Crisi Dell Io Nel 900
Crisi Dell Io Nel 900
Di Fulio M.
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nichilismo è la nullificazione dei valori, che non coincide con la distruzione dei
valori, ma significa uscire dalla dimensione dei valori. Su questa base di
nihilismo c’è il nihilismo attivo, che coincide con la morte di Dio, ossia il fatto
che qualsiasi variazione di valore non riguarderà più la mia esistenza (c’è il
rifiuto di Dio come vertice dei valori). Tutto questo è il quadro fondativo
dell’oltre uomo che percepisce come la vita non possa coincidere con un
valore; l’oltre uomo è colui in grado di accettare la dimensione dionisiaca della
vita, di reggere la morte di Dio e la perdita di certezze assolute, di porsi come
volontà di potenza e procedere oltre il nichilismo. L’oltre uomo è enormemente
distante dall’uomo occidentale in quanto riesce a dire sì all’istante; questa è la
completa smentita della logica occidentale secondo cui esiste una gerarchia di
momenti, l’assoluto sbriciolamento del finalismo. Il presente non è un
passaggio per arrivare in futuro a qualcosa di migliore. Il dire sì all’istante è
l’affermazione dell’eterno presente: ogni momento attuale è pienamente vita, e
sacrificare un momento di vita con la convinzione che ciò che viene dopo sarà
migliore è un distruggere la vita.
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ed è quindi una miniera per conoscere gli elementi psichici mantenuti inconsci
dalla rimozione) lo psicanalista cerca di ricostruire ciò che non va e scoprirne le
cause, per poi riequilibrare le forze psichiche in conflitto. Freud identifica due
grandi famiglie di disagi psichici: le nevrosi (sono le fissazioni di una persona
che ha sempre bisogno di punti di riferimento; il nevrotico non ha mancanza di
coordinamento ma di armonia: il soggetto mantiene il contatto con la realtà, sa
di avere qualcosa che non va, ma non riesce a capire il perché e, a parte
qualche disturbo, per il resto conduce una vita "normale") e le psicosi (è la
scissione della personalità: non c’è più il coordinamento né la consapevolezza
dei rapporti tra le componenti della psiche; l’individuo non ha più coscienza
della gravità del suo male ed ha perso il contatto con la realtà. La schizofrenia
è la più tipica delle psicosi e comporta una scissione della personalità che non
si riassorbe; l’Io è sbriciolato, ed Es e Superio sono in conflitto tra loro).
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non essere nessuno ma centomila secondo tutte le prospettive degli altri, e
quindi nessuno. Dallo stato di angoscia e solitudine si passa poi ad una
condizione in cui l’uomo diviene consapevole dell’inutilità di mortificare la
propria vita cercando di riconoscersi in maschere e forme statiche; la
mancanza d’identità diviene una condizione positiva e permette all’eroe
pirandelliano di abbandonarsi al fluire della vita. Si viene così a delineare la
figura dell’eroe filosofo, estraniato, che guarda dal di fuori la miseria della
commedia umana, cogliendo l’assurdità e l’inconsistenza del “normale”. La
riflessione di colui che osserva dal di fuori fa nascere il sentimento del contrario
che permette di cogliere il carattere molteplice e contraddittorio della realtà,
allo stesso tempo tragica e comica. Alla crisi dell’identità si accompagna poi il
relativismo conoscitivo: la “filosofia del lanternino” spiega che ogni uomo si
orienta nel buio della realtà attraverso una luce particolare (i vari valori cui si
aggrappa l’umanità) ed interpreta ciò che vede come certezza e verità
assoluta, solida base su cui costruire la propria esistenza. Pirandello prende
coscienza del fatto che non esiste una verità oggettiva. Mentre la concezione
meccanicistica del mondo, che aveva dominato nel corso dell’800, offriva con i
suoi nessi rigorosi di causa – effetto, un solido terreno di certezze Pirandello si
fa sostenitore di una natura problematica del mondo; la realtà non è più una
totalità organica ma si sfalda in una pluralità di frammenti. Il fatto che ognuno
sostenga una propria verità porta all’incomunicabilità tra gli uomini che si
chiudono in uno stato di solitudine.
