Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
23 visualizzazioni6 pagine

4.l'italia Dal Dopoguerra Al Fascismo

Il documento descrive la situazione economica, sociale e politica dell'Italia nel periodo dopo la Prima Guerra Mondiale. L'economia era in crisi a causa della riconversione industriale e dell'inflazione, mentre c'erano tensioni sociali dovute alle richieste dei lavoratori e dei contadini. In politica emersero il Partito Socialista e il Partito Popolare, mentre nacquero agitazioni operaie e il movimento fascista.

Caricato da

Nicoleta Dvornic
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato DOCX, PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
23 visualizzazioni6 pagine

4.l'italia Dal Dopoguerra Al Fascismo

Il documento descrive la situazione economica, sociale e politica dell'Italia nel periodo dopo la Prima Guerra Mondiale. L'economia era in crisi a causa della riconversione industriale e dell'inflazione, mentre c'erano tensioni sociali dovute alle richieste dei lavoratori e dei contadini. In politica emersero il Partito Socialista e il Partito Popolare, mentre nacquero agitazioni operaie e il movimento fascista.

Caricato da

Nicoleta Dvornic
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato DOCX, PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 6

L’Italia dal dopoguerra

al fascismo
1. CRISI DEL DOPOGUERRA

ECONOMIA
Nonostante l’Italia fosse una potenza vincitrice al termine della guerra dovette affrontare numerosi problemi economici-
sociali.
 Era necessario riconvertire l’economia, in quanto per anni la produzione del paese era concentrata soprattutto verso le
spese belliche, e ora il sistema produttivo ed economico doveva essere adattato al tempo di pace,
 La guerra aveva dato un grande impulso all’industria meccanica e chimica, ma ora le fabbriche dovevano ritornare a
produrre beni ordinari per rispondere alle necessità della popolazione civile (il cibo e i beni di consumo scarseggiavano);
 L’Italia si trovava ad affrontare un gravissimo problema di debito pubblico (incremento del 429% passando da 15 a 92
milioni di lire), con il bilancio statale fortemente appesantito dall’indebitamento nei confronti degli Alleati (soprattutto nei
confronti degli Stati Uniti, nuovo centro della finanza mondiale);
 Continua emissione di moneta negli anni della guerra aveva avuto come conseguenza una fortissima inflazione, a cui si è
risposto operando una drastica svalutazione della lira. Questa misura aveva causato un deprezzamento nel cambio con
monete estere come il dollaro.

SOCIALI
 Ai contadini arruolati nell’esercito era stato promesso, nei momenti più difficili della guerra, che il loro impegno nella
difesa della patria sarebbe stato ricompensato con l’assegnazione delle terre, ma dopo un anno dalla fine del conflitto, la
promessa di attuare una riforma agraria non era stata ancora mantenuta;
 I braccianti e i coloni del Nord chiedevano contratti migliori e paghe più alte;
 Gli operai delle fabbriche chiedevano la riduzione della giornata lavorativa a 8 ore e aumenti di salario in grado di
proteggere i loro guadagni dall’inflazione;
 L’inflazione gravò molto sul ceto medio (impiegati e piccola borghesia), che dovette fronteggiare all’aumento del costo
della vita a cui non faceva seguito un corrispettivo adeguatamente degli stipendi;
 Reinserimento sociale dei reduci (chi torna dopo un’assenza lunga per via della guerra), che faticavano a trovare
un’occupazione e ad abituarsi ai ritmi ordinari di vita;
 Particolari difficoltà per i mutilati, inabili (incapaci) al lavoro e spesso costretti a medicare. Alla fine della guerra i mutilati e
gli invalidi erano quasi mezzo milione, e solo nell’estate del 1923 fu approvata una legge che definiva la loro posizione
giuridica.

