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TOTO Convenienza e Discrepanza Parti e Tutto Nella Lettera 32 Di Baruch Spinoza

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CONVENIENZA E DISCREPANZA
Parti e tutto nella Lettera 32 di Baruch Spinoza

Da Hegel e Schelling fino a Levinas e oltre, Spinoza è stato sempre


considerato come il “pensatore della totalità”1: la sostanza è la “to-
talità del reale”2, “l’infinito è la totalità del finito”3, e in ogni caso
“l’unità e la totalità dell’essere sono quanto Spinoza non vuole […]
sia perduto”4. La fortuna di questa interpretazione non è però stata
accompagnata da un’adeguata ricostruzione dell’uso spinoziano dei
concetti di parte e di tutto. Come è stato recentemente osservato, questi
concetti appartengono sì al “lessico minore” del filosofo, ma sono con-
nessi ad alcuni dei problemi fondamentali dello spinozismo: alla fisica
dei corpi complessi, al nesso tra mente umana e intelletto infinito, alla
transizione dalla conoscenza inadeguata a quella adeguata, all’amore
intellettuale di Dio5. Avendo già discusso altrove del nesso parti/tutto
operante nell’Etica6, vorrei offrire qui qualche spunto su quello che è
sicuramente il luogo più famoso della riflessione mereologica di Spi-

1 Jean-Marie Vaysse, Totalité et finitude. Spinoza et Heidegger, Vrin, Paris


2004, pp. 7, 251.
2 André Campos, Spinoza’s Revolutions in Natural Law, Springer, Dor-
drecht 2012, p. 40.
3 Marco Messeri, L’epistemologia di Spinoza. Saggio sui corpi e le menti,
Il Saggiatore, Milano 1990, p. 131.
4 Arturo Deregibus, La filosofia etico-politica di Spinoza, Giappichelli, To-
rino 1963, p. 98.
5 Cristina Santinelli, ‘Modus’, ‘pars’. Note per la discussione del lessico
spinoziano, “Ordo idearum”, 1, 2018, pp. 1-10 (societas-spinozana.org/
wp--content/uploads/2018/07/Cristina-Santinelli_Modus-pars.pdf).
6 Francesco Toto, L’individualità dei corpi. Percorsi nell’Etica di Spinoza,
Mimesis, Milano 2015, Capitolo III.
164 Morfologie del rapporto parti/tutto

noza, la Lettera 32 a Oldenburg. La struttura generale della lettera è in


realtà abbastanza chiara. A un’introduzione in cui si definisce l’angolo
d’attacco del problema segue una prima sezione, nella quale si enuncia
un criterio generale di unificazione delle parti e lo si esemplifica attra-
verso l’esempio del sangue, una seconda sezione nella quale questo
criterio generale viene messo alla prova sul piano della realtà materiale
sviluppando ulteriormente l’esempio precedente, e una terza sezione,
nella quale lo stesso criterio viene questa volta esteso al mondo del
pensiero. Qui di seguito sarò costretto a fare astrazione da molte del-
le difficoltà suscitate da questa argomentazione per concentrarmi su
quelli che mi sembrano i suoi aspetti più importanti. In un primo mo-
mento, cercherò di chiarire la specificità della prospettiva nella quale
viene considerato il problema del nesso parti/tutto e la sua posta in
gioco. In un secondo momento, esporrò una forma idealizzata di quella
che può essere considerata la lettura standard della lettera e i problemi
che questa lettura lascia inevitabilmente aperti. In un terzo momento
cercherò di proporre quella che mi sembra una lettura più adeguata del
nostro testo, segnalando inoltre rapidamente alcuni vantaggi di que-
sta lettura in merito alla comprensione dell’evoluzione del pensiero di
Spinoza e del suo rapporto con la fonte cartesiana. Partiamo allora dal
primo punto: qual è l’origine della discussione spinoziana e cosa può
dirci questa origine sui suoi contenuti?

Il fine, lo statuto e le difficoltà del discorso spinoziano

La genesi del dialogo tra Oldenburg e Spinoza indica con chiarezza


la finalità generale e lo statuto epistemologico della discussione delle
nozioni di parte e di tutto contenuta nella Lettera 32. In questo senso,
vale la pena di ricordare che il dialogo prende spunto dal passo della
Lettera 30 nel quale Spinoza dichiara che il dramma della guerra in
corso (la seconda guerra anglo-olandese) ha rappresentato per lui uno
stimolo non al riso o al pianto, ma alla pratica della filosofia.

Non ritengo infatti – afferma Spinoza – che mi sia lecito irridere la na-
tura e tanto meno deplorarla, quando penso che gli uomini, come ogni altra
cosa, sono soltanto una parte della natura, e che io ignoro il modo in cui
ciascuna parte si accorda con il tutto e sia coerente con le altre; e scopro che
F. Toto - Convenienza e discrepanza 165

solo per questo difetto di conoscenza mi sembravano in precedenza vane,


disordinate, assurde, quelle cose che percepivo solo in parte e in forma mu-
tila, e che non si accordavano minimamente con la nostra mente filosofica.
Ma ormai lascio vivere ciascuno come vuole e, se vogliono, muoiano pure
in difesa del loro bene, purché a me sia consentito vivere per la verità.7

Questo passo, che rimodula un tema già incontrato nel Breve tratta-
to8, sarà variamente ripreso e rielaborato in tutte le opere successive di
Spinoza: nel Trattato teologico-politico9, nell’Etica10, nel Trattato po-
litico11. La sua importanza risiede nel valore etico che esso attribuisce
alla tesi secondo la quale l’uomo è, al pari di qualunque altra cosa, una
parte della natura. Questa tesi mostra infatti di avere un preciso valore
terapeutico. Non si tratta qui di emanciparsi dal patologico attaccamen-
to alle cose ‘vane’ sul quale si aprono sia il Trattato sull’emendazione
dell’intelletto che il Trattato teologico-politico12 o da quelle “assurdità
dell’appetito” nelle quali l’opera del ’70 individua una minaccia alla
concordia e alla pace13, né di inoltrarsi nella ricerca di quella cono-
scenza del Deus sive Natura e di quell’unione con esso che per Spino-

7 Cfr. Baruch Spinoza, Epistolae, in Id., Opera, hrsg. von Carl Gebhardt,
4 Bd, Carl Winters Universitaetsbuchhandlung, Heidelberg 1924, vol. 4,
p. 166; tr. it. Epistolario, in Id., Opere, a cura di F. Mignini e O. Proietti,
Mondadori, Milano 2007, p. 1286.
8 Baruch Spinoza, Korte verhandeling, texte établi par F. Mignini, in Id.,
Œuvres, édition publiée sous la direction de P.-F. Moreau, 5 voll, PUF,
Paris 1999-…, vol. I, 2009, I, vi, 6 e 7, p. 240, tr. it. Breve trattato, in
Opere, cit., I, 6, pp. 121-122.
9 Baruch Spinoza, Tractatus theologico-politicus, texte établi par F. Akker-
man, in Œuvres, cit., vol. III, 1999, XVI, 4, p. 508; tr. it. Trattato teologi-
co-politico, a cura di Pina Totaro, Bibliopolis, Napoli 2007, p. 375.
10 Baruch Spinoza, Ethica, in Opera, cit., vol. II, Pars III, Praefatio e Pars
IV, Propositio LXXIII, scholium, pp. 138 e 265; tr. it. Etica, Bompiani,
Milano 2007, pp. 235 e 547.
11 Baruch Spinoza, Tractatus politicus, texte établi par O. Proietti, in
Œuvres, cit., vol. V, 2005, II, 8, p. 100; tr. it. Trattato politico, ETS, Pisa
2011, p. 41.
12 Vedi Baruch Spinoza, Tractatus de intellectus emendatione, in Œuvres,
cit., vol. I, § 1, p. 64, tr. it. Trattato sull’emendazione dell’intelletto, in
Opere, cit., 1, p. 25 e Tractatus theologico-politicus, Praefatio, §§ 1-3, pp.
56-58; tr. it. p. 6.
13 Tractatus theologico-politicus, XVI, 9, p. 518; tr. it. p. 383.
166 Morfologie del rapporto parti/tutto