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nuove informazioni sugli oggetti comuni, si ottiene estraniando gli oggetti dal
loro contesto usuale, oppure presentando inanimati luoghi fatti per contenere
persone, con un effetto provocatorio che ci turba. All’immediatezza degli
Impressionisti, alla scomposizione delle forme e allo spazio dinamico dei
Futuristi, la Metafisica oppone: una prospettiva rigida e ordinatrice, ma a volte
falsata; un colore terso; una solida volumetria degli oggetti; un segno netto,
deciso e sicuro; precisione dello spazio geometrico. Attraverso queste tecniche
i metafisici operano un richiamo all’ordine, alla certezza, alla condizione di
smarrimento e al bisogno di sicurezze dovute alla guerra: in linea con la
tradizione pittorica italiana del 1400 basata sulla forma e sulla solidità
volumetrica (valori plastici), De Chirico afferma:<<Pictor classicus sum.>>.
De Chirico nasce in Grecia e si trasferisce a Firenze, Milano e Monaco dove si
interessa alla pittura tedesca del simbolista Bocklin. Allo scoppio della guerra
viene arruolato e destinato a Ferrara. L’incontro con Ferrara è determinante
per l’esperienza artistica di De Chirico, che definirà questa la città metafisica
per eccellenza. In seguito all’Addizione Erculea (operata da Ercule Deste in
epoca rinascimentale) Ferrara presentava grandi piazze ornate di monumenti
dalle lunghe ombre e una perfetta simmetria geometrica; inoltre la solitudine
innaturale di vie e piazze sulle quali si affacciano nobili palazzi inutilizzati la
rende simile ad una "città morta " dalla quale per ragioni misteriose, gli
abitanti sono improvvisamente scomparsi. Questi spazi ampi e diritti danno
l’idea di una città rialzata, sospesa, come se fosse abitata da qualcosa che va
oltre l’umanità reale. De Chirico cerca, infatti, di dipingere una verità che va
oltre il mondo reale, attribuendo uno strano significato agli oggetti fuori del
contesto reale. L’effetto che scaturisce turba e mette a disagio l’osservatore,
rende ambigue le certezze e disorienta. I suoi dipinti non sono tuttavia
espressivi, né ricercano la comunicazione. Il dipinto che costituisce un vero e
proprio manifesto della pittura metafisica è “Le muse inquietanti”, realizzato
nel 1917. Il quadro raffigura una fantastica piazza ferrarese trasformata nel
piano ripido di un palcoscenico (il punto di vista alto dà estrema profondità),
chiuso sul fondo da edifici emblematici: il castello degli Estensi, una torre
cilindrica, un’officina con le ciminiere. Medioevo, Rinascimento e tempi recenti
si mescolano tra loro, allo stesso modo in cui si uniscono sempre, nelle opere
di De Chirico, i riferimenti alla storia dell’arte e alla vita comune.
