SPIRITUALITÀ LAICALE
Prof. Vicente Bosch
Lezione 10. Chiamata universale alla santità e vocazione laicale
Come abbiamo segnalato nelle lezioni introduttive, la vita spirituale cristiana si
sviluppa in conformità a certi elementi costitutivi fissi, essenziali, radicati nella creazione – la
tendenza alla crescita nel tempo e nel mondo – e nella Rivelazione – rapporti con Dio Padre,
con Cristo, con lo Spirito Santo, con Maria e con la Chiesa – e ad altri componenti variabili
relativi all’irripetibile singolarità della persona – modi di essere e di rapportarsi –, alle proprie
circostanze socio-culturali e alla sua collocazione e missione nella Chiesa. Dicevamo che la
spiritualità è una e multiforme: identificazione con Cristo e vita dello Spirito concretizzata ed
sperimentata in ogni cristiano. La vocazione e missione di ogni cristiano nella Chiesa segna
profondamente la sua vita spirituale. In questa linea, un sacerdote non può costruire la propria
santità – vivere la sua vita spirituale – al margine della sua configurazione con Cristo Buon
Pastore e del suo ministero, e nemmeno un religioso può edificare il suo rapporto con Dio
prescindendo dal volontario distacco dal mondo, dall’annunzio escatologico e da una vita in
comune secondo precise regole e costituzioni. Ugualmente, nemmeno un laico può fare a
meno di osservare i suoi obblighi di stato – impegni famigliari, di lavoro e sociali – nel
condurre cristianamente la propria vita. In altre parole, l’inserimento del laico in mezzo al
mondo e alla società, per agire «dall’interno, a modo di fermento»1, condiziona e segna i suoi
rapporti con Dio, cioè, la sua vita spirituale.
1. LA CHIAMATA UNIVERSALE ALLA SANTITÀ
Lo Spirito Santo ha illuminato la vita dei fedeli del nostro tempo con l’abbondante e
ricca dottrina del Concilio Vaticano II e ha suscitato nella Chiesa nuovi carismi e forme di
aggregazione per concretizzare e rendere visibile la vita dello Spirito. Tra queste dottrine
possiamo evidenziare la chiamata universale alla santità, fondata sulla uguale dignità di figli
di Dio di tutti i membri della Chiesa, e la valorizzazione teologica del mondo e delle realtà
terrene, considerate oggetto della missione della Chiesa e luogo d’incontro con Dio. Tra
queste due dottrine c’è un profondo legame. Infatti, non si potrebbe proclamare la santità per
tutti – universalità soggettiva – se non è affermata in precedenza una universalità oggettiva
riguardo ai mezzi di santificazione e alle condizioni di vita: «Tutti quelli che credono in
Cristo saranno quindi ogni giorno più santificati nelle condizioni, nei doveri o circostanze che
sono quelle della loro vita, e per mezzo di tutte queste cose, se le ricevono con fede dalla
mano del Padre celeste (…)»2. Le parole «per mezzo di tutte queste cose» fanno riferimento ai
tre lunghi paragrafi precedenti in cui si descrivono i vari generi di vita, categorie dei fedeli e
situazioni particolari – vescovi, presbiteri, genitori, sposi, vedovi, celibi, infermi, poveri,
tribolati, ecc. – che configurano diverse modalità o vie di santificazione.
1
CONCILIO VATICANO II, cost. Lumen gentium, n. 31/b.
2
Ibidem, n. 41/g.
1
Le affermazioni sulla chiamata universale alla santità contenute particolarmente – ma
non soltanto – nel capitolo quinto della costituzione Lumen gentium sono presentate come
un’esigenza connaturale alla nostra appartenenza alla Chiesa: «Cristo, per adempiere la
volontà del Padre, istituì la Chiesa (...) in cui si realizza l’unità dei credenti formando un solo
corpo in Cristo e perciò ‘tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo’ (LG 3). Lo
Spirito Santo fu inviato ‘per santificare continuamente la Chiesa e affinché i credenti avessero
così attraverso Cristo accesso al Padre in un solo Spirito’ (LG 4). In riassunto, la Chiesa nasce
dalla santità di Dio e per la santità degli uomini»3. Pertanto, la Chiesa è fornita dei mezzi di
salvezza – i sacramenti – che permettono ai cristiani di vivere in tensione verso la perfezione
della santità:
«Muniti di salutari mezzi di una tale abbondanza e d'una tale grandezza, tutti i
fedeli d'ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una
santità, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste» (LG 11).
