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Matteo Albanese - Il Neo-Fascismo Una Categoria Analitica

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Il neo-fascismo una categoria analitica1

Introduzione

Il dibattito sulla natura del fascismo è estremamente ampio e si protrae da prima che il fascismo
stesso, come fenomeno storico, terminasse nel 1945. Nel corso di più di sette decadi storici, filosofi
e scienziati sociali si sono interrogati su cosa sia stato, su come sia cresciuto sia in termini
ideologici che di peso sociale, politico ed elettorale fino alla presa del potere. Gli storici ed
intellettuali di matrice marxista hanno sottolineato il legame tra borghesia e fascismo 2, altri si sono
soffermati sulla natura di massa del fenomeno fascista, De Felice ha cercato di spiegare i momenti
del fascismo, tra movimento e regime, Mosse ha sottolineato le radici culturali di un fenomeno
ancora differente, il nazismo. Autori come Griffin hanno indagato il legame tra nazionalismo
estremo e fascismo3, Linz ci ha lasciato l’importante distinzione tra regimi autoritari e totalitari 4;
negli ultimi anni, poi, sono fioriti studi di natura comparativa, come quello di Costa Pinto 5, e di più
forte tendenza transnazionale come quelli di Sanfilippo 6 sui fasci italiani all’estero e la politica di
espansione ideologica e culturale del fascismo italiano 7. Queste brevissime righe, che non vogliono
nemmeno tentare di assomigliare ad un’impossibile rassegna della letteratura, ci danno, però, il
quadro di un proliferare costante degli studi sul fascismo storico. Molto è stato fatto e, forse, molto
resta ancora da fare ma in ogni modo i tanti lavori sul fascismo continuano e offrono agli studiosi
un caleidoscopio di interpretazioni e di punti di vista. Da questo punto di vista possiamo
tranquillamente affermare che pur nelle differenze, a volte anche marcate, tra approcci il fascismo è
una categoria analitica. Questa sorte non è toccata al neofascismo. Il neo-fascismo, vuoi anche per
prossimità storica, è ancora un oggetto relativamente misterioso e che, sebbene sia stato studiato
molto, non è ancora assurto al rango di categoria analitica. Il neofascismo nasce, per lo meno in

1
Questo articolo è parte del mio progetto di post-dottorale finanziato dalla FCT presso l’ICS dell’Università di Lisbona,
numero: FRH/BPD/91213/2012,UID/SOC/50013/2013.
2
E. COLLOTTI, Fascismo, fascismi, Roma, Sansoni, 2004
3
R. GRIFFIN, The nature of fascism London, Routledge, 1993
4
J.J. Linz, An Authoritarian Regime: The Case of Spain in. E. Allard and Y. Littunen (edito), Cleavages, Ideologies
and Party Systems, Helsinki: Academic, 1964. Linz, Juan Josè, Totalitarian and Authoritarian Regimes, Boulder:
Lynne Rienner Publishers, 2000.
5
A. COSTA PINTO, Rethinking the nature of Fascism, London: Palgrave Macmillan, 2011. A. COSTA PINTO, Salazar’s
Dictatorship and European Fascism: Problems of Interpretation, New York, Columbia University Press, 1995. A.
COSTA PINTO, e A. KALLIS (edito da), Rethinking Fascism and Dictatorship in Europe, London: Palgrave Macmillan,
2014.
6
E. FRANZINA e M. Sanfilippo (edito da), Il fascismo e gli emigrati,La parabola dei Fasci italiani all'estero (1920-
1943), Laterza editore, Roma, 2003.
7
M. CUZZI, L' internazionale delle camicie nere: i CAUR, Comitati d'azione per l'universalita di Roma, 1933-1939,
Milan: Mursia, 2005.
1
Italia, tra il maggio del 1945 ed il dicembre del 1946 quando verrà fondato ufficialmente il MSI. È,
quindi, un fenomeno intimamente legato alla sconfitta; si potrebbe anzi dire che alcuni dei
personaggi chiave del neofascismo italiano, che per ragioni anagrafiche erano stati dei protagonisti
del fascismo storico, come Junio Valerio Borghese, preparino la nascita del neofascismo quando il
fascismo storico non è ancora ufficialmente morto. Credo che si possa intendere in questo senso
l’abboccamento avuto dal Comandante della Decima MAS con i servizi segreti americani, l’OSS,
nel tardo 1944.
Il neofascismo è, quindi, strettamente legato alla sconfitta ed alle sue precipitazioni politiche. La più
grande distinzione esistente tra fascismo e neofascismo è appunto questa: mentre negli anni che
vanno dal 1922 al 1945 il fascismo è un modello universalistico esportabile e parzialmente già
esportato, il neofascismo è costituito almeno inizialmente, da reduci che non si arrendono al mutato
contesto storico post bellico. Proprio all’interno di questa sconfitta il fascismo perde, parzialmente,
l’unità che gli era data dalla coincidenza tra partito e stato, e si frammenta in una galassia di gruppi
spesso in contrasto tra loro; le diverse anime da sempre presenti nel fascismo, in ogni sua
declinazione nazionale e culturale, esplosero sotto il peso dell’irrilevanza politica cui i fascisti
vennero destinati. È importante sottolineare che questo fenomeno si verificò, oltre che nei paesi
sconfitti durante la guerra mondiale, anche in altri contesti europei quali Spagna e Portogallo dove
regimi autoritari di matrice fascista restarono in piedi ben oltre il 1945, lo spazio per il fascismo
diminuì progressivamente. Il fascismo, dunque, si frammenta, esplode in una miriade di correnti e
di gruppi tra loro estremamente eterogenei e questo avviene a livello transnazionale. La riflessione
su cosa dovesse essere un fascismo “nuovo” si intreccia inevitabilmente con il reducismo dei molti
militanti che confluiscono nei differenti gruppi nati dopo il crollo del regime; dai Fasci di azione
rivoluzionaria fino, appunto al MSI. In questo dibattito come mostra in maniera efficace il testo di
Parlato, “Fascisti senza Mussolini”8, si incontrano e si scontrano alcune delle tendenze che
attraverseranno il neofascismo dalla sua nascita fino ai nostri giorni: il rapporto con la democrazia
ed il liberalismo, con il socialismo, con gli alleati vincitori e con le loro strutture che si stanno
attrezzando a combattere contro l’ex alleato sovietico divenuto ora il nemico comunista. Il libro di
Parlato ha l’enorme pregio di sottolineare una delle costanti della tensione che sempre ci sarà tra
MSI, partito istituzionale fuori dalle istituzioni, ed i gruppi extraparlamentari che sia per ragioni
ideologiche che tattiche, a volte le cose coincidevano altre meno, si muovevano alla sua destra. Sarà
così per tutto l’arco della storia del neofascismo italiano dal 1946 fino allo spontaneismo armato dei
NAR che, invece, sarà nettamente più distaccato in una spirale nichilista nella quale anche alcuni ex
militanti del MSI verranno coinvolti ma sempre a livello più personale che di organizzazioni