Ferrara è qui solo il simbolo di una città che ebbe una corte, un potere, ma che
ora è ridotta a puro involucro della propria memoria. L‘immagine è, infatti,
costruita per dare una sensazione d’irrealtà, per proporsi come Io spazio di una
rappresentazione mentale: l’orizzonte, innaturalmente alto, pare far posto ad
un immenso palco teatrale. Sulla destra della piazza, quasi celata all’ombra di
un gran palazzo, si trova una statua abbigliata in modo sontuoso. In primo
piano la figura in piedi mostra una testa da manichino sartoriale innestata su
una schiena muscolosa da statua classica e su una veste che ricorda le
scanalature di una colonna dorica; quella seduta ricorda nelle proporzioni
alcune figure di Picasso e le cuciture da cui è segnata suggeriscono un
fantoccio di pezza, anziché di marmo. La sua testa è svitata e accostata alle
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gambe. Accanto a loro sono disposte delle scatole colorate, una maschera e un
bastoncino di zucchero. L’esplicito richiamo alle muse —divinità mitologiche
che presiedono all’ispirazione artistica — rimanda alla Grecia antica, accen-
tuando l‘atmosfera misteriosa ed enigmatica dell’immagine: queste muse
pietrificate appaiono come relitti di un mondo sospeso tra realtà e
immaginazione, calate in un contesto urbano così estraneo dal loro, ma anche
da ogni logica temporale: esse sono inquietanti perché illogico e misterioso è il
filo che le lega alle cose, allo spazio. Allo sconvolgimento d’ogni logico rapporto
tra gli oggetti e lo spazio contribuisce anche il colore, intenso, dorato e
smaltato, irrealistico, disteso a Iisce campiture ed esaltato da una luce
astratta, che proietta lunghe ombre sui piani, sottolineando la concreta
volumetria delle figure e degli oggetti e le illogiche prospettive degli spazi e
delle cose: si veda la scatola a triangoli policromi in primo piano definita con
una prospettiva contraria a quella del palcoscenico. L’immagine sembra
realizzata in un momento di tempo sospeso, in cui le ciminiere della fabbrica
che non fumano, le finestre degli edifici buie e chiuse, l’assenza dell’uomo dalla
scena, comunicano l’assoluta immobilità di un momento di sospensione.
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può offrire nessuna luce per illuminare il “prato polveroso” dell’esistere,
nessuna parola per decifrare un mondo pieno d’illusioni. Alla poesia fatta di
belle parole, ai poeti sicuri di sé che offrono facili miti consolatori, il poeta
risponde con un no secco e deciso. Montale rifiuta l’immagine tradizionale del
poeta vate e anche ogni concezione della poesia come fonte di educazione e di
elevazione spirituale. Di fronte all’impossibilità di sciogliere il mistero della vita
Montale non può che proporre una forma di conoscenza in negativo: “Codesto
solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.”. Nella
raccolta “Le occasioni” (1939) Montale assume una posizione dichiaratamente
anti-fascista, e contrappone alla mancanza di autenticità della massa Clizia, la
donna angelo d’ispirazione dantesca, simbolo di autenticità e portatrice di
valori spirituali. Agli scenari aperti e solari della prima raccolta si sostituiscono
gli interni protettivi, paragonabili al nido familiare di Pascoli. Al termine della
raccolta Clizia si ritira, simbolo di un’umanità minacciata dalla guerra, e al
poeta resta il compito di vigilare e testimoniare la storia. Nella raccolta “Bufera
e altro” (1956) il male di vivere viene inizialmente interpretato come male
storico, causato dalla guerra fascista e nazista. Montale condanna apertamente
gli orrori della guerra nella poesia “Il sogno del prigioniero”, dove la serie
d’immagini gastronomiche come “crac di noci schiacciate, un oleoso/ sfrigolìo
dalle cave, girarrosti/ veri o supposti” alludono alle torture e alle carni umane
bruciate nei crematori dei lager nazisti. La fine della guerra segna un clima di
ritrovata fiducia e ottimismo;ben presto però Montale percepisce la caduta di
ogni speranza e intuisce che non era quel particolare momento storico la causa
del male di vivere, ma era stata l’alienazione e la reificazione della società di
massa ad aver causato il tramonto della civiltà. Alla figura di Clizia si
sostituisce Volpe, la donna che rappresenta l’oggetto del soddisfacimento
fisico, legata alle dimensioni materiali di erotismo e quotidianità. Dopo dieci
anni di inattività Montale compone la raccolta intitolata “Satura” (1971) nella
quale recupera i miti del passato, e attraverso il procedimento della palinodia,
ironizza su quelle illusioni del passato di cui adesso si vergogna. La condizione
di angoscia e desolazione non è dovuta ad un particolare momento storico ma
è una condizione ontologica. Abbandona il tono alto che aveva caratterizzato le
prime raccolte ed adotta uno stile che alterna al parlato della prosa alcune
citazioni sublimi, a scopo straniante. Ai miti femminili di Clizia e Volpe si
sostituisce la figura domestica della moglie morta, chiamata Mosca. La visione
scanzonata e pungente della realtà, il tono disincantato, mostrano il distacco
cinico del poeta.