Possiamo dedurre che nell’argomentazione della dottrina sulla chiamata universale
alla santità i padri conciliari hanno fatto leva su tre motivi:
1) Motivo cristologico: «Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni
perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella
santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: ‘Siate dunque perfetti come è
perfetto il vostro Padre celeste’ (Mt 5, 48)» (LG 40).
2) Motivo ecclesiologico: Cristo santificò la Chiesa e diede se stesso per essa, l’ha
unita a sé come suo corpo e l’ha riempita col dono dello Spirito Santo. «Perciò tutti nella
Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla
santità, secondo le parole dell'Apostolo: ‘Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione’ (1 Ts
4, 3; cfr. Ef 1, 4). Orbene, questa santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve
manifestare nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli (…)» (LG 39).
3) Motivo sacramentale: «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro
opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel
battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina,
e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l'aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con
la loro vita la santità che hanno ricevuto» (LG 40). La chiama alla santità si realizza, pertanto,
tramite la ricezione del Battesimo. Perciò, la grande sfida della Chiesa è far sì che tutti i
cristiani siano consapevoli di essere stati chiamati alla santità.
Un ultimo punto della dottrina conciliare fa riferimento al multiforme esercizio della
santità: «Se quindi nella Chiesa non tutti camminano per la stessa via, tutti però sono chiamati
alla santità e hanno ricevuto a titolo uguale la fede che introduce nella giustizia di Dio» (LG
32). Insegna il Concilio che la santità è una per tutti i cristiani, ma non è identica:
«Nei vari generi di vita e nei vari compiti una unica santità è coltivata da quanti
sono mossi dallo Spirito di Dio (…). Ognuno secondo i propri doni e uffici deve senza
indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per
mezzo della carità» (LG 41).
Questo testo è importante perché indica la condizione di vita come causa della
diversità nella santità: «il cristiano si santifica non già malgrado i doveri del suo stato, quali
essi siano, come se fossero qualcosa di marginale e, per esempio, aggiungendo ad essi degli
3
V. BOSCH, El valor programático de la santidad. Una clave hermenéutica del Concilio Vaticano II, a 40 años
de distancia, «Annales theologici» 19 (2005), p. 178.
2
esercizi più o meno numerosi di pietà e di ascesi; egli si santifica innanzitutto e primariamente
nel e attraverso il compimento di questi doveri (…)»4. Infatti, non sembra concepibile che il
cristiano possa santificarsi al margine della situazione esistenziale in cui Dio lo colloca.
La dottrina conciliare sull’universalità della chiamata alla santità fu accolta con
giubilo nell’immediato post-concilio, ma non fu accompagnata dall’opportuno
approfondimento teologico ed è ancora in corso la sua lenta e travagliata assimilazione5.
Affinché la proclamazione della vocazione universale alla santità non sia ridotta a una
semplice esortazione devota né a una mera funzione introduttiva ai trattati dei diversi stati di
vita, occorre facilitare una maggiore comprensione del significato e delle conseguenze della
dottrina conciliare e delle questioni teologiche a essa connesse. Non possiamo qui trattenerci
in questo compito, ma mi sembra opportuno almeno elencare alcuni contenuti e conseguenze
che ho avuto occasione di trattare altrove6.
Per rispondere alle domande «in cosa consiste la santità»? «come si raggiunge»?,
occorre dare contenuto e significato all’esistenza cristiana: «la santificazione cristiana
consiste in un processo d’identificazione progressiva (nell’essere e nell’agire) con la santa
umanità di Gesù Cristo»7. Ogni riflessione sui contenuti e sulle dimensioni vitali della santità
non può che iniziare con la contemplazione di Cristo. «I Vangeli ci narrano che la vita di
Cristo è una vita di continuo dialogo col Padre, di sacrificio fino la morte e di servizio agli
uomini in redenzione umana e soprannaturale. Vale a dire, la vocazione universale alla santità
è chiamata alla sequela/imitazione di Cristo nella preghiera, nel sacrificio e nella
evangelizzazione. Ogni esistenza cristiana implica, per tanto, una dimensione contemplativa,
di martirio e apostolica. La chiamata universale alla santità è chiamata universale alla
contemplazione, alla Croce e all’apostolato»8.
Per quanto riguarda le conseguenze teologiche della chiamata universale alla santità,
mi sembra che siano particolarmente importanti per la comprensione della vita cristiana dei
fedeli laici le seguenti tre, anche se l’elenco potrebbe essere più ampio.
a) Senso vocazionale dell’esistenza cristiana. Il verbo vocare, origine del termine
«vocazione», significa «chiamare», «convocare», «invitare». Dio convoca gli uomini per
introdurli nel flusso del suo amore trinitario e accogliere questo invito riempie di senso
l’esistenza umana. La realtà più profonda dell’uomo è quella di essere un chiamato: ogni
4
M. LABOURDETTE, Universale vocazione alla santità, in G. BARAÚNA (ed.), in La Chiesa del Vaticano II,
Vallecchi Editore, Firenze 1965, p. 1040.
