COLLANA STORICA DELLA BANCA D'ITALIA-CONTRIBUTI
RICERCHE PER LA STORIA
DELLA BANCA D'ITALIA
volume V
Il mercato del credito e la Borsa
l sistemi di compensazione
Statistiche storiche
Salari industriali e occupazione
Scritti di:
Stefano Baia Curioni Rita Brizi Giovanni Ferri
Paolo Garofalo Cosma O. Gelsomino
Sandra Petricola Vera Zamagni
EDITORI LATERZA
Nella «Collana Storica della Banca
d'Italia» i materiali originali, i dati e
le interpretazioni critiche per una
storia monetaria dell'Italia moderna.
COLLANA STORICA DELLA BANCA D'ITALIA
CONTRIBUTI
COLLANA STORICA DELLA BANCA D'ITALIA
COMITATO DI COORDINAMENTO
Carlo Azeglio Ciampi Antonio Fazio
Pierluigi Ciocca Franco Cotula
Antonio Finocchiaro Giorgio Sangiorgio
SERIE CONTRIBUTI
VOLUME V
VOLUME V
IL MERCATO DEL CREDITO E LA BORSA
I SISTEMI DI COMPENSAZIONE
STATISTICHE STORICHE:
SALARI INDUSTRIALI E OCCUPAZIONE
Scritti di
Stefano Baia Curioni, Rita Brizi, Giovanni Ferri,
Paolo Garofalo, Cosma O. Gelsomino,
Sandra Petricola, Vera Zamagni
EDITORI LATERZA 1994
© 1994, Gius. Laterza & Figli
Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
Finito di stampare nel marzo 1994
nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari
CL 20-4349-1
ISBN 88-420-4349-4
PRESENTAZIONE
Nell'agosto del1993 cade il primo centenario della Banca d'I-
talia. In connessione con la ricorrenza l'Istituto ha avviato un'ampia
iniziativa culturale allo scopo di promuovere studi storici sul sistema
finanziario italiano, segnatamente sulle origini e sull'evoluzione del-
le funzioni, dell'organizzazione, della posizione istituzionale della
Banca. Le linee generali dell'iniziativa sono impostate da un Comi-
tato di coordinamento. È stato costituito un Ufficio Ricerche Sto-
riche per compiere attività diretta di ricerca, raccotdare i contributi
dei divetsi settori dell'Istituto, collabomre con gli studiosi estemi.
La Banca d 'Italia nacque in una situazione di gtave crisi banca-
ria, causata anche dalla frammentazione degli istituti di emissione
sopravvissuta all'unificazione politica del Paese. Nel corso di cento
anni di attività sono stati attribuiti alla Banca i compiti che un'eco-
nomia modema e un sistema finanziario sviluppato richiedono siano
svolti da una banca centrale; sono mutati gli assetti istituzionali sui
quali si fonda la sua azione; è emerso che l'autonomia operativa è un
requisito necessario petché le funzioni di banca centrale vengano
espletate con efficacia.
Con la presente «Collana storica» non ci si è posti la finalità di
scrivere la storia della Banca d'Italia, bensì quella di mettere a di-
sposizione degli studiosi documenti, statistiche, contributi di analisi:
strumenti atti a stimolare e ad agevolare indagini e riflessioni. Il cri-
terio di metodo che informa il progetto discende dal convincimento
che fenomeni complessi, quali sono lo sviluppo di un modemo si-
stema finanziario e l'evolversi dell'istituto di emissione in banca cen-
trale, richiedono lo studio degli assetti normativi e istituzionali e
l'utilizzo congiunto degli strumenti dell'indagine storica, della teoria
economica, dell'analisi quantitativa.
Il piano editot'iale, non interamente definito per il carattere aper-
to che si è voluto dare alla «Collana», si articola in tre sede di va-
VIII Presentazione
lumi. La prima propone ampie raccolte di documenti, provenienti
dall'Archivio storico della Banca e da altri archivi. I documenti sono
stati selezionati da studiosi di riconosciuta competenza e dall'Ufficio
Ricerche Storiche con l'intento di approfondire temi ed eventi che
hanno costituito punti nodali nella vita dell'Istituto. I documenti
sono preceduti da Introduzioni dirette a meglio inscriverli nelle vi-
cende del Paese e a renderne più agevole la lettura.
La seconda serie della «Collana» mette a disposizione dei ricer-
catori statistiche reali e finanziarie, ricostruite sulla base di fonti ori-
ginarie o corredate di nuovi commenti critici, al fine di fornire il
necessario sostegno quantitativo all'analisi dell'azione della Banca
d'Italia.
I volumi della terza serie presentano saggi interpretativi su vari
aspetti della storia finanziaria italiana.
È stata altresì raccolta e ordinata la normativa di rilievo per l'at-
tività della Banca centrale prodotta dalla metà dell'Ottocento. Un
agevole accesso alle norme, che favorisca la conoscenza delle fun-
zioni della Banca centrale e della cornice istituzionale in cui essa
opera, è fondamentale nello svolgimento di ricerche quali quelle che
si intende promuovere.
Strettamente connesso con queste pubblicazioni è il progetto di
valorizzare l'Archivio storico della Banca. Con il fine di meglio cor-
rispondere alle ricerche sulla propria storia e identità la Banca ha
intrapreso, avvalendosi dell'apporto di esperti esterni, una nuova e
più funzionale inventariazione dei circa centomila fascicoli che do-
cumentano un secolo e mezzo di vicende finanziarie, non solo ita-
liane. Quale strumento di orientamento per gli studiosi, verrà predi-
sposta una guida all'Archivio.
L'impegno della Banca d'Italia in questo campo non si conclu-
derà con il1993. Le strutture di cui l'Istituto si è dotato permarran-
no per dare continuità e impulso all'iniziativa.
CARLO AzEGLIO CrAMPI
Settembre 1989
INTRODUZIONE
I saggi contenuti in questo volume riguardano in parte l'evo-
luzione dei mercati del credito e dei valori mobiliari, in parte il
sistema dei pagamenti. Il primo gruppo di lavori è strettamente
collegato al volume della serie «Documenti» dedicato alla politica
monetaria tra le due guerre 1 ; il secondo fornisce un quadro ge-
nerale dell'evoluzione storica dei sistemi di compensazione. È
presente anche una sezione statistica, riguardante l'andamento
mensile dei salari industriali e dell'occupazione tra il 1919 e il
1939.
La prima parte del volume - il mercato del credito e la Borsa
- comprende tre lavori, dedicati rispettivamente alle operazioni
di credito della Banca d'Italia, al ruolo della restrizione del cre-
dito nella propagazione della grande depressione, all'evoluzione
istituzionale della Borsa.
Il saggio di Cosma O. Gelsomino esamina lo sviluppo dell' at-
tività creditizia della Banca d'Italia tra le due guerre mondiali,
soffermandosi in particolare sulla genesi del divieto degli sconti
a clientela non bancaria stabilito nel 1936. Il lavoro prende le
mosse dal periodo precedente alla grande guerra, considerato non
in sé ma in quanto principale punto di riferimento per i tentativi
di riforma e di ripristino della normalità degli anni successivi. La
prima guerra mondiale, infatti, sconvolse il sistema monetario
italiano; reciso il legame con l'oro e con un bilancio profonda-
mente trasformato sia nelle dimensioni che nella struttura, la
Banca si trovò a navigare in acque in larga parte inesplorate, rese
burrascose dai gravissimi squilibri ereditati dal conflitto, e con
una dotazione inadeguata di strumenti. Le sue operazioni di ere-
1 F. Cotula-L. Spaventa (a cura di), La politica monetaria tra le due guerre.
1919-1935, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari 1993.
x Introduzione
dito si svilupparono in maniera impetuosa soprattutto all'inizio e
alla metà degli anni Venti, periodi entrambi critici per la politica
monetaria. Su tale sviluppo influirono vari fattori, non ultimo la
maggiore difficoltà di controllo delle operazioni rispetto a prima
della guerra; non sembra invece che abbiano giocato un ruolo di
rilievo motivazioni di tipo più strettamente aziendale, se non for-
se per periodi limitati. Per gli anni successivi alla riforma mone-
taria del 1927-28, il saggio mette in luce le gravi difficoltà di
conto economico della Banca d'Italia e documenta i ripetuti scon-
tri con il Tesoro e con il sistema bancario circa i confini della sua
attività creditizia. Azzolini difese con vigore la tradizionale pre-
senza della Banca nel credito diretto agli operatori non bancari,
non solo per motivi di reddito ma anche perché continuava a
ritenere che la partecipazione diretta dell'istituto di emissione al
finanziamento delle imprese rafforzava la sua influenza sul mer-
cato del credito. Ma, com'è noto, prevalse un altro punto di vi-
sta, che del resto rispondeva all'evoluzione di lungo periodo dei
rapporti tra istituto di emissione e banche commerciali.
Giovanni Ferri e Paolo Garofalo sottopongono a verifica l'i-
potesi che la restrizione del credito bancario abbia svolto un ruo-
lo autonomo e significativo nella propagazione degli effetti della
grande depressione in Italia, nel corso degli anni Trenta. Nel
nostro paese i salvataggi bancari evitarono le fughe su ampia sca-
la dai depositi e le sospensioni generali dell'attività bancaria; essi
però riguardarono essenzialmente le grandi banche, e di riflesso
le grandi imprese a queste legate. Per le banche medie e piccole
le crisi e le uscite dal mercato furono numerose; la maggiore pru-
denza nella gestione degli impieghi connessa con la percezione di
una più alta rischiosità dell'attività bancaria produsse un restrin-
gimento dell'offerta di credito, soprattutto per le piccole impre-
se, che contribuì ad aggravare e ad approfondire la depressione.
Questa tesi trova conferma nelle modifiche degli aggregati di bi-
lancio delle banche medie e piccole, che videro aumentare le com-
ponenti meno rischiose; nell'ampliamento dello spread tra i tassi
d'interesse su impieghi privati e pubblici; in documenti che mo-
strano la scelta di talune banche di privilegiare gli investimenti a
minor rischio. Essa è coerente con gli effetti settoriali della crisi,
che ebbe un impatto più grave per l'industria leggera caratteriz-
zata da una maggiore presenza delle imprese medie e piccole.
Introduzione XI
Lo studio di Stefano Baia Curioni ha per oggetto l'evoluzione
istituzionale della Borsa tra ill913 e il1936. Anche se sul piano
formale non si ebbero innovazioni di rilievo, potendo i principali
provvedimenti adottati nel periodo inquadrarsi nella cornice le-
gislativa predisposta nel1913, sul piano sostanziale la Borsa subl
una profonda trasformazione. Gli eventi dell925 e, soprattutto,
la crisi della banca mista finirono per mutare la collocazione della
Borsa nel sistema finanziario italiano, assegnandole un ruolo mar-
ginale rispetto ad altri canali di intermediazione. Le vicende in-
terne alla Borsa - in particolare, il conflitto tra agenti di cambio
e banche - appaiono eventi tutto sommato minori, che impe-
gnarono a lungo le energie degli operatori mentre forze molto più
potenti ridimensionavano il mercato nel suo complesso.
Gli istituti di emissione nacquero per favorire la diffusione di
un particolare mezzo di pagamento, la banconota. Il legame con
il sistema dei pagamenti caratterizza quindi fin dall'origine la
loro storia, e resta tra le determinanti di fondo della loro evolu-
zione. Nel quarto volume delle Ricerche per la storia della Banca
d'Italia Pasquale Ferro e Giuseppe Mulone hanno esaminato il
servizio di tesoreria statale svolto dalla Banca. In questo volume
Rita Brizi e Sandra Petricola si occupano dei sistemi di compen-
sazione, in due saggi dedicati alle stanze di compensazione e alla
riscontrata. Come per altri aspetti dell'attività di banca centrale,
anche per l'intervento nel sistema dei pagamenti emergono la
difficoltà e la laboriosità del processo di formazione della banca
centrale nel nostro paese. La storia delle stanze di compensazio-
ne, con il complicato intrecciarsi di competenze di organi diversi,
con le rivalità e le gelosie tra istituti e tra categorie di operatori,
con l'intersecarsi di iniziative private e di intervento pubblico,
costituisce uno spaccato significativo dei problemi e dei condi-
zionamenti attraverso cui si è svolta l'evoluzione della Banca d'I-
talia nel suo primo mezzo secolo di vita.
La sezione statistica è formata da una nota di Vera Zamagni
sull'andamento mensile dei salari industriali e dell'occupazione
nel ventennio tra le due guerre. La disponibilità di dati mensili
completa il quadro statistico sul mercato del lavoro nel periodo
interbellico, finora basato su serie annuali o su serie mensili di-
somogenee e di durata limitata, permettendo di cogliere con mag-
XII Introduzione
gior precisione i punti di svolta del ciclo economico. I dati con-
fermano, in particlare, che nelle fasi deflazionistiche del 1927 e
del1930-33 i tagli dei salari nominali non impedirono l'aumento
dei salari orari reali; i salari mensili reali (e quindi i guadagni
effettivi degli operai) diminuirono però egualmente, a causa della
riduzione delle ore lavorate. Per quanto riguarda la disoccupa-
zione, l'espansione produttiva della metà degli anni Venti la
portò a livelli minimi, da cui fu allontanata dalla crisi connessa a
quota novanta; la grande depressione l'accrebbe fino a livelli ec-
cezionali, che furono riassorbiti solo in parte dalla ripresa della
seconda metà degli anni Trenta.
CosMA O. GELSOMINO
RICERCHE PER LA STORIA
DELLA BANCA D'ITALIA
Volume V
Parte prima
IL MERCATO DEL CREDITO E LA BORSA
DA ISTITUTO DI EMISSIONE
A BANCA DELLE BANCHE:
LE OPERAZIONI DI CREDITO
DELLA BANCA D'ITALIA
TRA LE DUE GUERRE MONDIALI*
di Cosma O. Gelsomino
l. Premessa
L'oggetto di questo studio è la storia della Banca d'Italia tra
le due guerre mondiali, considerata dal punto di vista della sua
attività creditizia.
L'analisi degli sconti e delle anticipazioni- principale stru-
mento operativo della Banca ben oltre il periodo considerato -
può essere fatta avendo in mente più scopi: capire le politiche
seguite nel campo del controllo monetario e in quello della ge-
stione delle crisi bancarie; mettere in luce aspetti dello sviluppo
strutturale, di lungo periodo, dell'istituto di emissione in Italia e
della sua trasformazione in banca centrale nel senso moderno del
termine. Il lavoro segue essenzialmente quest'ultimo approccio,
anche se non mancano riferimenti, in particolare, a questioni di
politica monetaria. Una trattazione sistematica dei rapporti tra
Banca d'Italia e sistema bancario e della politica monetaria tra le
due guerre è compiuta in altri volumi di questa collana storica, a
cui si rinvia 1 •
Il saggio si divide in tre parti. La prima contiene una descri-
zione dell'attività creditizia della Banca alla vigilia della prima
'' Ringrazio i colleghi dell'Ufficio Ricerche Storiche per gli utili suggerimenti.
1 F. Cotula e L. Spaventa (a cura di), La politica monetaria tra le due guerre.
1919-1935, e G. Guarino e G. Toniolo (a cura di), La Banca d'Italia e il sistema
bancario. 1919-1936, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari
1993.
6 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
guerra mondiale. È sembrato necessario soffermarsi su questo
punto sia per inquadrare meglio le vicende successive, sia e so-
prattutto perché la situazione antecedente alla guerra costituì a
lungo, per molti, una sorta di norma ideale a cui ispirarsi e a cui
fare prima o poi ritorno. Proprio per questo motivo, si è dedicata
una certa attenzione non solo alla situazione di fatto, ma anche
alle idee fondamentali di quella che Bresciani Turroni chiamava la
dottrina classica sull'attività creditizia dell'istituto di emissione2 •
Formatasi prima della guerra, essa diede luogo a un'ortodossia
monetaria la cui influenza durò a lungo, benché la sua rispondenza
alla prassi effettiva degli istituti di emissione italiani fosse sempre
stata tutt'altro che completa.
La seconda parte si occupa del periodo compreso tra la fine
della guerra e la riforma monetaria del 192 7. In questi anni le
operazioni di sconto e di anticipazione si svilupparono fortemen-
te, con una crescita che in certi periodi (1919-21, 1925-26) fu
impetuosa e modificò profondamente la struttura del bilancio
della Banca. La crisi del vecchio regime monetario aveva privato
la Banca d'Italia di essenziali punti di riferimento; riaffioravano
richieste e pressioni (il soddisfacimento delle «legittime esigenze
del commercio» come criterio guida delle operazioni di sconto)
già emerse in altre fasi dell'evoluzione dell'attività di banca cen-
trale. La Banca soffriva, tra l'altro, di un'insufficienza di stru-
menti; si nutriva minore fiducia che in passato nell'efficacia della
manovra del saggio di sconto, mentre d'altra parte si era molto
cauti nel razionamento delle operazioni (per gli sconti e ancor più
per le anticipazioni) e si difettava di uno strumento per il rias-
sorbimento sistematico della liquidità eccedente. Una funzione
di contenimento dell'espansione monetaria venne perseguita, in
certi anni, promuovendo lo sviluppo dei depositi presso la Banca
d'Italia3.
La terza parte del lavoro copre il periodo tra la stabilizzazio-
ne della lira e le riforme del1936. Furono, questi, anni difficili
per la Banca, che risentì anch'essa degli effetti della crisi di sta-
bilizzazione e poi della grande depressione. La composizione del
suo stato patrimoniale mutò di nuovo profondamente, con un
2 Cfr. C. Bresciani Turroni, Corso di economia politica, Giuffrè, Milano
1951, vol. II, p. 72.
3 Cfr. l'Introduzione di Cotula e Spaventa a La politica monetaria cit.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 7
forte aumento prima delle riserve valutarie, poi dei finanziamen-
ti connessi ai salvataggi bancari e infine dei crediti sul Tesoro.
Nello stesso tempo, il suo conto economico fu sottoposto a ten-
sioni molto gravi, con riduzione dei ricavi, aumento delle soffe-
renze, incremento reale di alcune importanti voci di spesa (inte-
ressi passivi, spese di amministrazione). Le difficoltà economiche
della Banca e i tentativi di risolverle contribuirono a determinare
un conflitto circa i confini delle sue operazioni di credito, che la
contrappose al Tesoro e a settori del sistema bancario. La Banca
cercò di difendere la sua tradizionale presenza nel credito all'e-
conomia, rimanendo però sconfitta: la legge bancaria del 1936
stabill il divieto degli sconti a clientela non bancaria.
Da questo punto di vista, con il1936 si chiuse un'epoca della
storia della Banca. Negli anni successivi non mancarono tentativi
di abolire il divieto, ispirati all'idea che l'istituto di emissione
dovesse continuare a influire sulle condizioni del credito anche
attraverso la sua partecipazione diretta al finanziamento dell'e-
conomia. Su quei tentativi - e sul loro fallimento - si sofferma
l'ultimo paragrafo.
2. La Banca d'Italia alla vigilia della prima guerra mondiale
2 .1. Natura, funzioni e dimensioni relative degli istituti di emissione
La situazione della Banca d'Italia nel decennio precedente
allo scoppio della prima guerra mondiale è ormai sufficientemen-
te conosciuta, grazie soprattutto ai lavori di Confalonieri, Ciocca
e Bonelli. È quindi possibile risolvere - almeno nei tratti essen-
ziali - un problema importante ai fini della nostra indagine:
stabilire che tipo di istituzione finanziaria fosse in quel periodo
la Banca d'Italia e quale ruolo svolgessero, in particolare, le sue
operazioni di credito (sconti e anticipazioni). Come si è visto, è
opportuno porsi questo quesito perché il periodo immediatamen-
te precedente all'inizio della guerra costituì a lungo, nella co-
scienza di molti degli attori presenti sulla scena economica (ban-
chieri, uomini politici, industriali, economisti), l'archetipo della
situazione finanziaria e monetaria normale. Capire come questa
idea interferisse e si modificasse a contatto con una condizione
8 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
dell'economia e della finanza profondamente mutata a seguito
della guerra è tra i compiti meno facili dell'analisi storica.
Che tipo di istituzione finanziaria era dunque la Banca d'I-
talia nel decennio precedente al1914? I principali elementi iden-
tificativi si possono indicare, in sintesi, nei punti seguenti: la
Banca era in primo luogo un'istituzione investita di una funzione
pubblica (la creazione e la salvaguardia del medio circolante del
paese e la regolazione del credito) e ben cosciente di esserlo, mal-
grado la sua natura di soggetto privato; era un operatore di di-
mensioni notevoli se rapportate a quelle dell'economia, del siste-
ma bancario e di quello finanziario; era sottoposta a una serie di
vincoli normativi e istituzionali, connessi con le peculiari fun-
zioni da essa svolte, che si traducevano in una particolare strut-
tura del bilancio e del conto economico.
Circa la funzione pubblica della Banca, occorre sgombrare il
terreno da possibili equivoci. È ovvio che essa non era intesa
nello stesso senso in cui intendiamo oggi le funzioni di una banca
centrale. Bisogna infatti tener presente che la Banca operava in
un sistema monetario diverso dall'attuale, in cui l' «arte del ban-
chiere centrale», per dirla con Hawtrey, consisteva nel mante-
nere l'eguaglianza tra il valore del biglietto e quello di una de-
terminata quantità di oro. Nonostante l'inconvertibilità della
lira, questa funzione era perseguita anche in Italia, come mostra-
no l'importanza attribuita alla riduzione dell'aggio sull'oro e la
politica di rafforzamento delle riserve seguita dalla Banca; essa
differenziava gli istituti di emissione dagli altri intermediari fi-
nanziari e giustificava la disciplina specifica a cui essi erano sot-
toposti, con severe limitazioni alla loro attività - una volta af-
fermatosi il principio che la mera convertibilità non bastava, da
sola, a garantire la stabilità del valore del biglietto in termini di
oro 4 • In questo quadro, il rafforzamento patrimoniale della Ban-
ca costituiva il presupposto perché la funzione di emissione dei
biglietti potesse essere correttamente esercitata5.
4 Questione che, com'è noto, era stata al centro della controversia tra ban-
king school e currency school; cfr. Bresciani Turroni, op. cit., pp. 62-68. Natural-
mente il ruolo delle limitazioni J?OSte dalla legge era ancora maggiore in quei
paesi, come l'Italia, in cui il biglietto non era legalmente convertibile in oro a
prezzo fisso.
5 Sulla rilevanza dell'obiettivo della solidità patrimoniale degli istituti di
emissione, cfr. P. Ciocca, Note sulla politica monetaria italiana 1900-1913, in G.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 9
Che il compito fondamentale dell'istituto di emissione fosse
di gestire le riserve metalliche del paese e di offrire un mezzo di
circolazione, il biglietto, «buono come l'oro», anche se più eco-
nomico, era dottrina ormai consolidata e accettata. A ciò si ag-
giungeva l'ulteriore funzione della regolazione del credito, che
non aveva però un significato altrettanto nettamente definito.
Di essa si possono infatti individuare almeno tre principali acce-
zioni.
In primo luogo, il ruolo di «supremo regolatore» del mercato
creditizio era svolto dall'istituto di emissione nella sua qualità di
prestatore di ultima istanza: spettava ad esso far fronte ai bru-
schi e consistenti aumenti della domanda di liquidità che si ve-
rificavano durante una crisi finanziaria, evitando che ne fossero
travolti anche operatori - intermediari e imprese - altrimenti
solvibili6 . In secondo luogo, la regolazione del credito era legata
al compito di custode delle riserve metalliche nazionali: poiché la
loro consistenza poteva essere messa a repentaglio anche da una
eccessiva espansione del credito bancario, era necessario che que-
sto fosse opportunamente controllato7 . Infine, si riteneva che l'i-
Toniolo (a cura di), L'economia italiana 1861-1940, Laterza, Roma-Bari 1978, pp.
180-85, e A. Confalonieri, Banca e itzdustria in Italia dalla crisi del1907 all'agosto
1914, Banca commerciale italiana, Milano 1982, vol. I, pp. 112-13; cfr. anche
R.S. Sayers (citato pure da Confalonieri): «The Bank was in no position, in these
pre-war years, to let go an established source of incarne. I t had a duty to be rich,
if it was properly to shoulder the public responsibilities already fully accepted by
the Bank and of daily concern t o its Governors» (The Bank of England 1891-1944,
Cambridge University Press, Cambridge 1976, p. 27).
6 Cfr. ad esempio T. Canovai, Le banche di emissione in Italia, Casa editrice
italiana, Roma 1912, pp. 217-19.
7 Cfr. M. Fanno, Le banche e il mercato monetario, Athenaeum, Roma 1912,
pp. 131-32: «Tanto i biglietti di banca quanto la depositcurrency disimpegnano le
funzioni di moneta. Ma né gli uni né gli altri sono mezzi di pagamento definitivo.
[...] Essi sono convertibili a vista in moneta metallica. Ora, siccome lo chèque è
convertibile a vista in biglietti di banca e siccome i biglietti di banca sono a loro
volta convertibili in moneta metallica, così l'apertura di una partita di credito da
parte di una banca ordinaria a favore di un proprio cliente, cioè il diritto confe-
ritogli di trarre sulla banca degli chèques, significa nei suoi effetti ultimi il diritto
di prelevare un ammontare corrispondente dalle riserve metalliche delle banche
di emissione. Onde su coteste riserve ricadono in ultima analisi tutti gli impegni
a vista di tutte le banche; e coteste riserve formano il fondo comune su cui gravita
e poggia la circolazione fiduciaria nazionale. Ora, appunto perché detentrici di
coteste riserve, le banche di emissione sono il centro di tutto il sistema bancario.
Perché infatti il credito possa espandersi senza pericolo, è necessario che esso
riposi su basi adeguate. Quindi l'espansione del credito, per non essere eccessiva,
deve mantenersi entro dati limiti in relazione alle riserve. E al rispetto di questi
10 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
stituto di emissione dovesse integrare la struttura creditizia del
paese, colmando le lacune in essa presenti e svolgendo un'azione
calmieratrice sui tassi d'interesse.
I paesi europei non costituivano però un insieme omogeneo
riguardo ai modi con cui la regolazione del credito poteva avve-
nire e al peso relativo dei singoli obiettivi. In Inghilterra l'in-
fluenza della banca centrale sulle condizioni del credito era so-
prattutto indiretta, sia per la peculiare evoluzione storica delle
istituzioni finanziarie britanniche, sia per il grande sviluppo che
già negli ultimi decenni dell'Ottocento vi avevano avuto le ban-
che di deposito; nei paesi del continente europeo - benché con
diverse gradazioni - gli istituti di emissione agivano invece sul
mercato del credito soprattutto in maniera diretta, attraverso gli
affari che essi curavano e che rappresentavano una quota rile-
vante dell'attività bancaria complessiva8 . Quindi, mentre nel pri-
mo caso la regolazione del credito significava soprattutto influen-
za sull'attività del sistema bancario, nel secondo ~sa si
attuava in misura rilevante per mezzo dell'intermediazione svol-
ta direttamente tra possessori dei biglietti e utilizzatori finali del-
le risorse, che integrava quella delle banche di deposito e delle
altre istituzioni finanziarie. Ne derivava che, sul continente, l'o-
biettivo di affiancare il sistema bancario nella «distribuzione del
credito» e di calmierare i tassi d'interesse aveva in genere un'im-
portanza relativamente maggiore 9 •
Queste differenze trovavano fondamento nella diversità del-
le dimensioni e della composizione del sistema monetario nei vari
paesi. Pur tenendo conto della difficoltà di effettuare attendibili
limiti vigilano le banche di emissione. In ciò sta la loro funzione direttiva. E
questa funzione esse adempiono intervenendo sul mercato ogni qualvolta se ne
dimostri il bisogno».
8 Cfr. Sayers, op.cit., p. l. Sull'Inghilterra, cfr. anche M. De Cecco, Moneta
e impero, Einaudi, Torino 1979, pp. 132-33.
9 Sulla rilevanza attribuita all'azione calmieratrice degli istituti di emissione,
cfr. la risposta del governatore della Banca di Francia nell'intervista della Na-
tional Monetary Commission del Senato degli Stati Uniti: «Q. You admit to
discount certain classes of bills which are also discounted by the other banks, and
with whom the Bank of France must therefore find itsclf in competition? A. O n
certain points there may be competition, and it is on account of this salutary
competition that wherever a branch of the Bank has been established the rate of
discount has been perceptibly reduced, in the interest of commerce» (National
Monetary Commission, Interoiews on the Banking and Currency Systems, Govern-
ment Printing Office, Washington 1910, p. 193).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 11
confronti internazionali in un campo in cui l'analisi statistica è
disagevole anche quando viene limitata a un solo paese, alcune
differenze appaiono troppo macroscopiche per non essere signi-
ficative. Nel primo decennio del secolo, il rapporto tra la somma
delle banconote e dei depositi delle banche commerciali e il red-
dito nazionale era nel Regno Unito quasi doppio che in Italia e in
Germania 10 • La differenza era dovuta esclusivamente al maggior
peso dei depositi delle banche commerciali inglesi, che raggiun-
gevano il40 per cento del reddito nazionale, contro il17 e 1'11
per cento rispettivamente della Germania e dell'Italia; per le ban-
conote la graduatoria fra i tre paesi era invertita, con l'Italia al-
l'estremo superiore (10 per cento del reddito), il Regno Unito al
livello più basso (1,7 per cento) e la Germania in posizione in-
termedia (5,2 per cento) 11 . Del resto, era osservazione comune
tra gli autori del tempo che, mentre nei paesi dell'Europa con-
tinentale la circolazione monetaria era basata sui biglietti, in In-
ghilterra (e in minor misura anche negli Stati Uniti) prevalevano
i depositi bancari mobilizzabili con assegni 12 •
Oltre che al minore sviluppo delle banche di deposito, l'ele-
vata incidenza delle banconote nel sistema monetario italiano era
dovuta alla diversa composizione dello stock di circolante. In
contrasto con le prescrizioni del gold standard classico - che pre-
vedeva la libera circolazione dell'oro anche sotto forma di mo-
neta all'interno dei paesi che vi aderivano - in Italia mancava
1° Cfr. B.R. Mitchell, European Historical Statistics 1750-1970, Macmillan,
London 1975. Per l'Italia, si intendono per banche commerciali le società ordi-
narie di credito e le banche popolari.
11 Sul maggior peso degli istituti di emissione in Italia, cfr. anche Le strutture
finanziarie: aspetti quantitativi di lungo periodo (1870-1970), in P. Ciocca, Interesse
e profitto, Il Mulino, Bologna 1982. Nel1900 la quota degli istituti di emissione
sull'attivo degli intermediari finanziari era in Italia del23 per cento, contro il 9
per cento per la media di cinque paesi sviluppati (p. 162).
12 Cfr. ad esempio Fanno, Le banche cit., pp. 122-23: «Mentre nei paesi
agricoli predomina il biglietto di banca nei paesi industriali invece finisce per
predominare lo chèque. E il primo risultato perciò della diffusione delle banche
di deposito è di spogliare il biglietto di banca del primato nella circolazione». In
nota egli aggiunge: «Se osserviamo infatti lo stato della circolazione dei vari paesi
troveremo la conferma della legge indicata. Nei paesi prevalentemente agricoli o
ad ogni modo non completamente trasformati alla vita industriale come la Russia,
l'Italia, la Spagna, il Canadà ecc., la diffusione degli chèques è minima. Men-
tr'essa è via via progressivamente maggiore man mano che si passa a paesi indu-
strialmente più evoluti, man mano cioè che si passa dalla Francia alla Germania,
dalla Germania agli Stati Uniti; ed è massima in Inghilterra, paese di massimo
sviluppo industriale».
12 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
una circolazione di monete d'oro anche prima del1914D. Negli
Stati partecipanti a pieno titolo al sistema aureo, invece, l' am-
montare delle monete d'oro in circolazione raggiungeva valori
cospicui: in Germania, ad esempio, esso superò quello delle ban-
conote in tutto il primo decennio del secolo 14 •
Anche sul continente, comunque, la situazione era in movi-
mento e tendeva verso un aumento del peso relativo delle banche
di deposito 15 • Ciò valeva pure per l'Italia: il rapporto tra circo-
lante e depositi bancari complessivi scese dal 32 per cento nei
primi tre anni del secolo al 27 per cento nel triennio precedente
allo scoppio della guerra; il rapporto tra credito degli istituti di
emissione e credito delle banche diminuì, nello stesso periodo,
dal 17 al 15 per cento 16 • La tendenza era determinata dalla
maggiore dinamica dei depositi e del credito bancari: sempre tra
i due periodi considerati, i rapporti medi con il reddito nazio-
nale lordo del circolante e del credito degli istituti di emissione
crebbero rispettivamente dall'8,9 al 10,8 per cento e dal 3,4 al
4,2 per cento; gli analoghi rapporti dei depositi e del credito
u Cfr. Bresciani Turroni, op. cit., p. 60.
14 Cfr. K. Borchardt, Economia e finanza, in Economia e finanza in Germania
1876-1948, a cura della Deutsche Bundesbank, Cariplo-Laterza, Roma-Bari
1988, pp. 34-36. Nel valutare questi aspetti della composizione dei sistemi mo-
netari europei prima della guerra, va tenuto presente che i biglietti di banca ave-
vano un ambito di circolazione diverso dall'attuale: essi erano utilizzati essen-
zialmente nei rapporti d'affari, mentre le esigenze delle transazioni minute erano
soddisfatte dalla circolazione di monete metalliche ed eventualmente dalla cir-
colazione di Stato. La «specializzazione» dei biglietti di banca era un obiettivo
consapevolmente perseguito dalla legge, che, nel periodo che stiamo consideran-
do, generalmente imponeva tagli minimi elevati; 50 lire in Italia, corrispondenti
a circa 250.000 lire del 1991 (il taglio massimo era di 1000 lire, equivalenti a
4.500.000 lire); 100 marchi in Germania; 5 sterline in Inghilterra. Sui tagli mi-
nimi delle banconote, cfr. Borchardt, op. cit., pp. 34 e 65; R.G. Hawtrey, Tbe
Art of Centra/ Banking, Longmans Green and Co., London 1932, pp. 131-34;
Bresciani Turroni, op. cit., pp. 59-60. Sui motivi che spingevano a stabilire tagli
minimi elevati, cfr. V. Smith, Tbe Rationale of Centra! Banking, P.S. King, Lon-
don 1936, pp. 165-66.
15 Cfr. Fanno, op.cit., pp. 115-29.
16 Cfr. R. De Mattia, I bilanci degli istituti di emissione italiani 1845-1936,
Banca d'Italia, Roma 1967. Cfr. anche Ciocca, Note cit., pp. 162-63: tra il1900
e il 1913 la percentuale degli istituti di emissione sull'attivo complessivo degli
intermediari finanziari scese dal 23 al 18 per cento, mentre quella delle banche
commerciali aumentò dal 13 al 19 per cento; l'analoga percentuale rispetto al
totale del sistema bancario diminul dal 26,2 del 1900 al 22,2 del 1910 per gli
istituti di emissione, aumentò dal14,9 al18,3 per le società ordinarie di credito.
C. O. Gelsomino Da istitttto di emissione a banca delle banche 13
bancari aumentarono dal 27,7 al 39,3 per cento e dal 20,3 al
28,3 per cento 17 •
2.2. La dottrina classica sulle operazioni di credito dell'istituto di
emissione
A partire dalla metà circa del secolo scorso era divenuta pre-
valente l'opinione che la convertibilità delle banconote non ba-
stava, da sola, a impedire eccessi di emissione capaci di turbare
gravemente il sistema finanziario e l'attività produttiva. Il dibat-
tito tra la banking school e la currency school era sfociato nell'e-
manazione di leggi che imponevano limiti e vincoli all'attività
degli istituti di emissione, differenziandoli dalle normali banche
di deposito - non a caso chiamate anche «banche libere» - che
rimasero a lungo assoggettate soltanto alla disciplina generale del-
le imprese commerciali. Un punto fondamentale di questa rego-
lamentazione riguardava la natura delle attività che potevano fa-
re da contropartita alla creazione di biglietti. All'inizio del secolo
esisteva in proposito una dottrina ben consolidata, che per tale
funzione ammetteva sostanzialmente solo due categorie di atti-
vità: le riserve metalliche e la carta commerciale. In linea di prin-
cipio, erano invece esclusi (o almeno circoscritti entro limiti ri-
gorosamente definiti) i crediti sul Tesoro, sia diretti che sotto
forma di titoJils.
Queste idee ispiravano le legislazioni in vigore nei principali
paesi, le quali, sia pure con tecniche diverse, avevano l'obiettivo
comune di impedire che nei bilanci degli istituti di emissione en-
trassero attività ritenute non idonee a fronteggiare la creazione
di biglietti. È nota la contrapposizione tra la soluzione inglese,
incorporata nella legge del1844, e quella prevalsa nella maggior
17 Sul declino delle dimensioni relative degli istituti di emissione, cfr. anche
A. Gonfalonieri, Banca e industria in Italia 1894-1906, vol. II, Il sistema bancario
tra dtte crisi, Banca Commerciale Italiana, Milano 1976, p. 194.
18 Facevano eccezione gli Stati Uniti, che fino alla creazione del Federai
Reserve System furono privi - tranne che per brevi periodi - di una banca
centrale. Dal 1864 era in funzione il National Banking System, il quale preve-
deva che le banche potevano emettere biglietti contro deposito di titoli pubblici.
Cfr. Smith, op.cit., pp. 46-48.
14 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
parte dei paesi dell'Europa continentale19 • In Inghilterra si volle
separare completamente la creazione di biglietti dalla raccolta di
depositi, imponendo che le variazioni del circolante avvenissero
esclusivamente in parallelo con le variazioni delle riserve auree;
l'unica attività ammessa nel bilancio dell'issuing department della
Banca d'Inghilterra, in aggiunta a una quantità fissa di crediti sul
Tesoro, era quindi l'oro 20 , mentre il banking department avrebbe
dovuto agire, nell'ispirazione originaria della legge, come una
qualsiasi banca di deposito 21 • Nei paesi dell'Europa continenta-
le, invece, si optò per l'adozione di un coefficiente minimo di
riserva (con l'importante eccezione della Francia22 ), insieme con
limiti massimi alla circolazione dei biglietti e con la rigorosa de-
limitazione delle attività diverse dall'oro, acquisibili dalle ban-
che di emissione. Era questa, grosso modo, la situazione dell'I-
talia, il cui sistema, pur in mancanza della convertibilità, era
ispirato in larga misura alla legge monetaria tedesca del1875 23 •
Nei paesi dell'Europa continentale si ammetteva quindi che
la creazione di biglietti potesse essere almeno in parte determi-
nata dall'acquisizione di attività diverse dall'oro. Ma non tutte le
attività potevano svolgere questa funzione; secondo la dottrina
ortodossa, essa poteva essere esercitata solo dalla carta commer-
ciale, cioè dai crediti a breve termine traenti origine da effettive
transazioni su merci24 • È la celebre (o famigerata, a seconda dei
19 Cfr. ad esempio D.H. Robertson, Money, Nisbet Cambridge University
Press, Cambridge 1966 {prima edizione 1922), pp. 50-52.
20 O per dir meglio, più in generale, le riserve metalliche, poiché la legge
consentiva anche la detenzione di argento in barre, in misura non superiore a un
quarto delle riserve auree. La Banca d'Inghilterra, però, in genere non si valse di
questa facoltà. Cfr. National Monetary Commission, op. cit., p. 12.
21 Già Bagehot, scrivendo nel 1873, notava che di fatto non era stato così,
come mostrava la circostanza che la Banca d'Inghilterra avesse mantenuto, per il
suo banking department, un rapporto di riserva di gran lunga superiore a quello
delle banche ordinarie {cfr. Lombard street, trad. it. di Luigi Einaudi, CRT, To-
rino 1986, pp. 97-98). A partire da Bagehot divenne anche opinione accettata
che non dovesse essere cosl, avendo il banking department la funzione di gestire
la riserva metallica dell'intero sistema bancario. E anche noto che il sistema in-
glese si rivelò fin dall'inizio troppo rigido, almeno in situazioni di emergenza,
rendendo necessaria la sua sospensione nelle crisi del1847, 1857 e 1866.
22
Cfr. National Monetary Commission, op.cit., pp. 211 e 213, e Hawtrey,
The Art cit., p. 197.
23 Cfr. Fanno, Le banche cit., p. 147, e Bresciani Turroni, op.cit., p. 69.
24 Cfr. Hawtrey, The Art cit., p. 126-30; Bresciani Turroni, op. cit., pp. 72
sgg.; M. Fanno, Lezioni di economia e legislazione bancaria, CEDAM, Padova 1933,
pp. 95-96. Per gli Stati Uniti, la legge istitutiva del Federai Reserve System,
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 15
punti di vista) teoria dei rea! bills, che ha fatto scorrere fiumi di
inchiostro per almeno un secolo e mezzo. Data la sua importan-
za, conviene soffermarsi brevemente su di essa, anche a costo di
aggiungere qualche altra goccia al fiume di inchiostro già scorso,
adottando un angolo visuale che va pure oltre il periodo oggetto
di questo paragrafo.
Cominciamo innanzitutto con il dare qualche giustificazio-
ne all'esclusione dei titoli pubblici dal novero delle attività che
potevano legittimamente trovar posto nel bilancio dell'istituto
di emissione. La motivazione più convincente è quella data da
Hawtrey: si temeva che l'ammissione incondizionata dei titoli
pubblici consentisse all'esecutivo di abusare del potere di crea-
zione monetaria delle banche di emissione, aprendo le porte
all'inflazione25 • L'ostracismo ai titoli pubblici durò a lungo: le
riforme monetarie attuate in molti paesi europei nella seconda
metà degli anni Venti continuarono per la maggior parte a ispi-
rarsi ad esso 26 . Ne era invece in pratica esente la Banca d'Inghil-
terra, grazie alla sua suddivisione tra banking e issuing department
e all'elevato ammontare dei depositi da essa raccolti27 ; a un con-
cetto analogo a quello inglese si ispirava la legislazione america-
na, che, fino al Glass-Steagall Act del1932, consentiva alle ban-
emanata nel1913, stabili espressamente che i biglietti dovevano essere coperti da
oro (nella misura del 40 per cento) e da cambiali commerciali; una disposizione
analoga esisteva anche in Germania. Cfr. M. Friedman e A. Schwartz, A Mone-
tary History of the Unìted States, Princeton University Press, Princeton 1963, p.
194, e Borchardt, op. cit., p. 26.
25 «The acquisition of Government securities by the centrai bank is regar-
ded as opening the door to inflation. I t is usual for the power of the centrai bank
to !end to the Government to be carefully circumscribed, and the dividing line
between lending direct and buying Government securities in the market may be
rather a fine one» (Hawtrey, The Art cit., p. 131).
26 Fu il caso, in particolare, della Francia (cfr. Hawtrey, The Art cit., pp.
213-14); per i paesi dell'Europa centrale- Austria, Ungheria e Germania- cfr.
anche M. Alberti, Capitali esteri, circolazione e cambi, in «Rivista bancaria», 1927,
pp. 667-68. In Italia, invece, con D.M. 17 giugno 1928 (emanato in attuazione
del D.L. 21 dicembre 1927, che disponeva il ripristino della convertibilità della
lira), si aboll il limite massimo al portafoglio di titoli pubblici della Banca. Come
si vedrà, la cosa non ebbe però riflessi pratici.
27
La Banca d'Inghilterra faceva ricorso alla raccolta di depositi su scala mol-
to maggiore degli istituti di emissione del continente: nel1908 i biglietti rappre-
sentavano solo il 36 per cento delle sue passività a vista, contro 1'85 per cento
degli istituti di emissione italiani, 1'89 per cento della Banca di Francia e il 75 per
cento della Banca dell'Impero germanico. Cfr. Canovai, op. cit., pp. 232 e 239.
16 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
che della riserva federale di detenere titoli pubblici, ma non a
fronte dell'emissione di biglietti2 8 •
Esclusi i titoli pubblici, per quale motivo la dottrina ortodos-
sa limitava ai soli effetti commerciali il diritto di far parte, in-
sieme all'oro, dell'attivo degli istituti di emissione? È da notare
che la discriminazione non era compiuta in base alla natura della
controparte (banca o non banca), ma in base a quella dell'attività
finanziaria acquisita (cambiale commerciale in contrapposizione
ad altri strumenti finanziari). L'opinione comune era che l'isti-
tuto di emissione dovesse acquistare solo crediti commerciali29 ,
indipendentemente dal fatto che a cederli fosse o meno una
banca30 , e che dovesse farlo nei limiti imposti dall'obbligo di pre-
servare il valore del biglietto in rapporto all'oro.
Quest'ultima qualificazione è importante. Essa distingue la
posizione canonica, secondo cui la limitazione alla carta commer-
ciale era condizione necessaria ma non sufficiente per una cor-
retta gestione dell'istituto di emissione, da quella eterodossa -
ma non per questo poco influente e diffusa - in base alla quale
bastava che la banca di emissione si attenesse al criterio di scon-
tare soltanto la genuina carta commerciale, avente una solida ed
28 Cfr. Hawtrey, The Art cit., p. 131. La disposizione del1932, che consen-
tiva provvisoriamente ai titoli pubblici di fungere da contropartita alla creazione
di biglietti, fu resa definitiva nel1935 (cfr. Bresciani Turroni, op.cit., p. 103).
29 Riguardo alla natura commerciale degli effetti, la prassi (e in genere anche
la legge) temperava in vari modi il rigore della teoria. Si individuava ad esempio
una categoria di «.legittime cambiali finanziarie», comprendenti quelle emesse a
fronte di transazioni in valuta, di stock di titoli o di merci, o in anticipazione di
prestiti, ritenendole ammissibili allo sconto. Si situavano invece sicuramente al
di fuori di quelle ammesse le cambiali di puro comodo, considerate prive di un
autonomo sostrato economico (sia pure di tipo finanziario). Cfr. Hawtrey, The
Art cit., p. 129, che riprende National Monetary Commission, op. cit., pp. 21 e
28. Allo sconto di legittime cambiali finanziarie si possono per molti versi assi-
milare le anticipazioni su titoli e su merci, la cui elasticità era assicurata dal fatto
che i titoli e le merci dovevano avere largo mercato. Naturalmente, per la Banca
d'Inghilterra la distinzione tra banking e issuing department non implicava che
essa scontasse ogni tipo di carta. L'esigenza di elasticità dell'attivo era in sostan-
za la stessa che per gli altri istituti, anche se la principale variabile tenuta sotto
controllo prendeva una forma tecnicamente diversa (il rapporto tra i biglietti
detenuti dal banking department e l'ammontare dei depositi; cfr. Sayers, op. cit.,
pp. 28-33 e Hawtrey, The Art cit., pp. 195-96).
30 Si vedano le risposte degli istituti di emissione dei principali paesi in N a-
tional Monetary Commission, op.cit., p. 21 per la Banca d'Inghilterra, p. 196 per
la Banca di Francia, p. 339 per la Reichsbank. Sulla rilevanza della clientela non
bancaria per la Banca d'Inghilterra nel periodo 1890-1914, cfr. Sayers, op. cit.,
pp. 5 e 17-27.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 17
effettiva base economica, per essere sicura di evitare eccessi di
circolazione. In tal caso, infatti, l'ammontare dei biglietti sareb-
be stato sempre proporzionato ai «bisogni del commercio»: non
sarebbero stati possibili eccessi di offerta di cartamoneta e il suo
valore sarebbe rimasto stabile.
Com'è noto, queste idee erano state sostenute dalla banking
school e, quantunque emarginate nell'ambito della teoria econo-
mica propriamente detta, erano ampiamente rimaste in circola-
zione anche nella seconda metà del secolo 31 • Il contrasto tra le
due tendenze, sempre presente sullo sfondo, si acuiva nei periodi
di sospensione della convertibilità del biglietto, allorché il crite-
rio del soddisfacimento delle «legittime esigenze del commercio»
si candidava con più efficacia al ruolo di guida della condotta
delle banche di emissione32 • Non a caso, un luogo classico di con-
trapposizione tra i due punti di vista è il Bullion Report, redatto
nella fase di inconvertibilità della sterlina che accompagnò le
guerre napoleoniche 33 • Come si vedrà, idee analoghe a quelle
31 Cfr. Smith, op. cit., pp. 151-53, e Bresciani Turroni, op. cit., pp. 63 sgg.
L'obiezione tradizionale all'argomento dei needs o/ trade è, nelle parole di Bre-
sciani, che <<Ì 'bisogni del commercio' non sono una quantità definita. La do-
manda di prestiti - come quella di qualsiasi merce o servizio - è influenzata
dalle condizioni alle quali la banca è disposta a concedere prestiti, principalmente
dal saggio d'interesse. Mutando queste condizioni la banca modifica la domanda
di prestiti [...]. Perciò, rendendo troppo facili le condizioni dei prestiti, la Banca
può provocare una malsana espansione della domanda, per soddisfare la quale
dovrà eccedere nelle emissioni, sia pu.re solo temporaneamente».
32 Cfr. ad esempio Del Vecchio: «E un errore ritenere che gli Istituti debbano
emettere tanti biglietti quanti ne occorrono per soddisfare a tutte le sane richieste
di sconto che essi ricevono. Le richieste di capitale in tale forma devono commi-
surarsi alla quantità di carta, che può circolare alla pari, non devono determinare
esse la massa di carta circolante. Quando i biglietti siano liberamente convertibili,
non occorre insegnare questa verità elementare, perché l'oblio di essa dà luogo a
rimborsi e ad esportazione di metallo all'estero. Le riserve in via di esaurimento
dimostrano alla banca che ha ecceduto negli sconti e le impongono di !imitarli.
Quando i biglietti sono inconvertibili, il riafzo del cambio, se anche materialmente
non obbliga a ciò, dovrebbe indurre egualmente la Banca a limitare le sue opera-
zioni, dimostrandole che essi sono superiori al bisogno che il mercato ha della sua
carta per gli scambi» (Polemiche sui cambi, 1913, in Cronache della lira in pace e in
guerra, Treves-Treccani-Tumminelli, Milano-Roma 1932, p. 53).
33 Il Bullion Report commenta nei termini seguenti l'opinione dei dirigenti
della Banca d'Inghilterra, secondo cui «there can be no possible excess in the
issue of Bank of England paper, so long as [... ] the discount of mercantile Bills
is confined to paper of undoubted solidity, arising out of real commerciai tran-
sactions, and payable at short and fixed periods. That the Discounts should be
made only upon Bills growing out of real commerciai transactions, and falling due
in a fixed and short period, are sound and well-established principles. But that,
18 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
combattute dal Bullion Report si riaffacciarono con forza negli
anni turbolenti seguiti alla fine della prima guerra mondiale 34 .
Della dottrina dei rea! bills, nella sua accezione ortodossa,
sono state date varie spiegazioni, sia da autori contemporanei sia
da studiosi che in epoche successive hanno affrontato l' argomen-
to. Una delle più diffuse e autorevoli è che solo le cambiali com-
merciali assicuravano un adeguato grado di elasticità all'attivo
della banca di emissione e quindi all'offerta di biglietti35 • Nel
sistema aureo, come si è visto, il compito principale dell'istituto
di emissione era di mantenere l'eguaglianza tra l'unità di moneta
e lo standard monetario, costituito da una determinata quantità
di oro 36 • Entro certi limiti, al raggiungimento di questo risultato
concorreva la stessa convertibilità dei biglietti: nel senso che, se
il loro valore tendeva a scendere al di sotto della parità aurea, essi
erano presentati all'istituto di emissione per essere convertiti in
oro e quindi la loro offerta si contraeva37 • Tuttavia, fu subito
chiaro che questo meccanismo automatico non bastava; come os-
serva Hawtrey, esso assicurava solo una frazione dell'aggiusta-
mento necessario, frazione tanto più piccola quanto più svilup-
while the Bank is restrained from paying in specie, there need be no other limit
to the issue of their paper than what is fixed by such rules of discount, and that
during the suspension of Cash payments the discount of good Bills falling due at
short periods cannot lead to any excess in the amount of Bank paper in circula-
tion, appears to Your Committee to be a doctrine wholly erroneous in principle,
and pregnant with dangerous consequences in practice» (The Bullion Report, 8th
]une 1810, in E. Cannan [a cura di], The PaperPound o/1797-1821, ristampa della
seconda edizione del1925, «Reprints of Economie Classics», A.M. Kelley, New
York 1969, p. 46). Cfr. anche Bagehot, op.cit., pp. 99-101, e Hawtrey, The Art
cit., p. 198-99. '
34 Cfr. par. 3.3. Si veda anche Bresciani: «E codesto [quello della circola-
zione commisurata ai bisogni del commercio] un argomento che si sentì ripetere
più volte anche durante le recenti inflazioni monetarie. All'autore di questo corso
disse una volta Havenstein, presidente della Reichsbank (la banca centrale tede-
sca) nel 1922, quando più imperversava l'inflazione: 'Se un cliente mi presenta
una cambiale commerciale, buona sotto tutti gli aspetti, perché non la debbo
scontare? Così non faccio dell'inflazione. Non faccio che soddisfare una doman-
da giustificata'. Anche nel caso della Germania i fatti diedero la più solenne
smentita a queste affermazioni dimostrando all'evidenza che la politica della Rei-
chsbank fu dopo l'estate del1922 uno dei fattori del deprezzamento del marco
tedesco>>. Cfr. Bresciani Turroni, op. cit., p. 63.
35 1vi, pp. 72-73.
36 E questa la definizione di gold standard data da Robertson, Money cit.,
p. 53.
37 Ivi, p. 54.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 19
pato era il sistema bancario del paese3 8 • Occorreva quindi che
l'istituto di emissione fosse in grado di intervenire attivamente
per ridurre l'offerta di circolante, quando il valore dei biglietti si
avvicinava al limite inferiore della parità aurea. Lo strumento
con cui raggiungere questo obiettivo, com'è noto, fu individuato
nell'aumento del saggio di sconto39 • Affinché esso risultasse ef-
ficace, però, era necessario che i crediti dell'istituto di emissione
fossero non solo formalmente, ma anche effettivamente a breve
termine: il rapido «rigiro» dei biglietti avrebbe allora garantito
che l'aumento del saggio di sconto, contraendo il flusso delle nuo-
ve operazioni, riducesse velocemente anche lo stock di biglietti
in essere. Solo le cambiali commerciali, si riteneva, assicuravano
all'attivo degli istituti di emissione un grado di liquidità suffi-
ciente a raggiungere questo scopo.
Una seconda giustificazione è data da Hawtrey e riguarda
fondamentalmente i requisiti di sicurezza della cambiale. In con-
dizioni normali la doppia firma era una garanzia sufficiente; non
cosl in condizioni di crisi, allorché il principale problema della
banca di emissione era di difendersi da possibili abusi del suo
credito soprattutto da parte di banche insolventi (e la seconda
firma in queste circostanze serviva a poco, dato che in genere le
difficoltà delle banche riflettevano quelle dei clienti). Di qui la
necessità di un criterio aggiuntivo rispetto a quello delle firme: la
discriminazione tra cambiali commerciali e cambiali di comodo
era un modo per distinguere tra strumenti finanziari derivanti
dal normale funzionamento degli affari e strumenti che potevano
invece rappresentare il sintomo di una situazione di disagio 40 .
Js Hawtrey, The Art cit., pp. 177-78.
39 L'uso del saggio di sconto come strumento di controllo monetario si af-
fermò, in pratica, nella seconda metà del XIX secolo. I lavori di Tooke, di Go-
schen e di Bagehot lo teorizzarono e contribuirono a diffonderlo. Fino al1837,
del resto, erano state in vigore in Inghilterra le leggi sull'usura, che impedivano
di alzare il saggio di sconto al di sopra del5 per cento; veniva osservato anche un
limite inferiore, del 4 per cento, ragion per cui il tasso oscillava entro limiti ri-
stretti (cfr. Hawtrey, The Art cit., pp. 136 sgg.). «Per 76 anni, dal l 0 maggio
1746 al 20 giugno 1822, il tasso di sconto rimase invariato al5 per cento. Dal
1822 al1839 si ebbero lievi fluttuazioni fra il4 e il5 per cento. Il tasso ufficiale
della Banca d'Inghilterra sorpassò - per la prima volta - il 5 per cento il 20
giugno 1839 fissandosi al 5 1/2 per cento, per raggiungere il 6 per cento sei set-
timane dopO>> (J.M. Keynes, Trattato della moneta, trad. it., Feltrinelli, Milano
1979, p. 143).
40
Hawtrey, The Art cit., pp. 126-30.
20 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Una terza spiegazione, fornita da Friedman, fa rientrare la
politica dei collaterali dello sconto in quella che egli chiama «spe-
cific credit policy»41 , cioè nell'azione rivolta a orientare la dire-
zione dei flussi creditizi, distogliendoli da certi usi e attirandoli
verso altri. In particolare, l'intento era di evitare che il credito
fosse utilizzato a fini speculativi o comunque diversi dal finan-
ziamento della produzione e degli scambi; quindi, solo le cam-
biali traenti origine dalla produzione e dagli scambi andavano
ammesse allo sconto presso gli istituti di emissione.
Naturalmente, tutte queste spiegazioni sono suscettibili di
critica, che del resto spesso è stata fatta dagli stessi autori che le
hanno proposte 42 • Tuttavia, il punto non è questo, ma è di capire
il quadro teorico entro cui si collocava la dottrina della carta com-
merciale e i motivi per cui essa ha prevalso cosl a lungo - almeno
fino agli anni Trenta - e in tanti paesi diversi.
2.3. Le operazioni di credito della Banca d'Italia
Se quella delineata nel paragrafo precedente era l'opinione
ortodossa sull'attività creditizia degli istituti di emissione, ve-
diamo cosa è dato di sapere sulle operazioni che effettivamente
compiva la Banca d'Italia negli anni immediatamente precedenti
all'inizio della prima guerra mondiale.
Esaminando la situazione della Banca al 31 dicembre 1913,
Bresciani Turroni, dopo aver messo in rilievo che le voci relative
alla riserva, al portafoglio e alle anticipazioni coprivano la quasi
41 Cfr. M. Friedman, A Program /or Monetary Stability, Fordham University
Press, New York 1960, p. 26. Cfr. anche Friedman e Schwartz, A Monetary
History cit., pp. 266-68.
42 Hawtrey, ad esempio, osserva che in condizioni critiche il preteso carat-
tere autoliquidante degli effetti commerciali può venir meno; d'altra parte, è
possibile che un soggetto meritevole di credito non disponga di carta commer-
ciale nella misura che sarebbe necessaria (Hawtrey, The Art cit., p. 130). Frie-
dman nota che la natura del collaterale non dice nulla sull'uso del credito che
viene concesso sulla base di esso; quindi, la tecnica della discriminazione dei
collaterali non riesce a impedire un eventuale uso del credito a fini speculativi
(Friedman, op. cit., p. 26). La prassi, del resto, era abbastanza elastica da supe-
rare almeno alcune di queste obiezioni. Nella intervista con la National Mone-
tary Commission, alla domanda «Is it the policy of the bank t o discriminate again-
st finance bills in times of financial crises?», la Banca d'Inghilterra rispondeva:
«The bank always discriminates against 'accomodation' bills pure and simple, but
in times of financial crises each case would be considered on its merits» (National
Monetary Commission, op.cit., p. 28).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 21
totalità degli impegni a vista, osserva che «era una situazione
che, malgrado qualche neo [... ] doveva ritenersi del tutto sana e
corrispondente alle concezioni 'classiche' circa la struttura del
bilancio di una banca di emissione»43 • La Banca aveva ormai da
qualche anno terminato la liquidazione delle immobilizzazioni
ereditate alla sua nascita; il loro posto era stato occupato, nella
composizione dell'attivo, prima dall'aumento delle riserve, poi da
quello degli sconti e delle anticipazioni; il coefficiente di riserva,
dopo aver raggiunto un massimo del75 per cento nel1908, aveva
oscillato intorno al67 per cento nei tre anni precedenti all'inizio
della guerra mondiale 44 , con un cambio che, a partire dal1903, si
era mantenuto quasi sempre in prossimità della pari45 •
Malgrado questi notevoli risultati, non mancavano critiche e
perplessità, in particolare proprio sulla qualità dell'attivo degli
istituti di emissione. Del Vecchio, ad esempio, osservava nel
1911 che i crediti delle banche di emissione italiane non erano
abbastanza elastici, in quanto costituivano veri investimenti du-
revoli di capitale46 • Rispondendo alle domande dei rappresen-
tanti della Commissione monetaria degli Stati Uniti, del resto,
Tito Canovai, vicedirettore generale della Banca, affermava che
«in massima, le banche di emissione dovrebbero scontare sol-
tanto effetti commerciali e non effetti industriali. Ma nella pra-
tica si vede spesso la convenienza di scontare a proprietari agri-
coli e a industriali con scadenza non mai superiore però a quat-
tro mesi»47 •
43 Cfr. Bresciani Turroni, op.cit., p. 155.
44 Cfr. Confalonieri, Banca e industria in Italia dalla crisi cit., e De Mattia,
op. cit.
45 Cfr. P. Ciocca e A. Ulizzi, I tassi di cambio nominali e «reali» dell'Italia
dall'unità nazionale al sistema monetario europeo (1861-1979), in Ricerche per la
storia della Banca d'Italia, vol. I, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza,
Roma-Bari 1990. Solo verso il 1912-13 si manifestò una certa tendenza all'au-
mento dell'aggio. Cfr. Confalonieri, Banca e industria in Italia dalla crisi cit., p.
105.
46 «Le attività delle nostre banche di emissione, anche se formalmente cor-
rispondono alle prescrizioni statutarie e sembrano operazioni commerciali a bre-
ve termine di pronta e facile realizzazione, oppure investimenti in titoli di pri-
missimo ordine e tali da essere realizzati senza difficoltà e senza perdita, sono in
realtà la espressione di veri e propri investimenti durevoli di capitale, sia che
corrispondano a prestiti a privati industriali e speculatori, sia che corrispondano
a investimenti proprii della banca nell'interesse suo e dello Stato» (Il problema
della circolazione, 1911, in Cronache cit., p. 9).
47 Canovai, op.cit., Appendice, pp. 276-77.
22 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
L'analisi più accurata, tra quante si conoscono, della compo-
sizione del portafoglio della Banca d 'Italia è quella contenuta nel-
la relazione sull'ispezione straordinaria del 1913, pubblicata da
Bonelli48 • Da essa si ricava che poco meno della metà (per l'e-
sattezza, il 46 per cento) della carta scontata era stata ceduta da
istituti di credito e da banchieri49 , mentre il 19 per cento era
stato presentato da commercianti, il 25 per cento da industriali
e il 9 per cento da proprietari e agricoltori. Naturalmente, lari-
partizione per categorie di affidati non coincide necessariamente
con quella per natura dell'operazione di finanziamento. Tutta-
via, dalla stessa relazione risulta, anche se in termini sfumati, che
i crediti a industriali, agricoltori e possidenti rappresentavano in
buona parte sovvenzioni dirette, che non si basavano cioè sulla
cessione di un credito preesistente50 . La conclusione è che
non tutto il portafoglio della Banca risponde a ben noti principi di scien-
za bancaria; non tutto, cioè, sta a rappresentare transazioni commerciali
a breve scadenza e di facile risoluzione. Ma non può mettersi in dubbio
che un istituto di credito, il quale si proponesse di escludere l'operazio-
48
F. Bonelli (a cura di), La Banca d'Italia dal1894 al1913. Momenti della
formazione di una banca centrale, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza,
Roma-Bari 1991, pp. 565-604.
49 A parte la distinzione tra istituti di credito e banchieri, la relazione non
analizza la composizione interna di questa voce. La quota delle banche maggiori,
comunque, era piuttosto limitata; la stessa relazione afferma che i maggiori isti-
tuti liberi «ricorrono alla Banca, per lo più, allo scopo di risparmiare spese di
esazione, approfittando degli stabilimenti e dei corrispondenti dell'Istituto di
emissione disseminati in tutto il Regno, e presentando gli effetti da essi scontati
pochi giorni prima della scadenza» (p. 596). Sui rapporti tra la Banca d'Italia e le
principali banche commerciali, cfr. Confalonieri, Banca e industria in Italia dalla
crisi cit., pp. 132-41; Ciocca, Note cit., pp. 247-57; A. Gigliobianco, Tra concor-
renza e collaborazione: considerazioni sulla natura dei rapporti tra «banca centrale»
e sistema bancario nell'esperienza italiana (1844-1918), in Ricerche per la storia della
Banca d'Italia, vol. I, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari
1990.
50 Gli ispettori individuavano una particolare categoria di carta scontata dal-
la Banca, la «carta di comodo commerciale», che si distingueva da un lato dalla
carta commerciale propriamente detta, in quanto rappresentativa di affari da
compiere invece che di affari compiuti, dall'altro dalla «carta di comodo assolu-
to», creata a scopo di mero consumo o per affari privi di base economica. Pur non
avendo informazioni precise, la relazione ipotizzava che tra le operazioni con
industriali, agricoltori e possidenti la «carta di comodo commerciale» occupasse
un posto di rilievo; ipotesi avvalorata dallo sviluppo delle aperture di credito in
conto corrente delle banche ordinarie, che aveva ridotto la circolazione della vera
carta commerciale. Cfr. Bonelli (a cura di), op. cit., pp. 583-92.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 23
ne cambiaria non avente per substrato una vera operazione di commer-
cio, troverebbe un campo troppo ristretto alla propria azione. 51
Il problema degli sconti delle banche di emissione in Italia, in
effetti, rimarrà a lungo nei termini indicati dall'ispezione del
1913. Come si è visto, lo stadio di sviluppo del sistema moneta-
rio italiano assegnava un ruolo determinante, anche sul piano
quantitativo, al biglietto di banca e quindi richiedeva che i bi-
lanci degli istituti di emissione avessero dimensioni relativamen-
te elevate; ciò rendeva inevitabile che l'attività creditizia degli
istituti andasse al di là dei confini previsti dalla dottrina orto-
dossa. Una volta portate le riserve auree a livelli coerenti con il
mantenimento di una sufficiente stabilità del cambio (ma non
fino al punto di trasformare il biglietto in un certificato di de-
posito in oro, perdendo l'economia di risorse reali consentita dal
passaggio alla moneta fiduciaria) ed esclusi o rigorosamente limi-
tati i crediti sullo Stato, titoli compresi, non rimaneva che svi-
luppare gli sconti e le anticipazioni, anche al di là di quanto la
ridotta offerta di carta commerciale avrebbe consentito.
Ciò non significa che vi fosse un completo e assoluto divorzio
tra teoria e pratica, né che gli istituti di emissione italiani si de-
dicassero a qualunque tipo di attività creditizia. Risanato il bi-
lancio, la Banca d'Italia si sforzò di mantenere un portafoglio
dotato di un sufficiente grado di sicurezza e di elasticità, nel ten-
tativo di adattare le prescrizioni della dottrina alle caratteristi-
che dell'ambiente economico italiano. Per quanto se ne sa, il ten-
tativo riusd solo in parte (soprattutto per il profilo dell'elastici-
tà); ma si trattava comunque di una parte importante e signifi-
cativa, che appariva straordinaria se confrontata con la situazio-
ne di pochi anni prima5 2 e che indicò a lungo, nel periodo suc-
cessivo, la direzione in cui riprendere il cammino.
51 lvi, p. 603.
52 Anche un severo custode dell'ortodossia come Del Vecchio sottolineava i
grandi progressi compiuti in Italia nel guindicennio seguito alla riforma bancaria:
nonostante i suoi difetti, «il sistema della nostra emissione bancaria [... ] si può
considerare un monumento di saggezza e di perfezione, qualora si confronta con
quell'ammasso di rovine morali ed economiche, che appena quindici anni fa ne
tenevano il luogo ed ispiravano la più grave e fondata sfiducia in un migliore
avvenire» (Il problema della circolazione cit., pp. 3-4). Cfr. anche Canovai, op.
cit., pp. 231-47.
24 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Naturalmente, va pure tenuto presente che sconti e antici-
pazioni costituivano la quota più rilevante dell'attivo fruttifero
della Banca; la quale quindi aveva interesse ad assecondare la
domanda di credito che ad essa si rivolgeva, sviluppando anche le
passività diverse dai biglietti5 3 • Tuttavia, la redditività aziendale
era solo uno dei suoi obiettivi. In tutta questa fase appare de-
terminante l'intento di costruire una struttura di bilancio ade-
rente al compito di gestore del medio circolante del paese, por-
tando il coefficiente di riserva su valori ben superiori al minimo
di legge54 , e di assicurare al cambio della lira un alto grado di
stabilità intorno alla pari, il che era conforme a quanto l'opinione
ortodossa, fin dai tempi del Bullion Report, richiedeva agli isti-
tuti di emissione nei periodi di sospensione della convertibilità
dei biglietti55 •
Sulla manovra del tasso di sconto nel periodo precedente alla
prima guerra mondiale hanno scritto ampiamente Ciocca e Con-
5 > In particolare i depositi, che non erano sottoposti a obbligo di riserva, ma
erano soggetti a un duplice vincolo, sulle quantità e sui tassi. Sui depositi, cfr.
infra, par. 3.6.
54 Che era del 40 per cento. A questa situazione si attagliano alcune osser-
vazioni di Cabiati, formulate nel 1922 riflettendo sull'esperienza della guerra.
Secondo Cabiati, poiché il saggio di sconto è il prezzo della massa metallica cu-
stodita dall'istituto di emissione e poiché la sua eccessiva variabilità crea uno
stato di incertezza che danneggia l'economia, l'istituto mantiene in,genti riserve
metalliche, anche se ciò contrasta con i suoi interessi aziendali: «E per questo
motivo che talvolta si vede l'istituto di emissione seguire una politica, che ban-
cariamente sarebbe assurda: e cioè tenere, in pura perdita, inattiva una conside-
revole riserva aurea. Con danno proprio, in tal caso l'istituto si sforza di ammi-
nistrare l'oro nel migliore interesse del paese, tenendone una quantità tale, che se
ne possa mandare all'estero una porzione relativamente notevole, senza influire
marcatamente sul suo prezzo, ossia senza bisogno di alterare il saggio dello scon-
to» (Le conseguenze economiche di un regime !iberista nella guerra mondiale, in «Ri-
vista bancaria», 1922, p. 232). La Banca d'Italia del decennio precedente allo
scoppio della guerra sembra quindi aver risolto il conflitto d'interesse tra la mas-
simizzazione del profitto e l'esigenza di mantenere un adeguato rapporto di ri-
serva, che Goodhart considera il più grave tra quelli che interessavano le «centrai
commerciai banks» operanti in regime aureo. Cfr. The Evolution of Centra! Banks,
The MIT Press, Cambridge (Mass.)-London 1988, p. 53.
55 «So long as the suspension of Cash Payments is permitted to subsist, the
price of Gold Bullion and the generai Course of Exchange with Foreign Coun-
tries, taken for any considerable period of time, form the best generai criterion
from which any inference can be drawn, as to the sufficiency or excess of paper
currency in circulation; and [...] the Bank of England canno t safely regulate the
amount of its issues, without having reference to the criterion presented by these
two circumstances» (The Bullion Report, 8th fune 1810, cit., p. 45).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 25
falonieri, ai cui lavori si rinvia56 • Basti qui ricordare che il costo
dello sconto era modificato soprattutto variando il tasso ridotto,
che un decreto legge del 1895 aveva ammesso per le cambiali
recanti firme di prim'ordine e aventi scadenza non superiore a
tre mesi. La ragione normale dello sconto era invece cambiata
assai più raramente, quando non bastava alzare fino al suo livello
il costo medio dello sconto sospendendo le operazioni a tasso
inferiore.
L'Italia non era l'unico paese a prevedere tassi di sconto dif-
ferenziati per le operazioni degli istituti di emissione. Nel 1878
la Banca d'Inghilterra aveva deciso di applicare alla clientela or-
dinaria tassi allineati a quelli di mercato, riservando i tassi uffi-
ciali, di regola più elevati, alle operazioni con i bill brokers. An-
che la Reichsbank era stata autorizzata, nel 1880, ad applicare
tassi preferenziali, inferiori al tasso ufficiale; a partire dalla se-
conda metà degli anni Ottanta le operazioni a tasso ridotto rap-
presentarono circa il 50 per cento del totale degli sconti. La Ban-
ca di Francia si atteneva invece al solo tasso ufficiale 57 •
Come si è detto, la teoria economica vedeva nel tasso di scon-
to il principale strumento con cui le banche di emissione perse-
guivano il compito di mantenere l'eguaglianza tra il valore del
biglietto e quello dello standard monetario. Per i paesi in cui il
biglietto era convertibile in oro, e che quindi aderivano a un si-
stema di cambi fissi, tale compito assumeva la forma della difesa
delle riserve metalliche nazionali: l'aumento del tasso di sconto
era il modo in cui la banca di emissione reagiva a un'eccessiva
diminuzione delle riserve 58 . Per i paesi a moneta inconvertibile,
come l'Italia, era invece possibile proteggere le riserve anche la-
sciando deprezzare il cambio. Tuttavia, poiché dai primi anni del
secolo la Banca d'Italia aveva cercato di mantenere il cambio del-
la lira il più vicino possibile alla pari, pure da noi la manovra del
saggio di sconto tornava a proporsi come mezzo di difesa delle
56 Ciocca, Note cit., pp. 257-76; Confalonieri, Banca e industria in Italia dalla
crisi del1907 all'agosto 1914, cit., vol. I, pp. 101-15.
57 Cfr. Borchardt, op.cit., pp. 54-55; Sayers, op.cit., p. 11; Fanno, Le ban-
che cit., p. 126, nota 2. Il regime vigente nei principali paesi - Inghilterra,
Francia e Germania - riguardo ai saggi di sconto ridotti è brevemente descritto
anche nella Memoria della Banca d'Italia per il ministro del Tesoro del25 gennaio
1907, pubblicata da Bonelli (op.cit., pp. 215-16).
5 8 Cfr. Sayers, op.cit., pp. 28-29.
26 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
riserve 59 • A parere di molti, la sua efficacia era però ridotta dal
permanere di un certo grado di variabilità del cambio della lira,
il quale, insieme con la posizione marginale dell'Italia rispetto al
sistema finanziario internazionale, faceva sì che dei due princi-
pali effetti dell'aumento del tasso - sui movimenti di capitali e
sul saldo commerciale, attraverso la riduzione dei prezzi interni
- il primo fosse per il nostro paese praticamente trascurabile.
Lo scetticismo sulla possibilità di attirare fondi dall'estero
con un aumento del tasso di sconto era in sostanza condiviso da
Stringher, che era inoltre piuttosto diffidente verso l'apporto del
capitale straniero, sempre pronto a ritirarsi alla minima difficol-
tà. Gli effetti della manovra del saggio di sconto erano quindi
ricercati essenzialmente sul versante interno (controllo delle ope-
razioni di credito della Banca e dello stock di circolante) 60 •
3. Dalla fine della guerra alla stabilizzazione della lira
3 .l. La crisi del «gold standard» e il mutamento negli obiettivi e
negli strumenti della politica monetaria
La prima &uerra mondiale travolse il sistema monetario in-
ternazionale. E difficile farsi oggi un'idea precisa della profon-
59 Si veda l'intervento di Stringher al Consiglio superiore della Banca del25
settembre 1911, citato da Gonfalonieri: «La pressione sui cambi[ ...] non si può
correggere che in due modi: o esportando dell'oro, oppure aumentando la ragione
dello sconto, sia per frenare il ritiro dei capitali stranieri qui impiegati, sia per
possibilmente richiamarli, ed in ogni caso per frenare le operazioni in paese e così
moderare l'aumento della circolazione. Certo non è il caso di attenersi al primo
dei detti provvedimenti che restringerebbe la potenza monetaria del paese: quin-
di non resta che accogliere il secondo, cioè quello dell'aumento della ragione dello
sconto» (Banca e industria in Italia dalla crisi ci t., p. 111).
6
° Cfr. Gonfalonieri, Banca e industria in Italia dalla crisi del1907 all'agosto
1914, cit., vol. I, pp. 101-108. Cfr. anche la relazione sull'ispezione straordinaria
del1913: «In Italia il saggio ufficiale dello sconto se può servire, come del resto
si verifica altrove, a regolare la disponibilità del denaro in rapporto ai bisogni
dell'economia nazionale o in rapporto alla circolazione; se, per la sua distinzione
in saggio normale, di favore o ridotto, ha lo scopo di graduare la rimunerazione
del servizio prestato dagli istituti di emissione a seconda dell'alea che le diverse
specie di operazioni presentano [... ] non può servire per volgere a nostro favore
le correnti monetarie internazionali, perché, volendo raggiungere siffatto scopo,
l'aumento dovrebbe essere in tal misura da costituire un aggravio insopportabile
per il commercio e le industrie» (in Bonelli [a cura di], op.cit., p. 570). Cfr. anche
Fanno, Lezioni cit., pp. 84-86.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle bancbe 27
dità dello sconvolgimento di quegli anni, che fu tanto più inten-
so, nei riflessi sulle coscienze, quanto maggiore era stata la
stabilità dei decenni precedenti. Basti pensare che, per trovare
un parallelo alla crisi che stavano attraversando, economisti, ban-
chieri e uomini politici europei dovevano rifarsi ad avvenimenti
di oltre un secolo prima - gli effetti delle guerre napoleoniche
- o a vicende di altri continenti, che mai avrebbero pensato
potessero riprodursi in Europa.
Con la guerra, il mantenimento di ingenti riserve auree, com-
misurate alla circolazione, divenne un lusso che quasi nessuno tra
i paesi belligeranti poteva permettersi. L'oro andava anch'esso
mobilitato a sostegno dello sforzo bellico. Quindi, quasi tutti i
paesi sospesero la convertibilità e usarono l'oro per approvvigio-
narsi all'estero, con la conseguenza che il metallo finl per con-
centrarsi in misura senza precedenti presso i paesi fornitori, e
soprattutto presso il principale fra essi, gli Stati Uniti.
Gli squilibri economici e finanziari durarono ancora a lungo
dopo la fine della guerra, e anzi per molti versi si aggravarono,
soprattutto nei primi anni successivi al termine del conflitto61 • In
una situazione del genere, l'immediata ripresa dei vecchi schemi
di comportamento non era praticabile. Come si è visto, essi era-
no basati essenzialmente sulla difesa della parità aurea della mo-
neta; ma per molti paesi gli avvenimenti avevano reso irrealisti-
che le vecchie parità, mentre la definizione di nuove fu a lungo
resa impossibile dal permanere degli squilibri economici e dal
conflitto, di opinione e di interesse, tra chi propugnava una sta-
bilizzazione del valore della moneta ai livelli correnti e chi rite-
neva possibile e desiderabile il ritorno alle parità di anteguerra62 •
Inoltre, come si illustra meglio in seguito, era diffusa la convin-
61 Cfr. l'Introduzione di Cotula e Spaventa a La politica monetaria cit.
62 L'opera classica su questi argomenti fu, naturalmente, la Riforma mone-
taria di Keynes, che ebbe larga eco anche in Italia (fu ad esempio citata nella
relazione della Banca d'Italia per il 1924, p. 13). Pure da noi il dibattito tra
sostenitori della stabilizzazione e della rivalutazione della lira fu acceso, con l'ul-
teriore suddivisione di questi ultimi tra chi pensava a una rivalutazione rapida e
chi (la maggioranza) riteneva che il processo avrebbe richiesto un lungo periodo
di tempo. Tra questi ultimi si situava probabilmente lo stesso Stringher, che
sembra accettare uno dei principali argomenti dei sostenitori del ritorno alla vec-
chia parità: l'equivalenza tra la <<devalutazione» legale della lira e il parziale fal-
limento dello Stato. Cfr.la relazione per il1925, pp. 14-15, e le dichiarazioni al
Consiglio superiore della Banca d'Italia del28luglio 1924, pubblicate in Cotula
e Spaventa (a cura di), La politica monetaria cit.
28 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
zione che i vecchi strumenti dell'azione monetaria, in primo luo-
go il saggio di sconto, fossero divenuti relativamente inefficaci.
In questo quadro, per paesi come l'Italia - a mezza strada tra
quelli più solidi e quelli che, più gravemente colpiti dalla guerra
e dalle sue conseguenze, conobbero la completa rovina della mo-
neta - lo sforzo principale fu di limitare i danni, nella convin-
zione che solo il superamento degli squilibri ereditati dal conflit-
to avrebbe consentito la ricostruzione del sistema monetario.
La fase critica dei primi anni Venti ha però importanza fon-
damentale anche per un altro motivo: in essa maturarono nuove
idee e nuove esperienze, che si confrontarono con quelle di chi
pensava al semplice ritorno alla situazione precedente alla guer-
ra. È in questo periodo che si diffusero nuove concezioni sul ruo-
lo e sugli obiettivi della politica monetaria e si sperimentarono
sistematicamente nuove tecniche di controllo monetario.
Circa gli obiettivi, ebbe larga eco, anche se fu lungi dall'es-
sere unanimemente accettata, l'idea che la politica monetaria do-
vesse mirare alla stabilizzazione del livello generale dei prezzi. Il
suo affacciarsi fu favorito non solo dalle gravi alterazioni del va-
lore della moneta nei paesi che avevano abbandonato la conver-
tibilità, ma anche dalla constatazione delle cospicue oscillazioni
del valore dell'oro, rivelate dalle marcate escursioni del livello
dei prezzi nei paesi che, come gli Stati Uniti, non avevano mai
sospeso la convertibilità della loro moneta. La fiducia nella ca-
pacità dell'oro di fungere da stabile standard di valore era inoltre
ridotta dal fatto che la guerra aveva concentrato in un solo paese
la maggior parte dello stock aureo mondiale; ciò attenuava il ca-
rattere impersonale e collettivo del vecchio sistema, rendendo il
valore dell'oro dipendente in larga misura dalla politica ameri-
cana63. Di fronte a questa situazione, alcuni ritenevano che oc-
6 J «Ma la guerra ha portato un grande cambiamento. Anche la moneta d'oro
è diventata una moneta 'regolata'. [ ... ] Oggi, che quasi tutti i paesi hanno ab-
bandonato la moneta aurea, se il più importante dei paesi che ancora impiegano
l'oro si limitasse a tenerne quanto occorre per i suoi bisogni reali, la quantità
disponibile di metallo-oro si dimostrerebbe largamente sovrabbondante. Gli Sta-
ti Uniti non han potuto lasciar cadere il valore dell'oro al suo livello 'naturale',
perché non avrebbero potuto far fronte al conseguente deprezzamento della loro
moneta, e si son trovati quindi nella necessità di seguire la costosa politica di
sotterrare nelle cantine delle banche di W ashington l'oro che i minatori del Rand
con tanta fatica avevano portato alla superficie. Di conseguenza, l'oro attual-
mente ha un valore 'artificiale' il cui andamento nel futuro dipenderà quasi esclu-
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 29
corresse riformare il sistema monetario mantenendo l'ancoraggio
all'oro ma stabilizzandone il valore (Hawtrey, Cassel); altri, con-
siderando inevitabili le variazioni del valore dell'oro, propone-
vano di neutralizzarne gli effetti sui prezzi variando opportuna-
mente la parità aurea delle monete (Fisher); altri ancora, infine,
cominciavano a pensare a un sistema monetario del tutto sgan-
ciato dall'oro e affidato alla regolazione delle banche centrali
(Keynes) 64 • In ogni caso, le discussioni sulla riforma monetaria,
sulla ricerca cioè di un sistema o di una politica capaci di assicu-
rare la stabilità del livello generale dei prezzi, uscirono dall' am-
bito puramente accademico in cui erano state confinate prima
della guerra 65 • Inoltre, l'attenzione cominciò a spostarsi sulla sta-
bilizzazione del livello dei prezzi interni66 , cioè su un obiettivo
che, come si è visto, era in contrasto con la dottrina classica del
gold standard, la quale richiedeva la piena flessibilità dei prezzi
interni come condizione per la stabilizzazione del valore esterno
della moneta6 7.
sivamente dalla politica del Consiglio della Riserva Federale degli Stati Uniti. Il
valore dell'oro non è più determinato dagli imprevisti doni della Natura e dal
giudizio di numerose autorità ed individui che agiscono indipendentemente l'uno
dall'altro» (J.M. Keynes, La riforma monetaria, trad. it., Feltrinelli, Milano 1979,
pp. 127-28). Cfr. anche Robertson, Money cit., pp. 66-67.
64 Cfr. R.G. Hawtrey, Potrà esser conservata la circolazione aurea?, in ABI,
«Bollettino economico-finanziario», 1920, pp. 178-82; G. Casse!, Osservazioni
sul problema della moneta internazionale, ivi, pp. 182-84; L Fisher, La «Stabiliz-
zazione» della moneta, ivi, pp. 275-85 e Stabilizing the Dollar, Macmillan, New
York 1920; Keynes, La riforma monetaria cit., pp. 125-.34.
65 Anche prima della guerra non erano mancate proposte di riforma mone-
taria dirette a ottenere una maggiore stabilità del livello generale dei prezzi; la
più nota fu quella di Fisher del «dollaro compensato», ripresa, con modifiche,
dopo la guerra. Si possono ricordare anche le idee di Marshall sul «simmetalli-
smo», cioè sulla circolazione di monete in cui più metalli preziosi erano fisica-
mente uniti, e sul «tabular standard» - un sistema di indicizzazione per i con-
tratti relativi a pagamenti differiti, avente lo scopo di eliminare i danni provocati
dalla variabilità del livello generale dei prezzi; nonché le idee di W alras sull'uso
di una circolazione argentea fiduciaria, supplementare a quella basata sull'oro. Le
proposte avanzate prima della guerra - compresa quella di Fisher - avevano
però in genere l'obiettivo di creare un meccanismo automatico per stabilizzare il
livello internazionale dei prezzi. Cfr. L Fisher, The Purchasing Power of Money,
A.M. Kelley, New York 196.3 (prima edizione 1911), pp . .319-48; A. Marshall,
Money Credit and Commerce, Macmillan, London 192.3, pp. 64-67. Cfr. anche
Hawtrey, The Art cit., pp. 188-94.
66 Cfr. Keynes, La riforma monetaria, cit., pp. 118-25; Fisher, La «stabiliz-
zazione» della moneta cit., p. 284.
67 Cfr. Bresciani Turroni, op. cit., pp. 101 e 14.3, e Fanno, Lezioni cit., pp.
75-8.3.
30 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Per quanto riguarda gli strumenti della politica monetaria,
nei primi anni V enti emerse e si consolidò, in Inghilterra e negli
Stati Uniti, l'uso sistematico delle operazioni di mercato aper-
to68. Esse furono adoperate per disattivare, in pratica, quel fon-
damentale meccanismo del sistema aureo, in base al quale «il sag-
gio di creazione del credito era [... ] condotto da una semplice
azione meccanica a riflettere fedelmente i movimenti di entrata
e di uscita dell' oro»69 • Lo stesso risultato si poteva ottenere an-
che con una politica dello sconto difforme dai principi ortodossi;
in ogni caso, l'affermarsi di uno strumento che, postulando una
più diretta iniziativa della banca centrale, accresceva gli elementi
di discrezionalità della gestione monetaria, appare coerente con
un clima di idee che chiamava la politica monetaria a un ruolo più
ampio e complesso che in passato.
Lo scontro tra i sostenitori del sistema aureo - che avevano
avuto nel Cunliffe Report il loro manifesto - e i propugnatori di
una riforma monetaria sembrò risolversi in favore dei primi con
il «ritorno all'oro» che si verificò in Europa a partire dalla metà
circa degli anni Venti (anche se nella forma modificata del gold
exchange standard). La difesa della parità aurea della moneta ri-
tornò per alcuni anni al centro dell'azione monetaria dei princi-
pali paesi. Ma fu una vittoria temporanea: la grande depressione
parve dar ragione a chi aveva temuto che, in assenza di adeguate
riforme, il ripristino del sistema aureo avrebbe provocato una
rovinosa deflazione. Le idee dei «riformatori» ritornarono in au-
ge negli anni Trenta (e altre se ne aggiunsero, naturalmente); in-
68 Cfr. Keynes, Trattato della moneta cit., pp. 427-36.
69 I vi, p. 428. Secondo Keynes, nel sistema inglese prebellico «non solo le
banche partecipanti erano praticamente precluse dall'aumentare le loro riserve
scontando presso la Banca d'Inghilterra [perché il tasso di sconto era di solito
superiore ai tassi di mercato], ma la 'politica di mercato aperto' in senso moderno
era virtualmente sconosciuta [ ... ]. Ne seguiva perciò che - le anticipazioni es-
sendo normalmente a zero e gli investimenti praticamente costanti - le fluttua-
zioni delle riserve delle banche partecipanti inglesi dipendevano principalmente
dalle fluttuazioni dell'importo dell'oro posseduto dalla Banca d'Inghilterra, quali
erano determinate dal suo flusso e riflusso nella e dalla circolazione e nel e dal
paese. Questa era la tranquilla semplicità del vecchio sistema 'automatico' al qua-
le i nostalgici ripensano con tanto rimpianto e di cui i progressisti si sono quasi
dimenticati» (ivi, pp. 426-27). Con le operazioni di mercato aperto, invece, «la
Banca d'Inghilterra compra e vende investimenti avendo di mira il mantenimen-
to delle riserve delle banche partecipanti al livello da essa desiderato» (ivì,
p. 428).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 31
crinatosi il rapporto con l'oro, la politica monetaria tese a dive-
nire parte della politica economica generale, e a condividerne gli
obiettivF 0 •
3.2. L'evoluzione della struttura di bilancio della Banca d'Italia
Tra la fine della prima guerra mondiale e la stabilizzazione
della lira nel1927, la struttura di bilancio della Banca d'Italia fu
sottoposta a ripetute, violente e rapide trasformazioni.
La Banca d'Italia era emersa dalla guerra con un bilancio di
dimensioni accresciute, in rapporto sia al reddito nazionale che al
volume dell'intermediazione bancaria. Nel 1918 la circolazione
da essa emessa aveva raggiunto il17 per cento del reddito, contro
una media di circa 1'8 per cento nel triennio precedente allo scop-
pio della guerra (22 e 11 per cento per i tre istituti di emissione);
il rapporto con i depositi bancari era salito, nello stesso periodo,
dal21 al 50 per cento (dal28 al64 per cento per i tre istituti). Il
motore principale di questa espansione era stato, com'è noto,
l'aumento dei crediti sul Tesoro 71 • Ne era derivato un radicale
cambiamento nella composizione dell'attivo degli istituti di emis-
sione: la quota dei crediti verso lo Stato era cresciuta fino a di-
venire di gran lunga la più importante, a detrimento di quelle
delle riserve e dei finanziamenti al settore privato. La consisten-
za delle operazioni di sconto, in particolare, non era variata di
molto tra la fine del1914 e quella del1918 (tav. 1) 72 : durante il
conflitto, l'elevata liquidità dell'economia, alimentata dalla spe-
sa statale, aveva contenuto la domanda di credito sia verso il
sistema bancario che verso gli istituti di emissione.
Questa situazione era di per sé instabile: l'alterazione dei rap-
porti tra l'attività degli istituti di emissione e quella dell' econo-
mia e del sistema bancario non poteva che essere un fatto tem-
poraneo, legato all'eccezionalità degli eventi bellici e destinato a
essere riassorbito negli anni successivi. A ciò si aggiungeva il per-
7
71
° Cfr. Bresciani Turroni, op. cit., pp. 143 sgg.
Sul finanziamento della guerra, cfr. G. Toniolo (a cura di), La Banca d'I-
talia e l'economia di guerra. 1914-1918, «Collana storica della Banca d'Italia»,
Laterza, Roma-Bari 1989.
72 Erano invece notevolmente aumentate le anticipazioni, il cui sviluppo,
come si vedrà, rifletteva però soprattutto l'esigenza di facilitare il collocamento
dei titoli pubblici.
32 Ricerche per Ùl storia delkl Banca d'Italia V
manere e, per certi versi, l'aggravarsi di una serie di squilibri
economici e finanziari che, come si è visto, ancora per parecchi
anni caratterizzarono la situazione italiana - a somiglianza, del
resto, di quella di molti altri paesi. Il risultato fu il prodursi di
ulteriori, profondi cambiamenti nelle dimensioni relative e nella
composizione degli attivi degli istituti di emissione.
Il rapporto tra circolante e reddito nazionale ritornò a valori
simili a quelli dell'anteguerra soltanto nel 1925-26, rimanendo
poi relativamente stabile fino ai primi anni Trenta. Nonostante
le intenzioni e gli sforzi degli istituti di emissione e dei ministri
del Tesoro, la circolazione aumentò in misura cospicua tra la fine
della guerra e il 1925; la riduzione del rapporto fu la risultante di
una crescita del reddito nominale notevolmente più rapida di
quella del circolante, e imputabile per la maggior parte all' au-
mento dei prezzF 3 • Come si vedrà, il rapporto tra circolante e
depositi bancari continuò invece a ridursi fin verso la metà degli
anni Trenta, raggiungendo valori notevolmente più bassi di quel-
li prevalenti prima della guerra.
Per quanto riguarda l'evoluzione della struttura dell'attivo
degli istituti di emissione, nel periodo che stiamo esaminando si
possono distinguere tre fasi principali: la crisi degli anni imme-
diatamente successivi alla fine del conflitto (1919-21); il periodo
di calma e di relativa stabilità del triennio 1922-24; la crisi in-
flazionistica del1925 e della prima parte del1926, seguita dalla
svolta che avviò la stabilizzazione della lira e l'adozione del gold
exchange standard. In sostanza, abbiamo alcuni anni di relativa
calma, circondati, da una parte e dall'altra, da due fasi di crisi
molto acuta. Queste fasi critiche hanno caratteristiche assai di-
verse tra loro, che in questa sede non interessa approfondire 7 4,
ma hanno anche un importante aspetto in comune: l'intenso svi-
luppo delle operazioni di credito degli istituti di emissione. Esso
è particolarmente evidente per il triennio 1919-21, allorché la
consistenza degli sconti e delle anticipazioni crebbe di oltre qua t-
n Tra il1918 e il1926 il circolante e il reddito nazionale aumentarono ri-
spettivamente del 56 e del201 per cento; il reddito a prezzi costanti crebbe del
30 per cento, mentre il deflatore implicito aumentò del132 per cento. Cfr. G .M.
Rey (a cura di), I conti economici dell'Italia, vol. I, Una sintesi delle fonti ufficiali
1890-1970, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari 1991.
74 Per un'analisi della politica monetaria nell'intero periodo si rinvia a Co-
tula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria cit.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 33
tro volte, passando dal18 al49 per cento del totale attivo; ma fu
molto sensibile anche nel 1925 e nella prima parte del 192675 .
Tranne che nel1919, in tutti questi anni l'aumento degli sconti
e delle anticipazioni fu la determinante principale della crescita
della circolazione, che i più consideravano uno dei principali ma-
lanni da cui fosse afflitta l'economia italiana. Vale quindi la pena
di esaminare un po' più da vicino i criteri seguiti dalla Banca
d'Italia nella gestione delle operazioni di credito e i vincoli che la
condizionavano.
A questo scopo, è opportuno distinguere tra gli sconti e le
anticipazioni. Al di là degli aspetti tecnici, ciò che differenziava
le due operazioni era soprattutto lo stretto legame delle antici-
pazioni con il mercato dei titoli di Stato. Abbiamo visto che la
legge limitava l'ammontare massimo del portafoglio di titoli pub-
blici degli istituti di emissione. Non per questo essi si disinte-
ressavano del mercato dei titoli di Stato, particolarmente in fasi
critiche come quelle che stiamo esaminando; il loro intervento
era però soprattutto indiretto e consisteva nella disponibilità ad
accettare i titoli a garanzia di anticipazionF 6 • La principale con-
seguenza di questo legame era il maggiore automatismo nella con-
cessione del credito che caratterizzava le anticipazioni. Tranne
che per periodi del tutto eccezionali, come il1926, l'impressione
che si trae dai documenti è che fosse davvero difficile rifiutare
un'anticipazione a chi presentava una congrua quantità di titoli
«stanziabili».
In quello che segue, quindi, le anticipazioni e gli sconti sono
considerati separatamente. Eccetto che in qualche periodo, del
resto, l'attenzione era focalizzata soprattutto sugli sconti, che
costituivano la parte maggiore delle operazioni di credito degli
istituti di emissione ed erano considerati la loro tipica operazione
attiva. Per essi si prenderanno in esame due aspetti principali:
l'uso degli strumenti disponibili per il governo dell'operazione
75
I dati di fine anno indicano, per il 1925 e il 1926, rapporti tra sconti e
anticipazioni (esclusi quelli in favore della Sezione speciale autonoma del Con-
sorzio sovvenzioni su valori industriali e dell'Istituto di liquidazioni) e totale
attivo rispettivamente pari al 46 e al 45 per cento, contro il 38 per cento del
biennio 1923-24.
76 Non mancavano anche limitati interventi diretti, a volte attuati con fondi
di istituzioni pubbliche come la Cassa depositi e prestiti. Cfr. le lettere di Strin-
gher a Meda del 10 luglio e del24 settembre 1920, pubblicate in Cotula e Spa-
venta (a cura di), La politica monetaria cit.
34 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
(saggio di sconto e razionamento); l'influenza degli obiettivi di
reddito della Banca - dei suoi interessi aziendali - in partico-
lare nelle fasi di forte crescita dei finanziamenti nel 1920 e nel
1925.
3.3. Tasso di sconto e razionamento nella gestione delle operazioni
di sconto. Il ruolo delle «legittime esigenze del commercio»
Illustrando le procedure di controllo monetario in uso nei
principali paesi nel corso degli anni Venti, Keynes individua tre
aspetti fondamentali della situazione monetaria negli Stati del-
l'Europa continentale: la prevalenza del circolante rispetto ai de-
positi bancari in conto corrente; l'assenza, per le banche, di sta-
bili rapporti di riserva, fissati dalla legge o dall'uso; l'accesso
diretto e libero al credito degli istituti di emissione, limitato sol-
tanto dalla disponibilità di cambiali idonee allo sconto. Da que-
ste caratteristiche derivavano due conseguenze fondamentali: da
un lato, il controllo delle banche centrali sull'attività delle ban-
che ordinarie era imperfetto, più che in Inghilterra e negli Stati
Uniti; dall'altro, l'elevato rapporto tra circolante e depositi fa-
ceva sì che le banche avessero una minore capacità di creare cre-
dito e quindi necessitassero, in definitiva, di un controllo meno
rigido. Un processo di espansione del credito bancario si tradu-
ceva rapidamente in aumenti del portafoglio di cambiali dell'i-
stituto di emissione e della circolazione; era quindi a queste va-
riabili che le autorità monetarie innanzitutto rivolgevano la loro
attenzione 77 •
Dall'analisi di Keynes risulta, in particolare, il ruolo del tutto
eccezionale che il razionamento aveva in Europa - Inghilterra
inclusa - nel controllo del credito delle banche centrali. Descri-
vendo la situazione americana, sotto questo profilo diversa, egli
pone chiaramente in luce che l'uso sistematico del razionamento
da parte delle banche della riserva federale era un'innovazione
recente, che differenziava i loro metodi di controllo da quelli
europei. Anche Hawtrey, del resto, osserva che l'arbitraria limi-
tazione del credito degli istituti di emissione era in contrasto con
la loro funzione di prestatori di ultima istanza e che la manovra
77 Cfr. Keynes, Trattato della moneta cit., vol. II, pp. 429-30.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 35
del saggio di sconto, storicamente, si era sviluppata come mezzo
di controllo delle operazioni compatibile con tale funzione7 8 •
La prassi italiana degli anni Venti sembra, in generale, abba-
stanza conforme alla descrizione fatta da Keynes per il complesso
dei paesi dell'Europa continentale. Le banche e i privati avevano
«libero» accesso al credito degli istituti di emissione, poiché la
consuetudine attribuiva loro, di regola, una legittima aspettativa
- anche se non un vero diritto nel senso formale del termine -
di ottenerlo in presenza dei requisiti prescritti. Quest'ultima con-
dizione costituiva la base per quel tanto di regolazione diretta
delle quantità che veniva compiuta in materia di sconti: nelle fasi
di «raccoglimento», i direttori delle filiali della Banca d'Italia era-
no invitati a dare un'interpretazione più rigorosa all'accertamen-
to dei requisiti di scontabilità delle cambiali. Ciò avveniva in
particolare con riferimento al criterio della «elasticità» degli im-
pieghi della Banca, cioè della loro attitudine a essere effettiva-
mente rimborsati alla scadenza, dandosi per scontato che il re-
quisito della sicurezza fosse sempre rispettato. L'efficacia di
questo tipo di controllo era però in genere alquanto ridotta: sia
perché la valutazione dei requisiti delle cambiali avveniva sem-
pre in sede locale, ad opera delle commissioni di sconto delle
filiali, il che spesso ritardava e attenuava il recepimento delle
direttive del centro 79 ; sia perché rimaneva comunque il fatto,
78 Cfr. Hawtrey, The Art cit., p. 139.
79 Il principio per cui «resta sempre affidata agli organi locali, assistiti dalle
Commissioni di sconto, e sotto la loro responsabilità, la conclusione delle ope-
razioni ordinarie dell'istituto» (BI, Adunanza generale straordinaria del 18 giu-
gno 1928, p. 44) governò la materia degli impieghi della Banca in tutto il periodo
oggetto di questo studio, anche dopo che la riforma statutaria del 1928 ebbe
ridimensionato il ruolo degli organi locali - soprattutto dei consigli di reggenza
- nell'amministrazione delle filiali. La competenza delle sedi locali della Banca
nelle operazioni di sconto era del resto coerente con l'esigenza di discriminare
correttamente tra le richieste di credito e fu sempre riconosciuta dall'ammini-
strazione centrale; solo le filiali, infatti, avevano le informazioni necessarie per
verificare l'esistenza dei requisiti di scontabilità delle cambiali. Anche per le ope-
razioni straordinarie, per le quali si richiedeva l'autorizzazione della Direzione
generale, di regola rimaneva ferma la responsabilità della Commissione di sconto
nell'ammissione dei singoli effetti- tranne in casi del tutto eccezionali, come le
grandi operazioni straordinarie dei primi anni Trenta.
Le commissioni di sconto erano organi in cui si bilanciava la componente
espressa dal corpo amministrativo della Banca - i direttori - con quella deri-
vante dall'azionariato e dalla realtà economica locale. Questa combinazione era
tipica della struttura amministrativa della Banca; come in altri campi, però, an-
che nella politica degli impieghi il direttore aveva fìnito per assumere un ruolo
36 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
che quelle direttive di solito ribadivano o sottintendevano, che le
cambiali dotate di tutti i requisiti prescritti potevano essere
accettate80 •
Riguardo ai rapporti tra centro e periferia, va precisato che
con la fine della guerra erano caduti in disuso i limiti agli impie-
ghi che ciascuna filiale poteva fare in autonomia, senza bisogno
di essere autorizzata dalla direzione generale (le cosiddette «as-
segnazioni agli impieghi»). Questi limiti avevano soprattutto na-
tura prudenziale, nel senso che definivano l'ammontare comples-
sivo dei rischi che ogni filiale poteva assumere al di fuori del
controllo del centro. Essi indubbiamente contribuivano a facili-
tare il governo delle operazioni nelle fasi di forte domanda di
credito; a quanto risulta, era però difficile che le richieste di fi-
nanziamento dotate di tutti i requisiti prescritti venissero respin-
te pur se portate all'attenzione della Direzione generale. I limiti
agli sconti delle filiali furono reintrodotti soltanto nell'autunno
del 1925, allorché la politica monetaria assunse un più marcato
orientamento restrittivo 81 •
La fiducia nell'efficacia del controllo diretto della quantità di
credito concessa con gli sconti era ridotta anche dal tipo di rap-
porti intercorrenti tra la Banca d'Italia e le banche maggiori.
Queste ricorrevano al risconto solo eccezionalmente, in situazio-
ni in cui era in pratica impossibile rifiutare l'operazione82 ; la
decisivo. Egli era l'elemento fisso della Commissione di sconto, di cui assicurava
la continuità di orientamento; le norme gli attribuivano inoltre una sorta di di-
ritto di veto, poiché l'ammissione della cambiale allo sconto non poteva essere
deliberata contro il suo parere.
80 Tranne in periodi del tutto eccezionali, come la seconda metà del1926.
Cfr. Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria cit.
81 Cfr. il verbale della seduta del Consiglio superiore del26 ottobre 1925,
pubblicato in Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria cit.
82 Cfr. quanto Stringher scrive negli Appunti su l'opuscolo monetario dell'an.
Paratore, del dicembre 1924: «Controllare mediante il risconto? Ma se i grandi
Istituti liberi e quelli medii ben regolati (e in Italia ve ne sono parecchi) non
hanno bisogno affatto del risconto, e ricorrono eccezionalmente agli Istituti di
emissione, e solo in caso di necessità straordinarie di cassa o in caso di crisi? E gli
Istituti di emissione possono, essi stessi, in tali casi, determinare condizioni di
crisi negando i risconti?» (p. 15; pubblicato in Cotula e Spaventa [a cura di], La
politica monetaria cit.). Nello stesso senso si esprimono anche le rispçste di Strin-
gher ai quesiti del presidente del Senato Tittoni, dell'aprile 1925: «E mestieri di
avere presente che in Italia esistono potenti istituti bancari e cospicui istituti di
risparmi, i quali raccolgono masse ingenti di depositi in conto corrente e a ri-
sparmio, istituti i quali, di regola, non harmo verun bisogno di ricorrere per ope-
razioni di credito con gli istituti di emissione. Vi ricorrono soltanto in casi di
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 37
mancanza di un rapporto continuativo rendeva inoltre difficile
per la Banca valutare con la necessaria rapidità la congruità delle
richieste di credito. La cosa era complicata dal fatto che le ban-
che insediate in più province presentavano la loro carta presso
diverse filiali della Banca d'Italia; malgrado gli accorgimenti
adottati per tenere sotto controllo situazioni del genere - le fi-
liali dovevano essere autorizzate dalla Direzione generale a scon-
tare cambiali presentate da banche con sede al di fuori del ter-
ritorio di loro competenza e avevano comunque l'obbligo di
accettare soltanto carta traente origine da affari compiuti nella
loro zona - era inevitabile che il quadro informativo delle di-
rezioni locali e delle commissioni di sconto fosse in questi casi
piuttosto lacunoso. Le filiali, in particolare, non conoscevano
l'ammontare complessivo dei risconti delle banche operanti in
più province, che era invece noto all'amministrazione centrale; il
loro unico criterio guida doveva essere, al solito, la qualità del
foglio offertosJ.
bisogno, e segnatamente in momenti di difficoltà monetarie, quando rifiutare o
lesinare il credito potrebbe essere pericolosissimo» (in ASBI, Carte Stringher,
401/4.0)/1).
83 E interessante, in proposito, una lettera di Canovai, del19 agosto 1919,
al direttore della filiale di Bologna, che aveva chiesto notizie sul Banco di Roma
per norma della sua Commissione di sconto. Canovai si limita a rispondere che
«le informazioni che si possono dare sopra un grande Istituto di credito, qual' è il
Banco di Roma, non possono essere, necessariamente, se non generiche, quelle,
cioè, che si riconnettono all'indirizzo generale. Siffatte generiche informazioni
ben difficilmente potrebbero costituire, per codesta Sede, un elemento di giudi-
zio per regolarne il fido, non conoscendosi costì la entità della esposizione globale
che la nostra Banca ha verso il Banco. Ne consegue che le Commissioni di sconto
delle singole nostre Filiali, che sono chiamate a pronunciarsi sopra presentazioni
del Banco di Roma, come delle altre banche maggiori, hanno, come elemento
generico, la qualità del presentatore che è un grande istituto di credito, e come
elemento specifico il valore del foglio offerto, foglio che le Commissioni debbono
essere bene in grado di apprezzare nei riguardi degli altri firmatari, escluso il
presentatore, essendo inteso che le esposizioni delle nostre Filiali verso le coesi-
stenti Filiali dei grandi istituti di credito, debbano essere formate da foglio aven-
te base in operazioni locali. Pertanto è intuitivo che il fido ai maggiori istituti di
credito non possa essere regolato, presso le singole Filiali, con gli stessi criteri che
vengono applicati nei confronti delle Banche locali. Compito precipuo delle Com-
missioni deve essere quello di rendersi conto della qualità del foglio che ci viene
offerto, segnalando alla Direzione generale quelle operazioni sulle quali even-
tualmente si riscontrassero caratteristiche degne, per qualsiasi motivo, di esame
e di considerazione»; in ASBI, Sconti, cop. Sconti n. 255. Le filiali dovevano
segnalare al centro, con cadenza decadale, le operazioni di sconto compiute con
le principali banche; la Direzione generale poteva in tal modo seguire l' andamen-
to dei principali rischi della Banca.
38 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Il controllo diretto delle quantità era quindi, in condizioni
normali, parziale e imperfetto, e doveva essere del tutto abban-
donato allorché si percepiva il rischio di una crisi finanziaria.
Continuava perciò ad avere grande importanza la manovra dei
tassi d'interesse ufficiali, che era poi la forma tradizionale di con-
trollo. Quali novità si erano determinate in questo settore? Ab-
biamo visto che prima della guerra il costo delle operazioni di
sconto veniva variato soprattutto modificando il tasso di sconto
ridotto. Durante la guerra l'applicazione di questo tasso venne
meno a causa del sistematico superamento del limite massimo
alla circolazione per conto del commercio84 • Tale superamento
aveva due conseguenze: sul piano formale, si violava una delle
condizioni espressamente previste per le operazioni a saggio ri-
dotto dal decreto che le aveva istituite85 ; sul piano sostanziale,
veniva meno l'interesse della Banca per questo genere di opera-
zioni, che si sarebbero fatte in perdita - almeno per la parte
finanziata con emissione di biglietti - poiché su ogni incremen-
to di circolazione si pagava l'aliquota massima della tassa straor-
dinaria, pari alla ragione normale dello sconto86 . Inoltre, l'esi-
genza che aveva determinato l'introduzione del tasso ridotto era
per il momento scomparsa: la ragione normale dello sconto era in
84 Al tasso di sconto ridotto si fa ancora riferimento nel 1916 {circolare n.
445 del31 maggio); la circolare n. 462 del7 novembre 1917 stabilì che la ragione
normale si applicasse a tutte le operazioni, vietando ai direttori delle filiali di
effettuare sconti o anticipazioni a saggi inferiori al normale.
85 L'art. l R. D. 25 ottobre 1895, n. 639, autorizzava gli istituti di emissione
ad applicare il saggio di sconto ridotto «purché l'ammontare della circolazione dei
biglietti rispettiva non ecceda i limiti normali segnati dall'art. 2 della legge 10
agosto 1893, n. 449». Sul significato del decreto del1895 e sulle circostanze che
ne determinarono l'emanazione, cfr. Bonelli (a cura di), op.cit., pp. 19 e 73-74.
La condizione posta dal decreto era del tutto logica, nel sistema creato dalle nor-
me di quegli anni: se la circolazione eccedeva i limiti normali, gli istituti di emis-
sione dovevano alzare il costo medio delle operazioni di sconto sospendendo l'ap-
plicazione del saggio ridotto.
86 Cfr. ad esempio la lettera di Stringher al direttore della filiale di Modena
del 19 marzo 1923: alla richiesta di una banca di riscontare alcune cambiali a
tasso ridotto, Stringher oppone che «sulla circolazione corrispondente alla mag-
gior parte dei nostri impieghi attuali, viene corrisposta allo Stato la tassa com-
misurata alla intera ragione normale dello sconto e che, conseguentemente, da
tutta questa massa di operazioni e a maggior ragione dalle operazioni nuove,
nessun utile {i trae la Banca alla quale rimane, anzi, il carico delle spese generali
e dei rischi. E poi risaputo che quando la circolazione eccede i limiti normali, è
fatto divieto agli istituti di emissione di scontare a saggio ridotto» (in ASBI,
Sconti, cop. Sconti n. 267).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 39
questo periodo prossima ai tassi di mercato, e anzi a volte, come
si vedrà tra breve, inferiore.
Dalla fine della guerra, quindi, il costo effettivo dello sconto
venne in pratica a coincidere - salvo che per particolari partite,
come gli sconti al Consorzio sovvenzioni su valori industriali e il
risconto di cambiali agrarie - con il saggio ufficiale, che con-
servava la vecchia vischiosità. A questa contribuivano vari fat-
tori: il timore di disturbare le operazioni finanziarie dello Stato
(come nei primi mesi del 1920) o di creare incoerenze nella strut-
tura dei tassi d'interesse (secondo semestre del 1924), nonché, a
volte, preoccupazioni per la fragilità del sistema finanziario, per
le ripercussioni che l'aumento dei tassi avrebbe avuto sul corso
dei titoli di Stato e quindi sui bilanci degli intermediari creditizi
- ad esempio delle casse di risparmio. Ma vi contribuiva anche
la relativa sfiducia nell'efficacia della manovra del saggio di scon-
to, diffusa sia dentro che fuori gli istituti di emissione 87 • Si ri-
teneva infatti che una circolazione «avariata» come quella italia-
na fosse poco sensibile alle variazioni dei tassi ufficiali, poiché la
sua elasticità era compromessa dalla massiccia presenza, nell' at-
tivo degli istituti di emissione, di voci come i crediti verso Io
Stato e i finanziamenti connessi ai salvataggi bancari. A ciò si
aggiungeva l'osservazione che l'aumento dei prezzi, in certi anni,
era tale da rendere comunque il saggio ufficiale reale fortemente
negativo, almeno per i livelli di tasso nominale realisticamente
raggiungibili88 • Infine, per quanto riguarda gli effetti sui movi-
menti di capitali, era opinione comune, non solo da noi, che l' ac-
centuata variabilità dei cambi riduceva l'efficacia della manovra
del saggio di sconto rispetto all'anteguerra, quando i cambi erano
fissi o almeno, come per l'Italia, relativamente stabili89 •
In conclusione, diminuì il grado di controllo esercitato sul-
l'offerta degli sconti tramite le variazioni del loro costo. Gli ef-
fetti furono tanto più gravi in quanto si era modificato il rap-
87 Cfr. ad esempio A. Cabiati, Il rialzo nel saggio dello sconto, in Asi, «Bol-
lettino economico-finanziario», 1920, p. 167-70.
88 Cfr. L. Einaudi, La sola cosa urgente, in Cronache economiche e politiche di
un trentennio, vol. VIII, pp. 150-55.
89 Cfr. Fanno, Lezioni cit., pp. 84-86. Come si è visto, già prima della guerra
si nutrivano molti dubbi sull'efficacia, per l'Italia, della manovra del tasso di
sconto riguardo ai movimenti di capitali. Per la situazione successiva alla guerra,
cfr. anche Keynes, La ri/omza monetaria cit., pp. 105-107.
40 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
porto tra la ragione normale dello sconto e i tassi di mercato:
mentre prima e durante la guerra era di solito la ragione normale
a essere più alta, cosicché bastava sospendere le operazioni a sag-
gio ridotto per produrre un effetto restrittivo, dopo la guerra vi
furono periodi abbastanza prolungati (1920-21, 1925-26) in cui
i tassi di mercato superavano quelli uffidali 90 • In queste fasi, l'u-
nico mezzo per contenere la crescita degli sconti - quando que-
sto obiettivo era effettivamente perseguito - era l'imperfetto
controllo delle quantità di cui si è parlato prima.
Se quanto precede è vero, si può concludere che, almeno in
alcuni periodi, l'andamento degli sconti della Banca d'Italia fu
determinato essenzialmente dalla domanda. A ciò contribuirono
i «difetti» dello strumento che si sono illustrati: il controllo via
costo, che prima della guerra era il più importante, era stato per
vari motivi depotenziato, se non proprio disattivato; il controllo
delle quantità stentava ad affermarsi, anche per il modo in cui la
Banca era organizzata. Tuttavia, nei primi anni del dopoguerra
agiva pure un clima di idee che spingeva a dare maggior rilievo
alle ragioni di chi chiedeva credito, premendo sulla Banca perché
essa assumesse come guida della sua azione il soddisfacimento
delle «legittime esigenze del commercio»91 • Come osservò Einau-
di, e come si è visto in precedenza, si trattava di un'idea antica,
che era già stata sostenuta dai rappresentanti della Banca d'In-
ghilterra di fronte al Bullion Committee ed era stata da questo
9 ° Cfr. l'Introduzione a Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria
cit.
Rappresentativo di questo clima di opinione è ad esempio l'articolo di E.
91
Levi Della Vida, Circolazione dì biglietti e di titoli rappresentativi, in «Rivista ban-
caria», 1921. Secondo l'autore, i biglietti si possono dividere in quattro catego-
rie, a seconda della causa che ne ha determinato l'emissione: «l) spesi per com-
perare moneta metallica; 2) spesi per fornire i mezzi all'industria, all'agricoltura
ed al commercio per l'andamento degli affari ordinari (sconto di cambiali rim-
borsabili alla scadenza); 3) spesi per dare i mezzi ad affari speculativi, ad opera-
zioni a lunga scadenza, ad immobilizzazioni industriali o fondiarie (sconto di
cambiali che alla scadenza si rinnovano, sia pure con decurtl!Zione); 4) spesi per
far fronte ai bisogni dello Stato od emessi dallo Stato stesso. E evidente che assai
diverso è l'effetto che esercita sull'economia del paese la quantità dei biglietti
secondo che tragga origine da una o da altra di queste cause: benefico nei primi
due casi, quasi sempre dannoso nel terzo, malefico nell'ultimo. [...] [Le ultime
due cause] sono quelle che influiscono sull'altezza dei prezzi e sull'inasprirsi dei
cambi. Non è adunque la quantità assoluta della circolazione che si deve con-
dannare, ma è la quantità relativa e soprattutto la qualità» (ivi, pp. 392-93).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 41
confutata92 • Essa si riaffacciava ora con forza particolare, inten-
sificata dalla crisi dei tradizionali vincoli del sistema aureo 93 •
Che posizione ebbe la Banca d'Italia nei confronti di queste
idee e di queste pressioni? La Banca era certamente molto sen-
sibile alle esigenze del sistema produttivo, tanto da farsi carico,
anche attraverso il Consorzio sovvenzioni su valori industriali, di
quella parte della domanda di credito che il sistema bancario non
riusciva a soddisfare interamente; e Stringher era molto cauto
quando c'era il rischio di creare problemi all'industria e, ancor
più, quando avvertiva il pericolo di un panico e di una crisi fi-
nanziaria. Tuttavia, non sembra che questa preoccupazione ar-
rivasse fino al punto di fargli rinunciare a ogni tentativo di con-
trollo dell'offerta di credito della Banca d'Italia: sia perché non
si abbandonò completamente la manovra del costo di tale credi-
to, anche se la si usò molto meno che nell'anteguerra; sia perché,
quando si trattava di stringere, le direttive impartite da Strin-
gher ai direttori erano in genere di tener conto delle necessità
«vere e riconosciute» della clientela, ma non di farlo senza alcun
limite e misura - guardando soltanto al merito di credito del-
l' affidato e al valore delle garanzie, come il criterio del soddi-
92 Cfr. Einaudi, La sola cosa urgente, cit.
9
Einaudi si scagliò con impeto contro il criterio delle <<legittime esigenze
'
del commercio». Già in un articolo del12 dicembre 1920, intitolato Aumento di
circolazione e prestiti all'industria, egli si chiede se sia «pacifico il criterio esposto
dal ministro [del Tesoro], che gli istituti di emissione possano accogliere le do-
mande di sconti e prestiti quando queste siano giustificate dalle necessità del-
l'industria e legittimate dal credito dei richiedenti e dalla situazione propria». La
risposta è che ciò non vale in regime di corso forzoso, quando occorre «non con-
ceder credito, neppure alle industrie meritevoli, quando per far ciò sia necessario
ricorrere ad aumenti di circolazione» (in Il mestiere della moneta, UTET, Torino
1990, p. 121). La medesima posizione è ripetuta, con maggior forza, negli articoli
del1925: cfr. Sofismi monetari, del1 ° agosto, e Gli industriali e la battaglia per la
lira, del29 ottobre. In quest'ultimo articolo, in particolare, egli afferma che «l' er-
rore più tenace diffuso nei ceti di banca, di borsa, del commercio e dell'industria
è ancora quello antico, qui combattuto: che sia bensì dannoso il biglietto creato
dallo Stato per colmare disavanzi di bilancio, ma sia invece innocuo e necessario
il biglietto creato per soddisfare a reali, effettive, sane esigenze del commercio e
dell'industria». Da questo errore, «antichissimo e volgarissimo», gli uomini di
banca cominciavano a liberarsi, mentre esso rimaneva ancora diffuso tra indu-
striali, commercianti e agricoltori, «ai quali sembra incredibile che non si deb-
bano stampar biglietti per aiutarli a fabbricar merci, a costruire case od impianti,
a far migliorie agricole» (ivi, p. 212).