POLITICI
Nel nuovo contesto politico e sociale, a raccogliere grandi consensi furono soprattutto il Partito Socialista Italiano (PSI) fondato
da Filippo Turati nel 1892 e il Partito Popolare Italiano (PPI) fondato da Luigi Sturzo nel gennaio 1919.
Durante la guerra, era cambiato molto anche il rapporto fra il mondo cattolico e le istituzioni politiche. L’estensione del voto e
l’avvento della democrazia di massa avevano reso quantomai necessario un impegno dei cattolici nella vita politica del paese.
Per questa ragione nel novembre del 1919 la Santa Sede dichiarò abolito il non expedit, che per decenni aveva impedito ai
cattolici una partecipazione attiva alla politica.
Il programma del PPI era basato su:
 sulla difesa dell’istituto della famiglia
 sulla libertà di insegnamento
 sull’introduzione di un sistema elettorale proporzionale
 sull’applicazione di una tassazione progressiva
 sull’attuazione della riforma agraria
 sull’estensione del diritto di voto alle donne
Si trattava di un programma laico, che si riferiva alla Chiesa solo per riaffermare la libertà e l’indipendenza: nasceva con l’idea
di essere un partito di cattolici, non un partito cattolico.
Elezioni del 16 novembre 1919  prime tenute dopo la guerra e con il sistema proporzionale
Il PSI ottenne il maggiore numero di voti
Il PPI ebbe un risultato inferiore, ma considerevole
Le formazioni liberal-democratiche persero la maggioranza assoluta e si dovettero accontentare di 200 seggi.
Fu nominato come presidente del consiglio Francesco Saverio Netti che si trovò a governare una maggioranza formata da
liberal-democratici e popolari.
I socialisti scelsero di non partecipare a questo e ad altri esecutivi successivi, rendendo molto instabili le maggioranze
parlamentari che sostenevano i governi liberali del primo dopoguerra.

02. IL BIENNIO ROSSO E LA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA

BIENNIO ROSSO (1919 E 1920)


Le tensioni sociali sfociarono nel cosiddetto “biennio rosso”, un’ondata di agitazioni scoppiate fra il 1919 e il 1920.
Inizialmente erano dei moti spontanei, motivati dall’aumento del costo dei beni di prima necessità (privi di una direzione
sindacale o politica) e in un primo momento la protesta si tradusse in azioni violente, come l’assalto a forni ed esercizi
commerciali.
Successivamente, gli operai delle industrie del nord e i braccianti moltiplicarono gli scioperi di protesta e alla fine giunsero a
occupare le fabbriche e le terre (influenzati dall’esperienza dei soviet in Russia).
Gli scontri furono particolarmente duri nel settore metalmeccanico: da una parte gli operai della FIOM (federazione italiana
operai metallurgici) rallentavano i ritmi di produzione per protesta; dall’altra alcuni industriali decisero di attuare una
“serrata” ossia di chiudere gli stabilimenti, impedendo agli operati di lavorare (e quindi di ricevere le loro retribuzioni).
Anche per opporsi alle serrate, gli operai si diedero all’occupazione delle fabbriche che venero presiediate con le armi per
evitare che le forze pubbliche potessero sgomberarle con la forza.
I braccianti speravano invece di realizzare il sogno di diventare proprietari delle terre che lavoravano.

L’occupazione di fabbriche e terre suscitò il panico fra industriali e possidenti, che avevano paura di veder scoppiare una
rivoluzione proletaria come in Russia. Questo rischio finì per spaventare anche i sindacati che temevano di veder il paese
sprofondare nella guerra civile.
Giolitti (che aveva preso il posto di Nitti al governo) riuscì a ricomporre il conflitto e a mettere fine alle occupazioni;
convincendo gli industriali a riconoscere un aumento dei salari e la possibilità di far partecipare i lavoratori al controllo della
produzione; e gli operari (con eccezione di alcuni gruppi più radicali) posero fine all’occupazione delle fabbriche.
Le lotte del biennio si conclusero con una vittoria degli operai e dei contadini sul piano sindacale.
Da una parte gli industriali e i proprietari terrieri furono costretti ad accettare le richieste economiche dei sindacati, dall’altra la
forza sovversiva delle classi operare li avrebbe spinti a fornire il loro appoggio politico ed economico al nascente movimento
fascista.