5
Non a caso Giovanni Paolo II la propose con rinnovata forza all’inizio del terzo millennio: «Occorre allora
riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen
gentium, dedicato alla ‘vocazione universale alla santità’. Se i Padri conciliari diedero a questa tematica tanto
risalto, non fu per conferire una sorta di tocco spirituale all'ecclesiologia, ma piuttosto per farne emergere una
dinamica intrinseca e qualificante (…). In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una
scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella
santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso
accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale»
(GIOVANNI PAOLO II, lett. ap. Novo millennio ineunte, nn. 30-31).
6
V. BOSCH, Llamados a ser santos. Historia contemporánea de una doctrina, Palabra, Madrid 2008, pp. 175-
210.
7
A. ARANDA, Para una teologia de la santidad, in J.-I. SARANYANA ET AL. (ed.), El caminar histórico de la
santidad cristiana. De los inicios de la época contemporánea hasta el Concilio Vaticano II, Servicio de
Publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona 2004, p. 160.
8
V. BOSCH, Llamados a ser santos, cit., p. 178.
3
uomo scopre la verità su se stesso nel discernere il progetto vitale che Dio ha per lui. La
vocazione non si sceglie, si scopre e si accetta perché è ciò per cui sono stato creato. La
vocazione implica sempre una missione, è per qualcosa. Il discernimento di questa missione si
realizza in dialogo con Dio e con la propria storia personale, non in un solo istante ma poco a
poco. Quando il cristiano recita la preghiera domenicale, deve essere consapevole che la
petizione «sia fatta la tua volontà» impegna la propria vita.
b) Valore santificante delle realtà terrene. Ne abbiamo già accennato in precedenza e
v’insisteremo nel capitolo sulla santificazione del lavoro. Le realtà terrene e le nobili attività
umane sono state santificate da Gesù e sono diventate via di santificazione giacché il cristiano
deve fecondarle con la sua fede, speranza e carità9.
c) Validità dei diversi stati di vita per il raggiungimento della santità. La dimensione
oggettiva dell’universalità della chiamata – tutte le circostanze della vita delle persone
possono essere luogo e mezzo di santificazione – permette di affermare che ogni battezzato,
secondo la propria condizione di vita e stato, può identificarsi con Cristo e raggiungere la
perfezione della carità. La santità non esige nessun stato di vita particolare, né la realizzazione
di atti straordinari, bensì atti normalissimi realizzati con perfetta carità. Nessuna vocazione
cristiana – religiosa, sacerdotale o laicale – manifesta meglio o più adeguatamente la
perfezione di Cristo: tutte sottolineano qualche aspetto dell’insondabile ricchezza del Verbo
Incarnato, si completano a vicenda e rimandano in ultima istanza a Cristo e non a se stesse10.
Ciò che santifica non è la collocazione in un determinato stato, bensì la crescita nella carità,
che si manifesta nell’adempimento dei propri doveri nella missione che Dio affida a ciascuno,
nella generosità nel corrispondere alle grazie e carismi – di maggiore o minore entità –
ricevuti. La chiamata a crescere nella carità non è, pertanto, tratto peculiare di alcun stato
concreto, ma sostanza comune a tutti: il radicalismo cristiano non abita in una sola casa, ma
deve abitare nella vita religiosa, nel sacerdozio e nel laicato.
2. LA SANTITÀ PROPRIA DEI FEDELI LAICI
Come abbiamo avuto occasione di verificare nello studio storico del termine «laico»,
per molti secoli c’è stata una visione piuttosto negativa o incredula sulle reali possibilità dei
laici di essere santi. Basta ricordare i termini del Decreto di Graziano: «possono avere beni
temporali, è loro concesso avere moglie, coltivare la terra... e così potranno salvarsi se evitano
i vizi». È anche vero che questa possibilità dei laici di essere santi non è mai stata negata dal
Magistero, ma di fatto c’era una impostazione pratica, pastorale, che portava a pensare nel
modo riportato nel Decreto di Graziano. Certamente ci furono alcune eccezioni nella dottrina
di alcuni grandi maestri spirituali come San Francesco di Sales, San Giovanni Eudes,
Sant’Alfonso Maria di Liguori, che predicarono una santità per tutti.
