¬


stificarle, onorarle, vituperarle o nasconderle: — due uomini di
principi uguali vogliono cionondimeno sempre qualche cosa di
fondamentalmente diverso.

78.

Chi disprezza sù stesso, ha ciononpcrtanto ancora stima di sè


stesso, per ciò solo clregli si disprezza.

79.

Un’anima elio si sa amata, ma non sa riamare, manifesta i


propri bassifondi : — ciò che era sepolto in fondo viene a galla.

Una cosa elio si esplica cessa d’interessarci. — Cosa inten- 1 a'UL:'~' > vf’M-'-xcUDa!'
deva quel Dio che suggerì: « conosci tc stesso s? Dorso voleva . c&p&r" ^7i.m-'
dire: « cessa di destar interesse a te stesso! divieni oggettivo ! » 3tOc Sojj#- -
— E Socrate? — e l’« uomo scientifico? » 9

81.

È cosa orribile perire di sete in mozzo al mare. È proprio


necessario che voi mettiate tanto sale nella vostra verità da
renderla incapace — di soddisfare la sete?

82.

« Pietà di tutti » — sarebbe durezza e tirannia contro tc


stesso, mio caro vicino !

83.

L’istinto. — Quando la casa ò in fiamme si dimentica il


pranzo. — Sì, ma poi ci si rifa sulle ceneri.

84.

La donna apprende ad odiare a misura che disimpara ad


affascinare.
CAPITOLO QUARTO
76

85.

Lo stesso passioni nell’uomo e nella donna differiscono nel


« tempo >; epperciò l’uomo e la donna non cessano mai dal.
fraintendersi.
86.
Le donne celano in fondo alla loro vanita personale ancoi
sempre un disprezzo impersonale — per la < donna ».

67.

Cuora incatenalo, spirito libero. — Quando si mette in ca¬


tene il proprio cuore e lo si tiene prigione, si può permettere
molta libertà al proprio spirito : I lio già detto una volta. Ma non
si vuole credermi — purché non sia una cosa già risaputa.

88.
Delle persone troppo prudenti s’incomincia a diffidare, quando
si mostrano imbarazzate.
89.

Le avventure terribili fanno pensare se per caso quegli cui


sono toccate, non sia per sò stesso qualche cosa di terribile.

90.

Le persone gravi, malinconiche, divengono precisamente per


ciò, che rende pesanti le altre, vale a diro l’odio c l’amore, più
leggiere e salgono di tratto in tratto alla loro superficie.

91.

È tanto freddo, tanto agghiacciato che solo a toccarlo ci si


brucia lo dita; ogni mano che lo tocca si ritrae impaurita! — E
forse appunto per ciò molti lo ritengono ardente.

92.

Chi mai non ha ancora sacrificato almeno una volta sè


stesso — al proprio buon nome?
AFORISMI ED INTERLUDI 77

93.

Nell’affabilità verso tutti non v’è traccia di misantropia, ma


per contro c’è troppo disprezzo degli uomini.

94.

La maturità dell’uomo equivale ad aver ritrovata la serietà ohe


da bambini si metteva nei giuochi.

95.

Il vergognarsi della propria immoralità, è un gradino della scala,


alla sommità della quale ci si vergognerà della propria moralità.

9(1.

Bisogna prender congedo dalla vita come Ulisse da Nausica,


— piuttosto benedicendo, che da innamorati.

97.

Come ! Un uomo grande? Ma io non scorgo mai altro che un


commediante del proprio ideale.

98.

Quando si ammaestra la propria coscienza, essa ci bacia nello


stesso momento che ci mordo.

99.

Il disilluso farla: — M’attendeva di sentire la eco, ed in¬


vece non sento che lodi.
100.

Dinanzi a noi stessi noi ci fingiamo sempre meno accorti di


quanto lo siamo ; in tal modo ci riposiamo dalla fatica che ci
procura il prossimo.
101.

Oggidì un veggente amerebbe credersi un Dio divenuto bruto.


7S CAPITOLO QUARTO

102.
Ritrovare amore in chi s’ama dovrebbe veramente disingannare
clxi ama sul conto dell’oggetto amato. « Come? Sarebbe dunque
una cosa modesta ancor quella d’amar te ? Oppure sciocca ?
Oppure, oppure.».
103.

Il pencolo nella felicità. — « Ora tutto mi va per lo meglio!


Ora amo qualsiasi destino: — chi ha voglia d’essere il mio
destino ? :>
104.

Non è già il loro amore del prossimo, ma unicamente l’im¬


potenza di codesto loro amore che impedisce ai cristiani di
oggidì — d’abbruciarci.
105.

Allo spirito libero, all’ c essere pio che conosce ■» — ripugna


la pia fraus più ancora dell'/inpia frans. Onde la sua profonda
incomprensione della Chiesa, quando egli appartenga al tipo
« spirito libero ■> — perchè essa vuole asservirlo.

100.
Grazie alla musica le passioni trovano godimento in sè stesse.

107.

Allorquando si è presa la risoluzione di chiudere l’orecchio


anche ai più validi argomenti contrari: ciò è indizio di carattere
forte. Dunque eventualmente un volere l’imbecillità.

J 08.

Non esistono fenomeni morali, ma bensì unicamente un’inter-l


prefazione morale dei fenomeni. ’

109.

Jl delinquente molto spesso non è all’altezza del suo delitto:


egli lo rimpicciolisce e Io calunnia.
AFORISMI KD IXTKRIjUDI tfl

110.
Gli- avvocati dei delinquenti sono di rado tanto buoni artisti,
da far risaltare quanto v’ ha di terribilmente bello nell’azione
commessa, a favore di chi l’ha commessa.

111 .
La nostra vanità si sente precisamente allora meno offesa,
quando è stato offeso il nostro orgoglio.

112.

A colui che si sente predestinato a contemplare anziché a


credere, tutti i credenti appaiono troppo chiassosi e insistenti;
ed egli si schermisce dal loro contatto.

113.

c Vuoi piacergli? Ebbene, tìngi d’essere imbarazzato dinanzi


a lui ».
114.

L’enorme attesa relativamente all’ amore sessuale e la ver¬


gogna che si cela in quell’attesa, guasta alla bella prima ogni
prospettiva alla donua.
115.

Love non c’entra nè amore nò odio, l’arte della donna riesce


mediocre.
11(3.

Le grandi epoche della nostra vita s’affermano allorquando ci


sentiamo il coraggio di ribattezzare il male che è in noi, por
la parte migliore di noi stessi.

117.

La volontà di superare una passione non è infiue che la VO'


lontà di un’altra o di molto altre passioni.
80 capitolo quarto

118.

Esisto un’ingenuità dell’ammirazione: quella dell’individuo, cui


inai è passato per la mente che anch’egli un giorno potesse
esser ammirato.

119.

La nausea della sordidezza può esser tanto grande da impe¬


dirci di purificar noi stessi, di giustificarci.

120.

La sensualità talvolta cresce più presto dell’amore di modo


die la radice per esser debole facilmente può essere strappata.

121.

È una finezza, che Lio abbia appreso il greco, allorquando


\olle farsi scrittore, — c che non l’abbia appreso meglio.

122.

Compiacersi d’una lode è in taluni un complimento del cuore


— e precisamente il contrario d’una vanità dello spirito.

123.

Anche il concubinato lui subito una corruzione — in grazia


del matrimonio.

124.

Chi sul rogo ancora esulta, non trionfa già del dolore, bensì
per la felicità di non provare il dolore, dove l’attendeva. Una
similitudine.
125.

Quando siamo obbligati a mutar d’opinione riguardo ad un


individuo noi gli facciamo scontare caramente la fatica che ci
costa un tale mutamento.
AFORISMI ED INTERLUDI 81

126. •

TJu popolo ò un’ambage della natura, per arrivare a sei o sette


uomini grandi. — Si, e per poi eluderli.

127.

In tutte le vere donne la scienza ripugna al loro pudore. 1


Provano una sensazione come se si volesse guardarle al disotto j
della pelle — peggio aucora, disotto alle vesti. /

128.

Più è astratta la verità che tu intendi insegnare, e più devi


sedurre i sensi perchè si sentano attratti verso di lei.

129.

11 diavolo lui lo più ampie prospettive per Dio, perciò si


tiene da lui tanto discosto : — il diavolo cioè quale il più autico
amico della conoscenza.
130.

Ciò elio-uno c incomincia a rivelarsi quando il suo ingegno


declina, quando egli cessa di mostrare quanto può. L’ingegno
è anche un adornamento ; ed un adornamento serve anche a
nascondersi.
131.

Ogni sesso s’inganna sul conto dell’altro sesso : e ciò dipende,


che in fondo non ama e non rispetta che sò stesso (o per espri¬
mersi più gentilmente — il proprio ideale —).
Cosi l’uomo vuole che la donna sia placida', ma precisamente
la donna è essenxwliucutc avversa alla placidità, similo al gatto,
per quanto si sia esercitata a darsi un’apparenza di placidità.

132.

Si viene puniti principalmente por le proprie virtù.


Jiietzsche — Al dì là del bene c del )dale. — 6.
82 Capitolo quarto

• 133.

Chi non sa trovare la via del suo idealo, vive d’ima vita più
spensierata e sfacciata dell uomo clic non ha ideali.

134.

Dai sensi soltanto ci viene la fede, la buona coscienza, 1 e\ i-


deuza della verità.
135.

Il fariseismo nell’uomo buono non è una degenerazione : in


una buona parte di ciò consiste anzi la condizione dcll’csscr buoni.

136.

L'uuo cerca chi lo aiuti a sgravarsi delle proprie idee, l’altro


cerca qualcuno ch’egli possa aiutare ; da ciò nasce una conver¬
sazione interessante.
137.

Nelle nostre relazioni cogli scienziati o cogli artisti sbagliamo


di frequente i nostri calcoli : in un dotto, clic ci sembra degno
di studio, si scopre non di rado un uomo mediocre, e in un
artista mediocre talvolta — un uomo molto interessante.

13S.
Ad occhi desti come nei sogni noi procediamo con lo stesso
metodo; immaginiamo a nostra maniera l’uomo col quale siamo
in rapporti — e oc ne scordiamo subito.

130.

Nella vendetta e nell’amore la donna è più barbara dell’uomo.

140.

Consiglio in forma d’indovinello. -- Perchè il vincolo non


si spezzi, — è necessario che tu abbocchi bone.
AF0B1SMI ED ISTEHLCDI sa

141.
Il basso ventre è la causa, per cui all’uomo nou riesce tauto
facile ritenere! un Dio.
142.
La frase più pudica ch’io m’abbia intesa : Dans le véritable
amour cast l'iìmc, qui envcloppe le corp.

143.
Ciò elio meglio ci riesce, noi vorremmo fosse anche proprio
ciò che è più difficile a farei. Per spiegare l’origino di certe
morali.
144.
Quando una donna ha delle velleità letterarie, ciòjjmindizio
dùui_ qualche diletto di sessualità. Digià la sterilità predispone
a certe virilità del gusto : il maschio ò, sia detto con licenza,
l’animale c infecondo
145.
Confrontando in generale l’uomo alla donna si può affermale :
la donna non possederebbe il genio d adornarsi, se non avesse
ristinto che lo fa comprendere che essa rappresenta una seconda
parte.
146.
Chi ha da lottare coi mostri deve star bene attento di non
diventare un mostro lui pure. E se tu guarderai troppo a lungo in
un abisso, l’abisso finirà per voler vedere dentro a te.

147.
Tolto da antiche novello fiorentine — ma anche dalla vita :
buona femmina e mala femmina vuol bastone. Sacchetti, noi. S6.

US.

Indurre il nostro prossimo ad avere di noi una buona opinione


e poi creder sinceramente in quella opinione del prossimo . chi
possiede tanta arte in ciò quanto lo donne?
S4 CAPITOLO QUARTO

149.

Quello che ad un’epoca apparisce cattivo, è quasi sempre un


ultimo rimasuglio di ciò che all’epoca precedente era sembrato
buono, — l’atavismo d’un ideale già invecchiato.

150.

Intorno all’ eroe tutto diventa tragedia, intorno al semidio


giuoco di satiri : ed intorno a Dio tutto diventa — che cosa? forse
il mondo ?
151.

Non basta aver dell’ingeguo, bisogna aver anche il permesso


d’averne, — che ve ne pare, amici miei ?

152.

« Dove s’erge l’albero della scienza, colà ò sempre il para¬


diso ». Questo dicono i serpenti dell’antichità più remota ed anche
i moderni.
153.

Ciò che si fa per amore, lo si fa sempre al di là del bene c


del male.
154.

L’obbiezione, l’opposizione capricciosa, la diffidenza gioconda,


la propensione a beffeggiare sono indizi di salute: tutto ciò ch’ò
incondizionato appartiene alla patologia.

155.

Il senso del tragico cresce e decresce colla sensualità.

56.

La follia ò molto rara in singoli individui — nei gruppi, nei


partiti, nei popoli, nelle epoche essa è la regola.
AFORISMI ED INTERLUDI 85

157.

L’idea del suicidio è un mezzo potente di conforto : grazie


alla medesima si superano molto brutte notti.

158.

Al più forte dei nostri istinti, al tiranno in noi s’assoggetta


non soltanto la nostra ragione, ma anche la nostra coscienza.

159.

Bisogna rimeritare il bone ed il male ; ma perchè precisamente


alla stessa persona che ci ha fatto del bene o del male ?

160.

Non si ama più a bastanza la propria conoscenza quando la


si ò comunicata ad altri.

161.

• I poeti sono impudenti verso le proprie avventure — le


sfruttano.
162.

« Il nostro prossimo non è già il nostro vicino, bensì il di


lui vicino »: così pensano tutti i popoli.

163.

L'amore mette alla luce le qualità più elevate e più segrete


di chi ama, — ciò che in lui v’ha di raro, d’eccezionale; e con
ciò inganua facilmente su ciò che in lui è regola.

164.

Gesù disse ai suoi giudei: « lajegge era per gli schiavi —


amate Dio, come io l’amo, come suoi figli ! Che cosa importa
la morale a noi, figli di Dio ! »
8G CAPITOLO QUARTO

165.
Dedicalo a tutti i 'partili. — Un pastore ha sempre bisogno
d’nn montone che guidi il suo gregge — oppure è costretto a
fare lui stesso da montone.

166.
Colla bocca si mentisce, è vero, ma le smorfie clic si fanno
nello stesso tempo tradiscono la verità.

167.
Negli uomini rudi la tenerezza è oggetto di vergogna — ed
anche qualche cosa di prezioso.

16S.
Il cristianesimo propinò del veleno all’eros : — questo non
ne mori, ma degenerò, divenne vizio.

169.
Parlar molto di sè stessi può esser anche un mezzo di na¬
scondersi.
170.
Nella lode v’è più indiscretezza ohe nel biasimo.

171.
In un uomo di scienza la compassione fa quasi ridere, come
un ciclopc che avesse delie mani femminilmente delicate.

172.
Talvolta per amore dell’umanità si abbraccia il primo che capiti
(perchè non si può abbracciare l’umanità intera) : ma precisa-
mente questo non bisogna far comprendere al primo capitato....

173.
Non si odia, sino a tanto che si stima uno dappoco, ma ap¬
pena quando si comincia a Stimare un individuo uguale o su¬
periore a noi stessi.
AFORISMI ED INTERLUDI
87

174.

Oli voi, utilitari, anche voi amate tutto ciò che è utile perchè
seno di veicolo allo vostre inclinazioni — ma in fondo anche
voi trovate importuno il rumore delle sue ruote?

s 175.

Si finisce coll’ amare la propria brama, invece dell’ oggetto


bramato.
176.

La vanità degli altri non ci dà fastidio se non allorquando va


contro alla nostra.
177.

Sul conto della « verità » forse nessuno ancora è stato abba¬


stanza veritiero.
178.

.Non si presta fede alle stoltezze degli uomini avveduti; altro


diritto dell’uomo che va perduto !

179.

Le conseguenze delle nostre azioni ci pigliano per il collo, senza


badare se nel frattempo ci siamo migliorati.

180.

Y’ha un’ingenuità nella menzogna, la quale è indizio della


nostra buona fede in certe cose.

181.

È inumano il.benedire dove a qualcuno s’impreca.

182.

La familiarità dell’uomo superiore esaspera, perchè non si può


contraccambiarla.
SS CAPITOLO QUARTO

1S3.

c Non già che tu m’ abbi mentito, bensì che io più non


possa crederti, ecco quello che m’ha profondamente scosso ».

184.

Nella bontà ovvi talvolta un’insolenza che sembra malizia.

185.

c Egli non mi piace ». — Perche ? — « Perchè non mi sento


della sua forza ». — C’è stato mai un uomo che abbia risposto
in tal modo?
jt-

Capitolo Quinto

Per la storia naturale della morale.

r
186.

TI solili mento morale è presentemente in Duropa altrettanto


fine, tardo, molteplice, irritabile, raffinato, quanto la e scienza
della morale » è ancor giovane, principiante, goffa e grossolana ;
— un contrasto attraente, il quale alle volto si manifesta anche
nella persona dello stesso moralista.
Digià il titolo « scienza della morale -•> è con riflesso a ciò che
vuole significare troppo presuntuoso e contrario al buon gusto;
il quale ha una preferenza per le espressioni più modeste.
Si dovrebbe aver il coraggio di confessare che cosa ci abbiso¬
gnerà ancora per molto tempo, quella sola cosa che provvisoria¬
mente ha un diritto d’essere: vale a dire, raccogliere il materiale,
riunire i concetti, coordinare tutto un mondo sterminato di senti¬
menti delicati, di differenziazioni di valore, i quali vivono, crescono,
generano e periscono, — e, forse, tentare di render intelligibili le
forme rinnovantisi e più frequenti di questa cristallizzazione vi¬
vente, — quale preparaziono ad una dottrina dei tipi della morale.
È ben vero, elio finora non si fu tanto modesti.
I filosofi senza eccezione pretesero sempre da sé stessi con
una gravità che muove al riso, alcunché di molto più elevato,
di più solenne, non appena dovevano occuparsi della morale quale
scienza ; essi volevano stabilire le fondamenta della morale, e
tutti ritennero per formo d’ esserci riusciti ; ma la morale per
sè si riguardava come cosa « data ». Quanto era lontano al loro
goffo orgoglio il compito in apparenza insignificante e inconclu¬
dente d’una semplice descrizione, per quanto già un tale compito
92 CAPITOLO QUINTO

richiedesse delie mani e dei sensi ineffabilmente delicati! Appunto


per ciò che i filosofi della morale non conoscevano i « facta »
morali clic solo grossolanamente in un compendio arbitrario op¬
pure quale un’abbreviazione casuale, por esempio, quale moralità
del loro ambiente, della loro classe, della loro chiesa, dello spirito
dei tempi in cui vissero, del loro clima e del loro paese — pre¬
cisamente per ciò ch’orano male informati e poco loro importava
d’esser bene intorniati sul conio delle nazioni, dello epoche, della
storia dei tempi passati, essi non ebbero mai occasione di tro¬
varsi faccia a faccia coi veri problemi della morale: i quali sor¬
gono unicamente dal raffronto di molte morali. Nella cosidolta
« scienza della morale » mancava precisamente, per quanto ciò
possa sembrare strano, il problema stesso della morale; o non
si aveva nemmeno il sospetto dell’esistenza d’alcunchò di pro¬
blematico.
Ciò che i filosofi appellavano « motivaxionc della morale »
o da sè stessi protendevano non ora, nel suo vero aspetto, elio
una forma dotta della loro buona fede nella morale ai loro tempi
dominante, un nuovo mezzo Vesprimerla, dunque un’esistenza
di fatto nei limiti d’una morale determinata, anzi, in fine dei conti
una specie di negazione, che una tale inoralo potesse venir con-
• cepita quale problema ; - ed in ogni caso il contrario d’una
disamina, d’ un’ analisi, d’un inforzamento, d’una vivisezione di
codesta buona fede ! Si senta un po’ con quale ingenuità quasi
degna d’ammirazione lo stesso Schopenhauer ci presenti il proprio
compito, e tragga le proprie conclusioni sui metodi scientifici di
una « scienza » i cui più recenti maestri parlano ancora il lin¬
guaggio dei bambini o delle donnicciole: « il principio », erti
dice (pag. 137 dei Problemi fondamentali dell’etica) « il prin¬
cipio intorno al quale tutti gli etici sono veramente d’accordo,
suona : c nemìnem laede, imo onmes, quantwn potcs, juva ».
« Questa è propriamente la tesi, che tutti i moralisti s’affaticano
a dimostrale. il vero fondamento dell’etica, che, come la pietra
filosofale, da secoli si ricerca ».
La difficoltà di dimostrare questa tesi è certamente grande.
Come si sa nemmeno Schopenhauer ci è riescito — ; e
PER LA STORIA MATURALE DELLA MORALE 93

chi ha sentito profondamente ed intimamente quanto è assur¬


damente falsa e sentimentale una simile tesi in un mondo, la
cui essenza è la volontà della dominazione — è bene si tenga
presente, che 'Schopenhauer, abbonchò pessimista, ora anzitutto
suonatore di flauto... Lo suonava tutti i giorni, dopo il pranzo ;
si consulti in proposito i suoi biografi. G tanto per domandare :
un pessimista, uno che rinnega Dio ed il mondo, clic si arresta
dinanzi alla morale, — elio afferma l’esistenza della morale e
suona il flauto alla morale tacile neminem è costui proprio un
pessimista V
• •

187.

Anche lasciando in disparte il valore di certe affermazioni,


come p. e. « esiste in noijm imperativo categorico », è lecito
ancor sempre di chioderò che cosa una tale affermazione possa
farci ritenere della persona che afferma i
Yi sono delle morali che hanno il compito di giustificare il
loro autore agli occhi degli altri ; altro morali hanno il compito di
tranquillizzarlo e roudcrlo soddisfatto; in altre lautoie teude a
crocifìgger sé stesso, ad umiliarsi ; altre servono a scopi di ven¬
detta, altre per nascondersi, altre ancora per esaltare sè stessi,
per elevarsi al disopra degli altri.
Talvolta la morale serve al suo autore per dimenticare, tal altra
per far dimenticare sè stesso od una parto di sò stesso; alcuni
moralisti vorrebbero sfogare sull’umanità il loro desiderio di do¬
minazione, i propri capricci creatori ; altri, tra i quali forse anche
Kant, danno a intendere colla loro morale « ciò che in me e
rispettabile, si ò che io so obbedire, — e voi dovete fare altret¬
tanto ! » — in breve, anche le morali non sono altro che il lin¬
guaggio figurato degli affetti.

1SS.

Ogni morale è, contrariamente al tmsscr alter, una specie di


tirannia controja? .natura » ed anche controlla legione =>;
ma ciò non può servire ancora d’obbieziono contro la medesima,
91 CAPITOLO QUINTO

se tutt’al più non si dovesse inventare un’altra morale che


decretasse ogni tirannia e irragioncvolezza essere illecila.
II pregio essenziale d’ogni morale si è d’esercitare una lunga
costrizione: per comprendere lo stoicismo, il Port-Royal od il
puritanesimo, basta rammentare la costrizione che ha reso pos¬
sibile alle lingue di diventar forti e libere, — la costrizione del
metro, la tirannia della rima c del ritmo. Quanto hanno dovuto
sudare i poeti e gli oratori di tutti i popoli ! — nou eccettuando
alcuni scrittori di prosa dei giorni nostri, daH’orocchio coscien¬
zioso, — c tutto ciò per <• una sciocchezza ■> come dicono alcuni
imbecilli utilitari, che con ciò vogliono farsi credere persone sensale
— < per soggezione a leggi arbitrarie » come dicono gli anarchici,
che con ciò vogliono dimostrare la loro « libertà di spirito ».
Ma il fatto curioso sta iu ciò che tutto quello che v’ha sulla
terra di libero, di fine, d’ardito, la danza, la maestria sicura tanto
nel pensare, che nell’arte del governare, del perorare o del per¬
suadere, sia nell'arte elio nei costumi si è sviluppato precisa¬
mente in forza deila « tirannia » di simili « leggi arbitrarie » ’, e,
detto sul serio, c’è molta probabilità di ritenere, clic proprio in
ciò consista la <■ natura .» ed il «naturale», anziché nel « laisscr
allcr *■. Ogni artista sa, quanto sia lontano dal lasciarsi andare
10 stato naturale dello spirito nei momenti dell’ ispirazione, e
come precisamente in quei momenti egli obbedisca strettamente
a mille varie leggi, clic per la loro durezza e determinatezza si
ridono d’ogni formalizzazione mediauto concetti (anche il concetto
11 più determinalo di fronte a ciò diventa alcunché di confuso,
di molteplice, d’interpretabile iu vari sensi).
L’essenziale « iu cielo e sulla terra » è, a quanto pare, dicia¬
molo ancor una volta, che si obbedisca a lungo e nello stesso
senso: ne risulta a lungo andare sempre qualche cosa per cui
vale la pena di vivere, per esempio la virtù, l’arte, la musica,
la danza, la ragione, la spiritualità — qualche cosa insomma di
trasfigurante, di raffinato, di folle e di divino. Il lungo asservi¬
mento dello spirito, la coazione della diffidenza nel comunicare
i propri pensieri, il freno impostosi dal pensatore di formulare
i propri pensieri tra le pastoie della Chiesa e delle corti o di
l’ER Ij.V storia naturale della morale 95
adattarli alle premesse aristoteliche, la lunga volontà dello spi¬
rito d’interpretare tutto ciò che avviene secondo uno schema
cristiano o di scoprirvi la mano di Dio, di giustificare la sua
presenza in ogni avvenimento casuale, — quanto v’ha in ciò di
violento, d’arbitrario, di duro, d’orribile, di irragionevole s’è di¬
mostrato essere il mezzo per cui allo spirito europeo fu inne¬
stata la sua forza, la sua curiosità senza riguardi, la sua fine
mobilità, quantunque con ciò sia andata perduta una quautità
irreparabile di forza e di spirito (giacché pur qui come dovunque
e sempre la natura si manifesta per quello che è, vale a dire
d'ima grandiosità prodiga ed indifferente, la quale move a sdegno,
ma è una prerogativa aristocratica). So per milioni interi i pen¬
satori europei non s’industriarono che a provare— oggi, all’in¬
contro, ò sospetto ogni pensatore che volesse 'provare qualcosa
— una cosa clic di già ritenevano per sicura, o che fiorerà figu¬
ralo d’essere il risultato delle loro serie meditazioni come in altri
tempi usavasi neH’astrologia asiatica c nello stesso modo che1
ancor oggidì suolsi dare un’interpretazione cristiano-morale « in
onoro di Dio ••> e per la « salute dell annua » ai più comuni avle¬
nimenti personali : — quella tirannia, quell arbitrio, quella stol¬
tezza rigorosa e grandiosa liauuo educato lo spirito: la schiavitù,
a quanto pare, tauto agli intelletti grossolani quanto ai più deli¬
cati, serve necessariamente quale mezzo di disciplina spirituale.
Da questo punto di vista bisogna considerare ogni morale ; la
natura ò quella che in lei reude odioso il laisscr allcr, la so¬
verchia libertà, e crea il bisoguo d’orizzonti angusti, di compiti
alla mano — che restringe la prospettiva ed in certo qual modo
insegna essere l’ignoranza una condizione necessaria della vita
e del suo sviluppo.
c Tu devi obbedire a checchessia, ed a lungo: altrimenti tu
perirai e perderai ogni stima di te stesso » — questo mi sembra
essere l’impnrativo morale d.ella-flalnrn, il quale a icro dire non
è nò categorico come protendeva il vecchio Kant (onde 1 « altri¬
menti ») nè ò diretto al singolo individuo, — (che importa mai
alla natura dell’individuo singolo !) beusì ai popoli, alle razze, alle
classi, ma anzitutto all’animale nomato « uomo », all’uomo.

4j_<lWdì'i'f -•
r
96 CAPITOLO QUINTO

189.

Le razze lavoratrici durano molta pena a rimaner ozioso : si


fu uu colpo da maestro quello dell’istinto inglese che rose la
domenica talmente sacra al riposo e noiosa, da invogliare rin¬
glese, senza che sappia rendersene ragione, a desiderare il ri¬
torno delle giornate di lavoro : una specie di digiuno saggia-
. mente escogitato c interpolato, come di simili esempi so ne trova
abbondantemente anche nel mondo antico (seppure, come è ben
giusto, nei popoli meridionali un tale-digiuno non abbia soltanto
attinenza al lavoro). È necessario ci siano digiuni di varie specie ;
e dovunque predominano stimoli ed abitudini potenti, i legislatori
devono provvedere perchè siano interpolate certe giornate, nello
quali cotali impulsi si mettono alla catena ed imparano a cono¬
scere la fame. Da un punto di vista più elevato, iutere genera¬
zioni ed epoche, allorquando si presentano affette da un qualche
fanatismo morale, rassomigliano a dello quaresime forzato ed inter¬
polate, duimito le quali uu singolo impulso apprende a rannic¬
chiarsi c ad assoggettarsi. 3Ia in pari tempo si purifica c si
acuisce. Anche alcune sette filosofiche (p. e. la Stoa in mezzo
alla civiltà ellenica e la sua atmosfera esuberantemente impre¬
gnata di effluvi lascivi) permettono d’essere similmente interpre¬
tate. — In ciò si trova anche un principio di spiegazione dol
paradosso, che precisamente nel periodo maggiormente cristiano
dell’Europa ed in generale appena sotto l’oppressione dei criterii
dei valori cristiani l’istinto sessuale s’ò sublimato sino a diventar
l’amore (amour-passion).

190.

V’ha qualche cosa nella morale di Platone, che non può dirsi
appartenga a Platone, ma vi si trova soltanto, por così dire,
quasi suo malgrado, vale a dire il Soèratismo, per il quale
egli ora in fondo troppo aristocratico. « Nessuno intende recar
danno a sé stesso, perciò tutto il male avviene involontaria¬
mente. Il cattivo reca danno a sè stesso, egli non farebbe ciò
pi:r ia storia naturai® delia morale 97

se sapesse che il cattivo è cattivo. Di conseguenza il cattivo


non è cattivo che per errore: toglietegli codesto errore, ed egli
necessariamente diverrà — buono. — ha tale modo di conclu¬
dere puzza di plebe, la (piale nel male che si commetto alno
non vede che le conseguenze che ne derivano cd in fondo giu¬
dica < che è cosa da sciocchi l’operar male », mentre il bene,
per lei, s’identifica senz’altro coll’« utile -> e col « dilettetele ».
Ogni utilitarismo nella morale lui la stessa origine, si prenda
ciò por massima c di rado si sbaglierà. Platone Ita fatto
quanto stava in lui per render possibile una interpretazione deli¬
cata cd aristocratica della tesi del suo maestro e ci si è messo
con tutto l’impegno, — lui, il più audace di tutti gli iuterpieti,
il (piale ha raccolto, per così dire, Socrate dalla pubblica tia,
come si raccoglie un animale curioso o una canzone popolale,
per variarla all'infinito ed all impossibile : vale a dire sotto tutti
i proprii punti di vista ed in tutta la propria molteplicità. Sia
detto per isclmrzo e con Omero', che cosa è il Sociale di Platone
scnonchè « zy'j~ìh IIaìtióv òrnO-év ~i llXàtwv \>À"i{ "=• /'yi.v.'/j.

191.

L’antico problema teologico della < tede » e della « scienza »


_ oppure, per esprimerci più chiaramente, dell istinto c della
ragione — adunque la qnistiono so nel giudicare il valore delle
cose l’istinto meriti maggiore autorità della ingioile, la quale
esigo che si valuti e si agisca secondo motivi, secondo un
perchè ; dunque secondo l’opportunità e l’utilità, — ù sempre
ancora lo stesso antico problema morale che s’impersonò per la
prima volta in Socrate, c molto tempo avanti il cristianesimo ha
diviso gli spiriti. Socrate, a vero dire, secondando il gusto del
proprio ingegno — clic era quello di un dialettico superiore —-
s’era schierato dal lato della ragione; e. difatti, che cosa ha egli
mai fatto in tutta la sua vita senoueliù beffarsi della gotta
incapacità do’ suoi aristocratici ateniesi, i quali erano uomini
d’istinti al pari di tutti gli individui aristocratici c non si tro-

.Niht/schi. — Al di là dii Oc ut e del male. — 1.


CAPITOLO QUINTO
9S
varano mai in caso di dare una spiegazione soddisfacente ciica
ai motivi delle loro azioni ?
Da ultimo però, segretamente rideva anche di sé stesso;
trovava in sè, nel tu a tu colla propria coscienza, lo medesimo
difficoltà, la stessa incapacità. Che bisogno c’ò mai. cosi tentava
di persuadere sè stesso, svincolarsi per (]ucslo dagl istinti. L.sai
devono avere i proprii diritti, ed anche, la ragione i suoi —
bisogna obbedire agli istinti, ma persuadere la ragione ad appog¬
giarli coi buoni argomenti. In ciò consisteva la vera doppietto di
cpie! grande ironico misterioso; egli ridusse la propria coscienza
ad assuefarsi ad una specie di volontario inganno di sè stessa; in
fondo egli aveva intraveduto quanto v’era d’irrazionale nel giu¬
dizio morale. — Piatone, in simili coso più ingenuo c privo del¬
l’astuzia del plebeo, volle dimostrare a sè stesso, col più potente
sforzo di cui era capace — il massimo, di cui smorti possa van¬
tarsi un filosofo — che la ragione e l’istinto hanno da per sè
la stessa meta, il bene, < Dio » o dopo Plutone tutti i teologi
e tutti i filosofi battono la stessa strada; cioè, nelle cose della
morale è rimasto sinora vittorioso l’istinto, o, come l’appellano i
Cristiani, la « fede »,o, come lo dico io, il <• gregge ». Biso¬
gnerebbe fare un’eccezione por Cartesio, il padre del raziona¬
lismo (e per conseguenza l’avo della rivoluziono), il quale non
riconobbe altra autorità che dalla ragione; ma la ragiono non è
che uno stromento, c Cartesio era superficiale.

192.

Chi ha tenuto dietro alla storia d’ima singola scienza, troverà


nello sviluppo della medesima il filo conduttore per comprendere
i procedimenti più antichi e più comuni d’ogni «- scienza c cono-
-oeriza - : là e qui si sviluppano dapprima le ipotesi azzardate,
li finzioni, la volontà scioccamente cieca di credere t> , la man¬
canza di diffidenza e di pazienza : — i nostri sensi troppo tardi
forse mai completamente apprendono ad essere degli organi fini,
fedeli e circospetti della conoscenza. Torna più comodo all’occhio
nostro <li riprodurre, non appena se ne presenti il motivo, un ima-
PER LA. STORIA SATURALE DELLA MORALE 99

gine più volte riprodotta, anziché ritenere una nuova impres¬


sione : ciò esigo una forza, una «• moralità a maggiore.
Udire qualche cosa di nuovo riesco penoso e difficile al¬
l’orecchio difficilmente riteniamo una musica nuova. Involon¬
tariamente quando sentiamo parlare in un linguaggio a noi nuovo,
ci proviamo a rivestire i suoni uditi di parole a noi note: così
per esempio in altri tempi il tedesco dalla parola « arcubalista »
da lui udita, formò la parola « Annbrust » (1). Il nuovo trova
anello i nostri sensi renitenti ed avversi ; ed oltrecciò predomi¬
nano anche nei più .semplici procedimenti sensuali gli alleiti,
come la paura, l’amore, l’odio, compresivi quegli passivi del¬
l’inerzia. Chi è clic oggidì legga tutto lo singolo parole (o meglio
ancora le sillabe) d’un loglio stampato ? — Su venti parole ne
ritiene a caso forse cinque ed indovina il loro nesso colle altic
nello stesso modo che noi mai vediamo esattamente e comple¬
tamente un albero tutto intero, con le sue foglie, 1 suoi rami,
il suo colore, la sua forma: ci riesce tanto più tacile ad ima-
ginarci un albero così all incirca!
Persino nelle avventure più strane che ci occorrono noi pro¬
cediamo similmente ; noi inventiamo in massima parte 1 avven¬
tura, ed è cosa ben difficile l’obbligarci a non assistere in qua¬
lità d’inventori ad un dato avvenimento. Tutto ciò significa : noi
siamo in fondo avvezzi, sin dai tempi più remoti - a mentire.
Oppure por esprimerci più virtuosamente e gesuiticamente, in¬
gomma più amabilmente, siamo più artisti di quanto possa
sembrare. - Talvolta, conversando con una persona, la fiso-
nomia di questa assumo un’ espressione così precisa e deter¬
minata a seconda del pensiero ch’essa esprime o che io credo
d’averle suggerito, clic codesta espressione sorpassa di gran lunga
la mia forza visiva : - la finezza delle contrazioni muscolari e
dell’espressione dell’occhio devono esser quindi una mia imagi¬
nazione. Probabilmente in tali momenti la fisionomia di que a
data persona esprimeva tutt’altra cosa c fore’auclie nulla affatto.

(1) Arni — braccio — Brusi — petto.


(Nota «lei Traduttore).
CAPITOI.O quinto
100

193.

