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COLLECTION DE L’ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME
3 70

.
SIMONE PIAZZA

PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE


LAZIO E CAMPANIA SETTENTRIONALE
(SECOLI VI-XIII)

ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME


2006

.
Piazza, Simone, 1971-
Pittura rupestre medievale : Lazio e Campania settentrionale
(secoli VI-XIII) / Simone Piazza.
Rome : École française de Rome, 2006.
(Collection de l’École française de Rome, 0223-5099; 370)
ISBN 2-7283-0718-0
1. Mural painting and decoration, Medieval - Italy - Lazio. 2. Mural
painting and decoration, Medieval - Italy - Campania. I. Title. II. Series.
CIP – Bibliothèque de l’École française de Rome

! - École française de Rome - 2006


ISSN 0223-5099
ISBN 2-7283-0718-0

.
ABBREVIAZIONI

AASS = Acta Sanctorum quotquot tote orbe coluntur..., a cura di


J. Carnandet, 70 voll., Parigi-Roma, 1863-1940.
ASRSP = Archivio della Società Romana di Storia Patria, Roma, 1878
ss.
Bibl.SS = Bibliotheca Sanctorum, 12 voll. e indici, Roma 1961-1970
(rist. 1983).
CahA = Cahiers Archéologiques. Fin de l’Antiquité et Moyen Âge, Pari-
gi, 1945 ss.
DOP = Dumbarton Oaks Papers, Cambridge Mass., 1941 ss.
EAM = Enciclopedia dell’arte medievale, 13 voll., Roma, 1991-2002.
MEFRA = Mélanges de l’École française de Rome – Antiquité, Roma
1971 ss.
MEFRM = Mélanges de l’École française de Rome – Moyen Âge, Roma
1971 ss.
MGH = Monumenta Germaniae Historica inde ab a. C. 500 usque ad
a. 1500, Hannover e altrove, 1826 ss.
PBSR = Papers of the British School at Rome, Londra, 1902 ss.
PG = Patrologiae cursus completus, seu bibliotheca universalis, Se-
ries Greca, a cura di J. P. Migne, 167 voll., Parigi, 1857-1876.
PL = Patrologiae cursus completus, seu bibliotheca universalis, Se-
ries Latina, a cura di J. P. Migne, 221 voll., Parigi, 1841-
1864.
RINASA = Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte,
Roma, 1929 ss.
RIS1 = Rerum Italicarum Scriptores, a cura di L. A. Muratori, 25
voll., Milano, 1723-1751.
RIS2 = Rerum Italicarum Scriptores, a cura di L. A. Muratori, nuova
ed., 34 voll., Città di Castello (poi Bologna), 1900-1960.
RivAC = Rivista di Archeologia Cristiana, Roma-Torino (poi Roma),
1924 ss.
Sett.CISAM = Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Me-
dio Evo, Spoleto, 1954 ss.

.
INTRODUZIONE

Le più antiche pitture su roccia sono state rinvenute in diversi


luoghi della Spagna, nella Francia meridionale e occidentale, in aree
circoscritte dell’Italia e del Portogallo1. Le «scene di caccia» che po-
polano le pareti delle grotte di Lascaux e Altamira, tracciate con l’o-
cra delle terre e il carbone, risalgono a decine di migliaia di anni fa 2.
Se dal Paleolitico ci rivolgiamo al corso della storia, senza disto-
gliere lo sguardo dall’orizzonte geografico del bacino mediterraneo,
notiamo come il fenomeno della pittura in grotta riemerga e si esau-
risca quasi completamente entro i limiti cronologici dell’età medioe-
vale, nonostante le cavità rupestri abbiano costituito una forma di
insediamento umano alternativo in tutte le epoche 3.
Fatte salve le decorazioni delle tombe o dei complessi cimiteriali
ipogei, infatti, la pittura parietale dell’evo antico preferisce di gran
lunga la muratura al supporto naturale della roccia. Nel corso del
Medioevo la produzione pittorica all’interno di contesti rupestri si
diffonde soprattutto in Cappadocia 4 e in Italia centro-meridionale 5,

1
A. Leroi-Gourhan, Préface, in L’art des cavernes. Atlas des grottes ornées pa-
léolithiques françaises, Parigi, 1984, p. 3-7 (p. 3).
2
Per una riflessione sull’arte rupestre della preistoria, e in particolare sulle
scene di caccia : É. Souriau, Art préhistorique et esthétique du mouvement, in Mé-
langes de préhistoire d’archéocivilisation et d’ethnologie offert à André Varagnac,
Parigi, 1971, p. 697-705.
3
Sulla continuità delle forme di insediamento rupestre nel corso della sto-
ria, con particolare riguardo al territorio della Puglia, ma in riferimento anche al-
le altre aree del Mediterraneo, cfr. G. Jacovelli, Nuove indicazioni di studio sulla
civiltà rupestre medioevale pugliese, in Rivista storica del Mezzogiorno, II, fasc. I-
IV, 1967, p. 3-19, part. p. 9-13. Una panoramica sullo spazio rupestre in tutte le
sue forme e manifestazioni in diverse parti del mondo e in tutte le epoche è offer-
ta da M. Nicoletti, L’architettura delle caverne, Bari, 1980.
4
Per la vastissima produzione storiografica concernente la pittura rupestre
in Cappadocia si rimanda allo studio più recente e di ampio respiro : C. Jolivet
Lévy, La Cappadoce médiévale, images et spiritualité, Parigi, 2001, apparato biblio-
grafico a p. 393-398.
5
Per uno sguardo d’insieme : V. Pace, La pittura rupestre in Italia meridiona-
le, in C. Bertelli, a cura di, Pittura in Italia. L’Altomedioevo, Milano, 1994, p. 403-
415. Per un quadro del fenomeno su scala regionale, relativamente alla Campa-
nia, cfr. : G. Kalby, Insediamenti rupestri della Campania, in C. D. Fonseca, a cu-
ra di, La civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia. Ricerche e problemi,

.
2 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

ma è attestata pure nei Balcani 6, in Georgia 7, nella Francia sud-


occidentale 8 e in Africa settentrionale 9. È ancora in auge nel XIV se-
colo, in aree geografiche come la Serbia e l’Albania, e però declina
inesorabilmente in età moderna, salvo casi sporadici10.
Per gli ambienti rupestri che conservano testimonianze pittori-
che medievali all’interno, il comune denominatore, al di là delle dif-
ferenze geo-morfologiche e culturali che modellano uno specifico
habitat, è la loro esclusiva appartenenza alla sfera religiosa. La pittu-
ra è rivolta sempre alla rappresentazione del sacro e lo spazio che
l’accoglie non può che assolvere la funzione di luogo di culto, si trovi
esso all’interno di un insediamento monastico, di un santuario, di
una chiesa rurale o di una cappella funeraria.

Atti del Primo convegno internazionale di studi, Mottola-Casalrotto 29 settembre-3


ottobre 1971, Genova, 1975, p. 153-172; per la Basilicata : R. De Ruggeri, Gli inse-
diamenti rupestri della Basilicata, ivi, p. 99-105; E. Marcato, Conservazione e svi-
luppo dei dettami bizantini nella pittura rupestre della Basilicata, in Corso di cultu-
ra sull’arte ravennate e bizantina, XLII, 1995, p. 523-552; K. R. Althaus, Die Apsi-
denmalereien der Höhlenkirchen in Apulien und in der Basilikata, Amburgo, 1997;
per la Puglia : A. Medea, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, Roma, 1939;
G. Lavermicocca, Cultura figurativa e committenza nella decorazione delle chiese-
grotta pugliesi, in Nicolaus, I, 1973, 2, p. 315-343; K. R. Althaus, Die Apsiden-
malereien cit.; M. Falla Castelfranchi, La decorazione pittorica delle chiese rupestri,
in F. Dell’Aquila, A. Messina, Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata, Bari, 1998,
p. 129-143; per la Calabria : G. Rubino, Architettura rupestre medioevale in Cala-
bria, in C. D. Fonseca, La civiltà rupestre medioevale cit., p. 113-128; A. Coscarella,
Insediamenti bizantini in Calabria. Il caso di Rossano, Cosenza, 1996 (spec. il ca-
pitolo Calabria rupestre considerazioni sulle testimonianze superstiti, p. 133-169);
per la Sicilia : A. Messina, Le chiese rupestri del siracusano, Palermo, 1979; Id., Le
chiese rupestri del Val di Noto, Palermo, 1994; Id., Le chiese rupestri del Val Demo-
ne e del Val di Mazara, Palermo, 2001.
6
T. Popa, Piktura e shpellave eremite në Shqipni, in Studime historike, 19, 3,
1965, p. 69-101 (con riassunto in francese); C. Mango e E. J. W. Hawkins, The
Hermitage of St. Neophytos and its Wall Paintings, in DOP, 20 (1966), p. 119-206;
M. Panayotidi, L’église rupestre de la Nativité dans l’île de Naxos. Ses peintures pri-
mitives, in CahA, 23, 1974, p. 107-120.
7
T. Velmans, La pittura murale in Georgia, in T. Velmans, A. Alpago Novel-
lo, Georgia. Affreschi e architetture, Milano, 1996, p. 9-190, part. p. 34, 141-142,
tavv. 119-120.
8
M. Durliac e V. Allègre, Pyrénées romanes, Yonne, 1969, p. 45-55; M. Ga-
borit, Des Histoires et des couleurs. Peintures murales médiévales en Aquitaine,
Poitiers, 2002, p. 228-229.
9
E. Balicka Witakowska, Les peintures murales de l’église rupestre éthiopien-
ne Gännätä Maryam près Lalibela, in Arte medievale, s. 2, 12-13, 1998-1999, p. 193-
209.
10
T. Popa, Piktura cit., p. 83-101; V. Djurić, De la nature de l’ancienne peintu-
re serbe, in C. D. Fonseca, a cura di, Le aree omogenee della Civiltà Rupestre nel-
l’ambito dell’Impero Bizantino : la Serbia, Atti del Quarto Convegno internazionale
di studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia, Taranto-Fasa-
no, 19-23 settembre 1977, Galatina, 1979, p. 139-156.

.
INTRODUZIONE 3

Proprio il contenuto dell’immagine dipinta sulla roccia, anziché


il valore artistico dell’esecuzione, costituisce l’oggetto di interesse
dei primi studiosi che, tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del
successivo, hanno visitato le aree rupestri dell’Italia meridionale e
dell’altopiano anatolico. Dapprima Charles Diehl, fra le coste cala-
bresi e la Puglia, in seguito, nemmeno una generazione più tardi,
Guillaume de Jerphanion nelle valli della Cappadocia, offriranno i
primi fondamentali contributi alla conoscenza di un’arte fino ad al-
lora sconosciuta o quasi11. Per l’autore dell’Art byzantin de l’Italie mé-
ridionale, opera comparsa nel 1894, la pittura delle grotte del Meri-
dione è «singulièrement instructive et curieuse», e il fatto che il pro-
gramma figurativo sia spesso «grossier et imparfait» è giustificato
da ciò che viene considerato il suo fine, quello di esprimere un mes-
saggio di contenuto dottrinale e non di svolgere una funzione deco-
rativa12. L’interesse per il Mezzogiorno d’Italia, dimostrato dallo stu-
dioso francese, consisteva essenzialmente nell’opportunità di rin-
tracciare le testimonianze artistiche di una delle province bizantine.
Negli anni Dieci del ’900 il padre gesuita de Jerphanion, per vo-
lere dei suoi superiori, giungerà in Armenia e da lì partirà per la
Cappadocia alla ricerca delle chiese di Ürgüp e Göreme, dedicando
una vita di studi ai cicli pittorici nascosti fra le cavità di questa re-
gione13. Nella sua introduzione a Les églises rupestres de Cappadoce
teneva a ricordare che, per quanto riguarda le pitture «on regarde en
elles l’iconographie, non le style, la chose dite, non les mots em-
ployés»14.

11
Il primo contributo su alcuni casi di pittura rupestre dell’Italia meridionale
è di Demetrio Salazaro (D. Salazaro, Studi sui monumenti dell’Italia meridionale
dal IV al XIII secolo, Napoli, 1871). Per quanto riguarda il fenomeno rupestre in
Italia meridionale, una sintesi sugli indirizzi storiografici, dagli albori fino agli
anni ’60 del secolo scorso, è stata offerta da G. Jacovelli, Nuove indicazioni cit.
p. 3-9. In seguito, stimolanti riflessioni sull’argomento sono state espresse da
C. D. Fonseca, Civiltà rupestre in Terra Jonica, Genova, 1970, p. 13-21 (testo ripre-
so quasi integralmente, ma privato dell’apparato di note, in un saggio successi-
vo : Id., La civiltà rupestre in Puglia, in La Puglia fra Bisanzio e l’Occidente, Mila-
no, 1980, p. 37-117, part. p. 37-42).
12
Ch. Diehl, L’art byzantin dans l’Italie méridionale, 2 voll., Parigi, 1894, si ve-
da soprattutto il discorso d’introduzione : I, p. 9-21.
13
V. Ruggieri, Guillaume de Jerphanion et la Turquie de jadis, Catanzaro,
1997, p. 12-17.
14
G. de Jerphanion, Une nouvelle province de l’art byzantin. Les églises rupe-
stres de Cappadoce, 5 voll., Parigi, 1925-1942. Un bilancio sul contributo di Guil-
laume de Jerphanion allo studio dei monumenti cappadoci è stato tracciato di re-
cente nell’ambito di un convegno dedicato al gesuita : C. Jolivet Lévy, La Cappa-
doce après Jerphanion : les monuments byzantins des Xe-XIIIe siècles, in MEFRM,
110, 1998, p. 899-930. Interessanti, a distanza quasi di un secolo, risultano le ri-
flessioni sul paesaggio rupestre pugliese che de Jerphanion appuntò nel corso di
un viaggio in Italia meridionale : G. de Jerphanion, Excursion en Calabrie et dans

.
4 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Mentre si compivano i primi decisivi passi verso la decodifica-


zione dei contenuti iconografici delle pitture rupestri, maturavano
riflessioni suggestive ma poco motivate sulle origini dei loro conte-
sti, che non potevano che rispecchiare i pregiudizi dell’epoca. Per
quanto concerne l’Italia meridionale, la tesi romantica di un onni-
presente eremitismo in grotta, sostenuta da Lenormant15 e inseguita
da Diehl, che vedeva una crypte basilienne in ogni ambiente ricavato
nella roccia contenente una pittura16, domina anche nella grande
opera di Émile Bertaux, comparsa nel 1903, nonostante l’assai meri-
tevole attenzione rivolta alle fonti storiche e ai diversi ambiti cultu-
rali17. Lo stesso preconcetto emerge nel primo sistematico studio
sulle «cripte eremitiche» pugliesi di Alba Medea18, come già il titolo
lascia intendere, e sarà duro a morire visto che verrà accolto da Jani-
ne Wettstein nel capitolo sulle grotte meridionali del suo saggio ve-
nuto alla luce nel 196019.
È appunto tra la fine degli anni ’60 e il decennio seguente che si
compie la svolta decisiva per l’orientamento degli studi sugli inse-
diamenti in grotta. Adriano Prandi 20, Gianni Jacovelli 21 e soprattutto
Cosimo Damiano Fonseca, promotore di importanti convegni inter-
nazionali sul tema della civiltà rupestre 22, scardinano la teoria del

les Pouilles, in Atti del V Congresso internazionale di Studi bizantini e neoellenici,


Roma, 1940 (Studi bizantini e neollenici, V), p. 566-599, part. p. 587.
15
F. Lenormant, Notes archéologiques sur Terre d’Otranto, in Gazette Archéo-
logique, VII, 1881-1882, p. 124.
16
Ch. Diehl, L’art byzantin cit., p. 9-21.
17
É. Bertaux, L’art dans l’Italie méridionale. De la fin de l’Empire Romain à la
Conquête de Charles d’Anjou, 2 voll, Parigi, 1903, I, p. 129-153, 241-250.
18
A. Medea, Gli affreschi cit., p. 13-24.
19
J. Wettstein, Sant’Angelo in Formis et la peinture médiévale en Campanie,
Ginevra, 1960, p. 86-93.
20
A. Prandi, Aspetti archeologici dell’eremitismo in Puglia, in L’eremitismo in
Occidente nei secoli XI e XII. Atti della seconda Settimana internazionale di Studio,
Mendola, 30 agosto-6 settembre, Milano, 1965, p. 435-461.
21
G. Jacovelli, Nuove indicazioni cit., p. 9-19.
22
I sei convegni promossi da Cosimo Damiano Fonseca si sono succeduti nel
decennio 1971-1981 (C. D. Fonseca, a cura di, La Civiltà rupestre medioevale cit.;
Id., a cura di, Il passaggio dal dominio bizantino allo stato normanno nell’Italia
meridionale, Atti del Secondo Convegno internazionale di studi sulla civiltà rupestre
medioevale nel Mezzogiorno d’Italia, Taranto-Mottola 31 ottobre-4 novembre 1973,
Taranto, 1977; Id., a cura di, Habitat-Strutture-Territorio, Atti del Terzo Convegno
internazionale di studi sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia,
Taranto-Grottaglie, 24-27 settembre 1975, Galatina, 1978; Id., a cura di, Le aree
omogenee, 1979, cit.; Id., a cura di, Le aree omogenee della Civiltà Rupestre nell’am-
bito dell’impero bizantino : la Cappadocia, Atti del Quinto Convegno internazionale
di studi sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia, Lecce-Nardò 12-
16 ottobre 1979, Galatina, 1981; Id., a cura di, La Sicilia rupestre nel contesto delle
civiltà mediterranee, Atti del Sesto Convegno di studi sulla civiltà rupestre medioe-

.
INTRODUZIONE 5

panmonachesimo in rapporto all’origine degli ambienti rupestri del-


l’Italia meridionale, rivolgendo l’attenzione alla polivalenza dei fat-
tori antropici e geomorfologici che hanno determinato la scelta del
vivere in grotta in ogni tempo e non solo in epoca medievale.
Senonché, la nuova prospettiva di studi sull’habitat rupestre, che
ha permesso di tracciare un ricco e diversificato quadro fenomeno-
logico delle diverse forme di vita in grotta, ha di fatto contribuito,
più o meno consapevolmente, a ridurre l’attenzione della critica nei
confronti delle testimonianze pittoriche ivi conservate 23. Se infatti
rivolgiamo lo sguardo all’area geografica oggetto della presente ri-
cerca, non possiamo fare a meno di notare come lo studio che Jose-
lita Raspi Serra dedica agli insediamenti rupestri religiosi della Tu-
scia, comparso nel 1976 e ancor oggi di fondamentale importanza,
riservi alla pittura soltanto qualche fuggevole accenno quasi sempre
destinato a denunciarne il cattivo stato di conservazione 24.
Così, ad esempio, per le pitture della Grotta del Salvatore di Val-
lerano, che conservano un rarissimo caso di «Comunione degli apo-
stoli» in Occidente 25, nonostante l’esposizione agli agenti atmosferi-
ci (tav. 56 c), sarebbe risultato «impossibile qualsiasi giudizio del-
l’andamento pittorico in senso iconografico e qualitativo», e il
pannello di San Giovanni a Pollo presso Bassano Romano appariva
allo sguardo della studiosa «compromesso per effluorescenze e ca-

vale nel Mezzogiorno d’Italia, Catania, Pantalica, Ispica, 7-12 settembre 1981, Gala-
tina, 1986). Per l’estesa produzione critica sulla civiltà rupestre a firma di Fonse-
ca si rinvia alla bibliografia pubblicata dai suoi allievi : G. Andenna, H. Houben e
B. Vetere, a cura di, Tra Nord e Sud. Gli allievi per Cosimo Damiano Fonseca nel
sessantesimo genetliaco, Galatina, 1993, p. 261-273.
23
L’orientamento scientifico dei convegni di Fonseca sulla civiltà rupestre
del Meridione venne dallo studioso stesso esplicitato nel corso di uno dei suoi in-
terventi : «Abbandonata la via del preminente interesse per le opere d’arte (l’ar-
chitettura delle chiese rupestri e la pittura inerente) custodite entro gli anfratti
degli spalti dei valloni tufacei, e conseguentemente, delle sterili polemiche nazio-
naliste del tributo locale e dell’affrancamento dalle tutele culturali dell’Oriente bi-
zantino; scartato il confronto puramente formale degli schemi architettonici e
degli stilemi decorativi tra santuari della stessa regione, che, nella migliore delle
ipotesi sarebbe approdato ad una pura collazione classificatoria dei manufatti ar-
tistici pervenutici; ribadita l’esigenza di un’indagine tesa a privilegiare l’insedia-
mento rupestre come fenomeno globale, non rimaneva altra scelta che quella di
verificare, sulla scorta forse di alcune inconsapevoli suggestioni del dibattito sto-
riografico, i tipi di ‘civiltà’ (intesi come civilisation e, quindi come processo evolu-
tivo dall’incivilimento alla civiltà) realizzatisi in un lungo arco di tempo all’inter-
no delle gravine», C. D. Fonseca, Habitat-strutture-territorio : nuovi metodi di ri-
cerca in tema di «civiltà rupestre», in Id., a cura di, Habitat-strutture-territorio cit.,
p. 15-24 (p. 15-16).
24
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri religiosi nella Tuscia in MEFRM, 88,
1976, p. 27-156.
25
S. Piazza, Une Communion des apôtres en Occident. Le cycle pictural de la
Grotta del Salvatore près de Vallerano, in CahA, 47, 1999, p. 137-158.

.
6 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

dute di colore tanto da non poter pensare ad una lettura cronologi-


ca» 26.
A distanza di un quarto di secolo nulla s’è fatto, o quasi, per
combattere la situazione di degrado di queste pitture, lo stato con-
servativo delle quali non poteva che aggravarsi a causa del completo
abbandono. Tuttavia, pur molto alterate, esse hanno offerto l’occa-
sione preziosa di una ricerca a più livelli, dall’analisi formale a quel-
la iconografica, da una lettura delle frammentarie iscrizioni pittori-
che all’osservazione delle modalità tecnico-esecutive. Il caso di San
Giovanni a Pollo (tav. 53 b, fig. 4), meno noto rispetto a Vallerano, ci
sembra emblematico per misurare l’indice di fattibilità di una ricer-
ca di taglio storico-artistico su brani pittorici di certo alterati ma
non per questo trascurabili 27.
Grazie ad un’analisi dell’intonaco superstite, infatti, è stato pos-
sibile non solo fornire la sicura interpretazione del tema raffigurato,
un Cristo benedicente fra gli apostoli Pietro e Paolo e i martiri roma-
ni Giovanni e Paolo, ma anche restituire il contenuto di gran parte
delle iscrizioni dipinte, nonché collocare l’esecuzione dell’opera, me-
diante l’esame delle campiture cromatiche ancora in parte conserva-
te, nel contesto della produzione pittorica a cavallo tra la fine dell’XI
secolo e l’inizio del successivo.
L’esito dell’indagine ci sembra rilevante, sia ai fini della cono-
scenza dell’opera pittorica, sia per gettare ulteriore luce sulla funzio-
ne dell’ambiente nel quale è stata prodotta. È infatti grazie all’iscri-
zione del presbyter Gregorius, dipinta ai piedi dei due apostoli, che si
può propendere per l’ipotesi di un oratorio rurale piuttosto che per
quella di un insediamento monastico, proprio per il significato del
termine anteposto al nome. È il contenuto dottrinale dell’immagine,
inoltre, a lasciar intuire lo spessore culturale dei religiosi che fre-
quentavano questi spazi scavati nel tufo, sconsolatamente privi di ri-
ferimenti a qualsiasi modello architettonico.
In altre parole, come gli studi sulla «civiltà rupestre» di alcuni
decenni fa hanno contribuito a contrastare il pregiudizio di chi ve-
deva negli insediamenti in grotta una forma di rozzo trogloditi-

J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 93, 98. Il concetto è ribadito


26

nel recente corpus di iscrizioni medievali del viterbese, dove proprio il precario
stato conservativo del pannello pittorico di San Giovanni a Pollo ha motivato la
scelta di escludere questa testimonianza dalla raccolta : L. Miglio, Sutri, in L. Ci-
marra et alii, a cura di, Inscriptiones Medii Aevi Italiae (Lazio, Viterbo, 1), Spoleto,
2002, p. 187-201 (p. 190-191).
27
S. Piazza, Pittura rupestre a San Giovanni a Pollo : dal culto agrario alla ri-
forma gregoriana, in R. Burri, A. Delacretaz, J. Monnier, M. Nobili, a cura di, Ad
Limina II. Incontro di studio tra i dottorandi e i giovani studiosi di Roma. Istituto
Svizzero di Roma, Villa Maraini, febbraio-aprile 2003, Alessandria, 2004, p. 317-
333.

.
INTRODUZIONE 7

smo 28, dal nostro punto di osservazione è sembrato opportuno rac-


cogliere più informazioni possibili dal testo pittorico senza arrestar-
si di fronte alla lacunosità e al deterioramento, spesso molto elevati,
della superficie dipinta.
Anche per quanto riguarda il territorio oggetto di studio, si è vo-
luto scegliere quel versante della penisola, coincidente con il Lazio e
la Campania settentrionale, nel quale il fenomeno rupestre appare
meno indagato. Se in alcuni casi esso ha una distribuzione a caratte-
re sparso, in altri costituisce un tratto significativo dell’orografia.
Ciò accade sia sui rilievi appenninici, dove prevalgono le grotte di
origine naturale, che sulle colline di tufo alto-laziali e del casertano,
dove sono più frequenti gli ambienti scavati dalla mano dell’uomo.
È stata volutamente ignorata, se non per la mera classificazione
dei siti, la moderna linea di demarcazione fra Lazio e Campania che
non corrisponde, fra l’altro, a un mutamento del paesaggio 29.
Il criterio di divisione in province italiane è stato adottato esclu-
sivamente per la comodità che offre nel raggruppamento geografico
del catalogo 30. Ad esso si sarebbe certamente preferita una divisione
per province storiche o aree con un’antica identità culturale, e tutta-
via, mentre i siti della provincia di Caserta, ad esempio, avrebbero
trovato nell’antica designazione di «Terra di Lavoro» un appropria-
to denominatore comune, gli insediamenti isolati del Lazio meridio-
nale come Alatri e Ninfa non avrebbero avuto un toponimo ugual-
mente significativo, di pari importanza ed estensione geografica 31.
Improponibile è risultata anche l’ipotesi di una divisione per diocesi,
trattandosi di insediamenti in massima parte non ubicati in centri
urbani e a volte a carattere talmente sporadico che il numero delle
istituzioni vescovili avrebbe quasi coinciso con quello dei monu-
menti studiati 32.

28
Si vedano le riflessioni in merito espresse da Chiara Frugoni : C. Frugoni,
recensione al libro di C. D. Fonseca, Civiltà rupestre in terra jonica, in Rivista di
Storia della Chiesa in Italia, XXVI, 1972, p. 492-496.
29
Com’è noto, i confini del Lazio e della Campania sono stati tracciati dopo
l’unità d’Italia e la linea di demarcazione fra le due regioni ha subito sostanziali
modifiche e numerosi aggiustamenti fino al 1945 : A. Caracciolo, La regione stori-
ca e reale, in A. Caracciolo, a cura di, Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità d’Italia a
oggi. Il Lazio, Torino, 1991, p. 5-39, part. p. 5-9.
30
Sul tema dell’artificiosità degli attuali capoluoghi di provincia, cfr. Ibid.,
p. 18-21.
31
Sulla storia della Terra di Lavoro, cfr. : A. Lepre, Terra di Lavoro, in G. Ga-
lasso, R. Romeo, a cura di, Storia del Mezzogiorno. Napoli e le province, 15 voll.,
Napoli, 1986-1991, V, 1987, p. 97-234.
32
In età medievale, la sola provincia di Caserta, in riferimento alla quale ab-
biamo catalogato cinque casi di pittura rupestre, corrispondeva alle diocesi di
Sessa Aurunca, Teano, Carinola, Calvi, Cajazzo, Capua e Caserta (cfr. la carta

.
8 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

I confini meridionali dell’area oggetto della ricerca, che lasciano


fuori le province di Napoli e Salerno, sono stati imposti dai limiti di
fattibilità del lavoro, non certo per l’assenza di esempi attestati 33. Si
è invece voluto escludere il versante orientale dell’Appennino centra-
le, dove i santuari rupestri, pur frequenti specialmente ad alta quota,
ben di rado sono caratterizzati da testimonianze pittoriche al loro
interno, solo in un ristretto numero di casi risalenti ad età medieva-
le 34. Nessun dato concernente esempi di pittura rupestre è stato rile-
vato, infine, al di là del confine settentrionale. All’interno dei limiti
territoriali che ci siamo imposti, a causa dell’ampiezza dell’area, del
numero elevato di siti rupestri ubicati in luoghi impervi e dell’assen-
za di una documentazione d’insieme, abbiamo dovuto rinunciare al-
la pretesa di un’indagine esaustiva 35.
Nel presente lavoro l’illustrazione dei singoli casi di pittura ru-
pestre è preceduta da alcune riflessioni sulla grotta come spazio sa-
cro nel Medioevo e da un’analisi dei caratteri ricorrenti nelle forme
insediative dell’area d’indagine. Si è poi voluto approfondire il tema
dell’incidenza che alcuni fenomeni religiosi e cultuali hanno avuto
sull’esecuzione di interventi pittorici all’interno di ambienti rupe-
stri : l’eremitismo, il culto micaelico e i santuari martiriali. Quest’ul-
timo caso coinvolge l’universo delle catacombe, in genere considera-
to estraneo alla categoria del rupestre, eppure, come si vedrà, per
certi aspetti ad essa legato. È invece stata esclusa una riflessione sul
culto mariano, che senz’altro ha avuto un peso nella storia dei san-
tuari medievali, anche in rupe, e tuttavia fra i casi presi in esame
non appare di particolare rilevanza 36.

geografica in M. Inguanez, L. Mattei-Cesaroli, P. Sella, a cura di, Rationes Deci-


marum Italiae nei sec. XIII e XIV. Campania, Città del Vaticano, 1942).
33
Si vedano ad esempio : R. Zuccaro, Gli affreschi nella Grotta di S. Michele
ad Olevano sul Tusciano, Roma, 1977; G. Bertelli, La grotta di S. Biagio a Castel-
lammare di Stabia (Napoli). Primi appunti per un tentativo di recupero, in CahA,
44, 1996, p. 49-72; A. Caffaro, L’eremitismo e il monachesimo nel Salernitano, Sa-
lerno, 1996.
34
Cfr. E. Micati, Eremi e luoghi di culto rupestri della Majella e del Morrone,
Pescara, 1990, spec. p. 217-219, 226-228, 231-234.
35
Solo quando ormai la nostra ricerca volgeva al termine, ho appreso del-
l’esistenza di testimonianze inedite, per la conoscenza delle quali occorrerà atten-
dere la pubblicazione dei contributi degli studiosi autori della scoperta. Si tratta
di una pittura rinvenuta nel casertano, a Castel Campagnano e di una piccola
cappella in provincia di Benevento, nei pressi di Gioia Sannitica (F. Gervasio,
Santuari micaelici nel Lazio, tesi di laurea, Università degli Studi di Lecce, Facol-
tà di Lettere e Filosofia, a.a. 2002-2003, relatore Prof.ssa M. Falla Castelfranchi)
oltre a un brano pittorico che si conserva nella grotta di «San Saliatore» sul Mon-
te Giano, nel reatino (C. Chiuppi, Testimonianze di insediamenti rupestri nel terri-
torio di Antrodoco, tesi di laurea, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Let-
tere e Filosofia, a.a. 2002-2003, relatore Prof. M. Sensi).
36
Fra i quarantadue luoghi di culto oggetto della nostra ricerca soltanto tre

.
INTRODUZIONE 9

Le considerazioni di carattere storico-artistico sono state unite


assieme, rivolgendo particolare attenzione all’individuazione delle
temperie artistiche di provenienza e alle peculiarità della pittura ru-
pestre, senza tralasciare il problema del precario stato di conserva-
zione e del degrado.

Questo lavoro ha origine dalla mia tesi di dottorato, ne riprende


il titolo, ne ricalca la struttura, ne rielabora, a volte in modo sostan-
ziale, i temi trattati. Certamente non avrebbe visto la luce senza l’in-
teressamento di molte persone e il contributo di numerosi enti e isti-
tuzioni. Il mio pensiero grato va, innanzi tutto, a coloro che hanno
diretto la tesi, Maria Andaloro, maestra, vigile guida fin dall’inizio
del percorso universitario, e Catherine Jolivet Lévy, sempre prodiga
di consigli, stimolante in ogni occasione di incontro. Un vivo ringra-
ziamento rivolgo a Francesco Aceto, Étienne Hubert, Daniel Russo e
Hélène Toubert che, a diversi stadi redazionali, hanno letto il lavoro
fornendo preziose osservazioni. Sono riconoscente inoltre, vuoi per
le acute osservazioni vuoi per le utili informazioni, a Walter Angelel-
li, Marina Falla Castelfranchi, Francesco Gandolfo, Giulia Orofino,
Valentino Pace e Lucinia Speciale. Quanto alla visita dei monumen-
ti, di fondamentale importanza sono stati i contatti avuti con Fabri-
zio Bisconti sempre pronto, tramite il gentile coinvolgimento di Raf-
faella Giuliani e del personale della Pontificia Commissione di Ar-
cheologia Sacra, a garantirmi la possibilità di svolgere i sopralluoghi
nelle catacombe e le relative campagne fotografiche. Un sentito gra-
zie, per l’interesse rivolto alle mie ricerche, anche ad Alia Englen,
della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoan-
tropologico per il Lazio, e ad Anna Maria Romano, della Soprinten-
denza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici per le
province di Caserta e Benevento. Tengo ad esprimere, inoltre, tutta
la mia gratitudine a quanti mi hanno facilitato l’accesso ai siti rupe-
stri più impervi ed isolati : al Comune di Monte San Giovanni in Sa-
bina, per aver spedito due persone a cavallo ad aprire il cancello del
santuario del Monte Tancia; agli agenti del Comando del Corpo Fo-
restale di Montesarchio, per avermi condotto in jeep fino alla Grotta
di san Mauro, sulla sommità del monte Taburno; alla Polizia Muni-
cipale di Avella che mi ha scortato all’interno della Grotta di San Mi-

sono dedicati alla Vergine : S. Maria in Grotta a Rongolise, la Basilica dell’An-


nunziata di Prata Principato Ultra e il santuario della Madonna del Parto a Sutri.
Occorre dire, inoltre, che in quest’ultimo caso l’intitolazione originaria sembre-
rebbe riferirsi all’arcangelo Michele (p. 65). Sull’ampia diffusione del culto ma-
riano, limitatamente al territorio laziale, di recente : W. Pocino, I santuari maria-
ni del Lazio, Roma, 2000.

.
10 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

chele, chiusa al pubblico per via di una frana; al Dott. Silvio Ricciar-
done, per avermi accompagnato, in lunghe ore di marcia, alla Grotta
di San Martino in cima al Monte Massico; all’architetto Vincenzo
Girolami che, ritrovando il sentiero alle pendici della falesia di Ca-
stel Sant’Elia, assai accidentato per via dell’erosione del tufo, mi ha
condotto all’interno della Grotta di San Leonardo. Grazie anche a
don Domenico, parroco di Casali di Faicchio, per avermi indicato il
cammino che conduce alla Grotta di Monte Monaco di Gioia, a don
Mario parroco di San Bartolomeo a Rongolise, per avermi aperto il
santuario di Santa Maria in Grotta, ad Antonio Marcello Villucci,
per l’aiuto nelle perlustrazioni del territorio di Sessa Aurunca, a Vin-
cenzo D’Alessio per la visita alla Grotta di San Michele a Montoro
Inferiore, alla famiglia Riccardi di Caprile, per le informazioni rela-
tive alla chiesa di Sant’Angelo in Asprano.
Gran parte del tempo dedicato alle attività sedentarie, di studio
e di stesura del libro, l’ho trascorso nella biblioteca dell’École fran-
çaise de Rome, potendo approfittare della squisita gentilezza del suo
direttore, Yannick Nexon. Nella sede di Palazzo Farnese ho potuto
beneficiare, inoltre, dell’assidua presenza di Rosanna Scatamacchia,
che affettuosamente ringrazio per avermi aiutato in molteplici cir-
costanze con utili osservazioni e un continuo incoraggiamento. Un
grazie particolare ad André Vauchez, già direttore dell’École françai-
se, per avere accolto il mio lavoro nella storica collana della Collec-
tion, al direttore della casa editrice, François-Charles Uginet, ai suoi
collaboratori, Franco Bruni e Bertrand Grandsagne, sempre attenti
ad ogni mia esigenza. In varie circostanze mi sono avvalso dell’aiuto
di persone a me care, fra le quali desidero menzionare Giulia Bordi,
Francesca Cavallo, Samir Derbal, Vincent Jolivet, Maria Teresa Mar-
silia, Stefano Marson, Raimondo Michetti, Francesca Romana Mo-
retti, Gaetano Sabatini, Ulf Schulte Umberg e Carlo Tedeschi. Gra-
zie di cuore a David Gerbi, per il prezioso aiuto nella ricerca del sen-
so, all’amica Stefania, per i frequenti e fruttuosi confronti, a
mamma e papà, per la costante e amorevole partecipazione. Sono
grato a Serge, infine, per tutte le volte che mi ha contagiato con il
suo entusiasmo, riuscendo a dare un diverso respiro alle mie ore di
studio.

.
CAPITOLO I

LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO


IMMAGINARIO E REALTÀ

1 – L’EREDITÀ SIMBOLICA DELLA GROTTA

Fra i motivi che hanno spinto l’uomo medievale a occupare uno


spazio rupestre per farne un luogo di culto emerge senza dubbio
l’esigenza funzionale. Determinate condizioni geomorfologiche, in-
fatti, offrono l’opportunità di ricavare nella roccia un ambiente abi-
tabile in alternativa ad un edificio in muratura con conseguente ri-
sparmio di mezzi, materiali e mano d’opera1. Al di là delle necessità
pratiche, tuttavia, le ragioni della scelta di adibire a santuario un
ambiente rupestre vanno ricercate nel substrato culturale, in quel
portato di sacralità che la grotta, intesa soprattutto nel senso di an-
tro naturale, ha acquisito fin dall’epoca arcaica.
Archetipo universale, la caverna è associata all’utero materno, ai
riti iniziatici, al conflitto perenne fra luce e tenebre, fra il bene e il
male 2. Per molte civiltà la grotta è luogo di nascita di divinità e quin-
di sede destinata a santuario 3. L’iniziale atteggiamento del Cristiane-
simo nei confronti del suo significato simbolico è di diffidenza o ad-
dirittura di aperta avversione. Dapprima Tertulliano e in seguito Fir-
mico Materno, riconoscendo nella caverna il regno del dio Mitra, ne

1
Per quanto concerne il tema della «civiltà rupestre» si vedano i numerosi
convegni promossi da Cosimo Damiano Fonseca (cfr. supra, p. 4) e quello curato
di recente da Enrico Menestò : E. Menestò, a cura di, Quando abitavamo in grot-
ta. Atti del 1o Convegno internazionale sulla civiltà rupestre, Savelletri di Fasano,
27-29 novembre 2003, Spoleto, 2004; in riferimento agli insediamenti dell’alto La-
zio, cfr. i saggi a cura di E. De Minicis, Insediamenti rupestri medievali della Tu-
scia (I, Le abitazioni), Roma, 2003.
2
R. Guénon, Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Parigi, 1962,
p. 211-231.
3
P. Saintyves, Les grottes dans les cultes magico-religieux et dans la symboli-
que primitive, in Id., a cura di, Porphyre l’antre des nymphes, Parigi, 1918, p. 37-
256, spec. p. 208-251; P. Boyancé, L’Antre dans les Mystère de Dionysos, in Rendi-
conti della Pontificia Accademia di Archeologia, XXXIII, 1960-61, p. 107-127; L. Si-
monini, a cura di, Porfirio. L’antro delle Ninfe, Milano, 1986, n. 73, p. 186; H. La-
vagne, Operosa antra. Recherches sur la grotte à Rome de Sylla à Hadrien, Roma,
1988, p. 31-154.

.
12 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

hanno esaltato l’aspetto repulsivo assimilandola ai castris vere tene-


brarum e all’obscuro tenebrarum squalore 4.

Gregorio di Nissa
Già negli scritti di Gregorio di Nissa (335-395), però, si registra
un fondamentale cambio di tendenza : nell’evoluzione del pensiero
dell’autore greco, come osservava Jean Daniélou, la valenza simbo-
lica dell’antro si sposta dal negativo al positivo 5. In alcune sue ope-
re Gregorio dimostra di conoscere e far proprio il celebre mito pla-
tonico della caverna che considera la grotta metafora dell’oscurità
nella quale vive l’uomo vincolato alla conoscenza sensoriale, in
contrapposizione alla luce della visione intellettuale 6. In altri testi
l’autore nisseno, rifacendosi alla tradizione neo-platonica, pone la
caverna allo stadio più basso di un processo ascensionale di eman-
cipazione dell’animo umano, dal peso della corporeità verso la spi-
ritualità 7.
Il percorso verticale si ribalta completamente quando Gregorio
si sofferma sull’evento dell’incarnazione di Cristo. Nel sermone In
diem natalem Christi, l’autore accoglie la tradizione secondo la quale
il Salvatore era nato all’interno di una grotta. Quest’ultima diviene,
quindi, il simbolo dell’oscurità dell’animo umano che pur essendo
oppresso dal peccato è capace di accogliere il Verbo e farsi illumina-
re da esso. Il processo si fa da ascendente a discendente e la grotta
assume un chiaro significato positivo, di vittoria del bene sul male :
Quod autem speluncam vides, in qua paritur Dominus, caecam
hominum vitam, et sub terra demersam cogita, in qua nascitur ille, qui
in tenebris ambulantibus, et in regione umbrae mortis sedentibus se
ostendit : pannis autem obvolvitur et fasciis costringitur, qui peccato-
rum nostrorum catenas subit et vincula 8.