8
G. PARLATO, Fascisti Senza Mussolini: Le Origini del Neofascismo in Italia, 1943-1948, Bologna: Il Mulino, 2006.
2
politiche. Sarà la sconfitta e l’esclusione dall’ agone politico uno degli assi su cui si è mossa molta
letteratura, dal classico di Piero Ignazi, “Il polo escluso” che ha ripercorso la storia istituzionale del
MSI9 fino all’analisi delle culture politiche di “Esuli in patria” di Marco Tarchi 10 o alla raccolta di
testimonianze di Antonio Carioti nel suo “Gli orfani di Salò” 11 dove l’autore, nuovamente e
fortunatamente, tenta di riannodare quei fili della memoria che legarono molti militanti dei gruppi
della destra extraparlamentare con le vicende interne al MSI; su questa falsa riga, anche se con
taglio molto più memorialistico e giornalistico, troviamo la trilogia di Nicola Rao che raccoglie
interviste e vicende umane spesso molto preziose per lo storico. Tutti raccontano, a loro modo, di
questo sentimento di esclusione che veniva tramutato in un’opera collettiva e leggendaria in
un’autoesclusione di chi non fa compromessi e si ritrova stoicamente a lottare da solo contro il
mondo. Un mondo che, e sarà questa la seconda linea di interpretazione, va mondato, ricostruito,
vanno prima distrutti i falsi miti del liberalismo americano e del socialismo sovietico per poi
costruire il mondo nuovo. Questo processo, per molti a destra, aveva un solo nome: golpe. Il golpe
per una parte dei militanti della destra radicale diventa una specie di parola magica un po’ come
rivoluzione a sinistra. Ma i golpe, come le rivoluzioni del resto, non sono parole ma formule,
processi. Pensare al golpe vuol dire mettersi, almeno nello stato mentale, di poterlo realizzare e, di
conseguenza, pensare a come, quando e con chi, assodato che almeno sul perché una qualche
comunanza d’intenti la si trovasse nel contrasto al comunismo. Il comunismo stava vincendo e per
fermarlo, ed al contempo per creare le condizioni necessarie al ritorno dell’idea rivoluzionaria
fascista, bisognava, quindi, fare il golpe; già ma con chi? Con i cattolici conservatori? Con l’alta
borghesia? Con ufficiali ex-badogliani? Spalleggiati magari dagli odiati Stati Uniti? Ognuna di
queste domande si portava dietro dibattiti feroci, lunghe nottate di ragionamenti su tattica e
strategia, su terze vie possibili, probabili e, soprattutto, scissioni in seno a gruppi e partiti.
Soprattutto la questione dell’avvicinamento agli USA costituì argomento di dibattito aspro dentro il
MSI e poi tra i gruppi della destra extraparlamentare. La scissione del ’53 che dette vita al Centro
Studi Ordine Nuovo inizialmente su posizioni spiritualiste, contro l’accordo con i cattolici e anti-
americano lasciò il MSI nelle mani di un fautore della destra istituzionale come Michelini il cui
obiettivo era, tra gli altri, l’avvicinamento con i monarchici. La destra extraparlamentare, dunque,
nasce con una rottura su tematiche non tanto e non solo inerenti alle scelte che il MSI avrebbe
dovuto fare in Italia quanto sulla politica estera. L’equidistanza da USA e URSS era considerata un
marchio di fabbrica un elemento di purezza del fascismo che non poteva essere svenduto. Un altro

9
P.IGNAZI, Il polo escluso, Profilo storico del Movimento Sociale Italiano, Bologna: Il Mulino, 1989. P. Ignazi
Extreme Right Parties in Western Europe, Oxford: Oxford University Press, 2003.
10
M. TARCHI, Esuli in patria. I fascisti nell'Italia repubblicana, Milan: Guanda, 1995
11
A. CARIOTI, Gli orfani di Salò, Milano, Mursia, 2008.
3
testo, sempre di Carioti, “I ragazzi della Fiamma”, racconta in maniera dettagliata proprio il
processo di nascita di Ordine Nuovo dalla scissione del ’53. Uno degli aspetti centrali del testo di
Carioti, per altro ripreso anche da altri autori, risiede nell’analisi del comportamento politico dei
militanti giovani, della seconda generazione e di quale immaginario politico essi pongano sul
terreno del neofascismo. I militanti più giovani quelli che non avevano fatto in tempo a vivere la
guerra mondiale ma che crebbero con i racconti dei reduci di Salò, ed anche qui il parallelismo con
la Resistenza partigiana e la generazione che dette vita alla lotta armata a sinistra risulta essere
particolarmente suggestivo, erano sì affascinati dal fascismo storico ma allo stesso tempo erano
pienamente inseriti nel proprio contesto nazionale e, soprattutto, internazionale. Hanna Arendt ha
definito il movimento del ’68 il primo vero movimento globale della storia; i giovani si
confrontavano con un mondo che cominciava ad avverare le profezie di Mc Luhan diventando
sempre più villaggio. La televisione portava nelle case delle famiglie italiane le immagini della
guerra del Vietnam, delle resistenze contro la presenza coloniale francese in Algeria. La musica, i
film e i romanzi alimentavano una percezione di rivoluzione possibile. Una rivoluzione che poi
ognuno declinava a suo modo: la lotta contro l’imperialismo in nome dell’autodeterminazione dei
popoli poteva essere e fu interpretata a sinistra come cammino inarrestabile dei popoli verso il
comunismo mentre a destra il rinascere di sentimenti nazionalisti fu letto come la possibilità di
trovare un terreno per implementare la rinascita del fascismo. A questo aggiungiamo due dati
importanti: i movimenti di liberazione nazionale erano quasi sempre movimenti armati e
paramilitari e questo dato colpì chiaramente sia l’immaginario della sinistra extraparlamentare che
si rifaceva al mito delle guerriglie, sia quello dei neofascist da sempre sensibili alla tematica della
violenza come strumento principe della politica. Il secondo dato riguarda la sproporzione di forze;
le guerriglie vietnamite o algerine erano, chiaramente in forte inferiorità tattica rispetto agli eserciti
occidentali e questo senso di sprezzo del pericolo ricordava ai giovani neofascisti la ricerca della
bella morte di fascista memoria. Vi era, chiaramente, un che di romantico nel riguardare la Battaglia
di Algeri e pensarsi come parte di un processo globale di rivolta dentro il quale trovavano, più o
meno comodamente, posto Che Guevara, la Sorbonne occupata ed il movimento nazionalista
Tacuara, giusto per citare alcuni esempi. Non è un caso, quindi, se all’esplodere del movimento
studentesco i neofascisti sia in Italia che in Francia facciano parte di quello “stato nascente” come lo
chiamò Alberoni. In prima linea nel corteo e negli scontri con la polizia, durante quella che,
mitologicamente, sarebbe diventata la “battaglia di Valle Giulia” ci sono in prima fila i neofascisti
di Avanguardia Nazionale, sul tetto della facoltà di diritto alla Sorbonne durante le giornate del
maggio c’è un giovane ricercatore spagnolo, già membro di Falange, che ha radunato intorno a sé
alcuni militanti nazional rivoluzionari, Alberto Torresano. Non dobbiamo, però, pensare ad un

4
cambiamento antropologico ad una svolta culturale completa; il neofascismo assomiglia più a
quello che Chartier chiama “mentalità” che non ad una vera e propria ideologia. Manca, al
neofascismo, una visione d’insieme forte e unitaria. Questa caratteristica, che è insita nel processo
di frantumazione esplosivo nato dopo la guerra e dal confronto dei gruppi della destra radicale con
il contesto della guerra fredda, è stata sia il punto di debolezza di quell’area politica sia il suo punto
di forza. Sia chiaro i singoli gruppi erano estremamente ideologici, quello che sostengo è che l’area
neofascista nel suo complesso mancasse di una visione capace di portare unità di strategia. Questo
non ha impedito che quest’area fosse in grado di coordinarsi in alcuni momenti ma vuol dire anche
che questo coordinamento non superava le contraddizioni insite nelle visioni differenti di ogni
gruppo.
Le enormi contraddizioni che hanno attraversato il neofascismo gli hanno, allo stesso tempo, reso
possibile attrarre, ed essere attratti, da culture altre, di ibridarsi e di cercare nuove tattiche politiche
tenendo fermi, ovviamente, alcuni punti sui quali torneremo tra poco. Prima è centrale ricordare che
dentro queste contraddizioni troviamo, al netto di speculazioni intellettuali evoliane sul razzismo
spirituale, un razzismo ed un antisemitismo ancora radicato al punto che il primo europeo che
morirà in tempo di pace sarà il trentatreenne ingegnere Roger Coudroy, venne ucciso durante i
combattimenti il 6 giugno del 1968. Era un militante di Jeune Europe, organizzazione di cui
parleremo ampiamente nelle prossime pagine, ed era andato a combattere con i palestinesi i nemici
di sempre: gli ebrei. La retorica usata dal gruppo, e dallo stesso Coudroy in un filmato che ha
registrato pochi giorni prima di morire, è quella della lotta anti-imperialista contro un nemico non
solo spietato ma soprattutto usurpatore. Non c’erano nelle pagine del settimanale di JE, la Nation
Européenne, richiami diretti all’inferiorità delle razze ma il negazionismo sulla Shoà e le critiche
contro l’esistenza stessa dello Stato d’Israele sono la testimonianza, oltre alle traiettorie di alcuni
dei suoi dirigenti e del suo stesso fondatore, di come questo sentimento fosse rimasto radicato tra i
militanti della destra radicale. Non sarà, del resto, la sola JE a mantenere forti tracce del razzismo
biologico; lo stesso Ordine Nuovo, gruppo vicinissimo alle tesi evoliane, volantinava davanti e
dentro un cinema romano in cui si proiettava un film su di una storia d’amore tra una donna bianca
ed un uomo di colore. I casi sarebbero molti altri ma citiamo questi due solo per ricordare che la
questione del razzismo nella destra radicale ebbe sempre una sua centralità. Questo non è un saggio
sulla storia del razzismo nella destra radicale e rimandiamo per un approfondimento su questo
argomento specifico al testo di Francesco Germinario sulla cultura della Nouvelle Droite o allo
studio di Gianni Rossi su Evola ed il razzismo.
Le contraddizioni non le troviamo solo sul terreno ideologico ma, naturalmente, anche su quello
politico. È così che i rapporti tra gruppi neofascisti e MSI non furono mai facili ma nemmeno i