Quidquid luce fuit, tenebria agii ; ma anche viceversa. Ciò


che noi proviamo nel sogno, ammesso, che lo proviamo di fre¬
quente, finisce coll’appartenere all’economia della nostra anima
allo stesso modo, come le cose che abbiamo « realmente * pro¬
vaie : il nostro sogno ci arricchisce o ci rende più poveri, ci
procura un bisogno di più o di meno e finiamo coll essere un
poco lo zimbello dei nostri sogni anche noi morosi piti sereni
della nostra mente completamente desta.
Supposto che uno sogni molto spesso di volare c clic quando
sogua si prevalga della sua forza e della sua abilità nel volare
come d'ima prerogativa sua propria, ed anche d’una sua fortuna
speciale c degna d’invidia; che creda poter descriverò merco
un leggerissimo impulso ogni specie di circoli c di angoli, c
conosca la sensazione di una leggerezza quasi divina, un potersi
innalzare senza tensione di muscoli, senza sforzi, un calarsi
dall’alto senza provare un’oppressione avvilicnte — sfidando la
legge della gravità — come mai colui, che nei suoi sogni ha
fatto tali esperienze, contratto simili abitudini, non dovrebbe
anche quand’ò ben desto attribuire un colorito, un significato
ben diverso alla parola « felicità. come mai non dovrebbe de¬
siderare una felicità — differente? Persino l’« elevarsi» dei
poeti in confronto al suo volare dove sembrargli qualche
cosa di troppo terrestre, di troppo muscolare, violento, di troppo
« pesante ».

194.

La diversità degli uomini si dimostra non solamente nella


diversità dello loro categorie dei beni desiderabili o uelPessero
discordi a proposito del maggior o minor valore, della classifica¬
zione dei beni comunemente riconosciuti come tali ; essa si di¬
mostra ancor maggiormente pel valore ch’essi attribuiscono al
possedimento d’un bene. Riguardo alla donna, anche all’indi-
101
PER I..V STORIA NATURAI.!-: 1)1X1.A MORALE

vicino il più modesto il poter disporre del corpo, il godimento


sessuale appaiono un indizio sufficiente c soddisfacente del pos¬
sesso ; un alilo, la cui sete di possesso ò più sospettosa od esi¬
gente, riconosce quanto v'Iia di dubbioso, d’apparente in un tale
possesso, ed esigo delle provo più raffinate, anzitutto per sapere
non soltanto se la donna si dia a lui, ma anche se per lui abban¬
doni ciò che ha o ciò che vorrebbe avere: appena allei a egli si
ritiene cerio del possesso. Ma un terzo anche con ciò non è ancora
giunto all’estremo limite della sua diffidenza e del suo voler pos¬
sedere, c domanda a sè stesso, se la donna, abbandonando ogni
cosa per lui, non lo faccia forse per un dato concetto, ch’essa di
lui s’ò formata; egli vuole anzitutto farsi conoscer bene nel suo
interno, per poter essere amato, egli osa lasciarsi indovinare. —
Allora appena sente il completo possesso della donna amata, quando
questa non può più ingannarsi sul di lui conto, quando essa lo ama
per i suoi istinti diabolici, per la sua nascosto insaziabilità, come
lo avrebbe amato per la sua bontà, per la sua virtù, per la sua
intelligenza. Taluno vorrebbe possedere un popolo : ed a tal uopo
ricorre a tutto le arti di Cagliostro o di Catilina. Un altro in
cui la sete di possesso è più raffinata, dico a sè stesso * non e
lecito ingannare quando si vuole possedere ■* egli si sente
indispettito ed impaziente all’idea che una maschera di lui im¬
peri nel cuore del suo popolo : * adunque è necessario che io
mi faccia conoscere ed anzitutto conosca me stesso! >
Negli uomini soccorrevoli e benefici si riscontra quasi sempre
la goffa astuzia d’adattare ai propri desideri l’individuo che si
deve soccorrere; col chiedersi; per esempio, se egli « menti il
loro soccorso, se proprio da (oro debba attendersi un soccorso,
se pel soccorso ottenuto saprà mostrarsi riconoscente, ailezio-
nato, sottomesso*. - Con simili fantasie essi predispongono di
chi ha bisogno conio di una cosa che si possiedo, come in fondo
appunto la brama’ del possesso 'li rende soccorrevoli c benefici.
Si mostrano gelosi, quando nel fare il bene temono d’esser pre¬
venuti da un altro. 1 genitori involontariamente tendono a for-
maro i figli a -loro immagine — e chiamano ciò « educazione » •;,
- nessuna madre dubita in fondo al suo cuore, che l’essere
J0O CAPITOLO QUINTO

da lei partorito non le appartenga, nessun padre si lascia togliere


il diritto di assoggettarlo ai suoi concetti ed allo sue valutazioni.
Sì, ci fu persino un tempo, in cui ai genitori sembrava più che
giusto di disporre a loro beneplacito della vita c della morto
dei neonati (come presso gli antichi Germani). E come il padre,
anche il maestro, la casta, il prete, il principe scorgono in
ogni uomo che sorge una nuova occasiono di naturale pos¬
sesso. Di conseguenza.

195.

I giudei — popolo « nato ad essere schiavo * come afferma


Tacito e con lui il mondo antico, « il popolo eletto tra i popoli
come dicono e credono essi stessi, — i giudei hanno reso pos¬
sibile l’opera miracolosa dell’invertimento dei valori, mercè la
quale la vita sulla terra ha acquistato per un paio di millenni una
nuova attrattiva pericolosa: i loro profeti hanno fuso in un unico
significato gli attributi «• ricco » « empio * «■ cattivo • « vio¬
lento » « sensualo», c alla parola « mondo •> hanno attribuito
per i primi un significato obbrobrioso.
In tale invertimento dei valori (mercè il quale la parola. « po¬
vero » diventa sinonimo di «‘santo » o d’« amico ») consiste
l’importanza del popolo giudeo : con lui s’inizia IV insurrezione
degli schiavi nella inorale '.

196.

Vicino al sole esistono degli innumerevoli corpi oscuri che


attendono d'essere dischiusi alla nostra intelligenza, — dei corpi
che noi mai vedremo. Questa è, sia detto tra noi, una simili¬
tudine : e pel psicologo-moralista il linguaggio degli astri non
rappresenta che un linguaggio simbolico e geroglifico che per¬
mette di sottacere molte cose.

.197.
Si misconosce completamente 1’ animale di rapina, ed anche
l’uomo di rapina (per esempio Cesare Borgia), si misconosce la
« natura » sino a tanto clic si vuole scoprire una « morbosità »
PER l.A ST01U.V NATURALI-: DELLA MORALE 10:}

nel fondo di codesti sanissimi tra .sii animali, tra le piante dei
tropici, anzi una specie d’« inferno » innato: come fìnoia
hanno fatto tutti i moralisti.
A quanto sembra i moralisti provano un odio potente conti o le
foreste vergini e contro i tropici! E ritengono per fermo che
p « uomo dei tropici » debba essere screditato ad ogni costo, sia
additandolo quale fenomeno morboso, sia quale tipo dell uomo
degenerato, sia quale demonio tormentatore di sè stesso! E
perchè ciò? In favore delle «stono temperato a ? In favore degli
uomini moderatiV degli uomini morali? dei mediocii. En
contributo al capitolo : La morale sotto la forma della paura.

198.

Tutte codeste morali, che s’indirizzano al singolo individuo,


allo scopo - affermano — di procurare la sua «felicità», m
fondo che cosa sono se non che dei consigli sul modo di con¬
tenersi secondo il grado deUa pericolosità dei rapporti dell’indi¬
viduo con sè stesso? Ricette contro le sue passioni, contro le
sue inclinazioni buone e cattive, quando questo abbiano la vo¬
lontà di dominare c di far da padrone ; giudizi più o meno as¬
sonnati, artifizi che sentono l'odore di stantìo dei vecchi rimedi
casalinghi e della sapienza dello donnicciole: tutti insieme ba¬
rocchi ed irragionevoli nella forma — perchè vogliono indiriz¬
zarsi all’ c universalità », perchè vogliono generalizzare dove .
non è lecito generalizzare -, tutti insieme parlando incondizio¬
natamente, atteggiandosi ad incondizionati, tutti conditi non di
un solo grano di sale, ma appena sopportabili e talvolta anche al¬
lettanti quando contengono droghe piccanti in quantità e man¬
dano un odore pericoloso, anzitutto del « mondo di la •>, tutto ciò
misurato con l’intelletto vale ben poca cosa, e non può chiamami
pe ranco « scienza », ancor meno «sapienza», bensì, diciamolo
c ripetiamolo, giudiziosità, giudiziosità, giudiziosità congiunta ad
imbecillità, imbecillità, imbecillità, - si tratti dell’.ndifferenzao
della freddezza marmorea della statua contro Pardente follia delle
passióni, che gli stoici consigliarono quale mezzo di guarigione;
CAPITOLO QUINTO
10-4
oppure del non-riderc e non-piangere di Spinosa elio propu¬
gnava la distruzione delle passioni mediante l’analisi e la vivi¬
sezione delle medesime : si tratti infine del deprimente! delle pas¬
sioni ad una media innocua che permetta di soddisfarle, Varino¬
le Usino della morale; oppure della morale quale soddisfacimento
delle passioni col diluirle c renderle spirituali por mezzo del sim¬
bolismo dell’arte, per esempio della musica, oppure por mezzo
dell’amore di Dio o dell’amore dell’uomo per amor di Dio —
giacché anche nella religione le passioni hanno il diritto di
cittadinanza, purché — : o si tratti persino di darci facilmente
e capricciosamente in braccio alle passioni, come hanno insognato
Hnfìx o (’ìoclhc, dell’ardito rallentamento delle redini, della
liccntia inorimi corporale e spirituale in certi casi eccezionali
di vecchi originali di buon senso o di ubbriaconi nei quali il
« pericolo è minimo ».
Anche ciò (piale contributo alla « morale sotto la forma della
paura ».
199.

Siccome ad ogni tempo, da quando gli uomini esistono, ci


sono state anche branchi d’uomini (relazioni sessuali, comunità,
stirpi, popoli, stati, chiese) c c’6 sempre stato un numero stra¬
grande d’ohbedienti in proporziono ai pochi clic comandano, —
siccome l’obbedienza è stata esercitata più facilmente e più a lungo
tra gli uomini,, si può ammettere a buon diritto elio in media
presentemente in ognuno è per così dire innato il bisogno dcl-
1 obbedienza, quasi fosse una Specie di coscienza formale, la quale
impone : tu devi fare qualche cosa incondizionatamente, dovi
tralasciare di tare qualche■ cosa incondizionatamente, in breve
« tu devi ». Un tale bisogno cerca di saturarsi e di procurare
alla sua.forma un contenuto. Per giungere a ciò, es.sn assorbe,
in misura della sua forza, della sua impazienza, della sua ten¬
sione, senza alcuna scelta, con appetito grossolano, tutto ciò
che gii viene suggerito da chicchessia comandi — dai genitori,
dai maestri, dallo leggi, dai pregiudizi di classo, dalla pubblica
opinione. La strana limitatezza dello sviluppo dell’uomo, l’esi-
tazìone,'le lungaggini, il retrocedere, lo aggirarsi entro un circolo
IER I.A STORIA NATURALE OKU,A MORALE 105

vizioso elio accompagnano un tale sviluppo, tutto ciò trova la sua


spiegazione nel latto clic l’istinto dell’obbedienza si trasmetto ere¬
ditariamente meglio d’ogni altro od a tutto speso dell’ano di co¬
mandare. Si immagini questo istinto progrediente sino allo suo
ultimo conseguenze, c si comprenderà che alla lino manclieftmno
gli individui dominatori ed indipendenti; oppure questi ultimi
saranno travagliati internamente dalla coscienza malsicura e sen¬
tiranno il bisogno di farsi corte illusioni, per poter comandare:
dimodoché anch’cssi non faranno che. obbedire a quello tali illu¬
sioni. Questo shito di cose sussisto oggi di fatto in Europa: io
lo chiamo l’ipocrisia inoralo dei dominanti, rissi non sanno al¬
trimenti scagionarsi dinanzi alla propria cattiva coscienza elio
spacciandosi per esecutori di ordini antichi o provenienti dall alto
(dagli antenauti, dalla costituzione, dal diritto delle leggi e persino
da Dio), oppure prendono a prestito «Itti modo di pensare dello
gregge le loro massime, vantandosi per esempio d'essere i * primi
servi del loro popolo » oppure gli stromenti del benessere pub¬
blico *. D’altra parte l’uomo aggregato oggidì si dà l’apparenza
d’essere l’unica specie d’uomo cito sia permessa, è glorifica lo
proprie qualità, mercè le quali egli è domestico, socievole e utile
al suo branco conto so questo fossero le uniche virtù veramente
umano: sicché socievolezza, benevolenza, riguardo, diligenza,
sobrietà, modestia, indulgenza, compassione. In certi eas- pero,
nei quali non si crede di poter far a meno d un montone clic
serva di guida, oggidì si fanno tentativi su tentativi per sostituire
i veri dominatori sommando insieme un certo numero di uomini
aggregati dei più assennati : tale origine hanno per esempio
tutte le costituzioni rappresentative.
Quale beneficio, quale redenzione da un’oppressione divenuta
insopportabile sia malgrado tutto ciò pei- le gregge umane europee
l’apparizioue di un individuo che comandi incondizionatamente:
lo prova l’effetto prodotto dalla comparsa di Napoleone, 1 ultima
or,tilde testimonianza del mio asserto : - In storia dell influenza
di Napoleone ò, potrebbe dirsi, la storia della maggior tmiuna.
cui abbia raggiunto il nostro secolo nei suoi uomini e net suoi
momenti più preziosi.
CAPITOLO QUINTO
10C

200.

L’uomo d’un’epoca eli dissoluzione, la quale confonde ini di


loro le razze, portando in sè l’eredità di molteplici origini, vale a
dire impulsi c giudizi di valori contrari, e talvolta non sol¬
tanto contrari, i quali sono in continua lotta tra di loro e di
rado si danno tregua, — un cotal uomo dello civiltà più inule
c di riflesso sarà in media un uomo più debole : il suo desi¬
derio più intenso sarà clic la guerra, da lui stesso rappresentala,
possa una buoua volta cessare ; la sua felicita consisterà (d ac¬
cordo in ciò con ima medicina e con un modo di pensare tran-
•quillaute come, ad esempio, l’epicureo ed il cristiano) principal¬
mente nel riposare, nel non essere disturbato, nella sazietà dell’unità
finale, che sarebbe il « sabato dei sabati » per parlare col santo
retore Agostino, che era lui pure uno di codesti uomini. — Ma
quando il contrasto e la guerra in una tale indole agiscono
come un’attrattiva della vita, ed un solletico di più, — c d’altra
parte ai suoi impulsi potenti ed inesorabili è collegata per ere¬
dità anche la vera maestria, la vera finezza dell’arto del guer¬
reggiare, allora sorgono quegli uomini enigmatici inafferrabili, ed
iucompreusibili, predestinati alla vittoria ed alla seduzione, dei
quali Alcibiade e Cesare sono la più bella espressione (per inio
gusto propenderei d’aggiungervi il grande Federico), tra gli artisti
forse Leonardo da Vinci. Essi fanno la loro apparizione preci¬
samente nello epoche, in cui* il proscenio 0 occupato dal tipo
debole da noi suddescritto, col suo desiderio di riposo : i due tipi
si completano e sono originati dalle medesime cause.

201.

Allorquando die l’utilità dominante nell’ apprezzamento dei


valori morali, non 6 che l’utilità degli uomini aggregati e tende,
unicamente alla conservazione delia comunità, che l’immorale si
identifica esclusivamente con tutto ciò che alla comunità riesce
dannoso, sino a tanto non può esistere una morale dell’«amore
per la storia naturale della morale 107

del prossimo ». Ammesso pure che sussista già allora una certa
qUal misura di riguardi, di compassione, d’equità, di bontà, di
reciprocità ncll’aintarsi : che digià in quello stato della società
si trovino in attività tutti quelli impulsi, cui piii tardi si col¬
locheranno al posto d’onore col nome di « virtù », c i quali
coincidono quasi col concetto « moralità »: in quell’epoca essi
non appartengono ancora al regno delle valutazioni morali —
sono ancora e.r*ra-morali. Così, ad esempio, un atto di pietà
noi migliori tempi di Roma non viene detto nè buono ne cat¬
tivo, nè morale nè immorale: c seppure è lodato, a questa
lode s’aggiunge anche una specie di sdegnoso disprezzo tutte
le volto che lo si raffronti ad un atto che serve a favorire la
cosa comune, la res pubblica. In ultima analisi l’sumere del
.massimo » è sempre stanchi) d'accessorio, in parte anche con-
vensionnlc ed apparentemente arbitrario in propomonc della
unum del prossimo. Allorquando la compagino della società
nel suo complesso è salda ed assicurata contro i pencoli esterni,
Si h codesta paura del prossimo che crea nuove prospettilo
,U appressamenti di valori morali. Corti impulsi poten‘1 e pcu-
CO, Jceme lo spirito d’intvaproudensa, la temerarietà, la sete
,11 vendetta, l'nstusin, la rapacità, la sete di do,ninna,onc, ""H
1 "i „ allora in quanto erano utili al bene pubblico, iionso -
" onoravano - sotto nomi differenti, ben inteso, da quell.
r,L accennali - benst necessariamente s'incoraggi avano c

favorivano (per* nel

costantemente contro i «■»■£, ,‘„,a„o i canali di sfogo

“Tc s-
UZU * calunnia. Alloragb —
contrarie vengono assunti agl. onou ^ q menQ vi sia

trae passo passo le sue a;' ricoloso aU'uguagliansa di


di dannoso al benessere comune P p«k»e,
tutti, in un'opinione, m uno taro d, - ^ ^ ^
in una volontà, ni un mgegi , |a madre dcl|n m0.

G,iUrp',dsi *** o-ptrteoB, allorquando, erompendo


10$ CAPITOLO Ql'IN'TO

con (utili la forza della passiono, innalzano il singolo individuo al


di sopra c lo spingono ben fuori della media e della bassura della
coscienza deU’uomo aggregato, tolgono alla comunità il senti¬
mento della propria indipendenza, la fede in sè stessa, la sua
colonna vertebrale per così, dire si spezza: sicché si vuole mac¬
chiar d’infamia c di calunnia precisamente colali impulsi. Digiti in
un’alta spiritualità indipendente, nella volontà di stare da per sè,
in una intelligenza elevata si subodora un pericolo:-tutto ciò clic
innalza il singolo al di sopra del branco, e fa paura al prossimo,
s’appellerà d’or innanzi col nome di « male ; : i sentimenti del¬
l’equità, della modestia, dell’ordine, dell’eguaglianza, la medio¬
crità delle brame ottengono nomi ed onori morali. Alla line, in
condizioni molto pacifiche cessano l’occasione ed il bisogno d’edu¬
care i propri sentimenti al rigore ed all’asprezza ; cd allora qual¬
siasi rigore, anche della giustizia, incomincia a turbare gli animi :
un'asprezza aristocratica ed indipendente offendo quasi e genera
la diffidenza, 1’< agnello , anzi la «pecora > guadagnano nella
stima. Nella storia della società, il rilassamento e la mollezza
possono giungere al punto, elio la società prenda lo parti di
chi tende a recarle danno, del delinquente, e le prenda seria¬
mente ed onestamente. Punire — ciò le sembra non equo sotto
qualche rapporto, — certo si è che l’idea di punire c di do ca¬
pimi re le fa male, le fa paura. « Non basta renderlo incapace
a fare del male? Perchè ,'puniro per giunta? Il punire noti è
per sè stesso una cosa terribile ? ? — Con.questo interrogazioni
la morale del bianco, la morale della paura trae la sua ultima
conclusione. Supposto elio si potesse eliminare il pericolo por sè
stesso, la causa della paura, con ciò solo si sarebbe eliminala
anche codesta morale: essa non sarebbe più necessaria, non si
sentirebbe più la sua necessità !
Olii esamina la coscienza deWcnrnpro odierno si vedrà costretto
a sniechiare dalle pieghe, dai nascondigli della morale, sempre lo
stesso imperativo, l'imperativo della paura del branco: « Noi
vogliamo che vn giorno (pianrlosiu più nulla ci sia da temere! —
— Un giorno quandosia — la volontà o il cammino per arri¬
varci chiamasi oggidì dovunque in Europa il «progresso».
flìll 1.A STOlttA NATURALE DELLA .MORALE 109

202.

Diciamolo subito aucor ima volta, quello che cento volte ab¬
biamo ripetuto : le orecchie sono oggidì restie a certo verità
— alle nostre verità. Noi sappiamo molto bene quanto suoni
offensivo il permettersi di metter l’uomo francamente e non
solo per similitudine, tra gli animali : ma a noi s: imputerà
quasi a colpa, l’aver adoperato costantemente a proposito degli
uomini dalle « idee moderne :> l’espressione < branco .> « istinti
da groggó » eccederà. Che importa ! Non possiamo fare altri¬
menti : giacché precisamente in ciò sta il nostro nuovo modo
di vedere le cose. Noi trovammo 1’ Europa concorde in tutti i
giudizi morali essenziali, ed all 'Europa dobbiamo ancora aggiun¬
gere i paesi, dove predomina I influenza europeo', in Europei si
sa evidentemente ciò elio Socrate diceva di ignorare e ciò clic
il finnoso serpente aveva promesso di rivelare — si sa oggi
quello che è bene c quello clic è male, hpperciù devo riescine
duro agli orecchi il nostro insistere : che quella cosa in noi che
crede di sapere, ed esalta sé stessa colle lodi e col biasimo, che da
per sé stessa si dichiara buona, non è che l’istinto dell’uomo da
gregge; il quale istinto s’é fatto strada attraverso a tutti gli altri
istinti, ha preso su lutti il .sopravvento c lo prendo sempre più
in forza del crescente riavvicinamento cd assimilamento fisiologico,
dei quali egli è un sintomo, « La morale odierna in Kumpa c una
morale da animali af/eprc/aU > - vale a dire, al modo che noi
vediamo lo cose, una singola specie di morale umana, vicino alla
quale esistono, e prima della quale furono e dopo la quale dorreb¬
bero essere possibili tante altre morali, anzitutto piu elevate. Contro
una tale «possibilità:., contro un tale «dovrebbero essere, la
morale odierna si impenna con tutte le suo forze: essa dice c ripete
ostinatamente ed inesorabilmente « io sono la vera morale o nulla
all'infuori di me è morale » - si, coll’aiuto di una religione che fece
abbandono di sé stessa alle brame più sublimi dell animale da
gregge, che lo adulò, le coso sono giunto al punto che persino nelle
istituzioni politiche e sociali noi scorgiamo un’espressione sempre
110 CAPITOLO QUINTO

più patente di quella morale : il movimento democratico va assu¬


mendo l’eredità del movimento cristiano. Ha che il tempo sembri
troppo lento e noioso agli impazienti, agli esseri morbosi, avidi, lo
dimostrano gli ululati sempre più furibondi, il digrignare di denti
sempre più sfacciato dei cani anarchici, che scorazzano per le \ie
della civiltà europea : in contraddizione apparente coi democratici,
che predicano paco c lavoro, cogli ideologi della rivoluzione,coi goffi
filosofastri sentimentali della fratellanza universale clic si appellano
socialisti e vogliono la <: società libera a, in realtà però di completo
accordo con loro nell’odio radicato od istintivo contro ogni altra
forma sociale che non sia il branco autonomo (sino nel volere
l'abolizione dei concetti < padrone o < servo -■ — ni Dira ni
maitre suona una forinola socialista); d’accordo nella opposizione
tenace contro ogni diritto, ogni privilegio del singolo individuo
(ciò clic iu fondo equivale ad un’opposizione contro qualsiasi di¬
ritto, giacché quando tutti fossero eguali, diverrebbero inutili
lutti i < diritti ») ; di completo accordo nella diffidenza contro
la giustizia puuitricc (come se rappresentasse una violentazione
del debole, un torto verso ciò clic ò una conseguenza necessaria
delle società precedenti) ; ma cosi pure di completo accordo nella
religione della compassione per tutto ciò che sente, vive, soffre (in
basso sino al bruto, in alto sino a « Dio» — l’esagerazione della
pietà di Dio appartiene ad un’opoca democratica); di com¬
pleto accordo nel grido di protesta, nclPimpazieuza della compas¬
sione, nell’odio mortalo per ogni sofferenza in generale, nell’inca¬
pacità quasi femminea di sopportare la vista di lina sofferenza o
di permettere che si soffra; d’accordo nell’involontario oscuramento
e uell’efferijinainento, pei quali all 'Europa sembra incomba mi¬
naccioso un nuovo Buddismo; d'accordo nella fede iu una morale
della compassione reciproca, conio se questa fosse la morale por
eccellenza, la sommità, il culmine raggiunto dall’uomo, l’unica
speranza dell’ avvenire, la consolazione del presento, la grande
redenzione dalle Colpe del passato : — d’accordo nella fede in una
comunità redentrice, nel branco, dunque in sò stessi.
PEK LA STOIUA NATURALE DELLA .MORALE 111

203.

Noi, elio abbiamo una fede diversa; noi, pei quali il movimento
democratico rappresenta non solamente una forma di decadenza
dell’organizzazione politica, ma benanco una forma di decadenza,
cioè di rimpicciofimento dell’ uomo, un mcdiocrizzamento, un
abbassamento del suo valore : verso dove dobbiamo diiizzaie
le nostre speranze V — Verso nuovi ^'ilosofi, non cè altin. scelta,
verso spiriti forti e sufficientemente indipendenti, tanto da poter
dare un’impulsione a giudizi di valore opposti, riformare, inveitile
i valori nienti : verso precursori, verso uomini dell avvenire, i
quali nel presente devono formare il nodo, che costringerà la
volontà dei milioni ad aprirci nrnvi sentieri; insegnare all’uomo
elio il suo avvenire è la... volontà, clic dalla volontà d mi uomo
dipendo il preparare grandi ardimenti e tentativi complessi d’al¬
levamento o di miglioramento per poter mettere un termine al¬
l’orribile dominazione del controsenso c del caso clic iiuoia si
chiamò la <■ storia ;> — il coutrosenso del « numero massimo »
non ne è clic 1 ultima forma - ; e per giungere a tutto ciò un
giorno si manifesterà il bisogno d’una nuova specie di filoso fi
c di governanti, in confronto dei quali tutto ciò clic finora ci tu
nel mondo di spiriti misteriosi, terribili ed umanitari, non saia
clic una pallida c intristita imagiue. La visiono di simili condot¬
tieri splende dinanzi ai nostri occhi: — posso dirlo francamente
a voi, spiriti liberi?
Le circostanze che bisognerebbe in parte creare, ni parte sfrut¬
tare perchè essi possano sorgere : le vie c le provo presumibili,
mercè le quali un'anima possa elevarsi ad una tale altezza, ad una
tale potenza da poter sentire il bisogno d’uu simile compito : un
rimpasto dei valori, sotto la cui nuova pressione la coscienza si
ritemprerebbe, il cuore si murerebbe in bronzo, per poter sop¬
portare il poso d’una simile responsabilità; e d’altra parte la
necessità di simili condottieri, il terribile pericolo clic possano
mancarci, oppure abortire o degenerare - ecco la nostra prin¬
cipale preoccupazione, ecco quello elio ci conturba — lo sapete, o
112 CAPITOLO QUINTO

voi spiriti liberi? Sono questi i gravi pensieri, le tempeste che


attraversano il cielo della nostra esistenza. Pochi dolori uguagliano
quello d'aver veduto, indovinato, presentito talvolta un uomo stra¬
ordinario deviare dal suo cammino e degenerare: ma chi ha, cosa
ben rara, gli ocelli aperti al pericolo comune clic l’uomo » stesso
degeneri : ehi, al par di noi, ha riconosciuto la mostruosa casualità
elio sinora ha deciso dell’avvenire dell’uomo — noi quale non hi
mano, ma noumeno un dito di Dio s’è giammai immischiato! — chi
ha compresa la fatalità elicsi celti nell’ingenuità infantile, nell'esu¬
beranza di fiducia dello c ulne moderne ma più ancora in tutta
la morale cristiano-europea : colui proverà un'inotfabilo stretta al
cuore. —- abbraccierà d’uno sguardo ciò che si potrebbe [ore del-
I nomo coi mezzo d’un favorevole accumulamento, d'un aumento
di forze c di compiti; egli si dirà, con tutta la convinzione della sua
coscienza, come I uomo siti molto lontano dall’esser esaurito per
le maggiori eventualità, corno già altre volte il tipo uomo si sia tro¬
vato di fronte a nuove decisioni, a nuovi sentieri: — sapendo molto
bene por propria dolorosa rimembranza, contro quali ridicoli scogli
tanti esseri, destinati alle supreme cose dal loro nascere, naufra¬
garono. si spezzarono, sprofondarono, intristirono.
La degenera rione complessiva dell’uomo verso ciò, che agli
imbecilli socialisti eri alle zucche vuote si presenta come 1’ « uomo
dell awenire •> come il loro idealo ! — questa degenerazione,
questo rimpicciolimento dell'uomo sino a renderlo un uomo da
gì egge pei tetto (ovvero, come dicono, l’uomo della c società li¬
bera „), un abbrutimento dell’uomo sotto il livello degli uguali
diritti e doveri è possibile. non v’ha dubbio ! Chi ha meditato
sino alla fine su questa possibilità, ha imparato a conoscere una
nuova specie di nausea — o forse audio un nuovo rompilo!
Capitolo Sesto

Noi dotti.

Nietzsche — .
,Vt di (à del bene e del malo — 8.
204.

A l iscino clic il moralizzare si dimostri anche qui por quello ch’ò


sempre stato — vaio a dire un coraggioso « montrer scs plaies >
come dice Bah ac — vorrei osare d’oppormi ad uno spostamento
di rango indebito o dannoso, che inavvertitamente ed apparen¬
temente in buona coscienza, minaccia oggidì di manifestarsi tra
la scienza o la filosofia. Io sono d’avviso che per propria espe¬
rienza — c a me pare elio esperienza significhi sempre cat¬
tiva esperienza — si debba avere il diritto di poter permettersi
una parola in merito ad una quistione similmente elevata come
quella del rango: ondo non dover parlare, conio i ciechi del colore,
o allo stesso modo dello donne c degli artisti, contro la scienza
(ali ! quella cattivacela di scienza, gemono nel loro istinto o nel loro
pudore, essa riesce a scoprire ciò clic si nasconde in ogni cosa).
La dichiarazione d’indipendenza dell’uomo scientifico, la sua
emancipazione dalla filosofia, è uno degli effetti ulteriori piu deli¬
cati della democrazia : l’esaltazione di sè stesso e la presunzione nel
dotto oggi sono in fiore c festeggiano la loro più bella primavera.
— Giù i padroni ! — così lo richiede anche qui l’istinto plebeo-,
o dopo che Inscienza ha saputo difendersi col miglior successo
dalla teologia, della quale troppo a lungo ora stata la < serva >, ora
nella sua baldanza ed irragioncvolezza vorrebbe dettar legge a a
filosofia, e far anche lei da padrona, ma che dico mai — (la fi °“
so fessa. La mia memoria - la memoria d’un uomo scientifico,
con licenza parlando - pullula d’ingenuità dell’orgoglio, che ho

udito esprimere da giovani naturalisti c da vecchi medici a pio-


CAPITOLO SESTO
116

posito della filosofìa e dei filosofi (senza parlare dei piu dotti e
più presuntuosi tra i dotti, i filologi ed i pedagoghi, clic per la
loro professione sono obbligati ad esserlo). Talvolta c era lo spe¬
cialista che si metteva in guardia contro tutti i compiti e le facoltà
sintetiche; tal altra il lavoratore diligente elio aveva fiutato un
odoro dottimi e d’aristocratico viver molle nell’economia, delFani ni a
filosofica e che con ciò riteneva pregiudicato c rimpicciolito se
stesso. Talvolta c’era il daltonismo dell’utilitario, clic null’ultro
scorge nella filosofia senonchè una serie di sistemi confutati ed
uno spreco, che non va a « beneficio » di nessuno. Talora s.
rivelava la paura d’una mistica mascherata o d’ima correzione
dei confini della conoscenza; tal altra volta la disistima por alcuni
filosofi, che poi degenerò in disistima della filosofia stessa. .Ma
più di spesso riscontrai nei giovani dotti, sotto 1 altezzoso dispiezzo
della filosofia, l’effetto deleterio dell’opera d’uu qualche singolo filo¬
sofo, al quale si aveva bensì ricusato l’obbedienza,senza però eman¬
ciparsi dal disprezzo ch’egli aveva saputo ispirare verso gii altri
filosofi, — o da ciò risultava una specie d’aborrimento della filo¬
sofia in generale. (Tale mi sembra essere l’effetto ultimo dello
Schopenhauer nella Germania moderna : — grazio alla sua inin¬
telligente esasperazione contro Hegel, egli è giunto a tagliar tuoii
la più recente generazione tedesca da ogni nesso colla coltura
germanica, la quale coltura, a giudicar bene, rappresenta l’apice
d’un affinamento divinatorio del senso storico, ma Schopcuhauc/
in questo riguardo era povero, insensibile, antitedesco sino alla
genialità). Generalmente prendendo le coso così all’ingrosso, può
darsi che l’umano, il troppo umano, in breve la miseria dei filo¬
sofi moderni abbiano contribuito più d’ ogni altra cosa a sce¬
mare il rispetto per la filosofia c spalancato lo porte agli istinti
plebei. Si abbia il coraggio di confessare a sò stessi, sino a qual
punto il nòstro mondo moderno si risenta della mancanza di
filosofi quali Eraclito, Platone, Empedocle o comunque abbiano
avuto nome quei sublimi solitari del pensiero; o quanto a buon
dritto di fronte a certi rappresentanti della filosofia, dio oggidì
sono di moda — in Germania per esempio i due lions di Ber¬
lino, l’anarchico Eugenio Duhring e l’amalgamista Edoardo
NOI DOTTI 117

<VHartmann — un valentuomo dedito alla scienza si possa sen¬


tire migliore. Particolarmente la vista di quei filosofi confusionisti
che si nomano filosofi realisti o c positivisti > è in grado di gene¬
rare una diffidenza pericolosa nell’anima d’un giovane dotto ambi¬
zioso: dappoiché ancor essi nello migliori ipotesi non sono che
scienziati e specialisti, è facile il convincersene! — Sono dei vinti,
che forxatnincntc ritornano sotto la signoria della scienza, perché
hanno chiesto a sò sfossi qualche cosa di più, senza aver diritto
a quel < di più :> nè alla responsabilità ch’esso involveva — c i
quali poi, onestamente, ma pieni di collera o di sete di vendetta,
rappresentano colle parole e coi latti 1 incredulità nei compiti
padronali e nel diritto di predominio della filosofia. Infatti, conio
potrebbe esser diversamente! La scienza oggi è in fioro e dimostra
sinceramente in viso la buona fede da cui o animata, mcntic
quella cosa, che rappresenta il gradualo avvilimento della filo¬ )d '■: ",

sofia, quell’avanzo di filosofia che oggidì ci rimane, non possono


elio generare sfiducia c malumore, so non muovere a schei no od a
compassione. K do soli a ridotta alla < teoria della cmiqscen/a •>, ma
di fatto nient’altro elio una timida cpochistica, una dottrina del¬
l’astinenza: una filosofia clic non sa varcare la soglia c che
meticolosamente ricusa a sò stessa il diritto d’entrare — ma
questa ò una filosofia agonizzante, qualche cosa che muove a ^
pietà! E come mai una simile filosofia potrebbe — dominare! H-e- >- m.v»

——y-Xc,
p-v
205.

I pericoli clic la formazione e lo sviluppojlel fijosfl£o_cidierno


devono sfidare sono tanto molteplici da dover dubitare, se un
simile frutto possa giungere a maturazione. La scienza abbraccia
una cerchia mostruosamente vasta e con ciò ò cresciuta anche
la probabilità, che il filosofo si stanchi sin dai primordi del suo
studio e s’indugi a c specializzare » in qualche parte: di modo che
non possa arrivare all’altezza agognata, elicgli permetterà di guar¬
dare al disopra, al disotto cd intorno a sè. Oppure che ci arrivi
troppo tardi, quando avrà già sprecato il suo miglior tempo, le sue
J^g capitolo sesto

foKo migliori, o vi ci arrivi avariato, arrozzito, degeneralo, di


modo che il suo giudizio complessivo dei valori non aviti che una
importanza mediocre. Appunto la finezza della sua coscienza intel¬
lettuale lo rende titubante e lo fa indugiare per via: egli temo
le seduzioni del dilettantismo, clic si prova in tutto lo cose, egli
sa troppo beue che chi ha perduto la considerazione di sò stesso,
auclie arrivando alla conoscenza più non può comandare, non
più guidare: tutfal più dovrebbe rassegnarsi ad esser un gran
commediante, una specie di Cagliostro, un accalappiatore degli
spiriti, in breve mi seduttore. In ultima analisi ciò ù una
questione di gusto: quandanco non fosse una questiono di co¬
scienza.
Ad aumentare del doppio le difficolta del filosofo s aggiungo,
clic questi chiede a sò stesso un giudizio, un sì od un no, non
eià sulla scienza, ma bensì sulla vita c sul valore della vita,
c che mal volontieri egli impara a credere d’avere un diritto,
anzi un dovere ad un tale giudizio c di dover tentare attra¬
verso gii avvenimenti più complicati — forse i più perturbanti e
desùmenti — molto spesso esitante, dubbioso, ammutolito, la
via clic lo conduce a quel diritto, a quel dovere. Hi fatti il
volgo s’è ingannato a lungo sul conto del filosofo, l’ha miscono¬
sciuto, scambiandolo sia coll’uomo di scienza c col dotto idea¬
lista, sia col sentimentalista, che vive fuori dei sensi e del mondo,
inebbriato dalla divinità: c se oggidì si sente lodare taluno
perchè vive c saviamente » e da « filosofo •> ciò vuole significare
unicamente, clic vive < prudentemente ritirato ».
La saggezza, nell’idea del volgo ò ima specie di fuga, ini mezzo,
un artificio per cavarsela a buon mercato dall’imbarazzo ; ma il
vero filosofo — così almeno sembra a noi, amici miei ? — vive
<• antifìlosoficaniente » < contrariamente alla saggezza », ed anzi¬
tutto imprudentemente e sente il peso ed il dovere di innume¬
revoli tentativi e tentazioni della vita : — egli arrischia sò stesso
costantemente, giuoca il bruito gioco per eccellenza.
>'0I DOTTI 119

206.