za costituiscono il sommo bene e al cui godimento tutti i nostri sforzi


devono tendere. Piuttosto, la comprensione dell’uomo come una parte
della natura, coerente con le altre parti e conveniente con il tutto, ci
emancipa dalla condanna moralistica delle cose in generale e delle con-
dotte umane in particolare come vane, assurde, ripugnanti alla ragio-
ne, considerazione che è propria di chi considera l’uomo nella natura
come un imperium in imperio e che per Spinoza costituisce uno dei
principali ostacoli allo sviluppo etico degli individui, all’adozione cioè
di una regola di vita basata non sul presupposto del libero arbitrio e del
dovere, ma sull’idea di una gioiosa transizione dalla passività all’at-
tività, dall’impotenza alla potenza, dalla servitù all’autonomia. Se si
dimentica la natura etica della posta in gioco non si capisce il percorso
seguito da Spinoza nel passare dal mondo dei corpi al mondo delle idee
per concludere con l’affermazione che la mente è parte dell’intelletto
divino: la comprensione di sé come una parte dell’attività attraverso la
quale Dio conosce e ama sé stesso coincide con la beatitudine alla quale
non possiamo fare a meno di tendere.
Compreso così il punto di fuga del nostro scambio, bisogna ancora
richiamare l’attenzione sull’elemento della micro-narrazione autobio-
grafica proposta dal filosofo olandese al segretario della Royal Society
che innesca il dialogo, e che ci spinge a interrogare lo statuto epistemo-
logico del discorso spinoziano. Questo elemento è rappresentato dalla
tensione concettuale generata dal problematico rapporto tra tempo pre-
sente e tempo passato. Il filosofo afferma infatti di essere ormai giunto
a comprendere che la sua passata valutazione delle cose come “vane,
disordinate e assurde” costituiva una distorsione etico-cognitiva deri-
vante dal solo “difetto di conoscenza”, e che proprio questa raggiun-
ta consapevolezza gli ha permesso di vivere l’evento traumatico della
guerra come uno stimolo a filosofare e a superare la propria ignoranza.
Questa messa in scena del proprio itinerario, che come accennavo rie-
cheggia quella che apre il Trattato sull’emendazione dell’intelletto, è
quanto meno ambigua. Da una parte, Spinoza afferma di essersi lasciato
alle spalle la valutazione delle cose quali vane e assurde, che gli appare
ormai come la conseguenza di un difetto di conoscenza, di una cono-
scenza mutilata, parziale. Dato però che l’unico defectus cognitionis
esplicitamente menzionato è quello relativo al “modo in cui ciascuna
parte si accorda con il tutto ed è coerente con le altre”, può sembrare che
Spinoza stia affermando di aver ormai conquistato questa conoscenza,
F. Toto - Convenienza e discrepanza 167

e che identifichi il compito terapeutico della filosofia appunto con la


sua conquista: per potersi emancipare tanto dal desiderio dei beni vani
quanto dalla moralistica condanna della loro vanità bisognerebbe allora
conoscere come le parti si accordano tra loro e nel tutto. Dall’altra parte,
Spinoza afferma non già di aver ignorato, ma di ignorare tutt’ora, nel
momento stesso in cui scrive, il “modo in cui ciascuna parte si accorda
col tutto ed è coerente con le altre”: se questo è vero, però, il già avve-
nuto superamento della considerazione delle cose come vane ed assurde
non dovrebbe dipendere dalla conoscenza di questo “modo”, ma dalla
semplice persuasione razionale (rationes quibus persuademur) del fatto
che ogni cosa è una parte della natura, e deve quindi in qualche modo
essere coerente con le altre parti e con la natura come un tutto14.
Il dubbio che si pone, in rapporto allo statuto epistemologico della
filosofia e di quel suo momento rappresentato dal nesso parti/tutto, è
allora il seguente: un potere terapeutico può essere riconosciuto alla
filosofia solo in quanto scienza o già in quanto teoria, come conoscenza
della connessione delle parti o come conoscenza del fatto che tutto è
parte della natura? Nella Lettera 30 c’è un’oggettiva tensione tra queste
due diverse possibilità ugualmente inscritte nel discorso spinoziano. È
allora interessante notare che nella Lettera 31 Oldenburg chiede lumi
sull’indagine di Spinoza dando per scontato che i risultati a cui è per-
venuta siano dei risultati scientifici, mentre Spinoza denuncia subito un
possibile quid pro quo, e opera un sottile spostamento del senso della
domanda. Per un verso, ribadisce di ignorare come ogni parte sia “ve-
ramente” (revera) coerente con le altre e convenga col suo tutto, perché
per conoscere “veramente” questo punto bisognerebbe “conoscere tutta
la natura e ogni sua parte”: su questo punto una conoscenza completa,
e in questo senso ‘assoluta’, appare inattingibile. Per altro verso, chia-
risce di poter invece mostrare le ragioni che lo persuadono, e anzi lo
‘costringono’, ad affermare che “le parti della natura sono coerenti con
il tutto e convengono con le altre”15. Questa mossa riflessiva, con la
quale si passa impercettibilmente dal piano del modo in cui le cose sono
“veramente” connesse a quello delle ragioni che ci persuadono della

14 Epistolae, p. 170; tr. it. p. 1290. Sulla distinzione tra il sapere “che” e il
sapere “come” vedi Andrea Sangiacomo, L’essenza del corpo. Spinoza e
la scienza delle composizioni, Olms, Hildesheim 2013, pp. 124-125.
15 Ibid.
168 Morfologie del rapporto parti/tutto

loro connessione, sposta il ragionamento su un livello diverso da quello


sul quale si attestava per Oldenburg: se è possibile sapere che tutte le
cose sono parti della natura senza sapere come lo siano, allora la posta
in gioco resta senz’altro il superamento dell’ignoranza e dei deficit etici
ad essa connessi, ma questo superamento viene a dipendere in prima
battura dalla conquista di una conoscenza di ordine teorico, filosofico,
piuttosto che, diremmo oggi, direttamente scientifico. Ci si potrebbe
interrogare sul rapporto tra questi due piani: la riflessione teorica non ha
forse il compito, se non di fondare la scienza offrendo i principi dai qua-
li essa dovrebbe poter essere dedotta, almeno di rimuovere gli ostacoli
epistemologici che ne impediscono lo sviluppo? Anche se Spinoza non
tematizza mai quello che in maniera anacronistica possiamo chiamare
il rapporto tra teoria e scienza, tutta la lettera può essere interpretata
come una rivendicazione della sia pur parziale autonomia del primo
tipo di conoscenza. Il corpo dell’uomo è una parte dell’universo ma-
teriale, la mente che è l’idea di questo corpo è una parte dell’universo
del pensiero, cioè dell’intelletto divino, e malgrado questa parzialità le
impedisca di conoscere “tutta la natura e ciascuna delle sue parti”, non
le impedisce tuttavia di comprendersi appunto come parte, e trovare
la possibilità della propria salvezza nella corretta comprensione della
propria parzialità come momento della totalità, della propria finitezza
come un aspetto essenziale dell’infinito stesso.
Chiarita la genesi dialogica della Lettera 32 e messi a fuoco il suo
tenore epistemologico e la sua finalità nascostamente etica, possiamo
ora volgerci alle difficoltà lasciate aperte dalla teoria del nesso parti/
tutto proposta nel seguito della lettera. Partiamo allora dalla formu-
lazione generale attraverso la quale Spinoza introduce la risposta al
proprio modo di intendere la questione sollevata da Oldenburg, e in
particolare da ciò che in questa formulazione risulta opaco e suscetti-
bile di interpretazione.

Per coerenza (cohaerentiam) delle parti non intendo null’altro se non


che le leggi o la natura di una parte si adattano (accomodat) alle leggi o
la natura dell’altra in modo tale che tra loro vi sia la minima contrarietà
(ut quam sibi minime contrarientur). A proposito del tutto e delle parti
considero che le cose sono parti di un tutto in quanto la natura dell’una si
adatta alla natura dell’altra in modo tale da consentire tra loro per quanto
possibile (quoad fieri potest); in quanto discrepano, invece, ognuna for-
F. Toto - Convenienza e discrepanza 169

ma nella nostra mente un’idea distinta, ed è perciò considerata come un


tutto, e non come una parte.16

Le complicazioni di questo passo possono essere messe in luce attra-


verso una parziale rassegna delle divergenze tra le traduzioni italiane.
Droetto e Mignini suppongono che tra le parti, come tali, non possa dar-
si la minima contrarietà, mentre Sangiacomo ammette che una qualche
contrarietà tra le parti si possa dare. La versione più interpretativa di Dro-
etto e Mignini sembra confermata dal fatto che in quanto “discrepano”17
le cose non possono essere considerate come parti, ma solo come totalità
separate. Poco dopo, inoltre, si legge che linfa e chilo costituiscono as-
sieme un solo fluido, e possono perciò essere considerate come parti del
sangue solo in quanto si accordano interamente tra di loro (ut plane in-
ter se consentiant18): qualunque ‘dissenso’ costringerebbe a considerare
ogni parte separatamente e come un tutto. La resa più letterale di Sangia-

