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LUIGI PIRANDELLO

E’ l’autore internazionale più conosciuto insieme a Dante Alighieri. Le sue opere


sono tradotte in tutte le lingue del mondo perchè considerato un genio soprattutto
dell’arte teatrale. Il teatro è il genere letterario che gli dà fama e successivamente
vengono riscoperte le opere in prosa. Pirandello scrive qualche poesia ma
fondamentalmente autore di prosa,novelle, romanzi e teatro.Nato a Girgenti nel
1867 e morto nel 1936, nasce da una famiglia di tradizione repubblicana. Il padre
gestiva miniere di zolfo. Nasce nella “contrada del caos”, che sarà, insieme alla
mancanza di certezza ed ordine, il centro della sua riflessione poetica che lo porta a
pensare che il caos è ciò che domina la vita di tutti. Studia all’università di lettere a
Palermo e poi Roma, nella quale è costretto ad allontanarsi a seguito di una
discussione con un professore. Si laurea all’università di Bonn in Germania. A Bonn
impara il tedesco e legge i testi che Freud e i suoi allievi scrivono, creandosi una
cultura italiana alla quale unisce novità sugli studi della psicanalisi dei territori di
lingua tedesca. Quando torna in Italia, frequenta Luigi Capuana, grande amico di
Giovanni Verga, e a questo incontro consegue la pubblicazione del primo romanzo
di carattere verista nel 1893 “L’esclusa”, in cui ripercorre e accetta le lezioni veriste.
Nel 1894 sposa Maria Antonietta Portulano che si immette nella miniera di zolfo.
Pirandello insegna nella cattedra di bella calligrafia, lavora in miniera, lavora come
giornalista in cui scrive inserti culturali ne “Il messaggero”. Nel 1903 la situazione
economica si fa drammatica: le miniere in cui aveva investito tutti i suoi guadagni
viene completamente spazzata via da un’ alluvione e la moglie, che già negli anni
precedenti aveva sviluppato malattie neurologiche, impazzisce alla notizia e viene
rinchiusa in manicomio. Pirandello, preoccupato per la moglie, inizia a leggere una
serie di testi di psicoanalisi e di psicologia. Nonostante questo la moglie non uscirà
più dal manicomio dove morirà. Queste difficoltà economiche lo portano a cercare
con maggiore convinzione il successo letterario, che raggiunge con la pubblicazione
nel 1904 del suo primo romanzo “Il fu Mattia Pascal”. Questo successo lo conduce a
firmare contratti con case editrici e a raggiungere la tranquillità economica. Nel
1908 pubblica un saggio di poetica “L’umorismo”, con il quale inizia la fase di
produzione letteraria del 1910 e con più convinzione del 1915 con la stesura di opere
teatrali come “Il piacere dell’onesta” e “Così è (se vi pare)” del 1917. Vive la prima
guerra mondiale indirettamente, combatte il primogenito Stefano il quale viene
fatto prigioniero e torna a casa con problemi di salute. La malattia della moglie è per
lui un elemento importante che approfondisce con gli studi sulla psiche di Freud.
Tra il 1921-1922 scrive i capolavori del teatro “Sei personaggi in cerca d’autore” e
“Enrico IV”, è un teatro innovativo che rompe qualsiasi legame con la tradizione,
elemento che gli dà successo all’estero: in Italia è accolto in maniera ambivalente;
all’estero è apprezzato a tal punto da girare il mondo per mettere in scena le sue
opere di persona ne teatri più importanti, dato che non si fida dei registri. Nella
prima metà degli anni ‘20 si occupa principalmente di teatro come “Ciascuno a suo
modo” e “Questa sera si recita a soggetto”, riprendendo temi che gli hanno dato
successo e va quindi ad incrementare la sua fama internazionale. Le sue opere
hanno un successo tale che tutt’ora sono rappresentate in tutto il mondo, è l’autore
di teatro più rappresentato al mondo insieme a Shakespeare. Cerca di mettere mano
anche all'opera in prosa scritte precedentemente e struttura il progetto “Novelle per
un anno” del 1922, in cui raccoglie tutte le prose brevi scritte fino a quel momento
per un totale di 365 novelle. Struttura anche il progetto “Maschere nude” che
doveva essere la raccolta delle sue opere teatrali e copioni. Nel 1926 pubblica
l’ultimo grande capolavoro, il romanzo “Uno,Nessuno e Centomila” in cui racchiude
tutte le sue riflessioni poetiche. Era un antidemocratico, a inizio ‘900 scrive testi in
cui considera la democrazia il peggior male della società.E’ un fascista affascinato
da Mussolini e dalle sue idee, tanto che entra a far parte del partito fascita e letterati
del regime, ma dopo l’iniziale entusiasmo giovanile prende le distanze a seguito
della persecuzione degli oppositori, della svolta autoritaria, dell’avvicinamento a
Hitler dal 1933 in poi. Nel 1934 vince il Premio Nobel per la letteratura soprattutto
grazie al teatro e nel 1936, alla sua morte, decide di rinunciare tramite testamento ai
funerali di stato, poiché non vuole che il suo ricordo fosse associato a quello del
fascismo.
PENSIERO E POETICA