.Di fronte ad un uomo di genio, vaio a dire d' un essere il


quale crea o feconda, ambedue questo espressioni prese nel loio
senso più lato, — il dotto, la media degli uomini di scienza
hanno in sè sempre alcunché della vecchia zitella: giacché al pari
di questa essi non hanno nessuna idea dei due più preziosi offici
dell’uomo. Di fatti, ad ambidue, tanto ai dotti elio alle vecchie
zitelle, si riconosce quasi a guisa di compensazione la rispettabi-
litù — ed in tali casi anzi la si sottolinea — provando un coito
dispetto persino nel sentirsi obbligati a lare una tal concessione.
Guardiamo più dappresso, che cosa è l’uomo rii scienza ? Anzi¬
tutto una specie d’uomo non aristocratica, provvisto dello virtù
d’ima specie d’uomini non aristocratica, vale a dire non domi¬
nante, non esercitante l’autorità, e nemmeno bastante a sò stessa :
egli possiede la laboriosità, la pazienza di classificare ed ordi¬
nare le cose, il senso della regolarità e della misura nelle sue
facoltà c noi suoi bisogni, l’istinto proprio ai suoi pari dei bi¬
sogni che hanno i suoi pari, ad esempio di quel tanto di indi-
pendenza, di quel tanto di verde pascolo, senza il (piale un lavoro
tranquillo riesco impossibile, il’una corta pretesa d’esser ono¬
rato o riconosciuto nei propri meriti (ciò che presuppone anzi¬
tutto un riconoscimento ed una riconoscenza), dell aureola d una
buona fama, d’uu costante risuggellamento del proprio valore,
della propria utilità, onde poter domare l’interna sfiducia,
ingenita a tutti gli uomini dipendenti ed aggregati. Il dotto
possiede anche, coni’ è ben naturale, le morbosità ed i difetti
d’una specie non aristocratica: abbonda di bassa invidia, c pos¬
siede un occhio di lince per i più lievi difetti delle naturo su¬
periori. Egli si mostra famigliare, ma come chi si dà volontaria¬
mente e non si lascia trascinare dalla corrente ; e precisamente
di fronte all’uomo della grande corrente egli rimane freddo e
racchiuso in sò stesso, - il suo occhio rassomiglia allora ad un
lago liscio, antipatico, la cui onda non si increspa a nessun entu¬
siasmo^ nessunasimpatia.Ma le cose peggiori c più pericolose delle
CAPITOLO SESTO
120

quali è capace un dotto gli provengono dall’istinto della medio¬


crità della propria specie; da quel gesuitismo della mediocrità
che inconsciamente lavora alla demolizione dell’uomo non ordi¬
nario e tende a spezzare ogni arco teso o meglio ancora ad allen¬
tarne la tensione. Tutto ciò, intendiamoci, coi dovuti riguardi,
delicatamente: ecco la vera arte del gesuitismo, che ha saputo
sempre farsi gabellare per la religione della compassione.

207.

Per quanto grande possa essere la gratitudine clic si devo


provare per lo spirito oggettivo -- e chi mai non avrebbe avuto
occasiono di sentirsi almeno una volta stanco del soggettivo in
generale c della sua maledetta insissìmosUà — bisogna nomli-
meno andare cauti anche colla propria gratitudine e guardai si
Ì& dall’esagerazione, che nella rinunzia all’indipendenza od alla perso¬
nalità dello spirito scorge uno scopo in sé, una redenzione ed ima
trasfigurazione : come ciò avviene principalmente nella scuola
pessimistica, la quale del resto ha i suoi buoni motivi por decretale
i massimi onori alla « conoscenza disinteressata . L uomo og¬
gettivo, che non bestemmia ed ingiuria, come il pessimista, il
dotto « ideale * in cui T istinto scientifico dopo innumerevoli
tentativi andati a male riesce a farsi strada ed a svilupparsi,
sono per certo tra gli strumenti più preziosi che possano darsi :
ma hanno bisogno d’essere maneggiati da un braccio più potente.
Essi non sono che uno strumento, anzi imo specchio — non già
scopo a sè stessi. L’uomo oggettivo ò dilatti uno specchio:
abituato a prostrarsi dinanzi a tutto ciò che domanda d’essere
conosciuto, senza sentire altre soddisfazioni, alTinfaor di quelle
che concede il conoscere, il « rispecchiare » — egli attende
sempre che qualche cosa sopravvenga ed allora si distende deli¬
catamente ili tutta la sua larghezza, affinché anche le traccie di
passi leggeri, le orme dei fantasmi s’imprimano sulla sua super¬
ficie e nella sua epidermide.
Ciò che ancor gli rimane della « persona » gli sembra essere
qualche cosa di casuale, molto volte d’arbitrario, ancor più so-
NOI l'OTTI 121

vonte (l’importuno ; talmente 0 divenuto a sò stesso un oggetto


attraverso il quale passano, in cui si riflettono imagini e avve¬
nimenti a lui estranei. Egli dura fatica ad aver’la coscienza di
sò stesso, o talvolta l’ha in un modo falso: egli scambia facil¬
mente sè stesso con un altro, misconosce i propri bisogni, c
soltanto in ciò ò indelicato c trascurato. Forse lo tormentano la
saluto, lo piccolo miserie della vita, l’aria pesante elio divide
con la moglie, con l’amico, oppure la mancanza di compagni,
della società, — ma sì, per quanto si sforza di pensare allo suo
miserie, tutto è invano ! Digià il suo pensiero è volato lontano, a
generalizzare il caso, e domani saprà ancor meno di oggi, quale
medicina gli faccia bisogno. Por sò stesso egli ha perduto la sua
serietà, anche il tempo -, egli ò lieto, non già perchè non abbia
delle pene, bensì perchè gli mancano le dita per toccarle. La
consueta condiscendenza, la ospitalità serena’ed aperta, con cui •
accoglie ogni avvenimento, la sua benevolenza senza limiti, la
sua pericolosa noncuranza del sì o del no : oli, in molti casi
egli dove pagar ben care questo sue virtù! - o poi come
uomo specialmente egli diventa facilmente il < caput mortami >
di cotali virtù. So gli si domanda amore ed odio, vale a dire
amore ed odio, come l’intendono Dio, la donna ed il bruto - :
ecrii farà quello che può, o darà quanto può. Ma non bisogna
fm- le meraviglie, se non può dar molto - so precisamente
cui edi s’addimostra un essere falso, fragile, equivoco, c roso
dal tarlo. Il suo amore ò voluto, il suo odio artificiale, e piu -
tosto un « tour de force > da uomo vanitoso, un esagera¬
zione. Egli non è sincero, che quando ed in quanto può essere
oggettivo : soltanto nel suo sereno , totalis.no , egli o on¬
ci « natura » e « naturale >. La sua anima «specchiante
e sempre liscia non sa più affermare, non sa piu negare : egli
non comanda e nemmeno distrugge. « Je >>r m*PriseJ"^t°
ricn , - dice col Lcibnitz: si faccia attenzione al * P^que. >•
BHi non è neppure un uomo modello : non precorro nessuno
nessuno sene : egli si colloca a una distanza troppo grande, pei
r n-eX le parti del bone o del male. Se per tanto empo
lo si è scambiato col filosofo, coll’imperioso domatole, con 1 uomo
CAPITOLO SESTO
122

strapotente della civiltà : ebbene, gli si è reso troppo onore e


non si è veduto l’essenziale in lui, — egli ù uno strumento,
una specie di schiavo, sia pure d’una schiavitù dello più sublimi,
ma nulla per sò stesso — presque rim !
L’uomo oggettivo è uno strumento, uno strumento da misu¬
rare prezioso, che si guasta facilmente, uno specchio artistico che
facilmente s’intorbidisce, che bisogna maneggiare con cura, elio
si deve tener in onore : ma non è uno scopo, un punto di partenza, •
di salita, non è un uomo complementare, in cui il resto dell esi¬
stenza si giustifica, non è una conclusione - c meno ancora
un principio, una generazione, una causa prima, qualche cosa di
primitivamente massiccio, solido, che stia da per sò, che \oglia
dominare ; ma piuttosto un vaso da forma plasmato con gran arte,
delicato, mobile, in attesa d’un contenuto e d’un valore por con¬
formarsi a questi : — ordinariamente un uomo senza valore o
senza contenuto, un uomo « altruistico ». Hi conseguenza, anche
poco gradito alle donne, in paventimi.

208.
Lo Jtr.tii co
oo-^idi
CO
un filosofo vuole far credere di non essere uno scettico,
# t

spero che lo si sarà indovinato dalla precedente definizione


dello spirito oggettivo? — una tale confessione desterà un mal
umore generale5 lo si guarderà in tal caso con un corto tintole
dubbioso, gli si vorrebbe domandare tanto coso, ma tante.anzi,
dai più Umidi, da coloro che tendono l’orecchio, o co no sono molti,
ma molti, Io si proclamerà un essere pericoloso. A loro sembra,
udendolo rinnegare lo scetticismo, quasi di sentire da lontano un
rumore minaccioso, conto se si stesse tacendo degli esperimenti con
qualche nuova sostanza esplosiva, con qualche dinamite spirituale,
qualche « nicìiiluia■*_russa, di recente scoperta, d’intravvedero un
pessimismo-* bonae voluntatis >, il quale non. soltanto dice di no,
vuole il no, ma, orribile a pensarci, opera il no. Contro codesta
specie di « buona volontà » - della volontà della riiinegnzioue
reale, effettiva della vita — non v’ha miglior antidoto, miglior
calmante dello scetticismo, del dolco scetticismo che addormenta;
NOI DOTTI 123

o persino Amido è prescritto dai medici contemporanei contro


lo « spirito » ed il suo sotterraneo rumoreggiare.
Non abbiamo già pieni gli orecchi di pericolosi rumori d’ogm
fatta? » dice lo scettico, nel suo amore per la quiete, come un
poliziotto che deve invigilare sulla pubblica sicurezza, * codesto no
sotterraneo è terribile. Fate silenzio una buona volta, o voi talpe
di sotterra ! a Gli òche lo scettico, quest’essere delicato, prende
paura troppo facilmente; la sua coscienza ò allenata a sussultare
ad ogni no ed anche persino ad un sì troppo reciso, c ne risente
una specie di morso. Si e no ! - ma ciò a suo vedere va contro la
morale: egli ama invece far festa alla sua virtù con una nobile
astensione, per esempio dicendo col Montanine: « che ne so io ! »
oppure con Socrate; « io so rii non saper nulla oppure: « qui
■non mi d fido, perche non redo alcuna porta aperta » e.
«supposto che fosse aperta, perche entrare subito? » Oppure: «a
cosa giovano tulle le ipotesi precipitate? L'astenersi rial fare ride
ipotesi in generale, potrebbe essere indizio rii buongusto. Siete
forse, obbligali a raddrizzare ciò che è curro? A turare ogni
buco con uno stoppaccio gualsisiu? Non c’c tempo per ciò. Eri
il tempo non ha tempo? Ma siete indiavolali, che non volete
aspettare? Anche Vincerlo ha le sue attrattive, anche la Sfinge
è una Circe, anche Circe era una filosofessa ? •
Queste sono le consolazioni dello scettico: c bisogna concedere
che no ha proprio bisogno. Lo scetticismo è l’espressione a piu
spirituale por un corto stato fisiologico complicato, che m lingua
povera si noma debolezza di nervi e morbosità : la quotem» ™ '
infesta ogni qualvolta dello va» o dello class, »!- ' -
tra Imo s1iwtow.no in modo decisivo e «pontino. Noli,, nuova
generazione, che ha ereditato, por cosi dira, direni, ™'S“
valori nel sangue, tutto 0 inquietudine, turbamen e, dubbio te
tativo; lo migliori forze agiscono in senso
stesse non permettono reciprocamente d acciescei» ,
al corpo ed all’anima mancano l’equilibrio, In fora >1 ”lau l >
sicurezza perpendicolare. Macie che in tali nati da razze ,n . -
cinte 6 piti d’ogni altra coso, ammalata e degenerata, si o
nienti-, I loro ò affatto ignota la indipendenza che sta nella
|.->4 CAPITOLO SESTO

risoluzione, la sensazione valorosa, la soddisfazione del volere,


_ dubitano del «libero arbitrio, persino sognando. La nostra
Europa odierna, teatro d'un tentativo insensatamente repentino
di mescolamento radicale di classi, e conscguentemente di razze, e
perciò scettica in alto c in basso, di quello scetticismo mobile
talora, clic salta impaziente ed avido di ramo in rumo, tal
altra tetro come una nube pregna di punti interi ogaii \ i.
bene spesso mortalmente sazio del proprio volere ! Paralisi della
volontà: dove mai non si ritrova oggidì codesto essere rachitico!
E talvolta in quale abbigliamento di lusso per giunta! h in «pialo
abbigliamento seducente! Codesta malattia indossa lo più son¬
tuoso vesti della menzogna, e così, ad esempio, tutto ciò die
oggidì fa pompa di sò col nomo d’ oggettività » «li « filosofia
scientifica s, di Vari polir Cari », di « riconoscere puro e indi-
pendente dalla volontà , altro non ò elio scetticismo, clic paralisi
della volontà acconciati pomposamente, — di questa diagnosi della
malattia europea me ne laccio garante io. — lui malattia della
volontà ò diffusa in modo disuguale in Europa : si manifesta
maggiormente c sotto molteplici aspetti, dove la civiltà è più
antica, c perde di forza nella misura elio il barbaro la valere
ancora — o nuovamente - i suoi diritti sotto le vesti sciupale
della coltura occidentale.
Perciò nella Francia odierna la volontà, conio è facile accor¬
gersene e toccaro con mano, è maggiormente ammalata; e la
Francia, clic fu sempre maestra nell’abilità di render seducenti
ed attraenti anche i mutamenti più fatali del suo spirito, dimostra
oggi propriamente, quale vera scuola, (pialo esposizione di lutti
gli incanti dello scetticismo, tutta la sua superiorità di coltura
in Europa. La forza del volere, e di volere a lungo, ò già più
accentuata in Germina ed al nord di più che al centro; con¬
siderevolmente maggiore in Inghilterra, nella Spagna, in Comica,
lassù, condizionata dalla flemma, laggiù dalle teste quadre dei
suoi abitanti - senza parlare dell’iWia la quale è ancor troppo
«riovane, poiché possa ancor sapere quello che vuole, e deve
ancor dimostrare se sappia volere - ma maggiormente e pm
meravigliosamente è sviluppata in quell’ impero di mezzo, dove
XOI DOTTI 125

1* Europa si congiungo all’aia, vale a dire in Russia. Cola


la forza del volere fu a lungo rattenuta ed accumulata, colà la
volontà sta in attesa — incerta ancora se sarà una volontà
negativa od affermativa - in attesa minacciosa di potersi sca¬
ricare, per adoperare un vocabolo prediletto dai fisici moderni.
Non ci sarà soltanto bisogno di guerre e di complicazioni nello
Indie, perchè l’Europa sia liberata dal più grande pencolo clic
le incomba, bensì di rivoluzioni interne, d’un disaggregamento
dell’impero in tante piccole parti ed anzitutto dell introduzione
dell’assurdità parlamentare, coll’obbligo generale per giunta di
leggere a colazione la propria gazzetta. Io dico ciò non come
persona che lo desideri; anzi il contrario andrebbe più a se¬
conda del mio intimo desiderio, - vale a diro un tale crescendo
nel minacciare della Russia, che l'Europa si dovesse risolvere
a farsi ancor dessa egualmente minacciosa, cioè ad unirsi m
una volontà unica col mezzo d’una nuova casta dominante nel¬
l’Europa, in una volontà durevole, terribile, speciale, la finale
per millenni potesse prefiggersi una meta. — acciocché *
mente la comedia, troppo a lungo durata, della sua divisione
in statorelli, della pluralità di volontà dinastiche c democratiche
possano una buona volta cessare. Il tempo della politica piccina
è passato; di già il prossimo secolo ci prometto la lotta pel < o-
minio del mondo, - la necessità di fare la politica grande.

209.

Sino n qual punto la nuova epoca bellicosa, nella quale^ evWeu-


ìiuente siamo entrati noi Europei, possa e=sel0 oi» ■
Ilo sviluppo d’una nuova specie di scetticismo put robusto.
Li pecora esprimermi Co col me» d’una -
ara comprensibile a ciò s’b dittai» di stona re*«.M '
!i Pnis,i„, ardente entusiasta dei bei granatieri dalla hgma alta
, IT il quale diede la vili, ad un genio miliumo o «ett.ee -
■d in tondo anello al nuovo tipo, or vittoriosamente ntlemalos, de
edesco, - il padre discutibile c mallo del grande l-itoneo, 1»»-
126 CAPITOLO SESTO

sedeva aucor egli la zampa ed il tatto fortunato del genio : egli


sapeva di che cosa abbisognasse allora la Germania, più urgen¬
temente, ad esempio, che d’una coltura o di forme, sociali —
la sua antipatia pel giovane Federico proveniva dall’ angoscia
d’nu istinto molto profondo. Mancavano gli uomini : ed egli
con suo amaro dispetto sospettava che suo figlio aucov lui non
fosse sufficientemente uomo. In ciò s’ingannava : ma chi al
posto suo nou si sarebbe ingannato ? Egli vide suo figlio cadere
in balìa dell’ateismo, dell’ c esprit •>, della vita tutta sensuale
dei francesi di spirito : — egli intravvedeva nel fondo il grande
vampiro scetticismo, egli presagiva il tormonto incurabile d’nu
cuore incapace a resistere al male ed anche al bone, d’nna vo¬
lontà spezzata clic più non comanda, più non sa comandare.
ITa frattanto in .suo figlio si radicava una nuova specie di scet¬
ticismo, più pericoloso e più tenace — forse fomentato dall’odio
paterno e dalla melanconia glaciale d’ima volontà formatasi nella
solitudine, — lo scetticismo dell’audace virilità, che è il più affino
al genio della guerra o della conquista c che sotto le spoglie del
grande Federico fece in Germania il suo primo ingresso.
Un tale scetticismo disprczza eppure attira a so ; scava c
allarga il suo possesso ; non erede, ma con ciò non perdo sé
stesso ; concede allo spirito una libertà pericolosa, ma tiene a
duro freno il cuore ; ò quosta la forma tedesca dello scetti¬
cismo, la quale come un fredorioinuismo continuato e spiritual¬
mente potenziato, ha tenuto una buona pezza VEuropa- sotto¬
messa allo spirito germanico ed alla sua diffidenza critica e
storica.
Grazio al carattere indomabilmente forte o tenace dei grandi
filologi tedeschi e dei critici storici (i quali, a guardarli bone,
furono in complesso artisti della demolizione e della, dccompo-
siziono) s’afl’ermò un po’ per volta, malgrado l’indirizzo romantico
nella musica e nella filosofia, un nuovo concotto dello spirito
tedesco, nel quale spiccava risolutamente la propensione allo
scetticismo virile, sia, ad esempio, noll’impavidjtà dello sguardo,
sia nel coraggio, c nell’inflessibilità della mano che seziona,
sia nella Miaco volontà di intraprendere viaggi e scoperte pe-
NOI DOTTI 127
rigliose, spedizioni polari spiritualizzate, sotto cieli deserti e perico¬
losi. Ci dev’essere il suo buon motivo, se degli uomini tutti uma¬
nesimo, sanguinici e superficiali fanno il seguo della croce proprio
dinanzi ad uno spirito siffatto : « cct esprit fatai iste, ironique, ìhc-
phislophélique > lo chiama, non senza rabbrividire, il Michelet. Ma
se si vuol comprendere quanta distinzione ci sia in codesta paura
dell' uomo :■ secondo lo spirito tedesco, mercè il quale VEuropa
fu destata dal suo * letargo dogmatico ^ basta rappresentarsi alla
mente l’antico concetto che dovette esser vinto o superato, basta
ricordarsi che in un'opoca non molto lontana una virago nella sua
sfrenata presunzione osò raccomandare i tedeschi come altret¬
tanti esseri balordi, inoffensivi, bonari, privi di volontà c scniimcn-
tali, alle simpatie dall’Europa. Si intuisca infine profondamente
come si dove lo stupore di Napoleone quando ebbe occasione di
vedere il Goethe : ciò serve a spiegare l’idea che per tanti secoli
si aveva avuto dello « spirito tedesco . c Voi là un homme ! :>
— Ciò significava: «. ila costui è un uomo! Ed io m’attendevo
di vedere soltanto un tedesco ! »

210.

Supposto adunque clic neH’immagino dei filosofi delfiavvenire


un qualche tratto possa lasciar indovinare concessi debbano forse
essere scettici, nel senso da noi ultimamente accennato, con ciò
non si farobbo clic spiegare una parte del loro essere — e non già
loro stessi. Con il medesimo diritto si potrebbe chiamarli critici :
ed in ogni caso saranno dogli uomini clic sperimenteranno. Nel
nome, con cui osai battezzarli, ho sottolineato espressamente il
tentare c il diletto elio provano nel tentare : torso perchè essi,
critici^ per V anima e por il corpo', amano valersi degli esperi¬
menti in un senso nuovo, forse giù lato, forse più pericoloso i
Sono dessi forse costretti dalla brama di conoscere elio li tor¬
menta d’andar più lontano coi loro tentativi audaci o dolorosi, di
quanto Io comporti il gusto effeminato d un secolo democratico i
È fuor di dubbio elio quelli che stanno per venire non potranno
12S CAPITOLO SESTO

assolutameuto fare a meno di quelle qualità serie e profonde che


distinguono il critico dallo scettico, quali sarebbero la sicu¬
rezza nella misura dei valori, il maneggio couscicnte d’uu’unità
di metodo, il coraggio riflessivo, il sentimento d’essere soli, di
poter giustificarsi; sì, essi concederanno di provar diletto a dire,
di no, a smembrare, a possedere una tal quale crudeltà ragionante,
che sa maneggiare il coltello con sicurezza e delicatezza, anche
allorquando sanguina il cuore. Essi saranno più duri (e forse non
sempre soltanto contro sò stessi) di quanto certi umanitari po¬
trebbero desiderare, essi non accosteranno la verità, allo scopo
ch’essa lor « piaccia - c che gli « innalzi ■> o gli <: entusiasmi » :
— anzi saranno molto lontani dal credere che la verità riserbi
tanti gaudi. Essi Sorrideranno, quegli spiriti severi, quando uno
di loro dovesse dire: « Codesta idea.mi innalza; come mai
non potrebb’essero vera? * Oppure: « Quell’opera mi rapisce;
come mai- nou dovrebb’ essere bella ? » Oppin o : Quell’artista
mi esalta; come mai non dovrebb’essere grande?» — Porse
non si limiteranno ad un sorriso, ma sentiranno nausea d’un
simile sentimentalismo, di sentimenti talmente idealistici, fem¬
minini, ermafroditi, e chi potesse seguire il loro pensiero siuo
nelle latebre più intime del cuore vi troverebbe difficilmente
1 intenzione di riconciliare i « sentimenti cristiani » col « gusto
antico «, e tanto meno col c parlamentarismo moderno » (ciò
che, per quanto s’afierma, nel nostro secolo molto instabile nelle
suo ideo c per conseguenza molto proclive alla conciliazione, suc¬
cede persino a certi filosofi).
Disciplina critica c tutto ciò elio possa abituare ad un pensare
puro c rigoroso, i filosofi dell’avvenire non soltanto pretende¬
ranno da sò stessi ma anzi no-faranno pompa come d’un grande or¬
namento: — ma contuttociò non vorranno ancora esser chiamati
col nome di critici. Ai loro occhi sembra non piccola vergogna il
sentenziare, come si ama faro oggidì : « La filosofia in sò stessa
e critica o scienza della critica — e nient’altro! » Questo apprez¬
zamento trovi puro il plauso dei positivisti francesi e tedeschi (— o
potrebbe darsi che avrebbe trovato anche il gradimento del Kaut?
basta ricordare i titoli dello sue opero più importanti), i nostri nuovi
•\

NOI DOTTI 129


filosofi diranno cionondimeno : i criteri sono gli strumenti del
filosofo, ed appunto per essere strumenti, molto lontani dal-
l’esser filosofi essi stessi ! Anche il grande chinese di Konisberga
non era in fondo che un grande critico.

211.

Io persisto a chiedere elio si finisca una buona volta di confon¬


dere sempre gli operai filosofici cd in generale gli uomini della
scienza coi filosofi — e clic ad ognuno sia dato rigorosamente
ciò che gli appartiene, nò più nò mono. Può darsi che per l’edu¬
cazione del vero filosofo sia necessario clic egli percorra tutti i
gradi, nei quali i suoi servi, gli operai-scienziati della filosofia
si sono arrestati — furono obbligati ad arrestarsi; forse egli
stesso dev’essere stato c critico-e scettico_c doginatico-C—storico,
e per giunta poeta e raccoglitore e viaggiatore o indovinatore di
sciarade c moralista o veggente c c spirito libero . , tutto insomma
per poter percorrere la cerchia dei valori umani, dei sentimenti
di valore c poter spaziare uno sguardo di molteplici occhi e di
molteplici coscienze dalle più eccelso sommità negli abissi, dalle
bassure verso l’alto, ila tutto ciò non ò che una condizione pre¬
liminare del suo compito; il compito stesso esige ben altra cosa
— la creazione di valori.
Quegli operai della filosofia secondo il nobile modello di Kant
c d’llcgcl hanno per compito di stabilire l’esistenza di fatto di
certi apprezzamenti di valori — vale a dire di antiche suppo¬
sizioni c creazioni di valori, clic col tempo divennero dominanti,
di costringerli in date formolo, sia nel regno della Ionica, sia della
•politica (o morale) o dcll’w/c. A codesti investigatori spetta il
compito di render chiari, intelligibili, palpabili tutti gli avveni¬
menti, tutti gli apprezzamenti verificatisi sino ad ora, d’abbre¬
viare tutto ciò che è lungo, persino il « icn/po c di rendersi as¬
soluti padroni del passato; un compito immenso ed ammirabile,
nel quale ogni orgoglio delicato, ogni volontà tenace possono
trovar soddisfazione. .1 fa i ceri filosofi, sono dominatori c legis¬
latori: essi dicono «così dev’essere •>, essi prestabiliscono l’in-
r*iiKTZscuc — A( di là del bene c del male. — 9,
^30 CAPITOLO SKSTO

dirizzo e la meta dell’uomo e nel far ciò usufruiscono del lavoro


preparatorio di tutti gli operai della filosofia, di tutti 1 domina¬
tori del passato. — Essi spingono neH’avvenire la mano creatrice,
e tutto ciò clic è e che fu, diviene per loro un mezzo, uno stru¬
mento, un martello. Il loro « conoscere » equivale a creare, il loro
creare ad una legislazione, il loro volere la verità al \oleie il
dominio. - Esistono oggidì simili filosofi? Cc ne furono? Non
è forse necessario che ci siano di tali filosofi ?

212.

Quasi sempre più inclino a credere che il filosofo, 1 uomo


necessario dell’indomani e del posdomani, si sia sempre trovato
ed abbia dovuto trovarsi in contraddizione coll’oggi; il suo nemico
fu sempre l’ideale dell’oggi. Sinora tutti codesti favoreggiatori
dell’uomo, che nomatisi filosofi, — i quali per sè stessi raramente
ebbero il sentimento d’essere gli amici della sapienza, ma piut¬
tosto dei pazzi molesti e dei punti interrogativi pericolosi — hanno
trovato il loro compito duro, non voluto, ingrato, impreteribile,
ma del • quale riconobbero la grandezza nel rappresentare la
cattiva coscienza dei tempi in cui vissero. Coll applicare il coltello
del vivisettore al petto delle virtù dell’epoca essi lasciarono tra¬
pelare il proprio segreto; quello cioè di conoscere una nuova gran¬
dezza dell’uomo, di cercare una via nuova inesplorata pei rag¬
giungere una tale grandezza. Tutte lo volte essi smnscliciaiono
l'ipocrisia, la comodità, il lasciarsi andare, il lasciarsi cadere,
insomma tutta la menzogna che si celava nel tipo maggior¬
mente rispettato della morale della loro epoca, rivelarono al mondo
quanta virtù era sopravissuta a se stessa; tutte le volte essi
dissero: « noi dobbiamo riescile là, dove voi avete minore
dimestichezza ». Di fronte ad un mondo dalle « idée moderne »
che vorrebbe confinare ognuno in un angolo « speciale », un
filosofo, se oggidì potessero esistere dei filosofi, sarebbe costretto a
contrapporre la grandezza dell'uomo, il concetto della «grandezza »
per sè stesso in tutta la sua estensione, nella sua moltiplica,
nella sua integrità, nella pluralità; anzi egli determinerebbe il
XOI DOTTI 131
valore ed il rango a seconda di quanto uno può portare o pren¬
dere su eli sò, a seconda della tensione di cui è capace la sua
responsabilità.
Oggidì il gusto del giorno indebolisce ed assottiglia la volontà,
nulla è più moderno della debolezza della volontà; per cui nel¬
l’ideale del filosofo, nel concetto « grandezza » dovranno com¬
prendersi appunto la fortezza della volontà, la forza di resistenza,
la capacità di prendere delle durevoli risoluzioni: e ciò con ugual
diritto, come la dottrina e gli ideali opposti d’un’umanità savia¬
mente rinunziante, rassegnata, umile od altruistica erano adatti
ad un’epoca ch’era il contrario della nostra, ad un’epoca che
come il secolo decimososto soffriva sotto il pondo dell’energia
della volontà accumulata e dell’Irruenza selvaggia dei suoi sen¬
timenti egoistici. Ai tempi «li Socrate., tra gli uomini dall’istinto
fiaccato, tra i vecchi ateniesi conservatori, che si lasciavano andare
— <: verso la felicità - come dicevano, ma nel fatto unicamente ai
loro piaceri — ed avevano cionondimeno la bocca sempre piena di
.magnifiche espressioni, alle quali la loro vita non dava più alcun
diritto, forse Y ironia era necessaria alla grandezza dell’animo, era
forse necessaria quella sicurezza socratica c maligna del vecchio
medico o del plebeo, olio sezionavano senza pietà la carne propria,
convenni usi a tare della carne o del cuore degli aristocra¬
tici », con uno sguardo che diceva franciunenle c non infingetevi
dinanzi a me! — qui — noi siamo uguali! » All’opposto oggidì
in Europa, dove soltanto gli animali da gregge mietono gli onori,
c li distribuiscono, dove 1' uguaglianza dei diritti per poco non
si tramuta nell’uguaglianza dell’ingiustizia: intendo dire nel far
comune guerra a tutto ciò ch’ò raro, strano, privilegiato, al¬
l’uomo superiore, all’anima superiore, al dovere superiore, alla
responsabilità supcriore, all’impero della forza creatrice — oggidì
l’essere aristocratici, Tesser per se stessi e diversamente dagli
altri, l’essere soli e vivere per sé soli sono attributi della c gran¬
dezza » : od il filosofo lascierà intravedere il suo ideale quando
decreterà: « quegli sarà il più grande, che saprà esser il più
solitario, il più misterioso, il più diverso tra gli uomini, quegli
che si sarà collocato al di là del bene e del male, che sarà il
132 CAPITOLO SKSTO

dominatore delle proprie virtù, che sani straboccante di vo¬


lontà', ecco ciò che si dirà grondexxci'. 1 essei molteplice c in
pari tempo uno, l’accoppiare la massima estensione al contenuto
massimo ». E domandiamo un’altra volta: la grandezza ò oggidì
— possibile ?

213.

Che cosa sia un filosofo è difficile ad imparare, unicamente per¬


ciò clic non ò possibile insegnarlo: bisogna «saperlo », per espe¬
rienza, oppure bisogna esser tanto orgogliosi da non voler saperlo.
Ma il vezzo elio tutti hanno oggigiorno di parlar di coso delle
quali non hanno alcuna esperienza, ha di mira di preferenza il
filosofo e le cose filosofiche: — uu numero molto limitato di
persone ò in grado di conoscerle, c tutte le opinioni popolari su
tale proposito sono false.
Così ad esempio, quella coesistenza prettamente filosofica d’una
spiritualità impertinentemente audace, che va in tempo di
« presto », c d’una dialettica rigorosa e necessaria, che non
ammette alcun passo falso, ò affatto sconosciuta per esperienza
alla maggior parte dei pensatori e dei dotti, per cui non ò degno
di fede, se taluno di loro ne parla. Essi si raffigurano ogni cosa
necessaria come un bisogno, come un’argomentazione penosa,
alla quale si è costretti necessariamente, e lo stesso pensare
apparisce loro come qualcosa di lento, di stentato, di penoso e
bene spesso «degno del sudore degli uomini migliori», — ma
giammai come qualcosa di leggiero, divino o prossimamente affine
alla danza, agli entusiasmi giovanili! «Pensare» e prender una
cosa sul «serio», con « gravità », per costoro forma una cosa
sola; questo soltanto insegna loro l’esperienza. — Gli artisti in
questo riguardo hanno di già l'odorato più line: essi, che sanno
molto bene, che precisamente allorquando non sta più in loro «ar¬
bitrio » di. fare una cosa, bensì si sentono costretti a farla, i loro
sentimenti di libertà, di finezza, di pieni poteri, del predisporre,
disporre e tradurre in realtà le loro creazioni, raggiunge il massimo
grado dell’elevatezza, — in breve, che allora la necessità si con-
NOI DOTTI 133
foude in mia cosa sola col « libero arbitrio ~s. Esiste infino un
ordine per gradi degli stati dell’anima, al quale è conforme l’or¬
dine per gradi dei problemi; od i più alti problemi respingono
senza pietà chiunque osi avvicinarsi a loro senza essere prede¬
stinato, per l’elevatezza e la potenza della sua intellettualità, a
poterli risolvere. Che cosa giova, so taluni abili saecentoni buoni
a tutto o dei gotti meccanici ed empirici fanno ressa, nel loro
orgoglio plebeo come si di frequento accade oggidì, intorno a tali
problemi, come se si trovassero alla « corte delle corti ! * Ma su
tappeti simili non devono imprimersi le impronte di piedi gros¬
solani: a questo fu già provveduto dalla legge più primitiva delle
cose; per codesti sfacciati le porte restano chiuso, ed essi invano
cercano di sfondarle colla testa. Per ogni mondo elevato bisogna
esser nati: oper dirlo con maggior chiarezza, bisogna essere stati
allevati : un diritto alla filosofia — prendendo la parola nel senso
più ampio — non si ha che in grazia alla propria origine; gli
antenati, « il sangue decidono anche qui. .Molte generazioni
dovouo aver preparato 1 avvento del filosofo ; riuscitila dello suo
virtù dev’essere stata acquistata, coltivata, ereditata ed incor¬
porata, non soltanto il flusso leggiero e delicato dei suoi pen¬
sieri, ma benanco od anzitutto la sincera disposizione alle grandi
responsabilità, l’imperiosità degli sguardi, il sapersi separati dal
volgo, dai suoi doveri o dalle sue virtù, la protezione e la pronta
difesa di tutto ciò che è malo interpretato, ch’ò calunniato, sia
Dio o sia il diavolo, la soddisfazione e l’amministrazione della
grande giustizia, l’arte del comandare; la vastità della volontà,
l’occhio che guarda lento, che di rado ammira, di rado guarda
in sù, di rado ama.
Capitolo Settimo

Le nostre virtù
Le nostre virtù? — È probabile, che anche noi abbiamo le
nostre virtù, quandanco, come ili leggieri si comprende, non
fossero quelle virtù bonarie e primitive, clic ci tacevano tenero
in gran conto i nostri padri ma nello stesso tempo possibilmente
lontani da noi. Noi Europei del posdomani, primizie del secolo
ventesimo, — con la nostra pericolosa curiosità, con la nostra
moltiplicità, con la nostra arte del travestirsi, con la nostra cru¬
deltà touaco c per così diro raddolcita dello spirito dei sensi, -
se dobbiamo proprio possedere dello virtù, non no avremo che
di quello clic meglio potranno accordarsi con lo nostre inclina¬
zioni più segrete e più accarezzate, coi nostri più urgenti bisogni",
ebbene, andiamo a ricercarle nei nostri labirinti, nei quali,
come ben si sa, si smarriscono molte cose, e talune si perdono
interamente. Ed havvi forse alcunché di più bello del ricercare
le proprie virtù? Non equivale ciò forno ad aver fede nella
propria virtù ? Ma codesto aver fede non è fono l’equivalente
di ciò che una volta chinmavasi la buona coscienza, concetto
venerabile clic i nostri padri appiccicavano dietro il loro intel¬
letto, come il codino sulla nuca? Sembra quasi, che per quanto
poco noi crediamo seguire la moda antica o il modo di sentire
dei nostri nonni, in una cosa ne siamo i degni credi, noi ultimi
Europei dalla buona coscienza : noi portiamo ancora il loro codino.
— Ah ! se sapeste, quanto presto, — troppo presto — le cose
stanno per cangiare ! --
CAPITOLO SETTIMO
13$

21Ó.