42 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
sfacimento delle «legittime esigenze del commercio» avrebbe
richiesto 94 •
3.4. Il ruolo dei/attori di reddito nella gestione delle operazioni di
credito della Banca d'Italia
In parallelo con le modifiche della struttura patrimoniale, an-
che il conto economico della Banca d'Italia subì, nel periodo suc-
cessivo alla fine della prima guerra mondiale, profonde alterazio-
ni (tav. 2). A partire dal1918la tassa di circolazione era divenuta
la principale voce di costo; essa crebbe molto velocemente negli
anni successivi, raggiungendo un picco nel 1921, allorché rap-
presentò circa i due terzi dei costi complessivi. Seguirono un
triennio di diminuzione, dovuta soprattutto all'aumento della
quota di circolazione imputabile ai salvataggi bancari95 , e un nuo-
vo ciclo di ascesa negli anni 1925-26. Dal lato dei ricavi, la guerra
aveva spodestato gli interessi sulle operazioni di sconto dal ruolo
di principale voce attiva, facendolo assumere agli interessi sulle
anticipazioni, che includevano quelle in favore del Tesoro. I due
94 Per esempio, con la circolare del5 aprile 1925, Stringher, dopo aver chie-
sto di epurare le operazioni in essere alleggerendo le partite suscettibili di ridu-
zione ed eliminando quelle a scopo speculativo, invitò i direttori delle filiali ad
attenersi, per le operazioni nuove, al criterio di <~sodisfare le necessità vere e
riconosciute che lasciate insodisfatte creerebbero localmente disagi e danni», fa-
cendo però di tutto «per contenere queste nuove somministrazioni nei limiti della
disponibilità creatasi con le riduzioni sulle operazioni in corso» (in ASBI, Sconti,
cop. Sconti n. 279).
95 Com'è noto, gli interventi per la liquidazione della Banca italiana di scon-
to e per il salvataggio del Banco di Roma furono compiuti, dal1922, attraverso
la Sezione speciale autonoma del Consorzo sovvenzioni su valori industriali. Ora,
la circolazione corrispondente alle operazioni con il Consorzio era assoggettata a
un regime fiscale speciale: il R.D. 23 maggio 1915, n. 700, stabiliva che la tassa
di circolazione si applicava in ogni caso nella misura normale; il R.D. 2 gennaio
1923, n. 5, dispose che i biglietti emessi a fronte di risconti al Consorzio, privi
di copertura aurea o con copertura inferiore al 40 per cento, fossero assoggettati
a una tassa pari a un quarto della ragione dello sconto in vigore (cfr. B. Stringher,
Memorie riguardanti la circolazione e il mercato monetario, Tipografia della Banca
d'Italia, Roma 1925, p. 9). La normale circolazione per conto del commercio
eccedente i limiti massimi e non interamente coperta da riserve era invece sog-
getta a una tassa di circolazione con aliquota pari al saggio di sconto. In una
situazione come quella dei primi anni Venti, in cui i limiti massimi di circolazione
erano sistematicamente superati, il passaggio di quote di biglietti dalla categoria
della normale circolazione per conto del commercio a quella della circolazione
corrispondente a operazioni con il Consorzio comportava quindi una riduzione
della tassa di circolazione.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 43
cicli di espansione delle operazioni di sconto (1919-21 e 1925-26)
si riflessero ovviamente in una forte crescita dei relativi interes-
si, che tornarono a essere la partita più rilevante.
Rispetto all'anteguerra, comunque, le condizioni economiche
della Banca erano alquanto peggiorate. In lire del 1929, gli utili
di esercizio passarono da una media di 97, l milioni nel quadrien-
nio 1910-13 a una media di 44 milioni nei quattro anni dal1919
all922. Inoltre, aumentò notevolmente la rischiosità dell'attivo,
in una misura che probabilmente non era del tutto rispecchiata
dalle appostazioni relative alle sofferenze e alla svalutazione del
portafoglio a fronte di perdite latenti96 ; queste due voci, in ogni
caso, crebbero da 6 a 25,4 milioni all'anno, in lire a valore co-
stante, tra i due periodi prima indicati.
Che rilievo ebbero i fattori di reddito nel determinare la po-
litica creditizia della Banca, in particolare nelle due fasi critiche
che si produssero in questo periodo? Occorre distinguere l'epi-
sodio dell919-21 da quello del1925-26.
Per quanto riguarda il primo, i documenti disponibili lascia-
no pochi dubbi sull'esistenza di un conflitto tra la funzione della
Banca e i suoi interessi aziendali, nel modo in cui l'una e gli altri
erano intesi dai suoi massimi dirigenti. Tale conflitto è però op-
posto a quello che si potrebbe a prima vista supporre: nella vi-
sione di Stringher, nonostante le preoccupazioni per la crescita
della circolazione, il dovere principale della Banca in quegli anni
era di ampliare le sue operazioni, mentre i suoi interessi aziendali
avrebbero richiesto di contenerle o addirittura di ridurle. Questo
vale non solo per i mesi finali del1921, dominati dalla crisi della
Banca italiana di sconto, ma anche per il periodo precedente, in
particolare per il1920.
96 Il riferimento ai rischi che la Banca si assumeva con lo sviluppo delle ope-
razioni è una costante dei documenti dei primi anni Venti, anche nella corri-
spondenza tra Stringher e i direttori. In alcuni documenti di qualche anno dopo
si fa riferimento a un certo allentamento dei normali criteri di selezione della
carta ammessa allo sconto, verificatosi nei primi anni del dopoguerra e giustifi-
cato dall'eccezionalità degli eventi allora verificatisi (lettera al direttore della fi-
liale di Bari del 14 gennaio 1924; lettera alle filiali del 16 febbraio 1924, en-
trambe in ASBI, Sconti, cop. Sconti n. 272). Va inoltre osservato che la «sva-
lutazione, a calcolo, del portafoglio a fronte di sofferenze e perdite latenti» è una
voce che compare per importi cospicui nei bilanci di quasi tutti gli anni Venti,
dando la sensazione che con essa si volesse realizzare un programma pluriennale
di epurazione del portafoglio dai rischi eccessivi assunti nelle fasi di crescita più
intensa e, probabilmente, più disordinata.
44 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Vediamo partitamente gli elementi di questo conflitto. In pri-
mo luogo, gli interessi aziendali della Banca: sia nella corrispon-
denza diretta all'esterno dell'istituto, sia in quella con i direttori,
Stringher insiste fino alla noia sul fatto che il rendimento mar-
ginale degli impieghi della Banca era negativo, a causa della tassa
straordinaria sulla circolazione che assorbiva interamente gli in-
teressi, lasciandole solo i rischi e le spese9 7. Le filiali erano quindi
invitate non a restringere - cosa che egli avrebbe giudicato con-
traria al dovere della Banca in quel momento - ma a moderare
le operazioni, evitando «qualunque larghezza che non sia vera-
mente giustificata da evidenti ragioni di pubblico interesse»98 •
Quali «ragioni di pubblico interesse» potevano stare dietro il
grande incremento delle operazioni nel corso del 1920? Le indi-
cazioni date da Stringher sono piuttosto parche: nei primi mesi
dell'anno influl certamente l'intento di favorire in ogni modo la
riuscita del sesto prestito nazionale, a cui il governo Nitti attri-
buiva estrema importanza99 ; nei mesi centrali, invece, sembra
prevalere la preoccupazione di evitare un panico tra gli investi-
tori100. Nel secondo semestre, infine, si verificò un fenomeno di
97 Nel primo semestre del 1920, che fu la fase di maggiore crescita delle
operazioni, il problema era aggravato dalla previsione di un'addizionale sulla tas-
sa straordinaria, la quale faceva sl che l'aliquota sulla circolazione eccedente il
limite massimo fosse superiore al tasso di sconto. Nell'agosto di quell'anno venne
chiarito che l'addizionale non si applicava alla tassa di circolazione ad aliquota
massima. Cfr. la lettera di Stringher a Conti Rossini del23 giugno 1920, pub-
blicata in Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria cit., e Stringher,
Memorie cit., p. 7.
98 Lettera alle filiali del14 giugno 1920, pubblicata in Cotula e Spaventa (a
cura di), La politica monetaria cit.
99 Cfr. il verbale dell'adunanza del Consiglio superiore del24 maggio 1920,
pubblicato in Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria cit. Una parte
della crescita delle operazioni è imputata anche «a un aumento molto sensibile di
bisogni delle industrie e dei commerci», tenuto conto dell'ascesa dei prezzi e dei
corsi dei titoli non di Stato quotati in borsa.
100
In questo senso si esprime la relazione per il 1920: «Se la Banca avesse
caparbiamente resistito alle domande di credito, sempre più intense, che le furono
rivolte dalla primavera dell920 in poi, per sodisfare a evidenti indeclinabili bi-
sogni, si sarebbe prodotto un pànico, che avrebbe turbato la vita economica del
paese» (pp. 17-18). Cfr. anche la citata lettera a Conti Rossini del23 giugno 1920:
«La Banca è assalita da ogni parte per richieste di sconti e anticipazioni, quasi come
in condizioni di panico». Tra le ragioni immediate del turbamento dei mercati si
citano le voci di ulteriori aumenti del saggio di sconto e di imminenti restrizioni del
credito della Banca d'Italia, nonché la questione della nominatività dei titoli (cfr.
l'adunanza del Consiglio superiore del21 giugno 1920 e la lettera alle filiali del9
luglio 1920, in Cotula e Spaventa [a cura di], La politica monetaria cit.).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 45
competizione, per cosl dire, negativa tra Banca d'Italia e ban-
che ordinarie: l' «astensionismo» di queste ultime indusse parte
della loro clientela a riversarsi sugli istituti di emissione, che
avevano maggiori difficoltà nel difendersi anche per la vischio-
sità dei tassi ufficiali. Gli ultimi mesi del 1920 furono occupati
da un'intensa azione della Banca d'Italia diretta ad alleggerire
la domanda di credito ad essa rivolta direttamente dall'indu-
stria, indirizzandola sia verso gli altri istituti di emissione e le
banche ordinarie, sia verso il Consorzio sovvenzioni su valori
industriali 101 •
Il primo episodio di grande crescita degli impieghi della Ban-
ca d'Italia non può quindi essere spiegato con il perseguimento di
obiettivi aziendali. La situazione è invece in parte diversa per il
secondo. Obiettivi di reddito e di incremento della presenza del-
l'istituto nel mercato del credito probabilmente pesarono almeno
nelle fasi iniziali del movimento ascendente delle operazioni del-
la Banca, nel corso del 1924. Il presupposto di questa tendenza
fu l'attenuazione del freno fiscale all'aumento della circolazione,
provocata dall'accantonamento della maggior parte della relativa
tassa in un fondo destinato a coprire le perdite della sezione spe-
ciale autonoma del Consorzio sovvenzioni 102 • In sostanza, gli im-
101 Cfr. la lettera di Stringher alle filiali del31 ottobre 1920, pubblicata in
Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria cit. In essa si menziona un
accordo per la ripresa dei crediti delle banche ordinarie all'industria, favorita
dalla disponibilità della Banca d'Italia ad ampliare il risconto. Circa il Consorzio,
è di particolare interesse la lettera di Stringher a Meda del27 ottobre 1920 (ibùl).
Da essa si ricava innanzitutto che la Banca era sottoposta a una forte richiesta di
credito da parte dell'industria, che non era opportuno rimanesse insoddisfatta in
quanto «frapporre ostacoli allo sforzo che le industrie stanno compiendo per ri-
dare normale attività al lavoro, significherebbe far precipitare alla peggiore delle
soluzioni la crisi che stiamo attraversando». II Consorzio è essenzialmente un
modo per alleggerire i rìschi che le operazioni dirette comportano per la Banca:
di compito degli istituti di emissione è, nel presente periodo, oltremodo pesante,
e tutto ciò che valga, in qualche modo, ad alleviarlo, non può né deve essere
trascurato. Un intervento più efficace del Consorzio, in questo momento appare
opportunissimo, in quanto, attraverso all'ente, si assicura agli istituti di emissio-
ne la partecipazione di cospicue entità bancarie ai rischi della situazione presen-
te; mentre, poi, il sistema adottato pel risconto del portafoglio, accomuna in
debite proporzioni i tre istituti di emissione, all'accollo del peso relativo».
102 In una lettera ai direttori delle principali filiali, del 16 febbraio 1924,
Stringher rammenta l'esigenza della elasticità degli impieghi con parole che fan-
no però capire quanto si fosse attenuato il deterrente fiscale alla loro espansione:
«Se recenti disposizioni di legge, permettendoci di accantonare la più gran parte
della tassa straordinaria sulla circolazione eccedente, possono per avventura far
46 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
pieghi davano ora luogo a ricavi che, invece di essere assorbiti
interamente dallo Stato, alimentavano riserve destinate a coprire
le perdite causate dalla liquidazione della Sconto e dai salvataggi
bancari. La Banca poteva quindi avere interesse a un elevato am-
montare di operazioni di credito, allo scopo di accelerare l' am-
mortamento di queste perdite 103 •
Non si hanno però indizi di una rilevanza di questo fattore al
di là dei mesi centrali del1924. Sembra difficile che esso abbia
svolto una funzione significativa nella fase successiva, in cui la
corrispondenza con le filiali mostra il netto prevalere di un orien-
tamento restrittivo.
3 .5. Le anticipazioni
Si è visto in precedenza che le anticipazioni erano stretta-
mente legate all'andamento del mercato dei titoli pubblici. Sul
mercato primario, esse favorivano il buon esito delle sottoscri-
zioni, soprattutto finanziando gli acquisti degli intermediari in-
tenzionati a cedere i titoli, in un secondo momento, agli investi-
tori definitivi; sul mercato secondario, le anticipazioni si pone-
vano come un mezzo per la realizzazione dei titoli alternativo alla
vendita, e quindi come uno strumento di sostegno indiretto dei
corsil 04 • Lo stretto legame con i titoli influiva sulle caratteristi-
intravedere un qualche vantaggio in un eccesso di circolazione, dobbiamo asso-
lutamente guardarci dal conseguire un siffatto risultato con operazioni, che non
siano perfettamente liquide» (in ASBI, Sconti, cop. Sconti n. 272).
103 Nella lettera al direttore della filiale di Imperia, del 23 maggio 1924,
Stringher afferma che «l'alto livello degli impieghi non può dare preoccupazioni
e, anzi, torna ormai utile, quando non faccia difetto il duplice requisito della
sicurezza e della mobilità>> (in ASBI, Sconti, cop. Sconti n. 275). Affermazioni
analoghe si trovano anche in altre lettere di quel periodo (ad esempio, lettera alle
filiali del 30 maggio 1924, ibid.). Quest'ultima lettera si occupa sia delle antici-
pazioni che degli sconti: per le prime, dispone provvedimenti diretti a contra-
starne la diminuzione (rivalutazione dei titoli, riduzione degli scarti); per i se-
condi, invita le filiali a privilegiare l'acquisto di carta commerciale; «ma ove sulla
piazza scarseggi la carta a noi più gradita, non per questo può convenirci di ri-
manere fuori dal movimento delle transazioni di altra specie, sempreché le ope-
razioni di sconto siano alimentate da effetti di non dubbio buon fine e dotati di
elasticità e la nostra clientela sia scelta fra le ditte di una certa statura».
104 Nella corrispondenza interna all'istituto compare spesso il riferimento a
operazioni che per le loro caratteristiche (ripetuti rinnovi, utilizzo integrale del
credito aperto) rappresentavano vendite larvate di titoli (ad esempio, lettera alle
filiali del5 agosto 1925, in ASBI, Sconti, cop. Sconti n. 280).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 47
che tecniche dell'operazione: l'affidamento era dato dai titoli co-
stituiti in pegno, più che dal merito di credito del richiedente;
mancava perciò il vaglio da parte di un organismo del tipo della
commissione di sconto, e l'anticipazione era considerata un' ope-
razione «per cassa» compiuta direttamente allo sportello 105 •
Ancor più che per gli sconti, quindi, lo strumento canonico
con cui difendersi da eccessive richieste di anticipazioni era co-
stituito da un aumento del tasso d'interesse 106 • Il ricorso ener-
gico a tale strumento era però ostacolato dallo stesso legame con
il mercato dei titoli pubblici, soprattutto nelle condizioni criti-
che della guerra e dei primi anni del dopoguerra. Come osserva-
vano anche i commentatori dell'epoca, il tasso d'interesse sulle
anticipazioni, che prima del conflitto era uguale o superiore al
tasso di sconto, successivamente aveva teso a essere più basso 107 ;
105 In una lettera del16 febbraio 1920, diretta al ministro del Tesoro, Strin-
gher afferma che «Se è dato, fino a un certo segno, di porre un freno alle opera-
zioni basate sul fido, per essere queste sottoposte a un preventivo esame di me-
rito, quasi nulla può farsi in materia di anticipazioni su titoli, le quali, essendo
basate sul valore del pegno, si svolgono sostanzialmente come operazioni di Cas-
sa» (pubblicata in Cotula e Spaventa [a cura di], La politica monetaria cit.). Gli
stessi argomenti ritornano anche in documenti di anni successivi. In una lettera
al direttore della filiale di Bari, del6 maggio 1925, Stringher osserva che «per le
anticipazioni, giova considerare che non tanto si tratta di fido personale, quanto
di pregio dei titoli dello Stato, e che ogni costrizione potrebbe andare appunto a
scapito di quel pregio>> (in ASBI, Sconti, cop. Sconti n. 279). In una memoria
sull'organizzazione dei servizi dell'amministrazione centrale della Banca del gen-
naio 1933, a proposito dei controlli sulle anticipazioni si osserva che esse, «es-
sendo appoggiate a garanzie reali, sono di assoluta tranquillità. Pertanto, non
valutazione di firme; non esame di merito; né apprezzamenti di altro genere;
bensì constatazione pura e semplice che i titoli presi in garanzia siano fra quelli
accettati dalla Banca» (in ASBI, Direttorio-Azzolini, cart. 57). Nella stessa vena,
il 7 aprile 1933 Azzolini scriveva a Jung che per le anticipazioni «l'Istituto fida
il titolo non il cliente e [... ] date le speciali caratteristiche delle operazioni me-
desime, esula qualsiasi elemento di considerazione subiettiva del contraente. Es-
se vengono compiute, infatti, allo sportello, senza alcun intervento deliberativo
delle Commissioni di Sconto, sul solo esame del titolo e visto il suo valore di
borsa>> (in ASBI, Direttorio-Introna, cart. 3).
106 Cfr. quanto Stringher afferma nelle già ricordate risposte ai quesiti del
presidente del Senato Tittoni, dell'aprile 1925: «Per le Banche di maggior mole,
ricche di depositi e di conti correnti, epperò - salvo casi eccezionali - indi-
pendenti dagli Istituti di emissione, non è possibile un vero controllo, salvo la
resistenza alle operazioni in momenti straordinari di bisogno, durante i quali si
dovrebbe manovrare energicamente col saggio dello sconto e più ancora con quel-
lo dell'interesse su le anticipazioni con 12egno di titoli».
107 Cfr. ad esempio A. Cabiati, La finanza e la banca in cinque anni di guerra
mondiale, in ABI, «Bollettino economico-finanziario», 1920, dove, dopo aver af-
fermato che «le banche ordinarie [... ] non avevano difficoltà ad accrescere con-
48 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
parallelamente, le proporzioni tra sconti e anticipazioni si erano
modificate a favore delle seconde, che tra il 1913 e il1918 erano
passate dal 25 all'85 per cento della consistenza degli sconti.
Le anticipazioni parteciparono all'eccezionale crescita delle
operazioni nel triennio 1919-21, stimolate prima dal collocamen-
to del sesto prestito nazionale, poi, sullo scorcio del1921, dalla
crisi della Banca italiana di sconto 108 , che le portò allivello mas-
simo dell'intero periodo tra le due guerre. Ma fu specialmente
nel biennio 1925-26 che esse giocarono un ruolo importante, de-
terminando infine l'adozione di provvedimenti senza precedenti
nella storia della Banca.
Gli episodi più significativi di questo biennio sono quelli del
giugno 1925 e della primavera del1926. A giugno del1925 le
anticipazioni degli istituti di emissione subirono una forte im-
pennata, di circa 1,2 miliardi di lire, solo in parte riassorbita nei
mesi successivi; come nell'estate del 1920, Stringher percepì il
rischio di un panico che dai mercati dei cambi, delle azioni e dei
titoli di Stato poteva estendersi ai depositi bancari 109 . Funzionò
il consueto meccanismo, per cui le anticipazioni si espandevano
a sostegno dei corsi dei titoli pubblici. La novità della primavera-
estate del1926 consistette invece proprio nella disattivazione di
tale meccanismo: a partire da marzo-aprile le anticipazioni dimi-
siderevolmente i loro portafogli con quei titoli [i titoli di Stato], perché sapevano
di poter sempre ottenere su di essi anticipazioni ad ottime condizioni dagli isti-
tuti di emissione», si aggiunge che, a differenza che per il passato, a partire dal-
l'inizio della guerra gli istituti di emissione «erano stati - dalle leggi che emet·
tevano i singoli prestiti - autorizzati a ridurre tali interessi [sulle anticipazioni]
ad un livello inferiore, in media, di 1/2 per cento al saggio di sconto» (p. 16). La
situazione cambiò in parte negli anni successivi: nel corso del1925 il tasso sulle
anticipazioni fu per alcuni mesi superiore al tasso di sconto.
108 La stessa Banca italiana di sconto aveva fatto ampio ricorso alle anticipa-
zioni, e si era procurata i titoli necessari anche prendendoli in comodato dalla
clientela. Cfr. P. Sraffa, La crisi bancaria in Italia, in F. Cesarini e M. Onado (a cura
di), Struttura e stabilità del sistema finanziario, Il Mulino, Bologna 1979, p. 195.
109 In una lettera a de' Stefani del l 0 luglio 1925, Stringher scriveva: «Sem-
bra assai dubbio che una deflazione della circolazione possa ottenersi attraverso
una riduzione, a qualunque costo, degli impieghi della Banca, anzi è da temere
che una pressione più energica di quella ordinata, abbia, per avventura, a sortire
l'effetto opposto aumentando il senso di incertezza e di preoccupazione che, pur-
troppo, domina attualmente il mercato, e mettendo gli istituti di credito e di
risparmio in condizioni da ingenerare, nei propri depositanti, una vera corrente
di sfiducia. Cosl, bruschi rifiuti di anticipazioni su titoli di Stato possono pro-
vocare in Borsa affannose vendite deprimenti ancor più il mercato» (pubblicata
in Cotula e Spaventa [a cura di], La politica monetaria cit.).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 49
nuirono nonostante che, da maggio, iniziasse una cospicua fles-
sione nelle quotazioni dei titoli di Stato. L'orientamento restrit-
tivo fu ulteriormente irrigidito dopo l'adozione, nel settembre
del 1926, di un limite massimo alla circolazione per conto del
commercio: Stringher diede disposizione ai direttori non solo di
negare nuove anticipazioni, ma anche di «schermirsi» dagli uti-
lizzi dei crediti aperti già concessi, arrivando, se del caso, a veri
e propri dinieghi e minacciando la disdetta dei contratti alla sca-
denza successiva 11 o.
n ruolo delle anticipazioni nel monetizzare quote significati-
ve del debito pubblico in possesso delle banche è messo bene in
luce in questo giudizio di Menichella: le banche,
favorite dal possesso di titoli di Stato che avevano assunto durante e
dopo la guerra allorquando il sistema economico non aveva bisogno di
fondi elevati, misero mano a questa riserva di liquidità quando ebbero
utilizzate le altre [la liquidità immessa nel1923-24 per i salvataggi ban-
cari]. Riferendo dell'esercizio 1926, il Governatore della Banca d'Italia,
che già aveva rilevato l'anno prima come le anticipazioni sui titoli si
fossero accresciute durante il1925 di oltre 700 milioni e l'insieme delle
operazioni attive di oltre 2,2 miliardi, scrive testualmente a proposito
delle anticipazioni della Banca: «avevano raggiunto proporzioni ecces-
sive, e avevano quasi trasformato in biglietti, mercè il prestito, una par-
te ragguardevole delle scorte dei titoli raccolti presso Istituti di credito
e di risparmio, gonfiando la circolazione e aggravandone le conseguen-
ze». Quando, infine, l'Istituto di emissione oppose resistenza anche a
questa forma di monetizzazione del debito pubblico, procedettero ad-
dirittura a incassare a scadenza i buoni del tesoro 111 ,
11 ° Cfr. Numero unico n. 59.573 del 15 settembre 1926, pubblicato in Co-
tula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria cit. E da notare che le assegna-
zioni agli impieghi delle filiali, ripristinate nell'autunno del 1925, erano state
limitate soltanto agli sconti.
111 D. Menichella, Il riordinamento del sistema bancario italiano del 1933-
1936, in Scritti e discorsi scelti, Banca d'Italia, Roma 1986, p. 209. La citazione
di Menichella si riferisce alla relazione della Banca d'Italia per il 1926, p. 22.
Sono interessanti anche i giudizi generali di Menichella sull'origine della crisi del
1925-26. Egli rigetta due spiegazioni abbastanza comuni: l'influenza delle vicen-
de del franco francese e l'attacco della speculazione internazionale. In entrambi
i casi, per Menichella non può trattarsi che di fattori secondari, che di per sé
avrebbero potuto agire solo per breve tempo e in misura limitata. Infatti, «è
chiaro che nessuna speculazione sui cambi può condursi a lungo intensamente se
essa non può alimentarsi col possesso di larghe disponibilità della moneta attac-
cata che solo un mancato controllo interno può fornire» (p. 202). Anche la spie-
gazione politica (ripercussioni del delitto Matteotti) è respinta: «Si trattò dunque
50 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
determinando la crisi che sboccò nel consolidamento forzoso.
Gli avvenimenti del1925-26, dunque, misero in luce le gravi
difficoltà del controllo monetario in Italia. In sostanza, dalla fine
della guerra i principali strumenti della politica monetaria erano
stati tre 112 : l. la manovra dello sconto; 2. l'emissione di titoli
pubblici in eccesso sul fabbisogno; 3.la variazione del tasso d'in-
teresse sui depositi presso la Banca d'Italia.
Sulla manovra dello sconto si è già detto in precedenza. Si è
visto che l'abbandono del tasso di sconto ridotto aveva reso assai
meno elastico il controllo dello sconto via costo; la ragione nor-
male, che rimaneva molto vischiosa, era ora a volte inferiore ai
tassi di mercato e in alcuni anni fortemente negativa in termini
reali. D'altra parte, il controllo delle quantità faticava molto ad
affermarsi. Un vero e proprio razionamento- diverso dalla sem-
plice moderazione a cui Stringher tante volte invitava i direttori:
che arrivasse cioè a negare il credito ai possessori di legittimi
collaterali- venne realizzato solo a partire dall'estate del1926,
in concomitanza con l'introduzione del limite assoluto alla cir-
colazione per conto del commercio.
Il principale strumento per il riassorbimento della liquidità
eccedente era costituito dal «sovrafinanziamento» del fabbiso-
gno del Tesoro, cioè da vendite di titoli di Stato sul mercato
primario eccedenti il fabbisogno. Ad esso si fece ricorso sia du-
rante gli anni Venti, sia nei primi anni Trenta, allorché il Tesoro
finanziò, con l'emissione di titoli e con il ricorso al risparmio
postale, la formazione di un cospicuo deposito presso la Banca
d'Italia 113 • Sull'uso di tale strumento potevano però interferire
non di un movimento di paura, ma di una effettiva espansione produttiva peral-
tro accompagnata da fenomeni malsani di gonfiamento dei prezzi per larghezza
di credito» (p. 204). A questa concorsero i salvataggi bancari, i cui effetti sulla
liquidità non potevano essere neutralizzati dalla Banca d'Italia per mancanza di
strumenti, e la stessa monetizzazione del debito pubblico delle banche, prima con
le anticipazioni e poi con disinvestimenti netti.
112 Cfr. l'Introduzione a Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria
ci t.
113 Si arrivò a un massimo di circa 3 miliardi nel 1932. Cfr. M. Mazzuc-
chelli, Considerazioni sul conto del Tesoro, sul Bilancio e sulla circolazione, in «Ri-
vista bancaria», 1931, dove l'aumento dei depositi del Tesoro è considerato un
modo per neutralizzare gli effetti dei salvataggi bancari: «Una tale politica, del-
l'ingrossamento dei propri depositi presso la Banca di emissione molto al di là di
ogni prevedibile bisogno, per evitare contraccolpi ali' economia monetaria del pae-
se, appare unica in questi anni di crisi. Tutti gli altri Stati che si trovarono in
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 51
le esigenze del Tesoro circa la composizione del debito pubblico
e il contenimento dell'onere per interessi: tra la metà dell924 e
quella del1925, ad esempio, l'eccessivo prolungamento della po-
litica di bassi tassi d'interesse sui Buoni del Tesoro - diretta a
promuoverne la trasformazione in titoli a più lunga scadenza, per
i quali si offrivano però tassi non in linea con le condizioni di
mercato 114 -contribuì non poco al deterioramento delle condi-
zioni monetarie, ritardando tra l'altro lo stesso aumento del tasso
di sconto.
Il terzo strumento era costituito dalle variazioni del tasso
d'interesse sui depositi presso la Banca d'Italia. Data l'impor-
tanza di questo argomento nella storia della Banca e i legami con
le operazioni di credito, è opportuno farne oggetto di trattazione
separata.
3.6. I depositi presso la Banca d'Italia
La questione dei depositi aveva avuto fin dall'inizio un ruolo
di rilievo nella vita della Banca d'Italia. In primo luogo, essa in-
vestiva i suoi rapporti con il sistema bancario, in modo simile a
quanto accadeva per le operazioni di credito: la Banca d'Italia
aspirava a porsi come depositaria delle riserve di liquidità delle
banche «libere», incluse le grandi, ma si scontrava con la loro
analoghe situazioni di opportunità di sostegni bancari, vi hanno provveduto fi-
nora con aumenti diretti od indiretti di circolazione. Solamente l'Italia ha fatto
debiti- coll'accrescimento di un miliardo nei buoni novennali e col continuo
aumento verso la Cassa Depositi e Prestiti e Istituti di previdenza da essa gestiti
- per tenerne il ricavo presso l'Istituto di Emissione e non gravare sul biglietto
le ingenti necessità del momento» (p. 887). Osservazioni analoghe sono anche in
Considerazioni sul conto del Tesoro, sul Bilancio e sulla circolazione, in «Rivista
bancaria>>, 1932, dove, commentando la proposta di de' Stefani di realizzare il
«disgelo di debiti congelati» mediante l'emissione di obbligazioni a lungo termi-
ne, Mazzucchelli sostiene che tale idea era già stata indirettamente attuata con i
depositi dello Stato presso la Banca d'Italia, finanziati con debiti a scadenza
media (buoni novennali) o non definita (conti correnti con la Cassa depositi e
prestiti e con enti previdenziali) (p. 189).
114 Negli Appunti su l'opuscolo monetario dell'On. Paratore, cit., Stringher
osserva, a proposito dell'obbligazione al4,75 per cento offerta per il consolida-
mento del debito fluttuante, che, «date le condizioni del mercato, rovesciate nel
secondo semestre 1924, l'emissione alla pari di tale obbligazione, per ora ne ha
tolto l'elasticità, anche perché il debito consolidato 5 per cento, a prezzo secco,
cioè dedotto il frutto, si mantiene sotto la pari». In nota egli aggiunge che «il
consolidato 5 per cento per fine dicembre, è stato oggi quotato a 99.90, corri-
spondente al prezzo secco di 97.70: frutto 5.12 per cento».
52 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
diffidenza, alimentata dal sospetto che le risorse messe a sua di-
sposizione potessero essere adoperate per finanziare impieghi
competitivi con i loro 11 5. Si aveva un'altra manifestazione di quel
medesimo atteggiamento di estraneità, se non proprio di ostilità,
che determinava anche la riluttanza delle grandi banche a ricor-
rere sistematicamente al risconto del proprio portafoglio presso
la Banca d'Italia. In secondo luogo, i depositi erano importanti
per il conto economico della Banca: essi fornivano una raccolta
aggiuntiva che permetteva di espandere l'attivo fruttifero al di là
di quanto consentito dai limiti e dai vincoli sulla circolazio-
ne116, il che era di particolare rilievo nella fase in cui la rico-
stituzione patrimoniale rappresentava uno dei principali obiet-
tivi dell'istituto.
Nel periodo precedente alla guerra la normativa sui depositi
tentava in effetti di stabilire un compromesso tra le esigenze di
reddito della Banca e l'intento di evitare l'eccessivo sviluppo di
una partita che presentava un notevole grado di sostituibilità con
i biglietti. Ciò avveniva fissando due principi fondamentali: da
un lato, i depositi, a differenza dei biglietti e dei vaglia, non
erano soggetti a obbligo di riserva, e quindi davano luogo a una
raccolta che poteva essere interamente utilizzata in impieghi frut-
115 Come rileva Gonfalonieri, citando Sayers, anche la Banca d'Inghilterra
aveva un problema analogo. Cfr. Gonfalonieri, Banca e industria in Italia dalla crisi
cit., p. 132. Gonfalonieri cita vari documenti da cui risulta la posizione della
Banca. In un'adunanza del Consiglio superiore del 1909, ad esempio, Stringher
affermò che «la Banca d'Italia nemmeno profitta dei vantaggi che derivano alle
grandi banche di emissione dall'essere depositarie della gran massa dei fondi di-
sponibili o di riserva dei maggiori istituti di depositi e sconti. Ad esempio la
Banca d'Inghilterra lavora con i soli depositi, sebbene su questi non corrisponda
interessi; e la Banca di Francia con l miliardo di circolazione scoperta da riserva
metallica, à da 650 a 700 milioni di depositi; ma in Inghilterra e in Francia, come
in altri paesi, le istituzioni di credito libere si appoggiano agli istituti di emissio-
ne, e ne fanno quasi i loro serbatoi, mentre in Italia non già per spirito di ma-
lintesa gelosia, ma forse per antiche consuetudini, le banche mobiliari non ànno
depositi presso le banche di emissione, le quali, avendone in copia, potrebbero
ridurre notabilmente la circolazione dei biglietti, per disporne con larghezza nei
tempi di crisi» (pp. 127-28). Nella relazione per il1907 Stringher scrisse: «L'af-
flusso dei depositi allarga negli istituti di emissione la facoltà di rispondere alla
domanda di credito senza aumentare la circolazione dei biglietti. In un regime
più evoluto di questi istituti, la funzione dei depositi dovrebbe essere quella di
provvedere la più gran parte dei mezzi di oprare ne' tempi di calma, per lasciare
alla massa dei biglietti la funzione di provvedere largamente alle straordinarie
domande di credito nei tempi di maggior bisogno e segnatamente durante le cri-
si» (pp. 128-29).
116 Cfr. Bonelli (a cura di), op. cit., pp. 32 e 87-91.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 53
tiferi; dall'altro lato, essi erano sottoposti a un duplice vincolo,
sulle quantità e sui tassi d'interesse, diretto a frenarne lo svilup-
po. La legge bancaria del1893 stabiliva infatti che il tasso d'in-
teresse sui depositi non poteva superare il terzo del saggio uffi-
ciale di sconto e che, se il loro ammontare oltrepassava certi limiti
(130 milioni per la Banca d'Italia), la circolazione doveva essere
ridotta di tre quarti della somma eccedente.
Nel corso del tempo, tuttavia, prevalse la tendenza all'atte-
nuazione dei vincoli alla crescita dei depositi, di cui si tendeva a
mettere in luce la natura di strumento di contenimento dell' au-
mento della circolazione 117 • N el1909 si aumentarono gli importi
dei depositi che potevano essere liberamente raccolti dagli isti-
tuti di emissione e si innalzò il livello massimo del tasso d'inte-
resse118. Ma il passo decisivo fu fatto alla vigilia della guerra, in
seguito alla grave crisi finanziaria che scoppiò anche in Italia nel-
l'estate del1914: il decreto legge del 23 novembre di quell'anno
sospese le norme del testo unico del 1910 sui limiti all'ammon-
tare dei depositi degli istituti di emissione e al livello del tasso
d'interesse, limitandosi a stabilire che questo sarebbe stato de-
terminato con decreto del ministro del Tesoro. In tal modo la
Banca d'Italia era posta in grado di assecondare il forte incre-
mento della domanda di liquidità provocato dalla crisi bancaria,
che prendeva la forma di maggiori richieste di depositi, oltre che
di biglietti 119 .
117 Cfr. Confalonieri, Banca e industria in Italia dalla crisi cit., pp. 129-30.
118 L'importo massimo dei depositi fu portato per la Banca d'Italia a 200
milioni e il limite al tasso d'interesse fu fissato nei tre quarti del tasso sul rispar-
mio postale. Si stabilì anche che, se gli importi massimi dei depositi venivano
superati, la circolazione doveva essere ridotta soltanto di un terzo della somma
eccedente (legge 15 luglio 1909, n. 492).
119 «L'aumento dei depositi in conto corrente presso gli Istituti di emissione
nei momenti meno tranquilli è un fatto ricorrente, del quale non occorre indu-
giarsi a significare le cause. Da siffatto maggiore afflusso dei depositi gli Istituti
medesimi traggono una parte notabile dei mezzi occorrenti a soddisfare i mag-
giori bisogni che la situazione crea; e così evitano di esercitare una pressione
troppo sensibile sulle condizioni della circolazione cartacea. Attraverso agli Isti-
tuti di emissione, sono rimesse via via nel giro degli affari le somme che ne erano
state tolte anche per cause determinatamente psicologiche. E nelle casse degli
stessi si raccolgono pure le riserve di disponibilità che le Banche di credito or-
dinario credono di dover formarsi con operazioni di risconto e di anticipazione,
per esser pronte a ogni evento, finché perdurano le diffidenze e le incertezze del
mercato monetario» (BI, Adunanza per il1914, p. 32). Nel1914 i depositi della
Banca d'Italia aumentarono da 49 a 288 milioni.
54 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Come spesso succede, la sospensione decretata nel1914 da
provvisoria divenne definitiva. Essa pose le premesse per un più
sistematico e consistente utilizzo dei depositi a fini di conteni-
mento della crescita della circolazione. Si ebbero almeno tre epi-
sodi principali, nel 1917, nel 1920 e nel 1926. In quest'ultimo
caso si procedette con particolare energia, portando il tasso mas-
simo al 5 per cento (negli altri due casi era stato innalzato rispet-
tivamente al 3 e al 3,5 per cento 120) e applicandolo senza atten-
dere l'emanazione del decreto ministeriale 121 : nel1926 i depositi
della Banca d'Italia aumentarono di oltre due volte e mezzo (da
619 a 1636 milioni) e crebbero di un altro 25 per cento nell'anno
successivo 122 •
La politica di sviluppo dei depositi degli istituti di emissione
non mancò di suscitare reazioni e commenti. Alcuni ne vedevano
specialmente gli aspetti di maggiore concorrenza con le banche
ordinarie: D. Angeli, ad esempio, commentando la scarsa dina-
mica della raccolta delle grandi banche nel corso del 1925, os-
servava che le norme restrittive sui depositi delle banche di emis-
sione, temporaneamente sospese nel1914, «non erano state più
rimesse in vigore con l'effetto di stabilire permanentemente uno
stato di concorrenza fra gli istituti di emissione e gli altri istituti
raccoglitori» 123 • Altri sottolineavano la componente di controllo
monetario. Cabiati, in particolare, considerava la manovra dei
depositi come un mezzo per rendere «effettivo» l'aumento del
tasso di sconto:
12 ° Cfr. circolari n. 460 del15 settembre 1917 e n. 2007 dell'll dicembre
1920.
121 La relazione per il1926 si esprime nei termini seguenti: <{A tale cospicua
espansione [quella dei conti correnti] hanno contribuito i depositi che la Banca,
in seguito a giustificate insistenze di numerosi istituti di credito ordinario, ha
ammesso presso alcune sedi più importanti, pro tempore e in via del tutto ecce-
zionale, al saggio di interesse di 5 per cento, allo scopo di frenare e ridurre il
nocivo tesoreggiamento delle valute nell'autunno decorso» (p. 107).
122
Raggiungendo i 2068 milioni. Nel corso dell'anno si era avuto un mas-
simo di circa 3 miliardi (2997 milioni il20 ottobre); la crescita riprese tempora-
neamente nei primi mesi del1928 (3,3 miliardi allO marzo). La Banca ridusse il
tasso massimo sui depositi all'inizio del1928, prima di mezzo e poi di un punto
(BI, Adunanza per il1927, p. 89).
123
Cfr. D. Angeli, L 'andamento dei grandi istituti di credito liberi in Italia, in
<{Rivista bancaria>>, 1925, p. 532. In un altro punto Angeli afferma che i tassi sui
conti correnti delle banche erano stati portati al4 per cento anche per l'aumento
dei tassi sui depositi degli istituti di emissione (ivi, p. 529).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 55
L'aumento nel saggio dello sconto si accompagna ad una elevazione
nel saggio dell'interesse che l'Istituto di emissione concede sui depositi.
I depositanti allora sono indotti a togliere i loro risparmi dalla banca
ordinaria per affidarli a quella centrale. La banca ordinaria viene cosl in
tutti i sensi e per più vie depauperata di depositi, e, per far fronte alle
richieste dei propri clienti, si rivolge per il risconto alla Banca di emis-
sione. E siccome il risconto è rincarato, a sua volta deve rincarare la
circolazione bancaria, diminuendone cosl ulteriormente la domanda da
parte del mercato.t24
Dopo il picco del 1926, i tassi d'interesse sui depositi della
Banca d'Italia furono progressivamente ridotti; l'ammontare dei
depositi, tuttavia, rimase relativamente elevato fino al1932 12 5.
Ma l'innovazione più importante di quegli anni fu di tipo istitu-
zionale e derivò dalla riforma monetaria del 1927-28. Questa
aveva modificato la disciplina dei depositi della Banca d'Italia:
da un lato confermando definitivamente l'abolizione dei limiti di
quantità e di tasso disposta nel1914; dall'altro, assoggettando i
depositi a vista al medesimo obbligo di riserva previsto per i bi-
glietti e per i vaglia (e per ogni altro impegno a vista) 126 • La con-
124
A. Cabiati, Sul concetto di immobilizzazione bancaria, in «Rivista banca-
ria», 1922, p. 403. L'interpretazione di Cabiati è per molti versi analoga a quella
di Wicksell, che considera il riconoscimento di un interesse sui depositi delle ban-
che centrali equivalente, e per certi aspetti preferibile, all'offerta di operazioni
temporanee di mercato aperto (cfr. K. Wicksell, Lezioni di economia politica, trad.
it., UTET, Torino 1976, p. 369). L'aumento dei tassi d'interesse sui depositi ri-
guardava non solo i livelli massimi, riservati alle banche, ma anche quelli inferiori.
Naturalmente l'aumento della remunerazione delle riserve bancarie aveva an-
ch' esso un effetto restrittivo, poiché modificava la composizione desiderata degli
attivi bancari in favore delle riserve e a danno dell'offerta di credito (cfr.l'Intro-
duzione a Cotula e Spaventa [a cura di], La politica monetaria cit.).
125 Il rapporto tra i depositi e il totale del passivo della Banca d'Italia (esclusi
i fondi patrimoniali) era stato pari al 4 per cento nella media del triennio 1923-
25; salì all'8,5 per cento nel biennio 1926-27; scese al 6 per cento nel biennio
successivo; risalì al 7, 7 per cento nella media del triennio 1930-32, malgrado che
i tassi d'interesse per le banche fossero stati ridotti all'1,5 per cento nel giugno
1930 (0,50 per cento per i privati) e venissero ulteriormente diminuiti nei due
anni successivi (all'l e allo 0,50 per cento per le banche, rispettivamente nel
maggio 1931 e nel settembre 1932; per i privati non si fece più luogo a corre-
sponsione d'interessi dal maggio 1931). Rispetto agli altri tassi, all'inizio degli
anni Trenta i tassi sui depositi erano notevolmente più bassi che dieci anni prima:
in confronto alla media del triennio 1923-25, infatti, i differenziali con il tasso di
sconto ufficiale, con quello privato e con il tasso sui depositi delle casse di ri-
sparmio erano aumentati rispettivamente di 2,79 2,12 e 2,84 punti.
126 Art. 4 R.D. L. 21 dicembre 1927, n. 2325, e artt. l e 5 R.D. 17 giugno
1928, n. 1377.
56 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
seguenza fu che l'attenzione si spostò, per la prima volta, ai de-
positi vincolati: il deterioramento del coefficiente di riserva, in
atto fin dal1928, indusse infatti la Banca, nei primi anni Trenta,
a cercare di modificare la composizione del suo passivo aumen-
tando il peso delle voci non soggette a riserva, tra cui appunto i
depositi vincolati 127 . Il loro sviluppo non fu di grande rilievo dal
punto di vista delle quantità, raggiungendo un massimo di circa
700 milioni nel1932; esso costituì però un precedente significa-
tivo, su cui si costruì ampiamente nel corso della seconda guerra
mondiale e del dopoguerra 12 8.
L'utilizzo dei depositi della banca di emissione a fini di con-
trollo monetario rappresenta quindi un'importante linea evolu-
tiva della politica monetaria italiana. Essa mise capo all'introdu-
zione della riserva obbligatoria, che per il nostro paese costituì
forse, nel campo delle tecniche di regolazione monetaria, la pri-
ma vera novità rispetto al modello classico dell'istituto di emis-
sione, quale era stato codificato nel periodo precedente alla pri-
ma guerra mondiale.
127 In una lettera a Mussolini del27 gennaio 1932, Azzolini afferma che «un
incremento nei depositi in conto corrente vincolato per i quali non è prescritta
una speciale copertura concorrerebbe [... ] a influire in senso favorevole sul rap-
porto tra circolazione e oro. In realtà più che di incremento dovrebbe parlarsi di
spostamento da depositi a vista a depositi vincolati» (pubblicata in Cotula e Spa-
venta [a cura di], La politica monetaria cit.). Con una lettera a Mosconi della
stessa data si invia uno schema di decreto ministeriale «per autorizzare questo
istituto a corrispondere sui depositi vincolati un interesse annuo fino al4 1/2 per
cento» (in ASBI, Direttorio-Introna, cart. 3). In effetti nel 1932 si ebbe un tra-
vaso dai depositi a vista a quelli vincolati: i primi diminuirono di 549 milioni, i
secondi aumentarono di 525 milioni.
128 Sul ruolo dei depositi presso la Banca d'Italia e il Tesoro negli ultimi anni
del secondo conflitto mondiale e sull'introduzione della riserva obbligatoria, cfr.
rispettivamente C.O. Gelsomino, La politica monetaria italiana tra il1936 e la fine
della seconda guerra mondiale, in A. Caracciolo (a cura di), La Banca d'Italia tra
l'autarchia e la guerra 1936-1945, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza,
Roma-Bari 1992 e S. Ricossa e E. Tuccimei (a cura di), La Banca d'Italia e il
risanamento postbellico, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-
Bari 1992.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 57
4. Dalla stabilizzazione della lira alle riforme del1936
4.1. Mutamenti nello stato patrimoniale e nel conto economico del-
la Banca d'Italia
Per la maggior parte dei protagonisti della scena economica
italiana, il rimedio alle difficoltà di controllo monetario speri-
mentate nel corso degli anni Venti andava ricercato non tanto
nello sviluppo di nuovi strumenti, quanto nel ritorno a un regime
monetario «normale», analogo nella sostanza, anche se non nella
forma, a quello vigente prima dello scoppio della guerra. Dopo la
«restaurazione finanziaria» dei primi anni Venti, che aveva risa-
nato il bilancio dello Stato, si trattava di compiere la «restaura-
zione monetaria» 129 • Questa avrebbe ristabilito l'insieme di in-
centivi e di vincoli all'azione degli istituti di emissione che, nel
periodo precedente alla guerra, aveva garantito il recupero e il
mantenimento della stabilità monetaria: l'ancoraggio del valore
della lira a una base aurea, formalmente stabilito, questa volta,
dal rispristino della convertibilità130 ; la rigorosa limitazione del
finanziamento monetario del Tesoro; la conferma delle regole or-
todosse in materia di operazioni di credito degli istituti di emis-
sione, con la liquidazione dei residui dei salvataggi bancari. Nel
nuovo regime, si sosteneva, brusche e sensibili espansioni della
circolazione, del tipo di quelle avutesi nel1919-21 e nel1925-26,
non sarebbero state più possibili: lo Stato non avrebbe potuto
più abusare del potere di creazione monetaria dell'istituto di
129 Cfr. G. Del Vecchio, Il ritorno all'oro, in Cronache cit., dove si distingue
tra il periodo finanziario e quello monetario nella «ricostituzione economica» del
paese (p. 413).
13 ° Com'è noto, il ritorno all'oro che si verificò in Europa dalla metà circa
degli anni Venti avvenne in modi che modificavano in alcuni punti il sistema
aureo, rispetto alla situazione precedente alla guerra: l'oro scomparve dalla cir-
colazione e la banca centrale assunse l'obbligo di convertire i biglietti in barre di
metallo (del peso rnininlo di 5 chili, in Italia); in molti paesi si adottò il gold
exchange standard, dando all'istituto di emissione la facoltà di convertire i bigliet-
ti, a sua scelta, in oro oppure in valute a base aurea. In Italia il principale cam-
biamento consistette nella formale adozione della convertibilità a prezzo fisso
della lira; per altri aspetti, invece, le novità furono minori che in altri paesi,
poiché da noi, come si è visto, l'oro non circolava in forma monetata neanche
prima della guerra e gli istituti di emissione erano da tempo autorizzati a man-
tenere una quota delle loro riserve sotto forma di divise estere convertibili in oro
(cosiddette riserve equiparate).
58 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
emissione, né gli impieghi di quest'ultimo avrebbero potuto cre-
scere eccessivamente, trovando essi un limite nell'obbligo di sal-
vaguardare la convertibilità della lira.
Nonostante questa impostazione generale, nel dibattito eco-
nomico non mancavano i riferimenti alle innovazioni nelle tec-
niche di controllo monetario introdotte in altri paesi. L' atten-
zione si rivolgeva soprattutto alle operazioni di mercato aperto,
divenute, nel corso degli anni Venti, uno dei principali strumenti
della politica monetaria in Inghilterra e negli Stati Uniti 131 • L'in-
teresse era da noi stimolato anche dall'abolizione dei limiti al
portafoglio titoli della Banca d'Italia, disposta dal decreto del17
giugno 1928 132 • Prevaleva però lo scetticismo, e non a torto: si
faceva osservare che le operazioni di mercato aperto richiedeva-
no un mercato dei titoli sviluppato, tale da assorbire vendite an-
che notevoli senza sensibili variazioni dei prezzi. Se tale mercato
non esisteva, come accadeva in Italia, l'uso del portafoglio titoli
della banca centrale a fini di controllo monetario era in pratica
impossibile; i titoli, anzi, perdevano quelle caratteristiche che
131 Cfr. par. 3.1.
132 Stringher annunziava la nuova disciplina con queste parole: «Nel regime
adottato col decreto fondamentale emanato il 21 'dicembre 1927, la Banca d'I·
talia deve avere più liberi i suoi movimenti, per dominare, occorrendo, il mer·
cato, e procurargli possibilmente una relativa stabilità; e quindi deve poter di·
sporre, più che oggi non possa, dei mezzi necessari per regolare il credito che da
essa emana, e opportunamente governarlo» (relazione per il1927, p. 117). Le sue
parole erano subito riprese da Mazzucchelli, in «Rivista bancaria>>, 1928, e messe
in collegamento con l'uso del portafoglio titoli della banca centrale a fini di re·
golazione monetaria nei paesi anglosassoni: in essi i titoli «sono un mezzo - anzi
il mezzo assieme al tasso di sconto - per allargare o restringere il credito sul
mercato, per governarlo cioè nella misura nella quale un governo è possibile» (p.
366). Mazzucchelli osservava peraltro che in Italia non esisteva un mercato dei
titoli abbastanza spesso da assorbire vendite cospicue senza grosse oscillazioni
dei corsi. Nella stessa vena di Stringher, nel discorso al Senato del 27 febbraio
1928 Volpi aveva dichiarato che «tutto il sistema regolatore della circolazione
dovrà essere riveduto, ma la situazione della Banca indica già che essa si prepara
a intervenire sul mercato, non solo col freno del tasso dello sconto, ma anche con
una azione oculata sul mercato dei cambi e su quello dei valori pubblici» (in
«Rivista Bancaria», 1928, p. 183). Nella relazione all'assemblea straordinaria del-
Ia Banca d'Italia del 18 giugno 1928, convocata per deliberare le variazioni allo
statuto conseguenti alla riforma monetaria, l'abolizione dei limiti all'ammontare
dei titoli pubblici di proprietà dell'istituto era invece più semplicemente (e più
realisticamente) messa in relazione con il trasferimento alla Banca dei titoli di
pertinenza dell'Istituto di liquidazioni (p. 67).
C.O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 59
avrebbero dovuto essere possedute da ogni componente dell'at-
tivo di una banca di emissione13 3 •
La riforma monetaria, comunque, fu infine realizzata, pas-
sando attraverso un'aspra crisi che scosse dalle fondamenta il no-
stro sistema monetario e sboccò nell'adozione di provvedimenti
drastici come il limite alla circolazione per conto del commercio
e il consolidamento forzoso dei Buoni del Tesoro. La riforma
provocò una nuova e radicale trasformazione della struttura di
bilancio della Banca d'Italia. Abbiamo già visto che, nella com-
posizione del passivo, crebbe e rimase per alcuni anni elevata la
quota dei depositi in conto corrente. Per quanto riguarda l'atti-
vo, si ritornò a una struttura simile a quella del1913: le attività
sull'estero tornarono ad avere importanza prevalente (intorno al
60 per cento dell'attivo nella media del biennio 1927-28), in par-
te per la rivalutazione dello stock preesistente, in parte per l' af-
flusso di divise verificatosi soprattutto nel1927 134 ; i crediti sul
133 Cfr. M. Mazzucchelli, Considerazioni sul conto del Tesoro, sul Bilancio e
sulla circolazione, in <<Rivista Bancaria», 1930. La conclusione di Mazzucchelli
era che se, come in Italia, la quantità di titoli in possesso dell'istituto di emissione
era ingente, non sembrava il caso di sconvolgere un mercato già per conto suo
limitato e sensibile con vendite eccessive da parte della banca centrale; la diret-
tiva migliore era quella di non aumentare il portafoglio esistente, che era quanto
la Banca d'Italia stava facendo (pp. 53-54). Considerazioni analoghe furono fatte
anche da Bianchini nella relazione all'assemblea generale della Confederazione
bancaria del18 giugno 1931, in <<Rivista bancaria», 1931. Egli commentò il de-
creto dell'8 agosto 1930, il quale «dà facoltà alla Banca d'Italia di acquistare o
riscontare, vendere o cedere a risconto, alle condizioni di mercato, tratte a non
più di 90 giorni vista emesse da Ditte italiane ed estere di notoria solvibilità ed
accettate da Banche italiane di primo ordine». Il provvedimento avrebbe quindi
consentito anche in Italia operazioni di mercato aperto su accettazioni, oltre che
su titoli di Stato; «si avrebbero quindi le possibilità legali per uno svolgimento delle
operazioni di mercato aperto cosl come avviene in paesi forestieri, in vista di va-
riazioni nella circolazione dei biglietti senza ricorrere a spostamenti nel saggio di
sconto. Ma non è probabile che le condizioni del mercato italiano si prestino in
fatto all'esercizio di una simile politica monetaria» (p. 502). Sulle operazioni di
mercato aperto, cfr. anche L. Einaudi, Dei metodi per arrivare alla stabilità mone-
taria e se si possa ancora parlare di crisi di stabilizzazione della lira, in «La Riforma
sociale>>, 1930. Einaudi tendeva a negare che le operazioni di mercato aperto fos-
sero davvero una novità (nella recensione della ristampa della History o/ Prices di
Tooke, ivi, sostiene che erano a questi già note), considerandole operazioni con-
correnti o sussidiarie alla variazione del tasso di sconto. Riportando l'opinione di
Mazzucchelli sulla necessità di un ampio ed efficiente mercato dei titoli, ancora
assente in Italia, egli osserva che si trattava appunto di dare opera a un tale mer-
cato, il che però era compito non dell'istituto di emissione ma del Tesoro (p. 250).
134 Cfr. l'Introduzione a Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria
ci t.
60 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Tesoro furono drasticamente ridotti, utilizzando la plusvalenza
derivante dalla rivalutazione delle riserve; i finanziamenti al set-
tore privato si riportarono anch'essi su valori simili a quelli del
1913 (poco meno del30 per cento dell'attivo, contro una media
del45 per cento circa del biennio 1925-26). Il rimborso dei de-
biti accesi dalle banche e dalle imprese fu reso possibile dalla
creazione di liquidità provocata dall'afflusso di capitali dall'e-
stero135; continuava anche la riduzione del debito dell'Istituto di
liquidazioni, succeduto nel1926 alla Sezione speciale autonoma
del Consorzio sovvenzioni su valori industriali.
Il nuovo assetto dello stato patrimoniale della Banca, però,
non durò a lungo. Già dal1931l'erosione delle riserve, comin-
ciata in pratica all'indomani stesso della riforma monetaria, ri-
dusse la loro quota sul totale dell'attivo al di sotto del 50 per
cento. La crisi bancaria fece risalire il peso del rifinanziamento,
riportandolo su valori prossimi al 40 per cento nella media del
triennio 1932-34 (47 per cento includendo le operazioni con
l'Istituto di liquidazioni-IRr); infine, negli ultimi anni del perio-
do che stiamo esaminando i crediti sullo Stato cominciarono a
salire, per impennarsi decisamente con lo scoppio della guerra
etiopica.
Malgrado questi cambiamenti, in tutta questa fase le condi-
zioni della Banca ebbero una costante: le gravi difficoltà di conto
economico. Esse iniziarono con la stessa riforma monetaria, che,
se ricondusse la struttura di bilancio a quella del1913 (tranne per
la maggiore incidenza dei depositi), lasciò il conto economico in
uno stato molto meno favorevole (tav. 2). Al di là di fattori
transitori, come il permanere ~ncora per qualche tempo della
tassa di circolazione su livelli relativamente elevati, la Banca
135 L'orientamento restrittivo nei finanziamenti al settore privato continuò
anche nei primi anni successivi alla stabilizzazione della lira, quando cominciò la
tendenza alla contrazione delle riserve. Secondo Einaudi, in quegli anni la Banca
si attenne ai metodi classici della stabilizzazione monetaria evitando di rimettere
in circolo i biglietti rientrati per la diminuzione delle riserve. A suo parere, la
cosa era tanto più notevole in quanto un rigido atteggiamento restrittivo contra-
stava con il temperamento di Stringher: «Quanti, avendo solo intravisto di sfug-
gita quell'ometto gentile, tutto complimenti e tutto sorrisi e tutto braccia in aria
e sospiri per i malanni finanziari che gli tocca da più di un terzo di secolo di essere
il quotidiano confessore, avrebbero immaginato che Bonaldo Stringher avesse
tanto muso duro! Auguriamo che, fino a quando sarà necessario e nei limiti che
gli sono consentiti dall'animo cortese, il governatore della Banca d'Italia continui
a fare la faccia feroce» (cfr. Einaudi, Dei metodi cit., p. 253).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 61
risentl anch'essa, in sostanza, degli squilibri provocati prima
dalla crisi di stabilizzazione, poi dalla depressione. Soprattutto
quattro voci di costo aumentarono sensibilmente in termini rea-
li: le spese di amministrazione, gli interessi passivi, le sofferen-
ze e gli ammortamenti. Gli interessi passivi risentivano dell'in-
cremento della remunerazione e dell'ammontare dei depositi 136 ;
le spese di amministrazione, le sofferenze e gli ammortamenti
rispecchiavano le avverse condizioni economiche di quegli anni
(incompleta flessibilità di molti costi, tra cui quelli salariali; per-
dite su crediti).
Ma le difficoltà economiche della Banca furono ancora più
gravi di quanto risulta dai conti economici ufficiali. La corrispon-
denza con il ministero del Tesoro mostra la serietà della situa-
zione: nel1928 si intavolò una dura trattativa per la ripartizione
tra la Banca e il Tesoro dei redditi delle riserve equiparate, che
acquisivano importanza determinante a causa della diminuzione
degli introiti derivanti dagli sconti e dalle anticipazioni 137 ; nel
19 31 e nel 1932 Mosconi fece rilevare che le sofferenze assorbi-
vano pressoché interamente i ricavi degli sconti e che gli utili di
esercizio denunciati in bilancio derivavano in buona parte da ar-
tifici contabili 138 ; per il1934 si formulò un preventivo di conto
136 Nel 1927 essi superarono le spese di amministrazione, costituendo in
quell'anno la principale partita passiva del conto economico.
137 In una lettera ad Azzolini (ancora direttore generale del Tesoro) del23
aprile 1928, Stringher accennava alle «condizioni di reddito della Banca [ ...],
straordinariamente ridotte, a cagione di un restringimento assai grave nelle ope-
razioni attive più importanti dell'Istituto; le quali non potranno ripigliare in sino
a quando non muteranno radicalmente le presenti condizioni generali del credi-
to» (in ASBI, Segretariato, cart. 468). In un'altra lettera, sempre ad Azzolini, del
giorno seguente (24 aprile 1928), Stringher respinse l'offerta di Volpi di limitare
a un quarto la parte della Banca sui nuovi redditi delle riserve equiparate, con
l'intesa che lo Stato sarebbe eventualmente intervenuto a integrarne il bilancio.
<<Essa screditerebbe la Banca d'Italia, la quale si vedrebbe ridotta a lumicino, e
sarebbe giudicata all'interno e all'estero, su l'orlo del fallimento, dirimpetto alla
favorevole reputazione onde essa gode presentemente». Dipendendo da even-
tuali integrazioni dello Stato, la Banca avrebbe avuto «un bilancio meschino,
sempre in attesa di favori del Tesoro, come fosse un Banco di Roma o un altro
qualsiasi Istituto assistito dalla grazia governativa» (in ASBI, Direttorio-Strin-
gher, cart. 27). In un appunto del 1934 si fa riferimento a un preventivo di conto
economico per il1928, da cui risultava che la Banca avrebbe chiuso il bilancio in
perdita se ad essa non si assegnava la metà dei redditi delle riserve equiparate (in
ASBI, Direttorio-Introna, cart. 7).
m Lettere del27 aprile 1931 (in ASBI, Troise Direttorio, cart. 2) e del13
aprile 1932 (pubblicata in Cotula e Spaventa [a cura di], La politica monetaria
62 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
economico, da cui risultava una perdita netta se i crediti verso
l'IRI e verso lo Stato per l'oro depositato a Londra fossero rimasti
infru ttiferi.
Pur senza sottovalutare l'elemento di strumentalità a volte
presente in questi scambi epistolari, in cui ciascuna delle due par-
ti cercava di ottenere un regolamento dei reciproci rapporti il più
possibile favorevole ai propri interessi, non sembra dubbio che le
difficoltà economiche della Banca fossero serie e reali. È del re-
sto comune l'osservazione che il sempre maggiore coinvolgimen-
to nei salvataggi bancari aveva finito per rendere ambigua la stes-
sa condizione patrimoniale della Banca: il suo bilancio presentava
un cospicuo ammontare di crediti verso soggetti insolventi, il cui
valore poggiava soltanto su un'indiretta garanzia statale.
I problemi della Banca s'inserivano, naturalmente, in un qua-
dro più generale di gravissime difficoltà dell'economia e del si-
stema bancario. Il loro interesse, ai fini del nostro studio, deriva
dal fatto che essi stimolarono il riesame della posizione della Ban-
ca nel sistema economico e dei suoi rapporti con le banche ordi-
narie: dando luogo a uno scontro di idee e di interessi, il cui esito
finale fu la riforma delle operazioni di sconto del1936.
4.2. La Banca d'Italia e il credito all'economia: la posizione di Strin-
gher e gli effetti della riforma monetaria de/1927-28
Prima di affrontare il dibattito dei primi anni Trenta sui rap-
porti tra la Banca d'Italia e le banche ordinarie nel credito all'e-
conomia, conviene soffermarsi con una qualche ampiezza sulla
posizione di Stringher. Si tratta di un argomento piuttosto com-
plesso, non privo di difficoltà interpretative; affrontandolo si po-
tranno però valutare meglio gli elementi di novità e quelli di con-
tinuità presenti nella posizione assunta dalla Banca negli anni
successivi, sotto Azzolini.
Abbiamo visto all'inizio di questo lavoro che la dottrina ca-
nonica in materia di operazioni di credito dell'istituto di emis-
sione era quella dello sconto di cambiali commerciali. In essa la
cit.). In entrambi i casi si afferma che all'utile di esercizio contribuiva l'utilizzo
di accantonamenti fatti negli anni precedenti; per il1931 si aggiungeva l'adde-
bitamento al Tesoro di parte delle perdite derivanti dalla svalutazione della ster-
lina, addebitamento che il Tesoro contestava.
C. O. Gelsomino Da istituto dì emissione a banca delle banche 63
distinzione fondamentale, che individuava le operazioni che po-
tevano legittimamente essere compiute a fronte dell'emissione di
biglietti, era basata non sulla natura della controparte (banca o
non banca), ma su quella dello strumento finanziario ceduto (car-
ta commerciale in contrapposizione alla carta finanziaria e di co-
modo, che nascondeva sovvenzioni dirette). Come si collocava
Stringher rispetto a questa dottrina? Prescindiamo qui da quelli
che egli riteneva fossero i condizionamenti della concreta situa-
zione italiana e gli adattamenti e i compromessi che essa impo-
neva rispetto alla norma ideale. La domanda riguarda invece que-
st'ultima: quale era il «modello» di istituto di emissione che
Stringher aveva in mente, con riferimento, beninteso, a questo
particolare aspetto?
Alcune sue affermazioni farebbero pensare che egli si diffe-
renziava da quella che abbiamo definito opinione canonica, ri-
tenendo che la Banca d'Italia dovesse basare la sua attività sui
rapporti con le banche ordinarie. Nel 1907, ad esempio, chie-
dendo un ampliamento dei limiti del risconto a tasso di favore,
egli scriveva che «ormai è riconosciuta la convenienza somma di
agevolare nella migliore maniera possibile le operazioni di sconto
compiute per il tramite di organi intermedi, perché solo in tal
modo potranno via via essere eliminate le operazioni di sconto
dirette, specie all'agricoltura e all'industria, riconducendo le
Banche di emissione alla funzione loro più propria» 139 • Venti an-
ni più tardi, intervenendo alla riunione annuale dell' Associazio-
ne bancaria, egli affermò: «Per evoluzione organica, l'Istituto di
emissione dovrebbe divenire, in realtà, la Banca delle Banche, e
spogliarsi a grado a grado delle operazioni dirette, le quali porta-
no, talvolta, a crediti meno liquidi, non ostante le più ben me-
ditate disposizioni degli Atti bancari» 140 •
Occorre tuttavia prestare attenzione al significato delle
espressioni che egli adopera, in particolare per quelle riguardanti
le operazioni dirette e il risconto. In una circolare del 7 giugno
1927, di pochi giorni successiva, quindi, al discorso alla riunione
dell' ABI, egli affermò:
139 Cfr. Note per una revisione delle vigenti leggi sugli istituti dì emissione, Ti-
pografia della Banca d'Italia, Roma 1907, p. 26, ripubblicate in Bonelli (a cura
di), op.cit., p. 219.
140 Riportato in «Rassegna bancaria», 1927, p. 379.
64 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Le nostre operazioni possono distinguersi, grosso modo, in due ca-
tegorie: l 0 quelle di vero e proprio risconto, le preferite per noi, quelle
alle quali soltanto l'Istituto di emissione dovrebbe applicarsi; e queste
comprendono il risconto alle banche e lo sconto di carta commerciale a
ditte industriali e a negozianti [ ... ] 2° quelle di sovvenzione alla agricol-
tura e alle industrie in genere, rappresentate, cioè, da fidi diretti. 141
Una distinzione simile, anche se non del tutto coincidente, è
fatta anche in una lettera al direttore della filiale di Bari del 14
gennaio 1924 142 • Confutando le argomentazioni del direttore, se-
condo cui il requisito delle due firme andava interpretato non
letteralmente ma solo nel senso che la cambiale avesse un grado
di garanzia tale da assicurare il buon esito dell'operazione, Strin-
gher precisò cosa dovesse intendersi per sconto di cambiali: l' ar-
ticolo 27 della legge sugli istituti di emissione,
dando facoltà di 'fare sconti', presuppone che la cambiale - ossia il rap-
porto di debito e di credito fra gli obbligati - preesista all'intervento
dell'Istituto di emissione, presuppone cioè che fra l'Istituto medesimo e
il cliente abbia luogo una vera e propria negoziazione di un credito cam-
biario. In pratica, non sempre le operazioni da noi compiute rispondono
rigidamente a questo requisito intrinseco, ma ciò nulla toglie al criterio
fondamentale cui si ispira la cennata disposizione di legge. Se [... ] fosse
consentito di preoccuparsi soltanto del grado di garanzia, sarebbe age-
vole concludere per l'ammissibilità di cambiali con una sola firma, ma in
tali casi non potrebbe certamente parlarsi di sconti, sibbene di prestiti
diretti sotto forma cambiaria, ciò che non è ammesso.
In sostanza, sembra di poter concludere che per Stringher la
distinzione fondamentale era tra l'acquisto di crediti preesistenti
esigibili a breve -le uniche vere operazioni di sconto, fossero o
meno effettuate con banche - e le sovvenzioni dirette, cioè i
prestiti, che avevano la forma ma non la sostanza.della cessione
di un credito cambiario già esistente; inoltre, per risconto egli
intendeva - almeno a volte - non il solo sconto di carta pre-
sentata dalle banche, ma anche quello di carta commerciale pre-
sentata da industriali e negozianti 1 4 3 •
141Numero unico n. 41.339 del 7 giugno 1927 (corsivo nostro).
142In ASBI, Sconti, cop. Sconti n. 272.
14 '
Gli stessi concetti ritornano in un documento del Servizio sconti del lu-
glio 1931, in cui si distingue tra lo sconto di carta commerciale, che «rappresenta
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 65
Naturalmente, Stringher sapeva bene che nella concreta si-
tuazione italiana era inevitabile andare al di là di questi limiti,
ancor più nei primi anni del dopoguerra. Nella medesima circo-
lare prima citata, del 7 giungo 1927, dopo aver fatto la distin-
zione tra risconto e operazioni dirette, egli afferma che a queste
«la nostra Banca, quantunque Istituto di emissione, non può an-
cora sottrarsi come sarebbe molto desiderabile», richiedendo che
esse abbiano almeno «il loro periodo di estinzione». Il criterio
con cui si individuava il confine delle operazioni ammissibili, nel
campo delle «sovvenzioni dirette», era quindi quello dell' elasti-
cità, in aggiunta, naturalmente, a quello della sicurezza 144 • In
particolare Stringher insisteva sulla indisponibilità a integrare
con il credito della Banca d'Italia le deficienze di capitale dei
richiedenti, dando luogo a finanziamenti di durata indefinita,
oltre che di notevole rischio 14 5.
N o n pare che la riforma monetaria abbia sostanzialmente mo-
dificato queste posizioni. Le dichiarazioni all'assemblea dell'As-
sociazione bancaria vanno lette insieme con le direttive impartite
una vera cessione di crediti esigibili», e le sovvenzioni dirette, che «sono veri
prestiti» (in ASBI, Direttorio-Azzolini, cart. 53; corsivo originale). Nel docu-
mento è presente anche la medesima ambiguità del termine risconto osservata in
preceden~a.
144 «E necessario affermare che tali operazioni [le sovvenzioni dirette] deb-
bono essere logicamente constrette in determinati limiti di tempo: non può ti-
conoscersi carattere di operazioni bancarie a quelle che non siano inquadrate nel
tempo. Si è fatto presente più volte, e si ripete, che tutte le industrie, compresa
quella agraria, hanno un proprio ciclo che comporta un periodo di bisogni e un
periodo di realizzi. I nostri impieghi debbono risentire di questi avvicendamenti
di bisogni e di realizzi. Invece noi vediamo una quantità di esposizioni, che dopo
un movimento di moderata flessione riprendono la via dell'aumento per tornare
alle cifre di prima; altre esposizioni stagnano, o quasi, con poco sensibili movi-
menti. Ne deriva, un tutto insieme abbastanza importante di partite che non si
estinguono mai. E questa fissità che va combattuta, perché nuoce alla mobilità
degli impieghi. [... ] Né vale lo affermare la sicurezza del rischio per dimostrare la
buona qualità del cliente: i clienti che restituiscono in parte per riprendere in un
secondo tempo non sono buoni clienti, ancorché solidi; buoni clienti sono quelli
che restituiscono in breve coi realizzi che devono infallantemente seguire ai bi-
sogni, per cagione dei quali essi avevano ricorso al credito».
145 In una lettera alle filiali del16 febbraio 1924, Stringher scriveva: «Tra i
rischi nei quali più che altrove è dato di riscontrare caratteri di pesantezza sono
da annoverare quelli industriali: forma di credito che non dovremmo coltivare, ma
che non possiamo evitare per molte e ovvie ragioni inerenti all'ordinamento del
nostro mercato creditizio. Peraltro conviene distinguere tra i cosiddetti finanzia-
menti, - ossia prestiti integratori di capitale insufficiente e perciò fissi - e le
somministrazioni temporanee di capitale circolante in corrispondenza dei bisogni
maggiori, determinati dal ciclo lavorativo. La seconda forma può andare per noi,
la prima nasconde pericoli, talvolta gravi» (in ASBI, Sconti, cop. Sconti n. 272).
66 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
nel medesimo torno di tempo alle filiali, da cui risulta chiara-
mente che l'ideale di Stringher era quello, classico, di una banca
di emissione dedita allo sconto di sola carta commerciale, indi-
pendentemente dalla natura della controparte. Naturalmente ciò
non significa che egli non auspicasse un ampio ricorso delle ban-
che al risconto, che avrebbe facilitato il compito della Banca d'I-
talia nella «distribuzione» del credito e le avrebbe permesso di
ridurre il peso delle «sovvenzioni dirette» (nel senso chiarito) 146 ;
ma sembra legittimo affermare che v'era una sostanziale conti-
nuità tra la sua posizione e quella che, come vedremo, fu assunta
da Azzolini qualche anno più tardi nella controversia sui limiti
alle operazioni della Banca.
Gli effetti della riforma monetaria sullo stato patrimoniale e
sul conto economico della Banca d'Italia spinsero però alcuni am-
bienti a mettere in discussione la sua struttura organizzativa e la
sua collocazione nell'economia. Se ne ha testimonianza dalla cor-
rispondenza tra Volpi e Stringher sulla sistemazione dei rapporti
economici tra Banca d'Italia e Tesoro. Volpi era infatti dell'idea
che la soluzione ai problemi economici della Banca andasse ri-
cercata in un drastico taglio della sua struttura periferica, basato
sull'abbandono delle operazioni con i privati e sulla sua trasfor-
146
Del resto, le operazioni con le banche non godevano necessariamente di
buona fama, soprattutto, per ovvi motivi, in periodi come i primi anni Venti.
Cabiati, ad esempio, riprendendo una vecchia posizione di Pantaleoni, osservava
che <de banche di deposito - e specialmente quelle italiane - riposano sul ri-
sconto che ottengono dagli istituti di emissione, il cui 'dipartimento bancario'
accetta volentieri la carta con la firma di una banca di credito ordinario, perché
ritiene che questa abbia già operato la selezione fra carta buona e cambiali di
comodo. In realtà, poi, le cose non vanno precisamente così, specialmente in
Italia, che è il paese classico degli interventi politici e del salvataggio universale».
Dopo aver citato Pantaleoni, che criticava il sistema del risconto perché pareg-
giava la carta buona con la carta cattiva, facendo passare entrambe per un inter-
mediario «che fa l'usura con la quota parte di capitale dell'istituto di emissione di
cui esso viene a disporre mediante il castelletto», Cabiati concludeva che <<Ìn
ultima analisi, le banche meno scrupolose hanno una tendenza irrefrenabile a
dividere il proprio portafoglio in due parti: quella buona, che tengono per sé, o
riscontano tra di loro, e quella cattiva, che tentano di scaricare sugli istituti di
emissione» (Cabiati, Sul concetto di immobilizzazione bancaria, cit., p. 405; la
citazione di Pantaleoni è tratta da La caduta della società generale di credito mo-
biliare italiano, in Studi storici di economia, Zanichelli, Bologna 1936, rrima edi-
zione in «Giornale degli Economisti» 1895, p. 277). L'argomento de peggiora-
mento della qualità della carta in caso di divieto delle operazioni con privati fu
avanzato in anni successivi dalla Banca d'Italia; cfr. parr. 4.4 e 5.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 67
mazione in banca delle banche 147 . La risposta di Stringher fu
abbastanza elusiva - anche se efficace per lo specifico conten-
zioso con il Tesoro: egli invocò le norme sul servizio di tesoreria
provinciale per escludere che quel taglio fosse possibile, senza
entrare nel merito della questione dell'abbandono delle opera-
zioni con i privati1 48 . Ma il problema era posto e le vicende della
grande depressione si incaricarono di mettere la sua soluzione
all'ordine del giorno.
4.3. La grande depressione e il cammino verso la riforma de/1936
Riferendosi ai primi anni di attività della Banca d'Italia e
commentando, in particolare, le pagine di Pantaleoni sulla crisi
della Banca generale e del Credito mobiliare, Menichella scrive:
Gli è che in quei tempi gli istituti di emissione erano rivali delle
banche nelle operazioni di sconto con i privati e queste tenevano celate
ad essi le loro operazioni temendone la conoscenza, sicché al momento
del bisogno l'intervento degli istituti di emissione doveva superare due
grossi ostacoli: l'ignoranza della situazione effettiva della banca che
chiedeva di essere salvata e ... la voluttà di vedere finalmente in ginoc-
chio il rivale che ogni giorno gli aveva strappato i migliori affari. Altro
motivo di meditazione questo sull'opportunità della disposizione fon-
damentale dell'attuale legge bancaria, sulla quale pure ogni tanto vi sono
ritorni di fiamma, secondo la quale l'Istituto di emissione è soltanto la
banca delle banche e non esercita lo sconto diretto. 149
147 Lettera a Stringher del l 0 maggio 1928: «Circa le previsione del bilancio
della Banca concordo con V.E. nel ritenere che le operazioni dell'Istituto, già
così assottigliate, possano, salvo avvenimenti che non prevediamo oggi, piuttosto
diminuire ulteriormente che svilupparsi. E le funzioni della Banca d'Italia diver-
rebbero prevalentemente, per Io meno per gran parte delle sue filiali, quelle di
pagatore dello Stato. Dato ciò, e tenuto conto del profondo mutamento avvenuto
in seguito alla stabilizzazione, io credo che la Banca d'Italia debba accelerare
quella sua trasformazione preconizzata da V. E. medesima in discorsi ed in scrit-
ti, diventando la banca delle banche, mettendosi sulla via di astenersi dai rap-
porti diretti con privati per operazioni, e restringendo il numero delle filiali, che
dovrebbero tendere a ridursi alle sole sedi nei capoluoghi di regione. Tale riforma
della struttura organica dell'Istituto porterebbe ad una radicale revisione delle
spese ed ad un alleggerimento notevolissimo del bilancio sì che la Banca non si
troverebbe più a dover far calcolo sui redditi temporanei delle riserve auree al-
l' estero per equilibrare il proprio bilancio» (pubblicata in Co tula e Spaventa [a
cura di], La politica monetaria cit.).
148 Ivi.
149 Menichella, op. cit., p. 182.
68 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
A questa «disposizione fondamentale» si pervenne attraverso
un processo tutt'altro che tranquillo e lineare. Essa scaturì da un
duro contrasto di idee e di interessi, che si protrasse per tutta la
prima metà degli anni Trenta.
Abbiamo visto che Volpi aveva sollevato il problema della
trasformazione della Banca d'Italia in banca delle banche - con
abbandono del credito ai privati - come rimedio alle sue non
transitorie difficoltà economiche. Il rilievo di Volpi non rimase
isolato, ma fu ripreso da parte ministeriale nel corso del conten-
zioso economico e politico tra Banca d'Italia e Tesoro che si svol-
se negli anni successivi. A un certo punto, esso si saldò con la
richiesta delle banche di allontanare l'istituto di emissione dal
mercato del credito, le cui dimensioni si erano fortemente con-
tratte a causa della depressione: fu probabilmente questa con-
vergenza a determinare l'esito della partita.
Tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta si
sviluppò tra Banca d'Italia e Tesoro un contenzioso economico
che raggiunse toni piuttosto aspri. Stringher e Volpi discussero,
come si è visto, sulla ripartizione dei redditi delle riserve equi-
parate, accordandosi infine per dividerli a metà 150 ; successiva-
mente (nel1932) si aprì la questione delle perdite provocate dalla
svalutazione della sterlina, a cui la Banca voleva far partecipare
anche il Tesoro 1 5 1 ; infine, nel1933 la Banca agì per ridurre gli
interessi sui depositi dello Stato, ritenendo il loro livello incom-
15° Con un accordo provvisorio, valido fino al 1930 (cfr. la relazione all' as-
semblea generale straordinaria dell8 giugno 1928, pp. 67-68). L'accordo fu poi
prorogato fino al1935 (BI, Adunanza per ill930, pp. 43-44). Da una lettera di
Volpi a Mussolini del 7 maggio 1928 risulta quanto fosse stata difficile la trat-
tativa: «In varie occasioni, al momento di concludere, S. E. Stringher minacciò
di rassegnare le proprie dimissioni, lasciando ad altri il duro compito di consa-
crare quello che, i suoi funzionari ed egli stesso, ritenevano fosse il danno della
Banca» (pubblicato in Cotula e Spaventa [a cura di), La politica monetaria cit.).
151 Nella relazione per il1931, premesso che in Francia e in Belgio erano
state concluse convenzioni tra governi e banche di emissione per evitare che il
danno derivante dalla svalutazione della sterlina gravasse esclusivamente sulle
banche, si annunciava che per l'Italia erano «stati avviati opportuni studi, tut-
t'ora in corso, per giungere ad una soddisfacente definizione dell'argomento» (p.
9). Nella,relazione per il 1932 si descriveva in questi terrnini la soluzione rag-
giunta: «E stato costituito uno speciale 'Fondo di ammortamento per le perdite
su sterline' coi profitti realizzati dalla vendita di altre divise, appartenenti alla
riserva equiparata, e con quote delle riserve dell'Istituto nazionale per i cambi
con l'estero [ ... ]. Mediante l'investimento di tali mezzi in titoli dello Stato si
prevede l'ammortamento delle perdite prima del 31 dicembre 1940» (p. 37).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 69
patibile con le condizioni del suo conto economico e con l' anda-
mento dei tassi di mercato.
Al contenzioso economico si aggiunse la contestazione, da
parte del Tesoro, della violazione delle prescrizioni di legge sulle
caratteristiche dei crediti concessi dalla Banca con le operazioni
di sconto. Il culmine di questa controversia fu raggiunto nei pri-
mi mesi del1932, con la lira ancora investita dalla crisi valutaria
seguita alla svalutazione della sterlina. Alla Banca si addebitava,
in sostanza, di non fare abbastanza per ridurre la circolazione,
neutralizzando la crescita dei finanziamenti concessi a sostegno
delle grandi banche con la contrazione dello stock degli altri cre-
diti. E le ragioni dell'insufficiente efficacia dell'azione restritti-
va della Banca erano individuate nella scarsa sicurezza e nell'i-
nadeguata mobilità dei suoi impieghi 1 5 2 • A queste accuse la Banca
rispose facendo rilevare l'entità della contrazione delle operazio-
ni diverse dalle speciali, compiuta nell'anno precedente, e chie-
dendo che fosse reintrodotto il tasso di sconto ridotto per le cam-
biali bancarie e commerciali di prim'ordine, allo scopo di miglio-
rare la qualità del suo portafoglio.
Quest'ultima richiesta corrispondeva ai risultati di un'analisi
tecnica compiuta all'interno della Banca. Da essa risultava che
l'istituto soffriva di un effetto, diremmo oggi, di selezione av-
versa: dovendo applicare un tasso d'interesse uniforme, troppo
152
II 13 aprile 1932 Mosconi, all'epoca ministro del Tesoro, inviò ad Az-
zolini una lunga lettera in cui muoveva un nutrito elenco di contestazioni (ben 17
punti). Le prime due riguardavano lo stato degli impieghi della Banca: la loro
«estrema pesantezza», dovuta non solo alla crisi, ma anche a un'insufficiente
selezione delle operazioni, molte delle quali erano fin dall'origine in contrasto
con il requisito della scadenza entro quattro mesi; la «impressionante entità delle
sofferenze», superiori all'intero utile degli sconti. Secondo Mosconi, la Banca
non aveva assorbito gli effetti sulla circolazione delle operazioni a sostegno della
Comit anche per l'insufficiente energia con cui aveva perseguito la politica di
ampliamento dei depositi: «Superiori ragioni ricollegantisi all'interesse generale
hanno costretto a mettere in essere una circolazione di biglietti per conto dell'I·
stituto di liquidazioni e per conto della Commerciale e della Sofindit. Codesta
Banca, che pur avrebbe dovuto avere il massimo interesse a riacquistare il con-
trollo di tale circolazione riassorbendone la maggiore quantità possibile, non ha
spiegato al riguardo quella pronta azione neutralizzatrice che le esigenze della
difesa della lira pur reclamavano, e solo dietro mio suggerimento e a seguito delle
ihsistenze di S. E. il Capo del Governo, si è indotta, sul principio del corrente
anno, a dare sviluppo ai conti correnti vincolati [...] dal febbraio ad oggi si è ben
lontani dall'aver raggiunto i 2 miliardi di depositi che S. E. il Capo del Governo
aveva manifestato il desiderio fossero raccolti» (pubblicata in Cotula e Spaventa
[a cura di], La politica monetaria cit.).
70 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
alto per la vera carta commerciale, finiva per avere un portafo-
glio in cui essa era quasi del tutto assente, tanto più che con la
depressione economica tale carta era divenuta ancora più scarsa
e più contesa dalle banche libere. Si proponeva quindi di tornare
all'applicazione di tassi differenziati, più bassi del tasso ufficiale
per lo sconto di carta veramente commerciale e più alti per le
operazioni dirette153.
La proposta di reintrodurre lo sconto a saggio ridotto non va
dunque interpretata come sintomo di un orientamento espansivo
(anche se si faceva notare che il suo accoglimento avrebbe pro-
dotto un «senso di sollievo e di risveglio sul mercato»): il suo
obiettivo principale non era l'ampliamento delle operazioni com-
plessive della Banca d'Italia, ma il miglioramento della loro qua-
lità, che si sarebbe ottenuto permettendole di partecipare alla
parte migliore del mercato 154 . A ciò si aggiungeva l'intento di
integrare il sistema bancario nelle zone in cui esso non era ab-
bastanza presente e di condizionarne l'attività esercitando una
funzione calmieratrice 155. In sostanza, Azzolini rimaneva legato
153 Cfr. il documento Appunti vari in materia di sconti anticipazioni e rapporti
coi corrispondenti, colloquio del 20 luglio 1931, direttore generale, v. direttore
generale, comm. Montelatici, in ASBI, Direttorio-Azzolini, cart. 53.
154 Nella lettera a Mosconi del 1° maggio 1932, in cui la proposta è per la
prima volta ufficializzata, si afferma che «il provvedimento [... ] non manchereb-
be di produrre un senso di sollievo e di risveglio sul mercato, e nello stesso tempo
metterebbe in grado l'Istituto di emissione di migliorare la composizione del suo
portafoglio, poiché ad esso sfugge senz'altro, ora, quel residuo di carta commer-
ciale che viene prodotta, a causa della concorrenza delle Banche ordinarie, le
quali concedono a quella carta condizioni assai favorevoli. La qual cosa risponde
a una giusta e naturale discriminazione, non potendosi trattare allo stesso modo
operazioni di differente natura» (pubblicata in Cotula e Spaventa [a cura di], La
politica monetaria cit.).
155 Nella lettera del6 luglio 1932, con cui risponde ai rilievi mossi da Mo-
sconi il precedente 13 aprile, Azzolini afferma: «La Banca d'Italia ha seguito le
tradizioni delle maggiori banche dalle quali trasse origine: la Banca Nazionale nel
Regno e la Banca Nazionale Toscana, le quali aiutarono sempre direttamente
l'agricoltura e anche un po' l'industria, compiendo una funzione quasi indispen-
sabile in talune provincie per la mancanza di organismi bancari. Per un complesso
di ragioni e per la grande crisi che imperversa, molte banche locali sorte di poi
sono andate scomparendo, tanto che in non poche provincie la Banca d'Italia è
rimasta quasi la sola cui gli elementi fattivi locali, segnatamente possidenti e
agricoltori, possano attingere un po' di credito per temporanei bisogni. Pertanto,
la Banca è rimasta fedele alla tradizione di aiutare in qualche modo l'agricoltura
e la possidenza e un po' anche l'industria, esercitando al tempo stesso una non
inutile funzione calmieratrice» (pubblicata in Cotula e Spaventa [a cura di], La
politica monetaria cit.).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle bancbe 71
al modello di un istituto di emissione che governava il mercato
del credito anche per la sua diretta partecipazione al finanzia-
mento dell'economia. Gli sviluppi successivi daranno torto a que-
sta impostazione; allora, però, si trattava di un'idea tutt'altro
che peregrina, se un economista del calibro di Schumpeter po-
teva scrivere, all'incirca nei medesimi anni, che «il pieno adem-
pimento alla funzione di banca delle banche, se non consentito,
viene certamente facilitato dal fatto di avere anche altri clienti
oltre alle banche [... ] la possibilità da parte della clientela di spo-
starsi verso la banca centrale può essere un ingranaggio essenzia-
le nella macchina di ogni attiva politica della banca centrale»156 .
La risposta di Mosconi mostra quanto ampio fosse ormai
divenuto il divario con l'orientamento del Tesoro. Egli non
escluse l'eventualità di reintrodurre il saggio di sconto ridotto,
in conformità anche con una richiesta dell'Associazione banca-
ria157; ma contestò l'efficacia del provvedimento e, soprattutto,
osservò che
essa, comunque, sarebbe sempre in connessione col fatto che l'attività
della Banca continui a svolgersi in concorrenza con gli istituti liberi.
Non par dubbio, invece, che la mèta verso la quale la Banca stessa do-
vrebbe orientare i propri sforzi debba essere quella di liberarsi gradual-
mente dalla necessità di agire in concorrenza con le altre aziende di cre-
dito, poiché tale liberazione, togliendola da quello stato di ibridismo in
cui ora si dibatte e riconducendola alla funzione pura di vera e propria
banca centrale, avrebbe per risultato immancabile, non solo di rendere
veramente liquido ed elastico il portafoglio dell'istituto, ma di dare a
questo la possibilità di esercitare con maggior prestigio su tutti gli altri
istituti di credito quella vigilanza che le leggi sulla tutela del risparmio
gli conferiscono. 158
156 J.A. Schumpeter, L'essenza della moneta, trad. it., Cassa di risparmio di
Torino, Torino 1990, p. 166.
157 Risulta dalla lettera che l'Associazione bancaria aveva chiesto un tasso
più basso di quello ufficiale per il solo risconto alle banche, «in attesa che le cir-
costanze consentano all'Istituto di emissione di limitare la propria funzione a quella
di banca delle banche» (corsivo originale).
158 Mosconi inoltre negò che «esistano zone nelle quali difettino talmente
organismi di credito o quelli esistenti esplichino una politica di saggi cosl esosa,
da rendere indispensabile l'intervento dell'Istituto di emissione sia per assicurare
il credito neç:essario sia per renderne, con azione calmierante, meno aspre le con-
dizioni [... ] E da ritenere, pertanto, che più che ad esigenze connesse alla distri-
buzione del credito nelle varie zone, la condotta della Banca ubbidisca alla ne-
cessità che molte sue filiali hanno di compiere comunque un lavoro che assicuri
72 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Nonostante che un documento dell'agosto 1932 affermi, a
proposito della richiesta di reintrodurre il saggio di sconto ridot-
to, di aver avuto notizia «che la cosa era in massima accolta e che
si sarebbe provveduto» 1 5 9 , di essa non si fece poi nulla. La que-
stione dei rapporti tra Banca d'Italia e banche ordinarie nel mer-
cato del credito fu però ripresa, di Il a poco, da parte bancaria.
Abbiamo visto che la lettera di Mosconi del luglio 1932 faceva
riferimento alla richiesta dell'Associazione bancaria di un saggio
ridotto per il risconto, in attesa che le circostanze permettessero
alla Banca d'Italia di limitare la sua attività a quella di banca
delle banche. Su questo tasto aveva spesso battuto la rivista del-
l' Associazione, soprattutto con gli articoli di Mario Mazzucchel-
li. La questione sembra però divenire molto più pressante e con-
creta nel biennio 1934-35. A ciò contribuirono probabilmente
diversi fattori: l'avvicinarsi del momento del riordino dell'intero
sistema creditizio, che metteva all'ordine del giorno problemi di-
battuti per anni e decenni; l'imperversare della depressione, che,
restringendo le occasioni di lavoro per l'intero sistema bancario,
acuiva l'attrito tra le sue componenti.
È difficile farsi un'idea precisa dell'importanza di quest'ul-
timo elemento. I dati disponibili mostrano che il rapporto tra gli
sconti della Banca d'Italia ai privati e il portafoglio del sistema
bancario era relativamente contenuto e decrescente (si scende
dal 7 per cento del1930 al3,6 per cento del1935). D'altra parte,
la questione va considerata, come si è prima osservato, nel qua-
dro delle gravi difficoltà che le banche italiane stavano attraver-
sando. È particolarmente significativo, da questo punto di vista,
un articolo di Mazzucchelli, pubblicato nel 1934 sulla «Riforma
sociale» 160 • Mazzucchelli aveva già altre volte affrontato il tema
dei rapporti tra istituto di emissione e banche ordinarie; ma sta-
volta la questione è posta in termini molto più netti ed espliciti
e le conclusioni sono molto più decise, a testimonianza del fatto
che il problema stava ormai maturando.
profitti tali da compensare almeno le spese del loro funzionamento» (lettera del
6luglio 1932, pubblicata in Cotula e Spaventa [a cura di], La politica monetaria
cit.).
159 Promemoria riservato del 27 agosto 1932, in ASBI, Direttorio-lntrona,
cart. 3.
16° Con il titolo Banche di emissione e banche libere (in tema di divagazioni
bancarie), pp. 43-50.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 73
Mazzucchelli sostiene che, anche a causa della crisi, gli isti-
tuti di emissione avevano intensificato la loro presenza nei tra-
dizionali campi di attività delle banche ordinarie 161 • Gli effetti
di questa tendenza erano aggravati dal fatto che la depressione
aveva ridotto il lavoro bancario, diminuendo volumi di attività e
margini di interesse, operazioni in cambi e operazioni sul mer-
cato finanziario. In queste condizioni, «la caccia alla carta com-
merciale, anche alla carta finanziaria ed a ogni operazione ban-
caria, è intensa, ma resta scarsa di risultati per le banche». Cosa
succedeva se anche gli istituti di emissione entravano in forze in
questa caccia agli impieghi?
L'entrare in azione, anzi in caccia talvolta vivacissima nel senso sud-
detto, degli istituti di emissione, restringe ancor più le disponibilità di
campo di lavoro delle banche libere, le spinge in vita grama, perturba
tutta quella attrezzatura bancaria che Alberto De' Stefani dichiarava per
l'Italia il 31 dicembre scorso «esuberante» e «circa tre o quattro volte
quella che era prima della guerra»[. .. ]. L'intervento diretto degli istituti
di emissione nel campo bancario libero si traduce in pratica in una con-
correnza addirittura debellatrice,
acuita dal fatto che essi hanno minori oneri di raccolta. Le loro
funzioni richiedevano che essi «si astengano nettamente dall'o-
perare direttamente colle ditte ed aziende private, che si ritirino
dal campo proprio delle banche libere e si concentrino seriamen-
te a fare la banca centrale, la banca cioè delle banche».
Non si vuole sopravvalutare l'importanza di questo interven-
to di Mazzucchelli, che peraltro non sfuggl all'attenzione di In-
trona, vicedirettore generale della Banca d'Italia 162 • Esso sembra
161
«Si è manifestata da alcun tempo la tendenza di istituti di emissione ad
entrare nelle funzioni di banche libere, e, laddove già si era,da alquanto tempo
entrati in dette funzioni, ad allargarle ed a intensificarle. E quella una fra le
molte 'innovazioni' cui ha dato vita, o quantomeno vigore, la crisi. Nel concetto
che le banche libere corrispondevano o meno bene od insufficientemente ai bi-
sogni dell'ora, istituti di emissione si sono dati a compiere, o, ripetesi, ad accre-
scere alquanto le operazioni bancarie dirette, quelle cioè fatte con la cosi detta
clientela privata. [...] Né lo sconto appare essere limitato alla carta commerciale
chiara e pura ma sembra si sia allargato ad accettare, quando non a sollecitare,
carta che di commerciale ha appena la forma, la evidente sostanza essendo fi-
nanziaria» (ivi, p. 47).
162
In un appunto autografo del febbraio 1934, dopo avere osservato che
«l'astensione dell'Istituto di emissione dalle operazioni bancarie dirette sul mer-
cato interno e su quello estero, dato l'attuale sistema di economia creditizia ita-
74 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
in contrasto con la riduzione delle operazioni con i privati mo-
strata dalle statistiche della Banca 163 ; non si può tuttavia esclu-
dere che questa, applicando la politica prospettata nel19 32, aves-
se cercato di modificare la composizione dei suoi impieghi
entrando nel settore del credito alla clientela di prim'ordine, da
cui in precedenza era quasi completamente uscita e che era ca-
ratterizzato da un'acuta concorrenza dal lato delle banche. Que-
sta evoluzione era favorita dall'andamento del differenziale fra
tasso di sconto e tassi di mercato: mentre nel biennio 19 30-31 il
tasso di sconto ufficiale medio era stato superiore al tasso di scon-
to privato di circa tre quarti di punto, nel triennio 1932-34 fu più
basso di circa 20 centesimi di punto. Sta di fatto, comunque, che
nel1935 la questione dell'introduzione di un divieto alle opera-
zioni della Banca d'Italia con i privati entrò nella fase opera-
tiva164: la corporazione del credito esaminò un progetto di mo-
zione in cui si chiedeva al governo l'adozione di provvedimenti
diretti a «orientare sempre più l'istituto di emissione verso le sue
altissime funzioni di massimo regolatore dell'attività creditizia
nazionale, con la progressiva riduzione di quelle forme d'opera-
zioni che lo pongono inevitabilmente in concorrenza con gli isti-
tuti di cui deve essere il controllore e moderatore». Azzolini, in-
formatone, scrisse a Mussolini (11 giugno 1935), affermando che
«quest'ultimo richiamo non trova rispondenza nella realtà dei
fatti ed appare in contradizione col compito di moderatore e re-
golatore del credito che giustamente si attribuisce alla Banca
Centrale» 165 . Il suo intervento riuscì a modificare il testo della
liana sarebbe un errore[ ... ]. L'intervento giova anche per addurre un necessario
elemento moderatore», e che, nel caso, molte cose dovrebbero essere riviste in
modo radicale, soprattutto la raccolta di depositi e l'emissione di assegni circo-
lari; conclude affermando che «è destituita di fondamento l'asserzione Mazzuc-
chelli nella 'Riforma sociale' del gennaio 1934 secondo la quale l'Istituto di emis-
sione dovrebbe abbandonare qualsiasi operazione di sconto coi terzi anche perché
non corrisponde interessi ai depositanti», tenuto conto di quelli corrisposti al
Tesoro (in ASBI, Direttorio-Introna, cart. 7). Sulla rilevanza degli articoli di
Mazzucchelli, cfr. anche L. Einaudi, Teoria e pratica, in «La Riforma sociale»,
1931, p. 510.
163 Cfr. l'Introduzione a Cotula e Spaventa (a cura di), La politica monetaria
cit.
164 Il divieto degli sconti ai privati è auspicato anche nell'articolo di L. Fe-
derici e A. Dini, L'ordinamento del credito nello Stato c01porativo, in «Rassegna
bancaria», 1934, pp. 712 sgg.
165 In ASBI, Direttorio-Introna, cart. 7.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 75
mozione, rendendolo più sfumato 166 ; ma era ormai una battaglia
di retroguardia, in cui la Banca appariva isolata e perdente 167 •
4.4. Il divieto degli sconti ai privati e l'evoluzione di lungo periodo
dei rapporti tra Banca d'Italia e sistema bancario
Le vicende descritte nel paragrafo precedente si svolsero sul-
lo sfondo di un travagliato processo di trasformazione del regime
monetario. Come si è visto, la seconda metà degli anni Venti era
stata l'epoca del «ritorno all'oro» per molti paesi europei, tra cui
l'Italia. Questa esperienza si esaurì nel giro di pochi anni: tra il
1931 e il1936 i maggiori paesi abbandonarono il sistema aureo,
entrando in un regime di «moneta manovrata».
Non per questo il tentativo di restaurare un sistema mone-
tario internazionale basato sull'oro fu privo di importanza. È no-
ta la tesi di Hawtrey sul nesso tra il modo in cui il ritorno all'oro
166 Il testo finale, nella parte riguardante l'istituto di emissione, chiede di
mantenerne «le operazioni di sconto con ditte e privati entro limiti che siano in
armonia con le accennate sue alte finalità». Cfr. «Rivista Bancaria», 1935, p.
540.
167 Del giugno 1935 è anche un documento interno della Banca (pubblicato
in Guarino e Toniolo [a cura di], La Banca d'Italia e il sistema bancario cit.), in cui
l'ipotesi del divieto delle operazioni con privati viene respinta con particolare
vigore. L'appunto è tutto pervaso dall'idea che la «regolazione del credito>> e la
«moderazione dei tassi d'interesse>> possano avvenite solo tramite la partecipa-
zione diretta della Banca al finanziamento dell'economia. A testimonianza del
disagio con cui furono accolti in settori della· Banca anche altri aspetti dei pro-
getti di riforma in discussione tra la fine del1935 e l'inizio del1936, si può citare
un appunto interno del febbraio 1936, in cui si critica la proposta di trasformare
la veste giuridica della Banca, abbandonando quella di società anonima per azio·
ni. In esso si torna anche sulla questione degli sconti ai privati, con espressioni
che peraltro mostrano la consapevolezza della difficoltà di contrastare la tenden-
za al divieto, ormai prevalente. Per la corretta interpretazione del significato dei
termini usati dalla Banca, è)nteressante il brano seguente, del tutto conforme a
quelli citati nel par. 4.2: «E esatto che l'Istituto di Emissione non debba fare
operazioni di sconto dirette, cioè coi debitori primi delle cambiali. E infatti esso
non ne fa, vietandolo già la legge bancaria vigente. Le operazioni medesime [... ]
non possono entrare a far parte del portafoglio dell'Istituto di Emissione, il quale
ha rapporti soltanto col giratario - commerciante, agricoltore o industriale -
che avendo bisogno di realizzare subito i propri crediti o di procurarsi mezzi
stagionali per intensificare il giro dei suoi affari, li cede all'Istituto di Emissione,
se ha i requisiti necessari per essere ammesso allo sconto, beneficiando del tenue
saggio ufficiale>> (in ASBI, Direttorio-Introna, cart. 7).
76 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
fu realizzato e l'avvio della grande depressione 168 ; tesi che, in
alcuni aspetti fondamentali, è stata ripresa anche di recente 169 .
Essa pare particolarmente attraente per chi osserva le vicende
italiane, perché si accorda con l'ostinato perseguimento di una
politica monetaria restrittiva e con la convinzione, a lungo pre-
valente, che la deflazione interna fosse la via maestra per la «li-
quidazione della crisi»l7o.
Esiste una relazione tra i rivolgimenti del regime monetario
che si susseguirono tra il 1927-28 e il 1934-36 e la decisione di
mutare la collocazione della Banca d'Italia nel credito all'econo-
mia? Il nesso appare solo indiretto. Il ripristino della convertibi-
lità della lira aveva certo acuito l'esigenza che la banca centrale
avesse un attivo molto liquido, facilmente contraibile in caso di
necessità, oltre che sicuro. Era però difficile sostenere, in piena
crisi bancaria, che questa esigenza potesse essere soddisfatta dal
risconto. Le grandi crisi del passato, come si è visto, avevano anzi
suscitato diffidenza verso questa operazione, a cui si imputava di
peggiorare la qualità del portafoglio dell'istituto di emissione 171 .
168 Per Hawtrey, la decisione di tornare al sistema aureo, assunta pressoché
contemporaneamente da molti paesi, e la limitata disponibilità del principale pos-
sessore di oro, gli Stati Uniti, a privarsene, avevano innescato alla fine degli anni
Venti una competizione internazionale per l'acquisizione di riserve, che aveva
dato alle politiche economiche un'intonazione restrittiva senza precedenti: i pae-
si aderenti al gold standard facevano a gara nel comprimere la domanda interna,
reagendo alle compressioni altrui per non rimanere con un eccesso di importa-
zioni. Cfr. Hawtrey, The Artcit., pp. 210-27, e Id., Trade Depression and the Way
Out, Longmans Green and Co., London 1933, pp. 47-68. Idee analoghe furono
espresse anche da Fisher (The debt-deflation theory of great depressions, in «Eco-
nometrica», 1933) e da Keynes (Trattato cit., v. II, p. 527).
169 Cfr. B. Eichengreen, Golden Fetters, Oxford University Press, New York-
Oxford 1992, pp. 390-94.
17° Cfr.l'Introduzione di Cotula e Spaventa a La politica monetaria cit. Tra i
principali economisti italiani prevalevano opinioni come quelle di Einaudi, che
riteneva non opportuna una politica di stabilizzazione del livello generale dei prez-
zi e pensava che politiche monetarie espansive avrebbero prolungato la depressio-
ne. Cfr. L. Einaudi, Il mio piano non è quello di Keynes, in «La Riforma sociale»,
1933, pp. 129 sgg., e Id., Debiti, in «La Riforma sociale», 1934, pp. 13 sgg.
171 Cfr. i lavori citati di Pantaleoni, per la crisi del Credito mobiliare, e di
Cabiati, che scriveva poco dopo la caduta della Banca italiana di sconto (par. 4.
2). Seguendo un ragionamento analogo, il già citato appunto interno della Banca
d'Italia del15 febbraio 1936 osservava: «Va considerato che le banche in genere,
propense a riversare sull'Istituto di Emissione il peso dei loro immobilizzi, sono
viceversa poco condiscendenti a cedere la carta commerciale come i fatti dimo-
strano in pieno; di guisa che, se privato della possibilità di giungere direttamente
alle fonti della produzione, l'Istituto di Emissione si troverebbe costretto nel-
l'attuale stato di cose, a possedere un portafoglio composto quasi esclusivamente
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 77
Anche un eventuale rapporto diretto con l'uscita dal sistema
aureo, realizzata tra il 1934 e il 1936, sembra piuttosto labile.
Non c'è dubbio che in molti paesi la sospensione della converti-
bilità della moneta si accompagnò all'abbandono di punti essen-
ziali della dottrina monetaria tradizionale. Abbiamo visto che
negli Stati Uniti i titoli di Stato furono ammessi a fare da con-
tropartita all'emissione dei biglietti dal1932 (e lo stesso accadde,
in sostanza, in Inghilterra, con il rendere normali le variazioni
della circolazione fiduciaria 172 ); tre anni dopo la nuova legge ban-
caria americana sancì il superamento della dottrina dei rea! bills
stabilendo che le banche della riserva federale potevano far cre-
dito a una banca ordinaria contro qualunque garanzia da esse
ritenuta soddisfacente. L'introduzione della nuova norma fu de-
terminata dalla scarsità di cambiali commerciali, che ostacolava il
perseguimento di una politica monetaria espansiva. Ma, come
osserva Bresciani Turroni, essa stabill un principio che
rappresenta quasi una rivoluzione delle idee tradizionali in materia di
relazioni tra banca centrale e banche private, poiché ammette che tutte
le attività di una banca, purché siano sane, possano servire di base per
i prestiti dati dalla Banca federale. Anche in questo caso all'antica regola
quasi automatica era sostituito un giudizio discrezionale da parte della
banca di emissione. 173
Pure in Italia il ripudio dell'oro alla metà degli anni Trenta si
associò al ribaltamento di aspetti importanti della dottrina mo-
netaria ortodossa. Ma ciò avvenne soprattutto nel campo dei fi-
di partite incagliate, come quelle delle grandi banche e dell'IRI, mentre speciale
caratteristica dell'Istituto di Emissione dovrebbe essere la liquidità dei suoi im-
pieghi, per la doverosa tutela e garanzia del biglietto» (in ASBI, Direttorio-In-
trana, cart. 7).
172 Cfr. D.H. Robertson, Britisb monetary policy, in Essays in Monetary
Tbeory, Staples Press Limited, London 1940. Secondo Robertson il sistema mo-
netario inglese, pur mantenendo esteriormente le forme tradizionali, era stato
rivoluzionato da tre principali fattori: l'istituzione del Fondo di conguaglio mo-
netario, che aveva isolato la circolazione monetaria interna dalle influenze inter-
nazionali; l'uso della facoltà di variare la circolazione fiduciaria in una maniera
diversa da quella originariamente prevista; il formale riconoscimento della varia-
bilità del prezzo dell'oro (p. 154). In pratica, anche in Inghilterra i titoli pubblici
erano stati ammessi a tutti gli effetti a fare da contropartita alla creazione dei
biglietti; l'oro era stato spodestato dalla funzione di àncora monetaria dal Cur-
rency and Bank Notes Act del 1939, il quale aveva stabilito che le riserve auree
dell'issuing department fossero rivalutate settimanalmente al prezzo di mercato.
173 Bresciani Turroni, op.cit., p. 152.
78 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
nanziamenti dell'istituto di emissione al Tesoro, per i quali si
abolì ogni limite di legge con un decreto del31 dicembre 1936 174 •
Per le operazioni di credito, il punto essenziale sembra essere un
altro: la crescente importanza relativa del sistema bancario ren-
deva sempre meno proponibile l'idea tradizionale che l'istituto
di emissione potesse «regolare il credito» attraverso la sua par-
tecipazione diretta al finanziamento dell'economia.
Abbiamo già visto che le operazioni della Banca d'Italia con
i privati rappresentavano, nei primi anni Trenta, una quota ra-
pidamente decrescente del credito bancario. Lo stesso processo
di veloce contrazione si verificò anche per il rapporto tra il cir-
colante e i depositi bancari. Esso aveva subito profonde altera-
zioni nel corso della guerra e dei primi anni del dopoguerra: da
una media del28 per cento nei tre anni precedenti all'inizio del
conflitto mondiale si era passati a un massimo del 64 per cento
nel 1918, per scendere poi rapidamente a partire dal 1922. Il
processo però non si arrestò ai livelli dell'anteguerra; questi ven-
nero raggiunti durante la fase della ripresa e della stabilizzazione
del valore della lira (1926-27) e rapidamente superati, verso il
basso, negli anni successivi (22 per cento nel triennio 1928-30;
18 per cento nei quattro anni dal1931 al1934).
Economisti e banchieri italiani avevano sempre conosciuto la
situazione inglese e americana, in cui i depositi bancari utilizza-
bili con assegni erano da tempo considerati parte dello stock di
moneta 175 • Avevano però ritenuto che l'Italia fosse sotto questo
profilo diversa, per la scarsa diffusione dell'uso degli assegnil 76 •
Ora, questa convinzione non venne meno nel corso degli anni
Trenta; tuttavia, la crescente diminuzione delle dimensioni re-
lative della banca di emissione, insieme con l'influenza culturale
degli economisti inglesi e americani, spingeva a considerare con
maggiore attenzione l'attività del sistema bancario, anche per i
suoi riflessi macroeconomici e monetari 177 • Insomma, anche da
t74 Cfr. Gelsomino, op. cit.
175 Cfr. ad esempio Fanno, Le banche cit., pp. 122-23; Cabiati, Sul concetto
di immobilizzazione bancaria, cit., pp. 398-99.
176 Cfr. G. Del Vecchio, Problemi tecnici di moneta e banca, 1923, in Cro-
nache cit., pp. 326-27.
177 Se ne ha dimostrazione dalle stesse relazioni della Banca d'Italia. Esse
cominciarono a occuparsi sistematicamente del sistema bancario a partire da quel-
la per il 1926, a seguito dell'attribuzione alla Banca di compiti di vigilanza; so-
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 79
noi l'influenza della banca centrale tendeva a divenire soprattut-
to indiretta, a svolgersi attraverso il sistema bancario più che a
lato di esso.
A ciò si aggiunse la tendenza - irresistibile verso la metà
degli anni Trenta - a trasformare la Banca in un ente formal-
mente sovraordinato al sistema bancario. Su di essa non influì
solo l'esercizio delle funzioni di vigilanza, che la legge del1936,
del resto, attribuì istituzionalmente non alla Banca ma a un or-
gano dello Stato, l'Ispettorato del credito. Nel clima dirigistico
che si affermò in quel torno di anni (e di cui la «controriforma»
monetaria del1934-36 fu parte non secondaria), la Banca venne
a essere concepita come una sorta di braccio operativo dello Sta-
to in campo monetario e finanziario; quindi, come un ente col-
locato al di sopra del sistema bancario e che perciò non poteva
operare sul suo stesso piano.
Il contrasto tra Banca d'Italia, Tesoro e sistema bancario, che
si è descritto nel paragrafo precedente, non fece altro che far
precipitare una tendenza di fondo operante indipendentemente
da esso. Esso serve essenzialmente a spiegare perché da noi si
arrivò a un divieto formale degli sconti della banca centrale ai
privati, invece che a un'atrofia graduale e spontanea della fun-
zione, come è accaduto in altri paesi e in Italia stessa con riguar-
do alle anticipazioni.
5. Epilogo: i provvedimenti del1936 e gli ultimi tentativi di ripri-
stinare gli sconti ai privati
Il divieto degli sconti ai privati, stabilito dall'art. 23 della
legge bancaria del 19 36 178 , non fu l'unico provvedimento sulle
operazioni di credito della Banca d'Italia adottato in quell'anno.
Occorre ricordare almeno altre tre decisioni di un certo rilievo:
prattutto dalla metà degli anni Trenta si manifestò una crescente attenzione an-
che per i riflessi monetari dell'attività delle banche.
178 R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375. L'art. 23 prevedeva che le operazioni con
clientela privata in essere alla data di entrata in vigore del divieto fossero gra-
dualmente estinte. In base all'art. 99, inoltre, «durante un periodo non superiore
a tre anni, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la Banca
d'Italia potrà essere eccezionalmente autorizzata, con deliberazione del Consi-
glio dei Ministri, ad operazioni di sconto per provvedere a bisogni straordinari di
determinati settori dell'attività produttiva».
80 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
il mantenimento della facoltà di compiere anticipazioni anche
con privati; la modifica delle competenze del governatore in ma-
teria di variazione dei tassi ufficiali; l'avvio del finanziamento
degli ammassi obbligatori.
Per quanto riguarda le anticipazioni, l'ultimo comma del ci-
tato art. 23 dispose espressamente che «le operazioni di antici-
pazioni su titoli continueranno ad essere compiute in conformità
delle leggi vigenti anche nei confronti dei privati». Le anticipa-
zioni furono trattate diversamente dagli sconti a causa del lega-
me che le univa al mercato dei titoli di Stato, su cui ci siamo
soffermati nel paragrafo 3.5 179 • Dalla metà degli anni Trenta la
questione del finanziamento del disavanzo statale era tornata al
centro dell'attenzione, rendendo improponibili misure che anche
indirettamente ostacolassero il collocamento di titoli pubblici.
La modifica dei poteri del governatore in materia di varia-
zione dei tassi ufficiali ebbe valore soprattutto simbolico. Fino a
quel momento, il potere di variare i tassi ufficiali era sempre sta-
to, formalmente, di pertinenza della Banca (prima del Consiglio
superiore, poi, dal 1928, del governatore), anche se la legge ne
sottoponeva l'esercizio all'autorizzazione del ministro del Teso-
ro, prevedendo altresì che questi potesse promuovere le variazio-
ni180. In sostanza, i tassi ufficiali cambiavano attraverso un prov-
179 In questo senso cfr. anche le risposte al questionario sull'istituto di emis-
sione della Commissione economica del ministero per la Costituente. L'Associa-
zione bancaria, in particolare, espresse l'avviso che <<la facoltà della banca di
emissione di fare anticipazioni ai privati può essere mantenuta, in quanto rispon-
de ad una funzione essenziale per l'andamento del mercato dei titoli di Stato, che
è integrata e non sostituibile da quella svolta nella stessa forma dalle aziende di
credito ordinario» (Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione eco-
nomica presentato all'Assemblea Costituente, N, Credito eassiwrazioni, II, Appen-
dice alla relazione, Istituto poligrafico dello Stato, Roma 1946, p. 332).
180 La giustificazione originaria dell'autorizzazione del ministro, prevista per
la prima volta dal R.D. l 0 maggio 1866, n. 2873, risiedeva nel corso legale dei
biglietti: poiché lo Stato obbligava i cittadini ad accettarli, non poteva disinte-
ressarsi della politica degli istituti di emissione, da cui la creazione dei biglietti
dipendeva. n testo unico del1910 stabiliva ancora che l'autorizzazione ministe-
riale era necessaria «durante il corso legale dei biglietti» (artt. 28 e 30). Il potere
di promuovere le variazioni era stato introdotto dal R. D. 10 dicembre 1894,
emanato su iniziativa di Sonnino. Esso non implicava però, di per sé, un'avoca-
zione al ministro del potere di determinazione dei tassi ufficiali: nell'agosto 1898,
ad esempio, il ministro del Tesoro, Vacchelli, promosse una deliberazione della
Banca per la riduzione della ragione normale dello sconto; ma il Consiglio supe-
riore non aderl alla richiesta (cfr. il verbale della seduta del 22 agosto 1898,
pubblicato in Bonelli [a cura di], op.cit., pp. 537-41).
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 81
vedimento congiunto, a cui dovevano concorrere tanto la volon-
tà della Banca quanto quella del ministro. Tale situazione non
mutò con la riforma statutaria del 1936; tuttavia, l'aver degra-
dato il potere del governatore alla mera proposta delle variazioni
dei tassi di sconto e di interesse non era un fatto del tutto privo
di significato. Esso era coerente con la riforma politico-istituzio-
nale di quegli anni, diretta a trasformare la Banca nel principale
strumento per la realizzazione del cosiddetto «governo del cre-
dito»: i suoi poteri formali di indirizzo e di controllo del sistema
bancario erano rafforzati nel momento stesso in cui veniva ri-
dotta la sua autonomia verso lo Stato.
L'introduzione degli ammassi obbligatori del grano 181 , infi-
ne, creò un meccanismo destinato ad avere a lungo, negli anni
successivi, importanza preponderante tra le operazioni di credito
della Banca d'Italia.
Nonostante quanto si afferma nella relazione letta il31 mar-
zo del1936 182 , la proibizione degli sconti ai privati fu accolta in
modo tutt'altro che favorevole all'interno della Banca. Vennero
tenute riunioni con i direttori delle filiali, ai quali fu chiesta una
valutazione dell'impatto della nuova norma sui mercati locali e
sull'attività delle stesse filiali. Quasi tutte le risposte furono im-
prontate a un marcato pessimismo 18 >, specie per le conseguenze
181 Gli ammassi per la vendita collettiva del grano cominciarono a svilup-
parsi nelle campagne commerciali dal1931-32 al1933-34; dalla campagna 1935-
36 cominciò la loro disciplina legislativa (RR.DD.LL. 24 giugno 1935, n. 1049,
e 16 marzo 1936, n. 392) e fu introdotta l'obbligatorietà del conferimento. Suc-
cessivi provvedimenti di legge (RR.DD.LL. 14 aprile 1936, n. 748, e 15 giugno
1936, n. 1273) completarono la disciplina del mercato granario, prevedendo per
gli enti ammassatori la facoltà di cedere in garanzia a terzi il grano ammassato al
fine di procurarsi i mezzi per anticipi a favore dei conferenti (cfr. Banca d'Italia
L'economia italiana nel sessetmio 1931-1936, Istituto poligrafico dello Stato, Ro-
ma 1938, vol. I, parte seconda, pp. 334-39). Per la normativa interna della Banca
d'Italia in materia di ammassi, cfr. le circolari del30 giugno, l 0 , 12 e 13 agosto
1936.
182 «Con l'attuazione della riforma, al sommo dell'ordinamento del credito
sta l'Istituto di emissione quale 'banca delle banche': si compie, così, l'evoluzione
che già era negli intenti del mio eminente e compianto predecessore Bonaldo
Stringher, evoluzione alla quale, d'altra parte, hanno costantemente teso le di-
rettive da noi seguite. Ne è riprova il fatto che attualmente le operazioni dirette
di sconto non oltrepassano la cifra relativamente modesta di 600 milioni» (BI,
Adunanza per il1936, p. 51).
183 Cfr. i documenti conservati in ASBI, Sconti, cart. 569. Fece eccezione il
direttore di Arezzo, il quale affermò di avere appreso la notizia del provvedi-
mento con un «senso di indicibile compiacimento», ritenendo che esso arrecava
82 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
sui bilanci delle sedi locali 184 • N eanche all'esterno della Banca,
del resto, le accoglienze furono tutte favorevoli, tenuto conto
della cautela con cui le osservazioni critiche venivano solitamen-
te espresse 18 5.