Pirandello è per eccellenza, insieme a Svevo, colui che riesce ad esprimere nei suoi testi il
disagio moderno. E’ possibile riassumere il suo pensiero con due parole chiave che
convivono e che spesso si fondono: “REALISMO CONOSCITIVO” e “MASCHERA”.

REALISMO CONOSCITIVO= →Pirandello intende che non è possibile avere una


conoscenza oggettiva della realtà e delle persone. Nella realtà e tra le persone domina il
caos, di conseguenza la vita è fortemente influenzata da caso e sorte. Non esiste una
conoscenza oggettiva perché tutti appaiono in maniera differente a seconda delle persone
con cui queste si relazionano: ogni persona ha una percezione di se stessa diversa rispetto
a quella degli altri, dando vita a centomila versioni di questa, la quale finisce per perdersi
e diventare nessuno.

Questa mancanza di conoscenza della vera identità di ognuno porta l’uomo ad acquistare
l’identità imposta dalla società, diventando una maschera: l’uomo deve diventare il
personaggio di quella che Pirandello definisce “L’enorme pupazzata che è la vita”.

I suoi personaggi soffrono del suo pensiero, prendendo conoscenza di essere maschere e
personaggi. Nel momento in cui i personaggi si ribellano alla società, diventano delle
“maschere nude”, da personaggi diventano persone escluse dalla società: questa perché
quando un personaggio diventa persona, rinuncia alle regole, alle convenzioni e
abbraccia una vita diversa. Le alternative di vita sono due:

diventare pazzi →perché possono seguire le proprie regole

forestieri della vita →in cui l'uomo vede vivere gli altri senza poter vivere.

La normale vita non è possibile al di fuori della maschera imposta dalla società. Alla base
del suo pensiero c’è una concezione assolutamente negativa dell’esistenza dell’uomo
moderno e della società, non ci può essere una verità e una sincerità di rapporti.Riporta il
suo pensiero nel saggio 1908 “Lumorismo”, in cui scrive che la vita non può essere presa
sul serio e, tramite la “finzione letteraria”, fa riflettere il lettore, non è un semplice
elemento di svago. La sua poetica si basa sulla differenza tra comicità ed umorismo: la
comicità si ha osservando solo le apparenze, quindi la maschera, nato “dall’avvertimento
del contrario”, ossia mettere in ridicolo dei comportamenti contrari alla normalità, senza
alcuna riflessione, suscitando il “riso”; l'umorismo rappresenta “il sentimento o
riflessione del contrario”, che suscita pietà e compassione, provocando il “sorriso”. Le sue
opere, nonostante non abbiano carattere drammatico, hanno tutte un lieto fine ma
presentano un sentore amaro, nessuno muore alla fine dell’opera ma si crea un disagio
nato dalla riflessione
UNO NESSUNO E CENTOMILA