Come nel regno degli astri due soli determinano talvolta il


cammino d’un pianeta, come in certi casi un pianeta e illumi¬
nato da soli di differente colore, ora di luce rossa, tal altra di
verde, tal altra dalle loro luci frammiste, nello stesso modo noi
uomini moderni, grazio alla meccanica complicata del nostro
{inno"tento — siamo determinati da morali differenti] le nostre
azioni ne riflettono i vari colori, di rado mostrano un solo co¬
lore _ o in certi casi no facciamo di tutti i colon.

216.

Amare i propri nemici? Mi vuol sembrare, clic lo si sia


appreso molto bene: ce ne accorgiamo in mille e mille circo¬
stanze, in piccolo ed in grande: sì, talvolta ben meglio ancora
— noi impariamo a dispreizare mentre amiamo, c precisamente
quando più fortemente amiamo; — ma iutto ciò inconsciamente,
senza far chiasso, col pudore c colla segretezza della bontà clic
vieta al labbro le parole solenni e le formolo virtuose.
La morale quale atteggiamento — ciò ripugna al nostro gusto
moderno. E questo ò anche un progresso — come per i nostri
padri fu un progresso, clic la religione (pialo atteggiamento finì
per contrariare il loro gusto (o così pure 1 avversione ed il sar¬
casmo voltcriano contro la religione, e tutto ciò clic altre iolte
era il corredo necessario di chi s’alleggiava a libero pensatore).
È la musica della nostra coscienza, la danza del nostro spirito
che non sa comportare le litanie dei puritani, le prediche dei
moralisti, dei cosidetti uomini dabbene.

-- 217.

Guardatevi da coloro, che annettono un gran valore acche


si riconosca loro il tatto morale, la delicatezza nelle distinzioni
LE MOSTRE VIRTÙ 139
morali: essi non ci perdoneranno giammai, quando dinanzi a noi
(o meglio ancora in noi) si saranno ingannati — essi diverranno
istintivamente i nostri calunniatori e detrattori anche se in ap¬
parenza continueranno a dimostrarsi nostri amici. — Beati coloro
clic dimenticano perchè finiscono col dimenticare anche le scioc-
chezzo clic hanno commesse.

218.

I psicologi francesi — c dove fuori di Francia trovatisi og¬


gidì ancora dei psicologi ? — non hanno ancor finito di assaporare
tutta intera la loro voluttà aeree molteplice della betisc bourgeoke
come se — basta, qualcosa lasciano trapelare con ciò. Flaubert.
ad esempio, l’onesto borghese di Rouen, lini per non vedere,
per non sentire, per non gustar aitili cosa : — era il suo modo
di torturavo sò stesso, una crudeltà rafiìnata contro sò stesso.
Ora io raccomanderei — poiché la cosa finirebbe coll anno-
inro — qualche altra cosa per estasiarsi : vale a dire, l’astuzia
incosciente di cui si valgono gli spiriti mediocri nei loro rapporti
cogli spiriti superiori c nella loro attitudine verso i compiti, elio
gli ultimi si prefiggono, quell’astuzia complicata o gesuitica che
è lo mille volto più raffinata, di quanto anche negli intervalli
più lucidi possano esserlo l’intelletto ed il gusto di tali spiriti
mediocri — ed anche più dell’intelletto dello loro vittime: -- ciò
clic dimostra una volta di più, che 1’ « istinto » di tutto lo specie
d’intelligenza finora scoperte, è la più intelligente. Tu breve, stu¬
diate, o psicologi, la filosofia della « regola » nella sua lotta col-
p « eccezione >: otterrete uno spettacolo degno degli dei o della
malizia divina! Oppure, diciamolo più chiaramente ancora: tate
della vivisezione sull’uomo « buono », sull’uomo <bonae volun-

tatis ».su voi stessi !

219.

11 giudicare cd il condannare moralmente è la vendetta pre¬


ferita delle anime limitate su quelle che lo sono meno di loro,
una specie d’indennizzo per tutto ciò che hanno ottenuto in mono
140 CAPITOLO SETTIMO

dalla natura, eppoi una buona occasiono per dimostrar dello


spirito, e diventar raffinali — la malizia spiritualizza l’uomo.
Iu fondo ai loro cuori essi godono che esista una misura, dinanzi
alla quale anche gli uomini spiritualmente ricchi c privilegiati
sono a loro uguali: — essi combattono per l uguaglianza di
tutti dinanzi a Dio e non fosso che per ciò, essi sono costretti.
n credere iu Dio. Tra di loro trovansi i più violenti avversàri
dell’ateismo. Chi direbbe loro, che dinanzi ad un 'alta intellet¬
tualità non reggano il confronto uè la piu specchiata onesta nè
la più alta rispettabilità d’un individuo imiti altro che morale
li renderebbe idrofobi : — ed io mi guarderò bene dal tarlo.
Piuttosto vorrei rendermi loro gradito coll’assicurar loro che
un’alta intellettualità non è per sò stessa clic il coronamento
di certe qualità morali; che è una sintesi di tutti quegli stati,
attraverso i quali non possono passare clic gli uomini esclusi¬
vamente morali, stati acquisiti mercè una lunga evoluzione, per
una lunga catena di generazioni; che l’alta intellettualità rap¬
presenta lo spiritualizzamcnto della giustizia, di quel rigore tem¬
perato dalla bontà che sa essere suo compito di mantenere nel
mondo un gerarchia anche tra le cose — non soltanto tra gli
uomini.

220.

L’elogio del disinteresse è oggidì tanto popolare, clic si è


costretti, forse non senza pericolo, a domandarsi, a che cosa
veramente il popolo prenda interesse e di quali cose l’uomo
volgare si curi più profondamente : comprese lo persone colto,
persino i dotti, c se non c’inganniamo, persino i filosofi. Si giun¬
gerà a constatare il fatto, che la massima parto di tutto ciò,
che interessa i gusti più raffinati o viziati, che ha atti-attiva per
una natura supcriore lascia completamente freddo l’uomo mediocre:
— e se ciò non ostante egli avverto un’inclinazione per tutto ciò,
la chiamerà « dósintéressée » è si meraviglierà conio mai si possa
agire disinteressatamente.
Ci sono stati dei filosofi che seppero conferire ad una tale
meraviglia popolare un’espressione seducente c mistica del di là
LE MOSTRE VIRTÙ 141

( — forse perchè per loro esperienza non conoscevano le nature


superiori ? — ) anziché ammettere la verità, che ogni atto « disin¬
teressato j è sempre un atto molto interessante ecl anche « in¬
teressato » purché si voglia ammettere che — < E l’amóre » ?
— Como, linanco un atto ispirato dall’amore dovrebbe essere
« non- egoistico ? » Oh, voi minchioni — ! « E gli elogi diretti
a chi si sacrifica ? » — Ma chi realmente ò sottostato a dei
sacrifici sa d’averlo fatto per qualche cosa, d'aver ottenuto qualche
cosa in compenso del suo sacrifizio — forse da sò stesso, per
sù stesso — sa die da un lato concedeva, per ottenere molto di
più dall’altro, non fosso che per essere, od almeno per sentirsi
qualche cosa di più. Ma noi andiamo a cacciarci in un labi¬
rinto di domando o risposte, che l’uomo di gusto raffinato cerca
d’evitare: già qui la verità deve farsi forza per trattenere uno
sbadiglio allorquando è costretta a rispondere. Infine essa è
donna, o non bisogna farle violenza.

221.

Accado di sovente, soleva dire un pedante moralista, che io


tratti con distinzione un uomo disinteressato, ma non già perciò
che egli è disinteressato: bensì perchè mi sembra ch’egli abbia
un diritto ad essere utile a proprie spese ad un altro uomo. In
breve, si tratta unicamente di sapere chi sia lui c chi l’altro.
Per esempio, in un individuo nato per comandare, l’abnegazione
e la modestia non sarebbero una virtù, bensì lo spreco di una

virtù, così sembra a me.


Ogni morale altruistica che, por voler essere incondizionata,
vuole abbracciare tutti senza distinzione, non pecca solamente
contro il buon gusto: ben di più essa è un eccitamento ai
peccati d’omissione, una seduzione di jnu sotto la ma.cheia
della filantropia - o precisamente atta a sedurre c ( nuneggiaio
gli uomini più elevati, più rari e privilegiati. Bisogna ridurre e
morali a curvarsi dinanzi all'ordinamento per rango, bisogna a
battere la loro tracotanza - c metter una buona volta in chiaro
che è cosa immorale l’affermare che « quello che è giusto per
l’uno, lo dolessero anche per l’altro ».
142 CAPITOLO SETTIMO

Adunque il mio moralista pedante e bonhomme meritava d’es¬


sere deriso, quando esortava le morali ad esser inorali? Ma non
bisogna piccarsi di voler avere troppa ragione, se si vuole avere
dalla propria quelli che ridono; aver un bocconcino di torto è
di buon gusto.

222.

Dove oggi si predica la compassione — c se ben guardiamo


è la sola religione che oggidì si predichi — il psicologo deve
aprir molto bene le orecchie ; attraverso alla vanità, al chiasso
propri a cotali predicatori (e se vogliamo a tutti i predicatori)
egli afferrerà un gemito rauco e sincero di disprezzo di se stesso.
Questo disprezzo è un effetto di quell’oscuramento, di quel¬
l'abbrutimento de\YEuropa che da un secolo vanno ognor più cre¬
scendo (ed i cui primi sintomi sono additati documentariamente
in una lettera piena di preoccupazioni dell’abate Galliani alla
signora d’Epinay) purché non no sia invece la causa.
L’uomo delle « idee moderno » codesto scimmiotto orgoglioso
è supremamente malcontento di sò stesso : ciò è indubitato. Egli
soffre — ma la sua vanità esige che egli non provi che — com¬
passione.
222.

L’Europeo odierno, prodotto di razze incrociate — un plebeo


abbastanza antipatico dopo tutto — sento il bisogno d’un costume
— prova il bisogno della storia, clic rappresenta l’arsenale dei
suoi costumi. È però vero che s’accorge come nessuno gli s’at-
tagli — per cui lo cangia senza cessa. Si consideri un po il
nostro secolo dal lato di codesto continuo cangiamento dello stile
delle mascherato ; anche nei suoi momenti di disperazione, quando
nulla r/ii sta a pennello. — È proprio inutile il presentarsi sotto
una vesto romantica, classica, cristiana, fiorentina, barocca, op¬
pure c nazionale » in moribus et artibus, nulla « ci siede bene! »
Ma lo spirilo, specialmente Io « spirilo storico ■>, sa trarre pro¬
fitto anche di ciò: si trova sempre il modo d’esumare qualche
I.K NOSTRE VIRTÙ 143
bricciolo vergine di epoche passate o di paesi stranieri; lo si
gira, lo si rigira, lo si ripone, lo si rìssottcrra; ma prima d’ogni
cosa lo si studia : noi possiamo vantarci d’essere la prima epoca
dotta in pimelo costumi, intendo dire in fatto di morali, di ar¬
ticoli di fede, di gusti artistici e di religioni, d’osscr preparati,
come in nessun’epoca ancora, al carnevale di grande stile, alle
risate ed alle impertinenze del carnevale intellettuale, all’ele¬
vatezza trascendentale dell’assurdo all’estrema potenza e dello
scherno aristofanico.
Forse che proprio qui noi stiamo per scoprire il regno di
nostra « invenzione » ; un regno in cui sarà dato anche a noi
d’essere originali, per esempio quali parodisti della storia univer¬
sale o quali giullari di Dio, — forse che, se a nessuna delle cose
che oggi esistono è riservato un avvenire, questo sarà riservato al
nostro riso.
224.

Il senso storico (ovvero la facolta d’iudovinaro rapidamente i


rapporti d’ordine degli apprezzamenti di valori, giusta i quali
un popolo, una società, un individuo hanno vissuto, « l’istinto
divinatorio » per i rapporti fra cotali apprezzamenti di valori,
per i rapporti tra l’autorità dei valori o l’autorità delle forze
efficienti) : il senso storico che noi Europei consideriamo come
una nostra specialità, è pervenuto a noi al seguito della folle
ed affascinante semibarbarie, in cui il mescolamento democra¬
tico dello classi e delle razze ha precipitato VEuropa: — appena
il secolo deciinonono ha incominciato a conoscere codesto senso,
che è divenuto il suo sosto senso. Il passato in tutto le sue
forme, in tutti i suoi modi di vivere, con tutto le sue « civiltà *,
l’una all’altra sovrapposte o sottoposte, s’irradia, grazie all accen¬
nato mescolamento nelle nostre animo moderno, i nostri istinti
ricorrono tutte le vie del passato, noi stessi siamo una specie
di caos : — ma infine, come già dicemmo, lo • spirito » sa tro¬
varci il suo tornaconto. Mercè la nostra semibarbarie del corpo
e dei desideri noi abbiamo dovunque degli accessi segreti,
quali nessun’allra epoca aristocratica ne ha avuti, anzitutto l'ac-
144 CAPITOLO SETTIMO

cesso al labirinto delle civiltà imperfette e di tutte le semibar-


barie che sulla Terra ebbero esistenza : e siccome la parte più
considerevole della civiltà umana si compendia in una semibar¬
barie, il c senso storico » significa il senso e l’istinto di tutte le
cose, il gusto e l’espressione di tutte le coso : con cui subita¬
mente si dà a ravvisare per un senso non aristocratico. Per
esempio, noi gustiamo nuovamente Omero : forse per noi è un
fortunatissimo vantaggio, quello di saper gustare Omero, cui gli
uomini d’ima civiltà aristocratica (quali i francesi dol secolo
decimosettimo, clic con Saint-Euremond rinfacciano ad Omero
il suo « esprit vaste », e dei quali l’ultima eco è Voltaire) non
sanno e non sapevano appropriarsi facilmente, — o che appena
permettevano di gustale agii altri. Jl sì ed il no molto determi¬
nati del loro palato, la loro nausea facilmente irritabile, il loro
ritegno verso tutto ciò che sapeva di straniero, il loro timore di
dimostrare cattivo gusto, foss’anchc nel momento d’un fortissimo
desiderio, ed in generale l’avversione che prova ogni civiltà
aristocratica e bastante a sè stessa, a confessare un nuovo de¬
siderio, un interno malcontento, un’ammirazione per qualcosa
di straniero, tutto ciò la indispone c la predispone sfavore¬
volmente contro lo migliori cose del mondo, quando non siano
ili sua proprietà o non possano divenirle, o nessun senso ò
meno comprensibile a tali individui, del senso storico e della
curiosità umile e plebea clic a lui si collega. La stessa cosa
vale anche per lo Shakspcare, meravigliosa sintesi del gusto
ispano-mauro-sassone, a proposito del quale un vecchio ateniese
amico (Vfischilo sarebbe scoppiato dalle risa o dal dispetto: ma
noi — accogliamo precisamente codesta accozzaglia di ciò elio
v’ha di piii delicato, di più grossolano, di più artifizioso, con una
certa segreta confidenza e cordialità, la gustiamo come una raffi¬
natezza dell’arte, che fu riservata a noi soli o non ci lasciamo
indisporre dallo esalazioni mefitiche, dalla prossima vicinanza della
plebaglia inglese, in mozzo alla quale vivono l’arte ed il gusto shal-
speriani, allo stesso modo come quando ci troviamo a Napoli sulla
riviera di Ghiaia ; noi la seguiamo, affascinati c volonterosi, senza
preoccuparci delle esalazioni che tramandano lo cloache doi quar-
LE NOSTRE VIRTÙ 145
fieri della plebe. Xoi uomini dal «scuso storicoa, abbiamo le nostre
virtù, ciò è innegabile — noi siamo senza pretese, disinteressati,
modesti, valorosi, pieni d’abnegazione, di riconoscenza, di buon
volere: — malgrado tutto ciò il nostro Affusto» non è forse il
migliore. Confessiamocelo una buona volta: ciò che a. noi uomini
dal senso storico » ò più difficile ad afferrare, a sentire, a gu¬
stare, a preferire, ciò che in fondo ci rende predisposti ed av¬
versi, si è precisamente la perfezione, la suprema maturità d’ogni
civiltà e d’ogni arte, si è tutto ciò che è veramente aristocratico
nelle opere e negli individui, il momento di suprema indifferenza,
di tranquillità, la freddezza dell’oro, elio sono proprietà di tutte
lo cose perfette. Forse la nostra grande virtù del senso storico ò
un contrapposto necessario del « buon » gusto o per lo meno del
« miglior j gusto, per cui noi non sappiamo riprodurre in uoi che
a stento, esitanti, c costretti quei pochi rari momenti di suprema
felicità c di trasfigurazione della vita umana, quei momenti
miracolosi, nei quali una grande forza s’arrestò volontariamente
dinanzi allo smisurato ed all’infinito, — c sentì ad esuberanza
un gaudio sublime in un frenarsi repentino, nell’ immobilizzarsi,
nel mantenersi salda su d'un terreno ancora vacillante. Codesta
misura a noi è straniera, contessiamolo •, quello elio ci solletica
ò precisamente l’infinito, lo smisurato. Simili al cavaliere, tra¬
sportato dal suo destriero in una corsa vertiginosa, noi dinanzi
all’infinito lasciamo le briglie, noi uomini moderni, uoi semi¬
barbari — e sentiamo appena allora la nostra felicità, quando
maggiore sentiamo il pericolo.

225.

Edonismo o pessimismo, utilitarismo o eudemonismo: tutti


codesti modi di pensare, che prendono per misura il gaudio e
la sofferenza, vale a diro certi stati accessori, sono modi di pen¬
sare primitivi ed ingenui, che ognuno il quale si senta in pos¬
sesso di forze creatrici o di una coscienza artistica riguarderà
con aria di scherno, non scevra di compassione. Compassione di
wf sì ! Ma non già la compassione quale voi la comprendete :

Niktzsciih — Al di là del bene a del male. — 10.


!4G capitomi settimo
uon si tratta già di compassione per la miseria sociale, pei la
società, coi suoi ammalati e pericolati, coi suoi u/.iati, coi suoi
infranti sin dalla nascita, dei quali è ricolmo il terreno intorno
a noi: e meno ancora di compassione per caterve di se uau
mormoranti, oppressi e sediziosi, che aspirano alla dominazione
- ch’essi chiamano « libertà ». La nostra compassione o ben
più elevata: - noi vediamo che l’uomo s’impicciolisce, che voi
lo rimpicciolite! - vi sono dei momenti in cui noi contem¬
pliamo con angoscia indescrivibile la vostra compassione, e 01 di¬
fendiamo da una siffatta compassione, - momenti, m cu. noi
troviamo più pericolosa la vostra serietà di qualsiasi altra leg¬
gerezza: voi mirate possibilmente - e non v’ha un c possibil¬
mente » più folle di questo - a sopprimere la sofferenza; e
noi ? Sembra quasi che noi si voglia ridurre le coso ad un grati o
più acuto, ed a peggiore partito, di quanto lo furono finora !
11 benessere, come voi lo intendete — non rappresenta già
un fine, bensì, almeno per noi, la fine! Significa per noi uno
stato, che finisce per render l’uomo ridicolo e spregevoli;,
che fa desiderarne la perdizione ! La scuola del dolore, del gran
dolore - non sapete forse clic questa scuola soltanto ha permesso
all’uomo di acquistare certe attitudini? Quella tensione dell’anima
nella sventura, che lo proviene dalla propria forza, . brividi che
l’attraversano quando assiste ad una grande mina, rmgegno, la
bravura elio si dimostra nel sopportare, nel perseverare, nell m-
terpetrarc, nello sfruttare la svento», tutto ciò che l’anima ha
acquistato in profondità, segretezza, dissimulazione, spirito,astuzia,
grandezza : — non l’ha forse acquistato sotto la sferza del dolore,
alla scuola del grande dolore? Nell’uomo si trovano riuniti la
creatura ed il creatore: nell’uomo c’è la materia, c’è l’incom¬
pleto, il superfluo, c’è l’argilla, il fango, l’assurdo, il caos; ma
nell’uomo c’è anche il soffio che crea, che plasma, c’è la durezza
del martello, c’è lo spettatore — Lio, c’è il settimo giorno:
_ afferrato voi il contrasto tra la vostra compassione che è ri¬
volta alla « creatura nell'uomo » vale a dire a ciò che dev’esser
plasmato, infranto, battuto come il ferro, affinato, passato pel
fuoco e purificato - a ciò che necessariamente deve ed e co-
Lfc NOSTRE VIRTÙ 147

stretto a soffrire, e la nostra compassione? — Non indovinate


voi a chi è rivolta la nostra compassione, che si ribella alla
vostra, perchè la vostra significa il compendio di tutto le debo¬
lezze ? — Epperciò compassione contro compassione ! ila,
come già dicemmo, vi sono dei problemi più alti di quelli che
hanno per oggetto il gaudio e la sofferenza e la compassione, ed
ogni filosofia che dovesse occuparsi esclusivamente di ciò, reste¬
rebbe sempre una fanciullaggine.

226.

Noi immorali! — Il mondo, che importa a noi, nel quale


noi abbiamo a temere e ad amare, questo mondo quasi invi¬
sibile ed insensibile di comandi „e di obbediente, delicate, un
mondo del « quasi » in ogni senso, difficile, compromettente,
aspro e tenero: sì, osso è difeso egregiamente contro i goffi
spettatori, contro la curiosità spudorata ! Noi siamo irretiti m
un tessuto impenetrabile di doveri e non possiamo uscirne -
perciò solo siamo anche noi « uomini del dovere » ! Talvolta,
ò ben vero, danziamo anche noi in mezzo alle nostre catene ed
allo spade; bene spesso, ciò è pure vero, noi digrigniamo i denti
insofferenti della durezza della nostra sorte. Ma per quanto noi
facciamo, gli imbecilli c l’apparenza diranno sempre che noi
siamo gli uomini che non conoscono il dovere ! — avremo sempre
contro di noi gl’imbecilli e l’apparenza !

227.

La rettitudine, supposto elio questa sia la nostra virtù, dalla


quale non possiamo liberarci, noi, spiriti liberi, ebbene, noi vo¬
ciamo lavorare intorno a lei con tutta la nostra malignità e con
tutto il nostro amore, senza stancarci di perfcx tonarci m questa
nostra virtù, l’unica che ci sia rimasta: anche se il suo splen¬
dore dovesse circonfondere un giorno come d'un’aureola dorata,
azzurra, beffarda, di luce vespertina, questa civiltà invecchiata
colla sua pesante e tetra gravità! E seppure un bel giorno la
14,q CAP1TOT.O SETTIMO

nostra rettitudine dovesse stancarsi e geniere e stirare le membra


c trovarci troppo duri, ed augurarsi qualche cosa di migliore, di
più leggiero, di più tenero, di lusinghevole come il vizio : ebbene,
restiamo duri noi, ultimi degli stoici, e mandiamolo m aiuto tutta
la diavoleria che abbiamo in corpo, la nostra nausea delle coso
goffe ed incerte, il nostro « nitimnr in vetitum » il nostro co¬
raggio d’avventurieri, la nostra curiosità agguerrita c viziata, la
nostra più intima e raffinata volontà intellettuale della dominazione
del mondo, la quale aleggia bramosa intorno a tutti gli nnpen
dell’avvenire, — corriamo in aiuto del nostro « Dio » con tutti i .
nostri demoni. È probabile che in conseguenza di ciò ci si misco¬
noscerà c ci si prenderà in isbaglio: o che cosa c’importa?! Si
dirà: la loro rettitudine - è la loro diavoleria c null’altro! E
ammesso pure che avessero ragione, gli dei non furono forse tutti
dei diavoli ribattezzati e diventati santi? Ed infine clic cosa sap¬
piamo noi sul conto di noi stessi ? E come si debba chiamare lo
spirito che ci guida ? È una questione di nome ! E quanti spiriti in
noi alberghino ? La nostra rettitudine, o spiriti liberi, guardiamo¬
cene bene non diventino la nostra vanità, la nostra pompa, la nostra
imbecillità! Ogni virtù propende all’imbecillità; «stupido sino alla
santità ^, suolsi dire in Russia, - guardiamoci bene dal divenire,
a forza di rettitudine, altrettanti santi noiosi! La vita non è dessa
forse cento volte troppo breve - pei' dovervisi annoiare? Biso¬
gnerebbe proprio credere nella vita eterna, pei .

22S.

Mi si perdoni d’aver fatto la scoperta, che sinora tutte le filo¬


sofie morali furono noiose ed appartennero alla classe dei sonni¬
feri, — e che nulla ha recato, a mio modo di vedere, tanto danno
alla virtù quanto la noiosità dei suoi patrocinatori; con ciò pero
non intendo misconoscere la sua utilità in generale. Importa molto
che il minor numerò possibile d’individui meditino sulla morale,
- epperciò importa molto, ma molto, che la morale un bel giorno
non diventi interessante ! Ma non temete ! Le cose sono anche
oggidì come sempre furono : io non vedo nessuno in Europa ciie
I,E NOSTRE VIRTÙ 149

avesse (o formasse) il concetto che il meditare sulla morale possa


diventare pericoloso, compro mette li te, corrompente clic nello
stesso possa esserci qualche cosa di [ulule! Si consideii, pei
esempio, gli instancabili ed inevitabili utilitari inglesi, come vanno
avanti ed indietro calcando e ricalcando goflamento e bonariamente
le pedate del Bentham (c'è in Omero una similitudine che rende
meglio e più chiaramente l’imagine), allo stesso modo come quegli
calcava le pedate dell’onorevole Elvcxio (no, non era certamente
un uomo pericoloso codesto Elcexio, cc sena tea r Pqcoeurante,
a dirla con Galiaid). Nessuna idea nuova, nessuna riproduzione
geniale d’una idea antica, neppure una storia veritiera di quello
ch’era già stato pensato: in complesso una letteratura impossibile,
qualora non si sappia inacidirla con un po’di malignità. E tutto ciò
por la ragione che anche in codesti moralisti (che si deve sempre
leggere con la massima indipendenza di spirito, caso mai si tosso
costretti a leggerli) s’ò infiltrato quell’antico vizio inglese, che si
chiama <•. cani » ed è iurta [feria morale, ma stavolta mascherato
danna forma scientifica; vi si troverà anche una certa smania
segreta di difendersi dai rimorsi, dai quali una razza di antichi
puritani non potrà mai liberarsi anche trattando scientificamente
di morale. (Non è forse il moralista il « pendant » del puritano, vale
a dire, un pensatore, che ammette la morale come cosa degna
d’esser discussa, interrogala, in breve, come un problema? Non
sarebbe forse il moralizzare - immorale ?). In fine dei conti essi
pretendono clic la moralità iiu/Icse sia riconosciuta superiore a
tutte le altre: in quanto con ciò si rende il massimo dei servizi,
- credete forse all’umanità, agli interessi f/enemli, oppure alla
felicità dei piu!. Ma no! alla prosperità àe\VInghilterra. Essi
tendono a dimostrare con tutte le loro forze, che l’aspirare alla
felicità inglese, vale a dire al comfort ed alla fashion (c piu m
alto ancora, ad un seggio al Parlamento), rappresenti il vero
sentiero della virtù, di più ancora, che tutta la virtù eli eb e
esistenza nel mondo, non abbia consistito in altra cosa. Non uno
di codesti animali di branco, pesanti c dalla coscienza inquieta
(che pretendono gabellare gli interessi dell’egoismo per quelli
del benessere generale) vuole intendere o presentire, che il
^-q CAPITOLO SETTIMO

benessere generale non è un ideale, una meta, un concetto che


Qi p0<Sa formulare chiaramente, ma soltanto un mezzo d apmsi
un varc0 _ che ciò che garba ad uno, non può necessaria¬
mente garbare a un altro, che il pretendere un’unica morale per
tutti tende precisamente a colpire gli uomini superiori, che una
differenza di rango esiste tra uomo e uomo, e per conseguenza
anche tra morale e morale. Sono una specie d’individui molto
modesti ed in ogni senso mediocri codesti utilitari inglesi, e,
come già dicemmo, in quanto che sono noiosi, non si può lodare
abbastanza la loro utilità. Anzi si dovrebbe incoraggiarli.

229.

Tu quelle epoche tarde, clic possono andar orgogliose del loro


umanesimo, c’è un tal residuo di paura superstiziosa della « bestia
selvaggia e crudele » (l’aver annientato la quale forma appunto
il vanto di quelle epoche umane) che persino le verità palpa¬
bili, quasi per tacita convenzione, restano per secoli e secoli
ignorate, perché si teme possano ridar la vita alla belva tolice-
mente ammazzata, borse ò un ardimento da parte mia .-'C mi
permetto di lasciar trapelare una simile verità; possano altri
rimprigionarla ed imbeverla di tanto « latto del pio pensaic ,
da farla rigiacere nel suo cantuccio mutola ed obliata. Bisogna
incominciar a pensare diversamente ed aprir bene gli occhi sul
conto della crudeltà; bisogna finalmente imparare 1 impazienza,
per non tollerare più oltre che certi errori passeggino tronfi od
insolenti di virtù quali, ad esempio, ne spacciarono a proposito
della tragedia i filosofi antichi e moderni. Quasi tutto ciò che noi
chiamiamo « coltura superiore :> si basa sulla spiritualizzazione,
sull’approfondimento della crudeltà — questa è la mia tesi, la
bestia selvaggia non ò ammazzata, essa vive, prospera; soltanto
si è — divinizzata.
La voluttà dolorosa cli’ò reggenza della tragedia, null’altro è
che — crudeltà; tutto ciò elio nella cosidetta compassione^ tra¬
gica, ed in fondo anche nel sublime, sino ai supremi e più delicati
brividi della metafìsica, desta un senso di compiacimento, ottiene
la sua dolcezza unicamente dall’ingrediente della crudeltà che gli
Li: KOSTRK VIRTÒ 151
è frammisto. Tutti i godimenti che assaporavano con segreta
voluttà i Romani nell’iena, i cristiani nei rapimenti della Croce,
gli Spoglinoli alla vista dei roghi o delle corse dei toii, che
provano i giapponesi odierni, quando s accalcano per ascoltale la
tragedia, l’operaio dei sobborghi di Parigi che ha la nostalgia
delle rivoluzioni sanguinose, la wagneriana che, rapita in estasi,
gusta sino alla fine Tristano ed Isotta - non sono che i filtri
magici della grande Circe, che ha nome « Crudeltà ».
Ù necessario emanciparsi dalla sciocca psicologia di una volta,
elio sapeva insegnare soltanto clic la crudeltà incomincia al co¬
spetto delle sofferenze altrui] c’è tanta sovrabbondanza di godi¬
mento anche nelle sofferenze proprie, nel provocarle in sè stessi !
_ Dovunque l’uomo è giunto al punto della propria mortifica¬
zione nel senso religioso oppure della mutilazione di sè stesso
come presso i Fenici e gli Asceti, o in generale della rinnega¬
tone dei sensi, della contrizione, dei crampi penitenziari dei puri¬
tani, della vivisezione della coscienza, del sacrificio AcW intelletto
del Pascal, quella che segretamente ve lo persuade e lo stimola
è la sua crudeltà, è quel brivido pericoloso della crudeltà eser¬
citala contro noi stessi. Infine si consideri, che persino il veg¬
gente, allorquando costringe il suo spirito a conoscere contraria¬
mente alla propria inclinazione ed ai desideri del suo cuore -
a dir di no, dove vorrebbe «fermare, amaro, adorare - non
funere che quale artista e trasfiguratoredella crudeltà; ogni appro¬
fondire le cose è por sè stesso una violenza, un dolore che si
arreca alla volontà fondamentale dello spirito, che incessante¬
mente tende all’apparenza cd alla superficie — persino ne a

volontà del conoscere c’è una goccia di crudeltà.

230.

Forse non si comprenderà a bella prima, quello ch’io in¬


tendo per « volontà fondamentale dello spinto » : «n si per-
metta una spiegazione. - Quella cosa imperiosa el,e dal popolo
si noma «spirito . vuole essere padrona di sè ed intorno asè,
o sentirsi padrona; ossa possiede la volenti! d, ndurs. dalla
CAPITOLO SETTIMO
152
molteplicità alla unità, una volontà strettamente allacciarne, do¬
mante, imperiosa, insomma tirannica. I suoi bisogni e le sue
facoltà sono le medesime che i tisiologi ammettono per tuito
eiò elio vive, cresco e si moltiplica. La forza dello spirito d’ap¬
propriarsi l’estraneo, si manifesta in una potente inclinazione di
assimilare il moderno all’antico, di semplificare ciò che ù svarialo,
d’ignorare o d’eliminare le contraddizioni : nello stesso modo con
cui sottolinea arbitrariamente, fa risaltare, sa ialsare coiti Lutti
caratteristici nell’estraneo, ed in ogni parto del c mondoe~tciioic *.
Essa ha di mira l’incorporazione di nuovo esperienze, l’interpo¬
lazione di cose nuovo nei vecchi ordinamenti, — adunque l’in¬
crementare; o meglio ancora, il scntii/icnlo dell incrementalo, il
sentimento della forza incrementala. A questa stessa volontà è
valido aiuto un istinto apparentemente opposto dello spirito clic
si manifesta con una risoluzione subitaneamente irrompente di
voler l’ignoranza, con un’esclusione arbitraria, con un otturamento
di tutte Io proprie finestre, con un’interna negazione d’una o di
un’altra cosa, con un divieto di lasciar uscire, con una specie di
stato di difesa contro molte cose degne d’essere risaputo, con
una certa preferenza per l’oscurità, per gli orizzonti angusti, per
l’affermazione, per l’approvazione dell’ignoranza: come ciò ò
infatti necessario a seconda del grado della potenza ussimilatrico
delio spirito, della sua « forza digestiva > por parlare con
un’imagine — ed a vero dire lo spirilo ha la più grande somi¬
glianza con uno stomaco.
Così pure appartiene a questo capitolo la volontà che lo spirito
dimostra in molto occasioni di lasciarsi ingannare, forse con un
presentimento ironico che la cosa non stia proprio così, ma elio si
vuole sia così in un dato momento; la soddisfazione di moversi nel¬
l’incertezza c nell’equivoco, un intimo sentimento di giubilo per hv
voluta ristrettezza e segretezza d'un cantuccio, per tutto ciò che è
troppo vicino, per il « proscenio •>, per tutto ciò elio ò ingrandito,
rimpicciolito, spostato, abbellito, una soddisfazione per l’arbitrarieta
di tutte codeste manifestazioni della forza. Infine qui bisogna pure
tener conto di quella volonterosità molto critica che possiedo lo
spirito d’ingannare altri spiriti, e di simulare dinanzi ni mede-
I.E MOSTRE VIRTÙ 153
siini la pressione, la spinta perenno cl’tina forza creatrice, pla¬
smatrice e mobilissima: con ciò lo spirito assapora la voluttà della
molteplicità della sua maschera, della sua astuzia, ed in pari tempo
della sua sicurezza — precisamente le sue arti prolciclic sono
quello che meglio lo difendono e lo nascondono !
Contro codesta volontà dell’apparenza, della semplificazione,
della maschera, del manto, insomma del Superficiale — giacché
ogni superficie è un manto — reagisce l’inclinazione sublimo del
veggente, che prende c vuole prender le cose profondamento, in
modo molteplice, radicalmente: una specie di crudeltà della co¬
scienza c del gusto intellettuale che ogni valoroso pensatore avrà
provato in sò stesso, semprccliò egli abbia, come si conviene,
acuito lungamente l'occhio, e sia avvezzo ad una disciplina rigo¬
rosa, anche alle parole severe.
Egli dirà « c’ò qualche cosa di crudele nell’ inclinazione del
mio spirito »; — si provino i virtuosi e gli amabili a levarglielo
dal capo ! Di fatto sarebbe più gentile, se invece della crudeltà
si potesse rimproverarci, imputarci, lodare in noi qualche cosa
d’altro, per esempio, una « rettitudine esuberante » — a noi
spiriti liberi, mollo liberi: - come forse un giorno giudicherà di
noi la fama! - Frattanto - che sino allora ci vuole del tempo -
noi saremmo gli ultimi a sentirci disposti d’adornarci di colali cian¬
frusaglie morali : tutto il lavoro fatto sin qui ci ha fatto prendere
in uggia codesto gusto e la sua allegra opulenza. Sono parole
belle,’ luccicanti, sonanti, festose: rettitudine, amore della venta,
amore della sapienza, sacrificio per la conoscenza, eroismo della
sincerità. C’ò tanto da far drizzare la cresta dalla superbia.
Ma noi, solitarie marmotte, ci siamo convinti nella segretezza
della nostra coscienza d’eremiti, che anche codesta pomposità
di parole appartiene all’antico apparalo di menzogne del inco¬
sciente vanità umana e clic anche sotto tali color, lusinghieri .1
terribile testo fondamentale « homo natura * c\e ai sempre
capolino. Ritradurre l’uomo nella natura, rendersi padroni delle
molte interpetrazioni vane e sentimentali e dei sensi riposti di
cui sinora fu coperto come d’uno strato di sgorbi e di co ori
reterno testo fondamenti# < homo natura*, render possibile
154 capitolo settimo

che d’ora innanzi l’uomo stia dinanzi all’uomo come già sta
o—idi. indurito nella disciplina della scienza, dinanzi all altra
natura, con occhi imperterriti da Edipo, con le orecchie turate
VUlisac, sordo alle lusinghe di tutti gii uccellatori metafisici,
che non cessano dal cantargli : « tu sei di più ! tu sei piu allo !
tu sei d’altra origine! ■' ecco il nostro compito! — Baia un
compito strano e folle, ma è sempre un compito - chi vor¬
rebbe negarlo ? Perchè noi l’abbiamo prescelto, codesto compilo
fòlle? Oppure, modificando l’interrogazione: « Perchè mai ambite
la conoscenza ad ogni costo ? > - .ci si domanderà. E noi, messi
così alle strette, noi clic ci siamo proposta lo migliaia di volte
la stessa domanda, non trovammo e non troviamo una risposta

migliore.
231.
L’imparare ci tramuta al pan deiralimenlazione, la quale non
ci conserva unicamente in vita - come il fisiologo lo sa bene.
Ma in fondo a noi stessi, proprio in fondo, c’è sicuramente
qualche cosa che non si può insegnare, un fato spirituale
granitico, con risoluzioni e risposte anticipatamente determinate
di fronte a certe quistioni anticipatamente prescelte.
In ogni problema cardinale parla un immutabile <= questo sono
io »; in merito all’uomo cd alla donna, per esempio, un pensatore
non può mutar il corso delle sue idee, ma unicamente studiarle
a fondo, — scoprire cioè le ultime conseguenze di ciò elio m
Ì„i è digià prestabilito. Si scopre per tempo talune soluzioni di
problemi, nelle quali precisamente noi crediamo fortemente:
forse le chiamiamo senz’altro le nostre convinzioni. Piti tardi -
nello medesimo non vediamo che dello orme che conducono alla
conoscenza di sò stessi, pietre miliari sulla via della soluzione
del problema che siamo noi - o più esattamente ancora, della
grande sciocchezza che noi siamo, del nostro fato spirituale, di
ciò che in « fondo , a noi non si può insegnare.
Grazie a questo complimento che ho tatto anche a me stesso,
forse mi si. permetterà d’esprimere alcune verità sul conto della
donna in sé : tanto più che ormai è noto, clic codeste venta
non sono che le — nne verità.
LE MOSTRE VIRTÙ 155

232.