OPERAI CONTADINI
Aumenti delle paghe per i braccianti
Aumenti salari e settimana lavorativa di 6 giorni per 8 ore al Distribuzione al sud di una parte delle terre incolte che erano
giorno. state occupate
Miglioramenti dei patti agrari per mezzadri e coloni

NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA D’ITALIA (PCI)


Il movimento rivoluzionario provocò un’aspra discussione nel Partito Socialista, diviso ancora una volta tra:
riformisti  aperti a una partecipazione al governo del paese in collaborazione con altre forze politiche
massimalisti  ambivano a realizzare in Italia una rivoluzione socialista (avevano maggiore forza)

Nel 1919 a Torino era nata la rivista “L’ordine nuovo” con i suoi fondatori il dirigente socialista di origini sarde Antonio Gramsci
e che indicava i consigli di fabbrica (eletti dalla totalità dei lavoratori a cui veniva affidato il compito di trattare con i padroni
delle grandi aziende sugli aspetti interni la produzione e su tutto ciò che riguardava la tutela dei diritti dei lavorati).

Nel 1919 il PSI aveva aderito alla Terza Internazionale, in occasione della quale Lenin aveva indicato le condizioni che ogni
partito avrebbe dovuto rispettare necessariamente per continuare a farne parte (l’obbligo di sostituire il nome “socialista”
con “comunista” e sia l’espulsione dal partito dei riformisti che erano a favore a una collaborazione con la borghesia).

Nel Congresso di Livorno del gennaio del 1921, le divergenze tra i socialisti apparvero insuperabili e si consumò la spaccatura
interna al partito.
L’accettazione incondizionata delle richieste di Lenin fu votata solamente da una piccola minoranza, che per questo motivo
scelse di uscire dal partito e di dare vita a una nuova formazione politica , il Partito Comunista d’Italia (PCI), con i fondatori
Gramsci, Bordiga, Togliatti e Terracini, tutti guidati dalla convinzione che in Italia esistessero le condizioni per la rivoluzione e
che servisse un partito in grado di guidarla.

Nel partito socialista ci fu però un’ulteriore scissione, quando i massimalisti di Serrati decretarono l’espulsione dell’ala
riformista di turati.  vita a un nuovo partito, Partito Socialista Unitario (PSU), con il segretario Giacomo Matteotti.
3. LA PROTESTA NAZIONALE

VITTORIA MUTILATA (risultati della guerra apparvero inferiori rispetto alle aspettative del paese)
Dopo la guerra, le piazze non si riempivano solo per le proteste dei lavoratori, ma ci furono anche le manifestazioni dei reduci e
dei nazionalisti, insoddisfatti delle condizioni di pace firmate dai governatori italiani.
L’esito della guerra aveva portato all’Italia indiscutibili vantaggi come l’inclusione all’interno del proprio territorio di Trieste,
Trentino, e dell’Alto Adige.
Tuttavia, a molti, tali risultati apparvero inferiori rispetto alle aspettative del paese, e per questo la vittoria italiana fu
considerata una vittoria “mutilata”, come la definì Gabriele D’Annunzio sul corriere della serra.

Da un lato all’Italia non vennero concesse l’Istria e la Dalmazia, promesse in base al patto di Londra, dall’altro lato i
nazionalisti reclamavano l’annessione oltre di quelle due regioni, anche della città di Fiume.

Le due questioni erano differenti. Quando si era firmato nel 1915 il patto di Londra, si pensava che l’impero austro-ungarico
sarebbe rimasto in vita anche dopo la guerra; il suo crollo portò invece la nascita del nuovo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni,
che ambivano a quelle due regioni in quanto abitate da popolazioni slavofone.
Fiume invece non era mai stata promessa all’Italia, ma era abitata in prevalenza da italiani (la città vecchia) e per questo l’Italia
desiderava includerla nel proprio territorio.

LE TRATTATIVE DI PARIGI
Le due richieste erano perciò basate su criteri antitetici. Da un lato ci si aspettava che venissero assegnati dei territori promessi
in base a un accordo, dall’altro si rivendicava una città perché popolata da italofoni. Dunque, da una parte si affermava il
principio, tipico della diplomazia tradizionale, secondo cui gli accordi devono essere sempre rispettati, dall’altra si evocava uno
dei capisaldi della nuova diplomazia wilsoniana, quello dell’autodeterminazione dei popoli.