16 Epistolae, p. 170; tr. it. pp. 1290-1291.Qui di seguito rinvierò alla pagina
della traduzione italiana citata, ma mi assumerò la responsabilità di offrire
una mia traduzione del testo latino: la diversità tra le traduzioni italiane è
tale da renderle in linea di principio tutte sospette. Per i rinvii successivi
vedi anche Baruch Spinoza, Epistolario, a cura di A. Droetto, Einaudi,
Torino 1951, p. 168 (“Per coesione delle parti, dunque, io non intendo
altro se non che le leggi o la natura di una parte si adatta così alle leggi
o alla natura dell’altra, da non contrastare affatto con essa. Circa il tutto
e le parti, intanto, io considero le cose come parti di un tutto, in quanto
la loro natura si adatta vicendevolmente, sì da conformarsi, per quanto è
possibile, le une alle altre; in quanto, invece, sono tra loro diverse, ognuna
di esse forma nella nostra mente un’idea distinta dalle altre, e perciò viene
considerata come un tutto e non come una parte”) e Id., Tutte le opere, a
cura di A. Sangiacomo, Bompiani, Milano 2010 (“Pertanto, per coerenza
delle parti intendo nient’altro che le leggi con cui una parte, o la natura
di una parte, si accorda alle leggi, o alla natura di un’altra parte, in modo
che tra loro vi sia la minima contrarietà. Circa il tutto e le parti, considero
qualcosa come parte di una qualche totalità, per quel tanto che la natura
delle parti si accorda tra loro, affinché, per quanto è possibile, conven-
gano tra di loro; mentre invece, nella misura in cui divergono tra loro,
ciascuna forma un’idea distinta nella nostra mente, e ciascuna, dunque, è
considerata come un tutto e non come una parte”).
17 Droetto e Mignini traducono con “sono diverse”, “differiscono”, Sangia-
como con “divergono”.
18 Epistolae, p. 171; tr. it. p. 1291.
170 Morfologie del rapporto parti/tutto

como, però, non è priva di appigli. Spinoza sostiene infatti che le parti
devono non solo ‘consentire’, ‘accordarsi’, ‘conformarsi’, ma farlo “per
quanto possibile”: questa limitazione dell’accordo rafforza l’idea di una
minimizzazione, piuttosto che di un’esclusione, della contrarietà. Que-
sta prima difficoltà interpretativa fa poi il paio con una seconda. Dro-
etto e Sangiacomo lasciano indeciso se le cose che discordano e sono
considerate come totalità separate siano o meno le stesse che sotto altri
aspetti si accordano e sono considerate come un tutto unitario. Mignini,
al contrario, ritiene più univocamente che le stesse res possano essere
considerate come parti in ragione della loro coerenza e come totalità se-
parate in ragione della loro discrepanza. Pur senza identificarvisi, questa
opposizione si ricollega chiaramente alla precedente: le res che per un
verso si accordano e formano le parti unite di uno stesso tutto possono
essere le stesse che per altro verso discordano e costituiscono delle to-
talità solo sullo sfondo della reciproca non esclusione tra convenienza
e contrarietà, essere parte ed essere un tutto. In connessione alle prime
due, un’ulteriore divergenza investe poi la resa italiana della terribile
coppia ‘eatenus… quatenus…’. Presupponendo che dove c’è accordo
non ci possa essere disaccordo, o almeno che dove si tiene conto dell’u-
no non si possa tenere conto anche dell’altro, Droetto e Mignini rendono
questa coppia con ‘in tanto… in quanto’ (o ‘solo in quanto’). Lasciando
balenare la possibilità che una totalità sia più o meno integrata a seconda
della maggiore o minore coerenza delle sue parti, Sangiacomo rende in-
vece la stessa coppia con l’espressione ‘nella misura in cui’. Un’ultima
significativa divergenza riguarda poi il modo di intendere la cohaerentia
vuoi come coesione, nel senso in cui il Descartes dei Principi di filosofia
affermava che le parti dei corpi duri non possono essere separate senza
una forza sufficiente a vincere la loro cohaerentia19, vuoi, in un’accezio-
ne che sembra innanzitutto logica, come coerenza, non contraddittorietà.
Queste differenze di traduzione sono legate a difficoltà di ordine teori-
co, oltre che linguistico. Semplificando, mi sembra infatti che la serie
delle alternative che ho messo in luce si stringa attorno a un’opzione
fondamentale. O si presuppone una reciproca esclusione tra cohaerentia

19 René Descartes, Principia philosophiae, in Id., Œuvres, publiées par


Charles Adam & Paul Tannery, Paris, Vrin-CNRS, 1964-1974, vol. VIIIa,
II, 54, pp. 70-71; tr. it Opere (1637-1649), a cura di G. Belgioioso, Bom-
piani, Milano 2009, p. 1823.
F. Toto - Convenienza e discrepanza 171

e convenientia da un lato e contrarietas o discrepantia dall’altro, tra


l’appartenenza di certe cose a una medesima totalità (o la loro conside-
razione come parti) e la loro qualità di totalità separate (o la loro consi-
derazione come tali), o si ammette una possibile compatibilità tra queste
prospettive apparentemente opposte. Occorre ora provare a vincere le
resistenze che il testo della Lettera 32 oppone alla penetrazione del letto-
re e chiarire la specificità della concezione del nesso parti/tutto abbozza-
ta al suo interno. Per farlo, vale la pena di mettere alla prova entrambe le
possibili interpretazioni, partendo da una schematizzazione della prima
e dalle difficoltà con le quali è destinata a scontrarsi per passare poi alle
ragioni che contro la communis opinio invitano a preferire la seconda e
la ridefinizione mereologica dell’ontologia che essa comporta.

Il tutto come soggetto semplice e indifferenziato?

Spinoza ripete più volte che la rappresentazione delle cose nella loro
discrepanza impone di pensare ognuna ut totum, non ut pars20, lasciando
intendere che la considerazione nella loro convenienza costringa a pensare
ognuna ut pars, non ut totum. Al di là di questa insistenza, la lettura secon-
do la quale non è possibile considerare un insieme di cose al tempo stesso
come parti di un tutto e come totalità autonome sembra autorizzata da due
indizi. Il primo è costituito dalla possibile accezione logica del concetto di
coerenza e dalla conseguente possibilità di interpretate il tutto a partire dal
modello del soggetto o sostanza. Pensando la reale coerenza delle cose in

20 La considerazione di una cosa come un tutto in ragione della sua discrepanza


rispetto ad altre, messa in risalto da Spinoza, è stata giustamente ma forse un
po’ unilateralmente valorizzata da Wiliam Sacksteder nei suoi diversi lavori
sulla mereologia spinoziana. In effetti, Sacksteder pare quasi non accorger-
si che Spinoza si riferisce al sangue considerato nel suo fittizio isolamento
come a un tutto non già in ragione della sua opposizione rispetto a cose ester-
ne che sono per ipotesi assenti, ma al contrario in ragione della convenienza
tra le parti, del modo cioè in cui le variazioni di chilo e linfa derivano dalla
sola natura del sangue stesso. Vedi ad esempio William Sacksteder, Spino-
za on Part and Whole: The Worm’s Eye View, in “Southwestern Journal of
Philosophy”, a. VIII, n. 3, 1977, pp. 139-159, p. 142, dove si dice che un’as-
sociazione politica non è un tutto per via dei cittadini da cui è composta, ma
per via delle altre associazioni politiche alle quali si oppone.
172 Morfologie del rapporto parti/tutto

opposizione alla loro presunta assurdità, la Lettera 30 sembrava imporre


al concetto di coerenza un significato logico. Secondo un passo del Tracta-
tus de intellectus emendatione affermazioni come quelle secondo le quali
l’anima è quadrata o gli uomini possono d’un tratto trasformarsi in bestie
sono puri flatus vocis, perché alla loro formulazione verbale non corri-
sponde nella mente nessuna idea, ovvero nessuna “coerenza tra il soggetto
e predicato”21. Chiamando in causa niente di meno che il principio di non
contraddizione, del resto, l’Etica identificherà da un lato le “cose […] di
natura contraria” e quelle che convengono tra loro con quelle che posso-
no o non possono “essere simultaneamente in uno stesso soggetto”22. La
curvatura logica del concetto di coerenza che comanda l’accostamento del
tutto al subjectum impone allora l’analogia con la substantia. Per un verso,
i Principia philosophiae cartesianae riformulavano uno dei criteri carte-
siani della sostanzialità battezzando col nome di sostanza “ogni cosa cui
inerisce immediatamente come a un soggetto […] una qualche proprietà
o qualità o attributo”23. Per altro verso, la Lettera 32 sostiene che “in ra-
gione della sostanza ogni parte” è “nella più stretta unione col suo tutto”,
perché ad esempio “ogni parte di tutta la sostanza corporea appartiene a
tutta la sostanza corporea, e senza la restante sostanza non può né essere
né essere concepita”24. Trascurando le complicazioni implicite in questa
tesi, quello che mi interessa sottolineare è che essa eleva la sostanza al
rango di modello della totalità in generale: come una totalità senz’altro
sui generis, non foss’altro perché l’unione che la costituisce è più forte di
ogni altra, ma proprio per questo esemplare di ogni altra unificazione di
parti. L’attribuzione alla coerenza di un valore fondamentalmente logico e
la conseguente concezione del tutto a partire dal modello del subjectum o
della sostanza assimilano la relazione di integrazione a quella di inerenza,
il rapporto in forza del quale le parti possono convenire con il tutto ed es-
sere a pari titolo incluse in esso in quanto coerenti l’una con l’altra e quello
nel quale due proprietà o modificazioni possono essere riferite a uno stesso
soggetto o a una stessa sostanza in virtù della loro non contraddittorietà.