La donna vuole rendersi indipendente : e tanto per incomin¬


ciare vuole illuminare gli uomini sull’essere della « donna in se » ;
questo è uno dei più odiosi progressi deU’abbrutlimento generale
dc\V Europa. Imperocché quali brutto cose porteranno alla luce
codesti esperimenti goffi della scienza della donna, che mio! metter
a nudo sò stessa! La donna ha tanti motivi d’esscr pudica:
nella donna c’è tanta pedanteria, tanta superficialità, tanta so¬
vrabbondanza di cose apprese alla scuola, di cose piccinamente
presuntuose," sfrenate ed immodesto — si studi solamente ì rap¬
porti della donna coi bambini ! — tante cose che smora non
conobbero altro ritegno che quello ispirato dalla paura del¬
l’uomo. Guai so Veterno noioso nella donna - che ne ò en
provvista — dovesse fami largo: se la donna doyes.se incominciai
a disimparare radicalmente la sua giudiziosita c le sue
che sono quella della grazia, del diletto, del dissipare le cure,
del render la vita più facile, d’insegnare a prenderla con le c-
rezza, se infine dovesse disimparare la sua fine capacita di de¬

stare degli appetiti aggradevoli! . . . Tlfll.


Si ode già adesso un clamore di voci fcnumn , P
sant’Aristofane ! metto paura, s’odono delle minacce d ona in ¬
cisione modica sul conto di cto ohe la donna m^nm ^
. , ir- « v™ à forse indizio cl un pessimu
ultimo luogo esigo *'ll l,om0 , aivoatar scientifica?
gusto se la donna ni tal m • » ^^ dotc degli
Sinora la Dio merci! lo spiegale cu . • » con¬
nomini - o .ostava in lai modo « ' ‘mo delia s don.
siderando tutto ciò elio le donne som • ^ ^ pM[)rlo
è lecito dullitnro ciré la donna mg m 1 P J > donna
conto, - o che volerlo. 0 so !>' • » " “' cll6
. „„n vada in cerca d’an nuovo adomam» j„
l’adomarsi faccia parto mtegraute doli - ete^ _ ^ ^ ^

« m «* '"t «noia'la vento: ohe importa


150 i.k nostri: virtù

mondo, alla donna è stata più estranea, più antipatica, piu av¬
versa della verità: la sua grande arto consiste nella menzogna, ciò
che maggiormente la preoccupa è l'apparenza, è la bellezza. Con¬
fessiamolo, noi uomini: noi amiamo precisamente codesta arte,
codesto istinto nella donna, noi clic siamo pesanti, c per nostra
ricreazione ci accompagniamo volentieri a degli esseri, sotto lo
cui dita, sotto i cui sguardi, tra lo cui tenere follie la nostra
serietà, la nostra gravità, la nostra profondità assumono l’aspetto
d’ima grande sciocchezza. Infine, domando io: c’è stata mai una
donna che abbia concesso profondità ad una testa femminina,
giustizia
O
ad un cuore di donna ?
K non è forse vero, che, in tesi generale, chi lui dimostrato
più disistima por h (tonno, sono stato sempre le donno stesse?
— Xoi non di certo V — Noi uomini desideriamo elio la donna
non continui a compromettersi mediante i turni del progresso,
allo stesso modo clic si deve alla previdenza cd al compatimento
dcH'uomo, se la Chiesa decretò « Mulicr toccai in ecclesia! Hi fu
a tutto vantaggio della donna-clic Napoleone fece intendere alla
troppo loquace madama De Staci « mulicr toccai in politicis! »
— ed io ritengo clic sia un vero amico dello donne, chi oggidì
consiglia loro: mulicr laccai de muiicre.

233.

È un indizio di corruzione degli istinti — di cattivo gusto


_ se la donna si richiama proprio a madama Roland o alla
signora De Staci, oppure al signor Giorgio Saiul, come se con
ciò potesse provare qualche cosa in furore della donna. Per noi
uomini le suddette sono le tre donne comiche per eccellenza -
niente di più ! — e ci forniscono pressamente i migliori, perchè
involontari argomenti contraddittori contro rematicipazione c

l’autonomia della donna.

234.

La stupidità nella cucina : la donna cuoca : l’orribile spensie¬


ratezza con cui" si provvede all’alimentazione della famiglia e del

padrone di casa !
CAPITOLO SETTI'IO 157
La donna non comprende che cosa significhi l'alimentazione:
e vuol esser cuoca ! Se la donna fosse una creatura pensante ossa
avrebbe scoperto « nella sua qualità di cuoca » siu da milioni i più
grandi fenomeni fisiologici cd avrebbe dovuto esser capace di
tirare a sò il monopolio della medicina ! Por colpa delle pessime
cuoche — per la mancanza assoluta di ragionevolezza nella cu¬
cina. lo sviluppo dell’uomo ò stato principalmente impedito e
danneggiato più che per qualsiasi altra causa, cd anche oggidì
abbiamo migliorato ben poco in tale riguardo. Questo sermone

è diretto alle scolare dei corsi superiori.

235.

Vi sono delle perifrasi e dei getti di spirito, delle sentenze,


doi piccoli gruppi di parole nei quali si cristallizza improvvisa¬
mente tutta una civiltà, un’ intera società. Servano d’appoggio
al mio asserto le parole della signora De Lambert & suo figlio:
« jlfon ami, ne vous permetter, jamais que de (olita, qui voua
feront qrand phtisir » - sia detto tra noi, le più materne e
più assennate parole, che un figlio abbia mai intese.

236.

Ciò che Dante e Goethe hanno creduto a proposito della donna


- quegli,’ quando cantò * olla guardava suso cd io m hi »,
questi allorché tradusse liberamente quel verso coll c elenio fem

Z i. « in.au, , -, « che
si guarderà bene dall’approvarc, impeiocello c. *a

sima cosa dell’cicruo mascolino...

Sette proverbioli femminili.


noi pian piano s’appressa.
Quando meno lo si aspetta, l’uomo a

*
* #

I/ett, ahimè! cd anche la scic,ma rinfrancano le più deboli virtù.


15S LE NOSTRE VIRTÙ

*
* *

Veste nera e taciturnità fanno apparire spiritosa ogni donna.


*
* *

A chi devo essere riconoscente della mia felicità? A Dio ed


— alla mia sarta.
*
* *

Da giovane: un antro, mascherato di fiori; da vecchia: uua


vipera n’esce fuori.
*

JS'ome sonante, belle gambe, e uomo per giunta; oh se potesse


esser mio !
* *

In poche parole, molto senso — qui mi casca l’asina.

237.

Le donne sinora furono trattate dagli uomini come altrettanti


uccellini che da qualche albero si fossero smarriti in loro vici¬
nanza; come qualche cosa di molto delicato, di facile a guastarsi,
di selvaggio, di stravagante, di dolce, di più animato — ma
sempre come qualche cosa clic bisogna rinchiudevo perchè non

prenda il volo.

23S.

L’intricarsi nel problema fondamentale « nomo e donna », col


negare L’abisso dell’antagonismo, la necessità d’una tensione peren¬
nemente nemica tra i due sessi, col sognare forse eguali diritti,
eguale educazione, eguali aspirazioni c doveri, è l'indizio tipico
d’una mente superficie, ed un pensatore che s’ò dimostrato super¬
ficiale a proposito di questo scoglio pericoloso - superficiale por
istinto! - può, a buon dritto, essere sospettato, anzi ritenuto
d’essersi rivelato, tradito: probàbilmente in tutte le quistiom fon-
CAPITOLO SETTIMO 159
[lamentali della vita, anche della vita futura, egli vedrà sempre
corto e le profondità non gli saranno accessibili. Per contro un
uomo profondo nello spirito ed anche nei suoi appetiti, quau-
d’anco possieda quella profondità della benevolenza che spesso
facilmente si scambia col rigore e colla severità, penserà la
donna sempre al modo degli orientali: — egli dovrà concepirla
quale una sua proprietà, clic egli ha diritto di teuer sotto chiave;
come qualche cosa di predestinato a servire, e che nel servire
raggiunge la propria perfezione, — appoggiandosi in ciò all'im¬
mensa ragionevolezza asiatica, alla superiorità degli istinti asia¬
tici, come già fecero i Greci, i migliori discepoli ed eredi
(lolPylsftt, i quali, com'ò noto, dai tempi d'Omero a quelli di
Pericle, vale a diro in ragione del progredimento della loro col¬
tura, e dell’aumento della loro forza, passo per passo aumentarono
di rigore contro la donna, vale a dire a'orientalizzarono sempre
più. E ciò fu necessario, logico, umanamente desiderabile: si
mediti sull’argomento, che ne vale la pena.

239.

11 sesso debole in nessun epoca fu trattato con tanti ìiguaidi


dall’uomo come nella nostra — ciò forma parte dell inclinazione
e del gusto fondamentale democratico, come pure della mancanza
di rispetto all’età - : quale meraviglia, se di tali riguardi si
abusa? Masi esige di più, s’apprende ad esigere, si finisce col
ravvisare un’offesa in ogni tributo di stima, perchè si preteri¬
rebbe la concorrenza, anzi la lotta pei.diritti: in breve, la donna
va perdendo il suo pudore.
Soggiungiamo subito clic va perdendo anche di gusto. Essa
disimpara a temere l’uomo, ma la donna che ■ non so più temere »
vinunzia ai suoi istinti più essenzialmente femminini. Ohe la donna
ardisca farsi avauti, quando si trascura tutto quello che nel¬
l’uomo ispira timore, anzi, diciamolo più chiaramente, quando in
tutti i modi si impedisce all’uomo d’esser uomo, ciò ò ancora
comprensibile c compatibile; quello che è più difficile a com¬
prenderei si è che appunto per ciò la donna degenera. -E questo
160 LE NOSTRE VIRTÙ

avviene oggidì: non illudiamoci in proposito ! Dovunque lo spirito


industriale ha ottenuto il sopravvento sullo spirito militare ed ari¬
stocratico, la donna tende ad acquistare l’indipendenza economica
e legale di un commesso; la donna-commesso sta sulla soglia della
nuova società clic sta formandosi. Mentre essa in tal modo prende
possesso di nuovi diritti, tende a diventar « padrona » e scrivo
sulle suo bandiere l’« c manti pax ione * della donna, avviene con
terribile precisione appunto il contrario : — la donna va indietro.
Dalla rivoluzione francese in poi l’influenza della donna è sce¬
mata di misura che le sue pretese aumentarono : e Vemancipa-
xione della donna, in quanto è voluta c favorita dalle stesso
donne (e non da zucche vuote mascoline), si rivela come un sin¬
tomo curioso del progrediente indebolimento ed ottundamento
degli istinti essenzialmente femminini.
0 e della stupidità in un tale movimento, una stupidità quasi
mascolina, di cui una donna ammodo - la quale è sempre
anche una donna di senno — dovrebbe intimamente vergognarsi.
Perdere la conoscenza del terreno sul quale deve necessaria¬
mente arriderle la vittoria, trascurare l’esercizio delle armi che
alla donna son proprie, incanagliarsi dinanzi all’uomo per arri¬
vare v sino al libro*, mentre prima si cercava l’educazione se¬
vera c l’umiltà finamente scaltra; tentar di demolire la cre¬
denza dell’uomo in un ideale fondamentalmente diverso dal
suo, diesi cria nella donna, la sua fedo nell’eterno femminino:
tentar di dissuadere all'uomo che la donna sia una specie d’ani¬
male domestico, più delicato, stranamente selvaggio o talvolta
aggradevole, il quale chiede d’esser mantenuto, protetto, com¬
patito; accumulare tendenziosamente tutti i titoli di schiavitù,
ai quali nell’ordinamento sociale sin qui vigente la donna era
sottoposta e lo è ancora (corno so la schiavitù fosse un argo¬
mento contraddittorio e non piuttosto una condiziono necessaria
degni coltura più elevata, dogni elevazione nella coltura); —
che cosa significa tutto ciò senonchò un rovinare degli istinti fem¬
minini, uno sfeigninamento? K ben vero che vi sono molti amici e
corruttori imbecilli della donna tra gli asini dotti del genere ma¬
scolino, i. quali suggeriscono alla donna di sfemiiiinarsi e d’imitare
CAPITOLO SETTIMO 161
tutte le sciocchezze, che in Europa hanno ammorbato l’uomo, la
virilità europea, — i quali vorrebbero far discendere la donna
al livello della coltura generale, alla lettimi delle gazzette ed
al politicare! In certi casi si vuol farne degli spiriti liberi,
dei letterati: come so una donna irreligiosa per l’uomo profondo
ed ateo non rappresentasse qualche cosa di ripugnante o di ridi¬
colo — ; quasi dappertutto si corrompe i loro nervi con la mu¬
sica la più morbosa e più pericolosa di quante mai ve ne furono
(con la nostra musica tedesca modernissima) c le si rende ogni
giorno più isteriche c meno adatte alla loro prima ed ultima
missione, clic è quella di metter al mondo dei figlinoli sani. In
generale, si vuole « incivilirle maggiormente, o, adoperando lo
loro parole, render forte il sesso debole mercè la coltura, come
se non ci fosse la storia ad insegnarci che civiltà cd indeboli¬
mento — vale a diro indebolimento, disorgauamento, ammorba¬
mento della forxa della volontà — andarono sempro di passo e
che lo donne lo più potenti ed influenti del mondo (ultima la
madre di Napoleone) dovevano la loro possanza c la Iolo in¬
fluenza sugli uomini precisamente alla forza della propria volontà
— e non già ai maestri di scuola !
Quello elio nella donna c’ispira rispetto e non di rado anche
timore, è la di lei natura, clic è molto più naturale di quella
dell’uomo, la di lei mobilità, l’agilità da vera bestia selvaggia,
l’unghia della tigre che nascondo solio il guanto profumato ; il
suo egoismo ingenuo, la sua inettezza ad esser educata, il suo
essere intimamente selvaggio, l’inconcepibile, lo sconfinato, il di¬
vagante delle sue bramo c delle sue virtù... Quello che ci ispira
della pietà per codesto bel gatto pericoloso che chiamiamo
« donna », si ò clic essa è più soggetta a soflnre, che o piu
sensibile, più bisognosa d’affetto, più accessibile alle disillusioni
di qualsiasi altro animale. Timore c pietà, ecco i sentimenti c ìc
l’uomo sinora provava dinanzi alla donna, sempre con un piede
nella tragedia, la quale dilania mentre entusiasma. fch •'
Ed ora tutto ciò dovrebbe esser finito V E si lavorerebbe al
disincantamento della donna? E si sta per formarne a poco a
poco il più noioso degli esseri? Oh ! Europa! Europa!

Miktzscui: - Al di là del bene c del Male. - 11.


102 T.E NOSTRE VIRTÙ

Conosciamo molto bene l’animale cornuto, che tu hai preferito


a tutti gli altri, ed il quale minaccia ancora di riuscirti pericoloso !
La vecchia favola potrebbe ancora diventare « stona » —
ancor una volta una smisurata imbecillità potrebbe impossessarsi
di te e trascinarti seco ! Colla differenza che quella imbecillità
non servirebbe di maschera ad un Dio, ma soltanto ad un <: idea »,
ad un’« idea moderna! ».
Capitolo Ottavo

Popoli e patr
240.

Ito udito, di nuovo per la prima volta — l’ouverture del


Wagner ai « Maestri Cantori »: ù un’arto stupenda, sovracari-
cata, pesante c tarda la quale per esser compresa pretende si
prosammo ancor viventi due secoli di musica : — fa onore ai
Tedeschi che un tale calcolo non si sia dimostrato falso! Quanti
succhi, quante forze, quante stagioni o quante zone sono qui me¬
scolate insieme ! Tutto ciò ha tantosto l’aria dell’antico, tantosto
dell’estraneo, dell’aspro, dell’immaturo; vi si riscontra l’origina¬
lità ed il convenzionalismo, non di rado una vena birichina, più
spesso ancora la rudezza c la grossolanità : — del fuoco c dell'a¬
nimo ed in pari tempo la buccia aggrinzata e scolorita delle frutta
giunte troppo tardi a maturazione. È una corrente che passa
larga e maestosa : improvvisamente un momento d’indugiarsi
inesplicabile, simile ad una lacuna tra la causa e l’effetto, una
pressione, una specie d’incubo ci fanno sognare — ma ecco che
nuovamente la corrente s’allarga riconducendo quella sensazione
molteplicemente aggradevole, di antica e di nuova felicità, pre¬
cipuamente di quella felicità clic l’artista prova da per sò stesso,
che non vuole nascondere, d’ima felicità conscia eppure sorpresa
della maestria dei mezzi da lui adoperati, di mezzi nuovamente
ritrovati e non ancora completamente sperimentati, come mi
sembra egli voglia farci comprendere, l’reso nell’insieme nessuna
bellezza, niente di meridionale, nulla della delicata chiarezza del
cielo del sud, nessuna grazia, nessuna danza, appena un ac¬
cenno alla volontà della logica. Direi quasi' una certa golàggine
anche sottolineata come se l’artista volesse far comprendere ch’ò
166 CAPITOLO OTTAVO

« voluta » ; una veste pesante, qualche cosa d’ originalmente


barbaro e solenne, una confusione di cose preziose, dotte o
venerabili; qualche cosa di tedesco nel migliore c nel peggior
significato della parola, qualche cosa di molteplice, informe,
inesauribile alla maniera tedesca; una certa strapotenza tedesca
dell’anima, la quale non teme di celarsi sotto i raffinamenti della
decadenza — sotto i quali si sente anzi forse meglio clic altrove;
vera caratteristica dell’anima tedesca, ad un tempo giovane o
decrepita, ultrarilassata e piu* straricca d’avvenire. Codesta mu¬
sica esprime perfettamente quello ch’io penso dei Tedeschi; essi
sono di ierlaltro e di posdomani — non hanno ancora un oggi.

241.

!Noi buoni Europei, abbiamo anche noi le nostre ore in cui


ci permettiamo dare sfogo al nostro patriottismo, e ritornare agli
antichi amori ed alle antiche angustie — no ho fornito la prova
pocanzi ore di ebollimenti nazionali, di apprensioni patriot¬
tiche e di tanti altri sentimentalismi da fcrravecchia.
Intelligenze più pesanti delle nostre ci metteranno maggior
tempo a digerire quel tanto, por cui a noi bastano poche ore, gli
uni ci spenderanno qualche anno, metà la vita, a seconda della loro
forza digestiva, della loro capacità di « permutazione della ma¬
teria ». Sì, io potrei imaginarmi delle razze ottuse esitanti, le quali
anche nella nostra Europa rapida nei suoi movimenti richiede¬
rebbero dei mezzi secoli per poter superare certi accessi atavi¬
stici di patriomania e di attaccamento alla gleba dove nacquero
e ritornare nuovamente alla ragione, vale a dire al « buon Euro¬
peismo ». E mentre divago su questa possibilità, m’accade d’as¬
sistere, testimonio auricolare, ad un colloquio tra due vecchi
«patrioti»: a quanto sembra il loro udito non li serviva
troppo bene, giacché discorrevano a voce molto alta. « Colui sa
tanto di filosofia e tanto ci tiene a saperne, quanto un villano od
uno studente che fa parte d una corporazione » — diceva uno di
loro « è ancora un innocentino,ma che cosa importa ciò oggidì!
Siamo al tempo delle masse, e queste si gettano ventre a terra
POPOLI E PATRIE 167
dinanzi a tutto ciò che è massiccio. E così anche in polilicis. Uno
statista, che sa innalzare dinanzi ai loro occhi una nuova torre
di Babele, qualche conglomerato mostruoso d’impero e di potenza,
per loro è un uomo grande-. —- che importa, se noi. più prudenti
e di maggior ritegno, per ora non vogliamo abdicare all 'antica
credenza, che soltanto la grandezza dell’idea possa conferire gran¬
dezza ad un fatto concreto. Supposto elio uno statista dovesse
ridurre il suo popolo a fare quindinnanzi una polìtica grande,
per la quale per sua natura non ha nessuna attitudine e non ò
preparato: di modo che sarebbe obbligato di sacrificare le sue
antiche c sicuro virtù ad una nuova ed ambigua mediocrità, —
supposto elio uno statista condannasse il suo popolo in generale
a fare della politica, mentre esso aveva sino allora bon meglio
a fare e non può in fondo all’animo liberarsi d’un certo senso
di nausea per l’irrequietezza, per la completa assenza d’ideo, pel¬
le discordie chiassose che caratterizzano i popoli prettamente poli¬
ticanti; — supposto che un tale statista aizzi le passioni e gli
appetiti assopiti del suo popolo, gli faccia apparire quale una
macchia la sua timidezza e la sua inclinaziouo a staisene appal¬
tato, gli rinfacci quale una colpa la sua propensione per lo stranie¬
rismo, il suo segreto cosmopolitismo, gli deprezzi tutto quello, per
cui maggiormente si sente portalo, capovolga la di lui coscienza,
renda il suo spirito angusto, il suo gusto nazionale eccome?
uno statista che facesse tutto ciò, mentre in avvenire il popolo do¬
vrebbe pagarne il fio, dato il caso che abbia un avvenire, un simile
statista sarebbe egli «grande?* «Sicuramente»,gli rispondo l’altro
con veemenza, « altrimenti non avrebbe mai potuto fare un
tanto ! È stata l'orso follia il voler una tal cosa, ma forse, in ori¬
gine, grandezza non era che follia!» - * Abuso di parole!»
esclamò il suo interlocutore: - « forte, forte, forte e pazzo; ma
non già grande!» 1 due vecchi s’erano evidentemente riscaldati,
buttandosi in faccia tali verità; ma io nella uria beatitudine
dell*al di là pensavo quanto presto un altro più torte saprebbe
aver ragione del forte; pensavo anche che per una legge di
compensazione la superficialità d’un popolo serve all’approfon¬

dimento d’un altro.


16S CAPITOLO OTTAVO

242.

Si voglia chiamare « civilizzazione oppure, < innanixr.a-


zionc * o meglio ancora « progresso » ciò in cui attualmente si
vede un titolo di distinzione per gli Europei; chiamiamolo sempli¬
cemente, senza lode e senza biasimo, con una forinola politica, il
movimento democratico europeo : dietro ai prosceni morali e poli¬
tici, a cui si riferiscono tali formolo, si compio un processo <• fisio¬
logico ? immenso, che va sempre più allargandosi — un processo
d’assimilazione di tutti gli Europei, il loro distacco sempre mag¬
giore dalle condizioni, cui devono la loro origino le razze vincolate
al clima ed alle classi, una crescente indipendenza da ogni milieu
determinato, il quale vorrebbe imprimersi nel corpo e nell’anima
con postulati secolari,— adunque l’avvento graduato d’una spccio
d’uomo essenzialmente supernazionale e nomade, la quale, par¬
lando fisiologicamente, possiede un massimo d’arte o di forza
d’adattamento quale sua caratteristica tipica. Questo processo del-
Y Europeo in formazione, il quale può venir ritardato nel suo tempo
da grandi ricadute, ma che precisamente per ciò acquisterà in forza
e profondità — sia qui accennato tra gli altri elementi ostili l’u¬
ragano del scnlimenlo nazionale elio ancor presentemente im¬
perversa, c così pure l’anarchismo che sta per armare: — questo
processo avrà probabilmente dei risultati, quali i suoi ammira¬
tori c caldeggiatoli, gli apostoli delle idee moderne sono gli ultimi
a prevedere. Le stesse nuove condizioni, che serviranno a me-
diocrizzare l’uomo, a darci un uomo di branco, utile, laborioso,
capace di molte cose — sono atte al massimo grado a formare
degli uomini eccezionali della qualità più pericolosa ed ■attraente.
Mentre cioè quella forza d’adattamento, la quale va sperimen¬
tando delle condizioni sempre mutanti c con ogni generazione,
quasi ad ogni decennio, ricomincia il suo lavoro, nini rende
possibile la potenzialità d.cl tipo; mentre l’impressione comples¬
siva che faranno gli Europei dell’avvenire sarà quella’ di lavo¬
ratori molteplici, loquaci, poveri di volontà c molto malleabili,
i quali hanno Insogno d’un padrone, come del pano quotidiano ;
POPOLI E PATRIE 169
mentre adunque la democratizzazione (\q\Y Europa tende alla for¬
mazione d’un tipo egregiamente preparato alla servitù ; nei casi
singoli ed eccezionali, l’uomo forte riescirà più forfè e più rigo¬
glioso di quanto possa esser riescilo sino ad ora, — in virtù
della sua educazione spregiudicata, della sua immensa moltipli-
cità d’esercizio, d'arte e di simulazione. Oserei affermare, elio la
democratizzazione de\Y Europa è nello stesso tempo una prepa¬
razione involontaria alla formazione di tiranni — adoperando
questa parola in tutti i sensi, anche nel senso più spirituale.

243.

Sento con piacere, che il nostro sole va appressandosi con


moto rapido alla costellazione (YErcole : c voglio sperare, che
anche l’uomo di questa terra cercherà d’imitare il sole ! li noi
por i primi, noi buoni Europei.

244.

Yi fu un tempo, in cui s’ora abituati a chiamar profondi i


Tedeschi a titolo di distinzione: ora, mentre il tipo più ricco di
successo del germaniSmo moderno ha rivolto il pensiero a tutl aliti
onori ed in tutto ciò ch’ò profondo, deplora forse la mancanza
della tagliente energia prussiana (l), ò quasi patriottico e d’at¬
tualità il dubbio, che la lode d’ima volta fosse sbagliata : in breve
che la profondità germanica sia qualcosa d altro c peggiore: c
sia anche qualche cosa che la Dio mercè abbiamo speranza c binino
iu procinto di levarci di dosso. Proviamoci dunque a modiiicarc il
nostro pensiero sul conto della profondità germanica : per far ciò
di null’altro ci abbisogna che d’una piccola vivisezione dell’annua
tedesca. - L’anima tedesca,è anzitutto cpnipiesssi, d’origmc unii-

un vero ecunziu , uiv


avesse l’audacia d’affermare: «due anime, ahimè! albergano ne
mio petto » farebbe torto grandissimo alla verità, giacche le restc-

(V. d. T.).
(1) Sclineidigkoit.
170 CAPITOLO OTTAVO

rebbe addietro di molte anime. Essendo, come popolo, ima miscela,


un arruffio mostruoso di razzo, forse anello con un’eccedenza pre¬
ponderante d’olemonti orca riunì. un popolo del mezzo in tutti
i riguardi, i « Tedeschi » sono gli esseri più inafferrabili, più
vasti, più contraddittori, più incogniti, più imponderabili, più stu¬
pefacenti, anche per loro stessi, più di quanto altro popolo possa
esserlo: essi si sottraggono ad ogni definizione e formano, pre¬
cisamente per questo, la disperazione dei « Francesi ;>. K carat¬
teristico dei Tedeschi, clic in loro la questione, che cosa sia « te¬
desco > mai s’estinguo. Kotzebue conosceva, bisogna ammetterlo,
molto bene i suoi tedeschi: egli ci ha indovinati, giubilarono
a una cert’epoea — ma anche Sani/ riteneva di conoscerli. Giam¬
paolo (1) sapeva quello che si faceva allorquando si dichiarò
contrario alle adulazioni ed esagerazioni mendaci, ma patriottiche,
del Fichte, — ma è presumibile che Goethe pensasse diversa¬
mente da Giampaolo sul conto dei Tedeschi, per quanto possa
avergli dato ragione sul conto del Fichte.
Che cosa avrà mai pensato Goethe dei Tedeschi? - Pur¬
troppo egli non s’è mai espresso chiaramente su molte cose in¬
torno a lui; cd ha saputo far tesoro del proverbio che il silenzio
è d’oro: — probabilmente ci aveva le sue buono ragioni. Quello
cli’ù certo, si è elio non sono stato le guerre di liberazione ad
allietargli lo sguardo, tanto poco quanto la rivoluzione francese —
l’avvenimento, che gli fece inalar di pianta tutte le sue idee
sul Faust, anzi su tutto il problema delPuomo fu l’apparizione di
Napoleone. Ci sono conservate delle parole di Goethe, con le quali
si esprime, come se parlasse dall’estero, con durezza impaziente
contro ciò clic allora formava l’orgoglio d’ogni buon tedesco ;• il ce¬
lebre <: Gemiith >, tedesco, egli lo definiva quale indulgenza per le
debolezze altrui c per le proprie. Aveva egli forse torto? — È carat¬
teristico dei Tedeschi, chedi rado si ha torto completamente, quando
si giudica di loro. L’anima tedesca ha in sè stessa dei corridoi
grandi e piccini, dello caverne, dei nascondigli, dei recessi segreti;
il suo disordino ha alcunché di misterioso clic attrae : il tedesco

(1) Jouli Paul ltichter. (.v. d. T.).


POPOLI E PATRIE 171

conosce bene le vie torte che menano al caos. E come ogni cosa
ama ciò che le somiglia, il tedesco predilige le nuvole e tutto
ciò cli’è poco chiaro, eh’ò in via di formazione, clfò crepuscolare,
umido, coperto. Trova -profondo l’incerto, ciò che è ancora nello
stadio di formazione, die si sposta, che sta crescendo. Lo stesso
tedesco non esiste ma diventa, si sviluppa. U ■ evoluzione » ò
perciò la vera trovata tedesca nel regno delle forinole filosofiche :
— un concetto dominante che, mercè l’alleanza della birra e
della musica tedesca sta per germanizzare tutta VEuropa. Gli
stranieri ristanno meravigliati ed incantati dinanzi ai problemi che
loro dà a sciogliere la natura contraddittoria che forma il fondo
dell’anima tedesca (problemi sislcmizzati dall 'Hegel, messi in mu¬
sica dal Wagner). * Bonari o perfidi ». — Questo controsenso,
rispetto ad ogui altro popolo, è purtroppo di sovente giustificato
in Germania : si provi a vivere qualche tempo fra gli Svevi !
La pesantezza del dotto tedesco, la sua insulsaggine sodalo si
comporta spaventcvolmente bene con un interno acrobatismo, con
un ardimento leggiero, che hanno già incusso terrore a tutti gli
dei. Per dimostrare ad oculos Vani-ma tedesca, basta osservare il
gusto, Parte, i costumi tedeschi : quale indiflercnza villanesca pel
buon (/usto ! In qual modo sono tramescolate le cose nobili e lo
volgari! Quanto disordinata, eppur ricca è l’economia domestica di
quell’anima! Il tedesco trascina la propria anima: come fa di tutti
gli avvenimenti della vita. Li digerisce male, non finisce mai la sua
digestione : la profondità tedesca non è che una digestione stentata.
Ed allo stesso modo clic tutti gli ammalati abitudinari, tutti i
dispeptici amano le comodità, il tedesco ama la * sincerila * e
la « rettitudine > : quanto ò comodo l’esscr sinceri e retti! -
forse oggidì è il travestimento più felice c più pericoloso quello
di cui si compiaco il tedesco, la rettitudine fiduciosa, alla mano,
ohe mette le carte in tavola: ò la sua vera arte mefistofelica, con
la quale potrà andar molto lontano! Il tedesco si lascia andare e
ci guarda coi suoi buoni occhioni tedeschi azzurri e vuoti - e
subitamente all’estero lo si scambia colla sua veste di camera ! —
Intendevo dire : la profondità tedesca possa esser quello che si
voglia - mi sarà permesso di riderne così tra noi? - noi fac-
172 CAPITOLO OTTAVO

ciamo molto bone di tenerne alta anche in seguito l’apparenza


e quella parte che v'ha di buono o non dare in cambio la nostra
antica nomea di popolo profondo per l'energia prussiana, por i
frizzi e per l'arida sabbia di Berlino. Un popolo agisce molto
sagacemente, so si dà per profondo, inetto, bonario, onesto, ine¬
sperto: potrebbe darsi elio in ciò consista la sua profondità'. Tu¬
tine: bisogna far onore al proprio nomo — non si chiama per
nulla il popolo <• fruiscile » (1) il popolo dio inganna.

215.

Il buon tempo antico è sparito, con Mozart ù cessato l'ultimo


canto: — quanto siamo felici noi cito sentiamo parlare ancora il
suo rococò, che la sua buona società » il suo tenero sentimen¬
talismo, il suo amore infantile per il gusto chinese, por i ghiri¬
gori, che la cortesia del suo core, la sua brama del tenero, del-
1 innamorato, del danzante, del lacrimoso, della sua fedo nel cielo
meridionale possano far appello ad un antico rimasuglio in noi! Ah,
sopraggiungerà un tempo in cui tutto ciò sarà finito: — ma è l'uor
di dubbio, elio ancor prima avremo cessato di comprendere o
di gustare il Beethoven — il quale pure non fu clic l’ultima eco
d un passaggio, d'un interruzione di stile e non già, come Mozart,
l'eco d un gusto europeo durato da secoli. Beethoven è un inci¬
dente tra un'anima vecchia, tarlata, clic continuamente si spezza
e un’anima supergiovanile futura che continuamente arriva:
sulla sua musica si stendo la luco crepuscolare di perenni ri¬
nunzie e di rinascenti immense speranze —, la stessa luce che
inondava l'Europa quando sognò con Iiousseau, quando danzò
intorno all'albero della libertà della rivoluzione, e quando si pro¬
sternò quasi adorante dinanzi a Napoleone. Ma quanto presto
impallidisce proprio questo sentimento, quanto ù difficile oggidì
il conoscere da per sé stessi un tale sentimento — quanto suona
oggi strano ai nostri orecchi il linguaggio dei Rousseau, degli
Schiller, degli Shelley, dei Bijron nei quali il destino d’Europa

(1) Tedesco antico.- (iV. il. T.).