Tertullianus, De Corona, XV, 3, a cura di J. Fontaine, Parigi, 1966, p. 180;


4

Firmico Materno, De errore profanarum religionum, 5, 2, a cura di R. Turcan, Pa-


rigi, 1982, p. 86. Cfr. H. Lavagne, Operosa antra cit., p. 690.
5
J. Daniélou, Le symbole de la caverne chez Grégoire de Nysse, in Mullus.
Festchrift Theodor Klauser. Jahrbuch für antike und christentum. Ergänzungsband
1, 1964, Münster, 1964, p. 43-51.
6
In una delle sue prime opere Gregorio di Nissa fa esplicito richiamo alla
«obscura haec humanae naturae spelunca in praesenti vita» (Gregorio di Nissa,
De Beatitudinis, in PG, vol. 44, 1863, col. 1226 B; J. Daniélou, Le symbole de la ca-
verne cit., p. 44).
7
«Quosque tandem, ait, intra vitae speluncam abditae latetis? Progredimini
extra naturae velamenta [...] admirandum hoc spectaculum aspicite», Gregorio di
Nissa, In Cantica Canticorum, in PG, vol. 44, 1863, col. 915 A; J. Daniélou, Le
symbole de la caverne cit., p. 45.
8
Gregorio di Nissa, In diem natalem Christi, in PG, vol. 46, 1858, col. 1141 D;
J. Daniélou, Le symbole de la caverne cit., p. 46.

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 13

Nel trattare il tema della natività di Cristo, Gregorio non mette


in dubbio l’origine rupestre del luogo che ha fatto da scenario
all’evento, nonostante i vangeli utilizzino esclusivamente il termine
generico di fa¥tnh (mangiatoia). Soltanto a partire dalla metà del II
secolo, con Giustino 9 e Origene10, viene usata per la prima volta l’e-
spressione a¶ntron. Il termine è ripetuto nell’apocrifo del protovange-
lo di Giacomo e nel vangelo dello Pseudo Matteo, che fanno esplicito
riferimento alla grotta nel racconto dell’infanzia di Gesù11. La sua
comparsa tardiva è stata vista in connessione con il progressivo di-
minuire, a partire dalla seconda metà del II secolo, della fortuna del
mitraismo12.

Il reliquiario del Sancta Sanctorum e l’ampolla di Monza

Nell’iconografia della Natività la grotta è presente fin dalle pri-


me raffigurazioni. Una sorta di ombrello roccioso fa da sfondo alla
sacra famiglia sul retro del coperchio del reliquiario conservato al
Museo Sacro del Vaticano, già nel tesoro del Sancta Sanctorum, pro-
veniente dalla Terrasanta e assegnabile al tardo VI secolo (tav.
50 c)13. Dipinta insieme al Battesimo nel registro inferiore della ta-

9
Giustino, Dialogus cum Tryphone Judaeo, in PG, vol. 6, 1857, coll. 657-660.
10
Origene, Origenis contra Celsum, in PG, vol. 11, 1857, col. 756.
11
F. Bovon e P. Geoltrain, a cura di, Écrits apocryphes chrétiens, Parigi, 1997,
p. 98-102, 133-134. Cfr. E. Benz, Die heilige Höhle in der alten Christenheit und der
östlichen orthodoxen Kirche, in Eranos-Jahrbuch, 22, 1953, p. 365-432 (spec.
p. 367-384).
12
J. Daniélou, Le symbole de la caverne cit., p. 51; H. Lavagne, Operosa antra
cit., p. 689-695. A seguito di un confronto tra la grotta mitraica e quella di Be-
tlemme, Michael Gervers era giunto a conclusioni diverse : «It is sufficient to
entertain the possibility that the great emphasis wich the cult of Mithras placed
on the symbol of the cave might have encouraged the author of the
Protovangelium, or the author(s) of his source(s), to describe Christ’s Nativity as
he does», M. Gervers, The iconography of the cave in Christian and Mithraic
tradition, in Mysteria Mithrae. Atti del Seminario Internazionale su «La specificità
storico-religiosa dei Misteri di Mithra, con particolare riferimento alle fonti docu-
mentarie di Roma e Ostia», Roma e Ostia 28-31 marzo 1978, Roma, 1979, p. 579-
599 (p. 585-586).
13
H. Grisar, Il Sancta Sanctorum ed il suo tesoro sacro, Roma, 1907, p. 164-
168; Ch. R. Morey, The Painted Panel from the Sancta Sanctorum, in Festschrift
zum Sechzigsten Geburstag von Paul Clemen, Dusseldorf-Bonn, 1926, p. 151-167,
spec. p. 151-152, fig. 13; K. Weitzmann, Loca Sancta and the Representational Arts
of Palestine, in DOP, 28, 1974, p. 33-55, spec. p. 36, fig. 6; H. Belting, Bild und
Kult. Eine Geschichte des Bildes vor Zeitalter der Kunst, Monaco, 1990, p. 137 e
n. 12; G. Morello, Il tesoro del Sancta Sanctorum, in Il Palazzo apostolico Latera-
nense, a cura di C. Pietrangeli, Firenze, 1991, p. 94-95; Id., Coperchio di reliquiario
con dipinti cristologici, in A. Donati, a cura di, Dalla terra alle Genti. La diffusione
del cristianesimo nei primi secoli Rimini, 31 marzo-1 settembre 1996, catalogo della
mostra, Milano, 1996, p. 325-326 (scheda no 250); Ch. Barber, Figure and Like-

.
14 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

voletta, in pendant con l’Annunciazione e l’Ascensione che occupano


quello superiore, la scena della Natività sembra preludere, in questo
caso, al martirio della Crocifissione, alla quale è riservato l’intero
spazio mediano, e andrebbe quindi interpretata, secondo una recen-
te rilettura del pezzo, in stretto rapporto con la croce del Golgotha
raffigurata sul recto14. La rappresentazione della grotta, in particola-
re, prefigurerebbe il sepolcro scavato nella roccia e sigillato da un
masso fatto rotolare al suo ingresso (Marco, 15, 46)15.
L’origine siro-palestinese del reliquiario, la sua decorazione, i
frammenti di legno e le porzioni di pietra straordinariamente con-
servatisi all’interno16, sono tutti elementi che rinviano ai loca sancta
della Palestina, al pari dell’ampolla no 2 del tesoro di Monza, con
ogni probabilità contemporanea al pezzo del Sancta Sanctorum, che
presenta l’episodio della Natività al centro di sei scene cristologiche
disposte in circolo (tav. 50 b)17. In questo caso la presenza della grot-
ta è appena accennata da una profilatura a forma di mezza luna che
chiude in basso la raffigurazione del Bambino con l’asino e il bue.
Viene però introdotto un elemento figurativo che stavolta può consi-
derarsi un richiamo esplicito, sul piano iconografico, ai pellegrinag-
gi in Terrasanta : si tratta di una sorta di edicola cilindrica nella
quale va colto un riferimento alla basilica che Costantino fece co-
struire nella città di Betlemme in corrispondenza della grotta fin da
allora associata alla nascita di Cristo18.

ness. On the Limits of Representation Byzantine Iconoclasm, Princeton University


Press, 2002, p. 15-17.
14
G. Morello, Coperchio di reliquiario cit., p. 326.
15
Ibid.
16
Morey, The Painted Panel cit., p. 151.
17
Ibid., p. 156, fig. 5; A. Grabar, Les ampoules de Terre Sainte, Parigi, 1958,
p. 18-20, pl. V, VII; M. Frazer, Oreficerie altomedievali, in Il Duomo di Monza, a
cura di R. Conti, Milano, 1989 (II ed. 1990), 2 voll., II (I Tesori), p. 15-48, spec.
p. 29, fig. 30, no 15; J. Engemann, Palästinische Pilgerampullen im F. J. Dölger-
Institut in Bonn, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 16, 1973, p. 5-27, spec.
p. 16-19, tav. 5, c-d; G. Vikan, Early Byzantine Pilgrimage Devotionalia as Evidence
of the Appearence of Pilgrimages Shrines, in Akten des XII. Internationalen Kon-
gress für christliche Archäologia, Bonn 22-28 September 1991, 2 voll., Münster,
1995 (Jahrbuch für Antike und Christentum Ergänzungshand, 20), I, p. 377-388,
spec. p. 377, tav. 50, a.
18
A. Grabar, Les ampoules cit., p. 19; K. Weitzmann, Loca Sancta cit., p. 36,
fig. 5. Il tema della Natività, con il profilo arcuato della grotta, stavolta a cornice
dell’intera scena, e con l’edicola costantiniana ben in vista, è riprodotto a tutto
campo su un altro esemplare di ampolla palestinese, coeva a quella di Monza,
giuntoci frammentario : si tratta del pezzo conservato al F. J. Dölger Institut di
Bonn (J. Engemann, Palästinische Pilgerampullen cit., p. 14-16, tavv. 2-4). Sulla
grotta betlemitica e il sovrastante edificio costantinano : P. Maraval, Lieux saints
et pèlerinages d’Orient. Histoire et géographie des origines à la conquête arabe, Pari-
gi, 1985, p. 272-274.

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 15

Grotte e loca sancta della Palestina


Quello betlemitico non era certo l’unico santuario della Palesti-
na ad essere sorto in corrispondenza di cavità rocciose che la tradi-
zione legava alla vita di Cristo o ad eventi biblici. Fra i luoghi con-
nessi ad episodi veterotestamentari può essere ricordata la caverna
di Odollam, nella quale veniva riconosciuto il rifugio che sarebbe
stato utilizzato da David per sfuggire alle persecuzioni di Saul, la
grotta di Abramo, a Hebron, dove si credeva che il patriarca fosse
stato sepolto insieme alla propria famiglia, quella di Elia sul monte
Carmelo e la cosiddetta caverna di Giobbe presso la città di Car-
neas19. Quanto ai santuari legati alla narrazione evangelica, oltre alla
grotta della Natività, possiamo ricordare quella dell’Annunciazione
a Nazareth e gli ambienti rupestri gerosolimitani ubicati in corri-
spondenza del Getsèmani, del Golgotha, del Santo Sepolcro, del
monte Eleona associato all’Ascensione 20. Non mancano testimonian-
ze pittoriche d’età medievale in questi luoghi : sia all’interno del-
l’area del Calvario, al di sotto del monumentale complesso voluto da
Costantino, che in corrispondenza dell’orto del Getsèmani, si sono
conservati resti di pittura stesa direttamente sulla roccia risalente ai
secoli XI e XII 21.

19
Ibid., p. 195-198, 275-276, 332. La caverna di Giobbe è citata nel diario di
viaggio della pellegrina Egeria (vedi infra, p. 16), risalente al IV secolo : Egeria,
Itinerarium, in P. Geyer, O. Cuntz, a cura di, Itineraria et alia geographica, Turn-
holti, 1965 (Corpus Christianorum, Series Latinae, 175), p. 37-90. Per una leggen-
daria identificazione di una grotta del monte Thabor con il luogo dove avrebbe
soggiornato Melchisedech, si veda : H. Lesètre, Caverne, in Dictionnaire de la Bi-
ble, II, Parigi, 1899, coll. 353-356 (355).
20
P. Maraval, Lieux saints et pèlerinages cit., p. 254-256, 263-265, 272-3. In
particolare, sulla grotta venerata di Nazareth : B. Bagatti, Gli scavi di Nazaret.
Volume I : dalle origini al secolo XII, Gerusalemme, 1967, p. 169-212, figg. 137-
138; Id., Gli scavi di Nazaret. Volume II : Dal secolo XII ad oggi, Gerusalemme,
1984, p. 54-70; sulla facies rupestre del luogo dell’Anastasis, sul quale è sorta la
chiesa della Resurrezione : S. Tampáki, O GOLGOUAS KAI TO PAREKKLHSIO
TOY ADAM STON PANIERO NAO THS ANASTASEWOS IEROSOLYMWN, in
Byzantina, 21, 2000, p. 493-521; sulle evidenze rocciose in corrispondenza del
luogo della Crocifissione : B. Bagatti, Il Golgotha e la Croce : ricerche storico-
archeologiche, Gerusalemme, 1978 (Studium Biblicum Franciscanum, 21), spec.
p. 61-62, figg. 9-10.
21
Si tratta di un pannello con una Crocifissione ed altri brani pittorici con-
servati nella cappella rupestre della Invenzione della Santa Croce, in corrispon-
denza del lato est del Triportico costantiniano (V. Corbo, Il Santo Sepolcro di Ge-
rusalemme, aspetti archeologici dalle origini al periodo crociato, 3 voll., Gerusalem-
me, 1981-1982, I, p. 166-168, II tavv. 3, 57, III, tavv. 111-113) e dei resti di pittura
(con tracce di aureole, panneggi, cielo stellato, ecc.) presenti nella grotta del-
l’Orto del Getsèmani sul monte degli Ulivi : Id., Ricerche archeologiche al Monte
degli Ulivi, Gerusalemme, 1965, p. 22-23.

.
16 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Il valore sacrale della roccia in prossimità dei loca sancta della


Palestina è tramandato pure dalle testimonianze dei pellegrini che,
dai primi secoli dell’età cristiana in poi, visitarono i santuari e ne
conservarono memoria nei loro diari di viaggio. La più celebre, fra
questi, è senz’altro Egeria, che sul finire del IV secolo compì un pel-
legrinaggio nel Mediterraneo orientale, visitò il Sinai, ascese al mon-
te Nebo e finalmente arrivò a Gerusalemme dove fece visita, fra l’al-
tro, ai santuari rupestri di Elia, di Giobbe e dell’Anastasis 22. All’inter-
no di quest’ultimo, la pellegrina si trovò ad assistere al rituale
liturgico del passaggio del vescovo dall’ambiente riservato ai fedeli a
quello più interno, chiuso da una cancellata, che aveva le sembianze
di una grotta :
Ecce et supervenit episcopus cum clero et statim ingreditur intro
spelunca et de intro cancellos primum dicet orationem pro omnibus 23.
Anche nelle annotazioni del pellegrino Antonino di Piacenza,
che compie il suo viaggio in Palestina tra il 560 e il 570 d.C., emerge
l’importanza conferita alla roccia in corrispondenza dei luoghi di
culto 24. A proposito del santuario betlemitico annota :
[...] spelunca, ubi natus est Dominus, in qua est ipsum praese-
pium ornatum ex auro et argento; die noctuque intus luminaria. Os ve-
ro speluncae ad ingrediendum angustum omnino 25.
Nel sepolcro dell’Anastasis il viaggiatore non manca di osservare
che il santuario è de petra naturale excisus, ma anche che la colora-
zione del masso impiegato per la chiusura dell’ingresso è la stessa di
quella della roccia del Golgotha e quindi da lì, ne deduce, deve esse-
re stato estratto 26. Sempre a proposito del monte della Crocifissione,

22
Egeria, Itinerarium cit., p. 37-90 spec. p. 56, 58. Sull’itinerario gerosolimi-
tano di Egeria : F. Cardini, La Gerusalemme di Egeria e il pellegrinaggio dei Cri-
stiani d’Occidente in Terrasanta fra IV e V secolo, in Atti del Convegno internazio-
nale sulla Peregrinatio Egeriae. Nel centenario della pubblicazione del Codex Areti-
nus 405, Arezzo, 23-25 ottobre 1987, Arezzo, 1990, p. 333-341.
23
Egeria, Itinerarium cit., p. 67. Sull’interpretazione del termine spelunca in
Egeria, proprio in riferimento alla cavità rupestre del santuario dell’Anastasis :
P. Testini, Egeria e il S. Sepolcro di Gerusalemme. Qualche appunto per il tradutto-
re, in Atti del Convegno internazionale sulla Peregrinatio Egeriae. Nel centenario
della pubblicazione del Codex Aretinus 405, Arezzo, 23-25 ottobre 1987, Arezzo,
1990, p. 215-230, spec. p. 217-223.
24
Antonino di Piacenza, Itinerarium, in P. Geyer, O. Cuntz, a cura di, Itine-
raria et alia geographica, Turnholti, 1965 (Corpus Christianorum, Series Latinae,
175), p. 129-153. Sull’itinerarium di Antonino : C. Milani, a cura di, Itinerarium
Antonini Placentini. Un viaggio in Terra Santa del 560-570 d. C., Milano, 1977;
B. Bagatti, Il Golgotha cit., p. 51-52; P. Maraval, Récits des premiers pèlerins chré-
tiens au Proche-Orient (IVe-VIIe siècle), Parigi, 1996, p. 203-235.
25
Antonino di Piacenza, Itinerarium cit., p. 143.
26
Ibid., p. 138.

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 17

non indugia a descrivere il rumore dell’acqua che scorre all’interno


della cavità naturale, associata al sepolcro di Adamo, che si intrave-
de da una crepatura del terreno 27.
Dalla testimonianza dei pellegrini dei primi secoli dell’età cri-
stiana, e dalle recenti indagini archeologiche, la facies rupestre si
profila, insomma, come l’aspetto più sacro e caratterizzante dei san-
tuari palestinesi, ricettacolo di un valore simbolico non esibito, anzi,
il più delle volte nascosto all’interno di un edificio monumentale, il
quale assume la funzione di prezioso contenitore, reliquiario del-
l’impronta visibile e tangibile lasciata sulla roccia dall’episodio evan-
gelico o dall’evento biblico 28.

Dalla Terrasanta all’Occidente


L’importanza conferita a questi santuari sembrerebbe aver avu-
to un peso considerevole nel processo di cristianizzazione degli spa-
zi rupestri che a partire dai primi secoli dell’altomedioevo interessa
diverse aree del bacino mediterraneo e in maniera rilevante l’Italia
centro-meridionale 29.
Riguardo all’importazione in Occidente, e in special modo a
Roma, di modelli monumentali gerosolimitani, primo fra tutti la ro-
tonda costantiniana dell’Anastasis 30, Franco Cardini ha messo in evi-
denza un fenomeno di transfert cultuale : «Il culto romano di Geru-
salemme comportava una sorta di trasferimento – compartecipazio-
ne di sacralità. La città imperiale, divenuta cristiana, ambiva a
presentarsi anche come Nova Jerusalem [...]. Ciò comportava la co-
struzione di santuari che in qualche modo – ora grazie a una carat-
teristica simbolica, liturgica o lipsanica, ora attraverso una qualche
somiglianza architettonica o un certo rapporto topografico rispetto
ad altri santuari finitimi – richiamassero posizione e funzione di
quelli della città palestinese» 31.

27
Ibid., p. 139; P. Maraval, Récits cit., p. 256. Sull’associazione Golgotha
(monte del cranio) e Adamo : S. Tampáki, O GOLGOUAS cit., p. 493-521.
28
«Lieux-reliques, que les pèlerins vénèrent et baisent, les lieux saints», ha
scritto di recente Bernard Flusin, «paraissent être essentiellement des réalités
géographiques, géologiques, des partie du sol, du roc, ou peut-être du ciel. C’est
bien là ce qui les fonde et les architectes auront soin de laisser dégagé le rocher
que le pèlerin vénère [...]», B. Flusin, Les lieux saints de Jérusalem à l’époque by-
zantine, in A. Vauchez, a cura di, Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires, Roma,
2000 (Collection de l’École française de Rome, 273), p. 119-132, spec. p. 130.
29
P. Saintyves, Les grottes cit., p. 208-251; J. Daniélou, Le symbole de la ca-
verne cit., p. 48-49.
30
F. Cardini, Jerusalem traslata, in C. A. Quintavalle, a cura di, Le vie del Me-
dioevo. Atti del Convegno internazionale di studi, Parma 28 settembre-1 ottobre
1998, Venezia, 2000, p. 281-296, spec. p. 291-292.
31
Id., Roma e Gerusalemme, in M. D’Onofrio, a cura di, Romei e giubilei. Il

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18 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Va da sé che in questo passaggio di modelli cultuali da Gerusa-


lemme a Roma rientra pure, e niente affatto marginalmente, la fa-
cies rupestre del luogo santo, teatro naturale dell’episodio evangeli-
co e dunque atta a circoscrivere lo spazio del sacro più di qualsiasi
opera edilizia. Non stupisce, quindi, che al pari dei diari di viaggio
scritti dai pellegrini della Terrasanta, i cimiteri ipogei del suburbio
romano vengano correntemente identificati col termine spelunca ne-
gli appunti dei fedeli in visita alle tombe dei martiri 32. La suggestiva
illuminazione che rischiarava il sepolcro di papa Cornelio nel buio
delle catacombe di Callisto 33, ad esempio, doveva richiamare l’atten-
zione dei visitatori né più e né meno delle lampade che ardevano
giorno e notte nella grotta di Betlemme, secondo quanto riportato
dal pellegrino di Piacenza 34.
Un esplicito riferimento alla grotta della Natività si riscontra
nell’encomio relativo alla vita di san Marciano, protovescovo di Sira-
cusa, che secondo un’antica tradizione visse per un certo periodo di
tempo in una cavità del banco roccioso della città, forse in coinci-
denza dell’area delle catacombe di San Giovanni 35. Nel componi-
mento agiografico l’ambiente rupestre viene assimilato alla grotta di
Betlemme e il paragone contribuisce ad allontanare dalla dimora del
santo l’immagine negativa dell’antro oscuro, sede del demonio :
[...] speluncam, non jam illam sathanicam, sed templum sanctum
et angelicum; non jam daemonum catervis plenam, sed Angelorum cho-
ris celebratam; non jam fraudis et praestigiarum officinam, sed mor-
borum incurabilium medicinam. O speluncam, Bethleemiticae compa-
randam, in qua naturam nostram omnium Deus assumpsit ex vere ac
proprie et semper virgine Maria, non commixtionem passus aut confu-

pellegrinaggio medievale a San Pietro (350-1350), Roma, 29 ottobre 1999-26 feb-


braio 2000, catalogo della mostra, Milano, 1999, p. 57-63 (p. 62).
32
Infra, p. 203, nota 105.
33
V. Fiocchi Nicolai, Itinera ad sanctos. Testimonianze monumentali del pas-
saggio dei pellegrini nei santuari del suburbio romano, in Akten des XII. Internatio-
nalen Kongress cit., II, p. 763-775 (p. 769).
34
Antonino di Piacenza, Itinerarium cit., p. 143.
35
Encomium S. Marciani Ep. M., in AASS, Iunii tomus III, Parigi-Roma,
1867, coll. 277-283; cfr. A. Amore, San Marciano di Siracusa. Studio archeologico
agiografico, Città del Vaticano, 1958 (Spicilegium Pontificii Athenaei Antoniani,
12) spec. p. 50-60, 75-91; A. Messina, L’encomio di S. Marciano (BHG 1030) e la
basilica di S. Giovanni Evangelista a Siracusa, in Byzantion, 65, 1995, p. 17-23;
C. D. Fonseca, La vita in grotta fra Angeli e Demoni, in M. Bussagli e M. D’Ono-
frio, a cura di, Le ali di Dio. Messaggeri e guerrieri alati tra Oriente e Occidente. Mo-
stra sugli angeli per il Giubileo del Duemila, Bari 6 maggio-31 agosto 2000, Caen 29
settembre-31 dicembre 2000, Cinisello Balsamo, 2000, p. 36-39, spec. p. 36. La tra-
dizionale datazione dell’encomio ai secoli VIII-IX non ha persuaso Aldo Messina
che l’ha posticipata all’epoca normanna (A. Messina, L’encomio di S. Marciano
cit., p. 18).

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LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 19

sionem quamcumque, sed exinaniens semetipsum, prout ipsi collibuit,


ad summam humilitatis demissionem 36.

L’eredità del paganesimo


Il pellegrinaggio ai loca sancta della Palestina non è però l’unico
fenomeno ad aver giocato un ruolo importante nella diffusione dei
santuari in rupe. Un peso considerevole deve avere avuto quel porta-
to di sacralità che la grotta eredita dall’epoca arcaica o classica, seb-
bene le dinamiche del passaggio dal rituale pagano a quello cristia-
no sfuggano il più delle volte a una definizione precisa 37.
Se è vero, infatti, che in alcuni casi oggetto della nostra ricerca
sono stati ravvisati indizi che fanno pensare all’esistenza di riti pre-
cristiani, e ciò quanto meno a Sutri, a Ninfa, sul Tancia, ad Arpino e
a Vallepietra, pur tuttavia il cambio cultuale non sembra essere av-
venuto dall’oggi al domani. Al contrario di molti templi sub divo che
sappiamo essere stati trasformati in chiese a seguito di un editto le-
gislativo, per i santuari rupestri non disponiamo di dati che possano
attestare un passaggio repentino 38. Sembra probabile, ad esempio,
che la stalattite sulla quale si pensava fosse stata forgiata l’effigie
della dea Vacuna all’interno della grotta del Monte Tancia, purtrop-
po trafugata, testimoniasse la vitalità di un culto tramontato nume-
rosi secoli prima dell’intitolazione a san Michele 39. Una riflessione
simile è stata espressa, tempo addietro, a proposito della continuità
fra culto pagano e culto cristiano nelle grotte dell’isola di Creta 40.
D’altra parte, è evidente che all’interno di spazi ricavati nella
roccia, spesso lontani dal controllo costante e diretto del clero, il

36
Encomium S. Marciani cit., p. 282.
37
Sull’argomento, cfr. F. Gandolfo, Luoghi dei santi e luoghi dei demoni : il
riuso dei templi nel Medio Evo, in Santi e demoni nell’Alto Medioevo Occidentale,
Spoleto, 7-13 aprile 1988, 2 voll., Spoleto, 1989 (Sett.CISAM XXXVI), II, p. 883-
916, spec. p. 890-893; J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 28-29 e nota;
A. Vauchez, Reliquie, santi e santuari, spazi sacri e vagabondaggio religioso nel Me-
dioevo, in A. Vauchez, a cura di, Storia dell’Italia religiosa, I. L’Antichità e il Me-
dioevo, Bari, 1993, p. 455-484, part. p. 468-473.
38
F. Gandolfo, Luoghi dei santi cit., p. 887.
39
Si vedano i contributi di Maria Giovanna Mara (infra, p. 83, n. 190).
40
Scriveva, infatti, Paul Faure : «Même la croyance permanente à la vertu
magique ou surnaturelle [...] de l’eau des cavernes revêt des aspects différents se-
lon que le civilisations décident de les consacrer à un dieu des bergers, comme
Hermès, ou à un ermite, comme sainte Antoine, et l’on peut pas dire qu’à Patsos,
par exemple, le culte de celui-ci ‘continue’ le culte de celui-là. En Crète, les
saintes, solitaires dans leurs cavernes, n’apparaissent pas comme les successeurs
des collages de dieux. Des uns aux autres on constate, dans les offrandes ou les
rites souterrains, un hiatus de douze à quinte siècles. C’est donc encore à l’his-
toire des idées qu’il faut recourir pour expliquer les variations constatées»,
P. Faure, Fonction des cavernes crétoises, Parigi, 1964, p. 247-248.

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20 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

culto cristiano entri in conflitto con pratiche superstiziose e rigurgi-


ti idolatrici duri a morire. Il timore che la grotta possa essere conta-
minata da presenze pagane è sempre in agguato : lo si riscontra nel-
la vita di sant’Elia lo Speleota (X secolo) 41, il quale deve fare i conti
con i pipistrelli annidati nei recessi dell’antro che presagiscono la
presenza del demonio.
Lo spettro dei demoni che aleggia intorno all’eremita, al vescovo
o al semplice fedele, ogni qual volta uno di questi si spinge all’inter-
no di una cavità rocciosa, non ha un collegamento diretto con culti
specifici, come quello di Pan, delle ninfe o di Mitra, ma sembra piut-
tosto potersi ricondurre all’eterna dimensione numinosa che perva-
de l’antro roccioso, immanente negli elementi naturali del paesaggio
rupestre 42. Si tratta di una presenza invisibile, maestosa e potente,
extra-razionale, che ispira terrore ed attira ad un tempo, e viene a
costituire l’elemento essenziale del sacro all’interno della grotta 43.
Nell’Itinerarium Bernardi, diario di viaggio di un monaco del IX
secolo, il santuario del monte Aureus, identificabile nella grotta di
San Michele ad Olevano sul Tusciano, viene scelto come tappa del

41
«[...] et sic lumen solare illuxit intus manentibus, egressaque sunt consueta
volatilia, ac mentes tenebrosae malorum immundorumque spirituum; nam quod
spelunca daemonum esset habitaculum post pauca dicam», Vita Sancti Eliae, in
AASS, Septembris tomus tertius, Parigi-Roma, coll. 848-887 (865); C. D. Fonseca,
La vita in grotta cit., p. 36-37; J.-M. Martin, L’érémitisme grec et latin en Italie mé-
ridionale (Xe-XIIIe siècle), in A. Vauchez, a cura di, Ermites de France et d’Italie
(XIe-XVe siècle), Roma, 2003 (Collection de l’École française de Rome, 313), p. 175-
198 (p. 179).
42
Ha scritto Henri Lavagne, a proposito delle grotte in epoca precristiana :
«Comme les fleuves, les sources, les forêts, les sommets des montagnes, les lacs
ou le simple bouquet d’arbres sur un rocher, on doit penser que les cavernes sau-
vages font partie de ces sites créés par la Nature, sans l’intervention humaine, et
qui sont porteurs de ce mystérieux numen», H. Lavagne, Operosa antra cit.,
p. 189. Sulla roccia, la montagna, la foresta e la sorgente d’acqua quali compo-
nenti dello sapzio sacro : R. Grégoire, La foresta come esperienza religiosa, in
L’ambiente vegetale nell’Alto Medioevo, Spoleto 30 marzo-5 aprile 1989, 2 voll., Spo-
leto, 1990 (Sett.CISAM, XXXVII), II, p. 663-703; F. Cardini, Boschi sacri e monti
sacri fra tardoantico e altomedioevo, in Monteluco e i monti sacri : atti dell’incontro
di studio, Spoleto 30 settembre-2 ottobre 1993, Spoleto, 1994, p. 1-23; S. Boesch
Gajano, Agiografia e geografia nei dialoghi di Gregorio Magno, in S. Pricoco, a cura
di, Storia della Sicilia e tradizione agiografica nella tarda antichità, Atti del Conve-
gno di Studi, Catania 20-22 maggio 1986, Catanzaro, 1988, p. 209-220, part.
p. 217-220; Eadem, Paesaggio, solitudine e taumaturgia, in E. Micati, a cura di,
Eremi e luoghi di culto rupestri d’Abruzzo, Pescara, 1996, p. 9-22. Per un approc-
cio antropologico al tema della geografia del sacro : L. Scaraffia, Questioni aper-
te, in S. Boesch Gajano e L. Scaraffia, a cura di, Luoghi sacri e spazi della santità,
Torino, 1990, p. 11-19.
43
Sull’ambivalenza delle componenti di attrazione e repulsione nell’immagi-
nario collettivo della grotta, cfr. G. Durand, Structures anthropologiques de l’ima-
ginaire, Grenoble, 1960, p. 257; H. Lavagne, Operosa antra cit., p. 669-670, 689-
695.

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 21

percorso anche se per visitarlo bisogna far i conti con l’obscuritate


del suo interno 44. La componente repulsiva insita nell’antro acqui-
sta, agli occhi del pellegrino, il valore positivo del superamento della
prova della paura per guadagnarsi la remissione dei peccati o la gua-
rigione da una malattia.
A tutt’oggi esistono sopravvivenze di pratiche magico-propizia-
torie che rimandano ai culti animistici dell’epoca arcaica. In questa
prospettiva cogliamo l’interesse ancora attuale del contributo di An-
gelo Brelich sui rituali compiuti dai fedeli in pellegrinaggio al san-
tuario della Santissima Trinità di Vallepietra, consistenti nel tra-
sporto di tronchi d’albero sulla sommità della montagna 45. A Nor-
chia, la grotta di San Vivenzio è meta di una processione dove si
compiono riti che inneggiano alla fertilità dell’uomo e della terra 46.
Presso Subiaco, una volta all’anno, i contadini accendono torce in-
torno a una grotta tradizionalmente identificata con il luogo nel
quale visse santa Chelidonia, eremita dell’XI secolo raffigurata all’in-
terno del suo antro in un ciclo di pitture duecentesche che decora la
chiesa inferiore del monastero del Sacro Speco 47. Sul Monte Tabur-
no, in provincia di Benevento, fino a tempi recenti la popolazione lo-
cale rivolgeva preghiere nelle grotte di San Mauro e di San Simeone
ai santi eponimi per invocare, rispettivamente, l’arrivo delle piogge e
del sereno a seconda delle esigenze del raccolto 48. Lo stesso doveva
accadere nell’insediamento rupestre di San Giovanni a Pollo, presso
Sutri, come lascia pensare la raffigurazione in quel luogo dei santi
martiri Giovanni e Paolo ai quali veniva conferita «potestatem clàu-
dere caelum nubibus et aperire portas eius : quia linguae eorum claves
caeli factae sunt» 49.

44
«In qua cripta nemo potest prae obscuritate tenebrarum intrate, nisi cum ac-
censis luminaribus», Bernardo monaco, Itinerarium, in PL, 121, 1852 (col 574).
Sull’itinerario di Bernardo e la convincente ipotesi di identificare il luogo nella
grotta di Olevano sul Tusciano, cfr. P. Avril, J.-R. Gaborit, L’itinerarium Bernardi
monachi et les pèlerinages d’Italie du sud pendant le haut Moyen Âge, in Mélanges
d’archéologie et d’histoire, 79, 1967, p. 269-298.
45
A. Brelich, Un culto preistorico vivente nell’Italia centrale, in Studi e mate-
riali di Storia delle religioni, XXIV-XXV, 1953-1954, p. 36-59 (p. 39); M. A. Orlan-
di, La Valle dell’Aniene nell’antichità, in M. A. Orlandi, a cura di, ACTA. XV cente-
nario della venuta di S. Benedetto a Subiaco. Celebrazioni benedettine 1999-2001,
Subiaco, 2002, p. 13-38 (p. 25-27).
46
F. Giacalone, Il simbolismo mitico-rituale connesso alla Grotta di S. Viven-
zio a Norchia : ipotesi di un percorso storico-religioso, in Informazioni, I, 7, luglio-
dicembre 1992, p. 87-96, spec. p. 93-95.
47
B. Cignitti, Chelidonia, in Bibl.SS, III, 1963, coll. 1179-1181; S. Boesch Ga-
jano, Paesaggio cit., p. 10, n. 10.
48
A. Venditti, Architettura bizantina nell’Italia meridionale, Napoli, 1967,
p. 366.
49
S. Piazza, Pittura rupestre a San Giovanni a Pollo cit., p. 322.

.
22 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

San Silvestro e il drago


Fortemente evocativa del conflitto fra cristianesimo e paganesi-
mo all’interno di uno spazio rupestre, è la leggenda romana che ha
per protagonista papa Silvestro I e una grotta come ambientazione.
Si tratta di un episodio contenuto nella Vita Silvestri, databile tra la
fine del IV secolo e la prima metà del V 50. Secondo il racconto, in
una spelonca nei pressi del foro romano da tempo immemorabile si
era rifugiato un drago 51. Un giorno, venendo a mancare il suo abi-
tuale nutrimento portato dalle vestali, la bestia feroce aggredì gli
abitanti del luogo con il suo fiato mortifero ma in loro aiuto inter-
venne papa Silvestro che, esortato in sogno da san Pietro, scese nel-
l’antro sotterraneo per legare le fauci del drago e renderlo inoffensi-
vo fino al giorno del giudizio universale.
Il tema silvestrino s’incontra in svariati contesti pittorici del-
l’Italia centrale, il più antico dei quali, risalente al IX secolo, è nel ti-
tulus sottostante la basilica romana di San Martino ai Monti 52. Nella
versione della Grotta dei Santi presso Calvi, assegnabile alla metà
circa dell’XI secolo, il pontefice è ritratto nell’atto di legare la bocca
del drago all’interno dell’antro, circondato da diaconi e presbiteri e
assistito da Pietro e Paolo (tav. 39 a) 53. La scena è stata variamente
interpretata : unanime è l’ipotesi di un’affermazione del prevalere
della Chiesa sul paganesimo, che all’epoca del fiorire della leggenda
era tutt’altro che sopito tant’è che bisognerà attendere la fine del V
secolo per l’estinzione di una festa antichissima e ancora molto sen-

Cfr. A. M. Orselli, Santi e città. Santi e demoni urbani tra tardoantico e alto-
50

medioevo, in Santi e demoni nell’Alto Medioevo Occidentale, Spoleto, 7-13 aprile


1988, 2 voll., Spoleto, 1989 (Sett.CISAM, XXXVI), II, p. 783-835, spec. p. 783-800;
F. Gandolfo, Luoghi dei santi cit., p. 890-892. Per la datazione al IV-V secolo della
Vita Silvestri, cfr. A. Fraschetti, La conversione da Roma pagana a Roma cristiana,
Bari, 1999, p. 109 e bibliografia in nota.
51
Vitae seu gestarum sancti Sylvestri Papae, in B. Mombritius, Sanctuarium
seu Vitae Sanctorum, 2 voll., Parigi, 1910 (rist. anast., New York, 1978), II, p. 508-
531, spec. p. 529-530.
52
J. Wilpert, Die Römischen Mosaiken und Malereien der kirchlichen bauten
vom IV bis XIII Jahrhundert, 4 voll., Friburgo, 1914-1917, I-2, p. 333; J. Aronen, I
misteri di Ecate sul Campidoglio? La versione apocrifa della leggenda di S. Silvestro
e il drago riconsiderata, in Studi e materiali di storia delle religioni, 51, 1985, p. 73-
92; Id., Le sopravvivenze dei culti pagani e la topografia cristiana dell’area di Giu-
turna e delle sue adiacenze in Lacus Iuturnae (I). Lavori e studi di Archeologia pub-
blicati dalla Sovrintendenza Archeologica di Roma, Roma, 1989, p. 148-174 (p. 166-
170, figg. 3-5).
53
S. Piazza, La Grotta dei Santi a Calvi e le sue pitture, in Rivista dell’Istituto
Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, 57, 2002 (2003), p. 169-208, spec.
p. 204-205, fig. 16 a p. 118.

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 23

tita come quella dei lupercalia 54. Lo stesso Silvestro, che aveva occu-
pato la sede pontificia durante la conversione di Costantino, assurge
a simbolo dell’eroe cristiano.
Non sono mancati tentativi di individuare l’esatta ubicazione
della grotta leggendaria presso l’area sacra di Vesta al Foro Romano
o la rupe Tarpea del Campidoglio 55. L’oscillazione fra questi due luo-
ghi è dovuta al fatto che la versione più antica del racconto ambien-
ta la vicenda presso il templum Vestae, mentre in una stesura succes-
siva di circa un secolo l’episodio viene localizzato sotto il tempio di
Giove Ottimo Massimo sul colle capitolino 56. Il cambio di ubicazio-
ne è significativo : se nella prima versione si faceva probabilmente
riferimento al rito delle vestali, nel testo più tardo si allude al luogo
che per i cristiani rappresentava il cuore dell’idolatria. Il riscontro di
culti misterici associati alle grotte nell’area del Campidoglio e forse
anche l’aspetto naturale della zona, tradizionalmente associata al-
l’infernus per via del ristagno d’acqua putrida, potrebbero aver dato
origine alla leggenda 57.
Da questo punto di vista risulta suggestivo l’accostamento del-
l’episodio silvestrino al tema iconografico dell’Anastasis 58. Come il
pontefice discende nell’antro romano, serra la bocca del drago per li-
berare i cittadini dalla sua minaccia, così Cristo discende agli inferi,
ordina agli angeli di legare Satana e libera i progenitori 59. Già nell’al-
tomedioevo, dall’originario ceppo della leggenda di san Silvestro so-
no fioriti altri racconti che hanno sostituito talvolta il protagonista
con papa Leone IV 60 e talaltra l’ubicazione, che si sposta dal centro
di Roma al monte Tancia, all’interno del celebre santuario dedicato
all’arcangelo Michele 61.
La leggenda del Tancia rappresenta il sovrapporsi dell’immagi-
ne di Silvestro a quella di san Michele, che un genere iconografico di
lunga tradizione raffigura in posa stante nell’atto di trafiggere, con
la lancia, il drago demoniaco giacente ai suoi piedi 62. Nel testo agio-

54
A. Fraschetti, La conversione cit., p. 116-118. Sui lupercalia : Ibid., p. 97,
161; F. Gandolfo, Luoghi dei santi cit., p. 890-892.
55
W. Pohlkamp, Tradition und Topographie : Papst Silvester I. (314-335) und
der Drache vom Forum Romanum in Römische Quartalschrift für christlische, 78,
1983, p. 1-100, spec. p. 54-61; J. Aronen, Le sopravvivenze cit., p. 161-167; A. Fra-
schetti, La conversione cit., p. 115-116.
56
Ibid., p. 117.
57
J. Aronen, I misteri cit., p. 73-92; Id., Le sopravvivenze cit., p. 163.
58
Ibid., p. 165.
59
Sull’iconografia dell’Anastasis : A. D. Kartsonis, Anastasis. The Making of
on Image, Princeton N. J., 1986, part. p. 69-81.
60
J. Aronen, Le sopravvivenze cit., p. 165.
61
F. Gandolfo, Luoghi dei santi cit., p. 892.
62
Infra, p. 201.

.
24 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

grafico la vittoria dell’arcangelo sul demonio è seguita dall’arrivo sul


monte del pontefice, giunto dal vicino Soratte per consacrare l’altare
della grotta e conferire legittimità al culto micaelico 63.

Il ruolo del vescovo

La necessità di richiamare l’intervento di Silvestro per inaugura-


re l’uso religioso del santuario nasconde l’esigenza da parte del clero
di riservare soltanto al vescovo il ruolo di garante del corretto svolgi-
mento della liturgia all’interno della grotta.
Rimanendo all’interno dei confini della Sabina 64, anche la marti-
re Vittoria, secondo quanto riportato da un’antica passio che trova
riflessi in leggende locali sopravvissute fino ai giorni nostri, si era
addentrata nella spelunca draconis vicina all’abitato di Trebula Mu-
tuesca, l’attuale Monteleone Sabino, uccidendo la bestia pestifera e
liberando così le genti vicine da una minaccia costante 65. L’interven-
to della santa, però, non basta a scongiurare il ritorno del demonio
dalle viscere della terra. Per annientarlo definitivamente, è necessa-
rio l’intervento di un rappresentante del clero, unico legittimato a
compiere il rito dell’istituzione dell’altare 66.
Le fasi salienti che riguardano la liturgia della consacrazione di
un luogo rupestre sono descritte nel citato Encomium sancti Marcia-
ni, laddove si racconta dell’ingresso del vescovo Teodosio nell’antro
siracusano, già sede nella quale s’era ritirato a vita solitaria il marti-
re Marciano e successivamente divenuto sepolcro del santo. Seguito

63
A. Poncelet, S. Michele sul Monte Tancia, in ASRSP, XXIX, 1906, p. 541-
548; I. Aulisa, Le fonti e la datazione della «Relevatio seu apparitio S. Michaelis
Archangeli in monte Tancia», in Vetera Christianorum, 31, 1994, p. 315-331.
64
Su due casi campani di santi vescovi vincitori sul drago si rinvia al recente
contributo di Domenico Caiazza : D. Caiazza, I santi vescovi vincitori del drago.
Paride di Teano e Barbato di Benevento debellatori dell’arianesimo e rifondatori del-
l’episcopato cattolico nella Longobardia Minore, in I Longobardi dei ducati di Spo-
leto e Benevento. Atti del XVI Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo,
Spoleto, Benevento, 20-27 ottobre 200, 2 voll., Spoleto, 2003, II, p. 1203-1262.
65
P. Paschini, La «Passio» delle martiri sabine Vittoria e Anatolia, Roma,
1919, spec. p. 24, 41-42, 53-54; V. Saxer, I santi e i santuari antichi della via Sala-
ria da Fidene ad Amiterno, in RivAC, 66, 1990, p. 245-305, spec. p. 265-273;
L. Branciani, Il monte S. Martino in Sabina. Siti archeologici e storia, in P. Lom-
bardozzi, a cura di, Eremitismo a Farfa : origine e storia. Per una ricostruzione ar-
cheologico-ambientale del complesso eremitico del Monte S. Martino in Sabina,
Poggio Mirteto, 2000 (Quaderni della Biblioteca del Monumento Nazionale di Far-
fa, 3), p. 31-103 (p. 45).
66
Sul rito di consacrazione dei santuari rupestri : C. D. Fonseca, « e¶ti
sph¥laion satanikoùn, aßllaù naoùn a™ggeliko¥n ». La dedicazione di chiese e altari tra pa-
radigmi ideologici e strutture istituzionali, in Santi e demoni nell’Alto Medioevo Oc-
cidentale, Spoleto, 7-13 aprile 1988, 2 voll., Spoleto, 1989 (Sett.CISAM, XXXVI), II,
p. 925-950 (spec. p. 942-945).