21 Tractatus de intellectus emendatione, §§ 59 e 62, pp. 101 e 103; tr. it.


pp. 47 e 48.
22 Ethica, Pars III, Propositio IV, p. 146; tr. it. p. 253.
23 Baruch Spinoza, Principia philosophiae cartesianae, in Opera, cit, vol. I,
Pars I, Definitio V, p. 10; tr. it. p. 255.
24 Epistolae, p. 173; tr. it. 1292.
F. Toto - Convenienza e discrepanza 173

Il secondo indizio al quale l’idea secondo la quale una stessa cosa


non può essere pensata al tempo stesso come parte e come tutto risie-
de nel modo in cui l’interpretazione logica della coerenza si prolunga
nell’assimilazione dei concetti di convenienza e discrepanza, rispettiva-
mente, a quelli di identità e differenza, giustificando al tempo stesso l’e-
spunzione di ogni contrarietà all’interno del tutto e la concezione della
natura di quest’ultimo come una “natura universale”25. In una lettera a
Meyer Spinoza affermava che il Figlio di Dio è lo stesso Padre, che i
due sono dunque uno, perché due cose che convengono con una terza
convengono anche tra loro26: convenire vale qui per ‘essere lo stesso’.
Altri passi dell’epistolario assimilano discrepanza e differenza: nella
Lettera 64 a Schuller Spinoza sostiene che le cose che “discrepano”
sia nell’essenza che nell’esistenza “differiscono” al punto di non avere
“nulla in comune”27. Quando si pensa la coerenza in termini logici e il
tutto a partire dal modello del subjectum l’idea di una contrarietà inter-
na al tutto diventa intollerabile: pensare una totalità come composta da
cose considerate non solo nella loro convenienza, o identità, ma anche
nella loro discrepanza, o differenza, significa pensare il tutto come un
subjectum – in sé stesso contraddittorio – di contrari. Come la sostanza
estesa non poteva essere considerata al tempo stesso in moto e in quiete,
soggetta cioè di modi contrari, così il tutto spinoziano non può acco-
gliere in sé parti contrarie. Questa tesi a prima vista paradossale sembra
tuttavia rinforzata dall’entrata in scena della natura del tutto nelle vesti
di una “natura universale” opposta a un’implicita ‘natura particolare’
delle cose che lo compongono. Partendo dall’assimilazione del tutto al
subjectum e di convenienza e discrepanza a identità e differenza, la na-
tura del tutto deve essere una natura “universale” perché l’espunzione
di ogni contrarietà è al tempo stesso un’espulsione di ogni differenza,
di ogni eterogeneità interna: come a uno stesso soggetto non posso-
no essere riferite simultaneamente e sotto uno stesso rispetto proprietà
contrarie, così la natura del tutto coincide non con ciò in cui le sue parti

25 Epistolae, p. 171; tr. it. 1291.


26 Lettere, p. 1321. Su questa lettera, assente nell’edizione Gebhardt e pub-
blicata per la prima volta nel 1975, vedi A.K. Offenberg, Letter from Spi-
noza to Lodewijk Meijer. 26 July 1663, in “Philosophia”, a. VII, n. 1,
1977, pp. 1-13.
27 Epistolae, p. 278; tr. it. p. 1493.
174 Morfologie del rapporto parti/tutto

differiscono e devono dunque essere pensate come totalità indipenden-


ti, isolate, ma solo in rapporto a ciò in cui convengono o sono identiche
tra loro e con il tutto. Cose discrepanti formano “ciascuna, senza le
altre, un’idea distinta nella nostra mente, e ciascuna, dunque, è conside-
rata come un tutto”: l’idea del tutto è l’idea di una “natura universale”
perché non implica nessuna “idea distinta” delle parti, perché cioè le
parti possono essere pensate come tali, vale a dire come coerenti l’una
con l’altra, solo in ragione di ciò in cui convengono, di ciò che hanno in
comune, di ciò in cui non si distinguono l’una dall’altra.
Potremmo ritornare su ognuno degli indizi che ho chiamato in causa
per dare una qualche verosimiglianza a questo tipo di lettura e riflettere
sulla facilità con la quale l’interprete può più o meno consapevolmente
manipolare i dati a propria disposizione per conferire plausibilità a quasi
qualunque ipotesi. A prescindere dalla valutazione delle prove, questa
prima lettura ha il difetto di condurre a un esito paradossale. Conce-
pendo il tutto come subjectum, la coerenza tra le parti come non con-
traddizione, la discrepanza come semplice differenza, essa finisce infatti
per pensare il tutto come una cosa semplice, priva di ogni differenza o
articolazione interna, e col vanificare così lo stesso criterio cui pure era
supposta fornire una spiegazione28. L’integrazione delle parti nel tutto è
l’unificazione di una molteplicità: non c’è tutto senza pluralità di parti,
e quindi senza distinzione tra le parti. ‘Tutto’, è ovvio, è il nome di una
cosa complessa, dotata senz’altro di una natura propria consistente in un
certo rapporto tra le nature delle parti, nella sintesi di una eterogeneità,
e la cui definizione è dunque essa stessa un’idea complessa, consistente
nella connessione di una pluralità di idee distinte in una sola idea com-
plessa. Oltre a essere ovvio, questo punto è chiaramente riconosciuto
da Spinoza stesso. In opposizione a ciò che è “semplice”, un tutto “si

28 Questa prima lettura può essere in parte sovrapposta a quella di Sackste-


der, che nei suoi diversi lavori identifica la totalità spinoziana a una cosa
semplice e la parte a una complessa. Sul significato che l’autore attri-
buisce ai concetti di semplicità e di complessità vedi in particolare Wil-
liam Sacksteder, Simple wholes and complex parts. Limiting principles in
Spinoza, in “Philosophy and phenomenological Research”, a. XLV, n. 3,
1985, pp. 393-406, p. 400. Per il modo in cui l’interpretazione converge
con quella abbozzata nel presente paragrafo vedi W. Sacksteder, Spinoza
on Part and Whole, cit., pp. 152-153, dove si sostiene che nel tutto si
perde ogni differenza o particolarità delle parti.
F. Toto - Convenienza e discrepanza 175

compone di parti”, parti che sono “per natura e conoscenza anteriori a


ciò che è composto”29. Pensando la coerenza in un’accezione innanzi-
tutto logica e il tutto sul modello di un subjectum o di una substantia
la cui natura è definita unicamente da ciò che è comune a ognuna delle
parti e in rapporto al quale una parte non si distingue dall’altra, l’inter-
pretazione di convenienza e discrepanza come mutualmente esclusive, e
del tutto come un composto le cui parti non possono essere a loro volta
delle totalità autonome, finisce per privare l’unità del tutto di quella plu-
ralità o eterogeneità interna che ne costituisce il presupposto di fondo e
confondere in questo modo le parti in un’unità indistinta. Questa lettura
ci lascia in altre parole di fronte a un bivio: o una molteplicità senza
unità, nella quale le cose che differiscono tra loro o che comunque sono
considerate nella loro differenza possono essere pensate solo come unità
separate; oppure un’unità senza molteplicità, costituita da cose che sono
per natura identiche, o comunque considerate solo astrattamente e in
rapporto a ciò che hanno in comune, a ciò in cui non differiscono né
tra loro né quindi rispetto al tutto, il quale però proprio per questo non
è in verità un tutto, ma una cosa semplice o considerata come semplice,
un’astrazione. O una molteplicità di ‘idee distinte’ che non possono con-
nettersi coerentemente in nessuna idea complessa, o una sola idea nella
quale tutte le idee delle parti si confondono fino a perdere ogni distin-
zione e adeguatezza, come dal Trattato sull’emendazione dell’intelletto
fino all’Etica succede appunto alle idee universali30. Al fine di provare la

29 Epistolae, p. 181; tr. it. p. 1397.


30 Tractatus de intellectus emendatione, § 76, p. 112, tr. it. p. 55 ed Ethica,
Pars II, Propositio 40, scholium, pp. 120-121, tr. it. pp. 193-195. Si po-
trebbe obiettare che questa assimilazione del tutto a una res simplex, o a
un’astrazione, non è un difetto di questa prima possibile interpretazione,
ma proprio al contrario l’intenzione nascosta di Spinoza. In primo luogo,
la critica della Lettera 6 agli esperimenti boyleani sulla reintegrazione
del nitro non era forse innanzitutto una critica all’idea di un “corpo ete-
rogeneo”, le cui parti sono di natura diversa e la cui natura deve dunque
essere diversa da quella delle parti (Epistolae, pp. 16 e 64; tr. it. pp. 1248 e
1270)? Nel seguito della Lettera 32 non si affermerà forse che, per sé stes-
sa, una totalità è destinata a rimanere sempre nel proprio stato, estendendo
dunque al tutto ciò che nella loro riformulazione della cartesiana prima
legge di natura i Principia riferivano appunto alla res simplex (Epistolae,
p. 172; tr. it p. 1291, Principia philosophiae cartesianae, p. 201; tr. it. p.
308)? La sostanza che nella lettera funge da archetipo dell’idea di totali-
176 Morfologie del rapporto parti/tutto

fallacia di questa prima lettura bisogna dimostrare che per pensare una
cosa come una totalità autonoma non si deve rinunciare a pensarla come
parte di una totalità più inclusiva, o se si preferisce che per pensarla
come parte di un tutto non si deve rinunciare a pensarla come totalità au-
tonoma. Bisogna, in altre parole, dimostrare che coerenza e convenienza
sono compatibili con contrarietà e discrepanza, e che come la coerenza
non può essere ridotta a non contraddittorietà, la convenienza a identità,
la discrepanza a differenza, così il tutto non può essere ridotto a subjec-
tum, né la sua natura a un universale astratto. Per farlo, passiamo pure
alla seconda lettura. Perché preferirla alla prima?