La questione sembrò comunque sgonfiarsi negli anni succes-
sivi. Tranne che nel 19 3 7, fino alla fine della guerra il rifinan-
ziamento svolse un ruolo del tutto secondario nella creazione di
circolante, soppiantato dai crediti sul Tesoro 186 • Divenne quasi
un luogo comune osservare che subito dopo l'approvazione della
legge che doveva trasformarla nella banca delle banche, la Banca
d'Italia era in realtà divenuta la banca del Tesoro 187 • Non per
«ali' azione dei Dirigenti delle Filiali, una super-valorizzazione e, oso dire, una
super-moralizzazione». La lettera reca a margine annotazioni piuttosto sarcasti-
che, probabilmente di Introna.
184 Circa le proposte dei direttori, cfr. l'appunto di Introna del 24 marzo
1936, in ASBI, Sconti, cart. 569: «La maggior parte dei Direttori chiede: l 0 che
il risconto da parte delle aziende di credito a noi sia obbligatorio 2° che le azien-
de di credito non possano riscontare ad altri che non sia l'Istituto di emissione 3°
che i risconti ai grandi Istituti si facciano nei luoghi ove si produce la carta>>.
Introna osservava che «non è possibile ottenere quanto al n. l; viceversa si do-
vrebbe ottenere quanto al n. 2, ma la cosa non sarà facile. Il desiderio esposto al
n. 3 potrà essere esaminato in sede statutaria e dovrebbe essere appog~iato sen-
z'altro. Ma questo, ai fini del bilancio generale, non recherebbe un miglioramen-
to quantitativo trattandosi di semplici spostamenti di utili>>. Egli concludeva af-
fermando, tra l'altro, «che le eliminazioni dopo il 30/6 debbono essere gradua-
lissime e che la parte eliminata se realmente buona bisogna cercare di averla ugual-
mente attraverso qualche azienda locale prendendo accordi prudenti».
185 Cfr. ad esempio l'articolo di Mario Alberti su «Il Sole>> del 28 marzo
1936, intitolato La riforma bancaria e le funzioni della Banca d'emissione: «Perché
il Governatore della Banca d'Italia possa adempiere nel modo migliore al suo
compito di ardua responsabilità, bisogna che egli, oltreché il comando di tutte le
leve creditizie e monetarie, tenga nelle sue mani sagaci lo strumento vivo del
contatto bancario con l'economia. La Banca d'Italia deve diventare un organo
bancariamente sempre più agile e sensibile. Perciò, provvidamente, l'articolo 23
stabilisce che la Banca d'Italia, oltre che Banca delle Banche, continuerà altresì
a compiere per i privati le operazioni di anticipazioni su titoli. [...] Non basta.
Con molto lodevole cautela, mentre annuncia la finalità tendenziale di Banca
delle Banche per l'Istituto di emissione, il Decreto-Legge ne gradua e ne rimand,!l
la attuazione concreta, anche !Jer quanto specificamente riguarda lo sconto. E
necessario, infatti, esaminare alla luce dell'esperienza, la opportunità che la Ban-
ca d'Italia limiti in parte, abbandoni del tutto, oppure eserciti in una determinata
misura l'attività di sconto>>, tenendo conto della possibilità di situazioni in cui
l'offerta di credito bancario è insufficiente, per l'eventuale determinarsi di una
«mentalità, pur onorevolissima, da Cassa di Risparmio>>. Il ritaglio è anch'esso in
ASBI, Sconti, cart. 569.
186 Cfr. Gelsomino, op. cìt.
187 Cfr. G. Parravicini, L'ordinamento bancario e l'attività creditizia, Rizzoli,
Milano-Roma 1947, p. 36; Ministero per la Costituente, Rapporto cit., pp. 54-60.
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 83
questo si spense del tutto, in ambienti dell'istituto, la speranza di
abolire il divieto degli sconti ai privati, ritornando alla situazione
precedente al1936. Chi mostrò maggiore perseveranza in questo
tentativo fu Niccolò Introna, vicedirettore generale della Banca
dal1928 al1944, poi commissario fino all'inizio del1945, infine
direttore generale fino all'aprile del1946. È dell'estate 1944 un
organico documento sul «settore del credito», in cui vennero d-
proposti tutti i tradizionali argomenti a favore del mantenimento
delle operazioni dirette della Banca d'Italia con i privati e venne
richiesto «che alla Banca d'Italia per ragioni di prestigio, di op-
portunità, e di interesse generale, venga ridata la facoltà di poter
scontare alla clientela privata» 188 •
La stessa posizione venne mantenuta nelle risposte date da
Introna (e dal capo del Servizio vigilanza della Banca d'Italia,
188 Gli argomenti addotti nel documento sono sostanzialmente quattro. Il
primo è di tipo informativo: con la norma del1936, «i poteri della Banca d'Italia,
in funzione di regolatrice del credito, ne uscirono ridotti in quanto essa è stata
privata di uno dei fattori più efficaci per la immediata e diretta conoscenza della
attività economica nazionale e delle condizioni e necessità finanziarie del mer-
cato. [...] I rapporti di affari limitati alle aziende di credito non richiedono il
contatto diretto con le fonti della produzione e degli scambi; soltanto lo sconto
a società, ditte e privati fa sorgere la necessità della vicinanza quotidiana, im-
mediata con la clientela della quale, quindi, si riesce a conoscere i bisogni, le
possibilità, gli eccessi, ricavando cosl, dalle origini, quegli elementi di studio e di
giudizio che, armonizzati con quelli più generali, consentono, attraverso ad una
visione completa delle cose, di poter dare un indirizzo sano ed equilibrato alle
correnti del credito, correggendone le eventuali deviazioni». Il secondo argomen-
to riguarda l'esigenza della continuità delle operazioni di sconto, che le aziende
di credito non possono garantire. Il terzo tocca la qualità della carta presentata al
risconto: all'istituto di emissione si ricorre spesso dopo avere esaurito le possi·
bilità di finanziamento sul mercato, con la conseguenza che esso «deve assogget-
tarsi ad accogliere quel residuo di carta meno gradito che la Banca presenta dopo
çhe essa si è in precedenza sprovvista presso altri Istituti di quella più efficiente.
E dimostrato dai fatti che non è possibile all'Istituto di emissione di crearsi una
forte massa di impieghi cambiari anche di solo risconto, che abbia le migliori
caratteristiche di sicurezza e di varietà. Ne consegue che, mentre la circolazione
monetaria deve essere presidiata oltre che dalle riserve da operazioni attive di
assoluto riposo, con l'abbandono dello sconto diretto, all'Istituto di emissione
viene a mancare un elemento di garanzia rappresentato appunto, fra l'altro, dalla
diversa natura degli impieghi che con i diretti rapporti con la clientela privata
potevano spaziare nel campo commerciale, agricolo, industriale con libertà di
scelta e assoluta facoltà di vaglio». Infine, «circa l'opportunità che la Banca d'I-
talia sconti direttamente, si possono anche portare ragioni di interesse generale
data l'opera calmieratrice che essa esercita sul mercato, senza alcun carattere di
concorrenza per le altre Banche. Infatti l'Istituto di emissione rifugge da qual-
siasi forma di allettamento ed è inoltre legato al saggio ufficiale e all'osservanza
di precise modalità» (ASBI, Direttorio-Introna, cart. 11).
84 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Paolo Ambrogio) ai questionari della Commissione economica
del ministero per la Costituente 189 • L'indagine della Commissio-
ne costitul l'occasione per un riesame organico della questione
degli sconti della Banca ai privati. Il quesito sull'opportunità di
mantenere il divieto fu inserito in due questionari, riguardanti
l'istituto di emissione e la «direzione del credito e vigilanza sulle
aziende di credito»; ad esso si fece inoltre riferimento in molti
degli «interrogatori» di studiosi e di personalità dell'economia e
della finanza. La maggioranza degli interpellati si pronunciò per
il mantenimento del divieto; non mancò però chi sostenne l'op-
portunità del ripristino degli sconti diretti o tenne una posizione
problematica 190 • Ma la parte forse più interessante del lavoro del-
la Commissione è nella sua relazione, che dedica un apposito pa-
ragrafo all'argomento degli sconti ai privati. Essa non concluse
per la conservazione pura e semplice del divieto: pur concordan-
do, in linea di principio, sull'opportunità di limitare l'attività del-
la banca centrale ai rapporti con le sole banche, la Commissione
riteneva che nelle effettive condizioni italiane, caratterizzate dal-
la presenza del cartello bancario e da notevoli difficoltà di con-
trollo monetario, occorresse mantenere una certa flessibilità, de-
rogando dal divieto tutte le volte che le condizioni del mercato lo
richiedevano 1 9 1 •
18
9 Cfr. Ministero per la Costituente, Rapporto cit., pp. 333 e 345.
190 Oltre a Introna e Ambrogio, si pronunciò per l'abolizione del divieto
Mario Mazzantini, almeno nell'ipotesi di una vigilanza indipendente dalla Banca
d'Italia (ivi, p. 164). Tra coloro che tennero una posizione problematica si pos-
sono citare Coppola D'Anna e Alessandro Baccaglini, ex direttore generale del-
l'Ispettorato del credito (ivi, pp. 73 e 20-21): per essi lo sconto diretto era effi-
cace a fini di controllo monetario, ma contrastava con l'esercizio delle funzioni di
vigilanza. L'interrogatorio di Baccaglini è interessante sia per quanto afferma
sulla genesi del divieto («Non ho assistito alla genesi, alla gestazione della legge.
Ma credo che l'esclusione dello sconto diretto sia stata una cosa su cui le banche
insistevano indipendentemente dal problema della vigilanza, per una ragione di
interesse. Credo che le banche abbiano insistito per eliminare la concorrenza
della Banca d'Italia», ivi, p. 20), sia perché esso mostra una divergenza di opi-
nioni all'interno della Commissione: Di Nardi sembra più sensibile alle ragioni di
chi chiede il ritorno agli sconti diretti, mentre Caivano e, soprattutto, Papi ap-
paiono contrari.
191 Secondo la relazione, il divieto può essere applicato a due condizioni: «l 0
la concorrenza fra le banche ordinarie deve essere abbastanza attiva, tale cioè
che, nell'assenza della banca centrale dalla diretta competizione sul mercato dei
prestiti, il saggio libero dello sconto non sia tenuto artificialmente elevato; 2°
l'astensione della banca centrale dall'operare direttamente con la clientela pri-
vata non deve risultare di ostacolo al controllo del mercato monetario da parte
C. O. Gelsomino Da istituto di emissione a banca delle banche 85
La proposta non ebbe però seguito. L'avvento di Menichella
alla guida della Banca d'Italia segnò probabilmente1 9 2 l'abban-
dono definitivo di ogni disegno di restaurazione, anche tempo-
ranea, della situazione precedente al 1936. La trasformazione
dell'istituto di emissione nella banca delle banche era ormai un
fatto irreversibile.
della stessa banca» (p. 66). Nessuna di queste due condizioni è pienamente ri-
spettata in Italia; in particolare, la presenza del cartello bancario può essere di
ostacolo nelle fasi di politica monetaria espansiva, in cui «la banca centrale ri-
bassa il saggio dello sconto, ma le banche ordinarie possono non uniformarsi a
questo indirizzo, volgendo a profitto proprio il minor costo del credito attinto
all'istituto di emissione. Il cartello offre questa possibilità e la banca centrale, che
non può fare operazioni dirette con la clientela privata, non ha modo di rompere
il cartello» (p. 69). Per questo motivo, come mostrano anche esempi stranieri, in
periodi di reflazione «il cartello dei saggi attivi dovrebbe essere abolito e nel caso
si osservi che le banche continuino ad essere legate da accordi privati e segreti,
non si potrebbe fare a meno di autorizzare la banca di etnissione ad operare
direttarn..ente sul mercato dei prestiti, in concorrenza con le banche commerciali»
(p. 70). E anche interessante la giustificazione teorica del divieto degli sconti ai
privati, che si fa discendere dall'esigenza di econotnizzare riserve, ottenendo,
con un dato ammontare di esse, il massimo sviluppo del credito. Si fa anche
riferimento al fatto che in Italia, dopo l'emanazione della legge del 1926 sulla
vigilanza bancaria, le banche avevano lamentato l'incompatibilità tra gli sconti
diretti e l'esercizio di funzioni di vigilanza da parte dell'istituto di etnissione. Si
osserva comunque, a proposito delle deroghe al divieto che si propone di con-
sentire, che «qualora l'incompatibilità emergesse in forme clamorose, si dovrebbe
correggerla avendo presente che la funzione essenziale dell'istituto di etnissione
è di regolare il mercato monetario e non quella di organo ispettivo per il controllo
dell'osservanza della legge da parte delle banche» (p. 70).
192
Nella conferenza di Passo della Mendola, tenuta nel 1954, Menichella
accennò a qualche «ritorno di fiamma» che ogni tanto si verificava sulla questione
degli sconti ai privati. Non si hanno elementi per stabilire a cosa si riferisse.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
M. Alberti, Capitali esteri, circolazione e cambi, in «Rivista bancaria»,
1927.
M. Alberti, La riforma bancaria e le funzioni della Banca d'emissione, in
«Il Sole», 28 marzo 1936.
D. Angeli, L 'andamento dei grandi istituti di credito liberi in Italia, in «Ri-
vista bancaria», 1925.
Banca d'Italia, L 'economia italiana nel sessennio 1931-1936, Istituto po-
ligrafico dello Stato, Roma 1938.
F. Bonelli (a cura di), La Banca d'Italia da/1894 al1913. Momenti della
formazione di una banca centrale, «Collana storica della Banca d'Ita-
lia», Laterza, Roma-Bari 1991.
K. Borchardt, Economia e finanza, in Economia e finanza in Germania
1876-1948, a cura della Deutsche Bundesbank, Cariplo-Laterza, Ro-
ma-Bari 1988.
C. Bresciani Turroni, Corso di economia politica, Giuffrè, Milano 1951.
The Bullion Report, 8th ]une 1810, in E. Cannan (a cura di), The Paper
Pound of 1797-1821, ristampa della seconda edizione del1925, «Re-
prints of Economie Classics», A.M. Kelley, New York 1969.
A. Cabiati, Il rialzo nel saggio dello sconto, in ABI, «Bollettino economi-
co-finanziario», 1920.
A. Cabiati, La finanza e la guerra in cinque anni di guerra mondiale, in
ABI, «Bollettino economico-finanziario», 1920.
A. Cabiati, Le conseguenze economiche di un regime !iberista nella guerra
mondiale, in «Rivista bancaria», 1922.
A. Cabiati, Sul concetto di immobilizzazione bancaria, in «Rivista ban-
caria», 1922.
T. Canovai, Le banche di emissione in Italia, Casa editrice italiana, Roma
1912.
G. Cassel, Osseroazioni sul problema della moneta internazionale, in ABI,
«Bollettino economico-finanziario», 1920.
P. Ciocca, Note sulla politica monetaria italiana 1900-1913, in G. Toniolo
(a cura di), L'economia italiana 1861-1940, Laterza, Roma-Bari 1978.
P. Ciocca, Interesse e pmfitto, Il Mulino, Bologna 1982.
P. Ciocca e A. Ulizzi, I tassi di cambio nominali e «reali» dell'Italia dal-
l'unità nazionale al sistema monetario europeo (1861-1979), in Ricerche
per la storia della Banca d'Italia, vol. I, «Collana storica della Banca
d'Italia», Laterza, Roma-Bari 1990.
A. Confalonieri, Banca e industria in Italia 1894-1906, Banca commer-
ciale italiana, Milano 1976.
Riferimenti bibliografici 87
A. Confalonieri, Banca e industria in Italia dalla crisi de/1907 all'agosto
1914, Banca commerciale italiana, Milano 1982.
F. Co tula e L. Spaventa (a cura di), La politica monetaria tra le due guerre.
1919-1935, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Ba-
ri 1993.
M. De Cecco, Moneta e impero, Einaudi, Torino 1979.
G. Del Vecchio, Cronache della lira in pace e in guerra, Treves-Treccani-
Tumminelli, Milano-Roma 1932.
R. De Mattia, I bilanci degli istituti di emissione italiani 1845-1936, Banca
d'Italia, Roma 1967.
B. Eichengreen, Golden Fetters, Oxford University Press, New York-
Oxford 1992.
L. Einaudi, La sola cosa urgente, in Cronache economiche e politiche di un
trentennio, vol. VIII, Einaudi, Torino 1965.
L. Einaudi, Dei metodi per arrivare alla stabilità monetaria e se si possa
ancora parlare di crisi di stabilizzazione della lira, in «La Riforma so-
ciale», 1930.
L. Einaudi, Teoria e pratica, in «La Riforma sociale», 1931.
L. Einaudi, Il mio piano non è quello di Keynes, in «La Riforma sociale»,
1933.
L. Einaudi, Debiti, in «La Riforma sociale», 1934.
L. Einaudi, Il mestiere della moneta, UTET, Torino 1990.
M. Fanno, Le banche e il mercato monetario, Athenaeum, Roma 1912.
M. Fanno, Lezioni di economia e legislazione bancaria, CEDAM, Padova
1933.
L. Federici e A. Dini, L 'ordinamento del credito nello Stato corporativo,
in «Rassegna bancaria», 1934.
I. Fisher, The Purchasing Power ofMoney, A.M. Kelley, New York 1963
(prima edizione 1911).
I. Fisher, La «stabilizzazione» della moneta, in ABI, «Bollettino econo-
mico-finanziario», 1920.
I. Fisher, Stabilizing the Dollar, Macmillan, New York 1920.
I. Fisher, The debt-deflation theory of great depressions, in «Econometri-
ca», 1933.
M. Friedman, A Program for Monetary Stability, Fordham University
Press, New York 1960.
M. Friedman e A. Schwartz, A Monetary History of the United States
1867-1960, Princeton University Press, Princeton 1963.
C.O. Gelsomino, La politica monetaria italiana tra il1936 e la fine della
seconda guerra mondiale, in A. Caracciolo (a cura di), La Banca d'Italia
tra l'autarchia e la guerra 1936-1945, «Collana storica della Banca d'I-
talia», Laterza, Roma-Bari 1992.
A. Gigliobianco, Tra concorrenza e collaborazione: considerazioni sulla
natura dei rapporti tra «banca centrale» e sistema bancario nell'esperienza
italiana (1844-1918), in Ricerche per la storia della Banca d'Italia, vol.
I, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari 1990.
C. Goodhart, The Evolution of Centra! Banks, The MIT Press, Cam-
bridge (Mass.)-London 1988.
G. Guarino e G. Toniolo, La Banca d'Italia e il sistema bancario. 1919-
88 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
1936, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari
1993.
R. G. Hawtrey, Potrà esser conservata la circolazione monetaria?, in ABI,
«Bollettino economico-finanziario», 1920.
R. G. Hawtrey, The Art of Centrai Banking, Longmans Green and Co.,
London 1932.
R.G. Hawtrey, Trade Depression and the Way Out, Longmans Green
and Co., London 1933.
J .M. Keynes, La «stabilizzazione» dei cambi, in «Rivista bancaria», 1922.
J.M. Keynes, La riforma monetaria, trad. it., Feltrinelli, Milano 1978.
J.M. Keynes, Trattato della moneta, trad. it., Feltrinelli, Milano 1979.
E. Levi Della Vida, Circolazione di biglietti e di titoli rappresentativi, in
«Rivista bancaria», 1921.
A. Marshall, Money Creditand Commerce, Macmillan, London 1923.
M. Mazzucchelli, Considerazioni sul conto del Tesoro, sul Bilancio e sulla
circolazione, in «Rivista bancaria», 1930 e 1931.
M. Mazzucchelli, Banche di emissione e banche libere (in tema di divaga-
zioni bancarie), in «La Riforma sociale», 1934.
D. Menichella, Il riordinamento del sistema bancario italiano del 1933-
1936, in Scritti e discorsi scelti, Banca d'Italia, Roma 1986.
Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione economica pre-
sentato all'Assemblea Costituente, IV, Credito e assicurazioni, II, Ap-
pendice alla relazione, Istituto poligrafico dello Stato, Roma 1946.
B.R. Mitchell, European Historical Statistics 1750-1970, Macmillan, Lon-
don 1975.
National Monetary Commission, Interviews on the Banking and Currency
Systems, Government Printing Office, Washington 1910.
M. Pantaleoni, La caduta della Società generale di credito mobiliare ita-
liano, in Studi storici di economia, Zanichelli, Bologna 1936.
G. Parravicini, L 'ordinamento bancario e l'attività creditizia, Rizzoli, Mi-
lano-Roma 1947.
G. Rey (a cura di), I conti economici dell'Italia, vol. I, Una sintesi delle
fonti ufficiali 1890-1970, «Collana storica della Banca d'Italia», La-
terza, Roma-Bari 1991.
S. Ricossa e E. Tuccimei (a cura di), La Banca d'Italia e il risanamento
postbellico, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari
1992.
D.H. Robertson, Money, Nisbet Cambridge University Press, Cam-
bridge 1966 (prima edizione 1922).
D.H. Robertson, British monetary policy, in Essays in Monetary Theory,
Staples Press Limited, London 1940.
R.S. Sayers, The Bank of England 1891-1944, Cambridge University
Press, Cambridge 1976.
J.A. Schumpeter, L'essenza della moneta, trad. it., Cassa di risparmio di
Torino, Torino 1990.
V. Smith, The rationale o/ centra! banking, P.S. King, London 1936.
P. Sraffa, La crisi bancaria in Italia, in F. Cesarini e M. Onado (a cura di),
Struttura e stabilità del sistema finanziario, Il Mulino, Bologna 1979.
Riferimenti bibliografici 89
B. Stringher, Memorie riguardanti la circolazione e il mercato monetario,
Tipografia della Banca d'Italia, Roma 1925.
G. Toniolo (a cura di), La Banca d'Italia e l'economia di guerra. 1914-1918,
«Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari 1989.
K. Wicksell, Lezioni di economia politica, trad. it., UTET, Torino 1976.
90 Ricerche per la storia della Banca d'Italia v
T ab. l -Situazione patrimoniale della Banca d'Italia (in milioni di lire)
1913 1918 1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926
Attivo
Oro in cassa 1.202 895 880 894 924 960 961 974 977 1.249
Altre valute auree 89 1.047 777 791 694 711 510 490 710 1.230
Portafoglio normale 506 887 1.356 3.159 3.896 3.961 3.456 3.790 5.178 5.356
Anticipazioni 126 763 1.365 2.294 4.176 2.533 2.881 2.733 3.380 2.765
Sez. spec. aut. Csvr,
Istit. liquid., IRI 664 2.565 3.147 2.697 2.660
Titoli 219 205 213 214 534 407 401 379 362 393
Anticip. Tesoro-temp. 360 360 360 360 360 360 360 360 360
, ~straor. 4.885 7.412 7.677 6.047 5.752 5.479 5.140 5.018 3.869
Portaf. speciale Csvr
Passivo
Biglietti 1.764 9.223 12.692 15.437 14.847 13.922 12.868 13.987 15.242 18.340
Vaglia 149 906 1.444 1.234 1.592 848 947 1.348 921 801
Depositi 49 638 563 708 697 840 823 754 619 1.636
Conto corrente del Tesoro 159 266 45 355 1.140 694 2114 919 1.642 216
FoNTE: Relazioni della Banca d'Italia.
C. O. Gelsomino. Da istituto di emissione a banca delle banche 91
1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
4.547 5.051 5.190 5.296 5.626 5.839 7.091 5.811 3.02ì 3.958 3.995 3.674 2.738
7.559 6.018 5.151 4.327 2.170 1.304 305 71 367 62 32 152 393
3.809 3.720 4.318 3.946 4.598 5.249 3.683 4.005 4.897 1.266 2.544 3.703 4.832
1.604 1.761 1.802 1.661 1.066 1.289 1.009 2.449 4.090 1.599 4.507 3.686 2.991
1.434 1.160 851 626 1.540 1.888 1.137 1.091 802 4.708 4.708 4.708 4.708
1.016 1.080 1.053 1.160 1.375 1.366 1.370 1.384 1.398 1.533 775 769 777
1.000 1.000 1.000 1.000
2.000 2.000 8.000
303 636 612 537
17.992 17.295 16.774 15.680 14.294 13.672 13.243 13.145 16.296 16.525 17.468 18.955 24.432
657 716 602 700 444 545 458 415 o 725 749 905 1.218
2.067 1.525 1.082 1.420 1.325 776 810 390 1.090 705 715 815 1.268
1.106 1.124 1.788 1.685 2.288 2.937 2.059 2.735 o 7 638 849 474
92 Ricerche per la storia della Banca d'Italia v
Tab. 2a - Principali voci del conto economico della Banca d'Italia (valori correnti in
Costi
Anni Tassa di Ricchezza Altre Interessi Ammortiz-
Spese Sofferenze•
circolazione mobile tasse passivi zazioni diverse
1910 10,0 0,6 1,6 1,2 0,8 3,5 4,3
1911 10,5 2,0 1,6 1,1 1,9 2,6 5,1
1912 10,8 3,2 1,8 1,1 1,1 2,1 5,6
1913 11,3 1,4 2,0 1,2 1,0 2,0 5,5
1914 13,3 3,2 2,2 1,2 1,7 3,4 3,1
1915 15,0 2,2 2,2 1,1 1,2 7,9 8,3
1916 15,2 3,0 3,0 1,0 0,9 7,1 5,0
1917 18,6 17,3 2,7 1,6 0,5 8,2 7,9
1918 23,5 58,0 4,8 1,4 0,3 13,0 5,0
1919 33,8 92,8 5,4 2,0 1,1 17,0 15,2
1920 51,2 198,9 8,3 2,2 3,0 22,6 30,4
1921 66,2 282,8 10,4 2,9 4,7 28,4 25,0
1922 73,3 271,4 12,5 3,3 5,0 56,8 68,0
1923 73,5 151,2 12,1 3,0 11,0 64,8 65,0
1924 81,0 107,0 14,2 3,2 6,4 78,0 54,7
1925 96,1 243,9 9,6 3,2 12,7 94,4 47,8
1926 112,3 212,0 9,6 4,1 18,9 108,1 113,0
1927 112,3 106,4 11,4 4,4 18,3 153,3 93,0
1928 111,1 17,5 15,0 6,2 31,1 119,0 96,3
1929 115,6 5,2 13,6 8,3 54,8 85,1 119,0
1930 121,8 3,8 9,8 5,5 71,5 75,3 67,5
1931 96,3 4,6 15,5 6,7 106,6 76,8 47,1
1932 96,4 6,4 12,2 5,9 40,1 93,6 54,3
1933 103,3 6,2 1,6 4,5 44,3 46,2 39,9
1934 111,5 7,4 5,2 6,4 13,6 24,7 12,8
1935 110,5 10,5 1,9 5,4 39,8 16,6 28,0
1936 117,3 17,6 9,1 6,5 6,9 18,7 35,9
1937 137,8 16,2 9,8 15,5 6,4 29,5 35,6
1938 154,5 28,9 21,2 9,0 2,0 26,6 47,8
1939 176,0 31,4 12,9 9,2 0,6 22,9 62,1
"Alla voce «Svalutazione, a calcolo del portafoglio a fronte di sofferenze e perdite latenti» sono iscritte le
fer il1925; 45 milioni per il1926; 25 milioni per il 1927 e per il1929; 6 milioni per il 1932; 3 milioni
Incluse le anticipazioni al Tesoro.
c Per il1928 tra i ricavi sono iscritti 25 milioni come «ammontare della svalutazione del Portafoglio calcolato
FONTE: Relazioni della Banca d'Italia.
C. O. Gelsomino. Da istituto di emissione a banca delle banche 93
milioni di lire)
Ricavi
Interessi Interessi Interessi e Interessi Utili
Benefizi Anni
dell'esercizio<
sugli sulle utili su oper. su fondi Altri
diversi
sconti anticipazionib con restero pubblici
19,6 4,1 3,1 6,0 1,0 18,.3 1910
22,2 4,6 3,6 5,8 0,9 12,2 18,7 1911
23,8 5,5 3,5 5,8 1,0 6,2 19,5 1912
2.3,5 4,7 4,0 5,8 0,9 5,7 20,7 1913
30,7 6,4 4,2 8,1 1,6 6,1 20,5 1914
35,8 15,6 2,5 9,2 1,6 6,5 .33,5 1915
21,6 18,2 3,2 17,1 1,8 7,2 4.3,9 1916
26,6 26,6 .3,6 41,9 1,7 11,6 55,1 1917
35,5 4.3,.3 .3,1 5.3,6 2,8 31,8 59,6 1918
40,7 54,1 2,9 71,8 16,6 31,0 49,0 1919
131,1 137,0 3,5 58,9 12,5 51,9 56,1 1920
180,2 162,4 7,0 76,8 5,.3 68,7 46,4 1921
228,.3 186,7 4,8 58,8 8,1 50,6 40,1 1922
181,4 136,4 4,0 3.3,2 16,5 43,2 71,.3 1923
168,6 131,2 4,1 26,9 16,6 28,9 76,3 1924
265,2 197,6 .3,1 31,9 17,6 44,0 86,1 1925
358,7 219,0 5,5 34,8 19,5 50,0 86,7 1926
306,3 134,9 11,7 29,4 .3.3,5 50,0 58,1 1927
174,9 71,6 97,0 29,5 29,5 31,5 57,4 1928
243,1 98,9 90,0 32,8 26,9 28,9 73,8 1929
177,6 71,6 41,3 35,9 8.3,1 26,.3 73,5 1930
193,6 73,6 33,2 37,1 46,8 27,5 77,8 19.31
222,2 62,7 14,5 41,6 8,4 23,7 52,8 1932
195,2 27,5 0,4 41,0 27,5 21,0 52,9 1933
122,8 42,9 0,1 35,2 3.3,1 18,9 55,.3 19.34
159,5 90,7 0,1 38,.3 22,5 23,5 100,9 1935
122,5 109,6 0,6 33,7 14,4 39,3 71,2 19.36
68,6 145,6 0,3 39,7 31,6 89,5 98,8 1937
137,9 168,6 0,1 39,4 21,.3 80,7 131,4 1938
179,7 148,2 0,1 39,5 19,0 74,8 117,3 1939
somme seguenti: 50 milioni per il1921 e per il1922; 40 milioni per il1923; 35 milioni per il1924; 30 milioni
per il 1933; 5 milioni per il1934; 10 milioni dal1935 al 1939.
nel 1927 e recato in aumento dei benefici per il corrente esercizio».
94 Ricerche per la storia della Banca d'Italia v
T ab. 2b - Conto economico a prezzi costanti (in milioni di lire) •
Costi
Anni Tassa di Ammmortiz-
Ricchezza Altre Interessi
Spese Sofferenze
circolazione mobile tasse passivi zazioni diverse
1910 55,1 3,3 8,8 6,6 4,4 19,3 23,7
1911 53,6 10,2 8,2 5,6 9,7 13,3 26,0
1912 50,9 15,1 8,5 5,2 5,2 9,9 26,4
1913 54,8 6,8 9,7 5,8 4,9 9,7 26,7
1914 67,2 16,2 11,1 6,1 8,6 17,2 15,7
1915 57,3 8,4 8,4 4,2 4,6 30,2 31,7
1916 39,8 7,9 7,9 2,6 2,4 18,6 13,1
1917 32,9 30,6 4,8 2,8 0,9 14,5 14,0
1918 27,6 68,1 5,6 1,6 0,4 15,3 5,9
1919 36,4 100,0 5,8 2,2 1,2 18,3 16,4
1920 42,0 163,2 6,8 1,8 2,5 18,5 24,9
1921 59,3 253,5 9,3 2,6 4,2 25,5 22,4
1922 65,2 241,5 11,1 2,9 4,4 50,5 60,5
1923 64,8 133,3 10,7 2,6 9,7 57,1 57,3
1924 71,8 95,2 12,6 2,8 5,7 69,2 48,5
1925 76,0 193,0 7,6 2,5 10,0 74,7 37,8
1926 87,1 164,5 7,4 3,2 14,7 83,9 87,7
1927 103,5 98,1 10,5 4,1 16,9 141,4 85,8
1928 106,1 16,7 14,3 5,9 29,7 113,6 91,9
1929 115,6 5,2 13,6 8,3 54,8 85,1 119,0
1930 136,1 4,2 11,0 6,1 79,9 84,1 75,4
1931 123,2 5,9 19,8 8,6 136,4 98,3 60,3
1932 132,1 8,8 16,7 8,1 54,9 128,2 74,4
1933 155,6 9,3 2,4 6,8 66,7 69,6 60,1
1934 171,4 11,4 8,0 9,9 20,9 38,0 19,7
1935 154,9 14,7 2,7 7,6 55,8 23,3 39,2
1936 146,6 22,0 11,4 8,1 8,6 23,4 44,9
1937 147,5 17,3 10,5 16,6 6,9 31,6 38,1
1938 154,8 29,0 21,2 9,0 2,0 26,7 47,9
1939 169,0 30,2 12,4 8,8 0,6 22,0 59,6
• Deflazionato con l'indice dei prezzi all'ingrosso, base 1929.
FoNTE: Relazioni della Banca d'Italia e, per l'indice dei prezzi, G.M. Rey. I co11ti eco11omici dell'Italia, vol. I,
C. O. Gelsomino. Da istituto di emissione a banca delle banche 95
Ricavi
Interessi Interessi Interessi e Interessi Utili
Anni
Benefizi dell'esercizio
sugli sulle utili su oper. su fondi Altri
diversi
sconti anticipazioni con l'estero pubblici
108,0 22,6 17,1 33,1 5,5 44,1 100,9 1910
113,3 23,5 18,4 29,6 4,6 40,8 95,5 1911
112,1 25,9 16,5 27,3 4,7 37,7 91,8 1912
114,0 22,8 19,4 28,1 4,4 38,8 100,4 1913
155,1 32,3 21,2 40,9 8,1 40,4 103,6 1914
136,7 59,6 9,5 35,1 6,1 30,6 127,9 1915
56,6 47,7 8,4 44,8 4,7 21,0 115,1 1916
47,1 47,1 6,4 74,2 3,0 14,2 97,5 1917
41,7 50,8 3,6 62,9 3,3 9,4 70,0 1918
43,9 58,3 3,1 77,4 17,9 8,6 52,8 1919
107,6 112,4 2,9 48,3 10,3 6,6 46,0 1920
161,5 145,6 6,3 68,9 4,8 7,2 41,6 1921
203,2 166,1 4,3 52,3 7,2 7,1 35,7 1922
160,0 120,3 3,5 29,3 14,6 7,1 62,9 1923
149,5 116,3 3,6 23,9 14,7 7,1 67,7 1924
209,8 156,3 2,5 25,2 13,9 6,3 68,1 1925
278,4 169,9 4,3 27,0 15,1 6,2 67,3 1926
282,4 124,4 10,8 27,1 30,9 7,4 53,6 1927
167,0 68,4 92,6 28,2 28,2 7,6 54,8 1928
243,1 98,9 90,0 32,8 26,9 8,0 73,8 1929
198,5 80,0 46,2 40,1 92,9 8,9 82,1 1930
247,7 94,2 42,5 47,5 59,9 10,2 99,6 1931
304,4 85,9 19,9 57,0 11,5 11,0 72,3 1932
294,0 41,4 0,6 61,8 41,4 12,0 79,7 1933
189,1 66,1 0,2 54,2 51,0 12,3 85,1 1934
223,6 127,1 0,1 53,7 31,5 11,2 141,4 1935
153,1 137,0_ 0,8 42,1 18,0 10,0 89,0 1936
73,4 155,9 0,3 42,5 33,8 8,6 105,8 1937
138,2 168,9 0,1 39,5 21,3 8,0 131,7 1938
172,6 142,3 0,1 37,9 18,7 7,7 112,7 1939
U11a sintesi delle fonti ufficiali 1890-1970, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari 1991.
LA CRISI FINANZIARIA
NELLA GRANDE DEPRESSIONE IN ITALIA*
di Giovanni Ferri e Paolo Caro/alo
l. Introduzione
In questo lavoro si approfondisce l'analisi sugli effetti reali
dei fenomeni di instabilità finanziaria che si verificarono in Italia
durante la grande crisi 1929-34.
L'interpretazione tradizionale delle conseguenze economiche
della grande depressione in Italia è concorde su due circostanze.
In primo luogo sul fatto che l'economia italiana aveva già subito
una crisi nel 1926-27, per effetto della forte rivalutazione della
lira, cui era seguita una ripresa solo temporanea nel 1928, pre-
sentandosi particolarmente esposta al nuovo shock nel1929. In
secondo luogo sul fatto che lo shock provenne dall'estero. Non vi
è invece pari consenso nell'interpretare gli sviluppi del quinquen-
nio successivo. T al uni autori sostengono che la depressione va
imputata quasi esclusivamente alla caduta del commercio con l'e-
stero e ad altri fattori interni di natura reale, mentre in altri studi
si accusa la politica monetaria restrittiva per il prolungarsi della
recessione, in Italia come altrove.
Alla profonda instabilità finanziaria che colpll' economia ita-
liana si è sinora dedicata scarsa attenzione, se non per le diverse
accurate analisi sulla crisi e il salvataggio delle tre grandi banche
* Gli autori, pur rimanendo gli unici responsabili di eventuali errori e im-
precisioni, desiderano ringraziare per gli utili suggerimenti P. Ciocca, F. Cotula,
M. De Cecco, A. Gigliobianco, G.B. Pittaluga, V. Sannucci e G. Toniolo. Sono
grati a R. Di Giannantonio e G. Eramo per l'aiuto nell'elaborazione dei dati. Pur
essendo il lavoro frutto di un impegno comune, i paragrafi introduttivo e con-
clusivo sono da attribuire ad entrambi gli autori, il paragrafo 4.3 va ascritto a P.
Garofalo, a G. Ferri sono da attribuire le parti rimanenti.
98 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
miste. In genere si ritiene che l'intervento statale per il salvatag-
gio delle tre banche in crisi ebbe successo, impedendo fenomeni
di corsa ai depositi e limitando, perciò, le conseguenze depres-
sive sull'economia italiana.
Anche senza mettere in dubbio tale tesi, in questo lavoro si
sostiene che i notevoli fenomeni di instabilità finanziaria che col-
pirono le banche non miste del paese - che svolgevano un vo-
lume d'affari pari a circa la metà delle attività complessive del
sistema creditizio - non possono essere disconosciuti quali im-
portanti cause nella propagazione della depressione. In partico-
lare, ci si sforza di rispondere a due domande: a prescindere dalla
crisi e dal salvataggio delle banche miste, si verificò in Italia una
restrizione creditizia su vasta scala? e se sì, quali ne furono le
con~eguenze nella propagazione della depressione?
E indubbio che nel periodo si verificò una contrazione nel
credito al settore privato. Rimane invece da approfondire se essa
sia interamente giustificata da una caduta nella domanda oppure
sia stata indotta anche da cambiamenti endogeni nella struttura
del sistema bancario e nel comportamento degli intermediari.
Seppure la prima interpretazione non può essere rifiutata, il la-
voro offre un ampio insieme di fatti e argomentazioni che paiono
coerenti con la seconda tesi. Di conseguenza, l'instabilità finan-
ziaria avrebbe giocato un ruolo non solo prolungando la grande
depressione ma anche, insieme alla caduta nell'interscambio con
l'estero, alterando la specializzazione produttiva dell'industria
italiana.
Il lavoro è organizzato nel modo seguente. Si espone dappri-
ma concisamente (par. 2) una linea interpretativa secondo la qua-
le le reazioni dei mercati finanziari, in seguito alle imperfezioni
che li caratterizzano, possono amplificare la crisi dell'economia
anche indipendentemente dal verificarsi di panici bancari e si
richiamano i principali contributi sulla crisi e i salvataggi bancari
in Italia nei primi anni Trenta. Di seguito, si analizzano i più
importanti indicatori dell'economia reale in Italia nel periodo e
ci si sofferma, in particolare, su alcune variabili di specifico in-
teresse per i legami con l'instabilità finanziaria (par. 3). La parte
centrale del lavoro, il paragrafo 4, è dedicata all'approfondimento
sulle evidenze dell'emergere della crisi finanziaria, che si manife-
sta in un diffuso credit crunch, e sugli impatti differenziati che ne
conseguono per i vari comparti di attività economica. Si analiz-
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 99
zano in particolare gli andamenti di bilancio per le casse di rispar-
mio ordinarie e le società ordinarie di credito escluse le tre grandi
banche miste (par. 4.1) e l'evoluzione dei tassi d'interesse bancari
e sulle emissioni obbligazionarie (par. 4.2); sulla base di documen-
ti in parte inediti, si riscontra che la restrizione del credito al set-
tore privato fu in diversi casi una scelta deliberata delle banche
(par. 4.3); si considerano gli impatti sull'allocazione del credito
dei rilevanti mutamenti nella struttura proprietaria del sistema
bancario (par. 4.4). Nel quinto paragrafo si tirano le fila dell'evi-
denza prodotta in modo da verificare la validità del legame causale
proposto tra instabilità finanziaria e variabili reali e si discutono
questi risultati alla luce delle spiegazioni alternative. Nell'ultimo
paragrafo si propongono alcune considerazioni conclusive.
2. Il legame tra credito e attività produttive e le interpretazioni sul
caso italiano
Il dibattito sul ruolo dei disturbi reali e finanziari nella pro-
pagazione della grande crisi è tuttora aperto. Relativamente agli
Stati Uniti, dopo il contributo monetarista di Friedman e
Schwartz 1 , si sono avute le prese di posizione di Temin 2 , che
riportavano l'accento sui fattori reali, cui si contrapponevano le
osservazioni di Brunner3 , latore di una più articolata spiegazione
monetarista. Indipendentemente dal filone interpretativo mone-
tarista si è poi sviluppato un approccio che individua nel mercato
del credito lo snodo attraverso il quale i fattori finanziari avreb-
bero agito nel propagare la crisi4 • Anche questo approccio è stato
recentemente criticato da Temin5 , sulla base dell'assenza di ri-
1
M. Friedman e A.J. Schwartz, A Monetary History of the United States
1867-1960, Princeton University Press, Princeton 1963.
2 P. Temin, DidMonetary Forces Cause the Great Depression?, W.W. Norton,
New York 1976; P. Temin, Notes an the causes of the Great Depression, in K.
Brunner (a cura di), The Great Depression Revisited- Rochester Studies in Econo-
mics and Policy Issues, vol. II, Kluwer Nijhoff Pubi., Boston 1981, pp. 108-24.
3 K. Brunner, Understanding the Great Depression, in Brunner (a cura di), op.
cit., pp. 316-58.
4 B. Bernanke, Nonmonetary effects o/ the financial crisis in the propagation of
the Great Depression, in «American Economie Review», 73, 1983, pp. 257-76.
5 P. Temin, Intemational instability and debt between the wars, in «Journal of
Monetary Economics», 1991, pp. 301-308.
100 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
scontri in linea con gli effetti della restrizione creditizia che por-
terebbero ad attendersi riduzioni maggiori dei livelli produttivi
nell'industria leggera delle piccole imprese, rispetto alle grandi
imprese. Altri possibili effetti dei disturbi finanziari sulle scelte
reali sono individuati da Romer 6 : il crollo delle quotazioni a W ali
Street dell'ottobre 1929, accrescendo l'incertezza circa i redditi
futuri, avrebbe indotto i consumatori a rinunciare agli acquisti di
beni di consumo durevoli.
Pur essendo il dibattito ancora aperto e vivace, pare esservi
crescente consenso sulla rilevanza delle spiegazioni che indivi-
duano nell'instabilità finanziaria un'importante fonte di propa-
gazione della recessione. Su queste ci soffermeremo brevemente
al fine di presentare il quadro interpretativo che si proporrà di
seguito per l'Italia.
È noto che in assenza di imperfezioni gli equilibri dei mercati
finanziari sarebbero indipendenti da quelli dei mercati reali. Co-
sì, nel mondo ideale in cui vale il teorema di Modigliani-Miller è
inutile cercare legami tra scelte produttive e funzionamento dei
mercati finanziari. In tali circostanze, anche il fatto che in certi
periodi si siano contemporaneamente verificate intense contra-
zioni nei livelli produttivi e diffusi fenomeni di instabilità finan-
ziaria apparirebbe del tutto casuale.
Al contrario, già il filone monetarista è ben conscio del pro-
blema della fiducia dei depositanti nelle banche, in quanto siste-
ma delle istituzioni monetarie. Una crisi di fiducia potrebbe in-
generare una corsa al ritiro dei depositi, indipendentemente dal
rischio cui le banche sono singolarmente esposte; si potrebbero
verificare fenomeni di contagio con la degenerazione in panici
bancari, magari di ampiezza tale da portare al crollo del sistema
dei pagamentF. In tali casi, si sostiene, è indispensabile che la
banca centrale intervenga creando liquidità in modo da fugare la
sfiducia dei depositanti. Friedman e Schwartz sostengono pro-
prio che la grande crisi fu foraggiata da un comportamento re-
strittivo della Federai Reserve. Se invece i rischi di panico ban-
cario sono assenti, secondo i monetaristi, non si tratta di una
vera e propria crisi finanziaria ma di una «pseudo-crisi finanzia-
6 C.D. Romer, The Great Crashand the onsetofthe Great Depression, in «The
Quarterly Journal of Economics», 1990, pp. 597-624.
7 Friedman e Schwartz, op. cit.
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 101
ria»8 e non si dovrebbe intervenire: le espulsioni dal mercato o le
perdite nel corso di una pseudo-crisi sono ineluttabili; sventan-
dole con la creazione monetaria si infliggerebbero al sistema eco-
nomico perdite ben maggiori, tollerando l'inefficienza o inne-
scando l'inflazione.
Negli anni recenti si è sviluppato un consolidato approccio
teorico che individua nelle imperfezioni di natura informativa-
asimmetrie informative - nei mercati finanziari un anello de-
bole dell'equilibrio macroeconomico. Per effetto di tali imperfe-
zioni, se sollecitati da disturbi negativi, i mercati finanziari pos-
sono registrare fasi di instabilità che non hanno nulla di irrazio-
nale o di subottimale dal punto di vista del comportamento dei
singoli individui. In tali circostanze, la finanza può retroagire sul
comparto reale amplificando l'intensità e la durata della fase re-
cessiva. In un certo senso questo paradigma fornisce una rigorosa
microfondazione al ruolo dello «stato di fiducia» ben descritto da
Keynes 9 nella Teoria generale.
In particolare, il punto di partenza di questa letteratura è
l'ipotesi che il creditore sia meno informato del debitore riguar-
do ai progetti di investimento finanziati. Se il creditore non è in
grado di distinguere tra buoni e cattivi debitori (i limoni di
Akerlof 10) è possibile che i prestiti siano effettuati a un tasso
d'interesse indifferenziato corrispondente alla qualità media dei
debitori. In tali circostanze alcuni dei progetti d'investimento
buoni possono non essere più convenienti e venire accantonati.
Inoltre, i creditori possono scegliere di razionare i prestiti dato
che tassi d'interesse elevati attrarrebbero i debitori più rischiosi
(la selezione avversa di Stiglitz e Weiss 11 ).
Se il livello dei tassi d'interesse sale vengono esaltati i pro-
blemi di selezione avversa e può verificarsi una restrizione cre-
ditizia che causa riduzioni degli investimenti e della domanda
aggregata. Essendo gli elementi di asimmetria informativa, in
8 A.J. Schwartz, Rea/ and pseudo-financial crises, in F. Capie e G.E. Wood (a
cura di), Financial Crises and the W orld Banking System, Macmillan, London 1986.
9 J.M. Keynes, The GeneralTheoryo/Employment, Interest, andMoney, Mac-
millan, London 1936.
10 G. Akerlof, The market /or lemons: quality uncertainty and the market me-
chanism, in «Quarterly Journal of Economics», 84, 1970, pp. 488-500.
11 J. Stiglitz e A. Weiss, Credit rationing in markets with imperfect informa-
tion, in <<American Economie Review», 71, 1981, pp. 393-410.
102 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
pratica, maggiori nei confronti di debitori di dimensione mino-
re12, ci si potrebbe attendere che quando si esalta il problema
della selezione avversa vi sia un ampliamento dello spread tra i
tassi praticati a questi debitori e quelli alla clientela primaria.
D'altra parte, è possibile per i debitori stanziare beni aga-
ranzia del debito segnalando la propria qualità per ridurre il pro-
blema della selezione avversa 13 , ma non quando la deflazione ri-
duce il valore delle garanzie.
L'esistenza di asimmetrie informative solleva inoltre il pro-
blema dell'azzardo morale del debitore. Questi, se il datore non
può controllarlo nell'uso dei fondi, può avvalersi del prestito per
finanziare attività di suo personale interesse che magari accre-
scono la probabilità di fallimento dell'impresa. Il problema delle
asimmetrie informative è però meno intenso per le banche che
per altri finanziatori. Infatti esse, in virtù della loro esperienza,
godono di un vantaggio comparato nelle procedure di selezione
dei debitori e, grazie ai durevoli rapporti che instaurano con essi,
possono effettuare a più basso costo il controllo degli affida-
menti14 e sono avvantaggiate nello stabilire clausole contrattuali
restrittive che limitano il rischio morale. Le banche svolgono per-
ciò un importante ruolo nel permettere la canalizzazione dei fon-
di anche a quegli operatori che altrimenti potrebbero non essere
finanziati. Perciò, come sostiene Bernanke 15, instabilità nei mer-
cati finanziari che riducano l'intermediazione bancaria possono
portare a contrazioni nel finanziamento anche di imprese reddi-
tizie producendo un effetto depressivo sull'economia.
Data la funzione monetaria degli intermediari creditizi -
con la raccolta in larga misura liquidabile a vista e attività in
genere non esitabili tempestivamente - , peggioramenti nello
stato di fiducia possono indurre i depositanti a ritirare i depositi,
generando fenomeni di panico bancario già analizzati diffusa-
mente dai monetaristi. Tuttavia, anche in assenza di corsa ai de-
12 Rispetto alle grandi imprese, solitamente le piccole imprese offrono in-
formazioni meno strutturate, vantano curricula vìtae più brevi e consentono di
realizzare solo limitati benefici dai controlli incrociati, avendo accesso a un nu-
mero inferiore di mercati e/o di controparti.
u H. Bester, Screening vs ratìonìng in credit markets with ìmperfect informa-
tion, in «American Economie Review», 75, 1985, pp. 850-75.
14 D. Diamond, Financial intermediation and àelegated monitoring, in «Re-
view of Economie Studies», 51, 1984, pp. 393-414.
15 Bernanke, op. cit.
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finam:iaria nella grande depressione 103
posi ti, il peggioramento nello stato di fiducia dell'economia può
implicare sensibili riduzioni nella capacità di finanziamento degli
intermediari. Ad esempio, è sufficiente che sia cresciuta la pro-
babilità assegnata dalle banche al verificarsi di una corsa ai de-
positi perché esse modifichino il proprio orientamento.
Quest'ultima annotazione è di particolare interesse per l'a-
nalisi della grande crisi in Italia, in cui non si verificarono diffusi
fenomeni di corsa ai depositi 16 e tuttavia si ebbe sia una contra-
zione nel finanziamento bancario sia un drastico mutamento nel-
le sue modalità. All'analisi fattuale di questi cambiamenti ci si
dedicherà nel quarto paragrafo, ma prima rimangono da svolgere
due compiti: una breve rassegna della letteratura sulla grande
depressione in Italia (nel seguito di questo paragrafo) e un con-
ciso richiamo degli sviluppi dell'economia reale nel corso della
crisi (nel prossimo paragrafo).
L'analisi sull'instabilità finanziaria e gli interventi statali di
salvataggio bancario durante la grande crisi in Italia ha vissuto
una stagione fruttuosa negli anni Settanta, quando fiorirono con-
tributi che, direttamente o indirettamente, svolgono approfon-
dimenti al proposito 17.
L'interpretazione fornita in questi lavori sui legami tra insta-
bilità finanziaria e crisi reale nel periodo non è univoca: vi sono
notevoli differenze e sfumature. In Toniolo 18 e in Ciocca e To-
16 Ad esempio, G. Toniolo, Crisi economica e smobilizzo pubblico delle ban-
che miste (1930-1934), in G. Toniolo (a cura di), Industria e banca nella grande crisi,
Etas Libri, Milano 1978, sostiene che la segretezza dell'intervento di salvataggio
delle banche miste, consentita dalla dittatura fascista, permise di evitare che si
verificassero la «corsa ai depositi e i deflussi di valuta in misura tale da togliere
fiducia a tutto il sistema bancario».
17 Tra gli altri, si ricordano: P. Ciocca e G. Toniolo (a cura di), L'economia
italiana nel periodo fascista, Il Mulino, Bologna 1976; P. Ciocca e G. Toniolo,
Industry and finance in Italy, 1918-1940, in «European Economie History Re-
view», Special Issue, 1983; E. Cianci, Nascita dello Stato imprenditore in Italia,
Mursia, Milano 1977; F. Farina e U. Marani, Strutture monetarie e finanziarie
dell'economia fascista, in «Quaderni storici», 1978, pp. 1036-62; P. Grifone, Il
capitale finanziario in Italia, Einaudi, Torino 1971; S. La Francesca, La politica
economica del fascismo, Laterza, Roma-Bari 1972; M. Marconi, La politica mo-
netaria del fascismo, Il Mulino, Bologna 1982; M.L. Marinelli-Faucci, Note sul-
l'evoluzione della struttura funzionale del sistema bancario durante il fascismo, in
«Rassegna economica», 1980, pp. 1-33; Toniolo, op.cit.; F. Vicarelli (a cura di),
Capitale industriale e capitale finanziario: il caso italiano, Il Mulino, Bologna 1979.
1s Toniolo, op. cit.
104 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
niolo 19 , ad esempio, prevale una spiegazione secondo la quale le
cause della crisi sarebbero state soprattutto di natura reale. Vie-
ne sostenuto che non si attaglierebbe all'Italia un'interpretazio-
ne della propagazione della crisi alla Friedman e Schwartz20 : la
politica monetaria non sarebbe stata particolarmente restrittiva.
In questi lavori, anzi, si dà conto del fatto che gli interventi di
salvataggio delle grandi banche miste furono tempestivi e discre-
ti - in virtù del regime politico dittatoriale - e tali da evitare
in Italia i diffusi fenomeni di corsa ai depositi che minarono i
sistemi bancari dell'Europa centrale.
Farina e Marani 21 cercano invece di stabilire un legame tra gli
sviluppi finanziari a partire dalla fase di stabilizzazione moneta-
ria dell926-27, la crisi delle banche miste italiane e il dipanarsi
della grande depressione. Essi individuano nell'azione di risana-
mento monetario la radice della crisi delle banche miste e del
successivo traumatico sostituirsi a loro dello Stato come fulcro
dell'intermediazione del credito. Interpretazioni che sostengono
il premeditato interventismo statale a guida dell'azione di salva-
taggio bancario sono suggerite anche da Grifone 22 e da Forsyth23 •
Il primo segue una linea ideologica secondo la quale il fascismo
avrebbe agito negli interessi del grande capitale italiano, pub-
blicizzandone le perdite, in cambio della possibilità di orientare
il paese verso una politica di potenza. Il secondo autore esalta
invece il conflitto tra la Banca d'Italia e il governo, da una par-
te, e la dirigenza delle due maggiori banche miste (Comit e Cre-
dit), dall'altra, che avrebbero precluso interventi di sostegno
che non mutassero il controllo delle banche. Anche Marconi2 4 e
Cianci25 sostengono che lo Stato mostra in questo periodo l'in-
tento di svolgere sotto propria tutela la funzione d'intermedia-
zione.
19 Ciocca e Toniolo, Industry and finance cit.
2
° Friedman e Schwartz, op. cit.
21 Farina e Marani, op. cit.
22 Grifone, op. cit.
23 D.J. Forsyth, The rise and fallo/ Gennan-inspired mixed banking in Italy,
1894-1936, in J.H. Lindgren e A. Teichova (a cura di), The Role of Banks in the
Interwar Economy, Cambridge University Press, Cambridge 1991.
24 Marconi, op. cit.
2 5 Cianci, op. cit.
G. Ferri e P. Gara/alo La crisi finanziaria nella grande depressione 105
Bernanke eJames26 presentano evidenza di una relazione tra
panici bancari e andamenti della produzione in uno studio su dati
relativi a molti paesi nel periodo 1930-36. L'inclusione o l'esclu-
sione dell'Italia dal campione27 non altera sostanzialmente i ri-
sultati, indicando la possibilità di andamenti non troppo etero-
genei rispetto agli altri paesi.
3. Alcuni indicatori dell'economia reale
Diversamente da altri paesi sviluppati, la crescita dell' econo-
mia italiana decelerò già nel biennio 1926-27, in seguito all'im-
patto deflazionistico della manovra di stabilizzazione del cam-
bio. L'indice della produzione industriale, che era cresciuto del
13,7 per cento nel1925, rimase costante nel1926 e accusò una
flessione del3,6 per cento nell'anno successivo28 ; il saggio di cre-
scita del PrL a prezzi costanti scese dal5, 4 per cento del1925 allo
0,8 e 1,4 per cento nel seguente biennio29 • Alla forte ripresa del
1928 fece seguito una notevole decelerazione prima, che divenne
contrazione produttiva nel1930. Per il PrL fu questo l'unico an-
no nel periodo della grande crisi in cui si ebbe una consistente
flessione (- 4,8 per cento)3°. In vero, il prodotto complessivo
venne stabilizzato dall'azione ammortizzatrice delle asperità ci-
cliche esercitata dal settore dei servizi, la cui quota sul prodotto,
già passata dal 30 al 34 per cento circa tra il biennio 1925-26 e
quello successivo, crebbe ancora fino a toccare un valore massimo
superiore al41 per cento nel1934 31 . Di converso la contrazione fu
26 B. Bernanke e H.James, The Go/d Standard, Deflation and Financial Crisis
in the Great Depression: An International Comparison, National Bureau of Econo-
mie Research, 1990, Working Paper n. 3488.
27 Gli autori presentano alcune specificazioni alternative che, tra l'altro, in-
cludono o escludono l'Italia dal novero dei paesi considerati non essendo loro
certo- sulla base del riferimento a Ciocca e Toniolo, Industry e finance ci t. -
se in effetti si siano verificati panici bancari nel caso italiano.
28 B.R. Mitchell, European Historical Statistics 1750-1970, Macmillan, Lon-
don 1975.
29 N. Rossi, A. Sorgato, G. Toniolo, I conti economici italiani: una ricostru-
zione statistica, 1890-1990, in «Rivista di Storia economica>>, l, 1993.
>o L'andamento del PIL è piuttosto diverso secondo la serie storica ricostrui-
ta da G.M. Rey, I conti economici dell'Italia, l, Una sintesi delle fonti ufficiali 1890-
1970, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari 1991, che evi-
denzia nuove flessioni anche nel1931, 1933 e 1934. Inoltre, in questa serie risulta
anche esaltata la contrazione del1930 ( -6,4 per cento).
31 Rossi, Sorgato, Toniolo, op. cit.
106 Ricerche per ÙJ storia del/4 Banca d'Italia V
più marcata e più duratura per la produzione industriale, che ri-
prese a espandersi in maniera apprezzabile solo a partire dall9 3 5.
Tra ill929 e ill935 si verificò anche una caduta del contri-
buto degli investimenti fissi lordi al PrL: dall6,4 per cento del
1929 si toccò un minimo dell2,5 nell932 per risalire all6 nel
1935 32 • Mutò nel periodo anche la composizione degli investi-
menti: la quota degli impianti e attrezzature scese dal60 al52,4
per cento, mentre salirono quella delle abitazioni (dal 23,3 al
29,2) e quella delle opere pubbliche (dall6,7 all8,4).
L'analisi degli andamenti produttivi presso alcuni tra i più
rilevanti settori industriali mette in luce un rallentamento nella
produzionedienergiaelettricanel triennio 1930-32 (tab. l). Nel-
lo stesso periodo si osserva una brusca riduzione produttiva nelle
industrie metallurgiche. Nelle industrie tessili, ove si erano già
verificate contrazioni produttive nel biennio 1926-27, il periodo
della stabilizzazione monetaria, si ebbe invece una nuova caduta
dell'attività che interessò tutto il periodo dall930 all936, con
contenuti recuperi nel 1932-33.
I prodotti tessili costituivano già per l'Italia uno tra i prin-
cipali beni d'esportazione 33 così che una spiegazione della con-
trazione nella loro produzione potrebbe essere ragionevolmente
ricercata in una caduta della domanda estera. Questa spiegazione
non trova però adeguato riscontro nei dati. Dalla tabella l si de-
sume che: a) le esportazioni, in volume, di filati di cotone creb-
bero tra ill929 e ill932 e diminuirono solo successivamente; b)
per i tessuti di cotone si ebbe una caduta nell'export ma essa può
spiegare solo la metà della contrazione produttiva. Pur necessi-
tando studi più approfonditi, questa evidenza pone forti dubbi
sulla spiegazione del crollo dell'attività produttiva in Italia solo
in termini di caduta dell'export.
La ripartizione delle società italiane per azioni per grandi ca-
tegorie economiche può essere effettuata per gli anni dal 1926 al
1935. L'esame dei dati fornisce interessantiindicazioni sulle con-
seguenze del pieno dipanarsi della depressione. In questo senso,
si nota che la quota del capitale dei comparti finanziario, edile e
32Ibid.
A. Capanna e O. Messori, Gli scambi commerciali dell'Italia con l'estero
33
dal/4 costituzione del Regno a oggi, Unione editoriale italiana, Roma 1940.
Tab. l. - Produzione ed esportazioni in alcuni settori industriali (in termini fisici)
Produzione incl. Produzione incl.
Produzione metallurgiche tessili 0
lorda energia Filati di cotone Tessuti di cotone ~
Ghisa di prima Acciaio di prima
Anni elettrica
fusione fusione 3.
produzione esportazionia produzione esportazionin <l>
(migliaia (migliaia variaz. ~
(milioni variaz. (migliaia variaz. (migliaia variaz. (migliaia variaz. (migliaia vari az. vari az.
diKwh) % di tonn.) % di tonn.) % di tonn.) % di tonn.) % di tonn.) % di tonn.) % ~
è3
1920 4690 17,25 88,1 -63,26 773,8 5,73 148,2 -4,63 17,9 -3,76 n.d. n.d. 43,1 0,70 ~
1921 4540 -3,20 61,4 -30,31 700,4 -9,48 133 -10,26 17,3 -3,35 94 n.d. 32,3 -25,06 c--
1922 4730 4,19 157,6 156,76 982,5 40,27 156 17,29 9,8 -43,35 101,1 7,55 29,3 -9,29 t-<
;:.
1923 5610 18,60 236,3 49,91 1141,8 16,21 164,4 5,38 13,2 34,69 105,4 4,25 45,5 55,29
1924 6450 14,97 304,0 28,66 1358,9 19,01 173,3 5,41 17,8 34,85 121,8 15,56 51,7 13,63 "~:
10,21 64,2 24,18 ';::.,
1925 7260 12,56 481,8 58,50 1785,5 31,40 198,5 14,54 16,7 -6,18 134,2 i:;
1926 8390 15,56 513,4 6,56 1779,5 -0,34 198,7 0,10 14,7 -11,98 130,1 -3,12 50,4 -21,50 !:iii;•
1927 8740 4,17 489,2 -4,73 1595,8 -10,33 178,6 -10,13 21,8 48,30 116 -10,80 50,6 0,40
22,80 196 25,6 17,43 130,2 12,20 55,1 8,89 ~·
1928 9630 10,18 507,5 3,75 1959,5 9,75 ~
1929 10.380 7,79 671,2 32,25 2122,2 8,30 219,8 12,15 24,6 -3,91 140,6 8,06 59,3 7,62 <l>
~
1930 10.670 2,79 537,4 -19,93 1743,4 -17,85 184,0 -16,30 25,2 2,44 114,0 -18,95 44,3 -25,30
1931 10.470 -1,87 510,4 -5,03 1409,3 -19,16 153,4 -16,63 28,4 12,70 99,8 -12,47 39,4 -11,06 ""i:!
~
1932 10.590 1,15 460,8 - 9, 72 1396,2 -0,93 169,1 10,22 29,7 4,58 100,8 0,98 35,1 -10,91 )}
1933 11.650 10,01 518,3 12,47 1771,1 26,86 190,8 12,85 28,8 -3,03 117,3 16,46 30,1 -14,25 .t
1934 12.600 8,15 529,3 2,12 1849,8 4,44 173,1 -9,29 26,7 -7,29 112,3 -4,32 25,5 -15,28
~
c;·
1935 13.800 9,52 633,4 19,67 2209,2 19,43 171,2 -1,07 15,9 -40,45 119,1 6,13 24,5 -3,92
~
1936 13.648 -1,10 761,6 20,24 2024,6 -8,36 140,4 -18,01 6,9 -56,60 106,8 -10,33 24,5 o <l>
1937 15.430 13,06 801,2 5,20 2086,9 3,08 187,3 33,41 20,5 197,10 130,9 22,52 46,3 88,98
1938 15.544 0,74 863,5 7,78 2322,9 11,31 178,4 -4,72 19,8 -3,41 135,4 3,46 42,7 -7,78
1939 18.417 18,48 1005,1 16,39 2283,4 -1,70 192,1 7,67 n.d. n.d. 140,5 3,77 n.d. n.d. ......
1940 19.430 5,50 1061,9 5,65 2257,8 1,12 177,6 -7,59 n.d. n.d. 144,8 3,02 n.d. n.d. o
-...!
• Capanna e Messori, op. cit.
FONTE: Rey, op. cit.
108 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
dei servizi si mantenne relativamente stabile tra il1926 e il1932
(tab. 2). Al contrario, i maggiori cambiamenti interessarono le
industrie pesanti e quelle leggere. Le prime passarono dal48, 7 al
53,2 per cento del totale del capitale delle società per azioni; la
quota delle leggere si contrasse invece dal20,3 al15 ,l per cento.
Per le valutazioni che seguiranno è importante notare che questi
cambiamenti si verificarono per lo più tra la fine dell928 e quel-
la del1932. Inoltre, va notato che il grado di leverage si ridusse
nel periodo. Tra la fine del1928 e quella del1932, nell'industria
leggera la somma di capitale sociale e riserve passò dal 56 al 63
per cento delle passività finanziarie lorde, mentre, specularmen-
te, si contrasse dal 42 al 32 per cento il peso dei debiti diversi,
soprattutto bancari34 • Gli andamenti che si riscontrano per il to-
tale delle società industriali sono qualitativamente analoghi ma
assai meno intensi in termini quantitativi: la somma di capitale e
riserve passa dal 54 al 57 per cento e i debiti diversi scendono dal
40 al 35 per cento.
Sempre con riferimento alle variabili reali è opportuno ri-
chiamare altri tre fenomeni rilevanti per le argomentazioni svol-
te di seguito. Il primo riguarda l'andamento delle cessazioni del-
l' attività da parte delle società per azioni e dell'aumento della
loro compagine. In termini di numero, il tasso di uscita - le
cessazioni intervenute nell'anno sul totale delle società in essere
alla fine dell'anno precedente - passò da valori attorno al 5 per
cento tra ill924 e il1929 a percentuali comunque superiori al6,
che toccarono un punto di massimo (10,7 per cento) nel 1935
(tab. 3). Si ebbe un significativo incremento anche in termini di
ammontare del capitale delle società cessate: esso passò da valori
dell'ordine del2-3 per cento fino al1929 a valori intorno al4 per
cento nell930-32, per giungere al massimo del 7 per cento nel
1934. Anche il numero e il capitale delle società esistenti subi-
rono rilevanti decelerazioni o accusarono decrementi a partire
dal 1930. Inoltre il numero dei fallimenti ordinari dichiarati 35
34 Dalle statistiche Associazione fra le Società Italiane per Azioni, Società
italiane per azioni: notizie statistiche, Roma, anni vari, si sono ricostruite le pas-
sività finanziarie totali delle imprese come somma del capitale, delle riserve, delle
obbligazioni emesse e dei debiti diversi.
35 Un fallimento veniva classificato «ordinario» o «minore» a seconda che il
volume di passività coinvolte fosse superiore o inferiore a una determinata soglia.
Nel periodo considerato, la soglia era pari a 5000 lire fino ad agosto 1930; dal
settembre venne elevata a 20.000 lire.
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 109
Tab. 2. -Le società italiane per azioni ripartite secondo le categorie econo-
miche
Numero società Capitale nominale
Categorie Valori
Valori
Pere. assoluti Pere.
assoluti
(in milioni)
Società finanziarie
1926 2696 22,22 8347 20,65
1927 2995 22,69 8557 20,25
1928 3326 22,77 9576 21,30
1929 3682 22,77 10.937 22,05
1930 3953 22,74 11.432 21,87
1931 4043 22,82 11.039 21,71
1932 4239 22,89 10.436 21,04
1932* 4299 26,41 12.321 24,82
1933* 4541 26,14 12.553 26,27
1934* 4863 25,96 10.836 24,45
1935* 5235 27,23 10.074 22,85
Industrie pesanti
1926 3925 32,35 19.665 48,66
1927 4217 31,94 20.702 49,00
1928 4488 30,72 21.752 48,39
1929 4801 29,69 24.340 49,08
1930 5028 28,92 26.024 49,78
1931 5097 28,77 26.423 51,96
1932 5303 28,64 26.404 53,23
1932* 4293 26,37 26.859 54,10
1933* 4505 25,93 25.246 52,84
1934* 4785 25,54 23.954 54,05
1935* 4792 24,92 24.449 55,45
Industrie leggere
1926 2666 21,97 8207 20,31
1927 2816 21,33 8443 19,98
1928 3154 21,59 8818 19,62
1929 3451 21,34 9060 18,27
1930 3681 21,17 9174 17,55
1931 3760 21,22 7860 15,46
1932 3921 21,17 7482 15,08
1932* 3404 20,91 6576 13,24
1933* 3656 21,04 6390 13,37
1934* 3949 21,08 6123 13,82
1935* 3968 20,64 6274 14,23
110 Ricercbe per la storia della Banca d 'Italia v
Numero società Capitale nominale
Categorie Valori
Valori
Pere. assoluti Pere.
assoluti
(in milioni)
Edili e mat. edili
1926 934 7,70 1789 4,43
1927 998 7,56 1905 4,51
1928 1109 7,59 2040 4,54
1929 1264 7,82 2341 4,72
1930 1357 7,81 2507 4,80
1931 1350 7,62 2496 4,91
1932 1367 7,38 2409 4,86
1932* 984 6,05 1696 3,42
1933* 1036 5,96 1562 3,27
1934* 1123 5,99 1448 3,27
1935* 1121 5,83 1418 3,22
Servizi
1926 1913 15,77 2405 5,95
1927 2175 16,48 2646 6,26
1928 2532 17,33 2766 6,15
1929 2972 18,38 2918 5,88
1930 3365 19,36 3144 6,01
1931 3468 19,57 3035 5,97
1932 3688 19,92 2871 5,79
1932* 3297 20,26 2199 4,43
1933* 3637 20,93 2031 4,25
1934* 4015 21,43 1959 4,42
1935* 4112 21,39 1880 4,26
Totale Spa
1926 12.134 100,00 40.413 100,00
1927 13.201 100,00 42.253 100,00
1928 14.609 100,00 44.952 100,00
1929 16.170 100,00 49.596 100,00
1930 17.384 100,00 52.281 100,00
1931 17.718 100,00 50.853 100,00
1932 18.518 100,00 49.602 100,00
1932* 16.277 100,00 49.651 100,00
1933* 17.375 100,00 47.782 100,00
1934* 18.735 100,00 44.320 100,00
1935* 19.228 100,00 44.095 100,00
Le società finanziarie si comp01zgono di: Banche, finanziarie, assicurazioni, immobiliari. Le
industrie pesanti si compongono di: trasporti, estrattive, metallurgiche, meccaniche, autovei-
coli, elettriche, materiale elettrico, gomma, cartiere, grafiche, chimiche, acquedotti. Le indu-
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 111
strie leggere si compongono di: tessili, pellami, legnami, alimentari, società diverse. Le industrie
edili e dei materiali edili si compongono di: edilizie, calce e cementi, ceramiche vetri e laterizi.
Le industrie di servizi si compongono di: alberghi, sylos, commerciali.
(*) Per gli anni successivi al 1932 vi è un mutamento nella classificazione delle società. Si è
pertanto riportato un doppio 1932 da confrontare con il1935. Nella nuova classificazione:
Le società finanziarie si compongono di: banche, finanziarie, assicurazioni, immobiliari agri·
cole, immobiliari urbane. Le industrie pesanti si compongono di: navigazione, ferrovie, tram·
vie, autotrasporti~ trasporti vari, telefoni, miniere, marmi e pietre, metallurgiche, meccani-
che, autoveicoli, materiale elettrico, elettriche, carta, grafici, editori, giornali, acquedotti,
gas, chimiche, fibre tessili artificiali. Le industrie leggere si compongono di: seme bachi, seta
filatura, seta tessitura, cotone, lana, lino-canapa-juta, tessili varie, vetro, mugnai-Pastai-Pi-
latori, vini e liquori, abbigliamento, cappelli, concimi, oleifici, latte e derivati, zucchero,
birra-acque gassate-freddo, preparati alimentari e conserve, dolci, pesca, industrie varie, con-
cia, lavorazioni in cuoio, legnami, società diverse. Le industrie edili e dei materiali edili si
compongono di: edilizie, calce-cemento e gesso, laterizi, ceramiche. Le industrie dei servizi si
compongono di: alberghi, stabilimenti termali e idroclimatici, istituti di cura, teatri e cine-
matografi, istituti privati di educazione, commerciali.
FONTE: IsTAT, Annuario Statistico Italiatzo, Roma, anni vari.
crebbe costantemente tra il1927 e il1932; quello dei fallimenti
minori iniziati aumentò ancor di più fino al 1931 e la crescita
decelerò solo dal1932 (tab. 3). Last but not least, il numero dei
protesti cambiari iniziò a crescere vistosamente dal1929: nel so-
lo 1931 esso si incrementò del21,6 per cento (tab. 3).
Il secondo fenomeno concerne l'andamento dei profitti e del-
le perdite delle società per azioni. Il numero di società in perdita,
già aumentato nel biennio della stabilizzazione monetaria, tornò
a salire vistosamente a partire dal1930, toccando valori massimi
del 45 per cento nel 1931-32 e mantenendosi su valori storica-
mente elevati fino almeno all934 (tab. 4). È però rilevante an-
che il forte incremento del rapporto tra perdite e utili maturati
nell'esercizio: da valori sostanzialmente non superiori a un terzo
fino al 1929 si passò a una situazione ben diversa. Tra il1930 e
il19 33 l'ammontare delle perdite riportate fu dello stesso ordine
di grandezza di quello degli utili; anzi, nell932 le perdite supe-
rarono gli utili del21 per cento (tab. 4). I profitti delle società al
netto delle perdite dell'esercizio determinarono rendimenti del
capitale ben inferiori all'l per cento nell'intero quadriennio
1930-33; il rendimento fu del -l per cento nel1932 (tab. 4). In
termini relativi, le società industriali per azioni accusarono per-
dite maggiori e profittabilità più bassa rispetto al totale delle so-
cietà nel1930 e nel1932 (tab. 4).
Il terzo fatto che merita di essere sottolineato è l'andamento
del valore degli immobili. Sulla base dei dati disponibili, la ridu-
zione dell'indice dei prezzi dei fabbricati tra il1929 e il1934 fu
Tab. 3.- Cessazioni delle Società per azioni (capitale in milioni di lire) ......
......
N
Società esistenti Dichiarazioni di Piccoli Protesti
Società a fine anno fallimento ordinario fallimenti iniziati cambiari
cessate Ammon- Tasso di Tasso di Ammon- Tasso di Ammon- Tasso di Ammon- Tasso
t are uscita a crescita h tarec d crescita tarec d crescita tarec di crescita
A B % % % % %
1924 Numero 468 9.078 5,93 14,94 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
Capitale 586 28.418 2,49 20,81 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
1925 Numero 421 10.737 4,64 18,27 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
Capitale 441 36.481 1,55 28,37 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
!>:l
è;·
1926 Numero 564 12.134 5,25 13,01 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
~
;:,...
Capitale 749 40.413 2,05 10,78 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
"'
'"<:;
~
1927 Numero 623 13.201 5,13 8,79 10,63 n.d. 0,70 n.d. 796 n.d.
...,!:>"'
Capitale 680 42.254 1,68 4,56 n.d. n.d. n. d. n.d. n.d. n. d. è'
;:t
1928 Numero 760 14.609 5,76 10,67 11,20 5,30 1,15 64,85 785 -1,38 "')}
Capitale 1.323 44.932 3,13 6,34 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. ~
b::l
1929 Numero 859 16.170 5,88 10,69 11,48 2,51 1,43 24,28 898 14,39 "'~
~
Capitale 1.409 49.596 3,14 10,38 n.d. n.d. n.d. n.d. n. d. n.d. ~'>..
~
1930 Numero 1.020 17.384 6,31 7,51 12,20 6,26 3,59 151,61 1004 11,80 ~
Capitale 1.938 52.281 3,91 5,41 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
-<::::
1931 Numero 1.396 17.718 8,03 1,92 12,50 2,49 8,85 146,28 1221 21,61 0
Capitale 2.425 50.853 4,64 -2,73 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. ~
2i.
1932 Numero 1.207 16.277 6,81 -8,13 12,83 2,60 11,21 26,70 1189 -2,62 "'~
Capitale 2.104 49.651 4,14 -2,36 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. 4ì
"'èl
1933 Numero 1.106 17.375 6,79 6,75 9,95 -22,39 11,35 1,27 862 -27,50 ~
Cl
Capitale 1.445 47.782 2,91 -3,76 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
t-<
1934 Numero 1.047 18.733 6,03 7,82 7,74 -22,25 10,53 -7,27 809 -6,15
""'
~:
Capitale 3.347 44.320 7,00 -7,25 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
1935 Numero 2.006 19.228 10,71 2,64 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d.
~
.ì:l
Capitale 1.512 44.095 3,41 -0,51 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n. d. ;:;·
~·
1936 Numero 1.851 19.353 9,63 0,65 n.d. n.d. n. d. n.d. n. d. n.d. "'"'
Capitale 925 44.805 2,10 1,61 n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. ~
(}Q
i:l
• Definito come A(t)/B(t- 1).
b Definito come B(t)/B(t- 1).
"'~
c Dati in migliaia. Cfr. lSTAT, «Bollettino mensile di Statistica», Roma, anni vari.
d La soglia costituita dall'ammontare del passivo per i piccoli fallimenti è stata elevata da 5000 a 20000 lire nel settembre 1930, creando discontinuità
~
per entrambe le serie dei fallimenti. §
c;·
"'"'
FONTI: «Rivista di Politica economica», Informazioni economiche e finanziarie, Roma, anni vari; Associazione fra le Società Italiane per Azioni, op. cit.,
ove non altrimenti specificato.
......
......
""'
114 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
pari al34 per cento per le costruzioni vecchie e al29,8 per cento
per quelle nuove (tab. 5), una caduta ben superiore a quella dei
prezzi al consumo (- 24 per cento) e più vicina a quella segnata
dai prezzi all'ingrosso (- 35,1 per cento) o dal reddito nazionale
lordo pro capite (- 33,9 per cento).
4. Vi fu un «credit crunch»?
La letteratura sugli aspetti finanziari della grande depressio-
ne in Italia si è sinora concentrata, come abbiamo avuto modo di
rilevare sopra, sull'analisi della crisi delle banche miste e, dun-
que, dei legami tra la grande finanza e la grande industria. Le
banche miste erano ovviamente assai importanti nell'economia
italiana del tempo36, ma la crisi colpì anche gli altri intermediari
nonché molte imprese non finanziarie che non facevano parte
della grande industria. Se è vero che in Italia i fenomeni di corsa
ai depositi furono limitati e non si verificarono sospensioni del-
l'attività bancaria (bank holidays), è certo che vi furono molti
fallimenti e diffuse perdite in campo sia bancario sia commercia-
le e industriale. È dunque una questione aperta se questi sviluppi
peggiorarono in modo serio lo stato di fiducia dell'economia -
al di là dei commenti di parte reperibili nella pubblicistica del
tempo che minimizzava l'impatto della grande crisi in Italia, an-
che esaltando la superiorità dell'economia corporativa- in mo-
do da ingenerare un credit crunch 37 • In particolare, è possibile
che, pur in assenza di bank runs, i fenomeni di instabilità abbiano
ridotto la capacità di finanziamento del settore privato da parte
degli intermediari creditizi sia per effetto di un riorientamento
36 Nel 1929 esse amministravano il 16 per cento delle attività totali del si-
stema creditizio (cfr. tab. 10).
3 7 Per una concisa definizione di credit cruneh si può fare riferimento a quella
proposta da Council of Economie Advisers, Economie Repott o/ the President,
Government Printing Office, Washington 1992: «Un credit cnmch si verifica
quando l'offerta di credito viene ristretta al di sotto di quanto solitamente asso-
ciato ai tassi d'interesse di mercato e alla profittabilità dei progetti d'investi-
mento che risultano prevalenti».
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 115
Tab. 4. -Società per azioni in utile e in perdita (ammontari in milioni di lire).
a)Società per azioni
In utile In perdita
C/(A +C) D/B R.O.E." R.O.E.N.b
Numero Ammontare Numero Ammontare % % %
A B c D
Totale Società per azioni
1922 1808 1304 705 990 28,05 75,92 7,47 1,80
1923 1951 1568 729 319 27,20 20,34 8,22 6,54
1924 2347 2049 714 568 23,33 27,72 8,71 6,29
1925 2501 2856 689 285 21,60 9,98 9,73 8,76
1926 2673 3113 1016 523 27,54 16,80 9,18 7,63
1927 2370 2809 1490 992 38,60 35,32 7,61 4,92
1928 2648 3203 1243 895 31,95 27,94 8,19 5,90
1929 2836 3445 1322 930 31,79 27,00 7,92 5,79
1930 2480 2986 1696 2822 40,61 94,51 6,56 0,36
1931 2169 2225 1820 1951 45,63 87,69 5,17 0,64
1932 2055 1958 1711 2374 45,43 121,25 4,57 -0,97
1933 2179 2110 1499 1927 40,76 91,33 5,22 0,45
1934 2323 2113 1323 930 36,29 44,01 5,27 2,95
1935 2671 2414 1010 436 27,44 18,06 6,23 5,11
1936 2815 2805 904 251 24,31 8,95 7,30 6,64
Società industriali per azioni
1922 1307 929 477 735 26,74 79,12 8,08 1,69
1923 1415 1129 502 209 26,19 18,51 8,92 7,27
1924 1686 1442 506 441 23,08 30,58 9,03 6,27
1925 1915 2104 491 163 20,41 7,75 10,32 9,52
1926 1903 2287 750 404 28,27 17,67 9,67 7,96
1927 1693 2048 1091 723 39,19 35,30 7,87 5,09
1928 1928 2378 874 507 31,19 21,32 8,54 6,72
1929 2059 2551 924 692 30,98 27,13 8,30 6,05
1930 1831 2162 1187 2076 39,33 96,02 6,69 0,27
1931 1630 1601 1277 1343 43,93 83,89 5,23 0,84
1932 1581 1504 1216 1929 43,48 128,26 4,87 -1,38
1933 1698 1656 1042 1022 38,03 61,71 5,69 2,18
1934 1823 1789 948 565 34,21 31,58 5,99 4,10
1935 2106 2052 708 353 25,16 17,20 6,94 5,74
1936 2210 2398 643 166 22,54 6,92 7,82 7,28
• R.O.E. = (E/capitale)%
b R.O.E.N. = ((B- D)/capitale) %
FONTE: Associazione fra le Società Italiane per Azioni, op. cit.
= 100) ,__.
T ab. 5. -Alcuni indicatori sul mercato immobiliare (1927-34) (1927 ,_.
Ci'
Decremento %
1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934
1927-34 1929-34
Numero indice prezzi
dei fabbricati"
vecchie costruzioni
- grandi città 100 94 91 88 79 68 64 60 -40 -34,07
- altri capoluoghi 100 99 95 87 78 71 67 63 -37 -33,68
- in complesso 100 98 94 87 78 70 66 62 -38 -34,04
var.% su anno prec. n.d. -2 -4,1 -7,4 -10,3 -10,3 -5,7 -6,1
- nuove costruzioni :;.;:,
- grandi città 100 96 92 91 82 73 69 65 -35 -29,35 t;·
~
- altri capoluoghi 100 98 94 88 80 75 71 67 -33 -28,72 t'l
~
~
- in complesso 100 98 94 89 81 74 71 66 -34 -29,79
var. %su anno prec. n.d. -2 -4,1 -5,3 -9,0 -8,6 -4,1 -7,0 ~
~
Indice dei prezzi
al consumob 100 93 94 91 82 80 76 72 -28,39 -24,04 'C)"'
var.% su anno prec. -8,70 -7,2 1,6 -3,1 -9,7 -2,6 -5,8 -5,3 ìl·
1}
Indice dei P.rezzi t:
all'ingrossob 100 97 92 83 72 67 61 60 -40,11 -35,05 0:1
var. % su anno prec. -15,84 -3,4 -4,5 -10,5 -12,7 -6,6 -9,0 -2,2 "'2
~
RNL pro-capiteb 100 99 97 85 75 71 65 64 -35,68 -33,85
~>..
var.% su anno prec. -14,43 -1,4 -1,4 -12,2 -12,5 -4,8 -8,8 -0,9 ;;:<
"Cfr. «Rivista di Politica economica», Il Mercato Edilizio nell'ottemtio 1927·1934, Roma 1936, pp. 274-77.
"'
!t
bCfr. Rey, op.cit.
~
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 117
del risparmio che li sfavorì sia perché le banche38 sarebbero state
indotte ad atteggiamenti più cauti nella concessione del credito
alle imprese? E, in caso di risposta affermativa, si accrebbero
perciò i fenomeni di razionamento del credito, per di più in un
periodo in cui il valore nominale delle garanzie prestabili si ri-
duceva accentuando i noti effetti di deflazione da debito? 39
Indicazioni preliminari sull'andamento dei tassi d'interesse e
sulla composizione dei bilanci bancari paiono spingere a una ri-
sposta positiva. Si ampliò infatti nel periodo lo spread tra i ren-
dimenti all'emissione delle passività finanziarie delle imprese pri-
vate e quelli dei titoli pubblici; vi fu uno spostamento nei bilanci
bancari (non banche miste) verso impieghi meno rischiosi e l'in-
vestimento in titoli di Stato, o da esso garantiti; vi fu una ten-
denza all'ampliamento dei differenziali tra tassi bancari attivi e
passivi. Prima di calare questa analisi nei dettagli si esamineran-
no brevemente alcuni indicatori sui dissesti bancari.
Le fuoruscite bancarie dal mercato furono rilevanti nel pe-
riodo. Relativamente alle società ordinarie di credito, che nel
1929 detenevano il45 per cento delle attività complessive degli
intermediari operanti, il numero di società cessate passò da va-
lori inferiori al 7 per cento fino al1929 all'8, 7 nel1930, al12,3
nel1931, all'11,5 nel 1933 e all'11,8 nel1935 (tab. 6). Incre-
menti ancora maggiori si registrano considerando l'ammontare
del capitale delle banche cessate. Anche se le cessazioni non in-
dividuano necessariamente dei fallimenti, è pur vero che il loro
aumento costituisce una forte indicazione in tal senso. Nelle re-
lazioni annuali della Banca d'Italia 40 è riportato il numero delle
banche cessate (in liquidazione, fallite, oggetto di concordato
preventivo o di fusione) per alcuni anni del periodo in esame: si
passò da 125, 98 e 46 nel1928, 1929 e 1930, a 213 nel 1931;
dopo la flessione a 119 unità nel1932, il numero tornò a salire a
198 nel1933 e si collocò sulle 100 unità negli anni seguenti (tab.
38 Con l'ovvia eccezione delle banche miste avvinghiate alle imprese con-
trollate da quella che R. Mattioli, I problemi attuali del credito, in «Bancaria», 7,
1961, definl «mostruosa fratellanza siamese».
39 I. Fisher, The debt-deflation theory of Great Depression, in «Econometri-
ca», 1933, pp. 337-57.
40 Banca d'Italia, Relazione annuale, Roma, anni vari.
118 Ricerche per la storia della Banca d'Italia v
Tab. 6. - Cessazioni delle Società bancarie italiane per azioni (capitale in milioni di lire)
Aziende di credito ordinario Per memoria:
di cui:
Banche Tasso di Tasso di Capitale Totale
Banche fusioni
esistenti a uscita crescita medio banche
cessate autorizzate
fine anno A(t)/B(t- l) B(t)/B(t- l) per uscita cessate h
dalla Bib
A B % %
1924 Numero 17 416 4,66 13,97 n.d. n.d.
Capitale 42 3856 1,30 19,09 2,47 n.d. n.d.
1925 Numero 16 473 3,85 13,70 n.d. n. d.
Capitale 31 4780 0,80 23,96 1,94 n.d. n.d.
1926 Numero 30 505 6,34 6,77 n.d. n.d.
Capitale 42 5114 0,88 6,99 1,40 n.d. n.d.
1927 Numero 31 502 6,14 -0,59 n.d. 75
Capitale 160 5163 3,13 0,96 5,16 n.d. n.d.
1928 Numero 30 506 5,98 0,80 125 103
Capitale 106 5900 2,05 14,27 3,53 n.d. n.d.
1929 Numero 35 520 6,92 2,77 98 36
Capitale 137 6858 2,32 16,24 3,91 n.d. n.d.
1930 Numero 46 504 8,85 -3,08 46 23
Capitale 690 7010 10,06 2,22 15,00 n.d. n.d.
1931 Numero 62 457 12,30 -9,33 213 17
Capitale 768 6768 10,96 -3,45 12,39 n.d. n.d.
1932 Numero 44 428 9,63 -6,35 119 21
Capitale 679 7642 10,03 12,91 15,43 n.d. n.d.
1932 Numero• 15 296 n.d. n.d. 119 21
Capitale" 42 3231 n.d. n.d. 2,80 n.d. n.d.
1933 Numero 34 266 11,49 -10,14 198 14
Capitale 84 3140 2,60 -2,82 2,47 n.d. n.d.
1934 Numero 15 263 5,64 -1,13 102 3
Capitale 42 3079 1,34 -1,94 2,80 n. d. n. d.
1935 Numero 31 235 11,79 -10,65 99 13
Capitale 203 2880 6,59 -6,46 6,55 n.d. n.d.
1936 Numero n.d. 223 n.d. -5,11 114 14
Capitale n.d. 2734 n.d. -5,07 n.d. n.d. n.d.
• Non essendo possibile distinguere le società finanziarie da quelle bancarie, fino al 1932 incluso si fa rife-
rimento all'insieme dei due gruppi.
b Dati riportati in Banca d'Italia, op. cit.
FONTI: <<Rivista di Politica economica>>, Movimento annuale delle società italiane per azioni, Roma, anni vari;
Associazione fra le Società Italiane per Azioni, op.cit., e IsTAT, Annuario cit.
G. Ferri e P. Caro/alo La crisi finanziaria nella grande depressione 119
6). L'aumento nel numero delle cessazioni non è da ascrivere a
un incremento nelle fusioni bancarie nel frattempo autorizzate,
che anzi si ridussero. Per effetto del R.D. 10 febbraio 1927, n.
269, si ebbero molti fenomeni di concentrazione tra le casse di
risparmio e i monti di pietà che portarono il numero delle fusioni
per il complesso delle aziende di credito a 75 nel1927, a 103 nel
1928 e a 36 nel1929; successivamente le fusioni non superarono
mai la ventina all'anno. Rimane aperta la possibilità che alcune
aziende si siano poste in liquidazione per cedere la propria atti-
vità ad altre banche, operazione non identificata da una fusione.
Questa eventualità non è quantificabile, ma viste le dimensioni
del fenomeno delle cessazioni bancarie pare molto plausibile af-
fermare che, in realtà, forte fu l'aumento dei fallimenti bancari
nel periodo.
Tra le società ordinarie di credito non banche miste, la quota
dei depositi di quelle cessate nell'anno sul totale della raccolta
alla fine dell'esercizio precedente fu pari al 13,5 per cento nel
1930; il valore salì al16,8 per cento nel1931 per scendere al12
nel1932 e al5 nel1933. Nel frattempo, si registrò un significa-
tivo incremento anche nel numero delle società bancarie in per-
dita e nell'ammontare delle perdite stesse. Il primo valore sall
dall'8,3 per cento del1928 all'll,6 del1929 e si collocò sul18
per cento nel triennio 1930-33 (tab. 7). Nonostante che nel caso
delle banche vi siano buoni motivi - per ragioni di fiducia dei
depositanti - per ritenere che le perdite possano essere state
sottostimate più che presso altre società, nel19 30 il loro ammon-
tare fu pari ai tre quarti dell'utile della categoria. Il rendimento
del capitale - profitti al netto delle perdite della categoria -,
che si era riportato sul 10-11 per cento dopo la crisi del 1922,
toccò un minimo del 2 per cento nel 1930 e non si risolle-
vò al di sopra del 5 per cento negli anni successivi (tab. 7).
4.1. Gli andamenti dell'intermediazione nei bilanci bancari
L'evidenza sui dissesti bancari è coerente con la tesi che nella
grande depressione non si verificarono in Italia diffusi fenomeni
di corsa ai depositi. Tuttavia, anche in assenza di pienamente
sviluppati deposit runs vi furono chiari segnali di crescente disa-
gio nell'industria bancaria. Se i depositanti erano almeno in par-
T ab. 7. -Società bancarie per azioni in utile e in perdita (in milioni di lire) ......
N
o
In utile In perdita
C/(A +C) D/E R.O.E." R.O.E.N.b
Numero Ammontare Utile Numero Ammontare Perdita % % % %
A E unitario c D unitaria
1922 161 184 1,14 13 34 2,62 7,47 18,48 9,81 8,00
1923 165 214 1,30 13 13 l 7,30 6,07 9,64 9,05
1924 188 301 1,60 14 25 1,79 6,93 8,31 11,91 10,92
1925 198 359 1,81 10 5 0,50 4,81 1,39 11,92 11,75
1926 196 368 1,88 18 10 0,56 8,41 2,72 11,33 11,02
1927 190 367 1,93 21 29 1,38 9,95 7,90 11,03 10,16
?:l
1928 177 363 2,05 16 12 0,75 8,29 3,31 11,09 10,72 l=;•
1929 168 358 2,13 22 32 1,45 11,58 8,94 10,44 9,51 "';::,-.ti
1930 134 254 1,90 30 191 6,37 18,29 75,20 8,07 2,00 "'
~
1931 117 191 1,63 26 48 1,85 18,18 25,13 6,56 4,91 ..."'
!;;'"
1932 94 159 1,69 21 14 0,67 18,26 8,81 5,55 5,06
"'1:3"
1933 93 162 1,74 11 7 0,64 10,58 4,32 5,70 5,45 ~·
1934 90 87 0,97 10 4 0,40 10 4,60 3,13 2,98 ~
1935 86 107 1,24 7 5 0,71 7,53 4,67 4,07 3,88 ~
l:;:j
1936 87 127 1,46 6 7 1,17 6,45 5,51 5,09 4,81 1:1
:.
~
• R.O.E. = (E/capitale) % 1:1..
bR.O.E.N.= ((E-D)/capitale)%
~
~
FoNTE: Associazione fra le Società Italiane per Azioni, op. cit.
-::::
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 121
te a conoscenza dei problemi delle banche, queste sapevano di
trovarsi a fronteggiare un accresciuto rischio di subitanei, ampi
ritiri di depositi. Di conseguenza, poteva essere nell'interesse
delle banche stesse cercare di rendere più liquido l'attivo, in mo-
do da accrescere la capacità di far fronte ai ritiri e di mandare un
segnale di stabilità ai depositanti. Per fare ciò le banche dove-
vano restringere i prestiti al settore privato e, magari, investire
in titoli di Stato.
Interessanti indicazioni in questo senso si traggono da una
lettera diretta da Giuseppe Toeplitz, a capo della Banca com-
merciale italiana (Ber), al ministro delle Finanze Guido Jung al-
l'inizio di dicembre del1932. Nell'invocare l'intervento statale,
attraverso l'IMI, per lo smobilizzo del più ampio prestito in sof-
ferenza nel bilancio della Ber, Toeplitz scriveva:
La valutazione del mercato circa il rischio inerente ad un deposito
presso la Ber è indubbiamente influenzata dalla sensazione dell'imba-
razzo della banca, che il mercato ricava da molteplici segnali. li mancato
smobilizzo del credito verso Sofindit, mentre il mercato non ignora le
difficoltà patrimoniali ed il cattivo andamento di molte delle aziende
alle quali Sofindit è notoriamente interessata. 41
La situazione della Ber era tale da impedirle di inviare al mer-
cato segnali rassicuranti sulla sua liquidità in assenza dell'inter-
vento pubblico. Altri intermediari potevano tuttavia godere di
maggiori gradi di libertà nel perseguire un aggiustamento del pro-
prio attivo verso una maggiore liquidità. Esamineremo ora se
cambiamenti del genere si verificarono in pratica.
Per le casse di risparmio ordinarie si osserva un sensibile rio-
rientamento verso le attività più liquide o, comunque, più
garantite 42 • Tra il1929 e ill935, la quota dei titoli di Stato sul
totale dell'attivo delle casse passò dal 22,9 al 30,2 per cento;
l'analogo valore per il totale dei titoli in portafoglio sall dal24,9
al 34,6 per cento (tab. 8). Di conseguenza, il peso dei prestiti in
41 Carteggio citato in G. Rodano, Il credito all'economia: Raffaele Mattioli
alla Banca Commerciale Italiana, Ricciardi, Napoli 1983, p. 61.
42 L'accesso ai bilanci delle casse di risparmio ordinarie e delle società ordi-
narie di credito, riclassificati a cura dell'Ufficio Ricerche Storiche della Banca
d'Italia, consente ora di approfondire l'analisi sugli andamenti dei bilanci di que-
ste categorie sulla base di dati più affidabili che in passato.
122 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
bilancio scese vistosamente dal 49,4 al 38,8 per cento e il rap-
porto impieghi-depositi passò dal 58,9 al 45,6 per cento.
Questi non furono tuttavia gli unici cambiamenti significa-
tivi. E forse ancor più importante notare che all'interno dei pre-
stiti alla clientela si ebbe una cospicua ricomposizione a vantag-
gio delle forme contrattuali più garantite (prestiti alla pubblica
amministrazione o finanziamenti garantiti da ipoteca) la cui quo-
ta in bilancio, in controtendenza, salì di circa un punto percen-
tuale. Va da sé che la contrazione dei prestiti è interamente ad-
debitabile alle altre forme d'impiego, quali le anticipazioni in
conto corrente, gli sconti e le sovvenzioni cambiari, i mutui e i
conti correnti chirografari a privati, vale a dire le forme con cui
venivano precipuamente finanziati i privati4 3.
Anche per le società ordinarie di credito non banche miste,
tra il1929 e ill935, si riscontra una riduzione dei prestiti ma di
entità più limitata: il rapporto impieghi-depositi scese dal 64 al
58,7 per cento, se misurato su un aggregato che sovrastima i de-
positi della clientela, o dal147,9 al96,4 per cento, se misurato su
un aggregato che li sottostima44 ; in rapporto alle attività com-
plessive, i prestiti scesero dal47,6 al42,4 per cento (tab. 9). Al
tempo stesso, in rapporto all'attivo i titoli e le attività liquide
(titoli, cassa e attività interbancarie a vista) salirono rispettiva-
mente dal 14,3 al 22,3 per cento e dal22,5 al29,6 per cento.
Nonostante che i mutui fossero una forma tecnica inconsueta per
i finanziamenti delle società ordinarie di credito, anche per que-
sti intermediari la quota dei mutui in bilancio mostrò una ten-
denza crescente nel periodo.
Sul problema della deflazione da debito è ora opportuno
osservare che la forte riduzione nel valore degli immobili (tab.
5) poteva rendere ancor più difficoltoso l'indebitamente per le
imprese in un momento nel quale gli intermediari si andava-
4>Marinelli-Faucci, op. cit.
44Mentre non sussistono grandi problemi nella definizione degli impieghi
(mutui, portafoglio, conti correnti attivi, riporti attivi e credito agrario) non è
vero altrettanto per i depositi. Infatti, i depositi fiduciari sono certamente pas-
sività che le banche intrattengono con la sola clientela ordinaria ma sui conti
correnti di corrispondenza passivi sarebbero registrate oltre a passività interban-
carie - come sì penserebbe sulla base delle modalità contabili attuali - anche
passività verso la clientela. I depositi veramente della clientela sono dunque qual-
cosa di intermedio.
Tab. 8. - Composizione dell'attivo delle casse di rispatmio ordinarie (valori percentuali) 0
~
1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 ~.
1929-35
26,36 24,48 22,90 21,77 21,81 23,92 26,82 30,16 32,55 7,26
"'~
Titoli di Stato 28,55
Totale titoli 27,85 26,30 24,91 23,91 24,54 27,13 31,01 33,04 34,63 37,71 9,71 ~
è!
';}>
Intercred. attivo 8,19 8,92 6,89 9,84 11,73 10,34 8,92 9,61 7,17 7,69 0,28 13"
Intercred. e titoli 37,19 36,51 33,19 35,28 37,57 38,74 41,14 44,24 42,98 46,87 9,79 t'
Prestiti più garantiti 28,08 27,28 28,46 29,11 29,42 29,39 29,64 29,80 29,65 30,64 1,19 "~:
Prestiti più garantiti" 25,16 23,86 24,72 25,49 25,53 24,99 25,20 24,93 25,81 26,10 1,10 ~
~
Prestiti meno garantiti 21,78 20,02 20,93 17,73 15,18 12,82 10,71 12,86 9,15 7,87 -11,77 "'ii;•
~
Prestiti meno garantiti" 24,70 23,44 24,67 21,36 19,08 17,21 15,15 17,73 12,99 12,41 -11,68 ìil·
~
Totale prestiti 49,86 47,30 49,38 46,84 44,60 42,20 40,35 42,66 38,80 38,51 -10,58 "'
i?
Per memoria: ""';;;
~
Totale attivo (miliardi) 17,45 19,28 20,31 21,54 22,33 23,41 24,09 24,03 23,71 22,49 1}
" Sulle operazioni a speciali condizioni ex statuto non si hanno informazioni adeguate per poterne determinare l'assegnazione all'aggregato dei prestiti
t
più o meno garantiti. Pertanto si presentano le due ipotesi alternative, che producono comunque andamenti qualitativamente analoghi. ~
c;·
~
FoNTE: Elaborazioni su dati dell'Ufficio Ricerche Storiche della Banca d'Italia.
"'
.....
N
'-'>
Tab. 9. - Composizione del bilancio delle società ordinarie di credito al netto di Comit, Credit'e Banco di Roma (valori ......
N
percentuali) -!>-
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1929-35
T o tale titoli 14,29 14,55 14,52 14,09 19,40 20,78 22,26 19,86 7,97
Liquidità e titoli" 22,53 22,00 24,37 23,41 28,37 28,16 29,59 28,66 7,06
Prestiti più garantitib 0,27 0,31 0,49 1,22 0,71 0,81 0,96 0,68 0,69
Totale prestiti 47,58 45,84 45,32 45,82 44,02 43,63 42,43 43,86 -5,15
Per memoria:
rapporto
impieghi/depositic :;:.:,
~-
· Depositi ristretti 147,86 124,43 118,57 118,13 108,21 100,46 96,38 94,84 -51,48 (:!
~
- Depositi ampi 64,04 59,83 61,54 63,17 60,29 59,45 58,66 58,55 -5,38
~
!;;'"
• Nella liquidità sono inclusi: cassa e somme a vista presso altri istituti.
b Trattasi dei mutui, che però non è possibile scomporre tra privati e pubblica amministrazione né tra chirografari e ipotecari. "'Cl"
c I depositi ristretti sono dati dai soli depositi fiduciari. Quelli ampi includono, oltre ai depositi fiduciari, anche i conti correnti di corrispondenza passivi, i!·
che non è possibile scomporre tra clientela ordinaria e banche.
~
~
r
FONTE: Elaborazioni su dati dell'Ufficio Ricerche Storiche della Banca d'Italia.
;:,..
;;<
"'~
-<:::
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 125
no spostando verso forme contrattuali più garantite di finanzia-
mento.
Gli effetti reali dell'accresciuta cautela bancaria nell'erogare
credito venivano inoltre acuiti dall'esaurirsi di fonti alternative
di approvvigionamento di fondi esterne all'impresa nel paese-
direttamente in borsa o sul mercato obbligazionario, in seguito
alla prolungata caduta dei corsi, e sui mercati esteri. Inoltre le
ridotte capacità di autofinanziamento potevano spingere verso
l'indebitamento bancario anche imprese precedentemente non
affidate: effetti reali sarebbero derivati in questo caso dall'esi-
stenza di costi di aggiustamento a seguito delle imperfezioni in-
formative nel mercato del credito4 5.
4.2. L'evoluzione dei tassi d'interesse
Le informazioni disponibili sui tassi d'interesse sono meno
dettagliate rispetto a quelle sulla composizione dei bilanci. Se ne
traggono comunque indicazioni di rilievo.
In primo luogo è importante cercare di stabilire cosa accadde
allo spread tra rendimenti delle passività emesse sul mercato dagli
altri operatori e dallo Stato. Come si è avuto modo di richiamare
(par. l) l'ampliamento di questo divario costituisce un indicatore
assai importante nell'ambito di spiegazioni delle crisi finanziarie
che si basano sulle imperfezioni informative dei mercati46 • In
45 Bernanke, op. cit., p. 264, considera solo i costi di aggiustamento che si
avrebbero per le imprese costrette a uscire dal debito bancario e a ricercare fi-
nanziamenti sui mercati, in quanto questi imporrebbero costi più elevati nell'ef-
fettuare la valutazione del merito di credito in presenza di molti nuovi entranti:
«The rapid switch away from the banks (given the banks' accumulated expertise,
information, and customer relationships) no doubt impaired financial efficiency
and raised the Ccr [cost of credit intermediation]». Viceversa, anche i costi di
aggiustamento finanziari per le imprese che passano dal solo autofinanziamento
a domandare credito bancario potevano essere rilevanti per un'economia, quale
quella italiana del tempo, con un tasso di intermediazione che, seppur in crescita,
si collocava ancora al di sotto dei valori osservati nei paesi sviluppati (Le strutture
finanziarie: aspetti qualitativi di lungo periodo (1870-1970), in P. Ciocca, Interesse
e profitto, il Mulino, Bologna 1982).
46 Il riferimento più naturale è a Bernanke, op. cit. e a F.S. Mishkin,
Asymmetric Information and Financial Crises: a Historical Perspective, National Bu-
reau of Economie Research, 1990, Working Paper n. 3400. Recenti sviluppi ana-
litici (cfr. ad esempio, B.M. Friedman e K.N. Kuttner, Why Does the Paper-Bill
Spread Predict Rea/ Economie Activity?, National Bureau of Economie Research,
1991, Working Paper n. 3879) individuano un nesso tra cambiamenti nello
126 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Italia, in questo periodo, è difficile trovare serie storiche ade-
guate all'uopo. Sulla base di due pubblicazioni del1934 47 è stato
possibile ricostruire una serie dei rendimenti all'emissione su cir-
ca 180 emissioni obbligazionarie realizzate tra il1927 e il1934.
Si tratta di passività, quotate e non quotate, emesse da società
industriali, di pubblica utilità ma anche da amministrazioni ed
enti pubblici locali nonché da due istituti di credito speciale: il
Crediop e l'Icipu. Mettendo a raffronto questi rendimenti con
quelli all'emissione dei Buoni del Tesoro novennali 48 è possibile
avere una misura dello spread solo per alcuni anni, dal momento
che i buoni novennali non venivano emessi in ognuno degli anni
considerati. Sulla base delle osservazioni disponibili si nota un
ampliamento del divario in questione di mezzo punto tra il 1927
e il 1932 e di altri tre decimi nel 1934; andamento analogo si
riscontra per il differenziale tra rendimenti all'emissione delle
sole obbligazioni industriali private quotate e quelli sui Buoni
novennali: esso cresce di quasi mezzo punto tra il1927 e ill931-
32 e di altri sette decimi nel1934 (fig. 1). L'esiguità del valore
assoluto del differenziale non deve stupire: il dato del1927 scon-
ta la naturale ripulsa degli investitori verso i titoli pubblici ita-
liani nel periodo immediatamente successivo al consolidamento
del debito. Inoltre, le obbligazioni non emesse dallo Stato ave-
vano normalmente una scadenza all'emissione compresa tra i 25
e i 50 anni. Essendo nel periodo i tassi a lunga più bassi di quelli
a breve lo spread dà un'indicazione del premio al rischio sulle
emissioni private solo nelle variazioni e non nei livelli.
Un secondo aspetto di rilievo che potrebbe indicare le diffi-
coltà da parte dei privati di accedere al debito obbligazionario si
ritrova nel forte mutamento, nel corso della crisi, della compo-
sizione degli emittenti. La quota delle emissioni facenti capo a
soggetti dell'area pubblica (comuni, province, enti locali, C re-
diop e Icipu) crebbe vertiginosamente nel periodo: da valori in-
spread e andamento dell'economia UsA anche al di fuori dei periodi di crisi fi.
nanziaria.
47 Banca commerciale italiana, Titoli a reddito fisso, Milano 1934, e F. Ca-
vigioli, Manuale dei valori italiani a reddito fisso, Arte grafica ambrosiana, Milano
1934.
48 I rendimenti sono stati ricostruiti da G. Felicetti, Le emissioni di titoli
pubblici nel periodo 1918-1939, in Ricerche per la storia della Bat~ca d'Italia, «Col-
lana storica della Banca d'Italia», vol. II, Laterza, Roma-Bari 1993.
G. Ferri e P. Gara/alo La crisi finanziaria nella grande depressione 127
feriori al 20 per cento nel 1929-30, tale quota passò al 31 per
cento nel1931, al 51 nel1932 e, nel1933, superò 1'80 per cento.
L'analisi dei tassi d'interesse disponibili per le casse di ri-
sparmio ordinarie fornisce ulteriori indicazioni, che non sono pe-
rò di facile interpretazione.
Il differenziale tra tassi netti d'imposta sui conti correnti
cambiari e sui mutui ipotecari si ridusse tra il1927 e il1930 da
1,3 a 0,3 punti, tornò a crescere nel1931-32, si ridusse nuova-
mente sui valori minimi del periodo nel1933-34 e si attestò a 0,7
punti nel biennio successivo (fig. 2). La riduzione del differen-
ziale dai valori medi del biennio pre-crisi a quelli medi del1930-
1934 potrebbe sembrare in contrasto con l'interpretazione che
gli intermediari stavano allontanandosi dai prestiti più rischiosi.
Si potrebbe infatti obiettare che gli intermediari, per limitare la
domanda di finanziamenti di forma meno garantita (è questo il
caso dei conti correnti cambiari), avrebbero dovuto ampliare e
non ridurre lo spread tra i tassi richiesti su queste forme di fi-
nanziamento e quelli praticati sui mutui ipotecari.
In realtà il problema della relazione tra i due tassi considerati
e col rischio di credito è più complesso. Da un canto, stiamo
confrontando operazioni che differiscono non solo nelle garanzie
accessorie al finanziamento ma anche nella sua durata: il diffe-
renziale in questione riflette perciò in qualche misura anche i
cambiamenti nella relazione tra tassi a breve e a lungo termine.
D'altro canto, si debbono tornare a considerare le implicazioni
delle asimmetrie informative sul comportamento degli interme-
diari nella crisi. Se, secondo la banca, in seguito alla crisi è cre-
sciuta la probabilità di incontrare un debitore cattivo (selezione
avversa) ed essa si adopera per ridurre tale eventualità è verosi-
mile che ricorra al razionamento della quantità piuttosto che al-
l'innalzamento del tasso. Alzando i tassi sulle operazioni meno
garantite essa potrebbe sì ridurre la relativa domanda ma al costo
di attrarre una maggiore quota di debitori cattivi. Se la banca
attua dunque un razionamento delle operazioni meno garantite
- magari riservandole solo ai clienti con i quali intrattiene rap-
porti d'affari da lungo periodo e sa essere buoni debitori - men-
tre non effettua lo stesso razionamento nell'erogazione dei mutui
ipotecari - che abbiamo notato in espansione - allora il diffe-
renziale tra i due tassi non offre più indicazioni corrette sul va-
lore implicito che la banca attribuisce alla disponibilità della ga-
128 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Fig. l. - Differenziali di rendimento rispetto ai BTP novennali (rendimenti
lordi all'emissione-punti percentuali).
1.2
0.8
0.6
0.4
0.2
o
-0.2
-0.4
1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934
11!1111111 sulle obbligazioni private industriali quotate
ll!i!!l su tutte le obbligazioni tranne quelle emesse dallo Stato
Fig. 2. - Tassi d'interesse netti delle casse di risparmio (punti percen-
tuali).
1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936
11!1111111 differenziale (scala destra) - cfc cambiari (scala sinistra) ·••••• mU1ui ipotecari (scala sinistra)
G. Ferri e P. Gara/alo La crisi finanziaria nella grande depressione 129
Fig. 3. -Tassi d'interesse netti delle casse di risparmio (punti percen-
tuali).
8 r--------------------------, 4.4
1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1938
m differenziale (scala destra) ...... mutui ipotecari (scala sinistra) - depositi in c/c (scala sinistra)
ranzia reale rispetto al caso di finanziamento meno garantito. È
questo il motivo fondamentale per il quale, come osserva anche
Bernanke49 , gli spreads tra tassi bancari possono risultare fuor-
vianti ed è opportuno misurare la percezione del rischio di cre-
dito su altri mercati, quali quello obbligazionario, come si è ope-
rato sopra.
Con questo caveat ben presente si può nondimeno procedere
all'analisi degli altri tassi d'interesse delle casse di risparmio. Il
differenziale, al netto d'imposta, tra il tasso medio applicato sui
mutui ipotecari - l'unica forma di prestito che si andava espan-
dendo nel periodo presso le casse - e la remunerazione media
dei conti correnti si ampliò dai .3,4 punti nel 1929 fino a rag-
giungere i 4 punti nel19.35 (fig . .3). Se fosse legittimo ipotizzare
immutate le condizioni concorrenziali nella raccolta, se ne po-
trebbe desumere che anche i tassi d'interesse sulle forme di fi-
nanziamento più garantite - i mutui ipotecari - incorporavano
un premio al rischio crescente. V a tuttavia rilevato che la forma
di raccolta che nel periodo le casse espansero di più fu quella dei
depositi a risparmio - anche per limitare la trasformazione delle
49 Bernanke, op. cit.
130 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Fig. 4. - Tassi d'interesse netti delle casse di risparmio (punti percen-
tuali).
4.----------------------------------------------.
1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936
lillll dìfferenziale {scala destra) ..... depositi a rispannio (scala sinistra) - depositi in c/c (scala sinistra)
scadenze tra passivo e attivo - tanto che lo spread, al netto della
fiscalità, tra la loro remunerazione e quella dei conti correnti,
praticamente assente in precedenza, crebbe sensibilmente dal
1931 per sfiorare i 7 decimi di punto nel1935 (fig. 4). Di con-
seguenza, il differenziale di tasso, al netto d'imposta, tra mutui
ipotecari e depositi a risparmio non presentò andamenti univoci:
si osserva un lieve innalzamento nel biennio 1930-31 che però
rientrò successivamente.
4.3. Approfondimenti documentali sul mutamento nelle scelte di
prestito degli intermediari
Si è sin qui mostrato che l'ipotesi del credit crunch risulta
coerente con gli sviluppi osservati nelle dinamiche settoriali del
prodotto e della struttura finanziaria industriali, con l' evoluzio-
ne dei bilanci bancari e con l'andamento dei tassi d'interesse.
L'argomentazione sarebbe tuttavia rafforzata se evidenze docu-
mentali testimoniassero che la restrizione creditizia venne in-
trapresa quale scelta deliberata da parte degli intermediari. Vari
documenti rintracciati con riferimento alla categoria delle casse
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 131
di risparmio ordinarie o a talune di esse, ad alcune società or-
dinarie di credito, nonché a una banca di diritto pubblico, paio-
no confortare l'interpretazione sinora proposta. Di seguito si
fa riferimento alle più significative tra queste evidenze docu-
mentali.
Una prima conferma della volontà da parte degli intermediari
di rendersi più liquidi si desume dal rapporto al III Congresso
internazionale del risparmio 50 , che propone un'analisi retrospet-
tiva sul periodo 1930-33: il rapporto indica che le casse italiane
seppero reagire alle mutate circostanze
con evidenza maggiore dei precedenti periodi di depressione[. .. ]. L'af-
flusso notevole dei depositi, specialmente nella prima parte del periodo,
il pericolo di possibili run dei depositanti, la difficoltà di buoni e sicuri
investimenti a breve termine, la imprescindibile necessità di appoggiare
finanziariamente il vasto programma di opere pubbliche, condussero le
Amministrazioni delle Casse a rafforzare la situazione di liquidità, a
dilatare gli impieghi in titoli dello Stato, in sconto di annualità gover-
native o in obbligazioni di Enti vari, cosicché, alla sicurezza di poter far
fronte ad improvvise richieste di rimborsi, si poté accompagnare il rag-
giungimento di utili che permisero un rafforzamento della massa di ri-
spetto e la possibilità di fare larghe elargizioni alle opere di assistenza,
beneficenza e pubblica utilità. 51
Più avanti il rapporto analizza i bilanci delle casse sostenendo
che «le disponibilità in cassa o presso altri istituti si accrebbero
nei momenti più critici», per concludere poi che «il canone della
liquidità è stato rispettato nei limiti che i tempi consigliavano»5 2 •
Secondo il rapporto, gli investimenti in titoli passarono, nel pe-
riodo 1930-33, dal 31,14 al 40,74 per cento del complesso dei
depositi e patrimoni53 : «La contrazione degli affari, caratteristi-
ca di tutti i periodi di crisi, si riflette anche nella riduzione dei
riporti, delle anticipazioni e delle aperture di credito in conto
50 G. Fenoglio, Le Casse di Risparmio italiane e le crisi, rapporto al III Con-
gresso internazionale del risparmio, Parigi, 20-25 maggio 1935.
51 lvi, p. 121.
52 I vi, p. 122.
53 I titoli comprendevano, oltre a consolidato e Buoni del Tesoro, anche
tutte le obbligazioni degli enti finanziari parastatali e degli enti locali che pote-
vano essere rese liquide in caso di necessità essendo accettate dalla Banca d'Italia
per l'anticipazione.
132 Ricerche per kl storia de lUI Banca d'Italia V
corrente»5 4 che, nel periodo 1930-33, diminuirono dal5,08 per
cento al 3,47 per cento del complesso dei depositi e patrimoni.
Subì una diminuzione anche il portafoglio effetti (dal 15,70
all'8,27 per cento). «Ma anche i crediti ipotecari allettati dalle
facilitazioni possibili agli Istituti di credito fondiario e dal rag-
giungimento della pari delle cartelle»55 segnarono una riduzione
dall'11,69 al 9,62 per cento del complesso dei depositi e patri-
moni.
Il rapporto prosegue analizzando le due maggiori casse: quel-
la delle provincie lombarde e quella di Torino. Al proposito, si
afferma che «per fronteggiare il pericolo di improvvise domande
di rimborsi, vennero rafforzate, in entrambi gli Istituti, le dispo-
nibilità di cassa, che raggiunsero per la Cassa di Risparmio delle
Provincie Lombarde un massimo del12,49 per cento dei depositi
e patrimoni nel1932 e per la Cassa di Risparmio di Torino del
14,88 per cento nello stesso anno» 56 • Nel periodo 1930-33, i ti-
toli aumentarono dal27 ,54 al46,84 per cento per la Cariplo e dal
35,71 al49,57 per cento per la cassa di Torino. Diminuirono i
riporti, le anticipazioni, le aperture di credito,
per ridursi, specialmente per la Cassa di Risparmio di Torino, a cifre
quasi evanescenti [. .. ]. Diminuirono anche i crediti ipotecari e il porta-
foglio, mentre i crediti chirografari si mantennero percentualmente qua-
si inalterati, essendo i mutui dei grandi Comuni stati trasformati in de-
biti obbligazionari, parallelamente al crescere dei mutui alle Provincie e
ai Comuni minori. La situazione di liquidità, che in tempi così difficili
doveva rappresentare la maggior preoccupazione delle Amministrazio-
ni, venne rafforzata presso i due massimi Istituti, e specialmente presso
quello torinese, il quale sapeva di dover fronteggiare in caso di bisogno
non soltanto le richieste della propria clientela, ma per i due terzi le
richieste dei depositanti delle Casse federate, il cui andamento era in
condizioni di seguire meno da vicino.57
Una conferma di tutto ciò viene anche dalla pubblicazione
della Cariplo che descrive l'attività della banca nel cinquanten-
54 Fenoglio, op. cit., p. 124.
55 Ibid.
56 Ibid.
57 I vi, p. 126.
G. Feni e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 133
nio 1923-1972 58 • Dal punto di vista quantitativo vi si affer-
ma che
rapportato al volume totale delle attività di bilancio dell'Istituto al netto
delle poste d'ordine, il complesso dei prestiti a breve passò dall'11,6 per
cento nel1923 al 18,6 nel1929. Quest'ultimo valore rappresentò il li-
vello massimo raggiunto nel periodo 1923-1939 e dopo ill929 cominciò
a scendere precipitosamente fino a toccare il 3,5 per cento nel 1936,
stabilizzandosi in seguito a livelli molto bassi.