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 25

da una moltitudine di fedeli giunti in processione, intonando il kyrie


eleison, Teodosio aveva ordinato che i devoti si disponessero verso
oriente, poi aveva allestito l’altare con una nappa di lino, l’antimen-
sion 67, e infine aveva impartito la benedizione per esorcizzare le pre-
senze sataniche 68.
All’interno del santuario rupestre di San Vivenzio, vicino Nor-
chia, un ciclo pittorico risalente ai primi decenni del XII secolo con-
serva, seppure in stato lacunoso, l’immagine di un vescovo che bene-
dice l’altare di un santuario in grotta. In questo caso la raffigurazio-
ne rinvia all’episodio dell’istituzione del culto garganico da parte del
capo della diocesi di Siponto, secondo la leggenda del Liber de appa-
ritione sancti Michaelis 69. Così come è stata concepita, la scena litur-
gica stabilisce una serie di rimandi fra la realtà dello spazio sacro e
la dimensione simbolica. L’immagine dell’altare dipinto in primo
piano serviva a richiamare la funzione di quello vero e proprio rea-
lizzato appena al di sotto. La figura del vescovo celebrante la messa,
oggi scomparsa quasi del tutto ma un tempo fulcro centrale della
rappresentazione, alludeva alla legittimità del culto cristiano in un
antro naturale facile oggetto di contaminazioni demoniache. Il pro-
filo arcuato della grotta, reso attraverso una banda rossa oltrepas-
sante la sagoma dell’arcangelo disceso dal cielo per impartire la be-
nedizione, anticipava la vista del santuario del monte Gargano a chi
si era messo in cammino per raggiungere l’agognata meta di pelle-
grinaggio.

2 – ESCAVAZIONI ARTIFICIALI E GROTTE NATURALI

La presente indagine abbraccia un territorio che non può certo


definirsi «area omogenea della civiltà rupestre», espressione asse-
gnata in passato ad alcune zone della Puglia e a vaste aree geografi-
che come la Serbia e la Cappadocia 70. Nella varietà del paesaggio
che si dispiega fra Lazio e Campania settentrionale le cavità in rupe
emergono di rado in modo preponderante.

67
Sull’antimension, la sua origine bizantina e l’uso nella liturgia latina : J. Iz-
zo Archimandrita, The antimension in the liturgical and canonical tradition of the
byzantine and latin churches, Roma, 1975, spec. p. 187-196, figg. 9-10.
68
Encomium S. Marciani cit., p. 281-282; C. D. Fonseca, La vita in grotta cit.,
p. 36.
69
Infra, p. 59, nota 84.
70
C. D. Fonseca, a cura di, Le aree omogenee (1979), cit. (sul concetto di
«area omogenea» come area geopolitica, si veda soprattutto : Id., Metodi compa-
rativi e aree geopolitiche nello studio della civiltà rupestre, ivi, p. 13-19); Id., a cura
di, Le aree omogenee (1981), cit.

.
26 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 27

La diffusione dei siti è a carattere sparso e alcune analogie pos-


sono incontrarsi fra contesti distanti centinaia di chilometri così co-
me fondamentali differenze sono rintracciabili in casi molto vicini.
Lo studio su scala regionale, tuttavia, ha permesso di cogliere l’inci-
denza del fenomeno dell’habitat rupestre in questo versante del-
l’Italia centro-meridionale e di enucleare alcune costanti tipologiche
nell’insieme degli insediamenti.
Nei fondovalle, sui rilievi ad alta quota, alle pendici delle falesie,
ovunque il substrato roccioso abbia offerto la possibilità di occupare
uno spazio al suo interno, l’uomo medievale ha saputo approfittare
di un’alternativa all’architettura sub divo, anche sfruttando cavità
già utilizzate in epoche precedenti. Gli ambienti rupestri si sono ri-
velati adatti alle attività civili e religiose del quotidiano : dall’uso
abitativo e agricolo alle funzioni cimiteriali e cultuali.

TESTIMONIANZE DI PITTURA RUPESTRE NEL LAZIO


E NELLA CAMPANIA SETTENTRIONALE (SECOLI VI-XIII)

1. Barbarano, Grotta di San Simone 20. Roma, Catacombe di Felicita


2. Bassano Romano, San Giovanni a 21. Roma, Catacomba di Generosa
Pollo 22. Roma, Catacomba di Ponziano
3. Bolsena, «Grotta» di Santa Cristina 23. Roma, Catacomba di San Calepodio
4. Castel Sant’Elia, Grotta di San Leo- 24. Roma, Catacombe di San Callisto
nardo 25. Roma, Catacomba di San Valentino
5. Civita Castellana, Grotte di San Cesa- 26. Subiaco, Monastero del Sacro Speco
reo 27. Vallepietra, santuario della SS. Trini-
6. Civita Castellana, Grotte di San Sel- tà
mo 28. Alatri, «Cripta» di San Michele
7. Ischia di Castro, Eremo Poggio del 29. Arpino, Ipogeo di San Michele
Conte 30. Roccasecca, Sant’Angelo in Asprano
8. Norchia, Grotta di San Vivenzio 31. Ninfa, Grotta di San Michele
9. Sutri, Chiesa Rupestre di Santa For- 32. Calvi, Grotta dei Santi
tunata 33. Calvi, Grotta delle Fornelle
10. Sutri, Santuario di Santa Maria del 34. Fasani, Grotta di San Michele
Parto 35. Monte Massico, eremo di San Marti-
11. Vallerano, Grotta del Salvatore no
12. Vignanello, Grotta di San Lorenzo 36. Rongolise, Santa Maria in Grotta
13. Capradosso, Grotta di San Nicola 37. Monte Monaco, Grotta di San Miche-
14. Cottanello, Eremo di San Cataldo le
15. Monte Acuziano, Eremo di San Mar- 38. Monte Taburno, Grotta di San Mauro
tino 39. Monte Taburno, Grotta di San Si-
16. Monte Tancia, Grotta di San Michele meone
17. Albano, Catacombe di San Senatore 40. Avella, Grotta di San Michele
18. Magliano Romano, Grotta degli An- 41. Montoro I., Grotta di San Michele
geli 42. Prata, Basilica dell’Annunziata
19. Roma, Catacomba di Commodilla

Fig. 1 – Distribuzione delle testimonianze di pittura rupestre nel Lazio e nella


Campania settentrionale (secoli VI-XIII).

.
.
28
PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Fig. 2 – Differenti tipologie di insediamento rupestre nel Lazio e nella Campania settentrionale.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO

.
29

Fig. 3 – Caratteri cultuali dei siti rupestri.


30 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Per individuare i fattori comuni e le peculiarità dei siti che ab-


biamo catalogato, è parso opportuno osservare dall’alto l’area geo-
grafica prescelta e fornire una lettura a grandi linee della geomorfo-
logia del territorio, anche se, occorre precisarlo, l’originarsi degli
insediamenti rupestri non è dovuto soltanto alle particolari configu-
razioni che può assumere il substrato roccioso ma anche alle
condizioni climatiche, alla possibilità di approvvigionamento idrico
e alimentare, a fattori socio-economici 71.
Il paesaggio del Lazio e della Campania settentrionale è estrema-
mente variegato, percorso com’è da montagne, colline, laghi, fiumi e
pianure. L’ossatura dei rilievi, tuttavia, come può risultare chiaro da
una fotografia satellitare, è dovuta fondamentalmente all’incontro di
due forme tettonico-strutturali modellate nel corso delle ere geologi-
che dagli agenti atmosferici e dalle acque : i vulcani pleistocenici e le
dorsali calcaree, che rappresentano il resto dell’antica piattaforma
carbonatica laziale-abruzzese 72. Sul versante tirrenico, da nord a
sud, si distinguono i grandi apparati vulcanici corrispondenti ai
monti Volsini, Cimini, Sabatini, ai Colli Albani e al monte Santa Cro-
ce di Roccamonfina, che occupa parte della Campania settentriona-
le. Intorno ad essi si estendono per un raggio di decine di chilometri i
ripiani tufacei, frutto dell’attività piroclastica dei vulcani. Sono per
lo più di natura calcarea o calcarea-marnosa i restanti rilievi : le
montagne dell’Appennino centrale che degradano verso il Tirreno,
quelle dei Lepini-Ausoni-Aurunci e Simbruini-Ernici, oltre a un co-
spicuo numero di monti senza una denominazione d’insieme.
I siti oggetto della nostra ricerca sono presenti tanto all’interno
delle aree vulcaniche che in corrispondenza delle dorsali appennini-

«[...] l’ubicazione e la distribuzione geografica dei principali centri rupe-


71

stri medievali non sono casuali. Come in tante altre aree del bacino del Mediter-
raneo (dall’impianto di Pantalica a quelli della Cappadocia), esse sono state im-
poste dalla circostanza che il territorio solo in talune e ben circoscritte aree è in
grado di offrire quella convergenza di requisiti morfologico-strutturali, litologici,
idrogeologici e geomeccanici indispensabile per soddisfare le molteplici esigenze,
non ultime quelle socio-economiche, degli insediamenti rupestri» : V. Cotecchia,
D. Grassi, Aspetti geologici e geotecnici dei principali centri rupestri medioevali del-
la Puglia e della Lucania, in Fonseca, Habitat-Strutture-Territorio cit., p. 141-156
(p. 154).
72
Per la lettura della carta geomorfologica del territorio oggetto della nostra
ricerca ci sono stati d’aiuto i contributi di : A. Sestini, Il Paesaggio, Milano, 1963
(Conosci l’Italia, VII), p. 127-135, 143-145; S. Ciccacci, Aspetti geomorfologici, in
D. Casentino, M. Parotto, A. Praturlon, a cura di, Lazio : 14 itinerari (Guide Geo-
logiche Regionali a cura della Società Geologica Italiana), Roma, 1993, p. 65-70.
Per il territorio di confine fra Lazio e Campania si veda anche il profilo geo-
morfologico nel capitolo introduttivo Campania e Marittima, in : D. Fiorani, Tec-
niche costruttive murarie medievali. Il Lazio meridionale, Roma, 1996, p. 13-26.

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 31

che. Nel primo caso il substrato geologico è costituito essenzialmen-


te dal tufo, roccia tenera ma compatta adatta all’escavazione anche
con mezzi meccanici rudimentali 73, nel secondo le componenti prin-
cipali sono il calcare e i travertini che, in determinate condizioni cli-
matiche possono produrre cavità anche di notevoli dimensioni 74.
L’ampio raggio d’indagine ha permesso di individuare, di fatto,
due diverse forme di habitat rupestre : gli spazi scavati artificial-
mente, quasi sempre in corrispondenza del substrato tufaceo e gli
ambienti di origine naturale, soprattutto coincidenti con i rilievi cal-
carei 75. Per una corretta terminologia, soltanto alla seconda catego-
ria può essere attribuito il termine «grotta», fino a tempi recenti im-
propriamente impiegato per entrambe le tipologie 76.

73
Sulle tecniche estrattive, cfr. : J. P. Adam, L’arte di costruire presso i roma-
ni, materiali e tecniche, Milano, 1984, p. 23-41; R. Parenti, I materiali da costruzio-
ne, le tecniche di lavorazione e gli attrezzi, in G. P. Brogiolo, a cura di, Edilizia resi-
denziale tra V e VIII secolo. 4o Seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia
Settentrionale, Monte Barro-Galbiate, 2-4 settembre 1993, Mantova, 1994, p. 25-37.
Nel solo territorio di Roma, si contano almeno sette qualità diverse di tufo adatto
all’estrazione : F. Coarelli, Guida archeologica di Roma, Milano, 1989, p. 340-341,
fig. a p. 339. Sugli strumenti per la lavorazione della pietra nella Tuscia medieva-
le : R. Chiovelli, Strumenti per il taglio della pietra nell’edilizia medioevale della Tu-
scia, in Z. Mari, M. T. Petrara, M. Sperandio, a cura di, Il Lazio tra antichità e
medioevo. Studi in memoria di Jean Coste, Roma, 1999, p. 199-214.
74
Ciccacci, Aspetti geomorfologici cit., p. 69-70.
75
Fanno eccezione le catacombe di Ponziano (v. infra, p. 103-105), scavate in
«colline di tipo misto, costruite da vulcaniti in copertura e da sedimenti ghiaino-
argillo-sabbiosi, talvolta intercalati alle sequenze vulcaniche», cfr. la Carta delle
unità di paesaggio geologico e dei geotopi della campagna romana, in A. Arnoldus-
Huyzendveld, A. Corazza, D. De Rita, F. Zarlenga, a cura di, Il Paesaggio geologi-
co ed i geotopi della Campagna romana, Roma, 1997. Al di fuori dell’area geografi-
ca oggetto della presente ricerca si rileva, non di rado, la presenza di ambienti ru-
pestri ricavati in calcareniti e arenarie : per la Puglia, cfr. : V. Cotecchia, D. Gras-
si, Aspetti geologici cit., p. 141-156; M. Scalzo, Sul rilievo di architetture rupestri,
Massafra, 2002, p. 20, 48, 78; F. Zezza, La grotta dei Cervi sul canale d’Otranto :
l’ambiente carsico ipogeo e lo stato di conservazione delle pitture parietali, Lecce,
2003; per la Sicilia : M. Frasca, a cura di, Leontini, il mare, il fiume, la città, Cata-
nia, 2004. Per quanto riguarda il territorio del Lazio, un’indagine esplorativa dei
luoghi di culto rupestri, d’origine naturale e artificiale, e un lavoro di catalogazio-
ne degli stessi, sono stati intrapresi da due speleologi : A. Felici e G. Cappa, Grot-
te santuario nel Lazio, in Notiziario dello Speleo Club di Roma, VIII, 1988, p. 13-23,
IX, 1989, p. 23-33, X, 1990, p. 71-79; Id., Santuari rupestri in provincia di Viterbo,
in Informazioni, I, 7, luglio-dicembre 1992, p. 120-127; Id., Santuari ipogei natura-
li e artificiali nel Lazio, in Le grotte d’Italia. Atti del XVI Congresso Nazionale di
Speleologia, Udine, settembre 1990, Udine, 1993, p. 181-193. Per la Campania, alcu-
ne considerazioni sono state esposte da G. Torriero, La Chiesa Rupestre di Santa
Maria in Grotta (Le chiese rupestri/Santa Maria in Grotta), in Civiltà Aurunca, X,
26, 1994, p. 19-27, 39-62 (spec. p. 19-27).
76
Nell’ambito della nostra ricerca abbiamo impiegato il termine grotta in re-
lazione ad ambienti rupestri artificiali limitatamente ai casi di toponimi di con-
solidata tradizione.

.
32 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Escavazioni nel tufo


Con i loro effetti erosivi sul mantello di tufo che circonda i vul-
cani dell’Italia centro-meridionale, le acque torrentizie e gli agenti
atmosferici hanno prodotto in tempi geologici il paesaggio attuale,
apparentemente quasi pianeggiante ma in realtà solcato da un intri-
co di valloni. Questi ultimi, specialmente nell’alto Lazio, assumono
forme calanchive, con speroni di roccia a pareti verticali parallele
che prendono il nome di forre.
La geomorfologia di questo paesaggio ha condizionato le scelte
insediative fin dall’epoca arcaica. I pianori tufacei, delimitati dai
profondi valloni, hanno rappresentato un’area ottimale per l’edifica-
zione degli abitati, e i costoni di roccia a strapiombo che li delimita-
no hanno costituito una barriera difensiva inoppugnabile. Il taglio
artificiale del substrato tufaceo è stato praticato per un duplice sco-
po : creare materiale edile e scavare spazi e ambienti funzionali a
molteplici usi 77. Accanto agli edifici in muratura, e molto spesso al
di sotto, si è sviluppata in tal modo un’architettura in negativo, per
sottrazione di materia. Necropoli, cantine, cisterne, canalizzazioni,
passaggi, sono stati scavati dall’epoca etrusco-romana in poi, talvol-
ta reimpiegati e talaltra realizzati ex novo durante il Medioevo 78.
Le pitture oggetto del nostro studio rientrano nell’ambito degli
spazi ad uso cultuale : santuari, ambienti cimiteriali, cappelle, ceno-
bi. Risalire alla funzione precisa di ciascun contesto insediativo si ri-
vela molto spesso impossibile, dato che quasi sempre mancano nel-
l’articolazione morfologica del sito quegli elementi discriminanti
che permetterebbero di attribuire gli ambienti rupestri all’una o al-
l’altra tipologia 79. Il più delle volte ci troviamo di fronte a spazi sca-
vati rozzamente e di forma irregolare. A parte i casi eccezionali della
Grotta degli Angeli a Magliano Romano, con archi e colonne ricavati
nel tufo (tavv. 22 a-b), e dell’eremo di Poggio del Conte a Ischia di
Castro, imitante decori e soluzioni spaziali propri dell’edilizia gotica
(tavv. 7 c, 8 a), in genere non si riscontra l’intento di imitare forme

77
T. Mannoni, Le rocce e le argille dell’Etruria meridionale, in Etruria meridio-
nale. Conoscenza, conservazione, fruizione, Atti del Convegno, Viterbo, 29 novem-
bre-1 dicembre 1985, Roma, 1988, p. 39-42, spec. p. 40.
78
G. Colonna, La cultura dell’Etruria meridionale interna con particolare ri-
guardo alle necropoli rupestri, in Aspetti e problemi dell’Etruria interna, Atti del-
l’VIII Convegno Nazionale di Studi Etruschi e Italici, Orvieto, 27-30 giugno 1972,
Firenze, 1974, p. 253-263 (p. 255).
79
Sulla difficoltà di un orientamento cronologico per lo scavo di ambienti
nel tufo, relativamente al territorio della Tuscia : J. Raspi Serra, Insediamenti ru-
pestri cit., p 35-36. Analogamente, riguardo alla Puglia rupestre : Fonseca, Habi-
tat-strutture-territorio cit., p. 15-24 (p. 19-20).

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 33

architettoniche di chiese in muratura, come invece accade in Pu-


glia 80 e soprattutto in Cappadocia 81.
La mancanza di elementi caratterizzanti rende difficile stabilire
la cronologia dello scavo. Trattandosi spesso di cavità artificiali risa-
lenti ad epoca etrusca o romana può anche darsi che l’intervento di
età medievale sia consistito esclusivamente nell’esecuzione del di-
pinto murale, eventualmente accompagna da qualche modifica
strutturale di lieve entità, come l’apertura di una nicchia, lo scavo di
un sedile o di una fossa per una sepoltura. La difficoltà dello studio
interpretativo degli spazi rupestri si aggrava, ovviamente, per via
delle frequenti alterazioni che questi hanno subito dal Medioevo a
oggi a causa di trasformazioni d’uso, atti vandalici, esposizione agli
agenti atmosferici 82.
Soltanto in tempi recenti è andata perfezionandosi una metodo-
logia di indagine per la lettura dei segni del taglio delle pareti. L’in-
dividuazione e l’interpretazione dei solchi lasciati dai cavatori per-
mettono di distinguere più fasi di escavazione, eventuali pentimenti,
cambi di funzione, prima, dopo e durante l’adibizione degli spazi a
luogo di culto cristiano 83.
Frutto di escavazione artificiale, oltre agli ambienti ricavati nei
rilievi collinari e montuosi, sono pure le catacombe che, all’interno
dell’area oggetto di indagine, si concentrano in corrispondenza del-
l’anello del suburbio romano e in casi isolati del Lazio e della Cam-
pania. Nonostante la loro funzione cimiteriale si esaurisca entro l’e-
poca tardo-antica, capita che in età medievale esse ospitino pannelli
votivi attestanti la loro trasformazione in santuari martiriali 84. Per

80
F. Dell’Aquila, A. Messina, Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata, Bari,
1998, p. 29-125.
81
C. Jolivet Lévy, La Cappadoce médiévale cit., p. 23-45.
82
Sulle difficoltà che si incontrano nella misurazione degli spazi rupestri per
la restituzione in pianta e la proiezione tridimensionale : M. Scalzo, Sul rilievo
cit., p. 49.
83
L’analisi delle tracce di lavorazione che Nicola Masini ha condotto sulle
pareti interne della chiesa rupestre di Santa Maria delle Grazie presso San Mar-
zano, in provincia di Taranto, ha portato a considerevoli risultati : «In un centi-
naio di metri quadrati scopriamo che l’orientamento liturgico è cambiato ben tre
volte e che parte dell’ipogeo ha avuto per un certo periodo anche una funzione fu-
neraria. In otto secoli si susseguono tutte le possibili varianti icnografiche : dalla
pianta centrale, all’impianto basilicale a due navate, dall’unica navata, alla chiesa
subdivo», N. Masini, Evoluzione delle fasi di escavazione ed elementi architettonici
del Santuario, in C. D. Fonseca, a cura di, Dalla ‘defensa’ di San Giorgio alla ‘lama’
della Madonna delle Grazie. Il santuario rupestre di San Marzano (TA), Galatina,
2001, p. 61-86 (p. 85). Per un approccio scientifico all’esame dei segni di escava-
zione, si vedano anche i contributi delle ricerche nell’area della Tuscia, coordina-
te da Elisabetta De Minicis : E. De Minicis, Insediamenti rupestri cit.
84
Infra, p. 203-208.

.
34 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

questa ragione abbiamo incluso nella nostra ricerca alcune testimo-


nianze pittoriche dell’universo ipogeo.

Grotte carsiche

Ben diverso da quello tufaceo è il paesaggio dei rilievi calcarei e


la fisionomia degli ambienti rupestri che possono originarsi al loro
interno. Qui la morfologia degli spazi è solo il frutto dell’incontro di
determinati fattori naturali. Le grotte che si aprono nei costoni di
roccia calcarea, difficilmente modificabili dalla mano dell’uomo per
via della durezza della materia, sono il prodotto del fenomeno del-
l’erosione carsica 85. In particolari condizioni climatiche il carbonato
di calcio contenuto nel calcare tende a sciogliersi per poi ricristalliz-
zare dando origine a cavità rivestite di croste concrezionali dal pro-
filo increspato e frastagliato che conferiscono agli ambienti un
aspetto fortemente irregolare.
Proprio le caratteristiche morfologiche e idrogeologiche hanno
influito nella scelta di adibire le grotte naturali a luogo di culto. Tut-
tavia l’avvicinamento alla sfera religiosa non si spiega soltanto sulla
base delle esigenze funzionali : al di là dell’utilizzo come rifugio da-
gli agenti atmosferici e fonte di approvvigionamento idrico per via
della frequente presenza di sorgenti al suo interno, nell’immaginario
medievale la grotta naturale viene associata al miracoloso. Il movi-
mentato scenario delle superfici rocciose e lo stillicidio perenne del-
l’acqua che trasuda dal calcare, rendendolo iridescente e traslucido
in un gioco di riflessi mutevoli a seconda delle ore del giorno, hanno
contribuito a proiettare questo genere di ambienti nell’universo del
sacro.
All’interno degli antri naturali lo spazio destinato alla liturgia e
alla preghiera è di solito assai limitato. In età medievale il percorso
compiuto dal clero e dai fedeli si limitava probabilmente al breve
tragitto che dall’entrata portava all’altare, rischiarato dalla luce diur-
na o da lampade ad olio. Tutt’intorno, gli anfratti rocciosi e le cavità
più profonde rimanevano inesplorate e avvolte nel buio. Sul monte
Tancia, varcato l’ingresso del santuario, l’altare s’incontra a breve di-
stanza sulla parete di destra mentre il fondo della grotta resta im-
merso nell’oscurità 86. Sul monte Monaco di Gioia, l’imbotte con la
decorazione pittorica d’età medievale riveste un corridoio naturale

85
L’anidride carbonica sciolta nell’acqua trasforma il carbonato di calcio
della roccia in bicarbonato di calcio solubile che tende a precipitare e a ricristal-
lizzare formando nuovamente carbonato allo stato di concrezioni (U. Sauro,
Morfologia carsica, in G. B. Castiglioni, a cura di, Geomorfologia, Torino, 1979,
p. 209-254, spec. p. 208-216, 230-244).
86
Infra, p. 83-86.

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 35

che si inoltra verso l’interno senza lasciar scorgere la fine (tav.


79 a) 87. Nel santuario di Ninfa, al centro della cavità maggiore della
grotta, è stato allestito lo spazio presbiteriale (tav. 71 a) ma il piccolo
altare conservato nell’ambiente secondario permette di ipotizzare
l’esistenza, all’origine, di un circuito processionale 88.
Al di là della polarità centripeta dell’altare, è la presenza del-
l’acqua a calamitare l’attenzione del fedele all’interno della grotta.
Sempre nel santuario del monte Monaco, a destra dell’ingresso alla
cappellina, un piccolo pozzo permette di usufruire della sorgente
(tav. 45 a). Nel santuario del monte Massico l’apertura dei due archi
lungo un lato dell’imbotte non si spiega se non per il fatto che la mu-
ratura incornicia l’area dove l’acqua affiora dalla roccia (tav. 42 a) 89.
Nella grotta di San Mauro sul monte Taburno, una vasca quadran-
golare è stata costruita in corrispondenza dello stillicidio che provie-
ne da una stalattite (tav. 46 a) 90. Un articolato sistema di canalette
per la raccolta delle gocce d’acqua caratterizza le grotte dello Spirito
Santo presso Roccasecca, nel frosinate, e di San Michele a Fogliani-
se, nel beneventano 91. Sono tracce di culti idrici che risalgono ad
epoca precristiana e superano di gran lunga il raggio territoriale del-
la nostra ricerca 92.
Se per gran parte di questi santuari si può ipotizzare un’origine
per imitazione di quello micaelico del monte Gargano 93, che nei pri-
mi secoli dell’altomedioevo si presentava agli occhi dei pellegrini co-
me una grande caverna naturale 94, interessanti somiglianze si deli-

87
Infra, p. 164-167.
88
Infra, p. 139-144.
89
Infra, p. 155-160.
90
Infra, p. 167-168.
91
Torriero, La Chiesa Rupestre cit., tabella a p. 21. Per la mancanza di testi-
monianze pittoriche al loro interno, riscontrata in occasione di visite in loco, i
due contesti sono stati esclusi dal nostro catalogo.
92
A proposito delle offerte votive risalenti all’età del bronzo in ambienti ru-
pestri sparsi un po’ ovunque sul territorio italiano, è stato notato che molto spes-
so esse sono state «deposte in aree difficilmente accessibili delle grotte, in prossi-
mità di corsi d’acqua e di inghiottitoi sotterranei. La frequente presenza di acque
sotterranee nei luoghi delle offerte, inoltre, ha sempre suggerito un legame tra ri-
ti legati alla sfera produttiva e acque salutari, legame che proseguirà fino ad epo-
ca storica, come testimonia la continuità di frequentazione cultuale di numerose
grotte» : M. Miari, Offerte votive legate al mondo vegetale e animale nelle cavità na-
turali dell’Italia protostorica, in L. Quilici e S. Quilici Gigli, a cura di, Agricoltura e
commerci dell’Italia antica (Atlante tematico di Topografia Antica, I supplemento),
Roma, 1995, p. 11-29 (p. 11).
93
M. Sensi, Alle radici della committenza santuariale, in M. Tosti, a cura di,
Santuari cristiani d’Italia. Committenze e fruizione tra Medioevo e età moderna,
Roma, 2003 (Collection de l’École française de Rome, 317), p. 207-255, spec.
p. 219-230.
94
J. Hourlier, Le Mont Saint-Michel avant 966, in Millénaire monastique du

.
36 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

neano al confronto con il ricco campionario di grotte cretesi docu-


mentate quarant’anni or sono, da Paul Faure. Con l’occhio attento
alla compagine geologica dell’isola, lo studioso ebbe modo di indivi-
duare in un centinaio di antri naturali, molti dei quali di origine car-
sica, tracce di frequentazione umana dal neolitico ai giorni nostri, in
gran parte dovuta alla loro adibizione a santuari 95. Poté inoltre ap-
purare che non poche caverne dedicate a un santo o alla Panaghia
spelaiotissa, sono meta di pellegrinaggio da tempo immemorabile e,
fino ad epoca recente, teatro di atti idolatrici e riti propiziatori gra-
vitanti intorno a stalattiti, nelle quali sono state riconosciute sem-
bianze antropomorfe, e sorgenti d’acqua, la cui presenza è stata at-
tribuita ad eventi miracolosi 96. Le grotte cretesi condividono con
quelle dell’Italia centro-meridionale non pochi elementi : le concre-
zioni calcaree dalle forme movimentate e irregolari, lo scivolamento
dell’acqua lungo le pieghe della roccia, l’esiguità dello spazio desti-
nato alle pratiche cultuali rispetto alla vastità della superficie calpe-
stabile dell’antro. Affinità tra santuari geograficamente così distanti
rivelano l’ampiezza di un fenomeno che non può essere compreso se
non da un punto di osservazione che domini almeno l’intero versan-
te occidentale del bacino mediterraneo.

Tipologie semirupestri
Più spesso rispetto ai siti rupestri di origine artificiale, le grotte
naturali sono provviste di cortine murarie eseguite allo scopo di iso-
lare la cavità dall’ambiente esterno o creare un’articolazione di spa-
zi. Siamo di fronte, in questi casi, a un genere di monumenti che
possiamo definire semirupestri, secondo un’espressione già impie-
gata in precedenza 97. A titolo di esempio può essere citato il santua-
rio di Sant’Angelo in Asprano, edificio in muratura eretto all’interno

Mont-Saint-Michel, 5 voll., Parigi, 1966-1983, I (a cura di J. Laporte); S. Bettoc-


chi, I. Aulisia, Dalle origini ai Longobardi. Le testimonianze letterarie, in L’Angelo,
la montagna, il pellegrino. Monte Sant’Angelo e il santuario di San Michele del Gar-
gano (Monte Sant’Angelo 25 settembre-5 novembre, Roma 16 novembre-15 dicem-
bre 1999), catalogo della mostra, Foggia-Roma, 1999, p. 15-29; M. Trotta, A. Ren-
zulli, La grotta garganica : rapporti con Mont-Saint-Michel e interventi longobardi,
in P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez, a cura di, Culte et pèlerinage à Saint Michel
en Occident. Les trois monts dédiés à l’archange, Roma, 2003 (Collection de l’École
française de Rome, 316), p. 427-448, spec. p. 429.
95
P. Faure, Fonctions des cavernes cit., p. 66-69.
96
Ibid., p. 213-216, figg. 4 (tav. IX), 2 (tav. XVII), 1-6 (tav. XXIII), 1-3 (tav.
XXIV).
97
M. Falla Castelfranchi, R. Mancini, Il culto di S. Michele in Abruzzo e Moli-
se dalle origini all’Altomedioevo, secoli V-XI, in C. Carletti e G. Otranto, a cura di,
Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale fra tarda antichità e Medioe-
vo, Bari, 1994, p. 507-551, spec. p. 539-543.

.
LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO 37

di una grande concavità del calcare della montagna (tav. 37 a-b) 98.
Anche se la cappella è costruita in muri di pietrisco, la componente
rupestre ha da sempre avuto un forte valore simbolico tant’è che la
sacralità del luogo non può prescindere dalla presenza incombente
della parete rocciosa che sembra quasi accogliere il piccolo edificio
nell’alveo della montagna.
In Italia meridionale, il santuario in rupe che in maniera più
eclatante mostra come la scenografia della roccia riesca ad imporsi
sull’opera muraria, è quello di San Michele ad Olevano sul Tusciano,
ubicato aldilà dei confini del territorio oggetto del nostro studio. Il
santuario di Olevano rientra fra le più note espressioni dell’arte ru-
pestre medievale eppure, paradossalmente, è costituito da un’artico-
lazione di quattro cappelle ed altre strutture, tutte quante frutto di
interventi in muratura eseguiti all’interno di un’enorme cavità roc-
ciosa di origine naturale.
Anche se meno frequenti, cortine murarie s’incontrano pure fra
gli insediamenti rupestri di origine artificiale. I blocchi di tufo che
integrano le pareti mancanti della Grotta di San Leonardo a Castel
Sant’Elia e della Grotta degli Angeli di Magliano Romano, sono do-
vuti probabilmente a un intervento sopraggiunto a seguito del pro-
gredire dell’erosione della falesia 99. Diverso è il caso della chiesa se-
mirupestre di Santa Fortunata a Sutri dove al vano quadrato scavato
nel tufo si è voluto congiungere un corpo di fabbrica in blocchi di
tufo e laterizi che riprende il modello basilicale a tre navate100.

Sacralità e funzionalità
In conclusione, nella distinzione fra grotte naturali e ambienti
scavati dalla mano dell’uomo, che sottintende il più delle volte una
differenza nella composizione geologica del substrato roccioso,
emergono diversità anche sul piano culturale. La grotta naturale ha
senza dubbio un’intrinseca valenza simbolica della quale gli spazi ri-
cavati nel tufo sono privi. Le caratteristiche della grotta calcarea, va-
le a dire la sua origine naturale, le forme insolite delle superfici in-
terne, la sorgente d’acqua, la posizione in luogo isolato ed elevato,
divengono elementi che concorrono a trasformare l’antro in luogo di
culto. L’ambiente scavato nel tufo, invece, rappresenta di per sé sol-
tanto un’alternativa ad un edificio sub divo, preferito talvolta a que-
st’ultimo per esigenze di funzionalità ed economia.
Al fine di evitare il rischio di un’eccessiva schematizzazione, tut-
tavia, è utile far riferimento a qualche eccezione. In presenza di un

98
Infra, p. 135-139.
99
Infra, p. 47-51, 90-93.
100
Infra, p. 61-63.

.
38 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

contesto rupestre di forte impatto estetico, oppure intriso di memo-


ria religiosa, anche un ambiente frutto di escavazione artificiale può
appropriarsi di una valenza simbolica. Il santuario di San Vivenzio
presso Norchia101, ad esempio, scavato sulla sommità di una collina
che un vallone separa da una serie di alte falesie di tufo, dovette ca-
ricarsi di un valore sacrale almeno a partire dai primi decenni del
XII secolo, allorquando venne istituito al suo interno il culto a san
Michele, guardiano delle alture e dei rilievi rocciosi, come lasciano
presumere le pitture d’età romanica, evocanti gli episodi dell’appari-
zione dell’arcangelo sul monte Gargano, che ne rivestono le pareti.
L’alto Lazio offre anche il caso della suggestiva valle Suppentonia,
culla di uno dei più antichi insediamenti eremitici dell’Occidente
cristiano102. Gregorio Magno, evocando la memoria dei santi Nonno-
so ed Elia che a suo dire avevano abitato questo luogo in veste di
eremiti, non tralascia di annotare la bellezza del paesaggio calanchi-
vo : «quo videlicet in loco ingens desuper rupis eminet»103.

101
Infra, p. 57-60. Per un profilo geomorfologico del terriotorio di Norchia, si
veda : V. Di Grazia, La geologia del sito, in E. Colonna Di Paolo, G. Colonna, a cu-
ra di, Norchia, I, Roma, 1978, p. 136-147.
102
Infra, p. 47-51, 190-192.
103
Gregorio Magno, Dialogi (I, 8, 2), a cura di A. De Vogüé, 3 voll., Parigi,
1978-1980 (Sources Chrétiennes, 251, 260, 265), II, p. 73.

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CAPITOLO II

CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE

1 – PROVINCIA DI VITERBO

Barbarano Romano, Grotta di San Simone

Nei dintorni di Barbarano Romano, sul versante orientale della necro-


poli etrusca di San Giuliano, una tomba a doppia camera conserva resti di
una pittura medievale raffigurante l’episodio evangelico della Presentazione
al tempio (tavv. 1 a, 53 a)1. È probabile che il toponimo, San Simone, derivi
dalla presenza del sacerdote Simeone nella scena dipinta.
La tomba è costituita da un ampio ambiente a pianta rettangolare che
tramite un arco a tutto sesto dà accesso ad un piccolo vano quadrato. Sulla
parete di fondo di quest’ultimo si trova il pannello con la scena cristologica.
Ai lati sono stati ricavati due bancali : quello di sinistra si sviluppa per circa
due terzi della lunghezza dell’invaso, quello di destra, invece, occupa la pare-
te per intero e gira ad angolo retto lungo il muro di fondo fino ad interrom-
persi bruscamente, al centro, a causa di un recente intervento di scalpellatu-
ra, che ha provocato, con ogni probabilità, l’asportazione dell’altare 2. En-
trambe le volte dei due ambienti presentano la tipica copertura etrusca a
doppio spiovente 3. Sul lato destro della prima camera si conservano due alti
gradini che coprono l’intera lunghezza della parete e al centro una nicchia a
semicerchio quasi soltanto abbozzata, forse risultato dell’escavazione di una
conca absidale rimasta incompiuta.

1
Segnalata negli anni ’30 del secolo scorso dall’archeologo Augusto Gargana
nell’ambito di uno studio sulla necropoli di San Giuliano (A. Gargana, La necro-
poli rupestre di S. Giuliano, in Monumenti antichi dell’Accademia Nazionale dei
Lincei, XXXIII, 1931, p. 298-443, spec. p. 375, tav. XXVII, fig. 46), la pittura è sta-
ta oggetto di analisi da parte di Fulvio Ricci (F. Ricci, Aspetti di cultura figurativa
medioevale e rinascimentale a Barbarano Romano, in Informazioni, I, 7, luglio-
dicembre 1992, p. 70-74). Cfr. anche M. E. Piferi, Affreschi romanici nel Viterbese,
Viterbo, 2001, p. 84-85, fig. 90. Sulle tombe etrusche della necropoli di San Giu-
liano : S. Steingräber, Neue Grabungen in der Felsgräber-nekropole von San Giu-
liano bei Barbarano Romano (VT), in Antike Welt, 23, 1992, p. 221-223.
2
È probabile che il blocco fosse ancora integro al tempo dello studio di Gar-
gana : «nella parete di fondo scorgesi ancora una rozza mensa d’altare, ricavata
nel vivo del tufo», A. Gargana, La necropoli cit., p. 375.
3
Ibid., p. 338, figg. 8-9.

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40 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Nonostante la coltre di nerofumo che ricopre gran parte delle pareti al-
l’interno della tomba, si scorgono tracce di intonaco anche nell’ambiente
principale, in corrispondenza dello spazio di risulta tra l’arco d’accesso al
vano minore e la volta soprastante.
Il pannello raffigurante la Presentazione è leggibile nell’assetto generale
sebbene il deterioramento della pellicola pittorica abbia raggiunto uno stato
avanzato e si riscontrino anche i segni di scalpellature vandaliche. All’inter-
no di una doppia banda rossa e gialla, cinque personaggi sono disposti nel
modo seguente : al centro, sopra un altare, la figura infantile di Gesù viene
sorretta dalla Vergine, che incede da sinistra. Dietro ad essa è Giuseppe che
reca le colombe per l’offerta. Dall’altra parte, sulla destra, solleva le mani il
sacerdote del tempio, Simeone, che precede la profetessa Anna, la quale reg-
ge un cartiglio con un’iscrizione a lettere rosse, frammentaria ma facilmente
identificabile : BEATVS VEN[TER QVI TE P]OR[TAVIT ET VBERA QVAE
SVXISTI] 4.
Considerata la perdita quasi totale dei tratti salienti delle figure, soprat-
tutto le mani e i volti, occorre rinunciare ad un’approfondita analisi stilistica
del dipinto, ancora possibile, forse, una decina di anni fa, allorquando ven-
nero notati alcuni dettagli oggi perduti 5. Ciononostante, per l’impostazione
generale della scena, la volumetria dei personaggi, il panneggio morbido in
chiaroscuro e la fluente capigliatura di Simeone, possiamo condividere l’ipo-
tesi di un’attribuzione del pannello sullo scorcio del XIII secolo in passato
avanzata sulla base del confronto con le decorazioni musive delle basiliche
romane di Santa Maria Maggiore e Santa Maria in Trastevere, raffiguranti lo
stesso soggetto e assegnate all’ultimo decennio del XIII secolo 6.