La studio di Freud sulla psicanalisi mosse un nuovo interesse nei confronti della
profondità della psiche e influenzò tutto lo scenario culturale, indirizzando la
ricerca dell’artista verso la psiche umana. La coscienza di uno stato di
"malattia" cui si contrappone come terapia l’introspezione, è il tratto rilevante
della personalità umana e artistica dello scrittore Italo Svevo. La coscienza di
uno stato patologico e nevrotico che impedisce di vivere la vita nel suo
svolgersi e la ricerca di una chiarificazione seria attraverso l’autoanalisi,
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accompagnarono l’esistenza dello scrittore triestino. Italo Svevo s’impegnò
nell’analisi della malattia dell’uomo moderno in una civiltà borghese ed
industriale, che egli condanna pesantemente poiché annulla l’individuo. Gli eroi
sveviani che si oppongono ad un sistema che spersonalizza e soffoca ogni
aspirazione (parallelismo con Pirandello) non possono che uscire sconfitti dalla
loro lotta, constatando la loro malattia, la loro inettitudine e la loro impotenza.
Il primo romanzo, “Una vita”, presenta la storia di Alfonso Nitti, un uomo
inetto, incapace di affrontare la vita tanto da rifugiarsi nella letteratura. Emilio
Brentani, il protagonista di “Senilità” presenta uno stato d’animo senile, che
nega la possibilità di sognare: il personaggio, riflessivo e titubante, si esclude
volontariamente dalle gioie della vita; il suo scontro con la società si conclude
nell’incapacità di vivere con gli altri, nell’isolamento e nella solitudine. Il terzo
romanzo, “La coscienza di Zeno”, è la trascrizione della coscienza in crisi
dell’uomo contemporaneo nella società borghese che lo schiaccia. Il romanzo si
presenta nella forma di un memoriale autobiografico che Zeno Cosini, il
protagonista, scrive su invito dello psicoanalista a scopo terapeutico. Tuttavia
Zeno non fa nulla per guarire; riempie solo il diario di menzogne, quasi a
descriverci l'inutilità della psicoterapia. Infatti, se per Freud la psicanalisi ha un
valore terapeutico, per Svevo essa è solo un mezzo conoscitivo. Zeno vorrebbe
uscire dal vizio del fumo, ma non vi riesce perché non vuole liberarsi dalla
malattia, che è per lui l’unica condizione esistenziale. Lo scontro individuo-
società non avviene più in modo frontale ed esterno, come nel primo romanzo,
ma è colto nella dinamica che esso scatena all’interno della coscienza del
protagonista. Proprio nell’analisi del conscio e del subconscio, nell’indagine dei
tortuosi meandri dell’anima Zeno cerca di superare le sue debolezze. Tuttavia,
mentre all’inizio la malattia sembra essere un fatto individuale, ben presto essa
si rivela un destino comune dell’umanità, alla quale nessuno può sottrarsi.