Il tutto come eterogeneità conforme a leggi

In questa direzione, la prima cosa da tenere a mente è che buona parte


della Lettera 32 si articola attorno all’esempio del sangue, fluido compo-
sto da corpi di natura diversa che viene considerato in un primo momen-
to in una condizione di ipotetico isolamento, in un secondo momento in
rapporto alle cose che lo circondano. Al momento di far cadere la finzione
entro la quale il sangue era considerato come un tutto irrelato e di passa-
re finalmente a pensarlo come parte di un più ampio contesto relaziona-
le, Spinoza sostiene però che “tutta la natura del sangue” è moderata dai
corpi esterni e che le variazioni delle parti del sangue conseguono perciò
non più dalla sua sola natura, vale a dire dal rapporto tra le sue stesse
parti, ma dal rapporto tra “tutto il sangue e le cause esterne” con le quali
esso costituisce la parte di un tutto più ampio31. Non solo il tutto che esso

tà, perché al suo interno l’unione delle parti è la più forte possibile, non
riceve forse esplicitamente l’attributo di semplice (Epistolae, p. 181; tr. it.
p. 1397)? E come stupirsi allora che la natura del tutto compaia qui come
una “natura universale”, quando l’attributo, che costituisce l’essenza di
quella sostanza che funge da modello per nesso parti/tutto, viene ancora
nell’Etica assimilato a un “genere” (perché le cose estese sono appunto
cose dello stesso “genere”, accomunate da un’identica partecipazione al
“genere” dell’estensione (Ethica, Pars I, Definitio VI, Explicatio, p. 46;
tr. it, p. 7)? Sono, in realtà, domande retoriche. Come dicono i francesi – e
come vedremo meglio in seguito – “il n’en est rien”: quelle a cui questa
serie di domande si appellano sono una serie di false evidenze.
31 Epistolae, p. 172b, tr. it. 1292.
F. Toto - Convenienza e discrepanza 177

contribuisce a comporre non è qualcosa di semplice, come non lo è il san-


gue stesso in quanto composto da particelle di natura diversa, ma non è
neppure considerato come tale, a partire dal modello della res simplex:
non solo quando comincia a essere considerato come parte di una totalità
più inclusiva il sangue non cessa di essere considerato al tempo stesso
come un tutto, ma il tutto che esso contribuisce a formare, al pari del tut-
to che esso stesso è, è considerato come una totalità composta di totalità
distinte32. Il tutto non può essere qualcosa di semplice e omogeneo, né
essere considerato come tale, perché le parti non sono prive di autonoma
consistenza: considerare una cosa come un tutto significa pensarla come
una cosa complessa, la cui idea è a sua volta un’idea complessa, l’unifi-
cazione di una molteplicità di idee distinte, e questo perché considerare
delle cose come parti, nella loro convenienza reciproca, non significa tra-
scurare la loro discrepanza, smettere di considerarle come totalità dotate
di una qualche distinzione e autonomia. Allo stesso modo, Spinoza può
allora parlare delle parti come tali da adattarsi “per quanto possibile” l’una
all’altra in modo da contrariarsi “minimamente” proprio perché coerenza
e convenienza da un lato e contrarietà e discrepanza dall’altro non si ne-
gano a vicenda. Lo stesso lessico attraverso il quale Spinoza descrive la
coerenza, la convenienza, il consenso, rinvia al contempo alla contrarietà,
al conflitto. La coerenza e l’accordo tra le parti sono il risultato di un’in-

32 Diversamente da quanto ritenuto da diversi interpreti, non mi pare che


sia quindi possibile ridurre la nozione di “tutto” a una finzione immagi-
nativa, foss’anche nel senso positivo in cui Spinoza parlerebbe altrove di
auxilium imaginationis, o nel senso in cui l’immaginazione trascendereb-
be addirittura il campo della conoscenza inadeguata per conseguire essa
stessa l’adeguatezza. È vero che Spinoza invita a “fingere” un vermicello
che vive nel sangue, vede ogni sua particella “come un tutto, e non come
parte”, e resta ignaro del modo in cui queste particelle sono regolate dalla
natura di tutto il sangue. La funzione di questa finzione non è però quella
di negare che le particelle siano delle totalità, ma di negare che, per il
fatto stesso di essere delle totalità, non possano essere al tempo stesso
delle parti. In generale, mi pare che queste letture proiettino sulla Lettera
32 tesi esposte in opere precedenti senza tener conto dei ripensamenti che
potrebbero essere intervenuti tra un testo e l’altro. Vedi ad esempio Ilaria
Gaspari, The Curious Case of the Vermiculus. Some Remarks on Spino-
za’s ‘Letter 32’ and Spinoza’s Views on Imagination and Reason, “Society
and Politics”, a. VII, n. 2, 2013, pp. 77-84. Per una critica a questo tipo di
lettura vedi A. Sangiacomo, L’essenza del corpo, cit., pp. 123 e 128.
178 Morfologie del rapporto parti/tutto

terazione nella quale le parti “si adattano” o “si costringono ad adattarsi”,


“si moderano”, “sono costrette a patire variazioni”33: non c’è bisogno di
passare in rassegna le occorrenze di questi verbi per intuire che il richiamo
all’adattamento, alla moderazione, alla passività e alla coercizione implica
differenza, discrepanza, contrarietà, opposizione. L’affermazione secondo
la quale le cose sono considerate come parti “in quanto si adattano” e
come totalità autonome “in quanto discrepano” deve dunque essere letta
non come un aut-aut, ma nel senso in cui da un lato la loro integrazione è
direttamente proporzionale al loro accordo, ma dall’altro questo accordo
non si realizza nonostante la discrepanza e la contrarietà, ma pur sempre,
in qualche misura, attraverso di essa: la contrarietà non è l’opposto di
coerenza e convenienza, ma, forse, un loro momento interno34. Se le stesse
cose si accordano in quanto parti e discordano in quanto totalità distinte,
allora discrepanza e conflitto non possono più essere relegate nell’esterio-
rità, dovendo essere ammesse all’interno stesso del tutto. Cosa ne è allora
dell’identificazione della natura del tutto come una “natura universale”?
È noto che il Breve trattato affiancava il tutto all’universale interpretando
entrambi come enti di ragione, ai quali non corrisponde nulla in rerum
natura né nell’intelletto divino35. Nei suoi lavori, però, Spinoza parla più
volte di “leggi universali”36, che non sono astrazioni dell’immaginazione,
ma oggetto di una conoscenza chiara e distinta: dal Tractauts de intellectus
emendatione all’Etica, anzi, la conoscenza delle convenienze e discrepan-
ze rappresenta il prototipo della conoscenza adeguata37. La natura del tutto
mostra allora di essere “universale” non nel senso in cui essa rappresen-

33 Epistolae, pp. 170, 171, 173, tr. it. pp. 1291 e 1292.
34 Secondo W. Sacksteder, Simple wholes and complex parts, cit., p. 405, il
tutto – anche a causa di una sovrapposizione di questo concetto a quello
di Dio o della sostanza – è una cosa semplice in quanto al suo interno
“conflitto, divisione e molteplicità” sono non tanto assenti, quanto “inte-
grati” e “organizzati”. L’autore non vede però come questa integrazione
presuppone la permanenza, e non l’eliminazione, di ciò che viene integra-
to. Sul ruolo della contrarietà e del conflitto all’interno del tutto vedi A.
Sangiacomo, L’essenza del corpo, cit., pp. 130 e 134.
35 Korte verhandeling, I, ii, 19; tr. it. p. 104.
36 Vedi ad esempio Tractatus theologico-politicus, III, 3, IV, 1, VI, 3-4 e
9-10, pp. 46, 58, 82-83, 87-88.
37 Tractatus de intellectus emendatione, § 25, p. 78, tr. it. p. 34 e Ethica, Pars
II, Propositio 29, scholium, p. 114, tr. it. p. 177.
F. Toto - Convenienza e discrepanza 179

terebbe un’astrazione immaginativa, ma proprio perché, come testimonia


l’espressione “leges, sive natura”, essa non è altro che la legalità, razio-
nalmente conoscibile, alla quale le parti sono in quanto tali ugualmente
conformi: le parti sono coerenti tra loro e convenienti con il loro tutto non
per via delle proprietà intrinseche che le accomunano, ma perché i rapporti
che esse intrattengono nella loro differenza e contrarietà non cessano di es-
sere regolati da una legalità condivisa. Nello stesso Breve trattato, inoltre,
si incontrano due passi significativi. Uno battezza col nome di “provviden-
za universale” la tendenza di un tutto (l’intera natura, ma anche il corpo
umano) a conservare sé stesso conservando le proprie parti38. L’altro dà
il nome di natura naturata “universale” (algemeene) a quella che altrove
Spinoza chiamerà facies totius naturae o totius universi39. Questi passi
testimoniano che nel lessico spinoziano ‘universale’ può stare anche per
‘intero’40, e riferirsi a un tutto nella misura in cui la sua natura coincide con
il sistema di leggi alle quali le parti sono ugualmente conformi.
Il senso nel quale la convenienza può prodursi attraverso la contra-
rietà risulta più chiaro mettendo a fuoco il significato fisico, oltre che
logico, dei concetti di coerenza, convenienza e contrarietà. Non biso-
gna dimenticare che uno dei leitmotiv del dialogo tra Oldenburg e Spi-
noza, che ricompare tra l’altro anche in coda alla stessa Lettera 32, è
rappresentato dalla fisica cartesiana. Nei Principia di Descartes, però,
la cohaerentia era chiamata in causa come coesione che distingueva i
corpi duri, cementati dalla quiete reciproca delle parti, e i corpi fluidi,
le cui parti tendono continuamente a separarsi l’una dall’altra perché si
muovono in tutte le direzioni. La contrarietas, di converso, era quella
che opponeva il moto e la quiete o una direzione del moto a un’altra: la