Bassano Romano, San Giovanni a Pollo

A circa un chilometro ad est di Bassano Romano, in aperta campagna,


si trova l’insediamento rupestre di San Giovanni a Pollo, costituito da una
serie di ambienti scavati sul fianco verticale di una collina tufacea 7. Uno di
essi, inglobato da un recente edificio in muratura a due spioventi contenente

4
Luca, 11, 28-29. Iscrizione già correttamente identificata da Ricci : F. Ricci,
Aspetti cit, p. 70.
5
«Sull’altare è visibile la piccola fornace con il fuoco sacro e di fronte un uc-
cello in volo», Ibid., p. 70.
6
Analogamente : Ibid., p. 71; E. Piferi, Affreschi cit., p. 85. Sui mosaici delle
due basiliche romane, cfr. F. Gandolfo, Aggiornamento scientifico, in G. Mat-
thiae, Pittura romana del Medioevo. Secoli X-XIII Aggiornamento scientifico di
Francesco Gandolfo, II, Roma, 1988, p. 247-372 (p. 330, 336).
7
G. Duncan, Sutri (Sutrium), in PBSR, 26, 1958, p. 63-134; J. Raspi Serra,
Insediamenti e viabilità in epoca paleocristiana nell’Alto Lazio, in Atti del III Con-
gresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Aquileia e altrove 27 maggio-1 giugno
1972, Trieste, 1974, p. 398-401; Eadem, Insediamenti rupestri cit., p. 93-100;
A. M. Giuntella, Il Cristianesimo a Sutri : le testimonianze archeologiche, in Il Pa-
leocristiano nella Tuscia. II Convegno, Viterbo 7-8 maggio 1983, Roma, 1984,
p. 167-193 (190-193); P. Chiricozzi, Le chiese delle diocesi di Sutri e Nepi nella Tu-
scia meridionale, Grotte di Castro, 1990, p. 171-172; S. Piazza, Pittura rupestre a
San Giovanni a Pollo cit., p. 317-333.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 41

Fig. 4 – Bassano Romano, S. Giovanni a Pollo, grafico del pannello pittorico.

strumenti agricoli, conserva sulla parete di fondo un pannello pittorico d’età


medievale, scoperto negli anni ’50 del secolo scorso da Guy Duncan nel cor-
so di una survey archeologica nel territorio sutrino (tavv. 1 b-d, 53 b) 8. La
pittura è sfuggita alla critica recente probabilmente perché poco nota ma
forse anche per essere stata considerata troppo compromessa dal cattivo sta-
to di conservazione 9.
Il riquadro pittorico, che misura circa due metri di larghezza e uno e
mezzo d’altezza, è composto da cinque figure frontali allineate : il Cristo al
centro e due coppie di santi, di dimensioni assai minori, ai lati. La raffigura-
zione è incorniciata da una banda rossa che gira tutt’intorno al rettangolo,
segno che il dipinto è stato concepito come immagine isolata e conclusa in
se stessa.
Entrando nel piccolo edificio ci si rende conto che il rapporto fra il pan-
nello e lo spazio circostante sfugge a qualsiasi logica interpretativa. La pittu-
ra è collocata all’interno di un vano rupestre privo di un qualunque segno
che possa far pensare a un originario uso dell’ambiente a scopo religioso.

8
G. Duncan, Sutri cit., p. 127-130.
9
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 93; L. Miglio, Sutri cit., p. 190-
191. Si veda anche supra, p. 5-6.

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42 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

L’escavazione nel banco di tufo è proceduta senza l’intenzione di imitare


una conca absidale o una qualsiasi altra forma architettonica e inoltre non
vi è traccia di altare. Soprattutto colpisce la distanza, oltre due metri, che se-
para il dipinto dal suolo di calpestio.
È apparso invece ancora leggibile, dopo un attento esame dei brani pit-
torici ancora in situ, il contenuto dell’immagine rappresentata.
Sul fondo di un paesaggio ridotto all’essenziale, con una spartizione in
due sole campiture, verde scuro e azzurro, a simulare rispettivamente un
prato e il cielo soprastante, il Cristo, con pallio bianco clavato percorso da
una fitta rete di pieghe in azzurro chiaro, solleva il braccio destro come ad
introdurre la coppia di santi che provengono da quella direzione. In corri-
spondenza dell’altro braccio, dove la figura è attraversata da una grande la-
cuna, si scorgono i resti del libro aperto delle sacre scritture sul quale era di-
pinta un’iscrizione.
La coppia di sinistra è identificabile grazie ai resti delle iscrizioni ono-
mastiche che corrono sul tratto di cornice sottostante, ma anche dai peculia-
ri tratti somatici dei volti che sopravvivono in parte : si tratta degli apostoli
Pietro e Paolo vestiti di una tunica bianca e di un pallio rispettivamente rosa
e verde. Ai tempi dell’indagine di Duncan si conservava una parte dell’iscri-
zione dipinta sul cartiglio che i due apostoli esibivano nel mezzo, con le let-
tere «FVERIM SOCII»10, oggi del tutto perduta a seguito dell’ampliarsi in
questa zona di una lacuna.
La coppia di destra è costituita da due santi vestiti in abiti militari, con
corta veste riccamente ornata e clamide che copre la spalla sinistra. I due,
quasi speculari, reggono a loro volta un cartiglio con un’iscrizione che è sta-
to possibile leggere per intero a seguito di un’analisi a luce radente (tav.
1 c) : «ISTI DVE OLIVAE ET DVE CANDELABRA LVCENT[IA SVNT]»11 .
L’espressione è contenuta in un passo dell’Apocalisse (11,4) che allude alla
visione dei due testimoni prima dell’apertura del settimo sigillo. La stessa
frase viene ripresa in un inno che Floro da Lione († 860 ca) dedica ai santi
Giovanni e Paolo12. Le allegorie degli ulivi e dei candelabri, evocanti rispetti-
vamente la fede fruttuosa e la gloria eterna, vengono in questo caso associa-
te ai due soldati che insieme hanno patito il martirio. E proprio l’intitolazio-
ne dell’inno di Floro permette il riconoscimento dei due personaggi che co-
stituiscono la coppia di destra, appunto i martiri Giovanni e Paolo, soldati
dell’impero romano13.

10
G. Duncan, Sutri cit., p. 128.
11
Ibid., p. 128.
12
«Hos ceu fructiferas florens paradisus olyvas/ inriguo vitae iugiter amne
rigat/ Hi sunt aeterno candelabra fulgida templo» : Ymnus in natale sanctorum
Iohannes et Pauli, in MGH, Antiquitates, Poëtae Latini Medii Aevi, 2/2, a cura di
E. Dümmler, Berlino, 1884, p. 542, v. 43. L’accostamento candelabro-martirio
venne suggerito da Leclercq : H. Leclercq, Candélabre, in F. Cabrol, a cura di,
Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, II, Parigi, 1910, coll. 1834-1842
(col 1842).
13
Cfr. G. De Santis, I santi Giovanni e Paolo martiri celimontani, Roma,
1962.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 43

L’identificazione di questi ultimi offre la possibilità di sciogliere i dubbi


sull’antica intitolazione dell’insediamento rupestre. L’espressione «a Pollo»,
che in passato ha fatto pensare a una derivazione da Apollo per via della
supposta esistenza nelle vicinanze di un tempio dedicato alla divinità paga-
na14 non è altro che il risultato della corruzione del nome Paulus.
Un’altra iscrizione, oggi visibile solo in tracce, fornisce un dato impor-
tante che concerne il donatore. Fino a qualche tempo fa, all’interno della
sezione di prato compresa fra i due apostoli, si poteva leggere : «EGO
P(RES)B(YTER) G(RE)G(ORIVS) HOC OPVS PING(ERE) FEC[I]»15. Anche
se risalire all’identità del personaggio appare impossibile, la qualifica di pre-
sbitero dà adito a ritenere probabile che l’ambiente rupestre, almeno al mo-
mento dell’intervento pittorico, assolvesse la funzione di oratorio campestre
piuttosto che di unità insediativa di tipo cenobitico come proposto in passa-
to16.
Circa l’epoca di esecuzione del pannello, la resa formale delle figure,
l’immagine monumentale del Cristo con braccio destro sollevato e fluente
panneggio, la presenza dei cartigli con le iscrizioni, rivelano un apparenta-
mento con gli affreschi della basilica di Sant’Anastasio a Castel Sant’Elia,
databili tra la fine dell’XI secolo e i primi decenni del XII17. Allo stesso perio-
do si può, quindi, attribuire il dipinto di San Giovanni a Pollo18.

Bolsena, «Grotta» di Santa Cristina


All’interno della cosiddetta Grotta di Santa Cristina, ambiente ubicato
all’ingresso delle omonime catacombe di Bolsena, i restauri svolti in occasio-
ne del Giubileo del 2000 hanno portato alla luce una pittura medievale di
notevole interesse19. Rimovendo la pala di ceramica invetriata, dietro al cibo-

14
P. Chiricozzi, Le chiese cit., p. 172. Sul toponimo «San Giovanni in Apol-
lo», cfr. G. F. Gamurrini, A. Cozza, A. Pasqui, R. Mengarelli, Carta archeologica
d’Italia (1881-1897). Materiali per l’Etruria e per la Sabina, Firenze, 1972, p. 278.
15
L’abbreviazione «PBS GG» è stata giustamente sciolta in presbyter Grego-
rius : G. Duncan, Sutri cit., p. 128.
16
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 97.
17
F. Gandolfo, Aggiornamento cit., p. 257-259; E. Parlato, S. Romano, a cura
di, Roma e il Lazio. Il Romanico, Milano, 2001 (I ed. 1992), p. 167-178 («Sant’Ana-
stasio a Castel Sant’Elia», scheda a cura di S. Romano).
18
Vaghe erano le indicazioni di Duncan in proposito : «The fresco is in a
common Roman-Byzantine style [...] we can use the distinctive style to place it in
the twelfth century, or the thirteenth at the latest», G. Duncan, Sutri cit., p. 129.
19
Sulle catacombe di S. Cristina a Bolsena, cfr. : V. Fiocchi Nicolai, I cimite-
ri paleocristiani del Lazio. I, Etruria meridionale, Città del Vaticano, 1988, p. 132-
185; Id., Lavori di sistemazione e di restauro nella catacomba di S. Cristina a Bolse-
na, in Bollettino di Studi e Ricerche. Biblioteca comunale di Bolsena, 1989, 4,
p. 135-139; C. Carletti, V. Fiocchi Nicolai, La catacomba di S. Cristina a Bolsena,
Città del Vaticano. 1989. Una prima riflessione sulle pitture del vestibolo, scoper-
te durante i restauri del 1999, è stata espressa dalla Dott.ssa Maria Teresa Marsi-
lia che ha offerto la consulenza storico-artistica alla campagna di interventi con-
servativi (cfr. il pieghevole pubblicato dalla «Artigiangrafica» di Viterbo a cura di
M. T. Marsilia, Basilica di S. Cristina a Bolsena. Cappella del Corpo di Cristo. Alta-
re del Miracolo, Viterbo, 2000). Di recente sono comparsi anche i contributi di Se-

.
44 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

rio che sormonta l’altare, l’asportazione di un intonaco settecentesco al-


quanto deteriorato ha restituito alla vista l’originaria decorazione absidale
(tav. 2 a) 20. La pittura rappresenta un Cristo a figura intera avvolto in un pal-
lio ocra con braccio destro levato nell’atto di compiere, verosimilmente, il
segno della benedizione e la mano sinistra, all’altezza dei fianchi, aperta ver-
so l’esterno (tavv. 2 b, 54 a). Ai piedi del Salvatore, su entrambi i lati, è di-
pinta una palma a tre rami che si diparte dalla bassa linea dell’orizzonte sta-
gliandosi sul fondo verde scuro e al disotto un pavone. Concludono la scena
due personaggi conservatisi solo in porzioni limitate. Della figura di sinistra
si scorgono i resti di un panneggio rosa su tunica bianca e un braccio solle-
vato in direzione del Cristo con il palmo della mano aperto, in segno di defe-
renza (tav. 2 c). Di quella di destra è visibile parte della ricca veste verde e
ocra (tav. 2 d).
I recenti restauri hanno scoperto anche un frammento del ciclo agiogra-
fico che si dispiegava lungo la parete settentrionale, di fronte all’abside. Il
brano raffigura la scena di un martirio : un personaggio femminile nimbato
è legato al collo e ai polsi da due sgherri (tav. 3 b). Accanto, sulla sinistra,
altri due aguzzini insieme a un individuo in scala minore, rappresentato più
in basso, si dirigono verso una figura centrale troppo lacunosa per tentarne
l’identificazione. Quanto alla vittima del martirio, va da sé che si tratta di
Cristina, in origine probabilmente rappresentata lungo la parete nei molte-
plici episodi del suo supplizio, raccontati con dovizia di particolari nella pas-
sio 21. In corrispondenza dell’estremità inferiore della superficie pittorica si
distinguono le tracce di un’iscrizione con la parola «VBERA» (mammelle),
ad indicare che la scena in questione è quella della tortura dei serpenti o del-
l’amputazione del seno 22. L’esistenza di un ciclo agiografico dedicato alla
martire locale permette di riconoscere la stessa Cristina nel personaggio ric-
camente vestito che campeggia acefalo nella zona di sinistra dell’abside. La
figura dipinta sulla parte opposta, per la tunica bianca e il pallio rosa, fareb-
be invece pensare a uno degli apostoli, forse Pietro che meglio li rap-
presenta.

rena Romano e Elena Piferi che però hanno preso in esame il monumento prima
del rinvenimento della pittura dell’abside : E. Parlato, S. Romano, Roma e il La-
zio cit., p. 313 («Bolsena, S. Cristina», scheda a cura di S. Romano); E. Piferi, Af-
freschi cit., p. 49-57. Delle pitture di Bolsena ho parlato in occasione del conve-
gno sull’arte della riforma gregoriana tenutosi a Losanna nel dicembre del 2004 :
S. Piazza, Peintures rupestres dans le Latium à l’époque de la riforme grégorienne.
La «Grotta di Santa Cristina» à Bolsena et autres lieux plus ou moins connus, in
S. Romano, J. Enckell, a cura di, Rome et la réforme grégorienne. Atti del Conve-
gno, Lausanne, 10-11 dicembre 2004, Roma, in corso di stampa.
20
Ibid.
21
Sull’agiografia di Cristina : P. Paschini, Ricerche agiografiche : S. Cristina
di Bolsena, in RivAC, II, 1925, p. 167-194; A. Amore, Cristina, santa martire di Bol-
sena, in BiblSS, IV, coll. 330-332; M. Moscini, Cristina di Bolsena : culto e icono-
grafia, Viterbo, 1986, spec. p. 11-42. Sull’iconografia del ciclo agiografico : I. Belli
Barsali, Cristina, santa martire di Bolsena. Iconografia, in Bibl.SS, IV, 1964, coll.
332-338; G. Kaftal, Iconography of the Saints in Central and South Italian Schools
of Painting, Firenze, 1965 (rist. 1986), coll. 280-281.
22
E. Piferi, Affreschi cit., p. 57.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 45

Altri brani pittorici d’età medievale, scoperti nel corso di un’operazione


di descialbo degli anni ’60 del secolo scorso, e però segnalati da eruditi locali
nel XVII secolo 23, si conservano su due strati sovrapposti nel tratto superiore
del muro orientale dello stesso ambiente (tav. 3 a). Gli avanzi della pittura
più antica si riferiscono a un Giudizio Universale. Di esso si sono conservati
resti di tre apostoli assisi sugli scranni con libri aperti sulle ginocchia che ri-
producono i loro nomi : S(ANCTVS) IOH(ANNES), S(ANCTVS) TADEVS
(tav. 3 c). Su una fila superiore, come di consueto, sono disposti gli angeli 24.
Il secondo strato d’intonaco sembra replicare lo stesso soggetto. Del
Giudizio, in questo caso, s’è conservata quasi per intero la figura del Cristo,
seduto sull’arcobaleno e circondato da una mandorla, oltre a resti consisten-
ti della schiera degli apostoli e di due angeli. Accanto, sulla sinistra, lo stesso
strato d’intonaco prosegue sopra l’arco di accesso all’aula che immette alle
catacombe. Vi è effigiata un’imago clipeata di Cristo sorretta da due angeli
in volo, affiancati da una figura femminile sulla destra tradizionalmente as-
sociata a santa Cristina, che ricalca la tipologia iconografica dell’Ecclesia 25, e
da un individuo con mitria e omophorion sul lato opposto, identificabile con
Urbano IV 26 per il fatto che durante il suo pontificato, nel 1263, proprio in
questo ambiente si sarebbe consumato il celebre miracolo dell’ostia che por-
tò il pontefice a intervenire in favore dell’istituzione della festa del Corpus
Domini (tav. 4 a) 27.
La comune soluzione adottata nella ripartizione del fondo, con le due
semplici bande ocra e grigio ceruleo o verde scuro, l’uniformità del tratto
ampio e nero caratterizzante le figure, portano a ritenere la decorazione del-
l’abside, il brano pittorico con il martirio di Cristina e il primo strato del

23
V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri cit., p. 179 e n. 911.
24
Seppure esemplificato, nel Giudizio di Bolsena l’ordine delle figure coinci-
de con quello del terzo e del quarto registro della controfacciata di Sant’Angelo in
Formis : Y. Christe, Jugements derniers, Parigi, 1999, p. 277-278, fig. 169.
25
G. B. Ladner, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters, 3 voll.,
Città del Vaticano, 1984, III (Addenda et corrigenda), p. 155. L’immagine di Bolse-
na corrisponde all’Ecclesia, raffigurazione diffusa soprattutto a partire dal XII se-
colo, per gli attributi che indossa e reca in mano, la corona e il calice eucaristico,
e per la posizione all’interno di una rappresentazione, quella del Cristo in gloria,
che ha una valenza simbolica. Sull’argomento cfr. : H. Toubert, Les représenta-
tions de l’Ecclesia dans l’art des Xe-XIIe siècles, in Musica e arte figurativa nei secoli
X-XII, Convegni del Centro di Studi sulla Spiritualità medievale, XIII, Todi, 15-18
ottobre 1972, Todi, 1973 (rist. in H. Toubert, Un art dirigé. Réforme grégorienne et
iconographie, Parigi, 1990, p. 37-63), p. 67-101.
26
G. Ladner, Die Papstbildnisse cit., III, p. 155.
27
Durante una messa celebrata all’interno della Grotta di Santa Cristina da
un sacerdote tedesco, di passaggio nel borgo della Tuscia, al momento del-
l’eucaristia dall’ostia spezzata sarebbero scaturite gocce di sangue che avrebbero
lasciato una traccia indelebile sulla mensa dell’altare : F. Gentili, Il miracolo eu-
caristico di Bolsena e la bolla «Transiturus» di papa Urbano IV, in Bollettino di
Studi e Ricerche, I, 1985, p. 127-132. Ad attestare la fortuna del miracolo di Bolse-
na giova ricordare l’affresco che Raffaello eseguì nelle stanze vaticane : R. Schu-
macher, W. Schumacher, Raffael, der Altar der ‘Disputa’ und die Messe von Bolse-
na, in Historiam pictura refert : miscellanea in onore di padre Alejandro Recio Ve-
ganzones, Città del Vaticano, 1994, p. 553-573.

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46 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Giudizio universale frutto di un’unica fase esecutiva che presumibilmente


andava a coprire l’intera superficie delle pareti dell’ambiente tramite la rap-
presentazione di un ampio ciclo agiografico della santa titolare, ma forse an-
che di una sequenza di scene neo e veterotestamentarie, visto lo spazio a di-
sposizione e la presenza del tema apocalittico sulla parete d’ingresso alle ca-
tacombe.
Alcune assonanze tra il Cristo di Bolsena e quello dell’abside della basi-
lica di Sant’Anastasio a Castel Sant’Elia 28 fanno propendere per una datazio-
ne a cavallo tra l’XI e il XII secolo. Emergono elementi, tuttavia, per propor-
re una datazione più circoscritta : un’antica tradizione, supportata da testi-
monianze di eruditi locali risalenti al ’500, attribuisce all’iniziativa
congiunta di Matilde di Canossa e papa Gregorio VII un intervento di valo-
rizzazione di questo ambiente nell’anno 1084, in occasione della traslazione
delle reliquie di Cristina dalla vicina isola Martana e del ricollocamento delle
stesse all’interno del cimitero ipogeo 29.
A conferire veridicità a questa notizia concorre l’architrave marmoreo
del cosiddetto «portale della contessa Matilde», proveniente dall’originario
ingresso della Grotta di Santa Cristina, smontato nel ’700 per far posto alla
costruzione della Cappella del Miracolo e rimontato al centro della parete si-
nistra dell’adiacente basilica romanica 30. Il fregio, che si dispiega sulla fronte
dell’architrave, è ripartito in due scene di elargizione che affiancano un cli-
peo centrale con il Cristo agnello : a destra è riconoscibile un’Adorazione dei
Magi mentre sulla sinistra compare dapprima un individuo acclamante, poi
una donna coronata seduta su un faldistorio, raffigurata nell’atto di porgere
un oggetto in mano dal profilo tondeggiante, di seguito tre figure velate che
portano anch’esse omaggi non meglio identificabili (tav. 4 b). Se il personag-
gio maschile, privo di attributi specifici, risulta difficilmente decifrabile, in

28
P. Hoegger, Die Fresken in der ehemaligen Abteikirche S. Elia bei Nepi. Ein
Beitrag zur romanischen Wandmalerei Roms und seiner Umgebung, Zurigo, 1975,
p. 151-154; F. Gandolfo, Aggiornamento cit., p. 257-260; S. Romano, E. Parlato,
Roma e il Lazio cit., p. 167-178, fig. 144 («Castel Sant’Elia», scheda a cura di
S. Romano).
29
C. Manente, Historie di Ciprian Manente da Orvieto, Venezia, 1561, p. 31;
S. A. Pennazzi, Vita et miracula S. Christinae, Montefiascone, 1725, VI, p. 203-
204; C. Ricci, Santa Cristina e il Lago di Bolsena, Milano, 1928, p. 160-162; M. Mo-
scini, Cristina cit., p. 120-122. Scetticismo nei confronti della veridicità della tra-
dizione che attribuisce a Matilde di Canossa il ruolo di promotrice della trasla-
zione delle reliquie e della decorazione della Grotta di Santa Cristina è stato
espresso da Vincenzo Fiocchi Nicolai e Thomas Gross : V. Fiocchi Nicolai, I ci-
miteri cit., p. 137; Th. Gross, Lothar 3. und die Mathildischen Güter, Francoforte,
Berna, New York, Parigi, 1990 (Europäische Hochschulschriften, Reihe III, Ge-
schichte und ihre Hilfswissenschaften, 419), p. 158.
30
S. Pennazzi, Vita et miracula cit., p. 203; H. Stevenson, Das Coemeterium
der h. Christina zu Bolsena, in Römische Quartalschrift, II (1888), p. 327-353,
spec. p. 351-353 et pl. XI; C. Ricci, Santa Cristina cit., p. 160; M. Moscini, Cristi-
na cit., p. 218; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 313 («Bolsena,
S. Cristina», scheda a cura di S. Romano).

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 47

passato quello femminile è stato identificato con la martire Cristina che, se-
guita da altre vergini in processione, offre a Cristo il sangue del martirio 31.
La presenza della corona e del faldistorio, tuttavia, autorizza a pensare
che si possa trattare di Matilde di Canossa, raffigurata insieme alle dame di
corte mentre offre a Cristo l’urna con le reliquie di Cristina 32. Non è da esclu-
dere, inoltre, che nel personaggio capofila, anch’esso seduto e ritratto con
lunga tunica, possa riconoscersi Gregorio VII.
Volendo riconoscere in Matilde la promotrice dell’intervento di abbelli-
mento della Grotta di Santa Cristina in occasione della traslazione delle reli-
quie della martire, la data del 1084 per l’esecuzione delle pitture appare la
più probabile.

Castel Sant’Elia, Grotta di San Leonardo

Lungo il fianco meridionale del costone di roccia sul quale sorge l’abita-
to di Castel Sant’Elia, a breve distanza dalla basilica di Sant’Anastasio, si af-
facciano alcuni ambienti scavati artificialmente noti con il nome di «Grotta
di San Leonardo» 33. Il nucleo rupestre consta di tre vani comunicanti fra lo-
ro e due cavità realizzate a un livello inferiore. La nostra attenzione verrà
portata sul primo ambiente di destra, adibito a cappella, che conserva inedi-
ti resti di pittura (tavv. 4 c, 5 a). Quanto agli annessi e ai due spazi al livello
inferiore, riteniamo che l’ipotesi di un’adibizione ad uso cenobitico, non
possa essere ribadita con certezza vista l’assenza di soluzioni volumetriche
rapportabili incontrovertibilmente ad una funzione abitativa 34.
I brani pittorici si trovano all’interno di un’aula rettangolare a soffitto
piano con un’abside scavata nella parete orientale e due porte, una ad ovest
che apre sul piccolo ambiente contiguo e l’altra a sud che si affaccia all’ester-
no. A sinistra dell’abside, al di là di una semicolonna, è stato realizzato un
vano che sul lato orientale presenta anch’esso una parete concava al centro
della quale due gradini raggiungono un altare, interamente ricavato nel tufo,
contraddistinto dall’incasso quadrangolare per l’alloggiamento delle reli-

31
C. Ricci, Santa Cristina cit., p. 161; Moscini, Cristina di Bolsena cit., p. 218;
E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 313.
32
Pur identificando le figure femminili a sinistra del Cristo-agnello con le
«vergini sagge», fra gli studiosi che si sono accostati al pezzo marmoreo, Steven-
son risulta essere stato il solo a ventilare l’ipotesi che nella figura coronata possa
riconoscersi Matilde di Canossa : H. Stevenson, Das Coemeterium cit., p. 351-
353. Per un approfondimento della questione : S. Piazza, Peintures rupestres cit.
33
R. Serra, Il santuario di Santa Maria ad Rupes, s.l., 1899, p. 30-33; J. Raspi
Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 76-78; V. Girolami, Stimoli emotivi di un sim-
bolismo scultoreo e geometrico astratto, Ronciglione, 1996, p. 38-42. Su Castel
Sant’Elia e la sua chiesa abbaziale si rinvia alla sintesi offerta di recente da Luisa
Miglio ad introduzione delle testimonianze epigrafiche della zona : L. Miglio, Ca-
stel Sant’Elia, in L. Cimarra et alii, a cura di, Inscriptiones Medii Aevi Italiae (La-
zio, Viterbo, 1), Spoleto, 2002, p. 3-36.
34
Anche Joselita Raspi Serra era propensa all’ipotesi di un piccolo insedia-
mento monastico : «Dell’antico complesso monastico che doveva affacciare sui
due versanti della valle del Fosso della Massa rimane oggi solo la ‘Grotta di
S. Leonardo’», J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 76.

.
48 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

quie 35. Sul lato meridionale, in prossimità dell’abside, si apre una monofora
scavata nella roccia. Un’altra simile è compresa nel muro che occlude il lato
meridionale dell’ambiente contiguo. La struttura muraria, in conci di tufo
ben squadrati e di dimensioni regolari, è il risultato di un moderno restauro,
come lascia intendere la presenza dello stesso materiale edilizio impiegato
per tamponare il parziale crollo dell’abside. La muratura, così come gli in-
terventi conservativi delle superfici pittoriche, è stata verosimilmente realiz-
zata in vista della riconsacrazione dell’ambiente avvenuta il 6 novembre del
1894 36.
Dopo il restauro ottocentesco gli effetti dell’erosione non si sono certo
arrestati. Oggi le superfici interne della cappella sono percorse da gravi le-
sioni, distacchi e cedimenti, tanto da poter considerare l’ambiente ad alto ri-
schio di crollo. I resti di pittura, in parte ancora leggibili nonostante la seco-
lare esposizione agli agenti atmosferici e il totale abbandono, sono presenti
lungo la parete orientale, all’interno del catino absidale, sulla superficie pia-
na contigua, a destra e a sinistra della porta che si apre sulla parete opposta
e sulla parete meridionale.
Per la lettura dei soggetti raffigurati diviene prezioso il vecchio contri-
buto di Roberto Serra, che contiene una descrizione piuttosto dettagliata
delle pitture 37. Dal confronto del testo ottocentesco con la situazione attuale
risulta chiaro che nell’arco di un secolo alcune figure sono andate perdute e
l’identificazione di esse rimarrà purtroppo dubbia, dato che l’interpretazio-
ne fornita da Serra si è rivelata spesso erronea.
Cominciando l’analisi dal lato orientale, sulla parete piana a sinistra
dell’abside si conservano i resti della figura di Giovanni evangelista su fondo
blu con il braccio sinistro alzato che sostiene il cartiglio sul quale si legge
ancora, distintamente, la frase IN PRINCIPIO ERAT/VERBVM ET VERBVM
E/RAT APUD DEVM (tav. 54 b) 38. Il frammento faceva certamente parte del-
l’usuale rappresentazione, con l’imago clipeata del Cristo-agnello e la figura
del Battista sul lato opposto a quello dell’Evangelista, tipica delle decorazio-
ni che sovrastano l’altare, a rivestire la fronte dell’arco absidale, o di un cibo-
rio 39.

35
In proposito il Serra : «al lato destro della suddetta piccola tribuna è sca-
vato nel masso un altare la cui forma fa credere che dentro vi si nascondessero
sacre reliquie, ed è tradizione che, per le incursioni dei Longobardi qui si pones-
sero in sicuro quelle dei santi protettori di Castello, Anastasio e Nonnoso»,
R. Serra, Il santuario cit., p. 33.
36
«Tutta la grotta, per delegazione di S. E. R.ma Mons. Generoso Mattei ve-
scovo diocesano, fu benedetta dal vicario generale Mons. Sante Zanchi il 6 no-
vembre 1894. Ogni anno in tal giorno, che ricorda la morte di s. Leonardo abate,
vi si celebra», Ibid., p. 33.
37
Ibid., p. 30-33.
38
Giovanni, I, 1.
39
«Vedesi un piccolo brano di rotolo colla prima lettera E delle caratteristi-
che del Battista, cioè ‘Ecce Agnus Dei’. Più su, e precisamente al centro del-
l’arcuato frontale, rilevasi a metà l’Agnello simbolico o mistico, bello, stupendo,
specie la testa e l’occhio destro più visibile, fresco ancora, guardante in direzione
del Battista... Dietro la testa è l’aureola a due raggi, segno distinto di divinità.
Verso di lui infatti spingono il braccio col loro rotolo i due Giovanni facendolo

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 49

All’interno della conca absidale resta una porzione d’intonaco a sinistra


e una di minori dimensioni sulla destra. La prima conserva il busto di un an-
gelo rivolto verso il centro dell’abside vestito di un pallio giallo-ocra e una
tunica bianco-azzurra, le braccia levate all’altezza delle spalle in segno di de-
ferenza nei confronti del soggetto centrale, purtroppo perduto. Appena so-
pra il livello delle ginocchia la figura è tagliata da una banda gialla e rossa
che divideva la superficie in due registri. Di quello inferiore resta soltanto un
lacerto con un motivo geometrico. Una banda simile contorna la parete con
il san Giovanni, mentre una grande il doppio delimita il catino. Il brano sul-
la destra conserva i resti di un altro angelo, simmetrico a quello di sinistra.
Si distinguono, anche se con difficoltà, alcuni tratti della capigliatura, delle
ali e del panneggio 40.
Lungo la parete ovest la porzione di pittura meglio conservata è quella a
destra della porta, dove un fregio a meandro 41 incorniciato da due bande bi-
crome, una ocra e l’altra rossa, sovrasta un busto di Cristo che benedice alla
greca (tav. 54 c). Accanto, sulla sinistra, si vedono le tracce di una figura
orante di minori dimensioni mentre dalla parte opposta non resta nulla, ma
vi è lo spazio sufficiente per ipotizzare l’originaria presenza di un’altra figu-
ra. A sinistra dell’orante l’intonaco gira a coprire lo stipite della porta dove si
distinguono i resti di un santo vescovo con casula rossa e omophorion bian-
co decorato con croci lobate blu 42.
A sinistra della porta l’intonaco ha perduto quasi del tutto la pellicola
pittorica 43. Ciononostante, ad un’osservazione ravvicinata è stato possibile

così centro l’uno della parola che lo annunzia veggente, l’altro della solenne affer-
mazione che lo predica Dio, e già con noi», R. Serra, Il santuario cit., p. 31. Sul
tema iconografico dei due Giovanni con l’agnello mistico, cfr. infra, p. 84.
40
Al tempo del Serra si scorgeva ancora parte della figura centrale, nella
quale con ogni probabilità doveva riconoscersi un’immagine di Cristo. Un margi-
ne di dubbio va comunque considerato, dato che lo studioso aveva equivocamen-
te visto nella figura di sinistra «divinamente bella, abbastanza conservata ed inte-
ra la figura di Maria» laddove ancora oggi si distinguono, come s’è detto, i resti di
un angelo. Anche del brano superstite della figura di destra, che mostra chiara-
mente le tracce di un altro angelo simmetrico a quello di sinistra, Serra forniva
un’interpretazione erronea : «ha siffattamente sconciato il volto che lo rende irri-
conoscibile, a meno che non sia s. Pietro Apostolo come lo indicherebbe il colori-
to e la disposizione del panneggiamento», Ibid., p. 32.
41
Sui fregi a meandro si veda lo studio di B. Al-Hamdani, The Fate of the Per-
spectival Meander in Roman Mosaics and its Sequels, in CahA, 43, 1995, p. 35-56.
42
Su questa parete anche Serra distingueva i resti di tre figure : oltre al Cri-
sto benedicente alla greca («l’avanzo di una grandiosa figura di Gesù colla mano
destra levata ed aperta, meno il pollice e l’anulare che, curvi l’uno verso l’altro, si
combaciano»), una figura femminile, probabilmente l’orante che si intravede og-
gi («una Maddalena ovvero la Madonna») e un santo vescovo che verosimilmente
corrisponde al frammento di figura con omoforio («una pontificalmente vestita
all’orientale»), R. Serra, Il santuario cit., p. 30. Sull’omophorion : C. Cecchelli, La
Vita di Roma nel Medio Evo. Le arti minori e il costume, 2 voll., Roma, 1951-1960,
II, p. 933-1032.
43
In questa zona lo stato conservativo delle pitture doveva essere assai com-
promesso già al tempo di Serra, visto che lo studioso non menziona la presenza
di alcuna figura.

.
50 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

riconoscere le tracce di tre personaggi con nimbo. Mentre della figura di de-
stra si distingue appena qualche tratto del volto, le altre due lasciano traspa-
rire le tracce della veste apostolica con pallio, ora verde ora rosa, su una tu-
nica bianca. In alto sono ben visibili i resti del fregio con la greca, già incon-
trato sulla parete accanto, segno evidente dell’identità dell’intervento
pittorico. Lo stesso intonaco prosegue sulla parete meridionale dove lo spa-
zio a disposizione permette di ipotizzare l’originaria presenza di un altro
personaggio fra la porta e l’angolo.
Poco più in alto del fregio a meandro affiora un altro strato d’intonaco
dipinto che attesta l’esistenza di una pittura precedente della quale non è
possibile precisare l’epoca d’esecuzione per via dell’esiguità del lacerto.
Quanto ai brani relativi al secondo strato, nonostante le condizioni di lacu-
nosità e l’estesa caduta della pellicola pittorica in corrispondenza dell’unico
volto parzialmente superstite, quello del Cristo benedicente, alcuni con-
fronti permettono di avvicinarli all’orizzonte della pittura romana dell’XI
secolo.
A ben riflettere, le linee dal tratto largo e distanziato che percorrono il
panneggio dell’angelo nulla hanno a che fare con la fitta trama di pieghe che
caratterizzano le figure della decorazione pittorica nella vicina basilica di
Sant’Anastasio, espressione di un linguaggio figurativo, proprio della stagio-
ne artistica della Riforma, che si sviluppa a cavallo tra l’XI e il XII secolo 44.
Sono assai prossime, invece, a quelle che possiamo ravvisare nel ciclo pitto-
rico di Sant’Urbano alla Caffarella, in passato ascritto agli inizi dell’XI 45 se-
colo e più di recente sullo scorcio dello stesso 46, laddove le figure della serie
di scene agiografiche risultano meno alterate dalle ridipinture e lasciano
scorgere l’originario assetto delle vesti.
Talune affinità le pitture della chiesa rupestre sembrano avere con la
decorazione absidale della chiesa ipogea del cimitero di Ermete riferibile al-
l’XI secolo o al XII 47. Colpisce l’adozione della medesima soluzione nell’im-
paginazione delle figure della parete curvilinea, con l’esibizione della sola
parte superiore degli angeli, come se sporgessero da un muro di recinzione.
Anche il modo di disporsi del pallio della figura alata di Castel Sant’Elia,
d’altra parte, che sembra annodarsi all’altezza della vita e ripartirsi in pieghe

44
E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 167-178 («Castel Sant’Elia»,
scheda a cura di S. Romano).
45
A. Busuioceanu, Un ciclo di affreschi del secolo XI : S. Urbano alla Caffarel-
la, in Ephemeris Dacoromana, 2, 1924, p. 1-65 (p. 8); G. Matthiae, Pittura romana
del Medioevo, II (Secoli XI-XIV), Roma, 1966, p. 12-19 (p. 12).
46
P. Williamson, Notes on the Wall-paintings in Sant’Urbano alla Caffarella,
Rome, in PBSR, 55, 1987, p. 224-228; K. Noreen, Sant’Urbano alla Caffarella : Ele-
venth-Century Roman Wall Painting and the Sanctity of Martyrdom (Ph. D. Diss.,
Johns Hopkins University), Baltimora, 1998, p. 91-177.
47
O. Hjort, The first portrait of St. Benedict? Another look at the frescoes of
Sant’Ermete in Rome and the development of a 12th century facial type, in Hafnia, 8,
1981, p. 72-82; J. Osborne, The Roman Catacombs in the Middle Ages, in PBSR,
53, 1985, p. 278-328, spec. p. 322-326; M. Andaloro, Aggiornamento scientifico, in
G. Matthiae, Pittura romana nel Medioevo. Secoli IV-X. Aggiornamento scientifico
di Maria Andaloro, I, Roma, 1987, p. 217-295 (p. 274 e n. 41).

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 51

a «V» nel tratto sottostante, incontra analogie nell’angelo di sinistra del-


l’abside romana.
Non aiutano a stringere il campo cronologico i resti della figura del Cri-
sto sulla parete ovest del santuario rupestre. Il gesto della benedizione alla
greca, con il pollice e l’anulare che si toccano, trova una precisa corrispon-
denza nelle tavole di Capranica e Sutri che seppure riferibili alla prima metà
del ’200 fanno parte del folto gruppo di icone laziali imitanti l’antica imma-
gine dell’Acheropita lateranense e quindi lasciano aperta la possibilità che il
medesimo dettaglio fosse presente in precedenti versioni perdute 48. Alla luce
di queste considerazioni, ci limitiamo a proporre un’attribuzione delle pittu-
re della Grotta di San Leonardo all’XI secolo, con una propensione per una
data intorno alla metà dello stesso.
A un intervento pittorico assai più recente, da assegnare al XIV secolo
avanzato, appartiene il personaggio nimbato dipinto sulla parete meridiona-
le a sinistra della porta, solo parzialmente conservato (tav. 5 b). L’immagine
riserva una sorpresa, poiché si tratta del santo titolare della grotta, Leonardo
da Nobiliacum. Le pennellate bianche lungo la zona di sinistra del saio, che
proseguivano in basso laddove oggi la pittura è perduta, riproducono le cate-
ne, attributo appartenente alla tradizione iconografica del santo attestata a
partire dal XII secolo 49. Alla fine dell’800, tra l’immagine del santo titolare e
l’angolo con la parete absidale si scorgevano anche i resti di una Vergine con
Bambino e san Giuseppe, oggi irrimediabilmente scomparsi 50.

48
W. F. Volbach, Il Cristo di Sutri e la venerazione del Ss. Salvatore nel Lazio,
in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, 17, 1940-1941,
p. 97-126, part. p. 97-98, 109; G. Matthiae, Pittura cit., II, p. 156, 158-159, 162;
W. Angelelli, La diffusione dell’immagine lateranense : le repliche del Salvatore nel
Lazio, in G. Morello e G. Wolf, a cura di, Il volto di Cristo, catalogo della mostra
(Roma, 9 dicembre-16 aprile 2000-2001), Milano, 2000, p. 46-49, part. p. 48, n. 4.
49
P.-E. Robinne, L’iconographie de saint Léonard, in Saint-Leonard-de-No-
blat. Un culte, une ville, un canton, Limoges, 1988, p. 17-28. Nell’ambito della Sici-
lia normanna l’immagine del santo, con l’attributo della catena, fa la sua compar-
sa all’interno della decorazione musiva della Cappella Palatina di Palermo
(E. Kitzinger, I mosaici del periodo normanno in Sicilia. La Cappella Palatina di
Palermo : i mosaici delle navate, II, Palermo, 1993, fig. 215) e fra i pannelli votivi
della Grotta del Crocifisso a Lentini (A. Messina, Le chiese rupestri del Val di Noto
cit, p. 28, fig. 2, c).
50
«In altra parte della grotta, e precisamente nella parete destra entrando,
appena avvertibili, vi sono vestigii di tre figure così disposte ed unite tra loro da
togliere ogni dubbio che non rappresentino la sacra Famiglia. Infatti l’aureola
più piccola, col doppio raggio in forma di croce, quasi appoggiata alla parte ante-
riore della spalla destra di altra figura, ci assicura senza più non poter esserci lì,
un tempo, che il Bambino Gesù. Il santo Bambino poi rappresentato in tali con-
dizioni prova che la figura che lo regge non poteva essere che la Vergine. Segue la
terza figura, un vecchietto che, pel complessivo atteggiamento della persona e
specie la disposizione del braccio destro, lascia supporre avesse in mano un ba-
stoncello, forse il simbolico del giglio. Egli sta a brevissima distanza dalle altre fi-
gure e lascia scorgere il suo paterno interessamento per esse», R. Serra, Il san-
tuario cit., p. 32-33.