5
rapporti si interruppero mai. Possiamo parlare in questo caso di porte girevoli, o se si vuole di
“album di famiglia. Le contraddizioni esplodono in momenti differenti ed attraversano l’intera
storia del neofascismo; l’anti-imperialismo si richiamava direttamente alle posizioni mussoliniane
sulle nazioni proletarie ed in un mondo bi-polare schierarsi contro USA e URSS avvicinava il
neofascismo a terze posizioni e non-allineati. Allo stesso tempo, però, l’anticomunismo, viscerale e
sempre più radicale ad ogni conquista delle classi subalterne, era il vero collante di quel mondo così
variegato. Ed in nome di questo valore unificante furono molte, moltissime, le deroghe che i vari
gruppi fecero rispetto ad una proclamata purezza. I casi sarebbero innumerevoli ma ne citerò solo
alcuni per dare la misura di quanto questo elemento abbia contato. C’è il caso di Tazio Poltronieri,
accusato di aver partecipato ad alcuni contro-attentati italiani in Sud Tirolo contro i revanscismi
austriaci nel 1964, ed apparentemente aiutato ad espatriare ed a ricostruirsi una vita proprio dai
vertici del MSI nella persona di Almirante, allora all’opposizione dentro il partito. Secondo
Vinciguerra sarebbe stato, invece, Michelini a “prestare” giovani militanti al Sifar affinché questi
compissero gli attentati.
Secondo alcune testimonianze, soprattutto di Delle Chiaie, furono i vertici del MSI stesso a farlo
espatriare. Di sicuro sappiamo che il Poltronieri entra in Portogallo sotto falso nome e lavora per
molti anni in una radio della destra radicale che trasmette in diverse lingue. Lo stesso Poltronieri
intrattenne rapporti sia culturali che politici con Giano Accame. Accame arrestato durante una sua
visita in Angola dai servizi portoghesi finirà per collaborare con il regime salazarista inviando
report su quegli intellettuali che facevano propaganda contro la dittatura portoghese. Lo stesso Rauti
nel 1963 si reca a Lisbona per ottenere riconoscimento politico e denaro per Ordine Nuovo. Non
incontra direttamente Salazar ma entra in contatto diretto con la Legione portoghese e con i membri
dell’Aginter Press, ex ufficiali francesi che avevano aderito all’O.A.S.
Il caso dei contatti con la Spagna franchista è, forse, ancora più ricco e mi permetto di rimandare
all’ultimo libro che ho scritto congiuntamente ad un collega spagnolo e nel quale si analizza nello
specifico proprio questo importante “nodo” della rete internazionale neofascista.
Giusto per tirare un poco le somme possiamo dire che alcuni degli elementi centrali lungo i quali si
sviluppa il ragionamento e l’azione del neofascismo sono: la sconfitta come dimensione storica
contro cui bisogna lottare; l’alterità al sistema bipolare instaurato dalle due superpotenze e la
costante tensione tra splendido isolamento e anticomunismo militante; ed in ultima analisi quella
partecipazione ai movimenti di protesta che permettevano di inserire elementi di novità politica
nella lotta contro il comunismo avvalendosi di un discorso anti-imperialista.
L’aspetto interessante è che tutti questi elementi, che sicuramente non furono gli unici ma furono
estremamente importanti, rimandano ad una dimensione transnazionale mentre la letteratura

6
esistente ha privilegiato un approccio nazionale. Da Panvini 12 a Franzinelli, solo per citare i testi più
recenti, si è preferita una visuale più nazionale. Ci sono, in verità autori che hanno cercato di
inserire questi attori dentro un contesto più ampio, da Mammone 13 a Finchelstein14, ma la narrativa
predominante rimane ancora quella che conclude la storia del neofascismo italiano entro i confini
patri. Lungi dal voler essere una critica io credo che uno dei motivi che ha spinto molti autori a
volgere lo sguardo verso gli equilibri interni all’Italia ed alla sua storia sia quello di risolvere quella
che è stata chiamata l’anomalia italiana. Alcuni autori da Lepre in poi hanno definito gli anni ’70
come anni di “guerra civile strisciante”; al di là della felicità di un’espressione come questa, le cifre,
come dicevano Della Porta e Rossi, sono crudeli. Scorrendo il testo di Panvini il numero degli
attentati e degli incidenti, anche piccoli, danno il quadro di una situazione drammatica. Se a questo
si aggiungono gli interventi diretti ed indiretti di pezzi degli apparati dello stato, di uno stato
formalmente democratico, nell’opera di destabilizzazione delle istituzioni, si comprende la ragione
di questa scelta. Allo stesso tempo io credo che la dimensione transnazionale non solo possa essere
utile a ricostruire in maniera appropriata il contesto nel quale questi gruppi e quest’intera area
politica si muoveva ma sono convinto che la prospettiva politica di quegli attori fosse intimamente
transnazionale e che la nascita di quello che è stato definito un internazionalismo nazionalista sia
una delle chiavi interpretative che possono servire a comprendere a pieno gli eventi nostrani ed in
qualche modo offrire persino una chiave di lettura sul presente e la rinascita di nazionalismi
etnocentrici.
Per questo motivo il saggio che segue si concentrerà, prevalentemente, sulla dimensione
transnazionale di uno dei gruppi che componevano la galassia del neofascismo italiano: Jeune
Europe. Sono, infatti, convinto che le modalità con le quali questo gruppo strutturò la propria azione
politica furono paradigmatiche delle linee d’azione appena citate. In particolare mi soffermerò sulla
ricerca da parte di JE di un canale di comunicazione con i gruppi maoisti in nome del comune anti-
imperialismo e di come questo gruppo, che nasce non già come realtà federale ma come unità
transnazionale, sviluppi un ragionamento complesso e ricco, i cui echi possiamo ritrovare fino ad
oggi, rispetto a questioni quali gli equilibri internazionali, la geopolitica della guerra fredda e come
le rivendicazioni di libertà di quei paesi che imboccavano la via della decolonizzazione potessero
essere lette, interpretate e “agite” da parte di una destra neofascista che vedeva nella mobilitazione
delle masse un momento per ricostruire uno spazio politico antidemocratico.

12
G. PANVINI, Cattolici e violenza politica. L’altro album di famiglia del terrorismo italiano, Marsilio, 2015.
13
A. MAMMONE, E. GODIN and B. JENKINS, (eds.), Mapping the extreme right in contemporary Europe: from local to
transnational, Oxford, Routledge, 2012.
14
F. FINCHELSTEIN, Transatlantic Fascism Ideology, Violence, and the Sacred in Argentina and Italy, 1919-1945, Duke
University Press, Chicago, 2010.
7
Il golpe, la rivoluzione e la guerra fredda: il contesto

Jeune Europe nacque in Belgio nel 1962, fondata da Jean Thiriart all’indomani della guerra
d’Algeria appena perduta dalla Francia, sulla spinta di una riflessione sviluppata dallo stesso
fondatore sulla scorta del dibattito che in Belgio aveva suscitato l’indipendenza del Congo due anni
prima. Inizialmente, quindi, la posizione di JE fu quella di molte delle forze neofasciste e della
destra radicale europea che in nome di una retorica della nostalgia si opponevano ai processi di
decolonizzazione. Figlio di una famiglia socialista, Thiriart fu dapprima un militante socialista per
poi appassionarsi al nazional-bolscevismo. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale ed ancora
in pieno clima Ribbentrop-Molotov, il giovane Thiriart fa parte di un’associazione culturale e
politica chiamata “Amici del grande Reich tedesco”. Dopo la guerra verrà accusato e condannato
per collaborazionismo. Solo nel 1960, appunto, rientrerà sulla scena politica in occasione dei
processi di decolonizzazione ai quali, con il suo primo gruppo politico, il Movimento di Azione
Civica, si oppose15. Fu in questi due anni, tra il 1960 ed il 1962, che strinse contatti con militanti
dell’OAS16 in nome della comune battaglia contro le forze democratiche e comuniste che
promuovevano la libertà dei popoli colonizzati. Il colonialismo e le lotte contro la dominazione
straniera erano, però, un tratto diffuso e quasi globale della politica di quegli anni e Thiriart aveva
da subito l’ambizione di ricreare un’unità delle forze nazional rivoluzionarie che liberassero
l’Europa stretta nella morsa dello scontro della guerra fredda. Sarà in Italia nel marzo del 1962, e
nello specifico a Venezia, che Thiriart incontrerà i maggiori leader della destra estrema e radicale
europei convenuti per una riunione internazionale alla quale partecipò anche il MSI 17. Il convegno,
come altri prima di quello, fu un fallimento. Le varie organizzazioni non riuscirono ad andare oltre i
loro nazionalismi ed il meeting si concluse con una vaga e sterile assunzione di principi 18. È, quello
della inconcludenza dei primi meeting, un dato che va sottolineato: la sconfitta storica che aveva
quasi cancellato i fascismi dall’Europa, era, forse, troppo vicina perché le diverse anime di un
fenomeno così complesso potessero accogliere, da subito, l’ottica transnazionale proposta da JE.
Nonostante queste difficoltà JE cresce sia in termini numerici, anche se non sarà mai
un’organizzazione di massa, che in senso politico. La presenza, nel 1966, di ben 13 sedi in giro per
l’Europa, ci racconta quanto l’idea di Thiriart avesse colto alcune delle questioni che si agitavano
tra le giovani generazioni. Sarà, infatti, proprio tra i giovani che il gruppo farà proseliti e troverà