Dal punto di vista delle strategie perseguite dalla Cariplo, vi
si osserva che
la grande crisi del1929-1932 colpì quindi inevitabilmente anche l'atti-
vità bancaria della Cassa. Le perdite registrate in tale occasione, la grave
crisi industriale e quindi i rischi anormali e ritenuti non consoni all'at-
tività di una cassa di risparmio preoccupata, innanzi tutto, della tutela
dei propri depositanti, hanno infatti sconsigliato l'ampliamento dell' at-
tività creditizia ordinaria, la quale diventa pressoché trascurabile nel-
l'economia dell'Istituto.59
Più avanti si esplicita che
i prestiti concessi dalla Cassa nell'intervallo considerato non sono ne-
cessariamente rappresentativi della domanda di credito. [... ] il volume
delle concessioni creditizie può infatti essere variato non solo perché la
domanda relativa si è modificata, ma anche in seguito ad autonome de-
cisioni dell'Amministrazione per raggiungere, ad esempio, una diversa
composizione del portafoglio dell'Istituto, in considerazione soprattut-
to del rendimento e del rischio delle diverse possibilità d'investimento
esistenti nel mercato6o.
Sempre a giudizio del lavoro in questione, la possibilità che ci
sia stata la volontà di raggiungere una diversa composizione del
portafoglio viene confermata dai dati: «Dal1929 al1934, i titoli
di proprietà delle Casse di Risparmio italiane raggiunsero di nuo-
vo livelli intorno al41 per cento, con una parallela riduzione delle
58 Cariplo, La Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde nel cinquantennio
1923-1972, vol. I, Giuffrè, Milano 1973.
59 I vi, p. 941.
60 Ivi, p. 944.
134 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
operazioni attive in favore del settore produttivo privato, colpito
dalla grande crisi allora in atto in tutti i Paesi industrializzati»61 .
Per quanto riguarda i prestiti a medio e a lungo termine, dopo aver
osservato il loro maggior peso rispetto a quelli a breve termine
nell'attività della Cassa in tutto il periodo 1923-39, si afferma che
«dopo il1931 e sino al1939, si verifica un costante regresso (in
parallelo con un andamento opposto del portafoglio titoli, ed an-
che, nel frattempo, dei prestiti a breve) degli impieghi in prestiti
a medio e lungo termine rispetto ai mezzi amministrati»62 •
Si sono reperite evidenze documentali sulla restrizione cre-
ditizia anche su alcune aziende di credito appartenenti ad altre
categorie. Un esempio interessante è fornito dal rapporto su una
visita ispettiva della Banca d'Italia effettuata nel1933 al Banco
ambrosiano 63 , ove si afferma che in tale banca l'impiego in titoli
dello Stato era diminuito progressivamente dal1922 al1928 per
risalire poi nel1932. L'ispettore prosegue osservando che «si no-
ta un ripiegamento di tutte le forme di impiego: la diminui-
ta attività raggiunse i più bassi livelli nel1932 allorché gli scon-
ti segnavano L. 382.036.000, mentre ancora nel 1930 erano
L. 1.150.523.000 ed i riporti L. 318.321.000 contro L.
502.699.000 nel1930»64 . L'ispettore precisa poi che
siffatta contrazione del lavoro non può venire essenzialmente conside-
rata, come l'Azienda ha ripetutamente dichiarato alle proprie assemblee
dei soci, il solo risultato di una sana politica di raccoglimento in rela-
zione alle gravi incertezze economiche dei tempi; si stima, invece, che si
sia trattato più che altro di una vera e propria ossessione del Direttore
Centrale Comm. Alfredo Ponti - che da qualche mese ha lasciato il suo
posto - di non avere fiducia in nessuna forma di impiego. Basti dire che
nel1932, anno cruciale di «liquidità esasperata», le somme disponibili a
vista presso principali Istituti, raggiunsero il notevolissimo importo di
325 milioni di lire, contro 567 milioni di depositi fiduciari. Questo in-
dirizzo si traduceva in una vera e propria forma di larvata liquidazione;
61lvi, p. 848.
62lvi, p. 1173.
63ASBI, Vigilanza, cart. B-lOla-Banco Ambrosiano, Milano, Corrisponden-
za, Doc. 1-206, numerazione provvisoria: 4006, Rapporto sulla visita ispettiva al
Banco Ambrosiano rassegnato dal Rag. Riccardo Ventura, allegato a una lettera del
direttore della sede di Milano della Banca d'Italia inviata al governatore il 27
ottobre 1933.
64 I vi, parte introduttiva alla voce «Impieghi».
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 135
per la compilazione dei bilanci annuali, il Banco - come il rapporto che
segue indicherà - ha quasi depauperato le proprie riserve occulte. 65
Ulteriori indizi si trovano nelle relazioni annuali dei sindaci
di un'altra società ordinaria di credito, la Banca nazionale del-
l' agricoltura; rivolgendosi agli azionisti con riferimento al bilan-
cio del1931 essi affermano: «l Vostri Amministratori, in armo-
nia si può dire alle condizioni universali del mercato, si sono
preoccupati di accentuare lo stato di liquidità della Banca»66 . In
occasione della relazione annuale al bilancio sul1932, i sindaci
affermano:
La situazione patrimoniale si presenta assai migliorata anche nella
liquidità. Certamente avrete rilevato le notevoli variazioni in tal senso
[... ] dovute all'indirizzo prudenziale seguito dalla Vostra Amministra-
zione nell'esercizio or ora chiuso. Fra gli indici di tale indirizzo dobbia-
mo segnalarVi il notevole aumento del portafoglio e particolarmente di
quello agrario, nonché l'aumento cospicuo nei titoli di proprietà: di Sta-
to e obbligazionari.6 7
Analoga politica di aumento della liquidità viene seguita an-
che da un istituto di diritto pubblico quale la Banca nazionale del
lavoro, come osserva Di Castelnuovo68 : «In confronto all'eserci-
zio 1930 havvi una costante progressione del portafoglio com-
merciale e una graduale riduzione del portafoglio finanziario, fat-
ti questi i quali hanno favorevolmente accentuata la liquidità di
questa voce di bilancio»69.
Altre indicazioni si traggono relativamente al Credito com-
merciale, società ordinaria di credito. Nella pubblicazione cele-
brativa del cinquantenario della fondazione della banca, a pro-
posito del periodo qui studiato, si osserva che nel 1930 «le
Aziende bancarie si trovarono di fronte a gravi necessità di ri-
65 Ibid.
66Banca nazionale dell'agricoltura, Relazione dei Sindaci al Bilancio sul1931,
Roma, 14 marzo 1932.
67 Banca nazionale dell'agricoltura, Relazione dei Sindaci al Bilancio su/1932,
Roma, 7 marzo 1933.
68 A. Di Castelnuovo, La specializzazione del credito, «Problemi dell'ora»,
Roma 1933.
69 I vi, p. 197.
136 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
dimensionamento del credito»70 • Si osserva poi che nell'esercizio
1931 «la parola 'crisi' ricorreva in ogni discussione» 71 • A propo-
sito del1932 si sostiene che le banche
dovettero preoccuparsi di mantenere un'alta liquidità, rifuggendo da im-
pieghi che non fossero a brevissima scadenza, impieghi questi che sono
ovviamente i meno remunerativi. Il Credito commerciale si attenne a
questa direttiva affrontando senza turbamenti anche la situazione de-
rivante dai vari dissesti bancari, susseguitisi durante l'anno, alcuni dei
quali proprio nelle zone dove esso svolgeva la sua attività. 72
4.4. L'impatto allocativo dell'interoento pubblico
Anche a prescindere dalla mutata propensione delle banche
all'erogazione del credito o alla richiesta di garanzie, il meccani-
smo di intermediazione subl nel periodo una profonda metamor-
fosi che può aver avuto contraccolpi in termini di capacità di
finanziamento del settore privato e, in particolare, della piccola
impresa. L'area del controllo pubblico si ampliò notevolmente in
seguito ai guadagni di quote di mercato delle aziende di credito
già pubbliche, all'acquisizione, diretta o indiretta, di altre azien-
de sotto il controllo pubblico e all'ampliamento dell'intermedia-
zione svolta dal credito speciale.
La riorganizzazione del settore creditizio in Italia procedette
spedita in questi anni anche trascurando il salvataggio delle ban-
che miste. E in particolare l'area pubblica degli intermediari che
vide incrementare il proprio peso. L'attivo bancario dell'area
pubblica in senso stretto, identificata con le casse di risparmio
postali e gli istituti di credito speciale, passò dal 24,5 per cento
del totale nel1929 al40,5 nel1935 (tab. 10). Considerando an-
che le casse di risparmio ordinarie e gli istituti di diritto pubbli-
co, la quota dell'area pubblica allargata salì nel contempo dal47
al66,9 per cento. Escludendo anche le BIN, l'area degli interme-
diari privati crollò dal 53 per cento nel1929 al 18,6 nel1935,
una perdita di quasi i due terzi. Furono protagoniste del forte
ridimensionamento tutte le categorie degli intermediari dell'area
7
° Credito commerciale, Credito Commerciale 1907-1957, Cremona 1957,
p. 44.
71 lvi, p. 46.
72 lvi, pp. 46-48.
G. Ferri e P. Caro/alo La crisi finanziaria nella grande depressione 13 7
privata: le banche popolari (- 44,5 per cento), le società ordina-
rie di credito (- 35,2 per cento), i monti di pietà (- 30,5 per
cento), le casse rurali e artigiane (- 41,8 per cento) e le ditte
bancarie (- 54,9 per cento).
L'attrazione del risparmio verso gli intermediari dell'area
pubblica trasse alimento dall'orientamento della domanda della
clientela verso controparti meno esposte a rischi di instabilità73
nonché dalla politica di elevati tassi d'interesse praticata dalle
casse di risparmio postali7 4, in contrapposizione ai tassi d'inte-
resse fissati dal cartello bancario, sotto l'influenza del governo,
che vincolavano le altre banche. Il permanere di difformità an-
che forti tra le categorie di aziende nell'orientamento dei prestiti
tra la controparte pubblica e quella privata e, in quest'ultimo
ambito, tra i vari comparti produttivF 5 può aver giocato un ruolo
importante nel periodo. L'acquisizione dei fondi nell'area degli
intermediari pubblici poteva infatti indurre segmentazioni anche
in seguito a vincoli normativi e statutari più stringenti: ad esem-
pio, Cova e GallF 6 descrivono le difficoltà che lo statuto e la
prassi operativa frapponevano alla despecializzazione della Cari-
pio, che pure era alla ricerca di nuove aree di impiego. Ancora
una volta, da queste segmentazioni potevano essere particolar-
mente danneggiate le piccole imprese, mentre la grande industria
ne avrebbe sofferto di meno sia, in un primo tempo, perché mag-
giormente capace di accedere ad altre forme di finanziamento
sia, in un secondo tempo, in quanto attratta essa stessa in larga
parte nell'area pubblica in seguito agli interventi di salvataggio.
Nell'esaminare la politica dei prestiti dell'IMI nei primi anni di
attività 77 , Cesarini7 8 osserva: «L'IMI, pur senza rifiutarsi di pren-
n Marconi, op. cit.
74 M. Abrate, Moneta e risparmio in Italia negli anni della Grande Crisi, in G.
Toniolo (a cura di), Industria e banca nella grande crisi, Etas Libri, Milano 1978.
75 Marinelli-Faucci, op. cit.
76 A. Cova e A.M. Galli, La Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde
dallafond4zioneal1940, voLli, Laterza, Roma-Bari 1991.
77 Giova ricordare che l'IMI viene istituito sul finire del 19 31 per lenire le
esigenze finanziarie delle imprese e dunque, nelle intenzioni degli ideatori, ri-
solvere i problemi creati dalla crisi del sistema bancario.
78 F. Cesarini, Alle origini del credito industriale: l'IMI negli anni trenta, Il
Mulino, Bologna 1982, p. 11.
T ab. 10. -Attività totali per gruppi di intermediari (valori in miliardi di lire correnti) ,...
\).)
00
Variazioni %
1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936
1929-35
Casse risparmio postali" 17,23 18,27 19,36 21,65 23,57 25,56 29,44 32,73 31,79 32,81
Quota% 16,95 16,69 16,79 18,44 19,98 21,59 23,52 26,09 26,04 25,76 55,07
Ist. credito fondiario" 2,14 2,89 3,73 4,60 5,36 5,77 6,02 6,16 6,16 6,95
Quota% 2,11 2,64 3,24 3,92 4,54 4,87 4,81 4,91 5,05 5,46 55,96
Ist. credito agrario" 0,72 1,35 1,58 1,66 2,01 2,34 2,88 2,12 2,07 2,64
Quota% 0,71 1,23 1,37 1,41 1,70 1,98 2,30 1,69 1,70 2,07 23,73
Ist. credito mobil. • 2,89 3,39 3,59 3,70 4,38 5,48 9,27 9,60 9,45 9,50
Quota% 2,84 3,10 3,11 3,15 3,71 4,63 7,41 7,65 7,74 7,46 148,59 :::<:!
1'>·
Area pubblica
~
;:,..
in senso ristretto 22,60 23,67 24,51 26,93 29,94 33,06 38,03 40,35 40,52 40,75 65,32 "'
"t:;
~
Casse ris~armio li;-
ordinarie 17,45 19,28 20,31 21,54 22,33 23,41 24,09 24,03 23,71 22,49 ""
c;
Quota% 17,17 17,62 17,62 18,35 18,93 19,77 19,24 19,16 19,42 17,66 10,25 ~·
Ist. dir. pubblico 4,71 5,27 5,60 5,81 6,02 6,22 7,85 7,99 8,43 12,68 i}
~
Quota% 4,63 4,82 4,86 4,95 5,10 5,25 6,27 6,37 6,91 9,96 42,16 tJ:j
;:.
;::
Area pubblica 2
allargata 44,40 46,10 46,99 50,22 53,98 58,09 63,55 65,87 66,85 68,36 42,28 l>.
~
Banche popolari 9,40 9,88 9,91 8,79 8,10 7,28 6,73 6,10 5,82 6,47 ~
Quota% 9,25 9,03 8,60 7,49 6,87 6,15 5,38 4,86 4,77 5,08 -44,54
-<:::
Soc. ord. creditoc 42,07 44,22 45,98 44,77 41,41 37,79 35,37 33,29 31,56 30,80 0
Quota% 41,38 40,41 39,88 38,13 35,11 31,91 28,26 26,54 25,85 24,18 -35,18 ~
::l.
- di cui: b. miste 15,87 17,97 16,14 15,88 15,58 14,51 14,58 14,68 -9,68
Monti pietà 1,48 1,15 1,48 1,53 1,83 1,97 1,06 1,07 1,09 1,07
"'
:-o
Quota% 1,46 1,05 1,28 1,30 1,55 1,66 0,85 0,85 0,89 0,84 -30,45 ~
èl
Casse rur. artig. 1,40 1,41 1,51 1,45 1,37 1,25 1,13 1,09 0,93 0,90 '"§->
Quota% 1,38 1,29 1,31 1,24 1,16 1,06 0,90 0,87 0,76 0,71 -41,84
c-
Ditte bancarie 2,17 2,33 2,24 1,90 1,57 1,34 1,34 1,26 1,07 1,06 t
<>
Quota% 2,13 2,13 1,94 1,62 1,33 1,13 1,07 1,00 0,88 0,83 -54,89 ~:
Area privata 55,60 53,90 53,01 49,78 46,02 41,91 36,45 34,13 33,15 31,64 -37,47 l'n
li;•
Area privata BIN 55,60 53,90 53,01 49,78 46,02 41,91 20,87 19,62 18,57 16,96 -64,97 ~·
:::
Totale generale 102 109 115 117 118 118 125 125 122 127 5,89 "'~
• Biscaini e Ciocca, op. cit. o-o
i:l
b Dati tratti dall'archivio dell'Ufficio ricerche storiche della Banca d'Italia.
c Dall929, dati tratti dall'archivio dell'Ufficio ricerche storiche della Banca d'Italia. ~
FONTE: Ove non altrimenti specificato, R. De Mattia (a cura di), I bilanci degli istituti di emissione italiani 1845-1936, vol. I, tomo II, Banca d'Italia, Roma ~
1967. ~
....,
o·
:::
"'
....
\J.J
\.0
140 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
dere in considerazione e di istruire le operazioni di importo ri-
dotto che gli vengono sottoposte, finisce col privilegiare le esi-
genze di consolidamento dei debiti delle grandi imprese e dei
grandi gruppi, preferibilmente appartenenti al settore pubblico
(aziende IRr) o ai settori protetti dell'economia italiana (industria
idroelettrica)». Un giudizio analogo lo aveva già espresso Meni-
chella79:
L'esperimento tuttavia non ebbe successo, perché l'Istituto [l'IMI]
non ebbe l'animo di affrontare i casi più numerosi e difficili della media
e piccola industria; tardò a organizzarsi e in pratica non fece nulla per
circa un anno. La situazione bancaria e quella della media e piccola in-
dustria peggiorarono ancora durante il1932. Alle banche si provvedeva,
come detto, mediante intervento diretto della Banca d'Italia riuscendosi
in tal modo a sostenere anche la situazione delle molte aziende indu-
striali di proprietà delle banche stesse. Ma per le aziende di medie e
piccole dimensioni, non legate intimamente alle banche, il Governo ri-
teneva pure di dover fare qualche cosa, mentre urgeva di trovare un
sistema di appello al mercato dei capitali facendo cessare la pressione
sull'istituto di emissione. Per questi motivi nel gennaio del1933 fu crea-
to l'IRI al quale furono assegnate due sezioni: una detta «Sezione Fi-
nanziamenti» che avrebbe dovuto fare sovvenzioni alle varie industrie
colpite dalla crisi per aiutarle a superare la crisi stessa; l'altra detta «Se-
zione Smobilizzi».
In altre parole, in senso lato, l'intervento statale procurò ampi
benefici, sventando diffusi deposit runs e quindi il collasso del si-
stema dei pagamenti, ma impose al tempo stesso costi distorcendo
l'allocazione del credito e intensificando la segmentazione dei
mercati finanziari 80 • L'efficienza dell'allocazione del credito ven-
ne danneggiata dalla priorità attribuita ai prestiti al settore pub-
blico e dall'incapacità da parte dei nuovi intermediari di valutare
in maniera efficiente debitori coi quali non avevano in precedenza
intrattenuto rapporti di clientela. Allo stesso tempo l'attrazione
79 D. Menichella, Le origini dell'I.R.I. e la sua azione nei confronti della si-
tuazione bancaria, rapporto sottomesso il 2 luglio 1944 al capitano Andrew Ka-
marck, rappresentante della Finance Sub-Commission dell' Allied Control Com-
mission presso l'IRI, in D. Menichella, Scritti e discorsi scelti 1933-1966, Banca
d'Italia, Roma 1986, pp. 13-14.
80 In questo senso cfr. M. De Cecco, La protezione del rispannio nelle fanne
finanziarie fasciste, in «Rivista di Storia economica», 2, giugno 1986, pp. 23 7-41.
G. Fem e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 141
della funzione dell'intermediazione nella sfera statale rese più dif-
ficili ulteriori sviluppi dei mercati finanziari italiani.
Un'altra questione parte dalla constatazione che, date le mo-
dalità del salvataggio orientato alle banche miste - e, quindi,
alla grande industria - gli altri intermediari ne sarebbero rima-
sti in gran parte esclusi. Dalla relazione del presidente della Se-
zione smobilizzi industriali dell'IRI relativa all'esercizio 193481
risulta che le perdite per l'intervento di salvataggio delle tre ban-
che miste rappresentavano quasi i quattro quinti degli oneri com-
plessivamente sopportati dall'istituto per interventi sul sistema
bancario nel quinquennio 1930-34. Gli altri interventi di un qual-
che rilievo avevano riguardato la Banca agricola italiana (circa 12
per cento) e un gruppo di banche cattoliche (circa 3 per cento) 82 •
Le tensioni di liquidità potrebbero essere state accentuate in par-
ticolare in seguito alla connaturata inefficienza del mercato in-
terbancario italiano83 . Tale inefficienza nel passaggio della liqui-
dità fu del resto probabilmente acuita dalla caduta dello stato di
fiducia, data l'esistenza di asimmetrie informative anche nei rap-
porti interbancari.
5. L'interpretazione proposta e quelle alternative
Il verificarsi di un credit crunch è solo una delle possibili cause
della propagazione e del protrarsi della depressione in Italia. Fa-
cendo riferimento ai due paesi nei quali la grande depressione è
stata analizzata più a fondo, che la trasmissione della crisi sia,
almeno in parte, avvenuta attraverso il sistema bancario è una
tesi comunemente accettata per gli Stati Uniti ma non per il Ca-
nada. Haubrich84 sostiene che la grande depressione venne tra-
smessa al Canada dall'estero, che il ruolo della moneta sembra
81 ACS, ASIRI, cart. 18, Relazione del Presidente della Sezione Smobilizzi
Industriali dell'Iri sul Bilancio al31 dicembre 1934.
82
Sulla crisi di questo gruppo di banche cattoliche cfr. A. Gigliobianco, La
crisi delle banche cattoliche ne/1928-30: primi risultati della ricerca, mimeo, Banca
d'Italia, Roma 1991.
83 Ciocca, op. cit.
84 J.E. Haubrich, Nonmonetary effects of/inancial crises: lessons/rom the Great
Depression in Canada, in «Journal of Monetary Economics», 25, 1990, pp. 223-
252.
142 Ricerche per la storia delta Banca d'Italia V
essere ambiguo e che la crisi del debito interna ebbe effetti tra-
scurabili.
L'economia italiana del tempo era certamente meno aperta e
integrata nel commercio internazionale di quella canadese; tut-
tavia la caduta della domanda estera e la fuga dei capitali inter-
nazionali può essere stata importante anche per l'Italia. Le in-
terpretazioni che si basano sull'influenza del settore estero sa-
ranno riprese in dettaglio poco oltre, assieme all'impatto di altri
fattori interni reali e monetari; prima si tenterà però di ripro-
porre i principali risultati dell'analisi sviluppata sinora.
Come abbiamo evidenziato, tra il 1930 e il 1932 vi furono
chiari segnali di peggioramento nella performance e di dissesto
nell'economia italiana che non si era ancora pienamente ristabi-
lita dall'impatto deflazionistico della rivalutazione della lira del
1926-27. Il numero di banche in attività cadde in misura signi-
ficativa non solo in seguito a fusioni ma anche per effetto di
fallimenti. Tra il1926 e il1936 il numero degli sportelli bancari
diminul di un terzo e quello delle piazze bancate si ridusse di
circa un quarto 8 5. Le banche, fattesi più caute nell'attività di
prestito, investirono una parte sempre maggiore dei loro fondi in
titoli di Stato e riconvertirono il portafoglio degli impieghi verso
debitori meno rischiosi (ad esempio le amministrazioni pubbli-
che) e, tra i prestiti al settore privato, fecero crescente ricorso a
forme contrattuali più garantite. L'accrescersi dell'intermedia-
zione svolta da enti creditizi dell'area pubblica - solo in parte
dovuta ai salvataggi bancari- rafforzò le segmentazioni nel mer-
cato del credito. Nel quantificare l'andamento del credito al set-
tore privato è opportuno escludere le casse di risparmio postali e
gli istituti di credito speciale, le cui politiche d'impiego erano
assai diverse da quelle degli altri intermediari. In termini aggre-
gati, i prestiti degli altri intermediari caddero in misura vistosa
tra il1929 e il1935. Nei valori nominali la consistenza dei pre-
stiti totali di questi intermediari diminul di circa un terzo e quel-
la degli impieghi meno garantiti (più connessi col finanziamento
dell'industria) quasi si dimezzò. La flessione dei prestiti fu no-
tevole anche in rapporto all'evoluzione del prodotto. Nel perio-
do esaminato, la consistenza degli impieghi totali in questione
85 Ciocca, op. cit.
G. Feni e P. Garofalo La crisi finanziaria nella grande depressione 143
fletté dal 20,1 per cento al 15,6 per cento del PrL, secondo la
serie del prodotto proposta da Rossi, Sorgato e Toniolo86 ; i pre-
stiti meno garantiti discesero dal16,1 al10,4 per cento del PrL.
L'interpretazione che abbiamo proposto suggerisce che le pic-
cole imprese furono particolarmente colpite dalla crisi e dalla ri-
strutturazione del sistema bancario. Anche se si rendono neces-
sarie analisi più approfondite, il fatto che il peso delle industrie
leggere nella struttura produttiva dell'industria italiana cadde di
quasi un quarto tra la fine del1928 e quella del1932 è coerente
con questa interpretazione. Tale evidenza fornisce del resto una
risposta, per il caso italiano, all'obiezione sollevata da Temin87 ,
con riferimento ai risultati di Bernanke88 , che
verifiche di questo meccanismo dovrebbero esaminare gli andamenti
delle diverse industrie. L'aumento del costo di intermediazione credi-
tizia avrebbe colpito le famiglie e le piccole imprese molto più delle gran-
di imprese [. .. ] [ma] sfortunatamente la presenza delle grandi imprese è
legata positivamente alla caduta della produzione negli Stati Uniti, non
negativamente come predice il modello di Bernanke.
Le spiegazioni della grande depressione italiana basate sul
ruolo degli shocks da parte del settore estero si imperniano su
due canali principali: la caduta delle esportazioni e il rimpatrio
dei capitali internazionali affluiti in Italia negli anni precedenti.
Le esportazioni si contrassero non solo per la flessione nella do-
manda internazionale in seguito alla depressione ma anche per
effetto delle crescenti barriere commerciali introdotte dalla mag-
gior parte dei paesi. Abbiamo tuttavia mostrato (par. 3) che la
caduta delle esportazioni non fornisce una spiegazione soddisfa-
cente per il crollo produttivo, almeno per i prodotti tessili che
pure costituivano una delle principali componenti dell'export.
La fuga dei capitali può aver esercitato un importante effetto
deflazionistico sull'economia italiana. Le difficoltà a reperire fi-
nanziamenti sui mercati internazionali durante le turbolenze del-
la grande crisi non richiedono probabilmente eccessive qualifica-
zioni. Osserva Marconi89 che dal 1929 «il ruolo che nell'eco no-
86 Rossi, Sorgato, Toniolo, op. cit.
87 Temin, International instability cit., p. 307.
ss Bernanke, op. cit.
89 Marconi, op. cit., p. 95.
144 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
mia italiana poteva essere assegnato all'operatore estero cambia
dunque molto profondamente e velocemente, da presumibile
fonte di creazione di liquidità esso si trasforma in canale di as-
sorbimento netto di base monetaria, da sorgente di nuovo rispar-
mio assume l'aspetto di uno stagno inaridito che inghiotte molto
velocemente ciò che in passato aveva dato». Spinelli e Fratianni90
sostengono che «la perdita continua di riserve dal 1928 in poi
possa essere attribuita: soprattutto all'andamento delle partite
correnti fino al 1930; soprattutto al deflusso dei capitali nel
1930-31; e a una combinazione di andamenti negativi delle par-
tite correnti e dei flussi di capitale dal1931 in poi [fino al1935]».
Eichengreen9 1 , nella sua approfondita analisi sulla trasmis-
sione internazionale della grande depressione, sostiene che «la
caduta nell'attività economica negli Stati Uniti venne trasmessa
agli altri paesi attraverso canali che si rinforzavano a vicenda.
Questi canali operavano con forza perché le economie nazionali
erano legate assieme dai tassi di cambio fissi del tallone aureo».
Eichengreen argomenta che l'assenza di coordinamento nel si-
stema monetario, basato sul gotd standard, si dimostrò un fattore
importante nella trasmissione della crisi; di conseguenza, osserva
Eichengreen, i paesi si potevano isolare da questi disturbi solo
abbandonando il tallone aureo, com'è dimostrato dalla migliore
performance ottenuta proprio da quei paesi che in effetti adot-
tarono questa misura. L'Italia non abbandonò il gold standard du-
rante la depressione e rimase perciò esposta agli impatti defla-
zionistici provenienti dall'estero che furono solo parzialmente
mitigati dalla graduale introduzione di restrizioni alla libertà dei
movimenti dei capitali.
Spinelli e Fratianni92 propongono un'interpretazione mone-
tarista della depressione: la politica monetaria era restrittiva per
sostenere la parità sopravvalutata della lira; i tassi d'interesse reali
erano non solo positivi ma più elevati che all'estero; la velocità di
circolazione della moneta si contrasse significativamente (di circa
il40 per cento) tra la metà degli anni Venti e il1933-34, mentre
9 ° F. Spinelli e M. Fratianni, Storia monetaria d'Italia: l'evoluzione del sistema
monetario e bancario, Mondadori, Milano 1991, p. 368.
91 B. Eichengreen, The Origins and Nature of the Great Slump, Revisited, Uni·
versity of California, Berkley, 1991, Working Paper n. 91-156, p. 16.
92 Spinelli e Fratianni, op. cit.
G. Ferri e P. Gara/alo La crisi finanziaria nella grande depressione 145
il moltiplicatore monetario diminul dopo il1929. Questa inter-
pretazione si pone in conflitto con quella di Ciocca e Toniolo93 , i
quali sostengono che:
durante la recessione la quantità di moneta rimase praticamente stabile
in termini nominali e si accrebbe sostanzialmente in termini reali, il
rapporto tra l'offerta di moneta e il PIL aumentò piuttosto drasticamen-
te e i tassi d'interesse a breve e a lungo termine poterono flettere in
termini nominali fino al1934 [... ]perciò una spiegazione della depres-
sione italiana alla Friedman non trova alcun supporto empirico, qual-
siasi ne siano i meriti nello spiegare il ciclo americano.
Riconciliare queste due posizioni così distanti sarebbe un
compito importante che prescinde però dagli obiettivi del pre-
sente lavoro.
Infine, si deve dedicare un po' di spazio alle interpretazioni
della depressione che si basano sui fattori reali interni. Romer 94
ha suggerito che l'incertezza sui redditi futuri in seguito al crollo
della borsa indusse le famiglie statunitensi ad astenersi dagli ac-
quisti di beni durevoli. È però difficile pensare che questa va-
riabile fosse rilevante per l'economia italiana degli anni Trenta
nella quale la spesa delle famiglie per beni di consumo durevoli
era ancora assai limitata. Al contrario, possono avere rilievo spie-
gazioni degli andamenti produttivi che poggiano su effetti nega-
tivi del tipo acceleratore delle scorte indotti dalla caduta nella
domanda attesa. Ad esempio, Hawtrey95 - proprio in un arti-
colo dal titolo The credit deadlock- notava il fatto che l'econo-
mia britannica aveva stentato a riprendersi anche dopo l' allen-
tamento della politica monetaria. Va rilevato che gli effetti
aggregati di una recessione causata dall'assenza di «domanda ef-
fettiva» sono probabilmente equivalenti, dal punto di vista del-
l'osservazione empirica, a quelli indotti da un credit crunch. La
prima interpretazione, tuttavia, non prevede effetti settoriali. Il
fatto che in Italia la contrazione produttiva fu massima per le
industrie leggere - e, dunque, per le piccole imprese - si atta-
93 Ciocca e Toniolo, Industry and finance cit., pp. 129-30.
94 Romer, op. cit.
95 R. G. Hawtrey, Lessons /rom Monetary Experience, A.J. Goyer, London
1937.
146 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
glia meglio all'interpretazione basata sulla restrizione creditizia
che non a quella della caduta della «domanda effettiva».
6. Conclusioni
Le argomentazioni presentate forniscono sostegno alla tesi
che anche in Italia si sia verificato un credit crunch durante la
grande depressione, con conseguenze in termini di profondità e
durata della crisi. Questo risultato assume particolare interesse
dal momento che nel caso italiano non si verificarono diffusi fe-
nomeni di corsa ai depositi. Nonostante ciò la capacità degli in-
termediari di fornire credito al settore privato si contrasse per
effetto della caduta nelle loro risorse, di un limitato ma non tra-
scurabile numero di fallimenti e, soprattutto, del peggiorato sta-
to di fiducia che indusse le banche a maggiore prudenza nei pre-
stiti. I diffusi fallimenti societari, la contrazione nei profitti
industriali e la ridotta capacità delle imprese di fornire garanzie
contribuirono a motivare la ritrosia delle banche a concedere cre-
dito. Le banche, eccetto quelle miste, ridussero perciò l'offerta
di credito orientandosi su forme contrattuali più garantite - cui
le imprese non potevano far fronte-, accentuando il ricorso al
razionamento e l'investimento in titoli di Stato. Vi sono indica-
zioni che lo spread tra rendimenti all'emissione delle obbligazioni
di imprese private e dei titoli di Stato si ampliò significativamen-
te nel corso della grande depressione anche in Italia; vi sono evi-
denze documentali che la restrizione creditizia e la politica di
elevata liquidità fossero scelte deliberate da parte di varie azien-
de bancarie. Un altro elemento che può aver introdotto frizioni
nel funzionamento del mercato del credito è da ritrovare nelle
profonde trasformazioni che la morfologia del sistema creditizio
subl in seguito alla sua attrazione nell'area del controllo pubbli-
co. Tale mutamento - solo in parte connesso con la crisi -
generò costi di aggiustamento per il finanziamento delle imprese
private, dato che la nuova configurazione degli intermediari pri-
vilegiava i finanziamenti nell'ambito dell'area pubblica e della
grande impresa.
Il credit crunch fu particolarmente nocivo per le piccole im-
prese, per le quali normalmente sono maggiori i problemi infor-
mativi e, di conseguenza, più severi i vincoli alla disponibilità di
G. Ferri e P. Garofalo La crisi finanziaria nel/4 grande depressione 147
finanziamenti esterni. D'altro canto, le modalità del salvataggio
bancario da parte dello Stato, dirette alle banche miste, avvan-
taggiarono i grandi gruppi industriali, controllati in gran parte
dalle stesse banche miste: si sarebbero cosl prodotti effetti ne-
gativi che contribuirono a propagare la crisi.
La tesi qui sostenuta - secondo la quale si sarebbero avuti
importanti effetti reali in seguito alla ridotta funzionalità del
mercato del credito - è difficilmente distinguibile da una spie-
gazione del persistere della crisi che poggi su soli fattori reali (di
domanda). Sarebbero necessari ulteriori approfondimenti, la cui
fattibilità è messa in forse dalla limitatezza dei dati a disposizio-
ne. Alla luce delle argomentazioni e delle evidenze addotte, spe-
cie di quelle sugli effetti settoriali della crisi, sembra però diffi-
cile escludere che l'instabilità finanziaria descritta non abbia
costituito un importante canale di trasmissione nel prolungare la
grande depressione in Italia.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Abrate M., Moneta e risparmio in Italia negli anni della Grande Crisi, in
G. Toniolo (a cura di), Industria e banca nella grande crisi, Etas Libri,
Milano 1978.
Akerlof G., The market for lemons: quality uncertainty and the market
mechanism, in <,Quarterly Journal of Economics», 84, 1970, pp. 488-
500.
ACS, ASIRI, cart. 18, Relazione del Presidente della Sezione Smobilizzi
Industriali del!'IRI sul bilancio al31 dicembre 1934.
ASBI, Vigilanza, cart. B-101a-Banco Ambrosiano, Milano, Corrispon-
denza, Doc. 1-206, numerazione provvisoria: 4006, Rapporto sulla
visita ispettiva al Banco Ambrosiano rassegnato dal Rag. Riccardo Ven-
tura, allegato a una lettera del direttore della sede di Milano della
Banca d'Italia inviata al governatore il 27 ottobre 1933.
Associazione fra le Società Italiane per Azioni, Società italiane per azio-
ni: notizie statistiche, Roma, anni vari.
Banca commerciale italiana, Titoli a reddito fisso, Milano 1934.
Banca d'Italia, Relazione annuale, Roma, anni vari.
Banca nazionale dell'agricoltura, Relazione dei Sindaci al Bilancio sul
1931, Roma, 14 marzo 1932.
Banca nazionale dell'agricoltura, Relazione dei Sindaci al Bilancio sul
1932, Roma, 7 marzo 1933.
Bernanke B., Nonmonetary effects o/ the /inancial crisis in the propagation
of the Great Depression, in «American Economie Review», 73, 1983,
pp. 257-76.
Bernanke B. e James H., The Go!d Standard, Deflation, and Financial
Crisis in the Great Depression: An International Comparison, National
Bureau of Economie Research 1990, Working Paper n. 3488.
Bester H., Screening vs rationing in credit markets with imperfect in/orma-
tion; in «American Economie Review», 75, 1985, pp. 850-75.
Brunner K., Understanding the Great Depression, in K. Brunner (a cura
di), The Great Depression Revisited- Rochester Studies in Economics
and Policy Issues, vol. II, Kluwer Nijhoff Pubi., Boston 1981, pp.
316-58.
Capanna A. e Messori 0., Gli scambi commerciali dell'Italia con l'estero
dalla costituzione del Regno a oggi, Unione editoriale italiana, Roma
1940.
Riferimenti bibliografici 149
Cariplo, La Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde nel cinquanten-
nio 1923-1972, vol. I, Giuffrè, Milano 1973.
Cavigioli F., Manuale dei valori italiani a reddito fisso, Arte grafica am-
brosiana, Milano 1934.
Cesarini F., Alle origini del credito industriale: l'IMI negli anni Trenta, Il
Mulino, Bologna 1982.
Cianci E., Nascita dello Stato imprenditore in Italia, Mursia, Milano 1977.
Ciocca P., Interesse e profitto, Il Mulino, Bologna 1982.
Ciocca P. e Toniolo G. (a cura di), L'economia italiana nel periodo fa-
scista, Il Mulino, Bologna 1976.
Ciocca P. e Toniolo G., Industry andfinance in Italy, 1918-1940, in «Eu-
ropean Economie History Review», Special issue, 1983.
Council of Economie Advisers, Economie Report of the President, Go-
vernment Printing Office, Washington 1992.
Cova A. e Galli A.M., La Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde
dalla fondazione a/1940, vol. II, Laterza, Roma-Bari 1991.
Credito commerciale, Credito Commerciale 1907-1957, Cremona 1957.
De Cecco M., La protezione del risparmio nelle forme finanziarie fasciste,
in «Rivista di Storia economica», 2 giugno 1986, pp. 237-41.
De Mattia R. (a cura di), I bilanci degli istituti di emissione italiani 1845-
1936, vol. I, tomo II, Banca d'Italia, Roma 1967.
Diamond D., Financial intermediation and delegated monitoring, in «Re-
view of Economie Studies», 51, 1984, pp. 393-414.
Di Castelnuovo A., La specializzazione del credito, «Problemi dell'ora»,
Roma 1933.
Eichengreen B., The Origins and Nature of the Great Slump, Revisited,
University of California, Berkley 1991, Working Paper n. 91-156.
Farina F. e Marani U., Strutture monetarie e finanziarie dell'economia
fascista, in «Quaderni storici», 1978, pp. 1036-62.
Felicetti G., Le emissioni di titoli pubblici nel periodo 1918-1939, in Ri-
cerche per la storia della Banca d'Italia, «Collana storica della Banca
d'Italia», vol. II, Laterza, Roma-Bari 1993.
Fenoglio G., Le Casse di Risparmio italiane e le crisi, Rapporto al III
congresso internazionale del risparmio, Parigi, 20-25 maggio 1935.
Fisher I., The debt-deflation theory of Great Depressions, in «Econome-
trica», 1933, pp. 337-57.
Forsyth D.J., The rise and fall of German-inspired mixed banking in Italy,
1894-1936, in Lindgren J.H. e Teichova A. (a cura di), The Role of
Banks in the Interwar Economy, Cambridge University Press, Cam-
bridge 1991.
Friedman B.M. e Kuttner K.N., Why Does the Paper-Bill Spread Predict
Rea! Economie Activity?, National Bureau of Economie Research,
1991, Working Paper n. 3879.
Friedman M. e Schwartz A.J., A Monetary History of the United States
1867-1960, Princeton University Press, Princeton 1963.
Gigliobianco A., La crisi delle banche cattoliche nel1928-30: primi risul-
tati della ricerca, mimeo, Banca d'Italia, Roma 1991.
Grifone P., Il capitale finanziario in Italia, Einaudi, Torino 1971.
150 Ricerche per kz storia delkz Banca d'Italia V
Haubrich J.E., Nonmonetary effects of financial crises: lessons /rom the
Great Depression in Canada, in <<Journal of Monetary Economics», 25,
1990, pp. 223-52.
Hawtrey R.G., Lessonsfrom Monetary Experience, A.J. Goyer, London
1937.
I sTA T, Annuario statistico italiano, Roma, anni vari.
IsTAT, «Bollettino mensile di Statistica», Roma, anni vari.
Keynes J.M., The Genera! Theory o/ Employment, Interest, and Money,
Macmillan, London 1936.
La Francesca S., La politica economica del fascismo, Laterza, Roma-Bari
1972.
Marconi M., La politica monetaria del fascismo, Il Mulino, Bologna 1982.
Marinelli-Faucci M.L., Note sull'evoluzione della struttura funzionale del
sistema bancario durante il fascismo, in «Rassegna economica», 1980,
pp. 1-33.
Mattioli R., I problemi attuali del credito, in «Bancaria», 7, 1961.
Menichella D., Le origini dell'I.R.I. e la sua azione nei confronti della
situazione bancaria, Rapporto sottomesso il2luglio 1944 al Capitano
Andrew Kamarck, rappresentante della Finance Sub-Commission del-
l' Allied Contro! Commission presso l'IRI, in D. Menichella, Scritti e
discorsi scelti 1933-1966, Banca d'Italia, Roma 1986.
Mishkin F.S., Asymmetric In/ormation and Financial Crises: A Historical
Perspective, National Bureau of Economie Research, 1990, Working
Paper n. 3400.
Mitchell B.R., European Historical Statistics 1750-1970, Macmillan, Lon-
don 1975.
Rey G.M. (a cura di), I conti economici dell'Italia, I, Una sintesi delle
fonti ufficiali 1890-1970, «Collana storica della Banca d'Italia», La-
terza, Roma-Bari 1991.
«Rivista di Politica economica», Roma, anni vari.
Rodano G., Il credito all'economia: Raffaele Mattioli alla Banca Commer-
ciale Italiana, Ricciardi, Napoli 1983.
Romer C.D., The Great Crash and the onset o/ the Great Depression, in
«The Quarterly Journal of Economics», 1990, pp. 597-624.
Rossi N., Sorgato A., Toniolo G., I conti economici italiani: una rico-
struzione statistica, 1890-1990, in «Rivista di Storia economica», l,
1993.
Schwartz A.J., Rea! and pseudo1inancial crises, in F. Capie e Wood G.E.
(a cura di), Financial Crises and the World Banking System, Macmillan,
London 1986.
Spinelli F. e Fratianni M., Storia monetaria d'Italia: l'evoluzione del si-
stema monetario e bancario, Mondadori, Milano 1991.
Stiglitz J. e Weiss A., Credit rationing in markets with imperfect informa-
tion, in «American Economie Review», 71, 1981, pp. 393-410.
Temin P., Did Monetary Forces Cause the Great Depression?, W.W. Nor-
ton, New York 1976.
Temin P., Notes an the causes of the Great Depression, in K. Brunner (a
cura di), The Great Depression Revisited- Rochester Studies in Beano-
Riferimenti bibliografici 151
mics and Policy Issues, vol. II, Kluwer Nijhoff Pubi., Boston 1981, pp.
108-24.
Temin P., International instability and debt between the wars, in «Journal
of Monetary Economics», 1991, pp. 301-308.
Toniolo G., Crisi economica e smobilizzo pubblico delle banche miste
(1930-1934), in G. Toniolo (a cura di), Industria e banca nella grande
crisi, Etas Libri, Milano 1978.
Vicarelli F. (a cura di), Capitale industriale e capitale finanziario: il caso
italiano, II Mulino, Bologna 1979.
EVOLUZIONE ISTITUZIONALE DELLA BORSA
VALORI IN ITALIA DAL 1918 ALLA VIGILIA
DELLA LEGGE BANCARIA DEL 1936
di Stefano Baia Curioni
l. Premessa
Nel periodo compreso tra la fine della prima guerra mondiale
e la vigilia della legge bancaria del 1936 la vita istituzionale del
mercato borsistico italiano attraversa una fase estremamente
complessa e per molti aspetti contraddittoria.
Da un punto di vista puramente formale non si registrano
significative innovazioni: i principali assetti dell'organizzazione
di borsa sono infatti, nel primo dopoguerra, in buona parte ri-
solti dall'intervento legislativo del1913 (legge 20 marzo 1913, n.
272), che compendia gli esiti di un'evoluzione organizzativa e
istituzionale almeno cinquantennale. E molti eventi che, come si
vedrà, caratterizzano la borsa italiana nel periodo postbellico e
fascista possono essere interpretati come conseguenze dirette e
in parte necessarie di decisioni prese nel corso dell'elaborazione
legislativa giolittiana.
Non altrettanto, a causa della rilevanza degli episodi che in-
fluiscono sul sistema monetario e bancario in questi anni, si può
dire per quanto riguarda il ruolo sostanziale del mercato mobi-
liare nel sistema finanziario del paese. Eventi macroscopici come
la scalata alle banche, la politica di stabilizzazione avviata dai
decreti de' Stefani dell925, la crisi del1929-32 e la conseguente
ridefinizione della struttura di intermediazione finanziaria san-
cita dalla legge del1936, scandiscono i momenti di un percorso
che modifica radicalmente le posizioni degli attori principali del
mercato (governo e banche miste).
In questo senso, per quanto gli interventi legislativi elaborati
154 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
tra le due guerre si limitino, sul piano formale, ad applicare i
disegni definiti nell913, l'esito complessivo del processo deter-
mina, in modo certo non previsto dal legislatore, una duratura
«minorità» dell'istituto borsistico che influirà grandemente sui
suoi destini successivi.
Più in particolare pare molto significativo che il percorso ap-
pena delineato culmini, tra la crisi del 1932 e l'intervento legi-
slativo dell936, nella contemporanea riduzione del ruolo e del
livello delle attività di borsa e nel completo, definitivo (fino alle
attuali normative) e assai critico distacco tra regolazione delle
attività bancarie (ispirate da nuovi principi oltre che, per istituti
fondamentali, dotate di nuovi assetti proprietari) e regolazione
delle attività di borsa 1 •
L'inevitabile sovrapporsi delle varie dimensioni analitiche im-
pone di utilizzare come chiave di lettura il complesso alternarsi di
fattori di lungo, medio e breve periodo. L'obiettivo è quello di
ricostruire nelle loro linee essenziali le vicende che interessano la
borsa in questa fase assolutamente cruciale per il sistema finan-
ziario italiano e internazionale, ponendo in giusta prospettiva la
relazione tra interventi legislativi, assetti formali ed effettivi mu-
tamenti organizzativi che in pratica arrivano a determinare fun-
zionamento pratico e ruolo del mercato mobiliare.
2. Le determinanti di lungo periodo dell'evoluzione istituzionale
della Borsa italiana
L'evoluzione organizzativa del mercato mobiliare italiano,
decifrata attraverso le vicende della piazza milanese, è stata in-
fluenzata nel lungo periodo da tre fattori che hanno sovrappo,to
i loro effetti fin dall'atto di fondazione di una borsa pubblica a
Milano nel18Q82:
1 F. Cavazzuti, Mercati finanziari: nuovi rischi e nuove regole (anche tributarie)
per il caso italiano, in «Politica economica», anno IV, n. 2, agosto 1988, p. 178;
F. Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati
mobiliari, Egea, Milano 1993.
2 In questo paragrafo si compendiano i principali risultati di un ampio lavoro
di ricerca sulla storia della borsa valori di Milano dalla sua fondazione alla legge
di riforma del 1913. T ale lavoro ha già prodotto alcuni esiti editoriali in brevi
saggi che saranno citati nelle pagine che seguiranno e soprattutto è destinato a
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 155
a) il primo di essi riguarda la natura delle regole che hanno
accompagnato e orientato l'organizzazione del mercato nel no-
stro paese, in particolare la decisione di regolare il mercato at-
traverso un controllo pubblico «profondo» che si manifesta nel-
l' atto stesso dello scambio con la presenza obbligatoria di un
prendere corpo in una più ampia trattazione monografica, nella quale sarà pos-
sibile rendere giustizia della grande complessità e articolazione del processo che
si sta descrivendo. n tentativo compiuto in questa sede, indispensabile ai fini di
una corretta comprensione degli eventi specifici del primo dopoguerra, è quello
di procedere a una «stilizzazione» del processo nella quale si raccolgono in estre-
ma sintesi le sue determinanti principali. Per rendere comunque conto del lavoro
analitico che sottende questo tentativo di sintesi, è opportuno elencare alcune
delle principali fonti utilizzate. Dal punto di vista archivistico si è utilizzato prin-
cipalmente l'archivio della Camera di commercio di Milano, in particolare le bu-
ste 315-32 e 3336-56, Fascicoli Personali Agenti di Cambio, nelle quali sono con-
tenute le cartelle personali con i dati biografici e i Cttrricula professionali di tutti
gli agenti di cambio presenti dal1830 fino a oggi. Tali profili personali sono stati
caricati su data base e sono serviti di supporto all'analisi della demografia im-
prenditoriale del gruppo frofessionale. Ulteriori dati a questo proposito sono
stati tratti dall'archivio de tribunale di Milano, Atti costitutivi, società di capitale.
Sempre nell'archivio camerale si sono inoltre esaminate le cartelle relative alle
elezioni e attività degli organismi di controllo delle borse, sindacato e deputa-
zione (artt. 311, Deputazione di Borsa, e 334, Sindacato Nomine e Dimissioni), e
tutte quelle relative all'elaborazione della normativa e ai dibatti interni alle varie
commissioni incaricate di istruire le pratiche, dal1808 al1913, in particolare le
cartt. 31 Oe 312. I verbali del sindacato dopo la prima guerra mondiale sono stati
compulsati invece dai volumi manoscritti, per gentile concessione del Comitato
direttivo degli agenti di cambio di Milano dove sono depositati. Un'ulteriore
fonte per l'indagine delle attività camerali è offerta dagli atti a stampa del Con-
siglio della Camera di commercio di Milano, e i relativi allegati e bilanci preven-
tivi e consuntivi, che sono stati consultati per il periodo compreso tra il 1877 e
il1941. L'archivio storico della Banca commerciale italiana e del Credito italiano
sono stati ovviamente utilizzati per ricostruire l'attività dei due grandi istituti sul
mercato mobiliare; l'archivio storico della Banca d'Italia è stato compulsato per
il carteggio Stringher-Joel e per la raccolta di dati sull'attività delle stanze di
compensazione e dei consigli di vigilanza. L'archivio centrale dello Stato per i
carteggi relativi alla riforma del 1925, in particolare il fondo Presidenza Consi-
glio dei ministri. La rilevazione quantitativa delle attività della borsa milanese è
stata compiuta sui listini ufficiali resi disponibili dal Comitato direttivo degli
agenti di cambio, e si è tradotta in una banca dati sui prezzi quotidiani di tutti
i titoli trattati nella borsa milanese dal1888 al1941, attualmente in fase di pre-
disposizione presso l'istituto di Storia economica dell'Università Bocconi. Di-
verse elaborazioni sono state compiute da Giulio Lombardi in relazione alla tesi
di laurea sostenuta presso l'università Bocconi nella sezione 1992-93. Per quanto
riguarda le fonti a stampa, ci si può limitare a segnalare le principali pubblicazioni
esaminate in modo sistematico: l' «Eco della Borsa» dal1810 al1850, «La Finan-
za italiana» per gli anni Sessanta e Settanta, «Il Sole» per tutto l'arco di tempo
considerato dall'Unità all936, «La Borsa» per gli anni Ottanta dell'Ottocento,
«L'Economista», e «L'Economista d'Italia» dagli anni Ottanta alla metà degli
anni Venti del Novecento, «Nuova Antologia» e «Critica sociale».
156 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
intermediario ufficiale che esercitando la sua funzione rappre-
senta lo Stato3;
b) il secondo fattore riguarda la gestione delle regole impo-
state e soprattutto l'ampiezza delle deleghe di regolazione e con-
trollo del mercato attribuite ai poteri locali (camere di commer-
cio) in parte in conseguenza del fatto che la formazione dello
Stato unitario è successiva di almeno 30 anni alla strutturazione
delle principali piazze borsistiche (Genova, Torino, Milano);
c) il terzo fattore è connesso ai principi ispiratori delle regole
prescelte dal legislatore e soprattutto alla loro variabilità: dall'o-
riginale impronta francese del 1808 e 1810, alla successiva ge-
stione austriaca, per arrivare agli interventi legislativi del1865,
1882, 1913 e quindi del1925.
Ciascuna di queste opzioni e la loro reciproca interazione ha
innescato una serie di conseguenze che hanno di fatto impron-
tato l'organizzazione del mercato borsistico italiano.
I. Il controllo «profondo» da parte dello Stato dei meccanismi di
mercato, ispirato dall'intenzione napoleonica (ampiamente ripre-
sa, seppure a fasi alterne, dal governo austriaco e unitario) di
porre sotto il diretto controllo governativo l'attività speculativa
e di portare nel contempo alla luce il tessuto di scambi privati e
informali che tradizionalmente esisteva nelle varie piazze pro-
vinciali, si è declinata nella nota impostazione che prevede per le
borse italiane:
a) una disciplina tesa a controllare la qualifica dei soggetti
artefici dello scambio, con assegnazione di privilegio o monopo-
lio delle contrattazioni ad agenti pubblici, più che a regolare il
vasto paniere di attività connesse con lo scambio stesso4 ;
b) una rigida delimitazione delle attività degli intermediari
pubblici nell'ambito della pura mediazione, originariamente ab-
3 A questa impostazione, nonostante la rilevante deroga successiva alla ri-
forma del codice di commercio del 1882, si tende a far riferimento in tutti i
progetti di riforma dell'ordinamento borsistico e in particolare in quelli elaborati
in sede governativa. Altrettanto si può dire per quanto riguarda l'orientamento
dell'attività giurisprudenziale. Tipiche in questo senso sono le sentenze relative
alla nullità dei contratti a termine eseguiti senza il foglietto bollato dell'agente di
cambio e le sentenze che limitano la facoltà di rivalersi sulla cauzione di agenti
insolventi da parte dei creditori.
4 Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati
mobiliari, cit., vol. I, Introduzione.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 157
binata alla presenza di soli scambi «a contanti» e in seguito, in
modo più complesso e contraddittorio, con la diffusione di con-
tratti a termine e di riporti.
Il sovrapporsi di questi orientamenti produce alcune rilevanti
conseguenze:
a) la storia dell'organizzazione della borsa è in buona parte la
storia di un gruppo professionale, quello degli agenti di cambio,
o, in un'accezione più allargata, la storia «del ceto di borsa» nel
quale confluiscono oltre agli agenti anche le piccole banche locali
e i commissionari;
b) le vicende di questo ceto sono perennemente influenzate
dal fondamentale conflitto di interessi tra gli agenti di cambio
pubblici e le banche private locali o nazionali. Le banche, so-
prattutto quelle che di volta in volta esercitano la funzione di
market maker, tendono ad agire in concorrenza con gli agenti per
acquisire anche i profitti della pura intermediazione e a control-
lare la disciplina del mercato rendendolo, almeno localmente,
«privato». Per questo si muovono sovente con l'intento di ridur-
re o diluire la funzione degli agenti (tollerando in borsa la pre-
senza di abusivi)5. Gli agenti, per quanto sia possibile sintetiz-
zare in una frase una strategia composita portata avanti per più
di 50 anni, facendo leva sulla funzione loro delegata dallo Stato
centrale di far esistere un mercato pubblico, si battono per veder
rispettati i loro privilegi, per influire sulla formazione dei rego-
lamenti di borsa e sul controllo della loro esecuzione. Questa con-
trapposizione genera lunghi periodi di vero e proprio blocco de-
cisionale, di grande incertezza regolativa e organizzativa, i cui
effetti negativi sono smussati dalla presenza di meccanismi in-
formali (controllo sociale, reputazione) che consentono comun-
que al mercato di operare su base locale.
Uno degli esiti rilevanti di tale assetto è l'impossibilità da
parte degli agenti di cambio, cioè degli intermediari specializzati,
di garantire una sensibile riduzione dei costi di transazione (costi
diretti ed esternalità da riferirsi ad asimmetrie informative) at-
traverso aumenti del volume delle attività ed economie di scala.
L'agente di cambio viene considerato commerciante nel1882,
5 Le polemiche a questo proposito si protraggono dalla metà degli anni Qua-
ranta dell'Ottocento fino alla legislazione del1913, che in parte le risolve, rag-
giungendo il culmine alla fine degli anni Ottanta dell'Ottocento. L'attrito sarà
sensibile però anche nel periodo postbellico.
158 Ricerche per la storia della Banca d'Iwlia V
ma acquisisce solo nel1913, e con molte limitazioni rese più strin-
genti nel1925, la possibilità di far agire ufficialmente dipendenti
in suo nome. La crescita della sua attività è tradizionalmente vin-
colata alla sua disponibilità di tempo personale.
Questa impostazione ha almeno due rilevanti conseguenze.
In presenza di fasi speculative, durante le quali si espande la do-
manda di intermediazione, non si assiste a una crescita delle
aziende degli intermediari specializzati (agenti di cambio), ma a
un forte incremento del numero di agenti mediatori (ufficiali o
abusivi) presenti sul mercato. Questo fenomeno introduce all'in-
terno del gruppo professionale degli agenti l'instabilità tipica del-
le fasi di turbolenta natalità di impresa: ingresso di operatori sco-
nosciuti, richiamati dall'opportunità di mercato, dotati di minore
qualificazione professionale e disponibilità economiche, e presu-
mibilmente disponibili a trattare con una clientela altrettanto
«occasionale». Il che significa riduzione dei controlli sociali e au-
mento delle probabilità di cessazione precoce delle attività anche
a causa di fallimenti.
Quando, in altri termini, in presenza di particolari sviluppi
speculativi si fa più elevato il bisogno di controllo e di organiz-
zazione, nella borsa italiana si manifesta per ragioni strutturali
una situazione in cui si riducono le capacità di controllo e au-
menta l'instabilità regolativa.
L'analisi della vita professionale di tutti gli agenti di cambio
presenti alla borsa di Milano dal1830 al1956 consente una ve-
rifica puntuale di questo fenomeno. L'impatto del biennio spe-
culativo 1870-72 è il primo spartiacque che segna il passaggio da
una popolazione di agenti con vita professionale molto duratura
e completa assenza di episodi di insolvenza a una popolazione
caratterizzata da una mortalità precoce molto più elevata, da mol-
te dimissioni e da insolvenze (cfr. tab. 1).
Tab. l. -Agenti di cambio di Milano. Durata della vita professionale degli
iscritti.
Prima del 1861 1861-75 1876-91 1892-1915 1915-35
Meno di 5 annì 0,00 0,20 0,27 0,20 0,21
5-15 annì 0,14 0,29 0,30 0,27 0,29
15-25 annì 0,36 0,22 0,20 0,27 0,32
Pìù di 25 annì 0,50 0,29 0,23 0,25 0,18
FONTE: Archivio Camera di commercio di Milano.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 159
Tale tendenza si conferma nel quindicennio successivo, e an-
cora, seppur con alcune differenze su cui non è possibile soffer-
marsi in questa sede, all'epoca dell'espansione giolittiana e dal
1922 al marzo 1925.
Risultato di questa dinamica è l'impressione che il settore
dell'intermediazione mobiliare non arrivi a maturità, ma resti in
una situazione in cui, appena fuori dei confini della protezione
legislativa, la turbolenza è la regola.
L'impossibilità di acquisire economie di scala ha inoltre, sul
piano microeconomico, l'effetto di far confluire le strategie com-
petitive degli agenti di cambio in due direzioni principali. Da un
lato diventa indispensabile il rapporto con pochi clienti disponi-
bili a compiere frequenti operazioni di grande entità, ovvero le
principali banche, con le quali si ha un rapporto molto simile alla
dipendenza, dall'altro, soprattutto per gli agenti «marginali», le
possibilità di crescita sono date dall'accensione di attività che si
collocano ai confini del dettato legislativo o fuori di esso, come
la gestione di portafoglio, l'operare in contropartita con il cliente
o addirittura la presa di posizione in proprio che diventa indi-
spensabile per gli agenti che svolgono arbitraggi tra le diverse
piazze.
II. L'ampiezza delle deleghe ai poteri locali fa sì che nelle piazze
italiane, e in particolare a Milano, la borsa non si istituisca come
un organismo autonomo, eventualmente sorvegliato da un'auto-
rità pubblica, ma si presenti, fin dalla sua fondazione, come un'e-
manazione della Camera di commercio, che assume il controllo
della sua organizzazione, la responsabilità della sua operatività e
del suo sviluppo infrastrutturale. Questo assetto, che lo Stato
italiano eredita dalle vicende preunitarie, ha come conseguenza il
mantenimento di ampie deleghe operative ai poteri locali per il
controllo e la gestione dei mercati borsistici. Nella legislazione
del1865 e del1882 il governo si limita a fissare e far rispettare
alcuni principi generali, delegando ai poteri locali il compito di
emettere regolamenti applicativi, o coinvolgendoli fortemente
nella loro redazione.
Ai poteri locali è quindi delegato il compito di definire con-
cretamente il sistema di poteri attorno a cui si costruisce l' orga-
nizzazione della borsa e, fino al1913, un importante ruolo con-
sultivo per il legislatore.
160 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Questa opzione ha due conseguenze rilevanti. Gli esiti dei
conflitti locali di interessi tra attori (agenti di cambio e case ban-
carie) acquisiscono una fondamentale rilevanza perché incidono
direttamente sulla gestione (delegata localmente) del mercato. In
questo senso si può osservare che la storia organizzativa e rego-
lativa della borsa milanese è in buona parte spiegabile come l'e-
sito di successivi tentativi di catturare i regolamenti e i poteri di
controllo da parte degli attori principali della borsa stessa.
Agenti di cambio e istituti bancari giocano per decine di anni
su più tavoli, locali (Camera di commercio) o centrali (commis-
sioni ministeriali e Parlamento), con continui ribaltamenti di al-
leanze e di raggruppamenti «trasversali», una partita tesa ad as-
segnare il privilegio del controllo operativo dei meccanismi di
scambio nel mercato. Con esiti facilmente immaginabili in ter-
mini di stabilità e di certezza regolativa.
I principali disegni di riforma dell'organizzazione borsistica,
compreso quello «definitivo» del1913, sono fortemente influen-
zati, sovente addirittura provocati fin dall'origine, dalla presen-
za di conflitti locali tra intermediari6 • E dò che orienta le pro-
poste avanzate dalle parti in causa è sempre un obiettivo di breve
periodo: l'acquisizione di rendite di posizione da parte di singole
categorie di intermediari.
Non si coglie (ma forse non è led t~ neppure aspettarsi che ciò
accada e solo un'indagine comparata su altri casi nazionali potrà
chiarire la questione) nella lunga storia di contrasti, guerriglie,
temporanee alleanze che scandisce la vita della nostra borsa, al-
meno fino ai provvedimenti del1925, un solo momento in cui i
conflitti particolari si compongano in nome di un disegno più
ampio e impersonale di sviluppo del mercato. In questo senso la
precarietà istituzionale del mercato mobiliare, l'incapacità di
cooperare stabilmente da parte dei vari intermediari può essere
letta anche come una conseguenza della frammentazione della
business community nella realtà italiana.
Un'ulteriore conseguenza dell'estensione della delega dal cen-
6 II 3 febbraio 191 O il banchiere Jarach, innervosito dalla difficoltà di tro-
vare un accordo tra banche e agenti di cambio riguardo agli ordinamenti proposti
dal progetto di legge sulle borse, afferma: «Noi banchieri non vogliamo niente
[... ]siete voi agenti di cambio che siete andati a svegliare il Governo», in S. Baia
Curioni e D. Masciandaro, Regolazione e conflitti nel mercato mobiliare italiano:
verso la crisi de/1907, in «Annali di Storia di Impresa», 1991, p. 411.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 161
tro alle autorità locali, è la difficoltà di adeguare rapidamente le
forme organizzative del mercato ai mutamenti di scenario eco-
nomico nazionale e internazionale. Le soluzioni organizzative
che i poteri locali sono (sempre in modo provvisorio) capaci di
individuare e difendere per i mercati mobiliari rispondono infat-
ti (in presenza di continui conflitti tra operatori) più alla neces-
sità di trovare un equilibrio tra gli interessi in campo che alla
volontà di adeguare tecnicamente il mercato alle necessità del
sistema nazionale e internazionale. Di fronte alle sollecitazioni
imposte dall'ambiente economico, i poteri locali tendono quindi
a produrre soluzioni «omeostatiche», a ritornare cioè sui percorsi
che, fino al momento di crisi, hanno consentito una composizio-
ne degli interessi tra le parti sociali coinvolte nel funzionamento
del mercato. E l'ampiezza delle deleghe consente a questi mec-
canismi fortemente conservativi di riprodursi per lunghi periodi,
salvo poi dar luogo a drastici interventi «centrali» - emblema-
tico quello del marzo 1925- in reazione all'evidente inadegua-
tezza del sistema.
III. Un'altra caratteristica dell'esperienza borsistica italiana è da
identificare nella varietà dei principi generali che hanno orien-
tato l'azione governativa e del legislatore. In particolare, dall'im-
postazione fortemente protezionistica del governo prima cisalpi-
no e quindi austriaco, si è transitati, tramite l'intervento del1865
(che già con il principio della libera mediazione altera gli equili-
bri locali), alla legge dell882 che si ispira al principio della più
completa libertà di mediazione e di partecipazione alle attività di
borsa. Gli agenti di cambio non solo perdono ogni sostanziale
privilegio nelle contrattazioni, ma sono considerati, per la prima
volta, mercanti, possono agire, a parte un inattuabile rimando a
regolazioni locali, come commissionari assumendosi la responsa-
bilità dell'esito delle operazioni compiute, e non è loro esplici-
tam~nte impedito di operare in proprio.
E evidente che questo intervento, oltre a smantellare brusca-
mente un patrimonio, per quanto discutibile, di prassi e regola-
zioni, altera fortemente le condizioni entro cui gli operatori sono
chiamati sia a organizzare il mercato che a competere.
Il risultato in questo caso è che dal1882 in poi, fino alla fine
degli anni Novanta, molti dei nuovi agenti di cambio sono in
realtà piccoli banchieri e commissionari che diversificano le loro
162 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
attività, mentre molti agenti di cambio fondano o diventano soci
di società bancarie. Questa commistione, se da un lato consente
la crescita delle attività degli agenti più importanti (la categoria
per la prima volta si polarizza sul piano dimensionale), dall'altro
rende praticamente ingestibile l'organizzazione della borsa, che
resta delegata a poteri locali a cui viene a mancare ogni possibi-
lità di intervento. In definitiva quindi la liberalizzazione del
1882, che corrisponde a un primo tentativo di transitare da un
controllo dei soggetti a una disciplina delle attività con il rico-
noscimento della sostanziale sovrapposizione tra il mestiere di
agente e quello di commissionario, essendo avvenuta senza la
contemporanea ridefinizione dei poteri di governo centrale e lo-
cale nell'organizzazione borsistica, determina, alla vigilia dei
grandi fallimenti bancari, un sostanziale decadimento dell'istitu-
zione.
Una seconda svolta si realizza nel 1913, questa volta nella
direzione opposta di un deciso recupero delle posizioni «inter-
ventistiche» precedenti. Ancora la svolta regolativa ha un impat-
to sul sistema organizzativo e determina, come si vedrà, una bru-
sca ondata di dimissioni di buona parte degli agenti che nella fase
precedente avevano aumentato la dimensione delle loro attività
attraverso la commistione di attività di intermediazione mobi-
liare e di gestione bancaria.
Questo evento, in modo molto più marcato rispetto alle pre-
cedenti occasioni, provoca una dispersione di capacità e una in-
terruzione dei processi di apprendimento all'interno del gruppo
degli agenti di cambio che peraltro, proprio in conseguenza della
legge, tornano a essere il nucleo centrale dell'organizzazione del
mercato 7 .
3. Le determinanti di medio periodo: l'intervento legislativo del
1913
Per intendere, anche in estrema sintesi, il percorso che con-
duce all'intervento legislativo del 1913 è importante notare le
condizioni in cui si trova la borsa milanese alla vigilia del decollo
7 Un commento sintetico degli effetti del decreto per le dimissioni degli agen-
ti di cambio è riportato in «La Finanza italiana», 11 ottobre 1913, p. 646.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 163
giolittiano, quando, nel1898, si mostrano i primi segni di ripresa
delle attività dopo la violenta crisi dei primi anni Novanta che
aveva praticamente azzerato gli scambi sul mercato azionario.
La borsa è uno stanzone vuoto al piano terra del Palazzo dei
Giureconsulti, assai carente sul piano delle infrastrutture logisti-
che (tavoli, scrivanie ecc.) e telegrafiche. Da pochi anni si è co-
minciato a trattare, per qualche titolo, alle grida, ma molte con-
trattazioni si fanno ancora, come un tempo, a voce bassa. Anzi,
come nota a quel tempo un inviato ministeriale, «si grida, per
così dire, a voce bassa». Sono presenti e agiscono come interme-
diari nelle contrattazioni agenti di cambio, commissionari e ban-
che, distinti tra loro in parte per le attribuzioni formali (esiste
ancora una lista degli agenti di cambio ufficiali e una pratica di
ammissione da espletare), ma in sostanza distinti soprattutto dal-
le dimensioni aziendali, con agenti, piccole banche e commissio-
nari da un lato e grandi istituti bancari dall'altro. La disciplina,
come portato dei provvedimenti del 1982 e del fallimento del
progetto di legge Romanelli del1894, è assai precaria8 • L'accesso
in borsa è teoricamente aperto a chiunque lo desideri, senza
alcun bisogno di permessi o tessere, le istituzioni di controllo (il
sindacato, nominato dagli agenti di cambio, e la deputazione,
composta dai direttori degli istituti bancari) sono in conflitto,
gli intermediari operano in modo neppure molto nascosto in
tutti i modi possibili, mediazione pura, commissione, posizione.
D'altra parte però diversi elementi segnalano che l'organiz-
zazione della borsa non corrisponde più alle esigenze ambientali
che rivelano importanti segni di sviluppo: si attiva infatti la stan-
za di compensazione, che acquisisce un volume di attività molto
significativo; le connessioni telegrafiche, tra marzo e aprile del
1894, integrano le piazze e aumentano la velocità di trasmissione
degli effetti di tensioni speculative e relativi errori di valutazione
8 La successione di interventi legislativi nel corso degli anni Novanta del-
l'Ottocento è essenzialmente mirata alla ridefinizione della regolazione fiscale.
Dal1890 al1893 si susseguono tre progetti (Seismit-Doda, Colombo, Grimaldi)
che non approdano alla discussione parlamentare. Tra il 1894 e il 1895 la Com-
missione Boselli presenta un nuovo disegno di legge che non ha miglior fortuna.
Tra il1898 e il1901 altri tre progetti, sempre di natura fiscale, sono abbandonati
prima della discussione.
164 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
o illeciti9 • Ma soprattutto si presentano sulla scena dell'interme-
diazione finanziaria nuovi attori di grandi dimensioni, le banche
miste, che intervengono in modo non appariscente sul piano dei
pronunciamenti scritti e verbali, ma estremamente efficace sul
piano pratico, provocando importanti effetti sul mercato.
In un primo momento esse si limitano a contribuire allo svi-
luppo infrastrutturale del mercato stesso con la creazione del
nuovo palazzo di borsa e l'acquisizione di posizioni di potere nel-
la deputazione. Contemporaneamente contribuiscono all'amplia-
mento del listino con una serie di operazioni di collocamento e
alimentano il mercato secondario con un crescente utilizzo dei
riportil 0 •
Lo sviluppo del mercato provocato da questo intervento met-
te però ben presto in evidenza l'inadeguatezza dell'organizzazio-
ne borsistica, che si presenta come problema «nazionale» qualche
anno dopo, a partire dal1904.
Il dibattito è innescato proprio dagli agenti di cambio, che si
riuniscono a congresso nel marzo del1904. Da questo momento
per circa tre anni le posizioni reciproche di agenti di cambio,
Camera di commercio e grandi istituti di credito si precisano e si
confrontano in modo antitetico. La crisi del 1907 interrompe il
dibattito in sede locale e lo trasferisce sul tavolo del governo. Ad
esso farà comunque riferimento l'intervento definitivo del1913.
In estrema sintesi le posizioni a confronto sono sostanzial-
mente le seguenti:
a) gli agenti di cambio, collegandosi su scala nazionale, rievo-
cano l'antica dignità e i tradizionali privilegi della professione ed
esprimono un disegno che chiaramente consentirebbe loro di ac-
quistare un dominio dell'organizzazione borsistica che mai nell'e-
sperienza italiana precedente era stato loro attribuito. In sostanza
chiedono di ridiventare funzionari governativi con un ripristino e
una rigida applicazione del monopolio delle contrattazioni, l'e-
sclusione dalle grida di ogni altro intermediario, una maggiore
9 S. Baia Curioni, Il telegrafo e la formazione di un sistema integrato di mercati
mobiliari in Italia (1888-1905), relazione al Convegno della Società Italiana di
Storia Economica, marzo 1993.
10 A. Gonfalonieri, Banca e industria in Italia 1894-1906, vol. III, Banca Com-
merciale Italiana, Milano 1976.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 165
presenza in deputazione e la possibilità di cooptare in autonomia
i futuri colleghi. Non si fa menzione della partecipazione di agenti
a società bancarie;
b) la Camera di commercio, rielaborando tesi già espresse fin
dagli anni Cinquanta dell'Ottocento, propone invece un mante-
nimento e un rafforzamento della delega ai poteri locali di con-
trollo, l'abolizione delle grida, l'apertura «a tutti coloro che sono
agenti di fatto di essere agenti di diritto» (ovvero i funzionari
delle grandi banche e i commissionari). Il potere di controllo de-
gli scambi dovrebbe essere esercitato dalla Camera attraverso un
unico organismo che riassuma le funzioni della deputazione e del
sindacato;
c) gli istituti di credito, appoggiandosi al primo relatore go-
vernativo, Emilio Maraini, suggeriscono ovviamente di non ri-
servare agli agenti le contrattazioni a termine, ma soprattutto
insistono su quattro punti che si riveleranno cruciali: impedire
con molta severità agli agenti di cambio di operare in proprio;
elevare drasticamente la cauzione loro imposta; impedire agli
agenti di essere soci, direttori o commessi di banche; pur lascian-
do alla Camera di commercio il compito della gestione infrastrut-
turale della borsa, inserire come membri permanenti della depu-
tazione di borsa esponenti del ministero del Tesoro e degli istituti
di emissione accanto ai direttori delle banche miste e a membri
della Camera di commercio 11 •
Facendo astrazione dai contenuti delle proposte, a parte il
caso della Camera di commercio che cerca di difendere in modo
accorato, ma poco convincente, la proposta di un «ritorno al pas-
sato», qual è tra il 1908 e il 1913 la proporzione delle forze in
campo?
11 Atti della Camera di commercio di Milano, verbale 31 maggio 1905 e
allegato Sul Riordinamento delle Borse; verbale 6 dicembre 1906 e allegato Rifor-
ma degli Ordinamenti della Borsa; verbale 10 giugno 1908 e allegato Ordinamento
delle Borse. Cfr. «L'Economista d'Italia», l 0 aprile e l 0 luglio 1905; 23 agosto,
4 dicembre, 23 dicembre 1906; 12 gennaio, 3 giugno, 23 giugno 1907; 21 marzo,
28 marzo, 23 maggio 1908; «L'Economista», 2 dicembre 1906; 28 aprile, 16
giugno, 17 novembre 1907; 7 giugno 1908; si veda anche ASBI, Carte Stringher,
208/1.03/57-66, Appunto sulle Borse-valori, edito in F. Bonelli (a cura di), La
Banca d'Italia da/1894 al1913. Momenti della formazione di una banca centrale,
«Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 697-705.
166 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Tab. 2. -Stanza di compensazione di Milano 1908-13: livello di concen-
trazione dell'attività degli intermediari.
1908 1909 1910 1911 1912 1913
Istituti di credito• 0,54 0,51 0,48 0,51 0,56 0,57
Banche ordinarie e popolarib 0,10 0,12 0,13 0,13 0,11 0,10
Banca privata milanesec 0,23 0,25 0,25 0,23 0,20 0,19
Agenti di cambiod 0,02 0,03 0,03 0,02 0,02 0,02
' Comit, Credit, SBI.
b Banca popolare Milano, Banco ambrosiano, Banca di Busto Arsizio poi Banca proprietari
di case, Banca cooperativa milanese, Banco bergamasco, Banca di Gallarate, Piccolo cred.
bustese (tot. 7).
'Vonwiller, Pisa Zaccaria, Vicini Canetta Sbarbaro, Prandoni, Banca lombarda, Jarach,
Manusardi, Manusardi Crivelli, Rasini, Mazzucchetti, Feltrinelli, Ponti (tot. 10).
d Agenti di cambio {tot. 49).
FONTE: Verbali stanza di compensazione di Milano.
Come si evince dalla tabella 2, che riassume i dati delle atti-
vità annuali degli associati della stanza di compensazione di Mi-
lano tra il1908 e il1913, la percentuale della quota intermediata
dalle tre banche miste (Comit, Credit e SBI) sul volume totale
delle attività in titoli della Stanza passa dal 54 al 57 per cento;
nello stesso periodo la percentuale complessivamente interme-
diata dai 49 agenti di cambio registrati resta del 2 per cento.
Uno squilibrio evidente che mostra chiaramente come il con-
flitto regolativo, radicato nel contesto di un sistema istituziona-
le, organizzativo e di relazioni informali molto legato alla tradi-
zione, si trovi a essere gestito da nuovi attori (le banche miste)
che si muovono su una scala molto diversa e superiore a quella
fino ad allora presente nel mercato locale. E il tentativo degli
agenti di agire su scala nazionale, integrando le richieste delle
diverse piazze, ha successo solo in piccola parte, nel ricondurre
cioè la legislazione nella direzione della protezione e del mono-
polio.
Su tutti gli altri punti la disfatta pare radicale: le principali
banche sono ammesse alle grida per altri dieci anni e la loro po-
sizione di rendita è difesa dal divieto di accesso per tutti gli altri
istituti bancari (art. 64), la cauzione è aumentata subito (artt. 22,
25 e 63) e soprattutto è impedito agli agenti di avere qualunque
tipo di rapporto societario con case bancarie private (art. 24).
Giolitti, presentando in Parlamento il progetto di legge, il17
dicembre 1912 si pronuncia assai chiaramente in proposito:
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 16 7
«Questo disegno di legge mira a moralizzare quel centro di infe-
zione del credito italiano che è la Borsa. Se gli agenti sono su per
giù tutti uguali quanto a moralità almeno imponiamo loro una
cauzione che serva da freno» (dal resoconto della «Tribuna» del
18 dicembre 1912).
Una frase che, seguita dai provvedimenti elencati, provoca le
dimissioni e il commissariamento dei sindacati degli agenti di
cambio e l'affidamento provvisorio dell'autorità borsistica, per
Milano, al senatore Della Torre direttore della banca Zaccaria
Pisa.
Ancora, altro elemento rilevante, Tesoro e istituti di emis-
sione per la prima volta sono invitati a partecipare alla deputa-
zione di borsa (art. 4). Questo segnale, ancora debole, di raffor-
zamento dei poteri centrali (la deputazione è saldamente in mano
agli istituti di credito) si accompagna a una più marcata esauto-
razione dei poteri locali 12 •
I commenti, molto critici, di Gustavo Del Vecchio alla legge
del1913 sono in proposito del tutto espliciti: la legge non servirà
a «sanare» e a rendere degno del suo ruolo potenziale il mercato
di borsa, ma soltanto a consegnarlo nelle mani di uno dei suoi
attori, la banca mista: «Il nuovo regime delle borse è specificato
dal fatto che mira a concentrare le vicende della speculazione
nelle mani del governo, dei grandi istituti di credito e di un corpo
di agenti di cambio naturalmente legati ad essi»u.
Luigi Einaudi, più cauto ma non meno severo, commenta:
«Frammezzo ad un groviglio di norme tratte dagli archivi polve-
rulenti del governo 'paterno' [... ] l'unica norma sensata, ragio-
nevole è quella dell'art. 47 che riconosce la validità dei contratti
a termine» 14 •
Ancora una volta, seguendo una prassi consolidata nella sto-
ria della nostra borsa, l'intervento legislativo, sollecitato dal con-
flitto regolativo tra gli attori (ed è importante ricordare che sono
12 Il progetto di legge è presentato alla Camera una prima volta il16 maggio
1908, relatore il ministro Cocco Ortu, dibattuto il l 0 e il 5 dicembre 1908, re-
latore Edoardo Giovannelli. La seconda volta è presentato il 3 luglio 1909, an-
cora con una relazione di Edoardo Giovannelli, ed è infine discusso e approvato
il17 dicembre 1912. Al Senato è presentato e discusso il l O, 12 e 13 marzo 1913.
13 G. Del Vecchio, Il nuovo regime delle Borse, in «Giornale degli Economi-
sti», ottobre 1913, p. 6.
14 L. Einaudi, Il nuovo disegno di legge sulle Borse, in «La Riforma sociale»,
14, 1913, pp. 32 sgg.
168 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
gli agenti a sollevare la questione della riforma in sede governa-
tiva, tre anni prima della crisi del 1907), si trova ad accogliere le
proposte dotate di maggior forza contrattuale, costruendo un re-
golamento sostanzialmente «catturato» da coloro che ad esso de-
vono essere sottoposti.
Dal 1913 la banca mista si trova a essere sostanzialmente ar-
bitra del funzionamento del mercato, market maker, giudice del-
l' applicazione della disciplina in deputazione, e fornitore di li-
quidità attraverso la disponibilità ai riporti e sovvenzioni in caso
di liquidazioni difficili, salvo poi far affidamento sull'intervento
delle banche di emissione.
La debolezza intrinseca del sistema organizzativo della borsa
milanese e italiana, debolezza che si manifesta in particolare nel
modo di produrre decisioni in merito alla sua evoluzione istitu-
zionale, conduce il mercato ad acquisire una posizione dipenden-
te rispetto a un ristretto numero di intermediari bancari non spe-
cializzati. E in questa situazione la borsa affronta il periodo di
grande espansione del capitale azionario e le grandi turbolenze
che si manifestano in Italia nel primo dopoguerra.
4. I fattori di breve periodo: 1918-36
La traiettoria che conduce la borsa italiana alla posizione «mi-
nore» sancita dall'avvio della politica del «circuito dei capitali» e
dalla legge bancaria del 1936 è scandita da tre fasi successive
caratterizzate dal sovrapporsi di una lenta evoluzione interna al-
l' organizzazione del mercato e di drammatiche scosse provenien-
ti dall'esterno.
4.1. 1918-21: le scalate alle banche
Durante gli ultimi mesi del conflitto le borse italiane sono
ufficialmente chiuse, ma di fatto operanti grazie alla presenza di
mercati «privati». La loro attività, incentivata dall'abbondante
liquidità creata per finanziare l'intervento bellico e tollerata dal-
le autorità, è orchestrata dai grandi istituti di credito che dal
1913 dominano il mercato sul piano operativo e istituzionale.
Nel febbraio 1918 a Milano sono normalmente trattati 44
titoli, con un'attività giudicata del tutto simile a quella prece-
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 169
dente alla chiusura delle borse ufficiali, anzi, dal punto di vista
puramente tecnico, anche migliore di prima perché «gli artifici,
pur troppo frequenti nell'accertamento dei corsi, non sono
praticabili»15 •
Nell'ambiente borsistico si avverte una certa preoccupa-
zione per il vorticoso accavallarsi di emissioni private che, sor-
rette dall'alta banca, assorbono risorse tali da minacciare addi-
rittura il buon esito delle emissioni pubbliche 16 • Il volume delle
emissioni fa sorgere dubbi sulla possibilità di classare stabilmen-
te, in futuro, questa massa di titoli presso investitori italiani ed
esteri.
Un rapido confronto del listino del1920 con quello del1910
consente di definire più precisamente il peso dell'economia di
guerra sulle attività del mercato mobiliare.
Tab. 3. - Borsa valori di Milano (in milioni di lire)
1910 1920
Capitale sociale 1959 5687
Capitalizzazione 2669 6574
Numero società 147 118
FONTE: Elaborazione listini ufficiali borsa valori di Milano.
In termini reali non si ha un incremento del capitale aziona-
rio quotato tra il 1910 e il 1920 (utilizzando un deflattore sui
prezzi al consumo, base 1892, si passa da 1635 milioni del1910
a 1298 milioni nel1920; analogamente si riduce il capitale azio-
nario totale del sistema, da 4350 a 4060 milioni- fonte Assoni-
me), ma questo andamento deve essere considerato alla luce della
15 «L'Economista», 9 marzo 1918. In verità fin dal febbraio de11917 si era-
no moltiplicate le pressioni per riaprire le borse da parte delle camere di com-
mercio e il1 ° ottobre del1917 si era riaperta ufficialmente la sala delle contrat-
tazioni; un mese dopo però è nuovamente chiusa fino al novembre 1918 (per il
D.Lgt. 21 novembre 1918, n. 1733). Atti della Camera di commercio, verbali 30
ottobre 1917 e 30 novembre 1918.
16 Monzilli dalle colonne dell' «Economista d'Italia» commenta: «A noi pare
che si cominci ad esagerare: tutte le imprese aumentano fuor di misura il loro
capitale anche quando si tratta di rami di produzione che non possono conseguire
un grande sviluppo dopo la pace» (Il problema del credito nel dopoguerra, in «L'E-
conomista d'Italia», aprile 1918).
170 Ricerche per la storia della Banca d'Italia v
notevole riduzione del numero di società presenti sul listino e
delle asimmetrie con cui i diversi settori utilizzano il mercato
(tab. 4).
Tab. 4. -Borsa di Milano. Composizione settoriale aumenti del capitale
quotato: incrementi percentuali del quinquennio (1900-35)*
1900· 1905- 1910- 1914- 1920- 1925- 1930-
1905 1910 1914 1920 1925 1930 1935
Alimentari lO 3 4 3
Assicurazioni l 2 19
Bancarie 13 22 49 20 15 5
Chimiche 6 11 2 5 4
Diverse 3 9 4 4 5
Elettriche 11 12 31 14 38 52 55
Finanziarie 4 15
Fondiarie 11 8 4 l 4 5
Meccaniche 9 8 5 8
Minerarie 8 21 13 35 6 lO
Tessili 12 10 9 21 4
Trasporti 17 8 3 11
Totale (milioni) 675 323 400 3379 7867 7999 329
% incremento
capitale
azionario totale 0,53 0,19 0,75 0,28 0,42 0,51 0,04
* Il dato è stato rilevato tenendo conto solo dei valori presenti in listino agli estermi dei
periodi senza considerare eventuali titoli quotati e usciti dal listino nel periodo intermedio.
FONTE: Elaborazione listini ufficiali borsa valori di Milano.
Gli incrementi più netti si realizzano nel comparto bancario,
minerario e siderurgico e, con un certo distacco, in quello elet-
trico. Settori ovviamente incentivati dall'economia di guerra e
reciprocamente interconnessi sul piano strategico e degli assetti
proprietari 17 .
Nel1920 le prime quattro società del listino per dimensione
sono bancarie, guidate dalla Comit che da sola concentra l' 11 per
cento della capitalizzazione complessiva. L'incremento più rile-
vante del livello di concentrazione si osserva nel comparto mi-
17 F. Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal1884 al
1962, Torino 1971; A.M. Falchero, La Banca italiana di Sconto 1914-1921, Mi-
lano 1990.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 171
nerario e siderurgico nel quale l'indice Hirshmann-Herfindal pas-
sa dallo 0,14 allo 0,411 8 • È un processo di concentrazione che
modifica l'assetto di tutto il settore tanto che, pur in presenza di
un minor numero di società quotate rispetto al1910 (da 15 a 13),
la rappresentatività del capitale quotato sul totale del settore
(fonte Assonime) passa dal 28 all'89 per cento.
Complessivamente, osservando il dato percentuale relativo
alla composizione settoriale degli aumenti di capitale azionario
quotato si rileva che i tre settori indicati, confermando una ten-
denza già manifestata prima della guerra, concentrano il 70 per
cento circa del totale delle emissioni del periodo bellico e imme-
diatamente postbellico:
1910-14 1914-20
Bancarie 49 20
Elettriche 31 14
Minerarie 13 35
Totale 93 69
Ed è inutile sottolineare come questi movimenti siano in-
fluenzati dall'intervento dell'alta banca che, concentrando il ruo-
lo di regolatore e di market maker, sembra, in modo analogo a
quanto accaduto prima della guerra, poter agevolmente control-
lare il mercato: «Queste vaste emissioni», scrive Bachi, «sono
state assai favorite dalle banche, le quali vi hanno trovato la fon-
te di pingui lucri. Bene spesso le emissioni sono state precedute
o accompagnate da manovre borsistiche per tenere artificiosa-
mente alti i prezzi dei titoli onde favorire la riuscita delle
emissioni» 19 •
18 L'indice Hirschmann-Herfindal normalmente usato li'er valutare i livelli
di concentrazione nei settori industriali è definito come ~. 1 S~, dove Si è il
rapporto tra il capitale sociale dell'iesima impresa rispetto al ~apitJe sociale com-
plessivo del settore. In questo caso lo si è utilizzato per calcolare il livello di
concentrazione all'interno del settore limitando il conteggio alle società quotate.
Nel calcolo di questo rapporto non si è tenuto conto di eventuali incroci di par-
tecipazioni o raggruppamenti tra imprese dello stesso settore. Cfr. R. Giannetti,
G. Federico, P.A. Tonielli, B. Bezza, Size and Strategy of Italian Industria! Enter-
prises (1907-1940), relazione presentata alla Settimana di studi sull'impresa della
Fondazione Assi, Milano 1991.
19 R. Bachi, L'Italia economica nel1918, Milano 1919, p. 72.
172 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Nel marzo del1918 però il potere dei gruppi bancari sembra
essere messo alla prova da una forte tensione speculativa che in-
veste prima il titolo Comit e quindi il Credit. Il 9 marzo il mi-
nistro del Tesoro Nitti esprime preoccupazione riguardo all'a-
scesa troppo rapida di alcuni titoli. I livelli di attività del mercato,
nonostante esso sia formalmente chiuso, sono elevatissimi, qual-
cuno dice addirittura superiori a quelli registrati tra il 1905 e il
190720 • In marzo è il titolo Comit a subire le maggiori alterazio-
ni, ad aprile il Credit. Le loro oscillazioni sono molto forti e ben
presto si chiarisce la loro origine che, come scrive Bachi, «è nel
mondo industriale, per ottenere il dominio dei grandi istituti di
credito».
È il primo segnale del lungo e ben noto conflitto che per più
di due anni, fino alla caduta della Banca Italiana di Sconto, op-
porrà i principali gruppi industriali e bancari per l'acquisizione
dei centri nevralgici del sistema finanziario italiano. La vicenda
è estremamente complessa e non può essere adeguatamente trat-
tata in questa sede, anche perché, a parte l'ovvia conseguenza di
determinare violente fluttuazioni nel livello dei prezzi di alcuni
titoli eccitando manovre speculative anche da parte di piccoli
operatori richiamati dall'opportunità di inserirsi nella contesa tra
i grandi gruppi, non ha immediati effetti sulla struttura istitu-
zionale delle borse. Quando il conflitto per il controllo delle ban-
che si manifesta le borse ufficiali sono infatti chiuse, e alla loro
riapertura non si prendono provvedimenti speciali finalizzati a
un contenimento delle attività speculative. D'altra parte la pre-
senza di tale conflitto può essere considerata come una premessa
importante, probabilmente determinante, per introdurre eventi
che si riveleranno decisivi nel ventennio successivo.
È infatti la prima e rarissima occasione in cui la borsa italiana
è teatro di take over ostili condotti con la massima decisione e
spregiudicatezza. Certamente, date le condizioni istituzionali e
operative determinatesi dopo il1913, questa innovazione è resa
possibile dai particolari ritmi di accumulazione e concentrazione
20 «La chiusura delle Borse ufficiali non si avverte oramai più, e l'attività del
mercato che usiamo dire privato per distinguerlo da quello che si svolge abitual-
mente nelle Borse ha assunto proporzioni eccezionali, maggiori di quelle dei più
noti periodi di intensa speculazione quale [. ..] il periodo 1905-1906», in «L'E-
conomista d'Italia», aprile 1919.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 17 3
di capitale provocati dalla guerra. A partire dal 1921, quando
questa parentesi conflittuale sembra estinta con la caduta dei Per-
rone, del gruppo Ansaldo e della Brs, pochi altri si azzarderanno
a ripetere l'esperienza contando su una ragionevole probabilità
di riuscita.
Ma è il primo segnale che indica quanto il contesto in cui si
deve svolgere l'attività dei mercati mobiliari sia mutato in seguito
agli eventi bellici, e almeno due conseguenze di queste vicende
meritano di essere messe in evidenza. Anzitutto, l'esito di questo
episodio è in apparenza il rafforzamento dei poteri éli controllo
che, attraverso l'alta banca, è possibile esercitare sul mercato mo-
biliare. Nel1919, ancora prima che fosse chiaro l'esito del con-
flitto in atto, Bachi scrive: «Dopo gli anteriori sforzi per la cattura
di talune aziende, il mercato è risultato ormai controllato da pochi
grandi gruppi di detentori rispetto ai titoli oggetto favorito delle
speculazioni e cosl senza gran possibilità di vasti spostamenti»21 .
Il rafforzamento della posizione relativa di Credit e Comit
non è però indipendente da una maggiore fragilità degli assetti
patrimoniali di queste banche, determinata dalla creazione dei
consorzi di difesa delle quote di maggioranza (Comofin e Com-
pagnia finanziaria nazionale) e dal sistema di partecipazioni in-
crociate che ad essi sono sottese.
In questo senso, in seguito a tali eventi, il rapporto borsa-alta
banca viene a configurarsi, in modo ancor più estremo di quanto
previsto al tempo della legge del1913, come un sistema caratte-
rizzato da una crescente dipendent:a reciproca. Un sistema nel
quale i punti di forza e di debolezza degli attori si trovano in-
dissolubilmente avvinti da una sorta di destino comune.
Il secondo effetto generato da queste turbolenze è quello di
sollecitare un'esigenza di maggiore controllo centrale sul sistema
finanziario, sia in relazione ai fenomeni speculativi, sia in rela-
zione al ruolo e ai poteri degli intermediari.
Dopo l'intervento di Nitti a monito della speculazione nel
marzo del 1918, il ministro del Commercio Ciuffelli emana un
decreto finalizzato a imporre un controllo governativo sugli au-
menti di capitale delle società per azioni. L'idea, esplicita, è quel-
la di evitare un'eccessiva concentrazione di potere nelle mani di
21 R. Bachi, L'Italia economica ne/1919, Milano 1920, p. 93.
174 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
pochi gruppi. Le reazioni dei commentatori, anche di quelli che
condividono i dubbi governativi riguardo ali' opportunità dei pro-
cessi di concentrazione in atto, sono molto negative: «Il control-
lo reale sul finanziamento delle società industriali non può che
essere fatto dai grandi istituti di credito», scrive «L'Economista»
di De Johannis, «senza i quali nessun consorzio di emissione può
essere portato a buon fine [... ] è molto difficile, quasi impossi-
bile, che un appello al credito pubblico mediante l'emissione di
azioni si effettui senza la loro collaborazione», e Monzilli fa eco:
«Siamo lontani dal giustificare l'intervento del Governo sull' au-
mento di capitale delle Società, che crediamo difficile ad essere
esercitato»22 •
Il controllo insomma spetta di fatto e di diritto alle grandi
banche miste che devono agire in regime di libertà concorren-
ziale. •
Un mese dopo, il24 aprile 1918, sull'onda di questi dibattiti,
N itti riprende la parola all'assemblea dell'Associazione per le so-
cietà per azioni, e rivendica la necessità che le banche, in parti-
colare l'alta banca, non solo siano «italiane, nell'azione, nella
condotta e nei programmi», ma anche che si abbandoni l' orien-
tamento alla despecializzazione degli intermediari, a favore della
crea~ione di una serie di istituti di credito specializzati.
E una presa di posizione ancora minoritaria e, in quanto tale,
priva di conseguenze nel breve periodo ma, soprattutto alla luce
degli avvenimenti successivi, decisamente significativa. Ancora
Monzilli ammonisce: «In Italia si è persuasi che un grande isti-
tuto di credito ordinario possa compiere come in passato il fi-
nanziamento di imprese industriali, senza compromettere la com-
pagine delle sue forze finanziarie» 2 3.
L'unico risultato ottenuto da Nitti su questo fronte è la con-
vocazione delle quattro grandi banche a Roma nel luglio dell918
per la fissazione di un protocollo di intesa tramite il quale, «pur
rimanendo integra l'assoluta indipendenza di opere e direttive di
ciascun istituto, si coordina e disciplina l'esplicazione delle loro
singole attività».
L'accordo, i cui contenuti sono tenuti segreti nonostante le
22
«L'Economista», 18 aprile 1918; Il problema del credito nel dopo-guerra,
ci t.
23 Il problema del credito nel dopoguerra, cit.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 175
proteste della stampa, ha l'obiettivo, secondo Bachi, di ridurre le
pratiche concorrenziali tra gli istituti e di indurre alla creazione
di un'associazione tra banche (che poi darà luogo all'Ani). Non
ha un effetto pratico immediato, soprattutto sul punto, piuttosto
contestato dagli osservatori, della riduzione della concorrenza,
ma è certamente il segnale di un'esigenza che si riproporrà nei
ben più drastici interventi regolativi del decennio successivo24 •
4.2. 1919-23: crisi dei cambi e organizzazione di Borsa
Quando nel gennaio 1919 Nitti lascia il ministero del Tesoro
a Bonaldo Stringher, «L'Economista» di De Johannis, da sempre
vicino alle posizioni del governatore della Banca d'Italia, non
ricorda tra i successi del ministro uscente i tentativi di coordi-
namento delle politiche bancarie, quanto la sua capacità di man-
tenere stabile il tasso di cambio. In seguito, meno di un anno
dopo, lo stesso Stringher ha cura di ricordare che quest'unico
successo era stato ottenuto grazie all'esecuzione delle politiche di
supporto interalleate che avevano consentito l'erogazione di pre-
stiti per 8900 milioni di lire oro da parte degli Stati Uniti e
dell'Inghilterra25.
Quando il sostegno degli alleati viene meno, dall'aprile 1919,
con l'abbandono del controllo sulle valute inglese, francese e ita-
liana, il problema del tasso di cambio e del suo progressivo de-
terioramento sulla spinta dei maggiori differenziali inflattivi del-
l' economia italiana rispetto a quelle internazionali diventa attua-
le e progressivamente sempre più urgente.
Anche questo problema, come in precedenza la questione del-
la scalata alle banche, non può in questa sede essere considerato
nella sua estensione e complessità. È necessario assumerlo come
un dato che trae origine da eventi esogeni ai mercati finanziari
italiani, ma che arriva a provocare alcune importanti conseguen-
ze sugli assetti istituzionali delle borse italiane.
In primo luogo esso, sovrapponendosi alle instabilità genera-
te dalle scalate in borsa, offre abbondanti argomenti a coloro che
24 R. Bachi, L'Italia economica nel1918, cit., p. 254; cfr. E. Cianci, Lana-
scita dello stato imprenditore in Italia, Torino 1978, p. 25.
25 R. D' Angiolini, in «L'Economista», 7 novembre 1920, p. 642. Cfr. F.
Spinelli e M. Fratianni, Storia monetaria d'Italia, Milano 1991, p. 299.
176 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
attribuiscono al comportamento degli intermediari e alla specu-
lazione la responsabilità delle tendenze al ribasso della moneta
nazionale. La pressione di questo punto di vista è tale da influen-
zare l'attività governativa contribuendo alla formazione di un
progetto di legge (n. 286 per la difesa della valuta italiana) teso
a ripristinare uno stretto controllo governativo sul mercato dei
cambi26 •
L' 11 gennaio 1920 Vilfredo Pareto interviene con passione
sull'argomento negando che la speculazione possa essere ritenuta
responsabile del deprezzamento in corso. Il problema secondo
Pareto è dato in generale dal rapporto tra la capacità di produrre
ricchezza delle varie nazioni, drasticamente modificato dagli ef-
fetti dell'esperienza bellica sul quadro internazionale27 •
Un mese più tardi Luigi Dalla Torre, intervenendo alla Ca-
mera di commercio di Milano in merito al succitato disegno di
legge, ribadisce che la speculazione non crea i fenomeni econo-
mici, semmai li anticipa o li accentua. Il vero problema è da un
lato l'assenza di una cooperazione finanziaria internazionale, dal-
l' altro la debolezza relativa dell'Italia assillata da una cronica
scarsità di scorte. Non serve quindi, indica il Dalla Torre, lavo-
rare sugli «effetti», tanto vale cercare di aprire il mercato dei
cambi a una maggiore efficienza28 •
Queste schermaglie sono sottese alla successione di provve-
dimenti con cui il governo, tra il maggio del1919 e l'aprile del
1920, tende di fatto a mantenere una rigida regolamentazione
dei rapporti finanziari e commerciali con l'estero. L'abolizione
del monopolio dei cambi si risolve infatti nell'attribuzione della
competenza a trattare i cambi stessi a un ristretto numero di gran-
di banche con il controllo dell'Istituto nazionale, mentre si vieta
l'invio di lire all'estero, si limita la disponibilità di valuta, si vin-
colano le fatturazioni in valuta estera.
L'alternativa tra una prospettiva di «apertura riservata» e di
26 Mentre dal maggio del1919la trasformazione dell'Istituto nazionale cam-
bi da monopolista a organo di controllo e vigilanza aveva invece lasciato intra-
vedere una direzione di sviluppo più liberistica.
27 «il maggior peso lasciato dalla guerra al presente non è già quello dei de-
biti e neppure della distruzione di ricchezza da essa compiuta, bensl è costituito
dalla mutata psicologia dei popoli, dei modi di governo, delle condizioni della
popolazione e del consumo» (in «L'Economista», 11 gennaio 1920).
28 Atti della Camera di commercio, verbale 18 febbraio 1920 e allegato In
merito al disegno di legge 286 per provvedimenti in difesa della valuta italiana.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 177
«apertura piena» del mercato, sorta in risposta a questi provve-
dimenti, innesca un'immediata reazione degli operatori e dei lo-
ro organismi di rappresentanza e un conseguente dibattito sulla
forma organizzativa che il mercato dovrebbe assumere.
La lettura dei verbali delle riunioni settimanali del sindacato
di borsa milanese mostra con evidenza che la questione del mer-
cato dei cambi è uno dei centri d'attenzione, almeno fino al1923.
In modo del tutto analogo a quanto è sempre avvenuto nella bor-
sa italiana, il conflitto oppone sindacato e Federazione degli
agenti di cambio alla deputazione di Borsa, nella quale sono rap-
presentati i poteri dell'alta banca; la posta in gioco è ancora data
dalla possibilità di plasmare la regolazione del mercato in modo
da ottenere posizioni di rendita nell'attività di intermediazione
sui cambi. In questo frangente, a causa dei percorsi di coopta-
zione dei nuovi agenti di cambio, lo scenario è leggermente
complicato dal fatto che il sindacato degli agenti appare spac-
cato al suo interno tra membri strettamente dipendenti dalle
banche, e quindi fedeli alla loro causa, e membri che rappre-
sentano una professionalità indipendente e ancora «rivale» del
potere bancario.
Le tesi degli agenti, espresse a più riprese, a livello locale e
nazionale, sono dirette a ricondurre la regolazione dei cambi al-
l'interno dello strumento legislativo del1913 riguardante le bor-
se in generale. Questo significherebbe per gli agenti acquisire il
diritto esclusivo di trattare i cambi con l'eccezione (ormai a sca-
denza) delle banche ammesse alle grida dall'art. 64 della legge
1913, escludendo tutti gli altri istituti bancari dalle grida29 •
Le banche, attraverso la deputazione e i membri loro fedeli
del sindacato, reagiscono semplicemente evitando di eseguire
29
Il 20 ottobre 1920 si comincia con il chiedere la possibilità che gli agenti
siano equiparati alle banche nella trattazione dei cambi. Un mese più tardi una
rappresentanza dei sindacati, ricevuta dal direttore dell'Istituto nazionale cambi,
chiede l'estensione agli agenti della facoltà di acquistare cambi p_er conto dei
privati. Ricevono un assenso con riserva, per le difficoltà di controllo che questa
richiesta nasconde. Nel giugno del1921, a fronte del R.D. lO giugno, n. 737, che
abolisce le disposizioni restrittive in materia di cambi, si chiede l'esclusione dal
recinto delle grida delle banche non comprese dall'art. 64 del1913; in seguito si
lotta per evitare che queste siano riammesse. Infine si chiede addirittura di eli-
minare il recinto dei cambi e di ricondurli al recinto ufficiale delle grida. Cfr.
Comitato direttivo agenti di cambio, verbali del sindacato di Milano, 9 giugno
1920-22 dicembre 1926.
178 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
quanto viene richiesto e mettendo gli agenti davanti a situazioni
di fatto per cui la riunione dei cambi viene spostata alla mattina,
fuori quindi dall'orario ufficiale di borsa, àssumendo un carat-
tere privato; riunione che viene mantenuta anche quando le ri-
chieste degli agenti ottengono di riportare la trattazione dei cam-
bi in borsa. Alla fine nel luglio del1921, dopo lunghe trattative,
si decide di «far stare sulla pedana delle grida gli Agenti e le
Banche dell'articolo 64, a contatto del recinto dei cambi nel qua-
le invece restano le persone non ammesse alle grida». Insomma la
situazione è conflittuale, e resta tale anche perché la deputazio-
ne, secondo il sindacato, non solo lascia le cose al punto di par-
tenza, ma cerca di legalizzare le irregolarità. Nel maggio del1922
la deputazione dispone, in evidente dispregio del privilegio degli
agenti, un libero mercato dei cambi al quale sono ammesse tutte
le ditte iscritte alla Stanza di compensazione e Goldshmied, di-
rettore centrale della Comit, si oppone alla presenza di grida al
suo interno, in modo da evitare che gli agenti rivendichino il loro
ruolo. Ancora nel maggio del 1923 la questione è irrisolta e or-
ganizzativamente confusa.
Per chi studia l'evoluzione istituzionale della borsa italiana
nel lungo periodo questo episodio si presenta come un déjà-vu.
Come in molte altre occasioni viene a mancare la capacità e la
volontà di trovare un accordo tra operatori specializzati e despe-
cializzati per quanto riguarda la regolazione e l'assetto organiz-
zativo del mercato, con il risultato di bloccare la capacità deci-
sionale delle autorità locali. In questo frangente il rapporto di
forza tra sindacato e deputazione è tanto sproporzionato da ren-
dere probabilmente non conveniente la definizione di un accor-
do. Resta il fatto che il risultato finale è una situazione di insta-
bilità regolativa che da un lato si riverbera negativamente
sull'immagine pubblica dell'istituto borsistico e dall'altro serve
con ogni probabilità a coprire sostanziose posizioni di rendita,
che ancora una volta rimandano al potere e al ruolo dell'alta ban-
ca nazionale e internazionale3°.
30 Significativa a questo proposito la nota redatta da Keynes nel suo A Tract
an Monetary Reform del1923 (citato nella traduzione di Sraffa del1925): «I tassi
praticati a Milano per le operazioni a termine in lire, paragonati ai tassi correnti
a Londra alle stesse date, mostrano come una banca la quale sia libera di operare
nei due mercati possa spesso realizzare un profitto esorbitante».
Nell'ottobre dell924la preoccupata relazione di Stringher sulle condizioni
S. Baia Cm-ioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 179
4.3. 1922-25: espansione, speculazione e stabilizzazione
L'esito dei percorsi appena descritti conferma che l' evoluzio-
ne del mercato mobiliare nella prima fase postbellica sia sempre
più vincolata dalla presenza e dall'azione delle banche miste. Do-
po la fase depressiva dei corsi, provocata a partire dalla metà del
1920 dal sovrapporsi di determinanti internazionali e di crisi in-
terne, dalla metà del 1922 si assiste a una ripresa delle attività
speculative e a una nuova lievitazione dei prezzi.
La fase espansiva del mercato mobiliare è indubbiamente il
segnale di una ripresa produttiva che interessa i settori innova-
dvi {elettrici) e quelli tradizionalmente più aperti all' esportazio-
ne {meccanico e tessile), che riescono ad agganciarsi a un ciclo
internazionale favorevole in una posizione competitiva resa van-
taggiosa dalle condizioni macroeconomiche del paese31 • La spin-
ta positiva proveniente dall'economia reale non deve però far
dimenticare che la ripresa coincide con un inasprimento della cri-
si dei cambi, tanto da far supporre a più di un osservatore che
l'aumento dei prezzi dei titoli sia connesso a una crescita delle
aspettative inflazionistiche da parte degli operatori. La fase di
ripresa delle attività di borsa nasce quindi già condizionata da
fattori esterni che ne limitano la stabilità.
Ad ogni modo, considerando il listino nel suo complesso, tra
il 1920 e il 1925 non si registra un sensibile aumento del numero
di società quotate {25 per cento), quanto un incremento del ca-
pitale sociale {135 per cento) e soprattutto della capitalizzazione
complessiva (303 per cento in termini monetari). Questo signi-
fica che dopo le turbolenze dell'immediato dopoguerra, il ritmo
del mercato monetario italiano sembra precisare l'annotazione dell'economista
inglese, ponendola peraltro in relazione con l'instabile eccesso di liquidità che
alimenta la speculazione rialzista: «Si afferma che parecchie banche estere, ap-
profittando dell'esistente deport delle divise oro e specialmente delle lire sterline
in rapporto alle lire italiane, che loro consente di ricavare un beneficio vendendo
le divise a pronti, riacquistandole a termine, per collocare le loro eccedenze tem-
poranee a riporto in Italia [... ] le lire provenienti dalla controvaluta della divisa.
In tal modo l'interesse che percepiscono in conto corrente, unito allo scarto che
rappresenta il deport costituisce un investimento realizzabile da un mese all'al-
tro, probabilmente superiore al 7%». In ASBI, Rapporti con l'estero, copiai. 24,
copia LLIX, lettera di Bonaldo Stringher a Cesare Nava, 10 ottobre 1924.
31 G. Tattara e G. Toniolo, L'industria manifatturiera: cicli politiche e muta-
menti di struttura (1921-1937), in P. Ciocca e G. Toniolo (a cura di), L'economia
italiana durante il fascismo, Bologna 1976, pp. 114-18.
180 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
delle emissioni prosegue molto sostenuto e, dopo il1922, a prez-
zi rapidamente crescenti. Tra il il1920 e il1925 entra in borsa
capitale sociale (al valore nominale) per 786 7 milioni, più del dop-
pio rispetto al decennio precedente, e sempre riguardo al merca-
to primario è importante notare che nello stesso periodo il rap-
porto tra azioni emesse in borsa e il totale delle azioni emesse
passa dal22 (1920) al 35,8 per cento (1925).
La ripartizione settoriale di tale capitale, muovendosi in mo-
do simmetrico alle evoluzioni dello scenario economico, tende a
favorire le industrie elettriche e quelle tessili e, in misura minore,
le meccaniche e le bancarie mentre si ha un regresso netto del
comparto siderurgico in seguito alle vicende Ansaldo-Brs.
L'effetto complessivo è quello di determinare una sorta di
redistribuzione della rappresentatività del capitale sociale quo-
tato rispetto al totale, che nel 1925, come si evince dalla tab. 5,
si presenta in modo meno concentrato rispetto al1920.
Tab. 5. - Rappresentatività del capitale sociale quotato sul totale del settore
(in percentuale).
1920 1925
Bancarie 47 51
Minerario/metallurgiche 89 51
Elettriche 40 75
Meccaniche 12 56
Tessili 32 57
Chimiche 11 35
Trasporti 34 39
FONTI: Elaborazioni sui listini ufficiali borsa valori di Milano e Assonime 32 •
In termini generali il quinquennio 1920-25 si potrebbe quin-
di definire un periodo in cui lo strumento borsistico, sempre e
sempre più decisamente pilotato dall'alta banca, viene ad assu-
mere un ruolo crescente nell'economia nazionale. Ma, come si è
indicato in precedenza, si tratta di una fase transitoria, pesante-
mente condizionata da eventi e dinamiche di portata non solo
' 2 I rapporti sono stati calcolati controllando la coincidenza della classifica-
zione tra listino e Assonime solo per le imprese quotate; possono esistere quindi
margini di distorsione connessi ad arbitrarie o errate classificazioni coeve.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 181
nazionale, e i provvedimenti del marzo 1925, prodromi dell'in-
tervento stabilizzatore del 1926-27, anticipano l'inversione del
ciclo economico interrompendo la fase ascendente dei corsi e se-
gnando una decisiva battuta di arresto nella storia istituzionale
della borsa italiana.
Per poter comprendere la relazione tra la fase apparentemen-
te positiva della borsa e i provvedimenti del 1925 è necessario
tornare a esaminare le vicende interne, istituzionali che scandi-
scono l'evoluzione del mercato in questi anni.
Prima fase: l'organizzazione delle grida La legge sulle borse del
1913, nell'esigenza di mediare tra le esigenze conflittuali degli
agenti di cambio e dell'alta banca, pur attribuendo ai primi la
prerogativa esclusiva della mediazione alle grida, aveva riman-
dato di cinque anni, prorogabili per altri cinque, il momento in
cui gli istituti bancari ammessi alle grida a norma dell' art.64 della
legge (ovvero le banche miste e le banche presenti in borsa prima
del 1905) avrebbero dovuto lasciare il posto al monopolio degli
agenti di cambio. L'esecuzione del disegno normativa viene quin-
di rimandata al gennaio del1923.
Di fatto già prima del conflitto che inevitabilmente si innesca
alla scadenza prefissata si erano evidenziate diverse schermaglie
tra i due gruppi, la cui lettura è necessaria per chiarire l' evolu-
zione in atto.
Ciò che si evince dall'analisi dei verbali del sindacato per que-
sti anni è che l'organismo di rappresentanza degli agenti si muo-
ve parallelamente su tre fronti: la tutela dell'integrità e della ri-
spettabilità del ceto, il potenziamento dei propri strumenti di
rappresentanza, la protezione delle prerogative e dei diritti ac-
quisiti.
Riguardo alla tutela del ceto la «frontiera» è rappresentata dal
diritto di selezionare o limitare l'ingresso in ruolo di nuovi agen-
ti. L'intento della legge 1913, orientata al controllo dei soggetti,
era quello di elevare le barriere all'entrata a tutela del pubblico e
degli agenti presenti, ma, grazie a un paragrafo (art. 22, par. 4)
che mitiga la selezione per coloro che dimostrano lunga pratica
bancaria, nella pratica tale intenzione non è applicata. Nel luglio
del 1920 il sindacato protesta per il privilegio attribuito ai fun-
zionari di banca, che possono entrare in ruolo senza passare al-
cun esame e senza essere laureati. Rifiuta per questo motivo l' am-
182 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
missione ad Alberto Servi, funzionario della Banca Becker e
Fehr, «moralmente un'ottima persona ma sprovvisto di mezzi
economici»33 , a Giovanni Porta e ad Antonio Rota perché i due
sono noti soci (anche se a responsabilità limitata) di banche·34 e
infine respinge Arcidade Giullari, nonostante questi fosse già
ammesso per decisione della Camera di commercio 35 • A questo
punto lo stesso ministero avverte di non poter più tener conto
del parere dei sindacati, «perché i sindacati per partito preso e al
fine di limitare il numero degli Agenti di Cambio iscritti a ruolo
danno quasi sempre parere contrario a qualunque nomina pro-
posta»36.
Il motivo profondo di questa resistenza da parte degli orga-
nismi di rappresentanza degli agenti si chiarisce poco dopo, e
riguarda l'evoluzione che, grazie alle nuove cooptazioni, si sta
registrando nel corpo degli agenti di cambio. Come già prima si
è accennato, alla tipologia più tradizionale di intermediario spe-
cializzato, con un passato di alleanze più o meno marcate con la
piccola banca locale, si va sostituendo una generazione di agen-
ti che sono sostanzialmente funzionari distaccati delle banche:
«Costoro», sostiene nel sindacato milanese l'agente Crivelli,
«non fanno la professione del mediatore, ma lavorano per conto
e nell'interesse esclusivo di una ditta bancaria» e possono per-
mettersi, tra l'altro, tariffe inferiori di mediazione37 •
Aldo Garbagni, personaggio chiave del sindacato in questi an-
ni, osserva in modo ancora più esplicito che alcuni agenti non sono
altro che commessi di aziende bancarie, che non stilano neppure i
fissati bollati e firmano sotto la ragione sociale delle banche (e
propone non solo di abolire il comma «originario» della legge che
dà luogo all'abuso, ma anche di escludere questi agenti dal diritto
di esercitare l'esecuzione coattiva dei contratti). Altri invece, con-
tinua il relatore sindacale, sono veri e propri banchieri seppur di
piccole dimensioni3 8 • Su 27 agenti iscritti tra il1920 e l'ottobre
del 1921, ben 11 appartengono a una delle due categorie sotto
33 Verbali del sindacato di Milano, 16 settembre 1920 e 8 febbraio 1921.
34 I vi, 22 dicembre 1920 e l 0 febbraio 1921.
35 lvi, 28 giugno 1921.
36 Ibid.
37 I vi, 12 settembre 1921.
38 lvi, 21 e 27 ottobre 1921.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Bol'sa valori in Italia 183
accusa (impiegati di grandi banche o piccoli banchieri), e solo otto
hanno seguito una procedura normale di ammissione.
Il rigore con cui il sindacato tenta di presidiare la selezione
dei soggetti è quindi solo in parte teso alla tutela del funziona-
mento del mercato. La posta in gioco è invece la difesa del grup-
po professionale, o meglio di quella parte «autonoma» di esso
che, dopo le numerose dimissioni del1913-14, si sta adattando
alle nuove condizioni competitive imposte dalla legge. Oltre ad
essa vi è poi la difesa delle posizioni acquisite nello stesso sinda-
cato, la cui composizione riflette il contrapporsi dei due schie-
ramenti39.
II potenziamento degli organi di rappresentanza è in questo pe-
riodo sancito dalla costituzione della Federazione nazionale degli
agenti di cambio nel novembre dell920 e dall'elezione di Arturo
Sacerdoti e Mario Angiolini alle cariche direttive dell'organismo,
a cui viene da questo momento delegato il compito di trattare
con le autorità governative e bancarie a nome e nell'interesse di
tutta la categoria.
La protezione delle prerogative professionali degli agenti si ri-
solve invece da un lato nel rifiuto di sottomettersi al pagamento
della tessera di ingresso alla borsa richiesta dalla Camera di
commercio 40 e dall'altro nel tentativo, ben più significativo, di
limitare l'accesso alle grida alle sole banche autorizzate dall'art.
64, escludendo eventuali nuove pretendenti. Significativa a que-
sto proposito l'esclusione della Banca meridionale anche se que-
sta ha acquisito la Banca Jarach e C. titolare del diritto 41 • Ana-
logamente accade alla Banca Rasini, pur compresa nel novero
delle ammesse alle grida, perché in seguito a una vendita «è in
mani di persone assolutamente nuove ed estranee alla vecchia
Banca Rasini» 42 • D'altra parte però quando uno dei vecchi pro-
prietari rifonda una banca (J arach) gli si oppone che con la ven-
dita ogni precedente diritto è perso.
39 Sistematicamente nel sindacato sono presenti elementi strettamente legati
al mondo bancario, che di fatto ne difendono le posizioni andando sovente allo
scontro con i colleghi e opponendosi alle loro delibere con prese di posizione di
minoranza.
40 Verbali del sindacato di Milano, 9 settembre 1920, 10 novembre 1921,27
febbraio 1922.
41 Ivi, 11 marzo 1921.
42 lvi, 5 aprile 1922.
184 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Il sovrapporsi delle varie questioni pone in questi anni la ca-
tegoria degli agenti in una posizione quanto meno contradditto-
ria, se non ambigua.
Da un lato infatti è piuttosto evidente la sostanziale loro di-
pendenza dal potere dei grandi istituti di credito43 • Dall'altro
invece il tradizionale contrasto con la deputazione, composta da-
gli stessi personaggi dominanti nell'alta banca, ma dipendente
dalla Camera di commercio, assume toni molto accesi, tanto che
in seguito a un conflitto di competenze per questioni relative ai
cambi il segretario del sindacato Liserani viene licenziato in tron-
co per non aver difeso gli interessi della categoria nei confronti di
Goldschmied e Prandoni4 4.
Questa ambiguità, indice di quanto i margini di manovra de-
gli agenti si siano ristretti rispetto ai dibattiti precedenti al1913,
consente comunque alla categoria di ritagliarsi un ruolo a volte
rilevante in eventi importanti come la liquidazione della Banca
Italiana di Sconto condotta con il supporto di Nicolò Bonsigno-
re, decano degli agenti milanesi; una concessione che Gold-
schmied non mancherà di ricordare a tempo debito.