.
52 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Civita Castellana, Grotte di San Cesareo


Con il nome di San Cesareo si identificano alcuni ambienti scavati nel
tufo che si affacciano sul versante nord-occidentale del Colle del Vignale, a
sud di Civita Castellana 51. Il toponimo è da considerarsi di origine medieva-
le, stando alla testimonianza di una lunga iscrizione commemorativa giunta
fino a noi in stato lacunoso ma trascritta integralmente al principio del
XVIII secolo dall’Ughelli 52. L’epigrafe ricorda che nell’ecclesia beati Caesarij
Martyris si erano riuniti, sotto il pontificato di Innocenzo III, il 4 marzo del
1210, i vescovi di Sutri, Nepi e Civita Castellana in occasione della consacra-
zione di due altari. Nulla porta ad affermare con assoluta certezza che nel
complesso rupestre sia da riconoscere la chiesa citata nell’iscrizione. È signi-
ficativo, tuttavia, che nel trascrivere il testo dell’epigrafe agli inizi del ’700
l’abate Ughelli abbia fornito la precisa menzione di una chiesa di San Cesa-
reo de Vignale 53.
All’interno degli spazi scavati nel tufo non troviamo traccia dei due alta-
ri ricordati nell’epigrafe, ciononostante i brani pittorici che si conservano su
tre lati dell’ambiente di maggiori dimensioni, seppure allo stato attuale ap-
paiano quasi illeggibili per via del diffuso distacco della pellicola pittorica e
della coltre di nerofumo, lasciano intendere che in età medievale l’insedia-

51
J. Raspi Serra, Insediamenti e viabilità cit., 1974, p. 401-402; Eadem, Inse-
diamenti rupestri cit., p. 56-59; G. Pulcini, Da Saxa Rubra al Duomo dei Cosmati
in Civita Castellana, Civita Castellana, 1996 (Ager Faliscus. Quaderno 1), p. 64-67.
A sud di S. Cesareo, all’inizio dell’abitato di Civita Castellana, è presente un
altro nucleo rupestre, associato al nome di Sant’Ippolito (J. Raspi Serra, Insedia-
menti rupestri cit., p. 64-65, fig. 44, G. Pulcini, Saxa Rubra cit., p. 73-74). L’inse-
diamento è stato in gran parte sacrificato nel secolo scorso, in occasione della
realizzazione della moderna strada provinciale che ha ritagliato il costone tufa-
ceo. Si conserva, quindi, soltanto l’estremità occidentale del complesso, dove Jo-
selita Raspi Serra aveva potuto vedere «affreschi a riquadri molto rovinati e assai
tardi, rappresentanti figure di santi e decorazioni vegetali» (J. Raspi Serra, Inse-
diamenti rupestri cit., p. 64). Oggi, purtroppo, gli ambienti sono abbandonati al
totale degrado e le pareti con i resti d’intonaco, segnalate dalla studiosa, delimita-
no un pollaio, al quale, fra l’altro, ci è stato negato l’accesso.
52
In nomine Domini, amen. Anno Domini MCCX. Pontificatus D. Innocentij
III. Papae, mens. Martij die 4. ind. xiij. in hac ecclesia B. Caesarij Martyris duo sunt
consecrata altaria, primum ad introitum Ecclesiae consecratum a Gerardo Nepesi-
no Episcopo ad honorem Dei, et B. Liberatoris Martyris, et B. Lucae Evangelistae,
in quo sunt reconditae reliquiae B. Saturnini Martyris et aliorum et secundum jux-
ta aliud, et est consecratum a Petro Hismaelis Episcopo Sutrino, ad honorem Dei,
et B. Joannis Baptistae, in quo sunt reconditae reliquiae B. Marini, et B. Cereniiae
Martyrum, et aliorum, remissio peccatorum annuatim posita. Hoc factum est tem-
pore presbyteri Petri S. Mariae clerici, et sociorum eius, Episcopus Romanus Civi-
tatis Castellanae, una cum praedictis Episcopis consecravit, F. Ughelli, Italia sacra
sive de episcopis Italiae. Edito secunda aucta ed emendata. A cura di N. Coleti, Ve-
nezia, 1717-1722, I, col. 598. La lastra, data per perduta (J. Raspi Serra, Insedia-
menti rupestri cit., p. 59), è stata scoperta da Luigi Cimarra all’interno della catte-
drale di Civita Castellana, riutilizzata per la pavimentazione, abrasa e frammen-
taria : L. Cimarra, Artefici e committenti nelle iscrizioni cosmatesche di Civita
Castellana, in Biblioteca e Società, V, 3-4, 1983, p. 37-40.
53
F. Ughelli, Italia sacra cit. col. 598.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 53

mento ricavato nel banco naturale della collina ospitasse uno spazio intera-
mente decorato, segno della sua destinazione a luogo di culto.
Il complesso rupestre consta di cinque vani a pianta quadrata, in parte
comunicanti fra loro, caratterizzati dal risparmio del nucleo centrale lavora-
to a forma di parallelepipedo con modonature a mo’ di capitello. Invasi cubi-
ci di questo genere, assai comuni nella regione, rimandano a una tipologia
insediativa risalente ad epoca etrusco-romana 54. L’ipotesi che si tratti di spa-
zi di riuso appartenenti all’evo antico collima, del resto, con la vecchia tesi
che identificava il Colle del Vignale con l’originaria sede dell’acropoli di Fale-
rii Veteres 55.
L’ambiente che conserva tracce di pittura è l’ultimo della serie a partire
da ovest (tav. 5 c). Pur mantenendo la pianta quadrangolare, esso si distin-
gue dagli altri per ulteriori interventi di scavo che sembrerebbero essere il ri-
sultato di modifiche posteriori : nella zona nord-ovest del soffitto si apre una
pseudo-cupola con uno camino centrale; lungo il lato nord la parete è stata
tagliata per creare un bancone che raggiunge i 4 metri di lunghezza, ricoper-
to da uno strato di intonaco decorato da una semplice banda rossa; sulla pa-
rete nord si apre un piccolo ambiente con alcune nicchie, un altro banco di
tufo di minori dimensioni e un cunicolo che parte in direzione nord 56.
Dall’analisi delle tracce di intonaco dipinto è stato possibile trarre alcu-
ni dati sui soggetti raffigurati. Lungo la parete ovest sono i resti di un pan-
nello che in origine doveva occupare l’intera parete, lunga circa 4 metri. A
luce radente si scorgono tre figure di santi. Del primo a sinistra sono parzial-
mente visibili l’aureola, qualche tratto del volto e la parte superiore della ve-
ste. Sembrerebbe trattarsi di un individuo maschile di età giovanile, con una
dalmatica verde scuro bordata di rosso. La figura accanto presenta un volto
dal profilo marcatamente ovale che fa pensare a un personaggio femminile.
Della terza figura si intravede soltanto l’aureola. Un po’ ovunque sono evi-
denti i segni di battitura dei fili lasciati durante l’esecuzione pittorica 57.
Sulla parete occidentale, al di sopra dell’apertura di sinistra che mette
in comunicazione l’ambiente con il piccolo vano retrostante, rimangono le
tracce di un pannello che, nonostante l’avanzato stato di deterioramento del-
la superficie pittorica, può fornire elementi sufficienti per una lettura d’in-
sieme. Al centro sono i resti di un Cristo assiso sul trono in atto di benedire e
esibire il libro aperto. A destra e a sinistra, in scala minore, due personaggi
ritratti di tre quarti, forse Pietro e Paolo, si rivolgono verso la figura centrale
in atto di deferenza. Nell’angolo superiore sinistro del pannello si distingue
una fascia, con un decoro a motivi vegetali ocra a forma di «S», incorniciata
da due bande rosse.
Il pannello che in origine ricopriva la parete orientale doveva essere il
maggiore per estensione. Purtroppo allo stato attuale le numerose lacune e
annerimento dovuto ai frequenti fuochi accesi al disotto lasciano intravede-
re qua e là soltanto qualche pennellata perlopiù di colore ocra e rosso. Sulla

54
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 56 e bibl. in nota.
55
A. Taylor, Local Cults in Etruria, Roma, 1923, p. 64.
56
Cfr. J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 56.
57
Sulla battitura dei fili : L. Mora, P. Mora, P. Philippot, La conservation des
peintures murales, Bologna, 1977, p. 153.

.
54 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

sinistra, a mezza altezza, si riesce a scorgere il busto di una figura giovanile


con pallio della quale, però, resta visibile soltanto il disegno preparatorio
(tav. 5 d).
In attesa di un intervento di pulitura e restauro delle pitture è possibile
esprimere solo qualche considerazione. Si è detto che la serie di ambienti
rupestri con pilastro centrale rimanda probabilmente all’epoca etrusco-ro-
mana. È possibile, quindi, che in età medievale l’insediamento di San Cesa-
reo sia stato riutilizzato destinando l’ultimo ambiente a luogo di culto, op-
portunamente decorato con immagini sacre. Di difficile interpretazione ri-
sulta lo scavo dello sfiatatoio circolare sul soffitto dell’ambiente decorato
che non sembra avere senso in uno spazio utilizzato per lo svolgimento delle
funzioni religiose e potrebbe quindi essere stato realizzato in epoca successi-
va, a seguito dell’abbandono del luogo di culto e contestualmente al suo riu-
tilizzo come deposito agricolo o rifugio per il bestiame.
Per un’ipotesi di datazione delle pitture, che le gravi condizioni di de-
grado consentono di inserire solo approssimativamente in un arco cronolo-
gico che va dalla seconda metà del XII secolo e la prima del successivo, viene
in aiuto la lastra marmorea trascritta dall’Ughelli. Qualora si voglia identifi-
care la chiesa menzionata nell’epigrafe con l’insediamento rupestre, la data
del 1210, che l’iscrizione evoca in riferimento alla consacrazione dei due al-
tari, potrebbe addirittura suggerire un’attribuzione ad annum dell’intervento
pittorico.

Civita Castellana, Grotte di San Selmo

A sud dell’abitato di Civita Castellana, a metà altezza della collina che


sovrasta il tempio di Giunone Curite, si affacciano le grotte di San Selmo
(tav. 6 a) 58. Attualmente l’insediamento è quasi inaccessibile, dato che l’anti-
co sentiero che vi giungeva dal basso è in parte crollato e in parte ostruito da
costoni tufacei distaccatisi dalla falesia per effetto dell’erosione.
Il complesso rupestre consta di una serie di ambienti a pianta irregolare
comunicanti fra loro. Sul piano di calpestio della zona più interna, cui si ac-
cede tramite due ampi archi ritagliati nel tufo, è scavata una vasca circolare
oggi riempita di terra e pietrisco, della quale si ignora l’uso 59. La funzione
stessa degli spazi, d’altra parte, in passato identificata con un insediamento
di tipo cenobitico, non è appurabile con assoluta certezza venendo a manca-
re prove documentarie ed evidenze archeologiche inequivocabili 60.
Dislocate soprattutto nell’ambiente centrale, le testimonianze pittoriche
raggiungono un numero cospicuo anche se risultano quasi illeggibili a causa
del sopraggiungere, negli ultimi decenni, di atti vandalici e veri e propri furti
che hanno comportato il trafugamento delle porzioni più significative. Circa

58
J. Raspi Serra, Insediamenti e viabilità cit., p. 403-405; Eadem, Insedia-
menti rupestri cit., p. 59-64; G. Pulcini, Da Saxa Rubra cit., p. 68-71. Per quanto
riguarda il toponimo, è probabile che il nome «Selmo» derivi da «Anselmo». Se-
condo Pulcini si tratterebbe di sant’Anselmo fondatore dell’abbazia di Nonantola
(Ibid., p. 68).
59
Cfr. J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 59.
60
Secondo la Raspi Serra si tratta di un cenobio (Ibid., p. 63).

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 55

trent’anni fa è stato rubato il volto del Cristo dipinto sul lato meridionale del
pilastro di raccordo dei due archi, per fortuna documentato da una vecchia
fotografia (tav. 7 a) 61. Di esso restano soltanto i segni del collo e parti limita-
te del fondo blu (tav. 7 b). Lacerti di malta sopravvissuti più in basso per-
mettono di ipotizzare che in origine l’immagine del Salvatore fosse a figura
intera.
Uguale sorte è toccata al pannello con la Crocifissione che veniva segna-
lato a destra del Cristo, con la differenza che in questo caso non abbiamo al-
cuna foto che ne attesti l’esistenza e a sua memoria rimangono soltanto le
tracce dell’intonaco scalpellato corrispondenti a un’area rettangolare del
supporto tufaceo 62. È ancora in parte visibile, invece, il decoro della nicchia
scavata fra le due immagini appena citate. Sul fondo era dipinta una croce
gemmata color ocra a bracci patenti su fondo azzurro. Resta anche qualcosa
della superficie contigua di sinistra, dove si scorge parte di un motivo florea-
le. Per la sua ubicazione, e la presenza della croce, la nicchia farebbe pensa-
re ad uno spazio riservato alla suppellettile liturgica 63.
Più a sinistra, lungo la superficie perimetrale della grotta, si scorgono i
resti di tre santi rappresentati all’interno di un unico riquadro (tav. 6 b). No-
nostante il grave stato di lacunosità dell’intonaco, nel personaggio femmini-
le di sinistra è possibile riconoscere una santa Caterina, grazie alle tracce del
suo tipico attributo, la ruota dentata, che esibisce in alto sulla destra. La fi-
gura centrale con indosso il saio è identificabile con Leonardo da Nobilia-
cum per via della catena che tiene in mano, segno distintivo e ricorrente nel-
la tradizione iconografica del santo, della quale si conserva una versione tar-
da nella vicina grotta di Castel Sant’Elia 64. Nulla si può dire, invece, a
proposito del personaggio di destra che è stato interamente scalpellato.
A pochi metri di distanza da questo pannello, sulla destra, la stessa pa-
rete di roccia conserva i resti di un altro riquadro che in origine doveva raffi-
gurare un santo vescovo, come lascia intendere l’unico brano superstite, in
corrispondenza della metà inferiore, con le tracce di una casula e di un omo-
phorion 65. Inoltre, sulla parete sinistra dell’angusto passaggio che si apre ad
est dell’ambiente principale, in passato veniva segnalato un affresco «assai
guasto» con due monaci, oggi del tutto scomparso 66.

61
Una fotografia del volto è pubblicato nel saggio di Raspi Serra (Ibid.,
fig. 26, p. 61). In nota l’autrice riportava la notizia del furto avvenuto poco tempo
prima (Ibid., p. 59, n. 2).
62
Il pannello con la Crocifissione esisteva ancora, non sappiamo in quale
stato, negli anni ’70 del secolo scorso : Ibid., p. 59.
63
Una nicchia, con una croce dipinta all’interno, compare anche nella Grot-
ta del Salvatore a Vallerano, in un contesto pittorico del X secolo, cfr. infra, p. 67.
64
Il personaggio è raffigurato anche nell’omonima grotta di Castel Sant’Elia
in un pannello risalente al XIV-XV secolo, cfr., supra, p. 51.
65
Una fotografia pubblicata negli anni ’70 del secolo scorso, riproducente
l’interno della grotta di San Selmo, mostra il pannello con il santo vescovo in uno
stato conservativo ancora discreto : J. Raspi Serra, Insediamenti e viabilità cit.,
fig. 8 (per una svista la didascalia sottostante associa l’immagine a «San Cesa-
reo»).
66
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit. p. 62.

.
56 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Per quanto riguarda la datazione delle pitture, ovviamente lo stato di la-


cunosità e il deterioramento della pellicola pittorica ostano alla formulazio-
ne di un’ipotesi precisa. Le caratteristiche materiche dei brani superstiti fan-
no pensare all’esistenza di un unico intervento pittorico o di fasi esecutive
succedutesi in un breve arco di tempo 67. Gli attributi dei santi raffigurati sul-
la parete di destra, estranei alla tradizione altomedievale, permettono di ri-
tenere plausibile una datazione all’interno della prima metà del XIII secolo.
Del resto, i tratti grossolani del volto di Cristo (così come appaiono nella fo-
tografia che documenta il soggetto prima del furto), originariamente a figu-
ra intera, sembrerebbero dar peso a questa proposta cronologica visto che
rivelano una certa somiglianza con alcune tavole del Salvatore d’area laziale
risalenti al XIII secolo 68.

Ischia di Castro, eremo di Poggio del Conte

L’eremo di Poggio del Conte si distingue dagli altri insediamenti rupe-


stri della Tuscia per l’accuratezza e la perizia con le quali le forme architet-
toniche e le decorazioni plastiche sono state scavate nel banco di tufo 69. Al-
l’esterno l’ingresso è contraddistinto da un grande oculo profilato da una
modanatura a tortiglione purtroppo in gran parte scomparsa a causa del-
l’erosione della roccia (tav. 7 c). La porta sottostante, anch’essa parzialmen-
te erosa, conserva ai lati due semicolonne. L’interno consta di due ambienti
comunicanti per mezzo di un arco ogivale costolonato che si congiunge, me-
diante semplici capitelli, a due colonnine.
Il primo vano è caratterizzato da quattro pilastri a fascio che sostengo-
no un alto tamburo sul quale poggia una cupola ribassata impreziosita al
centro da una decorazione a cordolo imitante una croce i cui bracci si diva-
ricano a formare quattro petali dal profilo a cuore (tav. 8 a). Sulla parete
orientale sono scavate due nicchie a sezione quadrangolare.
Il secondo vano è coperto da una volta a crociera con vele percorse nel
mezzo da quattro cornici in aggetto che in alto terminano con un motivo a
foglia lanceolata e in basso si raccordano, tramite semplici capitelli cubici,
ai montanti frontali dei pilastri di sostegno. Al centro del lato nord si apre
un’alta nicchia cuspidata, fiancheggiata da due parapetti, che forse in origi-
ne ospitava una cattedra 70. La parete orientale è invece occupata da una con-
ca absidale.
Allo stato attuale le uniche pitture in parte ancora visibili all’interno del-
l’eremo sono le decorazioni nere e rosse a motivi geometrici e floreali che
scandiscono le ripartizioni architettoniche delle volte. In origine la volta del
primo ambiente era rivestita dalle figure del Cristo e dei dodici apostoli,

67
Le pitture di San Selmo sono caratterizzate da un intonaco piuttosto spes-
so con un impasto bianco, come si evince dai numerosi tagli, anche recenti, prati-
cati su di esse. Viceversa, la pellicola pittorica risulta molto sottile.
68
W. F. Volbach, Il Cristo di Sutri cit., p. 97-98, 109; G. Matthiae, Pittura cit.,
II, p. 156, 158-159, 162; W. Angelelli, La diffusione cit., p. 46-49.
69
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 125-141; E. Piferi, Affreschi ro-
manici cit., p. 78-85.
70
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 133.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 57

questi ultimi disposti a due a due entro scomparti divisi da colonnine, sen-
nonché nel 1964 i soggetti sono stati vandalicamente asportati per essere im-
messi clandestinamente nel mercato antiquario. Fortunatamente, di lì a po-
co, vennero recuperati sei ritratti della serie degli apostoli che attualmente
troviamo esposti al museo civico di Ischia di Castro (tavv. 7 d, 8 c) 71.
Le figure, dipinte su un sottile strato di intonaco che aderisce diretta-
mente al tufo, si stagliano su un fondo tripartito che risulta bianco nella se-
zione centrale, rosso o ocra in corrispondenza nel tratto inferiore, fin quasi
le ginocchia, grigio, rosso o ocra intorno all’aureola (tav. 54 d). La gamma
cromatica si limita agli stessi colori anche per le campiture delle figure, con-
tornate di nero con un tratto corsivo ed essenziale. Nel limite superiore dei
riquadri tre personaggi conservano parzialmente le iscrizioni onomastiche :
si tratta di Andrea, Paolo e Tommaso. Risulta impossibile l’identificazione
dei restanti apostoli, privi come sono di attributi specifici e caratteri peculia-
ri nei tratti somatici dei volti.
Le pitture di Ischia di Castro, tanto nel programma figurativo che nei
partiti decorativi, rivelano un intimo legame con le forme architettoniche
dell’ambiente rupestre che le ospitava, scavato con rara sapienza. È quindi
assai probabile che i due interventi siano stati realizzati l’uno di seguito al-
l’altro, nonostante la resa pittorica non sia all’altezza della maestria dimo-
strata nell’opera di escavazione. Come già rilevato in passato, il ricco appa-
rato di nervature, capitelli, pilastri a fascio e l’oculo della facciata, rimanda-
no all’architettura cistercense d’oltralpe 72. Il quadrifoglio a terminazione
gigliata al centro della volta, in particolare, trova un puntuale riscontro nelle
miniature del taccuino della Nationalbibliothek di Vienna (Reuner Muster-
buch, Öst. Nat. Bibl., 507, cc. 11 v) che riproduce con meticolosa precisione
il repertorio figurativo della decorazione architettonica dell’abbazia austria-
ca di Reun, risalente al primo decennio del ’200 (tav. 8 a-b) 73.
Alla luce di queste considerazioni, la datazione più probabile per l’opera
di escavazione dell’eremo e la sua decorazione pittorica risulta essere il pri-
mo quarto del XIII secolo, come tra l’altro suggeriscono i resti delle iscrizio-
ni onomastiche relative agli apostoli, dai caratteri marcatamente gotici 74.

Norchia, Grotta di San Vivenzio


Sul pianoro che domina la zona sud-orientale della necropoli etrusca di
Norchia, sorge isolata la chiesetta campestre di San Vivenzio 75. Al suo inter-
no una lapide del 1566 ricorda l’intitolazione dell’edificio al santo locale, ve-

71
E. Piferi, Affreschi romanici cit., p. 79.
72
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 125-141; Eadem, Il rapporto tra
la «civitas» cistercense e la «civitas» romana, in I cistercensi e il Lazio. Atti delle
giornate di studio dell’Istituto di Storia dell’arte dell’Università di Roma, Roma 17-
21 maggio 1977, Roma, 1978, p. 275-279 (p. 279 e fig. 176).
73
M. Mihályi, Cistercensi. Decorazione architettonica, in EAM, IV, Roma,
1993, p. 835-849, fig. a p. 848.
74
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 141.
75
Numerosi argomenti legati al culto di san Vivenzio sono stati affrontati nel
corso di un seminario svoltosi a Viterbo il 20 ottobre del 1990, cfr. gli Atti del se-
minario su San Vivenzio, in Informazioni (Periodico del Centro di catalogazione

.
58 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

scovo della vicina città di Blera vissuto forse nel V secolo 76. Proprio al di sot-
to dell’iscrizione marmorea una scala scavata nel tufo conduce, tramite un
lungo cunicolo, ad una grotta, all’interno della quale nel 1989 un intervento
di descialbo ha riportato in luce un’interessante decorazione pittorica d’età
romanica (tav. 8 d) 77.
Alcune considerazioni fanno supporre che in origine l’ambiente rupe-
stre dovesse essere di dimensioni assai più ridotte e che la decorazione pitto-
rica lo ricoprisse per intero 78. Allo stato attuale gli intonaci rivestono l’ango-
lo nord-est del santuario e la zona soprastante del soffitto. Su quest’ultima è
dipinta l’immagine del Pantocratore che, seppur evanescente, si è conservata
in tutta la sua estensione e suggerisce, quindi, le misure del vano primitivo
(tav. 9 c) 79. Del resto, in corrispondenza dell’estremità sinistra del pannello
conservato sul lato nord si nota un brusco cambiamento nell’andamento dei
segni di escavazione a conferma che la parete terminava in questo punto e
faceva angolo con quella occidentale oggi perduta 80. Il contenuto stesso del
pannello in questione, raffigurante l’Annunciazione, permette di ipotizzare
che le pareti mancanti ospitassero alcune scene della vita di Cristo. Il tema
teofanico della volta, infatti, ben sin presta a concludere e sovrastare un ci-
clo cristologico. Tutto ciò lascia credere che l’ampliamento della cavità rupe-
stre e lo scavo del lungo cunicolo siano avvenuti contestualmente all’edifica-
zione della chiesa del sopraterra, cosicché, a garantire l’accesso al santuario
e a dar luce all’ambiente dovevano essere, all’origine, la porta nord e la fine-
stra che le si apre accanto 81.
Nella scena dell’Annunciazione (tav. 9 a) la Vergine è ritratta in posizio-
ne centrale seduta sul trono. Il gesto della mano sinistra, dipinta appena al
di sotto del mento, sta ad indicare la sorpresa per l’apparizione dell’arcange-
lo. La destra è raffigurata sul grembo nell’atto di impugnare il fuso 82. Alle

dei beni culturali, Amministrazione Provinciale di Viterbo), I, 7, luglio-dicembre


1992, p. 77-117.
76
L. Santella, Il culto di San Vivenzio a Blera, ivi, p. 97-112, spec. p. 100-101.
77
Si deve a Fulvio Ricci, all’indomani della loro scoperta, un primo contribu-
to sulle pitture : F. Ricci, Gli affreschi della Grotta di S. Vivenzio a Norchia, ivi,
p. 77-86. Gli esiti della ricerca dello studioso sono stati accolti, di recente, nella
sintesi di Maria Elena Piferi (E. Piferi, Gli affreschi romanici cit., p. 57-61).
78
La porta e la finestrella, che si affacciano sul fianco settentrionale di un ri-
pido colle, sembrerebbero riferibili al primo intervento di escavazione.
79
L’ipogeo primitivo doveva misurare più o meno tre metri per lato, di con-
tro all’ambiente attuale che raggiunge i cinque metri in larghezza e i sei in lun-
ghezza.
80
Cfr. F. Ricci, Gli affreschi della Grotta cit., p. 77.
81
Cfr. L. Santella, Il culto di San Vivenzio cit., p. 101.
82
Fulvio Ricci ha creduto di vedere nell’immagine della Vergine e della don-
na accanto, per una certa manifesta rotondità del loro ventre, due figure incinte
(F. Ricci, Gli affreschi della Grotta cit., p. 77). A parte l’irrisolvibile problema di
carattere teologico-dottrinale che la raffigurazione della gravidanza in un’Annun-
ciazione andrebbe a sollevare, specialmente in età medievale, tre elementi porta-
no a respingere quest’ipotesi : la gestualità dei due personaggi femminili, la per-
dita della pellicola pittorica in corrispondenza della veste della Vergine, il ductus
stilistico-formale al quale aderiscono le pitture di Norchia.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 59

sue spalle fra varie costruzioni è un alto edificio culminante con un’abside
da dove discende la colomba dello Spirito Santo. Una grossa lacuna ha inte-
ressato la zona corrispondente alla sagoma di Gabriele, della quale sono vi-
sibili soltanto le due estremità, superiore e inferiore. A sinistra dell’immagi-
ne di Maria è rappresentata l’ancella partecipante all’evento in qualità di te-
stimone, più spesso presente nell’iconografia della Visitazione e qui,
oltretutto, ritratta in inusuali abiti sontuosi 83.
Due colonnine dipinte fungono da cerniera fra l’Annunciazione e un ci-
clo micaelico che si articola in tre episodi. L’iconografia di queste scene è
tratta dall’Apparitio sancti Michaelis in monte Gargano, testo in circolazione,
nella prima stesura in greco, già nel VII secolo 84. Dalla narrazione agiografi-
ca sono stati estrapolati i momenti salienti della leggenda.
Nel primo episodio un ricco possidente terriero di nome Gargano ha
smarrito un toro che al termine di una faticosa ricerca gli appare all’interno
di una grotta in cima al monte (tav. 55 a) 85. L’uomo, adirato per aver tanto
penato a causa dell’animale fuggiasco, scaglia contro di esso una freccia che
però torna indietro e gli si ritorce contro. È l’effetto miracoloso dell’arcange-
lo Michele che vuole così dimostrare la propria supremazia sul territorio. La
scena viene concepita nel modo seguente : a sinistra è dipinta la mandria

Per quanto riguarda i gesti, come si è detto, la Vergine solleva la mano sini-
stra sotto il mento ad esprimere lo stupore dell’evento e regge il fuso con la de-
stra, anche se apparentemente può sembrare che poggi la mano sulla pancia in
modo allusivo. La figura femminile accanto, che è da identificare nell’ancella
spettatrice dell’evento (cfr. infra, nota seguente), ha il palmo della mano destra
aperto in direzione della Vergine quasi a voler portare lo sguardo dello spettatore
sul fulcro della scena, mentre la sinistra è in atteggiamento di riposo e non sem-
bra, quindi, far riferimento alla gravidanza. Anche lo stato conservativo della pit-
tura, a nostro avviso, ha tratto in inganno : come si evince da labilissime tracce
ravvisabili sulla campitura rossa, in origine il manto di Maria era rifinito da uno
strato di azzurrite che probabilmente rendeva la figura, mediante l’articolazione
in pieghe del panneggio, meno appesantita. Infine è da considerare il modo di
raffigurare gli abiti dei personaggi femminili, tipico delle decorazioni di fine XI
secolo e primi decenni del XII, con la vita alta, quasi sotto al seno e un’esibita sfe-
ricità della pancia : si veda ad esempio la figura femminile nella scena della Mes-
sa di san Clemente, nell’omonima basilica romana : E. Parlato, S. Romano, Ro-
ma e il Lazio cit., p. 29-43, fig. 5 («S. Clemente», scheda a cura di E. Parlato).
83
Sulla presenza della figura dell’ancella nell’Annunciazione : H. Toubert,
Une fresque de San Pedro de Sorpe (Catalogne) et le thème iconographique de l’Ar-
bor Bona-Ecclesia, Arbor Mala Synagoga, in CahA, XIX, 1969 (rist. in H. Toubert,
Un art dirigé cit., p. 65-89), p. 167-189, spec. p. 169, n. 12. Raramente essa indossa
una veste sontuosa come capita a Norchia, tuttavia un caso analogo, nella scena
della Visitazione, si riscontra nel ciclo cristologico di X secolo della chiesa rupe-
stre di Bahattın in Cappadocia, cfr. M. e N. Thierry, Nouvelles églises rupestres de
Cappadoce. Région du Hasan Dağı, Parigi, 1963, p. 160, fig. 39.
84
Apparitio sancti Michaelis in monte Gargano, in P. Bouet, G. Otranto e
A. Vauchez a cura di, Culte et pèlerinage à Saint Michel en Occident. Les trois
monts dédiés à l’archange, Roma, 2003 (Collection de l’École française de Rome,
316) p. 1-4. Sul ciclo garganico si veda infra, p. 193-195.
85
Ibid., p. 1-3.

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60 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

(tav. 56 a), con il toro micaelico fregiato dell’aureola. A destra è l’arciere


Gargano, riconoscibile nonostante la caduta dell’intonaco che ha interessato
gran parte della figura. Dall’alto scende in picchiata l’arcangelo Michele,
protagonista del prodigio.
Segue la scena raffigurante San Michele che appare in sogno al vescovo
di Siponto (tav. 55 b) 86 affinché il capo della diocesi possa esortare la popo-
lazione locale a dedicargli il santuario in cima alla montagna. Del pannello
resta soltanto la parte sinistra dove il vescovo è disteso sul letto sotto un edi-
ficio che simboleggia, forse, la sua città, mentre sulla destra sono i resti della
figura dell’arcangelo.
Il terzo riquadro, che conclude il ciclo, rappresenta l’istituzione del cul-
to garganico di san Michele all’interno della grotta mediante la messa cele-
brata dal vescovo di Siponto 87. La porzione superstite d’intonaco lascia scor-
gere la figura in volo dell’arcangelo benedicente ritratto all’interno della
grotta e, al di sotto, parte dell’altare (tavv. 9 d, 55 c).
La superficie pittorica della volta è assai deteriorata (tav. 9 c). Il Cristo è
raffigurato seduto su un trono dal profilo a lira con libro aperto, all’interno
di un clipeo contornato da una triplice banda bianca, blu e rossa che si sta-
glia su un cielo stellato a simboleggiare la gloria del Verbo nell’universo. Agli
angoli della rappresentazione sono i resti degli evangelisti nelle sembianze
del tetramorfo.
Dal punto di vista formale, gli affreschi di Norchia dimostrano di appar-
tenere alla temperie artistica laziale dei primi decenni del XII secolo 88. Le ar-
chitetture del fondo, che insistono su ricercate citazioni classiche, richiama-
no quelle delle pitture della Grotta degli Angeli di Magliano Romano e del
santuario di Vallepietra 89. La campagna pittorica di San Vivenzio non rap-
presenta l’unica testimonianza artistica del XII secolo riscontrabile nel terri-
torio, visto che al diretto interessamento di papa Adriano IV (1154-1159) si
legano l’edificazione della basilica e la ricostruzione delle mura del vicino
abitato di Norchia 90.

86
Ibid., p. 3.
87
Ibid., p. 4.
88
Infra, p. 227-231. Fulvio Ricci assegna le pitture di Norchia all’inizio del
XIII secolo, ponendo l’attenzione sul dettaglio iconografico del dossale del trono
del Cristo dipinto sulla volta, a terminazione gigliata, che secondo lo studioso sa-
rebbe d’uso corrente da quel periodo in poi. Sennonché, un elemento gigliato, del
tutto simile a quello di Norchia, compare già nella miniatura con l’evangelista
Matteo dell’evangelario della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Plut.
17.27, f. 6v), attribuito a un artista dello scriptorium romano di Santa Cecilia ope-
rante nell’ultimo quarto dell’XI secolo (K. Berg, Notes on the dates of some early
Giant Bibles, in Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinantia, 2, 1965,
p. 167-176, tav. III, a); P. Supino Martini, Roma e l’area grafica romanesca (secoli
X-XIII), Alessandria, 1987, p. 109-117.
89
Infra, p. 90-93, 125-128.
90
Adriano IV promuove sotto il suo pontificato la costruzione di una nuova
cinta di mura per l’abitato di Norchia e dà inizio all’edificazione della cattedrale
romanica intitolata a San Pietro, cfr. E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit.,
p. 309 («Norchia, San Pietro», scheda a cura di E. Parlato); E. Battisti, Monu-
menti romanici nel viterbese. La chiesa di S. Vivenzio a Norchia, in Palladio, 2,

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 61

Sutri, chiesa rupestre di Santa Fortunata

A meno di un chilometro dall’abitato di Sutri, lasciata la via Cassia in


direzione sud-est, un breve sentiero in salita porta alla chiesa di Santa For-
tunata, semplice aula a navata unica in conci di tufo d’età rinascimentale,
epoca alla quale appartiene l’affresco con l’immagine della santa titolare
conservato sulla controfacciata. L’edificio insiste sul perimetro di una chiesa
preesistente in parte costruita in muratura, come si evince da un tratto di
muro superstite con un arco in laterizi nella zona di nord-est, e in parte sca-
vata nel tufo della collina, al pari della serie di ambienti retrostanti che si
succedono lungo i lati nord-est e nord-ovest del costone di roccia 91.
Un atto di donazione del 1023 rivela l’esistenza di una cella Sanctae For-
tunatae de Sutrio dipendente dal monastero romano di San Gregorio al Ce-
lio, ma già a partire dal secolo precedente nello stesso luogo è attestata la
presenza di un cenobio benedettino 92. La notizia dell’esistenza di un insedia-
mento monastico potrebbe giustificare la presenza dei vani laterali (collegati
all’edificio ecclesiastico tramite un corridoio a volta, anch’esso scavato nel
banco tufaceo), forse adibiti a celle per i monaci. Non è escluso che la chiesa
primitiva fosse a tre navate, come sembrerebbero suggerire i due pilastri la-
terali in tufo della zona presbiteriale e l’absidiola laterale destra che è incen-
trata fra uno di essi e il tratto di muro perimetrale 93.

1952, p. 36-42; M. Salvadori, La chiesa di S. Pietro in Norchia, in Bollettino del


Centro Studi per la Storia dell’Architettura, 24, 1976, p. 62-72.
91
C. Nispi Landi, Storia dell’antichissima città di Sutri, Roma, 1887, spec.
p. 292; G. Duncan, Sutri cit., p. 128-129, fig. 14; J. Raspi Serra, Insediamenti e
viabilità cit, p. 396-398; Eadem, Insediamenti rupestri cit., p. 65-70; B. M. Apol-
lonj Ghetti, Notizie su tre antiche chiese in quel di Sutri, in RivAC, 62, 1986, p. 61-
107, part. p. 102-106; P. Chiricozzi, Le chiese delle diocesi cit., p. 73; Felici-Cappa,
Santuari rupestri cit., p. 120-127; S. Maddalo, Suggestioni da un frammento, in
A. Cadei, M. Righetti Tosti-Croce, A. Segagni Malacart, A. Tomei, a cura di, Arte
d’Occidente. Studi in onore di Angiola Maria Romanini, 3 voll., Roma, 1999, II,
p. 623-632.
92
G. B. Mittarelli, A. Costadoni, a cura di, Annales Camaldulenses, I, Appen-
dix, Venezia, 1755, coll. 256-257; cfr. E. Petrucci, Santo patrono, culto dei santi e
vissuto religioso nei comuni del Lazio settentrionale dal Medioevo all’età contempo-
ranea, in S. Boesch Gajano e E. Petrucci, a cura di, Santi e culti del Lazio. Istitu-
zioni, società e devozioni. Atti del Convegno di studio, Roma 2-4 maggio 1996, Ro-
ma, 2000, p. 409-577, spec. p. 484-491, secondo il quale è probabile che i monaci
del Celio si siano insediati nella chiesa di Santa Fortunata tra la fine del X secolo
e gli inizi del successivo. Circa le origini del luogo di culto sutrino dedicato a San-
ta Fortunata, lascia perplessi la proposta avanzata, a suo tempo, da Joselita Raspi
Serra di tirare in causa un capitello marmoreo erratico rinvenuto in loco e riferi-
bile all’VIII secolo («termine da considerare ante quem»), J. Raspi Serra, Insedia-
menti rupestri cit., p. 70.
93
Cfr. J. Raspi Serra, Insediamenti e viabilità cit., p. 396. A tale proposito è
interessante quanto riportato da Apollonj Ghetti : B. M. Apollonj Ghetti, Notizie
cit., p. 105 : «A destra il banco di roccia fu demolito, o più probabilmente, crollò
una parte della cappella più prossima alla parete di fondo dell’ambiente, ma que-
sto fino a qualche anno addietro sussisteva e io potei infatti rilevarla. Mi sembrò
allora che fosse addirittura simmetrica alla dirimpettaia di sinistra». L’autore

.
62 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Resta di difficile comprensione lo scavo del vano quadrato nell’area pre-


sbiteriale, privo di forme o elementi riconducibili a una funzione liturgica,
nel punto dove ci si aspetterebbe l’abside centrale. Questo spazio non può
essere, come pure è stato detto, posteriore alla realizzazione della chiesa,
perché conserva al suo interno consistenti resti di intonaco dipinto d’età me-
dievale, ancora inediti 94.
Si tratta di tracce appartenenti a un pannello isolato, di forma perfetta-
mente circolare, contornato da una bordura rossa, collocato sul primo tratto
della parete sud-occidentale, proprio al di sopra di una canale di scolo delle
acque proveniente dall’angolo superiore sinistro e passante diagonalmente
lungo la parete stessa (tavv. 10 a, 57 b). La zona centrale del dipinto è andata
perduta, probabilmente a causa del progressivo deterioramento della roccia
che presenta in questo punto una lesione verticale, cosicché non possiamo
che limitarci alla descrizione dei brani superstiti senza purtroppo avanzare
proposte sicure circa l’identificazione del tema raffigurato.
All’estrema sinistra si scorge una figura di santa avvolta in un abito ros-
so, con puntinatura bianca, che la ricopre dalla testa ai piedi. Il personaggio
è raffigurato di trequarti, rivolto verso il centro con entrambe le braccia le-
vate. Accanto, ritratto nella stessa posizione, è un santo con veste ocra e ca-
pelli grigi, probabilmente un monaco, visto che ad un’osservazione rav-
vicinata si distingue chiaramente la tonsura. Il brano di destra conserva l’im-
magine di un’altra figura maschile, forse nimbata, anch’essa girata in
direzione del centro del pannello, con il braccio sinistro piegato e la mano
aperta verso l’esterno. Indossa una tunica senza maniche verde chiaro con
una veste sottostante marrone scuro. Del volto restano soltanto tracce del di-
segno preparatorio sufficienti per dedurre che si trattava di una figura senile
con barba e capelli lunghi.
Tenendo conto che l’intitolazione del luogo a Fortunata (martire di ori-
gine palestinese il cui culto è attestato soprattutto in Campania 95) ha origine
medievale, non è escluso che la figura femminile sulla sinistra del pannello,
verso la quale sembrano rivolgersi i restanti personaggi, sia da identificare
con la santa. L’esistenza del monaco al centro del dipinto, del resto, trova
una giustificazione nella presenza in questo luogo di un antico cenobio, vi-
sta l’esistenza della cella Sanctae Fortunatae 96. Inoltre, la particolare ubica-
zione del pannello, completamente decentrato rispetto all’invaso ma dispo-
sto appena al di sopra della canaletta che attraversa la parete diagonalmen-
te, dall’alto verso il basso, non sembra poter essere attribuita al caso (tav.
10 a). Si potrebbe pensare a un pannello votivo dedicato a Fortunata, protet-
trice delle partorienti 97. Se così fosse, l’acqua passante per il condotto po-
trebbe essere servita allo svolgimento di riti propiziatori.

prendeva in considerazione tanto l’ipotesi di un originario edificio a tre navate


che a cinque, Ibid., p. 103-105.
94
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 70.
95
J.-M. Sauget, Fortunata, in Bibl.SS, V, Roma, 1964, coll. 975-976.
96
Supra, p. 61. Da documenti risalenti al principio e alla metà del Duecento
sappiamo che la cella Sanctae Fortunatae era custodita da un solo monaco :
E. Petrucci, Santo patrono cit., p. 487-489.
97
C. Tutini, Notitie della vita e miracoli di due Santi Gaudiosi e del Martirio di

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 63

Un altro brano pittorico assai significativo, proveniente dalla zona pre-


sbiteriale, è stato staccato anni fa, restaurato, e conservato al museo civico
di Sutri dove ancora adesso si trova (tav. 10 b) 98. Il pannello proviene dal lato
nord-ovest del pilastro di destra e raffigura un santo in posa stante con casu-
la e mitria sul capo. Ai suoi piedi, sulla sinistra, s’inginocchia il donatore che
sembrerebbe un laico data la mancanza di qualsiasi riferimento alla sfera
ecclesiastica o monastica.
Convincentemente Silvia Maddalo ha assegnato l’immagine del santo ai
primi decenni del XIII secolo 99. La cronologia viene in aiuto alla formulazio-
ne di una proposta di datazione per l’intera decorazione pittorica della zona
presbiteriale attestata da estesi brani purtroppo ricoperti dal proliferare dei
muschi e forse anche da uno strato di scialbo. Tracce di un’aureola, che fan-
no supporre l’originaria presenza di un altro santo, si intravedono sulla pa-
rete soprastante il pilastro di sinistra. Ampie superfici d’intonaco dipinto si
sono conservate sull’arco in laterizi della porta nella zona di nord-est, lungo
i due pilastri e infine sulla volta a botte che collega gli stessi, ove si riesce a
distinguere una serie di stelle rosse su fondo bianco e al centro un clipeo
contenente forse una croce o più probabilmente il Pantocratore (tav. 10 c)100.
Qua e là, in corrispondenza degli angoli delle pareti affiorano le bande ocra
e rosse che contornavano i registri. Esse rispettano anche il profilo lieve-
mente trapezoidale dell’ambiente con il pannello rotondo, segno della pree-
sistenza del vano rupestre rispetto all’intervento pittorico della zona presbi-
teriale.
Quanto al dipinto di forma circolare, la perdita della pellicola pittorica
in corrispondenza dei volti dei personaggi rende difficile stabilire se ci tro-
viamo di fronte a un intervento coevo alla decorazione del presbiterio. Il
tratto nero e marcato che segna il panneggio del personaggio di destra e il
modo nel quale è dipinta la mano dello stesso suggeriscono una datazione al
XIII secolo, non necessariamente ai primi decenni dello stesso.