15
Per una rapida ricostruzione della biografia di Jean Thiriart si veda tra gli altri: Y. SAUVEUR, Jean Thiriart et le
national-communautarisme européen, IEP Paris, 1978
16
Organisation de l’Armée Secrète. O. DARD, Voyage au cœur de l’O.A.S., Perrin éditeur, Paris, 2005.
17
Su questa riunione si legga il verbale di polizia: ACS, M.I. DCPP, cat. G 1944-1985, busta 59.
18
F. FERRARESI, Threats to Democracy: The Radical Right in Italy after the War, Princeton University Press, Princeton,
2012.
8
forza; non sarà mai significativamente in grado di intaccare la generazione dei quarantenni, ma
diventerà piuttosto popolare tra gli universitari e gli studenti delle superiori che si posizionavano a
destra. Sono, questi, due dati importanti, l’età e la provenienza politica e culturale, per comprendere
quella realtà: JE sarà un gruppo giovanile, formato per la maggior parte da ex militanti della destra
tradizionale che in Italia, con l’MSI, vedeva naufragare la linea Michelini a fronte della nascita dei
primi governi di centro-sinistra19. A fronte degli indicatori positivi che segnano una crescita
importante per l'Italia, cresce anche una volontà di miglioramento delle condizioni di vita. Rispetto
a questo tumultuoso cambiamento della società italiana la risposta del sistema politico fu
rappresentata dalla difficile e travagliata nascita del centro-sinistra. Il MSI si trovò, dopo la
parentesi dei governi centristi e dopo il disastroso tentativo Tambroni, ai margini del campo
politico, di fatto un paria. Le critiche che già alcune anime del partito avevano espresso nei
confronti della linea Michelini, che prefigurava accordi con la DC, esplosero 20. Le aree più critiche
nei confronti di questa scelta erano appunto rappresentate da molti militanti delle organizzazioni
giovanili, ed è esattamente da quelle missine che arriveranno sia gli aderenti ad Ordine Nuovo, la
cui scissione dal MSI era avvenuta come detto nel 1953, che alla JE. Dalla Giovane Italia e dalle
altre organizzazioni studentesche del MSI arrivano molti dei quadri e futuri dirigenti di JE. Chi
aveva vissuto la guerra e la Repubblica di Salò non era, forse, pronto ad abbandonare quella casa, il
MSI, il cui intonaco era ancora fresco; i vecchi, forse, per quanto a volte delusi da alcune scelte,
pensavano dentro la loro sconfitta che il fascismo potesse sopravvivere come testimonianza o, al
massimo, come elemento golpista. Questo non precluderà ad alcuni elementi della vecchia
generazione di fungere da ponte e da riferimento culturale e materiale per le generazioni più
giovani. È questo il caso di Junio Valerio Borghese che, a capo dell’Associazione dei reduci della
Repubblica di Salò, offrirà ospitalità ad Avanguardia Nazionale nei locali dell’associazione stessa.
Il comandante della X MAS era guardato da quei giovani militanti, in rotta con Ordine Nuovo,
come un’icona, un esempio ed una guida. Lo stesso Borghese del resto viveva con insoddisfazione
la posizione del MSI. La posizione di Borghese rimaneva, certo, dentro una prospettiva golpista
mentre molti giovani della destra radicale italiana non ebbero immediatamente quella prospettiva,
alcuni poi non l’abbracceranno mai.
Vivevano, quei giovani, le stesse pulsioni antiautoritarie ed internazionaliste dei loro coetanei che
qualche anno più tardi avrebbero dato vita al movimento del 1968 21. Il messaggio di JE, da questo
punto di vista, fu per quella generazione una ventata d’aria fresca che spazzava via insieme al
19
L. NUTI, Gli Stati Uniti e l'apertura a sinistra. Importanza e limiti della presenza americana in Italia, Rome: Laterza,
1999.
20
P. IGNAZI, Il polo escluso, Profilo storico del Movimento Sociale Italiano, Bologna, Il Mulino, 1989.
21
G. PARLATO, La cultura internazionale della destra tra isolamento e atlantismo (1946-1954) in: Uomini e nazioni.
Cultura e politica estera nell’Italia del Novecento, a cura G. Petracchi, 2005, Udine, Gaspari, pp. 134-154.
9
nazionalismo borghese anche quel senso di sconfitta che ammantava la generazione dei quarantenni
e che i ventenni sentivano come un freno alle proprie aspirazioni rivoluzionarie. Siamo, qui, di
fronte all’ennesima contraddizione interna al campo politico della destra radicale; golpisti
rivoluzionari. Si può? Forse no ma ad ogni modo i militanti della JE non possono essere annoverati
tra i golpisti. In una delle lunghe interviste che mi ha concesso un militante fiorentino 22 che
attraversa l’Europa, dorme in ostelli e grazie alla spilla con la croce celtica, allora utilizzata solo da
JE, viene riconosciuto da altri militanti della sua area politica che lo accolgono. La poetica era
quella della vita on the road, Kerouac lo leggevano anche a destra così come molti militanti della
sinistra extraparlamentare avevano letto Viaggio al termine della notte di Celine, l’idea di libertà e
di ricerca della libertà era un tratto distintivo di quella generazione qualsiasi fosse il posizionamento
politico. Come ho cercato di sottolineare fin dalle prime righe di questo breve saggio le
contraddizioni facevano parte di un mondo che stava cambiando in maniera profonda e soprattutto
molto velocemente; così, ad esempio, i militanti della destra radicale erano ferocemente
anticomunisti, antiamericani per devozione alla memora, ma in Piazza San Babila i più temuti
picchiatori del neofascismo italiano vestivano occhiali da Ray Ban come segno distintivo!
Anticomunismo, dunque, e antiamericanismo; l’individualismo borghese era sentito come
intimamente avverso all’idealismo rivoluzionario di alcuni gruppi dell’area neofascista. JE fu il
gruppo che probabilmente meglio di altri riuscì ad esprimere una concezione compiuta di questo
ribellismo nazional-popolare che loro, a volte a ragione, riuscivano a rintracciare in battaglie anche
distanti tra di loro. Del resto la capacità di rintracciare un fattore globalizzante negli antri più
distanti del pianeta, dal nasserismo ai palestinesi fino ai vietcong ed il Tacuara, fu esattamente ciò
che spinse JE a pensarsi e ad agire fin da subito come movimento transnazionale. Altri gruppi del
neofascismo italiano compreso il MSI facevano parte, in modi differenti, di coordinamenti
interazionali, JE vuole superare questo aspetto, non cerca una forma di coordinamento. Rifacendosi
alla “fortezza Europa” di hitleriana memoria JE si pensa come un attore politico transazionale.
Questa tendenza culturale prende una svolta importante nel 1962. La Francia perde la guerra
d’Algeria, i militanti dell’O.A.S. sono ricercati e si danno a precipitose fughe per il continente.
Alcuni troveranno rifugio nel Portogallo salazarista, in Spagna, del resto il gruppo era stato fondato
a Madrid, ma anche in Italia e Sud America. Con il gruppo armato transalpino Thiriart avrà rapporti
fin dai primissimi mesi del 1960, ma sarà dopo la sconfitta dell’O.A.S. nel 1962 che il belga