Nonostante la loro evidente incongruenza, la delegazione italiana a Parigi (composta dal presidente del consiglio Orlando e dal
ministro degli esteri Sonnino) avanzò contemporaneamente entrambe le richieste.
Così facendo, si scontrò con le legittime ambizioni del neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, ma suscitò anche l’irritazione
di tutti gli interlocutori internazionali, soprattutto del presidente americano Wilson, che insisteva sul fatto di non aver mai
sottoscritto il patto di Londra.
Di fronte alla rigidità di Wilson e all’impossibilità di raggiungere i propri obiettivi, per protesta Orlando e Sonnino scelsero di
abbandonare la conferenza di Parigi e di tornare in patria, ormai priva di rappresentanza, non avesse voce in capitolo su tutte le
altre questioni discusse durante le trattative di pace.

L’IMPRESA DI FIUME
Orlando venne sostituito alla presidenza del consiglio da Nitti, il quale però non ottiene risultati migliori.
Fine dell’estate del 1919, in seguito a un incidente che causò la morte di alcuni soldati francesi e al conseguente ordine di
scioglimento della legione italiana di stanza nella città adriatica, alcuni giovani ufficiali si rivolsero a Gabriele D’Annunzio
chiedendogli di guidarli alla conquista della città.
D’Annunzio si mise a capo di un esercito di circa mille uomini e, all’alba del 12 settembre 1919, da Ronchi (vicino Trieste), marciò
verso Fiume, che occupò e dichiarò annessa all’Italia insediandovi il governo provvisorio del Carnaro.

Lo stato italiano, considerando la grande popolarità del poeta e della causa fiumana, reagì con cautela senza far ricorso alla
forza e tentando la strada diplomatica (mostrare debolezza nei confronti della destra antiparlamentare, nazionalista e
militarista).
Solo il 12 novembre 1920, dopo più di un anno dall’inizio dell’occupazione, il governo italiano e quello del Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni trovarono un’intesa e formarono il trattato di Rapallo, che pose fine alla questione fiumana:
 All’Italia sarebbe andata l’Istria
 Al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni sarebbe andata la Dalmazia
 Fiume assume lo status di città-stato indipendente
D’Annunzio si ostinava a non riconoscere il trattato, e il governo italiano lo costrinse a sgomberare intervenendo con
l’artiglieria (tra 24 e 30 dicembre del 1920 viene definito “il natale di sangue” dal poeta).
L’intervento armato posse fine alla reggenza del Carnaro, creando la crisi politica italiana conducendo alle elezioni anticipate
del maggio 1921.
4. L’AVVENTO DEL FASCISMO
NASCITA DEI FASCI DI COMBATTIMENTO
Gli stessi anni della vicenda di fiume videro la nascita di un nuovo movimento politico, il fascismo, sotto la Guida di Benito
Mussolini, il quale nel corso degli anni Dieci aveva cambiato i suoi convincimenti politici.
 Nel 1910 quando era segretario del Partito Socialista di Forlì, ostentava posizioni repubblicane e marcatamente
anticlericali (manifestando disprezzo verso ogni forma di parlamentarismo liberale e di democrazia e, ispirandosi alle idee
del francese Auguste Blanqui, aveva sostenuto l’idea di una rivoluzione violenta, condotta da una minoranza politica
organizzata);

 Nel 1912 durante il congresso socialista di Reggio Emilia, si era affermato come leader nazionale del socialismo
rivoluzionario, trasferendosi poi a Milano redigere il quotidiano socialista “Avanti”, qui sarebbe rimasto fino alla presa di
posizione a sostegno dell’entrata in guerra, che gli sarebbe costata l’espulsione dal Partito Socialista;

 Aveva fondato un giornale dal titolo “il popolo d’Italia” ispirato a valori nazionalistici;

 Nel 1915 prende parte al conflitto (in guerra), lasciando il fronte dopo due anni a causa delle ferite riportate.

 L’ex socialista si impegnò nella fondazione di una nuova forza politica: la sua idea era quella di dar vita a una formazione
che potesse dar voce ai ceti medi, che contrasse contemporaneamente il socialismo e la grande borghesia.