38 Korte verhandeling, I, v, 1, p. 234; tr. it. 119.


39 Korte verhandeling, I, ix, 1, p. 248, tr. it. 127 e Epistolae, p. 276 e 278, tr.
it. p. 1494.
40 La scelta dell’aggettivo “universale” è forse legata almeno in parte a un
gioco di parole con “universo”. In fondo siamo nella finzione nella quale il
sangue è isolato, e rappresenta in qualche modo un “universo” a sé: secondo
un uso linguistico analogo a quello che nella Lettera 11 aveva permesso a
Oldenburg di ricordare che secondo Boyle “Experimentum suum de nitro
satis superque docere, nitri corpus universum in partes, a se invicem, & ab
ipso toto discrepantes, per analysin chymicam abiisse” (Epistolae, p. 49;
tr. it. p. 1264). Come si vede, la Lettera 32 può essere letta almeno in parte
come una prosecuzione della discussione sul nitro intrapresa nella Lettera 6.
180 Morfologie del rapporto parti/tutto

stessa che compariva nella dimostrazione del principio di invarianza di


stato, che ricomparirà più volte nell’illustrazione delle regole dell’urto,
e che è presente tra le parti dei corpi fluidi ma non nei corpi duri41. Inol-
tre, la contrarietas è la stessa che uno degli assiomi dei Principia phi-
losophiae cartesianae poneva alla base delle variazioni che due corpi
dotati di modi contrari possono essere “costretti a patire” in occasione
del loro incontro, e che in caso di incontro tra questi corpi deve esse-
re ‘eliminata’, ‘tolta’ coerentemente con le regole dell’urto derivate
dalla legge della minima variazione, a sua volta radicata in quello che
anacronisticamente possiamo chiamare principio di inerzia42. Questa
accezione fisica e dinamica della contrarietà, del resto, verrà investita
dai Principia philosophiae cartesianae all’Etica di funzioni via via più
complesse, ma resterà sempre legata all’idea di uno scontro di forze o
potenze. Ora, l’affinità tematica tra il testo della Lettera 32 rispetto ai
Principi di Descartes e alla loro riscrittura geometrica contenuta nei
Principia spinoziani è evidente: si parla di un fluido, delle variazioni
che le sue parti sono costrette a patire quando le sue particelle si incon-
trano rimbalzando l’una sull’altra o comunicandosi i loro movimenti,
della sua tendenza a permanere nel proprio stato, e via dicendo. Questa
affinità mostra però che la coerenza tra le parti e la loro convenienza
con il tutto viene intesa da Spinoza meno nella sua accezione logica,
come non contraddittorietà in rapporto a un medesimo soggetto, che
come rielaborazione critica dell’accezione fisica cartesiana. Mostra,
altresì, che questo concetto è destinato innanzitutto a estendere ai corpi
fluidi, le cui parti sono soggette a moti contrari e costrette dunque a
patire continue variazioni, una cohaerentia che invece Descartes, la-
sciando inspiegato in cosa potesse consistere l’unità dei corpi fluidi,
aveva riservato ai soli corpi duri, contraddistinti dall’assenza di ogni
contrarietà interna. Mostra infine che questo concetto di coerenza, lun-
gi dal concepire il tutto a partire dal modello della cosa semplice, è
finalizzato proprio al contrario a chiarire le condizioni alle quali la
prima legge di natura cartesiana, secondo la quale ogni cosa tende a
perseverare nel proprio stato, può essere estesa al di là della sfera delle

41 Vedi R. Descartes, Principia philosophiae, II, 37, 40, 41, 43, 44, 49, 51,
52, 56 e 57, pp. 62-74; tr. it. pp. 1807-1829.
42 Vedi Principia philosophiae cartesianae, Pars II, Axioma 19, Propositio
XXIII-XXXI, pp. 185 e 208-219; tr. it. pp. 291 e 317-326.
F. Toto - Convenienza e discrepanza 181

cose semplici, indivise e considerate in sé sole alle quali era ancora


relegata nei Principia: il sangue è non solo un corpo complesso, ma
uno di quei corpi fluidi che secondo lo scolio finale della Parte seconda
di quest’opera “sono divisi in molte piccole particelle”43, e tende a per-
manere nel proprio stato non solo quando è considerato in sé solo, ma
anche quando viene considerato in rapporto con i corpi esterni. La co-
erenza delle parti non è la loro semplice non contraddittorietà, perché
contrarietà e discrepanza non sono ciò che vanifica il tutto rendendo le
sue parti incoerenti e incapaci di convenire con esso, ma ciò che deter-
mina quelle variazioni e quell’adattamento reciproco attraverso cui la
stessa coerenza delle parti e del tutto riproduce sé stessa.

Ontologia delle relazioni e potenza

Questa nuova declinazione fisica dei concetti di coerenza e con-


trarietà ci permette di cogliere il discorso spinoziano sul rapporto
parti/tutto come lo schizzo di una nuova ontologia e di una nuova
concezione dei rapporti causali. Il tutto che è ormai concepito come
un’integrazione di parti che costituiscono a loro volta delle totalità,
e che sono dunque dotate di una loro sia pur relativa autonomia e
distinzione, non è più un ens rationis privo di corrispondenza nella
realtà extra-mentale, ma qualcosa di reale, dotato di una propria natu-
ra. L’ens rationis è una finzione della mente, alla quale nell’intelletto
divino non corrisponde nessuna idea. L’intelletto divino stesso, però,
viene oramai pensato come una totalità di idee che è idea dell’intera
natura, totalità di tutte le totalità. Il corpo umano è sia un tutto che
una parte di un tutto più inclusivo, ma proprio in quanto idea di que-
sto corpo la mente umana è, in tutta la propria finitezza, anche una
parte dell’intelletto divino, un momento della sua infinita potenza
di pensare. È vero che, come gli universali “non hanno né esistenza
né essenza al di fuori dei singolari”44, così il tutto continua a non
poter né essere né essere concepito separatamente dalle parti. Questa
inseparabilità costituisce tuttavia non più il marchio di un’inconsi-

43 Principia philosophiae cartesianae, Pars II, Propositio XXXVII, Scho-


lium, p. 225; tr. it. p. 333.
44 Cogitata metafisica, II, 7, p. 263; tr. it. pp. 378-379.
182 Morfologie del rapporto parti/tutto

stenza ontologica, ma il tratto caratteristico di una nuova regione


ontologica. Affermando che “una parte di tutta la sostanza corporea
appartiene a tutta la sostanza corporea [o “alla natura della sostan-
za corporea”], e senza la restante sostanza non può essere o essere
concepita”45, Spinoza sta tacitamente applicando al nesso parti/tutto,
sia pure a partire dal caso a un tempo problematico e paradigmatico
della sostanza, la definizione di essenza che aveva già messo a punto
nel Breve trattato, e che non mancherà di riprendere nell’Etica. Se-
condo questa definizione appartiene alla natura (o all’essenza) di una
cosa “ciò senza cui la cosa non può né essere né essere concepita”,
e che però, reciprocamente, “non può né essere né essere concepito
senza la cosa”46. Trascurando gli ovvi problemi suscitati dall’appli-
cazione di questo criterio a una sostanza altrove supposta indivisibi-
le, quello che mi interessa sottolineare è che una simile sussunzione
del rapporto parti/tutto al nesso tra ciò che appartiene all’essenza e
l’essenza stessa costringe a pensare il tutto come qualcosa dotato di
una propria natura od essenza, e dunque di realtà, e anzi a ripensare
l’idea stessa di natura o essenza nel segno del rapporto mereologico:
come sono inseparabili l’essenza e ciò che appartiene all’essenza,
così lo sono anche le parti e il tutto, perché da un lato il tutto non può
né essere né essere pensato senza una qualunque delle parti, conside-
rata appunto come parte (e dunque nella sua coerenza con le altre e
convenienza rispetto alle leggi che definiscono la natura del tutto), e
dall’altro lato la parte non può né essere né essere pensata come tale