22
Il racconto di Amerino Griffini sul suo viaggio zaino in spalla per l’Europa è stata la principale fonte d’ispirazione
che mi ha poi spinto a porre le stesse domande, rispetto all’appartenenza dei giovani di destra (d’ispirazione nazional-
rivoluzionaria) alla medesima sottocultura giovanile di quegli anni. Le interviste sono state 3 due di persona ed una
scritta durante il 2013 ed il 2014.
10
penserà ad integrare gli ex militanti del gruppo armato francese nella sua organizzazione 23. Secondo
le testimonianze di alcuni ex-militanti, già nel 1962 Thiriart si stava distaccando da una visione
classicamente colonialista per approdare anzi alla conclusione che l’autodeterminazione dei popoli
e le guerre di liberazione nazionale fossero necessarie per rompere la dicotomia USA-URSS e per
permettere, a quel punto, la rivoluzione europea. La speranza di Thiriart era quella di convincere gli
ex militari ed i loro simpatizzanti in Francia dell’inutilità della lotta per un piccolo nazionalismo e
della necessità di formare un unico fronte per la rivoluzione europea. Da un punto di vista
strategico, se questa operazione fosse andata in porto la JE si sarebbe potuta dotare di un vero e
proprio braccio militare. L’O.A.S. non era però un’organizzazione dotata di una visione politica
così ampia; il suo carattere transnazionale si fondava essenzialmente su ragioni tattiche, ma la sua
ragione d’essere risiedeva in un’idea imperiale quasi ottocentesca. Seppure l’O.A.S. seppe in una
certa misura distaccarsi dalla mera questione algerina, in special modo dopo la sconfitta del 1962,
molti dei suoi militanti decisero che non solo la politica dei blocchi non era in quel momento
scalfibile ma che andava presa una posizione24. L’O.A.S., così come molte altre sigle della destra
radicale ed estrema in Europa, nonché in Italia Ordine Nuovo, che pure aveva preso in passato
posizioni di equidistanza dalle due superpotenze, decise di schierarsi apertamente dentro il campo
occidentale25. Sarà, questa, un’altra rottura importante dei gruppi della destra radicale con le
posizioni di JE che, dal canto suo, non solo manterrà una visione di aperta critica ad entrambe le
superpotenze ma comincerà ad utilizzare apertamente la categoria leninista di imperialismo fin dalla
metà degli anni ’60. La critica aperta a quel fenomeno che a destra, un po’ per distinguersi dai
comunisti ed un po’ perché saranno i francesi della Nouvelle Droite 26 ad incominciare ad utilizzarla,
verrà chiamato mondializzazione, vede i suoi natali grazie a JE. In realtà questo aspetto sta dentro
ad un ragionamento più ampio che si faceva portatore di una battaglia contro il capitalismo e contro
la democrazia rappresentativa. Questi due aspetti, infatti, erano visti non solo come
indissolubilmente legati ma come precursori della vittoria del comunismo. De facto la Rivoluzione
francese aveva ribaltato il paradigma del tradizionalismo che voleva una società ordinata in caste e
con questa idea, tutta borghese, delle libertà politiche e dell’uguaglianza aveva spalancato pe porte

23
Su questa questione si veda R. MARCHI, La défense de I ‘Occident: la dernière tranchée pour l'extrême droite
européenne des années de guerre froide, in: O. DARD, Références et thèmes des droites radicale au XX siècle en
Europe, Peter Lang, Berne, 2015, pag. 273-301.
24
P. PICCO, Liaisons dangereuses: les extrêmes droites en France et en Italie (1960-1984), Presse Universitaire de
Rennes, 2016.
25
M. ALBANESE e P. Del HIERRO, A Transnational Network: The Contacts between Fascist Elements in Spain and
Italy, 1945-1975 in Politics Religion & Ideology, (2014) 15/1: 82-102.
26
R. GRIFFIN, Between metapolitics and apoliteia : The Nouvelle Droite's strategy for conserving the fascist vision in
the 'interregnum', in Modern & Contemporary France, (2000) 8/1, pp. 35-53
11
al pensiero marxista. Bisognava costruire un Ordine Nuovo retto da un ordine di credenti e
combattenti per parafrasare il nome ed il motto del gruppo fondato, appunto, da Pino Rauti.
Il nostro anticomunismo non è reazionario, cioè passivo. Noi non difendiamo i regimi democratici,
incapaci, mercantili, corrotti da un anacronistico egoismo di marca liberale (…). Noi non
vogliamo morire per la plutocrazia. Il nostro anticomunismo è rivoluzionario, cioè attivo; così
scriveva Thiriart in “Un impero di 400 milioni di uomini” il suo scritto forse più importante e
continuava: Né Mosca né Washington tra il blocco sovietico e quello americano noi vogliamo
costruire una grande patria comune, un’Europa unitaria, potente, comunitaria 27. In questo senso
l’equidistanza dalle due superpotenze intercettava non soltanto l’anticomunismo ma non rinnegava
l’antiamericanismo che tanto aveva influenzato sia le culture del fascismo storico e del neofascismo
sia quelle giovanili che si stavano imponendo. Si poteva essere rivoluzionai e di destra, si poteva
essere antiamericani e di destra, si poteva essere, in qualche modo internazionalisti e di destra. E su
questo livello va letta ed interpretata l’esperienza di collaborazione con alcuni piccoli gruppi di
tendenza maoista. Come dicevamo, dunque, i rapporti con il mondo della sinistra maoista ed in
generale non allineata ai sovietici avvengono sia a livello internazionale che in Italia. Sono questi
due terreni che tenterò di mantenere intrecciati non solo per coerenza cronologica e narrativa ma
anche perché in questa sincronicità tra azione delle singole branche nazionali dell’organizzazione e
capacità d’intessere relazioni internazionali importanti sta la specificità della JE e del neofascismo
tutto; in questa sua lettura della realtà internazionale come quadro imprescindibile all’azione locale
ed all’idea di una rivoluzione possibile solo se pensata ed agita in termini transnazionale risiede il
grande salto teorico che ci permette di definire JE come il primo vero tentativo del neofascismo
europeo di uscire dal nazionalismo come orizzonte ultimo dell’azione politica. Non siamo di fronte
ad un tentativo federativo come lo era stato quello del MSE (Movimento Sociale Europeo) o
dell’Internazionale Fascista del 1961 promosso da Ordine Nuovo. All’interno di quest’ultima
organizzazione confluivano di fatto sigle del fascismo revanscista di differenti paesi tra cui gli
Svizzeri di Nouvel Ordre Européenne, la “Gioventù di Sciller” di Bonn, i francesi del “Partito
Nazionale Sindacalista Francese, ed altri ancora; Rauti sarà membro della direzione di quel
coordinamento di forze che secondo un appunto piuttosto preciso della polizia italiana ricevevano
fondi da industriali austriaci ed austriaci oltre che dal Movimento Falangista spagnolo 28. Parimenti
altri tentativi vennero fatti negli stessi anni da parte di altre organizzazioni per costituire degli
organismi di coordinamento a livello internazionale; persino il MSI dopo il fallimento dei primi

27
ACS, Ministero degli Interni, Pubblica Sicurezza, Gruppi e movimenti, busta 27.
28
ACS, Ministero degli Interni, Gabinetto, 1967-1970, Busta 45. Il documento non riporta intestazione; è stato
protocollato il 13 aprile 1961 e si riferisce, infatti, ad una riunione di questa organizzazione avvenuta l’8 dello stesso
mese.
12
anni ’50 e del MSE (Movimento Sociale Europeo) partecipa attivamente alla riunione organizzata
da Sir. Mosley29 a Londra nel dicembre del 1960. Non fu quella del MSI una presenza di pura
facciata, il partito italiano decise, infatti, di inviare a Londra Filippo Anfuso che rappresentava il
suo esponente di punta per le relazioni internazionali 30. Alla richiesta di informazioni della questura
di Roma il MSI rispose che Anfuso avrebbe partecipato quel inviato per l’Associazione dei reduci
di Salò e non come membro del partito ma si comprenderà che la sfumatura è chiaramente una
piccola copertura per non essere tacciati in patria di avere relazioni con esponenti, come Sir.
Mosley, che erano ancora apertamente neonazisti 31. Per ricapitolare un poco rozzamente, dunque,
potremmo dire che per il neofascismo la dimensione internazionale era cruciale; l’equidistanza tra
USA e URSS in molti casi svaniva all’acuirsi dei conflitti, periferici e non, portatati dalla guerra
fredda. Allo stesso tempo per molti militanti e gruppi il filo-atlantismo era un aspetto tattico di un
ragionamento più ampio dentro il quale comunismo e liberismo andavano sconfitti in nome di un
ritorno ad una tradizione anti-democratica. In questo aspetto, forse, risiede una delle possibili chiavi
di interpretazione, e di superamento, della problematica relazione tra modernità e fascismo.