Sutri, Santuario di Santa Maria del Parto


A sud-est di Sutri, nei pressi dell’antico anfiteatro, si trova la chiesa di
Santa Maria del Parto. Interamente scavata nel tufo, ha un interno contrad-
distinto da una lunga serie di pilastri che dividono lo spazio in tre navate, la
centrale più ampia, con volta a botte ribassata, le laterali con soffitto piano
(tav. 11 a)101. La chiesa fa parte di un vero e proprio agglomerato rupestre ca-

S. Fortunata e Fratelli e del loro culto e veneratione in Napoli, Napoli, 1634, p. 123-
124.
98
S. Maddalo, Suggestioni cit., p. 623.
99
Non persuade, invece, l’identificazione con Innocenzo III (1198-1216), per
via della presenza del nimbo circolare, attributo indissolubilmente legato alla sfe-
ra della santità : Ibid., p. 630.
100
J. Raspi Serra, Insediamenti e viabilità cit., p. 398.
101
C. Sestieri, La chiesa di S. Maria del Parto presso Sutri e la diffusione della
religione di Mitra nell’Etruria meridionale, in Bullettino della Commissione Archeo-
logica Comunale di Roma, LXII, 1934, p. 33-36; G. Duncan, Sutri cit., p. 63-134;
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 71-76; B. M. Apollonj Ghetti, Notizie
cit., p. 61-107; V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri cit., p. 115 e n.

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64 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

ratterizzato da un gran numero di vani distribuiti su due livelli in gran parte


inaccessibili102.
L’origine del santuario è questione intorno alla quale si è dibattuto a
lungo. In passato è stato attribuito da alcuni al periodo etrusco, da altri ad
epoca paleocristiana e da altri ancora è stato riconosciuto come mitreo dei
primi secoli della nostra era103. Quest’ultima tesi sembra ormai non lasciare
spazio ad alcun dubbio, giacché di recente è stato possibile dimostrare che,
in un’epoca che possiamo far coincidere con il primo Trecento, un rilievo
raffigurante una tauromachia è stato staccato dalla parete di fondo della
chiesa e sostituito da un riquadro con la Natività che ancora oggi fa bella
mostra di sé in prossimità dell’altare104. La lastra di tufo in questione si con-
serva a più di dieci chilometri da Sutri, murata all’esterno di un casolare si-
tuato lungo la via Cassia105.
Le testimonianze pittoriche constano di un piccolo nucleo risalente ai
primi secoli dell’era cristiana, con le immagini di un pesce, di un pavone e di
una croce gemmata, e di una copiosa serie di pannelli, per lo più votivi, rea-
lizzati in momenti diversi tra la fine del XIII secolo e la prima metà del
XV106.
Riferibile ai primi decenni del ’300, e quindi al di là dei limiti cronologi-
ci che ci siamo prefissati, è la decorazione del vestibolo d’ingresso che rap-
presenta, al centro di due riquadri con santi in posa stante, la rara scena del
miracolo del monte Gargano, caso più tardo, ma anche più noto, di quello
del vicino santuario di San Vivenzio a Norchia107. Pure il ciclo cristologico
sulla parete ovest della navatella settentrionale, a sinistra di chi entra, di

102
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 71.
103
Per una disamina sulle diverse interpretazioni fornite in passato dagli stu-
diosi : Ibid., p. 71-73. Per l’ipotesi di un’origine mitraica : F. Cumont, Mithra en
Étrurie, in Scritti in onore di Bartolomeo Nogara, Città del Vaticano, 1937, p. 95-
103; B. M. Apollonj-Ghetti, Notizie cit., p. 101.
104
Le misure della lastra con la scena mitraica (Ibid., fig. 15) e dell’incavo
della parete di fondo coincidono : C. Pavia, Guida dei mitrei di Roma antica, Ro-
ma, 1999, p. 26-31. Sul pannello della Natività e una proposta di datazione dello
stesso entro i primi decenni del Trecento : S. Romano, Eclissi di Roma. Pittura
murale a Roma e nel Lazio da Bonifacio VIII a Martino V (1295-1431), Roma, 1992,
p. 339.
105
C. Pavia, Guida dei mitrei cit., p. 31.
106
Manca, a tutt’oggi, uno studio attento sulla copiosa serie di pitture conser-
vate all’interno del santuario, a parte il non recente contributo di Apollonj Ghetti
(B. M. Apollonj Ghetti, Notizie cit., p. 90-100), la scheda di Serena Romano e le
riflessioni di Francesco Gandolfo : S. Romano, Eclissi cit., p. 339-340; F. Gandol-
fo, Alla ricerca di una cattedrale perduta, Roma, 1997 (Storia di una città. Sutri, 5),
p. 52-54. Si vedano anche le schede di documentazione, conservate presso l’ar-
chivio della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Roma (12/00204065), a
cura di F. Picchetto (1972), con l’aggiornamento di E. Borsellino (1980).
107
Cfr. supra, p. 57-60. Sull’episodio garganico dipinto a Sutri, cfr. :
G. Otranto, Riflessi del culto di San Michele del Gargano a Sutri in epoca medieva-
le, in Il Paleocristiano nella Tuscia, Roma, 1984, p. 43-60, part. p. 46-51; P. Belli
D’Elia, Il toro, la montagna, il vescovo. Considerazioni su un tema iconografico, in
C. Carletti e G. Otranto, a cura di, Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meri-
dionale fra tarda antichità e Medioevo, Bari, 1994, p. 575-602, part. p. 584-585;

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 65

buona fattura nonostante risulti lacunoso e assai deteriorato, sembrerebbe


coevo o di poco successivo alle pitture del vano d’entrata108.
Nello scorcio del ’200 se non all’inizio del secolo successivo si colloca la
pittura realizzata sulla volta in corrispondenza dell’area presbiteriale109. La
superficie pittorica, che in origine doveva occupare l’intero spazio compreso
fra i quattro pilastri, è ripartita in due settori separati da una semplice ban-
da rossa : verso l’ingresso campeggia l’immagine di san Michele (tav. 57 a),
in direzione dell’altare quella del Pantocratore circondato dai simboli degli
evangelisti. L’arcangelo giganteggia fra due schiere di angeli, di proporzioni
assai minori, che lo affiancano ortogonalmente lungo l’intera figura. Con
ricche vesti gemmate, su un fondo blu-azzurrite, san Michele impugna il la-
baro in rigida posa frontale. Al di là della fascia rossa, il busto di Cristo, che
ha perduto il volto, compie il gesto della benedizione e regge il libro aperto
(tav. 11 b). Del tetramorfo è sopravvissuta parte dell’angelo-Matteo e l’intera
figura del leone-Marco. La presenza del Pantocratore con i simboli degli
evangelisti sulla volta rientra in una tradizione iconografica che ha radici al-
tomedievali110. Quanto al san Michele, che di lì a poco godrà di rinnovata at-
tenzione con la raffigurazione dell’episodio garganico nel vano d’ingresso, il
posto privilegiato riservatogli al centro della volta lascia pensare che all’arci-
stratega celeste, e non alla Vergine, fosse attribuita l’originaria intitolazione
del santuario111.
Anche se di rilevanza marginale per l’esiguità del brano e il livello quali-
tativo non alto, degno di nota è un frammento con volto di angelo conserva-
to sul quinto pilastro di sinistra, che pure potrebbe ascriversi sullo scorcio
del XIII secolo, forse ad una fase precedente l’intervento sulla volta.

Vallerano, Grotta del Salvatore

A circa un chilometro in linea d’aria dall’abitato di Vallerano, in direzio-


ne nord-est, l’alta falesia che costeggia il rio delle Cannucce conserva ancora
i resti di un piccolo cenobio benedettino scavato nel tufo, noto col nome di
Grotta del Salvatore (tav. 12 a)112. Alla fine dell’800 il distacco di un costone
di roccia ha tagliato in sezione gli ambienti rupestri distribuiti su due livelli.
Allo stato attuale, quindi, se ci si pone di fronte al sito dall’altra parte del
corso d’acqua, si può osservare lo spaccato dell’insediamento. Al piano supe-
riore è una serie di piccoli vani intercomunicanti che assai probabilmente
fungevano da celle per i monaci. Al livello inferiore si aprono due vani più

E. Federico, La leggenda di S. Michele negli affreschi di S. Maria del Parto a Sutri,


Roma, 1996 (Storie di una città. Sutri, 2), spec. 12-27.
108
S. Romano, Eclissi cit., p. 339.
109
Serena Romano propende per una datazione entro il primo decennio del
Trecento (S. Romano, Eclissi cit., p. 340).
110
Infra, p. 233.
111
Come nel caso della grotta di San Vivenzio a Norchia, dove, a dispetto del-
la titolarità del santo locale, è l’arcangelo ad essere protagonista indiscusso del ci-
clo di pitture.
112
Per un’analisi più approfondita si rinvia a : Piazza, Une Communion cit.,
p. 154.

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66 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

grandi, anch’essi comunicanti, in origine rivestiti entrambi con pitture risa-


lenti ad epoca altomedievale.
Dell’ambiente di destra, allo stato attuale quasi interamente interrato, si
scorgono soltanto resti di aureole di santi in posa stante nonché la parte su-
periore di un arco cieco che farebbe pensare a un arcosolio e quindi a un uso
funerario di questo spazio. L’ambiente di sinistra, invece, era adibito a cap-
pella e dotato di un altare, ancora visibile nell’angolo nord-ovest. La certezza
che l’origine del nucleo rupestre sia da associare a un insediamento mona-
stico benedettino deriva dalla decorazione di questo secondo spazio che
conserva l’iscrizione del committente, «ANDREAS HVMILIS ABBAS» (tavv.
13 d, 56 c) e le figure, ormai purtroppo quasi scomparse, di Benedetto insie-
me ai suoi discepoli Mauro e Placido (tav. 13 a)113.
Fortunatamente la Grotta del Salvatore è stata oggetto di studio nell’800
e all’inizio del secolo scorso. Al principio del XIX secolo, prima che il cata-
strofico crollo provocasse la perdita di due pareti su quattro oltre alla volta,
tutte le iscrizioni pittoriche e alcune annotazioni sui soggetti rappresentati
furono ricopiate da Gaetano Marini114. Venuto a conoscenza delle pitture,
nei primi anni del ’900, Achille Bertini Calosso visitò il luogo insieme a Wla-
dimir de Grüneisen (dal quale ebbe utili consigli sui temi iconografici del ci-
clo pittorico), mise a punto uno scavo archeologico ai piedi della falesia che
gli permise di recuperare importanti frammenti delle scene perdute e pub-
blicò in un articolo i risultati dei suoi studi115.
Se dai pochi resti dell’ambiente di destra è possibile soltanto affermare
che in origine vi doveva essere dipinta una serie di santi in posa frontale116,
dai brani pittorici conservati sulle superfici ancora integre del vano contiguo
e dai dati trasmessi da Marini e Bertini Calosso si recupera l’assetto generale
di un articolato programma iconografico che decorava la piccola cappella.
Quest’ultima era a pianta rettangolare con soffitto piano, come si evince
da un esiguo lembo della volta ancora in situ. Una finestra scavata lungo la
parete meridionale dava luce all’interno117. Con ogni probabilità si accedeva

113
L’insediamento è citato fra i centri monastici benedettini : L. H. Cotti-
neau, Répertoire topo-bibliographique des abbayes et prieurés, Maçon, 1937, II,
coll. 3281; G. Penco, Storia del Monachesimo in Italia dalle origini alla fine del Me-
dio Evo, Roma, 1961, p. 556; F. Caraffa, a cura di, Monasticon Italiae, I, Roma e il
Lazio, Cesena, 1981, p. 187-188.
114
S. Piazza, Une Communion cit., p. 137-138.
115
A. Bertini Calosso, Gli affreschi della Grotta del Salvatore presso Vallerano,
in ASRSP, XXX, 1907, p. 189-241 (de Grüneisen viene citato a p. 201). In seguito
le pitture sono state oggetto di brevi trattazioni da parte di : G. Ladner, Die italie-
nische Malerei im 11. Jahrhundert, in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen
in Wien, V, 1931, p. 33-160 (p. 103-105); H. Belting, Die Basilica dei Ss. Martiri in
Cimitile und ihr frühmittelalterlicher Freskenzyclus, Wiesbaden, 1962, p. 67;
G. Matthiae, Pittura romana cit., I, p. 191; J. Osborne, The Atrium of S. Maria An-
tiqua, Rome : A History in Art, in PBSR, 55, 1987, p. 186-223, spec. p. 208-209;
B. Brenk, Die Wandmalereien in S. Maria della Tosse, in Das Mausoleum der Kai-
serin Helena in Rom un der Tempio della Tosse in Tivoli, a cura di J. J. Rasch,
Mainz, 1998, p. 72-78; E. Piferi, Affreschi romanici cit. p. 9-20.
116
S. Piazza, Une Communion cit., p. 137.
117
A. Bertini Calosso, Gli affreschi cit., p. 201.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 67

dalla parete orientale, passando per l’ambiente di destra. Fra i resti della
cappella, in corrispondenza dell’angolo nord-ovest, si conserva l’altare rica-
vato anch’esso nel tufo della falesia. Poco più in là, lungo la parete setten-
trionale è scavata una nicchia che doveva servire a contenere gli strumenti
liturgici118.
La decorazione comprendeva un breve ciclo cristologico distribuito lun-
go le pareti e culminante con una scena a carattere teofanico sulla volta, ol-
tre alle figure in posa stante della Vergine con Bambino fra sante e i tre rap-
presentanti dell’ordine benedettino, dei quali si è già accennato, lungo la pa-
rete nord. Sulla parete ovest sopravvive miracolosamente parte di una
Comunione degli apostoli, caso rarissimo in Occidente dove alla rappresen-
tazione in chiave liturgica dell’eucaristia si preferisce la scena dell’ultima ce-
na aderente alla narrazione evangelica (tav. 56 c)119. Rispetto alla versione
bizantina con la doppia immagine di Cristo sacerdote che dispensa agli apo-
stoli la comunione del vino da un lato e quella del pane dall’altro, a Vallera-
no si è scelto di raffigurare l’evento legando i due momenti in sequenza cro-
nologica all’interno di un’unica scena : Cristo offre il calice del vino a Pietro,
mentre la comunione del pane è ancora da servire, come risulta dalla patena
contente il pane eucaristico sulla mensa dell’altare dipinta proprio al di sotto
delle figure. Dietro ai due personaggi, sulla sinistra, sopraggiunge l’angelo
con le offerte, figura assente nelle coeve versioni bizantine che in area occi-
dentale trova riscontro, invece, nel canone romano della messa120.
Lungo la parete settentrionale la proliferazione dei muschi e dei licheni
non ha cancellato del tutto l’immagine della Vergine con Bambino dipinta,
probabilmente non a caso, in coincidenza della nicchia per gli strumenti li-
turgici, e affiancata dalle sante Lucia, Agnese e Sofia : S(AN)C(T)A ANNES,
S(AN)C(T)A SVFIA, S(AN)C(T)A LVCIA (tav. 56 b)121. Per mancanza di
spazio, verosimilmente, la Theotokos è stata racchiusa all’interno di un
clipeo giungendo ad una soluzione che in altri casi, specie in Oriente, assu-

118
Ibid., p. 147.
119
Ibid., p. 140-146. Recentemente Marina Falla Castelfranchi ha pubblicato
un’inedita Comunione degli apostoli, con l’immagine di Cristo sacerdote replica-
ta tre volte, venuta alla luce all’interno del complesso monumentale di Cimitile
nel corso di un intervento di restauro : M. Falla Castelfranchi, La teologia trinita-
ria : aspetti iconologici e iconografici. Le origini e il suo sviluppo in area bizantina,
in S. Palese e G. Locatelli, a cura di, Il Concilio di Bari del 1098. Atti del Convegno
Storico Internazionale e celebrazioni del IX Centenario del Concilio, Bari 1998, Ba-
ri, 1999, p. 285-315, part. p. 302-305, figg. 6-7. Per i caratteri formali e iconografi-
ci del dipinto campano l’opera si discosta molto dalla versione di Vallerano e ci
sembra possa attribuirsi all’XI secolo, se non alla prima metà del XII, anziché al
X secolo (Ibid., p. 303). A favore della datazione meno alta per il caso di Cimitile
viene incontro la presenza dell’angelo-diacono con flabello che, prima della metà
dell’XI secolo non compare nell’iconografia della Comunione degli apostoli :
C. Walter, Art and Ritual of the Byzantine Church, Londra, 1982, p. 215, 232;
S. Piazza, Une Communion cit., p. 143-145.
120
V. Fiala, Les prières d’acceptation de l’offrande et le genre littéraire du Canon
Roman, in Eucharisties d’Orient et d’Occident. Semaine liturgique de l’Institut
Saint-Serge, Parigi, 1970, I, p. 117-133 (p. 132).
121
S. Piazza, Une Communion cit., p. 147.

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68 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

me una valenza teologica (tav. 13 b)122. Seguono i tre monaci, tutti con chie-
rica e scapolare, senza cappuccio sulla testa : S(AN)C(TV)S BENEDICTVS,
S(AN)C(TV)S MAVRVS, S(AN)C(TV)S PLACIDVS (tav. 13 a)123. Particolare
attenzione è conferita alla rappresentazione dei volti che obbedisce alla tra-
dizione ritrattistica dei personaggi124.
Sulla parete meridionale era raffigurata la Crocifissione, nella versione
completa di dettagli e personaggi come non sempre è dato trovare nell’alto-
medioevo : il Cristo, con perizoma, era dipinto fra i soldati Longino e Cal-
purnius, nome che sostituisce l’usuale Stefaton125, i due ladroni, la Vergine,
san Giovanni e in alto il sole e la luna (tav. 12 b).
Sappiamo che la cappella ospitava anche le scene dell’Incredulità di san
Tommaso, lungo la parete meridionale, e della Natività con l’Adorazione dei
Magi, nella zona inferiore della parete settentrionale126. In alto il ciclo si con-
cludeva con l’immagine trionfante del busto clipeato del Pantocratore inseri-
to in una grande croce gemmata con un cielo stellato sul fondo (tav. 14)127.
Tra i bracci della croce erano i quattro clipei con il tetramorfo.
La chiave di lettura di questa rappresentazione si evince dall’iscrizione
contenuta nel libro esibito dal Cristo : «EST MIHI CONCESSA LVCI TER-
REQVE POTESTAS», versetto del vangelo di Matteo (Mt, 28,18) che allude
alla frase pronunciata da Gesù quando appare agli apostoli dopo la resurre-
zione. Ad essa fa seguito la frase sull’evangelizzazione dei popoli : «euntes
ergo docete omnes gentes baptizantes eos...», che è appunto implicitamente
rappresentata dai quattro simboli degli evangelisti nel firmamento di stelle.
Per quanto riguarda l’epoca dell’intervento pittorico, i confronti con al-
cuni contesti romani e laziali, come i santi dell’atrio di Santa Maria Anti-
qua128 e le pitture del tempio della Tosse a Tivoli, ancorati con buon margine
di probabilità all’anno 956 o 1001, sulla base della data di indizione riportata
da un’epigrafe rinvenuta in loco, fanno propendere per il X secolo, con mag-
giore propensione per la seconda metà dello stesso129.

Vignanello, Grotta di San Lorenzo

In un costone tufaceo seminascosto da un bosco di querce, circa due


chilometri a sud di Vignanello, è scavato un insediamento rupestre articola-

122
M. Sacopoulo, La Theotokos à la mandorle de Lytrankomi, Parigi, 1975,
p. 38, 107.
123
A. Bertini Calosso, Gli affreschi cit., p. 205.
124
Benedetto bruno, di mezza età, Placido giovane e imberbe, Mauro grigio
con barba.
125
Il nome Calpurnius è attestato anche nella scena della Crocifissione di
Sant’Urbano alla Caffarella (P. Williamson, Notes on the Wall-paintings cit.,
tav. XXXI).
126
A. Bertini Calosso, Gli affreschi cit., p. 193, 201-202.
127
Sulla base delle fotografie dei frammenti pubblicati da Bertini Calosso,
oggi perduti, abbiamo proposto in un grafico l’assetto originario della volta : cfr.
tav. 14 (S. Piazza, Une Communion cit., p. 140, fig. 8).
128
J. Osborne, The Atrium cit., p. 207-209.
129
B. Brenk, Die Wandmalereien cit., p. 76-78.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 69

to in più livelli che la tradizione associa al nome di san Lorenzo130. In uno


degli ambienti si conservano interessanti brani di un dipinto d’età medie-
vale.
Una preziosa testimonianza della pittura ancora in discreto stato di
conservazione offre una fotografia pubblicata al principio del secolo scorso
da Achille Bertini Calosso in appendice allo studio sulla vicina grotta del Sal-
vatore131. A confronto con la situazione attuale, la vecchia foto in bianco e
nero attesta l’irrecuperabile perdita di gran parte dei tratti figurativi (tavv.
15 a-b).
In essa si distingue chiaramente l’immagine di una Vergine in trono che
regge nel grembo il Bambino benedicente. A sinistra è l’arcangelo Michele,
riconoscibile dalle lettere «MI[CHAEL]» dell’iscrizione onomastica dipinta
fra la manica e l’ala, sulla destra è un altro arcangelo, verosimilmente Ga-
briele. Rivolta verso la Theotokos, più a sinistra, è la figura di un santo, non
meglio identificabile, del quale si vede il volto quasi per intero e la parte su-
periore della veste decorata con un motivo floreale a puntini bianchi. In una
zona di ombreggiatura sotto la manica dell’arcangelo Michele sono i resti di
un’altra iscrizione132. A destra della Vergine si distingue parte del paesaggio
con fiori e virgulti ad imitazione di un giardino paradisiaco. Più in basso, si
vedono le tracce di una fascia contenente forse un motivo a foglie d’acanto.
La pittura proseguiva ancora al di sotto, come lascia intendere un lacerto
d’intonaco dipinto tagliato dall’inquadratura della fotografia. Bertini Calos-
so, infatti, non mancava di segnalare in questo punto «una decorazione a ve-
li», e aggiungeva : «lo spazio che offre avanzi di affreschi misura 150 × 140,
ma da tracce di intonaco si arguisce facilmente che non a questo soltanto si
limitava la decorazione pittorica»133.
Come si è detto, oggi lo stato conservativo è ben diverso da quello dei
primi del ’900, anche se quasi immutato rispetto alle condizioni riscontrate
circa venticinque anni fa da Joselita Raspi Serra134. Resta visibile soltanto il
busto del Bambino, con la mano destra che regge il volumen e la sinistra be-
nedicente, tracce del trono in basso a sinistra, il volto e una piccola parte
della veste del santo. L’ambiente stesso nel quale si trovano le pitture ha su-
bito gravi alterazioni : il fronte esterno della grotta è in gran parte crollato e
l’originario livello pavimentale è coperto da un alto manto terroso. L’insedia-
mento rupestre a pianta irregolare, contraddistinto soltanto da una serie di
nicchie scavate lungo le pareti a metà altezza, risulta privo di richiami all’ar-
chitettura sub divo e tanto meno mostra segni riconducibili alla sfera liturgi-
ca. Tutto ciò non aiuta a formulare un’ipotesi sull’originaria funzione di que-
sto spazio. Tenendo presente l’articolazione dell’intero complesso, con tom-

130
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 101-113.
131
A. Bertini Calosso, Gli affreschi cit., p. 235-236.
132
«[...] distintamente nella riga superiore si legge VSR», Ibid., p. 235. Nella
riga sottostante si distingue chiaramente anche una «E». Nella foto pubblicata da
Bertini Calosso non si scorgono, invece, le lettere greche relative alla Vergine («ai
lati del capo della Vergine, in alto, sono le lettere, assai sbiadite, MR, UY», Ibid.,
p. 235) forse dipinte appena al di sopra dell’area inquadrata dalla fotografia.
133
Ibid.
134
J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit., p. 107-108.

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70 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

be, depositi agricoli, ambienti d’uso domestico, non si può escludere che si
tratti di un piccolo nucleo cenobitico135.
Quanto alla datazione delle pitture, possiamo accogliere il suggerimen-
to espresso a suo tempo da Bertini Calosso, che accostava il ductus formale
del pannello della Grotta di San Lorenzo a quello della non lontana Grotta
del Salvatore. Anche se l’ipotesi dell’identità di mano risulta inaccettabile,
per l’immediatezza di tratto e il minor rigore che contraddistingue il dipinto
della Grotta di San Lorenzo, fra i due contesti è possibile notare qualche af-
finità, specie nei volti delle due versioni della Vergine, tanto da propendere
per la contemporaneità dei due interventi. Una datazione al pieno X secolo,
quindi, risulta la più probabile.

2 – PROVINCIA DI RIETI

Capradosso, Grotta di San Nicola


Fino ad epoca recente il santuario rupestre di San Nicola presso Capra-
dosso, conservava due dipinti d’età medievale con una ventina di soggetti,
tra santi in posa stante e raffigurazioni varie (tav. 15 c)136. Ancora nei primi
decenni del ’900 processioni di uomini e «giumenti» pervenivano alla grotta
dai paesi limitrofi soprattutto in occasione della festa del santo titolare, Ni-
cola di Mira137. La vulnerabilità del sito, isolato e ad alta quota, fu probabil-

135
«[...] l’insediamento presenta un’articolazione di elementi che fanno pen-
sare ad un nucleo autosufficiente composto dalla necropoli, dal deposito di der-
rate, da ambienti domestici, dalla cappella, da ambienti rustici, per il lavoro dei
prodotti dei campi e la custodia degli animali, denunciandosi come una laura or-
ganizzata sul lavoro della terra e con probabilità ricavata ex novo dal tufo», Ibid.,
p. 110.
136
Riguardo alla pitture di Capradosso gli unici brevi contributi, a mia cono-
scenza, sono quelli di : G. Caprioli, Colonie benedettine per i paesi del Cicolano, in
Latina Gens. Terra Sabina, VII, 6, 1929, p. 286-290, e C. Verani, Gli affreschi della
Grotta di S. Nicola e delle chiese di S. Maria e di S. Mauro a Capradosso, Rieti,
1958, a parte qualche breve citazione : L. Mortari, Opere d’arte in Sabina dall’XI al
XVIII secolo, Roma, 1957, p. 87; A. M. D’Achille e T. Iazeolla, Luoghi e testimo-
nianze del Medioevo in Sabina, in M. Righetti Tosti-Croce, a cura di, La Sabina
medievale, Cinisello Balsamo, 1985 (II rist. 1990), p. 188-234 (p. 196).
137
La notizia è riportata in un dattiloscritto di Giacomo Caprioli, dal titolo
Grotte carsiche nel Cicolano (1944), conservato, insieme ad acquerelli, disegni e
appunti dello stesso autore, nell’Archivio di Stato di Rieti, fascicolo b. 1, f. 2. Sul-
la figura di Caprioli, con accenni anche al suo interesse per la grotta di Caprados-
so : G. Barbante, R. Lorenzetti, D. Valentini, a cura di, Giacomo Caprioli. L’av-
ventura intellettuale di un ricercatore «dilettante» tra le due guerre, catalogo alla
mostra dell’Archivio di Stato di Rieti, Rieti, s.d. (2000). La grotta di Capradosso,
sita presso la frazione di Staffoli, è menzionata nel registro delle chiese della dio-
cesi di Rieti del 1398 («Speco Sancti Nicolai de Staffilibus»), trascritto e com-
mentato alla fine del ’700 dal vescovo Saverio Marini, il quale, in riferimento al
santuario rupestre annotava : «esiste la grotta con molte figure sopra gli Staffo-
li», cfr. V. Di Flavio, Il registro delle chiese della diocesi di Rieti del 1398 nelle «me-
morie» del vescovo Saverio Marini (1779-1813), L’Aquila, 1989 (Deputazione Abruz-
zese di Storia Patria. Quaderni del Bullettino, 11), p. 67.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 71

mente la causa del distacco delle pitture, avvenuto circa un ventennio fa, e
del loro collocamento, previo restauro, nei locali del museo di arredi sacri
del convento della Beata Filippa Mareri di Borgo San Pietro sul lago del Sal-
to (tavv. 57 c-d, 58 a)138.
La grotta di San Nicola è costituita da due cavità naturali affiancate che
si affacciano sul lato occidentale di un costone roccioso. I dipinti provengo-
no da quella più a settentrione, come attestano le fodere di malta e pietrisco,
a destra e a sinistra dell’ingresso, servite da supporto all’intonaco di cui re-
stano soltanto i segni del taglio e qualche lacerto. Una cortina muraria, in
parte crollata, divideva l’ambiente dall’esterno permettendone il passaggio
mediante una porta centrale, alla quale probabilmente va attribuito un gros-
so blocco marmoreo con modanature, abbandonato a pochi passi dal sito.
Sulla parete di fondo della grotta sono i resti di ciò che forse in origine costi-
tuiva una sorta di piccolo altare : un banco in muratura sovrastato da una
piccola nicchia.
Messi a confronto, i due pannelli pittorici rivelano esiti formali assai
differenti assegnabili a due fasi distinte. L’intervento più antico si può collo-
care nella seconda metà del XII secolo (tav. 57 d). Lo suggerisce, fra l’altro, il
modo di tracciare l’orlo del panneggio dei santi in posa frontale che si dispo-
ne sopra i piedi in una balza ondulata secondo un uso convenzionale adotta-
to pure all’interno dei cantieri musivi della Sicilia normanna. Anche il deco-
ro delle vesti con la puntinatura a rombi e a rosette rivela l’adeguamento al
linguaggio figurativo dell’avanzato XII secolo. L’opera successiva si pone in-
vece nei primi decenni del XIII secolo, come risulta dalla forma evoluta della
corona della Theotokos, dalla mitria bicorne del san Nicola e dai caratteri
gotici delle iscrizioni (tav. 58 a)139.
Passando in rassegna le pitture più antiche occorre dire, innanzitutto,
che il perimetro dell’intonaco staccato non corrisponde esattamente a quello
del supporto visibile all’interno della grotta. Se ne deduce che alcuni tratti fi-
gurativi, per fortuna in numero limitato, sono andati perduti. A questa man-
canza, comunque, sopperisce la testimonianza dell’erudito Giacomo Caprio-
li che visitò la grotta più volte fra gli anni ’20 e ’40 del secolo scorso e conte-
stualmente riempì numerose pagine di appunti, in parte ancora inediti, utili
soprattutto per la documentazione delle iscrizioni onomastiche, diligente-
mente trascritte, oggi quasi del tutto scomparse140.
Il pannello ospita una serie di personaggi a figura intera, allineati tutti
alla stessa altezza ad eccezione del primo, di minori dimensioni (tav. 57 c).
Più in basso, sullo sfondo di un velarium senza soluzione di continuità, si
animano piccole figure rappresentate nell’atto di svolgere azioni diverse
(tav. 16). Tutto intorno alla superficie pittorica correva una decorazione geo-
metrica costituita da una serie ininterrotta di semicroci rosse e bianche di-

138
Si veda infra, p. 246-247.
139
Verani ipotizzava che i due pannelli, dallo studioso assegnati alla fine del
XIII secolo, fossero frutto dello stesso intervento pittorico ma eseguiti da mano
diversa (C. Verani, Gli affreschi cit., p. 1, 5). Entrambe le superfici pittoriche sono
state da altri datate indistintamente al XIII secolo (A. M. D’Achille, T. Iazeolla,
Luoghi cit., p. 196).
140
Supra, nota 137.

.
72 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

sposte in senso alternato, secondo una tipologia molto comune. Sulla som-
mità del pannello, a mo’ di cuspide, è rimasto in loco un piccolo triangolo
campito di azzurro contornato dallo stesso motivo ornamentale. A causa di
una serie di scalfitture dovute ad un atto vandalico il soggetto raffigurato al
suo interno non è più leggibile.
Il primo personaggio della serie, partendo da sinistra, rappresenta vero-
similmente l’Ecclesia (tav. 57 c). Si tratta, infatti, di una figura femminile
nimbata con vesti regali e testa coronata141. Segue un santo monaco con sca-
polare, forse Augusto abate a giudicare dall’iscrizione142, e appresso un santo
con chierica e veste rossa arricchita da puntini bianchi, probabilmente
sant’Antonino143 ; entrambi rivolgono il palmo aperto della mano destra ver-
so l’esterno. Di seguito è il santo titolare della grotta, Nicola di Mira, dipinto
nella foggia vescovile, con mitria a due punte e infule, nell’atto di benedire
alla greca. Dopo questi primi tre santi, rigidamente frontali, ne seguono al-
trettanti con la testa girata di trequarti verso una Theotokos che chiude la se-
rie. Si tratta di Paolo, riconoscibile dai tratti somatici e dall’attributo della
spada, dell’apostolo Pietro e di Giovanni evangelista. L’immagine mariana si
conserva solo nella metà inferiore, che lascia trasparire il trono, il corpo del
Bambino e le mani atteggiate nel gesto di filare la porpora.
Per quanto riguarda la parte iniziale del registro inferiore, che è andata
perduta, Caprioli segnalava la presenza di tre cavalieri, il terzo dei quali ve-
niva identificato con san Giorgio144. Allo stato attuale si è conservata soltanto
la testa di un cavallo bianco a sinistra dell’immagine dell’Ecclesia, in coinci-
denza della banda rossa che divide il pannello in due registri. Appena oltre è
una figura femminile vestita di rosso che sfugge a una chiara interpretazio-
ne, dato che non si vedono tracce di iscrizione. La donna sembra impugnare
un recipiente circolare con la sinistra e forse un coltello con la destra (tav.
16). Con i due strumenti si avvicina verso una grande sagoma grigio-scuro
dal profilo tondeggiante non meglio riconoscibile. Accanto è dipinto un altro
personaggio femminile, oggi acefalo e poco leggibile, rappresentato nell’atto
di dirigersi verso la destra del pannello. Più oltre ci sono due soldati che si
affrontano con scudo e lance in pugno. La loro raffigurazione trova una sor-
prendente corrispondenza nel ciclo pittorico della chiesa di San Pellegrino a

141
Non è condivisibile l’ipotesi di Verani (C. Verani, Gli affreschi cit., p. 3) di
identificare il personaggio femminile coronato nella principessa protagonista
dell’episodio agiografico di san Giorgio che uccide il drago. Sull’iconografia del-
l’Ecclesia nei secoli centrali del Medioevo : H. Toubert, Les représentations cit.,
p. 67-101.
142
L’iscrizione, oggi illeggibile, è trascritta dal Caprioli : S. AVGVS(...) :
G. Caprioli, Grotte carsiche cit., p. 5. Su sant’Augusto abate, cfr. P. Villette, Augu-
sto, abate di Sinforiano, in Bibl.SS, II, 1962, coll. 591-592.
143
Caprioli vi leggeva : «S. ANTONINVS», G. Caprioli, Grotte carsiche cit.,
p. 5. Cfr. G. Kaftal Iconography cit., coll. 116-117.
144
G. Caprioli, Grotte carsiche cit., p. 5. Probabilmente l’identificazione del
cavaliere con san Giorgio nasceva dalla convinzione, esplicita in Verani (vedi su-
pra, nota 141), che la figuretta femminile dipinta al di sopra rappresentasse la
principessa del noto episodio agiografico con la vittoria sul drago.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 73

Bominaco (AQ), opera che risale al 1263145. Anche nella decorazione abruz-
zese, tra l’altro, il soggetto è relegato all’estremità inferiore della parete, in
corrispondenza dei vela. In questo caso più tardo è stata vista una rappre-
sentazione del combattimento «ad armi uguali», evocazione della conflittua-
lità della società umana in contrapposizione con la figura di Cristo in trono
del registro soprastante, garante dell’ordine supremo146. A Capradosso la se-
rie di personaggi termina con la donatrice, della quale un tempo doveva leg-
gersi per intero l’iscrizione, oggi in gran parte alterata dal restauro degli an-
ni ’70 del secolo scorso. Caprioli vi leggeva «Donna Fabias», in linea con
quanto si vede oggi – D(OMI)NA FABIAS –147, ma purtroppo, a ben guardare,
alcune lettere, soprattutto la «B» e la «I» del nome, sono del tutto rifatte, co-
me pure sembrano non autentici i tratti somatici del volto.
Il significato generale della serie di figure del registro dei vela rimane
difficile da decifrare. Se si volesse attribuire un significato simbolico ai due
soldati, come a Bominaco, quale sarebbe il senso della figura femminile che
sembra intenta a un lavoro domestico? Cercare di identificare il personaggio
che avanza verso destra, interposto fra questi due soggetti, è ancor più arduo
e purtroppo la lacuna sulla sinistra, che ha risparmiato soltanto la testa del
cavallo, non facilita l’intento. Con la dovuta prudenza, tuttavia, si può forni-
re un’ipotesi interpretativa : il pannello potrebbe rappresentare la risposta di
donna Fabias – ammesso che fosse questo il nome dell’iscrizione originaria
–, all’esaudirsi di un voto, forse il rientro del consorte incolume dalla guerra.
La figura femminile affaccendata potrebbe essere la stessa donatrice ritratta
nell’attesa del ritorno del marito. A quest’ultimo poteva riferirsi l’immagine
del cavaliere, ad attestare il quale ci sono i resti della figura del cavallo. Se
così fosse, i due lottatori starebbero ad indicare l’episodio della battaglia.
Dalla parete opposta proviene l’altro dipinto esposto al museo di Borgo
San Pietro (tav. 58 a). In questo caso il pannello inquadra soltanto sei figure,
di dimensioni maggiori rispetto a quelle già esaminate. Il distacco ha rispar-
miato una decorazione vegetale con fiori rossi e foglie verdi su fondo bianco
che incorniciava i personaggi. Le lacune in corrispondenza dell’angolo supe-
riore sinistro del pannello non permettono l’identificazione dei primi due. Il
terzo personaggio, con le ali e l’asta in pugno, rappresenta verosimilmente
l’arcangelo Michele. Segue un santo vescovo, che con ogni probabilità è an-
cora una volta il titolare della grotta, poi di nuovo una Vergine in trono e in-
fine una santa Margherita, l’unica che conserva l’iscrizione onomastica
(«MARGARITA»).
Sulla parete d’ingresso, nel tratto di muro che si è preservato a destra, la
grotta conserva esigui resti di un pannello con una Crocifissione, databile al
XIV secolo. Allo stato attuale si scorge soltanto parte della figura dell’evan-
gelista Giovanni, con veste rossa e braccia conserte sul ventre, oltre all’estre-
mità destra della croce con la mano del Cristo148.

145
J. Baschet, Lieu sacré, lieu d’images. Les fresques de Bominaco (Abruzzes,
1263) thèmes, parcours, fonctions, Roma, 1992, p. 98-100.
146
Ibid., p. 100.
147
G. Caprioli, Grotte carsiche cit., p. 6.
148
Le scomparse iscrizioni riportate da Caprioli, che supponeva anche in

.
74 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Cottanello, Eremo di San Cataldo


Lungo la provinciale per Rieti, a nord-est dell’abitato di Cottanello, sor-
ge l’eremo di San Cataldo, abbarbicato nell’alveo naturale di un’alta rupe e
chiuso all’esterno da una cortina muraria in blocchi di calcare (tav. 17 a)149.
Nonostante alcuni crolli della struttura primitiva e successivi rimaneggia-
menti anche recenti150, l’eremo sembra avere mantenuto grosso modo le pro-
porzioni e l’assetto architettonico medievale che, sulla base degli esiti forma-
li della decorazione pittorica più antica, possiamo far risalire ai primi decen-
ni del Duecento. Alcune modifiche strutturali sono per altro facilmente
individuabili : l’ambiente di fondo ospitante l’altare, sovrastato da una cro-
ciera, doveva essere affiancato in origine da uno spazio provvisto dello stes-
so sistema di copertura, poiché a destra dell’arcone d’ingresso che divide le
due campate si sono conservati i resti dell’attacco della volta ad andamento
concavo; le due crociere erano precedute da un imbotte, come attesta un
tratto di partito murario dal profilo arcuato conservatosi lungo la parete a
destra dell’entrata; tramite una scala interna scavata nella roccia, di orienta-
mento opposto a quella moderna, si raggiungeva un secondo piano, del qua-
le rimane parte del muro perimetrale con due finestre.
Non è dato sapere se si riferisca alla prima fase costruttiva un piccolo
vano, visibile soltanto attraverso una fenestella confessionis, ricavato all’in-
terno dell’ambiente di fondo del primo piano a destra dell’altare. Due pan-
nelli d’età rinascimentale, raffiguranti ciascuno un santo vescovo, affianca-
no la piccola apertura quadrangolare sopra la quale è incisa un’iscrizione
con su scritto : «qui riposava il capo di s. Cataldo»151. A tale riguardo torna
utile far riferimento a fonti agiografiche medievali che alludono sia all’espe-
rienza eremitica di questo santo, vissuto nel VII secolo e proveniente dall’Ir-
landa, che al culto dell’acqua e della roccia in associazione a un episodio mi-
racoloso della sua infanzia152. Giova ricordare, inoltre, che la devozione nei

questo caso la presenza di due santi allineati, «[...] S ISVS; S. XISTVS» (Ibid.,
p. 5), sono più verosimilmente da sciogliere in : (DOMINV)S IESVS CRISTVS.
149
G. Matthiae, Note di pittura laziale del Medioevo, in Bollettino d’Arte,
XXXVI, 1951, p. 112-118; C. Verani, A Cottanello i più antichi dipinti della Sabina,
Rieti, 1954; G. Finiti, A Cottanello i più antichi dipinti della Sabina, in Sabina (Pe-
riodico dell’Ente Provinciale del Turismo di Rieti), II, 1, gennaio-febbraio 1957,
p. 3-6; C. Verani, Cottanello e gli affreschi di S. Cataldo, in Lazio ieri e oggi, IV,
1968, 1, p. 30-31; A. Prandi, Arte in Sabina, in P. Brezzi et alii, a cura di, Rieti e il
suo territorio, Milano, 1976, p. 305-383 (p. 382-383); M. Righetti Tosti-Croce, Li-
nee artistiche del Medioevo reatino, in Ead., a cura di, La Sabina medievale, Cini-
sello Balsamo, 1985, p. 11-31 (p. 16-17); A. M. D’Achille, T. Iazeolla, Luoghi cit.,
p. 201; M. Cerafogli, L’eremo di S. Cataldo a Cottanello. Un episodio di vita france-
scana, in Frate Francesco. Rivista trimestrale di cultura francescana, LV, 4, otto-
bre-dicembre 1988, p. 23-32.
150
A un intervento certamente non antico risale il piccolo campanile costrui-
to sul muro perimetrale che si affaccia nella valle. Anche la porta d’ingresso risul-
ta moderna.
151
Il nome di san Cataldo si legge in un’iscrizione corsiva dipinta sulla corni-
ce superiore di un pannello con la Vergine di XV-XVI secolo, sulla parete sinistra
dell’ambiente con l’altare.
152
«Il santo, appena venuto alla luce, compì due miracoli lasciando, nel ca-

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 75

confronti di Cataldo si diffonde in Italia centro-meridionale a partire dal rin-


venimento delle sue spoglie all’interno della cattedrale di Taranto nell’anno
1094153. Tutto lascia pensare, quindi, che l’intitolazione al santo irlandese
possa risalire all’epoca della fondazione dell’eremo154.
Le pitture di Cottanello sono state scoperte in epoca relativamente re-
cente. Durante la seconda guerra mondiale uno spostamento d’aria dovuto
all’esplosione di una bomba ha fatto cadere parte dell’intonaco settecentesco
che ricopriva la parete sinistra dell’ambiente di fondo dell’eremo, mettendo
in luce uno strato pittorico sottostante. Un attento restauro compiuto nel
1950 ha permesso di recuperare l’antica pittura conservatasi in condizioni
più che discrete155. La parete è occupata da un unico grande pannello nel
quale giganteggia, al centro, il Cristo seduto su un trono gemmato e soste-
nente con la destra una croce astile (tavv. 17 c, 58 b). Ai suoi lati gli apostoli
sono rappresentati in due gruppi da sei disposti su due file (tav. 59 a). In
mancanza delle iscrizioni onomastiche sono riconoscibili soltanto i perso-
naggi in prima fila, ritratti con i loro specifici attributi.
Cominciando la lettura da destra, per primo è rappresentato l’apostolo
Filippo con la croce, seguito da Giacomo il maggiore con la bisaccia, Pietro
con le chiavi, Paolo con la spada, Bartolomeo con il coltello e Tommaso con
la lancia156. Più in basso, sul fondo bianco che caratterizza lo spazio del-
l’intero pannello, la metà di destra è occupata da sei figure di sante seguite
dal committente, al centro, e l’immagine di due felini affrontati, sulla sini-
stra.
Le sante sono divise in due gruppi da tre ma appaiono prive di elementi
che possano fornire indicazioni utili per la loro identificazione. Il gruppo di
sinistra si differenzia dal secondo soltanto per via di un dettaglio dell’abbi-

dere dal letto, l’impronta della testa su una pietra contro la quale aveva urtato, e
risuscitando la madre, deceduta nel travaglio del parto. L’acqua piovana, che si
raccoglieva nella concavità della pietra, aveva effetti prodigiosi in chi la usava af-
fidandosi all’intercessione del santo» : A. Ilari, L’agiografia di S. Cataldo, vescovo
di Taranto, in Biblioteca di Latium. Scritti in onore di Filippo Caraffa, Anagni,
1986, p. 105-186 (p. 116-120).
153
Secondo le fonti agiografiche, il santo, vescovo irlandese del VII secolo,
morì a Taranto di ritorno da un pellegrinaggio in Terrasanta e ivi fu sepolto, al-
l’interno della cattedrale (G. Carata, Cataldo, vescovo di Rachau, in Bibl.SS, III,
1963, coll. 950-952; A. Ilari, L’agiografia cit., p. 124-125).
154
Nelle fonti locali il nome di san Cataldo risulterebbe associato all’eremo
di Cottanello soltanto a partire dal XVI secolo : G. Finiti, A Cottanello cit., p. 3.
155
Le pitture furono restaurate da Arnoldo Crucianelli per incarico della So-
printendenza ai Monumenti del Lazio (Ibid., p. 24).
156
A parte la spada e le chiavi, ovvi attributi di Pietro e Paolo riconoscibili
anche grazie ai peculiari tratti somatici, e, come di consueto, raffigurati accanto
al Cristo, in riferimento agli altri elementi distintivi degli apostoli in prima fila,
cfr. : M. L. Casanova, Filippo apostolo (Iconografia), in Bibl.SS, V, 1964, coll. 711-
719 (col. 713); Eadem, Bartolomeo apostolo (Iconografia), ivi, III, 1962, coll. 862-
877 (col. 863); J. F. Alonso, Giacomo il Maggiore apostolo (Iconografia), ivi, VI,
1965, coll. 381-388 (col. 382); A. M. Raggi, Tommaso apostolo (Iconografia), ivi,
XII, 1969, coll. 539-544 (col. 540).