In questa situazione si giunge al momento di applicare la re-
strizione del diritto di contrattare alle grida ai soli agenti di cam-
bio, ovvero al gennaio 1923. L'occasione richiama in vita l'antica
contesa che la legge del1913 ha solo sopito e le posizioni tornano
a farsi rigide e contrapposte come un tempo. L'Associazione ban-
caria italiana, «ponendo» secondo la Camera di commercio «in
esatto rilievo la figura e la funzione del negoziatore alle grida [... ]
è favorevole al principio di libera contrattazione» e di apertura
della facoltà di accedere alle grida da parte degli intermediari
bancari; la Federazione degli agenti di cambio, riconosciuto il
distacco ufficiale tra il mestiere di agente di cambio e quello di
banchiere, ma identificando «la funzione e la figura del media-
tore con la figura e la funzione del commissionario», come del
resto era venuto emergendo fin dagli anni Ottanta dell'Ottocen-
to, insiste sulla richiesta di chiusura del ruolo e di difesa del pri-
43 Su una questione fondamentale come la possibilità di elevare le tariffe di
intermediazione il sindacato milanese non osa prendere una posizione definita
finché il suo delegato Brambilla (agente chiaramente schierato dalla parte delle
banche) non ha ottenuto l'assenso di Leo Goldschmied, direttore centrale della
Comit. lvi, 20 luglio 1920 e l 0 febbraio 1921.
44 Verbali del sindacato degli agenti di cambio, seduta del21 giugno 1922.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 185
vilegio, offrendo, a tutela del pubblico, la richiesta di «epurare
ed innalzare la classe degli Agenti di Cambio»45 ; la Camera di
commercio cerca, invero un po' debolmente, di mediare sugge-
rendo una sorta di spartizione dei mercati, libero e bancario quel-
lo dei valori pubblici, chiuso e riservato agli agenti di cambio
quello azionario 4 6.
La contrapposizione si protrae senza esiti per più di un anno
finché, nel febbraio 1924, si approda a un accordo che, ancora
una volta, nonostante venga presentato dall'avvocato Aceti, ar-
ticolista del «Sole», come una soluzione ideale e disinteressata, si
rivela un'ipotesi instabile di compromesso completamente in-
fluenzata dai rapporti di forza in atto 47 •
La proposta, presentata da Mario Angiolini, oltre a ribadire
il privilegio degli agenti e la necessità della loro qualificazione,
prevede infatti che gli istituti di emissione e le banche miste ri-
mangano alle grida con i loro delegati; che le banche presenti in
virtù dell'art. 64 restino alle grida finché sono vivi gli attuali loro
delegati; che le banche con più di dieci anni di vita siano am-
messe alle grida con delegati che devono però essere nominati
agenti di cambio; che le banche con più di 50 milioni di capitale
possano essere ammesse con rappresentanti che devono essere
nominati agenti di cambio.
Insomma, una proposta che, pur accogliendo nei vari distin-
guo le richieste degli operatori più deboli, sancisce di fatto le
posizioni di potere presenti sul mercato. Il progetto non ha se-
guito al ministero e ancora nel novembre del 1924 le autorità di
borsa sollecitano da questo una decisione.
Seconda fase: l'instabilità «demografica» degli intermediari Le
aspettative suscitate dalle proposte di riordino e la prorompente
ascesa dei corsi che si protrae senza interruzione fino alla metà
del1924 e quindi, dopo una breve pausa, fino ai primi mesi del
1925 determinano però un'alterazione dello scenario. Nello stes-
45 Atti della Camera di commercio di Milano, allegato al verbale della riu-
nione del25 gennaio 1923; R. Scheggi, I recenti provvedimenti sulle Borse, Roma
1925, p. 12; M. Casanova, Mediazione, commissione ed Agenti di Cambio, in «Ri-
vista di Diritto commerciale», 1927, pp. 222-48.
46 Atti della Camera di commercio di Milano, verbale 25 gennaio 1923 e
allegato Per la riforma della legislazione sulle Borse.
4 7 «<l Sole», 16 febbraio 1924.
186 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
so momento infatti in cui si proclama la necessità di una chiusura
del ruolo degli agenti, torna a manifestarsi sull'onda delle cre-
scenti attività di intermediazione mobiliare e attirato dalle pro-
spettive del monopolio il tradizionale fenomeno della crescita in-
controllata del numero di agenti e mediatori che accedono al
mercato.
Dal febbraio-marzo del 1923 la precedente cautela del sin-
dacato nei confronti delle nuove domande di iscrizione è sosti-
tuita da una maggiore liberalità, ma è soprattutto dai primi mesi
del1924 che il susseguirsi di domande di iscrizioni mette in dif-
ficoltà il sistema di selezione, da sempre incagliato nel conflitto
tra sindacato e deputazione, e le autorità locali ancora una volta
non sembrano in grado di mantenere il controllo della situazione
(soltanto tra aprile e maggio del 1924 si devono esaminare 15
pratiche di ammissione).
Il16 marzo 1924 Gustavo Deslex lancia un allarme: «La spe-
culazione ha ancora allargato le sue basi, trovando nuovi accoliti
i quali portano in sè tutti gli entusiasmi dei neofiti senza alcune
delle prudenze che l'esperienza può far maturare»48 •
La spirale crescente di nuovi operatori e di speculazioni rial-
ziste preoccupa, in primo luogo, i veri padroni del mercato 49 • Il
12 giugno Leo Goldschmied della Commerciale e il commenda-
tore Alberti del Credito italiano convocano a Milano i presidenti
di tutti i sindacati di borsa italiani. Le parole del direttore cen-
trale della Comit chiariscono molto efficacemente come la banca,
non immemore della grande paura del1907, intenda esercitare il
proprio controllo sul mercato:
L'andamento della borsa ha destato nel suo sviluppo più recente,
una certa ansia [. .. ] quel che preoccupa è la qualità di certi operatori
nuovi, inesperti, che certo desta qualche allarme [... ] è doveroso rico-
«Il Sole», 16 marzo 1924.
48
49
Scossi anche dall'ultimo tentativo di scalata al Credito italiano compiuto
da Gualino, cfr. «L'Economista», 11-18 maggio 1924. La vicenda innesca anche
un dibattito sul ruolo della grande banca, che viene stimolata da De Pietri Tonelli
a ridurre le immobilizzazioni e gli impieghi speculativi limitando i rischi di sca-
lata, mentre Rodanò, sulla «Riforma sociale», attacca direttamente il sistema di
finanziamento industriale «tedesco» che consente a inefficienti raggruppamenti
bancario-industriali di contare sui salvataggi pubblici. Cfr., A. De Pietri Tonelli,
Banche o Borse, in «Rivista di Economia finanziaria», giugno 1924; C. Rodanò,
Le società anonime ed i finanziamenti bancari, in «La Riforma sociale», luglio-
agosto 1924.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 187
noscere che troppa facilità si riscontra nell'eseguire gli ordini della spe-
culazione. Molti agenti di cambio giovani, nuovi alla vita delle borse,
non hanno l'esperienza della crisi [. .. ] il Sindacato deve richiamare alla
responsabilità di conseguenze catastrofiche ove si continuasse ad acco-
gliere facilmente le richieste di ordini speculativi.
È necessario, continua Goldschmied, che banche e agenti agi-
scano in armonia e collaborazione per selezionare ed escludere gli
«affari senza seria consistenza in modo che lo sviluppo della Bor-
sa sia più normale e migliore diventi la qualità degli operatori».
Se questo non avvenisse, e soprattutto se non si limitassero i
nuovi ingressi, gli istituti di credito saranno costretti «ad elevare
del30 per cento il margine di scarto dei riporti». Non solo, ma se
non si eliminerà il gioco della clientela meno esperta, conclude il
rappresentante Comit, «non possiamo prendere impegni di ri-
portare il tutto. Noi non abbiamo mai fatto mancare il denaro ma
la sua disponibilità dipende da circostanze eventuali che non pos-
sono essere sempre prevedute».
Sono sufficienti queste parole, ancorché mitigate dalla frase
detta in uscita di seduta («Noi intediamo essere soltanto tutori,
assistenti ed amici degli agenti di cambio»), per determinare
un'ondata di «alleggerimenti» che mettono addirittura in diffi-
coltà la liquidazione di fine mese. Sempre il solito Goldschmied
appiana le differenze, e il sindacato milanese «riconoscente» gli
offre una medaglia5°.
Le minacce però, al di là della congiuntura di fine giugno
1924, non modificano la situazione: nel solo mese di luglio il
sindacato eroga 16 pareri favorevoli all'ammissione, tra settem-
bre e novembre altri 11.
Il 10 ottobre del1924 il problema è registrato anche dalla
Banca d'Italia: «La cosa che preoccupa», scrive Stringher nella
già citata missiva al ministro N ava, «è la spinta alla speculazione
la quale ha creato una quantità di piccoli operatori che si impe-
gnano al di là delle loro forze». Ma anche il comportamento di
alcuni grandi operatori non manca di suscitare perplessità: «Si
trova un elemento che [... ] accaparra per mania di lucro o per
conservare (ovvero assicurarsi) il controllo di determinati gruppi,
50 Verbali del sindacato degli agenti di cambio di Milano, sedute del 12 giu-
gno e del2 luglio 1924.
188 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
grossi pacchetti di titoli, per cifre considerevolmente superiori ai
mezzi onde dispone»5 1 •
In questo modo, in una situazione bloccata dall'intreccio, ti-
pico della borsa italiana, tra conflitto e compromesso organizza-
tivo (la questione delle grida) e instabilità regolativa (ammissione
dei nuovi agenti e speculazione), si arriva al febbraio 1925.
Febbraio e marzo 1925: gli interoenti stabilizzatori La prolungata
fase rialzista delle borse italiane e soprattutto la sua natura spe-
culativa è da qualche mese oggetto della preoccupata attenzione
di Stringher e de' Stefani. La Banca d'Italia, come si è già in-
dicato, avverte la precarietà organizzativa del mercato, l'incer-
tezza delle condizioni che ne alimentano la liquidità e la presenza
di manovre non sempre confessabili da parte dei grandi market
makers.
De' Stefani, sollecitato anche dai «principali e più vecchi
agenti di cambio della Borsa di Roma», fin dal1913 portatori di
una linea favorevole a una diretta ingerenza del ministero delle
Finanze nella vita delle borse52 , con la collaborazione del diret-
tore generale della Banca d'Italia elabora allora un intervento
teso al controllo della speculazione. A detta degli stessi dirigenti
della banca mista si era giunti al punto di non paterne limitare le
attività con il tradizionale strumento dell'interesse sui riporti
(questo anzi richiamava sul mercato mobiliare liquidità da parte
delle banche provinciali, delle casse di risparmio e anche da parte
di privati)53.
Per la preparazione del decreto viene interpellato il rappre-
sentante a Parigi della Banca d'Italia, che conferma la pratica
francese di imporre il versamento del 25 per cento da parte del
compratore a termine. Il 26 febbraio il ministero vara un prov-
vedimento che da un lato recupera l'intermediazione nei cambi
al controllo dell'Istituto italiano cambi, e dall'altro impone, sul
51Lettera di Bonaldo Stringher a Cesare Nava, cit.
52Notevole a questo proposito è la lettera inviata a Francesco Tedesco da
Ugo Natali, sindaco della borsa di Roma, nel febbraio del 1912, nella quale si
fanno voti (prendendo le distanze dalle posizioni degli agenti di Genova e Mi-
lano) per la-promozione di una legge «che ponga le Borse sotto la diretta dipen-
denza del Ministero del Tesoro». ACS, p. 93, fase. 10.3, lettera del sindaco di
borsa di Roma Ugo Natali a Francesco Tedesco, 14 febbraio 1912.
53 ASBI, Carte de' Stefani, pr. 3, fase. 205, lettera di Stringher a de' Ste-
fani, 13 aprile 1925.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 189
modello parigino, il versamento di uno scarto di garanzia pari al
25 per cento dell'importo su tutti i contratti di acquisto a ter-
mine, e chiede agli agenti di cambio di costituirsi come esattori
di tale importo.
Il disegno, che de' Stefani illustra in questa occasione, è teso
a imporre una manovra di rientro del cambio e di deflazione: «È
tempo che l'Italia riprenda [. .. ] il controllo della propria valuta e
la sua indipendenza monetaria. La marcia è incominciata», e il
primo passo deve essere il disciplinamento dei mercati. Il prov-
vedimento governativo si presenta come un'autentica svolta ri-
spetto all'atteggiamento tenuto fino a quel momento, e non solo
negli anni del dopoguerra.
Le reazioni milanesi sono corali e negative all'unanimità. Si
critica l'iniquità del provvedimento che evidentemente è diretto
a colpire gli eccessi al rialzo: anche Giolitti non nascondeva la
sua antipatia per le borse e le operazioni di borsa, ricorda Silvio
Aceti sulle colonne del «Sole»54 , ma aveva tentato di moderare
gli eccessi con maggiore assennatezza operando sia sui ribassisti
che sui rialzisti. Si contesta l'entità dello scarto e la sua applica-
bilità tecnica, come fa con veemenza Carlo Vimercati55 , una del-
le colonne della borsa milanese, lamentando che simili provve-
dimenti si adottino senza interpellare gli interessi e le competen-
ze in gioco, ma solo i «dottrinarii». Si nega la fondatezza teorica
del tentativo di stabilizzare i mercati per colpire la speculazione:
non è la speculazione a creare svalutazione ma eventualmente il
contrario56 •
Insomma il contraccolpo è brusco e le borse reagiscono con la
chiusura. Contemporaneamente cominciano le trattative per mo-
dificare il provvedimento e attenuarne l'impatto.
De' Stefani riceve fin dal 3 marzo la prima delegazione di
deputati (milanesi) che a nome della Federazione degli agenti cer-
cano una mediazione, ma la risposta è severa: «È assolutamente
necessario», risponde il ministro, «che l'Italia riprenda [ ... ] il do-
minio della propria valuta e l'indipendenza monetaria». È quindi
54 «il Sole», 4 marzo 1925.
55 «il Sole», 3 marzo 1925.
56 Ibid., intervento di Egisto Ginella. Analogamente critiche le note di La
Finanza italiana di Roma, che però obietta sulla tempestività più che sui principi
dell'intervento.
190 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
in gioco l'interesse collettivo della nazione, non quello di coloro
che detengono il capitale, e nessun riguardo vi sarà nei confronti
delle speculazioni infeconde e perturbatrici. E Farinacci, neoe-
letto al ministero dell'Interno, dopo aver pubblicamente difeso il
«fascistissimo» decreto di de' Stefani, telegrafa per imporre alle
borse di riprendere illavoro57 •
Le Camere di commercio, con Milano in testa, si chiamano a
raccolta per discutere sulle controproposte da avanzare, e chie-
dono almeno che il provvedimento si adotti imparzialmente per
gli acquisti e le vendite, in modo che non si favoriscano gli spe-
culatori al ribasso.
Pochi giorni dopo, mentre sul «Sole» ancora si susseguono gli
interventi tesi a dimostrare l'utilità della speculazione per il fun-
zionamento del mercato, arriva il secondo decreto, del 7 marzo,
con il quale il governo si fa carico di risolvere la questione del-
l'organizzazione della borsa e degli agenti di cambio. In modo
altrettanto drastico si stabilisce che:
a) l'agente di cambio è un pubblico ufficiale, nominato dal
ministero delle Finanze, e deve agire in mediazione pura in re-
gime di completa indipendenza da qualunque attività bancaria o
commissionaria (artt. l e 5);
b) la cauzione è elevata a l milione e il numero è rigidamente
chiuso (artt. 2 e 3);
c) nessun altro oltre agli agenti può contrattare alle grida
(esclusione quindi degli istituti bancari) (art. 6);
à) tutte le nomine di agenti fatte fino a quel momento sono
considerate invalide, tutti gli agenti fino alla concorrenza del nu-
mero previsto dovranno essere rieletti in tre tornate successive.
Se il primo provvedimento suscita reazioni preoccupate, il
secondo provoca addirittura lo sconcerto e lo sciopero bianco de-
57 Più precisamente la successione degli interventi è la seguente: martedl 3
marzo si precipitano a Roma i rappresentanti dei sindacati delle borse italiane.
Accompagnati da Sacerdoti incontrano al Viminale l'on. Federzoni e l'on. Gran-
di. L'esito dell'incontro è un breve rinvio dell'applicazione del decreto. Alla sera
de' Stefani riceve i deputati <dobbisti» Belloni, Alfieri e Torrusio che, in cambio
della sospensione dell'applicazione promettono, a nome della Federazione degli
agenti, la ripresa delle attività nelle borse. La sera seguente de' Stefani si pro-
nuncia in modo molto determinato sottolineando l'obiettivo della piena e indif-
feribile «restaurazione monetaria e del credito». Cfr. «Rivista di Economia fi-
nanziaria», marzo 1925, pp. 26 sg.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 191
gli operatori58 • I prezzi flettono bruscamente, le vendite si mol-
tiplicano senza contropartita. La tensione è elevatissima, si con-
testa la costituzionalità del decreto che è retroattivo e annulla un
diritto pregresso. I numeri di mediatori previsti sono molto in-
feriori ai presenti: a Torino 100 agenti su 144 rischiano il posto,
a Milano e Genova la proporzione è di poco inferiore.
Il 17 marzo 500 agenti di cambio si riuniscono in assemblea
a Milano; la riunione è diretta da Arturo Sacerdoti e Mario An-
giolini e vi assistono gli onorevoli Lanzillo e Liserani che si pre-
parano a intervenire in difesa della «speculazione». L'assemblea
opta per una linea di difesa molto dura, chiedendo l' annullamen-
to del decreto al Consiglio di Stato59 senza passare attraverso il
governo, e chiamando a raccolta le categorie dei liberi professio-
nisti direttamente minacciati dal precedente creato dall'annulla-
mento dei diritti pregressi degli agenti.
Quella sera stessa (17 marzo) Stringher incontra a Roma i
58 La rivista della Federazione degli agenti di cambio riporta un'ampia ras-
segna stampa delle reazioni al decreto. Si presta ovviamente attenzione alle note
critiche, ma non si trascura di riportare alcune posizioni intermedie e anche al-
cune favorevoli. La stampa più vicina agli operatori speculativi si esprime con
toni feroci: il «Ginella» di Genova pubblica un fondo in cui ci si domanda perché
la buona legge del 1913 deve essere alterata da provvedimenti di cui nessuno
sente la necessità. E così, sempre a Genova, Gino Arias sul «Popolo d'Italia»
difende il ruolo economico della speculazione, pur plaudendo al proposito di
«escludere le banche dalla funzione interna delle Borse. Le lotte bancarie per la
depressione o pel gonfiamento dei titoli [... ] non scompariranno per questo, ma
almeno, risollevata la dignità della funziona borsistica, [...] anche le manovre
bancarie che l'ottimismo economicistico ignora ma a cui il più oscuro e non degno
frequentatore delle borse poteva sino ad oggi assistere e volendo partecipare,
avranno qualche vigilanza e qualche freno». Il «Corriere mercantile», sempre ge-
novese, si affida invece alla penna di Francesco Coppola d'Anna, che attacca de'
S tefani per la scarsa chiarezza delle sue intenzioni oscillanti tra la rilevanza del-
l'intervento di stabilizzazione e il tentativo di far passare le scelte tecniche come
«provvisorie». Nutre inoltre dubbi sull'efficacia dello scarto di garanzia mentre
plaude al controllo sugli agenti. Del tutto critico verso il decreto è invece Achille
Loria su «Echi e Commenti>>. A contraltare di queste critiche si erge Farinacci,
che in un intervento in «Cremona Nuova>> (a cui il redattore della «Rivista di
Economia finanziaria» non risparmia qualche ironia) elogia il decreto: «<l decreto
sulla riorganizzazione delle Borse segue le buone norme della tattica fascista [... ]
era infatti inconcepibile [. ..] tollerare che organismi la cui funzione è così delicata
e così intimamente connessa con l'ultimo impiego dei risparmi della Nazione,
potessero andare alla deriva alla mercè di interessi pancari ed appetiti di singoli
speculatori>> («Rivista di Economia finanziaria>>, marzo 1925, pp. 34-47).
59 Il provvedimento è stato emanato senza chiedere il parere consultivo dei
poteri locali (Camera di commercio e deputazione), come previsto dalla legge del
1913.
192 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
rappresentanti delle quattro banche principali (tra di esse certa-
mente Comit e Credit) accompagnati dal senatore Dalla Torre, e
comunica la disponibilità del ministro a rimandare di qualche me-
se la completa applicazione dello scarto di garanzia6°. Nel frat-
tempo le violente fluttuazioni dei corsi mettono in difficoltà gli
operatori e minacciano la liquidazione di fine mese. Molti agenti
di cambio, come nota lo stesso Stringher, gravati dalla minaccia
dell'esclusione dal ruolo o dalla necessità di accantonare fondi
per la cauzione elevata, liquidano rapidamente le posizioni o di-
stolgono liquidità dall'impiego in riporti.
Si teme inoltre il ritiro di importanti somme sempre destina-
te ai riporti da parte sia di capitalisti privati, sia di casse di ri-
sparmio e banche provinciali, sia di banche estere. Circola il ti-
more che il programma di restrizione della circolazione impedisca
il ricorso agli istituti di emissione in caso di ritiro dei depositi.
Stringher butta acqua sul fuoco e tranquillizza i banchieri sulla
disponibilità della Banca d'Italia a garantire la liquidazione.
Nella notte del 18 marzo viene emesso un comunicato del
ministero delle Finanze che conferma quanto stabilito nella riu-
nione in Banca d'Italia. Il giorno dopo Goldschmied e Alberti
trasmettono il messaggio ai sindacati di borsa, smentendo la voce
che varie banche di provincia abbiano annullato i fidi di fine
mese. Solo qualche banca popolare e qualche banca estera si è
mostrata preoccupata, afferma il direttore della Comit, «anche
nel pensiero di non essere a sua volta coadiuvata dalla Banca d'I-
talia»61. Sempre il 19 marzo Stringher scrive a de' Stefani: «lo
non ho ragione di pentirmi dei suggerimenti dati a V.E. circa il
rialzo del prezzo ufficiale dello sconto e delle anticipazioni e le
norme per un versamento anticipato da effettuarsi da parte dei
committenti che diano ordine d'acquisto a termine di valori».
L'unico problema sarebbe determinato dall'applicazione troppo
repentina del decreto, e quindi sarebbe già risolto dalle ultime
decisioni 62 . La ferma posizione dell'istituto di emissione, diret-
60 ASBI, Rapporti con l'estero, cart. 20, lettera di Stringher a de' Stefani,
18 marzo 1925.
61 Verbale del sindacato degli agenti di cambio di Milano, seduta del 19
marzo 1925.
62 Questa è la linea che il direttore generale della Banca d'Italia tende a
mantenere, anche quando il corrispondente parigino della Banca conferma, dato
fino ad allora poco noto, che l'applicazione dello scarto è nella borsa francese,
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 193
tamente coinvolto nell'elaborazione del decreto, riconfermata
nella relazione annuale, favorevole all'intenzione deflazionista
dei decreti, consente un positivo andamento della liquidazione
di marzo nonostante le abbondanti differenze passive (2,5 mi-
liardi).
Anche gli agenti però rivendicano i loro meriti avendo fatto
fronte, solo sulla piazza milanese, a insolvenze di clienti per oltre
400 milioni63 • La Banca mista, dal canto suo, anche anticipando
le garanzie dell'istituto di emissione, lavora per solidificare il
mercato, come osserva fin dall'8 marzo Gustavo Deslex notando
che i titoli cambiano di mano «passando essenzialmente nei por-
tafogli dell'alta banca e dei gruppi interessati» ovvero dagli spe-
culatori instabili a quelli «stabili», a tutto vantaggio della solidità
del mercato. E in modo analogo si commenta la liquidazione di
marzo.
I malumori però non accennano a sopirsi, anche perché gli
effetti del blocco si riverberano sul mercato primario, nel quale
si incontrano difficoltà a piazzare diversi aumenti di capitale. Il
fronte degli oppositori di de' Stefani comincia a compattarsi, e
agli agenti si affiancano le Camere di commercio, le banche e la
Confederazione per l'industria. I soliti Goldschmied, Alberti e
Sacerdoti si recano dal direttore generale del ministero del Te-
soro, e Sacerdoti è ricevuto poi direttamente da Mussolini.
II 9 aprile (R.D.L. 376) si strappano due rilevanti concessio-
ni: la creazione di un ruolo in soprannumero per gli agenti e l'af-
fidamento ai sindacati del potere di decidere le modalità e i tem-
pi in cui effettuare i versamenti degli scarti di garanzia. Per gli
agenti il provvedimento è però ancora insufficiente: «<mpressio-
natissimi disposizioni per funzionamento Borse tendente buro-
cratizzare istituzione», telegrafano al capo del governo, «detti
affidata alle decisioni della Chambre Syndacale, ovvero all'organismo associativo
degli agenti, che lo armonizza alle esigenze del mercato. Tale organismo è assente
in Italia in attesa dell'auspicata riforma corporativa del corpo degli agenti, e que-
sto è il motivo dell'eccessiva rigidità dell'applicazione del decreto. Le reazioni dei
sindacati degli agenti non sembrano però confermare questo punto di vista.
63 «<l Sole», l 0 e 2 aprile 1925. «Fu necessario [... ] soprattutto a Milano, che
sembra la piazza più colpita, che gli Agenti di Cambio sborsassero del proprio
somme notevoli per anticipare parte delle differenze alle quali non poterono far
fronte di clienti». ASBI, Carte de' Stefani, pr. 3, fase. 205, lettera di Stringher
a de' Stefani, 13 aprile 1925.
194 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
provvedimenti equivalgono atrofizzazione assoluta mercato va-
lori conseguenze incalcolabili economia nazionale»64 .
Da Napoli qualcuno si esprime ancora più chiaramente:
«Provvedimenti Borsa oltre aver rovinato completamente mi-
gliaia italiani colpevoli solo aver creduto ciecamente vostro go-
verno hanno favorito opposizione che giocava ribasso [... ]. Possa
constatazione inutile rovina arrecata far decidere ad emanare
provvedimenti»65.
A questo punto le posizioni si irrigidiscono: «Non si spiega
come gli Agenti di cambio i quali hanno finito per ottenere tutto
ciò che di ragionevole avevano domandato, abbiano continuato
anche dopo un'ulteriore concessione fatta il 9 aprile da S.E. il
Presidente del Consiglio, la loro agitazione», scrive Stringher, e
conclude: «Un siffatto atteggiamento [. .. ] darebbe forse ragione
a coloro che fin dal primo momento videro negli allarmi degli
agenti anche una suggestione di qualche gruppo finanziario non
favorevole all'iniziata deflazione della circolazione, verosimil-
mente perché impegnato nella speculazione al rialzo»66 .
Il governo resta fermo sulle sue posizioni e passa dalle mi-
nacce ai fatti il 17 aprile, quando la borsa di Milano viene sgom-
berata dai carabinieri, e soprattutto quando, il 21 dello stesso
mese, si apre un'inchiesta dell'Intendenza di finanza per inqui-
sire gli agenti di Milano e verificare i loro conti correnti bancari.
La dura presa di posizione di Mussolini congela la protesta, ma
non elimina evidentemente le difficoltà operative determinate
dai violenti ribassi dei corsi che rendono precaria anche la liqui-
dazione di aprile e ancor più quella di giugno, risolta solo grazie
a decisi interventi da parte della Banca d'Italia, che alla fine del
primo semestre del 1925 denuncia un aggravio di ben 43 milioni
per il tributo sui biglietti emessi senza copertura di riserve, con-
tro una spesa di 300.000 lire dello stesso semestre dell'anno
precedente67 . Solo a partire dal luglio 1925, con l'estromissione
di de' Stefani dal ministero delle Finanze, la tempesta sembra
placarsi.
64«Il Sole», 11 aprile 1925.
65ACS, Presidenza, 872,9,9.
66Lettera di Stringher a de' Stefani, 13 aprile 1925, cit.
67 ASBI, Tornatadel27luglio 1925, n. 467. Nel commentare l'aggravio per
l'emissione si osserva come <Ja crisi di fiducia del giugno si è potuta arrestare e
superare grazie all'uso avveduto di larghi mezzi».
S. Baia Cm-ioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 195
Indubbiamente i provvedimenti de' Stefani segnano una
svolta nella storia dei mercati mobiliari in Italia e il livello delle
reazioni da essi provocate ne è buona testimonianza. Si pone a
questo punto il problema di interpretare questa vicenda, che
certamente può essere letta come il primo atto dichiarato della
svolta in direzione della stabilizzazione e rivalutazione mo-
netaria.
Da un punto di vista strettamente formale l'intervento, pur
sostituendosi alla normativa del1913, non si presenta come una
evidente discontinuità rispetto alle impostazioni definite a quel
tempo. Esso inoltre, pur essendo sollecitato dalle preoccupazioni
per la dinamica speculativa, risponde anche alla necessità, stabi-
lita fin dall913, di risolvere le questioni organizzative del mer-
cato borsistico entro il1923.
Ciò nonostante è chiaro che non solo i modi, ma anche i con-
tenuti dell'intervento gettano lo scompiglio nel mercato e con-
tribuiscono a polarizzare le posizioni degli attori. In particolare
è rilevante il formarsi di un fronte unico di opposizione che vede
uniti gli agenti di cambio e l'alta banca. Il ceto di borsa, che nel
chiuso dei suoi poteri non aveva mancato di esprimere preoccu-
pazione per lo sviluppo «patologico» delle attività di intermedia-
zione mobiliare, si schiera compatto dietro la difesa a oltranza
dell'attività speculativa e dell'importanza del mercato. Non solo,
ma si sforza di dimostrare che il decreto non ha alcuna rilevanza
pratica al fine di stabilizzare il cambio, e i prezzi dei cambi sem-
brano dargli ragione.
Il ministero delle Finanze, d'altra parte, ribadisce che il de-
creto è frutto di un'approfondita riflessione e in definitiva non
ne modifica le posizioni di principio, se non mitigando l' appli-
cazione dello scarto di garanzia e concedendo l'ammissione di
agenti «soprannumerari».
L'incomunicabilità tra i due interlocutori è evidente ed eccita
gli animi: Luigi Einaudi interviene sul «Corriere» per domandare
quale mai possa essere il nesso logico tra la rivalutazione della lira
e la riduzione del numero degli agenti di cambio. Egisto Ginella
sul «Sole» chiede cosa si speri di ottenere formando una agguer-
rita corporazione chiusa di 40 o 60 membri sul modello francese,
che peraltro è superato dalla coulisse; non c'è nulla «di più an-
tieconomico di questa inattesa soluzione in quanto conduce ad
196 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
una chiusa e disciplinata forma di attività oligarchica e monopo-
lista che è negazione di ogni legge di domanda e di offerta»68 .
Stringher, riflettendo in forma privata su queste vicende spo-
sta l'attacco osservando come «la speculazione all'aumento è sta-
ta basata sul rialzo dei prezzi delle derrate e delle materie prime,
attribuendolo in modo precipuo alla svalutazione della lira. Una
tale speculazione ha servito a preparare molti aumenti di capita-
le, forse non tutti necessari [... ] nel tutto insieme si è fatto il
danno del paese»69.
L'unico modo per dare una valutazione sufficientemente or-
dinata di questi giorni concitati è quindi considerarne gli esiti
principali.
L'imposizione dello scarto di garanzia del 25 per cento non
arriva a essere operativa. I sindacati di borsa, contrariamente alle
aspettative di Stringher, non appena investiti del potere di de-
terminare le modalità applicative del decreto ne deliberano la
sospensione. Il ministero delle Finanze tacitamente la approva e
un successivo decreto rinvia sine die ogni decisione a questo ri-
guardo (R.D.L. 7 marzo 1926, n. 373). Intanto, il tasso di cam-
bio non accenna a migliorare, e il ministro de' Stefani è sostitui-
to, nel luglio 1925, da Volpi.
Questi elementi potrebbero far pensare che si sia trattato di
un tentativo sostanzialmente mal diretto, inefficace e dannoso.
Di questa opinione è il Consiglio della Camera di commercio di
Milano e in particolare il presidente Salmoiraghi, che nel reso-
conto consuntivo dell'attività del1925 si esprime cosl: «l primi
provvedimenti [... ] miravano ad agire sul mercato [. .. ] per un
doppio ordine di ragioni: [... ] frenare la corsa al rialzo non giu-
stificata dalle condizioni finanziarie; determinare un movimento
favorevole dei cambi. Ne derivarono: uno sconvolgimento nel
mercato dei titoli e un inasprimento nel mercato dei cambi»70 •
Altri elementi mostrano invece i fatti in una luce diversa.
a. L'emanazione dei decreti provoca un'effettiva e duratura
rottura del fronte rialzista: «Se - come nota Carlo Vimercati -
68«il Sole», 14 aprile 1925.
69Lettera di Stringher a de' Stefani, 13 aprile 1925, cit.
70 Atti della Camera di commercio di Milano, verbale 20 maggio 1926 e
allegato Relazione del Commissario Governativo Salmoiraghi a Giuseppe Belluzzo,
Ministro dell'Economia Nazionale.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori ù1 Italia 197
l'obiettivo del Governo era rompere l'incantesimo, è pienamente
riuscito [... ] era necessario frenare gli entusiasmi degli operatori
neofiti», e in una nota successiva scrive: «Appare evidente che il
programma delle alte sfere finanziarie [. .. ] sia quello di far vuo-
tare il sacco»n.
b. Si sancisce in modo definitivo il principio della chiusura del
ruolo degli agenti di cambio e l'estromissione delle banche dalle
grida72 . Per quanto tale principio sia applicato poi con fatica e
lentezza, esso arriva a incidere sulla «demografia» degli interme-
diari stessi. Dal 1925 in poi non si avranno più iscrizioni, solo
progressive dimissioni. La categoria, salvo evasioni o scappatoie,
diviene effettivamente chiusa e sottoposta a disciplina formale.
Nel luglio 1925 (R.D.L. 29 luglio 1925, n. 1261, art. l) si
impone un deciso accentramento dei poteri di vigilanza sulle bor-
se valori, che vengono assunti direttamente dal ministero delle
Finanze.
c. Alle dimissioni di de' Stefani seguono, nell'agosto del
1925, quelle di Leo Goldschmied dalla direzione della Banca
commerciale. Formalmente il dirigente continua a collaborare
con la Comit attraverso un proprio istituto bancario, ma dopo
meno di sei mesi i rapporti si interrompono definitivamente. In
mancanza di conoscenze più approfondite sulla vicenda, è inte-
ressante notare che essa si produce al termine di una fase in cui
le continue difficoltà di liquidazione hanno messo certamente
alla prova la capacità di collaborazione tra la banca centrale e gli
istituti che di fatto si trovano a orchestrare il mercato.
71 «il Sole», 25 marzo e 28 giugno 1925. Su questo punto annota in modo
significativo il commentatore di «Economia», Ladislao Sanzin: «Forse il concetto
di difendere la valuta facendo ribassare la quota dei titoli [... ] non posa su pre-
messe del tutto ben fondate. Perché è bensì vero che al ribasso della valuta fa
seguito un rialzo dei titoli, ma riteniamo che il caso opposto non possa valere» (L.
Senzin, Cronaca Economica e Finanziaria del mese, in «Economia», n. 4, aprile
1925, p. 310).
72 A questo proposito il commento di Angiolini sul R. D.L. 14 maggio 1925,
che estende il diritto ad accedere all'esecuzione coattiva anche ai contratti con-
chiusi direttamente tra le banche, è molto esplicito: «Fu questa concessione [...]
il nucleo delle recenti vicende tecniche del mercato; per questo la Federazione
pur riconoscendo intaccato il principio del privilegio degli Agenti di Cambio non
insistette in senso negativo [... ] anche per la considerazione che con tale conces-
sione le banche rinunciavano per sempre ad ogni pretesa di accesso alle grida>>.
Cfr. M. Angiolini, I Provvedimenti legislativi sulle borse,febbraio-mar:w 1925, Ro-
ma 1925, p. 45.
198 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
La questione è certamente molto complessa e richiede ulte-
riori sforzi di ricerca per essere effettivamente chiarita. Indub-
biamente la banca mista svolge un ruolo rilevante, nel quale però
l'intervento «Stabilizzatore» è inevitabilmente intrecciato con
politiche e strategie strettamente aziendali. È sintomatico che
Goldschmied già alla fine di agosto del1925, non appena il mer-
cato mostra qualche segnale di sostegno dopo i grandi sforzi com-
piuti, nella sua nuova veste di banchiere «di appoggio» alla Com-
merciale vada progettando interventi che rivelano un'attitudine
quanto meno spregiudicata nei confronti del mercato stesso 73 •
D'altra parte la corrispondenza di Toeplitz con Stringher ri-
ferita alle operazioni della Società finanziamento titoli nei primi
mesi del1926 è indicativa del ruolo di sostegno svolto dalla ban-
ca nonostante i crescenti sospetti del direttore centrale della Ban-
ca d'Italia74 • In questo senso è possibile ipotizzare che i problemi
di stabilità del sistema finanziario si siano a quell'epoca stretta-
mente intrecciati con il problema di armonizzare gli obiettivi dei
gruppi di controllo delle principali banche. Resta il fatto che, a
seguito delle vicende innescate dai decreti, in una fase in cui si
registrano i primi segnali di difficoltà nella collaborazione tra
banca centrale e banca mista, esce di scena il personaggio, Gol-
dschmied, che dal primo dopoguerra aveva esercitato il maggior
potere reale sulle attività e sull'organizzazione di borsa.
In conclusione, anche se il decreto del1925 non ottiene una
buona parte degli obiettivi dichiarati, non si può dire che sia
privo di conseguenze e soprattutto di una logica diretta in modo
riconoscibile a modificare le posizioni di potere sul mercato.
Tra la fine del 1924 e i primi mesi del 1925 vengono a so-
73 In particolare in seguito al fallimento dell'intervento Blyth, e ad accordi
con un gruppo torinese per «dare una maggiore estensione al mercato delle Azioni
della Società Idroelettrica Piemontese su Milano e Genova», dichiara che «a no-
stra cura provvederemo ad intensificare gli scambi senza ritardo anche sulla piaz-
za di Genova», ma chiede a Toeplitz di !asciargli l'esclusivo maneggio del titolo
e di non mettere a disposizione del sindacato di blocco le azioni fino al 31 di-
cembre 1925 per non dar luogo a consistenti vendite. Archivio Comit, Archivio
Toeplitz, b. 44, lettera di Leo Goldschmied a Giuseppe Toeplitz, 27 agosto 1925.
Cfr. L. Conte, I prestiti esteri, in L. De Rosa (a cura di), Storia dell'industria elet-
trica in Italia, Roma-Bari 1993, pp. 640-41.
74 Archivio Comit, Archivio Toeplitz, b. 55, in S. Baia Curioni, Lineamenti
dell'evoluzione istituzionale della Borsa Valori di Milano (1898-1941), in «Rivista
di Storia economica», 1991.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 199
vrapporsi gli effetti di condizioni evolutive di lungo periodo dei
mercati di borsa - ovvero l'instabilità demografica degli inter-
mediari e l'incapacità dei governi locali di assicurare una suffi-
ciente disciplina in presenza di continui conflitti interni - , di
determinanti di medio periodo connesse alla presenza dominante
della banca mista e di fattori di breve periodo coincidenti con il
peggioramento dei cambi e la svalutazione della moneta. Di fron-
te a questi eventi i decreti de' Stefani si pongono come una prima
svolta accentratrice che rivela il definirsi di un orientamento dif-
ferente rispetto a quello manifestato fino a quel momento nella
gestione dei rapporti tra Stato e poteri economici.
I decreti, pur recuperando principi generali già acquisiti in
situazioni differenti e mai applicati, imprimono una drastica cor-
rezione nella vita organizzativa dei mercati. Il disciplinamento
delle borse, ovvero la sottrazione della tutela delle borse stesse
dai poteri locali e privati, la ridefinizione di un mercato effetti-
vamente pubblico al posto di un mercato che era divenuto in
pratica privato, la centralizzazione dei poteri di controllo, non
possiedono necessariamente un'immediata coerenza economica
rispetto alla manovra deflattiva e alla stabilizzazione del cambio,
ma sono parte di un unico percorso che conduce alla creazione di
uno Stato e di un particolare clima politico e civile non estraneo
da un lato al definirsi delle aspettative di rivalutazione che at-
tualmente sono indicate come una delle cause del successo della
manovra del 1927, e dall'altro alla progressiva alterazione dei
rapporti di potere nei confronti della banca mista.
Il deputato fascista Roberto Scheggi, in un breve commento,
offre un'indicazione precisa della direzione intrapresa. Egli è del
tutto favorevole all'impostazione del decreto che limita «l'infla-
zione degli agenti di cambio» parallela a quella monetaria e collega
il disciplinamento dei mercati alla politica monetaria. Ricorda
inoltre che i provvedimenti ricalcano in buona parte le richieste
avanzate a suo tempo dalla Federazione degli agenti di «epurare
ed innalzare la classe degli agenti di cambio», ma soprattutto, ri-
guardo all'allontanamento delle banche dalle grida, afferma:
Altro caposaldo delle nuove disposizioni è l'allontanamento delle
banche dalle grida; la loro speculazione non poteva essere sufficiente-
mente controllata e costituiva un privilegio che continuava a vincere la
legge per la debolezza dei precedenti Governi [... ] soltanto ora la catena
200 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
di questi interessi ha potuto essere spezzata con atto di volontà perico-
loso ma certamente lodevoleJ5
4.4. 1925-35: un lungo epilogo
Dall925 al1931 non si registrano altre rilevanti svolte negli
assetti istituzionali del mercato mobiliare. Molto invece, in con-
seguenza di determinanti esogene rispetto all'organizzazione del
mercato, cambia nell'effettivo ruolo della borsa, ovvero nelle sue
performances allocative e reddituali per gli investitori.
Non essendo questa la sede in cui approfondire questi argo-
menti, per i quali si attende ancora un'analisi quantitativa esau-
riente, mi limito a sottolineare come l'inversione di tendenza
debba essere collocata in coincidenza con la crisi di borsa ame-
ricana, anche se il vero tracollo dei prezzi avviene qualche mese
più tardi, nel1931.
Fino all930, pur in presenza di una tendenza cedente dei
prezzi, in termini reali, si registra un rilevante incremento del
materiale quotato, non tanto in termini di nuove società ma in
termini di emissioni. L'ipotesi, da sottoporre a ulteriori verifi-
che, è che pur in presenza di un mercato secondario carente, nel
quinquennio 1925-30 le imprese mantengano sotto pressione il
mercato primario allo scopo di drenare liquidità senza incidere
eccessivamente sul rapporto di indebitamente.
Tab. 6. - Dati sul mercato primario delle azioni (valori nominali in milioni
di lire)
Azioni emesse %del
Anni
in borsa totale
1920 738 22
1925 2856 36
1927 1500 58
1930 1000 18
1933 553 13
1935 576 20
FONTI: Listini ufficiali borsa valori e Assonime. Il dato è stato calcolato confrontando il
capitale sociale delle azioni quotate al31 dicembre rispetto alla stessa data dell'anno prece-
dente. Non si è tenuto conto di eventuali quotazioni nell'anno.
n Scheggi, op. cit., p. 20.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 20 l
Una tendenza che sembra interessare in particolare il settore
elettrico, nel quale si concentra la maggior percentuale di capi-
tale emesso (tab. 3).
Dopo il 1930 la borsa perde invece significato anche come
mercato primario, almeno per la componente azionaria, e acqui-
sisce il ruolo minore che la caratterizzerà in seguito fino al se-
condo dopoguerra.
Per quanto riguarda le questioni organizzative e istituzionali,
si assiste, negli anni seguenti al marzo 1925, a un progressivo ri-
torno della borsa verso lo stato di originario disordine, senza però
che al suo interno si manifestino, come un tempo, attori capaci di
attribuirle un ruolo significativo nel sistema finanziario.
Oltre al già citato rinvio sine die dell'applicazione dello scarto
di garanzia, vi sono altri esempi che illustrano questa indicazione:
gli agenti di cambio fin dai primi mesi dopo il decreto de' Stefani
cercano di sfruttare il ruolo chiuso ad essi attribuito dalla legge per
elaborare una proposta di testo unico nel quale si sancisca una vera
e propria autonomia delle borse e dei loro organismi direttivi. La
proposta è definita e inviata alle autorità competenti fin dal di-
cembre del1925 e due giorni dopo si ha l'impressione che la linea
sia approvata. Ma il progetto evidentemente è troppo in contrad-
dizione con il disegno di centralizzazione governativo e semplice-
mente viene insabbiato. Ancora il10 novembre del1931, sei anni
più tardi, non si hanno che vaghe promesse.
Anche la disciplina interna della borsa torna a mostrare i li-
miti che le erano propri in quanto emanazione di un particolare
ceto o gruppo di operatori economici, portatori di diritti diversi
e interessi a volte non convergenti. In un primo momento si apro-
no diverse dispute riguardo alla possibilità per le banche presenti
alle grida di ottenere il grado di agente di cambio per uno o più
loro rappresentanti: le banche miste ne ottengono due, altre uno,
altre faticano ad averne alcuno. Gli agenti per parte loro possono
acquisire, secondo il dettato del1925, dei rappresentanti alle gri-
da, con il risultato che il numero degli agenti resta lo stesso, ma
il numero dei procuratori aumenta moltissimo creando gravi pro-
blemi di disciplina e di ruolo già nell'aprile del1928. Analoghe
difficoltà sono create dalla presenza dei commissionari, che non
potrebbero accedere alle grida ma invece arrivano a farlo 76 • In-
76 Verbali del sindacato degli agenti di cambio di Milano, 6 marzo 1929.
202 Ricerche per la storia del!tz Banca d'Italia V
fine è istruttivo ascoltare le lamentele dell'agente Ghezzi che nel
marzo 19 30 riprende argomenti molto noti: «Alcuni colleghi at-
traverso accordi stipulati con banche e ditte commissionarie so-
no gradatamente venuti ad assumere la veste di semplici dipen-
denti [... ] snaturando cosl completamente la figura professionale
dell'agente di cambio»n.
Insomma non mancano in questi anni gli elementi che da sem-
pre hanno alimentato le difficoltà organizzative delle borse ita-
liane; questi però si manifestano in un contesto istituzionale dif-
ferente rispetto al quinquennio precedente. Certamente la chiu-
sura del ruolo, l'obbligo dell'esecuzione coattiva e la responsa-
bilità solidale collettiva imposti al gruppo degli agenti determi-
nano un funzionamento più rigoroso e puntuale dell'attività del
sindacato, che più volte interviene a saldare differenze per con-
sentire il buon esito delle liquidazioni.
Rispetto agli anni precedenti vi è però anche qualcosa che
manca, che l'intervento del1925 ha evidentemente eliminato e
che nient'altro ha sostituito. La grave difficoltà di liquidazione
del dicembre 1929 è utile per illustrare la questione. In poco me-
no di dieci giorni, la flessione dei prezzi legata all'impatto, per
ora solo emotivo, della crisi americana determina l'insolvenza
della Banca Rota, della Banca L. Strada, degli agenti di cambio
Rossi, Boffa, Bonacina, Valletta e Fehr. A parte il fatto che, an-
cora come un tempo, l'insorgere delle difficoltà mostra che nu-
merosi agenti di cambio, evadendo la legislazione, continuano a
mantenere strettissimi legami con piccole case bancarie attraver-
so le quali sviluppano attività di commissione e in posizione, a
differenza delle difficoltà presentatesi nel 1924 e nel 1925, le
riunioni del sindacato si svolgono a porte chiuse, con la massima
riservatezza, e soprattutto senza l'intervento di alcun membro
delle banche miste. Non ci sono evidenze che queste interven-
gano, né in questa occasione, né nelle difficoltà seguenti nel di-
cembre 1930 e nel marzo del 1931 con il fallimento di Giulio
Brusadelli insolvente per ben 11 milioni di lire.
Il sindacato opera direttamente, attinge al fondo di garanzia
(chiamato a coprire fino al 50 per cento della cauzione del singolo
agente), tratta caso per caso con gli interlocutori esterni, nessuno
dei quali, neppure la Banca d'Italia, sembra avere una presenza
77 lvi, 8 marzo 1930.
S. Baia Curioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 203
o un ruolo «quotidiano». È un dato che mostra la maggiore au-
tonomia del ceto degli agenti e il loro crescente potere sull'isti-
tuzione, ma rivela anche il progressivo cedere della banca mista,
e quindi dell'attore che aveva dominato e alimentato il mercato
per tutto il decennio precedente.
L'ultimo intervento regolativo riguardante gli assetti com-
plessivi della borsa italiana viene proprio a cadere nella fase con-
clusiva della crisi della banca mista, nel giugno del1932 (R.D.L.
30 giugno 1932, n. 815). Pochi mesi prima, nelfebbraio del1931,
si era riattivata la facoltà del ministero delle Finanze di imporre
lo scarto del 25 per cento sui contratti a termine e nel settembre
dello stesso anno si era deciso di procedere alla sua applicazione.
Il decreto del 1932 è evidentemente animato dal disegno di
applicare definitivamente i principi fissati nel 1925, e non ca-
sualmente nel frontespizio del testo di commento pubblicato da
Mario Angiolini si legge: «Caposaldo della dottrina fascista è la
concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle
sue finalità».
I tratti fondamentali dell'intervento sono: lo stretto control-
lo pubblico del modo di contrattare sul mercato nazionale attra-
verso i pubblici ufficiali agenti di cambio a cui sono riservate le
grida; l'estensione della vigilanza dello Stato a tutti gli operatori
di borsa; il rafforzamento del controllo sulle caratteristiche sog-
gettive degli agenti in termini di prestigio e disciplina.
N el concreto questo significa un'estensione dei poteri del mi-
nistro delle Finanze il cui delegato (art. l) interviene nelle riu-
nioni di borsa, presiede la commissione per il listino, è presente
in deputazione e nel Comitato direttivo, ispeziona l'operato e i
libri degli agenti, delle banche e delle commissionarie 78 •
Per quanto è dato vedere osservando l'evoluzione istituzio-
nale del mercato di borsa, il processo di definitiva centralizza-
zione della disciplina del mercato (sulla linea già definita nel
1925) coincide con la caduta della banca mista. E a ciò corri-
sponde una sempre più accentuata marginalità dell'istituto bor-
sistico nel sistema di intermediazione del paese. Non si tratta
evidentemente di porre la questione nei termini fuorvianti di
un'antitesi tra Stato e mercato, ma come una conferma della ne-
78 M. Angiolini, La legislazione sulle Borse Valori vigente dal18 luglio 1932,
Roma 1932.
204 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
cessaria coincidenza tra ruolo del mercato mobiliare ufficiale e
presenza consolidata di un tessuto di intermediari idonei a ga-
rantirne e difenderne il funzionamento nei confronti di forme
alternative di intermediazione finanziaria.
La caduta della banca mista, indipendentemente da ogni va-
lutazione riguardo alle finalità e all'efficienza del suo operato, è
in questo senso doppiamente critica per la borsa italiana. Con
essa infatti viene a mancare contemporaneamente il principale
market maker, e anche il principale potere regolativo, il potere su
cui si era disegnata, quasi su misura, la legge del1913. L'orga-
nizzazione di borsa è come svuotata da questo evento, privata di
un riferimento operativo e della principale, anche se contestata,
autorità regolativa.
La legge bancaria del 1936 non risolve questo «vuoto» ope-
rativo e di potere, piuttosto lo sancisce, deliberando da un lato il
principio di specializzazione bancaria (che rimanda a un futuro
molto lontano la creazione di istituti che esercitino il ruolo a suo
tempo avuto dalle banche miste sui mercati mobiliari), e dall'al-
tro separando implicitamente, con il solo fatto di non farne men-
zione alcuna, la regolazione del mercato da quella bancaria e
creando un'area grigia, per lungo tempo irrisolta, riguardo alle
attività mobiliari delle banche di credito ordinario.
Il meccanismo della borsa, pur restando apparentemente si-
mile a se stesso, anzi dal 1932 ospitato a Milano in un palazzo
certo progettato per altri esiti, viene cosl, infine, a svuotarsi e a
marginalizzarsi, difeso solo da un gruppo professionale, quello
degli agenti di cambio, che non ha il potere economico di attri-
buire al mercato un ruolo «nazionale», ma solo quello di proteg-
gere, attraverso proteste sempre meno efficaci, un'autonomia
sempre più confinata e formale. Come fa Aldo Garbagni quando,
nel settembre del 19 31, di fronte al nuovo scarto di garanzia a
contanti sui contratti a termine, provvedimento restrittivo in fa-
se di crisi di prezzi, si dimette dal sindacato «contro lo stato di
minorazione nel quale si trova la classe degli Agenti di Cambio»,
salvo poi accettare nuovamente il posto davanti alla nuova, e di-
sattesa, promessa governativa di un testo unico che sancisca la
definitiva autonomia della borsa 7 9.
79 Verbali del sindacato degli agenti di cambio di Milano, 25 e 27 ottobre
1931.
S. Baia CUI-ioni Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia 205
Fig. l. -Dinamica iscrizioni e dimissioni agenti di scambio (1860-1960).
50
40
30
20
10
-10
1850 1870 1880 1890 1900 1920 1930 1940 1950 1960
Fig. 2. -Turbolenza iscrizioni e dimissioni agenti di scambio (1860-1960).
30
28
26
24
22
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
o
I!Eiii!l media mobile biennale
Parte seconda
I SISTEMI DI COMPENSAZIONE
LE STANZE DI COMPENSAZIONE
DALLE ORIGINI AGLI ANNI CINQUANTA
di Rita Brizi e Sandra Petricola
I. LA VIA ITALIANA ALLA COMPENSAZIONE.
L'EVOLUZIONE STORICA DELLE STANZE DI COMPENSAZIONE*
l. La funzione economica delle Stanze di compensazione
Le ragioni che inducono storicamente alla istituzione delle
Stanze di compensazione sono riconducibili al fenomeno della
circolazione sia di valuta metallica o fiduciaria sia di moneta ban-
caria. L'evoluzione delle Stanze è strettamente legata allo stadio
di sviluppo raggiunto dall'organizzazione del sistema bancario in
ogni nazione; è ostacolata dai fenomeni di crisi che possono in-
teressare i mercati finanziari nazionali e internazionali. Allorché
si diffondono crisi di fiducia ovvero avvenimenti straordinari che
comportino crisi commerciali e politiche, «le Stanze di compen-
sazione divengono un barometro sensibilissimo: le operazioni de-
crescono rapidamente» 1 •
La funzione economica delle Stanze è quella di consentire il
regolamento di un elevato volume di transazioni con la massima
economia di circolante. Il procedimento sottostante si realizza
mediante la convergenza in un unico punto del maggior numero
dei pagamenti e delle riscossioni, il regolamento di dette opera-
zioni mediante compensazione multilaterale del dare e dell'ave-
* A cura di Sandra Petricola. Desidero ringraziare Clara Moriconi per la
speciale consulenza tecnica e Guglielmo Milli per gli utili suggerimenti.
1 M. Bossi, Le Stanze di compensazione in Italia e all'estero, Milano 1913.
210 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
re, la limitazione dell'utilizzo del denaro ai soli sbilanci finali. In
assenza di siffatto meccanismo ciascun operatore economico
(banchiere o commerciante) sarebbe costretto a tenere disponi-
bili nelle proprie casse elevate consistenze di riserve liquide per
far fronte ai pagamenti della giornata che eventualmente neces-
sitino di essere perfezionati prima dell'incasso dei crediti esigi-
bili nella stessa giornata.
Per gli operatori economici la partecipazione ai sistemi di
clearing comporta ulteriori benefici in termini di riduzione di co-
sti, risparmio di tempo e contenimento dei rischi. Avvicinare de-
bitore e creditore consente di limitare il trasporto materiale di
denaro, con tutti i rischi che ne derivano, o di evitarlo comple-
tamente allorché alla liquidazione dei saldi si provveda mediante
buoni, assegni o giroconti.
In una economia basata prevalentemente sul credito la fun-
zione delle Stanze è anche quella di facilitare la diffusione e la
circolazione della moneta bancaria. Negli Stati Uniti d'America
le Stanze di compensazione, pur essendo state istituite con molto
ritardo rispetto all'Europa, ebbero uno sviluppo rapidissimo 2 che
riguardò non solo il numero dei partecipanti e i volumi compen-
sati, ma anche la funzione economica svolta. Quelle Stanze este-
sero la propria sfera d'azione oltre che alla pura e semplice com-
pensazione dei titoli anche alla salvaguardia del loro progresso e
stabilità, svolgendo delle funzioni speciali inerenti al controllo
dei soci e dei mercati e costituendo un vero e proprio centro di
azione comune per tutte le banche associate 3 •
2 Dal1853, anno in cui fu inaugurata la Stanza di New York, il sistema ebbe
a realizzare un progresso molto rapido, tant'è che dopo appena 30 anni erano
state create già 31 Stanze di compensazione. Cfr. W. Howarth, Il nostro sistema
di compensazione e le Stanze di compensazione, London 1884.
3 J. Graham Cannon, nel suo trattato sulla clearing-house del1910, individua
tali ulteriori funzioni in: a) prestito di fondi al governo; b) assistenza reciproca
dei soci; c) fissazione di un saggio uniforme dell'interesse sui depositi; d) fissa-
zione di un saggio uniforme del cambio; e) emissione di certificati sui fondi della
clearing. Si tratta evidentemente di funzioni tipiche del centra! banking che le
Stanze americane poterono svolgere grazie alla previsione di una cassa generale
formata dai depositi in valuta d'oro e in biglietti legali versati dalle banche as-
sociate in proporzione al loro capitale. Howarth, nell'opera citata nella prece-
dente nota, fa una minuziosa descrizione dei sotterranei della Stanza di New
York e delle misure di sicurezza adottate per la protezione delle tonnellate d'oro
ivi giacenti. A valere su dette riserve d'oro le Stanze emettevano certificati di
credito che prioritariamente dovevano servire a effettuare il regolamento delle
differenze risultanti dalla compensazione, evitando movimento di denaro, ma
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 211
L'iniziativa riguardante la nascita e l'affermazione delle Stan-
ze di compensazione è anch'essa legata all'evoluzione della fun-
zione creditizia nell'ambito di ciascun paese; laddove quest'ulti-
ma ha raggiunto un significativo grado di sviluppo (è il caso
dell'Inghilterra) l'esperienza storica dimostra un interesse del tut-
to privatistico allo sviluppo di sistemi di clearing. Le Stanze, in
tale contesto, rappresentano l'essenziale completamento dell'eco-
nomia creditizia, in considerazione dell'intima connessione che
lega l'assegno - strumento storicamente più importante di mo-
bilizzazione dei depositi bancari - e il fenomeno della compen-
sazione: «Non vi sono checks senza clearing-house; e tanto meno
clearing-house senza checks»4 • La funzione dell'assegno non è so-
lo quella di strumento di pagamento, ma è fondamentalmente
quella di strumento di compensazione, poiché solo in tal modo si
raggiunge 1' obiettivo di economizzare mezzi monetari. Tuttavia
affinché l'assegno possa costituire efficace strumento di compen-
sazione è necessario il verificarsi della condizione che gli opera-
tori, tra i quali intercorrano reciproche ragioni di debito e di cre-
dito, abbiano il conto corrente presso la medesima banca. Al-
lorché il numero degli utilizza tori dell'assegno si accresce, è evi-
dente l'utilità della clearing house, nella quale la suddetta condi-
zione è per altra via più facilmente realizzata5.
Nei paesi invece ove non è molto sviluppato l'utilizzo della
che in periodi di crisi o di panico rendevano servizi enormi alle stesse banche
associate, al governo, al sistema economico nel suo complesso. Ogni banca asso-
ciata, in caso di forte richiesta di depositi, poteva contare su questa riserva co-
mune formata da quote di capitale di tutte le altre; di converso ogni associata era
tenuta a osservare regole volte alla reciproca tutela, quali quelle di denunciare alla
Stanza i propri clienti insolventi o che avessero in qualche modo arrecato danni
alla banca, nonché praticare gli uniformi saggi di interesse e di cambio fissati
dalla Stanza. La mobilizzazione dell'enorme stock di valuta attraverso l' emissio-
ne dei citati certificati assunse una notevole importanza durante le diverse crisi,
di origine politica o finanziaria, e in casi eccezionali essi vennero utilizzati anche
per aiutare il governo. Cfr. Bossi, op. cit.
4 L. Nouguier, Des chèqttes, Paris 1865.
5 T. Fornari, I checks e la Clearing hottse, Napoli 1878: «La perfezione nel-
l'uso dello check è stata raggiunta in Inghilterra e in America ove lo check non
è adoperato come mezzo per i pagamenti, ma la sua efficacia è divenuta grandis-
sima perché è usato quasi esclusivamente per le compensazioni». Cfr. anche P.
Rota, Principi di scienza bancaria, Milano 1885, il quale asserisce che «l'impor-
tanza del check in Inghilterra e specialmente a Londra si deve all'uso generale del
conto corrente; dove non esiste una Clearing-house che saldi i conti fra i ban-
chieri, il check non trova mezzi di vita e non ottiene alcuna importanza nella
pratica commerciale».
212 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
moneta bancaria, le Stanze di compensazione assolvono essen-
zialmente alla funzione di attenuare i problemi connessi con l'in-
cremento della circolazione necessario per sopperire allo svilup-
po dell'attività commerciale, nonché a quella di agevolare il pas-
saggio da un'economia monetaria a un'economia creditizia. Ne
consegue che laddove si riscontra un forte utilizzo di moneta ne-
gli incassi e pagamenti e, quindi, risultano elevate le esigenze di
valuta circolante, di riserve, di biglietti, si rileva un interesse
pubblico (è il caso dell'Italia) a favorire lo sviluppo di istituzioni
che comprimano l'aumento della circolazione o ne consentano,
nei casi in cui questa sia divenuta difficile o svalutata, un anda-
mento più agevole e fluido.
In Italia l'istituzione delle Stanze venne promossa nel 1881
mediante un intervento pubblico, la legge che aboliva il corso
forzoso, con la quale il legislatore si poneva l'obiettivo di dare
soluzione ai grossi problemi di circolazione monetaria.
Le Stanze avrebbero dovuto agevolare l'uscita dal corso for-
zoso, contribuendo a economizzare la valuta metallica di cui il
paese non era molto fornito, circostanza questa che aveva indot-
to il governo ad assumere un rilevante prestito all'estero in oro 6 .
Nonostante l'ingegnosa operazione finanziaria, posta in essere
dall'o n. Magliani, per consentire il ritorno alla circolazione me-
tallica, il timore che l'oro potesse riprendere la via dell'estero era
molto presente. Di qui l'esigenza di premunirsi contro tale even-
tualità, ricorrendo a tutte quelle innovazioni che potevano ridur-
re le occorrenze di medio circolante ed evitare il ritorno al corso
forzoso a causa del restringimento della circolazione monetaria e
l'aumento del saggio di interesse.
Il legislatore nel porre le premesse per l'istituzione delle Stan-
ze di compensazione mosse dalla consapevolezza che solo la par-
tecipazione di potenti istituti di credito, e quindi il predominio
del settore bancario, avrebbe potuto contribuire all'obiettivo di
regolare una gran massa di affari con un minimo quantitativo di
denaro contante.
Con l'art. 22 della legge 7 aprile 1881, l'invito a partecipare
alle Stanze di compensazione venne rivolto, coerentemente con
6
Sul prestito per l'abolizione del corso forzoso (1881-82) cfr. M. De Cecco
L'Italia e il sistema finanziario internazionale 1861-1914, Laterza, Ro-
(a cura di),
ma-Bari 1990.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 213
tale intendimento, oltre che alle banche anche al Tesoro dello
Stato, che già allora poteva essere qualificato come il principale
banchiere.
L'attività delle Stanze, a tenore del citato art. 22, avrebbe
dovuto riguardare la riscontrata 7 dei biglietti pagabili a vista e al
portatore nonché la compensazione degli altri titoli di credito.
Le ragioni che non consentirono lo svolgimento della riscon-
trata nelle istituende Stanze di compensazione costituiscono ar-
gomento di trattazione separata (cfr. La Riscontrata a cura di S.
Petricola in questo stesso volume). In breve sintesi esse sonori-
conducibili all'evoluzione storica che ha caratterizzato la pratica
attuazione dell'istituto della riscontrata nel nostro paese, alle vi-
cende che portarono al mantenimento di più istituti di emissione
in concorrenza tra di loro, agli imbarazzi che la riscontrata pro-
vocava alle banche partecipanti e principalmente agli istituti mi-
nori, alle interferenze governative che non consentirono l'evo-
luzione della riscontrata da sistema bilaterale a sistema multila-
terale di compensazione e regolamento; sistema quest'ultimo che
invece ha caratterizzato l'organizzazione delle Stanze di com-
pensazione fin dalla loro origine.
Nell'interesse generale del paese il legislatore individuò l'ul-
teriore scopo cui avrebbe dovuto assolvere l'istituzione delle
Stanze di compensazione e cioè quello di contribuire allo svilup-
po dell'assegno e dei titoli di credito in generale.
All'epoca l'assegno già era, sia pure limitatamente, utilizzato
e diffuso in Italia nonostante non esistesse una specifica disciplina
legislativa. Molti progetti di legge tesi a sanzionare legalmente
l'istituto dell'assegno e a renderne più agevole la circolazione, at-
traverso la esenzione o riduzione del bollo, non riuscirono a dive-
nire legge dello Stato 8 •
7 La riscontrata consiste nello scambio reciproco dei biglietti emessi dagli
istituti autorizzati a tale funzione, nella compensazione delle posizioni di dare e
di avere pareggiate e nel regolamento delle eventuali differenze.
8 Si rammentano il progetto di legge Sella (1870) sulla libertà delle banche,
nel quale l'istituto dell'assegno era non solo riconosciuto, ma anche accurata-
mente disciplinato; il progetto di legge Magliani (1879), ripresentato nel1880,
sui titoli rappresentativi dei depositi bancari, approvato dalla Camera ma non dal
Senato a causa della chiusura della sessione; miglior sorte ebbero i lavori intorno
al progetto del nuovo codice di commercio, dove vennero inserite norme che
disciplinarono l'uso dell'assegno, e che entrò in vigore il l 0 gennaio 1883. Cfr.
L. Gallavaresi, L'assegno bancario, Milano 1883.
214 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Alcune norme relative all'assegno e al bollo vennero inserite,
dietro mozione dell' on. L. Luzzatti, nella legge per l'abolizione
del corso forzoso. Lo stesso on. Luzzatti fece anche voti affin-
ché, per consentire alle Stanze di compensazione lo svolgimento
efficace della funzione di favorire l'utilizzo dell'assegno, venis-
sero assunti provvedimenti volti a estendere il sistema degli chè-
ques, fondamento delle Stanze, a tutti i privati commercianti e
non soltanto agli istituti di credito, nonché a praticare agevola-
zioni fiscali a tutti gli assegni senza distinzioni di sorta9 •
2. I sistemi di «clearing» preesistenti
L'art. 22 della legge per l'abolizione del corso forzoso invi-
tava il governo a promuovere nelle principali città l'istituzione di
Stanze di compensazione, alle quali dovevano essere ammessi un
rappresentante del Tesoro dello Stato e un rappresentante delle
sedi e delle succursali delle banche di emissione, delle casse di
risparmio, delle banche di sconto e popolari e dei principali ban-
chieri, per la riscontrata dei biglietti pagabili a vista e al porta-
tore e per la compensazione degli altri titoli di credito.
Con successivo R.D. 19 maggio 1881 il governo stabiliva di
promuovere detta istituzione nelle città di Roma, Napoli, Mila-
no, Torino, Venezia, Firenze, Genova, Palermo, Bologna, Mes-
sina, Catania, Bari e Cagliari, dando incarico alle camere di com-
mercio delle stesse città di invitare le banche, le casse di
risparmio, i banchieri e i principali negozianti del luogo a costi-
tuirsi in associazione allo scopo di istituire, sotto la vigilanza del-
le camere anzidette, e amministrare le Stanze di compensazione,
9 In Inghilterra l'assegno godette per circa 50 anni di una piena franchigia
fiscale, nel timore che una sia pur minima tassa potesse impedirne il desiderato
sviluppo. In Italia fra i motivi che ostacolarono lo sviluppo dell'assegno si anno-
verano preliminarmente, oltre alle citate lacune legislative, la pratica seguita dalle
banche italiane di consentire depositi a risparmio che, grazie ai più elevati tassi
di interesse, hanno allontanato tutto il ceto non commerciale dai depositi in con-
to corrente. Inoltre la questione fiscale è stata sempre presente nello sviluppo
delle diverse tipologie di strumenti creditizi. Nel caso dell'assegno, per quanto il
bollo di 5 centesimi previsto dal nuovo codice di commercio fosse lieve, non
venne mai perseguita l'idea di esonerarlo totalmente dai gravami fiscali almeno
per il periodo di tempo necessario a diffonderne l'uso. Ciò molto probabilmente
costituì un'ulteriore causa della sua non rapida estensione. Cfr. A. Valentini,
Questioni vitali, Milano 1884.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 215
nonché di proporre al governo le norme generali secondo le quali
dette istituzioni avrebbero dovuto operare.
Le camere di commercio non tardarono a tenere in tutte le
previste città apposite riunioni, nelle quali venne generalmente
riconosciuta l'utilità dell'istituzione e si provvide, altresl, a no-
minare localmente specifiche commissioni con lo scopo di rela-
zionare in merito al modello di Stanza di compensazione da adot-
tare preferibilmente su ogni singola piazza.
Di fatto i sistemi di clearing preesistenti da assumere come
modelli di riferimento potevano ricondursi sostanzialmente a
due, quello in uso nella piazza di Livorno e quello in uso nella
piazza londinese.
Le «Stanze dei pubblici pagamenti» di Livorno costituiscono
il primo esempio a livello mondiale di vere e proprie Stanze di
compensazione 10 • La loro origine risale agli inizi del 1700 e pre-
cede di oltre 50 anni la Stanza di Edimburgo, che fu la prima a
essere istituita in Inghilterra intorno al 1752.
Il ruolo fondamentale che la città di Livorno svolse fin dal
XVII secolo nel commercio internazionale, confermato dal fatto
che detta piazza stabiliva giornalmente il cambio con tutte le
principali piazze d'Europa, spiega l'origine di una simile istitu-
zione e il suo rapido affermarsi. La necessità di ricondurre i pa-
gamenti su piazza e fuori piazza, espressi nelle diverse valute,
nella specie metallica utilizzata a Livorno (francescani e lire fio-
rentine per le valute in argento e rusponi e zecchini per quelle in
oro) pose il problema di stabilire giornalmente il corso legale del-
l'aggio, onde evitare contestazioni, e di procedere alla compen-
sazione del dare e dell'avere al fine di limitare il pagamento del-
l' aggio alle sole differenze.
Tale primario compito delle Stanze livornesi cessò dopo l'in-
tervento del governo che sta bill nella misura fissa del 7 per cento
il livello dell'aggio. Tuttavia il sistema delle compensazioni, en-
trato ormai negli usi commerciali della piazza, non solo venne
10 Negli archivi della Camera di commercio di Livorno sono stati ritrovati un
certo numero di documenti che provano l'esistenza in Livorno, già prima del
secolo XVIII, di una privata associazione di cassieri, chiamata Compagnia o Uni-
versità, avente a oggetto anche la compensazione tra i cassieri stessi delle ragioni
di debito e di credito derivanti dai mandati loro conferiti dai propri principali.
Cfr. A. Albani, Le Stanze dei pubblici pagamenti, Livorno 1921.
216 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
conservato, ma fu esteso anche alle altre tipologie di pagamenti
allora in uso 11 •
Il sistema livornese basava la sua organizzazione su un nu-
mero limitato di cassieri, riconosciuti dalla Camera di commer-
cio, che operavano in rappresentanza della propria clientela com-
posta da banche, banchieri e commercianti. Ciascun cassiere
riceveva nei «giorni di Stanza»12 dai propri clienti la nota dei
pagamenti e delle riscossioni da effettuare, unitamente agli ef-
fetti da incassare già quietanzati.
I cassieri provvedevano a compensare dapprima le partite tra
i lori clienti, portando gli sbilanci a loro debito o credito in un
conto speciale aperto giornalmente per ciascun cliente. Detti sbi-
lanci, se riferiti a clienti rappresentati dagli altri cassieri, forma-
vano oggetto di ulteriore compensazione operata da ciascun cas-
siere nei confronti degli altri suoi colleghi. Se si trattava, invece,
di debiti o crediti nei confronti di terzi non rappresentati in Stan-
za, il cassiere attendeva che questi ultimi si presentassero per la
riscossione ovvero faceva ricorso a propri fattorini (portantini
delle Stanze) per l'incasso a domicilio. Nel corso della giornata i
cassieri potevano essere incaricati di eseguire ulteriori nuove ope-
razioni, per le quali veniva ripetuta, se possibile, la procedura di
compensazione tra cliente e cliente, oppure tra cassiere e cassie-
re. A conclusione, le note delle operazioni eseguite, accompagna-
te dai titoli estinti e dalle ricevute ritirate, venivano restituite ai
propri clienti con la richiesta, per gli sbilanci a debito, del denaro
occorrente o di un assegno, ovvero di un buono, il quale costi-
tuiva ragione di credito- da trasportare nella liquidazione suc-
cessiva.
Nei rapporti tra cassieri, che si estrinsecavano in rapporti di
conto corrente tra di loro, gli eventuali avanzi o disavanzi di cia-
scuno venivano compensati di modo che il pagamento effettivo
11L. Medina, Delle Stanze di compensazione in Italia, Livorno 1884.
12Così venivano chiamati a Livorno i giorni di lunedì, mercoledì e venerdì
in cui erano aperte le Stanze. Durante gli altri giorni della settimana nella piazza
non si effettuavano pagamenti o riscossioni a meno che non si trattasse di qualche
operazione di natura veramente speciale (ad es. assunzioni di prestiti). I com-
mercianti e banchieri livornesi di un certo rilievo non tenevano proprie casse ma
si avvalevano per gli introiti e gli esiti di uno dei cassieri addetto alle Stanze,
beneficiando dei vantaggi e delle comodità che la loro opera arrecava.
R. Bri:d e S. Petricola Le Stanze di compensazione 217
delle differenze in contanti risultasse limitato a modesti ammon-
tari riguardanti un numero ristretto di cassieri.
Una notazione interessante concerne la circostanza che il fun-
zionamento delle Stanze dei pubblici pagamenti di Livorno pog-
giava su una minima disciplina regolamentare interna e sulla fa-
coltà demandata alla Camera di commercio di sorvegliare il buon
andamento delle medesime 13 •
L'istituzione livornese si differenziava per svariati aspetti da
quella Iondinese, essendosi quest'ultima sviluppata in un paese
caratterizzato da un già elevato grado di perfezionamento del
sistema bancario. Nel sistema inglese l'uso degli chèques a fronte
di ogni sorta di pagamenti era molto compenetrato nelle abitu-
dini del paese e nella clearing house veniva di conseguenza ope-
rata solo la compensazione di debiti e crediti rappresentati da
cambiali, da assegni e da altri effetti commerciali.
La Stanza di compensazione di Londra nacque ufficialmente
nel1775, allorché i privati banchieri ebbero disponibile in Lom-
bard Street un locale (detto cortile dell'ufficio postale) ove ef-
fettuare lo scambio dei rispettivi titoli di credito e il regolamento
delle differenzel4.
Lombard Street divenne, in breve tempo, il cuore finanziario
di Londra in quanto la clearing house costituiva momento di ve-
rifica della capacità di ciascun operatore di adempiere alle pro-
prie obbligazioni e, quindi, di continuare a svolgere la propria
attività o di sospenderla. In una prima fase i banchieri di Lom-
bard Street resero l'istituzione molto esclusivista. Le banche per
azioni, nate dopo l'approvazione del Bank Charter Act, non ven-
nero ammesse al clearing finché non minacciarono l'istituzione di
un proprio analogo organismo. Risale al1854 la più importante
riforma del sistema di compensazione inglese che contemplò ol-
B Detta facoltà era, di fatto, circoscritta al giudizio circa l'idoneità degli
aspiranti alla qualifica di cassiere e alla conseguente possibilità per gli stessi di
occupare «uno stallo» nelle Stanze.
14 La pratica della compensazione in Inghilterra derivò, secondo Howarth
(op. cit.), dall'abitudine dei commessi di banca e dei fattorini, che avevano l'in-
carico di esigere agli sportelli dei vari banchieri gli assegni negoziati, di trovarsi
insieme in un luogo appartato e di scambiarsi a vicenda i titoli medesimi. ll sud-
detto sistema, benché rischioso, venne tollerato a lungo e la sua comprovata uti-
lità portò successivamente i banchieri a organizzarlo ufficialmente.
218 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
tre all'estensione della partecipazione anche il regolamento delle
differenze mediante ordini di trasferimento 15.
Pochi anni dopo, nel1864, entrò a far parte del sistema di
compensazione la Banca d'Inghilterra, che assunse il compito di
eseguire il saldo delle differenze attraverso accreditamenti e ad-
debitamenti a valere sui conti correnti aperti presso di essa dai
partecipanti. Ne derivò la qualifica per la Bank of England di
«the Bankers Bank».
Una importante concessione dei tribunali inglesi che contri-
buì enormemente allo sviluppo della clearing house ebbe riguardo
alla presentazione dei recapiti alla Stanza, equiparata a «presen-
tazione legale avente gli stessi effetti come da noi un protesto per
notaio o per usciere» 16 •
Praticamente l'iter operativo della compensazione prevedeva
che più volte, nel corso della giornata, venissero consegnati alle
banche associate da pàrte degli altri aderenti i recapiti a loro ca-
rico; questi ultimi, dopo un sommario controllo, venivano tra-
smessi alla propria sede per le necessarie verifiche poiché in caso
di irregolarità i titoli dovevano essere respinti il giorno stesso di
presentazione. Il sistema era molto garantistico in quanto i clea-
ring bankers non rendevano disponibile ai loro clienti il contro-
valore dei titoli finché non erano decorse le ore prefissate per
l'eventuale rientro del titolo irregolare o impagato.
A fine giornata ogni clearing banker aveva il compito di com-
pilare il riassunto dei propri debiti o crediti nei confronti delle
altre banche e di rimetterlo all'ispettore della clearing house, af-
finché quest'ultimo potesse procedere alla predisposizione del fo-
glio di liquidazione generale in cui il totale dei saldi a debito
eguagliava di necessità il totale dei saldi a credito. Una copia di
detto elaborato veniva rimessa dall'ispettore alla Banca d'Inghil-
terra, la quale eseguiva gli addebitamenti accred-itando in con-
tropartita la clearing house e viceversa.
La clearing house di Londra estese successivamente la propria
operatività fino a ricomprendere la compensazione dei titoli di
credito emessi dalle banche di provincia (country clearing).
La proposta di sostituire il deposito infruttifero di somme
presso la Banca d'Inghilterra - che gli associati dovevano dete-
15 Ibid.
16 Valentini, op. cit.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compemazione 219
nere per il regolamento delle differenze - con Buoni del Tesoro
fruttiferi e di regolare i saldi delle compensazioni, così come av-
veniva presso la Stanza di Edimburgo, con detti Buoni venne più
volte discussa ma di fatto non ebbe seguito 17 .
3. La via italiana alla compensazione
Tutte le commissioni incaricate dalle camere di commercio di
individuare sulle singole piazze il modello di compensazione più
acconcio presero in esame entrambi gli schemi di clearing pree-
sistenti per giudicare quale di questi si sarebbe meglio adattato
agli usi prevalenti nelle diverse località.
In realtà ambedue i sistemi si presentavano di difficile attua-
zione pratica, tenuto anche conto che in Italia la nuova istitu-
zione veniva a calarsi in un contesto non in grado di recepire con
immediatezza l'innovazione proposta. Le Stanze non nascevano
spontaneamente ma per volontà politica e il rischio di un insuc-
cesso era troppo forte perché si potesse ricorrere, senza corret-
tivi, all'adozione dell'uno o dell'altro sistema.
L'istituzione livornese presupponeva l'esistenza di cassieri
specializzati i quali garantivano la formale esecuzione delle ope-
razioni; in tale ipotesi era la reciproca fiducia l'elemento fonda-
mentale che sorreggeva il sistema e, al di là di ogni altra conside-
razione, i pericoli e i rischi insiti in tale meccanismo superavano di
gran lunga i possibili vantaggil 8 •
17 Nella Stanza di Edimburgo, più antica ma meno importante di quella di
Londra, gli associati si avvalevano di Buoni dello Scacchiere (fruttiferi) per re-
golare gli sbilanci delle compensazioni, onde evitare perdite di interesse connesse
con la necessaria detenzione di somme liquide disponibili per il regolamento dei
saldi.
18 Il comm. G. Mirone incaricato, in occasione dell'emanazione della legge
7 aprile 1881, dal ministro di Agricoltura, industria e commercio di stendere una
relazione sulle Stanze dei pubblici pagamenti di Livorno, ebbe a rappresentare le
problematicità inerenti all'assenza di una formale regolamentazione di tale isti-
tuzione; tuttavia egli rilevò che nonostante lo svolgimento delle attività avvenis-
se in presenza di tali lacune l'organismo non incontrò, in più di un secolo e mezzo
di esistenza, altre traversie che soli due fallimenti di cassieri, per somme poco
rilevanti, e interamente appianate dai rispettivi principali (mandanti dei cassieri),
senza provocare danni o oscillazioni all'attività commerciale della piazza. Cfr. G.
Mirone, Relazione sulle Stanze di liquidazione di Livorno, in «Annali dell'Indu-
stria e del Commercio», n. 36, 1881.
220 Ricerche per ltJ storia delltJ Banca d'Italia V
Il sistema inglese offriva sicuramente maggiori garanzie; ivi i
partecipanti, per mezzo di propri commessi, effettuavano diret-
tamente lo scambio dei titoli di credito e gli sbilanci risultanti
dalla compensazione venivano regolati per mezzo della Banca
d'Inghilterra, dove ciascun aderente deteneva un proprio conto
corrente con un deposito costantemente mantenuto in una mi-
sura preventivamente fissata dalla clearing house.
In definitiva mentre col sistema livornese operavano e rispon-
devano i cassieri per conto dei loro mandanti, col sistema inglese
ognuno tutelava da sé i propri interessi e ne rispondeva in pro-
prio. In quest'ultima ipotesi inoltre l'intervento della Bank of
England evitava disguidi nel sistema materiale dei pagamenti e
garantiva contro l'eventualità di errori nella fase di regolamento
dei saldi. Queste considerazioni furono sicuramente alla base del-
la generale preferenza per l'istituzione di Stanze di compensa-
zione foggiate secondo il modello inglese, opportunamente mo-
dificato in modo da tener conto delle esigenze e degli usi locali
prevalenti. Le Stanze da istituire in Italia non potevano essere,
come in Inghilterra, concentrate sia sotto l'aspetto territoriale
sia sotto quello della partecipazione, né potevano limitare ai soli
titoli di credito la tipologia degli oggetti compensabili, anche per
via della loro scarsa diffusione.
Le Stanze di compensazione italiane aprirono le porte a
chiunque ne chiese l'ammissione e accettarono per l'esazione di-
verse tipologie di recapiti, anche quelli pagabili da non soci; la
compensazione, nelle Stanze coesistenti con una borsa valori,
venne estesa ai valori mobiliari quotati in borsa.
Il sistema, tenuto conto della massima liberalità nell'accesso,
fu reso ancora più garantistico di quello inglese. Infatti il disim-
pegno delle operazioni, che a Londra si compiva per effetto del
diretto intervento delle parti interessate, nel sistema italiano ven-
ne affidato a un ufficio regolarmente costituito, in grado di of-
frire le maggiori garanzie morali e materiali nell'esecuzione delle
operazioni. Gli associati si limitavano a consegnare i recapiti alla
Stanza, la quale svolgeva tutte le operazioni necessarie per la ve-
rifica, lo smistamento e la riconsegna degli stessi alle controparti
interessate.
Nella maggior parte dei casi la Banca nazionale del Regno
venne ritenuto l'istituto che più di ogni altro si presentava ido-
neo a disimpegnare la gestione di detto ufficio. Nei casi in cui le
R. Brizi e S. Petrico!a Le Stanze di compensazione 221
Stanze vennero esercitate direttamente dalle camere di commer-
cio, la scarsezza dei risultati ottenuti portò, come vedremo in
seguito, alla loro chiusura ovvero alla modifica della loro orga-
nizzazione conformandola sul tipo della Stanza di Milano, la qua-
le, gestita sin dalla nascita dalla BNR, rappresentò il modello ita-
liano di Stanza di compensazione.
Le Stanze che invece vennero esercitate da altri istituti di
credito limitarono la loro attività a poche operazioni, essenzial-
mente alle liquidazioni dei contratti di borsa, e comunque non
furono sempre in grado di assicurare la completa funzionalità del
servizio.
4. Il ruolo della Banca Nazionale nel Regno nell'evoluzione delle
Stanze di compensazione
Il favore con il quale da più parti venne vista la possibilità di
affidare la gestione delle Stanze alla BNR, la circostanza che que-
sta esercitò le Stanze di compensazione più importanti, il suc-
cesso che coronò quasi sempre l'operato dell'istituto non consen-
tono di analizzare il fenomeno della compensazione in Italia
senza tener conto del ruolo svolto dalla BNR.
Nella seduta del 24 agosto 1881 il Consiglio superiore della
banca, tenuto conto delle proposte già pervenute all'istituto in
merito alla gestione ovvero alla cooperazione per l'istituzione
delle Stanze, deliberò circa l'opportunità per la banca stessa di:
a) associarsi alle Stanze di compensazione ovunque venissero
costituite;
b) assumere, laddove richiesto, una ingerenza maggiore della
semplice compartecipazione, giungendo fino a svolgere l'incarico
dell'esercizio delle Stanze di compensazione;
c) subordinare, in tale ultima ipotesi, l'accettazione dell'in-
carico alla richiesta di un compenso che rimborsasse almeno le
spese da sostenere 19 .
Il Consiglio superiore continuò costantemente a occuparsi
delle problematiche connesse con l'istituzione e il funzionamen-
to delle Stanze di compensazione e, in particolare, di quella di
19 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, seduta n. 596 del24
agosto 1881.
222 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Milano, la cui organizzazione venne riprodotta nella quasi gene-
ralità dei casi.
La Camera di commercio di Milano stipulò- il16 gennaio
1882 -la convenzione con la BNR, per l'assunzione, da parte di
quest'ultima, dell'esercizio della Stanza di compensazione su
quella piazza. Dallo schema di convenzione si evince la posizione
delle parti che, per la Camera di commercio, si concretizzava
nella volontà di essere sollevata da qualsiasi responsabilità circa
le spese della Stanza, mentre per la BNR si manifestava nel fermo
intendimento di perseguire l'obiettivo di sviluppo della nuova
istituzione adottando tutte le possibili agevolazioni, anche tarif-
farie, atte a favorire la più ampia partecipazione.
Venne stabilito che il tetto massimo di contribuzione da par-
te di ciascun socio non potesse superare la somma di lire 300
annue e che le eventuali spese eccedenti tale limite fossero a ri-
schio della banca. Il desiderio della BNR di non frapporre alcun
impedimento al decollo dell'iniziativa, anzi di assicurarne il più
ampio successo, portò successivamente a una definizione delle
aliquote tariffarie estremamente favorevole, tale da indurre i par-
tecipanti a utilizzare le Stanze per il regolamento del maggior
numero di operazioni senza dover ricorrere a preventivi calcoli di
convenienza20 .
Da queste manifestazioni di volontà emerge l'interesse della
BNR ad assumere un ruolo preminente nell'esercizio delle Stanze
di compensazione, funzione altrove affidata a banche centrali;
dall'amministrazione del nuovo organismo la banca avrebbe trat-
to nuova forza, avrebbe visto crescere il proprio ruolo nell'eco-
nomia del paese e principalmente verso le altre banche di emis-
sione.
Le Stanze gestite dalla BNR provvedevano per conto dei sin-
goli associati a:
20 Il nuovo metodo adottato prevedeva, oltre alla corresponsione da parte di
ciascun associato di una tassa fissa di lire 50 annue, la gratuità del servizio sino
alla concorrenza di 1 milione, mentre per le operazioni che eccedevano quest'ul-
timo tetto, un contributo di 2 centesimi per mille; da 5 milioni e oltre un cen-
tesimo per mille. Dopo il primo anno di esercizio le tariffe vennero ulteriormente
modificate, su proposta del Consiglio di vigilanza di Milano, e differenziate a
seconda della categoria di appartenenza del partecipante, nonostante la forte pro-
babilità di conseguire disavanzi gestionali. Cfr. ASBI, Segretariato, Verbali del
Consiglio superiore, seduta n. 647 del 29 agosto 1883.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 223
a) compensare, fino a concorrenza delle contropartite, il dare
e l'avere risultante dalle distinte presentate da ciascuno di essi;
b) esigere gli effetti domiciliati presso la Stanza per i quali
non potesse avere luogo la compensazione per mancanza di con-
tropartite;
c) pagare fino a concorrenza dei fondi incassati gli effetti do-
miciliati presso la Stanza, i quali non potevano essere compen-
sati;
cl) accreditare i singoli associati presso l'istituto da loro indi-
cato delle somme di cui fossero risultati creditori alla fine della
seconda seduta;
e) eseguire, per conto degli associati, le liquidazioni mensili
dei fondi pubblici dello Stato, e di tutti i titoli privati ammessi a
quotazione nelle borse valori, esigendo e pagando le differenze
relative.
Il regolamento dei saldi debitori doveva essere pareggiato da-
gli associati con un versamento alla BNR per conto delle Stanze di
compensazione. Il mancato puntuale soddisfacimento dei paga-
menti a debito ovvero la rimessa a saldo degli stessi di assegni o
ricevute a carico di altri istituti di credito senza avervi la neces-
saria copertura costituiva causa di esclusione dal servizio di com-
pensazione.
Lo svolgimento pratico delle operazioni compiute presso le
Stanze prevedeva forme minuziose di controllo che, attraverso la
metodica registrazione in ogni fase del procedimento ammini-
strativo, garantivano sicurezza circa i passaggi dei valori e i rap-
porti contabili tra gli operatori e le Stanze.
La BNR, inoltre, nell'intento di assicurare le maggiori agevo-
lazioni possibili e di favorire sempre più l'incremento delle Stan-
ze consentì i seguenti vantaggi agli associati:
Protesti. Il protesto per mancato pagamento delle cambiali do-
miciliate alle Stanze veniva levato il secondo giorno non festivo
dopo quello stabilito per il pagamento (art. 288 del nuovo codice).
Conti correnti a interesse. Il servizio dei conti correnti a interesse
venne esteso agli stabilimenti della banca esercenti le Stanze nelle
singole località, a solo profitto però degli associati alle Stanze stes-
se, applicando a detti conti il saggio di interesse in vigore per egua-
li operazioni negli stabilimenti delle province meridionali. Ai cor-
224 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
rentisti venivano rilasciati appositi libretti di assegni, bollati a
spese del richiedente, a termine dell'art. 20 della legge 7 aprile
1881. I regolamenti dei conti venivano effettuati il 30 giugno e
il 31 dicembre di ogni anno con facoltà del correntista di chie-
dere tale regolamento sotto qualsiasi data a seguito di utilizzo
del totale del suo avere. Su tali conti potevano essere regolati i
saldi a debito e a credito rivenienti dalle compensazioni.
Assegni di rendita sulle piazze sedi di borsa. Agli associati alle
Stanze di compensazione che necessitavano far consegnare o far
ritirare partite di rendita nelle principali piazze di borsa, e cioè
Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino, pre-
via presentazione di apposita domanda qualche giorno prima di
quello della consegna o del ritiro, la BNR garantiva l' effettuazio-
ne di tale servizio, nei limiti consentiti, per quanto concerneva le
consegne, dalle disponibilità in titoli sulle varie piazze detenuti
dalla banca stessa. A fronte delle spese per movimento e traspor-
to dei valori, per confezionamento dei pieghi nonché dei rischi
connessi venne stabilito, inizialmente, un compenso di cent. 5
per ogni 5 lire di rendita per il servizio effettuato sulle piazze del
continente e di cent. 12,5 per il servizio su Palermo.
Proroga del pagamento della rendita e delle obbligazioni quotate nel
listino di borsa. Agli associati alle Stanze di compensazione ven-
ne consentita la possibilità di richiedere tutti i giorni, eccetto
quello di liquidazione mensile, la proroga fino al secondo giorno
successivo del pagamento dell'importo della rendita e delle di-
verse obbligazioni quotate in borsa da loro acquistate nella gior-
nata a contante. Sulla somma anticipata dalla banca, equivalente
al valore dei titoli lasciati in garanzia previa deduzione del 2 per
cento, dovevano essere corrisposti, per il giorno di proroga, gli
interessi in ragione del 4 per cento21 •
Versamenti telegrafici. Gli stabilimenti della banca potevano ri-
cevere, per conto degli associati, versamenti nel giorno di liqui-
dazione e in quello precedente; dette somme, su richiesta tele-
grafica della parte versante e mediante rimborso delle spese
21
ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, seduta n. 723 del24
settembre 1886.
R. Bri:d e S. Petricola Le Stanze di compensazione 225
telegrafiche, potevano essere messe a disposizione di terzi, soci o
non soci, residenti in una delle città ove la banca era presente con
una Stanza di compensazione22 •
5. L 'annosa controversia tra il Banco di Napoli e la Banca Nazio-
nale nel Regno- Banca d'Italia
La mancata istituzione a Torino di una Stanza di compensa-
zione fu la conseguenza del contrasto tra il BN e la BNR per ot-
tenere l'affidamento dell'esercizio su quella piazza23 .
La controversia risale al1881, epoca in cui la BNR, consape-
vole dei compiti ad essa spettanti quale massimo istituto del Re-
gno, chiese attraverso i propri stabilimenti alle camere di com-
mercio che la nuova istituzione sorgesse sulle singole piazze sotto
il suo patrocinio.
A Torino la commissione appositamente incaricata dal presi-
dente della locale Camera di commercio, on. A. Malvano, nella
relazione del 10 luglio 1881 rappresentò le probabili difficoltà
che avrebbe incontrato l'istituzione della Stanza in quell'impor-
tante centro commerciale e industriale, per la presenza di nume-
rose case commerciali e bancarie già organizzate in proprio per lo
svolgimento dei servizi di cassa. Tuttavia la commissione ritenne
che l'istituzione della Stanza, prescritta da una disposizione le-
gislativa e vivamente caldeggiata dal governo, costituisse non so-
lo un vero progresso economico, ma altresì un provvedimento
necessario per contenere eventuali problemi del mercato mone-
tario in vista del ritorno alla circolazione metallica.
La commissione suggerì l'adozione del sistema livornese24 e
22 ASBI, Segretariato, Verbali dei Consiglio superiore, seduta n. 728 dei 24
settembre 1886.
23 In merito alle relazioni intercorrenti tra gli istituti di emissione il Ferraris
osservava: «Si cominciò con l'emulazione, si finì con l'antagonismo: Io sa una
delle prime piazze d'Italia, molto perturbata negli ultimi anni, quella di Torino,
ove non si è nemmeno riusciti a fondare per tale motivo una Stanza di compen-
sazione; e non fu colà purtroppo il peggiore risultato di quell'antagonismo». Cfr.
C.F. Ferraris, Il riordinamento degli Istituti di Emissione, in «Nuova Antologia»,
16 aprile 1891.
24 La commissione era composta dal presidente della Camera di commercio
e dai direttori della BNR, dei Banco di sconto e della Banca piemontese. Il diret-
tore di quest'ultima banca, il cav. G. Motta, che si occupò di stendere la rela-
zione, era stato banchiere a Livorno ed ebbe modo in quella città di constatare
l'utilità deile Stanze. Cfr. «Gazzetta Piemontese», 19 luglio 1881.
226 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
invitò la BNR ad assumere l'esercizio della Stanza in quanto la
banca, già ad altro titolo benemerita per la città di Torino, rea-
lizzava la massima parte del movimento monetario su quella piaz-
za e godeva meritatamente di piena fiducia; elementi questi ne-
cessari per assicurare il successo alla nuova iniziativa2 5.
La BNR accettò l'incarico e propose l'adozione dello statuto e
del regolamento della Stanza di Milano, in corso di definizione,
salvo apportarvi i necessari adattamenti richiesti dagli usi e dai
bisogni della piazza torinese. Le difficoltà incontrate a Milano
nella definizione dell'ordinamento della Stanza procurarono leg-
geri ritardi, che tuttavia non impedirono alla Camera di com-
mercio, nel successivo mese di novembre, di essere in grado di
sottoporre all'esame della commissione le norme attuative della
nuova istituzione.
Nel frattempo il BN aveva presentato un proprio progetto di
statuto e di regolamento della costituenda Stanza di Torino, che
venne dalla Camera di commercio sottoposto alla discussione in
una pubblica riunione appositamente indetta il24 gennaio 1882.
La Direzione generale della BNR protestò vivamente per la scor-
rettezza subita facendo appello a un proprio diritto di preceden-
za di fatto acquisito in virtù della deliberazione camerale del lu-
glio 1881, nonché delle trattative già intercorse. La commissione
incaricata di regolare la materia, di fronte ai due progetti pre-
sentati e discussi, per salvare la situazione propose una gestione
in comune del nuovo organismo tra i due istituti; proposta que-
st'ultima che nel mentre incontrò il favore del BN riscosse il mas-
simo diniego da parte della BNR. La banca motivò la decisione
adducendo di non poter assumere responsabilità in comune ma
soltanto quelle che potevano derivare direttamente dal proprio
operato. L'esercizio collettivo delle Stanze, ovunque proposto,
non venne mai ritenuto possibile dalla BNR, in quanto esso com-
portava necessariamente una attribuzione di responsabilità poco
efficace e poco garantistica, senza raggiungere l'obiettivo di as-
sicurare il regolare andamento dell'istituzione. Nel caso in argo-
mento poi si sommavano a queste ragioni di merito altre di or-
dine culturale, considerato che Torino rappresentava per la BNR
la propria culla e la città dove l'azione della banca si era esplicata
25 ASBI, Fondo Stanze di compensazione, serie pratiche, cart. 57.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 227
con la massima attenzione e il maggior riguardo ai bisogni della
comunità. La banca riteneva quindi di poter contare su preroga-
tive dovute sia all'alta considerazione acquisita sia alla citata de-
libera camerale del luglio 1881. La rigida posizione della banca
determinò la caduta del progetto nonostante l'intervento del mi-
nistro di Agricoltura, industria e commercio, sollecitato dalla
commissione, ormai costretta all'immobilismo per il conflitto
creatosi tra due forze opposte.
Il BN fece ripetutamente voti presso la Direzione generale
della BNR affinché la banca gli lasciasse il campo libero sulla piaz-
za di Torino per l'esercizio della Stanza di compensazione o al-
meno venisse a speciali accordi con esso. La BNR a sua volta di-
chiarò di essere disponibile a partecipare alla nuova istituzione
sulla base di una perfetta uguaglianza tra gli istituti associati, ma
nel contempo invitò la propria sede di Torino a essere vigile su
eventuali nuove iniziative promosse dal concorrente BN 26 •
Le trattative, che da parte della BNR ponevano come condi-
zione che né l'uno né l'altro dei due istituti di emissione potesse
avere una preminenza nella gestione della Stanza, andarono fal-
lite e fu in questa occasione che la Camera di commercio di To-
rino proclamò che <<l'avviamento preso dal cambio metallico fa-
ceva palese la nessuna necessità della nuova istituzione a Torino».
Il ministro di Agricoltura, industria e commercio fece perve-
nire alla Camera di commercio di Torino nell'ottobre 1883 l'an-
nuncio che una sottocommissione, nominata dalla Commissione
permanente per l'abolizione del corso forzoso, sarebbe giunta colà
con l'incarico di indagare le ragioni che avevano fino ad allora
impedito l'impianto della Stanza in un mercato tanto importante;
ma detta sottocommissione non giunse mai a T orino 27 •
Nel frattempo il BN aveva riattivato il servizio delle liquida-
zioni mensili delle operazioni di borsa - già istituito nel 1882 e
sospeso dopo pochi mesi per non aver raggiunto un esito positivo
26 ASBI, Fondo Stanze di compensazione, serie lettere, cart. 57 (lettera del
2 dicembre 1882 del direttore generale Grillo).
27 ASBI, Fondo Stanze di compensazione, serie lettere, cart. 57 (dalla rela-
zione della Camera di commercio e arti di Torino). La sottocommissione era com-
posta dal senatore Gaspare Finali (presidente), dal deputato G.B. Morana, dal
comm. G. Mirone, commissario centrale per la vigilanza sulle banche di emis-
sione, e dal comm. Veranda, segretario presso lo stesso ministero di Agricoltura,
industria e commercio.
228 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
- riuscendo invece questa volta a farlo entrare nelle abitudini e
negli usi della piazza, senza ottenere tuttavia la partecipazione
della BNR.
Nel maggio del1885 la BNR ripropose ufficialmente alla Ca-
mera di commercio di Torino un progetto di Stanza, esteso anche
alle liquidazioni mensili di borsa, sostenuto dalle adesioni, già
raccolte, di 76 istituti e privati locali, chiedendone l'affidamento
dell'esercizio, a proprio rischio e spese. Ma la Camera di Com-
mercio, in presenza di un analogo progetto presentato di nuovo
dal BN, ritenne di rigettare la domanda ribadendo l'opportunità
che - attesi gli importanti servizi resi al commercio locale dai
due istituti - la Stanza venisse esercitata di comune accordo tra
gli stessi; proposta che ottenne un nuovo rifiuto della BNR28 •
I surricordati avvenimenti intanto avevano indotto la Dire-
zione generale della BNR a rimuovere il direttore della banca a
Torino, collocandolo a riposo, e a nominare per quella carica un
nuovo funzionario, il comm. Bollero, il quale godeva fama di uo-
mo capace, risoluto ed energico. Quest'ultimo raggiunse un ac-
cordo con la Camera di commercio che prevedeva l'affidamento
dell'esercizio della Stanza alla BNR, mantenendo al BN l'ufficio
delle liquidazioni mensili di borsa, nella convinzione che quando
la banca fosse riuscita a istituire e gestire le compensazioni gior-
naliere, non sarebbe trascorso molto tempo per ottenere anche
l'ufficio delle liquidazioni mensili, tenuto anche conto che gli
28 Da una nota a stampa predisposta dalla BNR si legge: «Porre il Banco di
N apoli sullo stesso piano della Banca costituirebbe una vera ingiustizia, impe-
rocché, se non si contesta che il Banco abbia reso dei servizi, questi però non
sono da paragonare con quelli resi dalla Banca Nazionale, la quale nel1883 operò
alla sede di Torino per L. 168 milioni tra sconti e anticipazioni, ed il Banco di
Napoli per soli 58 milioni. Nel1884le operazioni della Banca Nazionale furono
di L. 157 milioni e quelle del Banco di soli 46 milioni.
Se poi si rimonta al passato, la differenza è anche più sensibile a favore della
Banca. Chi poi non riconosce che se, nella recente crisi di borsa, si poté scon-
giurare un vero disastro, ciò è essenzialmente dovuto alla Banca Nazionale?
Si parla di necessità di un accordo tra i due Istituti. Niente di più facile se
si trattasse di semplice suscettibilità o puntiglio, ma la cosa è ravvisata inesegui-
bile dai più versati teorico-pratici e sarebbe un vero torto che si farebbe alla
Banca se, per paura di disgustare il Banco di Napoli, le venisse negata una cosa
che le viene di diritto, tanto più che essa Banca lasciò libero il campo al Banco di
Napoli sulla piazza di Napoli ove il Banco poteva accampare diritti di preminen-
za, e non solo non lo osteggiò, ma lo secondò annoverandosi tra gli associati.
Perché dunque il Banco non potrebbe concedere alla Banca Nazionale a Torino
quello che essa accordò al Banco a Napoli?». Cfr. ASBI, Fondo Stanze di com-
pensazione, serie pratiche, cart. 56.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 229
operatori della piazza non erano affatto soddisfatti della gestione
del banco, sia per la lentezza nel compiere la liquidazione sia, e
principalmente, per la ingerenza da esso consentita alla Commis-
sione di borsa.
Ma anche questa volta il BN presentò nuovamente domanda
per ottenere l'esercizio della Stanza, adducendo la circostanza
che essendo esso incaricato delle liquidazioni mensili sarebbe sta-
to opportuno che, nell'interesse del pubblico, espletasse anche le
operazioni proprie della Stanza.
Al nuovo insuccesso seguì un accordo tra il direttore della
sede di Torino della BNR e quello del BN che prevedeva la par-
tecipazione, gratuita e in via riservata, della BNR alle liquidazioni
mensili gestite dal banco; accordo che venne a conoscenza della
Direzione generale della banca soltanto nel 1892 e che fu causa
di rimproveri per il direttore della sede di T orino per via della
sua arrendevolezza. Si pensò tuttavia di cogliere l'occasione per
ottenere in contropartita la partecipazione del BN alle Stanze di
Firenze, Genova e Milano gestite dalla BNR e ciò al fine di av-
vantaggiare gli associati di quelle Stanze. Nonostante venissero
precisate condizioni e modalità per stabilire la reciprocità di in-
tervento tra i due istituti, il progetto non ebbe seguito e la si-
tuazione rimase immutata anche durante gli anni della crisi che
videro la formazione della Banca d'Italia.
Nel1898, passato il periodo più critico, la BI pensò di attivare
a Torino un «servizio speciale di cassa per conto terzi», il quale
di fatto avrebbe svolto le funzioni proprie di una Stanza di com-
pensazione, con lo scopo di sopperire alla inesistenza di una Stan-
za che svolgesse anche le compensazioni giornaliere. La concor-
renza del BN fu spietata. Esso pubblicò avvisi, diffuse circolari,
promosse assemblee, per rendere noto che il proprio ufficio delle
liquidazioni mensili avrebbe compiuto anche le compensazioni
giornaliere tra i soci a condizioni ben più favorevoli di quelle che
la BI praticava per il suo servizio di cassa. Tutto ciò provocò un
nuovo insuccesso della banca che indusse la stessa a ritirare la
propria partecipazione alle liquidazioni mensili gestite dal BN,
anche perché quest'ultimo presso le piazze di Firenze, Genova e
Milano non aveva in realtà concretizzato il suo intervento.
Col passare del tempo l'ufficio delle liquidazioni mensili ge-
stito dal BN ampliò le proprie operazioni riproducendo, con al-
cune limitazioni, il servizio che la BNR effettuava nella Stanza di
230 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Milano e raggiungendo infine lo scopo di ottenere esso la gestio-
ne della Stanza di compensazione di Torino. Il13 agosto del1905
venne firmata dal BN la relativa convenzione con la Camera di
commercio di Torino. Dal1918 la BI, sede di Torino, accettò
nuovamente di prendere parte alle operazioni della locale Stanza,
soprattutto per favorire gli associati, i quali ne avrebbero tratto
grande giovamento e avrebbero potuto allargare la cerchia delle
loro operazioni.
Il BN mantenne l'esercizio della Stanza di Torino fino al
1926, anno in cui venne emanato il R.D.L. 6 maggio 1926, n.
812, che unificò l'emissione dei biglietti di banca, concedendone
il privilegio alla sola BI, e che con l'art. 18 affidò esclusivamente
alla stessa BI la gestione delle Stanze di compensazione.
6. La nascita delle singole Stanze di compensazione
Le prime Stanze di compensazione che vennero istituite fu-
rono quelle di Genova, Milano e Roma.
La Stanza di Genova, istituita fin dal maggio 1882, venne
esercitata dalla Camera di commercio e composta dai principali
istituti di credito della città.
Nonostante l'importanza della piazza essa dette scarsissimi
risultati. Di qui la riforma deliberata dalla suddetta Camera nel
giugno 1885 che portò alla cessazione dell'associazione e alla sti-
pula di una convenzione con la BNR per l'esercizio della Stanza.
Vennero, altresì, modificate le disposizioni regolamentari in mo-
do da conformarne l'organizzazione sul tipo della Stanza di Mi-
lano, tanto nei rapporti tra la Camera di commercio e la banca
quanto in quelli tra la banca e gli associati.
La Stanza di Milano fu aperta il9 ottobre 1882. Essa costituì
un tipo speciale di Stanza di compensazione, poiché venne isti-
tuita con una base più larga, aperta anche ai commercianti più
modesti e gestita direttamente dalla BNR. I risultati ottenuti da
detta Stanza furono sin dall'inizio ottimi; la stessa nel giro di
appena tre mesi ebbe operazioni per la somma complessiva di
oltre 40 milioni, di cui circa 27 rappresentavano l'importo delle
liquidazioni mensili di borsa29 •
29 Cfr. Relazione annuale della BNR, anno 1882.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 231
L'organizzazione tecnica della Stanza di Milano risultò con-
geniale alle esigenze degli operatori non solo di quella piazza, ma
anche delle altre che ospitarono le Stanze di compensazione e
che in sostanza ne adottarono lo schema di funzionamento. Lo
sviluppo della Stanza di Milano fu costantemente ascendente,
come dimostra la tavola seguente tratta dalla relazione del Con-
siglio di vigilanza di Milano del 1909.
Tab. l -Prospetto generale delle operazioni eseguite dall'inizio della Stanza di
compensazione (9 ottobre 1882) a tutto l'anno 1909.
Numero Percentuale del contante
Totale
Esercizio degli Contante sul sulle sulle
operazioni
associati totale com p. liquid.
1882-83 75 955,294,264.06 143,325,045.11 15.- 21.78 10.41
1884 75 2,564, 766,402.88 380,378,553.58 14.83 19.95 5.85
1885 137 4,013,755,567.28 636,861,976.12 15.86 20.45 6.10
1886 140 4,087,715,632.02 718,619,152.54 14.41 18.06 4.64
1887 154 7,206,501,021.52 724,662,350.85 10.05 15.615 2.066
1888 164 8,026,326,470.32 829,940,622.20 10.34 16.987 1.418
1889 157 9' 105,306,570.22 923,625,021.87 10.144 15.911 1.432
1890 157 7,569,893,191.32 790,254,357.61 10.439 16.332 1.282
1891 160 6,393,587,380.72 788,497,914.99 10.332 19.728 1.846
1892 163 6, 728,794,561.10 811,735,270.86 12.063 19.992 1.884
1893 167 8,412,614,004.32 916,278,055.56 10.089 15.555 2.244
1894 160 6,482,966,431.15 814,411,175.57 12.408 17.042 1.613
1895 168 7,935,367,450.37 1,056,443,864.80 13.313 17.901 1.502
1896 169 9,269,041,663.38 991,686,519.75 10.698 14.967 1.261
1897 162 9,132,477,691.08 933,084,930.53 10.217 14.362 1.349
1898 172 10,161,624,292.90 911,297,976.34 8.968 12.774 1.083
1899 171 13,771,299,098.59 1,134,216,631.22 8.236 10.781 1.043
1900 170 10,235,682,064.04 952,766,250.10 9.308 12.328 1.034
1901 169 9,520,170,356.90 1,061,182,678.84 11.146 14.947 0.780
1902 170 12,041,714,765.73 1,283,038,154.28 10.655 14.330 1.242
1903 169 12,214,719,281.63 1,315 '716,695 .03 10.771 15.478 1.202
1904 165 12,544,283,710.78 1,419,218,812.33 11.313 15.777 1.010
1905 165 15,800,689,930.42 1,540,636,333.19 9.750 14.187 0.663
1906 163 17,439,043,481,10 1,657,526,564.14 9.505 12.159 1.094
1907 168 20,706,277,040.12 1,918,843,059.59 9.267 11.095 1.271
. 1908 161 19,576,632,710.88 1,863,737,581.30 9,520 11.445 1.064
1909 172 21,471,103,253.26 1,952,087' 168.62 9.092 10.619 0.907
Totale 274,267,598,288.09 28,470,073,636.42
232 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Dalla tavola si evince come la crescita delle operazioni della
Stanza in argomento abbia seguito un trend positivo, con lievi
flessioni negli anni che vanno dal1890 al1901, durante i quali
furono soprattutto le conseguenze della crisi del mercato dei va-
lori a provocare l'oscillazione delle operazioni. L'andamento
ascendente, ripreso nel 1902, venne interrotto dalla crisi scop-
piata negli Stati Uniti nel 1907, che coinvolse anche l'Inghilter-
ra, la Germania e altri paesi. La modesta ripercussione che se ne
ebbe in Italia in quello stesso anno riguardò quasi esclusivamente
le borse; infatti le liquidazioni mensili presso la Stanza di Milano
registrarono nel confronto con il 1906 una diminuzione di 3 35
milioni, raggiungendo la cifra di 3,8 miliardi complessivi. La lie-
ve sosta della crescita delle operazioni effettuate presso la Stanza
anzidetta, nell'anno 1908, fu del tutto temporanea, causata ap-
punto dalla stasi delle attività produttive e commerciali che segul
alla grande crisi, per poi riprendere brillantemente il proprio
cammino.
La Camera di commercio ed arti di Roma, nel deliberare l'i-
stituzione della locale Stanza di compensazione, ritenne di porre
in condizioni di parità gli istituti di primaria importanza della
piazza, evitando di concentrare in uno solo di essi il servizio di
compensazione. La Camera avrebbe reso disponibili propri locali
e delegato un proprio deputato d'ispezione, scelto tra i suoi con-
siglieri, a sorvegliarne il buon andamento.
La Stanza di Roma venne aperta il 18 ottobre 1882 unita-
mente alla locale borsa valori. Gli associati erano rappresentati
dai quattro istituti di emissione (BNR, BN, Bs, BR), nonché dalla
Società di credito mobiliare, dalla Banca generale, dal Banco di
Roma e dalla Banca tiberina.
La Stanza consegul risultati piuttosto negativi che portarono
al graduale allontanamento degli originari associati e successiva-
mente alla chiusura dell'organismo deliberata il 30 giugno 1895
dall'adunanza degli associati3o.
Nel febbraio 1886, per deliberazione della locale Camera di
commercio e su richiesta del comm. T anlongo - governatore
della Banca romana, che ricopriva anche la carica di vice presi-
dente della Camera di commercio-, venne costituito presso la
30 ASBI, Fondo Stanze di compensazione, serie pratiche, cart. 52.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 233
locale borsa un ufficio per le liquidazioni mensili, la cui gestione
fu affidata alla Banca romana. Detto ufficio venne assunto nel
1893 dalla BNR prima e dalla BI dopo, per effetto della loro veste
di liquidatrici della cessata Banca romana.
La BI assunse, di fatto, anche l'esercizio della Stanza di com-
pensazione di Roma che svolgeva le compensazioni giornaliere.
Ma, come già detto, la precarietà della situazione in cui versava
da anni quella Stanza, pressoché fossilizzata, non favorì quei pro-
gressi che le migliorate condizioni del mercato avrebbero potuto
arrecare una volta superati i turbamenti prodotti dalle vicende
bancarie del 1893. La BI, dopo oltre dieci anni da tali eventi,
ritenne necessario ripristinare la Stanza di Roma, allargandone
l'attività- nel senso che anch'essa, al pari delle consorelle di
Genova, Milano e Firenze, potesse funzionare giornalmente -
sia per dare ali' organismo una forma più completa sia per influire
utilmente nello sviluppo degli affari di Roma e del Lazio. La lo-
cale Camera di commercio si mostrò favorevole all'iniziativa e
concesse, gratuitamente, l'uso dei locali necessari situati in Piaz-
za di Pietra ove risiedeva la Camera stessa3 1 •
La Stanza di Bologna venne istituita nel 1883 e, dopo 11
anni di vita assai stentata, cessò di esistere il31 dicembre 1893.
L'esercizio della Stanza venne affidato alla BNR, la quale unita-
mente alla locale Camera di commercio pose in essere una serie di
tentativi per incentivarne l'attività. Venne anche sperimentata,
per alcuni anni, l'assunzione in carico alla BNR e in parte alla
locale Camera del totale delle spese della Stanza, al fine di veri-
ficare se la gratuità dell'accesso potesse condurre i commercianti
bolognesi ad apprezzare i vantaggi dell' istituzione32 •
Uno studio fatto dal direttore della succursale di Bologna del-
la BNR, nel 1887, riferiva che l'assenza delle contrattazioni di
borsa e l'indifferenza dei principali istituti e banchieri della piaz-
za ostacolavano lo sviluppo delle operazioni della Stanza. Tale
indifferenza derivava dal timore degli operatori locali di rivelare
i propri affari; infatti difficilmente venivano portati in compen-
sazione gli effetti su piazza.
31 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, seduta n. 176 del23
gennaio 1905.
32
ASBI, Segretarìato, Verbali del Consiglio superiore, seduta n. 730 del 22
dicembre 1886.
234 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Nel luglio del1924la Camera di commercio di Bologna rap-
presentò alla BI la necessità di ripristinare la Stanza, sia per le
mutate condizioni ambientali sia per la richiesta fatta da un certo
numero di banche e banchieri locali. La Camera, nell'intendi-
mento di accogliere l'istanza, aveva provveduto a interessare il
ministero dell'Economia nazionale, ricevendone l'incarico di in-
terpellare la BI e il BN per sapere se essi fossero stati intenzionati
ad assumere in consorzio la gestione della Stanza ovvero, in caso
di risposta negativa, stabilire di comune accordo quale dei due
istituti avrebbe dovuto assumerne la gestione.
Questi ultimi espressero concordemente l'avviso che l'esiguo
numero di banche e banchieri che avevano patrocinato l'istitu-
zione della Stanza non ne giustificava la costituzione, dato che i
costi di funzionamento e di personale sarebbero stati di gran lun-
ga superiori ai canoni pagati dagli associati. Risposero di conse-
guenza alla Camera di commercio che essi sarebbero stati dispo-
nibili a esaminare la proposta quando fosse stato assicurato un
provento minimo di almeno 100.000 lire annue, tale cioè da por-
re in esistenza un istituto che desse affidamento di vitalità fin dal
suo inizio.
Un anno dopo tali eventi la Camera di commercio di Bologna
comunicò alla BI l'approvazione, da parte del ministero dell'E-
conomia nazionale, dello statuto e del regolamento della Stanza
di Bologna, la cui gestione veniva affidata alla locale cassa di
risparmio. Il comm. B. Stringher, direttore generale della BI, ma-
nifestò al direttore della sede di Bologna della Banca la sua gran-
de sorpresa per essere stato informato di quanto accadeva sol-
tanto a cose compiute, rimproverando al citato dirigente di
essersi disinteressato del fatto che un altro istituto locale assu-
messe l'esercizio della Stanza, poiché quest'ultima in qualche mo-
do veniva ad avere, sia pure indirettamente, il controllo delle
operazioni della piazza.
Il direttore generale interessò formalmente anche il commis-
sario governativo presso la Camera di commercio di Bologna e il
ministro delle Finanze, G. Volpi, precisando che i due istituti di
emissione, precedentemente interessati, non avevano opposto un
rifiuto, ma soltanto richiesto un concorso degli associati suffi-
ciente a coprire le spese d'esercizio. Fece altresì rilevare che l'i-
stituzione della Stanza di Bologna, così com'era avvenuta, risul-
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 235
tava in contrasto con la legge 10 agosto 1893, la quale stabiliva
all'art. 4, ultimo comma, che d'esercizio delle Stanze di com-
pensazione, ove non venga fatto dalle Camere di Commercio,
sarà affidato in Consorzio ai tre Istituti di emissione, con le
norme da stabilirsi con Decreto Reale, sentiti i Direttori Ge-
nerali degli Istituti stessi». Quindi per la BI la Stanza di Bolo-
gna veniva esercitata, sia pure con il consenso governativo, al di
fuori della legge e per tale ragione la Banca non volle dare la sua
adesione.
Nell926, al momento del passaggio della gestione di tutte le
Stanze alla BI, la Banca dovette nuovamente interessare il mini-
stro dell'Economia nazionale per osteggiare l'attivismo del com-
missario governativo presso la Camera di commercio di Bologna,
volto a ottenere una disposizione speciale, in deroga a quella del-
l'art. 18 R.D. n. 812 o, quanto meno, una dilazione del detto
passaggio per recuperare tempo e giungere successivamente alla
deroga. Al ministro venne anche evidenziato come a Napoli e
Torino il trasferimento alla Banca delle relative Stanze non aves-
se incontrato ostacoli da parte del BN; pertanto venne espresso
l'auspicio che anche a Bologna tale evento non fosse preceduto
da un senso di ostilità che avrebbe prodotto indesiderabili in-
fluenze sui rapporti con gli assodati. Il ministro, in conseguenza,
dette immediate disposizioni alla Camera di commercio di Bolo-
gna perché provvedesse subito all'attribuzione della gestione del-
la Stanza alla BI.
L'istituzione a Firenze della Stanza di compensazione venne
preceduta da un lungo periodo di preparazione durante il quale
molte furono le difficoltà e gli insuccessi incontrati a causa del-
l' avversione di gran parte del locale ceto bancario e commerciale.
La gestione della nuova istituzione venne fin dall'inizio affi-
data alla BNR e cominciò ad avere un funzionamento piuttosto
regolare a partire dal1885.
Alle difficoltà iniziali fece seguito peraltro uno sviluppo fe-
condo e rapido che vide la Stanza di Firenze collocarsi ben pre-
sto, in quanto a volume di operazioni, al terzo posto dopo le
Stanze di Livorno e Milano.