 Il 23 marzo 1919, fondò a Milano il primo fascio di combattimento. Il nome fascio, veniva usato in ambito politico per
indicare un raggruppamento diverso dai partiti tradizionali. Da questo termine, che evocava le idee di unità e di forza,
derivò l’uso come simbolo del cosiddetto “fascio littorio”, cioè di un’arma che i littori romani portavano con loro per
proteggere i magistrati, composta da una scure e da un fascio di verghe di legno legati fra loro con delle strisce di cuoio.

Al movimento dei fasci di combattimento aderirono persone di diverse idee ed esperienze: ex socialisti e sindacalisti
rivoluzionari poi divenuti sostenitori della guerra, conservatori indignati per la debolezza dei governi liberali nei confronti degli
scioperi e delle occupazioni, studenti che non avevano partecipato alla guerra perché troppo giovani, intellettuali e artisti
affascinati dal pericolo e dalla guerra, ma anche giovani ufficiali ed ex combattenti dei reparti d’assalto, i cosiddetti “Arditi”,
abituata alla violenza e scontenti delle condizioni di pace, secondo loro accettate passivamente dal governo liberale. Le
partecipazioni degli Arditi furono decisive per connotare gli obiettivi del fascismo e le modalità attraverso cui raggiungerli.
Al loro interno emersero due tendenze:
 oltranzista e conservatrice (maggioritaria), si affiancò presto ai fascismi nella lotta contro i socialisti e sindacalisti
 anarchici, repubblicani e socialisti, fornendo agli Arditi del popolo una milizia antifascistica che tra il 1921 e 1922 lottò con
le armi per fermare la violenza fascista.

IL PROGRAMMA DI SAN SEPOLCRO


Il nome “programma di san sepolcro” viene preso dalla piazza di Milano in cui aveva sede il Circolo dell’alleanza Industriale in
cui avvenne l’incontro, contenente i principi e gli obbiettivi del movimento.
Nel programma erano presenti richieste di riforme economiche e sociali radicali, accanto a cui comparivano aspirazioni tipiche
dei movimenti nazionalisti. Oltre a esprimere disprezzo nei confronti del parlamentarismo e dei principi liberali, il movimento
si connotava per un forte anticlericalismo; chiedeva inoltre la sostituzione della monarchia con la repubblica.
Al momento della nascita, il movimento fascista (o fascismo diciannovista) raccolse pochissimi consensi. Gli iscritti
ammontavano a poche centinaia, e le elezioni del 1919, cui scelsero di partecipare, si rilevarono un totale fallimento.

5. IL FASCISMO AGRARIO
TRASFORMAZIONE DEL FASCISMO
Visto l’insuccesso così evidente, a partire dalla fine del 1920 Mussolini decise di abbandonare i punti più radicali del
programma di San Sepolcro, e il movimento fascista conobbe una significativa trasformazione.
Si propose come una nuova forza di destra con lo scopo di tutelare la proprietà privata e gli interessi della borghesia
produttiva (a tale scopo i fascisti erano disposti ad arginare anche con la violenza, il movimento socialista)  questo salto di
qualità poteva avvenire però, solo trasformando i fasci di combattimento in un partito organizzato e gerarchizzato.

Il biennio rosso aveva provocato un sentimento di ostilità verso il socialismo per via del timore di una rivoluzione bolscevica
ma anche per i cambiamenti che i socialisti avevano realizzato nelle regioni d’Italia settentrionale, in particolare nella pianura
Padana.
Leghe bracciantili  erano riuscite a ottenere dai proprietari territi alcune misure a tutela dei lavoratori (numero minimo di
braccianti da impiegare anche nelle stagioni di inattività o il fatto che le lista di collocamento fossero controllate dalle leghe).
Erano conquiste importanti, ma mal digerite dai ceti padronali, costretti ad assumere secondo criteri e quantità indipendenti
dalla loro volontà.
Mussolini scelse di accreditarsi agli occhi dei ceti medi (che non si sentivano tutelati a sufficienza dalle istituzioni liberali)
come garante della proprietà privata e dei valori nazionali contro il socialismo.
Strumento usato le squadre d’azione  ovvero formazioni armate che con metodi violenti (incendi e distruzioni di edifici)
combattevano la politica socialista e miravano a smantellare il sistema di leghe rosse nella pianura padana, ma anche nell’Italia
centrale e in alcune aree del sud.