Nel secolo XX lo Spirito Santo ha risvegliato nella vita della Chiesa una maggiore
attenzione alla figura del laico, attraverso svariate realtà sorte in ambiti molto diversi (in
precedenza abbiamo fatto riferimento alle associazioni di operai e studenti, l’Azione
9
J. L. ILLANES, Mundo y santidad, Rialp, Madrid 1984, 94-95: «L’esistenza di una chiamata universale alla
santità e, pertanto, nel caso del cristiano corrente, di una chiamata a cercare la santità nel mondo, tramite e per
mezzo delle realtà terrene, evidenzia che tra creazione e redenzione, tra natura e destino finale dell’uomo non c’è
eterogeneità bensì unione e profondi rapporti. (…) La santità non si edifica al margine della realtà creata, ma in
essa».
10
IDEM, Laicado y sacerdocio, EUNSA, Pamplona 2001, p. 179: «Nessuna vocazione o stato cristiano si
specifica per la sola santità, bensì per qualche realtà che in un modo o in un altro determina la ricerca della
santità e, più in concreto, per un ministero, una missione, una funzione o un compito ricevuto in ordine alla
realizzazione della missione globale della Chiesa».
4
Cattolica, le nuove realtà di vita consacrata, il fenomeno pastorale dell’Opus Dei, i gruppi di
spiritualità familiare, ecc.). Di fronte a queste realtà, il Magistero della Chiesa non restò
insensibile e intervenne ricordando che la santità è per tutti. Abbiamo già riportato in
precedenza il testo di Rerum omnium (26.1.1923) di Pio XI e nel 1930 lo stesso Papa accennò
alla questione quando nell’enciclica Casti connubi scriveva agli sposi cristiani:
«Possono e debbono tutti, di qualunque condizione siano e qualunque onesto stato
di vita abbiano scelto, imitare l’esemplare perfettissimo di ogni santità, proposto da
Dio agli uomini, che è nostro Signore Gesú Cristo, e con l’aiuto di Dio giungere anche
alla altezza somma della perfezione cristiana, come gli esempi di molti santi ci
dimostrano»11.
Il Concilio Vaticano II confermò e approfondì con molta più forza e chiarezza questa
dottrina, che non poteva essere una «novità» giacché i padri conciliari non potevano
«inventare» una dottrina che non fosse stata rivelata da Cristo. Come ben sappiamo, il
capitolo quinto della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium (nn. 39-42)
sviluppò l’argomento, affermando nel n. 41 il multiforme esercizio dell’unica santità e
proclamando che sono le varie occupazioni, condizioni e circostanze della vita del cristiano
quelle che determinano come essere santi, cioè, la maniera d’identificarsi con Cristo e di
vivere la carità e farla crescere fino alla sua pienezza. Sono questi diversi modi di vivere
l’unica spiritualità cristiana a far possibile il discorso sulle diverse spiritualità: laicale,
sacerdotale, religiosa.
L’esortazione apostolica Christifideles laici riprende ai nn. 16 e 17 la dottrina di
Lumen gentium. Al n. 16 si segnala che la vocazione alla santità è la prima e fondamentale
vocazione e si afferma nel quarto capoverso che i laici non sono esclusi da questa santità e
sono chiamati «a pieno titolo, senz’alcuna differenza dagli altri membri della Chiesa». Il 5º
capoverso indica il fondamento: il Battesimo e l’Eucarestia. Il 6º ricorda che la santità è
essenzialmente seguire e imitare Gesù Cristo.
Nel n. 17 si affermata l’esistenza di una santità propria dei laici: «la vita secondo lo
Spirito si esprime in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro
partecipazione alle attività terrene». Cioè, l’impegno nel mondo determina e conforma
l’orientamento spirituale della vita. Poi riporta la Propositio 5 in cui si fa riferimento alla
nozione di «unità di vita» di cui parleremo più avanti. I restanti capoversi trattano dei rapporti
tra chiamata universale alla santità, spiritualità e missione dei laici. Per ultimo, vorrei
sottolineare il fatto che nel penultimo capoverso si dice che queste riflessioni sono «destinate
a definire la condizione ecclesiale del fedele laico», cioè a offrire i fondamenti per una
definizione teologica del fedele laico.