Prima della costituzione della BI le Stanze gestite dalla BNR
effettuavano il seguente volume di operazioni:
236 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Numero Impiego
degli Operazioni del
associati contante
{ 1891 160 6.393.587.380 12,33%
Milano
1892 163 6.728.794.561 12,06%
1891 2.432.681.478 5,64%
Firenze { 1892
75
65 1.683.130.801 5,17%
1891 42 3.226.6 79.260 21,92%
Genova { 1892 46 4.365.857. 957 17,80%
1891 25 48.121.564 2,66%
Bologna { 1892 31 47.913.638 16,81%
Questi dati, desunti dalla relazione annuale della BNR del
1892, forniscono una indicazione circa le grosse difficoltà incon-
trate, nonostante le assidue cure del principale ente gestore, per
ottenere quello sviluppo e quel grado di perfezionamento dell'i-
stituzione riscontrato in altri paesi. Gli assodati alle Stanze era-
no in numero modesto rispetto alle potenzialità di ciascuna piaz-
za; la misura dell'impiego di denaro contante - che costituiva
uno degli elementi sulla cui base giudicare il grado di raggiungi-
mento dello scopo finale delle compensazioni - si manteneva in
una proporzione abbastanza elevata nel confronto con quelle del-
la clearing house di Londra (circa i tre quarti per cento) e di New
York (al di sotto di mezzo per cento).
Sotto il profilo dei costi le difficoltà si palesavano ancora più
gravi, non essendo stato conseguito nemmeno il pareggio tra le
entrate e le uscite.
La crisi bancaria degli anni che videro la costituzione della BI
e le vicende antecedenti e concomitanti alla prima guerra mon-
diale non migliorarono le prospettive di sviluppo delle Stanze.
L'ammontare delle operazioni compiute dalle Stanze di compen-
sazione negli anni immediatamente precedenti alla grande guerra
si situava poco al di sopra dei 50 miliardi, per scendere intorno
ai 46 miliardi circa nel biennio 1914-15. Dette difficoltà vennero
acuite dalla chiusura delle borse di commercio, disposta con R. D.
l 0 agosto 1914, che interessò tutto il periodo compreso tra l'a-
gosto del1914 e il novembre del 1918, durante il quale le Stanze
limitarono le loro funzioni alle sole compensazioni giornaliere.
Gli eventi dell'epoca spiegano anche la minore attenzione ri-
servata in quegli anni dalla BI, dalle Camere di Commercio e da
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 237
tutto il ceto commerciale e bancario alla costituzione di nuove
Stanze di compensazione. Infatti, quanto a numero di Stanze, la
situazione rimase immutata - salvo la chiusura della Stanza di
Bologna e l'assorbimento da parte della BI di quella di Roma -
fino al1921, anno in cui venne aperta la Stanza di Trieste.
A Trieste, in una fase iniziale, la BI consentì l'adozione di
tariffe agevolate considerata sia la non facile situazione econo-
mica generale33 , sia l'interesse della Banca ad affermarsi in una
piazza unita alla patria soltanto da pochi anni. A partire dal1925,
allo scopo di promuovere un più ampio sviluppo di quella Stanza
e di far fronte alle crescenti esigenze della piazza triestina, venne
attuato anche il servizio delle liquidazioni giornaliere e mensili,
nonché quello delle proroghe.
All'inizio del 1923 venne aperta dalla BI la Stanza di com-
pensazione di Venezia, la quale operò inizialmente soltanto per
le compensazioni giornaliere. La Camera di commercio di Vene-
zia aveva già nel1883 portato avanti un tentativo di istituzione
di detta Stanza sotto la propria gestione; tentativo che non aveva
incontrato il favore della piazza. Peraltro, tenuto conto delle mu-
tate condizioni del credito e del commercio locale, dell'insedia-
mento in città di nuove banche e di notevoli stabilimenti indu-
striali, nonché del desiderio manifestato da numerosi operatori
in merito al ripristino della citata istituzione, la Camera di com-
mercio si era rivolta al BN e alla BI, in qualità di istituti di emis-
sione locali, perché provvedessero all'impianto e al funzionamen-
to della Stanza3 4 •
>> Da un articolo della rivista «Industrie italiane illustrate» della prima set-
timana dell'agosto 1920, emerge lo stato di disagio creato dalla limitazione della
circolazione decisa dalla BI. La Banca, soggiacendo al regime della legislazione
d'anteguerra, si trovava a pagare per oneri fiscali di circolazione un'aliquota più
elevata del tasso di interesse percepito nelle operazioni di sconto e di anticipa-
zione. Di qui l'esigenza di restringere anziché estendere gli affari, creando al-
l'industria e al commercio imbarazzi proprio in un momento di assoluto bisogno
per sostenere la rinascita economica dell'Italia. Per tale ragione la nascita della
Stanza di Trieste, rappresentando un'istituzione tesa alla restrizione della circo-
lazione monetaria, venne ritenuta oltremodo necessaria e utile per lo sviluppo e
il progresso economico della piazza triestina. ASBI, Fondo Stanze di compensa-
zione, serie pratiche, cart. 58.
' 4 Il BN di Venezia aveva già manifestato alla Camera di commercio l'inten-
dimento di dar vita alla Stanza di compensazione. Tuttavia la Carnera si erari-
volta anche alla BI, nella consapevolezza che la Banca sarebbe stata anche essa
interessata alla questione, esprimendo il desiderio che l'incarico venisse infine
ricoperto dalla BI medesima. Il ministro del Commercio, tenuto conto che l'art.
136 del testo unico di legge sugli istituti di emissione prevedeva che l'esercizio
238 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Dal l 0 luglio 1926, per effetto della legge sulla unificazione
dell'emissione dei biglietti di banca, l'esercizio delle Stanze di
compensazione venne affidato esclusivamente alla BI, alla quale
pertanto passò la gestione delle Stanze di Napoli35 e Torino, eser-
citate dal BN, e di quella di Bologna, affidata alla Cassa di ri-
sparmio di Bologna. A queste si aggiunse la Stanza di Padova,
istituita dalla BI nel settembre del 1926.
Dalla relazione annuale della BI del1926 è tratta la seguente
tavola che, tra l'altro, pone in evidenza, con riferimento all'anno
1925, come le operazioni compiute dalle Stanze gestite dagli isti-
tuti diversi dalla BI influissero in misura modesta sull'ammonta-
re totale delle operazioni compiute dalle Stanze, confermando il
ruolo ricoperto dalla Banca nello sviluppo dell'istituzione.
delle Stanze dovesse essere affidato a un consorzio tra gli istituti stessi aventi
filiali nel luogo ove le Stanze venivano istituite, si manifestò propenso a tale
affidamento a condizione che il BN avesse dichiarato esplicitamente di non op-
porsi alla gestione della istituenda Stanza di compensazione da parte della sola
BI. Per tale ragione la Camera invitò il prof. Stringher a sollecitare il senatore
Miraglia, direttore generale del BN, allo scopo di ottenere da quell'istituto la
citata dichiarazione. All'epoca i rapporti tra BN e BI erano, a differenza del pas-
sato, improntati alla massima cordialità e di conseguenza la Banca non incontrò
difficoltà a ottenere l'assenso del BN, il quale fu anche concorde con le motiva-
zioni espresse dalla Banca stessa. Queste ultime facevano fondamentalmente ri-
ferimento a due questioni prioritarie. La prima concerneva il desiderio della Ban-
ca di ottenere l'esercizio della Stanza tenuto conto dell'opera presente e passata
svolta nella regione veneta, nonostante la convinzione che la nuova istituzione
non potesse conseguire, in breve tempo, risultati tali da consentire la copertura
delle spese di esercizio. In secondo luogo l'esperimento dell'esercizio in consor-
zio, mai attuato, non era nemmeno in quel caso preferibile per le numerose dif-
ficoltà che avrebbe incontrato e segnatamente per quelle di indole tecnica circa
le responsabilità nel maneggio dei valori e nell'organizzazione del servizio, che
avrebbero dovuto far capo a un solo istituto. Di conseguenza, dei due istituti
consorziati, uno avrebbe gestito la Stanza e l'altro avrebbe concorso ai rischi e
alle spese che, come detto, avrebbero di gran lunga superato gli utili. Cfr. ASBI,
Fondo Stanze di compensazione, serie pratiche, cart. 10.
35 La Stanza di Napoli iniziò a operare nel1905, allorché venne stipulata la
convenzione tra la locale Camera di commercio e il BN. Tuttavia detta Stanza
non funzionò mai molto regolarmente e in particolare non attivò il servizio delle
compensazioni giornaliere. La BI, al momento dell'assunzione della gestione, si
adoperò in modo da non scontentare gli associati, abituati a un altro tipo di
gestione, ricercandone il necessario consenso. La Stanza di Napoli costituiva l'u-
nico organismo del genere funzionante nell'Italia meridionale e nel più impor-
tante centro di essa, per cui per il suo sviluppo era necessario intervenire, tenuto
conto che per movimento di affari e per numero di istituti ivi operanti Napoli
non era certamente inferiore ad alcuni dei più importanti centri di altre regioni,
nei quali le Stanze svolgevano un compito di alto interesse nei riguardi dell'eco-
nomia delle operazioni bancarie con riflessi non indifferenti sulla circolazione.
Cfr. ASBI, Fondo Stanze di compensazione, serie pratiche, cart. 47.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 239
La Banca, di fatto, nel confronto con gli altri istituti gestori,
riuscl a migliorare il funzionamento di detti organismi, renden-
doli capaci di far fronte ordinatamente a una più rilevante mole
di operazioni tanto nelle liquidazioni mensili quanto nelle com-
pensazioni giornaliere.
Operazioni compiute dalle Stanze di compensazione di Firenze, Genova,
Milano, Padova, Roma, Trieste e Venezia. La Stanza di Trieste ha inco-
minciato a operare nel marzo 1921, quella di Venezia nel marzo 1923 e
quella di Padova nel settembre 1926 (in miliardi e milioni di lire).
Ammontare Somme Denaro Percentuale del
Anno
delle operazioni compensate impiegato denaro impiegato
1921 649.482 637.613 11.869 1,82
1922 577.916 565.960 11.956 2,06
1923 805.742 793.688 12.054 1,48
1924 872.785 854.040 18.745 2,14
1925 1.031.650 999.446 32.204 3,12
Operazioni compiute da tutte le Stanze di compensazione (comprese quelle
di Bologna, Napoli e Torino) negli anni 1925 e 1926 (in miliardi e milioni
di lire).
Ammontare Somme Denaro Percentuale del
Anno
delle operazioni compensate impiegato denaro impiegato
1925 1.089.344 1.051.002 38.342 3,52
1926 1.297.636 1.252.550 45.086 3,47
In particolare nel 1925 l'ammontare delle operazioni, suddi-
vise per Stanza di compensazione, fu il seguente:
Firenze 26.972.000.000
Genova 158.982.000.000
Milano 635.711.000.000
Roma 132.905.000.000
Trieste 26.741.000.000
Venezia 50.339.000.000
Totale 1.031.650.000.000
Bologna 4.932.000.000
Napoli 18.823.000.000
Torino 33.939.000.000
Totale 1.089.344.000.00036
36 ASBI, Direttorio-Stringher, cart. 22.
240 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
L'ultima Stanza di compensazione istituita dalla Banca fu
quella di Livorno nel novembre 1927.
In precedenza è stata illustrata l'importanza storica rivestita
dalle Stanze dei pubblici pagamenti di Livorno, delle quali i Li-
vornesi furono sempre molto orgogliosi fino al punto da non ren-
dersi conto, col passare del tempo, della loro forma antiquata e
della loro problematica utilità rispetto alle moderne esigenze del
credito 37 •
Di fatto le Stanze dei pubblici pagamenti di Livorno finirono
col servire unicamente da recapito per il pagamento delle cam-
biali, che avveniva esclusivamente nei tre giorni di apertura sta-
biliti. L'ispettore della BI, D. Gidoni, in reggenza a Livorno,
rappresentava nel suo rapporto dell'ottobre del1901la difficoltà
di persuadere il pubblico livornese a rinunciare al sistema allora
vigente e la opportunità per la Banca di adattarsi alla situazione
esistente, nonostante fosse molto rischiosa, finché i tempi non
fossero stati maturi per apportare le necessarie riforme 38 •
37 Dal verbale dell'adunanza della Camera di commercio ed arti di Livorno
del 29 giugno 1871, nella quale venne discussa la richiesta della BNR di fissare
un'ora di chiusura della Stanza, in luogo del sistema allora vigente che prevedeva
il protrarsi dell'orario finché non fossero state definite tutte le operazioni in
corso, si legge quanto segue (intervento del sig. Enrico Arbit): «Se si dovessero
enumerare tutti i vantaggi della istituzione di cui si tratta non basterebbe una
seduta. Il preopinante ha detto che le Stanze dei Pubblici Pagamenti sono state
imitate in altri paesi; ma anche altre istituzioni ebbe Livorno fino dai primi tem-
pi, le quali pure sono state imitate. I nostri Padri, quando la parola libertà suo-
nava eresia per tutti i Governanti, godevano, commercialmente parlando, delle
più costose libertà ed avevano sotto altra forma quelle istituzioni che oggi le
cresciute libertà hanno propagato e diffuso. Avevano nelle custodie dei grani e
nei bottini dell'olio gli attuali magazzini generali, nelle Stanze di Pubblici Paga-
menti i conti correnti che oggi aprono gli istituti di credito e i banchieri; avevano
gli attuali chèques nei saldi di Stanze per mezzo di buoni a piacere. L'istituzione
poi delle Stanze è eminentemente democratica e liberale, perché permette che i
negozianti di piccola e media fortuna possano impegnarsi in operazioni di una certa
entità cumulando incassi e pagamenti in uno stesso giorno, senza possedere le ri-
sorse e il credito dei grandi negozianti che in Livorno non sono in gran numero né
sono quelli che danno il movimento maggiore al commercio il quale si alimenta
assai più delle operazioni della classe media. Per queste ragioni crede che la Camera
debba con ogni cura evitare quelle innovazioni che alla classe media recherebbero
nocumento, aggiungendo che si sorprenderebbe altamente che la Camera stessa la
quale è stata sempre gelosa delle istituzioni del suo paese, oggi volesse portare una
dannosa limitazione ad una di queste, esponendosi al pericolo di vederla con suc-
cessive innovazioni, poiché approvata la prima ne verrebbe tosto la seconda, a
grado a grado perire». In ASBI, Fondo Ispettorato, serie pratiche, cart. 59.
38 Dal citato rapporto si legge: «I Cassieri ammessi alle Stanze sono privi di
cauzione, e taluni affidano ben poco per solvibilità loro propria. La Camera di
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 241
Le Stanze dei pubblici pagamenti di Livorno cessarono di
esistere nel 1923. I dati sulle operazioni dalle stesse compiute
dimostrano come non rispondessero più alle esigenze della piazza
né agli scopi moderni della compensazione. La media delle ope-
razioni giornaliere passò infatti da lire 6.110.000 nel1890 a lire
500.000 nel191039,
La BI, nel1927, per aderire alle richieste degli istituti di cre-
dito locali volte a vedere ripristinata in Livorno la Stanza di com-
pensazione nonché la borsa valori, che già vi funzionava da anni,
ritenne di non opporsi a detta richiesta, nella considerazione che,
nel caso di specie, si trattava, più che di impiantare una nuova
Stanza, di far rivivere la secolare istituzione livornese nella for-
ma attuale delle Stanze di compensazione. Nel decidere ciò la
Banca dovette prescindere dal criterio di utilità effettiva sia per
essa stessa (le spese sarebbero state per un periodo probabilmen-
te non breve, e cioè fino a quando non sarebbe stato raggiunto
un numero sufficiente di associati, superiori alle entrate) sia per
la piazza. Tuttavia il direttore generale Stringher manifestò al
ministro dell'Economia nazionale e a quello delle Finanze il pro-
prio parere negativo in ordine al ripristino della borsa valori in
Livorno, ritenendo non positiva la creazione di nuove borse, es-
sendo già troppe quelle esistenti. La creazione di borse, special-
mente nei centri minori, oltre a non giovare al commercio dei
valori, avrebbe incrementato la speculazione e turbato il sano
lavoro dei commerci e delle industrie 40 •
Commercio non ha su di essi ingerenza né morale né materiale; quindi è che in
sostanza bisogna fidarsi molto e correre rischi non lievi, specialmente noi che
abbiamo normalmente il maggior numero di effetti da esigere e che rimaniamo
però durante l'eterna giornata del compenso, largamente creditori verso gli altri
Cassieri. La Banca Commerciale non partecipa alla Stanza e solleva rumori e
proteste; ma in compenso non ha torto, perché la stessa rappresenta rischi ed
oneri. Rischi perché se un Cassiere rimane scoperto non c'è nessuna garanzia da
colpire: oneri perché il pagamento delle cambiali fuori sportello richiede maggio-
re personale. Noi infatti dobbiamo adibire costantemente al servizio della Stanza
un Cassiere e un Fattorino e sostenere non lievi spese di carrozza per il trasporto
dei titoli e dei fondi, nel mentre che se le cambiali si pagassero allo sportello
risparmieremmo per lo meno un fattorino, incasseremmo tutti i giorni, ed il ser-
vizio interno di Cassa della Sede procederebbe più spedito» (ibid.).
3 9 Bossi, op. cit.
40 ASBI, Fondo Stanze di compensazione, serie pratiche, cart. 3.
242 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
7. Le operazioni di prorogato pagamento
Il meccanismo della compensazione si basa sul credito infra-
giornaliero che i partecipanti alla Stanza «creditori» concedono
ai partecipanti «debitori», con l'impegno, da parte di questi ul-
timi, di provvedere in chiusura di giornata al regolamento delle
proprie posizioni debitorie. Da questa semplice esposizione del
funzionamento della compensazione emerge l'importanza per gli
associati alle Stanze di disporre di mezzi solleciti e privilegiati
che consentano loro, all'occorrenza, di procurarsi il denaro ne-
cessario per la chiusura del sistema. Il rischio che un debitore
non paghi, per momentanee carenze di denaro, anche una piccola
somma, può riverberarsi sull'intero processo di compensazione,
compromettendone il regolare andamento e arrecando turbamen-
to al mercato.
È con tale consapevolezza che la BNR prima, e la BI poi, fin
dall'istituzione delle Stanze, concessero ai soci un'importante
agevolazione consistente nella possibilità di prorogare i pagamen-
ti dovuti alle Stanze. Con tale operazione la Banca interveniva a
favore dell'associato debitore, sostituendosi a lui nel regolamen-
to dello sbilancio a suo carico. A garanzia dell'operazione la Ban-
ca tratteneva i titoli di cui l'associato era risultato creditore in
conseguenza delle operazioni di Stanza.
Le Stanze di compensazione non avevano raggiunto in Italia,
nonostante le forti pressioni governative, lo sviluppo conseguito
in altri paesi ed era pertanto evidente che l'assenza di un mec-
canismo che ne assicurasse il regolare svolgimento, e cioè che non
lasciasse ineseguite le compensazioni giornaliere e le liquidazioni
mensili, poteva effettivamente comprometterne la già fragile esi-
stenza.
La Banca, nella effettuazione delle citate operazioni, in qua-
lità di istituto esercente le Stanze di compensazione, poneva dun-
que in primo piano l'interesse generale più che il proprio inte-
resse privato. Infatti l'operazione di prorogato pagamento, non
contemplata dalle leggi che disciplinavano l'azione della Banca
né dallo statuto della stessa, era stata congegnata in modo da
costituire un incentivo per coloro che si avvalevano delle Stanze;
la Banca consentiva la proroga, ossia la momentanea sommini-
strazione di denaro contro rilascio di titoli di equivalente valore,
agli associati debitori, per evitare che il regolamento delle ope-
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 243
razioni della giornata potesse subire impedimenti di sorta. L' ac-
cento veniva posto sulla breve durata dell'operazione, connessa
con il tempo strettamente necessario all'associato per procurar si
i fondi, e ciò al fine di differenziare nettamente detta operazione
dall'anticipazione su titoli ed evitare di conseguenza l'imposizio-
ne di gravami fiscali che non sarebbero stati accettati dagli as-
sociati.
La facoltà della Banca di compiere operazioni di prorogato
pagamento presso le Stanze trovò formale riconoscimento nelle
relazioni delle ispezioni triennali fatte dalla Commissione per-
manente di vigilanza sugli istituti di emissione, laddove, oltre ad
ammettere la impossibilità per gli istituti esercenti le Stanze di
prescindere dalle suddette operazioni, se ne auspicava una mag-
giore regolamentazione volta a stabilire tempi di scadenza «non
più lunghi di quelli necessari per la provvista dei fondi, tenendo
anche conto in tale calcolo che una parte delle operazioni liqui-
date a mezzo delle Stanze di compensazione si svolgeva da piazza
a piazza e che i giorni fissati per le liquidazioni mensili non erano
gli stessi per le diverse Borse»41 •
È da osservare che a stretto rigore l'operazione di prorogato
pagamento poteva essere consentita solamente in sede di liqui-
dazione mensile con riferimento alle somme dovute dagli asso-
ciati per il ritiro dei titoli assegnati; l'intervento della Banca po-
teva di conseguenza estrinsecarsi solo nei confronti degli asso-
ciati debitori e per una somma non eccedente il loro debito, con-
tro garanzia degli stessi titoli che il sovvenuto doveva ritirare
dalla Stanza in dipendenza delle operazioni di liquidazione.
In concreto invece i prorogati pagamenti venivano consentiti
presso tutte le Stanze non solo nei giorni di liquidazione mensile
ma in qualunque altro giorno del mese nell'ambito delle compen-
sazioni giornaliere e su titoli che venivano consegnati alla Banca
dagli associati anche indipendentemente dalla posizione di debi-
to riveniente dalle operazioni di S tanza42 •
41 Adunanza n. 16 del12 gennaio 1899 e n. 17 del19 gennaio 1899; Com-
missione permanente di vigilanza; raccolta delle deliberazioni, dei voti e degli
ordini del giorno della commissione, in ASBI, Fondo Ispettorato, serie pratiche,
cart. 667.
42 C. Taglienti, I «Prorogati Pagamenti» dell'Istituto di Emissione, in «Banca,
Borsa e Titoli di Credito», fase. l, 1988. L'autore esamina anche il rapporto tra
i prorogati pagamenti e le anticipazioni di cui all'art. 29 del testo unico sugli
244 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Di fatto la Banca, a prescindere dalle considerazioni di pro-
fitto che potevano derivare dal ricorso a questa forma di impie-
go, utilizzava l'operazione di prorogato pagamento, con tutti i
rischi che ne derivavano, come una anticipazione su titoli senza
tuttavia farle assumere formalmente questa veste, sia per evitare
indesiderati gravami fiscali, sia per mantenerle la snellezza e la
correntezza necessarie allo scopo. I moduli utilizzati per la con-
cessione di tale tipo di sovvenzione vennero congegnati in modo
tale da evitare il pericolo che rivestissero la forma di ricevute
vere e proprie di depositi a custodia o di polizze di anticipazione
contro pegno, facendogli assumere la configurazione di semplici
avvisi al socio della esistenza presso la Stanza di ben determinati
titoli, tenuti a sua disposizione, previo rimborso di tutte quelle
somme di cui il socio stesso risultasse debitore 4 3. Inoltre, sia la
somma somministrata dalla Banca, sia i titoli rilasciati in corri-
spondenza di essa, venivano indicati nella distinta contenente le
operazioni giornaliere del socio nei confronti della Stanza, cosic-
ché l'intera operazione - somma somministrata e titoli rilasciati
in garanzia - , anche quando non era una conseguenza diretta
delle operazioni della Stanza, veniva ricompresa tra le operazioni
compiute a mezzo di quest'ultima assumendo il carattere di pro-
rogato pagamento presso la Stanza di compensazione.
Per mantenere ferma in punto di fatto e di diritto la distin-
zione tra le operazioni in questione e le anticipazioni ed evitare
il rischio che il prorogato pagamento venisse assimilato a una
anticipazione non regolare, la BI sosteneva:
a) le operazioni di prorogato pagamento erano legittimate dal
parere espresso dalla Commissione permanente di vigilanza non-
ché dal riconoscimento delle commissioni incaricate delle ispe-
zioni triennali e degli altri organi ai quali era affidata la vigilanza
sulla Banca;
istituti di emissione, sostenendo che all'origine le due operazioni furono tenute
distinte essendo le anticipazioni consentite solo se garantite da titoli di partico-
lare natura (titoli di Stato e garantiti dallo Stato, cartelle fondiarie e altri ben
specificati valori), mentre le operazioni di proroga in un primo tempo per prassi
e successivamente per disposizione di norma regolamentare erano accordate su
specie di titoli determinati dalla Direzione generale della BI (art. 72 delle Norme
sulle Stanze di compensazione del 1911).
43 Sraffa, nel suo articolo Le proroghe nelle Stanze di compensazione, propen-
deva per riconoscere ai suddetti «avvisi» la natura giuridica di titoli di credito (in
«Rivista di Diritto commerciale>>, XIII, I parte, 1915).
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 245
b) il fatto che le proroghe erano consentite nell'ambito delle
compensazioni giornaliere non significava che le stesse non fos-
sero conseguenza diretta o indiretta delle liquidazioni mensili e,
comunque, la lunga consuetudine ne rendeva possibile il compi-
mento anche in compensazione;
c) l'utilizzo di titoli in garanzia non compresi tra quelli ori-
ginati dalle operazioni di Stanza era determinato dalla circostan-
za che non potendo le proroghe essere fatte, per gli ordinamenti
della Banca, che su alcune specie di titoli e quindi solo su alcuni
dei valori trattati in Stanza, gli associati beneficiari di dette ope-
razioni dovevano provvedere a consegnare i titoli richiesti dalla
Banca in sostituzione di quelli ritirati dalla Stanza e non accettati
dall'istituto;
d) la possibilità di accordare una proroga anche ad associati
non risultati debitori in Stanza ovvero per un importo superiore
al debito non escludeva che le somme somministrate servissero a
soddisfare i fabbisogni finanziari degli associati in virtù delle ope-
razioni compiute in Stanza4 4.
La correntezza nelle formalità osservate per l'effettuazione
di tali operazioni portò la Banca a concedere altresì agli associati
che avevano acceso un conto proroga presso le Stanze operazioni
di prelievo di contante, consistenti in anticipi fatti per mobiliz-
zare anzi tempo partite non liquide. I prelevamenti venivano con-
sentiti nei limiti delle disponibilità sui titoli dati a garanzia dei
prorogati pagamenti e dietro corresponsione di una giornata di
interesse sulle somme prelevate. In genere le operazioni di pre-
lievo avvenivano nelle prime ore del mattino, risolvendosi per lo
più nella giornata, con il rimborso della somma prelevata o con il
passaggio della stessa in compensazione ovvero in aggiunta alla
proroga già in essere 4 5.
44 ASBI, Fondo Ispettorato, cart. 667, documento del febbraio 1915 con-
tenente note sull'operazione di proroga alla Stanza di compensazione consentita
alla ditta Weis e sulla conversazione tenutasi in Roma con l'avv. prof. Sraffa.
45 La concessione dei prorogati pagamenti e dei prelievi di contante su pro-
roghe era devoluta al prudente criterio del direttore della filiale della BI che
esercitava la Stanza di compensazione. La Stanza di Milano percepiva sulle som-
me prelevate durante il giorno mezza giornata di interesse; questa agevolazione
continuò a essere consentita finché non furono date disposizioni uniformi a tutte
le Stanze circa i criteri da seguire nei riguardi dei prelievi fatti in conto proroga
(disposizioni del Servizio operazioni finanziarie e cambi con l'estero nn. da
12.562 a 12.570 del15 febbraio 1929, con le quali si stabill, fra l'altro, che la
246 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Le operazioni di prorogato pagamento ebbero una prima for-
male regolamentazione nell'ambito delle Norme per il servizio in-
terno delle Stanze di compensazione esercitate dalla BI, emanate nel
1911, con il fine di disciplinare in maniera uniforme il servizio
delle Stanze46 . Le suddette operazioni vennero ulteriormente di-
sciplinate con R.D. 21 giugno 1928, n. 1404, che approvava lo
statuto della BI; in particolare vennero poste limitazioni al tipo
di garanzie depositabili stabilendo che queste ultime dovessero
essere della specie ammessa per le anticipazioni. Il R.D. 11 giu-
gno 1936, n. 1067, ne disciplinò ancora altre condizioni, quali il
limite temporale, che non poteva superare i quattro giorni, l' ob-
bligo di liquidazione giornaliera dell'operazione, i vincoli gravan-
ti sui titoli conferiti in garanzia. Restò fuori dalla disciplina sta-
tutaria la determinazione del tasso di interesse, che costituì una
delle condizioni lasciate alla autonoma valutazione della Banca47 •
Prima dell'introduzione di tale disciplina la Banca aveva lar-
gamente utilizzato gli strumenti del tasso e delle garanzie appli-
cabili ai prorogati pagamenti, manovrandoli in relazione all'an-
damento della propria circolazione e alle occorrenze del mercato
nelle diverse realtà locali. In tempi normali, il tasso di interesse
applicato ai prorogati pagamenti veniva stabilito in misura di-
versa in funzione dei titoli depositati a garanzia, prevedendone
in genere un livello inferiore per le operazioni garantite da titoli
di Stato; in momenti particolari, ad esempio a seguito di insi-
stenti richieste di denaro, il saggio di interesse veniva reso uni-
forme per tutte le operazioni di proroga, anche se garantite da
titoli di Stato4s.
liquidazione degli interessi da effettuare a fine giornata dovesse essere commi-
surata a un giorno sull'ammontare del prelievo).
46 L'art. 71 delle Norme stabiliva: «La Stanza può consentire la proroga del
pagamento di somme dovute dagli associati per il ritiro dei titoli loro assegnati in
dipendenza delle compensazioni giornaliere»; l'art. 72 rimetteva alla direzione
generale della BI la facoltà di determinare le specie di titoli da accettare a ga-
ranzia nonché le condizioni relative all'operazione.
4 ì Taglienti, op. cit. L'autore svolge una interessante ricostruzione delle ra-
~ioni giuridiche che renderebbero il prorogato pagamento un istituto diverso dal-
le anticipazioni degli istituti di emissione.
48 Nell'agosto del1914, in occasione della chiusura delle borse, la Banca si
cautelò contro l'eventualità di ricevere a garanzia delle operazioni di prorogato
pagamento notevoli quantità di titoli a prezzi non realizzabili, elevando il saggio
di interesse su dette operazioni (6 per cento) e l'ammontare dello scarto sui titoli
depositati a garanzia (20 per cento sul prezzo minimo corrente); esigendo a se-
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 247
Anche se in via generale la Banca tendeva a livellare il saggio
dell'interesse sui prorogati pagamenti a quello delle anticipazio-
ni, pur tuttavia il ricorso a questa forma di impiego, snella e di-
screzionale, era sempre interessante, sia per gli associati sia per la
Banca stessa, in quanto funzionale al soddisfacimento di speci-
fiche esigenze di credito a livello locale o nei confronti di alcuni
operatori o in considerazione di particolari situazioni di diffi-
coltà49.
Nel 1952la BI emanò la circolare n. 1408, allo scopo di rior-
ganizzare l'intera materia riguardante i prorogati pagamenti, pre-
disponendo anche uno specifico regolamento, con il quale in so-
stanza vennero formalizzate le prassi fino ad allora in uso.
Permaneva in tale normativa la facoltà delle filiali esercenti le
Stanze di compensazione di fissare di volta in volta, in relazione
anche alle norme generali impartite dall'amministrazione centra-
le, le somme da erogare per prorogati pagamenti. Ciò, unitamen-
conda dei casi e del cliente anche uno scarto maggiore di quello stabilito; esclu-
dendo tra le specie di titoli accettati in garanzia le varie categorie di azioni fino
ad allora ammesse e limitando di conseguenza le tipologie di garanzie accettabili
ai soli titoli di Stato o garantiti dallo Stato e alle cartelle fondiarie; applicando
alle operazioni in corso garantite da azioni tassi di interesse più elevati (7 per
cento) e scarti maggiori (25 per cento). Cfr. ASBI, Fondo Sconti, anticipazioni
e corrispondenti, serie copialettere n. 569.
49 A titolo esemplificativo si riportano i seguenti episodi. In una lettera in-
dirizzata alla filiale di Genova, nel giugno 1917, la Direzione generale della BI
comunicava di non poter concedere l'autorizzazione ad applicare sulle anticipa-
zioni garantite da titoli diversi da Buoni del Tesoro il saggio del 4,50 per cento,
poiché le condizioni degli impieghi venivano determinate di comune accordo fra
i tre istituti di emissione e la Banca non poteva consentire agevolazioni in deroga
alle disposizioni vigenti. Mentre per le operazioni di prorogato pagamento la
richiesta venne accolta, trattandosi di operazioni speciali effettuate con una scel-
ta categoria di clienti, a condizione che le operazioni medesime venissero garan-
tite da titoli comprendenti in prevalenza Buoni del Tesoro. Alla Banca italiana di
sconto, nel marzo 1915, vennero concesse proroghe su obbligazioni della Società
di navigazione sicula, nonostante con precedente disposizione fosse stata esclusa
l'accettazione di garanzie costituite da obbligazioni delle società marittime. Con
altra disposizione la sede di Genova, a causa delle difficoltà incontrate nella li-
quidazione mensile dell'aprile del 1920, dovute allo sciopero degli addetti agli
istituti di credito ordinari, fu autorizzata in via eccezionale ad accettare a garan-
zia dei prorogati pagamenti altri titoli, oltre quelli di Stato, purché non specu-
lativi e praticando scarti cautelativi. Nel maggio 1926, le limitazioni riguardanti
gli sconti e le anticipazioni, inizialmente estese anche ai prorogati pagamenti,
vennero revocate con riferimento a queste ultime operazioni, nel timore che la
gravità della situazione e la preclusione di ogni via per ottenere fondi disponibili
potessero comportare grosse vendite di titoli di Stato. Cfr. ASBI, Fondo Sconti,
anticipazioni e corrispondenti, serie copialettere n. 569.
248 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
te alla circostanza che l'ammontare dei prorogati pagamenti di-
pendeva dall'andamento non prevedibile delle operazioni delle
Stanze, nelle quali si riflettevano i problemi di liquidità del si-
stema, le crisi inflazionistiche e di borsa, costituì successivamen-
te motivo di decadenza delle operazioni in argomento, in quanto
le stesse avrebbero potuto configurare una forma autonoma di
creazione di base monetaria, non più accettabile in momenti sto-
rici in cui per la Banca divenne preminente il perseguimento di
obiettivi monetari macroeconomici (controllo della liquidità e dei
tassi di mercato monetario). Attualmente le operazioni di proro-
gato pagamento non vengono da lungo tempo effettuate. Alloro
posto la BI ha fatto ampio ricorso alle anticipazioni a scadenza
fissa, le quali, gestite in maniera centralizzata e discrezionale,
mantengono sotto il pieno controllo dell'istituto le forme di ti-
finanziamento.
In effetti, se l'originaria funzione dei prorogati pagamenti ha
riguardato la copertura di carenze di fondi necessari per la chiu-
sura delle operazioni delle Stanze di compensazione, nel tempo
lo strumento è stato utilizzato anche in funzione delle esigenze di
politica monetaria. L'analisi delle serie storiche dei dati relativi
alle citate operazioni mostra una correlazione con il trend seguito
dal totale degli impieghi della Banca, che si evidenzia in parti-
colare in alcune fasi di espansione del credito di ultima istanza
concomitanti al verificarsi delle gravi crisi nel settore del credito
e nel sistema finanziario in generale. Il fenomeno investe in spe-
cial modo gli anni compresi tra il 1917 e il 1920 e comunque
permane evidente per tutto il periodo che va dal1917 al1926, a
conferma di come le suddette operazioni siano state utilizzate
per soddisfare le necessità di credito del sistema economico con-
seguenti alle crisi di borsa o bancarie in quegli anni verificatesi.
8. Il servizio dossier titoli
Nel luglio del1906la BI si rivolgeva al ministero di Agricol-
tura, industria e commercio per far presente come il notevole
aumento verificatosi negli ultimi anni nelle operazioni di com-
pensazione presso le Stanze dalla stessa gestite (GE, MI, FIe RM)
imponesse l'introduzione di modifiche nel funzionamento delle
stesse al fine di porle in grado di corrispondere adeguatamente
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 249
alle nuove esigenze presenti e future. La riforma proposta riguar-
dava essenzialmente il servizio delle liquidazioni mensili dei ti-
toli ed era invocata al precipuo scopo di rendere più semplice e
più rapido l'ingente movimento di titoli ad esso conseguente.
Detta riforma consisteva nella istituzione di uno speciale servizio
di dossier liberi, nell'esclusivo interesse degli associati alle Stan-
ze, avente la finalità di ridurre al minimo possibile lo scambio
effettivo di valori tra gli associati stessi sostituendolo con sem-
plici passaggi interni da un conto all'altro.
Per tale servizio gli assodati alle Stanze dovevano depositare
presso la Banca i loro titoli, diventando in tal modo titolari di un
conto di deposito di titoli (dossier liberi), dal quale sarebbe stato
possibile prelevare mediante emissione di assegni-titoli, sia a fa-
vore degli altri associati alla Stanza (titolari o non di dossier), sia
a favore di terzP 0 • Inoltre i saldi delle liquidazioni mensili dei
titoli, a debito o a credito, avrebbero potuto essere regolati di-
rettamente su tali conti.
Sono evidenti i vantaggi insiti in un sistema del genere. La
riduzione del movimento materiale dei titoli, la eliminazione di
molte operazioni di consegna e riconsegna con conseguente con-
tenimento delle attività di contazione e ricontazione, lo snelli-
mento delle operazioni compiute dagli assodati alle Stanze in
termini di rapidità di esecuzione e di eliminazione dei rischi ine-
renti al trasporto e alla custodia dei valori.
Il servizio venne dapprima istituito a Milano e a Roma e con-
temporaneamente furono avviate pratiche al medesimo scopo
presso le sedi di Firenze e Genova.
A Roma il servizio ebbe da subito scarsi risultati dovuti spe-
cialmente al fatto che i titoli da immettere nel dossier (o portafo-
glio, come successivamente venne denominato il conto in argo-
mento) dovevano essere accompagnati da una distinta numerica,
alla compilazione della quale non seppero adattarsi gli operatori di
quella piazza. Gli stessi problemi si incontrarono a Firenze e a
Genova.
50 Il servizio estese la propria operatività attraverso la previsione di altre
prestazioni secondarie, quali l'incasso di cedole, il deposito di azioni per assero·
blee, i versamenti su azioni, l'aggiunzione di fogli-cedole, favorendo la creazione
di un complesso di vantaggi tali da rendere sempre più utile e accetto il servizio
stesso. Cfr. ASBI, Fondo Stanze di compensazione, Relazione del Consiglio di
vigilanza della Stanza di Milano sull'esercizio 1909.
250 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
La distinta numerica costituiva una formalità importante per
la Banca, in quanto riferendosi a titoli depositati presso di essa
consentiva di poterne in ogni evenienza provare e giustificare
l'origine. E ciò non solamente per evitare responsabilità, ma an-
che per una doverosa tutela dei diritti spettanti ai terzi possessori
di buona fede dei titoli loro pervenuti per il tramite dell'Ufficio
Dossier51 • Colui che infatti, in assenza di tale strumento, si fosse
trovato in possesso di titoli rubati o falsificati pervenutigli dalle
Stanze, non avrebbe avuto modo di far valere i propri diritti di
rivalsa e la Banca sarebbe stata impossibilitata a svolgere qual-
siasi indagine in caso di mala fede 52 •
A Milano, dove esisteva già l'uso della distinta numerica, i
risultati derivanti dall'istituzione del servizio portafoglio furono
inizialmente promettenti; tuttavia la Banca aveva in animo di
sviluppare il servizio medesimo anche nelle altre piazze ove coe-
sistevano le Stanze di compensazione, in modo da potere, con
l'uso degli assegni-titoli scambiati tra gli associati di dette piazze,
agevolare vieppiù lo sviluppo della compensazione interprovin-
ciale fra gli associati stessi5 3 •
51 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, seduta n. 201 del22
dicembre 1906.
52 Il direttore generale Stringher rappresentò la questione al ministro di
Agricoltura, industria e commercio. A quest'ultimo fece presente che le Stanze di
compensazione avevano delle responsabilità e dei doveri morali che non poteva-
no trascurare, come indubbiamente trascuravano accettando e consegnando titoli
al portatore non accompagnati da distinta numerica. Per tale ragione egli invocò
l'intervento del ministro affinché, mediante disposizione ministeriale, le camere
di commercio fossero impegnate a richiedere che i titoli consegnati alle Stanze
venissero sempre accompagnati da distinte numeriche. Cfr. ASBI, Fondo Ispet-
torato generale, serie pratiche, cart. 655.
B Il problema della liquidazione interprovinciale (o interstanza) ha sempre
richiamato l'interesse della BI. Interesse che, una volta superate le difficoltà de-
rivanti dall'essere le Stanze di compensazione non tutte gestite dal medesimo isti-
tuto di emissione, si andò acuendo per l'esigenza di eliminare gli inconvenienti
originati dalle consegne o dal ritiro di titoli o contante tra piazza e piazza, conse-
guenti alle numerose operazioni di arbitraggio compiute dagli associati alle Stanze.
Con la liquidazione tra piazza e piazza si sarebbe ridotto il movimento effettivo di
titoli e contanti per effetto del maagior numero di partite compensate. I diversi
progetti approntati a varie riprese dalla Banca per introdurre tale sistema vennero
lasciati cadere, perché molto rischiosi e gravidi di responsabilità. Il servizio delle
compensazioni interstanza venne istituito nell'agosto del1942, in dipendenza del-
le esigenze manifestatesi a seguito dell'introduzione del regime di nominatività dei
titoli azionari, tra le Stanze di Milano, Genova e Torino; nel gennaio del 1946,
dopo la sospensione delle relative operazioni a causa degli eventi bellici, il servizio
venne esteso alle Stanze di Roma, Firenze e Napoli, incontrando il pieno gradi-
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 251
Tra i motivi che portarono il servizio portafoglio titoli a non
raggiungere gli obiettivi per i quali era stato istituito è da anno-
verare il timore da parte degli operatori di far conoscere i propri
affari, il genere di lavoro che svolgevano e le speculazioni nelle
quali si impegnavano; non da ultime venivano prospettate infon-
date preoccupazioni fiscali.
Anche a Milano, dove come si è detto il servizio ebbe un buon
avvio, lo stesso non raggiunse col passare del tempo le dimensioni
sperate. Sarebbe stato necessario a tal fine che la maggior parte
degli associati alla Stanza lo fossero stati anche al servizio porta-
foglio, per ottenere in tal modo il vantaggio di eliminare quasi
totalmente il movimento materiale dei valori. Ma così non fu, tan-
t'è che il direttore della sede di Milano, in una lettera del novem-
bre 1932 indirizzata alla Direzione centrale, faceva presente che
gli abbonati al servizio da 43, quanti erano nel1907, si erano ri-
dotti a 15 e che questi ultimi erano prevalentemente abbonati di
provincia, i quali, dovendo far capo a Milano per la maggior parte
dei loro affari, trovavano molto conveniente servirsi delle presta-
zioni della Banca ed evitare così i rischi e le spese inerenti al mo-
vimento dei titoli5 4 • Le cause di tanto modesto successo erano
riconducibili oltre che, come già accennato, all'interesse degli as-
sociati a non rivelare, attraverso i movimenti dei titoli, gli scopi
dei loro affari, e anche alla circostanza che le banche, quali ope-
ratori più importanti, avevano propri caveaux che altrimenti sa-
rebbero rimasti inutilizzati55.
mento degli associati. Sulla base di detta procedura era infatti possibile, nell' am-
bito delle liquidazioni mensili, la compensazione interstanza di titoli di Stato, ob-
bligazioni e azioni da scambiarsi tra le varie piazze e di conseguenza la limitazione
ai soli saldi delle effettive spedizioni di titoli tra piazza e piazza.
54 ASBI, Fondo Ispettorato generale, serie pratiche, cart. 456.
55 Non si può non rilevare l'attualità di queste motivazioni, se si pensa alle
difficoltà incontrate nel recente passato per l'affermazione della società Monte
Titoli e che si riconnettono per comunanza di argomento a quelle storiche. Infatti
per lo sviluppo della gestione in monte dei titoli azionari e obbligazionari è stata
necessaria una legge (n. 289/1986) e, per ottenere la piena circolarità tra aderenti
alle liquidazioni mensili dei titoli e aderenti alla Monte Titoli, è stata necessaria
la delibera della Consob 4 ottobre 1991, n. 5498, con la quale, in attuazione di
quanto previsto dall'art. 22, secondo comma, della legge 2 gennaio 1991, n. l, è
stato tra l'altro stabilito che la liquidazione dei contratti a termine negoziati sui
mercati regolamentari tra tutti gli operatori autorizzati deve essere effettuata
obbligatoriamente a mezzo delle Stanze di compensazione con l'intervento esclu-
sivo della Monte Titoli Spa, per ciò che attiene alla movimentazione dei titoli in
consegna e ritiro dalle relative Stanze.
252 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Tutto quanto precede portò al fallimento dell'iniziativa e
alla dismissione del servizio da parte delle varie Stanze in epoca
successiva. Solo presso la Stanza di Milano il servizio proseguì
fino al 1946, anno in cui, su avviso espresso dalla sede stessa,
esso venne sospeso, anche a ragione della sua minore utilità con-
seguente all'introduzione del regime di nominatività dei titoli
azionari.
9. I servizi di compensazione
Presso le filiali di Bergamo e Biella della BI, prive di Stanza
di compensazione, venne sperimentato, verso la fine degli anni
Trenta, un procedimento di compensazione semplificato, limita-
to ai soli recapiti, con l'obiettivo di facilitare i rapporti intercor-
renti tra gli istituti di credito di quelle piazze e di conseguire
benefici per la Banca, sia per gli effetti sulla circolazione sia per
il minor movimento di contante che avrebbe interessato le casse
dell'istituto.
I buoni risultati ottenuti spinsero la Confederazione fascista
delle aziende di credito e dell'assicurazione a inoltrare istanza
alla BI affinché detto procedimento fosse esteso ad altre impor-
tanti piazze dove non esisteva la Stanza e nelle quali non se ne
riteneva giustificata l'istituzione per la non rilevante entità delle
operazioni compiute. Peraltro, l'esigenza di un'estensione del si-
stema di compensazione era realmente sentita, tant'è che sulle
piazze di Pisa e Modena, a iniziativa delle locali casse di rispar-
mio, era stato iniziato il compenso dei rapporti di cassa tra le
banche di ciascun luogo.
L'esperimento del servizio venne attivato, con l'accordo del
ministero delle Finanze, presso le città di Ancona, Bari, Brescia,
Ferrara, Imperia, La Spezia, Lucca, Modena, Palermo e Pisa, nel
primo semestre del 1942, con l'intendimento di procedere, in
caso di esito positivo, alla sua graduale estensione a tutte le altre
piazze caratterizzate da un sufficiente movimento bancario e
commerciale. Inoltre, allo scopo di agevolare i rapporti che le
aziende di credito potevano avere con altri enti di natura finan-
ziaria e di assicurazione, la Banca consentì anche a questi ultimi
di aderire all'istituendo servizio.
Come già detto il procedimento di compensazione adottato
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 253
era molto semplificato rispetto all'attività svolta nelle Stanze,
poiché a tutta la prima parte delle operazioni che si svolgevano
tra gli aderenti la Banca rimaneva completamente estranea, sen-
za assumere alcuna responsabilità. L'onere del maneggio, della
contazione, della timbratura e altro relativamente ai recapiti pre-
sentati rimaneva a carico degli aderenti e l'intervento della Ban-
ca riguardava essenzialmente la compensazione degli sbilanci
giornalieri determinati direttamente dagli aderenti stessi. Le ope-
razioni oggetto di compensazione venivano limitate all'incasso di
vaglia, assegni circolari e assegni bancari nonché al pagamento
per ritiro di effetti semplici e ai versamenti d'ordine e per conto
terzi, lasciando facoltà agli aderenti di porre in essere ulteriori
accordi per comprendere nelle compensazioni anche altre opera-
zioni, sempreché riguardanti incasso o pagamento di contante. Il
costo del servizio, inizialmente stabilito in una quota di associa-
zione fissa di lire 150 mensili, oltre a una percentuale di lire 0,03
per mille da calcolarsi sul totale delle operazioni di debito e di
credito, venne successivamente ridotto alla sola quota fissa (ele-
vata a lire 200) allo scopo di dare al servizio stesso il maggior
incremento possibile. Dati i lusinghieri risultati raggiunti nei pri-
mi mesi di attività, nell'ottobre dello stesso anno si assunse la
determinazione di estendere gradatamente tale servizio a tutte le
piazze in cui il movimento bancario e commerciale ne consiglias-
se l'istituzione. Cosicché, alla fine del 1942, il servizio funzio-
nava presso 19 filiali e nell'aprile del 1943 presso 24. A causa
però degli eventi di guerra che costrinsero alcune filiali a sospen-
dere il servizio medesimo, gli stabilimenti che compivano opera-
zioni di compensazione si ridussero a 11 sul finire del1944. Con
la cessazione delle ostilità le filiali ripresero gradatamente le ope-
razioni e alla fine del1946 il numero degli stabilimenti periferici
esercenti il servizio era risalito a quota 19. Peraltro, come pure
può desumersi dai dati della tabella seguente (riportati in milioni
di lire), l'elevato ammontare delle operazioni nel periodo consi-
derato e la piena rispondenza dello stesso alle esigenze per le
quali era stato realizzato indussero la BI a disciplinare in maniera
uniforme detta attività. T aie proposito venne attuato con l' ema-
nazione delle circolari n. 1243 del13 settembre 1946 e n. 1376
del5 marzo 1951, con le quali si provvide anche a demandare ai
capi delle filiali il compito di svolgere opera di persuasione e di
promozione delle necessarie intese tra le aziende di credito ope-
254 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
ranti nella rispettiva sfera d'azione al fine di porre in essere il
servizio qualora se ne fosse manifestata l' esigenza56 •
Numero
Partite Percentuali
delle filiali Somme Denaro
Anno di debito denaro
che eseguono compensate impiegato
e di credito impiegato
il servizio
1942 19 67.238 62.855 4.383 6,51
1943 18 215.776 205.952 9.824 4,55
1944 11 321.471 302.875 18.596 5,78
1945 16 632.158 592.558 39.600 6,26
1946" 19 1.260.668 1.199.203 61.465 4,87
• Fino al mese di settembre.
10. La riforma del procedimento di compensazione in uso presso le
Stanze
I dati riguardanti l'ammontare delle operazioni compiute
presso le Stanze evidenziano come lo sviluppo del fenomeno del-
la compensazione sia progredito secondo un trend molto gra-
duale57. Negli anni Quaranta si può dire che inizi l'era della ma-
turità di un processo che aveva incontrato molte difficoltà, pro-
babilmente dovute anche alla molteplicità degli istituti di emis-
56 ll servizio di compensazione gradatamente venne esteso presso tutte le
filiali della BI. Nel corso degli anni Settanta la compensazione conobbe una im-
portante evoluzione che ne trasformò il procedimento da locale a nazionale, allo
scopo di consentire il superamento degli inconvenienti derivanti dal fraziona-
mento del servizio stesso in numerose e distinte sedi provinciali. L'innovazione,
basata su una procedura dapprima manuale poi automatizzata, era volta a favo-
rire la razionalizzazione della gestione di tesoreria delle aziende di credito, che
ormai rappresentavano oltre il 90 per cento degli operatori partecipanti alla com-
pensazione.
57
Molta influenza hanno avuto sulle operazioni compiute dalle Stanze di
compensazione i risultati delle liquidazioni titoli, caratterizzati da andamenti al-
talenanti come riflesso delle fasi di crisi di borsa e dei fenomeni inflazionistici.
Nell'anno 1942, a seguito dell'introduzione della nominatività obbligatoria dei
titoli azionari (R.D.L. 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito con modificazioni
nella legge 9 febbraio 1941, n. 96 e nel R.D. 29 marzo 1942, n. 239), le Stanze
furono appesantite da oneri e responsabilità tutt'altro che indifferenti, fra cui il
completamento delle girate sui titoli da parte del capo stanza. L'innovazione le-
gislativa comportò una caduta delle trattazioni nell'ambito delle liquidazioni
mensili, il cui corrispondente importo, valorizzato ai prezzi di compenso, passò
da 97.372 milioni nel1941 a 25.033 milioni nel1942.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 255
sione, al contrastante gioco dei loro interessi e ai riflessi che tutto
ciò provocava nello sviluppo del credito. Non ultima può con-
siderarsi la circostanza che nel settore della compensazione si è
mantenuto per molti anni un sistema gestionale promiscuo (go-
verno, Banca d'Italia, camere di commercio, consigli di vigilan-
za) unitamente a un'ottica di sviluppo prettamente locale che
poneva l'accento sulle esigenze delle varie piazze anziché spin-
gere verso un processo di unificazione degli usi e delle consue-
tudini.
Queste logiche particolaristiche negli anni dello sviluppo ven-
nero ribaltate, sia con la diffusione territoriale della compensa-
zione mediante l'istituzione dei servizi di compensazione, sia con
le diverse proposte di regolamento unico delle Stanze, attraverso
cui la BI tendeva all'eliminazione delle difformità esistenti, alla
trasformazione della compensazione in servizio offerto dalla Ban-
ca, avente carattere pubblicistico, al riconoscimento degli inte-
ressi prevalenti del settore bancario. Gli studi intrapresi allora
ebbero riguardo alla necessità di pervenire a una completa rego-
lamentazione della materia, sia sotto l'aspetto giuridico che delle
prassi operative.
Sotto il primo profilo, trattato nella seconda parte del pre-
sente lavoro (a cura di R. Brizi), venne portato avanti il tentativo
di definire la fisionomia delle Stanze, la funzione affidata all'i-
stituto di emissione, i rapporti fra questo e gli associati, come
pure quelli tra gli associati medesimi.
Sotto il secondo aspetto, l'intendimento fu quello di perve-
nire a una nuova disciplina dello svolgimento della compensazio-
ne, in quanto lo stadio di sviluppo delle Stanze aveva raggiunto
proporzioni e caratteristiche tali da rendere inadeguate, spesso
addirittura inattendibili, le metodologie di lavoro contemplate
nei diversi regolamenti delle stesse. L'accresciuta mole di lavoro
per la Banca non soltanto aveva moltiplicato i rischi, ma aggra-
vato fortemente gli oneri e le responsabilità di gestione. Il siste-
ma in uso aveva dato origine, a causa dell'enorme sviluppo del
lavoro, a inefficienze e inconvenienti éosì gravi, da costringere
alcune Stanze a derogare alle norme, ricorrendo a espedienti di
varia natura che peraltro, pur a discapito dell'uniformità del ser-
vizio, non avevano condotto a un alleggerimento sostanziale del-
256 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
l'onere a carico delle Stanze58 • Le grosse Stanze di propria ini-
ziativa non eseguivano più la spunta dei recapiti, se non saltua-
riamente, e in alcuni casi non veniva effettuata neanche la loro
timbratura. Presso la Stanza di Milano i recapiti cominciarono a
essere presentati col sistema dei pieghi chiusi (plichi, buste, pac-
chi), allorché il numero degli stessi superò i 100.000 al giorno. In
altre realtà i recapiti venivano scambiati direttamente tra gli as-
sodati e i rispettivi importi entravano in compensazione median-
te «buoni cassa» o «memorandum». Le ripetute inosservanze dei
regolamenti esistenti, se da un lato consentivano maggiore cor-
rentezza, dall'altro erano causa delle frequentissime differenze
che si rilevavano in chiusura. A Milano per l'accertamento delle
differenze si era ravvisata addirittura la necessità di costituire un
nucleo di personale che purtuttavia non riusciva a sistemare ra-
pidamente le varie posizioni. Accadeva quindi che, dovendosi
inderogabilmente provvedere in giornata alla chiusura delle com-
pensazioni, le differenze trovavano provvisoria sistemazione in
un conto sospeso, attribuendo in tal modo alla compensazione
carattere di provvisorietà e alterando la funzione stessa del ser-
vizio nei suoi canoni fondamentali.
Il procedimento di compensazione in vigore richiedeva pe-
raltro un grosso impegno di personale che faceva lievitare i costi
(i conti economici delle Stanze erano costantemente deficitari) e
le tariffe, con continue lamentele da parte degli aderenti. Diven-
ne quindi improcrastinabile affrontare il problema sul piano or-
ganizzativo, attraverso l'adozione di un nuovo sistema che con-
temperasse gli interessi della Banca e degli associati, assicurando
speditezza al servizio senza aggravio di costi.
La riforma proposta ebbe riguardo sia all'aspetto della par-
tecipazione sia a quello della semplificazione del procedimento
pratico in uso e venne attuata negli anni Cinquanta.
La delimitazione del numero dei partecipanti alle categorie
economiche più importanti, in quanto a volume di operazioni
58 La necessità di una normativa uniforme che accomunasse l'attività svolta
dalle Stanze di compensazione gestite dalla BI portò, come già accennato, all'e-
manazione delle Norme di servizio interno nel1911. La rcgolamentazione ricom-
prendeva tutti gli aspetti gestionali e in particolare: l'organizzazione, le attribu-
zioni e responsabilità del personale; il funzionamento generale, le compensazioni
giornaliere; le liquidazioni mensili; le statistiche, gli utili e le spese; i controlli
dell'Ufficio contabilità del ramo banca; gli stampati in uso.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 257
presentate, divenne condizione indispensabile per continuare ad
assicurare fluidità ai meccanismo. Se in passato si era cercato di
far partecipare alle Stanze il maggior numero possibile di opera-
tori, per favorire la crescita del sistema, allorché questo pervenne
a un adeguato grado di sviluppo divenne evidente che l'aumento
dei partecipanti, senza un corrispondente incremento delle ope-
razioni, avrebbe creato solo intralci ripercuotendosi negativa-
mente sull'andamento della compensazione complessiva59 •
La seconda innovazione proposta comportò l'attuazione nelle
Stanze del procedimento di compensazione già sperimentato con
successo nei servizi di compensazione e in uso da tempo nei paesi
stranieri, nei quali fin dall'inizio si era dovuto affrontare il pro-
blema della trattazione di ingenti quantità di recapiti. Il nuovo
procedimento poggiava le basi sullo scambio diretto dei recapiti
tra gli associati alle Stanze, mantenendo fermo il principio giu-
ridico che la consegna di un recapito in Stanza equivale a pre-
sentazione ai pagamento e che il pagamento a mezzo Stanza è
valido a tutti gli effetti di legge. Ogni associato aveva l'onere di
compilare la distinta riassuntiva delle proprie operazioni, il cui
saldo rappresentava il debito o il credito dell'aderente nei con-
fronti del sistema. Il capo della Stanza sulla base delle distinte
riassuntive procedeva alla compilazione del conto generale della
compensazione, che doveva bilanciare, e alla consegna alla Banca
centrale degli ordinativi di accreditamento e di addebitamento
per le successive scritturazioni. Gran parte dei compiti veniva
quindi a essere assunta direttamente dagli associati con evidenti
vantaggi, sia per la speditezza del servizio, sia per la trasparenza
circa l'attribuzione delle responsabilità, come pure per l'eco no-
59 Nei paesi a circolazione avanzata di titoli fiduciari il lavoro della compen-
sazione era concentrato nelle maggiori banche. Lo sviluppo della compensazione
richiedeva anche in Italia l'adozione del sistema della limitazione del numero
degli aderenti. «È questo il sistema che la teoria e la pratica indicano come il solo
adatto in quanto risponde appunto a quel processo reale di sintesi progressiva che
è la caratteristica del lavoro di compensazione dal suo inizio al suo compimento.
Nelle Stanze, invece, dove sono ammessi tutti coloro che, trovandosi in certe
condizioni, ne facciano domanda, avviene che il numero dei soci è illimitato e,
dato il continuo progresso delle istituzioni commerciali che impone la compen-
sazione come una necessità imprescindibile, esso va continuamente crescendo.
Con l'aumento del numero dei soci il lavoro della Stanza diverrà tale che dif-
ficilmente potrà eseguirsi con l'esattezza e la rapidità necessarie». Cfr. Bossi,
op. cit.
258 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
mia delle spese conseguente alla riduzione del personale addetto
al servizio.
La modifica del procedimento della compensazione compor-
tò anche la netta separazione dei due fondamentali compiti delle
Stanze, la compensazione dei recapiti e le liquidazioni dei titoli;
queste ultime ebbero da allora una separata regolamentazione,
senza tuttavia arrivare a quanto praticato all'estero, ave le liqui-
dazioni di borsa venivano svolte da appositi organismi all'infuori
delle Stanze. La separazione, che peraltro non comportò inno-
vazioni del procedimento tecnico in uso per le liquidazioni, fu
ritenuta più che altro necessaria ai fini dell'attribuzione dei co-
sti, poiché nel sistema allora vigente accadeva che parte della
spesa riguardante le liquidazioni dei titoli ricadesse anche su
categorie di operatori interessati alla sola compensazione dei re-
capiti.
Il nuovo procedimento di compensazione venne sperimenta-
to, consenziente il ministero del Tesoro, dapprima presso la Stan-
za di Milano e gradatamente presso le altre Stanze (ultima in
ordine di data fu la Stanza di Roma nel 1959) 60 . La sua realiz-
zazione ebbe luogo sulla base di una convenzione, sottoscritta da
tutti i partecipanti al servizio, che riproduceva, per stralcio, una
parte del progetto di regolamento sottoposto all'approvazione del
ministro del T esoro6 1 •
60 ASBI, Fondo Stanze di compensazione, cartt. 11, 12, 62, 63 e 64.
61
Negli anni Settanta il processo di compensazione è stato oggetto di inter-
venti riorganizzativi che ne hanno automatizzato i processi operativi interni e
(!ccresciuto le funzionalità, senza peraltro modificarne la struttura fondamentale.
E invece nel corso degli anni Ottanta che la compensazione ha conosciuto le più
importanti e significative trasformazioni, sotto lo stimolo della banca centrale
che ha inteso ricomporre in un disegno d'insieme le esigenze di rinnovamento e
modernizzazione del complessivo sistema dei pagamenti.
Nel contesto della riforma del sistema dei pagamenti la compensazione ha
assunto un ruolo fondamentale, quale fulcro dell'intero progetto, in grado di ren-
dere possibile l'integrazione delle varie componenti e l'estensione del carattere
multilaterale a tutte le relazioni interne al sistema stesso. L'architettura del nuo-
vo processo di compensazione prevede la coesistenza di sottosistemi telematici
specializzati, i cui saldi confluiscono in un collettore, la cosiddetta compensazio-
ne nazionale, per essere sottoposti, dopo un ulteriore processo di compensazione
al regolamento sui conti in essere presso la banca centrale. Sulla configurazione
del nuovo sistema di compensazione cfr. S. Petricola, Il ruolo della compensazione
nel sistema dei pagamenti, in «Banche e Banchieri», 1991. Sulla revisione del si-
stema dei pagamenti cfr. tra l'altro il Libro bianco sttl Sistema dei Pagamenti in
Italia, Banca d'Italia, Roma 1987; Il Sistema dei Pagamenti in Italia: progetti di
intervento, Banca d'Italia, Roma 1988; T. Padoa-Schioppa, La moneta e il Sistema
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 259
II.
L'EVOLUZIONE GIURIDICA E ISTITUZIONALE
DELLE STANZE DI COMPENSAZIONE~'
l. Considerazioni introduttive
Poco più di cento anni fa, in occasione di un importante in-
tervento legislativo volto al riordino della circolazione moneta-
ria, vennero istituite le Stanze di compensazione. Le Stanze rap-
presentano tuttora organizzazioni stabili che hanno il compito di
facilitare l'estinzione dei debiti e dei crediti complessivi dei sog-
getti che vi partecipano, limitando il pagamento all'eventuale dif-
ferenza: l'attività svolta a tal fine viene comunemente definita
compensazione plurilaterale.
L'evoluzione del quadro giuridico e operativo delle Stanze di
compensazione ha scandito le tappe dello sviluppo dell'intero si-
stema dei pagamenti italiano. Di quest'ultimo esse rappresenta-
no tuttora il baricentro finanziario e l'unica struttura organizza-
tiva a carattere nazionale.
Il ruolo che la legislazione assegna alla Banca d'Italia nell'e-
sercizio delle Stanze costituisce ancora oggi una delle peculiarità
che caratterizzano l'assetto funzionale dell'istituto nei confronti
delle banche centrali degli altri principali paesi industriali.
La detenzione delle riserve libere degli enti creditizi e gli stru-
menti utilizzati dalla Banca d'Italia per finanziare tali istituzioni
hanno creato, nel corso del tempo, un nesso inscindibile fra l'at-
tività di banca centrale e la gestione dei servizi di compensazione.
La funzione di garante della stabilità e dell'efficienza degli inter-
mediari bancari, principali operatori del sistema, ha ulteriormen-
te contribuito a sancire la posizione di vertice della Banca all'in-
terno del settore dei pagamenti. Sul piano più strettamen-
te giuridico, i riferimenti normativi concernenti la gestione delle
dei Pagamenti, il Mulino, Bologna 1992; D. Russo, I rischi finanziari nei sistemi di
pagamento interbancari, Banca d'Italia, Roma 1992; C. Tresoldi, Il controllo dei
rischi nei sistemi di compensazione e regolamento: ruolo e responsabilità degli ope-
ratori e delle banche centrali, Banca d'Italia, Roma 1993.
*A cura di Rita Brizi. L'autrice ringrazia Patrizia Ercoli e Marinella Riccio
per la paziente e preziosa collaborazione prestata nelle ricerche di archivio e nella
predisposizione del testo.
260 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Stanze hanno infine stabilito un legame anche di natura «istitu-
zionale» fra le diverse funzioni esercitate dalla Banca.
Per parecchi decenni, il ruolo della Banca d'Italia nel sistema
dei pagamenti si è sostanziato, oltre che nella emissione della
moneta legale e di titoli di credito, proprio nella gestione delle
Stanze di compensazione. Con lo sviluppo del sistema economico
e con la crescente rilevanza assunta dai sistemi di trasferimento
della moneta per l'efficiente funzionamento dei mercati, la ban-
ca centrale, pur in assenza di uno specifico riconoscimento legi-
slativo, si è assunta il compito di promuovere l'adeguamento del
sistema dei pagamenti ai mutati bisogni degli operatori econo-
mici e degli intermediari finanziari. Ciò si è tradotto, soprattutto
a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, in un maggiore
coinvolgimento della Banca nell'attività di indirizzo del sistema
creditizio e nella affermazione della centralità delle Stanze come
canale di regolamento per i pagamenti interbancari. Per l'azione
di riforma e per conseguire i propri obiettivi nel settore la Banca
d'Italia ha fatto leva sulle limitate possibilità offerte dalla legi-
slazione vigente in materia di Stanze di compensazione.
Solo negli anni più recenti gli interventi di indirizzo e di con-
trollo hanno ricevuto il sostegno di una produzione normativa
più organica e soddisfacente. L'impianto normativa scaturito da-
la produzione legislativa degli ultimi quattro anni ha formalmen-
te annoverato tra le funzioni istituzionali della banca centrale,
generalmente considerate rappresentate dalla conduzione della
politica monetaria e dalla vigilanza sugli enti creditizi, il compito
di controllare i soggetti, bancari e non bancari, operanti nel si-
stema dei pagamenti e, soprattutto, di promuovere il regolare
funzionamento dei sistemi di pagamento, anche attraverso l'e-
manazione di «norme volte ad assicurare l'efficienza e l'affida-
bilità dei sistemi di compensazione e di pagamento»6 2 •
62
L'estensione della supervisione della Banca d'Italia agli intermediari fi-
nanziari non bancari, fra cui gli operatori che offrono servizi di trasferimento
fondi, è stata introdotta nell'ordinamento con la L. 5 luglio n. 197 recante prov-
vedimenti urgenti per limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore nelle
transazioni onde prevenire l'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio.
ll compito di assicurare la stabilità e l'efficienza del sistema dei pagamenti deriva
dalla previsione dell'art. 146 del decreto legislativo sul Testo Unico delle leggi in
materia bancaria e creditizia, emanato il27 agosto 1993 e in vigore dal1 ° gen-
naio 1994, richiamata nel testo. Tale disposizione trae origine dalla esigenza di
adeguare l'ordinamento interno alle previsioni del Trattato di Maastricht sull'D-
R. Brizi e S. Petrico!a Le Stanze di compensazione 261
L'evoluzione del quadro normativa e la maggiore attenzione
posta alle esigenze degli operatori economici hanno contribuito a
sfumare i tradizionali confini esistenti tra le funzioni tipiche del-
la banca centrale e quelle proprie di altri organismi pubblici nella
tutela degli interessi generali legati all'ordinato funzionamento
del sistema dei pagamenti.
L'ampliamento delle funzioni della banca centrale nel siste-
ma dei pagamenti ha fatto perno sull'evoluzione istituzionale e
operativa delle Stanze di compensazione. Sulla problematica giu-
ridico-istituzionale delle Stanze ha influito a lungo il persistere
di un quadro normativa disorganico e incompleto, ma anche, per
altri versi, il crescente rilievo che le Stanze stesse hanno via via
assunto nella regolazione della liquidità bancaria.
La storia delle Stanze di compensazione appare intrecciata
con le vicende istituzionali delle banche di emissione e con i pro-
blemi che queste ultime si trovarono a fronteggiare nei diversi
regimi monetari; le tappe fondamentali che hanno segnato l'e-
voluzione delle Stanze possono quindi collocarsi intorno al1881,
189.3, 1910 e 1926 prima, al19.36 successivamente.
All'epoca della loro istituzione, il sistema dei pagamenti as-
sumeva una configurazione primitiva. Esso appariva fortemente
segmentato e privo di infrastrutture di sistema; si incentrava fon-
damentalmente sulla moneta metallica e vedeva quale principale
intermediario del settore un sistema bancario allo stadio di svi-
luppo iniziale e imperniato sugli istituti di emissione6 3 •
Se la storia istituzionale delle Stanze appare legata a quella
degli istituti di emissione, essa si presenta vieppiù interrelata con
nione economica e monetaria europea e della direttiva CEE di coordinamento
bancario 89/646. Più in particolare, la norma ricalca il contenuto dell'art. 105 del
trattato, che attribuisce alla Banca centrale europea il compito di «promuovere il
regolare funzionamento dei sistemi di pagamento», e dell'art. 22 del Protocollo
sullo statuto del Sistema Europeo di Banche centrali, che assegna al SEHC il po-
tere di «(anche) stabilire regolamenti al fine di assicurare sistemi di compensa-
zione e di pagamento efficienti e affidabili all'interno della Comunità e nei rap-
porti con i paesi terzi».
63 Gli istituti di emissione operavano, soprattutto, nelle rispettive aree di
influenza: a Settentrione era presente la Banca nazionale nel Regno d'Italia, fon-
data nel 1849; al Centro agivano la Banca nazionale toscana e la Banca toscana
di credito per le industrie e il commercio d'Italia; nel Meridione esercitavano la
loro attività il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia; nelle aree centrali, in pre-
cedenza appartenenti allo Stato pontificio, operava inoltre la Banca degli Stati
pontifici (poi divenuta Banca romana).
262 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
le vicende giuridiche e funzionali della Banca d'Italia. Poiché le
tappe dell'evoluzione di tale istituto hanno talora preceduto le
fasi dello sviluppo del sistema economico 64 , è legittimo pensare
che le Stanze abbiano rappresentato, verosimilmente, un fattore
di sviluppo e, al tempo stesso, un portato della crescita econo-
mica del paese.
L'istituzione della Banca d'Italia nel1893 rappresentò, quin-
di, il punto iniziale di un processo evolutivo destinato a far ap-
prodare le Stanze alla configurazione attuale. Tale provvedimen-
to si inserì in un complesso di iniziative che aveva lo scopo di
operare il riassetto della circolazione monetaria.
2. L 'evoluzione del quadro normativa e istituzionale
Le Stanze di compensazione sono sorte originariamente co-
me istituzioni del mercato del credito. Con la creazione di altri
mercati, in particolare delle borse-merci, esse hanno avuto un
ulteriore sviluppo, adattandosi alle specifiche esigenze di questi
mercati e svolgendo funzioni anche diverse da quelle originarie.
Pur configurandosi come istituzioni, non hanno mai avuto una
loro autonoma ragion d'essere, ma si sono caratterizzate per il
loro ruolo ausiliario.
Tale sviluppo, peraltro, non si è avuto in tutti gli ordinamen-
ti, e, in particolar modo, non si è registrato in Italia, ove esse non
hanno mai «servito» il mercato delle borse-merci. La rilevanza
delle Stanze nel nostro paese, invece, è stata sempre legata al
funzionamento del mercato finanziario, soprattutto di quello del
credito. Come si è detto nella prima parte del lavoro, l'esigenza
che portò alla costituzione delle Stanze quali istituzioni di tale
mercato era stata sentita dai mercanti frequentatori delle fiere
sin dal secolo XIII.
Sia pure con pochi esempi, la letteratura economica e giuri-
dica, italiana ed estera, si è occupata delle motivazioni di fondo
delle Stanze e si è posta la domanda se la loro costituzione fosse
giustificata o meno dalla funzione svolta. Alcuni studiosi sono
64 Cfr. la Prefazione di G. Carli all'opera di R. De Mattia (a cura di), I
bilanci degli istituti di emissione italiani dal 1845 al 1936, altre serie storiche di
interesse monetario e fonti, Banca d'Italia, Roma 1967.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 263
giunti alla conclusione che l'organizzazione di determinati mer-
cati, come le borse, non implicava necessariamente la previsione
di «Stanze di compensazione»; mentre l'organizzazione meno re-
golamentata di altri mercati, come quello creditizio, poteva mo-
tivarne l'introduzione6 5.
Tale teoria sarebbe avvalorata dall'evoluzione storica delle
Stanze. Pur avendo origini assai remote, infatti, in quanto ser-
vizi di compensazione più o meno analoghi si rinvengono già,
come si è detto, nel XIII secolo, esse hanno consolidato la loro
configurazione di istituzione del mercato del credito solo a par-
tire dal XVIII secolo 66 •
In Italia, il momento rilevante per l'affermazione delle Stan-
ze quali infrastrutture del sistema finanziario si ebbe quando una
legge prese in considerazione quello che fino ad allora era stato
un servizio rimesso esclusivamente alla libera iniziativa dei pri-
vati. Le Stanze entrarono nelle discussioni parlamentari e nella
legislazione per mezzo di un articolo aggiuntivo proposto dal de-
putato Luzzatti67 per la legge sull'abolizione del corso forzoso
dei biglietti di banca. L'art. 22 della legge 7 aprile 1881, n. 133,
conferì rilevanza di interesse generale alle Stanze, stabilendo che
nelle principali città
il Governo promuoverà la istituzione di Stanze di compensazione, alle
quali saranno ammessi un rappresentante del Tesoro dello Stato ed un
rappresentante delle sedi e delle succursali delle Banche di emissione,
delle Casse di Risparmio, delle Banche di sconto e popolari, e dei prin-
cipali banchieri per la riscontrata dei biglietti pagabili a vista e al por-
tatore e per la compensazione degli altri titoli di credito.
65 Fra questi cfr. R. Corrado, Stanze di compensazione, in Nuovissimo Digesto
Italiano, Torino 1965, pp. 113 sgg. In Italia l'esistenza di una Stanza di com-
pensazione, cui potevano accedere sia le aziende di credito sia gli agenti di cam-
bio, aveva portato tuttavia l'autore a sostenere che le Stanze non avessero un
collegamento necessario con i mercati, soprattutto con il mercato del credito, in
quanto non esercitavano una funzione ausiliaria esclusiva a favore delle istitu-
zioni creditizie data la partecipazione, alla loro operatività, di soggetti non ban-
cari. A diverse conclusioni conduceva invece la esperienza inglese, la quale pre-
vedeva che alle Stanze potessero accedere solo gli istituti di credito.
66 La clearing house di Londra, in tale epoca, può considerarsi il primo esem-
pio di Stanza di compensazione.
67
Atti parlamentari, Camera dei deputati, tornata 22 febbraio 1881. li Luz-
zatti proponeva la denominazione di «Camere di liquidazione>>, il deputato Sei-
smit-Doda fece accettare quella di «Stanze di compensazione>>. Cfr. sul punto A.
Osimo, Stanze di compensazione, in Digesto italiano, vol. XXII, 1902.
264 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Il rilievo pubblicistico delle Stanze veniva poi confermato
dalla previsione contenuta nello stesso articolo, secondo cui «le
norme di questa istituzione saranno determinate per decreto rea-
le». Da quel momento prese avvio un lungo processo evolutivo
che avrebbe riguardato la configurazione istituzionale dei servizi
di compensazione, l'ente gestore e gli organi di vigilanza delle
Stanze.
La legge n. 133 delineò i connotati fondamentali delle Stanze
in Italia. Caratteristica delle Stanze, che tuttora rappresenta una
peculiarità nei confronti delle analoghe esperienze di altri paesi,
fu l'attribuzione del compito di trattare anche le operazioni con-
nesse con le liquidazioni di borsa. Inoltre, a differenza delle clear-
ing houses inglesi, le compensazioni in Italia venivano estese a
tutte le forme di debito e di credito al di là della natura giuridica
dei documenti rappresentativi del rapporto obbligatorio.
L'interesse dello Stato per le Stanze venne riaffermato con
R.D. 19 maggio 1881, n. 220, il quale, ampliando il novero dei
soggetti destinatari delle precedenti disposizioni, stabilì
che il Ministro dell'Agricoltura Industria e Commercio, di concerto con
quello del Tesoro, promuoverà l'istituzione di Stanze di compensazione
in alcune città e che le Camere di commercio locali dovranno invitare le
banche, le Casse di Risparmio, i banchieri e i principali negozianti a
costituirsi in associazione allo scopo di istituire, sotto la vigilanza delle
Camere suddette, e amministrare le Stanze di compensazione, propo-
nendo al Governo la normativa regolatrice del servizio, la quale sarà poi
adottata con decreto reale6 8 •
Le norme di legge iniziali del1881 diedero quindi al governo,
e specificamente ai ministri di Agricoltura, industria e commer-
cio e del Tesoro, il potere di promuovere l'istituzione di talune
Stanze, mentre alle camere di commercio delle città allora con-
template veniva dato il compito di sollecitare la costituzione del-
le associazioni deputate ad amministrarle e di proporre al gover-
no le norme generali per il loro funzionamento. Tali norme non
furono mai emanate.
68 All'art. l D .L. n. 220 venivano indicate le città nelle quali sarebbero sta-
te, inizialmente, istituite le Stanze. Queste città erano Roma, Napoli, Milano,
Torino, Venezia, Firenze, Genova, Palermo, Bologna, Messina, Catania, Bari e
Cagliari.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 265
Il cammino delle Stanze verso una rilevanza pubblicistica più
accentuata proseguì e una nuova tappa fu segnata nel1893.
In virtù delle disposizioni del 1881 l'amministrazione delle
Stanze avrebbe dovuto esser esercitata dalle stesse associazioni,
ma con legge 10 agosto 1893, n. 449 (art. 4), si dispose che le
camere di commercio potessero assegnarne l'esercizio a un con-
sorzio di istituti di emissione, se non avessero deciso di prov-
vedervi direttamente; inoltre, la normativa regolatrice del ser-
vizio, che doveva essere stabilita per decreto reale, sarebbe
stata emanata sentiti i direttori generali degli istituti di emis-
sione consorziati.
Le associazioni ricevevano così il primo colpo, poiché perde-
vano contemporaneamente sia la facoltà di amministrare le Stan-
ze, sia la possibilità di intervenire, di fatto, nel proporre le norme
regolatrici. Acquistavano, invece, maggiore importanza le came-
re di commercio: dalla semplice funzione di vigilanza passavano
a quella di gestione con facoltà di delega.
Le facoltà che la legislazione assegnava alle camere di com-
mercio a quel momento erano, quindi, quella di promuovere la
costituzione delle associazioni; di gestire e vigilare le Stanze; di
affidarne l'esercizio. La prima di dette facoltà si era in realtà
esaurita con la istituzione delle Stanze tassativamente elencate
nel decreto reale del1881. Le altre due, concernenti l'affidamen-
to dell'esercizio e l'amministrazione da un canto e la vigilanza
dall'altro, vennero confermate e chiarite dalla legge 17 gennaio
1897, n. 9, contenente provvedimenti per la circolazione dei bi-
glietti; furono infine mantenute in vigore dalle disposizioni del
1910 relative alle camere di commercio e da quelle, dello stesso
anno, concernenti gli istituti di emissione.
Con la legge n. 9 del1897 veniva in sostanza sanata la situa-
zione di fatto creatasi con l'esercizio delle Stanze da parte di un
solo istituto di emissione; con la legge 20 marzo 1910, n. 121,
invece, si introdussero alcune limitazioni alla ampia facoltà delle
camere di commercio, sottoponendo l'eventuale direzione e am-
ministrazione diretta delle Stanze alla preventiva autorizzazio-
ne del ministro di Agricoltura, industria e commercio. L'art.
136 del testo unico sugli istituti di emissione riconfermò la fa-
coltà di delega all'esercizio della Stanza anche a un solo istituto
di emissione.
La legislazione vigente alla fine del1910 delineava, peraltro,
266 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
un quadro confuso delle attribuzioni delle camere di commercio
in materia di Stanze di compensazione. Si poteva infatti soste-
nere che l'esercizio delle Stanze da parte di un istituto di emis-
sione, su delega delle camere di commercio, fosse indiscusso e
che fosse altrettanto certo che a queste ultime continuasse a spet-
tare la funzione di vigilare sull'attività svolta dalle Stanze; ma
poteva anche sostenersi, al contrario, che il potere di ammini-
strazione e quello di vigilanza, connesso con il primo, non risul-
tassero più nella disponibilità e nelle attribuzioni delle camere di
commercio69 •
Non era comunque più previsto che fosse una istituzione pri-
vata, l'associazione, a gestire il servizio, ma un organismo di ri-
levanza pubblica.
Il carattere pubblicistico del servizio ebbe una ulteriore ac-
centuazione nell'ambito dei provvedimenti emanati nel 1926. Il
R.D. 6 maggio 1926, n. 812, attribuì esclusivamente alla Banca
d'Italia, quale unico istituto di emissione dello Stato, l'esercizio
delle Stanze di compensazione. Il ministero dell'Economia na-
zionale precisò, peraltro, che l'esclusiva competenza riconosciuta
alla Banca d'Italia andava semplicemente interpretata nel senso
che la gestione delle Stanze non poteva essere affidata ad altri
enti, né che poteva essere esercitata dalle camere di commercio,
come, fino ad allora, sarebbe stato pure possibile. Nel periodo
successivo si ebbero, così, nuove convenzioni fra la Banca d'I-
talia e i consigli provinciali dell'economia, nel frattempo succe-
duti alle camere di commercio, per l'esercizio delle Stanze.
La riforma del 1926 si collocò nell'ambito di una strategia di
espansione dell'intervento pubblico in economia che produsse
importanti innovazioni nell'ordinamento creditizio. Al centro
della riforma si pose la configurazione istituzionale e funzionale
della Banca d'Italia.
Il primo dei provvedimenti assunti in tale direzione interessò
l'unificazione del servizio dell'emissione dei biglietti di banca.
Oltre al monopolio delle emissioni, sia pure sotto forma di con-
cessione, all'istituto veniva inoltre attribuita, in esclusiva, la ge-
stione delle Stanze di compensazione.
69 In particolare l'attività di vigilanza poteva riguardare sia le associazioni
private, ex art. 2 R.D. 220/1881, sia l'istituto di emissione, cui affidare il servi-
zio, secondo il disposto dell'art. 10 R.D. 520/1896.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 267
Nella prospettiva dell'unicità del controllo della circolazione
monetaria e della definizione di una cornice giuridica per l'atti-
vità degli intermediari anche nell'ambito del sistema dei paga-
menti, nel corso dello stesso anno furono emanati provvedimenti
che assegnarono alla Banca d'Italia un limitato novero di poteri
di controllo sulle istituzioni creditizie; dò configurò il primo nu-
cleo della funzione di vigilanza bancaria70 •
Da tale data, nonostante le dichiarazioni del ministero del-
l'Economica nazionale, l'esercizio delle Stanze da parte della
Banca pareva non derivare più dall'affidamento delle camere di
commercio, ma procedere direttamente dalla legge. Sarebbe sta-
to difficile, infatti, sostenere che la Banca d'Italia mantenesse,
rispetto alle camere di commercio, la posizione preesistente, con
la sola variante di essere divenuta l'ente gestore esclusivo delle
Stanze. Del resto, nell'aprile dello stesso anno, e cioè nel mese
precedente all'approvazione del R.D. n. 812, una legge aveva
provveduto a sostituire le camere di commercio con i consigli
provinciali dell'economia, organismi i cui compiti avrebbero suc-
cessivamente subito modifiche di rilievo 71 .
In realtà il R.D. del 1926, n. 812, in concomitanza con le
leggi modificatrici delle funzioni delle camere di commercio e in
relazione alla circostanza che già stava maturando l'attribuzione
alla Banca d'Italia della funzione di vigilanza bancaria, produce-
va uno spostamento e una unificazione sia della gestione che del
controllo delle Stanze.
La riforma era l'espressione di un disegno di riorganizzazione
delle competenze degli organi pubblici e dell'intervento pubblico
in economia. Nell'ambito di tale strategia sarebbe maturata la
successiva produzione legislativa con la quale sarebbero state riu-
nite nella Banca d'Italia (e nell'Ispettorato del credito) tutte le
70
D.L. 7 settembre 1926, n. 1511, e D.L. 6 novembre 1926, n. 1830.
71 La legge 18 aprile 1926, n. 731, allo scopo di sostituire le camere di com-
mercio, recitava testualmente: «l Consigli provinciali dell'economia assorbiranno
le Camere di commercio [... ] assumendone tutte le attività e gli oneri». il suc-
cessivo R.D.L. 16 giugno 1927, n. 1071, concernente ancora le funzioni dei con-
sigli provinciali dell'economia, non contemplò espressamente tra i compiti dei
consigli l'esercizio delle Stanze di compensazione, facendo invece un generico
riferimento al fatto che questi «possono, con l'autorizzazione del Ministero per
l'Economia Nazionale, fondare e gestire servizi e aziende nell'interesse dell'a-
gricoltura, dell'industria e del commercio».
268 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
competenze connesse con la circolazione, con la politica mone-
taria e con il controllo del settore del credito.
La mutata posizione della Banca d'Italia rispetto alle camere
di commercio trovava peraltro conferma anche nelle modifiche
introdotte in un altro campo delle norme legislative: nello statuto
della Banca d'Italia. Infatti, mentre nello statuto approvato con
R.D. 18 marzo 1909, n. 138, si leggeva (art. 17) che la «Banca
può esercitare il servizio delle Stanze di compensazione», lo sta-
tuto emanato con R.D. 21 giugno 1928, n. 1404, successivo alle
ricordate leggi del1926, stabiliva all'art. 16 che «la Banca d'I-
talia esercita il servizio delle Stanze di compensazione esistenti e
di quelle che, su conforme parere della Banca stessa, possano
crearsi in avvenire. Presso le Stanze di compensazione, la Banca
d'Italia può compiere operazioni di prorogato pagamento».
Si poteva quindi sostenere che il quadro normativo di fine
anni Venti riconoscesse che la materia delle Stanze, per i suoi
riflessi sulla circolazione monetaria e sulle banche, doveva essere
riservata a quegli organi governativi e a quell'istituto di emissio-
ne cui soltanto competevano il controllo della moneta e degli in-
termediari credizi.
Non va comunque trascurata la situazione che si determinò
successivamente e cioè l'effettiva partecipazione dei consigli pro-
vinciali dell'economia alla vita delle Stanze, sia mediante la sti-
pula delle convenzioni, sia con l'approvazione del rendiconto an-
nuale presentato dalla Banca d'Italia, sia, infine, con la parte-
cipazione di suoi rappresentanti ai consigli di vigilanza, organi
delle Stanze.
Il complesso degli interventi degli anni Venti, volti alla rior-
ganizzazione delle competenze degli organi pubblici, lasciava
inoltre aperta la questione di una sistemazione organica del set-
tore del credito.
Nel1936, pertanto, in seguito all'emanazione del R.D.L. 12
marzo, n. 375, con il quale si ridefinì in modo organico tutta la
materia creditizia e si costituì l'Ispettorato per la difesa del ri-
sparmio e per l'esercizio del credito, si prese in considerazione
l'opportunità di provvedere al riordino delle Stanze di compen-
sazione. A ciò provvide il R.D.L. 8 giugno 1936, n. 1191, il qua-
le attribuì all'Ispettorato del credito le funzioni fino a quel mo-
mento demandate al ministero delle Finanze e al ministero delle
Corporazioni, delegando al capo del governo la facoltà di ema-
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 269
nare, con successivi decreti, le norme integrative e regolamentari
per la eventuale istituzione di nuove Stanze e per il funziona-
mento di quelle già esistenti nel Regno 72 • Le funzioni attribuite
all'Ispettorato dovevano ritenersi, in realtà, quelle originaria-
mente proprie del ministero di Agricoltura, industria e commer-
cio e del ministero del Tesoro, le cui competenze erano rifluite,
in seguito ai provvedimenti legislativi di riforma delle compe-
tenze ministeriali, nel novero delle funzioni del ministero delle
Corporazioni e di quello delle Finanze n.
La facoltà di promuovere l'istituzione di nuove Stanze pas-
sava quindi dal ministero delle Corporazioni (già Agricoltura, in-
dustria e commercio), di concerto con il ministero del Tesoro,
all'Ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del cre-
dito. Si poteva peraltro sostenere che anche la Banca d'Italia ac-
quistasse di fatto, per il tramite dell'Ispettorato, una capacità di
intervento sulla promozione dell'istituzione di Stanze e sulla de-
finizione delle proposte concernenti la disciplina del loro funzio-
namento: tali iniziative dovevano però essere approvate con «de-
creto del Capo del Governo» 7 4.
In virtù della qualificazione giuridica di istituto di diritto
pubblico, operata dalla legge bancaria del1936, la gestione delle
Stanze diveniva una funzione istituzionale 7 5.
La normativa dell936 sul riordino delle Stanze di compen-
sazione nulla diceva, peraltro, in merito alle competenze che la
72 L'articolo unico R.D.L. 8 giugno 1936 recitava: «Sono attribuite all'I-
spettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito le funzioni si-
nora demandate al Ministero delle Finanze e al Ministero delle Corporazioni
sulle Stanze di compensazione nel Regno. Con successivi decreti del Capo del
Governo saranno emanate le norme integrative e regolamentari per la eventuale
istituzione di nuove Stanze di compensazione e per il funzionamento di quelle già
esistenti nel Regno». Le funzioni attribuite all'Ispettorato rifluiranno nel1947,
con D.L.C.P.S. 17luglio, n. 691, nell'ambito dei compiti istituzionali dell'ente
pubblico Banca d'Italia.
73 Con R.D. 5 luglio 1923, n. 1439, le competenze del ministro di Agricol-
tura, industria e commercio erano state attribuite al nuovo ministero dell'Eco-
nomia nazionale, il quale divenne successivamente ministero dell'Agricoltura e
foreste, lasciando le altre competenze, relative all'industria e al commercio, al
ministero delle Corporazioni, istituito con R.D. 2 luglio 1926, n. 1131; d'altra
parte, il ministero del Tesoro, istituito per scissione dal ministero delle Finanze
(R.D. 26 novembre 1877, n. 4219), era stato fuso con quest'ultimo nel 1922
(R.D. 31 dicembre 1922, n. 1700).
74 Ai sensi del secondo comma articolo unico R.D.L. 1191/1936.
75 Art. 20 R.D.L. 375/1936.
270 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
legislazione precedente aveva assegnato alle camere di commer-
cio. Si poteva ritenere, ancor più che nel passato, che la funzio-
ne di vigilanza a questa attribuita non avesse più ragion d'esse-
re, dal momento che la gestione operativa delle Stanze era ades-
so affidata a un ente pubblico: sarebbe stata, tra l'altro, difficil-
mente concepibile la vigilanza di un ente locale sull'attività di un
ente di importanza nazionale.
Una esegesi sommaria del decreto 1191/1936 avrebbe potuto
far considerare, d'altra parte, che le funzioni attribuite all'Ispet-
torato fossero state semplicemente quelle precisate dalla norma-
tiva precedente per i ministeri delle Finanze e delle Corporazioni
(o per ministeri loro predecessori)7 6 ; e nell'ambito di tali funzio-
ni non era prevista, né per richiamo esplicito né per richiamo
implicito, quella di vigilanza sulle Stanze di compensazione. Si
sarebbe potuto concludere perciò che all'Ispettorato fosse passa-
ta solo la facoltà di proporre le norme regolatrici delle Stanze.
Tuttavia, nella relazione della Giunta generale del bilancio della
Camera dei deputati, redatta in occasione della conversione in
legge del decreto 77 , si accennava alla necessità di porre le Stanze
di compensazione sotto la sorveglianza di un <mnico» organo e di
affidare a questo, cioè all'Ispettorato per la difesa del risparmio,
le funzioni prima demandate al ministero delle Finanze e a quello
delle Corporazioni:
Il disegno di legge sottoposto al vostro esame contempla la conver-
sione in legge del R. D.L. 8 giugno 1936 n. 1191 sul riordinamento delle
Stanze di compensazione. In base alla legge 7 aprile 1881 furono isti-
tuite in varie città dell'Italia le Stanze di compensazione per il riscontro
dei biglietti pagabili a vista o al portatore e per la compensazione degli
altri titoli di credito. L'esercizio delle Stanze, dapprima affidato dalle
Camere di commercio a una o più banche di emissione, dal luglio 1926
fu demandato esclusivamente alla Banca d'Italia a seguito e per il di-
sposto del R.D.L. 6 maggio 1926 n. 812 che provvede alle norme per la
unificazione del servizio di emissione. Senonché procedutosi con R.D .L.
76 Riferimenti espliciti su tale materia si trovano negli artt. l e 3 R.D. 19
maggio 1881, n. 220, nell'art. 4legge 10 agosto 1893, n. 449, nell'art. 10 legge
17 gennaio 1897, n. 9, nell'art. 5legge 20 marzo 1910, n. 121, nell'art. 136 testo
unico di legge sugli istituti di emissione R.D. 28 aprile 1910, n. 204, nell'art. 3
R.D.L. 16 giugno 1927, n. 1071.
77 La relazione della Commissione finanza del Senato si esprimeva in termini
analoghi.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 271
12 marzo 1936 n. 375 alla disciplina e alla sorveglianza di tutte le azien-
de di credito mediante l'Ispettorato per la difesa del risparmio e per
l'esercizio del credito, si è reso necessario porre sotto questa sorveglian-
za anche le Stanze di compensazione e di conseguenza demandare allo
stesso Ispettorato le funzioni attribuite al Ministero delle Finanze e al
Ministero delle Corporazioni.
Il provvedimento si è presentato con carattere di urgenza e ad esso
provvede il primo comma dell'articolo unico del decreto legge in esame.
ll secondo comma stabilisce che per la eventuale istituzione di nuove
Stanze di compensazione e per il funzionamento di quelle già esistenti
nel Regno si provvederà con successivi decreti del Capo del Governo. Il
regio decreto legge in esame, che provvede al duplice scopo di unificare
la disciplina delle Stanze di compensazione e di affidare la sorveglianza
ad un unico organo, ha già avuto l'approvazione del Senato del Regno.
La vostra Giunta vi propone ora di approvare la conversione in legge.
T aie relazione rivelava il pensiero del legislatore e doveva es-
ser tenuta presente ai fini di una corretta interpretazione. Nelle
premesse della legge, dopo il richiamo alle varie disposizioni re-
golanti la materia, veniva precisato, come si è visto, che il prov-
vedimento era ispirato dalla urgente necessità di addivenire alla
disciplina, su basi uniformi, di tutte le Stanze di compensazione:
ciò testimoniava la precisa volontà di innovare la preesistente
situazione. Non più dunque ingerenza dei consigli provinciali
dell'economia, non più interventi dei ministeri delle Finanze e
delle Corporazioni, ma competenza unica dell'Ispettorato per la
difesa del risparmio, giustificata dal riassetto generale della ma-
teria del credito.
Il carattere innovativo della legge n. 1191 era ancora più ma-
nifesto nel secondo comma dell'articolo unico; questo dava fa-
coltà al capo del governo di emanare con successivi decreti le
norme integrative e regolamentari sia per la eventuale istituzione
di nuove Stanze sia per il funzionamento di quelle già esistenti.
Veniva accordata quindi un'ampia facoltà di regolare, in modo
anche del tutto innovativo, l'istituzione e il servizio delle Stanze,
in considerazione della riconosciuta necessità di approdare a una
disciplina unitaria e più aderente al carattere pubblicistico della
funzione. In particolare, la legge non prevedeva più in modo ca-
tegorico, come le precedenti, la promozione di nuove Stanze, né
faceva cenno all'esigenza di sollecitare l'organizzazione di speci-
fiche associazioni allo scopo, ma precisava che sarebbero state
272 Ricercbe per la storia della Banca d'Italia V
senz' altro dettate norme per regolare tali istituzioni. Si doveva
ritenere quindi che l'intenzione del legislatore fosse quella di sot-
trarre la eventuale istituzione di nuove Stanze alla preventiva
costituzione di associazioni e di voler unificare la disciplina di
quelle esistenti, sopprimendo le norme frammentarie e talvolta
contraddittorie contenute nei singoli statuti o nei regolamenti
delle varie associazioni.
Nella legislazione del1936 erano tracciate pertanto non solo
le linee generali della riforma del settore, ma gli elementi fonda-
mentali per la costituzione e il funzionamento delle Stanze di
compensazione.
In altre aree della legislazione, la rilevanza generale delle
Stanze quali istituzioni veniva infine ribadita da alcune disposi-
zioni concernenti la materia dei titoli di credito e dei mezzi di
pagamento.
La prima, in ordine cronologico, fu quella contenuta nell'art.
43, secondo comma, della legge cambiaria del1933 78 , in base alla
quale la presentazione della cambiale a una Stanza di compensa-
zione equivaleva a presentazione per il pagamento a tutti gli ef-
fetti. La seconda norma, di analogo tenore rispetto alla prece-
dente, fu quella prevista nell'art. 34 della legge sull'assegno, dello
stesso anno 79 , che equiparava anche la presentazione dell'asse-
gno in Stanza alla «presentazione per il pagamento». L'art. 45 di
questa ultima legge assimilava poi la dichiarazione di mancato
pagamento rilasciata dalla Stanza all'atto di protesto.
Infine, un'ulteriore disposizione avente riflessi sulle Stanze
fu quella prevista all'art. 15 R.D. 29 marzo 1942, n. 239: de-
mandando al capo della Stanza il trasferimento dei titoli azionari
ivi trattati, tale norma conferl alle Stanze una funzione di rile-
vanza pubblica.
La ricostruzione storica fin qui svolta consente di seguire le
vicende delle Stanze sotto il profilo istituzionale; essa permette
altresl di delineare l'evoluzione della natura giuridica del servizio
da queste assicurato.
Inizialmente il servizio di compensazione rappresentava
un'attività di natura privatistica, gestita da privati, ma di inte-
resse pubblico, in quanto la legge riteneva compito del governo
78 R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669.
79 R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 273
promuovere l'istituzione delle strutture che l'avrebbero assicu-
rata; compito di un ente pubblico locale vigilare sullo svolgimen-
to del servizio; compito dello Stato dettarne la disciplina di fun-
zionamento. Allorché la gestione delle Stanze passò in via
esclusiva all'istituto di emissione (1926), al quale, d'altra parte,
per previsione legislativa, veniva riconosciuta la qualifica di ente
pubblico (1936), l'attività condotta per l'esercizio delle Stanze
perse la sua natura privatistica, in quanto divenuta una delle fun-
zioni di un ente pubblico. Lo svolgimento delle operazioni attra-
verso istituti giuridici di diritto privato nulla toglieva alla natura
pubblicistica del servizio 80 •
Per altro verso, non poteva più dirsi che la Stanza avesse man-
tenuto la sua natura associativa, in quanto l'attribuzione della
gestione del servizio a un ente pubblico faceva venir meno l'e-
sigenza di costituire un «terzo» soggetto cui affidare il compito di
gestione.
La produzione normativa che si era susseguita nel corso del
tempo aveva, tuttavia, delineato un quadro giuridico frammen-
tario e scarsamente puntuale, che dava adito a interpretazioni
giuridiche divergenti.
Sulla problematica giuridica delle Stanze e sui riflessi che ne
scaturivano sul piano operativo, né la dottrina, né il mondo po-
litico e degli affari, né le stesse strutture della Banca d'Italia com-
petenti trovarono perciò soluzioni concordi. Del dibattito che si
sviluppò sulla materia si occuperanno i capitoli che seguono.
3. Le norme di funzionamento: gli statuti e i regolamenti
Si è in precedenza visto che, in base all'art. 2, secondo com-
ma, della legge 133/1881 e all'art. 3 R.D. 220/1881, le disposi-
zioni riguardanti il funzionamento delle Stanze dovevano essere
adottate con decreto reale; si è pure visto che il secondo comma
dell'articolo unico R.D.L. 1191/1936 aveva, invece, disposto che
tali norme dovessero essere emanate con decreto del capo del
governo. Per legge, quindi, la disciplina del funzionamento delle
Stanze rientrava nel potere regolamentare del governo, che po-
8
° Così come avviene, per fare uno degli esempi possibili, con i servizi di
trasporto municipalizzati.
274 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
teva esercitarlo sulla base di una proposta formulata dal ministro
di Agricoltura, industria e commercio, di concerto con il mini-
stro del Tesoro, prima (secondo l'art. 2 R.D. 220/1881); dell'I-
spettorato del credito, dopo il 1936; dell'istituto di emissione,
infine, ai sensi dell'art. 2 D.L.C.P.S. n. 691 del1947.
Peraltro, detto potere regolamentare non fu mai esercitato.
In mancanza dell'emanazione dei provvedimenti previsti dalla
legislazione, l'attività delle Stanze fu disciplinata dagli statuti e
dai regolamenti in vigore nelle diverse città. Questi ultimi tro-
vavano la loro legittimazione nelle associazioni che gestivano il
servizio di compensazione.
In taluni casi, lo statuto ebbe a fondamento la costituzione
dell'associazione; in altri, l'esercizio della Stanza si basava sul
regolamento, approvato dalla camera di commercio locale, nel
quale erano inserite norme di carattere più propriamente statu-
tario.
Ne derivò che le Stanze non ebbero mai una regolamenta-
zione univoca; il loro funzionamento su basi uniformi fu assicu-
rato dalle Norme di servizio interno per ilfunzionamento delle Stan-
ze introdotte dalla Banca d'Italia.
Ma se poterono considerarsi legittimi fino a quando restò ine-
quivocabile la natura associativa delle Stanze, in quanto sostitu-
tivi delle norme primarie di competenza del governo, era dubbio
che gli statuti e i regolamenti mantenessero il loro fondamento
giuridico una volta affidato l'esercizio delle Stanze, in via esclu-
siva, a un ente di natura pubblica. Si poteva, infatti, sostenere
che quest'ultimo, in assenza dei regolamenti governativi, fosse
l'unico soggetto legittimato a dettare le norme per la gestione
delle Stanze. Poiché, tuttavia, la legge non conferì esplicitamen-
te tale potere all'unico ente gestore, si ritenne che le disposizioni
impartite dalla Banca, volte a uniformare il funzionamento delle
Stanze e a rispondere alle esigenze operative che via via emer-
gevano, non avessero la natura di regolamento amministrativo in
senso proprio, bensì quella di semplice regolamento interno. In
assenza di provvedimento amministrativo di carattere normati-
vo, le norme emanate dall'Istituto si configuravano quindi come
«condizioni generali di contratto».
Da ciò derivò la necessità di un atto di accettazione (anche
tacita) della disciplina avente riflessi sull'attività degli aderenti.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 275
4. L'attività delle associazioni e dei consigli di vigilanza
I mutamenti del quadro legislativo e la mancata emanazione
delle norme di funzionamento delle Stanze ampliarono gli effetti
delle tensioni esistenti tra le diverse categorie di operatori ade-
renti per il controllo della gestione delle Stanze; tensioni che pre-
sero ad acuirsi con l'aumento del volume degli affari e del nu-
mero degli associati.
Ciò ebbe un riflesso sull'attività degli organi della Stanza,
per i quali si produsse ben presto una situazione di paralisi. In
particolare, con l'emanazione della legislazione del1926, presso
alcune importanti piazze borsistiche cessarono di esistere le as-
sociazioni per l'esercizio delle Stanze; molti consigli di vigilanza
divennero praticamente inattivi. Laddove mantenuti o ricosti-
tuiti, tali organi trovarono comunque la loro giustificazione
esclusivamente in motivi di opportunità connessi con la specifi-
cità delle operazioni concernenti la liquidazione dei valori mo-
biliari.
Si avvertì quindi ben presto la necessità di una riforma del
quadro normativo volta a definire compiutamente le funzioni e i
ruoli che dovevano essere esercitati dalle associazioni, dalle ca-
mere di commercio, dall'ente gestore, dai consigli di vigilanza e
dagli associati. La Banca d'Italia promosse una riflessione inter-
na che aveva lo scopo di chiarire quali fossero state le configu-
razioni originarie di tali soggetti e quali mutamenti fossero stati
introdotti dalle norme emanate successivamente in materia.
Sollecitate dalla legislazione del 1881, le associazioni costi-
tuite per l'esercizio delle Stanze, fin dal proprio sorgere, erano
state sottoposte a una congerie di vincoli che avevano limitato
significativamente la capacità degli assodati di gestire in proprio
le Stanze. Tali limitazioni avevano fatto ben presto dubitare che
di vere e proprie associazioni potesse continuarsi a parlare: le
associazioni che concretavano l'istituzione delle Stanze manca-
vano infatti del potere di iniziativa; mancavano anche della po-
testà di scelta del gestore del servizio, essendo questo, per legge,
affidato dapprima alla camera di commercio, e per delega di que-
sta agli istituti di emissione consorziati, successivamente alla sola
Banca d'Italia. Comunque costituita, nessuna delle associazioni
disponeva di un proprio patrimonio, né era previsto ne fosse do-
tata; nessuna era in condizione di utilizzare una propria sede.
276 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Agli associati era, inoltre, preclusa ogni manifestazione di volon-
tà contrattuale che non fosse quella di recedere dalla associazio-
ne; era loro inibita, infine, la facoltà di deliberare lo scioglimento
dell'associazione, e, talvolta, quella di approvare le tariffe pro-
poste dall'istituto gestore.
Gli stessi statuti costituivano talora il fondamento delle Stan-
ze, mentre altre volte prendevano in considerazione gli associati
alla stregua di meri abbonati al servizio di compensazione.
Alla fine del1936 era apparsa poi definitivamente mutata la
configurazione dei consigli di vigilanza. In base alle norme pre-
viste dai vecchi regolamenti delle Stanze, i consigli dovevano es-
sere composti da rappresentanti di organismi pubblici e delle
banche81 ; avevano il compito di curare il regolare funzionamento
delle Stanze, di controllare l'esatto adempimento degli obblighi
assunti dall'istituto esercente, e in particolare di deliberare sulle
domande di ammissione, sulla esclusione degli associati e sui re-
clami presentati dagli uffici delle Stanze e dagli aderenti.
Nei fatti, i consigli di vigilanza deliberavano su tutti i prov-
vedimenti atti ad agevolare e a migliorare il servizio di compen-
sazione; decidevano discrezionalmente sulle controversie insorte
tra gli associati durante le operazioni della compensazione o nelle
fasi successive; provvedevano alla chiusura delle liquidazioni nei
casi di sospensione o di fallimento di un associato; proponevano
le condizioni tariffarie alla camera di commercio; richiamavano
81
I consigli erano composti esattamente dal delegato della Camera di com-
mercio, dal presidente della deputazione di borsa o, in sua assenza, da uno dei
componenti della deputazione medesima, dal presidente del sindacato degli agen-
ti di cambio, da un rappresentante delle banche e dei banchieri della piazza de-
signato dall'Associazione bancaria italiana. La nomina del rappresentante del Te-
soro comparve negli statuti e nei regolamenti più recenti (1926-27) relativi alle
tre Stanze di Bologna Padova e Livorno, mentre negli ordinamenti delle altre
Stanze (Milano, Napoli, Roma, Torino, Trieste e Venezia), tutti anteriori, vi era
solo un accenno al membro della deputazione di borsa o del comitato direttivo.
Lo statuto di Firenze non prevedeva nemmeno il rappresentante della deputa-
zione e del Comitato direttivo, mentre per la Stanza di Genova il regolamento
non contemplava la costituzione del Consiglio di vigilanza. Per la Stanza di Pa-
dova, l'inclusione nel Consiglio di vigilanza del rappresentante del ministero del
Tesoro venne perorata in occasione dell'istituzione della Stanza stessa (1926)
dall'allora competente ministero dell'Economia nazionale, il quale fece, nella cir-
costanza, riferimento all'art. 136 testo unico sugli istituti di emissione e sulla
circolazione dei biglietti di banca. Nulla risulta invece in ordine all'introduzione
di una analoga previsione nello statuto della Stanza di Bologna, anteriore a quello
di Padova.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 277
gli associati all'osservanza del regolamento. L'operato dei consi-
gli, peraltro, non si limitava ai rapporti fra gli associati, ma si
estendeva alle modalità di funzionamento delle Stanze, stabilen-
do spesso, d'accordo con l'istituto esercente, l'orario del ciclo
operativo delle compensazioni e le penalità da applicare agli ope-
ratori che ostacolavano il normale svolgimento delle operazioni o
che si rendevano responsabili di inosservanze alle disposizioni
regolamentari.
Nel corso del tempo, le alterne vicende delle Stanze, deter-
minate dagli avvenimenti storici che condizionarono la vita del
paese ma soprattutto dall'incerto quadro giuridico, ostacolarono
l'attività dei consigli di vigilanza. Furono, tuttavia, gli interessi
contrapposti delle diverse categorie di operatori fruitori dei ser-
vizi a far venir meno, in molte Stanze, la funzione di tali organi82 .
La questione connessa con la composizione e con l'ambito di
attribuzione dei consigli di vigilanza si trascinò negli anni. Gli
interessi economici della piazza lombarda fecero di Milano il cen-
tro della querelle giuridica. Sulla problematica si rifletté peraltro
anche l'incertezza relativa alla sopravvivenza di una funzione di
«vigilanza», o di una possibilità di ingerenza, sull'attività delle
Stanze, delle camere di commercio che, secondo alcune tesi, in
seguito alla soppressione dei consigli provinciali dell'economia
dovevano considerarsi ricostituite.
Gli operatori che si avvalevano delle Stanze tesero a soste-
nere, comunque, che i consigli di vigilanza non si identificavano
con le camere di commercio, pur essendo stati influenzati, nella
individuazione delle loro funzioni, dalle alterne sorti che queste
ultime avevano avuto. Il Consiglio di vigilanza di Milano, quin-
di, doveva essere considerato un organo autonomo istituito sul-
la base della convenzione del 1905, rinnovata nel 1913 e nel
1922, fra la Camera di commercio di Milano e la Banca d'Italia
per la continuazione dell'esercizio della Stanza di compensazio-
ne locale.
Con tale tesi si ribadiva l'esistenza di una disciplina, in mi-
nima parte legislativa e in ben maggior misura convenzionale,
82 A tutto il 1957 i consigli di vigilanza risultavano formalmente costituiti
presso le Stanze di Firenze, Livorno, Napoli, Padova, Roma, Torino, Trieste e
Venezia, ma non in quella di Milano.
278 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
mai esplicitamente abrogata 8 >. Le ragioni che conducevano a tale
affermazione risiedevano soprattutto nell'interesse degli aderen-
ti alla Stanza di deliberare in autonomia su aspetti importanti
dell'attività, fra cui particolare rilevanza assumevano la fissazio-
ne delle tariffe di abbonamento e la definizione dei criteri di
ammissione di nuovi operatoris4.
Detta posizione fu a lungo sostenuta non solo dagli operatori
della Stanza di Milano, ma anche dalla stessa sede locale della
Banca d'Italia. Prendendo in considerazione una istanza della
sede di Milano, la Consulenza legale della Banca d'Italia già nel
1948 aveva espresso il convincimento che pur non sussistendo
più alcun ruolo delle camere di commercio sulle Stanze, non po-
tevano considerarsi prive di fondamento le ragioni di opportu-
nità che militavano a favore della costituzione o del manteni-
mento in vita di un organismo di emanazione degli associati. Si
sarebbe, comunque, dovuto prevedere che la presidenza di tale
organo fosse affidata al direttore della sede locale della Banca
d'Italia; ciò avrebbe permesso il coordinamento e il raccordo del-
la Stanza con le istituzioni esterne interessate alle attività da essa
condotte.
A sostegno delle considerazioni della Consulenza legale e della
sede di Milano si portava spesso l'esempio della Stanza di Livor-
no, la quale, anche dopo l'emanazione della normativa di riordino
sulle camere di commercio, aveva stipulato una nuova convenzio-
ne con la Camera di commercio locale allo scopo di favorire un
migliore collegamento tra la Banca d'Italia e gli altri organismi
interessati allo svolgimento delle liquidazioni di borsa85 •
In definitiva, pur riaffermando il proprio ruolo, la Banca d'I-
talia si mostrava disponibile a tener conto degli interessi degli
83 Cfr. sul punto, da ultimo, un documento del presidente del Comitato di-
rettivo degli agenti di cambio della borsa valori di Milano del 14 maggio 1974,
indirizzato ai membri del Consiglio di vigilanza della Stanza di compensazione
locale, in ASBI Fondo Rapporti interno · Stanze di compensazione.
84
Secondo detti operatori doveva parlarsi di ammissione alla associazione
piuttosto che, come sosteneva la Banca d'Italia, di adesione al servizio. A tale
scopo si faceva riferimento alle norme contenute nell'art. 15 R.D. 29 marzo 1942
n. 239, concernente il trasferimento delle azioni nominative a mezzo della Stanza
di compensazione, in cui si parla di «associati alla Stanza». Questa tesi è stata
ribadita anche in epoca recente dal Comitato direttivo degli agenti di cambio di
Milano (1960).
85 Documento della Consulenza legale del20 aprile 1948, in ASBI, Fondo
Rapporti interno · Stanze di compensazione.
R. Bri:d e S. Petricola Le Stanze di compensazione 279
operatori e assumeva un atteggiamento informato a spirito di col-
laborazione sia con gli aderenti sia con gli organismi pubblici rap-
presentativi delle categorie di soggetti fruitori dei servizi di
compensaziones6.
5. I progetti di nuovo regolamento e il nuovo schema di legge
Nonostante una supremazia del regolamento della Stanza di
Milano e il graduale allineamento degli statuti e dei regolamenti
delle altre Stanze alle previsioni che regolavano il funzionamento
della Stanza milanese, già a partire dalla fine degli anni Venti si
ravvisò l'esigenza di porre mano a una riforma che provvedesse
a uniformare la disciplina dei servizi di compensazione.
II tentativo di unificare i regolamenti si accompagnò a un
progetto di provvedimento legislativo in materia di Stanze87 ; en-
trambi i progetti di riforma furono elaborati nell'ambito della
Banca d'Italia.
La predisposizione dello schema di legge e del progetto di
nuovo regolamento teneva conto sia della disciplina giuridica pre-
vista, in materia, dagli ordinamenti degli altri paesi, sia delle con-
suetudini che si erano affermate nella prassi operativa seguita
nelle Stanze italiane.
Lo schema di legge, predisposto intorno al 1933, aveva in
particolare lo scopo di riordinare le disposizioni concernenti le
Stanze di compensazione dopo l'emanazione del R.D.L. 6 mag-
gio 1926, n. 812.
Nella bozza di disegno di legge era previsto che le Stanze
potessero essere istituite, su proposta dei consigli provinciali del-
l'economia e su parere favorevole della Banca d'Italia, per deci-
sione del ministro delle Finanze di concerto con il ministro delle
Corporazioni. Ai consigli dell'economia sarebbe spettato il com-
pito di curare, d'accordo con la Banca d'Italia, la costituzione in
86 Il Consiglio di vigilanza di Milano fu ricostituito nel 1974 con veste di-
versa da quella originaria e con funzioni essenzialmente consultive. D'altronde il
Comitato direttivo degli agenti di cambio, che caldeggiò la ricostituzione del
Consiglio, mirava essenzialmente a disporre di un organismo di consultazione e
di collaborazione fra gli aderenti alla Stanza e le autorità che gestivano il servizio.
87 Documento X-2-11 del23 gennaio 1932, in ASBI, Fondo Rapporti in-
terno - Stanze di compensazione.
280 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
associazione degli istituti di credito, dei banchieri e, nelle città
sedi di borse valori, degli agenti di cambio e commissionari di
borsa. La proposta di legge ribadiva che l'esercizio delle Stanze
era affidato dall'ordinamento, in via esclusiva, alla Banca d'Italia
e che il funzionamento delle stesse Stanze sarebbe stato discipli-
nato dalle disposizioni regolamentari, approvate con decreto del
ministro delle Finanze, di concerto con il ministro delle Corpo-
razioni, su proposta della Banca d'Italia. L'associazione avrebbe
nominato un consiglio di vigilanza, il quale avrebbe assunto il
compito di sorvegliare il regolare svolgimento dei rapporti degli
associati fra loro e con la Stanza di compensazione, decidendo
sull'ammissione di nuovi partecipanti sulla base di criteri prede-
terminati. Del consiglio avrebbero fatto parte di diritto il rap-
presentante del Consiglio provinciale dell'economia, che ne sa-
rebbe stato il presidente, un rappresentante della Banca d'Italia,
un membro della Confederazione nazionale fascista del credito e
delle assicurazioni e, eventualmente, il presidente del sindacato
degli agenti di cambio. Era inoltre prevista l'assimilazione delle
operazioni di prorogato pagamento presso le Stanze di compen-
sazione a quelle previste dall'art. 13, n. 2, dello statuto della Ban-
ca d'Italia88 •
Lo schema di legge fu presentato alla Confederazione bancaria
fascista e al Consiglio nazionale dell'economia. La Federazione
bancaria formulò proposte di modifica concernenti il funziona-
mento delle Stanze con particolare riferimento a quella di Milano.
T ali proposte traevano origine dagli approfondimenti condotti
sulle esperienze delle Stanze di compensazione inglesi, francesi e
tedesche; la maggior parte delle richieste di modifica non venne
però accolta dalla Banca d'Italia in quanto ciò avrebbe compor-
tato un ridimensionamento giuridico e funzionale delle Stanze
con possibile nocumento per le stesse banche partecipanti89 • Fu
accolta, invece, l'indicazione di escludere dalle Stanze coloro che
non fossero intermediari del sistema finanziario, lasciando, tut-
tavia, agli operatori non finanziari già aderenti da epoca anteriore
88 Si fa riferimento al privilegio spettante alla Banca a norma dell'art. 456
del codice di commercio.
89 La questione riguardava il mantenimento delle liquidazioni di borsa pres-
so le Stanze.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 281
alla pubblicazione dei provvedimenti la facoltà di continuare a
partecipare alle operazioni.
L'innovazione peraltro si sarebbe in seguito scontrata con l'e-
sigenza di mantenere inalterati i proventi delle Stanze e soprat-
tutto con il dissenso del ministero delle Finanze, favorevole a
una più ampia partecipazione di enti e privati. Le divergenze in
materia di accesso alle Stanze erano riconducibili ai diversi orien-
tamenti maturati in ambito ministeriale, dagli organismi corpo-
rativi e dalla stessa Banca d'Italia, sulla natura giuridica e sulle
funzioni delle Stanze. La Confederazione fascista del credito
aveva manifestato il convincimento che le Stanze rappresentas-
sero strutture coessenziali ai mercati finanziari e perciò utilizza-
bili solo dagli operatori ufficiali di detti mercati. Il ministero del-
le Finanze, invece, pareva aderire a una interpretazione estensiva
della funzione delle Stanze. La Banca d'Italia infine, da parte
sua, aveva all'epoca già maturato il convincimento che fossero
venuti meno i compiti, vari, per i quali le Stanze erano state
originariamente istituite. Alle Stanze era rimasto, ad avviso della
Banca, il compito di assicurare il servizio di compensazione e di
regolamento dei pagamenti interbancari (oltre alla liquidazione
dei titoli in talune sedi), ed era proprio alla luce di tale conside-
razione che l'Istituto riteneva opportuno provvederne il riordi-
no. Le società, le ditte, gli enti e i soggetti che non fossero istituti
di credito, banchieri, agenti di cambio o commissionari di borsa
avrebbero continuato a partecipare alle Stanze solo transitoria-
mente e purché associati alla data dell'emanazione del provvedi-
mento.