L’indagine di Svevo, da soggettiva e limitata ad un determinato tipo d’uomo,
finisce con il coinvolgere la vita in sé. L’inetto è il "malato" che osserva
lucidamente, portandola allo scoperto, la rete di mistificazione, inganni,
censure e rimozioni che il mondo dei "sani" ignora, per una sorta
d’autoinganno collettivo, con cui sostiene la sua visione ottimistica del
progresso, il suo vitalismo. Nei primi due romanzi la malattia porta alla
sconfitta: Alfonso Nitti si lascia uccidere ed Emilio Brentani si abbandona ad
una condizione simile all’atarassia mentale. Zeno invece assume
consapevolezza e distanza ironica: rivaluta la funzione positiva della malattia,
giustificando tutto ciò che è informe, aperto e diverso rispetto alla
convenzionalità della vita sociale. La malattia non è più il segno di una
sconfitta individuale, di un fallimento esistenziale, di una caduta nella lotta per
la vita, ma è il sintomo di un malessere connaturato al vivere e nello stesso
tempo la condizione imprescindibile per la rivelazione del senso della vita; la
malattia è un peso, un fardello doloroso ed è solo dopo averne riconosciuto il
carattere esistenziale e non patologico, e aver ravvisato in essa il sintomo di
una crisi generale di valori che tale fardello può essere trasformato in uno
strumento di conoscenza e di saggezza. La realtà del mondo è la malattia e la
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salute piena e innocente non è alla portata dell’uomo, specie di quello
contemporaneo. L’unica e ultima alternativa è la catastrofe ipotizzata nelle
pagine conclusive: l’uomo che ha inventato ordigni così straordinari e potenti è
destinato all’autodistruzione e alla catastrofe finale. L'uomo è ammalato così in
profondità che nessuna medicina lo può guarire. L'inguaribilità dell'uomo non
può cessare che con la scomparsa della specie umana; solo cosi,
paradossalmente, l'uomo si salverà. Da un punto di vista formale “La coscienza
di Zeno” presenta un nuovo impianto narrativo, chiamato tempo misto. Il
racconto non presenta gli eventi nella loro successione cronologica e lineare
come nei romanzi ottocenteschi; il flusso di coscienza spazia tra presente e
passato attraverso un continuo accavallarsi di flashback.
In the English literature Virginia Woolf represents the human being in crisis.
The premature death of the mother caused an oppressive atmosphere within
her family. She had nervous breakdowns: she became depressed and she
heard strange voices. When she started to write she was terrified of what the
others could think of her. Virginia Woolf married Leonard who was an
intellectual against Victorian beliefs. She was very happy with his husband but
she committed suicide. Her most important novel is “Mrs Dalloway”, which
presents a new prose style and some characters who are symbols of man’s
uncertainty. The main character is Clarissa Dalloway, the wife of a conservative
member of parliament. At the beginning of the novel Mrs Dalloway is buying
some flowers for the party that she is going to give that evening. While she is
walking in the street she thinks and remembers, so that present, future plans
and past flow into each other. While she is in the flower shop Lucrezia and his
husband, Septimus, are walking in the street. Septimus is a veteran of the war
and he was shocked by the death of a friend. When Clarissa comes back home
she meets Peter Walsh, the man she loved in her youth. Septimus is received
by a nerve specialist who says him to go in a clinic. At six p.m. Septimus
commits suicide jumping out of a window. All the characters who have been
important during the day are present at Clarissa’s party. When the nerve
specialist arrives Clarissa knows about the Septimus’s death. Characters
belong to upper class (doctors, lawyers, politicians). Time and place: the novel
takes place in a single day (a sunny day in June), in a small area of London
(Westminster district). Woolf makes use of cinematic devices as close-up and
flashback. Big Ben striking and clocks reminds the reader of the external and
objective time. Clarissa is fifty one years old. She feels need for freedom,
independence and peace to overcome her weakness. She is conscious of her
sexual frigidity and her ambivalence. Septimus is a very sensitive man in prey
to panic, fear and feelings of guilt. Septimus is shocked and haunted by the
spectre of his best friend Evans, dead during the war. He suffers of headaches,
insomnia and sexual impotence. During the plot there isn’t a direct relationship
between Clarissa and Septimus, but they are similar: their marriage are
founded on need rather than on love; they have sexual problems; both have
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psychological problems, but while Septimus commits suicide, Clarissa never
loses her awareness.
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destinato agl'Iddii pestilenziali.
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