Luigi Pirandello, benché inizi a lavorare a Uno, nessuno e centomila già da tempo,
riesce a completare le proprie fatiche letterarie (anche per l'avvio della
fortunatissima carriera teatrale) solo nel 1926, quando l'opera è pubblicata prima
a puntate sulle pagine della rivista "Fiera letteraria", e successivamente in volume.
Come ne Il fu Mattia Pascal il tema centrale è quello dell’identità, o per meglio
dire delle molteplici identità dell'io narrante, che, ricorrendo spesso al monologo
tra sé e sé, indaga sulle molte sfaccettature della propria intima natura. E, in
accordo con il saggio pirandelliano sull'umorismo, a questa autoanalisi
introspettiva si accompagnano sempre le tinte del grottesco, che invita a riflettere
(spesso amaramente) sulla condizione umana.

Inizialmente Vitangelo Moscarda (Gengé per gli amici) ci viene presentato come
un uomo del tutto comune e normale, senza nessun tipo di angoscia né di tipo
esistenziale né materiale: conduce una vita agiata e priva di problemi grazie alla
banca (e alla connessa attività di usuraio) ereditata dal padre. Un giorno questa
piatta tranquillità viene però turbata: l’elemento disturbatore è un banale e
innocente commento pronunciato dalla moglie di Vitangelo riguardo al fatto che il
suo naso penda un po’ da una parte. Da questo momento la vita del protagonista
cambia completamente, poiché Gengé si rende conto di apparire al prossimo
molto diverso da come egli si è sempre percepito. Così decide di cambiare
radicalmente il suo stile di vita, nella speranza di scoprire chi sia veramente, e a
quale proiezione di sé corrisponda il suo animo. Nel processo di ricerca per trovare
sé stesso compie azioni che vanno contro a quella che era stata la sua natura sino a
quel momento: sfratta una famiglia di affittuari per poi donare loro una casa, si
sbarazza della banca ereditata dal padre (inimicandosi ovviamente familiari e
parenti), e inizia ad ossessionare chi gli sta vicino, con discorsi e riflessioni oscure
che lo fanno passare per pazzo agli occhi della comunità. La situazione si aggrava
al punto che la moglie abbandona la casa coniugale, e, insieme ad alcuni amici,
inizia un'azione legale contro Vitangelo col fine d’interdirlo. Gli rimane fedele in
un primo momento solo un’amica della moglie, Anna Rosa, che poco dopo però,
spaventata dai ragionamenti di Vitangelo, arriva addirittura a sparargli, senza
ucciderlo ma ferendolo in modo serio. Vitangelo, il cui "io" è ormai completamente
frantumato nei suoi "centomila" alter ego, sembra trovare una tregua ai propri
patimenti solo nel confronto con un religioso, Monsignor Partanna, che lo sprona
a rinunciare a tutti i suoi beni terreni in favore dei meno fortunati. Il tormentato
protagonista pirandelliano, rifugiatosi nell'ospizio ch'egli stesso ha donato alla
città, riesce così a trovare un po’ di pace e di serenità solo nella fusione totalizzante
(e quasi misticheggiante) con il mondo di Natura, l'unico in cui egli può
abbandonare senza timori tutte le "maschere" che la società umana gli ha a mano a
mano imposto.
Il tema della scomposizione ad infinito della personalità e della "forma" umana si
riflette sia nello stile di Pirandello sia nella struttura del romanzo, composto da
otto capitoli condotti dalla voce narrante di Gengé stesso, come già avveniva per le
"memorie" de Il fu Mattia Pascal; in più la riflessione sulla personalità modifica
qui anche alcune linee di forza della poetica pirandelliana. All'umorismo, che
permea la narrazione e che ritrova nel Tristram Shandy di Laurence Sterne
(1713-1768) uno dei suoi modelli, si aggiunge la dimensione grottesca, che descrive
la progressiva follia di Vitangelo, con effetti di straniamento e di distorsione nella
rappresentazione di una realtà che, per l'ultimo Pirandello, diventa ormai solo una
somma di frammenti privi di senso.

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