POPOLI K PATRIE 173

seppe trovare la via della parola, quello stesso destino che cantò
con Beethoven ! — Quello che di musica tedesca è venuto dipoi
appartiene al romanticismo, vale a dire ad un movimento, stori¬
camente calcolando, ancor più breve, più fugace, più superficiale
di quel grande intermezzo, che segua la transizione dell'Europa
del Rousseau a quella di Napoleone ed all'avvento della demo¬
crazia. Weber : ma che cosa significa oggidì per noi il Franco
Arciere e \’Oberali ? ! Oppure il Hans Ucilìun ed il Vampiro di
■Màtschncr ? ! Od anche il Tanniniuser di Wagner! E una musica
remota, per non dire dimenticata. Eppoì tutta la musica del ro¬
manticismo non era una musica sufficientemente aristocratica per
poter imporsi altrove clic non fosse in teatro o dinanzi alla mol¬
titudine; ora già per sò stessa una musica di secondo rango,
che tra i veri musicisti godeva poca considerazione, àia le cose
stanno ben diversamento riguardo a Felice Mendelssohn, l’alcio-
nico maestro che por la sua anima più leggera, più fina, più felice¬
mente dotata, fu rapidamente venerato ed altrettanto rapidamente
dimenticalo : egli rappresenta il leggiadro incidente della musica
tedesca. In quanto a Roberto Schuntann clic prendeva lo cose gra¬
vemente e sin da bel principio fu accolto gravemente egli stesso
— egli fu l’ultimo a fondare una scuola — : non ci sembra oggi
una fortuna, una liberazione, un sollievo come da un incubo,
l’aver superato il. romanticismo d’uno Schuntann ‘r Schiumimi,
rifuggente nella « Svizzera sassone della sua anima dotata di
un’indole che teneva del ìVcrlhcr e del Giampaolo, certamente
non del Beethoven o nemmeno del Bi/ron, — la sua musica del
Manfredi, è talmente dissonante dal soggetto, da rasentare il
delitto, — Schumann col suo gusto, che in fondo era un gusto
piccino (vale a dire d’una propensione pericolosa, c tra i Tedeschi
doppiamente pericolosa alla lirica silenziosa od all ubbriaca-
mento sentimentale) clic se ne stava sempre timidamente in di¬
sparte, traboccante di nobile tenerezza, festeggiente orgie di gaudi
e di dolori anonimi, più fanciulla che maschio, un noli me tannerò
sin dal suo principio : codosto Schumann non rappresento nella
musica che un avvenimento tedesco, non più un europeo, al pari
di Beethoven, o corno in maggior misura ancora, di Moxart —
174 CAPITOLO OTTAVO

con lui la musica tedesca fu minacciata dal maggiore dei peri¬


coli, quello di cessar d’esser {'espressione dell’ anima europea,
diventando una fantasticheria patriottica.

246.

Quale martirio sono i libri scritti in tedesco per chi possiede


il terzo orecchio ! Con qual dispetto sdegnoso egli scorrerà dello
sguardo il padulc lentamente trascinantesi di parole senza suono,
di ritmi senza danza, che presso i Tedeschi nomasi «libro»!
Eppoi il tedesco clic legge un libro! Quanto legge male, pigra¬
mente, contraggenio ! Quanti sono i tedeschi clic sanno, clic pro¬
tendono da sò stessi di sapere, che in ogni buona frase c’è
dell’arte, — dell’arte che richiede d’esser indovinata, quando si
voglia comprender la frase? Un malinteso nel «tempo», per
esempio, ed il senso della frase è perduto ! Che non sia lecito
esser in dubbio circa alle sillabo che decidono del ritmo, che lo
spezzamento d’ una simmetria troppo rigorosa debba esser sen¬
tito come una cosa voluta, come un' attrattiva, che ad ogni
« staccato », ad ogni « rubalo» si debba tender paziente l’orec¬
chio, che il senso debba esser avvertito per la successione delle
vocali e dei dittonghi, per la delicatezza e la ricchezza dei coloriti
ohe assumono mentre si susseguono? Chi, tra i tedeschi elio leg¬
gono, è fornito di bastante buona volontà da riconoscere in chi
leggo tali doveri c tali postulati, ed avvertire tutta l’arte c l’in¬
tenzione riposte nella lingua? In breve, si manca di «orecchio»
per tutto ciò : c così, passano inavvertiti i più robusti contrasti
dello stile, e gli artifizi più sublimi sono prodigati ai sordi. —
Questi pensieri mi s’ affacciarono allorquando m’accorsi quanto
goffamente ed ingenuamente si aveva scambiato tra loro due
maestri della prosa : l’uno, le cui parole stillano lente c fredde
come dalla volta d’una umida caverna — porche fa assegnamento
sul loro suono sordo e la loro risuonanza — con un altro, che ma¬
neggia la lingua al pari d’una spada flessibile o elio dal suo braccio
sino all’estremità del piede sente il fascino pericoloso della lama
tremante sopraffilata clic vuole mordere, fischiare, tagliare.
l'OI’OI.r K PATIHK 175

247.

Quanto poco lo stile tedesco abbia da fare col suono e coll'o¬


recchio, lo dimostra il fatto, che precisamente i migliori tra i
nostri musicisti scrivono male. 11 tedesco non legge ad alta voce,
per l’orecchio, ma solamente cogli occhi : quando legge, ripone
le sue orecchie nella busta degli occhiali.
L’uomo antico quando leggeva — ciò che avveniva molto di
rado — preleggeva a sé stesso, a voce alta; si faceva le meia-
viglie se uno leggeva in silenzio c se ne indagava i motivi. Ad
alta voce : ciò significa, con tutte Io alzate, le inflessioni, lo
variazioni di tuono, le alternazioni del « tempo, alle quali tro¬
vava diletto l'antico mondo pubblico. In allora le leggi dello stile
dello scrittore erano identiche a quelle dell’ oratore : c quelle
leggi dipendevano in gran parte dal meraviglioso sviluppo, dallo
raffinate esigenze dell’orecchio c dell’ugola, in parte dalla robu¬
stezza, durata c potenza del polmone antico. Un periodo, secondo
gli antichi, ò anzitutto un intiero fisiologico, ' in quanto clic
abbraccia un solo respiro. Dei periodi, quali ne troviamo in De¬
mostene, in Cicerone, due volte ascendenti, e duo volte ricadenti,
o tutto ciò nel limite d'un respiro, erano godimenti per gli an¬
tichi, che sapevano apprezzarne la virtù, la rarità c la difficoltà
por propria esperienza : - noi, moderni, pensando bene, non
abbiamo alcun diritto al periodo grandioso, noi, gente dal respiro
corto in tutti i sensi ! Gli antichi nell'arte oratoria emù dilet¬
tanti tutti senza eccezione, e per conseguenza conoscitori, e per
conseguenza critici - o con ciò ossi spingevano agli estremi ì
loro oratori : nella stessa guisa che nel secolo scorso, quando
tutti -li Italiani c le Italiane sapevano cantare, presso di loro
Parte del canto (e con lei l’arte della melodia) raggiunse l’apice.
Ma in Germania (sino ai tempi più recenti, in cui una specie
d’eloquenza tribunizia tentò le ali abbastanza timidamente e gof¬
famente) non vi fu che una sola specie d’eloquenza pubblica cd
àwrossiimtivamentc artistica : quella del pergamo. Solo il pre¬
dicatore in Germania conosceva il valore d’ una sillaba, d una
176
CAPITOLO OTTAVO

parola, sapeva quando una frase batte, salta, precinita ,


s esaurisce ; egli soltanto aveva della eosoienLt „el! 117'
molto spesso una coscienza cattiva : giacche non h'e’
motivi se il tedesco di rado, o quasi sempre *
giunge 1 eccellenza negarle oratoria ti . , 110 lardl ™g-
tedesca ò perciò, come si converrà, il capotavo PW8a
predicatore che si abbia avuto : la Bibbia è stata r ° §lancle
libro «T* '» — dona
può dirsi e letteratura » — Hna , res^°

(JenmnÌa' c clle non ha messo nè ZZ^TT^


cuori tedeschi come seppe fare la Bibbia. ' 1161

248.

Vi sono due specie di treni- i».„ln ,


vuole generare, l'altro elio » ’ C 16 a,,zi tllUo genera e
cosi fra i popoli genLii t “ ^ feCOndato e Perisce. E
'Jlema femminile della gravidanza TìT relil§'S'io jl P«>-
maturare, perfezionare - di questa s CÒ'Upìt° di formare-
purc i J5-a/2c^i_.gpalt . ‘peci° 111 ono 1 Grcci e così

la Causa (!i otiovi ordinamenti di vita * fG°0ndi,l'C) ad esser


mani o forse anche cIoixmnrTi . ~~ n° 1 Giudeii ' Eo-
d0sdli\ ~ Popoli dilaniati ed Ò^LiT m°(leSK 1 Tc~
uresistibilmente fuori dr-1 loro ■ '* J"n°to c spinti
s‘™ic* (di tali, oioà ól,” si 0 «¥« <H L.
ttUtad d'impero comctr '.fCCOndan‘)> «I in pari
rantc la (orza c|,0 , fecondn " Cl" ,:,K sente i„ sò esube-
specic di goni si Kmm% ^ ' *f*“ (li »*>». Oneste duo
uou sanno intendersi fra (jj iom l&° U°. cerca femmina, ma
e femmina. " Como ciò eviene tra maschio

249.

°°ni I,0poio possiede una •


la sua « virtù ». — QVi ri io a !°a SUa l)roPria> che chiama
— - * si può conoscerei W TO?"'° h - si co-
177
POPOLI E PATRIE

250.

01,o cosa l’Europa debba agli Ebrei? - Molte cose, buone e


cattive, ed anzitutto una cosa die tiene del meglio e del peggi»
2 possa darsi, lo dUe grandioso della morale, a te™* e
K maestà di postulati immensi, d’infiniti sanificati, tutta
" e la sublimità dei problemi mordi-opercons^a
,, più interessante, imbarazzante o ricercata di quel cale d -
Jcopio db seduzioni alla vita, elio irradia dei suo, ultimi bagliori
a cielo - il tramouto, tome, della nostra civiltà europea. >.o
ÌZ la gli spettatori ed i filosofi oi sentiamo nconoseentt

C:ò — agli Ebrei.

251.

È una cosa da

biziooe P—,»"
perturbazione, se ha, dieraì so„o colti talora dalla
—<•’ COS, ad ««*» • „ dMantìvo-
demenza antifi (incese, > dalla wagneriana, dalla teu-
^rzr^XisLdistorid,^

e MM» - l ardoni so auch'l dopo


cpù-ito c della su ter',torio molto infetto, non
un breve ma pericoloso g» ^ hQ incominciato, come
fui del tutto risparmia o ( a ■° ^ n0Q m> interessavano

^ gH tmoTtomo dell’infezione politica. Por esempio


minimamente, P1 ra,. _ Kon mi sono ma,
* P^10 dt!,„ WcU cui gli Ebrei fossero stati simpatici :
imbattuto m alcun | „ Panl&mitismo pro-

brr: ,r-tesi,ma*nto
178 CAPITOLO OTTAVO

contro la sua pericolosa smoderatezza e precisamente contro il


modo disgustoso c vergognoso con cui un tale sentimento si ma¬
nifesta — su ciò non è lecito ingannarsi.
Che la Germania abbia degli Ebrei a snflìcìcnxa, che lo sto¬
maco, il sangue tedesco stenti (e stenterà a lungo) a digerire
anche la quantità dbEbrei di cui è attualmente provvisto — come
Tiranno digià latto gli Italiani, i Francesi, gli Inglesi, in grazia
della loro digestione più robusta —: ecco quanto ci dice chiara¬
mente la voce dell’ istinto universale, della quale è giuocoforza
tener conto. « Non si permetta l’ingresso in Germania ad altri
Ebrei! E, si chiudano gli accessi principalmente alTOricnto (cd
anche dalla parto dell’Austria) ! <> (l). Questo esige l’istinto d’un po¬
polo, la cui indole è ancor debole c non peranco determinata, per cui
facilmente potrebbe venir assorbita, cancellata da una razza più
robusta, ila gli Kitrei sono senza contestazione la razza più vi¬
gorosa, più tenace c più genuina che viva in Europa’, essi sanno
farsi strada anche tra lo peggiori condizioni (e l'orso molto meglio
che in condizioni favorevoli), e ciò in merito a taluno virtù, clic
oggidì si vorrebbe gabellare per vizi, — in merito, anzitutto,
d’una fedo risoluta, clic non lui bisogno di vergognarsi dinanzi
allo « idee moderne .>: essi si mutano, quando c se si mutano,
sempre nello stesso modo con cui l’impero russo — impero che
ha tempo c clic non data da ieri — allarga Io sue conquiste:
vale a dire secondo la massima: il più lentamente possibile! »
Un pensatore, che avesse sulla coscienza l'avvenire dell’Europa,
in tutti i suoi progetti riguardanti un tale avvenire dovrà far
conto , cogli Ebrei come coi lltissi, ambidue i fattori più sictir,-
o probabili nella grande gara, nella grande lotta delle forze.
Ciò che in oggi in Europa difesi « naziono » e elio è piut¬
tosto una « rcs fuchi s anziché nata (e clic rassomiglia anzi ma¬
ledettamente ad una res fida ri piota) è in ogni modo qualcosa
clic sta formandosi, una cosa giovane, facile ad essere spostata,
ma non ancora una razza, o meno ancora qualche cosa di aere pe¬

li) Oestcrrcich, Oslreich. significa letteralmente < Impero d’Orionto >.


(N.d.T.).
POPOLI E FATUIK 179

rcnnius, come souo gli Ebrei: codeste nazioni dovrebbero guar¬


darsi : bene da ogni concorrenza sventata, da ogni ostilità tui di
loro ! Che gli Ebrei, se volessero o se vi fossero costretti — come
sembrano volervcli costringere gli Antisemiti jiotrcbbcio a\ eie il
predominio, anzi letteralmente il dominio, in Europa, è indubitato:
così pure che ossi non ambiscono un tale dominio. Per ora essi
domandano e desiderano, anche con una certa insistenza, d’essere
assorbiti dall’Europa, hanno sete d’aver una dimora stabile, d esser
tollerati, rispettati in qualche parte, di metter fine alla loro vita
nomade, all’ c ebreo errante > ; e bisognerebbe prender in seria
considerazione un tale desiderio, una tale tendenza (elio signifi¬
cano da per sè un raddolcimcnto degli istinti ebraici), anzi andar
incontro ai medesimi-, ma per poter lar ciò, sarebbe forse oppor¬
tuno d’allontanare prima di tutto dal paese gli strilloni antise¬
mitici. Si dovrebbe venir incontro agli Ebrei con tutte le pre¬
cauzioni immaginabili, con un certo spirito di selezione, aU’incirca
come ha fatto la nobiltà inglese. È ovvio, clic senza alcuna tema
i tipi pili vigorosi c più saldi del ncogermanisnio potrebbero
entrar in relaziono secoloro, per esempio l’ufficiale nobile della
Marca- sarebbe di grande interesso lo studiare l’incrociamcnto
dell’elemento destinalo por atavismo al comando ed all’obbe¬
dienza - in ambedue cose il suddetto paese può servire di
modello classico - col genio del danaro c della pazienza (che
■umorterebbo anche un poco di spiritualità, della quale ta ino to
difetto nel paese summenzionato). Ma qui si conviene che io
tronchi la mia gioconda divagazione patriottica, o che ritorni alla
mia serietà al « problema europeo » corn’ io l’intendo, vaio dire
2 ffir^oue della nuova casta che dovrà regnare nell’Europa.

252.

Kon sono una razza filosofica - cedesti inglesi! I]aconc^


fica un attentato contro lo spirito filosofico in generale, lloUes
Humc e Locke un avvilimento ed un deprezzamento per oltre
Z del concetto « filosofo ». Contro Vilume sorse Kant, del
tocke, Schelling potò dire: ^c nuiprise Locke >; nella lotta conno
-qq CAPITOLO OTTAVO

l’incretinamento anglo-meccanistico del mondo, Hegel e.Scho¬


penhauer (con Goethe), nemici tra di loro come due fratelli sia¬
mesi della filosofia, erano concordi, quantunque tendessero ai
poli opposti dello spirito tedesco e tacessero torto l’uno all’altro
come ciò succedo di spesso’Ira fratelli. - Ciò che fa difetto
all’ Inghilterra, e di cui ha sempre difettato, quel semi-comme¬
diante e retore, l’insulso confusionario Cariale lo sapeva benis¬
simo, allorquando s’industriava di nascondere sotto delle smorfie
appassionate tutto quello elio, sapeva mancare,li - vale a dire
la vera potenza dell’intellettualità, la vera profondila dello
sguardo spirituale, in breve la filosofia.
Ciò che distingue una simile razza non filosofica si ò l’attacca¬
mento rigoroso al Cristianesimo: essa ha bisogno della sua disci¬
plina perla « moralizzazione e Y umanizzazione ». L’inglese, più
tetro, più sensuale, più forte di volontà c più brutale del tedesco
— è.appunto perciò, essendo l’inferiore dei due, anche più pio
del. tedesco: appunto perciò il Cristianesimo gli è maggiormente

necessario.
Per chi possiede un olfato delicato codesto Cristianesimo in¬
glese sente ancora lo spleen o lo stravizio alcoolico, contio i
quali per certe buone ragioni esso deve servire di contravveleno,
—r vale a dire il veleno più fine contro il grossolano : difatti un
avvelenamento raffinato significa digià un progresso, un passo
verso l’intellettualità in un popolo rozzo. La golìàggiue inglese e la
gravità contadinesca sotto la maschera della mimica cristiana, della
preghiera, del salmodiare sono rose in certo modo sopportabili,
vale a diro comportano un’iutcrpctrazione favorevole: c per quel
branco di bruti ubbriachi c dissoluti, che, come nei tempi pas¬
sati col mctodismo, ora si sentono nuovamente grugnire coll’«
mata della salute » può darsi realmente clic i crampi penitenziali
rappresentino il massimo d'i umanesimo» che possa esser rag¬
giunto: si può far loro questa concessione. Quello però che ci of¬
fende anche ncU’inglese più umanizzato ò la sua totale mancanza di
sentimento musicale, parlando metaforicamente (od anche senza
metafora). Ai movimenti della sua anima ed anche del corpo
manca il ritmo del « tempo » e della danza, manca persino >1
POPOLI E PATRIE 181
desiderio d’uu tale ritmo, della « musica ». Statelo a sentire quando
parla: si osservi il modo di camminare delle più graziose iugle-
sine — non v’ha al mondo delle colombe, dei cigni più belli di loro,
— ebbene, ascoltate il loro canto ! Ma io pretendo troppe cose.

253.

Corte verità, le teste mediocri le percepiscono per le primo,


perchè più conformi alla loro intelligenza, c non hanno attrattive
o seduzioni che per gli spiriti mediocri. — Si ò indotti a con¬
statare questo fatto per sè stesso poco confortante precisamente
adesso che lo spirito di alcuni inglesi rispettabilissimi, ma di me¬
diocre intelligenza — nominerò Darwin, John Stuart Miti ed
nerbai Spencer — nella media del gusto europeo sembra eser¬
citare una certa influenza preponderante.
Infatti, chi potrebbe dubitare' che non sia utile il sorgere ad
intervalli di simili spiriti? Sarebbe un errore il ritenere che
precisamente gli spiriti superiori, i quali tentano sentieri inacces¬
sibili agli altri, possiedano sufficiente abilità per constatare molti
piccoli fatti volgari, per raccoglierli, per trarne delle conclusioni:
_ all’opposto, rappresentando essi l’eccezione, da bel principio
si trovano in una posizione poco l'elice di fronte alle « regole ».
Eppoi essi hanno da tare ben altro, clic conoscere solamente -
essi devono essere, significare qualche cosa di nuovo, rappresen¬
tare dei valori nuovi! L’abisso che separa il sapere dal potere
è forse più profondo ed anche più sinistro di quanto si creda:
chi si sente di potere, in uno stilo grandioso, clu ha lo spi¬
rito che crea potrà, forse dovrà essere un ignorante, — mentio
le scoperte scientifiche alla Darwin esigono una córta ristrettezza
di vedute, una certa aridità dello spirito, una certa pedanteria,
molto conformi all’indole inglese. - Non si dimentichi infine
che digià una vòlta gl 'Inglesi, grazie alla loro profonda medio¬
crità, hanno-cagionato una depressione gonorale dello spinto
europèo: le cosidette « idee moderne », oppure « idee del secolo
deci'niottavo V od anche < idee francesi» — vale a dire tutto ciò
contro cui lo'spirito tedesco s’è ribellato con un senso di'profonda
CAPITOLO OTTAVO

L;ea _ sono d’origine inglese, non . lecito il dubitarne. 1 Fran-


„0n hanno fatto altro che sciraiottare o mettere ,n scena quelle
Z nelle stesso modo che ne furono i nugbor. d.fcnson e d.sgr-a-
Unente anche lo prime e le più complete v.ttnuo: .lappo,che
^servizio della malefica anglomania dello « nlcc morto* . 1 «•
rZaisc ha finito per assotiigliarsi e logorars, al punto da non
esser più riconoscibile per chiunque serbi d ricoido della sua
mia forza appassionata e profonda, della sua diet,unione inge¬
ssa infine dei suoi secoli deoimosesto e deoimosottnno. Ma co¬
munque sia, bisogna aver sempre presente questo comandamento
doli-equità storica; che la nobiltà europea, quella del sentimento,
del gusto, dei costumi, la nobiltà infine nel suo più alto s.gm-
Scato - à opera e creazione francese-, in volgarità cuiopea, i
plebeismo delle idee moderne ò invenzione inglese.

254.

Oggi ancora la Francia ò la sede della coltura più intellet-


tuale°e più raffinata d’Europa e l’alta scuola del buon gusto: ma
bisogna saper trovarla questa « Francia del buon gusto ». Clu c e a
medesima fa partesi tiene gelosamente nascosto: — essa non saia
composta che d’un picclol numero di persone, forse non troppo
salde sulle loro gambo, per la più gran parto di fatalisti, di mi¬
santropi, d’ammalati, in parte anche d’ciìcminati, di iaffina^,
d’invidiosi, che vanno superbi di nascondersi. Ma una comi ò o
comune: si tengono ben turate lo orecchie pe,r non udii e le solenti
sciocchezze ed il Vociare chiassoso del boiirgeois democratico,
fatti, quella che s’agita sul davanti della scena è una F>anc^\
riminchionita e grossolana, — recentemente, in occasiono
funerali di Victor Hugo, essa s’è Sfogata in una vera orgia ti
cattivo gusto o di autoglorificozione. Anche qualcosa d alt
loro comune: la buona volontà d’opporsi alla gei
spirituale— e più ancojra un’assoluta incapacità di jaggiuio^
questo fine ! Forse a quest’ora nella Francia dolio spirito,
è anche quella.del.pessimismi}, Schopenhauer ù più con.oscm ^
di quanto lo sia mai stato in Qerinama\ non parliamo d An J
POPOLI E PATRIE 183
Ileine, che si ò trasfuso nel sangue ilei lirici più raffinati e
pretenziosi dell’odierna Parigi, oppure dell’Hegel, il quale sotto
le spoglie del Taii/e — del più grande storico vivente — eser¬
cita un’ influenza tirannica. E per quanto concerne Riccardo
Wagner: più la musica francese imparerà ad uniformarsi ai reali
bisogni dell’ « dine moderne e più diverrà vagneriana, è lecito
predirlo — lo è digià adesso abbondantemente !
Eppure tre coso ancora possono i Francesi vantare orgoglio¬
samente quale loro retaggio ed indiscussa proprietà, quale ca¬
ratteristica incancellabile d’una superiorità di coltura sul resto
dell’ Europa, ad onta della volontaria od involontaria germanizza¬
zione e plebcizzazione del gusto : in primo luogo la loro disposi¬
ziono allo passioni artistiche, ('adorazione della « forma », per la
quale fu croata, tra mille altre, l’espressione « Vari polir Vari » :
di ciò non fece difetto alla Francia da tre secoli in poi, cd ancor
sempre, grazie al rispetto clic si professa pel « numero minore », ò
possibile in Francia una specie di « musica di camera » della let¬
teratura, ciò clic non si riscontra in alcuna altra parte d’Europa-
La seconda prerogativa dei Francesi, che conferisce loro la
superiorità in Europa, è la loro antica c molteplice coltura mo¬
ralistica clic fa sì, clic in media persino nei piccoli « romancia-* »
dei giornali c nei c boulevardiers de Paris => d’occasione s. ri¬
scontra una sensibilità cd una curiosità psicologiche, di cui non
s’ha l’idea in Germania (o meno ancora un riscontro !). Fer ar¬
rivare a ciò mancano ai Tedeschi un paio di secoli di lavoro
moralistico, clic la Frància non ha risparmiato a sò stessa: clu
per tal ragiono chiamerà ingenui i Tedeschi, muterà in lodo ciò
che è un loro difetto (quale contrapposto deirinespcricnza, dell’in¬
genuità tedesca ih holuptate psgcl,alogica, che hanno un’affinità
non molto lontana colla noiosità della conversazione tedesca - o
quale espressione la più riuscita della vera curiosità dell’immagi¬
nazione francese per codesto regno di brividi delicati serva d c-
sompio Arrigo Regie, quel singolare precursore, il quale con un
« tempo » proprio napoleonico attraversò la sua Europa e percorso
molti secoli deH’anima europea, quale un investigatore e scopritore
della medesima; - ci fu bisogno di due generazioni, per poterlo
CAPITOr.O OTTAVO
184
raggiungere in qualche modo, per rimeditare alcuni dei problemi,
che tormentavano ed estasiavano quel ernioso opicuico iito di
punti interrogativi, che fu l’ultimo grande psicologo francese). Ma
la Francia vanta ancora un terzo titolo di superiorità: nell’in¬
dole francese si riscontra una sintesi sufficientemente riuscita del
nord e del sud, la quale permette ai Francesi di comprendere e
di fare molte cose, che un inglese non potrebbe: il loro tempera¬
mento, che periodicamente si rivolge al sud e so ne allontana, c nel
quale di tratto in tratto trabocca il sangue provenzale e ligure,
li preserva dall’orribile grigio nordico, dallo fantasticherie, dalle
anemie dei paesi senza sole — dalla nostra malattia germanica
del gusto, contro la cui eccessività momentaneamente con grande
risolutezza si ò proscritto il sangue ed il ferro, intendo dire, la
c grande politica » (a similitudine d’una terapeutica pericolosa
che m’insegna a pazientare, ma non mi permette di sperare).
Oggi ancora in Francia si vione incontro, con un vago desiderio
di comprenderli, a quegli uomini rari, di difficile accontentatimi,
di vedute troppo larghe, per poter trovare il loro soddisfacimento
nei limiti angusti dei sentimenti ultra-patriottici, elio sanno amare
il sud nel nord, e il nord nel sud,— insomma ai « buoni Eu¬
ropei », agli Europei dell’avvenire.
Per essi fu scritta la musica del « Bixct », di quest’ ultimo
genio che ha intraveduto nuove bellezze e nuove seduzioni — e
che ha scoperto un lembo del « sud della musica ».

255.

Contro la musica tedesca ritengo necessarie alcune precauzioni.


Supposto che uno ami il sud come io l’amo, quale una grande
scuola di risanamento, tanto spirituale quanto sensuale, quale
un’immensa orgia di luce, nella quale può espandersi un essere
pieno della sua indipendenza e della fedo iu sè stesso : ebbene,
costui dovrà guardarsi dalla musica tedesca, perchè riguastau-
dogli il gusto, essa gli • riguasterà in pari tempo la salute. Il
meridionale, non per la nascita, ma per la fede, quando sogna
un avvenire della musica, deve in pari tempo sognare la sua
rOPOl.I E PATRIE 185
redenzione dalla musica del nord o sentir nell’orecchio i preludi
d’una musica più profonda, più potente forse, più maligna c mi¬
steriosa, d’una musica suportedesca la quale all’aspetto del maro
voluttuosamente azzurro e del sole meridionale non sdilinquisce,
non ingiallisce, non impallidisce, come ciò avviene per tutta la
musica tedesca; d’una musica suporeuropea, capace di resistere
anello agli infocati tramonti dei deserti africani, la cui anima sia
affine alla palma, e che si senta in casa propria in mezzo alle
possenti e belle belve feroci e solitario. — 11 mio ideale sarebbe
una musica, il cui maggior fascino consistesse nell'ignoranza del
bone o del male, una musica, resa tremola tutt’al più da qualche
nostalgia di marinaio, da qualche ombra dorata, da qualche tenera
rimembranza; un’arte, elio assorbisse in sò stessa, da una grande
distanza, tutti i colori d’un mondo morale che tramonta, d un
mondo divenuto quasi incomprcnsibile e la quale fosso ospitale
e profonda abbastanza per accogliere in sò i tardi fuggiaschi.

250.

Grazio alla morbosa avversione, che il delirio del nazionalismo


ha suscitato tra i popoli d’Europa, c mantiene viva oggi ancora;
grazie ai politici dalla vista corta o dalla mano troppo ratta, i
quali por virtù d’una tale avversione sono in auge e non pre¬
sentono nemmeno come la politica dissolvente da essi proferita non
possa essere che una politica da intermezzo - grazio a tutto ciò
ed a qualcosa d’altro che oggidì non si può esprimere, si trascu¬
rano o s’interpotrano arbitrariamente e bugiardamente gl >»< ìzi ì
più sicuri della volontà tPtmfieaztono dell’Europa lutto il la¬
vorìo segreto dell’anima degli uomini più profondi o d, arg e
vedute tendeva a preparare una simile sintesi, o di lai e 0
esperimenti coll’Europeo dell’avvenire: soltanto in apparenza
oppure nelle ore deboli o nella vecchiaia, essi parteggiaiouo pe
principio della «nazionalità,, - e si riposavano di loro stessi,
diventando «patrioti*. 11 mio pensiero licore agli uomini che
avevau nome Napoleone, Goethe, Beethoven, Stendhal, Arrigo
Ileinc, Schopenhauer. Non mi si mova rimprovero se a quest,
186 CAPITOLO OTTAVO

nomi aggiungo anche quello di Riccardo Wagner, sul conto del


quale non bisogna lasciarsi indurre a formarsi un ialso concetto
sulla base dei suoi propri malintesi — geni della sua specie hanno
raramente il diritto d’intendere sè stessi. Ancor meno si deve
far qualche conto del chiasso triviale che si fa in Francia
contro di lui: — ò un fatto cionondimeno incontrastabile che
tra la neoromantica francese di cinquantanni la e Ficcai do
Wagner esiste un’intima affinità. In tutte le altezze ed in tutto le
profondità dei bisogni intellettuali quegli uomini grandi sono
strettamente e intimamente affini: l’Europa, l’Europa una,
l’anima europea tendono, mercè la loro arte molteplice ed impe¬
tuosa, ad elevarsi ed aspirano — a che cosa? Ad una nuova luce?
Ad un nuovo sole ? !J[a chi mai saprebbe esprimerò con chia¬
rezza quello che codesti maestri, inventori di nuovi linguaggi
non seppero chiaramente esprimere? Una cosa è certa, che
cioè tutti erano travagliati dalle medesime tempeste, che tutti
cercavano allo stesso modo, codesti ultimi tra i grandi cer¬
catori ! Tutti insieme dominati completamente dalla letteratura
— essi, i primi artisti che possedessero una coltura mondiale -•
per la maggior parte essi stessi scrittori, poeti, rivelatori ed amal¬
gamatoli dolle arti e dei sensi ( Wagner quale musicista va classi¬
ficato tra i pittori, quale poeta tra i musicisti, quale artista in
generale tra i grandi attori) ; tutti insieme fanatici dell’cspressioHC
« ad ogni costo » — rileverò soltanto il Dclacroix, il cui spi¬
rito ha maggioi1 affinità col Wagner — tutti insieme grandi
scopritori nel regno del sublime, anche del brutto e dell’orribile,
scopritori anche maggiori negli effetti, nella messa in scena, nel¬
l’arte dell’esposizione, tutti insieme ingegni di gran lunga superiori
al loro genio — virtuosi, perfetti, sinistramente accessibili a tutto
ciò che seduce, attrae, costringe, rovescia ; nemici giurati della
logica e delle linee rette ; avidi di tutto ciò che sa d’estraneo,
d’esotico, di mostruoso, di contorto, di contraddittorio, Tantali
della volontà, plebei arrivati, i quali nel vivere e nel creare
erano incapaci d’un « tempo » aristocratico, d’un « lento » — si
pensi a Balxac — lavoratori sfrenati, che col lavoro rischiavano
di distrugger sò stessi, autonomisti e ribelli nei costumi, ambiziosi
POPOLI E PATRIE 187
od insaziabili senza equilibrio e senza godimento; ma tutti in¬
sieme curvantisi dinanzi alla croce cristiana (e ciò fu inevitabile,
perchè chi mai di loro sarebbe stato sufficientemente profondo ed
originale per concepire nna filosofìa dell’vlnf/em/o?), in complesso
una specie d’uomini superiori, temerariamente audaci, stupen¬
damente violenti, il cui volo d’aquila seco trascinava gli altri, i
quali al proprio secolo — che è il secolo delle masse — appresero
il concetto dell’ «uomo superiore». — Vogliano gli amici
tedeschi di Wagner esaminare coscienziosamente se nell’arte
ivagncriana ci sia qualche cosa di puramente tedesco o so il suo
vanto non sia precisamente quello d’essersi ispirata a dello fonti
supertedesche: e nel far ciò non trascurino il fatto, che al perfe¬
zionamento del suo tipo fu indispensabile Parigi, verso la (piale
nel momento più decisivo lo chiamava imperiosamente la profondità
dei suoi istinti ; che tutta la sua maniera di darsi,' il suo auto¬
apostolato, non poterono perfezionarsi che sul modello del socia¬
lismo francese. Forse si troverà ad un raffronto meno superficiale,
_ e ciò ridonda ad onore dell’indole tedesca del Wagner - come
egli si sia dimostrato più vigoroso, audace, elevato e meno scru¬
poloso di quanto potesse esserlo un francese del secolo decimonono
- e ciò per merito del fatto,'clic noi tedeschi siamo più prossimi
alla barbarie ohe non lo siano i francesi. - Forse quello clic
Wa-oer ha creato eli più singolare resterà per sempre, o non
solo° oggi, inaccessibile, inoomprensibUe, immutabile per tutta a
rem latina: la figura di Siegfried, di codest’ucmo mollo Ubero,
il quale invero £ troppo libero, troppo «.de, troppo giocondo,
troppo sano, troppo mUeatUUeo por il gusto di popoli che vantano
nna civiltà antica c macera. Potrà and significare una contrnv-
venttioue alla romantica, codesto SS#** ebbene, Wagne,ha
espiato a sufficienza tale suo peccato, quando a, suo,
- sacrificando ad un gusto che frattanto era divenuto ^ “
con 1» sua abitualo veemenza religiosa incornateti,, se non „d m ta-
prendere, por lo meno n predicare il pellegrwogg.o a Ho ma.
Capitolo Nono

Che cosa è aristocratico?


257.

Ogni elevazione novella del tipo « uomo » 6 stata sin qui


l’opera d’una società aristocratica, — o cosi sempre sarà: vale
a dire che sarà sempre inevitabilmente dovuta ad una società
che ha fedo nella necessità d’una lunga scala gerarchica c d’una
profonda differenziazione del valore da uomo ad uomo c che
per raggiungere il suo scopo non saprebbe fare a meno della
schiavitù sotto una forma o l’altra. Senza il « jmtos » della di¬
stanza che nasco dall’incarnata differenza di classe, dal costante
guardare intorno a sò c sotto di se della classe dominante sui
propri soggetti ed istrumenti, e dal suo costante esercizio nel-
l’obbedire e nel comandare, nel tenere altri oppressi e lontani,
non sarebbe nemmeno possibile l’altro misterioso «patos», il de¬
siderio di sempre nuovi ampliamenti delle distanze entro l’anima
stessa, lo sviluppo di stati sempre più elevati, più vari, lontani,
più larghi, tendenti ad altezze ignorate, in breve l’elevazione
del tipo « uomo », l’incessante trionfo dell'uomo su se stesso
per adoperare in senso supormoralo una forinola morale. Sicuro :
non bisogna farsi illusioni umanitarie intorno allo origini d’una
società aristocratica (dunque della base dell’elevazione del tipo
« uomo *): la verità è dura. Diciamolo senza ambagi, come
abbia cominciato sinora sulla terra ogni civiltà più elevata!
DcHi uomini d’una natura ancor naturalmente primitiva, dei
barbari nel più terribile senso della parola, degli uomini di ra¬
pina ancora in possesso d’un’indomita forza di volontà ed assetati
dal desiderio di dominare si precipitano sulle razze piu deboli,
più costumate, che s’occupavano forse dei commerci o della pa-
192 CAPITOLO NONO

storizia, oppure su altre colture più fracide, che mandavano gli


ultimi guizzi di vita in splendidi razzi dello spirito e della corru¬
zione. La casta aristocratica fu nei primordi sempre la barbara :
la sua preponderanza è da ricercarsi nou nella forza fisica, bensì
in quella dell’animo, — erano gli uomini più completi (ciò che
dovunque significa anche « le bestie più complete »).

258.