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76 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

gliamento, un decoro sul mantello che simula un tessuto dorato all’altezza


della spalla sinistra. Per il resto si nota un insistito rimando di gesti e sguar-
di : le prime due donne a sinistra sembrano osservare la terza del gruppo e
tutte e tre hanno la mano destra aperta sul petto col palmo rivolto verso
l’esterno; la quarta e la quinta, invece, hanno la destra velata e rivolgono la
sinistra e i loro occhi verso l’ultima santa della fila. Il donatore, che si indivi-
dua per via dell’assenza del nimbo, solleva le mani verso il Cristo157.
Assai misteriosa è l’immagine dei due felini, per la quale è stata ipotiz-
zata un’interpretazione simbolica : l’intero programma rappresenterebbe il
«trionfo finale del Cristo sulle potenze del male, personificate dalle due fie-
re»158. In realtà l’analisi interpretativa del soggetto è resa ardua dall’impossi-
bilità di vedere per intero la raffigurazione, coperta nella parte inferiore da
un pannello quattrocentesco con la Vergine in trono che lascia trasparire
soltanto l’estremità di un oggetto quadrangolare, forse una gabbia. È assai
probabile che il soggetto nascosto sia legato iconograficamente all’immagi-
ne soprastante dei due animali ma il senso della rappresentazione nel suo
complesso si rivela inafferrabile.
Ciò che emerge con chiarezza dalla visione d’insieme del pannello è l’al-
lusione al trionfo di Cristo, attraverso l’ostentazione dei simboli della passio-
ne, e del martirio degli apostoli, mediante l’esibizione come trofei dei loro
segni distintivi. Secondo un uso attestato soprattutto a partire dal XIII seco-
lo, le stimmate grondanti di sangue e la ferita sul costato di Gesù sono esibi-
te con evidenza, anche se addolcite in un ductus calligrafico159.
A proiettare il dipinto di Cottanello in una dimensione spirituale ed
escatologica160, al passo con i tempi, concorre il tau dipinto sul ginocchio de-
stro del Cristo (tav. 17 d). Simbolo ebraico, accolto dai cristiani dei primi se-
coli come segno di salvezza per la sua somiglianza con la croce, esso incon-
trerà grande favore nel pensiero francescano, tanto da essere scelto come
emblema dell’ordine161. Sennonché, assegnando l’esecuzione pittorica del-
l’eremo sabino ad un’epoca precedente la diffusione del francescanesimo, la
presenza del tau può essere spiegata come riflesso della fortuna che nei pri-
mi decenni del XIII secolo pare abbia avuto in seno alla chiesa romana e in
particolare nell’ambito degli antoniani162.
Come testimonianza coeva si può far riferimento al tau dipinto nella

157
Matthiae associava la figura a un personaggio defunto : «[...] un’altra fi-
gura non nimbata mostra di essere entrata da poco nel mondo ultraterreno e ten-
de le mani in alto verso il Redentore», G. Matthiae, Note di pittura cit., p. 114. La
veste del personaggio si distingue da quella delle altre figure : al di sopra di una
tunica ocra fermata da una cinta è una veste bianca a maniche lunghe aperta sul
davanti e lunga fino ai piedi.
158
M. Cerafogli, L’eremo di San Cataldo cit., p. 23.
159
Y. Christe, Les Jugements cit., p. 280.
160
Non è un caso, verosimilmente, che nella visione apocalittica del sigillo
impresso sul volto dei servi (Ap. 7, 2-4) sia stata individuata un’allusione esplicita
al passo di Ezechiele (Ez., 9,4) che evoca la prassi di tracciare il segno del tau sul-
la fronte degli uomini a garanzia della salvezza : D. Vorreux, Tau simbolo france-
scano (trad. di A. Bossut Ticchioni), Padova, 1988, p. 57-58.
161
Ibid., p. 15-40.
162
Ibid.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 77

strombatura di una finestra della chiesa reatina di Santa Maddalena a Fonte


Colombo, dove però non è chiaro se il segno sia contestuale alla decorazione
pittorica, risalente alla prima metà del XIII secolo163, e oltre tutto la lettera è
isolata, priva di un qualsiasi nesso con la figura del Salvatore.
L’immagine di Cristo in trono fra gli apostoli e le sante non costituisce
l’unico frutto del primo intervento pittorico. Sull’arcone adiacente sono visi-
bili i resti di una Vergine in trono con Bambino sulla sinistra e di due santi
vescovi (tav. 17 b) con un altro personaggio non meglio identificabile sulla
destra. Segno del perpetuarsi del culto all’interno dell’eremo sono i numero-
si pannelli mariani del XV e XVI secolo, presenti sia all’interno del vano che
nell’ambiente privo di copertura, ma anche la decorazione settecentesca del-
la volta sopra l’altare, la quale appartiene allo stesso intervento che ha pro-
dotto l’intonaco della parete sottostante, rimosso per mettere in luce la pittu-
ra medievale.

Monte Acuziano, Ipogeo dell’eremo di San Martino

Sulla sommità del rilievo montuoso che sovrasta l’abbazia di Farfa, no-
to col nome di monte Acuziano o Motilla, la fitta vegetazione nasconde gli
avanzi delle celle monastiche e di una piccola chiesa monoabsidata perti-
nenti all’eremo di San Martino164. Lungo il perimetro esterno di quest’ulti-
ma, sul fianco settentrionale, una ripida scala in blocchi di calcare conduce
all’interno di un ampio ambiente sotterraneo che sfrutta una cavità naturale
della montagna (tav. 18 a)165. L’ipogeo presenta i resti di strutture murarie
che risalgono essenzialmente a due fasi cronologiche, l’una riferibile ad epo-
ca altomedievale, l’altra all’opera di ristrutturazione promossa da Sisto IV
(1471-1484)166. Alla prima appartengono i tre archi ciechi in opus mixtum che
girano ad angolo retto nella zona meridionale. Verosimilmente, in origine
essi facevano parte di una cortina che correva tutt’intorno alla grotta a rego-
larizzare la superficie frastagliata della roccia167. L’opera muraria prevedeva

163
Ibid., p. 12; J. V. Fleming, From Bonaventura to Bellini, an essay in Franci-
scan Exegesis, Princeton, 1982, p. 99-128.
164
I. Schuster, Della basilica di S. Martino e di alcuni ricordi farfensi, in Nuo-
vo Bullettino di Archeologia Cristiana, 1902, p. 47-54; Id., L’imperiale abbazia di
Farfa, Roma, 1911 (rist. 1987), p. 219-227; L. Pani Ermini, L’abbazia di Farfa, in
M. Righetti Tosti-Croce, a cura di, La Sabina medievale, Cinisello Balsamo 1985
(rist. 1990), p. 34-59, part. p. 59, figg. 48, 50; M. G. Fiore Cavaliere, Fara Sabina-
Monte Motilla-Oratorio di S. Martino, Indagini archeologiche, in Quaderni di Ar-
cheologia Etrusco-Italica, 16, 1988, p. 441-451; L. Branciani, Il monte S. Martino
cit., p. 46-69.
165
I. Schuster, Della basilica cit., p. 49-52; Id., L’imperiale abbazia cit., p. 40-
41; M. G. Fiore Cavaliere, Fara Sabina cit., p. 444-446, figg. 8-12; L. Branciani, Il
monte S. Martino cit., p. 46-55.
166
M. G. Fiore Cavaliere, Fara Sabina cit., p. 445-446; L. Branciani, Il monte
S. Martino cit., p. 46-49, 66-69.
167
Nella zona nord dell’ipogeo, inglobato nella muratura quattrocentesca, in
corrispondenza del tratto di parete a destra dell’apertura che immette nella ci-
sterna, si scorge distintamente un arco in laterizi con ogni probabilità contestua-
le all’opera muraria altomedievale.

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78 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

anche una pavimentazione in opus spicatum della quale sono stati trovati al-
cuni resti durante una campagna di scavo168. Dalla parte opposta della grot-
ta, nella zona nord, si conserva una struttura attribuibile all’intervento di ri-
pristino dell’insediamento eremitico promosso da Sisto IV169. Si tratta di un
piccolo edificio intonacato che consta di due ambienti oblunghi disposti in
parallelo e intercomunicanti, cui si accede tramite un arco a tutto sesto so-
vrastato da una sorta di timpano a due spioventi che presenta tracce di una
Crocifissione quattrocentesca170.
Le evidenze murarie più antiche conservano, oltre a resti di pittura
quattrocentesca, qualche brano della decorazione pittorica primitiva della
quale è stato possibile recuperare alcuni soggetti di notevole interesse av-
valendosi di vecchie fotografie in bianco e nero, che documentano le superfi-
ci di intonaco ad uno stadio meno frammentario e lacunoso di quello odier-
no, e anche grazie a una serie di dati desumibili dai contributi di Ildefonso
Schuster, che visitò il complesso eremitico al principio del secolo scorso171.
Fino a qualche decennio fa sul fondo del primo arco cieco si poteva ap-
prezzare un riquadro ornamentale che occupava la parte superiore della pa-
rete. Di colore rosso, come attestano i lacerti ancora in situ, il rettangolo
ospitava sei grandi orbicoli annodati dipinti di bianco abitati al loro interno
da figurine umane disposte a coppie o isolate fra cespi di virgulti (tav. 18 b).
Anche all’esterno dei cerchi campeggiavano motivi vegetali caratterizzati
perlopiù da pianticelle terminanti con foglie cuoriformi. Il soggetto raffigu-
rato non è altro che l’imitazione di una porpora a rotae annodate apparte-
nente al genere di stoffe provenienti dai rinomati laboratori tessili dell’orien-
te greco, assegnate ora al VI secolo ora all’VIII secolo172. L’ubicazione del fin-
to tessuto nella parte superiore della nicchia, e non nel tratto inferiore come

168
M. G. Fiore Cavaliere, Fara Sabina cit., p. 446.
169
L. Branciani, Il monte S. Martino cit., p. 46.
170
I. Schuster, Della basilica cit., p. 51.
171
All’esame che alle pitture dedicò Schuster (Ibid., p. 49-51) sono seguite le
riflessioni di : P. Toesca, Storia dell’arte italiana. Il Medioevo, I, Torino, 1927,
p. 315; G. Croquison, I problemi archeologici farfensi, in RivAC, 15, 1938, p. 37-71
(p. 46, n. 1, fig. 6, p. 44); A. Prandi, Arte in Sabina cit., p. 318-320, figg. 348-349;
R. Cantone, La decorazione pittorica, in Farfa. Storia di una fabbrica abbaziale
(mostra permanente, Abbazia di Farfa-Fara Sabina, 1985), Roma, 1985, p. 108-
109; Pani Ermini, L’abbazia cit., p. 59; L. Branciani, Il monte S. Martino cit.,
p. 46-55. Alcune fotografie relative alla decorazione pittorica dell’ipoego di
S. Martino (pubblicate da Luchina Branciani, Ibid., figg. 9-14) sono conservate
presso la fototeca dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione : i
nn. C 6696/7 sono attribuibili a una campagna fotografica del 1914 curata dalla
tipografia Danesi; i nn. N 2946-2962 sono frutto della documentazione svolta per
conto della Soprintendenza nel 1965.
172
W. F. Volbach, I tessuti del Museo Sacro Vaticano, Città del Vaticano 1942,
p. 44-45, tavv. XL, XLI; M. Martiniani Reber, Tissus, in J. Durand et alii, a cura
di, Byzance. L’art byzantin dans les collections publiques françaises, Paris, 3 no-
vembre 1992-1 février 1993, catalogo della mostra, Parigi, 1992, p. 192 e schede a
p. 194-197; D. King, Early Textiles with Hunting Subjects in the Keir Collection, in
A. Muthesius, M. King, a cura di, Collected Textile Studies. Donald King, Londra,
2004, p. 1-16.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 79

Fig. 5 – Monte Acuziano, ipogeo dell’eremo di San Martino, ipotesi


di ricostruzione di una parte della prima fase decorativa.

un usuale velarium, risulta assai significativa perché evoca l’impiego delle


preziose cortine istoriate appese fra gli archi delle chiese173.
Dato, poi, che stoffe di questo tipo erano frequentemente utilizzate per
trasportare le ossa di santi personaggi della Palestina174, non è da escludere
che l’immagine dello sciamito purpureo servisse a richiamare l’attenzione su

173
M. Martiniani Reber, Tentures et textiles des églises romaines au haut
Moyen Âge d’après le Liber Pontificalis, in MEFRM, 111, 1999, p. 289-305; M. An-
daloro, Immagine e immagini nel Liber Pontificalis da Adriano I a Pasquale I, in
H. Geertman, a cura di, Il Liber Pontificalis e la storia materiale. Atti del Convegno
Internazionale, Roma, 21-22 febbraio 2002, Assen, 2003 (Mededelingen van het Ne-
derlans Institut te Rome. Antiquity, 60-61, 2000-2002), p. 45-103.
174
M. Martiniani-Reber, Le rôle des étoffes dans le culte des reliques au moyen
âge, in Bulletin de Liaison du Centre International d’Étude des Textiles Anciens, 70,
Lione, 1992, p. 53-58.

.
80 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

una serie di reliquie la cui presenza era attestata, ancora al principio del se-
colo scorso nello spazio sottostante175.
Quanto ai soggetti raffigurati all’interno delle rotae, i dati acquisibili
dalle vecchie fotografie permettono di affermare che nei primi due orbicoli
erano campite due coppie di personaggi maschili (tav. 19 a), uno completa-
mente nudo e uno vestito soltanto di un drappo intorno alla vita, mentre nei
restanti quattro si potevano distinguere personaggi isolati. Il terzo della pri-
ma fila e il primo della seconda indossavano una tunica terminante sopra il
ginocchio e alti calzari. Del secondo individuo della fila inferiore la foto la-
scia intravedere soltanto un curioso copricapo a punta. L’ultimo, infine, por-
tava una veste lunga dal profilo sinuoso tanto da far pensare a una figura
femminile.
In passato è stata più volte avanzata la proposta di associare questi per-
sonaggi all’universo figurativo delle sacre scritture e in particolare la prima
coppia è stata vista come raffigurazione di Adamo ed Eva ai lati dell’albero
della vita176. L’assenza di qualsiasi elemento che possa ricondurre a un tema
sacro, tuttavia, suggerisce la scelta di soggetti pescati dal repertorio profano
che tanta parte hanno avuto nel repertorio ornamentale della produzione
tessile tardoantica e medievale destinata talvolta anche a contesti religiosi177.
D’altra parte, il fatto che le figure non siano riconoscibili con precisione
potrebbe essere dovuto non tanto alla scarsa leggibilità delle vecchie foto-
grafie che li documentano quanto piuttosto alla possibile incomprensione
dei soggetti da parte dell’esecutore del dipinto che ha copiato il tessuto. Un
indizio per l’interpretazione del tema riprodotto, comunque, è offerto dal
terzo personaggio della prima fila e dal primo di quella inferiore, entrambi
con una veste corta e un paio di alti calzari tipici del repertorio figurativo dei
cacciatori. Anche il gesto di afferrare lo stelo del virgulto a mo’ di arco, com-
piuto dall’individuo della seconda fila sembrerebbe alludere all’arte venato-
ria178.
Della decorazione del sottarco immediatamente sopra il finto tessuto
non resta più nulla, ma una fotografia del 1914 riproduce l’immagine del bu-
sto di un santo d’età giovanile, con chierica, racchiuso all’interno di un moti-
vo a tortiglioni (tav. 19 b)179. Oltre a questo soggetto Ildefonso Schuster vide
nella parte opposta dell’intradosso un’altra imago clipeata di santo180 e al

175
I. Schuster, Della basilica cit., p. 50.
176
L. Pani Ermini, L’abbazia cit., p. 59; L. Branciani, Il monte S. Martino cit.,
p. 47.
177
Tra i donativi di papa Leone III (795-816) alle chiese romane, compaiono
tre stoffe con elefantos (Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, 3 voll., Parigi,
1886-1892, II, p. 12) : M. Andaloro, Immagine e immagini cit., p. 53 e n., p. 56
(Tabella 1).
178
A. Gruber, Jagdmotive auf Textilien von der Antike bis zum 18. Jahrhun-
dert, catalogo della mostra, Abbeg-Stiftung, Riggisberg, 29 aprile-1 novembre
1990, Abbeg-Stiftung, Riggisberg, 1990, p. 26-42.
179
Foto dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, n. C 6696
(pubblicata in L. Branciani, Il monte S. Martino cit., fig. 14, p. 53), vedi supra,
n. 171.
180
I. Schuster, Della basilica cit., p. 50; L. Branciani, Il monte S. Martino cit.,
p. 49, 56.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 81

centro della volticina un cerchio con una croce equilatera181. Per quanto ri-
guarda l’identificazione dei due ritratti, risulta preziosa la testimonianza
dell’illustre studioso che senza tentennamenti poté leggere per intero l’iscri-
zione accanto al santo di sinistra con il nome di EVAGRIVS182. Purtroppo l’i-
scrizione risulta esclusa dall’inquadratura della vecchia fotografia che ha
documentato soltanto il busto del santo e le lettere DIA alludenti al rango
diaconale del personaggio e interpretabili, quindi, come abbreviazione di
DIACONVS. Circa la figura campita di fronte, già all’epoca della visita di
Schuster l’iscrizione onomastica era andata perduta, ma non la qualifica di
diaconus che con ogni probabilità doveva trovarsi accanto all’immagine del
santo come nell’immagine di fronte.
Anche nel caso del sottarco i soggetti prescelti per decorare la struttura
muraria rinviano al contesto culturale del versante mediorientale di epoca
preiconoclasta. Il nome di Evagrio, infatti, riconduce al grande esponente
del monachesimo greco, autore dell’Antiherreticus e del Monasticon opere
che incontrarono grande favore fra i monaci della Tebaide e della Siria so-
prattutto durante il V secolo e fino alla metà del VII, allorquando il V conci-
lio ecumenico pronunciò l’anatema contro l’esegeta, nell’ambito della con-
danna dell’origenismo183.
A destra della nicchia appena descritta, girato l’angolo, sul fondo di un
altro arco cieco si conserva un brano pittorico del tutto inedito. Si tratta, in
questo caso, di un complesso motivo geometrico che consiste in un cerchio
ospitante al suo interno una stella a otto punte costituita da squadre bipar-
tite (tav. 58 b). L’ornamento, che suggerisce un notevole effetto volumetri-
co, è frutto in realtà di un metodo alquanto semplice che prevede il solo
uso del compasso e della squadra con i quali segnare i punti originati dal-
l’intersezione di una serie decrescente di quadrati, disposti in sequenza al-
ternata in parallelo rispetto al livello pavimentale e ruotati di quarantacin-
que gradi. Ancora una volta ci troviamo di fronte a un decoro che tradisce
un legame con la civiltà greco-orientale del VI-VII secolo, giacché compare
nel mosaico pavimentale della chiesa di Qabr Hiram nell’attuale Libano, at-
tribuita appunto alla metà circa del VI secolo184 e nel decoro di una nicchia

181
I. Schuster, Reliquie d’arte nella badia imperiale di Farfa, in ASRSP, 34,
1911, p. 269-350 (p. 328).
182
Id., Della basilica cit., p. 50.
183
Su Evagrio del Ponto : A. Guillaumont, Un philosophe au désert. Évagre le
Pontique, Parigi, 2004, spec. p. 53-98. In particolare, sull’influenza di Evagrio nel
monachesimo siro : A. Vööbus, History of Ascetism in the Syrian Orient. A Contri-
bution to the History of Culture in the Near East, 3 voll., Leuven, 1958, 1960, 1988
(Corpus scriptorum christianorum orientalium. Subsidia, 14, 17, 81), spec. vol. 81,
p. 135-150.
184
C. Balmelle et alii, a cura di, Le décor géometrique de la mosaïque romaine
II. Répertoire graphique et descriptif des décors centrés, Parigi, 2002, p. 145, fig. a
(«scudo di squadre bipartite, a colori opposti che fanno apparire una stella a otto
punte»). Sul mosaico di Qabr Hiram : F. Baratte, Mosaïques romaines et paléo-
chretiennes du musée du Louvre, Parigi, 1978, p. 132-144; N. Duval, Note addition-
nelle : sur l’homogénéité de la mosaïque et l’interprétation des installations liturgi-
ques, ivi, p. 144-145; P. Donceel-Voûte, Les pavements des églises byzantines de Sy-

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82 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

di un cenobio del complesso monastico di Kellia, nel basso Egitto, assegna-


to al VII secolo185.
Nell’esemplare del monte Acuziano, la perdita del nucleo centrale non
permette di stabilire se le squadre bipartite si ripetessero in ordine decre-
scente fino al centro della circonferenza, come a Qabr Hiram, oppure si li-
mitassero alla metà esterna, lasciando internamente le linee diagonali a vi-
sta, nel modo adottato nell’insediamento cenobitico di Kellia. È certo, però,
che la versione dell’eremo di San Martino e quella del mosaico pavimentale
obbediscono a una tecnica che necessita di strumenti di precisione, mentre
l’ornamento del monastero copto riprende il motivo ignorando le regole per
una corretta costruzione geometrica, tant’è che il disegno ottenuto riprodu-
ce, grossolanamente, una stella a nove punte anziché otto. Nel mosaico di
Qabr Hiram il motivo si trova in una posizione privilegiata, esattamente al
centro dell’edificio, in coincidenza del coro. Anche sul monte Acuziano, a
ben guardare, esso non può essere inteso come mera ornamentazione poi-
ché occupa la metà superiore della nicchia.
È evidente, quindi, che il decoro geometrico si carica di un significato
simbolico, con ogni probabilità alludente all’ordine divino dal momento che
le figure geometriche alla base del disegno, il cerchio e la stella a otto punte,
secondo i teologi del tempo rappresentano rispettivamente la perfezione e
l’armonia del cosmo186.
Esaminando le fotografie che documentano il partito murario sopra la
nicchia con la decorazione geometrica, in uno stato di gran lunga migliore
rispetto all’attuale, si individuano altri elementi figurativi non trascurabili.
Sulla fronte dell’arco si riesce a distinguere, su un fondo bianco omogeneo,
un volatile e le fronde di una palma che potrebbero alludere al paesaggio de-
gli eremiti della Tebaide, tema che ben si adatta a un insediamento eremiti-
co (tav. 19 c).
Alla luce dell’analisi fin qui condotta non possiamo tralasciare una con-
siderazione sull’assetto d’insieme dei soggetti raffigurati, rinviando ad altri
capitoli ulteriori riflessioni187. Non può che destare sorpresa la constatazione
che il repertorio figurativo impiegato per la decorazione della struttura ad
archi si rivolga all’arte greco-orientale del periodo preiconoclasta188. Grazie
alla presenza dell’immagine di Evagrio del Ponto e sulla base del riscontro
del motivo a stella nel mosaico di Qabr Hiram, possiamo attribuire l’esecu-
zione del primo intervento pittorico dell’eremo del monte Acuziano al pieno

rie et du Liban, Louvain-La-Neuve, 1988, 2 voll., I, p. 411-420, fig. 414, II, tavola
fuori testo no 17.
185
P. Ballet, N. Bosson, M. Rassart-Debergh, Kellia II. L’ermitage copte QR
195. La céramique, les inscriptions, les décors (2), Cairo, 2003 (Institut français
d’Archéologie Orientale, 49), p. 388, fig. 28, p. 426, 443, fig. 105.
186
Sul significato magico e cosmologico della stella a otto punte formata da
due quadrati che si intersecano, cfr. : A. Schmidt Colinet, Zwei verschränkte Qua-
drate im Kreis. Vom sinn eines geometrischen Ornaments, in Textilien aus Ägypten,
a cura di A. Stauffer, Berna, 1991, p. 21-34.
187
Infra, p. 183-184, 214-215.
188
Infra, p. 214-215.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 83

VI secolo. Le conclusioni raggiunte mediante l’analisi storico-artistica delle


pitture ben collimano con la notizia riportata da Gregorio di Catino nel
Chronicon farfense, fino ad ora considerata leggendaria o comunque priva di
fondamento storico, secondo la quale un monaco di nome Lorenzo giunto in
Sabina dalla lontana Siria verosimilmente nel primo quarto del VI secolo, si
sarebbe ritirato a condurre vita solitaria per alcuni anni all’interno del-
l’eremo del monte Acuziano189.

Monte Tancia, Grotta di San Michele

Il santuario micaelico del monte Tancia è una grotta di origine naturale


che si apre a metà altezza su un alto costone roccioso a strapiombo (tav.
59 c)190. Al suo interno gli interventi pittorici si limitano a due pannelli votivi
settecenteschi di fronte all’ingresso191 e a un doppio strato di intonaco che ri-
veste l’altare medievale (tav. 20 a)192. Fu proprio quest’ultimo a trovarsi al
centro di un’accesa lite fra la curia sabinense e l’abbazia di Farfa alla metà
dell’XI secolo, scatenata per il desiderio di accaparrarsi i proventi del san-
tuario, secondo quanto riportato da Gregorio di Catino nel Chronicon farfen-
se. Tra il 1049 e il 1050 la piccola struttura venne dapprima restaurata dall’a-
bate Berardo poi demolita dal vescovo Giovanni per sottrarne le reliquie cu-
stodite all’interno e infine nuovamente ripristinata da parte dei monaci di
Farfa193.

189
Infra, p. 183-184.
190
Sul santuario del Tancia nell’Altomedioevo : I. Schuster, L’imperiale cit.,
p. 174-176; M. G. Mara, Contributo allo studio del culto di S. Michele nel Lazio in
ASRSP, LXXXIII, 1960, p. 269-290; Eadem, Una divinità pagana nella grotta di
S. Michele sul Tancia, in Studi e Materiali di Storia delle Religioni, XXXIII, 1962,
fasc. I, p. 104-107; M. Righetti Tosti-Croce, Linee artistiche cit., p. 14-16;
A. M. D’Achille, T. Iazeolla, Luoghi cit., p. 218; M. A. Radožycka Paoletti, Sulle
origini del Santuario di S. Michele sul Monte Tancia, in Analecta Bollandiana, CVI,
1988, p. 99-111. La più antica testimonianza documentaria del santuario del Tan-
cia è fornita da Gregorio da Catino (XI-XII secolo) che riporta nel Chronicon far-
fense la concessione da parte di Ildebrando duca di Spoleto all’abbazia di Farfa di
un «gualdum qui cognominatur Tancia positum in territorio Reatino, cum ecclesia
Sancti Angeli seu cripta illius», nell’anno 774 (Gregorio di Catino, Chronicon far-
fense, a cura di U. Balzani, 2 voll., Roma, 1903, I, p. 158); cfr. M. A. Radoûycka
Paoletti, Sulle origini cit., p. 100.
191
I pannelli devozionali raffigurano una Psicostasia e una Madonna con
Bambino.
192
Sulle pitture dell’altare-ciborio : M. G. Mara, Contributo cit., p. 278-283;
M. Righetti Tosti-Croce, Linee artistiche cit., p. 16; E. Parlato, S. Romano, Roma
e il Lazio cit., p. 282-283 («Grotta di S. Michele Arcangelo a Monte Tancia», sche-
da a cura di S. Romano).
193
Secondo il Chronicon, il vescovo Giovanni guidò una spedizione al san-
tuario del Tancia per demolire l’altare che l’abate Berardo aveva sacrilegamente
modificato, noncurante a suo dire, della tradizione che lo voleva opera di papa
Silvestro. L’intervento, a quanto pare, riesce e Giovanni si allontana con le sacre
reliquie rinvenute all’interno dell’altare, ma durante il tragitto del ritorno un tem-
porale obbliga il gruppo di uomini a fuggire e le reliquie verranno così recuperate
dai benedettini. Di lì a poco, quindi, questi ultimi si appresteranno alla ricostru-

.
84 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Addossato alla parete rocciosa, l’altare è sormontato da due colonnine


marmoree che sostengono una volta in muratura mediante travi di legno. I
caratteri formali dello strato pittorico più antico, che traspare in coinciden-
za delle vaste lacune del secondo, non pongono alcun ostacolo alla possibili-
tà di legare questo primo intervento alle turbolente vicende raccontate da
Gregorio di Catino. Più difficile è proporre una datazione per lo strato so-
prastante, tanto la resa qualitativa in questo caso risulta modesta e i temi
rappresentati una maldestra riproduzione di quelli raffigurati nel preceden-
te. Sennonché, proprio per il fatto che imita i soggetti iconografici originari,
questo secondo strato di intonaco si rivela di fondamentale aiuto nella loro
identificazione. Con un certo margine di dubbio possiamo assegnarlo al XIII
secolo.
Sulla fronte dell’arco la pittura più recente presenta al centro l’imago
clipeata dell’agnello e ai lati due personaggi a figura intera che convergono
verso di esso nell’atto di sostenere ciascuno un lungo cartiglio. Sebbene ab-
biano perduto il volto, le due figure sono identificabili con i santi Giovanni
Evangelista, a sinistra, e Giovanni Battista, sulla destra, collocati in prossi-
mità dell’altare, in linea con una versione iconografica di lunga tradizione,
ad esaltare il Cristo-agnello mediante l’esibizione dei rispettivi versetti evan-
gelici : In principio erat verbum... (Gv., 1, 1-3), Ecce agnus Dei... (Gv., 1, 31-
33)194. In corrispondenza della parte superiore della figura del Battista, una
lacuna ha messo in luce un volto barbuto nel quale possiamo riconoscere lo
stesso personaggio, a dimostrazione che la decorazione primitiva presentava
il medesimo tema.
Nell’intradosso dell’arco l’intonaco più antico è visibile in proporzioni
maggiori. Anche in questo caso il secondo strato imita il primo ma stavolta il
soggetto, che rappresenta un clipeo con il busto del Pantocratore circondato
dal tetramorfo, è stato rovesciato (tavv. 20 c, 60 a) : a differenza della deco-
razione più recente, infatti, nella versione originaria il Cristo benedicente,
con il libro aperto sul petto, è orientato con la testa verso l’esterno del-
l’altare. Del volto si discerne solo la metà sinistra con una parte della capi-
gliatura, l’intera guancia e un tratto della barba. Nonostante l’esiguità della
superficie a vista è evidente il buon livello qualitativo dell’esecuzione pittori-
ca della quale si conserva soprattutto il disegno preparatorio in ocra rosso
giacché la pellicola pittorica è caduta un po’ ovunque. Una campitura blu,
composta assai probabilmente da azzurrite, attestata soltanto da labili trac-
ce, faceva da sfondo al busto clipeato. Ai lati si dovevano scorgere i simboli
degli evangelisti distribuiti in due coppie, rispettivamente il toro e l’aquila a
sinistra, l’angelo e il leone a destra. Purtroppo la figura meglio leggibile,

zione e riconsacrazione dell’altare (Gregorio di Catino, Chronicon farfense cit., II,


p. 133-134), cfr. M. G. Mara, Contributo cit., p. 272.
194
Per una versione romana risalente all’VIII secolo, dove ritroviamo la stes-
sa impostazione generale del ciborio del Tancia, con la Vergine in trono fra sante
in una lunetta (cfr. infra, p. 85) e i due Giovanni fra l’agnello sopra l’arco, cfr.
M. Andaloro, Santa Susanna. Gli affreschi frammentati, in M. S. Arena et alii, a
cura di, Roma dall’antichità al Medioevo. Archeologia e Storia nel Museo Nazionale
Romano Crypta Balbi, Milano, 2001, p. 643-645. Sulla fortuna del tema nel Lazio
e in Campania : R. Zuccaro, Gli affreschi cit., p. 87-89, figg. 150, 201-202.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 85

quella dell’angelo-Matteo, è stata trafugata in tempi recenti (tav. 60 b)195, co-


sicché, del tetramorfo del primo strato resta visibile soltanto l’estremità su-
periore del leone-Marco.
Sulla parete sottostante, incorniciata dall’arco, rimane una porzione as-
sai limitata di pittura, che si rivela comunque preziosa per la ricostruzione
generale dell’articolazione iconografica originaria. Nel lacerto di intonaco,
ravvisabile in corrispondenza dell’estremità superiore, le tracce superstiti
sono sufficienti per accertare l’originaria presenza di una Vergine in trono
fra santi. Si distinguono, infatti, parte del nimbo perlinato della Theotokos, il
profilo destro del suo volto e del velo, un tratto del bordo superiore del tro-
no196. A sinistra è presente la parte superiore del volto di una figura femmini-
le nimbata recante un velo bianco sulla testa, che autorizza a credere nell’e-
sistenza, in origine, di un’altra figura simmetrica sul lato opposto.
Dei due fianchi dell’altare-ciborio, soltanto quello di destra, visibile dal-
l’ingresso, appare decorato (tavv. 20 b, 60 c). Anche in questo caso le pitture
del secondo intervento, che si conservano nella zona inferiore, sembrano
aver imitato la rappresentazione sottostante, almeno nell’impostazione ge-
nerale. Su entrambi gli strati erano rappresentati tre personaggi in posa
stante. L’identificazione delle figure appartenenti all’intonaco più antico po-
ne qualche problema perché laddove la superficie pittorica non è occultata
dal secondo strato essa si presenta assai deteriorata. Il riconoscimento dei
personaggi dello strato superiore, tuttavia, offre utili indizi a riguardo. Il se-
condo strato risulta meglio conservato in alcune fotografie pubblicate nel
1985, dove sono leggibili gli attributi dei tre santi : una spada a sinistra, le
chiavi al centro e una campana a destra197. Si tratta, quindi, con ogni proba-
bilità, di Paolo, Pietro, rappresentato in inusuali abiti vescovili, e Antonio
abate198.
In corrispondenza della figura di Paolo lo strato sottostante presenta un
personaggio che appartiene anche in questo caso al rango vescovile, dato
che porta un omophorion su una casula rossa. Il santo compie con la destra
il consueto gesto della benedizione, ha un volto senile caratterizzato da bar-
ba bianca, capigliatura pure bianca e stempiata. La figura centrale, anch’es-
sa canuta, con tonsura e barba, indossa una semplice veste marrone. Il per-
sonaggio di destra, di dimensioni molto ridotte, ha cappelli e lunga barba
scuri e indossa un pallio rosa su tunica bianca.

195
Risulta ancora in situ nella fotografia pubblicata in M. Righetti Tosti-
Croce, Linee artistiche cit., fig. 17, p. 21.
196
La presenza di questi brani di pittura era stata notata, a suo tempo, da
Maria Giovanna Mara che forniva un’interpretazione in parte discordante dalla
nostra : «sulla parete di fondo dell’altare [...] alcuni lavori posteriori ed una into-
nacatura sovrapposta hanno rispettato soltanto il capo di una bella Madonna che
doveva portare sul braccio destro il Bambino, la cui presenza ci è testimoniata
dall’arco della parte superiore del nimbo. A destra della Madonna e del Bambino
si vede il volto di un giovane, circondato da aureola, e che si può identificare mol-
to bene per un angelo», M. G. Mara, Contributo cit., p. 283.
197
M. Righetti Tosti-Croce, Lineee artistiche cit., fig. 15, p. 20.
198
M. G. Mara, Contributo cit., p. 282.

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86 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

La specificità delle vesti dei personaggi e la caratterizzazione dei volti


del primo e del terzo potrebbero far pensare alla stessa triade dello strato su-
periore seppure con una diversa disposizione dei personaggi, e cioè Pietro a
sinistra, Antonio abate al centro e Paolo a destra. Tuttavia, mentre l’identifi-
cazione della figura caratterizzata da barba e capelli bruni con san Paolo
non incontra alcun ostacolo, il personaggio di sinistra con l’omophorion, più
che a Pietro, tradizionalmente rappresentato in abiti apostolici, farebbe pen-
sare a Silvestro I, pontefice che ha un ruolo di primo piano nelle vicende le-
gate alla fondazione del santuario dal momento che è protagonista della leg-
genda della Revelatio sancti Angeli de monte Tancia199. La figura centrale, con
il capo tonsurato e la veste marrone, farebbe pensare a un santo monaco e
non è escluso che si tratti pure in questo caso di Antonio abate.
Compiuta l’analisi delle pitture, resta da chiedersi se all’interno della
grotta vi siano testimonianze d’epoca precedente, visto che il culto nel san-
tuario rupestre è attestato fin dall’VIII secolo. La risposta proviene dalla
struttura stessa dell’altare-ciborio che ingloba elementi marmorei di riuso
(tav. 20 a). Le due colonnine, o meglio i relativi capitelli scolpiti nello stesso
pezzo, si prestano a raffronti, per la tipologia della decorazione, con esempi
scultorei laziali di VIII-IX secolo 200. Inoltre, l’elemento marmoreo di destra
presenta, lungo la superficie opposta alla parete cui è addossato l’altare, un
lungo incasso rettangolare. Nella disposizione attuale esso appare privo di
senso, mentre troverebbe la sua ragion d’essere nella diversa collocazione di
una fase precedente in coincidenza della quale il taglio nel marmo potrebbe
essere servito ad ancorare una transenna. Le due colonnine, quindi, sembre-
rebbero provenire da un apparato liturgico più antico, non necessariamente
allestito nella grotta. Forse facevano parte della decorazione scultorea di
quella ecclesia sancti angeli sul Tancia che in una fonte del 774 è chiaramen-
te distinta dalla crypta illius 201.