SQUADRISMO FASCISTA
Le squadre armate fasciste erano dette anche “camice nere” per il colore delle loro divise che richiamavano insieme ad altri
simboli, i segni distintivi degli Arditi.
Erano composti oltre i fascisti della primissima ora, molti nazionalisti, i futuristi, tanti degli iscritti alle associazioni degli Arditi,
grandi proprietari terrieri.
A capo delle squadre d’azione vi furono gerarchi fascisti come: Italo Balbo (Ferrara), Dino Grandi (Bologna), Roberto Farinacci
(Cremona), Dino Campagni, Giuseppe Bottai, Giuseppe Cadorna (Foggia).
Molto spesso gli squadristi agivano con il tacito consenso delle autorità statali e delle forze dell’ordine.
Le spedizioni punitive consistevano in minacce, percosse e in molti casi assassini: le vittime accertate dello squadrismo furono
più di 3.000.
Scontri avvenuti il 21 novembre 1920 a Bologna. Dopo aver ottenuto una netta vittoria alle elezioni amministrative, al
momento della cerimonia di insediamento della nuova giunta, i socialisti decisero di esporre fuori da palazzo d’Accursio (il
palazzo municipale) la bandiera rossa. Sfruttando questo pretesto, i fascisti si mobilitarono e cercarono di impedire che la
cerimonia avesse luogo, scatenando una serie di incendi che portarono la morte di alcuni militari socialisti.

SUCCESSO CRESCENTE DEL FASCISMO


Gli scontri a Bologna avevano mostrato il fascismo come lo strumento di lotta più efficiente per abbattere il potere delle leghe
socialiste.
I fasci di combattimento iniziarono a essere sovvenzionati dai proprietari terrieri (si parla per questo di fascismo agrario).
Il successo del movimento portò all’ingrandirsi portando al proprio interno nuovi iscritti e ottenendo sempre maggiori simpatie
tra i moderati.
Essi provenivano dai ceti medi, ma anche da una minoranza costituita dagli operai e dai lavoratori delle terre. Esclusivamente dai
ceti medi provenivano invece i leader fascisti, tra cui ex ufficiali, studenti, impiegati, liberali professionisti e intellettuali.
Il successo fascista è riconducibile al sostegno finanziario degli agrari, all’impreparazione del movimento socialista (divisi tra
riformisti e massimalisti), la debolezza delle istituzioni libelai e l’atteggiamento benevole delle istituzioni stesse, inclini a
vedere nello squadrismo un modo anche solo provvisorio di contenere la spinta socialista.

ELEZIONI DEL 1921


Il paese stava vivendo una fase di forte instabilità politica a causa delle difficoltà di trovare maggioranze stabili in Parlamento, i
governi del dopoguerra ebbero tutti breve durata.
La vecchia classe liberale non riusciva a fronteggiare né l’avanzata dei partiti socialisti e popolare né l’emergere del fascismo.
Per questo motivo (contrastare l’affermazione dei due partiti di massa) nel maggio 1921 Giolitti decise di indire nuove elezioni.
Tutti i liberali erano convinti che l’ascesa dei partiti di massa fosse legata alla situazione del dopoguerra, e rappresentasse
quindi un fenomeno temporale.

A suo parere (Giolitti), con il graduale ritorno alla normalità l’egemonia dei partiti tradizionali si sarebbe riaffermata e le
elezioni del 1921 avrebbero accelerato questo processo.
Dal punto di vista della strategia elettorale, furono costituiti i “blocchi nazionali”, ovvero liste di coalizione componenti tutte le
forze interessate a contrastare l’avanzata dei socialisti e cattolici.
Le lezioni non diedero i risultati sperati: da un lato il Partito socialista e il Partito Popolare ottennero un forte consenso,
dall’altro la stabilità politica non venne raggiunta, non essendo i liberali riusciti a ottenere la maggioranza in parlamento.

Le elezioni del 1921 dimostrarono che i partiti di massa non rappresentavano un fenomeno temporale legato all’eccezionalità
della situazione postbellica, ma erano protagonisti stabili della politica italiana.
I fascisti ottennero un importante riconoscimento politico, in quanto fecero il loro ingresso in Parlamento con 35 deputati: uno
di questi era Benito Mussolini.