Turbo-reazionari

Nel suo The anatomy of Fascism, Paxton32 ha più volte sottolineato come la dicotomia tra ciò che il
fascismo diceva e ciò che ha fatto una volta al potere, dovesse interrogare gli storici in un costante
dialogo tra la fonte scritta e l’azione; in questa dialettica Paxton rintraccia alcune delle idiosincrasie
presenti nei regimi fascisti e cerca di allontanarsi sia da interpretazioni nominalistiche e riduttive sia
da quello che definisce un approccio idealtipico che rintraccia nel lavoro di Griffin. In questa
tensione, per altro già presente nel lavoro di Tasca che ebbe a scrivere che “il fascismo è quello che
fa, Paxton ricorda il tentativo del fascismo di sfuggire alla classica divisione destra-sinistra proprio
in nome di una lettura organicista della realtà sociale e politica. Il fascismo, però, ha degli obiettivi
dichiarati ma, soprattutto, dei risultati raggiunti, delle politiche implementate e, queste ultime,
disvelano in maniera piuttosto chiara la natura reazionaria dei regimi fascisti che non intaccarono
mai le forme borghesi e capitaliste di dominio del capitale sul lavoro. In questo caso, dice Paxton, ci

29
G. MACKLIN., Very deeply dyed in black: Sir Oswald Mosley and the resurrection of British fascism after 1945,
London: Tauris, 2007.
30
Filippo Anfuso era stato ambasciatore a Berlino ed a Madrid. Aveva intessuto durante la sua carriera diplomatica
rapporti importanti che portò in dote al MSI. La riunione in questione non rappresentò un punto cruciale della politica
estera del MSI né delle varie sigle del radicalismo di destra. CI serve, però, a comprendere meglio il quadro di relazioni
esistenti tra gruppi, partiti e singoli attori. ACS, M.I. Ufficio Affari Riservati 1957-60, busta 106.
31
I riferimenti in letteratura sono moltissimi. Tra i più esaustivi suggeriamo, S. DORRIL, Blackshirt: Sir Oswald Mosley
and British Fascism, Panguin, Londra, 2007, o per una visione più ampia P. J. Davies e P. Jackson, The far right in
Europe: an enciclopeida, Greenwood, Oxford, 2008.
32
R. PAXTON, The Anatomy of Fascism, Knopf, New York, 2004.
13
troviamo di fronte ad una delle molte aporie del fascismo: un pensiero socialisteggiante, ed una
retorica a tratti rivoluzionaria, che non trova alcuna ricaduta nelle politiche che, anzi, vanno a totale
discapito delle libertà civili e democratiche delle classi lavoratrici. Paxton cerca di risolvere
quest’aporia sottolineando come il fascismo fosse contrario alla mollezza politica delle borghesie e
come abbia contrastato l’etica individualista in nome di un nazionalismo che, però, non intaccava il
potere economico reale della borghesia. Da questo punto di vista la modernità rappresentava per il
fascismo un dilemma nel quale i regimi si tuffarono completamente. Se da un lato venivano
glorificati tempi passati, età dell’oro in cui le civiltà rurali erano espressione della tradizione pura di
un popolo e del suo spirito, dall’altro l’utilizzo delle tecnologie e l’amore per la macchina, la
velocità e la potenza si ergevano a marcare questa contraddizione. Una modernità, dunque, quella
fascista che andava sottomessa alla volontà politica per servire uno scopo etico e comunitario e non
già per affermare il primato della ricchezza individuale. La modernità non si esplicava, però, solo
nel rapporto con la tecnologia e nella relazione tra capitale e lavoro. C’è un terreno tutto politico
della modernità che il fascismo annichilisce: la libera associazione e partecipazione delle masse
popolari alla politica. Nel nome della sconfitta delle élite internazionali che sfruttavano i paesi
proletari come l’Italia la grande finanza, il complotto demo-pluto-massonico-giudaico, andava
sconfitto unificando la patria sotto una sola guida. I partiti, il frazionamento in interessi
particolaristici facevano il gioco del nemico indebolendo la nazione nella sua ricerca di grandezza e
prosperità. La società andava strutturata rigidamente e militarmente in modo da poter affrontare e
sconfiggere le potenze del grande capitale e del socialismo internazionale. Questi concetti,
contraddizioni comprese, saranno alla base del ragionamento del neofascismo nella sua lotta contro
la modernità con toni che ricordano in maniera sconcertante alcuni dei, cosiddetti, partiti populisti
che affollano la scena politica odierna. I partiti, o meglio il sistema dei partiti, verrà di volta in volta
additato come partitocrazia e casta fin dal 1963; il sistema finanziario e bancario accusato di essere
un’élite internazionale che lavora contro gli interessi del paese ed, ovviamente, il sistema
democratico non sarà altro che un cavallo di troia dal quale passerà il nemico ultimo, il comunismo.
In un documento di Giovane Europa si trovano queste poche righe che ci aiutano a comprendere
quanto radicata fosse l’idea che la democrazia rappresentativa fosse il vero nemico: Per una
democrazia nazionale contro la democrazia dei partiti: la democrazia dei partiti, la democrazia
parlamentare offre, dopo vent’anni, uno spettacolo vergognoso: prebende, corruzione, scandali; il
suo divorzio dal popolo è definitivamente consumato. Noi vogliamo una democrazia diretta,
gerarchizzata (…). Noi non vogliamo più la CASTA dei politicanti professionali 33. Rileggere oggi,
alla luce delle formazioni politiche che in nome di un nuovo nazionalismo predicano

33
ACS, Ministero degli Interni, Gabinetto, Gruppi e Movimenti, 1967-70, busta 386.
14
l’etnocentrismo, l’odio verso i migranti e una forma di democrazia che superi la rappresentanza ed i
partiti in nome di leader carismatici, e pensare che queste righe sono state scritte nel 1963 da uno
dei gruppi storici del neofascismo europeo, potrebbe, forse, far riflettere. La critica al sistema
democratico come endemicamente corrotto, l’idea che esistesse un popolo, in quanto corpo mistico
della nazione e, di conseguenza, unito e compatto, contro un’élite di politicanti professionisti, il
richiamo alla casta sono tutti elementi che la politologia contemporanea utilizza per indicare le
caratteristiche dei gruppi populisti34. Forse è quest’ultima una categoria che necessita uno studio un
poco più approfondito. La strategia del neofascismo, nel suo farsi forza transnazionale era chiara e
delineata ed in molti aspetti i movimenti che oggi criticano, da posizioni neo-nazionaliste e
sovraniste, la globalizzazione hanno, sicuramente delle filiazioni dirette con quei gruppi. Basti
pensare che, tra gli altri, uno dei militanti della JE era l’attuale parlamentare leghista Mario
Borghezio. Lo stesso MSI non era lontano da queste posizioni ed era in un contatto cosante con
questi gruppi. Nel maggio del 1963, ad esempio, si tiene una riunione internazionale alla presenza
di Sir Mosley, di Alfred Borth, allora capo della sezione austriaca di JE ed ovviamente di Thiriart. È
interessante notare come alla riunione, che sancì la confluenza di Giovane Nazione in JE, fosse
presente anche un rappresentante del MSI nella figura del conte Alvise Loredan 35; la presenza del
conte Loredan suggerisce non soltanto la volontà del MSI di controllare quello che avveniva alla
sua destra ma anche la presenza di un “filo nero” tessuto intorno a quella mentalità a cui si
accennava nelle prime righe di questo breve saggio; questo filo era fatto di relazioni tra gruppi e
spesso tra singoli che teneva in qualche modo insieme la galassia dei gruppi neo-fascisti in Italia ed
a livello transnazionale36. Del resto alla riunione dell’anno prima, 1962, a Venezia dove fu fondata
la branca italiana della JE erano presenti sia Rauti, allora presidente di Ordine Nuovo, che lo stesso
Mosley, Mellini Ponce de Leon per il MSI e lo stesso conte Loredan insieme a Thiriart e Adolf Von
Thadder ex esponente del regime nazista ed animatore dei gruppi della destra neonazista tedesca 37.
Caratteristica centrale di questa “mentalità neofascista” era, quindi, il rifiuto della modernità
politica, la fede in un ordine gerarchico di natura tradizionale che doveva ribaltare ciò che l’egalité
di giacobina aveva ribaltato. La disparità era, ed ancora è, fattore “naturale” che se tradito porta alla
decadenza.

34
Mi riferisco in particolare agli studi di Cas Mudde; sull’approccio dello studioso olandese molto ci sarebbe da dire
(come l’idea che il populismo sia un fenomeno contemporaneo e che cominci negli anni ’80!). Non è questo il luogo per
un’analisi critica degli scritti di Mudde. Rimandiamo alla lettura di uno dei suoi testi: C. MUDDE, Populist radical right
parties in Europe. Cambridge, UK New York, Cambridge University Press, 2007
35
ACS, Ministero Interni, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, 1960-1966, busta 19.
36
A. MAMMONE, The transnational reaction to 1968: Neo-fascist national fronts and political cultures in France and
Italy. in Contemporary European History, 17/2 (2008), pp. 213-236.
37
M. DANESE, G. BETTIN, La strage. Piazza Fontana Verità e memoria, Feltrinelli editore, Milano, 1999, pag.77
15
La violenza e le armi.