45 Epistolae, p. 173; tr. it. p. 1292. Da notare la divergenza tra le due versioni
della lettera. Quella dalla quale citiamo è più esplicita.
46 Korte verhandeling, II, Voor Reeden, 5, p. 258; tr. it. p. 133 ed Ethi-
ca, Pars II, Definitio II, p. 84; tr. it. p. 103. È vero che quando Spinoza
afferma che la parte non può né essere né essere concepita senza tutta la
sostanza sembra ridurre la relazione tra parte e tutto a quella, asimmetrica,
secondo la quale il modo non può né essere né essere concepito senza la
sostanza, che può tuttavia essere ed essere concepita indipendentemente
dai modi. Quando afferma però che “una parte di tutta la sostanza corporea
appartiene a tutta la sostanza corporea” o “alla natura della sostanza
corporea”, l’uso del verbo pertinere denuncia chiaramente che l’applica-
zione del rapporto mereologico non è priva di conseguenze: la sostanza
può essere ed essere concepita senza i modi, ma non appena la si pensa
come un tutto la si rende inseparabile dalle parti che “appartengono” alla
sua natura, o quanto meno dalla loro connessione.
F. Toto - Convenienza e discrepanza 183

senza il tutto, vale a dire senza la totalità delle parti47. In questo modo
Spinoza si trova a reinterpretare l’intera sfera della natura naturata –
se non della natura tout court, come sembra implicare la concezione
della sostanza come una totalità – a partire da una ridefinizione me-
reologica, e in questo senso relazionale, dell’ontologia. La res che
non può essere concepita attraverso il modello del subjectum, della
substantia o della res simplex assume infatti il proprio senso solo
all’interno dell’orizzonte relazionale tracciato dal rapporto parti/tut-
to. Sia in quanto totalità che in quanto parti esse non sono altro che
rapporti. In quanto sono pensate ognuna come un tutto, separatamen-
te dalle altre con le quali concorrono alla formazione di una totalità
più inclusiva e coincidente in ultima istanza con l’intero universo, le
res sono infatti nella loro stessa essenza null’altro che il rapporto tra
le proprie parti, la connessione tra queste parti o tra le loro attività
secondo una legge. Allo stesso modo, in quanto parti esse non sono
altro che rapporti di rapporti, perché non possono né essere né essere
concepite le une senza le altre, del “certo e determinato modo” in cui
“si determinano l’un l’altra ad esistere ed operare”48.
Questa ridefinizione in termini mereologici dello statuto ontologico
della res è al tempo stesso un ripensamento della sua efficacia causale.
Nella lettera Spinoza pensa l’universo o la natura come un tutto che non
è a sua volta parte di nessuna totalità più inclusiva, essendo al contrario
la totalità di tutte le parti, e gli attribuisce dunque una potenza infinita,
che coincide con tutto ciò che può seguire dalla sua sola natura. Come
il tutto non è che l’“unione” dalle parti, così la potenza della natura non
è che la totalità delle potenze delle parti49: una potenza che si esplica in

47 Da notare che in questo senso il tutto non può essere pensato indipenden-
temente dalle parti e dalla convenienza che le definisce come tali, ma può
essere pensato indipendentemente dalle cose esterne con cui discrepa: è
sì una nozione relazionale, ma il rapporto che lo definisce è un rappor-
to interno e non esterno. Sulla relazione di appartenenza vedi Francesco
Piro, Essenza, causa e ‘ratio’ in Spinoza e Leibniz, in A. Sangiacomo e
F. Toto, ‘Essentia actuosa’. Riletture dell’‘Etica’ di Spinoza, Mimesis,
Milano 2016, pp. 47-74, p. 57.
48 Epistolae, p. 173, tr. it. p. 1292.
49 Cfr. Epistolae, p. 173, tr. it. p. 1292 e Tractatus theologico-politicus, XVI,
2, p. 504, tr. it. p. 373: “la potenza universale dell’intera natura non è altro
che la potenza insieme di tutti gli individui”.
184 Morfologie del rapporto parti/tutto

un’attività complessa, che è l’intreccio di tutte le attività delle parti, e i


cui effetti coincidono non a caso con l’infinità di variazioni che le parti
subiscono in ragione delle loro interazioni reciproche e della conformità
di queste interazioni rispetto alla legge che definisce la natura del tutto.
Formulata in rapporto all’“intero universo”50, l’identificazione della po-
tenza di una cosa da un lato a ciò che può seguire dalle leggi della sua
natura e dall’altro agli effetti che le sue parti producono l’una sull’altra
esplicita però un’idea di potenza più generale, che si estende all’insieme
di quelle totalità parziali la cui potenza è nella propria finitezza solo una
parte della potenza infinita dell’intera natura. Il concetto di potenza ap-
plicato alla natura come totalità di tutte le totalità può essere riferito alle
sue parti perché queste sono esse stesse delle totalità dotate di una loro
autonomia. Quando il sangue viene considerato come un tutto, ad esem-
pio, “tutte le parti sono moderate dalla natura universale del sangue, e si
costringono a vicenda, come richiede la natura universale del sangue, ad
adattarsi in modo di accordarsi tra loro in un certo modo”51. “È certo”,
perciò, “che il sangue rimarrà sempre nel suo stato, e che le sue parti-
celle non saranno passibili di nessun’altra variazione se non quelle che
possono derivare dalla sola natura del sangue, cioè dal rapporto (ratio)
di moto della linfa, del chilo, etc., le une con le altre”52. Poiché il sangue,
come tutto, non è altro che la totalità delle proprie parti, e la sua natura
non è altro che l’interazione di queste ultime secondo una certa ratio,
questi passi identificano la potenza del sangue, gli effetti che essa pro-
duce innanzitutto dentro di sé o nelle proprie parti, con la potenza che
le parti esercitano le une sulle altre; le variazioni che seguono dalla sola
natura del sangue con quelle che derivano dall’interazione delle sue parti
secondo certe leggi; il modo in cui le parti sono moderate dalla “natura
universale del sangue” con il “certo modo” in cui esse si costringono
ad adattarsi l’un l’altra contenendo le rispettive attività nei limiti di una
reciproca compatibilità. Poiché il tutto non è ‘altro’, ‘esterno’, ‘trascen-
dente’, rispetto alle parti, la sua efficacia per così dire ‘verticale’ sulle
proprie parti, quella attraverso la quale esso riflessivamente riproduce
il tessuto di relazioni e di variazioni in cui esso stesso consiste, non può
che risolversi nell’efficacia per così dire ‘orizzontale’ delle parti le une

50 Ibid.
51 Epistolae, p. 171; tr. it. p. 1291.
52 Epistolae, p. 172, tr. it. p. 1291-1292.
F. Toto - Convenienza e discrepanza 185

sulle altre53. Questo concetto di potenza è inoltre il medesimo che con-


tribuisce a spiegare l’attività delle cose considerate nel loro coinvolgi-
mento in una rete causale coincidente in ultima istanza con l’intero uni-
verso. Quando abbandona la finzione dell’isolamento causale del sangue
e comincia a considerare questo fluido non più semplicemente come un
tutto, ma anche come una parte, Spinoza afferma che “tutta la natura del
sangue è moderata in un certo modo” dalle cause esterne e che queste
“a propria volta lo sono dal sangue”, in modo tale che nelle particelle
del sangue si verificano moti e variazioni “che non derivano dal solo
rapporto delle sue parti l’una con l’altra, ma dal rapporto di moto tra
tutto il sangue e le cause esterne”54. Non solo il sangue che è pensato
come parte non cessa di essere considerato al tempo stesso come tutto,
ma proprio per questo non si estingue neppure la sua potenza, la sua ca-
pacità di determinare dentro di sé e fuori di sé effetti in qualche misura
coerenti con la propria natura: il fatto di essere sempre “modificato in
un certo modo”, costantemente determinato da altro “a esistere e opera-
re”, non esclude che le variazioni delle sue parti continuino a derivare
anche, sebbene non “solo”, dalla sua natura, e che esso contribuisca a
moderare l’attività che lo modera55. Giungendo a concepire il tutto non
più come un ens rationis, ma come una realtà complessa che non perde
la propria autonomia per il solo fatto di rapportarsi con le cause esterne,
Spinoza arriva non solo a pensare l’attività del tutto come un’attività
complessa costituita dall’intreccio delle attività delle parti, ma anche a
concepire una condizione alla quale la partecipazione a questo intreccio
possa risultare compatibile con una qualche autonomia delle parti, con
la loro capacità di agire secondo la propria natura. Continuando a pen-
sare l’interazione come moderazione o coercizione reciproca, e dunque
nel segno dell’eteronomia, non arriva ancora a formulare esplicitamente
l’idea, che sarà espressa nell’Etica, secondo la quale l’interazione o co-
operazione costituisce la precondizione dell’attività delle parti, perché
nessuna attività si dà mai nell’isolamento e in assenza di convergenza

53 Vedi Épaminondas Vampoulis, La conception de la Nature entière comme


un seul individu dans la philosophie de Spinoza, in Ch. Ramond (éd.),
Spinoza. Nature, Naturalisme, Naturation, Presses universitaires de Bor-
deaux, Bordeaux 2011, pp. 27-40, p. 35.
54 Epistolae, p. 172; tr. it. p. 1292.
55 Epistolae, pp. 173 e 172; tr. it. p. 1292.
186 Morfologie del rapporto parti/tutto

con altre attività56. Arriva, nondimeno, a pensare che se le parti non posso-
no in quanto tali essere concepite le une senza le altre e senza il tutto che
contribuiscono a comporre, allora neppure le loro attività possono essere
concepite al di fuori dell’attività complessa costituita dal loro intreccio.
Arriva, al tempo stesso, a pensare che la loro moderazione reciproca non
coincide con una passività generalizzata, ma con la selezione di quelle, tra
le attività che derivano dalle leggi o nature delle parti, che si accordano
le une con le altre, vale a dire con la legge o natura del tutto. Con questa
constatazione occorre però passare ad alcune rapide conclusioni relative
alla posizione della Lettera 32 nello sviluppo del pensiero spinoziano.