La corruzione, indizio manifesto che tra gli istinti minaccia


l’anarchia, c che l’oditizio fondamentale delle emozioni che
si chiama « vita » ò scosso : la corruzione, a seconda dell’or¬
ganismo in cui si manifesta, è qualche cosa di fondamental¬
mente diverso. Se, per esempio, un’aristocrazia, come quella di
Francia al principio della rivoluzione, con una uausea sublime
rinunzia ai suoi privilegi, o sacrifica sò stessa ad un’ esagera¬
zione del suo senso morale, ebbene, questa ò corruzione*, —
ò l’ultimo atto d’una corruzione secolare, merco la quale di passo
in passo essa rimmziò allo sue prerogative padronali o si ab¬
bassò allo sole funzioni regie (per avvilirsi alla fine sino ad essere
l’ornamento e la pompa della corte). L’essenziale in una buona
e sana aristocrazia si è però, clic essa non senta sò stessa
quale funzione, sia di un re o d’ una comunità, bensì quale
intimo significato c quale più alta giustificazione dei mede¬
simi, — e clic accolga perciò in buona coscienza il sacrifizio
d’innumerevoli individui, i quali per essa devono ridursi ad
essere uomini incompleti, schiavi, strumenti. 11 suo credo fon¬
damentale deve compendiarsi in ciò, che la società non debba
esisterò per la società stessa, bensì unicamente quale baso, quale
impalcatura, per servirò di sostegno, di mezzo d’elevazione ad una
specie eletta d’esseri perdio possano raggiungere i loro alti com¬
piti cd in generalo un'esisleu'xa più elevata : al pari delle liane
assetate di sole che trovatisi nell’isola di Giara — le Sipo Ma¬
tador — o che s’abbarbicano alla quercia por innalzarsi al disopra
della medesima o per spiegare alla splendida luce del sole la
pompa dei loro fiori ed esporre così al mondo la loro felicità.
CHK COSA K ARISTOCRATICO m

259.

L’astenersi reciprocamente da ogni offesa, dalla violenza, dallo


sfruttamento, equiparare la propria volontà a quella d’un altro :
ciò può diventare in un certo senso grossolano, una buona usanza
tra singoli individui, quando si premettano certe condizioni (vale
a dire una reale simiglianza di quantità di forze e di misuro di
valore, nonché la pertinenza di tali individui ad una singola corpo-
razione). Ma se si volesse spiugere più oltre questo principio e consi¬
derarlo persino quale principio fondamentale della società., esso si
rivelerebbe subito per quello che ò realmente: quale volontà della
negazione della vita, quale principio di dissoluzione e di decadenza.
Qui conviene andare sino a fondo col pensiero o metter da
parte ogni sentimentalismo : la vita è essenzialmente uu àppio-
priaziouo, una violazione, un assoggettamento di tutto ciò che
è estraneo e debole, significa oppressione, rigore, imposizione
delle proprie forme, assimilazione, o per lo meno nelia sua forma
più mite, uno sfruttamento, — ma perché poi dovremmo sempre
fai- uso di cotali parole, cui dai tempi più remoti è insita uua
intenzione calunniosa ?
Anche una corporazione, nella quale, come più sopra accen¬
nammo, i singoli si trattano da pari — (ciò avviene in ogni aristo¬
crazia sana) - deve, qualora rappresenti un corpo vivo e non un
corpo moribondo, faro nei propri rapporti cogli altri corpi tutto
ciò da cui sono costretti astenersi i siugoli suoi componenti nei
loro rapporti reciproci : essa dovrà essere l’incarnata volontà della,
dominazione, vorrà crescere, dilatarsi, attirare a sè, acquistare
un predominio, - non già per forza della moralità o dell’im-
moralità, bensì unicamente perchè « vivo » o perchè la vita e
la volontà di dominare.
Ma in nessun punto più di questo la coscienza degli europei
È generalmente più restìa ad ogni suggerimento : si vaneggia do¬
vunque, persino sotto travestimenti scientifici, d’uno stato sociale
venturo che sarà privo del « carattere dello sfruttamento » -,-
ciò suona alle mie orecchie, come so qualcuno promettesse d’m-

Nietzsche — A( di I.i ilei bene e del male. — 13.


CAPITOLO NONO
194
ventare una vita, che dovesse astenersi dalle funzioni organiche. Lo
« sfruttamento » non è già l’indizio, il caiaitcìo di una società
corrotta od imperfetta c primitiva: esso è parte intima dell’es¬
senza di tutto ciò che vive, perchè ne è una funzione organica,
una conseguenza della vera volontà di dominare, che poi non
è altro che la volontà di vivere. — Ammetto che quale teoria
ciò possa essere una cosa nuova, — in realtà essa è il fallo
sostanziale primitivo cV ogni stona : s’abbia almeno in ciò il co¬
raggio di esser sinceri verso sè stessi !

260.

Nel mio pellegrinaggio attraverso le morali più raffinato o più


grossolane, che hanno regnato o ancora regnano quaggiù, ho con¬
statato la ripetizione o la connessione di certi tratti caratteristici,
di modo che sono giunto a scoprire duo tipi fondamentali ed una
differenza fondameutale. V’ha la morato dei padroni o quella degli
schiavi: — soggiungerò subito, che nelle colture più olovate ed
incrociate si riscontrano dei tentativi di conciliamonto tra lo due
morali, più spesso ancora una confusione delle medesimo, frutto
di reciproci malintesi, e talvolta la coesistenza dell’una accanto
all’altra — ciò si riscontra anche in singoli individui, entro un’a¬
nima sola.
Le distinzioni morali dei valori ebbero origine sotto una classe
dominante la quale ora conscia, con un sentimento d’intima soddi¬
sfazione, della propria superiorità sulla classo dominata — oppure
tra i dominati, gli schiavi ed i dipendenti d’ogni grado. Nel primo
caso, quando cioè i dominatori devono determinare il concetto
« buono », gli stati superbamente elevati dell’anima saranno deci¬
sivi nel determinare i titoli di distinzione, nel classificarli. L’uomo
aristocratico tiene lontani da sò gli esseri, nei quali si manife¬
stano certi stati opposti dell’anima, egli li disprezza. Si osservi
subito, che in questo primo genere di morale « buono » e « cat¬
tivo » significa unicamente « aristocratico » e « spregevole »
— i contrapposti « bene » e « male » hanno un’altra origine.
Si dispregia il vigliacco, il pauroso, il pedante, colui clic non
cnn cosa f: atustociutico 105
pensa che al proprio immediato vantaggio ; così pure il diffidente,
il cui sguardo uon è da uomo libero, quegli che si umilia, la
specie c cane » nell’uomo, che subisce qualsiasi maltrattamento,
l’adulatore che mendica un’elemosina, c tra tutti il bugiardo: —
è una credenza fondamentale di tutti gli aristocratici, che il
popolo basso sia mendace.
« Noi veritieri » — nomavano se stessi gli ottimati della Grecia
antica. È chiavo elio le indicazioni dei valori morali furono dap¬
prima applicate agli uomini ed appena per derivazione alle azioni
umane: per cui commettono un errore grossolano quelli storici-
moralisti, che partono da certe interrogazioni, come, ad esempio :
« perchè l’atto pietoso è stato lodato ? a La specie aristocratica
dell’uomo sento sè stessa quale detenninatrice dei valori, essa
non sente il bisogno di esser approvata, lodata; essa giudica
« quello che nuoce a me, è nocivo per sè stesso »; essa sente di
osser quella che conferisco pregio alle coso, che crea i valori.
Essa apprezza tutto ciò che di sè stessa conosce ; è la morale
dell’ esaltazione di sè stessi. Predominano quasi traboccando i
sentimenti di prosperità, di potenza, la felicità dell alta tensione,
la coscienza d’uua ricchezza, elio vorrebbe beneficare e darsi in
dono; _ anche l’uomo aristocratico soccorro a chi è sfortunato,
ma non già, od almeno non sempre per compassione, ma bensì
per uno stimolo clic gli viene dall’eccesso della sua potenza.
L’uomo aristocratico rispetta in sè stesso il potente, come quello
che ha potere anello su di sè stesso, il quale sa parlare e sa anche
tacere, elio gode nell’usar rigore contro sè stesso e sonte rispetto
per tutti i rigori. « Un cuore duro mi pose Odino in petto »
leggesi in un’antica saga scandinava : parole sgorgate proprio
dall’anima di qualche superbo Vichingio.
Uomini di talo specie vanno alteri di non conoscer la com¬
passione' Per cui l’eroe della saga soggiungo: « Chi da giovano
non ebbe duro il cuore, giammai l’avrà tale ». Uomini aristocratici
c valorosi i quali pensano in tal modo, sono i più lontani da quella
morale che vede precisamente nella compassione o nell’adopc-
ru-si per gli altri, nel désiniéresseinent, il distintivo della morale;
la fede in sè stessi, l’orgoglio di sè stessi, un’avversione ingenita
^gg CAPITOLO NONO

cd ironica per l’altruismo caratterizza la morale aristocratica del


pari come un certo leggiero disprezzo per ogni sentimentalismo.
I potenti sono quelli che sanno rispettare, questa e la loro aite,
la loro prerogativa. La profonda venerazione dell età o dell origine
_ ogni diritto si basa su questa doppia venerazione -, la fede
ed il pregiudizio in favore degli antenati e in odio a quelli
ohe vengono su dalla plebe è tipico nella morale dei potenti;
M uomini dalle « idee moderno » che credono quasi istinti¬
vamente nel « progresso » e nell’ « avvenire * e vanno sem¬
pre più perdendo il rispetto dell’età, tradiscono con ciò a suf¬
ficienza la volgare origine di quelle loro « idee *. Ma piu di
tutto riesce strana ed avversa la morale de’dominanti al gusto
odierno per il rigore della sua tesi fondamentale, clic non si debba
aver doveri clic verso i propri pari solamente; che verso gh es¬
seri d’uu rango inferiore, contro tutto ciò che è straniero, si possa
agire a proprio beneplacito o come « ispira il cuore », adunque
« al di là del bene e del male » — : così anche relativamente
alla compassione. L’attitudine e L’obbligo ad una durevole ricono¬
scenza, ad una vendetta lungamente covata — tra propri pari,
beninteso — la raffinatezza nel vendicarsi, la delicatezza del con¬
cetto dell’amicizia, quella tale necessità d’avere dei nemici (quali
canali di sfogo per i sentimenti d’invidia, di desiderio di litigi,
di tracotanza, — ma in fondo per poter essere buoni amici), tutti
questi sono caratteri tipici della morale aristocratica, la quale,
come fu già accennato, non è la morale delle « ideo moderno •>
per cui oggi difficilmente si può sentire a seconda della mede¬
sima ed anche dissotterrarla e scoperchiarla. — Ma è una cosa
ben diversa, il secondo tipo della morale, la morale degli schiavi-
Supponiamo che i violentati, gli oppressi, i sofferenti, gli scliiau,
i malcontenti di sè stessi, gli stanchi si mettino a moralizzare;
che cosa sarà l’equivalente dei loro apprezzamenti morali ?
Probabilmente si manifesterà in loro una diffidenza pessimista
contro la situazione dell’uomo in generale, forse una condanna del¬
l’uomo insieme alle sue condizioni. Lo schiavo guarda con occhio
torvo le virtù del potente, egli è scettico e sospettoso, egli è raffi'
nato nella sua diffidenza contro tutto ciò che dai potenti è rispettato
CHE COSA fc ARISTOCRATICO 197
o tenuto in conto di « buono » — egli vorrebbe illuderò sè stesso
forzandosi a credere, che anche la felicità che coloro godono non
sia genuina. All’incontro farà risaltare c metterà in luce le virtù
atte a rendere sopportabile l’esistenza ai sofferenti -, per cui si
terranno in onore la pietà, la mano sempre aperta e pronta a
soccorrere, il cuore generoso, la pazienza, l’assiduità, l’affabilità
— perchè codeste sono delle virtù utili e rappresentauo quasi
l’unico mezzo di sostenere l’oppressione dell’esistenza.
La morale degli schiavi è essenzialmente una morale utilitaria.
Qui è il vero centro dove ha origine il famoso contrapposto
«bene a e « male »; al male si attribuisce istinti vameute una
certa potenza, una pericolosità, una certa terribilità, uua raffina¬
tezza, uua forza, che non permettono di disprezzare. Secondo la
morale degli schiavi il male incute adunque « terrore secondo
la morale dei padroni è precisamente il « buono » clie.ispira.terroxo
perchè vuole ispirarlo, mentre l’uomo « cattivo » è tenuto in
conto di un essere spregevole. Il contrasto raggiunge il suo apice,
quando per inevitabile conseguenza della morale servile, anche
ai « buoni », alla stregua di questa morale s’attacca un tantino
di disprezzo — per quanto leggiero e anche benevolo - dap¬
poiché secondo la morale servile il « buono » dev’essere pre¬
cisamente P individuo « innocuo a ; egli è bonario, può esser
facilmente ingannato, forse un po’ sciocco, iusomma un « bon-
hommo ». Dappertutto dove la morale servile prende il soprav¬
vento la lingua si mostra inclinata a fare della parola « buono »
im sinonimo di «sciocco - Un’ultima differenza fondamen-
t.lle. _ il vivo desiderio di libertà, l’istinto della felicita e le
raffinatezze del sentimento di libertà appartengono tanto necessa-
riameute alla morale ed alla moralità degli schiavi, quanto 1 arte
c la sentimentalità uella venerazione, nell abnegazione e 1 indizio
regolare d’uu modo di pensare e d’apprezzare aristocratico.
;D: ciò è facile comprendere senz’altro come l’amore quale
jkiow - la nòstra specialità europea - sia d origine aristo¬
cratica- è noto che l’hanno inventata i cavalieri-poeti della Pro¬
venza, gli uomini stupendamente imaginosi del «gai saber», ai
quali l’Europa deve tanto e quasi persino sò stessa.
CAPITOLO NONO
19S

261.

Fra lo cose, clic ad un uomo aristocratico riescono ililìicili a


comprendersi, va rilevata la vanità : egli si sentirò tentato di
negarla, anche là dove un uomo d’ un’ altra specie si sentirà
di toccarla con mano. Per lui è un vero problema quello cVirnma-
giuare degli uomini che cerchino di destare in altri una buona
opiuiouo sul proprio conto, che essi di sè stessi non hanno,
— e per conseguenza non si « meritano •> e cionondimeno
finiscono per credere in quella buona opinione da altri sul loto
conto concepita. Tutto ciò gli appare in parte tanto di cattilo
gusto e così irreverente verso se stessi, iu parte tanto baroc-
camcnte irragionevole, che egli si sente quasi preso dalla \oglia
di considerare la vanità quale un’ anomalia, e di dubitare che
esista nella maggior parte dei casi. Egli dirò, per esempio: «Io
posso sbagliarmi nel giudicare del mio proprio valore, ma preten¬
dere cionondimeno che il mio valore sia riconosciuto da altri nella
stessa misura da me, forse erroneamente, assegnata, — ma codesta
non ò vanità (potrà esser « presunzione », anzi, nei casi più ire-
quenti, ciò clic si chiama « umiltà » e anche « modestia » ) ».
Oppure: «Io posso avere molte buone ragioni per andar lieto
del buon concetto, in cui gli altri mi tengono, forse perchè provo
rispetto per loro, perchè gli amo c mi rallegro nel vederli sod¬
disfatti sul mio conto, forse anche perchè la buona opinione che
hanno di me mi rafforza c mi conferma nella mia, forse anche
perchè la buona opinione degli altri, anche quando non sia da me
condivisa, m’ò o può essermi utile, ma tutto ciò è ancor lontano
dalla vanità.» L’uomo aristocratico non può immaginarsi senonchè
con un grande sforzo, cd anzitutto coll’appoggio della storia, che da
tempi immemorabili, in tutte le classi di popolo, in uno o nell altro
modo dipendenti, l’uomo volgare non sia siato se non quello, che lo
dimostrava Yapparenza : — non essendo indiamente abituato a
stabilirò dei valori da sè stesso, questi non attribuiva a sè stesso
altro merito, all’infuori di quello attribuitogli dai propri padroni (è il
vero diritto padronale quello di creare dei valori). Si può concepire
CriE COSA È ARISTOCRATICO 199
quale conseguenza d’uu mostruoso atavismo il fatto, che ancor
adesso l’uomo comune attende sempro l’opinione degli altri sul suo
proprio conto e si assoggetta istintivamente alla medesima : e non
soltanto alla « buona » opinione, ma anche ad una cattiva ed
ingiusta (si pensi un po’ alla maggior parte degli apprezzamenti
e deprezzamenti del proprio essere, che le donne apprendono dai
propri confessori, ed in generale il cristiano credente dalla sua
Chiesa). Ed infatti, a seconda del lento sopraggiungere d’un ordino
di cose democratico (e della sua causa, l’incrociamento di razze
padronali e servili), l’impulso, originariamente aristocratico e raro,
d’ attribuirsi da sè stessi un valore c di « peimr bene > di sè
stessi, si sentirà incoraggiato ed andrà dilatandosi : ma egli avrà
contro di sò un’inclinazione più inveterata, più diffusa e più in¬
carnata — che è il fenomeno della « vanità » e questa inclinazione
più antica prenderà il sopravvento sull’altra. L’uomo vano gode
d’ ogni giudizio favorevole espresso sul di lui conto (e ciò anche
indipendentemente dal punto di vista dell’utilità e della verità
o falsità di quel giudizio), allo stesso modo ch’egli soffre d’ogm
«nudizio che suona a lui sfavorevole: giacché egli s’assoggetta
a tutti e due, egli si sente soggetto ai medesimi in virtù di
ouell’antichissimo istinto della soggezione, che ogni qual tratto
in lui ricomparisce. - V’ha dello « schiavo » nel sangue de -
l'uomo vano, un residuo dell’astuzia servile, - e quanta parie
dello « schiavo » è ancor insita nella donna! - e oro fa si che
Hi cerchi di sedurre gli altri a tenerlo m buon conto; lo
t°ess0 , schiavo , che poi subitamente cade genuflesso dinanzi
all’opinione altrui, da lui stesso provocata. - Diciamolo ancor
una volta : la vanità ò un atavismo.

262.

Un, snecie ha origine, un tipo acquista forza e vigore in una


1..U-B lotto con condizioni ugualmente sfavorevoli. All'incontro
. benissimo per le esperienze degli allevatori, che le speco,
I o fruiscono dWalimentazione sovrabbondante o di cure ec-

"prop^» “ 1>0
OQ0 CAPITOLO nono

ed abbondano di esemplavi portentosi e mostruosi (o così puro


di vizi mostruosi).
Ora si consideri un po' una comunità aristocratica, per esempio
un’antica « polis » greca oppure Venezia, sotto 1 aspetto d un
istituto volontario od involontario d’allevamento e miglioramento:
vediamo riuniti insieme, ridotti allo proprie forze, degli uomini che
vogliono far trionfare la propria specie, perchè devono farla trion¬
fare. chè altrimenti correrebbero tremendo pericolo d’essere di¬
strutti. Qui faranno difetto le condizioni favorevoli, la sovrab-
dondanza, lo maggiori cure, che favoriscono la variazione del
tipo ; la specie ha bisogno d’esistere quale specie determinata,
ed è costretta ad affermarsi esclusivamente in virtù della
durezza, dell’uniformità, della semplicità delle sue torme, nella
lotta incessante che deve sostenere coi vicini o con i soggetti
ribelli o perennemente minaccianti la ribellione. Una molteplice
esperienza insegna a quegli uomini in virtù di quali particolarita
precipuamente, abbiano potuto, sfidando il cielo e gli uomini,
sostenersi e vincere : queste particolarità essi nomano virtù, e
queste soltanto essi tendono a vieppiù incrementare. Lo fanno
usando di rigore, anzi innalzando a legge il rigore : ogni morale
aristocratica è intollerante, nell’educazione della gioventù, nel
disporre dello donne, nelle costumanze matrimoniali, nei rapporti
tra giovani e vecchi, nelle leggi penali (che non prendono in
riflesso che i soli degenerati) — od annovera tra le virtù la
stessa intolleranza col nome di «giustizia».
Un tipo d’uomini di pochi tratti, ma molto marcati, mili¬
tarmente prudenti e taciturni, racchiusi in sè stessi (e perciò
accessibili a tutti gli incauti, a tutte le nuances della vita sociale)
si forma di tal modo sfidando il vario succedersi delle genera¬
zioni : l’incessante lotta in condizioni ugualmente sfavorevoli è
la causa, come già detto, per cui un tipo diventa forte e rude. Ma
poi alla fine giunge un’epoca di prosperità, Piuunensa tensione si
rallenta ; forse tra i vicini non ci sono più nemici, ed i mezzi di
vivere, anzi di godere la vita sovrabbondano. D’un solo colpo
il vincolo e la necessità dell’ antica disciplina si spezzano : la
disciplina cessa dall’esser l’unica e necessaria condizione dell’esi-
CHE COSA È ARISTOCltATICO 201
stenza, — non potrebbe continuavo a sussistere che (piale ima
specie di lusso, quale un (/usto arcaizzante. La variazione, sia
•piale origine di varietà della specie (più elevate, più raffinate,
più rare), sia quale degenerazione e mostruosità, sorge improv¬
visamente in tutto il suo rigoglio, in tutta la sua magnificenza ; il
singolo ardisce d’essere da per sù e di scostarsi dall’universale.
In tali momenti critici della storia si riscontra un crescere, coor¬
dinato od anche disordinato ed inestricabilmente confuso, come
in una foresta vergine, un tendere verso l’alto, una specie di
« tempo » tropico nel gareggiare del crescere ed un immenso
ruiuaro in perdizione, in forza degli egoismi ferocemente in
lotta tra di loro, c per così diro esplodenti, i quali lottano per
il « sole c la luce » e dall’antica morale non sanno più ritrarre
alcun limite, alcun ritegno, alcuna pietà. Quella stessa mo¬
rale elio aumentò o scemò la forza, che tese l’arco in modo sì
minaccioso — oramai essa è, diviene antiquata. Si o raggiunto
il punto pericoloso e sinistro, <lovo lo vita più grande, più molte¬
plice, più voluminosa, s'estrinseca sullo ceneri «antica morale:
I' .individuo, si vede costretto ad inventare una nuova legn¬
iamone, nuovo arti ed astuzie per la propria conservazione, per
la propria elevazione, per la propria liberazione. S altaccrano
pùntovi perchè, dei nuovi come, le formolo comumonusenm-
narse subentrano la falsa interpetrazioue in ega ^ P --
d’ogni cosa,la decadenza,!. corr«
strette insieme da un orribile noi ,
razza traboccante da tutte le cornueopte de buon 1
ve-, in una fatai»
di quelle nuove attrattive, d, (|uu ^ M pwauc0 esart-
gativa d’ima mcip , » u pericolo, padre
rito ed estenuata. & neccia volta iusito uel-
deUa morale, il grande ^ ^ „0i propri figli,
l’individuo, noi prossimo, ’ . proprj0 o di segreto
no, proprio cuore, » *^^1. predicare i
hanno ri dosideno e a vo ' entm0, qoei penetranti

0""cl“ r'uolnno alio svolto .deUe vie, efie torio


202 CAPITOLO NONO

intorno a loro mina e porta la mina, che nulla durerà sino al pos¬
domani, eccettuata un’unica specie d'uomini, i mediocri incurabili.
I mediocri soltanto hanno speranza c probabilità di continuare
sò stessi, di propagarsi. — essi souo gli uomini dell’avvenire, i
soli atti a sopravvivere : « siate come loro, siate mediocri ! » in¬
giunge allora l’unica morale che abbia ancora un souso, che trovi
delle orecchie aperte, — ma è ben difficile a predicarla, codesta
morale della mediocrità ! — poiché essa non deve mai confes¬
sare quello che realmente è e quello che vuole ! essa deve par¬
lare di misura, di dignità, di doveri, di amore del prossimo, —
e durerà non poca fatica a non far trasparire — Yironia !

263.

V’ha un istinto per il grado di condizione, il quale più d’ogni


altra cosa è Yindizio d’una condizione elevala', v’ha un senti¬
mento di gaudio per le gradazioni della venerazione, che per¬
mettono d’indovinare l’origine e le abitudini aristocratiche. La
delicatezza, la bontà, l’elevatezza d’un’anima si trovano messe ad
una dura prova allorquando questa sente l’appressarsi di qualche
cosa che appartenga ad un ordine più elevato, ma non ancor pro¬
tetto dai brividi dell’autorità contro gli attentati goffi e insolenti :
qualche cosa d'ancor indistinto, non perauco scoperto, incerto,
forse arbitrariamente celato o travestito, come una vivente pietra
del paragone. Colui che ha il còmpito e la professione di inve¬
stigare le ànime sotto varie forme si servirà per l’appunto di
quest’arte per determinare il valore definitivo d’ un’ anima, il
grado immutabile, innato della condizione, cui appartiene : egli
la metterà alla prova sulla baso dell’wfenfo della venerazione.
Différence engendre baine : la volgarità di molte nature erompe
talora al pari d’un’ acqua putrida, quando qualche vaso sacro,
qualche preziosa reliquia tolta da reconditi scrigni, qualche libro
coi segui del gran destino le passan vicino ; e d’altra parte un
involontario ammutolire, uno sguardo esitante, un’immobilità dei
gesti, dimostrano che un’anima sente la vicinanza di cosa degna
di venerazione. Il modo, con cui in Europa vion mantenuta
CHI-: COSA K ARISTOCRATICO 203
alta la venerazione della Bibbia è forse il più bel risultato di
disciplina e di raddolcimeuto dei costumi, che 1’ Europa debba
al Cristianesimo : dei libri sì profondi e del più alto ed estremo
significato abbisognano d’esser protetti da una tirannia che viene
dal di fuori, por poter acquistare quella durala millenaria che ò
necessaria per esaurirla ed iuterpetrarla completamente. Si ò
già ottenuto molto coll’innestare alle grandi masse (ai super¬
ficiali ed ai digerenti in fretta d’ogni specie) il sentimento,
che non si possa toccare ad ogni cosa: che vi sono degli av¬
venimenti sacri, dinanzi ai quali esse devono togliersi le scarpe
c tener lontane le mani immonde — ciò significa quasi la loro
elevazione alla massima potenza dell’umanesimo.
Viceversa nelle persouo così dette colto, nei credenti nelle idee
moderne nulla forse ispira tanta nausea, quanto la loro mancanza
di pudore, la cinica impudenza dell’occhio e della mano con cui
toccano, squadrano, tastano ogni cosa; e può darsi che oggidì
nel popolo, nel basso popolo, principalmente nei contadini, esista
relativamente una maggior nobiltà di gusto e di tatto nella ve¬
nerazione, che nel demi-monde dello spirito degli uomini dotti,
che leggono i giornali.

264.

Non si possono sradicare dall’nnima «'uomo le pi» care c


costanti abitudini dei snoi antenati : siano dessi sta,, »t , «
ci una specie d’appendici della propria scrivania o deila
risaie, modesti c b«M - <-
anello nello loro virtù; oppure avvezzi » ^ a
sera, dediti a rudi passatempi, e, » forse, ad
doveri e responsabdita p» " ' ’ deU, „„Eclta e del
un dato momento, alle anticlio P e _ lU uomiui d'una
possesso, alla propria tede • a prep1 dVni mediazione,
coscienza inesorabile o delicata, c e „„ ll0m0
Si deve escludere assola.— .If^niton e dei spot

—“ —«11 "
204 CAPITOLO NONO

È questo il problema della stirpe : quando sia noto alcunché


sul conto dei genitori, è lecito trarre delle conclusioni sul conto
dei figli: una qualche incontinenza ripugnante, una bassa invidia,
una indelicata propensione a dar sempre ragiono a se stesso —
tre cose che insieme hanno rappresentato in ogni tempo il vero
tipo plebeo — tutto ciò deve perpetuarsi anche nel tìglio, tanto
sicuramente come il sangue guasto; e la migliore delle educazioni,
non servirà che a dissimulare un tale atavismo. — E che cosa
infine ò oggidì lo scopo d’ogui c educazione », d’ogni e coltura » ?
Nella nostra epoca democratica, anzi plebea, l’educazione e
la coltura devono esser l’arte d’ingannare — sul conto delle
origini; l’arte d’illudersi sul plebeismo ereditario del corpo e del¬
l’anima. Uu educatore, clic oggidì predicasse la veracità anzi
tutto, e che ammonisse costantemente i suoi allievi d’esser sinceri,
naturali, di comportarsi secondo la loro vera iudole, — persino
un simile asino virtuoso ed ingenuo dovrebbo ricorrere dopo
qualche tempo alla « furca » d’Orazio, per « naturala cxpel-
lerc » : Con quale risultato? La « plebe » usque rccurret.

265.

Anche a rischio di riescir poco accetto a certe orecchie inno¬


centi, io sostengo: l’egoismo è parte essenziale dell’anima aristo¬
cratica, e per egoismo intendo dire quella fede incrollabile, che
ad un essere come noi siamo, altri esseri per natura debbano
esser soggetti, cd al nostro essere debbano sacrificarsi. L’anima
aristocratica accetta questo fatto constatato dal suo egoismo senza
apporvi alcun punto interrogativo, anche senza provare in ciò un
senso di ripugnanza, di costrizione, d’arbitrio, bensì l’accetta come
qualcosa che ha il suo fondamento nelle leggi più primitivo delle
cose : se essa volesse darle un nome la chiamerebbe « la giustizia
por sè stessa ». In date circostanze, sulle prime si sente esitante
e confessa a sò stessa che esistono altre anime aventi uguale
diritto : ma non appena ha depurato la questione del rango, essa
dimostra nei rapporti coi suoi pari la medesima sicurezza tanto
CHE COSA È ARISTOCRATICO 205

nel pudore quanto in una venerazione delicata, che nei rapporti


con sè stessa, — in virtù d’una ingenita meccanica celeste, che
è compresa da tutte le stelle. È raffinamento d’egoismo codesta
delicatezza e discretezza nei rapporti coi suoi pari — ogni astro
è un consimile egoista — : essa onora sè stessa in loro e
nei diritti, che loro concedo, non dubita minimamente, che lo
scambio d’onori e di diritti quale essai xa d’ogni rapporto appar¬
tenga ad uno stato naturale delle cose. L’anima aristocratica
dà, come riceve, in forza dell’istinto appassionato e suscettibile
del contraccambiare, clic lo è profondamente insito. Il concetto
« grazia » inter pares non ha significato c fragranza: può darsi
che ci sia una maniera sublime di lasciar cadere dall’alto su sè
stessi i doni c d’assorbirli come l’assetato le goccie di pioggia:
per codesta arte, por codesto atteggiamento l’anima aristocratica
non possiede alcuna attitudine. Ne la impedisco il proprio egoismo.
in generale essa guarda malvolentieri * in alto » — guarda
dirittamente dinanzi a sè, orizzontalmente e lentamente, oppure
al disotto: « perchè sa di trovarsi in alto ».

260.

« Non si può rispettare sinceramente che colui, che non cerca


sè stesso » - Parole di Goethe al consigliere Schlosser.

267.

i —» r"
bambini: sùto-sm * rendi piceni , non dubito eli©
V- inclinazione riconosce-
» greco «n^1"" «renio di noi stessi,
rebbe prima d ogni afta* controgenio ..
— per ciò solo noi gh aneli emniu

268.

, 1 , Un ? — Lo paiolo sono delle note


Ohe cosa è intino a vo ga ^ ^ ^ pl4 , mono dei
musicali per i conce! ,
*206' CAPITOLO NONO

geroglifici per certe sensazioni che ritornano spesso sole o in¬


sieme, quali gruppi di sensazioni. Non basta ancora per com¬
prenderci reciprocamente d’usare le stesse parole: è necessario
adoperarlo por quella determinata specie d’avvenimenti interni,
infine bisogna aver comune l’esperienza. Epperciù gli individui che
appartengono alla stessa nazione s’intendono meglio tra di loro
di quelli di nazioni differenti, anche se queste si servono
dello stesso linguaggio ; o per meglio dire gli individui che
hanno convissuto a lungo nelle identiche condizioni (del clima,
del suolo, del pericolo, dei bisogni, del lavoro) formano qualche
cosa che c si comprende », un popolo. In tutte quelle auime pre¬
pondererà lo stesso numero d’avvenimenti clic sempre si ripetono,
su quegli che s’affacciano di rado ; sui primi ci s’intende presto
e sempre più presto — la storia del linguaggio ò la storia d’un
processo d’abbreviazione — ; da codesta rapida comprcnsività ha
origine un’unione, che diviene sempre più intima. Quanto mag¬
giore è il pericolo, tanto maggiore ò la necessità di andar d’ac¬
cordo sollecitamente su ciò che la di bisogno; il non fraintenderei
nel momento del pericolo, ecco quello che gli uomini cercano
d’ottenere noi loro vicendevoli rapporti. Anche nell’ amicizia c
nell’amore si possono lare tali esperienze ; e nessuna relaziono
può esser duratura, se l’uno dei due s’accorge che l’effetto delle
medesime parole sull’ altro non è quello eh’ egli sente, crede,
prevede, desidera e tome.
(Il timore d’un « eterno fraintendersi » ; ecco il genio benefico,
che tante volto trattiene persone di sesso diverso dnU’unirei in¬
consideratamente, per quanto i sensi ed il cuore lo suggeriscano
— e non già il « yenio della specie » dello Schopenhauer !)
Quali gruppi di sensazioni si destino per i primi in un’anima,
si facciano sentire, comandino: ecco ciò clic docide di tutta la
gerarchia dei suoi valori, ecco ciò che determina la sua bontà. Gli
apprezzamenti di valori dell’ individuo tradiscono qualche cosa
della costruzione della sua anima, tradiscono ciò in cui essa ripone
le sue condizioni vitali ; la sua propria miseria.
Se si ammetto ora, che da quando mondo esiste la necessità
ha avvicinato sempre quegli individui, che con segni somiglianti
CHE COSA K ARISTOCRATICO 207'
sapevano accennare somiglianti bisogui ed avvenimenti, ne risulta
in fondo che la facile comunicabilità del bisogno, vale a dire
il ripetersi di avvenimenti volgari o comuni tra tutte le forze
che hanno influito sull’uomo, sia stata la più potente.
Gli individui che si rassomigliano, che sono più comuni, erano
e saranno sempre a migliori condizioni degli individui più ricer¬
cati, delicati, singolari, più difficili ad esser compresi, i quali di
frequente s’isolano, facilmente soggiaciouo agli accidenti d’ogni
specie, e difficilmente si propagano. Bisogna invocare dello con¬
troforze smisuratamente potenti per opporsi con successo a co-
desto naturale, troppo naturale « progressus in simile », che è
la degenerazione dell’uomo nell’assomigliante, nel comune, nel
mediocre, nelPanimale da gregge — nel volgare — !

269.