6. IL FASCISMO AL POTERE
GOVERNO BONOMI
Con le elezioni del 1921 terminò l’esperienza politica di Giolitti, il cui posto come capo del governo fu preso da Ivanoe Bonomi.
Tentò di far cessare le violenze e di pacificare il conflitto tra socialisti e fascisti.
3 agosto 1921  patto di pacificazione tra socialisti e fascisti (se le violenze fossero proseguite, il fascismo avrebbe rischiato di
perdere il sostegno della borghesia e una trasformazione legalitaria del movimento gli avrebbe permesso di presentarsi come
interlocutore credibile di fronte alle classi dirigenti del paese).
La pacificazione decisa da Mussolini non fu però condivisa all’interno del movimento fascista, al contrario, fu contestata da
molti capi fascisti di provincia “ras” tra cui Italo Baldo, Dino Grandi e Roberto Farinacci.
Si determinò così una crisi interna al movimento.
Congresso di Roma novembre 1921  Mussolini ottenne la trasformazione del movimento fascista in un partito, il Partito
Nazionale Fascista (PNS) di cui lui stesso sarebbe stato il capo, in cambio i ras ottennero l’invalidamento del patto di
pacificazione e la conferma dello squadrismo quale elemento ineliminabile del Partito Fascista.

IDEOLOGIA DEL PARTITO FASCISTA


Il programma del nuovo partito fascista determinò l’abbandono dell’ideologia repubblicana, e rispetto al fascismo delle origini,
lasciò cadere la critica alla grande industria e al capitalismo, e in continuità con il programma di san sepolcro fu invece
conservata l’ostilità verso il liberalismo e socialismo.
Rispetto alla politica estera, il programma fascista si richiamava all’idea di uno Stato forte e alla necessità di una politica di
potenza (stato sovrano che protegge i propri interessi, ricorre alla minaccia).
Superata la crisi interna e definite le linee programmatiche, il fascismo continuò a guadagnare consenso e potere politico.

GOVERNO FACTA
Febbraio 1922 Bonomi fu dimesso e al suo posto subentrò Luigi Facta, il quale apparve subito poco autorevole e non all’altezza
della grave crisi politica in corso.
Nei mesi successivi, mussolini, incoraggiato dalla sua forza crescente e della debolezza dello stato liberale, maturò l’idea di
conquistare il potere.
A questo scopo fece pressione affinché Facta venisse rimosso e fosse nominato un nuovo esecutivo con la partecipazione dei
fascisti.
Il fascismo in realtà rifiutava per principio la democrazia parlamentare, accusata di aver indebolito il paese. Le trattative
politiche furono accompagnate da nuovi episodi di violenza.

LA MARCIA SU ROMA
In questa situazione fu decisiva la marcia su Roma programmata da mussolini per gli ultimi giorni di ottobre e pensata come
mobilitazione di tutte le squadre d’azione verso la capitale.
Si trattava di un atto di forza come strumento di pressione nei confronti del governo, al fine di spingere quest’ultimo a cedere
il potere.
La mobilitazione iniziò il 27 ottobre con l’occupazione di alcuni centri strategici come poste e stazioni ferroviarie dell’Italia
settentrionale, dopodiché, il giorno successivo, le squadre putarono Roma.
Alla richiesta di Facta di proclamare lo stato d’assedio con il conseguente intervento dell’esercito che avrebbe facilmente avuto
ragione dei fascisti, Vittorio Emanuele III, intimorito dall’eventuale aggravamento della situazione, rispose negativamente e i
fascisti poterono giungere fino alla capitale.

Il successo della marcia di Roma pose Mussolini nelle condizioni di chiedere per sé il ruolo di capo del governo, che lo ottenne
il 30 ottobre 1922.
Il nuovo governo fu presentato al Parlamento il 16 novembre 1922 con un discorso notto come “il discorso del bivacco”, che
confermava l’ostilità fascista verso i valori della democrazia e del liberalismo. Mussolini ottenne la fiducia e per la prima volta
nella storia del paese, una formazione politica giunse al potere anche grazie all’uso della forza.

Potrebbero piacerti anche