Abbiamo visto come la discussione su parti e tutto condotta nella Let-


tera 32 possa essere letta almeno in parte come una riflessione sui pro-
blemi lasciati aperti dalla fisica cartesiana, in particolare sulla possibile
applicazione del principio dell’invarianza di stato a quei corpi complessi
nei quali Descartes pareva vedere una possibile eccezione: secondo la
formulazione della ‘prima legge di natura’ contenuta nei Principia phi-
losophiae nessuna cosa può passare spontaneamente da uno stato a un
altro, ma senza questa spontaneità la vita non potrebbe essere pensata
in analogia con una macchina che si muove da sé, “spontaneamente”57.

56 Su questo punto particolare non concordo con Andrea Sangiacomo, che vede
già realizzato nella Lettera 32 il ripensamento dei concetti di attività e di
passività che sarà espresso nell’Etica. Secondo l’autore nella Lettera 32 la
condizione di parte non implica quella di passività, perché le parti possono
interagire secondo leggi condivise, e dunque senza patire alcuna coercizione,
ma anzi determinando l’una nell’altra modificazioni che seguono dalla loro
sola natura. In questo modo mi pare dimenticare quanto da lui stesso ricor-
dato: le leggi condivise dalle parti sono leggi che ne “moderano” le attività e
coerentemente alle quali esse sono “costrette a patire” delle variazioni, e per
questa ragione non appena una cosa come il sangue è considerata non più
isolatamente, ma come parte di un più ampio contesto, essa è considerata da
Spinoza come passiva. Vedi A. Sangiacomo, L’essenza del corpo, cit., p. 137.
57 Secondo Descartes, ad esempio, la differenza tra un corpo vivo e uno
morto non è maggiore di quella tra “un automa (ossia una […] macchina
che si muove spontaneamente), quando è montato e ha in sé il principio
corporeo dei movimenti per i quali è costruito”, e “la stessa macchina,
quando è rotta e il principio del suo movimento cessa di agire” (René
Descartes Les passions de l’âme, in Id., Œuvres, cit., vol. XI, § 8, p. 333;
tr. it. in Opere (1637-1649), cit., p. 2339).
F. Toto - Convenienza e discrepanza 187

Nella Lettera 32 Spinoza non può estendere il principio di invarianza ai


corpi composti e la nozione di cohaerentia ai corpi fluidi senza ripensare
profondamente l’idea di ‘stato’: lo ‘stato’ in cui il tutto tende a perma-
nete non è affatto uno stato, ma un sistema di variazioni internamente
regolato58. Questa resa dei conti con la fisica cartesiana costituisce il
primo passo verso la nozione di individuo definita nella seconda parte
dell’Etica e verso l’unificazione tra la fisica dei corpi complessi e la
metafisica del conatus. Il discorso su questo punto sarebbe lungo, e mi
limito quindi a dire che proprio a partire dalla mereologia esposta nella
Lettera 32 l’Etica potrà concepire l’individuo come una unità di parti
reciprocamente convenienti e un sistema fisico di interazioni motorie
internamente determinato a conservare sé stesso59, e in questo modo non
solo a offrire una base meccanica a un concetto come quello di conatus60,
ma anche a ricostruire su queste stesse basi la propria teoria dell’imma-

58 Su questa evoluzione vedi F. Toto, L’individualità dei corpi, cit., Capitolo V.


59 Vedi ivi, Capitolo III.
60 Si pensi al passo del Breve trattato già citato sulla provvidenza generale
e la provvidenza particolare, o al lungo scolio dei Principi di filosofia
cartesiana sulla conservazione di sé nel quale Spinoza prende le distanze
dall’idea cartesiana della creazione continua (Principia philosophiae car-
tesianae, Pars I, Propositio VII, scholium, pp. 160-164, tr. it. p. 266-270).
La meditazione del caso del sangue – considerato prima nel suo isolamen-
to e poi nella sua relazione con corpi esterni – rappresenta del resto l’an-
tecedente diretto di quel concetto di “moto spontaneo” che l’Etica riferirà
appunto alle “parti fluide” del corpo umano, nel quale consiste il sostrato
materiale dell’attività immaginativa in assenza di ogni stimolo sensibile
presente, e attraverso il quale Spinoza prepara il campo all’introduzione
del concetto di conatus. Vedi Ethica, Pars II, Propositio 17, corollarium
e Pars III, Propositio 2, scholium, pp. 105 e 144; tr. it. pp. 155 e 249.
Dissento qui da Filip Buyse, A New Reading of Spinoza’s ‘Letter 32’ to
Oldenburg: Spinoza and the Agreement between Bodies in the Universe,
in G. Boros, J. Szalai e O.I. Tóth (eds.), The Concept of Affectivity in
Early Modern Philosophy, ELTE Eötvös Kiadó, Budapest 2017, pp. 104-
123. Buyse identifica spontaneità e determinazione interna, ritenendola
del tutto incompatibile con il meccanicismo e il determinismo spinoziani
e conseguentemente esclusa dalla Lettera 32. A me pare al contrario che,
proprio come il principio ‘di inerzia’ serve a spiegare le variazioni di sta-
to, così la comprensione della determinazione interna del tutto alla con-
servazione del proprio stato acquisti il proprio valore proprio in funzione
della spiegazione delle interazioni meccaniche con le cose esterne.
188 Morfologie del rapporto parti/tutto

ginazione, della ragione e dell’intelletto, della passività e dell’attività,


dell’accordo affettivo o razionale tra gli uomini, dell’amore intellettuale
di Dio. Nell’atto stesso di costituire il primo abbozzo della conciliazione
tra riflessione fisica e ontologica, la Lettera 32 assolve tacitamente alla
missione etica assegnatale dal passo da cui origina il dialogo tra Spinoza
e Oldenburg su parti e tutto. In quel passo Spinoza dichiarava che solo
la comprensione quanto meno teorica di sé come parte della natura, coe-
rente con le altre parti e conveniente con il tutto, può emancipare l’uomo
dalla considerazione delle cose come vane, disordinate e assurde. La
riflessione fisica e metafisica su parti e tutto è implicitamente non solo
una riflessione sulla finitezza dell’uomo in quanto parte della natura, ma
anche una riflessione sul modo in cui la corretta comprensione di que-
sta finitezza e questa parzialità non implicano nessuna rassegnazione,
aprendo al contrario all’individuo una strada verso la liberazione e alla
comunità la strada della pace. Sul piano individuale, infatti, non è un
caso che la lettera si chiuda con la constatazione che la mente è una parte
dell’intelletto divino, dell’infinita potenza divina di pensare: proprio nel-
la conoscenza di sé nella propria unità con Dio o con la natura consiste
infatti, per Spinoza, il sommo bene dell’uomo e la sua libertà. Sul piano
collettivo, è chiaro come nella riflessione mereologica della Lettera 32
si consumi il congedo da ogni sostanzialismo e unanimismo in favo-
re di un’ontologia della relazione nella quale l’unità non contraddice la
pluralità, l’identità non nega le differenze, l’universalità non si afferma
a discapito della singolarità, l’integrazione non sopprime l’autonomia,
l’accordo non si produce attraverso l’elisione di contrarietà e conflitti.
In questo senso, l’approdo del dialogo consente di tornare con maggiore
consapevolezza al passo della Lettera 30 dal quale aveva preso spunto.
In un primo momento, questo passo criticava l’irrisione o la deplora-
zione della vanità e dell’assurdità della natura e delle condotte umane
interpretando un simile atteggiamento come una conseguenza dell’igno-
ranza. Subito dopo, Spinoza affermava: “ormai lascio vivere ciascuno
come vuole, e, se vogliono, muoiano pure in difesa del loro bene, purché
a me sia consentito vivere per la verità”. Come è reso retrospettivamente
chiaro dalla Lettera 32, in questo modo il filosofo non sta né rivendican-
do l’isolamento della “mente filosofica” che vive solo per la verità né
tantomeno elevandolo a modello universale alla luce del quale dovrebbe
essere valutata la dignità delle esistenze singolari e al quale ognuno do-
vrebbe essere costretto a conformarsi. Al contrario, sta suggerendo che
F. Toto - Convenienza e discrepanza 189

la corretta comprensione di sé e dei propri simili come partes naturae


coerenti le une con le altre e in accordo con la tutto potrebbe permettere
agli uomini di convivere pacificamente nelle differenze, godendo di un
accordo in grado di essere non minato, ma arricchito dal disaccordo. La
fantasia di un’identità sostanziale e internamente omogenea capace di
vivere l’alterità solo come estranea e nemica, da irridere o da compian-
gere, ha del resto un solo esito possibile: il “finimondo” della guerra.

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