Quanto più un psicologo — un psicologo nato, incorreggibile,


un indovinatore d’anime — si dà allo studio dei casi e degli
uomini più ricercati, tauto più s’accresce per lui il rischio di ri¬
maner soffocato dalla pietà : egli ha maggior bisogno di insen¬
sibilità o di buon umore che qualsiasi altro uomo.
La corruzione, la rovina degli uomini più elevati, delle anime
dissimili dalle volgari, sono la regola ; è terribile l’aver sempre
dinanzi agli occhi una simile regola. Il molteplice martirio del psi¬
cologo che ha scoperto un tal correre in perdizione, che per la
prima volta, e poi quasi sempre nuovamente intuisce tutta l’interna
c incurabilità » dell’uomo superiore, l’eterno «troppo tardi » in
tutti i sensi, attraverso tutta la storia - può divenire un bel
giorno la causa che egli si rivolti esasperato contro la propria
sorte c arrivi al tentativo di distruggere sò stesso - che « vada
in perdizione > egli stesso. Nei psicologi per la maggior parte si
riscontrerà la propensione ed il diletto d’intrattenersi con individui
volgari e regolati: con ciò lasciano trapelare il loro bisogno di gua¬
rire5, di fuggire, di dimenticare lontani da tutto ciò, che per effetto
defrli sguardi gettati nell’interno dei cuori, delle sezioni cho vi
hanno fatto, della loro «professione». 0 rimasto impresso nella loro
20S CAPITOLO NONO

coscienza. Hanno paura della propria memoria. Di fronte ai giudizi


degli altri il psicologo ammutolisce di sovente, stand ascoltare con
volto impassibile, come chi veneri, ammiri, ami e trasfiguri ciò
che egli — ha veduto, — oppure nasconde il suo silenzio eol-
Tapprovaro espressamente qualche opinione superficiale. Forse la
paradossai dello stato in cui si ritrova va sino all’orribile punto,
che il volgo, le persone colte, i sentimentalisti, precisamente là,
dove egli ha imparato a conoscere una grande pietà ed insieme
un grande disprezzo, manifestino una grande venerazione — la
venerazione por i < grandi uomini » e per gli animali — portenti,
in virtù dei quali si benedice e "si tiene in gran conto la patria,
la terra, la dignità dell’uomo, sò stessi, e che si additano ai giovani
perchè servano loro di modello...
E chi lo sa, so finora in tutti i casi importanti non si sia avve¬
rata la stessa cosa: che la massa abbia adorato un Dio, — mentre
quel « Dio a non era forse che una povera vittima destinata al
sacrifizio !
Il successo fu sempre il più grande bugiardo, c 1’ « opera » per sò
stessa significa un successo; il grande statista, il conquistatore,
lo scopritore sono irreconoscibili sotto le vesti dello loro' creazioni ;
1’ copera», quella dell’artista, del filosofo è quella che inventa
l’i.magine di colui che l’ha creata o che si suppone l’abbia creata ;
gli « uomini grandi » nel modo in cui s’adorano sono dei piccoli
e cattivi poemi fabbricati in appresso; nel mondo dei valori storici
dominano i falsi monetari.
Certi grandi poeti, ad esempio, i Byron, i Mnssct, i Poe, i
Leopardi, i Kleist, i Gofjol (non oso far nomi più grandi, ma a loro
penso) — così come sono, o forse come devono essere, uomini del
momento, entusiasti, sensuali, ingenui come bambini, spensierati
e subitanei nella diffidenza e nella confidenza ; con delle anime,
elio di solito nascondono un tarlo che le rodo: elio talvolta si
vendicano nelle loro opero di qualche macchia interna, e spesso
cercano nei voli elevati la dimenticanza d’una memoria troppo
fedele, uomini talora smarriti nel fango e del fango innamorati,
sino a diventare dei fuochi fatui oscillanti sui paduii, che vogliono
farsi credere stelle — il popolo li chiama idealisti — talvolta
crii-: cosa i: aristocratico 20!T
lottami cou una lunga nausea, con lo spettro senza cessa ritor¬
nante dello scetticismo, che li rende freddi c li costringe ad
anelare alla c gloria cbevore la <; fede. in se stessi dallo coppe
d’ebbri adulatol i — quale martirio sono codesti grandi artisti e gli
uomini superiori in generale, per chi è giunto ad indovinarli !
K tanto facile a comprendersi, che precisamente essi dalla donna
— che ci vede più chiaro nel mondo dei dolori e che è portata
per natura, pur troppo molto al di là delle sue forze, a soccor¬
rere ed a salvare — vengano fatti seguo di quella pietà illimi¬
tata e piena d’abnegazione, che il volgo, anzitutto il volgo che
adora, non sa comprendere c intorpetra a suo modo volgarmente
ed egoisticamente. Quella pietà s’ingauna regolarmente sul conto
della propria forza : la donna vorrebbo poter credere che l’amore
tutto possa, — è questo il suo vero pregiudizio. Oh ! i sapienti
del cuore indovinano quanto povero, perplesso, presuntuoso, facile
ad errare, più facile ancora a distruggere che a salvare è anche
il migliore, il più profondo amore I — È possibile elio la santa
leggenda della vita di Gesù celi uno dei casi più dolorosi del
martirio clic proviene dalla scienza dell’amore: il martirio d’un
cuore purissimo ed ardente che non si sentiva pienamente sod¬
disfatto da alcun amore umano e elio sempro domandava d’es¬
sere amato ancora, che lo domandava ruvidamente, follemente,
con degli scatti terribili contro chi gli negava amore; la storia
d’un povero assetato incapace a mai dissetarsi nell’ amore, che
doveva imaginare l’inferno per precipitarvi coloro che non vole¬
vano amarlo, — e che finalmente avendo acquistato la scienza
dell’amore umano, dovette imaginare un Dio tutto amore, tutto
potenza d’amore, — il quale ha pietà dell’amore umano, perchè
è un amore tanto meschino, tanto ignorante! Chi sento in tal
modo, chi giunge a conoscere a tal punto l’amore —, va in cerca
della morto. - Ma perchè occuparsi di cose sì dolorose ? Som-
-precchò non vi si sia costretti!

270.

L’orgoglio spirituale e la nausea d’ogni uomo che ha solferio


molto — il grado sociale dell’uomo è quasi determinato dalla pio-
iXir.TZSciiF. — Al di là del bene c del male. — li.
CAPITOLO KONG
210

fondita della sua sofferenza —, la orribile certezza, da cui è tutto


compenetrato, di poter in virtù delle sue sofferenze saper di più
di tutti i saggi, di tutti i dotti di questo mondo, d’aver conoscenza
di molti mondi remoti ed orribili, ch’egli conobbe per propria amara
esperienza e dei quali « voi nulla sapete ! » — codesto orgoglio
spirituale e muto di chi soffre, codesta superbia dell’eletto della
conoscenza, dell’« iniziato», della vittima in certo modo, trova
'necessarie tutto le forme di travestimelo, onde tenersi lontano
dal contatto eli certe mani indiscretamente pietose, ed in generale
di tutto ciò che non è suo pari nel dolore. Le profonde softe-
renzo rendono l’uomo aristocratico; lo separano dagli altri. Una
delle forme più fini di travestimento è Vepiciircismo, è una certa
ostentata indipendenza del gusto, la qunlu prende il dolore alla
leggiera e si ribella fieramente a tutto ciò che ò tristo e profondo.
Yi sono degli uomini serenamente «giocondi», noi l’unico intento
d’essere mal compresi: — essi vogliono essere mal compresi. Vi
sono degli « uomini scientifici » che si valgono della scienza,
perchè questa conferisce un aspetto ilare e sereno, c poi perchè
la scienza permette di concludere, che chi si dà a lei dimostri
con ciò stesso d’esser superficiale : — essi cogliono sedurre il
mondo ad una conclusione falsa. Vi sono degli spiriti insolen¬
temente liberi, i quali vorrebbero nascondere o negare di essere
dei cuori orgogliosi infranti, insanabili (il cinismo A Amido —
il caso di Gallarli) e talvolta la stessa follia serve di maschera
alla propria malaugurata chiaroveggenza. — Donde risulta che un
umanesimo delicato deve provar venerazione « per la maschera »
e non far della psicologia insanamente curiosa, fuor di luogo.

271.

Ciò che più profondamente contribuisce a separare due indi¬


vidui, si è la differente interpetrazione, il differente grado della
loro purezza. Che cosa vale mai l’onestà, che cosa contano la
reciproca utilità, la buona volontà d’aiutarsi l’un l’altro : infine si
giuuge alla stessa conclusione — non possono « sentir l’odore
l’un dell’altro »! Il più sublime istinto della purezza colloca quegli
CIIE COS.V E ARISTOCRATICO 211

ciào lo possiedo nella più strana e pericolosa solitudine, come un


santo : perchè appunto cpiesto è santità — la più alta spiritualiz¬
zazione dell’istinto suaccennato. La consapevolezza dell’indicibile
felicità <l’ un bagno purificante, una qualche brama, una sete
ardente che incessantemente spingouo l’anima fuori delle tenebre
alla luce del sole, dagli abissi della tristezza verso il sereno, verso
lo splendore, verso tutto ciò ch’è profondo, delicato — : nello stesso
modo che una tale inclinazione distingue — perchè è una incli¬
nazione aristocratica — essa anche scongiunge. — La compas¬
sione del santo è la pietà di tutto il fango che imbratta tutto ciò
che è umano, troppo umano. E vi sono dei gradi e delle altezze
in cui persino la compassione di sè medesimi si sente come una
cosa impura, immonda.

272.

Indizi d’una natura aristocratica : non avvilire giammai i nostri


doveri col pensare che sieno i doveri di tutti ; non riuuuziare
giammai alla propria responsabilità, nò volerne far partecipi gli
altri ; mettere le proprie prerogative e l’esercizio delle medesime
nel numero dei proprii doveri.

273.

Un uomo che aspira a grandi cose, considera chiunque trovi


sul suo cammino, quale un mezzo oppure quale un ostacolo od un
impedimento — o talvolta quale un letto di riposo. La bontà sin¬
golarmente elevata verso i suoi simili che gli è innata diviene
possibile appena allorquando è giunto all’altezza o domina.
L’impazienza e la coscienza d’esser condannato ad un’eterna
commedia, sino a tanto che non avrà raggiunto l'altezza da lui
a<rognata _ giacché anche la stessa lotta è una commedia e
una” maschera, siccome tutti i mezzi mascherano il fine - gli
rendono insopportabile ogni rapporto sodalo : una tale specie di
uomo conosce profondamente la solitudine e quanto di più vele¬
noso in lei si racchiude.
\2 CAPITOLO NONO

274.

U problema di chi sta in attesa. — È speciale ventura, se un


uomo, in cui sonnecclùa la soluzione d’un problema arriva ad
agire in tempo opportuno — « a sfogarsi » per modo di dire.
Nella maggior parte dei casi ciò non succede, ed in tutti i canti
della terra vi sono di quelli che attendono, e che difficilmente
sanno perchè attendono e meno ancora, clic attendono invano.
Talvolta il grido di risveglio giunge troppo tardi, l’accidente che
'permette di agire si produce — quando la migliore gioventù, la
forza per agire sono sciupate dalla lunga inerzia ; e quanti s’ac¬
corsero con terrore, quando stavano per « balzare in piedi », che
le loro membra erano paralizzate e lo spirito grandemente appe¬
santito! « Troppo tardi » — dissero a sò stessi, come chi ha
perduto la fede in sè stesso e si sente divenuto inutile per sempre.
— Non sarebbe forse, nel regno dol genio, il « Raffaele sema
mani, la regola anziché l’eccezione? — Il genio forse non è tanto
raro quanto si crede: bensì son rare le cinquecento mani che
necessitano, per padroneggiare il v.aioóc, il momento opportuno —
per afferrare il caso pel ciuffo !

275.

Chi non vuole vedere quello che v’ ha d’ elevato nell’ uomo,


ricerca con sguardo tanto più penetrante ciò che in lui havvi di
basso e di superficiale, — e con ciò tradisce il suo proprio essere.

276.

Di qualsiasi lesione o perdita si tratti, l’anima più rozza e più


bassa è sempre a miglior partito dell’aristocratica: i pericoli di
questa devono essere maggiori, la probabilità ch’essa si perda,
che ruini completamente ò anzi, per la molteplicità delle sue
condizioni vitali, immensa. — Nella lucertola ogni dito perduto
cresce nuovamente, ma non così ò dell’uomo. ■ •
CUI-: COSA K ARISTOCRATICO 213

277.

— Abbastanza male! Rieccoti l'antica storia! Quando si ò


finito di fabbricare la propria casa, ci si accorge sempre d’aver
imparato qualche cosa, che si sarebbe dovuto conoscere prima
d’accingersi ad edificare. È sempre quel malaugurato — * troppo
tardi ». — La melanconia d’ogui cosa compiuta.

278.

— Viandante, chi sei tu? Ti veggo procedere pel tuo cammino,


senza scherno, senza amore, con occhi imperscrutabili, umidi o
tristi, come un piombino elio insaziato esce alla luce dalla pro¬
fondità dello acque, — che cosa era andato a cercarvi ? — Il tuo
seno non ha palpiti, il labbro dissimula la nausea, la tua mano
tasta lentamente: chi sei tu? che cosa hai fatto? Riposati qui:
questo è un sito per tutti ospitale, - ristorati! E chiunque tu
sia: elio cosa brami in questo momento? Che cosa potrebbe esserti
di ristoro? Dillo pure: quello che posseggo io l’oflro a te ! — Di
ristoro? Di ristoro? - Oli, essere spinto dalla curiosità, che cosa
dici mai ! 3Ia dammi, te ne prego — « elio cosa, che cosa,
dillo ? ! — « Una maschera di più, un’altra maschere! •>

279.

Gli uomini che hanno conosciuto la profondità della tristezza,


si tradiscono quando sono felici: hanno un corto modo* wm-
orendore la felicità elio sembra quasi volessero comprimerla e
soffocarla, por gelosia - perche auro, ahimè, troppo bone, che
ossa loro sfuggirà.

280.

. italo ! Male ! Come? non va egli - indietro? - SU


voi lo comprendete male, se di ero ti lagnate. Egli si ta nichel,o,
come ognuno elio stia per spiccare un gran salto.
CAPITOLO SONO
214

281.

_ « E lo si crederà a me? Ma io esigo, clic mi si creda: io


ho pensato sempre poco c male a me stesso, c soltanto in casi
molto rari, per forza, e senza grande entusiasmo, sempre pronto
ad allontanare il pensiero da « me » stesso, senza fede nel risul¬
tato, in -virtù d’un’invincibile diffidenza contro la possibilità della
conoscenza di sè stessi, la quale mi ha ridotto al punto di sentire
persino nel concetto « conoscenza immediata » una contradictio
in adjeclo : — questo è quanto più di certo io mi sappia sul
mio conto. Ci deve essere in me una specie di ripugnanza, di
credere qualche cosa di determinato sul inio conto. — Forse in
ciò si nasconde un enigma ? Probabilmente, ma fortunatamontc
non è pei miei denti. — Forse esso tradisco la specie cui ap¬
partengo? — Ma non la tradisce a me: c di ciò nc) sono molto
lieto — ».

282.

— * Ma che cosa mai t’è occorso? » — « Non lo so, disse


esitando; — forse le Arpie sono volate oltre il mio tavolo. » —
Avviene oggi talora, che un uomo pieno di moderazione c di ri¬
tegno sia preso improvvisamente da pazzia furiosa, al segno di
spezzare i piatti, di rovesciare il tavolo, di gridare e dare in escan¬
descenze, d’ingiuriare tutto il mondo, — o si ritiri finalmente in
un canto, vergognoso, infuriato contro sè stesso — in un canto,
pèrcliò? Per morir affamato? Per restar soffocato dalla memoria.-'
— Chi prova i desideri d’un’anima elevata e scrupolosa nello sce¬
gliere, e di rado trova apparecchiato il suo desco, 1’ alimento
di cui ha bisogno, correrà in tutti i tempi un grande pericolo :
ma oggidì il pericolo è grande oltre ogni diro. Vedersi travolto
da un’epoca chiassosa e plebea, con la quale egli non si sente
di poter mangiare dalla stessa scodella, è facilissimo ch’egli pe¬
risca di fame o di sete — c quando puta caso abbia trovato il
coraggio d’« assaggiarne — d’una nausea subitanea. — Noi tutti
Olili COSA f: ARISTOCRATICO 215

probabilmente ci siamo trovati seduti a corti deschi che non face¬


vano per noi ; o precisamente i più spirituali tra noi, clic sono
i più difficili ad essere sfamati, conoscono molto bene quella
« di/spcpsia pericolosa che nasce da un subitaneo accorgersi
della cattiva qualità del cibo c della società che ci circonda
la nausea del pospaslo.

283.

È un modo delicato ed aristocratico di padroneggiar sè stessi,


quello di lodare, quando proprio si debba lodare, soltauto nei
casi, che non si va d’accordo con gli altri; — nel caso contrario
si loderebbe in fondo sò stessi, ciò che ò contrario al buon gusto.
Un tale modo di padroneggiare sè stessi dà certamente tacile
adito ad essere costantemente fraintesi. Per potersi concedere
questo lusso reale di buon gusto o di moralità, è necessario di
non vivere beninteso in mezzo a dei cretini in linea spugnale,
bensì tra individui, i cui malintesi e le cui conclusioni sbagliate
diveltino so non altro per la loro fiuezza, - in caso divereo si
dovrà pentirsene amaramente ! - « Egli mi loda; quindi m
dà ragione ». Questa conclusione asinesca amareggia a noi solitari
una buona metà della vita, perchè rende gli asini nostri mci.ii

od amici.

2S4.

Vivovo in un’indifferenza immensa ed obliosa : sempre al


J “ Avere o non avere, secondo il propri, arbitra, lo sue
i suoi prò ed i suoi contro, degnarsi d. scendere ad
"Tuoi''qualche oro; inforcarli al pari dei cavalli, e spesso deg i
’.P ’ ‘ J cioè profittare della loro sciocchezza come si
^"rofiria della"loro focositù. Conservare a sò stessi tutte le tre¬
cento superficialità; anche gli occhiali aifuniicat,: giacete si danno
cari nei quali nessuno devo legger ne, nostri occhi,
„ ancori nel noslri « buoni motivi ». Eleggere a nostro com-

z*** *■* ** • ***• ci,°si ,,oma


r
21(j CAPITOLO XOXO

cortesia. E restar padroni delle quattro virtù: del coraggio, del¬


l'avvedutezza, della compassiono e della solitudine. Giacché per
noi è una virtù la solitudine, essendo una propensione ed uno
stimolo sublimi alla purezza, i quali ci permettono d'indovinare
quanto impuro sia il contatto da uomo ad uomo — il contatto
colla «società! ». Ogni comunanza finisce col render in qualche
modo, in* qualche luogo, in qualche tempo < volgari •>.

2S5.

I piu grandi avvenimenti e le più grandi idee — o lo idee


più grandi sono anche i più grandi avvenimenti — sono gli
ultimi ad esser compresi : le generazioni con temporanee non li
vivono — vivendo passano accanto a loro. Avviene nella vita
come nel regno degli astri. La luce delle stelle più lontano giungo
- irò vct lì-hù tarda a noi ; e sino a tanfo clic l’uomo non l’abbia, pcrcc-
WJààv"’ pita. egli nega che quelle_stelle — esistano. « Di quanti secoli
abbisogna uno spirito per esser compreso? » — Anche codesta
è una misura, con ciò pure si crea una gerarchia, un’ etichetta,
indispensabili per lo spirito come per 1’ astro.

286.

« Qui la vista è libera, lo spirito sollevato ». — Ita esisto


anche una specie diversa d’uomini, la quale si trova anche in
alto ed ha l’orizzonte libero — ma guarda all’ ingiù.

287.

Olio cosa è aristocratico ? Quale è oggidì il significato dolla


paiola « aristocratico »? A che cosa si riconosce, s’indovina
oggi, sotto questo cielo pesante c fittamente annebbiato dall’ in¬
cipiente sovranità della plebe, che rende tutto impenetrabile o
plumbeo, 1’ uomo aristocratico ? — Non sono già le azioni, che
lo rivelino, — le azioni sono sempre soggette a molteplici in-
terpetrazioni, epperciò impenetrabili — ; e nemmeno le «opere».
CHE COSA È ARISTOCRATICO 217

Tra gli artisti o gli scienziati troviamo oggidì molti che por le
loro opere tradiscono di sentire una forte brama dell’aristo¬
cratico: ma precisamente questa brama, questa necessità detta-
ri nioera tico è fondamentalmente diversa dai bisogni dell’anima
propriamente aristocratica, ed anzi è la caratteristica più eloquente
o pericolosa di ciò che ai primi fa difetto. Non le opere, la fede
ò in ciò decisiva, essa determina la gerarchia, per adoperare una
antica formola religiosa in un significato nuovo e più profondo;
una qualche certezza fondamentale, che l’anima aristocratica pos¬
siede sul conto di sò stessa, qualche cosa che non si può cercare
e non si può trovare e forse nemmeno perdere. — L'anima
aristocratica ha la venerazioni} di sò stessa.

2S8.

Yi Sono certi uomini condannati ad aver dello spirito, anello


quando facciano il possibile per nasconderlo, anche so mettono le
mani dinanzi agli occhi che li tradiscono ( — come se la mano
non servisse essa pure a tradirli!-): infine si viene sempre a
capo ch’essi vogliono nascondere qualche cosa, lo spirito. Uno dei
mezzi più fini, almeno per poter ingannare il più alla lunga clic
è possibile, e farsi credere con maggior probabilità di successo
Più sciocchi di quanto si sia - cosa del resto desiderabile nella
vita comune quanto un ombrello, - si chiama entusiasmo: G'Vi~ ». ; 11 ! me

con l’aggiunta di quello che gli appartiene, la virtù. Giacche,


come dice Oaliani, clic doveva saperlo — • 4 ieìtu es m
thousiasme ».

' 289.

eli scritti del solitario risenta» sempre 1» solitudine il deserto


.nino i„ SO qualche cose dell'accento ammonto o del pauroso
mudare intorno a sò, proprio ai solitari : lo sue espressioni pm
nergiohe, persino il suo grido, tanno risaltare anche una spece
Ja e pii, pericolosa del tacere, il sottacere. In chi per an,„
iteri, di giorno e di notte ò sempre solo con 1 anima sua e con
21S C.\TITOLO NONO

lei amichevolmente discute od alterca, chi nella propria profon¬


dità — che può essere un labirinto od anche una miniera d’oro
— diventa l’orso delle caverne, il cercatore di tesori, od anche
il custode del tesoro, il mostro che vieta l’accesso al tesoro, gli
stessi concetti assumono col tempo un certo colore crepuscolare,
sentono un odore di profondità e di ammuffito, hanno qualche
cosa d’incomunicabile e di ripugnante, che ognuno elio gli passa
accanto sente come un soffio d’aria fredda. Il solitario non crederà
mai che un filosofo — ammesso che un filosofo sia stato sempre
in primo luogo un solitario — abbia espresso nei libri le sue
vere opinioni finali : non si scrivono forse dei libri appunto per
nascondere quanto s’ha di più intimo? — Sì, egli dubiterà,
che un filosofo possa avere dello opinioni proprie e finali, e
sospetterà che dietro ogni sua caverna si nasconda, si debba
nascondere un’ altra caverna ancor più profonda — un mondo
più vasto, più strano, pili ricco al disopra d’una superficie, una
profondità dietro ogni fondo, sotto ogni « fondamento ». Ogni filo¬
sofia è ima filosofia della superficie — questa è convinzione del
solitario : « havvi in ciò qualche cosa cl’ arbitrario se egli si è
arrestato proprio qui, guardando dietro, e intorno a sè, se qui non
ha scavato più profondamente, se ha gettata via la vanga — e
tutto questo genera diffidenza ;>. Ogni filosofia nasconde un’ altra
filosofia: ogni opinione ò un nascondiglio, ogni parola una nuova
maschera.

290.

11 pensatore profondo teme maggiormente l’esser compreso


che Tesser frainteso. In quest’ultimo caso ne soffrirà la sua vanità;
ma nel primo il suo cuore, la sua compassione, che si ripetono :
ma perché mai volete anche voi portare il inio peso ?

291.

L’uomo, un animale molteplice, bugiardo, artificioso ed impene¬


trabile, temibile agli altri animali meno per la sua forza che per
l’astuzia e la prudenza, ha inventato la buona coscienza pei- poter
CHE COSA È ARISTOCRATICO 219
infinegodere della semplicità della sua anima : e tutta la morale
è uuh falsatone coraggiosa e perenne, mediante la quale sol¬

tanto è possibile un godimento nella contemplazione dell’anima.


T)a questo punto di vista nel concetto e arte a van compreso forse
ben molte cose di più di quanto generalmente non si creda.

292.

Un filosofo ò un uomo che vive, sente, ascolta, sospetta, spera


c sogna sempre delle cose straordinarie; che viene colto dalle
proprie idee come dal di fuori, dall’alto e dal basso, come da
una specie rii avvenimenti a lui solo riservati c che gli giun¬
gono come altrettanti fulmini : c forse lui stesso è un uragano, gra¬
vido di fulmini; un uomo fatale, intorno al quale si sento incessan¬
temente il rombo sinistro del tuono.
Un filosofo, ahimè, è talvolta un essere che fugge da sè stesso,
che spesso ha timore di sò stesso -, ma che è troppo curioso, per
nou ritornare sempre a sè stesso.

293.

Un uomo elio (lice: « questa cosa mi piace, io 1

voglie proteggerla e ^ilto un» melo¬


di potere sposare una oa.ua, ‘1 » j OTd6rsi attaccata
/.ione, di mantenere la sua fede ’ w u0g0 che
una donna, di punire e di abbattere m ^ ^ ^ gU
ha la sua collera e la sua sp. 1 ^ animali,
afflitti o gli oppressi amano rihigmrsi, ^ ^ ^ ^

„uali suo, tributar, »» “j ' . ^ pietà, ebbene,


padrone •_> •— se m • .. b coloro die
questa pietà ha un valore. Ma che importa la pietà di
ispirano essi stessi pietà ! dappertutto iti Europa
0 di coloro elio predicano la piota . ^ morbosa pér il
si riscontrano oggidì un’unta «> ibuttmlte nel lamentarsi,
dolo™ ed in I» <«.*.l'm di superiorità sotto
un’effeminatone che vorrebbe darsi
220 CAPITOLO NONO

hi larva della religione, e dell’orpello filosòfico; — si è decretato


un vero culto alla sofferenza. 1/invirilità di ciò che si è battezzato
col nome di < pietà » in certi cenacoli sentimentalisti, ò sempre a
mio avviso la prima cosa clic salta agli occhi. — È necessario
bandire energicamente e radicalmente questo cattivo gusto del¬
l’ultima moda; — ed io desidero infine, clic appeso al collo e al
posto del cuore si porti il buon amuleto del « gai snber », —
la gaia scienza » per farmi comprendere più facilmente.

294.

Il vizio olimpico. — A dispetto di quel filosofo, che da vero


inglese cercò di calunniare il riso presso tutti i pensatori — « il
riso è una grave infermità della natura umana, che ogni esser
pensante dovrà saper vincere » (Hobbcs) — io mi permetterei di
istituire persino una classificazione dei filosofi a seconda della
classe cui il loro riso appartiene — sino ad arrivare a coloro
che sono capaci del riso aureo. E supposto che anche gli Dei
s’occupino di filosofia, alla quale supposizione mi sento portato
da varie ragioni — io non dubito, ch’essi sapranno ridere in un
modo nuovo e superumano — in ispecie di tutte le cose le più
serie! Gli dei sono inclinati allo scherno; persino nelle cose sacre
sembra non si possano trattenere dal ridere.

295.

Il genio del cuore, come lo possiede quel grande incognito, il


dio-tentatore ed accalappiatore delle coscienze, la cui voce sa
discendere sino nelle ultime latebre dell’anima, del quale ogni
parola, ogni sguardo, sono un allettamento, la cui maestria spe¬
ciale è quella di saper apparire — non ciò che egli è, bensì
ciò che per coloro che lo seguono diviene una costrizione di più
per avvicinarsi sempre più a lui, per seguirlo sempre più intima¬
mente e radicalmente : — il genio del cuore, che fa ammutolire
tutte le voci alte o vanitose ed insegna ad ascoltare in silenzio, '
che spiana le anime ruvido ispirando loro una nuova brama —
CHE COSA È ARISTOCRATICO 221

(lì giacer silenziosi come le acque d’un lago, affinchè il cielo


possa specchiarvisi — ; il genio del cuore, che sa rattenere ogni
mano goffa e troppo frettolósa, insegnandole ad essere più deli¬
cata: che sa indovinare il tesoro nascosto e dimenticato, la goccia
ili bontà o di dolce spiritualità racchiusa sotto la crosta indurita
del ghiaccio, clic è una verga magica por ogni granello d’oro
imprigionato a lungo nel fango e nella sabbia; il genio del cuore,
al cui contatto ognuno si sento più ricco, non già sorpreso e
beneficato, non felice ed oppresso per aver ottenuto una cosa
non sua, ma più ricco di sò stesso e si sente rinnovato, sbocciato,
baciato e compenetrato come dal soffio d’uno zeffiro, più tenero, più
fragile, più affranto di prima, ma più ricolmo di speranze senza
nome, di nuove volontà, di nuove energie, di nuovi sdegni, di
nuovi apprezzamenti del passato — ma che cosa faccio io mai,
amici miei? Di chi vado a voi parlando? Dui tanto sconsiderato
da non dirvi nemmeno il suo nome? Qualora non abbiato digia
indovinato voi stessi, chi sia codesto spirito, codesto dio miste¬
rioso, che vuole essere iodato in tal guisa. Come succede a tutti
coloro elio sin dalla loro infanzia si trovarono sempre in cam¬
mino o tra estranei, anche la ima via fu di spesso attraversata
da spiriti di molte specie, singolari c talvolta pericolosi, ma primo
anzitutto da quello di cui vi stava parlando e che è nientemeno
che il dio Dioniso, il grande dio ambiguo e tentatore, al quale,
come voi sapete, in tutta segretezza c venerazione in altro tempo
ho sacrificato le mie primizie (l’ultimo forse che gli abb.a sacri¬
ficato : giacché non trovai nessuno che avesse compreso ciè che
minora io ho fatto). Nel frattempo ho appreso molte, troppe coso
sul conto della filosofia di questo Dio, o, come ho detto, da labbro
•i labbro — io, l’ultimo discepolo, l’ultimo iniziato da Dio Dio¬
niso; e mi pare che m’abbia un certo diritto di dare a voi, amie,
miei, por quanto ciò m’è permesso, un piccolo saggio <1. questa
filosofìa? A «sa voce, come si conviene : giacete si trattai)
molto coso segreto, nuove, estranee, strane, sinistre. Di già i
fatto ohe Dioniso sìa filosofo, o olio por conseguenza aneto g
Dei s’occupino di filosofia, mi sembra una ““h
molto a pensare c che precisamente tm . filosofi sma tome
222 CAPITOLO XOVO

accolta con diffidenza. - Tra voi, amici mici, essa non incon¬
trerà grande opposizione, o forse tutt’al più perchè vi giunge in
ritardo, fuori dell’ora opportuna: giacché oggidì voi, per quanto
ho potuto indovinare, credete malvolentieri in Dio e negli Dei.
Forse anche perla ragione, che nella sincerità della mia lalla¬
zione dovrei andare più lontano, di quanto possa garbare alle
serie abitudini delle vostre orecchie i
È certo che il Dio prefato in tali colloqui andava piti lontano,
' ma c molto di più e m’avanzava sempre di parecchi passi > .
Anzi, se fosse lécito conferirgli, ad usauza degli uomini, dei
begli epiteti solenni e virtuosi, io dovrei lodarmi molto del suo
coraggio qualo esploratore e scopritore, della sua pericolosa onestà,
della sua sincerità e del suo amore por la sapienza. Ma di tutte
queste venerabili quisquiglie un simile Dio non saprebbe che faisi.
c. Conserva questo », egli mi direbbe, « per te c i tuoi pari o chi
ne ha bisogno ! Io non ho alcun motivo di nascondere la min
nudità ! » — Lo si indovina : forse codesta specie di divinità e
di filosofi manca di pudore ! — Così un’altra volta egli disse .
.« in certo circostanze amo l’uomo » — c sì dicendo alludeva ad
Ariadne ch’era presento — : « l’uomo mi sembra essere un ani¬
male amabile, valoroso ed ingegnoso, che sulla terra non lui suo
pari, e che sa ritrovare il filo in tutti i labirinti ».
« Io gli voglio bene : penso talvolta come potrei farlo progredho
■ ancor di più, e renderlo più forte, più maligno c più profondo,
di quanto lo sia finora ». — « Più torte, più maligno, più pro¬
fondo?» domandai spaventato. « Si, » mi ripetè « più folte, più
maligno, più profondo; cd anche più « bello » soggiunse il Dio-
tentatore sorridendo del suo riso alcionico, come se in quel punto
avesse detto una cosa estremamente gentile.
Per cui vediamo in pari tempo, clic quella divinità non manca
soltanto del pudore - ; anzi, vi sono molte buone ragioni di rite¬
nere, che per certe cose gli dei, tutti insieme, potrebbero impa¬
rare molto dagli uomini. Noi uomini siamo più — umani.
CI1F) COSA K ARISTOCRATICO 22 X

296.

Ahimè, che n’è di voi, miei pensiei'i scritti e dipinti?! Non v’ha
molto, voi eravate ancora tanto variopinti, giovani, maliziosi, irti
di punte, ripieni di droghe piccanti, tanto da farmi starnutare e
ridere - ed ora ? Ari siete digià spogliati del manto della novità,
ed alcuni di voi, lo temo, sono pronti a tradursi in verità : quanti
tra voi hanno digià l’apparenza d’immortali, di tanto onesti da far
piangere, di noiosi ! E la cosa fu mai diversamente ?
Che cosa scriviamo, che cosa dipingiamo noi mai, noi mandarini
dal pennello chinesc, noi immortalatori delle cose, che si lasciano
scrivere, che cosa possiamo noi mai dipingere da per noi stessi ?
Ahimè, sempre ciò che già sta per avvizzire e comincia a per¬
dere la sua fragranza.
Ahimè, null’altro che uragani, che vanno estinguendosi esausti ;
null’altro che sentimenti tardi ed ingialliti ! Ahimè, null’altro
che uccellini, stanchi per aver volato, e per esser volati troppo
alto, che ora si lasciano cogliere con la mano — con la nostra
mano ! Noi immortaliamo ciò che non potrà aver vita lunga, ciò
che non potrà volare, delle coso stanche, fracido ! E
tramonto soltanto, oli miei pensieri, scritti e dipn^^J^.
dei colori, forse molti colori, molte tenerezze variopife ciuquau^
gradazioni di giallo o di bruno, di verde e di refi»; °^Qdt| j
tutto ciò nessuno saprà indovinare, quali voi Appariste
vostro mattino, oli ! voi scintille improvvise, prodi^^ffi^;-
litudine, oli voi miei antichi, adorati — cattivi pensièftt-'^
DALL'ALTO DEI MONTI

epodo.

del male. —
ÀIHT/.SCHE - Al di là del bene e
!
!
»

!
■\
Oh, meriggio della vita ! Epoca solenne ! 0 giardino estivo !
Beatitudine inquieta dell’ansietà dell’attesa : Gli amici aspetto,
giorno e notte: dove siete amici miei? Venite! È tempo, è tempo !

Xoii forse per voi oggi il grigio ghiacciaio s’adorna di rose?


Voi cerca il ruscello, dal desio sospinti il vento e le nubi si
sollevano oggi più iu alto, per spiare la vostra venuta, gareg¬
giando col più sublime volo degli uccelli.

Xel mio santuario por voi ho apparecchiato il desco: — Di


me chi abita più vicino alle stelle, chi più alle orribili profondità
deo-Ii abissi? Del mio regno — qual regno fu più esteso? Ed il
mio mele chi lo ha mai assaggiato ?

_ Qui siete alfin, annoi ! — Ahimè, ma non di me cercate?


Voi esitate, vi mostrate sorpresi, — oh, vorrei piuttosto che mi
teneste il broncio! lo — non son più io? È mutata la mano,
son mutati il passo, il volto? Ma chiunque io mi sia, per voi
amici — non son forse io ?

Divenni un altro ? Ed a me stesso estraneo ? Da me stesso


evaso ? Un lottatore che troppo spesso sè stesso ha vinto ? Che
228
dall’alto dei mosti

troppo spesso ha lottato contro la propria forza, ferito, paralizzato


dalle vittorie riportate su sè stesso?

Io cercai dove il vento soffia con maggior veemenza? Io posi


la mia dimora dove non c’è nessuno, nelle zone deserte do\o
l’orso bianco impera, io appresi a disconoscere 1 uomo c Dio, la
bestemmia e la preghiera ? Hi caugiai nel fantasma dei ghiacciai ?

Oh, vecchi amici miei ! — Ecco ! Voi mi rimirate pallidi di


alletto e d’orrore ! No, andatevene ! Non serbatemi rancore ! Qui
— voi non potreste dimorare ! Qui nel regno del ghiaccio eterno
e delle inaccessibili rupi vuoisi esser cacciatori, agili come i
camosci.

Ed io diventai un cacciatore maligno ! — Guardate come è


teso il mio arco ! 11 fòrte tra i forti lo tese in tal modo. — 3Ia
ora, guai ! Pericolosa è r/uesla freccia, come nessun’altra, ' —
scostatevi! Per la vostra salute!.

'Voi ve n’andate ? — Oh, cuore, troppo sopportasti, ma la tua


speme non venne meno : la tua porta resta aperta ai nuovi
amici ! Bandisci i ricordi ! Se fosti giovane, ora — lo sci meglio
di prima !

Di ciò che ci avvinse un dì, in una speme sola — chi leggo


ormai i caratteri impalliditi impressi dall’amore ? Io rassomiglio
alla pergamena, che la mano schiva di toccare — e al par di
lei ingiallito, adusto dal tempo.

Non son più amici costoro, — come devo chiamarli? Spettri


d’ amici antichi ! Che di notte busseranno ancora al mio cuore
ed alla mia 'finestra, e mi guarderanno sussurrando : « eppure
EPODO 2-29

eravamo noi! » — Oh, vizza parola, fragrante un di al par


d'una rosa !

Oh, desii giovanili incompresi! Quelli, che riveder bramai,


clic sognai affini a me e al par di me mutati, per esser invec¬
chiati — furono costretti a partirsene : sol chi si muta, resta
affino a me.

Oh meriggio della vita ! Oli secouda gioventù ! Oh giardino


estivo ! Inquieta beatitudine nell’ ansietà dell’ attesa !^ Gli amici
aspetto, giorno e notte, i nuovi amici! Venite: È tempo, è

tempo !

sic
* *

La «emm è Imita. - Il 8*1» <1»1 desl°


sul labbro : un mago il tronco, l’amico dell’ora apporta., 1 -»
del meriggio - no ! Non mi chiedete eh, m. - E,a
viggio, e l’uno divenne due.

Ora.con^—viltoùa.ao—
feste: fumxjwalkusti^^m j,ora dell’imeneo
or sorride il mondo, l’atra nobtaa s, «P»”».
tra la loco o le tenebro 6 alfln giunta.
IISTIDIOB

V
PREFAZIONE.
1
Capitolo Primo - Pei pregiudizi dei filosofi ....
27
* Sf.co.ndo — Lo spirito liboro.
51
Terzo — L’osseina religiosa.
71
» Quarto — Aforismi ed interludi.
SS
, Quinto — Por la storia naturalo della inoralo .
112
» Sesto — Noi dotti. . • ■ ' '
135
, Settimo — Lo nostro virtù . • l - 0| 163
, Ottavo — Popoli o patrie..
189
„ Nono — Che cosa è aristocratico ? . . • ■

225
Dall’alto dei monti. Epodo

Potrebbero piacerti anche