Il disegno di legge affrontava così la problematica connessa
con l'accesso alle Stanze di compensazione, una delle questioni
cruciali della materia, risolvendola però soltanto in parte. La pro-
posta, infatti, provvedeva a individuare con precisione la quali-
fica dei soggetti legittimati a chiedere I' ammissione, ma adottava
una soluzione di compromesso circa i poteri dell'organo che
avrebbe dovuto deliberare sulla richiesta. Data l'incertezza del
quadro normativa e l'ipotesi che sopravvivessero i consigli di vi-
gilanza nelle funzioni loro attribuite dagli originari statuti e re-
golamenti, il potere di decidere sulle istan~e di adesione avrebbe
potuto continuare a far capo proprio ai consigli, a dispetto del-
l'interesse della Banca d'Italia di selezionare essa stessa l'accesso
degli operatori al fine di prevenire (o limitare) l'insorgere di si-
282 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
tuazioni critiche nel sistema dei pagamenti. In tali condizioni,
inoltre, considerati i diversi orientamenti della dottrina sulla pos-
sibilità che la legislazione del 1926 avesse operato l'abrogazione
implicita delle norme degli statuti relative alle funzioni dei con-
sigli di vigilanza, le deliberazioni negative dei consigli di vigilan-
za sulle richieste di adesione si sarebbero probabilmente esposte
all'attivazione di due strumenti di tutela: il primo avrebbe com-
portato l'impugnativa della delibera per carenza dei poteri deli-
berativi dell'organo; il secondo, l'impugnativa nel merito della
decisione assunta. Da ciò era scaturita l'esigenza, avvertita dalla
Banca, di vincolare l'attività dei consigli di vigilanza a criteri
obiettivi, che avrebbero dovuto consentire l'accoglimento solo
delle richieste formulate dagli operatori realmente interessati al
pieno utilizzo dei servizi di compensazione.
Il progetto di nuovo regolamento fu redatto sulla base delle
previsioni contenute nello schema di legge. La riforma delle di-
sposizioni regolamentari, ritagliata sul regolamento della Stanza
di Milano, era dettata dall'esigenza di eliminare gli elementi di
contraddizione esistenti tra le previsioni fino ad allora vigenti
nelle diverse Stanze e la nuova situazione giuridica determinatasi
con la legislazione del 1926; in particolare, la riforma doveva
tener conto del fatto che, in seguito alla emanazione del R.D.
812/1926, l'associazione degli aderenti veniva a configurarsi
«quale semplice associazione fra abbonati a un servizio e a fini
specialmente disciplinari nei riguardi degli abbonati stessi»90 •
Le norme che avrebbero disciplinato l'esercizio e il funzio-
namento della Stanza, in sostituzione degli statuti e dei regola-
menti fino ad allora vigenti, vennero raccolte in un unico testo
suddiviso in due parti: la prima, dedicata alle «disposizioni ge-
nerali», disciplinava l'associazione degli aderenti, il consiglio di
vigilanza e gli associati, stabilendo l'ordinamento interno delle
Stanze; la seconda, denominata «funzionamento della Stanza di
compensazione», raccoglieva, in quattro titoli, le disposizioni re-
lative alle operazioni della Stanza.
Il progetto di nuovo regolamento introduceva importanti in-
novazioni. In particolare, prevedeva che l'associazione avrebbe
dovuto configurarsi quale semplice associazione di utenti del ser-
90 Documento X-2-12 dell928, in ASBI, Fondo Rapporti interno- Stanze
di compensazione.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 283
vizio, utile ai fini della partecipazione degli operatori alle attività
della Stanza, ma non necessaria per la istituzione e per l'esercizio
della Stanza stessa. Nessuna menzione veniva fatta di una pre-
sunta funzione di vigilanza della camera di commercio; si attri-
buiva invece al consiglio il compito di vigilare sulla gestione e sui
rapporti fra gli associati e tra questi e la Stanza.
Dal progetto scaturiva un ridimensionamento dei poteri dei
singoli associati, che avrebbero potuto intervenire soltanto nella
scelta dei membri elettivi del consiglio di vigilanza. Particolare
rilievo assumevano infine le disposizioni che connotavano l'in-
tervento e i poteri della Stanza e quindi della Banca d'Italia. In
primo luogo, il progetto riconosceva a tutte le Stanze la possibi-
lità di apportare alle disposizioni regolamentari le integrazioni o
le modifiche che si fossero rese necessarie in seguito all' evolu-
zione operativa. Tale facoltà veniva concessa al consiglio di vi-
gilanza; la Banca d'Italia avrebbe dovuto concedere la propria
autorizzazione preventiva. Secondo il progetto di regolamento,
la Banca d'Italia avrebbe assunto il compito di gestire le ope-
razioni delle Stanze e di favorire l'attività del consiglio di vigi-
lanza.
Per la prima volta inoltre il regolamento prevedeva la possi-
bilità di introdurre misure atte a prevenire il manifestarsi di si-
tuazioni di rischio nell'ambito della compensazione: per i parte-
cipanti alle liquidazioni mensili, ad eccezione degli agenti di
cambio, delle società e degli istituti di credito con capitale non
inferiore a 5 milioni di lire, il consiglio di vigilanza avrebbe po-
tuto prevedere il versamento di una cauzione da utilizzare nei
casi di inadempienza91 • La disposizione mirava a eliminare l'e-
venienza di situazioni di rischio e a indurre gli operatori a com-
portamenti corretti nell'ambito della compensazione.
Di particolare rilievo, sempre ai fini dell'ordinato svolgimen-
to delle operazioni della Stanza, era poi la previsione che sanciva
la legittimità di un procedimento che sarebbe entrato nell'uso
corrente nei decenni successivi: la possibilità di emissione di stru-
menti, denominati «buoni di cassa», nelle fasi di chiusura della
91 Tale disposizione, che non si rintracciava in nessun regolamento fino ad
allora vigente, era stata inserita in una bozza di statuto e di regolamento elabo-
rata a Trieste d'intesa fra la Banca d'Italia e il Consiglio di vigilanza. Tale pro-
getto non era peraltro mai giunto alla fase di approvazione.
284 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
liquidazione dei titoli. La disposizione prevedeva che la Stanza
potesse, in via eccezionale, e previa autorizzazione del sindacato
di borsa, consentire all'associato, in momentanea difficoltà per il
regolamento della propria posizione in titoli, di emettere o con-
segnare a un associato creditore della stessa specie titolo, indi-
cato dalla Stanza sulla base delle risultanze finali della liquida-
zione, documenti contenenti l'impegno alla consegna futura dei
valori dovuti. La norma rappresentava, in realtà, una riprodu-
zione delle previsioni contenute nei regolamenti fino ad allora
vigenti. Le disposizioni del progetto di regolamento stabilivano
però che l'impiego dei buoni cassa sarebbe stato possibile solo a
condizione che il sindacato di borsa avesse, preliminarmente,
concesso la propria autorizzazione. La disposizione avrebbe con-
sentito alla Banca d'Italia di evitare di accollarsi la responsabilità
di «dichiarare chiuse» le liquidazioni di borsa pur in mancanza
della consegna materiale di tutti i titoli dovuti dagli aderenti de-
bitori; la Banca avrebbe così realizzato l'obiettivo di limitare il
proprio ambito di intervento e le proprie responsabilità nella ge-
stione dei servizi.
La Confederazione bancaria fascista aveva peraltro richiesto
con insistenza, in fase di elaborazione del progetto, che questa
norma prevedesse che la «consegna dei buoni sia subordinata al
versamento alla Stanza da parte dell'associato di una somma in
contante pari al valore dei titoli nominativi valutati in base al-
l'ultimo prezzo ufficiale stabilito dal sindacato di borsa» e che la
restituzione del deposito fosse effettuata solo alla presentazione
del buono cassa estinto; trascorsi dieci giorni dal rilascio, l'asso-
ciato in possesso dei buoni cassa avrebbe avuto la possibilità di
chiedere e ottenere dalla Stanza lo svincolo, in suo favore, della
somma depositata in garanzia, fatta salva ogni ulteriore azione
per la differenza 92 • La Banca si era però rifiutata di accogliere la
richiesta della Confederazione fascista; essa nutriva il timore che
una disposizione in tal senso avrebbe potuto incrementare l'im-
piego di questi «titoli» per il regolamento delle posizioni di Stan-
za. La Banca, in particolare, si mostrava convinta che tale pre-
92 Tale norma assumeva particolare rilievo perché anticipava l'introduzione
di una misura parzialmente analoga negli anni del rilancio dell'attività di borsa
nel 1985 e delle conseguenti difficoltà degli operatori a effettuare la consegna
materiale dei titoli negoziati sul mercato e trattati nelle liquidazioni di borsa.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 285
visione, se introdotta, avrebbe contraddetto le finalità stesse
della liquidazione, poiché avrebbe rischiato di compromettere
I' esecuzione delle operazioni nei termini prescritti; avrebbe in-
centivato operazioni di arbitraggio fra piazze; fornito il sostegno
al gioco della speculazione; prodotto un'incontrollata diffusione
di buoni cassa, trasformando una possibilità operativa eccezio-
nale in una modalità di regolamento irregolare.
Il progetto di regolamento stabiliva, pertanto, che nei casi di
difficoltà ad adempiere sarebbe stato il consiglio di vigilanza,
d'intesa con il sindacato di borsa, a rilasciare agli associati, che
ne avessero fatto richiesta scritta, un certificato di attestazione
del ritardo nella consegna dei titoli. Tutto ciò con l'obiettivo di
favorire al tempo stesso il buon esito delle liquidazioni e di re-
sponsabilizzare il sindacato di borsa sulla problematica connessa
con i casi di insolvenza o di ritardato adempimento, ridimensio-
nando, nel caso di specie, il ruolo del consiglio di vigilanza, di cui
peraltro avrebbe fatto parte anche un rappresentante della Banca
d'Italia.
Dal progetto di nuovo regolamento anche i consigli di vigi-
lanza sarebbero quindi usciti riformati. I regolamenti ancora in
vigore, infatti, assegnavano ai consigli il compito di attribuire,
sia pure sulla base delle indicazioni fornite dalla Commissione
dei creditori, le somme e i titoli di compendio nei casi di insol-
venza. Il progetto di nuovo regolamento provvedeva invece ad
attribuire al sindacato di borsa la responsabilità sia di gestire si-
mili evenienze, sia di promuovere l'amichevole composizione di
tutti gli interessi coinvolti. In alternativa, o in caso di fallimento
del tentativo, il sindacato di borsa avrebbe dovuto dare disposi-
zioni atte a consentire la consegna dei titoli, secondo quanto sta-
bilito dalla legge, dai regolamenti speciali di borsa e dalla nuova
normativa sulle Stanze. In realtà tale previsione recepiva la si-
tuazione di fatto che si era determinata nel corso del tempo. Il
consiglio di vigilanza aveva infatti costantemente teso a ridimen-
sionare il significato del proprio intervento in queste circostanze,
procurandosi l'assenso preventivo del sindacato di borsa nei casi
sia di sistemazione concordata delle pendenze, sia di ricorso agli
strumenti di tutela giurisdizionale.
Una volta esaurite le consultazioni con gli organismi esterni il
progetto di nuovo regolamento e lo schema di legge furono pre-
sentati ai dicasteri competenti per materia. Il ministero delle
286 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Corporazioni rimise la documentazione a quello dell'Agricoltura
e delle foreste, il quale diede il suo assenso di massima. Il dica-
stero delle Finanze, nel gennaio 1935, dopo rinnovati solleciti,
fece invece sapere di ritenere «non essere quello il momento più
indicato per porre mano a riforme» nella materia; materia che
comunque avrebbe dovuto essere esaminata, al momento oppor-
tuno, anche alla luce delle esigenze e degli orientamenti maturati
dalle altre istituzioni pubbliche, quali le borse valori, interessate
all'ordinato svolgimento delle attività dei mercati finanziari.
Nonostante l'invito a soprassedere all'iniziativa, l'ammini-
strazione della Banca d'Italia continuò a prestare attenzione alla
problematica e ad aggiornare i testi elaborati.
In seguito all'emanazione del R. D.L. 8 giugno 1936, n. 1911,
in base al quale venivano attribuite all'Ispettorato per la difesa
del risparmio e per l'esercizio del credito le funzioni sino ad al-
lora demandate ai ministeri delle Finanze e delle Corporazioni,
l'Istituto si preoccupò di predisporre una nuova edizione della
proposta di riforma normativa (1939). Il nuovo progetto preve-
deva, in particolare, una riunificazione nell'ambito di un unico
documento dello «schema di legge» e del «progetto di regolamen-
to», poiché, per entrambi i provvedimenti, in base al R.D.L.
1911/1936, sarebbe stata sufficiente l'emanazione di un decreto
del capo del governo. Peraltro, dalle filiali dell'istituto, cui il pro-
getto era stato sottoposto per un esame preventivo, provennero
contrastanti richieste di modifica, in relazione alle prassi seguite
nelle diverse località. Composte le divergenze interne, il proget-
to ricevette l'approvazione dell'Associazione tecnica bancaria
italiana, della Confederazione delle aziende di credito e della Fe-
derazione degli agenti di cambio.
La Banca d'Italia teneva in grande considerazione il consenso
delle categorie e delle istituzioni esterne. Queste, dal canto loro,
annettevano molta importanza al funzionamento e alla gestione
delle Stanze. Nell'atteggiamento della Banca si poteva verosimil-
mente ravvisare, piuttosto che una limitata consapevolezza delle
funzioni e dei poteri attribuiti, il convincimento della rilevanza
pubblica delle Stanze e la disponibilità a tener conto delle aspet-
tative degli operatori del mercato.
Il progetto di nuova regolamentazione rimase comunque, an-
che in relazione alle vicende politiche del Paese, privo di sbocchi
concreti. Continuava a rimanere comunque radicato l'intendi-
R. Bri:à e S. Petricola Le Stanze di compensazione 287
mento della Banca di addivenire a una regolamentazione unifor-
me delle Stanze di compensazione. Nell946 fu pertanto ripreso,
dal competente servizio dell'amministrazione centrale93 , lo stu-
dio per la redazione sia dello schema di legge sul riordino delle
Stanze sia del progetto di regolamento unico. La nuova iniziativa
si collocava però in un contesto più favorevole rispetto a quello
in cui erano stati elaborati i precedenti progetti.
Intorno al 1946 era stato lo stesso ministero del Tesoro, su
pressanti sollecitazioni degli organismi di categoria rappresenta-
tivi degli aderenti, a richiamare l'attenzione della Banca d'Italia
sulla necessità di disciplinare in modo organico l'istituto delle
Stanze.
La richiesta scaturiva dalla constatazione che i regolamenti
allora vigenti non erano più, da tempo, in grado di rispondere
alle mutate esigenze operative delle Stanze. Peraltro alcune delle
nuove necessità avevano già trovato una parziale risposta nell'a-
dattamento della gestione corrente delle Stanze. Il procedimento
impiegato per il servizio di compensazione era stato infatti qua-
si totalmente modificato, ricorrendo tuttavia, quasi ovunque, a
procedure parzialmente in contrasto con le modalità previste dal-
le norme vigenti.
Anche il livello raggiunto dai costi delle Stanze consigliava di
prendere in considerazione un radicale snellimento delle opera-
zioni: un funzionamento aderente alle «antiche» previsioni dei
regolamenti avrebbe infatti richiesto, se si voleva continuare a
evitare l'assunzione di gravi rischi, un organico molto superiore
a quello di cui disponevano le Stanze, con evidenti aggravi sui già
rilevanti costi operativi. I servizi di compensazione erano stati
quindi gestiti fino a quell'epoca sulla base di norme di funziona-
mento che implicavano assetti organizzativi e procedure di lavo-
ro semplificati.
Il progetto di regolamento unico si ispirò alle soluzioni spe-
rimentate nella prassi corrente; esso tenne conto inoltre, anche
questa volta, delle modalità procedurali adottate nelle Stanze
estere che maggiormente erano state interessate da un rilevante
sviluppo dell'utilizzo dei servizi di compensazione.
Il progetto contemplava, in particolare, una semplificazione
93 Ci si riferisce al Servizio segretariato generale.
288 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
della compensazione giornaliera dei pagamenti interbancari; nel
nuovo regime di nominatività dei titoli azionari le operazioni del-
la Stanza-titoli erano, infatti, regolate da disposizioni di legge.
La modifica introdotta riguardava innanzitutto le modalità di
scambio dei recapiti tra gli aderenti: si delineava sin da quel mo-
mento l'intendimento di indirizzare sempre più l'attività degli
addetti alla Stanza all'accertamento delle posizioni finali degli
operatori, piuttosto che al maneggio materiale sia dei titoli di
pagamento, sia del contante.
Ma l'innovazione più rilevante era rappresentata dalla sepa-
razione delle operazioni relative alla compensazione dei paga-
menti interbancari da quelle concernenti la liquidazione dei ti-
toli. La modifica avrebbe consentito, secondo la Banca d'Italia,
di selezionare i partecipanti ai due servizi, e in particolare gli
aderenti alla compensazione dei recapiti in relazione al volume di
attività. Negli obiettivi della Banca non vi era la disciplina del-
l' accesso ai fini del controllo dei rischi di regolamento; tale aspet-
to non rappresentava ancora una questione cruciale e ciò in con-
siderazione della limitata dimensione che, in quel periodo stori-
co, avrebbero potuto assumere tali rischi. L'intendimento della
Banca, invece, era quello di favorire una configurazione opera-
tiva delle Stanze che consentisse l'adozione di un criterio di ri-
partizione delle spese basato sul grado di utilizzo del servizio.
Sotto un profilo più squisitamente giuridico, l'obiettivo perse-
guito era quello di superare le incoerenze normative esistenti fra
le diverse Stanze.
Per quanto atteneva ai profili istituzionali, le modifiche in-
trodotte nel progetto di regolamento riguardavano in sintesi: l' af-
fermazione del principio che l'esercizio delle Stanze derivava alla
Banca d'Italia direttamente dalla legge e non più dall'affidamen-
to delle camere di commercio; l'abbandono della concezione pri-
vatistica delle Stanze come organismi di natura associativa e la
riaffermazione della compensazione dei recapiti e dei titoli come
servizi «speciali» della Banca; l'istituzione delle giunte di vigi-
lanza, presiedute dai direttori delle filiali della Banca d'Italia, in
luogo dei consigli di vigilanza, organi di emanazione delle camere
di commercio, da tempo peraltro non più operanti.
Secondo la Banca, la natura della Stanza era ormai da con-
siderarsi solo nominalmente associativa. Lo stesso Istituto era
consapevole del fatto che gli agenti di cambio e le camere di com-
R. Brìzi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 289
merdo non fossero dello stesso avviso; questi opponevano addi-
rittura l'impossibilità di pervenire alla modifica della struttura
delle Stanze «semplicemente» attraverso l'emanazione di un de-
creto governativo. La Banca aveva invece maturato la convin-
zione che l'evoluzione giuridica intervenuta in materia rendesse
ormai possibile utilizzare tale fonte normativa sia per emanare la
nuova disciplina regolamentare, sia per istituire nuove Stanze.
Fu quindi probabilmente la volontà di mantenere rapporti di
collaborazione con gli operatori del sistema che suggerl alla Ban-
ca di inserire nel progetto la previsione di una giunta di vigilanza,
in luogo dei consigli, con funzioni ancora prevalentemente deli-
berative e aperte ai rappresentanti delle camere di commercio.
Sulla composizione della stessa giunta si produssero, comunque,
significativi contrasti fra le due principali categorie di aderenti,
quella delle banche e quella degli agenti di cambio, preoccupate
ambedue che nella gestione ordinaria delle Stanze potesse pre-
valere l'interesse dell'altra categoria.
Al fine di pervenire a un superamento, sia pure graduale, di
tali contrasti la Banca d'Italia considerò opportuno introdurre il
regolamento, inizialmente, presso la sola Stanza di Milano. La
Banca, tuttavia, teneva a mettere in evidenza come l'importanza
che gli operatori dimostravano di annettere agli aspetti concer-
nenti l' operatività corrente non era giustificata dall'effettivo ruo-
lo ricoperto dalle Stanze; queste in realtà non erano che uffici di
conteggio di partite, in quanto non compivano operazioni pro-
prie né avevano potere di iniziativa. Secondo la Banca d'Italia,
infatti, i prorogati pagamenti rappresentavano operazioni di
<mn' altra istituzione», e cioè della Banca d'Italia quale banca cen-
trale. Invero, si potrebbe sostenere che questa affermazione tra-
disse il convincimento che nella configurazione della Stanza fos-
sero sopravvissuti profili di natura «associativa». E si potrebbe
inoltre ritenere che la Banca concepisse la Stanza come una strut-
tura separata che non avesse punti di congiunzione «teleologica»
con le funzioni istituzionali proprie della banca centrale. Più ve-
rosimilmente, invece, è da ipotizzare che tale asserzione fosse il
frutto della mancanza di una visione unitaria delle funzioni at-
tribuite all'Istituto e di una scarsa percezione dei nessi esistenti
fra i diversi compiti affidati.
Ancora nel 1951, in occasione di una ripresa dei lavori per il
progetto di riforma regolamentare, l'Associazione italiana degli
290 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
agenti di cambio ebbe a sostenere che la riforma del 1926 non
aveva provocato l'abrogazione di tutte le disposizioni della legi-
slazione del 1881 perché non erano state emanate, in seguito, le
norme regolamentari previste dalla stessa legge. L'Associazione
affermava che la legislazione del 1926 aveva sancito che le ca-
mere di commercio perdessero soltanto il diritto di poter deci-
dere in autonomia l'affidamento dell'esercizio delle Stanze, e
non le altre funzioni attribuite loro dalla legge fondamentale del
1881. Inoltre, sempre a parere dell'Associazione degli agenti di
cambio, il ministero del Tesoro, in virtù della legge del 1936,
sarebbe stato esclusivamente autorizzato a emanare le norme re-
golamentari di carattere tecnico sul funzionamento delle Stanze,
anche ai fini di una possibile unificazione dei regolamenti stessi.
Essa ribadl, pertanto, di nuovo, che una riforma giuridica della
struttura delle Stanze di compensazione sarebbe stata possibile
solo sulla base di provvedimenti di legge.
L'interesse degli agenti di cambio a mantenere il controllo del-
le Stanze allo scopo di intervenire sulle modalità e sui criteri se-
guiti per il regolamento delle transazioni finanziarie si manifestò
più compiutamente con la richiesta di far partecipare alla liquida-
zione dei titoli anche le società finanziarie e le commissionarie di
borsa. La pressione degli operatori esterni e dello stesso ministero
del Tesoro per l'ampliamento dei soggetti partecipanti alle Stan-
ze, soprattutto ai fini dell'utilizzo della liquidazione dei titoli, as-
sunsero successivamente dimensioni ancor più rilevanti. Era cioè
sempre più evidente che i benefici che i servizi di compensazione
avrebbero potuto potenzialmente arrecare sarebbero stati conse-
guiti solo con l'allargamento del novero dei partecipanti.
I contrasti intervenuti fra taluni organismi e fra le categorie
di aderenti rappresentarono, in conclusione, il motivo della man-
cata realizzazione della riforma. Le opposizioni riguardavano, co-
me si è detto, la fisionomia giuridica che avrebbero dovuto as-
sumere le Stanze, le funzioni da affidare all'istituto di emissione,
i rapporti tra questo e gli associati e fra gli associati medesimi.
In tale contesto, la Banca d'Italia assunse una iniziativa volta
a consentire comunque lo snellimento operativo delle attività
connesse con il servizio di compensazione dei recapiti: le nuove
«norme» di funzionamento delle Stanze sarebbero state intro-
dotte facendo ricorso alla sottoscrizione di specifiche convenzio-
ni con gli associati. L'intervento nasceva dall'esigenza di non rin-
R. Bri:d e S. Petricola Le Stanze di compensazione 291
viare ulteriormente la riforma delle procedure operative della
compensazione giornaliera, non essendo più interamente appli-
cabili, a causa dello sviluppo assunto dalle attività, le modalità e
le norme previste dai vecchi regolamenti. Il testo della conven-
zione, ricavato dal progetto di regolamento unico, fu comunque
sottoposto alla preventiva approvazione del ministro del Tesoro.
La convenzione entrò in vigore presso la Stanza di Milano il
3 aprile 1952, interessando successivamente, con gradualità, le
altre Stanze. Il ministero del Tesoro si adoperò per l'introduzio-
ne delle convenzioni presso tutte le Stanze, rivolgendo un invito
agli enti e organismi interessati affinché convincessero i loro as-
sociati a cooperare, con spirito fattivo, alla realizzazione di tutte
quelle intese e attività indispensabili per una pronta ed efficace
attuazione dell'iniziativa; in compenso, esso assicurò il proprio
impegno per il riesame della materia relativa alla regolamenta-
zione organica dell'istituto delle Stanze, sotto il duplice profilo
strutturale e funzionale. Tra gli enti che assicurarono il sostegno
all'iniziativa vi furono l'Associazione bancaria italiana, l'Unione
delle camere di commercio, industria e agricoltura, l' Associazio-
ne italiana degli agenti di cambio.
6. I punti centrali del dibattito: la natura della Stanza e i rapporti
con gli associati
Come si è visto, la materia delle Stanze è stata oggetto di una
disciplina frammentaria, contraddittoria, incompleta. La stessa
elaborazione dottrinale è stata, fino a tempi recenti, piuttosto
scarsa, accompagnandosi a un indirizzo giurisprudenziale ancora
incerto. Ciò si è riflesso sugli stessi orientamenti della Banca d'I-
talia, Istituto gestore, che hanno mostrato, nel corso del tempo,
una certa mutevolezza.
Le questioni controverse attenevano in particolare alla con-
figurazione giuridica delle Stanze e alla natura dei rapporti fra gli
aderenti e l'ente gestore, la Banca d'Italia. Il dibattito si esten-
deva, peraltro, ai poteri delle camere di commercio e degli altri
organi previsti dagli statuti e dai regolamenti, in ordine all' am-
ministrazione della associazione costitutiva delle Stanze.
Sulla problematica hanno pesato le peculiarità del procedi-
292 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
mento seguito in Stanza e la natura dei rapporti giuridici fra gli
associati per l'estinzione dei debiti e dei crediti reciproci.
Fino agli anni Trenta la dottrina aveva fornito scarsissimi
contributi alla spiegazione giuridica delle Stanze di compensa-
zione e delle operazioni che in queste si compivano; più ampia
attenzione, invece, era stata posta, sia in Italia che all'estero, nel
mondo accademico come nell'ambito degli operatori del sistema,
sugli aspetti tecnici ed economici dell'attività delle Stanze. La
stessa trattazione giuridica della materia, che si ritrovava a quel-
l' epoca soprattutto nei trattati di diritto commerciale, prendeva
in considerazione, soprattutto, le modalità di funzionamento del-
le Stanze. Una delle possibili spiegazioni dello scarso interesse
alla problematica poteva essere rappresentata dall'assenza di una
vera normativa di attuazione della legislazione vigente.
La produzione dottrinale non palesava particolari contrasti
d'opinione sulla configurazione giuridica dei rapporti che si in-
stauravano fra gli associati alle Stanze. Il rapporto fra gli ade-
renti nell'ambito delle operazioni della Stanza concretava, nella
considerazione dei giuristi, un «contratto di riscontro comples-
sivo» definito «come una forma di liquidazione, cioè di pagamen-
to, in parte fittizio in parte effettivo eseguito a mezzo di un co-
mune mandatario: il che equivale ad esecuzione diretta fra le
parti»94 • Ciò si rifletteva sulla stessa natura giuridica della Stanza
che assumeva la configurazione di un mandatario degli associati.
Tale tesi aveva il sostegno della letteratura giuridica preva-
lente, sia italiana che straniera. In particolare, il Salandra soste-
neva che il negozio di specie poteva definirsi come un «contratto
di riscontro complessivo 'moderno'» poiché presupponeva l'esi-
stenza di un vincolo stabile fra le persone giuridiche o fisiche,
partecipanti alle operazioni oggetto del procedimento, per la de-
terminazione delle modalità procedurali e degli effetti giuridici.
Tale contratto assumeva, in Italia, la forma di contratto di asso-
ciazione fra persone fisiche e giuridiche interessate «a servirsi del
riscontro complessivo per facilitare la liquidazione dei rapporti
giuridici».
Secondo tale tesi, il riscontro complessivo che si operava nel-
la Stanza consisteva nella esecuzione, tramite versamento di con-
94 Cfr. V. Salandra, Le operazioni delle Stanze di compensazione, in Studi di
diritto commerciale in onore di C. Vivante, Roma 1930, pp. 29 sgg.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 293
tante, di assegni bancari o operazioni di girofondo, del solo pa-
gamento degli sbilanci passivi e attivi, in luogo del pagamento
delle somme complessivamente dovute dagli operatori.
A differenza delle analoghe esperienze estere95 , le norme ita-
liane prevedevano una diretta partecipazione delle Stanze alle
operazioni necessarie per consentire lo scambio dei titoli e la de-
terminazione degli sbilanci finali degli associati, sbilanci che ac-
quistavano valore giuridico solo allo scadere dei termini previsti
per il rifiuto o la contestazione degli ammontati definiti. Il ri-
scontro, che si perfezionava solo al momento della regolarizza-
zione della chiusura delle operazioni, richiedeva la presenza per-
sonale delle parti.
Dalla circostanza che non potesse esprimere una volontà pro-
pria, rispetto alle operazioni del riscontro complessivo, e che non
potesse rimanere creditrice o debitrice di alcuno degli associati
derivava la qualificazione della Stanza come organo di trasmis-
sione, ovvero ufficio di transito secondo la definizione accolta
dai regolamenti 96 : un soggetto fittizio, cioè, creato per comodità
contabile97 •
La Stanza quindi non agiva per conto di un ente collettivo
(associazione), ma solo per conto dei singoli associati, in qualità
di loro comune mandatario. Nel caso di inadempimento da parte
di uno dei soggetti partecipanti il riscontro non aveva luogo se
non previa eliminazione delle partite presentate e ricevute dal-
l' aderente incorso nel mancato adempimento. Per le obbligazioni
stralciate si ristabiliva il rapporto diretto, preesistente, fra l' as-
sociato debitore e i suoi creditori. Tale schema logico e giuridico
peraltro veniva alterato dalla possibilità dell'Istituto gestore di
accordare un prorogato pagamento agli associati debitori. Attra-
95 Sotto il profilo operativo, il Salandra sostiene che in Italia vi era la pos-
sibilità di pagare Io sbilancio passivo alla Stanza, non solo per contanti, ma anche
mediante un assegno bancario, emesso dal debitore; analogamente era possibile
ricevere gli sbilanci attivi con versamenti in conto corrente. La funzione di de-
positario era assunta dallo stesso Istituto di emissione che gestiva la Stanza. Al-
l' estero la liquidazione degli sbilanci era effettuata invece attraverso il «banco-
giro», il quale presupponeva che tutti i partecipanti alle operazioni avessero un
deposito sufficiente presso l'Istituto centrale. Le Stanze tedesche e inglesi e la
Stanza di Parigi, a differenza di quelle italiane, non erano tenute poi a effettuare
particolari attività per la determinazione degli sbilanci finali degli operatori.
96 Cfr. regolamento di Milano, art. l.
97 Cfr. Salandra, op.cit., pp. 21 sgg.
294 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
verso questa operazione l'Istituto si assumeva lo sbilancio passi-
vo dell'associato. Nella duplice veste di gestore delle Stanze-
strutture organizzative incaricate di compiti meramente opera-
tivi - e di prestatore di ultima istanza si rinveniva, sia pure in
nuce, l'interesse di natura pubblica per l'ordinato funzionamento
del sistema dei pagamenti.
Alla stregua del loro modus operandi e della loro configura-
zione giuridica, le Stanze italiane si differenziavano perciò dalle
antiche fiere dei cambi nelle quali si realizzava la cessione dei
crediti degli associati e la delega per l'esecuzione dei pagamenti98 .
Pur affermando il carattere associativo delle Stanze, il Salan-
dra riconosceva, tuttavia, che data la rilevanza di tali organismi
per l'economia nazionale le Stanze avevano, in Italia, un carat-
tere semipubblico. A tal riguardo, egli poneva l'accento sul fatto
che le Stanze «sono fondate per iniziativa di una pubblica auto-
rità; che la stessa autorità partecipa alla fissazione delle norme
regolatrici delle attività mediante convenzione con l'Istituto
esercente, della quale lo statuto e il regolamento dell' associazio-
ne fanno parte integrante»; che negli organi di amministrazione
della Stanza, i consigli di vigilanza, «entrano rappresentanti di
pubbliche autorità». E proseguiva sostenendo che «il carattere
semipubblico dell'istituzione si manifesta anche nella obbligazio-
ne di affidare l'esercizio della Stanza, cioè la funzione di inter-
mediario per la esecuzione delle operazioni di riscontro comples-
sivo, all'Istituto di emissione, supremo regolatore del credito
nazionale, pel quale questa funzione costituisce un pubblico ser-
vizio»99.
Il Salandra peraltro riteneva che il carattere pubblicistico non
fosse prevalente nell'ordinamento delle Stanze. Queste infatti si
fondavano sull'esistenza del legame giuridico che veniva a costi-
tuirsi fra gli associati per la realizzazione di specifici interessi pri-
vati; legame caratterizzato da una funzione e da una natura con-
trattuale. L'interesse pubblico alla riduzione della circolazione
98Di diverso avviso autori come Cohn e Goldschmiedt.
99Cfr. Salandra, op.cit., pp. 5, 11 sgg. Sul fatto che il contratto di riscontro
assume, come stabilito dalla legge in Italia e dall'uso all'estero, la forma di con-
tratto di associazione fra persone fisiche e giuridiche per la liquidazione dei rap-
porti reciproci, cfr., per la dottrina più recente, anche M. Bonaduce, Natura e
finalità delle Stanze di compensazione, in «Bancaria», 1975, pp. 1134 sgg.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 295
monetaria conseguibile tramite l'attività delle Stanze non poteva
alterare o inficiare, secondo l'autore, tale soluzione giuridica.
Lo statuto, contenente le norme relative all'ordinamento in-
terno dell'associazione, e il regolamento, recante le prescrizioni
da seguire nella esecuzione delle operazioni di riscontro, rappre-
sentavano perciò i due atti del contratto di associazione; que-
st'ultimo non operava la costituzione di una persona giuridica
distinta dalle persone degli associati. L'associazione aveva la fun-
zione di regolare i rapporti intercorrenti fra gli associati e non
doveva porre in essere attività a rilevanza esterna. I rapporti con
i «terzi» connessi con le esigenze di funzionamento delle Stanze
facevano infatti capo all'Istituto esercente.
Ma se appariva chiara, nel Salandra, la trattazione e la col-
locazione dei rapporti fra gli associati, più incerti erano i risultati
che scaturivano dal suo tentativo volto a definire la natura dei
rapporti che intercorrevano fra i singoli associati e la Stanza di
compensazione quale istituzione deputata a gestire un servizio
pubblico.
L'elaborazione del Salandra rappresentò il riferimento e il
punto di partenza per la produzione dottrinale in materia di Stan-
ze nei decenni successivi. La discriminante di fondo che diffe-
renziò le elaborazioni cui approdò in seguito la dottrina fu so-
prattutto costituita dalla definizione della natura giuridica della
Stanza; si formarono, in particolare, due correnti di pensiero: la
prima sposava l'interpretazione associazionista, ponendo in ri-
salto gli elementi privatistici dell'attività; la seconda dava mag-
giore enfasi al carattere pubblicistico della funzione attribuita
alle Stanze.
La tesi prevalente degli autori che si occuparono della materia
fu di stampo fondamentalmente associazionista. Il Ferrante 100 ,
tenendo espressamente conto di quanto disposto dal R.D .L. 8 giu-
gno 1936, scriveva fra l'altro:
In attesa di tali norme [quelle applicative] le Stanze di compensa-
zione sono in pratica ancora regolate da convenzioni stipulate a suo tem-
po con le cessate Camere di Commercio - oggi Consigli provinciali
delle corporazioni - e da statuti e regolamenti emanati d'accordo tra le
predette Camere e la Banca d'Italia. [.. .] Per essi statuti gli associati si
100 A. Ferrante, Stanza di compensazione, in Enciclopedia bancaria, Milano
1942.
296 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
intendono costituiti in associazione per l'esercizio della Stanza di com-
pensazione alla quale è preposto un Consiglio di vigilanza.
Bianchi d'Espinosa 101 , basandosi sulla mancanza di persona-
lità giuridica delle Stanze, esprimeva l'avviso che esse costitui-
scono una mera associazione di fatto fra persone fisiche e giuri-
diche, che, pur implicando l'organizzazione di un pubblico ser-
vizio, sono gestite nell'interesse degli associati, e a migliore ga-
ranzia del loro funzionamento, dalla Banca d'Italia in forza di
una convenzione stipulata con la camera di commercio. Egli met-
teva in risalto la veste di mandataria della Banca d'Italia e il ca-
rattere di volontarietà dell'accordo con il quale si perviene al-
l'organizzazione delle Stanze e al procedimento di estinzione dei
debiti reciproci.
Su una posizione intermedia si mantenne il Corrado 102 • Sulla
base della definizione del clearing 10 3, egli definlle Stanze come
«organizzazioni essenzialmente plurilaterali». Il carattere di plu-
rilateralità, tuttavia, secondo l'autore non portava alla necessaria
conclusione che anche il procedimento seguito per l'estinzione
dei debiti dei partecipanti dovesse configurarsi come clearing plu-
rilaterale.
Riprendendo in larga misura la tesi del «pubblico servizio»
del Salandra egli si sforzò inoltre di dimostrare l'impossibilità
dell'esistenza delle Stanze senza il fondamento associativo. Egli
sostenne che in Italia, ove il controllo pubblicistico sulla regola-
rità delle operazioni della Stanza è stato assicurato con l'attri-
buzione della gestione alla Banca d'Italia e con la partecipazione
di rappresentanti di pubbliche autorità al consiglio di vigilanza,
il fondamento giuridico delle Stanze è stato trovato nell'accordo
raggiunto tra le persone fisiche e giuridiche per l'estinzione dei
reciproci crediti e debiti, secondo un procedimento tecnico pre-
101 L. Bianchi d'Espinosa, I contratti di Borsa, Milano 1969, pp. 622 sgg.
102 R. Corrado, I contratti di Borsa, Torino 1960, pp. 528 sgg., e Stanze cit.
103 Il clearing è essenzialmente un sistema: con tale locuzione si indicano i
procedimenti tecnici attraverso cui si realizza l'estinzione per certi soggetti di un
grande numero di obbligazioni commerciali aventi per oggetto prestazioni fun-
gibili, omogenee, con identica scadenza, riducendo al minimo l'attività solutoria.
Il clearing è dunque lo strumento tecnico per creare i presupposti di cause estin-
tive diverse dall'adempimento; tale strumento determina la contemporanea eli-
minazione di una molteplicità di debiti e crediti autonomi, riguardo alla causa e
ai soggetti, sino alla concorrenza del rispettivo valore.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 297
ventivamente determinato. Nel nostro ordinamento quindi, an-
che secondo questo autore, le Stanze non erano persone giuridi-
che, ma costituivano pur sempre istituzioni sezionali attraverso
le quali esplicare un pubblico servizio. Esse erano strutturate con
le caratteristiche proprie dell'organizzazione dei pubblici servizi
e la stessa attività che aveva luogo nelle Stanze si attuava attra-
verso un procedimento che faceva capo agli uffici direttivi di tali
organizzazioni e si svolgeva seguendo una successione di atti p re-
determinati. Il procedimento tecnico seguito nelle Stanze non
poteva perciò essere innovato per decisione autonoma di coloro
che se ne volevano servire.
Peraltro tale configurazione, continuava a sostenere l'autore,
non doveva portare a ritenere che le Stanze di compensazione
non avessero un fondamento volontario. Infatti, egli sottolinea-
va, la mera previsione dell'istituzione di un pubblico servizio e
dell'indicazione del soggetto ritenuto idoneo a esercitarlo, una
volta istituito, non andava confusa con l'effettiva predisposizio-
ne del servizio stesso. Questa ultima poteva essere determinata
da un atto amministrativo, ma anche da accordi privati, se il pub-
blico servizio si rivolgeva soltanto a una cerchia delimitata di
soggetti; ed era questo il caso della Stanza di compensazione.
L'atto associativo privato si rendeva necessario sia per indivi-
duare e circoscrivere il novero dei soggetti che potevano avva-
lersene, sia per procedere all'organizzazione stessa dei servizi,
nei limiti consentiti dalla disciplina legislativa. Nel nostro ordi-
namento, quindi, il contratto di riscontro rappresentava l'atto
costitutivo delle Stanze senza impegnare gli associati a usufruir-
ne; la parte regolamentare si coordinava con la base associativa.
T aie accordo si componeva di due parti, logicamente distinte, da
cui scaturivano però due negozi giuridici inscindibili: il primo
corpus normativo era diretto a costituire un vincolo stabile fra
determinate persone per uno scopo comune; il secondo specifi-
cava le caratteristiche tecniche del procedimento prescelto 104 •
L'intermediazione della Stanza si spiegava con l'esigenza di
104 T al e distinzione concettuale trova d'altronde una rispondenza formale,
secondo l'autore, nella integrazione dell'accordo in due distinti documenti: lo
statuto, o convenzione, relativo all'organizzazione della Stanza, e il regolamento,
recante la disciplina della estinzione dei debiti e dei crediti di ciascun associato
nei confronti di ogni altro.
298 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
un mandatario per la realizzazione dello scopo comune degli as-
sociati e non si traduceva in una collaborazione giuridica per la
estinzione dei debiti e per la riscossione dei crediti portati al
riscontro 10 5. La formula della girata alla Stanza dei titoli nomi-
nativi dimostrava, secondo l'autore, non solo la qualità di man-
dataria, ma anche il mancato conferimento di poteri di rappre-
sentanza alla Stanza: questa riceveva le somme e le destinava a
coloro che ne risultavano creditori in qualità di delegata al pa-
gamento e non come rappresentante di chi l'aveva in precedenza
versata. Nell'intenzione dell'autore tale interpretazione consen-
tiva una costruzione giuridica perfettamente aderente al proce-
dimento tecnico seguito. Inoltre portava a riconoscere al riscon-
tro periodico realizzato nelle Stanze di compensazione le carat-
teristiche del clearing bilaterale, nel quale l'estinzione dei debiti
e dei crediti avviene attraverso un comune intermediario senza
che siano innovate le originarie obbligazionil 06 •
Maggiormente propenso a una interpretazione dell'attività
105 Perché la Stanza possa eseguire l'incarico è sufficiente il versamento de-
gli sbilanci passivi (art. 1719 del codice civile).
106 Il Salandra e il Corrado sostenevano che, ponendo una disciplina, il con-
tratto di riscontro rientrasse nella categoria dei contratti normativi o regolamen-
tari, vale a dire di quei contratti privi di un contenuto obbligatorio immediato in
quanto si limitano a fissare gli effetti giuridici che si producono qualora e quando
vengano posti in essere determinati negozi giuridici. La dottrina prevalente, al-
l' epoca, era orientata a ritenere che i riscontri periodici avvenissero fra i soggetti
ad essi interessati e che realizzassero i cosiddetti clearings plurilaterali. Essa si
basava però secondo il Corrado su argomentazioni che non sembravano ispirate
da valutazioni normative. L'autore osservava che coloro i quali avevano giusti-
ficato le operazioni di riscontro periodico sotto il profilo del cosiddetto clearing
plurilaterale non erano pervenuti a risultati soddisfacenti; risultati migliori pe-
raltro non erano stati nemmeno raggiunti da coloro che avevano interpretato le
medesime operazioni in funzione di un clearing bilaterale. La debolezza di tali
concezioni non era tanto nel presupporre una personalità giuridica della Stanza,
inesistente, quanto nella artificiosità e singolarità dello stesso procedimento. I
maggiori ostacoli alla definizione della natura giuridica delle operazioni di riscon-
tro in Stanza si rinvenivano, secondo questo autore, in preconcetti tecnici e con-
cettuali, che dovevano essere eliminati attraverso un approfondimento del pro-
cedimento di Stanza: i singoli intervenuti alle operazioni non concludono fra loro
contratti che importino qualche modifica delle originarie posizioni creditorie e
debitorie; essi non procedono nemmeno a surrogarsi reciprocamente nell'attività
solutoria; essi non addivengono infine al riconoscimento astratto della esistenza
dei singoli debiti. I singoli intervenuti si limitano solo a precisare, nelle succes-
sive riunioni, quali debiti e quali crediti devono essere sistemati attraverso il
procedimento di riscontro.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 299
delle Stanze in senso pubblicistico fu invece il Ruta 107 , il quale,
in tempi più recenti, sostenne che il servizio delle Stanze di com-
pensazione, una volta di spettanza delle camere di commercio,
ma in pratica sempre da queste affidato a uno degli istituti di
emissione, era stato poi devoluto integralmente e direttamente
alla Banca d'Italia come conseguenza dell'avvenuta unificazione
del servizio di emissione dei biglietti.
In giurisprudenza non si trovano riferimenti e chiarimenti di
rilievo sulla problematica. Le decisioni giurisdizionali in cui si
è dovuto considerare il ruolo della Stanza di compensazione han-
no riguardato prevalentemente il trasferimento dei titoli nomi-
nativi108.
Ma quale fu la posizione della Banca d'Italia sulle questioni
attinenti ai suoi rapporti con gli associati, alle funzioni della Stan-
za e ai suoi poteri regolamentari? Gli orientamenti della Banca su
tali questioni paiono assumere una certa compiutezza e organi-
cità, ancorché talvolta ancora contraddittori, soltanto a partire
dagli anni Trenta.
In particolare, in un parere dell'Ispettorato generale della
Banca109 del1946, volto a fornire una risposta a un quesito posto
dall'Ufficio Stanze di compensazione 110 circa la possibilità di in-
trodurre deroghe ai regolamenti delle Stanze, si affermò che, in
seguito all'evoluzione del quadro giuridico, qualsiasi atto o ac-
107 G. Ruta, Lineamenti di legislazione bancaria, Milano 1965, p. 122.
108 Fra queste la sentenza del tribunale di Milano dell9 dicembre 1960 (in
«Banca e Borsa» II, 1961, p. 117), che definisce la Stanza come una mera asso-
ciazione dì fatto tra persone fisiche e giuridiche.
109 Parere del gennaio 1946, in ASBI, Fondo Rapporti interno- Stanze di
compensazione.
110 L'Ufficio Stanze di compensazione dell'amministrazione centrale della
Banca d'Italia aveva fatto presente che, dato il notevolissimo quantitativo di
recapiti presentati giornalmente in compensazione presso la Stanza di Milano si
era reso indispensabile lo studio di provvedimenti atti a snellire il servizio e a
salvaguardare gli interessi dell'istituto di emissione. La Confederazione del cre-
dito, d'accordo con la sede della Banca d'Italia di Milano, aveva promosso un
accordo tra tutti gli associati di quella Stanza in base al quale venivano introdotte
alcune semplificazioni alle operazioni effettuate (presentazione dei recapiti in
buste chiuse, abolizione timbratura recapiti ecc.) e modifiche alle modalità di
compilazione delle quietanze. Secondo l'Ufficio tale accordo avrebbe dovuto es-
sere esteso a tutte le altre Stanze, in attesa di recepire i cambiamenti nel rego-
lamento «sempre allo studio». In particolare la richiesta riguardava la necessità di
evitare il rilascio della quietanza dei recapiti da parte dei legali rappresentanti
degli associati.
300 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
cordo raggiunto fra gli associati diretto a modificare le disposi-
zioni regolamentari allora vigenti non poteva considerarsi valido.
Tale orientamento ricalcava un indirizzo espresso dalla stessa
Consulenza legale dell'istituto 111 nella seconda metà degli anni
Trenta. Fin da quell'epoca, sollecitando un provvedimento chia-
rificatore della materia, questa aveva infatti dichiarato di rite-
nere che il carattere rivestito dalla funzione della Stanza dovesse
essere considerato di stretto ordine pubblico; carattere che non
poteva essere menomato, quindi, da una dichiarazione reciproca
di esonero tra gli associati.
Nel1946, peraltro, gli orientamenti della Consulenza legale
parvero cambiare112 . Richiamando le disposizioni concernenti
l'emanazione delle norme regolatrid delle Stanze di compensa-
zione113, essa sosteneva che in mancanza di queste ultime le ope-
razioni delle Stanze di compensazione «sono regolate dalle di-
sposizioni contenute negli statuti e regolamenti delle associazio-
ni costituite per il loro esercizio», frutto dell'accordo fra gli
associati. La Consulenza affermava, pertanto, che nulla avrebbe
impedito agli associati di apportare, con successivi accordi, quel-
le variazioni che essi avessero ritenuto opportune al fine di mi-
gliorare il funzionamento di ciascuna Stanza. Pur essendo vista
come una possibilità remota e di natura provvisoria, la capacità
di intervento degli associati nei termini sopra descritti non sa-
rebbe stata in contrasto con la natura pubblicistica delle funzioni
svolte dalla Stanza, poiché «è da ritenere che il legame fra gli
associati abbia pur sempre carattere contrattuale privato, tanto è
vero che viene pacificamente riconosciuto che la Stanza di com-
pensazione agisce per conto e cioè nell'interesse degli associati».
T aie opinione non era, tuttavia, integralmente condivisa da
altre strutture operative della Banca d'Italia. L'Ispettorato ge-
nerale sulle Stanze di compensazione 11 4, pronunciandosi nello
stesso anno, ribadl, in dissenso, come si è visto, lo stretto carat-
111 Documento dell'll dicembre 1937, in ASBI, Fondo Rapporti interno-
Stanze di compensazione.
112 Parere della Consulenza legale del29 febbraio 1946, ibid.
113 La Consulenza legale faceva riferimento all'art. 3 R.D. 19 maggio 1881,
n. 220, il quale prevedeva che le norme regolatrici fossero adottate con decreto
reale, e al R.D.L. 8 giugno 1936, n. 1191, che ne stabiliva l'emanazione con
decreto del capo del governo.
114 Parere dell'Ispettorato del 18 marzo 1946.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 301
tere di ordine pubblico assunto dalle funzioni delle Stanze a cau-
sa della loro derivazione diretta dalla prima legge istitutiva delle
Stanze del Regno (133/1881). La stessa composizione dei consi-
gli di vigilanza stava appunto a dimostrare, secondo l'Ispettora-
to, la preoccupazione della cosa pubblica nei riguardi della fun-
zione che si era voluta istituire: le Stanze quindi «non operano
nell'interesse degli associati ma per un interesse pubblico», poi-
ché il beneficio recato dall'istituto delle Stanze andava oltre l'in-
teresse particolare, investendo la funzione di regolazione mone-
taria. D'altronde, si sosteneva, non si poteva affermare che le
Stanze avessero assunto il carattere di «Stretto ordine pubblico»
soltanto in seguito al R.D.L. 6 maggio 1926, n. 812, in quanto
già in occasione della legge n. 133 del1881 il legislatore - la-
sciando libera la scelta dell'istituto assuntore- aveva precisato
che, in relazione ai riflessi della compensazione sulla circolazione
monetaria, alle Stanze dovevano essere ammessi rappresentanti
del Tesoro e degli istituti di emissione.
Secondo la Consulenza legale invece il tenore dell'articolo
unico R.D. 1191/1936 lasciava intravedere che le norme inte-
grative e regolamentari che si sarebbero dovute emanare avreb-
bero mantenuto in esistenza i regolamenti preesistenti, i quali si
doveva ritenere avessero carattere normativo. Del resto, l' eser-
cizio delle Stanze del Regno era stato sempre affidato dalla ca-
mera di commercio agli istituti assuntori; e nelle convenzioni sti-
pulate a tale scopo erano stati abitualmente richiamati, come
parti integranti, i regolamenti e gli statuti vigenti. Ne conseguiva
che potevano essere apportate modifiche agli statuti e ai regola-
menti in vigore a condizione che fossero rispettate le modalità
previste dalle convenzioni e dagli statuti stessi. Inoltre, fino a
che non si fosse provveduto alla emanazione delle norme inte-
grative e regolamentari, le associazioni e i consigli di vigilanza
dovevano essere ritenuti ancora in vita, non essendo la funzione
esercitata da tali organi incompatibile con la vigilanza di carat-
tere generale affidata dalla legge del1936 all'Ispettorato per la
difesa del risparmio m.
115 Così come non esisteva incompatibilità, si sosteneva, fra la vigilanza eser-
citata dai collegi sindacali presso le aziende eli credito e quella spettante all'I-
spettorato in virtù della legge bancaria.
302 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
In merito ai poteri di altri organismi pubblici, la Banca116
considerava ormai compiuta l'estromissione delle camere di com-
mercio dalla gestione delle Stanze. Ciò trovava una conferma nel-
l'art. 16 dello statuto della Banca, emanato con R.D. 21 giugno
1928, n. 1404, che menzionava soltanto l'esigenza di un confor-
me parere della Banca d'Italia nei casi di creazione di nuove Stan-
ze di compensazione, senza far riferimento alcuno a un eventua-
le potere di iniziativa, in materia, delle camere di commercio.
Peraltro, si riteneva che prescindendo da un diretto potere di
intervento, queste ultime avrebbero potuto comunque ingerirsi
nell'attività delle Stanze attraverso le associazioni da esse stesse
promosse. Questa considerazione si fondava sulle norme conte-
nute nell'art. 2 R.D. 19 maggio 1881, n. 220. E, in realtà, la
prassi aveva seguito tale orientamento: gli statuti delle associa-
zioni prevedevano spesso la presenza di un rappresentante della
camera di commercio locale, cui generalmente veniva attribuita
la presidenza nell'ambito del Consiglio di vigilanza, l'organo at-
traverso cui operava l'associazione.
Verso la fine degli anni Quaranta quindi si considerava fosse
ormai venuta meno la possibilità di un intervento diretto delle
camere di commercio; si continuava a ritenere peraltro che, sia
pure in forma indiretta, fosse ormai definitivamente consacrata
la capacità di ingerenza delle camere di commercio nell'attività
delle Stanze.
7. Il mancato sviluppo delle Stanze
Alcuni osservatori economici dei primi anni del Novecento
espressero perplessità circa la possibilità che attraverso le Stanze
potesse attenersi quel risparmio nell'uso della moneta metallica
che erano in grado di assicurare le clearing houses inglesi. La stes-
sa valutazione pareva peraltro essere implicita nelle affermazioni
che il comm. G. Miro ne, commissario centrale per gli istituti di
credito, aveva formulato 20 anni prima nella sua relazione al mi-
nistro di Agricoltura, industria e commercio sulla attuazione del-
116 Parere della Consulenza legale del28 settembre 1946, in ASBI, Fondo
Rapporti interno - Stanze di compensazione.
R. Brizi e S. Petricola Le Stanze di compensazione 303
la legge istitutiva delle Stanze 117 • Nella relazione si sostene-
va che una delle cause di maggior rilievo alla base dello stentato
sviluppo dell'utilizzo delle Stanze, dopo i primi mesi dal loro av-
vio, andava ricercata nell'uso molto limitato che si faceva in Ita-
lia degli assegni; a tal proposito si osservava che ben diverso era
il grado di utilizzo di tali strumenti in altri paesi, in particolare in
Inghilterra, dove la diffusione dei conti correnti consentiva una
notevole semplificazione dell'esecuzione e del regolamento delle
transazioni.
Sull'esigenza di seguire lo sviluppo dell'attività delle Stanze
di compensazione italiane fu richiamata quindi l'attenzione del
governo sin dai primi anni di applicazione della legge del1881 118 •
La Commissione permanente per l'abolizione del corso forzoso,
incaricata di seguire l'evoluzione delle Stanze, affidò ad alcuni
dei suoi membri il compito di investigare sulle ragioni che osta-
colavano un più ampio ricorso ai servizi di compensazione e di
individuare ipotesi di intervento.
Nella terza relazione che detta Commissione presentò alla
Camera dei deputati veniva rilevato che il numero degli associati
alle Stanze subiva incrementi modesti 119 • Fra le cause che erano
all'origine sia della limitata partecipazione degli intermediari e
degli operatori ai servizi di compensazione, sia dello scarso uti-
lizzo effettivo di tali servizi da parte degli stessi aderenti, la Com-
missione continuò a porre l'accento sui motivi organizzativi e
sulla scarsa diffusione dei conti correnti bancari in Italia. Essa
fece inoltre un esplicito richiamo alla mancata adozione, da parte
dei banchieri, di pratiche commerciali efficienti, portando l'e-
sempio della domiciliazione delle cambiali come una delle possi-
bili innovazioni operative auspicabili. Soprattutto ostava, secon-
do la Commissione, la politica di ammissione dei nuovi soci
117 La relazione citata nel testo fu presentata il17 aprile 1881. Essa è ripro-
dotta negli <<Annali dell'Industria e del Commercio» del 1881 e nel vol. II della
«Biblioteca dell'Economista».
118 L'intervento citato nel testo fu effettuato dall'on. Luzzatti nella seduta
parlamentare del29 gennaio 1883.
119 Nella relazione si faceva riferimento in particolare all'andamento del nu-
mero dei partecipanti alle Stanze nel 1884: nei primi sei mesi di attività nelle
Stanze di Livorno, Genova, Roma e Catania si erano registrati incrementi scar-
samente significativi; dopo i primi due mesi la Stanza di Bologna aveva visto una
notevole diminuzione della partecipazione; questa era invece notevolmente au-
mentata a Milano.
304 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
seguita dalle associazioni 120 . La stessa Stanza di Roma, ad esem-
pio, stentava a svilupparsi proprio perché il suo ordinamento in-
terno prevedeva che fossero ammessi ai servizi solo gli istituti
dotati di un capitale superiore a l milione, ammontare talmente
elevato da impedire l'accesso alla maggior parte dei commercian-
ti locali.
Al fine di rafforzare l'operatività delle Stanze, la Commis-
sione parlamentare intraprese una serie di iniziative. Alla Stanza
di Roma venne portata in discussione la proposta di favorire,
fatte salve le necessarie garanzie, l'accesso ai servizi. Nel dibat-
tito che ne segul prese consistenza un primo tentativo di adottare
misure tese a prevenire l'insorgere di rischi finanziari in com-
pensazione.
Le ulteriori iniziative promossero l'ampliamento dell'attività
della Stanza di Firenze. Fu attivata inoltre alla fine del 1885,
dopo la predisposizione dello statuto e del regolamento, la Stan-
za di Palermo, che cessò in seguito di operare. Nello stesso anno
la Stanza di Genova si conformò su un ordinamento simile alla
Stanza di Milano. In diverse città, tuttavia, le Stanze non furono
costituite o se costituite vissero una vita puramente nominale.
Nella sua sesta relazione del1888, la Commissione sostenne
che le cause dell'insoddisfacente sviluppo delle Stanze dovevano
essere ricondotte alle caratteristiche della compensazione italia-
na. Ma ciò non portò a una modifica delle Stanze né sotto il
profilo giuridico né sotto quello operativo.
A oltre 30 anni dalla legge istitutiva, intorno al 1914, fun-
zionavano in Italia '>olo sette Stanze di compensazione, nelle cit-
tà di Firenze, Genova, Livorno, Milano, Napoli, Roma e Torino.
Le Stanze di Firenze, Genova, Milano e Roma erano gestite dalla
Banca d'Italia, quelle di Napoli e Torino dal Banco di Napoli,
quella di Livorno operava sotto la sorveglianza della locale ca-
mera di commercio. All'inizio degli anni Cinquanta erano attive
undici Stanze di compensazione; in tale numero, come ricordato
nella prima parte del lavoro, sarebbero state destinate a rimanere
per altri quattro decenni 121 •
120 La Sottocommissione poté verificare che la ragione del ritardo dell'isti-
tuzione della Stanza a Firenze stava nel fatto che si richiedeva un numero mi-
nimo di 100 soci come condizione per la istituzione.
121 Si erano aggiunte Bologna, Padova, Venezia e Trieste.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Banca d'Italia, Ricerche per la storia della Banca d'Italia, «Collana storica
della Banca d'Italia», vol. I, Roma-Bari 1990.
Bertoni A., La gestione della Tesoreria delle Banche di deposito, Milano
1972.
Bianchi d'Espinosa, L., I contratti di Borsa, il Riporto, Milano 1969.
Bolaffio L., Leggi ed usi commerciali, atti di commercio dei commercianti
dei libri di commercio, Torino 1935.
Bolaffio L., Il Diritto commerciale, Torino 1925.
Bonaduce M., Natura e finalità delle Stanze di compensazione, in «Ban-
caria», 1975.
Bonis C., Gli interessi dell'economia nazionale, il riordinamento degli Isti-
tuti di Emissione, Torino-Palermo 1891.
Bossi M., Le Stanze di compensazione, Milano 1913.
Capriglione F., Stanze di compensazione, in Enciclopedia giuridica italia-
na, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani (in corso di pubblica-
zione).
Cardarelli S., La questione bancaria in Italia clal1860 al1892, in Banca
d'Italia, Ricerche per la storia della Banca d'Italia, «Collana storica del-
Ia Banca d'Italia», vol. I, Roma-Bari 1990.
Coltro Campi C., I contratti di borsa nella giurisprudenza, Padova 1963.
Corrado R., I contratti di Borsa, Torino 1960.
Corrado R., Stanze di compensazione, in Novissimo Digesto Italiano, To-
rino 1965.
Cortinois, A.-Moro, A. V., Le Stanze di compensazione, Torino 1914.
De Mattia R. (a cura di), Gli Istituti di emissione in Italia e i tentativi di
unificazione 1843-1892, Roma-Bari 1990.
Facchino, C.A., Trasferimento di azioni tramite Stanze di compensazione,
in «Riv. Int. Se. Ec. e Commercio», 1963.
Ferrante, A., Stanze di compensazione, in Enciclopedia bancaria, Milano
1942.
Ferri G., Il titolo di credito, in «Banca, Borsa e Titoli di Credito», 1962.
Ferri G., La girata dei titoli azionari tramite Stanza di compensazione, in
«Banca, Borsa e Titoli di Credito», 1961.
Garrone N., La scienza del commercio, Milano 1956.
Medina L., Brevi cenni di Leone Medina alle Stanze dei Pubblici Pagamen-
ti di Livorno, Livorno 1884.
306 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Messina S., Considerazioni in margine alla ricostituzione del Consiglio di
Vigilanza delle Stanze di compensazione di Milano, in «Banche e Ban-
chieri», 1976.
Molle G., I contratti bancari, Milano 1966.
Olivieri, G., Compensazione plurilaterale e contratto di riscontro, in «Ban-
ca, Borsa e Titoli di Credito», vol. I, 301, 1991.
Osimo A., Stanze di compensazione, in Digesto italiano, vol. XXII, 1902.
Pilotto A., Le Stanze di compensazione - I prorogati pagamenti, in «Rivista
bancaria», 1950.
Pivato G., La Borsa valori, Milano 1972.
Ruta, G., Lineamenti di legislazione bancaria, Milano 1965.
Salandra V., Le operazioni delle Stanze di compensazione, in Studi di di-
ritto commerciale in onore di C. Vivante, Roma 1930.
Sannucci V., Molteplicità delle banche di emissione: ragioni economiche ed
effetti sull'efficacia del controllo monetario (1860-1890), in Banca d'I-
talia, Ricerche per la storia della Banca d'Italia, «Collana storica della
Banca d'Italia», vol. I, Roma-Bari 1990.
Saraceno P., Le operazioni bancarie, Milano 1972.
Tedeschi A., Analisi strutturale del movimento dei recapiti presso le Stanze
di compensazione, in «li Risparmio», 1980.
Tedeschi A., La liquidazione dei titoli nelle Stanze di compensazione:
aspetti istituzionali e tendenze evolutive, in «Il Risparmio», 1981.
Valentini L., Stanze di compensazione e base monetaria, in «Banche e Ban-
chieri», 1978.
LA RISCONTRATA
di Sandra Petricola 1'
l. Introduzione
L'istituto della riscontrata ha, come quasi tutte le istituzioni
relative al credito, radici italiane molto antiche 1 • Lo si fa risalire
al secolo XVI, epoca in cui i banchi napoletani usavano ricevere
nei pagamenti le fedi e polizze di credito emesse da ciascuno di
essi e scambiarsi reciprocamente detti titoli in sede di riscontro
saldando le differenze in contante2 •
La storia della riscontrata è legata a quella degli istituti di
emissione, specificamente in quei paesi ove il sistema delle emis-
sioni si basa su una molteplicità di istituti in concorrenza tra di
loro. L'uso della riscontrata, che prevede lo scambio reciproco
dei biglietti emessi da ciascuna banca, la compensazione delle
somme rispettivamente dovute, nonché la liquidazione delle
eventuali differenze in contante o mediante movimentazione di
conti correnti, consente agli istituti di emissione di ricevere in
pagamento i biglietti altrui, agevolando in tal modo la circola-
zione delle banconote, e nel contempo evita a detti istituti di
rimettere in circolazione biglietti delle banche concorrenti anzi-
ché emetterne di propri.
In regime di corso fiduciario la funzione della riscontrata è
quella di favorire l'evoluzione del sistema dei pagamenti basato
sulla circolazione di valuta cartacea; attraverso gli accordi di ri-
* Ringrazio Roberto Cordova per la paziente rilettura del testo e Sergio
Cardarelli per i commenti formulati nel corso della preparazione del lavoro.
1
A. Garelli, Le Banche, parte prima, Torino 1879.
2
Sulla storia degli antichi banchi di Napoli cfr. E. Tortora, Nuovi documenti
per la storia del Banco di Napoli, Napoli 1890.
308 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
scontrata si tende infatti a garantire la reciproca accettazione dei
titoli fiduciari nel presupposto che ogni istituto di emissione
adempia alle proprie obbligazioni senza limiti. La riscontrata pie-
na costituisce una condizione necessaria al libero dispiegarsi del
sistema della concorrenza.
In regime di corso forzoso viene meno la funzione primaria
della riscontrata poiché l'accettazione reciproca dei biglietti di
banca è garantita dalla legge; a questo punto diviene preminente
la funzione di controllo delle emissioni poiché sono disattivati i
meccanismi di mercato e una banca che emette più biglietti di
quanti il commercio ne richieda non vede attivarsi il disincentivo
consistente nelta domanda di conversione dei biglietti stessi in
valuta metallica con conseguente riduzione delle riserve.
In presenza di forme efficaci di controllo della circolazione,
basate sull'imposizione di massimali e sull'obbligo di copertura
parziale delle emissioni con le riserve, la riscontrata piena fa sl
che i tetti stabiliti per ciascun istituto non soltanto non vengano
superati, ma nemmeno raggiunti qualora il massimale previsto
per un istituto sia superiore alla propria potenzialità di mercato.
In presenza invece di forme inefficaci di controllo della cir-
colazione o di inosservanza delle stesse, la riscontrata piena rap-
presenta «l'unico fattore in grado di frenare eventuali eccessi di
circolazione da parte di qualche istituto»3 attraverso il meccani-
smo correttivo della redistribuzione delle riserve.
Nell'evoluzione della riscontrata in Italia, a differenza di
quanto avvenne in altri paesi4 , fu determinante l'assetto del si-
3 V. Sannucci, Molteplicità delle banche di emissione, in Ricerche per la storia
della Banca d'Italia, «Collana storica della Banca d'Italia>>, vol. I, Laterza, Roma-
Bari 1990.
4 Ad esempio in Scozia la riscontrata, nonostante ebbe uno sviluppo notevole,
non dette mai origine a problemi di rilievo. Anticamente le banche di Edimburgo
per danneggiarsi reciprocamente usavano fare incetta dei biglietti delle loro rivali
e presentarli tutti insieme al pagamento. Questa rovinosa condotta venne ben pre-
sto superata tramite accordi sulla base dei quali le suddette banche convennero di
riunirsi due volte alla settimana per liquidare i loro rispettivi diritti. Lo svolgi-
mento delle relative riunioni, a carattere multilaterale, avveniva presso la locale
Stanza di compensazione, la quale era divisa in due sezioni, l'una per i biglietti,
l'altra per gli assegni. In Scozia tuttavia non vi era nessun istituto di emissione
preminente per privilegi o rapporti con il governo e tutti avevano parità di diritti;
l'emissione di biglietti per le banche scozzesi era sempre inferiore a quella cui
erano autorizzate con legge del1844 e comunque la compensazione reciproca dei
biglietti costituiva un importante strumento correttivo rispetto agli eccessi di
emissione, poiché in tal caso le banche avrebbero visto restituirsi in Stanza dalle
altre i biglietti in più. Macleod, Teoria e pratica delle banche, Torino 1879.
S. Petricola La riscontrata 309
stema delle emissioni, cosl come si era venuto sviluppando per
effetto della confluenza nel nuovo Stato di istituti di emissione
operanti nei diversi Stati preunitari. Nella configurazione com-
plessiva di detto sistema, accanto a uno spiccato carattere regio-
nale degli istituti di emissione, era presente una netta differen-
ziazione tra gli stessi, dominati dalla supremazia della BNR,
riconducibile alla sua rapidissima espansione (8 filiali nel 1859,
71 nel 1880). L'ampiezza della rete di sportelli consentiva alla
BNR di diffondere sul territorio nazionale i propri biglietti, men-
tre gli altri istituti riuscivano a espandere la loro circolazione en-
tro ambiti territoriali molto ristretti. Lo sviluppo degli scambi e
la conseguente esigenza di effettuare pagamenti sull'intero ter-
ritorio nazionale portava il pubblico a richiedere con sempre mag-
giore intensità biglietti a più alto grado di spendibilità in cambio
di quelli aventi circolazione locale; questi ultimi si accumulavano
nelle casse dell'istituto maggiore in misura superiore a quella che
le altre banche emittenti potevano rimborsare utilizzando i bi-
glietti dell'istituto creditore, con conseguente graduale processo
di impoverimento delle loro riserve metalliche, che a lungo an-
dare avrebbe potuto anche compromettere il privilegio dell' emis-
sione alle stesse elargito5.
Prima dell'introduzione del corso forzoso la riscontrata fu
oggetto di accordi bilaterali tra gli istituti emittenti a carattere
volontaristico. Detti accordi furono rilevanti per assicurare flui-
dità ai pagamenti, tant'è che la loro disdetta provocò crisi mo-
netarie nelle piazze interessate e già in quella fase si resero ne-
cessari interventi e sollecitazioni da parte del governo.
Successivamente l'ingerenza dello Stato nella regolamenta-
zione della riscontrata, che costitul uno degli aspetti peculiari
dell'evoluzione di detto istituto nel nostro paese, divenne siste-
matica per due ragioni fondamentali. La prima fu che il corso
forzoso - che costituì l'evento in virtù del quale il governo si
arrogò il diritto di regolamentare il cambio interbancario- tran-
ne che per un breve periodo non venne mai eliminato; la seconda
fu che la questione della riscontrata venne inserita nel più ampio
dibattito, sempre vivo nei primi 30 anni del Regno, tra fautori
5 Un'analisi approfondita della funzione economica della riscontrata è con-
tenuta in G. Di Nardi, Le banche di emissione in Italia nel secolo XIX, UmT,
Torino 1953.
310 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
del monopolio e sostenitori della libertà di emissione. Quest'ul-
tima corrente, che risultò dominante, col passare degli anni si
tradusse in una posizione apertamente favorevole al manteni-
mento delle banche minori e pertanto portò a limitare vieppiù
l'azione concorrente delle banche maggiori attraverso la regola-
mentazione ufficiale della riscontrata.
2. Le prime manifestazioni di ingerenza statale nella regolamenta-
zione della riscontrata
Nell'Italia unitaria, in presenza di più banche di emissione
con livelli di potenzialità diseguali, dapprima operanti negli an-
tichi Stati italiani6 , la questione della riscontrata costituì fin dai
primi anni del Regno motivo di polemica.
Prima dell'introduzione del corso forzoso la Banca nazionale,
autorizzata a istituire proprie sedi in N apoli e Palermo7 , esercitò
sui banchi meridionali una forte concorrenza in quanto i suoi
biglietti circolavano, a differenza di quelli dei banchi, in buona
parte del Regno. Ciò, in assenza di regole o di accordi intesi a
disciplinare i rapporti di coesistenza tra i diversi istituti, fu causa
ben presto di difficoltà. Il BN pagava per abitudine le proprie
fedi di credito in moneta d'argento borbonica, anziché in oro, e
la sede di Napoli della Banca nazionale che incassava forti som-
me in fedi di credito accettava malvolentieri in cambio delle stes-
se detta moneta, sia perché accolta dal pubblico con grande ri-
pugnanza, sia perché causa di intralcio al servizio del cambio.
Dopo vani tentativi di raggiungere un accordo tra i due istituti,
il Consiglio superiore della Banca nazionale decise di non accet-
tare più nei pagamenti le fedi di credito del BN. La crisi mone-
taria che seguì a detto provvedimento sulla piazza di Napoli pro-
vocò l'intervento del governo, il quale fece pressioni per il
raggiungimento di un accordo tra i due istituti8 •
6 Per la storia di ciascuna delle sei banche di emissione cfr., tra gli altri, P.
Rota, Storia delle banche, Tipografia del giornale «Il Sole» 1874.
7 R.D. 18 agosto 1861, n. 173.
8
Sulla base di tale accordo la Banca nazionale si impegnava ad accettare le
fedi di credito e il Banco si obbligava a cambiare quelle allo stesso presentate per
il 50 per cento in oro o pezzi da lire 5 d'argento o in piastre, per il 20 per cento
in mezze piastre o in mezzi colonnati, per il 30 per cento in mezzi pezzi da l o
S. Petricola La riscontrata 311
Ciò nonostante le difficoltà continuarono, poiché col passare
degli anni la giacenza delle fedi nelle casse della Banca nazionale
andò accrescendosi costantemente (il4 agosto 1865 ascendeva a
12 milioni) e con essa il timore della banca che il proprio spor-
tello di Napoli potesse diventare una succursale del BN; di qui la
ricerca di sempre nuovi accordi con quest'ultimo. Nondimeno
nell'aprile del1866, in vista delle mai risolte difficoltà di cam-
bio, la Banca nazionale era nuovamente pronta a sospendere l' ac-
cettazione delle fedi, sospensione che fu evitata grazie all'inter-
vento del ministro delle Finanze.
Lo stato dei rapporti tra gli istituti di emissione costituì og-
getto di analisi nell'ambito della relazione della commissione par-
lamentare d'inchiesta sul corso forzoso; le questioni più rilevanti
emerse già in quella sede rappresentano un importante antefatto
intorno alle ragioni che in prosieguo indussero il governo a in-
trodurre, unitamente al corso forzoso, una regolamentazione del-
la riscontrata. Brevemente qui si annota che col Bs i rapporti di
cambio interbancario non dettero luogo a incidenti notevoli, seb-
bene la Banca nazionale avesse sempre in portafoglio biglietti
dello stesso per circa due milioni 9 , mentre riguardo alla BNT, in
occasione della apertura della propria sede in Firenze nell865, la
Banca nazionale deliberò di non accettarne i biglietti onde evi-
tare il ripetersi delle difficoltà già incontrate col BN. I biglietti
della BTc, invece, in circolazione per ammontari limitati, veni-
vano per lo più accettati dalla Banca nazionale e mandati al cam-
bio che di solito era eseguito prontamente.
2 carlini. Cfr. Atti parlamentari, Carnera dei deputati, Legislatura X, sess. l a,
Documenti, n. 215-A, Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
corso forzoso dei biglietti di banca, vol. III, Eredi Botta, Firenze 1868-69.
9 Nella citata relazione si dà conto invece dei grossi inconvenienti che il Bs
incontrò in sede di riscontrata col BN e che portarono dal 3 marzo 1865 alla
cessazione di detta operazione tra i due banchi meridionali. Nel rimandare alla
relazione stessa per un esame dettagliato dei fatti si osserva che durante l'inchie-
sta parlamentare non mancarono le accuse verso la BNR in merito alla sospensione
della riscontrata tra i due Banchi; si riteneva, infatti, da parte di alcuni la BNR
colpevole di aver causato difficoltà al Bs presentando allo stesso per il cambio una
ingente quantità di fedi dell'altro istituto meridionale, con il deliberato proposito
di porre in serio imbarazzo il BN e di far nascere dissapori tra questo e il Bs.
Naturalmente la BNR, nella persona del direttore Bombrini, respingeva queste
accuse e giustificava il ricorso al cambio delle fedi presso il Bs allo scopo di sod-
disfare l'esigenza di detenere forti somme per sostituire nell'isola la moneta bor-
bonica con quella decimale.
312 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
I contrasti derivanti dal baratto dei biglietti, in special modo
tra BNR 10 e BN, non erano destinati a diminuire nemmeno con la
prima forma di regolamentazione ufficiale della riscontrata in-
trodotta con R.D. 2 maggio 1866, n. 2874. Il suddetto decreto
seguiva quello in data l 0 maggio, n. 2873, con il quale la BNR
venne sciolta dall'obbligo del pagamento in denaro contante e a
vista dei suoi biglietti, mentre ai biglietti degli altri istituti di
emissione venne conferito il corso legale, rimanendo in conse-
guenza questi ultimi obbligati a rimborsare le proprie banconote
al pubblico in moneta metallica o in biglietti della BNR. Per age-
volare quest'ultima possibilità di cambio detti istituti (ad ecce-
zione della BNR) dovevano immobilizzare i due terzi delle loro
riserve metalliche e a fronte di tale immobilizzo la BNR avrebbe
dovuto fornire su domanda l'equivalente in biglietti propri. In
tale situazione gli istituti, sui quali permaneva l'obbligo del cam-
bio dei biglietti con il pubblico, avrebbero incontrato difficoltà
nel cambio interbancario con il rischio di depauperare le loro
disponibilità in moneta inconvertibile. Di qui l'esigenza di per-
venire a una regolamentazione ufficiale della riscontrata che al-
leggerisse gli oneri degli istituti i cui biglietti godevano del solo
corso legale. Con l'art. 2 del citato decreto 2 maggio 1866 venne
stabilito che la BNR non avrebbe potuto portare al cambio, in uno
stesso giorno, fedi di credito per un valore superiore a un dodi-
cesimo dei biglietti di banca rappresentanti, per ogni istituto
emittente, la propria massa metallica immobilizzata. Sull'inter-
pretazione di quest'ultimo punto nacque una lunga disputa fra la
BNR e il BN. Quest'ultimo con una riserva metallica immobiliz-
zata di 20 milioni avebbe potuto ottenere dalla BNR biglietti in-
convertibili fino a tale misura e invece ne limitò la richiesta a
3. 660.000, pretendendo di conteggiare il limite di un dodicesimo
posto al cambio delle fedi su quest'ultima somma anziché, come
sosteneva la BNR, sul totale della riserva immobilizzata. Il Con-
10 In quel periodo la Banca nazionale assunse il titolo di Banca nazionale nel
Regno d'Italia e non quello di Banca nazionale d'Italia, in quanto l'orientamento
della Camera intorno alla nota questione bancaria, che divideva la pubblica opi-
nione tra fautori della banca unica e sostenitori del pluralismo bancario, si era
ormai espresso per il mantenimento della molteplicità degli istituti di emissione
e, pertanto, non si volle che del sistema della banca unica di emissione rimanesse
traccia neanche nel nome dell'Istituto maggiore che vi aspirava. Cfr. A. Monzilli,
Note e documenti per la storia delle banche di emissione, Tip. Lapi, Città di Castello
1896.
S. Petricola La riscontrata 313
siglio di Stato, interessato in proposito, espresse nel giugno 1866
un parere favorevole alla tesi della BNR, ritenendo il decreto del
2 maggio una disposizione a favore dei banchi meridionali e nel
contempo restrittiva dei diritti di detta banca. Successivamente,
a seguito delle manifestazioni di dissenso da parte del sindacato
sulle società commerciali e istituti di credito, il Consiglio di Stato
prese di nuovo in esame la questione e, contraddicendo il parere
espresso in precedenza, stabill che il dodicesimo delle fedi da
portare quotidianamente al cambio doveva essere commisurato
non alla massa metallica immobilizzata ma al valore dei biglietti
che effettivamente la rappresentavano. Pertanto, poiché il BN
non si era avvalso che parzialmente della facoltà di ottenere dalla
BNR biglietti inconvertibili, solo entro tale limite doveva com-
misurarsi il predetto dodicesimo. Lo svantaggio della BNR deri-
vante dal limitato diritto di cambio delle fedi di credito era, se-
condo il Consiglio di Stato, compensato dal doppio privilegio
concesso alla sua carta, vale a dire il corso coattivo e la incon-
vertibilità né in oro né in altri biglietti. D'altro canto si sottoli-
neava che le fedi, dovendo essere accettate da tutti, potevano
essere accettate anche dalla Banca nazionale, la quale era sen-
z' altro autorizzata a utilizzarle nei suoi pagamenti 11 •
Dopo il 1870 entrava in campo anche la BR, le cui vicissitu-
dini, fin dalla propria origine risalente al1826, forniscono una
indicazione dei grossi privilegi che consentirono a detto istituto
di percorrere il proprio cammino fino a divenire nel1850 Banca
degli Stati pontifici. Quest'ultima godette per lungo tempo del-
l'esclusività del privilegio dell'emissione e, da ultimo, di fronte
alla sfiducia del pubblico che si manifestava con grosse richieste
di rimborso dei suoi biglietti in moneta metallica, ottenne con la
notificazione pontificia del 4 ottobre 1866 la possibilità di cir-
coscrivere il cambio giornaliero a una somma limitata.
L'istituto romano arrivò al momento dell'integrazione nel
11 A nulla valsero le proteste della BNR, pure riportate nella Relazione della
Commissione parlamentare d'inchiestsa sul corso forzoso dei biglietti di banca, cit.,
con la quale la Banca, nell'intento di porre restrizioni all'accettazione delle fedi
di credito, cosl si giustificava: «Comprende ognuno che ciascun Istituto di cir-
colazione tende ad allargare, a favorire la circolazione del proprio biglietto; ado-
prando o nei pagamenti o nel cambio le Fedi del Banco, la Sede della Banca in
Napoli si sarebbe convertita in una succursale del Banco, e ciò non può essere, né
voleva essere consentito».
314 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Regno d'Italia con una situazione economica disastrata e il go-
verno italiano, anziché favorirne l'assorbimento da parte di qual-
che altro istituto 12 , per ragioni di ordine politico, lo mantenne in
vita modificandone il nome e costringendolo ad abbandonare l'e-
sclusività del privilegio a fronte di un compenso di l milione di
lire a carico degli altri istituti di emissione e di credito che aves-
sero voluto stabilire le proprie sedi in Roma.
Nel1872 il governo intervenne per dipanare i notevoli pro-
blemi di cambio sorti tra la BR e la BNR, istituendo un'apposita
commissione che ritenne necessario innanzi tutto la riduzione del-
la circolazione dei biglietti della BR (3 milioni al mese da luglio a
ottobre 1872), nonché l'aumento del limite posto al cambio dei
biglietti di detta banca dapprima a 100.000 e poi a 150.000 lire.
Problemi di cambio sorsero nello stesso anno anche tra BNR
e BNT e trovarono composizione, sempre con la mediazione del
governo, mediante la previsione del cambio reciproco dei bigliet-
ti due volte a settimana e del rimborso entro 18 mesi alla BNR
della forte somma dei biglietti della BNT che si era accumulata
nelle casse della banca maggiore; le crescenti difficoltà della BNT
portarono l'anno successivo alla stipula di una nuova convenzio-
ne con la BNR mediante la quale quest'ultima forniva alla BNT 6
milioni di moneta metallica da immobilizzare, creando in tal mo-
do le condizioni necessarie per ottenere altrettanti biglietti della
BNR da utilizzare per il baratto 13 •
3. La legge 30 aprile 1874
La legge 30 aprile 1874 costitulla prima disciplina organica
della circolazione nell'Italia unitaria, in un periodo in cui vigeva
il corso forzoso e il regime delle emissioni era disciplinato dalle
disposizioni statutarie dei vari istituti autorizzati a svolgere tale
funzione. La legge venne varata in un momento storico in cui le
scelte di politica bancaria si erano chiaramente espresse per il
pluralismo dell'emissione. Pertanto gli obiettivi perseguiti riguar-
12 Le trattative per la fusione erano intercorse tra la BR e la BNR. Cfr. ASBI,
Segretariato, cart. 112. Su questo argomento cfr. anche Monzilli, op. cit.
u Di Nardi, op. cit.
S. Petricola La riscontrata 315
darono, oltre al problema della circolazione14 , anche quello del
pareggiamento delle condizioni dei sei istituti di emissione ren-
dendo convertibili i biglietti della BNR, equiparando a biglietti
veri e propri le fedi dei banchi meridionali e i buoni cassa della
BTc, togliendo a tutti i biglietti il carattere di regionalità me-
diante l'estensione del corso legale ovunque gli istituti emittenti
avessero avuto una rappresentanza per il cambio. Veniva anche
abrogata la notificazione pontificia concernente la BR rendendo
illimitato il cambio dei suoi biglietti. Nella consapevolezza che le
disparità venivano superate solo sul piano formale, stante la po-
sizione di assoluta supremazia della BNR, il sistema della concor-
renza, che pure si ricercava 15, veniva limitato regolamentando la
riscontrata. Forte era il timore, derivante dalla passata esperien-
za, che lasciando operare senza limiti il meccanismo della riscon-
trata, gli istituti più deboli potessero essere sopraffatti dalla ban-
ca maggiore arrivando in via di fatto al sistema della banca unica
di emissione. Allo stesso intento mirava la negazione della facol-
tà alle banche di emissione di potersi fondere tra loro, poiché si
riteneva che con l'accordare questa facoltà si sarebbe pervenuti,
per le condizioni peculiari del credito in Italia, a un monopolio
bancario.
L'art. 15 della legge stabiliva che durante il corso forzoso il
rimborso reciproco e lo scambio dei biglietti tra gli istituti con-
sorziati doveva essere regolato da apposite convenzioni appro-
vate dal governo, in mancanza delle quali il governo stesso avreb-
be regolamentato d'autorità la riscontrata. Prime intese furono
prese dagli Istituti di emissione per stabilire le basi della conven-
14 Per gli aspetti riguardanti la circolazione la legge limitava l'emissione com-
plessiva dei biglietti al triplo del patrimonio e della riserva metallica e inoltre
prevedeva per la circolazione abusiva una multa eguale all'ammontare dei bigliet-
ti non legalmente circolanti. Per tale ragione il Consiglio superiore della BNR
chiese che nel fissare la cifra dei biglietti a corso legale della banca venisse tenuto
conto di tutti i 150 milioni di capitale effettivamente versato alla chiusura del
bilancio 1873, mentre nella versione definitiva del testo di legge vennero ritenuti
utili alla tripla circolazione i primi 100 milioni di capitale versato, più un terzo
dei rimanenti 50 destinati in parte all'operazione del prestito nazionale. Cfr.
ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanze straordinaria del
4 dicembre 1873, n. 403 e ordinaria dell7 dicembre 1873, n. 404.
15 La legge prevedeva l'istituzione di un consorzio tra gli istituti di emissio-
ne, tra i cui obiettivi non vi era quello di superare gli svantaggi insiti nel regime
di pluralità bancaria, bensì quello di evitare il ricorso a un'emissione direttamen-
te governativa, considerati i rischi e i pericoli che la stessa poteva presentare.
316 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
zione relativa al cambio dei biglietti e in particolare per stabilire
tempi e modi per lo scambio e la sistemazione delle differenze. Il
testo della convenzione fu recepito dal governo con R.D. 23 set-
tembre 1874, n. 2221, nei termini già prestabiliti dagli istituti
medesimi, «meno qualche modificazione di forma» 16 •
Con l'accordo si attenuava sensibilmente l'efficacia della ri-
scontrata, sia allungandone i tempi di esecuzione (da giornaliera
a settimanale), sia prevedendo la possibilità per i casi di cumuli
straordinari di biglietti di procedere sulla base di speciali intese
tra gli istituti interessati.
Ogni sede o succursale o agenzia delle sei banche di emissio-
ne poteva rimettere soltanto nel giovedì della settimana i bigliet-
ti giacenti nelle proprie casse a ciascuno degli altri cinque istituti
nella località più vicina ove veniva a trovarsi una sede o succur-
sale o rappresentanza di questi ultimi. Ciascuna coppia di istituti
effettuava la compensazione delle reciproche posizioni bilancia-
te, mentre eventuali differenze dovevano essere rimborsate in
biglietti inconvertibili. In mancanza della immediata liquidazio-
ne delle differenze le direzioni generali degli istituti interessati,
debitamente informate, si sarebbero incontrate il lunedì della
settimana successiva in Roma, presso la presidenza del Consor-
zio, per procedere alla liquidazione del debito e del credito di
ciascun istituto verso gli altri. In quella sede gli istituti debitori
avrebbero avuto la facoltà di adempiere alle proprie obbligazioni
in giornata, maggiorando il proprio debito degli interessi di quat-
tro giorni, ovvero consegnando ai creditori un mandato pagabile
in Roma, scadente entro il termine massimo di sette giorni, mag-
giorato degli interessi dal giorno del giovedì precedente, al saggio
di sconto praticato dall'istituto creditore.
La convenzione speciale per il cambio dei biglietti tra la BNR
e il Bs prevedeva che la rimessa dei biglietti avvenisse ogni lunedì
e che le sedi di Palermo dei due istituti potessero facoltativa-
16 Il progetto di convenzione venne presentato al Consiglio della BNR dal
direttore generale il l 0 luglio 1874 con l'avvertenza che lo stesso avrebbe avuto
piena esecuzione dopo l'approvazione dei consigli degli altri istituti e quella del
governo. Insieme alla convenzione generale per il cambio dei biglietti venne sot-
toposto al Consiglio il testo definitivo dei punti specialmente concordati col Bs.
Cfr. ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanze del l 0 luglio
1874, n. 418 e del16 dicembre 1874, n. 430.
S. Petricola La riscontrata 317
mente saldare in Palermo le differenze residuali ovvero inviare i
risultati alla liquidazione generale in Roma 17 •
Con R.D. 21 gennaio 1875, n. 2372, che approvava il rego-
lamento per la esecuzione della legge 30 aprile 1874 sulla circo-
lazione cartacea, venne anche disciplinata la riscontrata tra il Te-
soro e le banche, in relazione alla circostanza che le sezioni
provinciali di tesoreria venivano in possesso, per effetto della
loro ordinaria operatività, dei biglietti dei vari istituti di emis-
sione. Anche il Tesoro quindi, nella sua qualità di grosso opera-
tore nel sistema dei pagamenti, poteva discriminare i diversi isti-
tuti al momento del cambio dei biglietti di cui veniva in possesso
influendo sulle riserve degli stessi e sulla loro circolazione. Fu
stabilito che il Tesoro poteva effettuare il cambio dei biglietti in
suo possesso con le rispettive banche emittenti ogni dieci giorni
e per somme non superiori a 2 milioni per la BNR e il BN e a l
milione per gli altri istitutils.
La regolamentazione ufficiale della riscontrata non risolse
egualmente gli attriti tra gli istituti derivanti dal cambio recipro-
co dei biglietti, la cui eco giungeva in seno al Parlamento. Nel
progetto di legge Majorana-Calatabiano presentato il21 febbraio
1879, ritenuto un atto preparatorio alla cessazione del corso le-
gale e del corso forzoso, venivano poste norme sulla restrizione
della circolazione e sul baratto dei biglietti. A quest'ultimo ri-
guardo le norme tendevano a ridurre le notevoli dimensioni che
il baratto complessivo dei sei istituti di emissione aveva raggiun-
to, passando da 451 milioni nel 1873 a 1193 milioni di lire nel
1879 19 • Dette norme prescrivevano ai sei istituti di ricevere re-
17 Il Consiglio superiore della BNR, in sede di accoglimento della citata spe-
ciale convenzione col Bs, ritenne necessario che nella medesima venissero preci-
sate norme per il computo degli interessi sugli sbilanci, i quali interessi avrebbero
dovuto decorrere dal giorno della consegna dei biglietti da farsi reciprocamente
a cura degli stabilimenti locali. Cfr. ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio
superiore, adunanza del l 0 luglio 1874, n. 418.
1s Di Nardi, op. cit.
19 Ibid. Su questo argomento l'autore rileva come il rapporto tra l'ammon-
tare dei biglietti cambiati in sede di baratto e la circolazione media annuale, che
sta a indicare quante volte, durante ciascun anno, gli istituti cambiavano tutti i
propri biglietti attraverso le operazioni di baratto, si elevò da 1,26 nel 1875 a
l, 77 nel 1879; le punte più alte furono raggiunte dalla BR e dalla BTc, le quali
dovettero cambiare i propri biglietti la prima anche fino a sei volte in un anno e
la seconda da tre a quattro volte l'anno. Questa alta frequenza viene dall'autore
imputata alla regionalità dei biglietti: «<nfatti, chi aveva da fare pagamenti in-
318 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
ciprocamente in tutte le proprie casse i loro biglietti in ragione
del sesto della rispettiva circolazione massima e allo Stato di
riceverli nelle casse erariali anche dopo la cessazione del corso
legale.
Il citato progetto di legge, nonostante avesse suscitato un in-
tenso dibattito, andò incontro a un fallimento 20 • Della questione
della riscontrata si occupò anche la commissione speciale istituita
nel1879 dai ministri delle Finanze, del Tesoro e di Agricoltura,
industria e commercio per avere maggiori elementi di giudizio
sulla necessità di una proroga del corso legale dei biglietti21 . Gli
istituti consorziati espressero le loro opinioni in merito agli ef-
fetti rivenienti dal vigente sistema di riscontrata e in quell' occa-
sione le maggiori difficoltà furono esposte dalla BNT, la quale per
fronteggiare la riscontrata con la BNR aveva dovuto far ricorso a
spese rilevanti connesse con operazioni di risconto di portafo-
glio, arbitraggi su rendita, acquisti di cambiali scadenti su piazze
ove era possibile ottenere biglietti della BNR ecc. 22 •
La BNR rappresentò alla commissione il regolare svolgimento
della riscontrata e al pari degli altri istituti fu concorde nel rico-
noscere la necessaria funzione della stessa.
La commissione concluse che
niuna nuova disposizione legislativa o regolamentare sia da adottare ri-
spetto alla riscontrata: fa voti per altro che anche all'intento di far ces-
sare, per quanto è possibile, la regionalità dei biglietti, il Governo debba
far opera officiosa affinché gl'Istituti di Elnissione si concedano le mag-
giori agevolezze pel cambio reciproco dei loro biglietti, addivenendo alle
nuove convenzioni che sieno all'uopo necessarie.
terregionali chiedeva biglietti del Consorzio o della BNR in cambio dei biglietti
locali [... ]. Di qui l'aumento continuo delle cifre del baratto degli Istituti minori
e la loro condizione di inferiorità rispetto alla BNR. [ ... ] ed infatti le maggiori
richieste di baratto le ricevevano la BR e la BTc, dotate ognuna di un'unica sede.
[ ... ]mentre il BN, che aveva esteso la rete delle sue Filiali fino a Milano, Torino
e Venezia ed operava complessivamente in 19 provincie, sentiva meno la pres-
sione del baratto».
20 Su questo argomento cfr. S. Cardarelli, La questione bancaria in Italia, in
Ricerche per la storia della Banca d'Italia, cit.
21
Gli atti e la relazione finale della commissione sono pubblicati negli «An-
nali dell'Industria e del Commercio», anno 1880, vol. XIV.
22 Le spese sostenute dalla BNT per far fronte alla riscontrata furono di lire
1.116.67.3 nel1877, 814.984 nel1878, 359.141 nel primo semestre 1879. Cfr.
Monzilli, op. cit.
S. Petrìcola La riscontrata 319
Quindi, a parere della commissione come pure degli istituti
di emissione, le difficoltà e l' onerosità della riscontrata non era-
no da attribuire né a difetto di regolamentazione né a sopraffa-
zione della BNR, ma al problema della regionalità dei biglietti che
ogni istituto doveva cercare di superare.
4. L'evoluzione della riscontrata dopo l'abolizione del corso forzoso
L'abolizione del corso forzoso fu preceduta da un'ispezione
governativa agli istituti di emissione volta a verificare se gli stessi
erano in grado di far fronte al cambio dei biglietti in moneta
metallica. L'ispezione confermò le difficoltà della BNT derivanti
anche dalla riscontrata, le perdite cui la stessa andava incontro
per farvi fronte e le operazioni rovinose e illegali alle quali era
costretta a ricorrere. Suggeriva o la riduzione della circolazione
di detta banca per renderla proporzionata ai bisogni reali del
commercio, normalizzando per tal via il baratto e rendendolo
meno oneroso, ovvero l'impianto di nuove succursali in altre
piazze del Regno nelle quali estendere la sfera di circolazione dei
propri biglietti e ove ricevere nei pagamenti valute degli altri
istituti, liberandosi in tal modo del peso del baratto.
Rispetto alla BR, altro istituto che dagli ispettori non fu tro-
vato in buone condizioni, la relazione concludeva:
In noi è rimasta favorevolissima impressione dell'attuale suo anda-
mento e fondata speranza che nonostante i mali che ancora le proven-
gono da antichi e non corretti impegni, esso, adottando qualche indi-
spensabile espediente come quello di allargare la sua sfera d'azione o la
base del suo capitale, potrà resistere all'incerto della ripresa del cambio
in oro e continuare ad offrire al commercio romano quegli aiuti dei quali
è stato largo sinora. 23
La legge 7 aprile 1881 per l'abolizione del corso forzoso se-
gnò in effetti l'inizio del periodo di maggiore espansione degli
istituti minori - come auspicato tra l'altro dalla citata commis-
sione e dai risultati ispettivi - sia in virtù del clima favorevole
agli affari creato dalle nuove condizioni monetarie sia in conse-
guenza della necessità di detti istituti di allargare la circolazione
23 Ibid.
320 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
dei propri biglietti e rendere per tal via meno gravoso l'onere
della riscontrata. Onere divenuto più pesante proprio a causa del-
l' abolizione del corso forzoso, poiché il debito in sede di baratto,
da saldare in moneta metallica, avrebbe determinato un impove-
rimento delle loro riserve a favore degli istituti creditori.
A livello normativa la legge 7 aprile 1881 prevedeva la facol-
tà per il governo di determinare con decreto reale la riscontrata
tra i sei Istituti e tra essi e il Tesoro, ma di fatto questa facoltà
non venne attivata poiché si ritenne opportuno continuare a per-
correre la via degli accordi tra gli istituti. Questi ultimi parteci-
parono a diverse conferenze indette dai ministri delle Finanze e
del Commercio allo scopo di esaminare le condizioni degli istituti
minori, in particolare BNT e BR, le quali ultime avevano più volte
sollecitato il governo a prendere provvedimenti in loro favore in
grado di aiutarle a superare la crisi della cessazione del corso for-
zoso. Gli accordi avrebbero dovuto avere carattere temporaneo
onde consentire agli istituti minori di resistere al primo urto,
ritenuto il più forte, conseguente alla ripresa del cambio. Il go-
verno, consapevole di aver intrapreso una strada alquanto diffi-
coltosa, temeva che gli istituti di emissione in genere potessero
andare incontro a una grande affluenza di cambio, che sarebbe
stata maggiore nei confronti delle banche minori, sottoposte per
loro natura e per i loro ordinamenti a operare in ambiti territo-
riali più ristretti. Le richieste degli istituti minori furono di non
lieve conto e si estesero fino al punto di domandare che la BNR si
prestasse a eseguire i pagamenti nelle province toscane con i bi-
glietti della BNT giacenti nelle sue casse e nella provincia di Roma
con i biglietti della BR. Questa speciale proposta venne dalla BNR
assolutamente esclusa, tanto nell'interesse morale e materiale
della banca, che ne avrebbe ricevuto grave danno, quanto per
ragioni di interesse pubblico. Tuttavia, per non venirf' meno alla
pratica di deferenza costante della banca ai desideri del governo,
vennero concretate le seguenti proposte atte ad agevolare le ban-
che per azioni minori (BNT, BTc e BR):
l. La riscontrata dei biglietti continuerà ad esser fatta fino a tutto
il prossimo anno 1883 con le norme stabilite nel R.D. 23 settembre
1874, n. 2221 (serie 2a).
2. La BNR ammetterà al risconto i recapiti che le verranno presen-
tati dalla BNT, dalla BR e dalla BTc, purché abbiano le qualità volute
S. Petricola La riscontrata 321
dagli Statuti della stessa Banca, fino a concorrenza del decimo della ri-
spettiva circolazione alla data del 31 dicembre 1882.
3. Fino a concorrenza di un altro decimo della rispettiva circolazio-
ne alla stessa data, la BNR terrà in cassa i biglietti delle tre accennate
Banche, entrati nelle riscossioni, senz'alcuna spesa per esse, purché il
Governo autorizzi formalmente la BNR a dedurne l'ammontare dalla pro-
pria circolazione considerando i biglietti medesimi giacenti nelle sue cas-
se come suoi propri.
4. Le disposizioni degli artt. 2 e 3 saranno mantenute dalla BNR fino
al 30 novembre 1883. La stessa Banca se ne terrà sciolta anche prima,
ove le Banche minori non facciano puntualmente e regolarmente con
essa la riscontrata dei biglietti.
Le suddette proposte non trovarono riscontro ufficiale in un
decreto, anche se la materia della riscontrata era di norma rego-
lata con quest'ultimo mezzo, in considerazione della ripugnanza
da parte dei ministri competenti di valersi di detta facoltà. Que-
sti ultimi approvarono per lettera tutte le proposte concordate
tra loro stessi e la BNR, dichiarando espressamente che quest'ul-
tima poteva ritenersi autorizzata a dedurre dalla propria circola-
zione l'ammontare dei biglietti della BNT, della BR e della Brc
giacenti nelle sue casse entro il limite prestabilito, considerando
i biglietti medesimi come propri2 4 • La BR ottenne anche che il BN
tenesse immobilizzati nelle sue casse tre milioni di biglietti ro-
mani fino al 30 novembre 1883, scadenza successivamente pro-
rogata al 30 settembre 1884.
Col BN la riscontrata venne costantemente eseguita ai sensi
del disposto del R.D. 23 settembre 1874; la modifica dei relativi
accordi tra lo stesso banco e la BNR venne concordata reciproca-
mente allo scopo di agevolare il servizio secondo le convenienze
manifestatesi per entrambi gli istituti. I nuovi accordi, perfezio-
nati nel maggio del 1883, stabilirono che la riscontrata invece
che settimanalmente venisse eseguita di decade in decade e che
le differenze venissero computate nella liquidazione da effettua-
re il terzo giorno successivo a quello dell'ultima riscontrata del
mese nelle sedi di Napoli, Bari, Milano e Firenze. In sede di
liquidazione si sarebbero dovuti utilizzare biglietti ex consorzia-
li, finché ve ne fossero stati disponibili, ovvero oro per due terzi
24 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanze dell'8 no-
vembre 1882, n. 627 e del 20 dicembre 1882, n. 630.
322 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
e argento per un terzo 25 , tenuto conto che il governo con R. D. 12
agosto 1883, nell'imporre l'obbligo agli istituti di emissione di
costituire una riserva metallica per due terzi in oro e un terzo in
argento, aveva consentito la possibilità di eccedere il limite fis-
sato per la loro circolazione purché questa eccedenza, esente da
tasse, fosse interamente coperta da valuta metallica.
Anche col Bs i nuovi accordi furono dettati essenzialmente
da ragioni di convenienza reciproca e mirarono fondamentalmen-
te a rendere decadale la riscontrata nonché a stabilire nuove mo-
dalità di liquidazione delle differenze, le quali si sarebbero do-
vute saldare nei tre giorni successivi a Palermo, Roma e Milano
a seconda della collocazione geografica delle sedi e succursali
interessate26 •
Gli accordi con le banche minori invece furono oggetto di
nuove sollecitazioni da parte dei ministri del Tesoro e del Com-
mercio in vista della loro scadenza; i ministri ritenevano ancora
difficoltose le condizioni dei citati istituti in conseguenza dell'a-
bolizione del corso forzoso e volevano evitare possibili pertur-
bazioni. La BNR espresse la propria contrarietà poiché da quando
il cambio era stato riaperto il pubblico non vi aveva fatto ecces-
sivo ricorso, anche perché l'oro non veniva utilizzato e in suo
luogo si provvedeva preferibilmente con scudi d'argento anche
se non eccessivamente graditi. Purtuttavia, considerando che il
governo aveva in corso di predisposizione una proposta di legge
sul nuovo ordinamento degli istituti di emissione, ragioni di po-
litica bancaria indussero il maggiore istituto a non sollevare ulte-
riori discussioni e a consentire alla proroga di un anno dei ripetuti
accordi, aggiungendovi peraltro l'obbligo per le banche minori del
ritiro dei biglietti immobilizzati nella proporzione di un quarto
della somma per ciascun trimestre, cosicché alla fine dell'anno il
totale complessivo dei biglietti immobilizzati sarebbe stato inte-
ramente eliminato. Inoltre, in vista della progressiva diminuzione
dei biglietti già consorziali, si ritenne opportuno cogliere l' occa-
sione per stabilire nuove modalità di liquidazione delle riscontra-
25 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanza del9 mag-
gio 1883, n. 639.
26 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanza del27 ago-
sto 1884, n. 673.
S. Petricola La riscontrata 323
te, ponendo come altra condizione alla concessione della proroga
che la liquidazione delle differenze, in caso di utilizzo di valute
metalliche, venisse effettuata per almeno due terzi in oro27 •
5. Gli accordi con la Banca Romana
Con la BR, nonostante gli accordi intervenuti al momento
della cessazione del corso forzoso, le riscontrate non procedet-
tero mai regolarmente. La BR, cogliendo l'occasione di una gros-
sa riscontrata eseguita all'inizio del novembre 1884, domandò
l'intervento del governo affinché la BNR fosse sospinta a impie-
gare nei pagamenti i biglietti dell'istituto romano entrati nelle
proprie casse portandone al cambio solo la parte residua. Non
poco dovette faticare il direttore generale della BNR per dimo-
strare al governo l'assurdità di quella proposta, che mai sarebbe
stata accettata dalla banca, e l'inutilità della stessa dal momento
che la BR, come pure gli altri istituti minori, avevano provvedu-
to, in conformità degli accordi a suo tempo presi, a ritirare tutti
i biglietti tenuti immobilizzati dalla BNR pareggiando i rispettivi
conti. Il ministro di Agricoltura, industria e commercio, superata
l'idea della rispendita dei biglietti altrui, invitò ancora la BNR a
cercare di diminuire i disagi della riscontrata per la BR; ma la
proposta della BNR di stabilire un tetto massimo settimanale alla
riscontrata, basato sulle medie del triennio 1882-84, salvo adde-
bitare l'eventuale eccedenza in un conto corrente intestato alla
BR, garantito da titoli e fruttante l'interesse inferiore di un pun-
to percentuale al proprio saggio di sconto, non fu accettata dalla
BR, la quale indicò al ministro diversi emendamenti.
Frattanto la BR, non più in grado di compiere la riscontrata,
si limitava a ritirare i propri biglietti per i quali poteva eseguire
il baratto, lasciando le rimanenze nelle casse della BNR. Con una
giacenza che aveva raggiunto i 10 milioni di lire le rimostranze
della BNR si fecero più vive e la BR cercò di avviarvi ricorrendo
a operazioni speciali2 8 • Ma neanche queste valsero a limitare le
27 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanza del 21 no-
vembre 1883, n. 653.
28 Le trattative riguardarono la cessione delle obbligazioni del prestito mu-
nicipale di Roma 1871 di proprietà della BR nonché del credito di 3,5 milioni
324 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
difficoltà della BR e di nuovo pesarono le interferenze governa-
tive sulla BNR per l'adozione di più agevoli rimedi. Alla presenza
dei due ministri del Tesoro e del Commercio, del governatore
della BR e del direttore generale della BNR vennero concertati i
nuovi accordi con i quali la BNR fece le sue massime concessioni.
Ciò nonostante la BR dichiarò di non vedere con tale provvedi-
mento totalmente eliminate le sue difficoltà riservandosi di ac-
cettare gli accordi solo in via di esperimento.
Le basi dell'accordo erano realmente favorevoli per la BR in
quanto venne previsto che:
l. La BNR terrà immobilizzato nelle sue casse un fondo di biglietti
romani fino a lire 4.500.000.
2. La riscontrata fra la BNR e la BR sarà fatta per decade; ed in
ciascuna decade la BR sarà tenuta a cambiare fino a 3 milioni con facoltà
di cambiare anche maggiore somma.
3. Entro la prima decade di ogni mese sarà riassunto il conto delle
tre riscontrate del mese e se rimanesse un avanzo non cambiato potrà
essere ritirato dalla BR fino alla somma di lire 4.500.000 a suo debito
in conto corrente fruttifero in ragione del tasso ufficiale dello sconto
della BNR.
Raggiunto questo limite la BR sarà tenuta a cambiare l'intiero am-
montare dei biglietti che le saranno presentati nella riscontrata.
4. Quest'accordo durerà fino al20 giugno del venturo anno 1886.
Il governo in costanza dell'accordo autorizzava la BNR a emet-
tere biglietti propri, esenti dalla tassa di circolazione, per una
somma corrispondente all'ammontare del fondo di biglietti ro-
mani immobilizzato nelle sue casse e nello stesso tempo invitava
la BR a impegnarsi a mantenere la propria circolazione entro il
limite di 40 milioni2 9 •
La riscontrata diveniva essa stessa causa delle eccedenze di
circolazione che in questo caso erano legalizzate; la stessa peral-
tro era anche causa di operazioni anomale poste in essere dagli
istituti minori, al solo scopo di procurarsi banconote della BNR.
dalla stessa vantato verso il governo come compartecipazione nell'anticipazione
di 68 milioni fatta al Tesoro dagli istituti di emissione per la estinzione dei suoi
debiti verso la cessata Società anonima per la regia dei tabacchi. Cfr. ASBI,
Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanza del23 settembre 1885,
n. 700.
29 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanza del 9 di-
cembre 1885, n. 705.
S. Petricola La riscontrata 325
Si instaurava in tal modo un circuito vizioso per cui la riscontrata
determinava una crescita della circolazione, la quale, a sua volta,
aggravava il problema della riscontrata. Ma la riscontrata non era
in quel periodo la più importante causa delle eccedenze di circo-
lazione e in particolare di quella parte di essa che superava il
limite legale e che non era coperta da piena riserva; erano ini-
ziati, per volontà del governo, i grandi salvataggi delle aziende di
credito maggiormente impegnate nei finanziamenti ai settori eco-
nomici in crisi da parte delle banche di emissione; la crisi eco-
nomica del1887 acuì la gravità dei problemi più scottanti allora
sul tappeto, che riguardavano 1' ampiezza della circolazione
illegale30 e, in stretta connessione, la questione della riscontrata,
in particolare tra BNR e BR.
Gli accordi di riscontrata tra quest'ultima e la BNR furono pro-
rogati di sei mesi in sei mesi fino al20 giugno 1887; dopo detta
scadenza la BR chiese un'ulteriore proroga di un anno. Fu in co-
stanza di questo successivo periodo di proroga che si verificò la
nota crisi della riscontrata che ebbe eco su tutta la pubblica stam-
pa, la quale, inconsapevole dei particolari accordi intercorsi tra i
due istituti, accusava la BNR di soverchieria e prepotenza pren-
dendo le difese dell'istituto minore 31 • Probabilmente la BNR vo-
leva con tale atto far trapelare un chiaro messaggio a chi avrebbe
dovuto ascoltare, poiché le seguenti dichiarazioni del direttore ge-
nerale al Consiglio mostravano con evidenza che la banca aveva
consapevolezza delle ragioni che avevano provocato una così ele-
vata giacenza di biglietti romani nelle proprie casse:
>o La circolazione illegale degli istituti di emissione aveva raggiunto la cifra
di circa 200 milioni. Cfr. Cardarelli, op. cit.
>1 Nella prima decade di ottobre 1887 erano entrati nelle casse della BNR
circa 24 milioni di biglietti romani, i quali furono dalla banca presentati al cam-
bio il giorno ultimo della decade. A questi la BR poté contrapporre biglietti e altri
titoli della BNR per 14,5 milioni, per cui la rimanente somma di 9,5 milioni fu, in
conformità dei citati accordi, immobilizzata per 4,5 milioni. I rimanenti 5 milioni
potevano restare nelle casse della BNR in quanto a tenore dei ripetuti accordi la
BR aveva la facoltà di limitare il cambio per ognuna delle tre decadi del mese a soli
3 milioni, salvo a regolare i residui nella prima decade del mese successivo, con
possibilità di addebitare 4,5 milioni nel proprio conto corrente e cambiare il ri-
manente. Considerata quindi l'opportunità di lasciare nelle casse della BNR il
residuo di 5 milioni fino al successivo 10 novembre, giorno in cui detto residuo
poteva essere addebitato per 4,5 milioni con valuta primo dello stesso mese, la
vera entità del saldo da rimborsare per la BR si riduceva a lire 500.000, cifra non
tale da giustificare tutto il clamore suscitato dalla stampa. Cfr. ASBI, Segreta-
dato, Verbali del Consiglio superiore, adunanza del26 ottobre 1887, n. 750.
326 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Come abbia potuto aver luogo l'agglomerazione di un fondo tanto
rilevante di biglietti romani nelle casse della Banca Nazionale lo indica
la situazione della Banca Romana alla sera del lO ottobre la quale segna
la sua circolazione a quella data a 58 milioni benché nel mattino di quel-
lo stesso giorno le fossero stati consegnati dalla Banca Nazionale con la
riscontrata circa 13 milioni in biglietti.
Quali debbano necessariamente essere le conseguenze di questo sta-
to di cose è noto al Governatore della Banca Romana il quale sa che in
occasione dell'adunanza dei Rappresentanti gli Istituti di Emissione,
presenti le SS.LL. i Ministri del Tesoro e di Agricoltura e Commercio,
il Direttore Generale del Tesoro e il R. Commissario, fu riconosciuta la
necessità per la Banca Romana di contenere la sua circolazione nel limite
di 40 milioni per non avere riscontrate troppo forti.
Insieme ai rumori della stampa tornavano a riecheggiare le
vecchie proposte di rispendita dei biglietti romani, argomento
che aveva da sempre incontrato il più forte diniego da parte della
BNR, ma che allo stesso tempo costituiva una minaccia efficace
per indurla a più miti condizioni di trattamento nei confronti
dell'istituto romano. Il timore che i citati propositi assumessero
maggiore concretezza aveva indotto il Consiglio superiore della
BNR, nell'adunanza del26 ottobre 1887, a votare una mozione
del direttore generale per appello nominale con la quale si espri-
meva il diritto-dovere della banca di non consentire alla rispen-
dita di biglietti di altri istituti, essendo suo precipuo dovere quel-
lo di dare ai propri clienti biglietti suoi:
La Banca non ha pagato la indennità di l milione, che ha corrisposto
alla Banca Romana per introdurre la sua circolazione in Roma, per fare
poi di sé un'agenzia per la circolazione dei biglietti dell'altro Istituto; ed
infine perché [... )l'acconsentire alla rispendita dei biglietti romani equi-
varrebbe al riconoscimento di un monopolio in Roma il quale sarebbe in
pieno contrasto con le disposizioni che regolano la circolazione cartacea.
L'accaduto venne preso in considerazione dal governo, il qua-
le era in procinto di presentare un progetto di legge finalizzato a
regolamentare le questioni della circolazione e della riscontrata.
Detto progetto, presentato il19 novembre 1887, prevedeva
che la circolazione doveva essere ricondotta entro i limiti previsti
dalla legge del1874, subordinando le eventuali eccedenze aspe-
cifica autorizzazione governativa; la riscontrata diveniva quin-
dicinale e agli istituti creditori veniva concesso di emettere bi-
S. Petricola La riscontrata 327
glietti senza copertura a fronte dei biglietti degli altri istituti non
presentati al baratto. Ma la commissione incaricata dell'esame
del citato progetto32 non lo ritenne sufficientemente adeguato
alla tutela degli interessi degli istituti minori e, a sua volta, fece
ulteriori proposte che in tema di riscontrata ne prevedevano la
limitazione a una somma non maggiore di un decimo della cir-
colazione attribuita a ogni istituto. Con questa proposta la po-
tenza dello strumento della riscontrata veniva sostanzialmente
annullata e gli istituti maggiori avrebbero visto accumularsi nelle
proprie casse i biglietti delle banche minori non ammessi al cam-
bio; questa veniva ritenuta l'unica via percorribile, in costanza
del sistema della pluralità, per rendere concretamente possibile
la coesistenza tra istituti di emissione di forza diversa.
La BNR intervenne decisamente nel dibattito allora in corso
nel timore che le suddette proposte potessero avere influenza sul
governo, il quale si apprestava a presentare sulle questioni mag-
giormente discusse un nuovo progetto di legge 33 • Quest'ultimo,
presentato il22 giugno 1889, e ripresentato con qualche modi-
fica il30 novembre successivo, riproponeva infatti, a regolamen-
tazione della riscontrata, le restrittive norme indicate dalla sud-
detta commissione; tuttavia, i contrasti sviluppatisi in seno al
governo intorno alla questione bancaria provocarono il fallimen-
to di tutti i disegni di legge fino all'anno 18913 4 .
In tutto il periodo la giacenza di biglietti romani nelle casse
della BNR crebbe in misura ragguardevole, creando non pochi
imbarazzi alla Direzione della BNR, alla quale peraltro la BR non
corrispondeva l'interesse su dette somme previsto dagli accordi
in essere. Negli incontri che su tali questioni il direttore generale
della BNR ebbe con il governatore della BR, vennero a quest'ul-
n Cfr. la relazione della citata commissione predisposta dall'on. Branca, in
Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XVI, sess. 2 a, Documenti,
n. 12-A.
n Cfr. la memoria presentata dalla BNR al presidente del Consiglio Crispi
1'11 gennaio 1889, Ordinamento bancario. Memoria dell'Amministrazione della
Banca Nazionale al Governo del Re, in ACS, Archivio Crispi, Fondo Deputazione
storia patria di Palermo, b. 38, Riordinamento bancario. I vi la banca contestava
fortemente l'eventualità che la facoltà di emissione potesse essere esercitata sen-
za alcun freno.
34 Sui diversi tentativi del governo di regolamentare le questioni della cir-
colazione e della riscontrata nonché dell'ordinamento bancario in generale cfr.
Cardarelli, op. cit.
328 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
timo proposte alcune facilitazioni atte a fornire una temporanea
soluzione al problema, che tuttavia non furono dallo stesso ac-
cettate perché ritenute pur sempre troppo pesanti35 .
Il governo temeva ~he la BR, per via della grave crisi che la
coinvolgeva, potesse venire a trovarsi nella necessità di sospen-
dere o ridurre gli sconti sulla piazza di Roma e, pertanto, onde
promuovere la definizione di nuovi accordi con la BNR, fu indot-
to a far scendere in campo il presidente del Consiglio dei mini-
stri. Questi ottenne ulteriori concessioni da parte della BNR e
l'adesione della BR, nonostante le richieste di quest'ultima an-
dassero ben oltre il concordato. Infatti la BR chiedeva che per i
suoi biglietti che entrassero nelle casse della BNR, al di là delle
somme immobilizzate e del debito in conto corrente, essa non
avesse altro obbligo che quello di ritirare 2 milioni per ogni de-
cade, mentre nella definitiva versione dei nuovi accordi venne
previsto in via di esperimento di elevare a 6 milioni la immobi-
lizzazione di biglietti romani e a 9 milioni il limite del conto cor-
rente, nonché di ridurre l'interesse su detto conto al4 per cento,
tenuto conto che il governo si era dichiarato disponibile a eso-
nerare gli ultimi 9 milioni dal compenso dell'l% che riceveva per
le eccedenze di circolazione sul limite legale3 6 • In sostanza, men-
tre alla BR veniva concesso di sottrarre 15 milioni di biglietti
propri dalla riscontrata, alla BNR veniva accordata la facoltà di
emettere biglietti propri per la stessa somma senza copertura di
riserve metalliche e in esenzione della tassa di circolazione e della
tassa straordinaria sull'eccedenza. Questo nuovo accordo, che
35 Dette facilitazioni prevedevano la trasformazione delle somme che la BR
non era in grado di barattare in un suo debito, anche se superiore ai 4,5 milioni
previsti dalla convenzione vigente. Tali somme fino a 6 milioni (tanto era l'im-
porto massimo consentito dal governo in esenzione della tassa di circolazione)
sarebbero rimaste immobilizzate nelle casse della BNR, mentre le rimanenti sa-
rebbero confluite in un conto corrente a debito della BR fino al limite di 9 milioni
e regolate a un interesse di mezzo punto percentuale inferiore al tasso ufficiale.
Per gli interessi arretrati sui biglietti romani rimasti presso la BNR veniva pro-
posto, a transazione, un tasso del 2 per cento, equivalente a quanto la banca
pagava in più, per effetto della giacenza di tali biglietti nelle sue casse, a titolo di
tassa di circolazione sui propri biglietti e per la partecipazione dello Stato negli
utili sulle eccedenze di circolazione. Cfr. ASBI, Segretariato, Verbali del Con-
siglio superiore, adunanze del24 settembre 1890, n. 818, dell'8 ottobre 1890, n.
819, del12 novembre 1890, n. 821.
36 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanza del22 ot-
tobre 1890, n. 820.
S. Petricola La riscontrata 329
aveva il fine ultimo di elevare a 9 milioni il debito in conto cor-
rente della BR, consentendo alla stessa di ritirare per equivalente
importo biglietti propri, era oneroso per l'erario, il quale doveva
rinunciare a 300.000 lire annue di tasse, e venne approvato con
disappunto da parte del ministro delle Finanze.