È chiaro che parlare di neofascismo, e di radicalismo in generale, implica domandarsi che rapporto
avessero questi gruppi con la violenza. Parlando nello specifico di Italia ho già ricordato nelle prime
pagine del saggio che la specificità italiana è quella di essere stato il solo paese democratico ad aver
fatto registrare un numero di morti e feriti per via di scontri, attentati dinamitardi e veri e propri
assassini di natura politica, incredibilmente alto. Abbiamo già ricordato il testo di Panvini ma anche
Della Porta ed altri autori hanno riportato con precisione le cifre; cifre che parlano di una netta
preponderanza, in termini di persone colpite, degli attentati compiuti dalla destra rispetto alla
sinistra extraparlamentare. A questi numeri si aggiunga che l’Italia vive in poco più di un decennio,
dal 1962 al 1974, tre tentativi di golpe autoritario. Erano reali le minacce all’ordinamento
democratico? Si trattava solo del “tintinnar di sciabole” per fermare i progetti di riforma più
importanti del centro-sinistra38? È piuttosto probabile che la seconda lettura sia quella più
verosimile: il Piano Solo, il golpe borghese del 1970 ed il golpe bianco del 1974 progettato da
Edgardo Sogno molto probabilmente non sarebbero mai nemmeno partiti e, quasi certamente, non
avrebbero avuto successo39. Inutile dire, però, che questo nell’Italia di allora nessuno lo sapeva ed è
sufficiente sfogliare i giornali di quei mesi per accorgersi di quanto l’opinione pubblica fosse
allarmata dal clima di tensione sociale e politica, dai continui scontri, dagli attentati e dalla nuda
cronaca che a scadenza quasi quotidiana snocciolava il numero dei feriti e nel peggiore dei casi dei
morti quasi fosse un bollettino di guerra. Ancora è sufficiente una veloce visita all’archivio Gramsci
di Roma per comprendere quanto persino il PCI, un partito dotato di una struttura informativa e di
controllo del territorio piuttosto “pesante”, prestasse credito ai movimenti golpisti e stragisti del
neofascismo nostrano. Sarebbe impossibile enumerare qui gli attentati ed i tentativi di golpe;
ognuno di quegli avvenimenti è stato studiato sia singolarmente sia come parte di una strategia
complessiva più ampia40. Un tratto importante che tutta la storiografia ha riconosciuto
nell’approcciare la stagione delle stragi, da Piazza Fontana 41 a Bologna, è il tratto marcatamente
transnazionale dell’azione dei gruppi eversivi del neofascismo nel progettare e compiere quelle
stragi42. Anche coloro i quali si sono concentrati sull’avvenimento in sé non hanno potuto non
mettere in risalto questo aspetto; forti delle risultanze delle investigazioni e degli atti processuali,
38
M. FRANZINELLI, Il Piano Solo, Milan: Mondadori, 2009.
39
F. BISCIONE, Il sommerso della Repubblica. La democrazia italiana e la crisi dell'antifascismo, Milano, Bollati-
Boringhieri, 2003.
40
R. CHIARINI, e P. CORSINI, Da Salò a Piazza della Loggia: blocco d'ordine, neofascismo, radicalismo di destra a
Brescia (1945-1974), Milan: Franco Angeli, 1983.
41
C. CEDERNA, Una finestra sulla strage, Milano, Il Saggiatore, 2009; A. CENTO BULL, Italian Neofascism: the
strategy of tension and the politics of non reconciliation. Oxford: Berghahn Books, 2007.
42
M. FRANZINELLI, La sottile linea nera, Neofascismo e servizi segreti da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, Milan:
Rizzoli editore, 2007.
16
oggi fonte principale per lo storico che intenda confrontarsi con quel periodo e quegli avvenimenti,
gli storici hanno sottolineato come la Spagna di Franco 43, il Portogallo di Salazar, la Grecia dei
colonnelli, gli USA e moti altri attori siano entrati a pieno titolo nel determinare la strategia di
quella stagione politica. Data l’impossibilità di addentrarmi in un saggio su quegli avvenimenti
quello che intendo fare in questa ultima parte è di mostrare come il terreno dei contatti
transnazionali si rivelò centrale nella scelta di tante organizzazioni e militanti di abbracciare una
strategia terrorista. Questa strategia non nacque, com’è ovvio, il 12 dicembre 1969 e non si sviluppò
esclusivamente entro i confini nazionali. Nuovamente JE ci fornisce, nella sua traiettoria politica, un
esempio molto interessante di come determinate teorie incontrarono la galassia neofascista e dome
quest’ultima le recepì.
Jeune Europe non fu un gruppo armato. Si hanno frammentarie notizie di campeggi e di
addestramenti fintamente paramilitari44; ma il gruppo non si dotò mai di una vera e propria struttura
paramilitare. Aveva, è vero, un servizio d’ordine ma non ha mai avuto la preparazione adeguata a
diventare uno strumento d’offesa. Non si registrano, infatti, almeno in Italia episodi di violenza
perpetrati da JE. Rimaneva, però, JE un’organizzazione con una volontà rivoluzionaria; per fare le
rivoluzioni la volontà da sola non è sufficiente, servono, almeno, spazio politico, addestramento ed
armi. Lo spazio politico lo si conquista contendendolo alle organizzazioni concorrenti. Dentro la
galassia del neofascismo JE tentò di posizionarsi come sola realtà che non aveva ceduto alle sirene
dell’anticomunismo di marca USA. Era stato lo stesso Pino Rauti, infatti, a spiegare la scelta
occidentale del supporto agli Stati Uniti nella guerra del Vietnam paragonando sulle colonne del
giornale del gruppo i marines ai centurioni romani che portarono la civiltà con le armi 45. JE, quindi,
è un’organizzazione rivoluzionaria che, però, nonostante una struttura organizzativa piuttosto
rigida,46 non aveva né gli strumenti né l’esperienza per fare alcuna rivoluzione. Come coniugare
l’esigenza di rimanere fedeli alla linea anti-imperialista, internazionalista ed antiamericana e trovare
il modo di addestrare i propri quadri? Fu a partire dal 1965 ed in particolare durante un lungo
viaggio nel 1966 che toccherà molti dei cosiddetti paesi non-allineati che Thiriart cercherà di
sciogliere questo duplice nodo. E questa sua rinnovata attenzione verso queste realtà non mancò di
manifestarsi sia sulle pagine del giornale che nella linea politica dell’organizzazione compresa la
sua sezione italiana.

43
A. BOTTI, “El neofascismo italiano en la segunda postguerra y la derecha actual” in M. Pérez Ledesma (ed.), Los
riesgos para la democracia. Fascismo y neofascismo, Madrid: Fundación Pablo Iglesias, 1997
44
ACS, M.I., Direzione Affari Riservati, 1957-60, busta 110.
45
N. RAO, La fiamma e la celtica. Sessant’anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, Sperling e Kupfer
editore, Milano, 2006, pag.105.
46
L. MICHEL, op. cit., la definisce addirittura leninista. In realtà nel corso delle interviste da me svolte con i dirigenti
italiani è stato sì detto che l’organizzazione era una priorità di Thiriart ma anche che le varie branche nazional, pur
condividendo le linee del progetto politico, godevano al fine di una qualche libertà.
17
La “Nation Européenne” si apre a contenuti scritti dalle agenzie romene e jugoslave 47 e per tutto il
1966 sono svariati gli articoli che si occupano delle questioni legate allo sviluppo del modello
romeno e jugoslavo di comunismo individuato da Thiriart come l’antesignano del nazional-
comunismo su base europea che la JE avrebbe dovuto costruire. I contatti non sono solo fitti ma
avvengono ad alti livelli al punto che Thiriart chiede ed ottiene da membri del Partito comunista
romeno di fare da mediatori per un incontro che vorrebbe avere con Zhou Enlai che già da tempo
era Primo ministro del governo cinese. Thiriart chiese ai cinesi di condividere la visione di
un’Europa comunitaria unita contro gli US ed a questo proposito domandò a Zhou l’appoggio per la
formazione militare e supporto tattico per i futuri rivoluzionari europei. Stando al report della
riunione riportato dallo stesso Thiriart ai dirigenti della JE e confermatomi durante le interviste, al
di là dell’articolo ufficiale a firma Thiriart uscito sulla stampa di JE 48, il leader cinese non obiettò, in
primissima battuta, a questa richiesta del suo interlocutore ma la trattativa si arenò quando Zhou
chiese l’aperta abiura del fascismo da parte di JE. Era questa una richiesta che, ovviamente, non era
possibile esaudire per Thiriart ed i suoi 49. JE, insomma, attraverso il suo leader riesce ad intrattenere
relazioni con il governo romeno, con una delle più alte cariche del governo cinese oltre che con la
Jugoslavia e, come vedremo, con importanti leader arabi e mediorientali. Il nazi-maoismo
sembrerebbe essere stato non solo una abile operazione di disinformazione messa in opera da
Avanguardia Nazionale50 o una categoria creata ex-post bensì un’effettiva, anche se minoritaria,
tendenza di una parte della destra neo-fascista non solo italiana. Dentro questa galassia, animati
dalla stessa mentalità, trovavano posto nazionalisti e anticomunisti di estrazioni differenti come, ad
esempio, alcune correnti del nazionalismo arabo. Fu così che JE riuscì ad instaurare rapporti politici
in Medio oriente e Nord Africa. Si volse verso l’altra sponda del Mediterraneo guardando alle lotte
di liberazione dei paesi arabi, soprattutto dei palestinesi ed intrecciò contatti con i governi socialisti
del Medio Oriente dall’Egitto all’Iraq. L’idea di Thiriart era chiara formare le sue “Brigate europee”
nel fuoco delle guerriglie arabe per poi far tornare sul suolo europeo dei guerriglieri pronti
all’insurrezione. Fin dall’autunno del 1967 JE prende contatti con il FNL algerino attraverso Gilles
Munier, ex membro dell’OAS, che organizza i primi incontri tra il direttore della Nation