3. L’UNIONE CON DIO, FONDAMENTO DELLA VITA SPIRITUALE DEL LAICO
L’affermazione può sembrare ovvia e superflua giacché l’unione con Dio si trova
alla radice della vita spirituale di ogni cristiano e non soltanto in quella del laico. Ma proprio
perché vogliamo studiare la specificità della santità laicale occorre non perdere di vista ciò
che è comune a ogni tipo di cristiano (laico, sacerdote o religioso). Stiamo cercando di capire
che nel fedele laico la grazia battesimale è caratterizzata dalla secolarità, cioè dalla vita nel
mondo, ma non un mero vivere nel mondo, ma un vivere nel mondo da cristiano, che significa
avere la consapevolezza della missione di testimoniare Cristo nelle condizioni ordinarie
11
PIO XI, Casti connubi (AAS 22 [1930], 548). Il testo è riportato in Christifidelis laici, n. 16.
5
dell’esistenza umana, dando il proprio contributo alla santificazione del mondo dal di dentro
delle strutture e delle situazioni secolari.
Infatti, l’esperienza spirituale nel secolo presuppone come fondamento non soltanto
la grazia battesimale, ma anche la sua messa in atto, cioè un continuo attualizzarsi della vita
teologale. Il Decreto conciliare sull’apostolato dei laici, Apostolicam actuositatem, lo esprime
così al n. 4:
«è evidente che la fecondità dell’apostolato dei laici dipende dalla loro vitale
unione con Cristo (..). Questa vita di intima unione con Cristo si alimenta nella Chiesa
con gli aiuti spirituali, che sono comuni a tutti i fedeli, soprattutto con la partecipazione
attiva alla sacra liturgia. I laici devono usare tali aiuti in modo che, mentre compiono
con rettitudine gli stessi doveri del mondo nelle condizioni ordinarie della vita, non
separino dalla propria vita l’unione con Cristo, ma svolgendo la propria attività
secondo il volere divino, crescano in essa. (...) Tale vita richiede un continuo esercizio
della fede, della speranza e della carità» (AA 4).
Questo brano è citato e commentato nel n. 60 della Christifideles laici, insistendo
nella necessità di «crescere senza sosta nell’intimità con Gesù Cristo». Si tratta di una
questione decisiva: non c’è vita cristiana senza lettura e meditazione della Sacra Scrittura,
senza preghiera, senza partecipazione all’Eucarestia, senza una ricerca di effettiva unione con
Dio. Nel contesto della spiritualità laicale, questa necessaria unione con Dio non va capita
come un insieme di pratiche di pietà isolate dalla vita, nemmeno come una specie di vita
chiusa in se stessa e che corre parallela all’esistenza ordinaria o la tocca in modo tangenziale,
bensì in quanto momenti in cui il cristiano nell’approfondire la sua fede riscopre l’esperienza
della vicinanza di Dio che dà pieno senso all’unica vita che ognuno è chiamato a vivere. Di
conseguenza, egli trova la forza per agire nel mondo con piena e radicale ispirazione
evangelica. È il concetto di «unità di vita», presente in varie riprese nella Christifideles laici e
che tratteremo in una prossima lezione.
Possiamo finire segnalando che lo sviluppo della vita spirituale del fedele laico
dipende, quindi, da un doppio movimento:
1) In primo luogo da un processo d’interiorizzazione del messaggio cristiano che
sbocchi nella percezione vitale delle sue conseguenze: si deve capire davvero cosa significhi
essere cristiano12.
2) Insieme a quel primo passo d’approfondimento della vocazione cristiana, ci vuole
nel laico «lo sforzo interiore dello spirito umano, guidato dalla fede, dalla speranza e dalla
carità, per dare al lavoro (...) quel significato che esso ha agli occhi di Dio, e mediante il quale
esso entra nell’opera della salvezza»13. In altre parole, occorre assimilare, appropriarsi, della
luce che la rivelazione irradia sulle realtà umane (capire la creazione alla luce della
Rivelazione).
Il risultato di questo doppio movimento sarà l’esperienza cristiana dell’umano nelle
sue svariate dimensioni. Questo risultato può essere descritto come una sorta d’atteggiamento
teologale col quale il laico, illuminando con la fede la propria concreta esistenza, la colloca
12
GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, n. 14: «l’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo (...)
deve avvicinarsi a Cristo. Egli deve entrare in lui con tutto se stesso, deve appropriarsi ed assimilare tutta la
realtà dell’incarnazione e della redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo,
allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso (...)
Quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell’uomo si chiama vangelo, cioè la buona novella. Si
chiama anche cristianesimo».
13
IDEM, Laborem exercens, n. 24.
6
anche all’interno di un dialogo con Dio. Così il laico diventa contemplativo in mezzo al
mondo, vive la sua esistenza secolare in rapporto a Dio informando col Vangelo il suo agire.
* * *