Secondo il Monzilli l'ispezione del1889 nei riguardi della BR
aveva evidenziato l'esistenza di una emissione o circolazione ir-
regolare durante la decade, alla quale la banca stessa ricorreva
per incettare biglietti della BNR e far fronte alla riscontrata. L'im-
porto di tale eccedenza, pari a 9 milioni, corrispondeva esatta-
mente alla somma dei biglietti che a tenore dei nuovi accordi la
BR poteva ritirare dalla BNR iscrivendoli a suo debito nel conto
corrente. Riteneva quindi detto autore che il governo, solleci-
tando i nuovi accordi tra le due banche, volesse porre la BR in
grado di non ricorrere più in futuro alla accertata irregolarità per
eseguire la riscontrata con la BNR. Poiché di irregolarità sembra-
va allora si trattasse e non di un vero e proprio vuoto di cassa,
come le vicende che portarono alla catastrofe della BR misero
successivamente in luce37.
6. L 'abolizione sostanziale della riscontrata
Il sistema di vigilanza sugli istituti di emissione era stato di
molto attenuato con la legge 30 aprile 1874. Le relative norme,
37 Durante l'ispezione del 1889 era stato accertato che la BR, per incettare
biglietti della Nazionale necessari per la riscontrata, immetteva in circolazione,
nel corso della decade, biglietti propri in forti quantità senza computarli come
biglietti emessi; le casse praticamente venivano reintegrate a fine decade allorché
i biglietti della BNR acquistati venivano cambiati con quelli romani in sede di
riscontrata. Questa irregolarità dette origine al famoso episodio che vide coin·
volta la BNR, la quale anticipò durante quell'ispezione alla BR 10 milioni di bi-
glietti romani in conto riscontrata, che furono dall'istituto romano utilizzati per
far trovare le casse in ordine all'ispettore Biagini; quest'ultimo infatti, unitamen-
te al Monzilli, era stato incaricato dal ministro Miceli di eseguire una seconda
verifica delle casse, dopo che la prima si era conclusa con una accertata maggiore
emissione di 9 milioni di biglietti. Dopo la caduta della BR, la Commissione par-
lamentare d'inchiesta sulle banche, nominata dalla Camera il 21 marzo 1893,
nella sua relazione accusò la BNR di avere con quel prestito, consapevoln:!ente,
dato modo alla BR di coprire un vuoto di cassa, accusa che costrinse la banca a
difendersi pubblicamente con una lettera inviata a Mordini, presidente della
Commissione. Tale lettera è pubblicata in G. Negri (a cura di), Giolitti e la nascita
della Banca d'Italia ne/1893, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Ro-
ma-Bari 1989, doc. 29.
330 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
stabilite nel regolamento del1875, affidavano la vigilanza al mi-
nistero di Agricoltura, industria e commercio, che la esercitava a
mezzo di commissari insediati presso le sedi centrali degli istituti.
Al ministero era demandato l'esame delle situazioni decada-
de e degli altri atti che gli istituti erano obbligati a trasmettergli
nonché l'attuazione facoltativa degli accertamenti ispettivi. Il
ministro non poteva tuttavia assumere provvedimenti di una cer-
ta importanza se non dopo averli concordati col ministro del T e-
soro; entrambi i ministri presentavano annualmente al Parlamen-
to la relazione sull'andamento dei sei istituti di emissione.
La mitezza di tale sistema di vigilanza, rispetto a quello pre-
vigente, rispondeva alla logica di sottrarre gli istituti di emissio-
ne da ogni possibile ingerenza dell'autorità amministrativa, fa-
cendo leva sulla responsabilità e correttezza degli amministratori
dei singoli istituti più che sulla vigilanza del governo. Anche la
fabbricazione, l'avvaloramento, l'emissione e l' abbruciamento
dei biglietti avveniva senza alcuna previsione di autorizzazione
governativa, restando il sindacato su questi atti demandato an-
ch'esso all'amministrazione degli istituti. Di conseguenza il go-
verno non era in grado di determinare, sulla base di elementi
propri, l'ammontare della circolazione di ciascun istituto e di
controllarla con una semplice verifica di cassa.
Nelle succursali provinciali la vigilanza era demandata ai pre-
fetti, ma di fatto questa non ebbe mai esecuzione 38 •
Le ispezioni, in tutto il periodo 1874-79, non vennero mai
eseguite; con R.D. 29 gennaio 1880, al fine di accrescere l'effi-
cacia dei controlli di vigilanza, vennero resi più cogenti alcuni
obblighi imposti agli istituti di emissione e la facoltà di eseguire
accertamenti ispettivi venne trasformata in obbligo. Fino al1892
furono ordinate due ispezioni, l'una nel1880 e l'altra nel1889,
a dimostrazione che il governo vi ricorreva proprio in casi di
estrema necessità, dovendo nella normalità mantenere buoni rap-
porti con gli istituti di emissione ai quali si rivolgeva quasi quo-
tidianamente per soddisfare le proprie esigenze di credito, per le
operazioni con l'estero, per le necessità dell'economia nazionale
o di comparti di essa (agricoltura, industra, edilizia ecc.) o per
38 Monzilli, op. cit.
S. Petricola La riscontrata 331
questioni strettamente politiche (eventi bellici, elezioni politi-
che, controllo della stampa ecc.)3 9 •
Le conseguenze di un così attenuato sistema di vigilanza fu-
rono ben evidenti sulla circolazione, i cui limiti furono ampia-
mente superati con la tolleranza del governo. Alle vicende della
circolazione sono strettamente connesse quelle della riscontrata,
poiché in assenza di controlli a monte è a valle che i problemi si
presentano in forma più acuta. La riscontrata piena t.ra gli istituti
costituiva un forte deterrente in grado di evidenziare gli eccessi
delle emissioni abusive; le banche soggette alla riscontrata e al
baratto dei propri biglietti non avrebbero potuto tenere in cir-
colazione un ammontare di banconote superiore a quello deri-
vante dalle effettive esigenze del commercio.
Nelle vicende della riscontrata si rifletteva anche l'evoluzio-
ne della questione bancaria a seconda del prevalere delle tesi di
coloro che perseguivano il disegno dell'unità bancaria e di coloro,
in netta maggioranza, che sostenevano il mantenimento del si-
stema della pluralità. Il riordinamento degli istituti di emissione,
aleggiato da tutti i governi man mano succedutisi, avrebbe do-
vuto condurre al superamento dello status quo, ma nessun gover-
no in fondo poteva rischiare di scontentare i fautori dell'una o
dell'altra corrente. Tuttavia durante tutto il periodo nel pubbli-
co, ma specialmente in Parlamento, prevalse la tesi che il sistema
della pluralità dovesse essere mantenuto, anzi rafforzato. Si vo-
leva la pluralità, ma non la concorrenza, o per lo meno si voleva
circoscrivere l'azione concorrente degli istituti maggiori, affin-
ché la stessa non riuscisse eccessivamente gravosa per gli istituti
minori. In un paese carente di iniziativa privata, gli interessi di
numerosi operatori economici ruotavano intorno agli istituti di
emissione, alla loro capacità di concedere credito; di qui l'azione
volta ad assicurare la sopravvivenza e il consolidamento anche
degli istituti minori, specialmente attraverso la regolamentazio-
ne della riscontrata che non a torto venne ritenuta «la vexata
quaestio del nostro problema bancario». La riscontrata veniva
mantenuta, e con questo atto venivano tacitati i partigiani della
BNR, però la sua efficacia veniva attenuata assecondando così gli
interessi dei seguaci delle banche minori.
39 Ibid.
332 Ricerche per la stmia della Banca d'Italia V
Nell'anno 1891 le cose cambiarono; fu quello l'anno della
vittoria delle banche minori e in particolare della BR. Il ministro
del Tesoro Luzzatti aveva predisposto lo schema del nuovo pro-
getto di legge sul riordinamento bancario, il quale prevedeva, tra
l'altro, l'istituzione di un Consorzio tra gli istituti di emissione
cui era demandata la fabbricazione dei biglietti; rispetto alla ri-
scontrata il Consorzio avrebbe dovuto dettare norme per la ri-
spendita dei biglietti. Tuttavia mancando solo tre mesi alla sca-
denza del privilegio dell'emissione il progetto venne accantonato
e, in suo luogo, fu presa in esame una proroga di 18 mesi del
privilegio stesso, che tuttavia contenesse per lo meno alcune di-
sposizioni volte ad avviare gli istituti di emissione verso un as-
setto normale. Il 30 giugno 1891 si ebbe la nuova legge, la cui
discussione in Senato fu problematica per via delle pubbliche de-
nunce che vennero fatte in quella sede sui risultati dell'ispezione
del1889 alla BR.
Con la nuova legge, oltre a stabilire i limiti della circolazione
per ciascun istituto, fornendola anche di una maggiore riserva
metallica, si voleva verificare la situazione degli impieghi diretti
degli istituti per prepararne la smobilizzazione. In ordine alla ri-
scontrata si impegnava il governo a provvedere entro due mesi,
sentiti i direttori generali degli istituti di emissione circa le pro-
prie idee in proposito. I ministri del Tesoro e del Commercio,
promotori della nuova legge, ritenevano che senza provvedimen-
ti speciali per la riscontrata gli istituti difficilmente avrebbero
potuto procedere alla liquidazione delle immobilizzazioni; si vo-
leva d'altro canto che tali provvedimenti speciali venissero as-
sunti col consenso dei singoli istituti anticipando gli effetti del
Consorzio che avrebbe dovuto crearsi con la legge definitiva sul
riordinamento del credito. Infatti negli intenti dei ministri il
Consorzio avrebbe dovuto eliminare gli attriti tra gli istituti e far
scemare la concorrenza; in sua vece nel frattempo si doveva an-
nullare il principale strumento di competizione rappresentato
dalla riscontrata o quanto meno se ne dovevano eliminare le con-
seguenze e gli effetti più gravi.
In tal senso i ministri si espressero nei confronti dei direttori
degli istituti di emissione nel corso della riunione appositamente
indetta per cercare l'accordo, facendo presente che in tema di
riscontrata non era intendimento del governo il mantenimento
dello status quo e che, pur perseguendosi la pluralità bancaria,
S. Petrico/4 La riscontrata 333
non si poteva non favorire la concordia tra gli istituti, l' accomo-
damento dovendosi ricercare sulla base della rispendita dei bi-
glietti da attuare anche in via sperimentale. In quell'occasione le
posizioni della BNR e della BR si collocarono su piani diametral-
mente opposti. Sosteneva il comm. Grillo, direttore generale del-
la BNR, che la riscontrata era una conseguenza necessaria dell' ob-
bligo imposto a ciascun istituto di ricevere nei versamenti i
biglietti degli altri e che la rispendita dei biglietti altrui era con-
traria all'interesse generale e a quello della clientela, in quanto
ciascun istituto aveva ragioni di credito diverse e i relativi bi-
glietti avevano anche un non eguale grado di spendibilità. Re-
plicava il comm. Tanlongo, direttore generale della BR, che la
rigida teoria della BNR mal si adattava a un paese povero di cir-
colazione metallica e dotato di istituti di emissione con un livello
di potenzialità così disparato. La BR, operando solo nella capi-
tale, aveva un campo di circolazione ristretto riservato ai suoi
biglietti, i quali ritornavano frequentemente al cambio presso gli
altri istituti per ottenere biglietti a più ampio raggio d'azione
utili per eseguire pagamenti con il resto del Regno. Sosteneva
inoltre il Tanlongo che la BR dal1870 in poi aveva avuto circa 12
milioni di perdite causate dalla riscontrata e, per questa ragione,
egli chiedeva la rispendita dei suoi biglietti, altrimenti la banca
avrebbe dovuto liquidare 40 • Una volta ammesso tale principio la
40 In effetti l'ispezione del 1889 sugli istituti di emissione aveva accertato
che per sostenere gli oneri della riscontrata gli istituti erano costretti a ricorrere
a provvedimenti molto dannosi e in alcuni casi irregolari. Nella relazione ispet-
tiva si annotava che la riscontrata avveniva tra la BNR e ,!Ili altri istituti, poiché
questi ultimi nei loro rapporti reciproci rispendevano i biglietti altrui e comunque
non andavano incontro a grossi problemi; la BNR godeva di una supremazia di
fatto, risultando essa sempre a credito, benché tale condizione fosse assicurata da
un complesso di circostanze tutte legali, quali l'entità della circolazione, il nu-
mero di stabilimenti e rappresentanti o corrispondenti, la preminenza nell'eser-
cizio delle Stanze di compensazione. Gli altri istituti sopportavano l'onere della
riscontrata ricorrendo a provvedimenti speciali tra i quali soprattutto l'acquisto
di rendita italiana o cartelle fondiarie nelle piazze ove ciascuno di essi poteva
utilizzare biglietti propri e la conseguente vendita in quelle ove più facilmente si
potevano ottenere biglietti della BNR. Ma l'operazione più pericolosa consisteva
nello sconto di favore per procurarsi cambiali pagabili sulle "piazze nelle quali era
prevalente la circolazione dei biglietti della BNR. n ricorso alle operazioni speciali
per procacciarsi biglietti della BNR era anche accentuato dagli accordi di riscon-
trata che prevedevano in alternativa il pagamento delle differenze in oro e ar-
gento, per cui si rendeva necessario evitare una riduzione delle riserve metalliche
e con esse la graduale rinuncia al privilegio dell'emissione. Per la BR l'ispezione
aveva rilevato, come già detto precedentemente, che essa ricorreva persino al-
334 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
BR si sarebbe adoperata per aumentare il numero delle sue sedi e
succursali, allargando in tal modo l'area di circolazione dei propri
biglietti.
Fra gli altri istituti il BN si pronunciava per la rispendita dei
biglietti, tenuto conto che la nuova legge comminava multe se-
vere per le eccedenze di circolazione, obbligando tutti gli istituti
a contenerne l'ammontare entro i limiti legali. Questa circostan-
za avrebbe ridotto l'affluenza dei biglietti di ciascuno nei paga-
menti e quindi le occorrenze per far fronte alla riscontrata.
Dei rimanenti istituti, il Bs e la Brc si pronunciavano a favore
della riscontrata obbligatoria e intera, mentre la BNT riteneva che
la sua limitazione a una quindicesima parte della circolazione del-
l'istituto debitore poteva essere agevolmente sopportata dagli isti-
tuti minori. Questi ultimi istituti consideravano la rispendita dei
biglietti altrui, qualora obbligatoria, lesiva degli interessi propri e
non necessaria in quanto con la limitazione effettiva della circo-
lazione i problemi sarebbero scemati.
Doveva comunque raggiungersi un accordo e i direttori dei
sei istituti vi pervennero il 21luglio, ritenendo opportuna una
fase sperimentale durante la quale il baratto sarebbe stato limi-
tato all'ammontare dei biglietti scambiabili; in tal modo ciascuno
di essi avrebbe potuto ottenere il rimborso dei biglietti altrui in
suo possesso sino a concorrenza dei valore dei biglietti propri
posseduti dagli altri. L'eccedenza sarebbe stata rispesa dai cre-
ditori nelle proprie operazioni, richiedendosi tuttavia l'impegno
da parte di ogni istituto e in particolare di quelli minori a porre
in essere i maggiori sforzi per ridurre la circolazione al di sotto
del limite legale. Il merito dell'accordo venne attribuito alla BNR,
la quale già il 22 luglio diramava alle proprie sedi e succursali una
circolare (autografata del 22 luglio 1891, n. 1449), stabilendo
che i biglietti non compensati in sede di riscontrata dovevano
essere rispesi nella decade successiva nei pagamenti di qualunque
specie e che, in primo luogo, dovevano essere adoperati i biglietti
degli altri istituti aventi corso legale sulla piazza cominciando da
quelli della BR41 •
l'irregolarità di usare, durante la decade che precedeva la riscontrata, le scorte di
biglietti propri per procurarsi biglietti della BNR.
41 Con la stessa circolare venivano revocate le precedenti disposizioni date a
molti stabilimenti per la periodica trasmissione dei biglietti del BN ad altre sue-
S. Petricola La riscontrata 335
Gli accordi procurarono viva soddisfazione al governo, il qua-
le credeva che in tal modo sarebbero stati eliminati gli antichi
dissidi fra gli istituti e nello stesso tempo avviato il loro risana-
mento per via dell'abolizione delle operazioni irregolari e degli
abusi di circolazione, mentre aspre furono le polemiche da parte
di coloro che combattevano il regime di pluralità bancaria e che
teorizzavano l'equità e la giustezza della riscontrata.
L' «Economista» del26luglio 1891 si esprimeva nel senso di
una vittoria ulteriore della BR, che con ciò dimostrava il suo stra-
grande potere, di fronte al quale Parlamento e governo si piega-
vano da anni. Lo stesso giornale sosteneva che gli effetti di un
tale accordo sarebbero stati tutti a danno del pubblico, il quale
pur non avendo molta simpatia per i biglietti romani, per vari
motivi, ma anche per la loro scarsa spendibilità nelle altre pro-
vince del Regno, sarebbe stato costretto ad accettarli anche dagli
altri istituti di emissione e in maggiori proporzioni, rimanendo a
suo carico l'onere e il disagio del cambio.
Tra gli altri interventi di rilievo si segnala quello del Boccar-
do, il quale riteneva gli accordi del1891- successivamente con-
vertiti in decreto - uno dei più gravi errori della legislazione
bancaria, poiché con la rispendita dei biglietti altrui veniva al-
terato il sistema delle garanzie sulle quali riposa l'emissione dei
biglietti di banca. Dette garanzie non risiedono tanto nel capitale
e nelle riserve quanto nel portafoglio, per cui con il nuovo siste-
ma si sarebbero avuti «biglietti buoni garantiti da operazioni cat-
tive e operazioni buone a garanzia di biglietti cattivi». La rispen-
dita, secondo detto autore, equivaleva a un esonero circa la bontà
dei valori che ciascun istituto accettava allo sconto, in quanto chi
rispendeva i biglietti altrui non si assumeva certo la responsabi-
lità delle operazioni di sconto degli altri istituti42 •
In realtà la rispendita dei biglietti altrui poteva tornare utile
agli istituti creditori, atteso che detti biglietti, sommandosi ai
cursali dell'istituto. Quanto precede conferma come per la BNR la riscontrata col
BN costituisse cagione di spesa, dovendo la stessa ricorrere all'accumulo nelle sedi
ove ciò era possibile di biglietti del banco e al trasporto materiale degli stessi in
quelle sedi che ne avessero avuto bisogno per far fronte alla riscontrata. Il BN
infatti sosteneva molto bene l'onere della riscontrata avendo diffuso la circola-
zione del proprio biglietto in tutto il Regno attraverso l'apertura di sedi, succur-
sali, rappresentanze e agenzie, anzi in virtù di tale politica era riuscito a diventare
anche creditore in sede di baratto.
42
G. Boccardo, Sulla questione bancaria. Considerazioni pratiche, Roma 1892.
336 Ricerche per la storia della Ba11ca d'Italia V
propri, avrebbero consentito l'allargamento del giro di affari evi-
tando di superare il limite legale della circolazione e, quindi, le
conseguenti multe. Ma di fatto gli istituti non dettero eccessivo
peso a questo tipo di convenienza perché il rispetto del limite
della circolazione non venne sempre osservato e detta inosser-
vanza non venne in genere penalizzata.
L'esecuzione degli accordi dette luogo a nuovi inconvenienti
poiché molte piazze del Regno, fra cui le più grosse, furono inon-
date dai biglietti della BR che la BNR e il Bs rispendevano copio-
samente, senza tuttavia riaccettarli nelle operazioni facoltative
(emissione di vaglia cambiari, versamenti in conto corrente ecc.);
il pubblico di conseguenza presentava al cambio detti biglietti
presso l'agenzia della BR più vicina, creando nuove difficoltà al
citato istituto. Di qui le lamentele del Tanlongo presso i ministri
affinché ciascun istituto riprendesse anche nei servizi ritenuti
facoltativi i biglietti altrui.
E così fu. Il governo intervenne nuovamente sulla BNR e l' «E-
conomista» il 9 agosto scrisse che la maggiore banca doveva pra-
ticamente mettere a disposizione della BR gli 83 uffici che a pro-
prio rischio e col proprio sacrificio aveva aperto nelle diverse
province del Regno; la BNR doveva infatti ricevere e rispendere,
nelle poche province dove la BR aveva una rappresentanza per il
cambio, i biglietti romani, anche se i pagamenti fossero stati in-
feriori alle riscossioni.
Le norme sulla riscontrata, ai sensi della legge del1891, do-
vevano essere fissate con decreto reale; nonostante il dissenso
della BNR il decreto venne emanato in data 30 agosto 1891 e con
esso venne sanzionato quanto già contenuto negli accordi, con
l'aggiunta dell'obbligatorietà per l'accettazione dei biglietti degli
altri istituti nelle operazioni facoltative 4 3.
In prosieguo, con la stipula di nuove convenzioni tra la BNR
e gli altri istituti di emissione, fatta eccezione per la BR, la ri-
scontrata tornò a essere piena, a dimostrazione che quelle norme
furono effettivamente stabilite a vantaggio del solo istituto ro-
H Dopo la catastrofe della BR, nell'individuazione delle varie responsabilità,
venne ricordato il decreto del1891; secondo il Canovaì l'aver sollevato la BR dal-
l' obbligo di cambiare i suoi biglietti costituì una delle cause per cui la stessa poté
violare ancora più largamente e spensieratamente la legge, fino a ridursi in condi-
zioni disastrose. Cfr. T. Canovaì, Le ba11che di emissio11e i11 Italia, Roma 1912.
S. Petrico!a La riscontrata 337
mano. Infatti gli altri istituti avevano convenienza a ritirare de-
cadalmente tutti i biglietti propri, che venendosi a trovare nelle
casse di un altro istituto cessavano nella sostanza di far parte
della loro circolazione, tuttavia non ai fini del pagamento della
tassa.
Con autografata del6 settembre 1891, n. 1456, la BNR dava
notizia alle proprie dipendenze dei nuovi accordi per la riscon-
trata stabiliti col BN per lo scambio decadario dei biglietti non
limitato alle sole somme compensabili, ma alla totalità dei fondi
esistenti all'ultimo giorno della decade . .f\.naloghi accordi venne-
ro stabiliti col Bs e successivamente con i rimanenti istituti di
emissione, tenuto conto che il12 ottobre la BNR, con autografata
n. 1467, stabiliva che alla riscontrata potevano essere invitate
anche le rappresentanze degli istituti, limitando tuttavia in tal
caso il baratto a quella parte di biglietti che le stesse avessero
disponibili per il cambio; la parte residua non cambiata doveva
essere inviata al più vicino stabilimento della BNR, coesistente
con l'istituto di appartenenza dei biglietti in rimanenza, per es-
sere inserita nella riscontrata. L'unica eccezione riguardava la
BR, la quale non aveva stabilimenti al di fuori della capitale, per
cui, non era opportuno far convergere a Roma i suoi biglietti da
tutte le parti d'Italia; per tale motivo si ripeteva alle filiali l'in-
vito a spendere ovunque e prima di tutti gli altri i biglietti ro-
mani.
Come già detto, negli intendimenti del governo le norme del
1891 dovevano anticipare quelle di un più complessivo progetto
sulla questione bancaria, che venne presentato dal ministro Luz-
zatti il l 0 aprile 1892.
Senza intervenire sulla struttura del sistema bancario, il pro-
getto presentava due importanti novità che riguardavano l'isti-
tuzione del Consorzio tra gli istituti di emissione e del control-
lore della circolazione, nella consapevolezza che i maggiori punti
di debolezza dell'ordinamento bancario vigente risiedevano ap-
punto nella pluralità di banche di emissione in concorrenza fra di
loro e nella carente azione di vigilanza. Il Consorzio aveva in sé
l'idea della collaborazione tra gli istituti e del reciproco control-
lo, da realizzare richiamando sotto il proprio operato tutti i com-
piti inerenti alla fabbricazione dei biglietti, all'emanazione delle
norme per la relativa accettazione, per il baratto reciproco e per
la rispendita degli stessi, nonché comportamenti improntati al-
338 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
l'unità di azione specialmente per quanto concerneva la deter-
minazione del saggio di sconto. Il controllore della circolazione
avrebbe dovuto sottrarre la vigilanza dall'ingerenza del governo
facendola ricadere su un organo indipendente e con pieni poteri.
La caduta del governo determinò l'abbandono del progetto e
nel periodo successivo si assistette all'aggravarsi delle difficoltà
della BR anche per via delle pubbliche rivelazioni fatte in Parla-
mento sui risultati dell'ispezione del1889. La criticità della si-
tuazione indusse il governo a far precedere da una ispezione sugli
istituti di emissione, e principalmente sulla BR, intorno alla quale
si moltiplicavano le accuse e le insinuazioni, qualsiasi progetto
sulla questione bancaria. L'ispezione alla BR iniziò il10 gennaio
1893, ma la situazione di quell'istituto era già nota alcuni giorni
prima poiché erano in corso le trattative per la fusione con la
BNR, nell'ambito delle quali erano emerse una eccedenza di cir-
colazione e un vuoto di cassa di svariati milioni 44 •
7. La regolamentazione della riscontrata dopo la nascita della Banca
d'Italia
L'atto bancario del1893 di nuovo rinviava a un decreto rea-
le, da emanarsi entro l'anno 1893 (termine poi prorogato al28
febbraio 1894), la regolamentazione della riscontrata fra i tre isti-
tuti di emissione. Come in passato, il timore di sollevare aspre
dispute in seno al Parlamento aveva consigliato di evitare una
pubblica discussione sulla questione della riscontrata.
Il governo predispose uno schema di convenzione che sotto-
pose, in una apposita riunione, alle osservazioni dei capi degli
istituti di emissione. In quell'occasione il direttore generale della
BI fece presente che dopo la scomparsa della BR la riscontrata
non costituiva più un problema, in special modo quella con i due
banchi meridionali, che era sempre risultata soddisfacente.
Il R.D. 27 febbraio 1894 ripristinò l'obbligatorietà del cam-
bio decadario dei biglietti e degli altri titoli a vista fra i tre isti-
tuti, prevedendo una completa regolamentazione della riscontra-
ta che investiva tutti gli aspetti più importanti e che risultò
44 All'ispezione fece seguito la riforma degli istituti di emissione che con-
sentl, nel1893, la nascita della BI. Alla questione è dedicato il volume a cura di
G. Negri citato in precedenza.
S. Petricola La riscontrata 339
abbastanza efficace. La riscontrata tornava a essere piena pur
mantenendo carattere bilaterale. Tutte le sedi, succursali, agen-
zie e, in mancanza di queste, le rappresentanze per il cambio
dovevano consegnare alle controparti l'intero ammontare dei bi-
glietti e titoli a vista in loro possesso, rilasciando per le differen-
ze a debito una ricevuta in doppio originale, una delle quali do-
veva essere trasmessa alla Direzione generale dell'istituto credi-
tore (artt. 2, 3 e 4). Quest'ultima, entro cinque giorni, compilava
il riassunto del movimento presso le singole dipendenze, adde-
bitando il risultato in un conto corrente speciale, intestato all'i-
stituto debitore, fruttifero di un interesse non superiore ai tre
quinti del saggio ufficiale di sconto. L'istituto debitore aveva pe-
rò la facoltà, nei cinque giorni successivi, di saldare la differenza
all'istituto creditore o di diminuirla, mediante versamento di bi-
glietti dello stesso istituto ed evitando di corrispondere l'inte-
resse su questi versamenti (artt. 5 e 6). I conti correnti si dove-
vano liquidare al .30 giugno e .31 dicembre di ogni anno con
regolamento del saldo mediante biglietti e titoli propri dell'isti-
tuto creditore, o in valute legali utili al cambio dei biglietti (mo-
neta metallica al corso del cambio o biglietti di Stato) (art. 7).
Tuttavia, durante il corso legale, l'obbligo del regolamento in
valuta legale veniva limitato a un ventesimo della circolazione
massima dell'istituto debitore; la somma residua si poteva salda-
re mediante cessione, per il corrispondente ammontare, del por-
tafoglio a scadenza non superiore a 15 giorni oppure di rendita
consolidata dello Stato al corso medio a contanti verificatosi nel-
la borsa di Roma nei cinque giorni successivi alla riscontr~ta (art.
8). I tre istituti avevano la facoltà di prendere accordi tra di loro
per la reciproca rispendita dei biglietti (art. 9).
In considerazione della citata facoltà attribuita dall'art. 9 del
decreto, i tre Istituti stipularono una convenzione sulla base del-
la quale ciascuno di loro si impegnava a rispendere senza limiti i
biglietti degli altri che fossero entrati nelle proprie casse. Le ul-
teriori giacenze sarebbero state compensate alla chiusura di ogni
decade ai sensi dell'art. 3 del decreto. Le differenze a debito
avrebbero potuto essere saldate nei cinque giorni successivi con
biglietti dell'istituto creditore ovvero mediante apertura di un
conto corrente speciale di cui all'art. 5 del decreto medesimo. La
misura dell'interesse su detto conto corrente veniva fissata pari
a tre quinti del saggio ufficiale di sconto. La convenzione avreb-
340 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
be avuto effetto dal giorno di entrata in vigore del decreto sulla
riscontrata45 •
Nonostante il decreto fosse stato presentato lo stesso giorno
di emanazione alla Camera dei deputati, lo stesso non fu mai
convertito in legge; purtuttavia i tre istituti continuarono a ti-
spendere reciprocamente i propri biglietti, con ciò realizzando
una piena circolarità dei biglietti di banca su tutto il territorio
nazionale a tutto vantaggio del sistema dei pagamenti e dei ban-
chi meridionali in particolare.
Sia il decreto sia la convenzione contenevano norme equili-
brate, frutto della passata esperienza; nondimeno, nonostante
questa favorevole situazione, il governo tornò a modificare so-
stanzialmente la regolamentazione della riscontrata con l'art. 14
della convenzione firmata con la BI il 30 ottobre 1894 e appro-
vata con R.D. 10 dicembre 1894, n. 533 46 . Detto articolo stabilì
che durante il corso legale e fino a quando la BI avesse esercitato
il servizio di Tesoreria per conto dello Stato, il cambio reciproco
dei biglietti tra essa, il BN e il Bs, avrebbe dovuto essere limitato
alla somma dei biglietti della BI che si fossero trovati nelle casse
dei due istituti meridionali 47 .
Con questa norma il meccanismo della riscontrata veniva di
nuovo annullato nel timore che la gran quantità di biglietti dei
banchi meridionali, raccolti dalla BI in virtù delle operazioni di
45 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanze del31 gen-
naio 1894 e del 28 maggio 1894.
46 La convenzione era stata proposta dal ministro del Tesoro, on. Sonnino,
per risollevare le sorti della BI che i risultati degli accertamenti ispettivi avevano
rivelato essere molto gravi. Infatti con essa si prevedeva, tra l'altro, il passaggio
alla Banca del servizio di tesoreria provinciale dello Stato su tutto il Regno a
fronte dell'impegno della Banca stessa di assumere direttamente la liquidazione
della BR con tutti i rischi che detta operazione poteva comportare. Questa con-
tropartita fu dal ministro ritenuta necessaria, poiché la esclusività nello svolgi-
mento del servizio di tesoreria poteva giustificarsi solo se la BI avesse assunto un
onere che togliesse ogni disputa per la cessione ad essa di un servizio ambito
anche dagli altri istituti di emissione. Cfr. ASBI, Segretariato, Relazione della
Commissione nominata in seduta 22 ottobre 1894 con l'incarico di valutare le
proposte del governo per il passaggio alla BI del servizio di tesoreria, adunanza
del6 gennaio 1895, n. 27. Quest'ultimo interessante documento è pubblicato in
F. Bonelli (a cura di), La Banca d'Italia da/1894 a/1913. Momenti della formazione
di una banca centrale, «Collana storica della Banca d'Italia», Laterza, Roma-Bari
1991, doc. 64.
47 Detta disposizione venne poi trasfusa nel R.D. 28 aprile 1910, n. 204
(testo unico delle leggi sugli istituti di emissione).
S. Petricola La riscontrata 341
tesoreria, avesse potuto mettere in difficoltà i banchi stessi in
sede di riscontrata.
Il Canovai48 criticò le suddette disposizioni, osservando che
a detto pericolo si sarebbe potuto ovviare senza menomare il
principio dell'obbligo del cambio reciproco dei biglietti; secondo
detto autore, essendo il movimento di cassa riveniente dalle ope-
razioni di tesoreria contabilmente separato e sottoposto al con-
trollo del Tesoro, si sarebbe potuto escludere «dal cambio i bi-
glietti dei due Banchi entrati nelle operazioni di Tesoreria dello
Stato, i quali sarebbero stati spesi nelle operazioni stesse o in
quelle della Banca, lasciando, pel resto, piena efficacia al princi-
pio della riscontrata».
Peraltro le disposizioni dell'art. 14 vennero, per ragioni di
correntezza operativa, interpretate in modo che la loro applica-
zione risultasse limitata alla liquidazione generale degli sbilanci
dipendenti dalle operazioni di riscontrata, le quali presso i singoli
stabilimenti avrebbero continuato a svolgersi come in passato,
cioè mediante Io scambio di tutti i biglietti e titoli e il rilascio
delle ricevute per le differenze. Una volta effettuata la liquida-
zione, i banchi avrebbero restituito alla BI i biglietti da questa
consegnati in più rispetto a quelli versati dai banchi49 •
Restava quindi in piedi, per effetto di accordi sull'interpreta-
zione della nuova legge, la struttura regolamentare impostata col
decreto del 1894, con la grossa differenza che soltanto i banchi
meridionali venivano sottratti dagli obblighi stabiliti per gli isti-
tuti debitori dal ripetuto decreto: infatti, ferma restando la facol-
tà di saldare il proprio debito in conto riscontrata nei cinque gior-
ni successivi con biglietti e titoli dell'istituto creditore (nella spe-
cie BI), i banchi meridionali potevano, in mancanza di detta va-
luta, pareggiare la differenza con biglietti propri. Viceversa gli
obblighi nascenti dal decreto del1894 rimanevano validi per la BI,
qualora quest'ultima si fosse trovata nella condizione di istituto
debitore; in tal caso la Banca, a tenore delle citate norme, avrebbe
dovuto imputare le differenze a proprio debito in un conto cor-
rente speciale e corrispondere l'interesse su dette somme, fatta
eccezione per quelle che nei cinque giorni successivi fossero state
saldate con biglietti dell'istituto creditore. E poiché in alcuni casi
48 Canovai, op. cit.
49 ASBI, Segretariato, autografata della BI del 30 ottobre 1895, n. 311.
342 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
la BI si venne a trovare nella condizione di istituto debitore, essa
chiese la variazione delle norme che regolavano la riscontrata al
fine di ottenere l'esonero sia dal pagamento degli interessi (nel-
l'ipotesi in cui fosse risultata debitrice), sia dal pagamento della
tassa di circolazione (nell'ipotesi in cui fosse risultata creditrice)
sull'ammontare dei biglietti propri corrispondenti a quelli dei
banchi rimasti nelle sue casse non cambiati (rientrati in vece dei
propri che continuavano a rimanere in circolazione ed essere sog-
getti a tassa). Ma ottenere una tale modifica avrebbe reso necessa-
ria la variazione di una legge (quella che approvava la convenzio-
ne); il che impedl il soddisfacimento degli interessi della Banca50 .
Anche nei rapporti reciproci tra i due banchi meridionali con-
tinuavano ad applicarsi le disposizioni del decreto del 1894; pe-
raltro nel1898 il BN, ritenendo troppo gravoso l'interesse del 3
per cento che doveva pagare al Bs sul conto corrente speciale per
le differenze a suo debito in conto riscontrata, domandò al Bs
una riduzione dell'interesse stesso. La proposta venne accolta,
mercè l'intervento del ministero del Tesoro, e l'interesse venne
ridotto prima al 2,40 per cento (cioè a due quinti del saggio mi-
nimo, allora stabilito nella misura del 4 per cento, per lo sconto
delle cambiali di primo ordine) e poi al 2,20 per cento. Succes-
sivamente gli istituti meridionali riconobbero che, nonostante
l'adottata riduzione, non cessavano le conseguenze, dannose per
l'istituto debitore, nascenti dall'esistenza del conto corrente spe-
ciale, qualora non si fosse potuto, nei cinque giorni posteriori alla
decade, saldare la differenza con valute dell'istituto creditore.
Consenziente il ministero, nell'aprile 1899 gli istituti meridio-
nali abolirono provvisoriamente il detto conto fra loro, adottan-
do, in suo luogo, le stesse norme che regolavano la riscontrata
con la BI, e cioè che, ferma restando la facoltà di saldare, nei
cinque giorni successivi alla riscontrata, il proprio debito con bi-
glietti e titoli dell'istituto creditore, l'istituto çlebitore poteva, in
mancanza di dette valute, pareggiare la differenza con biglietti di
propria emissione5 1 • '
50 ASBI, Segretariato, Verbali del Consiglio superiore, adunanza del19 giu-
gno 1899, n. 98.
51 Cfr. Relazione intorno all'andamento degli istituti di emissione e della circo-
lazione bancaria e di Stato, anno 1899, in Atti parlamentari, Camera dei deputati,
Legislatura XXI, sess. 1900-1901, Documenti, disegni di legge e relazioni.
S. Petricola La riscontrata 343
Nell'anno 1914 gli eventi bellici arrecarono profondi turba-
menti al mercato monetario internazionale, con ripercussioni
economiche e finanziarie anche nel nostro paese, sebbene ancora
neutrale. Il panico dei depositanti, il tesoreggiamento e l'incetta
delle monete divisionarie e anche dei biglietti di Stato, la discesa
rapida dei titoli pubblici e dei valori industriali, portarono il go-
verno a adottare una serie di provvedimenti che riguardarono,
oltre alla chiusura delle borse e alla moratoria, l'aumento dei li-
miti normali della circolazione al fine di porre gli istituti di emis-
sione in grado di assecondare le maggiori e insistenti richieste di
credito (su tale circolazione supplementare gli istituti dovevano
corrispondere al Tesoro, oltre che la tassa di circolazione, un con-
tributo straordinario a titolo di partecipazione dello Stato agli
utili derivanti dai maggiori impieghi).
Anche nei riguardi della riscontrata vennero adottati prov-
vedimenti eccezionali, dettati dalle circostanze pure eccezionali
in cui si trovarono i tre istituti di emissione nei rapporti tra le
rispettive circolazioni. Il ministero del Tesoro stabill, dal20 ago-
sto al 31 ottobre, la sospensione fra i tre istituti delle operazioni
di riscontrata per i biglietti, restando quest'ultima limitata ai soli
titoli all'ordine (vaglia cambiari ecc.); durante tale periodo i bi-
glietti di ciascun istituto che a fine decade si trovavano nelle
casse degli altri due venivano detratti dalla circolazione dell'isti-
tuto emittente, come se fossero stati giacenti nelle casse di que-
st'ultimo. Successivamente, onde evitare un aggravio nelle ope-
razioni di riscontrata, avuto riguardo alle giacenze dei biglietti
dei banchi meridionali presso la BI-Servizio di tesoreria provin-
ciale per effetto di somministrazioni nei confronti del Tesoro, la
riscontrata venne nuovamente sospesa dal31 dicembre dello stes-
so anno fino a nuova disposizione, secondo le medesime modalità
stabilite nell'agosto 191452 •
In sostanza, mentre l'operazione materiale di cambio dei bi-
gHetti tra gli istituti di emissione era stata soppressa, veniva ef-
fettuata un'operazione di tipo contabile che svantaggiava gli isti-
tuti creditori agli effetti del calcolo della tassa di circolazione.
Infatti, mentre gli istituti debitori potevano detrarre dalla pro-
pria circolazione i biglietti propri giacenti nelle casse degli isti-
52 Ibid.
344 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
tuti creditori, questi ultimi non potevano detrarre dalla loro cir-
colazione l'importo dei biglietti propri - che continuavano a
rimanere in circolazione e a essere soggetti a tassa - corrispon-
dente all'ammontare dei biglietti altrui, rientrati in vece dei pro-
pri, e giacenti nelle loro casse. Particolarmente svantaggiata era
la BI, che per via del servizio di tesoreria vedeva affluire nelle
proprie casse considerevoli somme di biglietti dei banchi meridio-
nali; ma anche il BN venne a trovarsi in più occasioni in condizioni
disagiate, mentre il Bs, negli anni immediatamente successivi al-
l' adozione del provvedimento, fu l'unico a trarne vantaggio; la
formula utilizzata per il computo dei biglietti in circolazione ave-
va ridotto a zero, a fine 1917, la circolazione per conto del com-
mercio di detto banco, essendo di importo maggiore l'ammonta-
re dei biglietti da dedurre, rappresentati dalle giacenze presso la
BI e il BN.
Il verificarsi del citato fenomeno indusse il ministero del T e-
soro alla modifica della formula utilizzata per il computo della
circolazione, stabilendo che ciascun istituto dovesse portare in
deduzione dei biglietti emessi non più l'ammontare dei biglietti
propri esistenti nelle casse degli altri due, bensì quella somma
che, dal confronto tra l'importo dei biglietti propri esistenti nelle
altrui casse a fine decade e quello dei biglietti degli altri due isti-
tuti esistenti nelle proprie, risultasse minore. Questa serie di
espedienti escogitati nel tentativo di pervenire a modalità più
rigorose e reali nella determinazione, in regime di sospensione
della riscontrata, della circolazione per conto del commerdo53
facente capo a ciascuno dei tre istituti, continuava a non essere
scevra da inconvenienti, tant'è che anziché continuare a cercare
di avvicinare, nei suoi effetti, il regime sostitutivo a quello della
riscontrata effettiva, si pensò di ripristinare l'operazione di ri-
scontrata fra i tre istituti. Il problema che maggiormente attana-
gliava il governo era quello delle riserve degli istituti che, nel
1920, coprivano meno del30 per cento della circolazione per con-
to del commercio eccedente il limite normale. Pertanto, oltre a
5 > La circolazione per conto del commercio è la risultante del complessivo
movimento delle operazioni attive e passive degli istituti di emissione. Quest'ul-
tima nel dopoguerra aveva raggiunto uno sviluppo straordinario tale da assumere
vero carattere inflazionistico, accentuatosi in seguito a causa delle vicende che
colpirono sul finire del 1921 il mercato bancario italiano.
S. Petricola La riscontrata 345
studiare provvedimenti per accrescere le riserve, possibilità pe-
raltro molto difficoltosa, il governo pensava anche a meccanismi
regolatori della circolazione, quale era appunto la riscontrata. Ma
l'operazione di riscontrata non venne mai più ripristinata, giacché
con D.L. 31 dicembre 1923, n. 3060, nel confermare la sospen-
sione del baratto decadale, si provvide a recepire ulteriori modi-
fiche della formula per il computo della circolazione stabilendo
che ciascun istituto, nell'accertare l'ammontare effettivo della cir-
colazione dei propri biglietti alla fine di ogni decade, avrebbe do-
vuto detrarre dall'ammontare della circolazione medesima l'im-
porto dei biglietti degli altri due istituti che venivano a trovarsi
nelle sue casse. Cioè agli effetti del calcolo della riserva e della
tassa applicabile a ciascun istituto, si determinava la quantità dei
biglietti da esso emessi e si detraeva l'ammontare dei biglietti pro-
pri rientrati nelle proprie casse, nonché l'ammontare dei biglietti
degli altri istituti giacenti nelle casse medesime 54 •
La riscontrata non ebbe più ragione di essere a seguito del
decreto del 1926 che unificò il servizio di emissione in capo alla
BI; continuò a effettuarsi soltanto lo scambio materiale, a fine
decade, dei titoli nominativi (vaglia e fedi di credito), essendo
stata conservata ai due banchi meridionali la facoltà di emettere
detti titoli55.
54 Cfr. Relazione intorno all'andamento degli istituti dt emissione, anni 1923 e
1924, in Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XXVII, sess. 1924-
1925, Documenti, disegni di legge e relazioni.
55 N. Garrone, La scienza del commercio, vol. II, parte seconda, Vallardi,
Milano 1942.
Parte terza
STATISTICHE STORICHE
UNA RICOSTRUZIONE DELL'ANDAMENTO MENSILE
DEI SALARI INDUSTRIALI E DELL'OCCUPAZIONE
1919-39
di Vera Zamagni
Nei miei precedenti lavori sui salari degli operai dell'indu-
stria 1890-1945 1 avevo ricostruito medie annuali nazionali dei
salari giornalieri nominali, deflazionati con l'indice costo della
vita IsTAT. Tali lavori riportano per esteso le fonti dei dati da me
utilizzati e i metodi di costruzione delle stime e analizzano tutta
la letteratura dell'epoca e successiva che si è occupata di salari in
Italia. Non è quindi certo il caso di ripetere qui le argomenta-
zioni là sviluppate, ma può essere di qualche interesse ricordare
brevemente le principali questioni interpretative legate all'uti-
lizzazione di fonti diverse e di metodi di deflazione diversi, pri-
ma di passare all'illustrazione delle elaborazioni che si offrono in
questa nota.
La più accreditata fra le serie salariali utilizzate nei lavori di
ricostruzione quantitativa dell'andamento dell'economia italiana
nel 900 è la serie dei salari degli assicurati all'INAIL, la cui fortuna
è sostanzialmente dovuta alla sua continuità a partire dal1898 2 •
1 V. Zamagni, La dinamica dei salari nel settore industriale, in P. Ciocca e G.
Toniolo (a cura di), L'economia italiana nel periodo fascista, il Mulino, Bologna
197 6; I salari giornalieri degli operai dell'industria nell'età giolittiana (1898-1913), in
«Rivista di Storia economica», 1984; An intemational comparison of rea! industria!
wages 1890-1913: methodological issues and results, in P. Scholliers (a cura di),
Rea! Wages in Historical and Comparative Perspective, Berg, Oxford 1989; Indu-
stria! wages and workers' protest in Italy during the <<Biennio Rosso» (1919-1920), in
«The Journal of European Economie History», 1991.
2 Usata, fra gli altri, da G. Lasorsa, La statistica dei salari industriali in Italia,
CEDAM, Padova 1931; C. Vannutelli, Occupazione e salari in Italia da/1861 al
1961, in «Rassegna di Statistiche del Lavoro», 1961 (però cfr. Id., Salari e costo
de/lavoro nell'industria in confronto all'anteguerra, in «Rivista di Politica econo-
350 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Tale serie è costruita in modo da presentare vari svantaggi: la
ponderazione settoriale non è rappresentativa della reale compo-
sizione dell'occupazione industriale; esistono ritardi nelle dichia-
razioni delle variazioni salariali che falsano i punti di svolta; le
categorie assicurate variano nel tempo, alterando indebitamente
la composizione dell'aggregato; i salari denunciati sono spesso
intenzionalmente inferiori a quelli di fatto, per pagare premi in-
feriori; gli straordinari non sono inclusi. Ce n'è, credo, abbastan-
za per spingere alla ricerca di qualcosa di alternativo. A partire
dal 1928 esiste una serie la cui rappresentatività è incomparabil-
mente superiore; si tratta della rilevazione effettuata con conti-
nuità dalla Confindustria3 , che ho cercato di retrodatare, prima
al 1911, quindi al1898, infine al1890, facendo uso di dati più
frammentari raccolti da svariate fonti 4 •
L'indagine salariale iniziata dalla Confindustria nel 1928 si
basa sui libri paga di un campione di imprese oscillante tra il16
e il 24 per cento delle ditte rappresentate dalla Confindustria
stessa, con un numero di occupati pari a oltre la metà (tra 1,1 e
1,4 milioni). Si tratta, dunque, delle imprese più grandi, presu-
mibilmente con salari più elevati. D'altra parte, tutte le indagini
dell'epoca e precedenti riguardavano le imprese più grandi e me-
glio organizzate e di ciò occorre essere consapevoli in sede inter-
pretativa. Il vantaggio della fonte Confindustria sta non solo nel-
la sua continuità e ampiezza, ma anche nella sua ricchezza
informativa, fornendo tale fonte oltre alla remunerazione media
oraria il numero degli operai occupati e le ore lavorate per ogni
mese. Esiste, tuttavia, un piccolo problema tecnico in relazione
al metodo di rilevazione. Poiché il campione di imprese censite
non poteva essere lasciato costante nel tempo, per ovvi motivi di
entrata e uscita di alcune imprese, i dati mensili venivano offerti
con doppie rilevazioni, prima bimensilmente, quindi trimestral-
mica», 1946 e Le condizioni di vita dei lavoratori italiani nel decennio 1929-39, in
«Rassegna di Statistiche del Lavoro», 1958 dove si fa ampio uso delle statistiche
Confindustria) e G. Fuà, Formazione, distribuzione e impiego del reddito dal1861:
sintesi statistica, Roma 1972. Mortara mostra un comportamento un po' irresoluto
nelle serie salariali delle sue Prospettive. Inizia con la serie lNAIL, a cui nel 1930
abbassa il1913 (preso come base) e attacca i dati 1928-29 della Confindustria;
nel1932 ritorna alla serie lNAIL modificata, mentre dal1934 abbandona la base
1913, adotta la base 1929 e passa definitivamente ai dati Confindustria.
3 Pubblicata regolarmente in «Bollettino di Notizie economiche».
4 Per i dettagli, rinvio ai miei lavori sopra citati.
V. Zamagni Una ricostruzione dell'andamento mensile 351
mente, cosl da poterli concatenare. Questa operazione di conca-
tenazione, effettuata per alcuni anni con coerenza, rivelò un pro-
gressivo scostamento dei valori medi della remunerazione oraria
calcolata in base alla concatenazione rispetto a quelli che erano i
livelli medi salariali correnti rilevati, a causa di una base di par-
tenza non assestata e della magnificazione progressiva degli scar-
ti. In una nota del1938, Barberi propose una perequazione dei
risultati, che faceva restare la serie salariale più fedele ai livelli
medi correnti delle rilevazioni Confindustria. Tale metodo è sta-
to qui integralmente adottato 5 •
In relazione all'utilizzazione della comune serie IsTAT costo
della vita6 per la deflazione, ricorderò solo che i dissensi maggiori
si registrano nella deflazione degli anni 1917-19: se, infatti, si
sceglie per tali anni un indice a composizione invariata, il costo
della vita risulta tanto aumentato a causa degli elevati prezzi di
alcune derrate diventate improvvisamente scarse da rendere i sa-
lari postbellici quasi costantemente inferiori a quelli prebellici; se
invece si adotta un indice che permette la sostituzione delle der-
rate rese scarse dalla guerra con altre di qualità inferiore meno
costose, allora l'inflazione risulta più contenuta e i salari postbel-
lici si rivelano sostanzialmente superiori a quelli prebellici. Come
ho mostrato nel mio lavoro del 1991, la serie Isr AT costo della
vita accoglie l'ipotesi di sostituzione, ed è più coerente con i dati
disponibili sui consumi, che testimoniano un aumentato livello
medio dei consumi negli anni postbellici, presumibilmente do-
vuto ad un aumento reale delle remunerazioni del lavoro dipen-
dente sia nell'industria che nel settore agricolo. È questa, tutta-
via, una questione che non tocca il presente lavoro, il quale inizia
nel 1919, anno in cui gli effetti del diverso calcolo dell'indice
costo della vita si erano in gran parte già registrati.
Noterò, en passant, che sia la serie salariale della Confindu-
stria che quella del costo della vita IsTAT si erano imposte all'e-
poca come gli indicatori comunemente utilizzati anche dal punto
5 Si noti che Barberi forniva già anche l'interpolazione del mese di gennaio
1928, mancante nella rilevazione originaria della Confindustria. Dopo il lavoro
di Barberi, sia le pubblicazioni della Confindustria stessa, sia le altre che ad essa
si rifacevano utilizzarono la serie rettificata da Barberi.
6 Tale serie è aggiornata ogni anno e riportata in molte pubblicazioni lsTAT.
Ho utilizzato qui il volumetto IsTAT, Il valore della lira dal1861 al1965, Roma
1966.
352 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
di vista operativo, come è testimoniato fra l'altro da una discus-
sione parlamentare del23 maggio 1933, in cui si scontrarono un
rappresentante del sindacato fascista e un rappresentante della
Confindustria sulla scottante questione dell'adeguamento dei sa-
lari orari alla discesa dei prezzi. Il rappresentante sindacale cita-
va tagli salariali accordati contrattualmente in vari settori, che
eccedevano l'indice costo della vita, ma il rappresentante della
Confindustria gli opponeva la misura media di fatto di tali tagli,
risultante dall'indagine Confindustria, che era invece inferiore,
come vedremo più sotto, alla caduta del costo della vita 7 •
A scopi della possibile formulazione di un modello quantita-
tivo dell'andamento dell'economia italiana fra le due guerre si
sono ricostruite in questa nota serie mensili per salari e occupa-
zione per gli anni 1919-39. Il metodo seguito è quello di tenere
ferme le mie precedenti stime annuali, cercando fonti che mi per-
mettessero di riprodurre l'andamento mensile. Naturalmente,
per gli anni dal1928 in poi ciò è stato particolarmente agevole,
perché la rilevazione della Confindustria era essa stessa mensile,
mentre per gli anni 1919-27 sono dovuta ricorrere a vari espe-
dienti, che verranno illustrati in seguito. Si sono, inoltre, rico-
struiti i dati mensili relativi alla disoccupazione registrata per gli
occupati non agricoli 8 , dal momento che .i dati normalmente ri-
portati nella letteratura sono quelli relativi alla disoccupazione
totale, e l'indice mensile del costo della vita. Qui di seguito ven-
gono offerti i dettagli delle stime. Gli indici sono tutti calcolati
con media 1929 = 100.
l. Costo della vita (tab. l e fig. l in Appendice)
Con la creazione dell'lsTAT nel1926, si ha un miglioramento
notevole nella qualità e nella regolarità di pubblicazione di molte
serie statistiche. Ciò è particolarmente vero per i prezzi. Dal
1927 viene pubblicato un indice del costo della vita mensile, cal-
7 Atti parlamentari, Camera dei deputati, leg. XXVIII, l a sess., tornata del
23 maggio 1933, pp. 8910-12.
8 Non ho ritenuto che l'incidenza dei pochi occupati non industriali sulla
serie fosse così distorsiva da giustificare l'imponente fatica computazionale di
espungerli.
V. Zamagni Una ricostruzione dell'andamento mensile 353
colato come media dei relativi indici per 50 città italiane9 • I va-
lori medi annuali di tale serie coincidono con quelli pubblicati
nella serie IsTAT universalmente impiegata. Per gli anni prece-
denti, è stato utilizzato prima l'indice mensile medio di Milano-
Torino (1919-21) e poi quello di un numero crescente da 10 a 50
città italiane (1922-26), avendo però cura di impiegare, per coe-
renza, il valore medio annuale degli indici della serie IsTAT sopra
citata 10 , il quale, tuttavia, varia solo marginalmente rispetto alla
media annuale dei dati mensili qui impiegati 11 • I dati mensili per
l'ultimo semestre del 1939 non risultano pubblicati; sulla base
dei dati del primo semestre e della media annuale che è disponi-
bile, si è effettuata un'interpolazione.
2. Salari orari nominali (tabb. 2-3 e fig. 2 in Appendice)
Non esistono dati rilevati mensilmente a livello nazionale pri-
ma del1928. Alcuni uffici di statistica comunali rilevavano, pe-
rò, l'andamento mensile (o trimestrale) dei salari giornalieri. In
particolare, sono disponibili indici aggregati per Milano, Brescia
e Roma 12 • Tranne nel caso di Brescia, l'aggregazione. avviene
sempre per media aritmetica semplice, mentre la composizione
settoriale è parziale. In particolare, nel caso di Roma sono pre-
senti solo le costruzioni e le industrie tipografiche.
Poiché queste serie salariali comunali sono derivate non dal
monte salari come la serie mensile (ma anche oraria, che non è
che la serie mensile divisa per le ore di lavoro) della Confindu-
stria, ma dai saggi salariali stabiliti dai concordati vigenti per
9 lsTAT, «Bollettino mensile di Statistica».
10 Per i soli alimentari e combustibili, esistono indici più vastamente rap-
presentativi anche per anni precedenti il 1927. Su tali dati è, probabilmente,
basata la ricostruzione fatta dall'IsTAT dell'indice annuale nazionale costo della
vita qui utilizzato.
11 In sostanza, si sono impiegate solo le variazioni mensili degli indici relativi
a Milano-Torino e poi alle altre città italiane, mentre si è mantenuto il valore
medio dell'indice calcolato dall'IsTAT. Il fatto che questo valore non si discosti
sostanzialmente dalle medie annuali relative a Milano-Torino prima e poi alle
altre città italiane fa pensare che l'lsTAT abbia utilizzato le stesse fonti per co-
struire i suoi dati medi annuali per gli anni 1919-1926.
12 I dati si trovano in Annuario statistico italiano e anche in Comitato per gli
indici del movimento economico italiano, L'economia italiana dal1919 all929.
Tavole statistiche, Istituto di statistica, Roma 1929.
354 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Grafico I - Saggi salariali giornalieri comunali nominali.
3W ~------------------------------------------------,
300
, .. ,•........
,
.......... . .... , '
,' ' ''
....
250
~.................................
;"'
.. ...
200
150
100~~----r----r---.----~--~----.----.----.----.1~
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
- mia serie oraria - Milano - + • Roma ··Q·· Brescia
giornata di lavoro normale 13 , si è ritenuto che esse rappresentas-
sero meglio l'andamento dei salari orari. Un confronto tra l'an-
damento annuale della mia serie oraria 14 e quello delle serie sopra
citate (cfr. tab. I) conferma tale conclusione e suggerisce l'utiliz-
zazione della serie di Milano o di quella di Brescia (quella di Ro-
ma è chiaramente troppo distante). Poiché la serie di Brescia non
è mensile, ma prima semestrale e poi quadrimestrale, si è ritenu-
to di utilizzare per la ricostruzione mensile dei salari orari 1919-
27 la serie di Milano, riportando però la media annuale di tale
serie a quella dei salari orari da me già precedentemente stimati
sulla base dei salari giornalieri e delle ore di lavoro (come si dirà
in seguito nelle sezz. 3-4). La mia media annuale tende a man-
tenere i rialzi un po' più contenuti e i ribassi meno drammatici
rispetto alla media annuale relativa ai salari giornalieri di Milano
(cfr. il grafico I).
L'andamento della serie cosl costruita è in certi tratti a gra-
dini per gli anni fino al 1927, perché la fonte utilizzata per le
13 Cfr. R. Vicentini, Sulle variazioni dei salari dal1914 al1924 in alcune in-
dustrie di Milano, in «Giornale degli Economisti», 1926.
14 Modificata leggermente per gli anni 192.3-26, come si spiegherà nel para-
grafo dedicato alle ore di lavoro.
V. Zamagni Una ricostruzione dell'andamento mensile 355
variazioni mensili mantiene invariati i saggi salariali in alcuni me-
si, mentre in seguito è più mutevole, derivando dalle paghe di
fatto, come si ribadirà in seguito. Questo rivela chiaramente una
discontinuità nei metodi impiegati, ma non esisteva alternativa.
Infine, si noti che non vennero pubblicati i dati per maggio-
dicembre 1939, ma è disponibile la media per l'intero 1939; su
tali basi, è stata effettuata un'interpolazione.
Tab. I -Indici dei saJ!.i salariali giornalieri nominali di Milano, Roma e
Brescia e mio indice el salario orario (1919 = 100)
Mia serie oraria Milano Roma Brescia
1919 100 100 100 100
1920 164 153 159 166
1921 210 213 222 195
1922 194 203 234 195
1923 197 189 238 187
1924 203 191 242 184
1925 215 218 273 219
1926 225 236 302 231
1927 218 226 277 225
1928 201 205 240 212
3. Ore mensili di lavoro (tab. 4 e fig. 3 in Appendice)
La stima della media annuale delle ore di lavoro per gli anni
1919-27 è molto indiretta. Essa è stata costruita come segue: il
«Bollettino del Lavoro~ contiene un'indagine del ministero del
Lavoro 15 , ripetuta a scadenze irregolari, relativa al grado di at-
tività delle varie industrie. Vi si riporta il numero di occupati con
un orario di lavoro settimanale inferiore al normale, normale e
superiore al normale, con qualche indicazione relativa alla con-
sistenza degli scarti rispetto ai valori normali. L'indagine è di-
sponibile per novembre 1921, luglio 1922 e 1923, settembre
15 Si noti che il ministero del Lavoro produsse per il 1923, 1925, 1928-30
delle indagini salariali, le prime due parziali, ma abbondantemente da me utiliz-
zate per carenza di fonti migliori, le altre scartate in favore dei dati Confindu-
stria, più coerenti e settorialmente bilanciati, ma sostanzialmente coincidenti per
i settori comuni. Dal 1933 il «Bollettino del Lavoro» diventa «Sindacato e Cor-
porazione» e continua a pubblicare dati occupazionali e salariali. Per un confron-
to più dettagliato delle due fonti, cfr. Zamagni, La dinamica dei salari cit.
356 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
1924, 1925, 1926, novembre 1927. Su questa base, avevo già
effettuato in passato una stima dell'orario medio giornaliero di
lavoro, tenendo conto in modo alquanto rozzo dei diversi mesi di
rilevazione. Ho ritenuto di dover apportare qualche correzione
agli anni 1923-26, avendo oggi calcolato le medie mensili 1928-
39, che mi hanno permesso di tener conto con maggiore preci-
sione della sfasatura mensile nelle rilevazioni del ministero del
Lavoro. Per il1919-20, come già avevo fatto, ho assunto un ora-
rio normale di 48 ore settimanali (per 26 giorni di lavoro men-
sile). Una volta fissati i valori annuali 1919-27, i valori mensili
sono stati interpolati utilizzando gli scostamenti medi mensili
1928-39. Si noti che anche i dati maggio-dicembre 1939 sono
interpolati, perché non pubblicati, sulla base dei dati gennaio-
aprile 1939 e della media annuale disponibile.
4. Salari mensili nominali (tabb. 5-6 e figg. 4-5 in Appendice)
La ricostruzione dei salari mensili nominali è stata fatta per
gli anni 1919-27 moltiplicando i salari orari per le ore di lavoro.
Come già sopra detto, per gli anni 1928-39 i salari mensili no-
minali sono quelli direttamente rilevati sui libri paga, da cui si
risale ai salari nominali orari, date le ore mensili lavorate. Va
ribadito che anche i valori medi annuali dei salari giornalieri per
gli anni 1919-27 sono stati rilevati con procedimento diretto e
poi divisi per l'orario di lavoro per ricostruire i saggi salariali
orari medi annuali. L'andamento mensile dei salari nominali
1919-27 è invece derivato dal procedimento sopra descritto. Si è
quindi proceduto ad un tentativo di destagionalizzazione della
serie, che compare nella t ab. 6 e nella fig. 5, seguendo il metodo
X-11-ARIMA 16 • Ne risulta un andamento certamente meno sal-
tellante, dove si evidenziano meglio i punti di svolta e si elimi-
nano molte punte, sia al rialzo che al ribasso, ad eccezione degli
ultimi mesi del1925, inizio 1926, in cui la serie destagionalizzata
mostra un'impennata inflazionistica più pronunciata.
16 Il metodo è descritto in The X-11-ARIMA Seasonal Adjustment Method.
Outline of the Methodology, «Statistics Canada Catalogue», n. 12-564E, 1979.
Sono debitrice di questa consulenza tecnica al dott. Paolo Garofalo dell'Ufficio
Ricerche Storiche della Banca d'Italia, che ringrazio.
V. Zamagni Una ricostruzione dell'andamento mensile 357
5. Salari orari e mensili reali (tabb. 7-8 e figg. 6-7 in appendice)
Si sono riprodotte qui solo le serie di indici 1929 = 100. Mes-
se a confronto, esse rivelano chiaramente l'andamento assai di-
verso del costo del lavoro e dei guadagni degli operai. Il costo del
lavoro, dopo l'impennata iniziale, risulta in leggera discesa nei
primi anni Venti, ma in ascesa nei primi anni Trenta, confer-
mando che l'inflazione degli anni Venti fu efficace nel suo con-
tenimento, mentre la deflazione degli anni Trenta portò ad un
sensibile rialzo. L'andamento favorevole agli imprenditori del co-
sto del lavoro nei primi anni Venti è un importante elemento sia
del boom produttivo di tali anni che del progressivo rafforza-
mento dell'adesione degli industriali al fascismo. Quota 90 pro-
voca dapprima un rialzo del costo del lavoro, rialzo successiva-
mente eroso, ma nuovamente ripreso dopo la crisi del '29, che
innesca una consistente lievitazione dei salari orari (si arriva a
livelli superiori a quelli dei primi anni Venti), lievitazione fer-
matasi solo nel corso del1934; con la successiva congiuntura bel-
lica si assiste dapprima ad una caduta a causa della rapida ascesa
dei prezzi e poi ad una ripresa, che fa attestare i salari orari su
livelli leggermente superiori a quelli dei primi anni Venti (esclusa
la punta del1921).
L'andamento delle ore di lavoro è responsabile del quadro
contrastante offerto dalla serie dei salari mensili reali. Dopo il
«grande» balzo iniziale, i salari reali mensili si stabilizzano, dif-
fondendo una positiva impressione sugli effetti delle politiche
economiche fasciste fra la popolazione. Tra la fine del1925 e il
1926 si avvertono i contraccolpi dell'inflazione, mentre nel1927
quelli della deflazione, che riportano i salari medi reali mensili al
livello dei primi anni Venti; ma nel corso del1928 si registra una
caduta precipitosa, simile a quella avvenuta nel1934, in ambe-
due i casi a causa di un tracollo nelle ore lavorate. Il livello finale
è ben inferiore rispetto a quello dei primi anni Venti.
6. Disoccupazione (tabb. 9-10 e fig. 8 in Appendice)
I dati relativi alla disoccupazione registrata vennero rilevati a
partire dal marzo 1919, con l'introduzione dell'assicurazione re-
lativa. Essi vennero ininterrottamente pubblicati fino al settem-
358 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
bre 1935 su «Bollettino del Lavoro» (poi «Sindacato e Corpora-
zione») e anche su altre raccolte statistiche. Risultano mancanti
i dati per i mesi di gennaio, febbraio, marzo, maggio del1921 e
dicembre 1934. Essi sono stati qui interpolati, insieme ai mesi di
gennaio-febbraio 1919. Come per tutti gli altri dati, dopo il1935
continuò la rilevazione, ma non sempre la pubblicazione. Guar-
neri (1953), che aveva accesso a tutti i dati che rimasero segreti,
riporta i dati annuali fino al1939. Si noti che Guarneri riporta a
partire dal1929 sia i dati totali che quelli solo per l'industria 17 •
Come è già stato detto sopra, per alleviare il peso computazionale,
ho invece calcolato nelle tabb. 9-10 i dati della disoccupazione
totale depurati solo dalla disoccupazione agricola. Nella tab. II
metto a confronto i dati di Guarneri con i miei e tento una stima
dei valori annuali per la disoccupazione non agricola per gli anni
1936-39, sulla base dell'osservazione che la mia serie della disoc-
cupazione non agricola è di circa il lO per cento superiore a quella
di Guarneri della disoccupazione solamente industriale. Si noti
che anche il dato per la disoccupazione industriale del1937 è in-
terpolato, non essendosi ritrovato nemmeno in Guarneri.
A questo punto, ho tentato una stima mensile della disoccu-
pazione non agricola 1936-39, applicando alle stime annuali l'an-
damento medio mensile 1922-34. Come già osservato da Piva e
Toniolo (1987), la disoccupazione registrata può essere conside-
rata la stima minima della disoccupazione dell'epoca. Essa è, co-
munque, del tutto coerente con la banca dati qui presentata, che
riguarda la grande industria, presumibilmente interessata alla
forza lavoro esplicitamente registrata presso gli uffici di colloca-
mento.
Osservando la fig. 8 in Appendice, si nota che il boom dei
primi anni Venti abbassò drasticamente i livelli di disoccupazio-
ne; la crisi dopo quota 90 li riporta non troppo distanti da quelli
del1922, ma la crisi del '29 è di proporzioni assolutamente in-
comparabili. La ripresa innescata dall'economia bellica è sensi-
bile, ma i livelli di disoccupazione della seconda metà degli anni
Trenta restano comunque assai elevati.
17 I dati di Guarneri presentano qualche differenza rispetto a quelli pubbli-
cati in F. Piva e G. Toniolo, Sulla disoccupazione in Italia negli anni '30, in «Ri-
vista di Storia economica», 1987, p. 353.
V. Zamagni Una ricostruzione dell'andamento mensile 359
Tab. II- Disoccupazione 1929-39
Dati di Guarneri Miei dati disoccupazione
Complesso Industriale extra-agricola
1929 300.787 193.585 211.321
1930 425.437 296.870 321.988
1931 734.454 522.125 568.672
1932 1.006.442 732.009 804.505
1933 1.018.955 714.945 801.124
1934 963.677 692.298 776.169
1935 739.712 524.753 588.527
1936 700.483 493.160 553.094
1937 722.378 520.000 583.196
1938 712.454 516.488 579.257
1939 668.394 584.865 655.944
7. Occupazione (tabb. 11-12 efigg. 9-10 in Appendice)
La mia ricostruzione dei dati occupazionali annuali era basa-
ta sulle stesse fonti utilizzate per l'orario medio di lavoro e par-
tiva dal 1920. In base ai dati di disoccupazione, si è fissato il
1919 di poco superiore al 1921 e si è proceduto alla stima del-
l'andamento mensile per gli anni 1919-27 sulla scorta degli sco-
stamenti mensili medi degli anni 1928-39 (si vedano la tab. 11 e
la fig. 9). I risultati sono del tutto coerenti con i dati relativi alla
disoccupazione.
Si è tentata, per conferma, anche un'altra strada per stimare
l'andamento mensile dell'occupazione negli anni 1919-27. Si so-
no presi i dati occupazionali dei censimenti industriali 1927 e
1937-39 18 e se ne è confrontata la variazione con i nostri dati
1927-39. Mentre i censimenti presentano un incremento di oc-
cupazione del27 per cento, la nostra serie dà solo il21 per cento.
Tuttavia, come ho spiegato nel mio lavoro del1987, si deve fare
18 Non si è provato ad utilizzare i censimenti della popolazione perché, come
è noto, tali censimenti includevano attigianato, lavorazione a domicilio e lavoro
precario, aggregati non rappresentati nel campione Confindustria. I censimenti
industriali, invece, includevano l'attigianato, ma non il lavoro a domicilio e pre-
cario; ciò li rende più confrontabili con il nostro campione Confindustria, anche
se, forse, occorrerebbe qualche altra elaborazione per escludere le imprese più
piccole, per rendere il confronto ancora più coerente.
360 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
attenzione al fatto che il censimento industriale del193 7-39 ave-
va come scopo dichiarato quello di censire le varie industrie al
massimo della loro attività. È quindi del tutto probabile che so-
pravvaluti un po' il tasso di crescita dell'occupazione tra 1927 e
1937-39. Si possono quindi ritenere i dati della nostra serie del-
l' occupazione 1927-39 rappresentativi dell'andamento dell'inte-
ra occupazione nell'industria.
Si è allora pensato che il dato occupazionale del censimento
del 1927 aumentato della disoccupazione media potesse fornire
la forza lavoro industriale disponibile 19 nel1927. Sottraendo da
questa mensilmente la disoccupazione, si ottiene l'occupazione
mensile per il1927. Per gli anni precedenti, mentre l' occupazio-
ne media annuale resta fissata dalle elaborazioni precedenti, il
suo andamento mensile è stato ricostruito sulla base dell' anda-
mento mensile della disoccupazione (tab. 12 e fig. 10). Si nota
dai risultati che questo metodo tende a smussare le punte men-
sili, sia al rialzo che al ribasso, con risultati forse più soddisfa-
centi per gli anni 1919-22, ma nel complesso con un comporta-
mento notevolmente diverso da quello delle rilevazioni 1928-39.
Per coerenza, sembra preferibile utilizzare il primo metodo.
19 Si noti che il totale è leggermente sopravvalutato, perché i miei dati della
disoccupazione contengono tutta quella extra-agricola.
APPENDICE STATISTICA
T ab. l -Costo della vita (1929 = 100)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 59,78 67,44 97,45 96,02 93,09 93,21 104,34 115,21 118,01 98,95
F 59,78 69,06 98,26 95,23 93,09 93,21 105,12 114,42 117,20 98,95
M 58,96 69,87 99,07 93,64 92,30 94,00 105,12 114,42 116,40 98,95
A 63,05 73,12 99,89 92,05 92,30 94,00 104,34 113,63 113,99 98,95
M 63,05 78,00 97,45 91,26 93,09 94,00 104,34 115,21 109,98 100,03
G 61,41 79,62 89,33 91,26 93,89 94,00 105,91 116,00 106,77 100,03
L 54,04 81,25 86,08 92,05 93,89 95,58 107,48 118,37 102,75 98,95
A 54,04 82,06 88,52 92,05 93,89 95,58 110,62 119,16 101,95 98,95
s 61,41 84,50 91,77 97,61 93,89 97,16 111,40 119,16 100,35 98,95
o 63,87 87,75 95,01 94,43 93,89 99,53 112,19 119,16 98,74 98,95
N 64,69 91,00 95,83 94,43 93,89 101,90 112,97 117,58 98,74 100,03
D 65,51 95,87 95,83 93,64 93,89 103,48 112,19 117,58 97,94 100,03
media 60,80 79,96 94,54 93,64 93,43 96,30 108,00 116,66 106,90 99,31
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 100,53 99,49 90,08 86,74 82,72 81,44 75,49 81,37 85,29 98,25 98,64
F 101,60 98,42 90,08 86,74 81,65 80,44 75,49 81,37 86,29 98,25 98,64
M 102,67 98,42 90,08 87,84 81,65 80,44 75,49 81,37 86,29 98,25 98,64
A 100,53 97,35 90,08 87,84 80,57 79,43 76,49 81,37 87,28 98,25 99,63
M 100,53 96,28 89,01 86,74 80,57 75,41 77,50 82,36 89,26 99,25 101,60
G 100,53 96,28 89,01 86,74 80,57 74,41 77,50 83,35 90,25 98,25 102,58
L 99,46 97,35 87,94 85,64 79,50 74,41 78,51 83,35 92,24 98,25 102,54
A 98,39 96,28 86,87 83,44 79,50 74,41 78,51 82,36 92,24 98,25 103,55
s 98,39 96,28 85,79 83,44 79,50 74,41 77,50 83,35 93,23 98,25 104,55
o 98,39 96,28 85,79 83,44 79,50 75,41 79,51 84,35 95,21 98,25 105,56
N 99,46 96,28 85,79 84,54 79,50 75,41 81,53 85,34 96,20 99,25 106,56
D 99,46 93,07 84,72 84,54 79,50 75,41 82,53 85,34 97,19 99,25 107,57
media 99,99 96,81 87,94 85,64 80,40 76,75 78,00 82,94 90,91 98,50 102,51
362 Ricerche per la storia della Banca d'Italia v
Tab. 2 -Salari orari nominali (valori assoluti)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 0,88 1,35 2,10 2,13 2,09 2,05 2,08 2,38 2,39 2,15
F 0,88 1,36 2,13 2,13 2,09 2,05 2,08 2,38 2,39 2,14
M 0,95 1,37 2,18 2,13 2,09 2,05 2,16 2,38 2,39 2,11
A 1,03 1,64 2,18 2,13 2,09 2,05 2,20 2,36 2,38 2,10
M 1,03 1,64 2,18 2,13 2,09 2,13 2,20 2,36 2,38 2,10
G 1,10 1,72 2,22 2,01 2,09 2,13 2,27 2,32 2,30 2,12
L 1,10 1,79 2,22 2,01 2,01 2,13 2,27 2,32 2,24 2,09
A 1,10 1,79 2,22 2,01 2,01 2,13 2,27 2,32 2,24 2,09
s 1,10 1,85 2,22 1,92 2,01 2,13 2,27 2,32 2,20 2,07
o 1,12 2,01 2,22 1,92 2,01 2,13 2,29 2,32 2,20 2,05
N 1,12 2,04 2,22 1,92 2,01 2,13 2,31 2,32 2,20 2,06
D 1,13 2,08 2,19 1,92 2,01 2,19 2,45 2,36 2,07 2,10
media 1,05 1,72 2,19 2,03 2,05 2,11 2,24 2,35 2,28 2,10
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 2,09 2,08 1,99 1,94 1,88 1,83 1,73 1,80 1,98 2,23 2,29
F 2,08 2,06 1,95 1,91 1,87 1,83 1,73 1,80 1,98 2,21 2,27
M 2,06 2,06 1,92 1,90 1,84 1,82 1,74 1,80 1,98 2,21 2,30
A 2,09 2,08 1,94 1,91 1,86 1,84 1,74 1,82 1,98 2,26 2,50
M 2,09 2,07 1,96 1,93 1,84 1,81 1,76 1,82 2,11 2,27 2,47
G 2,10 2,12 2,00 1,93 1,88 1,80 1,77 1,84 2,17 2,25 2,49
L 2,10 2,07 1,93 1,92 1,85 1,79 1,79 1,87 2,19 2,27 2,47
A 2,12 2,14 1,98 1,98 1,90 1,84 1,85 1,99 2,28 2,38 2,51
s 2,10 2,08 1,94 1,90 1,86 1,80 1,79 1,97 2,17 2,25 2,55
o 2,05 2,07 1,92 1,87 1,85 1,76 1,78 1,96 2,17 2,26 2,57
N 2,06 2,05 1,92 1,87 1,85 1,74 1,79 1,96 2,16 2,26 2,59
D 2,09 2,02 1,94 1,88 1,85 1,76 1,80 1,99 2,18 2,31 2,64
media 2,09 2,07 1,95 1,91 1,86 1,80 1,77 1,88 2,11 2,26 2,47
Appendice statistica 363
T ab. 3 -Salari orari nominali (1929 = 100)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 42,07 64,60 100,71 101,88 99,79 98,23 99,50 113,72 114,27 102,91
F 42,07 64,86 102,13 101,88 99,79 98,23 99,50 113,72 114,27 102,41
M 45,65 65,63 104,47 101,88 99,79 98,23 103,55 113,72 114,27 101,01
A 49,15 78,25 104,47 101,88 99,79 98,23 105,17 113,02 114,11 100,50
M 49,15 78,25 104,47 101,88 99,79 101,96 105,17 113,02 114,11 100,50
G 52,76 82,14 106,10 95,96 99,79 101,96 108,75 111,23 110,10 101,41
L 52,76 &5,46 106,10 95,96 96,39 101,96 108,75 111,23 107,12 100,00
A 52,76 85,46 106,10 95,96 96,39 101,96 108,75 111,23 107,12 100,00
s 52,76 88,70 106,10 92,03 96,39 101,96 108,75 111,23 105,09 99,10
o 53,41 96,14 106,10 92,03 96,39 101,96 109,63 111,23 105,09 98,09
N 53,41 97,48 106,10 92,03 96,39 101,96 110,55 111,23 105,09 98,59
D 54,04 99,57 104,89 92,03 96,39 104,88 117,44 112,90 98,97 100,50
media 50,00 82,21 104,81 97,12 98,09 100,96 107,18 112,44 109,13 100,50
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 100,00 99,50 95,28 92,86 89,95 87,54 82,81 86,13 94,77 106,51 109,55
F 99,50 98,59 93,37 91,36 89,45 87,54 82,81 86,13 94,77 105,53 108,54
M 98,59 98,59 91,86 90,95 88,04 87,14 83,32 86,13 94,77 105,53 110,05
A 100,00 99,50 92,86 91,36 89,05 88,04 83,32 87,14 94,77 107,97 119,60
M 100,00 99,10 93,77 92,36 88,04 86,63 84,22 87,14 101,01 108,44 118,00
G 100,50 101,41 95,68 92,36 89,95 86,13 84,72 88,04 103,82 107,48 119,00
L 100,50 99,10 92,36 91,86 88,54 85,63 85,63 89,45 104,82 108,43 118,00
A 101,41 102,41 94,77 94,77 90,95 88,04 88,54 95,28 109,15 113,66 120,00
s 100,50 99,50 92,86 90,95 89,05 86,13 85,63 94,27 103,82 107,48 122,00
o 98,09 99,10 92,06 89,45 88,54 84,22 85,23 93,77 103,82 107,95 123,00
N 98,59 98,09 91,86 89,45 88,54 83,32 85,63 93,77 103,42 107,95 124,00
D 100,00 96,68 92,86 89,95 88,54 84,22 86,03 95,28 104,32 110,75 126,50
media 100,00 99,10 93,37 91,36 89,05 86,13 84,72 89,95 101,01 108,14 118,19
364 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
T ab. 4- Ore di lavoro medie mensili
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 202 202 190 197 199 199 207 202 195 180
F 201 201 188 196 198 198 206 201 193 174
M 210 210 197 205 207 207 215 210 202 178
A 204 204 191 199 201 201 209 204 196 169
M 211 211 197 205 207 207 216 211 202 179
G 209 209 196 204 206 206 214 209 201 178
L 217 217 203 212 214 214 222 217 209 179
A 203 203 190 198 200 200 207 203 195 182
s 215 215 201 210 212 212 220 215 206 183
o 215 215 202 210 212 212 220 215 207 192
N 207 207 194 202 204 204 212 207 199 187
D 202 202 189 197 199 199 207 202 194 174
media 208 208 195 203 205 205 213 208 200 180
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 175 175 164 160 168 169 157 156 151 155 152
F 169 176 163 161 167 169 151 155 157 157 151
M 179 175 174 167 180 178 158 158 163 166 164
A 180 174 166 165 168 167 160 154 164 158 151
M 184 181 172 167 181 177 164 160 164 157 156
G 187 172 170 172 174 175 156 155 167 159 158
L 197 184 180 175 182 177 167 163 174 164 163
A 180 169 168 163 169 167 155 146 158 154 154
s 184 177 180 178 183 176 162 160 171 166 163
o 190 180 178 173 177 181 165 160 165 162 163
N 185 169 165 169 172 172 158 155 159 159 162
D 176 165 163 172 166 154 152 157 162 159 157
media 182 175 170 168 174 172 159 157 163 160 158
Appendice statistica 365
T ab. 5- Salari mensili nominali (1929 = 100)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 46,76 71,81 104,95 110,53 109,33 107,61 113,26 126,41 122,13 101,78
F 46,47 71,66 105,77 109,84 108,65 106,95 112,56 125,63 121,38 97,91
M 52,75 75,83 113,17 114,90 113,65 111,87 122,53 131,41 126,96 98,79
A 55,02 87,60 109,64 111,31 110,10 108,38 120,56 126,52 122,83 93,32
M 56,85 90,50 113,28 115,00 113,76 116,23 124,56 130,72 126,90 98,85
G 60,46 94,13 113,99 107,32 112,71 115,16 127,63 127,47 121,32 99,18
L 62,90 101,89 118,59 111,65 113,26 119,81 132,77 132,61 122,81 98,35
A 58,73 95,13 110,72 104,25 105,75 111,86 123,96 123,81 114,66 100,00
s 62,26 104,67 117,37 105,98 112,10 118,58 131,41 131,25 119,24 99,64
o 63,10 113,57 117,50 106,10 112,22 118,71 132,62 131,40 119,37 103,48
N 60,88 111,11 113,37 102,38 108,28 114,54 129,04 126,78 115,18 101,30
D 59,91 110,38 109,01 99,57 105,31 114,59 133,32 125,16 105,49 96,08
media 57,14 93,96 112,29 108,32 110,49 113,72 125,43 128,50 119,93 99,40
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 96,15 95,67 85,85 81,64 83,03 81,28 71,44 73,83 78,63 91,00 91,35
F 92,39 95,34 83,62 80,82 82,08 81,28 68,71 73,35 81,76 91,25 89,92
M 96,97 94,80 87,82 83,46 87,07 85,22 72,33 74,77 84,88 96,45 98,86
A 98,90 95,12 84,70 82,82 82,20 80,78 73,25 73,73 85,40 93,82 99,25
M 101,10 98,55 88,62 84,75 87,56 84,25 75,89 76,60 91,02 93,50 101,D4
G 103,26 95,84 89,37 87,29 86,00 82,82 72,62 74,98 95,26 94,08 103,09
L 108,79 100,18 91,35 88,33 88,54 83,28 78,57 80,11 100,22 97,42 105,74
A 100,29 95,10 87,48 84,88 84,46 80,78' 75,41 76,43 94,75 96,38 101,31
s 101,61 96,76 91,84 88,96 89,53 83,29 76,22 82,88 97,54 97,96 109,34
o 102,40 98,01 90,04 85,02 86,11 83,76 77,27 82,43 94,12 95,80 110,02
N 100,22 91,08 83,28 83,06 83,68 78,74 74,34 79,86 90,35 94,45 110,27
D 96,70 87,65 83,17 85,01 80,76 71,26 71,85 82,19 92,86 96,65 109,17
media 100,00 95,28 87,21 84,33 85,13 81,40 74,02 77,59 90,46 94,89 102,44
366 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
T ab. 6 -Salari mensili nominali destagionalizzati (1929 = 100)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 49.27 75.48 109.72 115.01 113.14 111.10 116.75 130.45 126.13 105.26
F 48.66 74.91 110.20 114.20 112.71 110.94 116.84 130.90 126.79 102.58
M 51.98 74.62 111.11 112.58 111.30 109.69 120.71 130.37 127.14 99.64
A 54.96 87.54 109.88 11196 111.18 109.74 122.45 128.72 125.21 95.30
M 55.56 88.33 110.22 111.77 110.47 113.10 121.54 128.13 124.84 97.48
G 58.82 91.64 111.28 105.02 110.71 113.48 126.21 126.25 120.30 98.24
L 59.56 96.72 113.00 106.77 108.60 115.12 127.70 127.61 118.08 94.52
A 60.40 97.88 114.04 107.44 108.95 115.16 127.45 126.84 116.69 101.08
S 61.21 102.97 115.55 104.20 110.Gl 115.93 128.20 127.86 116.11 96.82
o 61.27 110.48 114.50 103.61 109.66 115.73 128.53 126.60 114.46 98.93
N 62.00 113.23 115.38 104.04 109.81 115.82 129.70 126.53 114.45 100.56
D 61.88 114.12 112.64 102.88 108.46 117.69 136.36 127.84 107.77 98.39
media 57.14 93.96 112.29 108.32 110.49 113.72 125.43 128.50 119.93 99.40
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 99.56 99.20 89.14 84.85 86.27 84.47 74.26 76.98 82.20 95.49 96.04
F 96.93 100.24 87.84 84.91 86.09 85.18 71.78 76.56 85.17 94.98 93.48
M 98.37 96.23 88.84 83.95 87.31 85.45 72.57 75.09 85.24 96.83 99.13
A 101.26 97.64 87.17 85.34 84.61 83.05 75.12 75.35 86.94 95.33 100.87
M 99.90 97.46 87.59 83.52 86.09 82.70 74.58 75.44 90.01 92.73 100.45
G 102.01 94.31 87.85 85.95 84.96 82.02 72.10 74.42 94.38 92.88 101.51
L 104.35 95.91 87.40 84.51 84.71 79.45 74.79 76.07 95.18 92.53 100.48
A 100.72 95.07 87.20 84.49 84.07 80.39 74.95 75.94 94.24 96.04 100.98
s 98.41 93.24 87.98 84.87 85.30 79.46 72.86 79.48 93.68 94.15 105.07
o 97.81 93.94 86.57 82.01 83.17 81.23 75.20 80.57 92.31 94.29 108.51
N 99.82 91.25 83.92 84.01 84.76 79.84 75.45 81.09 91.75 95.88 111.97
D 99.31 90.31 86.02 88.25 83.89 73.88 74.02 84.16 94.39 97.86 110.29
media 100.00 95.28 87.21 84.33 85.13 81.40 74.02 77.59 90.46 94.89 102.44
Appendice statistica 367
Tab. 7 -Salari orari reali (1929 = 100)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 70,38 95,80 103,34 106,10 107,19 105,38 95,36 98,71 96,83 104,01
F 70,38 93,92 103,93 106,98 107,19 105,39 94,65 99,39 97,50 103,50
M 77,43 93,92 105,44 108,80 108,12 104,50 98,50 99,39 98,17 102,08
A 77,95 107,01 104,58 110,67 108,12 104,50 100,79 99,46 100,10 101,57
M 77,95 100,32 107,20 111,64 107,19 108,46 100,79 98,10 103,75 100,48
G 85,91 103,16 118,77 105,15 106,28 108,47 102,69 95,89 103,12 101,38
L 97,63 105,19 123,25 104,24 102,66 106,68 101,18 93,97 104,25 101,06
A 97,63 104,14 119,86 104,24 102,66 106,68 98,31 93,35 105,07 101,06
s 85,91 104,97 115,62 94,28 102,66 104,94 97,62 93,35 104,73 100,15
o 83,63 109,56 111,66 97,45 102,66 102,44 97,72 93,35 106,43 99,13
N 82,57 107,12 110,72 97,45 102,66 100,06 97,86 94,60 106,43 98,57
D 82,50 103,85 109,46 98,28 102,66 101,36 104,68 96,02 101,05 100,48
media 82,24 102,81 110,86 103,71 104,99 104,83 99,24 96,38 102,09 101,20
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 99,47 100,01 105,76 107,06 108,74 107,48 109,71 105,85 111,12 108,40 111,06
F 97,93 100,18 103,64 105,33 109,55 108,83 109,71 105,85 109,84 107,41 110,04
M 96,03 100,18 101,97 103,55 107,83 108,33 110,37 105,85 109,84 107,41 111,57
A 99,47 102,21 103,09 104,01 110,51 110,84 108,92 107,09 108,59 109,89 120,05
M 99,47 102,92 105,34 106,48 109,27 114,88 108,67 105,80 113,16 109,27 116,14
G 99,97 105,33 107,49 106,48 111,64 115,76 109,32 105,62 115,03 109,39 116,00
L 101,04 101,79 105,03 107,26 111,37 115,08 109,07 107,31 113,65 110,36 115,07
A 103,06 106,37 109,10 113,58 114,41 118,33 112,78 115,68 118,33 115,68 115,89
s 102,14 103,34 108,24 109,00 112,01 115,76 110,49 113,10 111,36 109,39 116,69
o 99,69 102,92 107,30 107,19 111,37 111,68 107,19 111,17 109,04 109,86 116,52
N 99,12 101,88 107,07 105,80 111,37 110,48 105,03 109,88 107,50 108,77 116,36
D 100,54 103,88 109,61 106,40 111,37 111,68 104,24 111,65 107,33 111,59 117,60
media 100,00 102,36 106,17 106,68 110,76 112,22 108,62 108,45 111,10 109,79 115,30
368 Ricerche per la storia della Banca d'Italia v
Tab. 8- Salari mensili reali (1929 = 100)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 78,23 106,49 107,69 115,10 117,44 115,45 108,55 109,72 103,50 102,86
F 77,75 103,76 107,64 115,35 116,71 114,74 107,08 109,79 103,56 98,95
M 89,47 108,53 114,23 122,70 123,13 119,01 116,56 114,85 109,07 99,83
A 87,27 119,79 109,76 120,92 119,29 115,30 115,55 111,34 107,75 94,31
M 90,16 116,03 116,24 126,02 122,19 123,64 119,38 113,46 115,39 98,82
G 98,45 118,22 127,60 117,60 120,04 122,51 120,51 109,89 113,63 99,15
L 116,39 125,41 137,76 121,29 120,63 125,35 123,54 112,03 119,51 99,40
A 108,67 115,93 125,08 113,24 112,63 117,03 112,07 103,91 112,46 101,06
s 101,37 123,87 127,90 108,58 119,39 122,04 117,96 110,15 118,83 100,70
o 98,79 129,42 123,66 112,36 119,53 119,27 118,21 110,27 120,90 104,58
N 94,11 122,10 118,31 108,41 115,33 112,41 114,23 107,83 116,65 101,28
D 91,46 115,13 113,76 106,33 112,17 110,74 118,84 106,44 107,71 96,06
media 93,99 117,50 118,78 115,68 118,26 118,08 116,14 110,15 112,19 100,09
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 95,64 96,16 95,30 94,12 100,37 99,81 94,64 90,73 92,19 92,62 92,61
F 90,93 96,87 92,82 93,17 100,52 101,05 91,02 90,15 94,75 92,87 91,16
M 94,44 96,32 97,49 95,02 106,64 105,95 95,82 91,89 98,37 98,17 100,23
A 98,38 97,71 94,02 94,29 102,01 101,70 95,75 90,61 97,85 95,48 99,62
M 100,56 102,36 99,56 97,71 108,67 111,73 97,92 93,01 101,97 94,21 99,46
G 102,72 99,54 100,40 100,63 106,73 111,31 93,70 89,95 105,55 95,75 100,50
L 109,37 102,91 103,87 103,14 111,37 111,92 100,08 96,11 108,65 99,16 103,12
A 101,93 98,77 100,71 101,72 106,24 108,57 96,05 92,80 102,73 98,09 97,84
s 103,27 100,50 107,05 106,61 112,62 111,94 98,35 99,43 104,63 99,70 104,58
o 104,07 101,79 104,94 101,89 108,31 111,07 97,17 97,73 98,86 97,51 104,23
N 100,76 94,60 97,07 98,24 105,25 104,41 91,18 93,58 93,91 95,17 103,48
D 97,23 94,18 98,17 100,55 101,58 94,50 87,06 96,31 95,54 97,39 101,49
media 100,00 98,42 99,17 98,47 105,89 106,05 94,89 93,55 99,50 96,33 99,94
Tab. 9 - Disoccupazione extra-agricola (valori assoluti)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
~
G 240.000 194.804 100.000 412.694 292.674 197.903 123.200 112.806 164.123 313.294 :g
F 250.000 184.414 140.000 404.327 258.478 182.833 120.920 99.310 185.598 300.551 i?;·
M 260.747 168.173 180.000 361.122 229.735 162.514 108.925 86.829 163.565 294.374
A 343.610 141.370 206.586 329.135 221.317 136.023 99.789 80.411 157.278 264.503 "'...,
l:\
M 357.495 83.020 280.000 329.241 210.700 129.732 88.310 83.183 172.251 239.457 a-
G 343.576 75.395 345.185 306.989 190.633 113.905 79.899 75.521 190.839 219.677 ~-
L 314.068 67.990 391.613 255.138 160.480 104.863 71.983 70.424 192.568 196.635
A 312.220 68.641 410.024 259.335 153.244 100.888 63.191 72.390 208.343 197.368
s 295.967 91.832 403.809 258.015 156.354 98.170 71.839 74.823 223.845 202.854
o 283.905 84.603 407.675 254.985 159.729 100.163 71.712 83.135 234.818 206.906
N 191.151 88.977 403.991 254.935 167.276 109.212 82.738 103.629 257.463 228.912
D 196.428 83.862 419.080 281.501 182.547 114.307 93.346 131.321 283.441 258.482
media 282.431 111.090 307.330 308.951 198.597 129.209 89.654 89.482 202.844 243.584
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 291.445 320.889 513.694 798.613 921.007 825.337 759.058 621.696 655.532 651.104 737.303
F 295.551 322.570 542.636 835.149 932.816 821.420 734.258 624.259 658.235 653.789 740.343
M 213.541 290.533 534.043 805.896 873.596 812.120 707.249 574.652 605.927 601.835 681.511
A 181.483 278.197 521.319 791.438 820.246 785.211 658.354 540.723 570.151 566.301 641.272
M 175.624 289.026 527.768 782.404 793.089 783.308 618.858 532.314 561.285 557.494 631.300
G 164.274 289.966 515.566 785.649 760.795 742.644 572.405 514.610 542.618 538.953 610.304
L 155.746 279.332 514.810 799.703 713.977 742.312 536.566 489.804 516.461 512.973 580.885
A 163.590 302.064 544.517 789.200 725.392 727.921 519.122 498.701 525.843 522.291 591.437
s 168.954 305.327 584.293 790.766 728.409 747.285 506.450 510.422 538.201 534.566 605.337
o 207.578 337.617 617.480 791.659 747.495 765.805 500.000 531.268 560.182 556.399 630.060 \>J
o-.
N 228.612 384.170 661.659 819.585 800.795 784.163 480.000 571.073 602.154 598.087 677.267 \0
D 289.459 464.160 746.278 863.996 795.873 776.500 470.000 627.599 661.756 657.287 744.304
media 211.321 321.988 568.672 804.505 801.124 776.169 588.527 553.094 583.196 579.257 655.944
370 Ricerche per la storia della Banca d'Italia v
T ab. lO - Disoccupazione (1929 = 100)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 113,57 92,18 47,32 195,29 138,50 93,65 58,30 53,38 77,67 148,26
F 118,30 87,27 66,25 191,33 122,32 86,52 57,22 46,99 87,83 142,22
M 123,39 79,58 85,18 170,89 108,71 76,90 51,54 41,09 77,40 139,30
A 162,60 66,90 97,76 155,75 104,73 64,37 47,22 38,05 74,43 125,17
M 169,17 39,29 132,50 155,80 99,71 61,39 41,79 39,36 81,51 113,31
G 162,58 35,68 163,35 145,27 90,21 53,90 37,81 35,74 90,31 103,95
L 148,62 32,17 185,32 120,73 75,94 49,62 34,06 33,33 91,13 93,05
A 147,75 32,48 194,03 122,72 72,52 47,74 29,90 34,26 98,59 93,40
s 140,06 43,46 191,09 122,10 73,99 46,46 34,00 35,41 105,93 95,99
o 134,35 40,04 192,92 120,66 75,59 47,40 33,94 39,34 111,12 97,91
N 90,46 42,11 191,17 120,64 79,16 51,68 39,15 49,04 121,84 108,32
D 92,95 39,68 198,31 133,21 86,38 54,09 44,17 62,14 134,13 122,32
media 133,65 52,57 145,43 146,20 93,98 61,14 42,43 42,34 95,99 115,27
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 137,92 151,85 243,09 377,91 435,83 390,56 359,20 294,20 310,21 308,11 348,90
F 139,86 152,64 256,78 395,20 441,42 388,71 347,46 295,41 311,49 309,38 350,34
M 101,05 137,48 252,72 381,36 413,40 384,31 334,68 271,93 286,73 284,80 322,50
A 85,88 131,65 246,70 374,52 388,15 371,57 311,54 255,88 269,80 267,98 303,46
M 83,11 136,77 249,75 370,24 375,30 370,67 292,85 251,90 265,61 263,81 298,74
G 77,74 137,22 243,97 371,78 360,02 351,43 270,87 243,52 256,77 255,04 288,80
L 73,70 132,18 243,62 378,43 337,86 351,27 253,91 231,78 244,40 242,75 274,88
A 77,41 142,94 257,67 373,46 343,27 344,46 245,66 235,99 248,84 247,16 279,88
s 79,95 144,48 276,50 374,20 344,69 353,63 239,66 241,54 254,68 252,96 286,45
o 98,23 159,77 292,20 374,62 353,72 362,39 236,61 251,40 265,09 263,30 298,15
N 108,18 181,79 313,11 387,84 378,95 371,08 227,14 270,24 284,95 283,02 320,49
D 136,98 219,65 353,15 408,85 376,62 367,45 222,41 296,99 313,15 311,04 352,21
media 100,00 152,37 269,10 380,70 379,10 367,29 278,50 261,73 275,98 274,11 310,40
Appendice statistica 371
Tab. 11 -Occupazione media mensile (1929 = 100) interpolazione I
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 76,48 86,74 75,55 77,42 78,35 85,81 93,27 95,14 87,68 91,96
F 77,41 87,79 76,47 78,35 79,30 86,85 94,40 96,29 88,74 93,88
M 80,62 91,43 79,63 81,60 82,58 90,45 98,31 100,28 92,41 95,80
A 81,85 92,83 80,85 82,85 83,84 91,83 99,81 101,81 93,82 96,48
M 83,56 94,77 82,55 84,58 85,60 93,75 101,91 103,95 95,79 99,46
G 82,81 93,92 81,80 83,82 84,83 92,91 100,99 103,01 94,93 99,25
L 84,09 95,37 83,06 85,11 86,14 94,34 102,54 104,59 96,39 101,84
A 84,53 95,87 83,50 85,56 86,59 94,84 103,09 105,15 96,90 101,73
s 85,74 97,24 84,70 86,79 87,83 96,20 104,56 106,66 98,29 102,62
o 84,01 95,28 82,99 85,04 86,06 94,26 102,45 104,50 96,31 102,23
N 82,66 93,75 81,65 83,67 84,67 92,74 100,80 102,82 94,75 96,29
D 80,16 90,91 79,18 81,14 82,11 89,93 97,75 99,71 91,89 94,52
media 82,00 93,00 81,00 83,00 84,00 92,00 100,00 102,00 94,00 98,00
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 94,53 96,24 92,42 74,55 72,40 75,84 83,18 87,66 93,66 101,97 102,30
F 93,43 96,10 91,39 74,98 72,82 76,19 84,36 88,55 95,73 105,83 106,37
M 99,85 98,70 89,38 77,53 77,13 79,62 90,19 92,14 100,67 111,75 111,57
A 101,84 98,59 90,73 79,39 80,01 81,55 92,69 92,98 102,92 112,37 111,96
M 101,66 98,77 90,42 81,00 82,29 85,06 95,79 95,19 105,27 113,77 116,78
G 97,75 96,94 89,19 80,33 81,82 84,12 97,69 94,19 104,66 113,56 115,43
L 103,23 99,38 90,97 80,30 83,25 85,47 98,25 94,76 106,19 111,92 117,17
A 103,02 99,32 90,21 79,64 82,58 85,81 99,17 97,81 108,72 112,50 118,45
s 104,09 100,07 89,69 80,93 83,39 87,52 100,99 102,22 110,80 115,25 118,27
o 102,07 98,20 87,27 79,51 81,77 85,11 97,81 99,57 109,57 112,32 116,27
N 101,47 97,11 84,50 78,39 79,40 84,35 95,84 98,35 109,18 109,87 118,07
D 97,00 93,84 79,72 75,46 76,47 83,65 91,46 95,39 106,13 107,28 117,03
media 100,00 97,76 88,82 78,50 79,44 82,89 93,95 94,90 104,46 110,70 114,22
372 Ricerche per la storia della Banca d 'Italia V
T ab. 12 - Occupazione media mensile (1929 = 100) interpolazione II
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928
G 83,29 90,46 87,30 79,85 81,14 89,91 98,98 101,29 95,18 91,96
F 82,99 90,77 86,09 80,10 82,18 90,37 99,05 101,70 94,52 93,88
M 82,66 91,26 84,87 81,41 83,05 90,99 99,41 102,08 95,19 95,80
A 80,14 92,08 84,06 82,39 83,31 91,79 99,69 102,28 95,39 96,48
M 79,72 93,85 81,83 82,38 83,63 91,98 100,04 102,19 94,93 99,46
G 80,14 94,08 79,85 83,06 84,24 92,47 100,30 102,42 94,36 99,25
L 81,04 94,31 78,44 84,64 85,16 92,74 100,54 102,58 94,31 101,84
A 81,09 94,29 77,88 84,51 85,38 92,86 100,80 102,52 93,83 101,73
s 81,59 93,59 78,07 84,55 85,28 92,94 100,54 102,45 93,36 102,62
o 81,96 93,81 77,95 84,64 85,18 92,88 100,55 102,19 93,03 102,23
N 84,77 93,67 78,06 84,64 84,95 92,61 100,21 101,57 92,34 96,29
D 84,61 93,83 77,60 83,83 84,49 92,45 99,89 100,73 91,55 94,52
media 82,00 93,00 81,00 83,00 84,00 92,00 99,99 102,00 94,00 98,00
1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
G 94,53 96,24 92,42 74,55 72,40 75,84 83,18 87,66 93,66 101,97 102,30
F 93,43 96,10 91,39 74,98 72,82 76,19 84,36 88,55 95,73 105,83 106,37
M 99,85 98,70 89,38 77,53 77,13 79,62 90,19 92,14 100,67 111,75 111,57
A 101,84 98,59 90,73 79,39 80,01 81,55 92,69 92,98 102,92 112,37 111,96
M 101,66 98,77 90,42 81,00 82,29 85,06 95,79 95,19 105,27 113,77 116,78
G 97,75 96,94 89,19 80,33 81,82 84,12 97,69 94,19 104,66 113,56 115,43
L 103,23 99,38 90,97 80,30 83,25 85,47 98,25 94,76 106,19 111,92 117,17
A 103,02 99,32 90,21 79,64 82,58 85,81 99,17 97,81 108,72 112,50 118,45
s 104,09 100,07 89,69 80,93 83,39 87,52 100,99 102,22 110,80 115,25 118,27
o 102,07 98,20 87,27 79,51 81,77 85,11 97,81 99,57 109,57 112,32 116,27
N 101,47 97,11 84,50 78,39 79,40 84,35 95,84 98,35 109,18 109,87 118,07
D 97,00 93,84 79,72 75,46 76,47 83,65 91,46 95,39 106,13 107,28 117,03
media 100,00 97,76 88,82 78,50 79,44 82,89 93,95 94,90 104,46 110,70 114,22
Appendice statistica 373
Fig. l - Costo della vita (1929 = 100)
1~~------------------Tr---------------------------------,
110
100
90
80
70
60
SOia~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
~~---------~---~-----
Fig. 2 -Salari orari nominali (1929 = 100)
120
110
100
90
BO
70
60
60
~in~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1936 1939
374 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Fig. 3 - Ore di lavoro medie mensili
220
200
180
180
50
1
®~~~~~~~~~mm~~~~~mm~~~~mm~~~~~
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1925 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1935 1937 1933 1939
Fig. 4 -Salari mensili nominali (1929 = 100)
1®
120
100
80
60
®im~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~-
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1928 1927 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
Appendice statistica 375
Fig. 5 -Salari mensili destagionalizzati (1929 = 100)
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1925 1927 1929 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1935 1937 1938 1939
Fig. 6 -Salari orari reali (1929 = 100)
1~~--------------------------------------------------------,
120
110
100
90
90
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1929 1927 1929 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
376 Ricerche per la storia della Banca d'Italia V
Fig. 7- Salari mensili reali (1929 = 100)
1~-r------------------------------------------------------,
130-
120-
110-
100
90
80-
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1927 1928 1928 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1935 1937 1938 1938
Fig. 8- Disoccupazione extra-agricola (1929 = 100)
~,-----------------------------------------------------~
400
350
300
250
200
150
100
50
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1926 1926 1927 1928 1928 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1938 1937 1938 1939
Appendice statistica 377
Fig. 9- Occupazione media mensile (1929 = 100) I
1~,------------------------------------------------------,
110
100
90
80
Fig. lO- Occupazione media mensile (1929 = 100) II
1~
115
110
105
100
95
90
85
80
75
1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1925 1927 1925 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Barberi B., Nuova serie dei guadagni orari degli operai dell'industria e cor-
rispondenti numeri indici, in «Bollettino dei Prezzi», marzo 1938.
Fuà G., Sviluppo economico in Italia. Lavoro e reddito, Angeli, Milano
1972.
Guarneri F., Battaglie economiche tra le due grandi guerre, 2 voli., Gar-
zanti, Milano 1953.
Lasorsa G., La statistica dei salari industriali in Italia, CEDAM, Padova
1931.
Mortara G., Prospettive economiche, Università Bocconi, Milano 1924-
34.
Piva F. e Toniolo G., Sulla disoccupazione in Italia negli anni '30, in
«Rivista di Storia economica», 1987.
Vannutelli C., Salari e costo del lavoro nell'industria in confronto all'an-
teguerra, in «Rivista di Politica economica», dicembre 1946.
Vannutelli C., Le condizioni di vita dei lavoratori italiani nel decennio
1929-39, in «Rassegna di Statistiche del Lavoro», 1958.
Vannutelli C. (1961), Occupazione e salari in Italia dal1861 al1961, in
«Rassegna di Statistiche del Lavoro», 1961.
Vicentini R., Sulle variazioni dei salari dal1914 al1924 in alcune industrie
di Milano, in «Giornale degli Economisti», 1926.
Zamagni V., La dinamica dei salari nel settore industriale, in Ciocca P. e
Toniolo G. (a cura di), L'economia italiana nel periodo fascista, Il Mu-
lino, Bologna 1976.
Zamagni V., I salari giornalieri degli operai dell'industria nell'età giolittia-
na (1898-1913), in «Rivista di Storia economica», 1984.
Zamagni V., A century of change: trends in the composition of the Italian
labour force, 1881-1981, in «Historical Social Research», 1987.
Zamagni V., An international comparison of rea! industria! wages, 1890-
1913: methodological issues and results, in Scholliers P. (a cura di), Rea!
Wages in Historical and Comparative Perspective, Berg, Oxford 1989.
Zamagni V., Industria! wages and workers' protest in Italy during the «Bien-
nio Rosso» (1919-1920), in «The Journal of European Economie Hi-
story», 1991.
NOTE PER UN'«ERRATA CORRIGE»*
al volume della Collana storica La Banca d'Italia tra l'autarchia
e la guerra, 1936-1945, a cura di A. Caracciolo
La nota 135 di p. 50 contiene una evidente inesattezza.
L'amicizia tra Paolo Thaon di Revel e Benvenuto Griziotti
non poteva avere alcuna influenza sulla carriera universitaria del
secondo: Griziotti ottenne la cattedra all'Università di Catania
nel1912 e il trasferimento a Pavia nel1920, prima del fascismo
e prima che Paolo Thaon di Revel assumesse cariche politiche.
Secondo la testimonianza del prof. Sergio Steve, in realtà
Thaon di Revel si adoperò a smorzare ostilità politiche contro
Vanoni nel concorso di scienza delle finanze svoltosi nel 1939.
Cfr. S. Steve, Commemorazione di Paolo Thaon di Revel, in «Atti
della Accademia delle Scienze di Torino», II Classe di scienze
morali, storiche e filologiche, vol. 109 (1974-75), p. 440.
Va inoltre osservato che alcuni documenti pubblicati nel vo-
lume erano già apparsi nella «Rivista di diritto finanziario e scien-
za delle finanze» (documenti n. 19, 30 e 32); la stessa rivista
pubblicò, nel dicembre 1941, lo statuto dell'Istituto nazionale di
finanza corporativa, che superava lo schema di statuto pubblica-
to come documento n. 29.
Nelle schede biografiche, infine, si attribuisce al professor
Sergio Steve il ruolo di segretario della Commissione economica
per l'Assemblea costituente, mentre in realtà egli svolse quello di
coordinatore della sottocommissione Finanza.
* A cura dell'Ufficio ricerche storiche della Banca d'Italia.
INDICE
Presentazione di Carlo A. Ciampi VII
Introduzione di Cosma O. Gelsomino IX
Parte prima Il mercato del credito e la Borsa
Da istituto di emissione a banca delle banche: le operazioni
di credito della Banca d'Italia tra le due guerre mon-
diali di Cosma O. Gelsomino 5
l. Premessa 5
2. La Banca d'Italia alla vigilia della prima guerra
mondiale 7
2.1. Natura, funzioni e dimensioni relative degli istituti di
emissione, p. 7 - 2.2. La dottrina classica sulle operazioni
di credito dell'istituto di emissione, p. 13 - 2.3. Le ope-
razioni di credito della Banca d'Italia, p. 20
3. Dalla fine della guerra alla stabilizzazione della
lka 26
3 .l. La crisi del «gold standard» e il mutamento negli obiet-
tivi e negli strumenti della politica monetaria, p. 26 - 3 .2.
L'evoluzione della struttura di bilancio della Banca d'Ita-
lia, p. 31 - 3.3. Tasso di sconto e razionamento nella ge-
stione delle operazioni di sconto. Il ruolo delle <<legittime
esigenze del commercio», p. 34- 3.4. Il ruolo dei fattori di
reddito nella gestione delle operazioni di credito della Ban-
ca d'Italia, p. 42- 3.5. Le anticipazioni, p. 46- 3.6. I de-
positi presso la Banca d'Italia, p. 51
4. Dalla stabilizzazione della fu a alle riforme del
1936 57
4.1. Mutamenti nello stato patrimoniale e nel conto eco-
nomico della Banca d'Italia, p. 57 - 4.2. La Banca d'Italia
384 Indice
e il credito all'economia: la posizione di Stringher e gli ef-
fetti della riforma monetaria del 1927-28, p. 62 - 4.3. La
grande depressione e il cammino verso la riforma del1936,
p. 67 - 4.4. n divieto degli sconti ai privati e l'evoluzione
di lungo periodo dei rapporti tra Banca d'Italia e sistema
bancario, p. 75
5. Epilogo: i provvedimenti del1936 e gli ultimi ten-
tativi di ripristinare gli sconti ai privati 79
Riferimenti bibliografici 86
La crisi finanziaria nella Grande Depressione in Italia di
Giovanni Ferri e Paolo Garofalo 97
l. Introduzione 97
2. Il legame tra credito e attività produttive e le in-
terpretazioni sul caso italiano 99
3. Alcuni indicatori dell'economia reale 105
4. Vi fu un «credit crunch»? 114
4.1. Gli andamenti dell'intermediazione nei bilanci banca-
ri, p. 121 - 4.2. L'evoluzione dei tassi d'interesse, p. 126-
4.3. Approfondimenti documentali sul mutamento nelle
scelte di prestito degli intermediari, p. 130 - 4.4. L'impat-
to allocativo dell'intervento pubblico, p. 136
5. L'interpretazione proposta e quelle alternative 142
6. Conclusioni 146
Riferimenti bibliografici 148
Evoluzione istituzionale della Borsa valori in Italia dal
1918 alla vigilia della legge bancaria del1936 di Ste-
fano Baia Curioni 15 3
l. Premessa 153
2. Le determinanti di lungo periodo dell'evoluzione
istituzionale della Borsa italiana 154
3. Le determinanti di medio periodo: l'intervento le-
gislativo del 1913 162
4. I fattori di breve periodo: 1918-36 168
4.1. 1918-21: le scalate alle banche, p. 168- 4.2. 1919-23:
crisi dei cambi e organizzazione di Borsa, p. 175-4.3.
1922-25: espansione, speculazione e stabilizzazione, p.
179- 4.4. 1925-35: un lungo epilogo, p. 200
Indice 385
Parte seconda I sistemi di compensazione
Le Stanze di compensazione dalle origini agli anni Cin-
quanta di Rita Brizi e Sandra Petricola 209
I. La via italiana alla compensazione. L'evoluzione
storica delle Stanze di compensazione 209
l. La funzione economica delle Stanze di compensa-
zio ne 209
2. I sistemi di «clearing» preesistenti 214
3. La via italiana alla compensazione 219
4. TI ruolo della Banca Nazionale nel Regno nell'e-
voluzione delle Stanze di compensazione 221
5. L'annosa controversia tra il Banco di Napoli e la
Banca Nazionale nel Regno-Banca d'Italia 225
6. La nascita delle singole Stanze di compensazione 230
7. Le operazioni di prorogato pagamento 242
8. Il servizio dossier titoli 248
9. I servizi di compensazione 252
10. La riforma del procedimento di compensazione
in uso presso le Stanze 254
II. L'evoluzione giuridica e istituzionale delle Stanze
di compensazione 259
l. Considerazioni introduttive 259
2. L'evoluzione del quadro normativa e istituzio-
nale 2~
3. Le norme di funzionamento: gli statuti e i rego-
lamenti 273
4. L'attività delle associazioni e dei consigli di
vigilanza 275
5. I progetti di nuovo regolamento e il nuovo sche-
ma di legge 279
6. I punti centrali del dibattito: la natura della Stan-
za e i rapporti con gli associati 291
386 Indice
7. Il mancato sviluppo delle Stanze 302
Riferimenti bibliografici 305
La riscontrata di Sandra Petricola 307
l. Introduzione 307
2. Le prime manifestazioni di ingerenza statale nella
regolamentazione della riscontrata 310
3. La legge 30 aprile 1874 314
4. L'evoluzione della riscontrata dopo l'abolizione
del corso forzoso 319
5. Gli accordi con la Banca Romana 323
6. L'abolizione sostanziale della riscontrata 329
7. La regolamentazione della riscontrata dopo la na-
scita della Banca d'Italia 338
Parte terza Statistiche storiche
Una ricostruzione dell'andamento mensile dei salari indu-
striali e dell'occupazione 1919-1939 di Vera Zamagni 349
l. Costo della vita 352
2. Salari orari nominali 353
3. Ore mensili di lavoro 355
4. Salari mensili nominali 356
5. Salari orari e mensili reali 357
6. Disoccupazione 357
7. Occupazione 359
Appendice statistica 361
Riferimenti bibliografici 378
NOTE PER UN'«ERRATA CORRIGE»
al IX volume della serie «Documenti» 3 79
COLLANA STORICA DELLA BANCA D'ITALIA
Documenti
I L 'Italia e il sistema finanziario internazionale 1861-1914, a
cura di Marcello De Cecco.
II Gli istituti di emissione in Italia. I tentativi di unificazione
1843-1892, a cura di Renato De Mattia.
III Giolitti e la nascita della Banca d'Italia nel1893, a cura di
Guglielmo Negri.
IV La Banca d'Italia dal1894 al1913. Momenti dellafonnazio-
ne di una banca centrale, a cura di Franco Bonelli.
V La Banca d'Italia e l'economia di guerra 1914-1919, a cura di
Gianni Toniolo.
VI L'Italia e il sistema finanziario internazionale 1919-1936, a
cura di Marcello De Cecco.
VII La Banca d'Italia e il sistema bancario 1919-1936, a cura di
Giuseppe Guarino e Gianni Toniolo.
VIII La politica monetaria tra le due guerre 1919-1935, a cura di
Franco Cotula e Luigi Spaventa.
IX La Banca d'Italia tra l'autarchia e la guerra 1936-1945, a cura
di Alberto Caracciolo.
X La Banca d'Italia e il risanamento post-bellico 1945-1948, a
cura di Sergio Ricossa ed Ercole Tuccimei.
XI Luigi Einaudi, Diario 1945-1947, a cura di Paolo Soddu-
Fondazione Luigi Einaudi, Torino.
XII La nonnativa sulla Banca d'Italia dalle origini a oggi, a cura
della Consulenza Legale della Banca d'Italia.
Statistiche
I. l I conti economici dell'Italia. l. Un'analisi delle fonti ufficiali
1890-1970, a cura di Guido M. Rey.
!.2 I conti economici dell'Italia. 2. Una stima del valore aggiunto
per rami di attività per il1911, a cura di Guido M. Rey.
Scritti di Giovanni Federico, Stefano Fenoaltea, Mauro
Marolla, Massimo Roccas, Ornello Vitali, Vera Zamagni.
II I bilanci degli istituti di emissione 1894-1990, a cura del Ser-
vizio Ragioneria della Banca d'Italia, con la collaborazione
del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia e dell'Ufficio ita-
liano dei cambi.
III I bilanci delle aziende di credito 1890-1936, a cura dell'Uf-
ficio Ricerche Storiche della Banca d'Italia, con la con-
sulenza scientifica di Ornello Vitali (in corso di pubblica-
zione).
Contributi
Ricerche per la storia della Banca d'Italia
I Rapporti monetari e finanziari internazionali 1860-1914. Le
banche di emissione in Italia fino all'inizio del Novecento.
Statistiche storiche: il cambio della lira 1861-1979. Elementi
di normativa sulle banche di emissione 1859-1918.
Scritti di Sergio Cardarelli, Pierluigi Ciocca, Alfredo Gi-
gliobianco, Peter Hertner, Massimo Roccas, Valeria San-
nucci, Ercole Tuccimei, Adalberto Ulizzi.
II Problemi di finanza pubblica tra le due guerre 1919-1939.
Scritti di Alberto Baccini, Domenicantonio Fausto, Giu-
seppe Felicetti, Andrea Ripa di Meana, Giancarlo Salve-
mini, Vera Zamagni.
III Finanza internazionale, vincolo esterno e cambi 1919-1939.
Scritti di Pier Francesco Asso, Andrea Santorelli, Marina
Storaci, Giuseppe T attara.
IV L'organizzazione della Banca d'Italia 1893-1947. La Banca
d'Italia e la tesoreria dello Stato.
Scritti di Alberto M. Contessa, Angelo De Mattia, Pasqua-
le Ferro, Giuseppe Mulone, Ercole Tuccimei.
V Il mercato del credito e la Borsa. I sistemi di compensazione.
Statistiche storiche: salari industriali e occupazione.
Scritti di Stefano Baia Curioni, Rita Brizi, Giovanni Ferri,
Paolo Garofalo, Cosma O. Gelsomino, Sandra Petricola,
Vera Zamagni.
Stefano Baia Curioni è ricercatore presso
l'Istituto di Storia economica dell'Univer-
sità «Bocconi>> di Milano.
Rita Brizi è funzionario presso il Servizio
anticipazioni, sconti e compensazioni della
Banca d'Italia.
Giovanni Ferri è funzionario presso il Ser-
vizio studi della Banca d'Italia.
Paolo Garofalo è ricercatore presso l'Uffi-
cio ricerche storiche della Banca d'Italia.
Cosma O. Gelsomino è dirigente nell'Uffi-
cio ricerche storiche della Banca d'Italia.
Sandra Petricola è funzionario presso la fi-
liale dell'Aquila della Banca d'Italia.
Vera Zamagni è titolare della cattedra di
Storia economica presso l'università di
Cassino.