47
L’intera annata 1966 ospita diversi articoli di Thiriart sulla questione del nazional-comunismo e riprende articoli
dell’agenzia di stampa romena. In particolare i numeri 10-11 e 12 raccontano nel dettaglio il viaggio di Thiriart in
Romania. Gli originali li ho potuto visionare durante l’intervista con Claudio Mutti. SI veda altresì su questo punto: F.
BALACE e altri: De l'avant à l'après-guerre: l'extrême droite en Belgique francophone, De Boeck université, Bruxelles,
1994.
48
Si vedano gli articoli usciti a firma Thiriart su La Nation Européenne, nr. 10, ottobre 1966. "L'erreur stratégique de
Mao" e "Les déceptions d'un chef communiste", nr. 13, gennaio 1967, p. 8
49
Intervista concessa all’autore da Claudio Mutti presso la sua abitazione di Parma il 31 marzo 2015.
50
L’operazione manifesti maoisti messa in atto a Roma è documentata da carte d’archivio oltre che ricordata dallo
stesso Delle CHIAIE nel suo ultimo libro, op.cit., pag. 68.
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Euroopeénne e Cherif Belckacem allora coordinatore del segretario esecutivo del FLN 51. I contatti
proseguono a lungo fino al viaggio che Thiriart, congiuntamente con Bordes, farà ad Algeri
nell’aprile del 1968. In quel frangente Thiriart chiede espressamente di poter far combattere i suoi
uomini e di addestrarli su suolo algerino52. Dopo la morte di Coudroy alcuni dei dirigenti algerini
posero un freno alle trattative con JE ma Thiriart non si diede per vinto e continuò a viaggiare;
nell’autunno del 1968 parte per incontrare Nasser a Il Cairo. L’incontro avvenne, ma nuovamente le
richieste di formare ed addestrare delle brigate europee furono respinte come successe anche in
Iraq. Thiriart rilascia interviste a giornali iracheni ed a radio libanesi, i ministri ed i funzionari dei
regimi socialisti lo ricevono e lo incoraggiano ma non si muoveranno mai per appoggiare
fattivamente i suoi piani per fare la rivoluzione comunitaria in Europa contro USA e URSS 53.
Bisogna però sottolineare come ancora una volta la posizione antisionista di JE seppe reinterpretare
i sentimenti antisemiti presenti in tanti militanti della destra radicale forse frustrati dalla linea
ufficiale del MSI nel suo discorso pubblico rimase sempre piuttosto vago onde evitare di inimicarsi
ampie fasce dell’opinione pubblica a pochi anni dalla fine della guerra mondiale, soprattutto, dalla
Shoah. Vanno, infatti, ricordati i trascorsi negazionisti di Thiriart ed i continui richiami alla guerra
contro l’esistenza stessa di Israele sulle pagine delle pubblicazioni legate alla JE. Fu appunto JE a
reintrodurre in modo pubblico ed aperto questo discorso che fece presa su molti giovani neo-fascisti
che non avevano dismesso l’armamentario antisemita dei vecchi regimi. Ci sarebbe semmai da
chiedersi, non in questa sede, se i contatti di Thiriart nel mondo baathista non fossero in qualche
modo collegati ai molti ex nazisti che trovarono rifugio presso quei paesi54.

Conclusioni.

Come ha detto lo storico Franco Cardini, militante della JE, l’idea di un Europa imperiale aveva
sedotto sia Napoleone che Hitler fino a Drieu la Rochelle, autore molto amato dai giovani
neofascisti degli anni ’60. La fortezza Europea del nazismo torna in salsa geopolitica nelle
riflessioni di JE ed attrae giovani studenti che non si rassegnano al MSI. Da questo punto di vista il
tentativo di JE di riunire in un solo pantheon tutti coloro i quali si battevano contro il capitalismo è
una tendenza che possiamo ritrovare anche oggi: basti pensare all’appoggio di gruppi quali Forza
Nuova al bolivarismo di Chavez, o ai richiami dei neofascisti di CasaPound a figure come Che
51
La notizia viene citata da L. MICHEL, op.cit., e mi è stata confermata da Amerino Griffini durante l’intervista per
iscritto che mi ha concesso
52
Le notizie sono interamente riportate su La Nazione Europea che ho consultato presso gli archivi privati dei militanti.
Tutte le informazioni mi sono poi state confermate nel corso delle interviste.
53
Un lungo reportage di questo viaggio è disponibile sul numero del 28 novembre del 1968 de La Nation Europeènne.
54
Si veda ad esempio su questo il libro di M.A. LEE, The beast reawakens: Fascism's Resurgence from Hitler's
Spymasters to Today's Neo-Nazi Groups & Right-wing Extremists, Routledge 2000.
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Guevara, alla fascinazione per la Russia di Putin e per il siriano Assad 55. Jeune Europe, da questo
punto di vista, è stata la prima organizzazione neofascista a riprendere in mano l’idea che il nemico
principale per i neofascisti fosse il capitalismo individualista. Ancora prima che la globalizzazione
divenisse prassi quotidiana e che i socialismi reali crollassero JE inventa un’area politica che
permette al neofascismo di presentarsi sotto un aspetto combattentistico e rivoluzionario e di
mettere la sordina agli aspetti più controversi della dottrina fascista come il razzismo. Questo non
cancellò quella cultura diffusa e quelle pratiche quotidiane di tipo razzista ed etnocentrista che
erano fortemente radicate nel pensiero dell’estrema destra. L’antisemitismo biologico incontrò le
teorie evoliane e quelle dell’ultra-cattolicesimo. La lotta contro il comunismo si intrecciò con una
critica feroce alla democrazia rappresentativa tutta; infine lo stesso concetto di tradizione si sposò
ad un nazionalismo di stampo internazionalista che prevedeva il sostegno alle lotte di liberazione
come strumento unico per contrastare un trend, quello della globalizzazione, che minacciava società
meticce. Sono questi i tre terreni intorno ai quali il neofascismo che si sviluppa tra la metà degli
anni ’50 in poi articola un discorso politico complesso e che giunge fino a noi sotto le spoglie di
partiti e movimenti che, forse, in maniera frettolosa vengono etichettati come populisti ignorandone
la storia ed il percorso. Sono convinto che la lettura dei recenti fenomeni che alcuni autori hanno
definito come post-democrazia o populismo potrebbero essere meglio inquadrati grazie allo sforzo
interpretativo di questi tre assi: etnocentrismo, avversione per la democrazia rappresentativa e neo-
nazionalismo. In questo senso questo breve saggio può rappresentare un primissimo tentativo di
riflessione su come il neofascismo possa essere utilizzato come categoria analitica non solo del
recente passato ma anche di alcuni frammenti di presente.

55
M. ALBANESE, G. BULLI, P. CASTELLI, C. FORIO, Fascisti di un altro Millennio? Crisi e partecipazione politica in
CasaPound Italia. Bonanno Editore, 2013
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