3 – PROVINCIA DI ROMA

Albano, Catacomba di San Senatore

La catacomba di San Senatore conserva un cospicuo numero di testi-


monianze pittoriche di età paleocristiana e medievale, concentrate perlopiù
in un unico ambiente, detto «cripta venerata» e nelle sue immediate vicinan-

199
Secondo la leggenda, dal vicino monte Soratte, sul quale risiedeva, papa
Silvestro era giunto sul Tancia per liberare la popolazione dal fiato pestifero di
un drago. Aveva quindi consacrato il luogo in onore dell’arcangelo Michele a dife-
sa perenne dalle presenze demoniache : A. Poncelet, S. Michele cit., p. 541-548;
I. Aulisa, Le fonti cit., p. 315-331. Sulla leggenda di san Silvestro e il drago, cfr.
supra, 22-24.
200
Si vedano ad esempio gli analoghi capitelli, ricavati anch’essi da un solo
pezzo insieme alle colonnine, di Sutri, Leprignano e Sant’Eutizio, assegnati
all’VIII-IX secolo : J. Raspi Serra, a cura di, Corpus della scultura altomedievale,
VIII (Le Diocesi dell’Alto Lazio), Spoleto, 1974, schede nn. 192-193, 259-260, 319.
201
M. A. Radožycka-Paoletti, Sulle origini cit., p. 100. Cfr. supra, nota 190.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 87

ze (tav. 21 a) 202. Tralasciando le pitture più antiche, di grande interesse e alto


livello qualitativo, ma ben al di fuori dei nostri limiti cronologici, l’attenzio-
ne verrà portata su una serie di interventi succedutisi fra VII e XIII secolo 203.
Non anteriore al VII secolo era assai probabilmente il quinto e ultimo
strato della «parete palinsesto» nel fondo della galleria attigua alla cripta ve-
nerata 204. Attestato da lacerti ancora in situ, dovette sopravvivere nella quasi
interezza almeno fino alla fine del XVIII secolo, visto che il tema raffigurato,
un Cristo affiancato da tre santi fra i quali il martire Lorenzo, venne descrit-
to nell’opera tardo settecentesca del Riccy 205. È certo comunque che quest’ul-
timo strato di pittura fu sacrificato insieme al penultimo qualche decennio
dopo, verosimilmente per mettere in luce l’intonaco del terzo, oggi ben visi-
bile, che ospita l’immagine di Cristo fra Pietro e Paolo, i santi Lorenzo e
Smaragdo e i resti di due personaggi in corrispondenza delle estremità late-
rali, e viene fatto risalire alla fine del V secolo 206.
Altri brani di pittura d’età medievale si conservano sull’angolo di una
struttura muraria prossima all’accesso della stessa galleria 207. Sul lato nord
del muro, eretto già in epoca tardoantica per contenere alcune sepolture 208,

202
V. Fiocchi Nicolai et alii, Scavi nella catacomba di S. Senatore ad Albano
Laziale, in RivAC, 68, 1992, p. 7-140, spec. p. 41-70.
203
Sulle pitture tardoantiche della catacomba di Albano si veda, oltre agli
studi di Fiocchi Nicolai (Ibid., p. 47-68; Id., Novità storico-agiografiche dai restau-
ri delle pitture della catacomba di S. Senatore in Albano Laziale, in Bild-und For-
mensprache der spätantiken Kunst. Hugo Brandenburg 65. Geburtstag, Münster,
1994, p. 53-60), il contributo di M. Marinone, La decorazione pittorica della cata-
comba di Albano, in RINASA, XIX-XX, 1972-1973, p. 103-138, spec. p. 107-112.
Sulle pitture d’età medievale si è soffermato John Osborne : J. Osborne, Notes on
Early Medieval Wall-Painting in Lazio, in Medieval Lazio. Studies in Architecture,
Painting and Ceramics (Papers in Italian Archaeology III), s.l. 1982, p. 287-292, ol-
tre a M. Marinone, La decorazione cit. p. 112-115 e, di recente A. M. D’Achille, Le
pitture medievali della Catacomba di S. Senatore ad Albano, in Arte Medievale, II s.,
XIV, nn. 1-2, 2000, p. 37-46.
204
Sulla base di alcuni brani pittorici documentati da fotografie del 1902
Vincenzo Fiocchi Nicolai ha avanzato l’ipotesi che lo strato più recente, per l’ac-
centuato linearismo e la disposizione verticale delle iscrizioni onomastiche in ne-
ro, appartenga ad un’epoca non antecedente al VII secolo : V. Fiocchi Nicolai,
Novità storico-agiografiche cit., p. 54-57.
205
G. A. Riccy, Memorie storiche dell’antichissima città di Alba Longa e del-
l’Albano moderno, s. l. 1787, p. 174-175. Cfr. V. Fiocchi Nicolai, Novità storico-
agiografiche cit., p. 55 e nota.
206
V. Fiocchi Nicolai, Novità agiografiche dai restauri della Pontificia Com-
missione di Archeologia Sacra degli affreschi della catacomba di S. Senatore ad Al-
bano Laziale (Roma), in RivAC, LXVII, 1991, p. 463-464; Id., Novità storico-agio-
grafiche cit., p. 57-60. Per un resoconto sui restauri del palinsesto pittorico, svolti
negli anni 1990-1991 e coordinati da Giovanna Maria Mangia Bonella, cfr. :
G. M. Mangia Bonella, Problematiche di restauro nella cripta di S. Cecilia a S. Cal-
listo e nella catacomba di S. Sensatore ad Albano, in RivAC, LXVII, 1991, p. 461-
462.
207
M. Marinone, La decorazione pittorica cit., p. 116.
208
V. Fiocchi Nicolai et alii, Scavi nella catacomba cit., p. 32, 37.

.
88 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

sotto un lacerto con una greca di notevole effetto volumetrico 209, è presente
un brano con una figura canuta protesa verso un personaggio in fasce, in
passato interpretato come parte della scena evangelica della Natività 210 e in-
vece riconoscibile come un frammento di una Deposizione al sepolcro (tav.
21 c) 211. Il personaggio in fasce, infatti, per via dell’aureola crucesignata, è
senza dubbio Cristo. L’oggetto sottostante, scambiato in passato per un
«manufatto vimineo del tutto simile ad una culla», rappresenta in realtà un
sarcofago strigilato 212. Il personaggio chino sul defunto, dal panneggio az-
zurro e le sembianze di un vecchio, è Giuseppe d’Arimatea. Accanto, come
lasciano intendere i resti di un altro braccio con manica verde scuro, doveva
esserci Nicodemo 213 ed è possibile che in origine fossero presenti anche le
pie donne. La scena è ambientata all’interno di una grotta dipinta, com’era
in uso, a mo’ di arco.
Sulla faccia orientale dello stesso muro, contigua alla precedente, sono
sopravvissuti alcuni lacerti che sembrano appartenere al medesimo inter-
vento pittorico della Deposizione ma che purtroppo non offrono elementi
sufficienti per tentare un’identificazione del tema rappresentato. Sulla de-
stra della parete si distingue la parte inferiore di due personaggi raffigurati
con gonnellino e calzoni rossi. Quello più esterno è diritto, mentre la figura
accanto è protesa verso il centro della scena. Al di là della zona centrale,
tracce di un altro personaggio, sulla sinistra, con il braccio destro rivolto al-
l’indietro, fanno pensare a un individuo in movimento coinvolto in un altro
episodio.
Di recente è stata avanzata l’ipotesi che i brani pittorici conservati su
questa parete facessero parte di un’Adorazione dei Magi e tuttavia in questo
caso, a nostro avviso, la frammentarietà degli intonaci non incoraggia ad an-
dare al di là della possibilità che vi fossero rappresentati alcuni episodi rela-
tivi ad un ciclo cristologico, data la vicina presenza della scena del Sepolcro.
Per questi frammenti, così come per i resti della Deposizione, risulta
difficile pronunciarsi circa l’epoca d’esecuzione. Con la dovuta cautela, Anna
Maria D’Achille ha proposto un’attribuzione ai secoli XI-XII, ma si potrebbe
pensare anche a una datazione anteriore, almeno di un secolo, per via del-

209
Sul motivo ornamentale della greca : B. Al-Hamdani, The Fate cit., p. 35-
56.
210
M. Marinone, La decorazione pittorica cit., p. 116; V. Fiocchi Nicolai, No-
vità storico-agiografiche cit., p. 463-464.
211
Come già precisato da Vincenzo Fiocchi Nicolai nella relazione pronun-
ciata in occasione della conclusione della campagna di restauro delle pitture :
Ibid., p. 464. Cfr. anche A. M. D’Achille, Le pitture cit., p. 45.
212
Nonostante Mariangela Marinone propendesse per l’identificazione del-
l’oggetto in una culla, non aveva mancato di aggiungere, in nota, una giusta ri-
flessione : «l’intreccio dei vimini, reso con piccoli tratti curvi, fa assumere alla
culla l’aspetto di una fronte di sarcofago strigilato» (M. Marinone, La decorazione
pittorica cit., p. 133, n. 61).
213
Sul tema iconografico della Deposizione al sepolcro : C. Schweicher, Gra-
blegung Christi, in Lexikon del Christlichen Ikonographie, II, Roma-Friburgo-Basi-
lea-Vienna, 1970, coll. 192-196.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 89

l’impostazione iconografica della scena cristologica, che non registra sostan-


ziali mutamenti nel corso dell’altomedioevo 214.
Un’altra pittura d’età medievale, di molto successiva, si conserva sulla
parete di fondo della cripta (tav. 61 a). Vi è rappresento un Cristo benedicen-
te a mezzo busto affiancato da due personaggi oranti ritratti in scala mino-
re, anch’essi raffigurati dalla vita in su : la Vergine a sinistra e san Smaragdo
a destra, già incontrato nella pittura sul fondo della vicina galleria 215. Del
santo dall’insolito nome, ad Albano, non è attestata la presenza di reliquie
ma già da De Rossi l’esistenza della sua immagine nella catacomba di San
Senatore veniva spiegata sulla base della coincidenza del suo dies natalis con
quello di un gruppo di martiri deposti nel cimitero ipogeo 216.
Nella pittura tarda della catacomba laziale Smaragdo sostituisce la con-
sueta figura di Giovanni Battista, propria dell’iconografia della Deesis, segno
della grande devozione a lui rivolta nei secoli centrali del medioevo, di anti-
ca tradizione visto il precedente di V secolo 217. La sostituzione del Battista
con un santo molto venerato non è un caso isolato, tanto che per questa va-
riante è stata introdotta l’espressione di «Deesis locale» 218.
Quanto alla datazione, l’opera è stata attribuita al IX secolo da Marian-
gela Marinone, all’XI secolo da Fabrizio Bisconti, all’XI-XII secolo da John
Osborne e infine, di recente, al XII-XIII secolo da Anna Maria D’Achille 219.
L’ultima ipotesi, a nostro avviso, appare la più convincente : basti pensare
alla Deesis del trittico di Trevignano, che si data, appunto, all’interno di que-
sto arco temporale e mostra una certa somiglianza di stile nella raffigurazio-
ne dei volti, soprattutto se si confronta Giovanni con Smaragdo 220.
Ad epoca ancora posteriore appartiene il brano di pittura conservatosi
nel tratto superiore della parete ovest dello stesso ambiente. Vi è rappresen-
tato, secondo un ductus formale che possiamo far risalire alla prima metà

214
Si veda, ad esempio, la scena della Deposizione, anch’essa ambientata in
una grotta, del salterio detto di Bristol del British Museum, add. 40731 (S. Du-
frenne, L’illustration des psautiers grecs du Moyen Âge, Parigi, 1966, fol 145, tav
56), risalente al IX secolo, e quella dell’XI secolo in Sant’Urbano alla Caffarella
(S. Waetzoldt, Die Kopien des 17. Jahrhunderts nach Mosaiken und Wandmale-
reien in Rom, Vienna-Monaco, 1964, p. 78, fig. 570).
215
Supra, p. 87.
216
Martyrologium Hieronymianum, a cura di G. B. De Rossi, L. Duchesne,
Bruxelles, 1885, p. 102; O. Marucchi, Le catacombe di Albano, in Nuovo bullettino
di Archeologia Cristiana, 8, 1902, p. 89-111, spec. p. 93-94. Alcune recenti riflessio-
ni in : A. M. D’Achille, Le pitture cit., p. 37-38.
217
I recenti scavi hanno inoltre permesso di appurare il reiterato utilizzo del-
la cripta venerata come luogo di sepoltura in età medievale : V. Fiocchi Nicolai et
alii, Scavi nella catacomba cit., p. 69.
218
M. Andaloro, Note sui temi iconografici della Deesis e della Haghiosoritissa,
in RINASA, n. s., XVII, 1970, p. 85-153, spec. p. 109-110.
219
M. Marinone, La decorazione pittorica cit., p. 115; F. Bisconti, Scoperta di
nuove pitture in occasione del restauro nella Cripta di S. Cecilia nella catacomba di
S. Callisto, in RivAC, 67, 1991, p. 462-463 (p. 463); J. Osborne, Notes on Early cit.,
p. 290; A. M. D’Achille, Le pitture cit., p. 43.
220
M. Andaloro, Note sui temi cit., p. 109, fig. 17.

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90 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

del Duecento, un santo tonsurato con accanto un motivo vegetale e al di so-


pra una decorazione a girali (tav. 21 b) 221.

Magliano Romano, Grotta degli Angeli


Esposte su pannelli mobili all’interno della chiesa di San Giovanni a
Magliano Romano, fino al 1939, allorquando si procedette al distacco, le pit-
ture della «Grotta degli Angeli» rivestivano le pareti di un ambiente scavato
nel tufo lungo il declivio del colle Casale a ovest del paese 222, appena al di
sotto di resti di strutture murarie d’epoca medievale (tav. 22 b) 223.
Nonostante lo stato di totale abbandono in cui versa e il crollo della pa-
rete d’ingresso, la chiesa rupestre risulta ancora leggibile nel suo assetto ori-
ginario che sembrerebbe contemporaneo all’intervento pittorico giacché
non rivela tratti morfologici riferibili a tipologie di insediamento romano o
etrusco. Essa si presenta come un’aula unica voltata a botte, lunga circa
quattro metri e larga tre, in origine separata dalla zona presbiteriale tramite
tre archi, oggi ridotti a due per via dell’erosione del tufo, convergenti su due
colonne, allo stato attuale assai consunte ma al tempo dell’escavazione lavo-
rate con notevole accuratezza, come si evince dal riscontro delle tracce dei
capitelli in stile ionico. L’arco centrale, più ampio rispetto a quello laterale
sopravvissuto sulla destra, inquadra il retrostante vano absidale che risulta
contornato in basso da un bancale anch’esso ricavato nella viva roccia e
ospitante, fino a qualche decennio fa, un altare in marmo di epoca romana
reimpiegato per l’uso cristiano 224. A sinistra della zona presbiteriale, in dia-

Giustamente Anna Maria D’Achille pone a confronto il frammento di Al-


221

bano con esempi della prima metà del XIII secolo : «ritengo sia possibile avanza-
re ulteriormente la datazione dell’opera fino ad arrivare per lo meno all’XI secolo,
se non a oltrepassarlo, dato che l’unica immagine che, pur con le dovute differen-
ze, ci pare in qualche modo accostabile alla nostra è quella celeberrima di San
Francesco al Sacro Speco [...]», A. M. D’Achille, Le pitture cit., p. 44.
222
F. Hermanin, La Grotta degli Angeli a Magliano Pecorareccio in Bullettino
della Società Filologica Romana, IV, 64, 1903, p. 1-11; P. Rotondi, Gli affreschi di
Magliano Romano nella Galleria Corsini a Roma, in Le Arti, 1939-1940, p. 288-292
(rist. in P. Chiricozzi, Magliano Romano, Roma, 1980, p. 71-79); E. B. Garrison,
Studies in the History of Medieval Italian Painting, 4 voll., Firenze, 1953-1961, III-1
(1957) p. 198-210; G. Matthiae, Pittura cit., II, p. 43-45; P. Chiricozzi, Magliano
cit., p. 65-71, 80; F. Gandolfo, Aggiornamento cit., p. 260; E. Parlato, S. Romano,
Roma e il Lazio cit., p. 322-323 («Gli affreschi della Grotta degli Angeli a Maglia-
no Romano», scheda in appendice a cura di S. Romano); S. Moretti, Alle porte di
Roma : un esempio pittorico e il suo contesto da ricostruire. La «Grotta degli Ange-
li» a Magliano Romano, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Ar-
cheologia, LXXVI, 2005, p. 105-133; S. Piazza, Peintures rupestres cit. Sulle vicen-
de conservative delle quali sono state oggetto le pitture di Magliano : infra,
p. 245-246.
223
G. Tomassetti, Della campagna romana nel medio evo, in : ASRSP, VII,
1884, p. 216-217; F. Hermanin, La Grotta cit., p. 1-11; P. Chiricozzi, Magliano cit.,
p. 18-19, 68; S. Moretti, Alle porte di Roma cit., p. 106-107, 132-133.
224
Cfr. P. Rotondi, Gli affreschi cit., p. 290, fig. 22. L’altare si trova oggi nel
giardino comunale di Magliano Romano (S. Moretti, Alle porte di Roma cit.,
p. 107).

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 91

gonale rispetto all’asse longitudinale della navata, si apriva un ambiente se-


condario del quale rimane soltanto il primo tratto della parete contigua al
vano absidale, caratterizzata da due nicchie, e parte della soprastante volta a
botte. L’erosione del fianco della collina ha comportato, oltre al crollo di
gran parte di questo ambiente, anche quello dell’ingresso e della parete sini-
stra del vano principale, che appare risarcita con un muro in blocchi di tufo,
a sua volta franato 225.
La decorazione pittorica medievale rivestiva soltanto l’invaso rettango-
lare della chiesa, limitandosi alla superficie della volta e della parete di risul-
ta al di sopra degli archi. Dallo spazio presbiteriale proveniva soltanto l’e-
stremità superiore di un pannello votivo quattrocentesco con una Madonna
in trono 226. Per ricercare l’ordine originario dei soggetti rappresentati sul-
l’imbotte viene in aiuto una fotografia dell’Istituto Centrale per il Catalogo e
la Documentazione (no E 23252) scattata nel 1939 alla vigilia dello stacco
(tav. 22 a) 227.
Nella lunetta che sovrasta i due archi trovava posto il pannello con
l’imago clipeata di Cristo benedicente fiancheggiata dai due arcangeli ado-
ranti, Michele e Gabriele, che convergono ad ali spiegate verso il centro, in
posa rigidamente simmetrica (tav. 23 b). Lo spazio residuo all’estrema de-
stra risulta colmato dall’immagine di un pavone intento a beccare acini d’u-
va che fuoriescono da un cratere.
Sulla volta, ai lati di un ampio rettangolo percorso da una banda centra-
le a fogliame d’acanto con fiori e da due laterali più ampie con rotae e volati-
li (tav. 61 c), erano disposte le tre scene relative all’infanzia di Gesù e il ri-
quadro con le immagini iconiche di Nicola di Mira, in abiti vescovili, Seba-
stiano martire, nella foggia militare, Egidio monaco, con lo scapolare
monastico, Pietro apostolo con pallio e tunica (tav. 23 a). Nella situazione
originaria, osservando il soffitto dal lato dell’ingresso, il breve ciclo aveva
inizio sulla sinistra con la scena della Natività comprendente anche l’episo-
dio dell’Annuncio ai pastori (tav. 61 b), proseguiva con l’Adorazione dei Ma-
gi (tav. 23 c), e terminava con la Presentazione al tempio (tav. 24 a), che oc-
cupava la prima metà del lato destro mentre lo spazio rimanente era riempi-
to dai quattro personaggi in posa frontale. Alla base dei riquadri dovevano
correre le iscrizioni esplicative delle scene cristologiche e quelle onomasti-
che relative ai santi. Perduta la parte inferiore dei primi due episodi della
narrazione evangelica, si conserva la didascalia sottostante la scena della
Presentazione, [...] QVE SIMEON MVNDI / VENERANS ECCEPIT IN
VLNIS, oltre ai nomi dei quattro personaggi : S NICOLAVS, S SEBA-
STIANVS, S EGIDIVS, (S) PETR(VS).
Se dal punto di vista iconografico e formale i dipinti di Magliano Roma-
no tradiscono indubbi legami con le testimonianze pittoriche prodotte a
Roma e nel territorio limitrofo tra la fine dell’XI secolo e i primi decenni del

225
Di diverso avviso è Simona Moretti, che ritiene l’opera muraria contestua-
le all’epoca di escavazione della chiesa (Ibid., p. 105).
226
P. Chiricozzi, Magliano cit., fig. 3. S. Moretti, Alle porte di Roma cit.,
p. 131.
227
P. Rotondi, Gli affreschi cit., fig. 22; P. Chiricozzi, Magliano cit., fig. 3;
S. Moretti, Alle porte di Roma cit., fig. 4.

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92 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

XII 228, del tutto originale appare la scelta di collocare i temi figurativi sulla
volta anziché sulle pareti sottostanti, le quali allo stato attuale non presenta-
no tracce di intonaco ma forse in origine erano rivestite da una decorazione
ornamentale, come sembrerebbe suggerire un brano conservatosi su una
delle colonne, con un ornamento nero su fondo bianco intramezzato da vo-
latili rossi stilizzati. La spiegazione più plausibile, riguardo all’anomala ubi-
cazione del ciclo narrativo, risiede nell’intenzione di voler preservare le im-
magini sacre dal rischio del deterioramento della pellicola pittorica, inevita-
bilmente più elevato al livello inferiore in uno spazio rupestre privo di
pavimentazione.
Altro aspetto che rende le pitture di Magliano Romano un caso singo-
lare consiste nella presenza di due donatori distinti nell’ambito di un inter-
vento pittorico che, al di là dell’ipotesi di due mani diverse 229, è senz’altro
da attribuire ad un’unica fase esecutiva. Sopra l’arco di destra, al di sotto
dell’arcangelo Gabriele, è l’iscrizione «S GABRIEL / IOH(ANNE)S PRO
MA/TRIS SVE PIN/GERE FECIT» 230, e tuttavia ai piedi del san Nicola tro-
viamo la figurina di un secondo devoto a mani giunte (oggi amputata della
parte inferiore ma originariamente rappresentata per intero nell’atto della
genuflessione), che dalla scritta dipinta accanto sappiamo chiamarsi «RI-
GETTO», nome la cui presenza è attestata nei dintorni di Roma nel corso
dei primi decenni del XII secolo 231. Quanto a Iohannes, il fatto che abbia pro-
mosso l’intervento decorativo pro matris suae rivela il carattere sicuramente
votivo delle pitture e inoltre l’assenza di riferimenti ai ranghi ecclesiastici o
all’ambito monastico permette di affermare che l’individuo era un laico. Con
ancora maggiore convinzione lo si può dire di Rigetto, dal momento che è ri-
tratto senza gli attributi che qualificano ecclesiastici e monaci, come la chie-
rica, l’omophorion o lo scapolare. Piuttosto che ipotizzare un legame di pa-
rentela fra i due committenti 232, che abitualmente, quando esiste, è esplicita-
to nell’iscrizione votiva 233, si potrebbe pensare che per realizzare l’oratorio i
due donatori abbiano messo in comune le loro somme di denaro, offrendo
ciascuno un contributo di diversa entità e meritando in tal modo una diver-
sa visibilità. È probabile, infatti, che la partecipazione di Rigetto al compi-
mento della decorazione sia stata più modesta di quella di Giovanni, dato

228
A. M. D’Achille, Gli affreschi del Santuario della SS. Trinità sul Monte Au-
tore presso Vallepietra, in Atti e memorie della Società Tiburtina di Storia e Arte, 53,
1980, p. 41-63 (cfr. p. 60-62 e bibliografia nota 25); F. Gandolfo, Aggiornamento
cit., p. 259-260; H. Toubert, Un art dirigé cit., p. 13, 230, 243, 293, 322, 449;
S. Piazza, Peintures rupestres cit. Cfr. anche supra, p. 227-231.
229
E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 323; S. Moretti, Alle porte
di Roma cit., p. 127.
230
Sulla formula dedicatoria : infra, p. 238-239.
231
Il nome trova riscontro in un documento del Tabularium Sanctae Praxe-
dis, datato 1144, nel quale al figlio di un Rigittus viene ceduto in enfiteusi un ter-
reno alle porte di Roma : P. Fedele, Tabularium S. Praxedis, in ASRSP, XXVII,
1904, p. 28-78, XXVIII, 1905, p. 42-88 (p. 43). Cfr. : G. Savio, Monumenta Ono-
mastica Romana Medii Aevi (X-XII sec.), 5 voll., Roma, 1999, IV, p. 598 (scheda
no 114362).
232
S. Moretti, Alle porte di Roma cit., p. 131.
233
Infra, p. 238-239.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 93

che quest’ultimo si dichiara promotore dell’iniziativa nel suo complesso,


mentre l’altro è iconograficamente e concettualmente legato soltanto a san
Nicola, manifestando in questo modo la sua devozione al vescovo di Mira,
circostanza per altro niente affatto sorprendente visto l’intensificarsi del cul-
to nicolaico in area latina dopo la traslazione delle reliquie dalle coste occi-
dentali dell’Anatolia alla cattedrale di Bari avvenuta nel 1087 234. Anche i ri-
tratti di Pietro e Sebastiano trovano una loro giustificazione per la grande
diffusione del culto a loro tributato. Particolarmente radicata nel territorio
laziale a nord di Roma, invece, come attestano fonti tardomedievali e tradi-
zioni giunte fino ai giorni nostri, è la devozione nei confronti di sant’Egidio
ritratto nelle vesti di un monaco con scapolare sulla testa, assai simile al
santo rappresentato nell’abside di San Biagio a Nepi, tanto da far credere
che anche in questo caso, dove l’iscrizione onomastica è perduta, si sia volu-
to raffigurare lo stesso personaggio 235.
Un’ultima riflessione spetta all’intitolazione della chiesa rupestre che la
tradizione chiama «Grotta degli Angeli». Sulla base di un riferimento alla
chiesa di S. Arcangelo de Malliano nel registro delle decime versate fra il
1274 e il 1280, si è voluto credere che in epoca medievale l’oratorio scavato
nel tufo fosse dedicato a san Michele arcangelo 236. A parte il fatto, a nostro
avviso non trascurabile, che al suo interno il donatore Iohannes lascia me-
moria di sé in corrispondenza dell’immagine dell’arcangelo dell’Annuncia-
zione, Gabriele, mentre nessun elemento mette in risalto il parigrado Miche-
le, non ci sembra che ci siano elementi per giustificare una connessione del-
l’ambiente rupestre con il culto micaelico.
Più semplicemente riteniamo che dell’intitolazione originaria si sia per-
sa traccia e che la denominazione attuale derivi da entrambe le figure alate,
dipinte in bella mostra accanto al Cristo benedicente, indebitamente declas-
sate dal rango di arcangeli alla comune schiera angelica forse perché prive
dell’asta e del globo, abituali attributi degli arcistrateghi celesti.

Roma, Catacomba di Commodilla


La catacomba di Commodilla sorge poco oltre il primo miglio della via
Ostiense, a breve distanza dalla basilica di San Paolo fuori le mura. Il primo
ad accedere al complesso cimiteriale, in epoca moderna, fu Antonio Bosio
che nel 1595 visitò parte del reticolo di gallerie sotterranee attribuendole a
una fantomatica catacomba di Lucina 237. Tra la fine del XVII e gli inizi del

234
M. M. Lovecchio, San Nicola nell’arte in Puglia tra XI e XII secolo, in
G. Otranto, a cura di, San Nicola di Bari e la sua Basilica. Culto arte tradizioni,
Milano, 1987, p. 81-97.
235
B. Premoli, Gli affreschi di San Biagio a Nepi, in Commentari, 26, 1975,
p. 137-141 (p. 137); S. Moretti, Alle porte di Roma cit., p. 124, fig. 24.
236
G. Battelli, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Latium (Stu-
di e Testi, 128), Città del Vaticano, 1946, p. 395, 400, 402, 405, cfr. P. Chiricozzi,
Magliano cit., p. 18-19, 65. La tesi di Chiricozzi, di associare la Grotta degli Angeli
di Magliano al culto micaelico e di considerare Johannes de S. Arcangelo prove-
niente dalla chiesa rupestre, è stata accolta da Simona Moretti : S. Moretti, Alle
porte di Roma cit., p. 131.
237
A. Bosio, Roma sotterranea, Roma 1632, p. 170. Cfr. B. Bagatti, Il cimitero

.
94 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

XVIII secolo, fu la volta di Marcantonio Boldetti che in due occasioni pene-


trò nel cimitero ipogeo e contestualmente alla seconda visita riportò in uno
schizzo le sagome delle figure appartenenti a due dei pannelli pittorici ivi
conservati, ripromettendosi di tornarci di nuovo per meglio documentarli 238.
Il sopraggiungere di una frana improvvisa, però, ostruì il passaggio alla cata-
comba, impedendone l’accesso per quasi due secoli, precisamente fino al
1903, allorquando Orazio Marucchi, per conto della Pontificia Commissione
di Archeologia Sacra, diede inizio a una sistematica campagna di scavo e do-
cumentazione dell’ipogeo che si concluse nel 1906 239.
Dalla messe di dati che lo studioso poté acquisire in quella circostanza
fu chiaro che la catacomba altro non era che il coemeterium sanctorum Feli-
cis et Adaucti menzionato nel Liber pontificalis 240. Accanto al resoconto del-
l’indagine archeologica ed epigrafica a firma del Marucchi, nel medesimo
«Nuovo Bullettino di Archeologia Cristiana» del 1904, vide la luce un breve
articolo di Joseph Wilpert dedicato all’analisi di tre dipinti di «età relativa-
mente tarda», scoperti all’interno della catacomba, nel vano basilicale conte-
nente le tombe venerate, altrimenti denominato Galleria B 241. Fra le numero-
se testimonianze pittoriche presenti in questo ambiente, delle quali una ge-
nerazione più tardi avrebbe offerto un puntuale resoconto Bellarmino
Bagatti nel suo studio monografico, il Wilpert, trattò soltanto di quelle che
considerò di maggiore valore «essendo scarsissimo il numero delle pitture
del periodo susseguente alla sepoltura delle catacombe», e fra esse scelse so-
lo «le più importanti» 242, vale a dire : il pannello con la Traditio clavium, sul-
la parete ovest, in corrispondenza dell’ipotizzata tomba di Adautto (tav.
25 a); la monumentale rappresentazione della defunta Turtura al cospetto
della Vergine affiancata dai santi Felice e Adautto, al centro della stessa pa-

di Commodilla o dei martiri Felice ed Adautto presso la via Ostiense, Città del Vati-
cano, 1936, p. 146-147. Per una recente disanima sulle fasi della scoperta della ca-
tacomba di Commodilla, cfr. C. Carletti, Il santuario dei santi Felice e Adautto e la
catacomba di Commodilla, in J. G. Deckers, G. Mietke, A. Weiland, a cura di, Die
Katakombe «Commodilla». Repertorium der Malereien, Città del Vaticano-Mün-
ster, 1994, p. 3-27, spec. p. 3-4.
238
M. Boldetti, Osservazioni sopra i cimiterj de’ santi Martiri, ed antichi cri-
stiani di Roma, Roma 1720, p. 541-547. Il disegno sommario dei due pannelli pit-
torici, tracciato dal Boldetti, venne scoperto nella Biblioteca Capitolare di Verona
da Bonavenia : G. Bonavenia, Leggiero abbozzo (ossia copia) di due pitture ai
SS. Felice e Adautto in Commodilla che si conserva nella Biblioteca Capitolare di
Verona, in Nuovo Bullettino di Archeologia Cristiana, XIII, 1907, p. 277-289. Cfr.
J. Osborne, The Roman cit., p. 299; J. G. Deckers, G. Mietke, A. Weiland, Die Ka-
takombe cit., Die Katakombe, tav. 3.
239
C. Carletti, Il santuario cit., p. 4.
240
Liber pontificalis cit., I, p. 276. Cfr. O. Marucchi, Il cimitero di Commodil-
la e la basilica cimiteriale dei SS. Felice e Adautto ivi recentemente scoperta, in
Nuovo Bullettino di Archeologia Cristiana, 10, 1904, p. 41-160 (p. 42).
241
Ibid.; J. Wilpert, Di tre pitture recentemente scoperte nella basilica dei Santi
Felice e Adautto nel cimitero di Commodilla in Nuovo Bullettino di Archeologia Cri-
stiana, 10, 1904, p. 161-170.
242
Ibid., p. 162.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 95

rete (tav. 24 b); il riquadro con l’immagine di san Luca aderente alla parete
nord, a sinistra del vano absidale (tav. 24 c).
La Traditio clavium 243 accoglie un’estesa serie di personaggi, oltre ai tra-
dizionali protagonisti del tema iconografico 244. Ai lati del Cristo, seduto sul
globo – come nella versione della decorazione musiva dell’absidiola del mau-
soleo di Costantina ascrivibile alla seconda metà del IV secolo 245 –, vi sono le
figure dei due apostoli, Paolo e Pietro rispettivamente a destra e a sinistra. Il
primo, a sua volta, è affiancato dal martire Felice mentre il secondo dal gio-
vane Adautto, oggi quasi del tutto perduto. Ad una certa distanza da que-
st’ultimo, sul medesimo intonaco che gira l’angolo a seguire il profilo di una
sporgenza del muro, il pannello termina con la figura di santa Merita orante,
della quale resta soltanto la parte superiore con l’iscrizione onomastica,
mentre sul lato opposto la serie di personaggi si conclude con l’immagine
del diacono Stefano, anch’esso ritratto nella posa dell’orante. Nel registro in-
feriore, lo stesso intonaco presenta una coppia di palme che, collocate in
corrispondenza delle estremità laterali del pannello, completano la decora-
zione della tomba.
Il dipinto con la Vergine, Felice, Adautto e Turtura, ricomposto su un
pannello mobile e ricucito con integrazioni ad acquerello all’indomani della
vandalica frammentazione subita nel 1971, colpisce per le notevoli dimensio-
ni (2,2 m × 2,4 m), l’equilibrio delle figure che compongono il riquadro e la
qualità dell’esecuzione pittorica, percepibile nonostante le integrazioni mo-
derne che in alcuni casi attraversano pure i volti 246. Nella Vergine con Bam-

243
L. Spera, Tradito legis et clavium, in F. Bisconti, a cura di, Temi di icono-
grafia paleocristiana, Città del Vaticano, 2000, p. 288-293.
244
Cfr. J. Wilpert, Di tre pitture cit., p. 162-165; B. Bagatti, Il cimitero cit.,
p. 107-108; M. Andaloro, Pittura romana e pittura a Roma da Leone Magno a Gio-
vanni VII in Committenti e produzione artistico-letteraria nell’alto medioevo occi-
dentale, Spoleto, 4-10 aprile 1991, 2 voll., Spoleto, 1992 (Sett.CISAM, XXXIX), II,
p. 569-609, spec. p. 585-589; J. G. Deckers, G. Mietke, A. Weiland, Die Katakom-
be cit., p. 50-57, tavv. a colori 3-6; M. Della Valle, Il Cristo assiso sul globo nella
decorazione monumentale delle chiese di Roma nel Medioevo, in F. Guidobaldi,
A. Guiglia Guidobaldi, a cura di, Ecclesiae urbis. Atti del congresso internazionale
di studi sulle chiese di Roma, IV-X secolo, Roma, 4-10 settembre 2000, 3 voll., Città
del Vaticano, 2002, III, p. 1659-1684.
245
G. Matthiae, Mosaici medioevali delle chiese di Roma, Roma, 1967, p. 39-
41; F. Bisconti, Absidi paleocristiane di Roma : antichi sistemi iconografici e nuove
idee figurative, in F. Guidobaldi e A. Paribeni, a cura di, Atti del VI colloquio del-
l’Associazione italiana per lo studio e la conservazione del mosaico, Ravenna, 2000,
p. 451-462; S. Ciancio, I mosaici delle absidiole del mausoleo di Costantina : nuove
proposte interpretative, in F. Guidobaldi, A. Guiglia Guidobaldi, a cura di, Eccle-
siae urbis cit., III, p. 1847-1862, spec. 1851-1853.
246
Cfr. J. Wilpert, Di tre pitture cit., p. 166-170; B. Bagatti, Il cimitero cit.,
p. 108-110; R. Farioli, Pitture cit., p. 12-17, G. Matthiae, Pittura cit., p. 149-150;
J. Osborne, The Roman cit., p. 300-302; M. Andaloro, Aggiornamento cit., p. 234,
249; Eadem, Pittura romana cit., p. 587-589; M. Minasi, Madonna col Bambino
tra i santi Felice e Adautto e la donatrice Turtura, in A. Donati, a cura di, Romana
Pictura. La pittura romana dalle origini all’età bizantina, Rimini, 28 marzo-30 ago-
sto 1998, catalogo della mostra, Venezia 1998, p. 296-298; Eadem, Madonna in
trono col Bambino tra i SS. Felice e Adautto che presentano la defunta Turtura, in

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96 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

bino seduta sul trono con suppedaneum, avvolta in un maphorion purpureo


che dal capo, a coprire la bianca mitella, scende fino ai piedi calzanti panto-
fole rosse, è stata unanimemente riconosciuta la matrice bizantina, che ha
suggerito accostamenti con i mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna,
con quelli della basilica eufrasiana di Parenzo, con taluni dipinti di Bawit e
Saqqara, ma anche con esempi napoletani come il ritratto di Teotecno nelle
catacombe di San Gennaro a Napoli 247. E tuttavia è stato chiarito che l’eleva-
to gradiente greco non supera il confine del livello tipologico tant’è che l’ope-
ra può collocarsi agevolmente nell’orizzonte romano del primo VI secolo 248.
Lo rivela soprattutto l’immagine di Turtura, il cui volto, pervaso da un
forte verismo, manifesta una marcata coerenza con la tradizione ritrattistica
di stampo tardo imperiale 249. Le sue proporzioni, niente affatto trascurabili
nonostante la differenza di scala rispetto alle altre figure, la rendono figura
di primaria importanza all’interno della sacra rappresentazione. Posando la
mano sulla sua spalla, il retrostante Adautto sembra sancire l’inserimento
della defunta all’interno dello spazio ultraterreno, convenzionalmente com-
posto da una campitura pressoché omogenea, che da ocra si fa azzurra man
mano che sale ad evocare l’atmosfera rarefatta dell’empireo. La donna reca,
nelle mani velate, i ceri liturgici coperti da un velo bianco, offerta che porge
alla Vergine regina. A Turtura allude la lunga iscrizione dipinta alla base del
pannello ove il figlio tesse le lodi di sua madre, vedova virtuosa rimasta fede-
le al marito, dopo la morte di lui, per trentasei anni 250.
Poco distante, sul tratto di muro risparmiato dall’apertura dell’abside
della parete nord, si conserva isolata l’immagine di san Luca apostolo ritrat-
to, come il san Felice del pannello precedente, nelle sembianze di un uomo
anziano, canuto e barbuto, non molto dissimile dall’iconografia riservata di
consueto a san Pietro (tav. 24 c) 251. In mano regge un rotolo e la borsa conte-
nente gli strumenti chirurgici propria dei santi medici.
All’esame dei tre pannelli pittorici, Wilpert aggiungeva, in un saggio del
1908, alcune riflessioni e una convincente ricostruzione grafica di altri due

S. Ensoli e E. La Rocca, a cura di, Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cri-
stiana, Roma, 22 dicembre 2000-20 aprile 2001, catalogo della mostra, Firenze,
2000, p. 656-660.
247
M. Andaloro, Pittura romana cit., p. 588-589; M. Minasi, Madonna cit.,
p. 659.
248
M. Andaloro, Pittura romana cit., p. 588.
249
R. Farioli, Pitture cit., p. 15.
250
SVSCIPE NVNC LACRIMAS MATER NATIQVE SVPERSTIS / QVAS
FVNDET GEMITVS LAVDIBVS ECCE TVIS / POST MORTEM PATRIS SERVASTI
CASTA MARITI / SEX TRIGINTA ANNIS SIC VIDVATA FIDEM / OFFICIVM NA-
TO PATRIS MATRISQVE GEREBAS IN SVBOLIS FACIEM VIR TIBI VIXIT OBAS
/ TVRTVRA NOMEN ABIS TVRTVR VERA FVISTI / CVI CONIVX MORIENS NON
FVIT ALTER AMOR / VNICA MATERIA EST QVO SVMIT FEMINA LAVDEM /
QVOD TE CONIVGIO EXIBVISSE DOCES / HIC REQVIESCIT IN PACE
TVRTVRA (QVAE) BISIT PL / M ANNVS LX, cfr. O. Marucchi, Il cimitero di Com-
modilla cit., p. 143-144; J. Wilpert, Di tre pitture cit., p. 167; M. Minasi, Madonna
cit., p. 657.
251
Ibid.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 97

dipinti rinvenuti in frammenti all’interno della catacomba : l’uno ubicato in


corrispondenza della parete destra del sepolcro interposto fra le due absidi
della basilica cimiteriale, con Cristo che appare sopra santa Merita e incoro-
na Felice e Adautto (documentato ancora integro da Marcantonio Boldetti
all’inizio del ’700) 252, l’altro presente sul timpano soprastante la tomba a for-
no della galleria C, con un soggetto non molto distante dal precedente, raffi-
gurante cioè santa Merita ai lati i due santi eponimi 253.
Per quanto riguarda la cronologia dei dipinti, ad eccezione del pannello
con san Luca, assegnato agli anni dell’imperatore Costantino Pogonato (668-
685) per via dell’iscrizione dipinta alla base 254, Wilpert attribuiva i restanti ai
lavori di ampliamento e abbellimento della basilica cimiteriale promossi da
papa Giovanni I (523-526), ai quali allude il citato passo del Liber pontifica-
lis 255.
A distanza di un centinaio d’anni dai contributi dello studioso tedesco,
le ipotesi di datazione propendono per la medesima definizione cronologica,
anche se durante il secolo appena trascorso non sono mancati tentativi di
posticipare il pannello di Turtura al VII secolo soprattutto in forza delle so-
miglianze tra il volto di Felice e quello di san Luca, somiglianze che hanno
fatto pensare a una contemporaneità dei due interventi 256.
Di contro a questa linea interpretativa sembra ormai prevalere quella

252
J. Wilpert, Beiträge zur christlichen Archäologie VIII. Krypten und Gräber
von Märtyrern und solche von gewöhnlichen Verstorbenen, in Römische Quartal-
schrift für Kirchengeschichte, XXII, 1908, p. 74-195, spec. p. 110, fig. 15; G. Bona-
venia, Leggiero abbozzo cit., p. 277-281; B. Bagatti, Il cimitero cit., p. 15, 103.
253
J. Wilpert, Beiträge cit., p. 113, fig. 16; B. Bagatti, Il cimitero cit., p. 15, 82-
83; M. Andaloro, Pittura romana cit., p. 587.
254
«SVB TEMPORA CONSTANTINV AVGVSTO N FACTVM EST», J. Wil-
pert, Di tre pitture cit., p. 170. Sulla questione relativa all’identificazione di Con-
stantinus e la possibilità che si tratti di Costante II (641-668), Tiberio II Costanti-
no (578-582) o addirittura Costantino V (741-775), cfr. J. Osborne, The Roman
cit., p. 303-304 e bibliografia in nota.
255
J. Wilpert, Beiträge zur christlichen cit., p. 109-113. In particolare, per
quanto concerne la cronologia del pannello di Turtura, J. Wilpert proponeva una
datazione agli anni ’20 del VI secolo sulla base del supposto legame con un’epi-
grafe di una lastra databile agli anni 527-528 : E. Russo, L’affresco di Turtura nel
cimitero di Commodilla, l’icona di S. Maria in Trastevere e le più antiche feste della
Madonna a Roma, in Bullettino dell’Istituto Storico per il Medio Evo e Archivio
Muratoriano, LXXXVIII, 1979, p. 35-85, LXXXIX, 1980, p. 71-150, spec.
LXXXVIII, p. 39-48.
256
L’ipotesi di datazione espressa da J. Wilpert è stata in seguito sostanzial-
mente accettata da : B. Bagatti, Il cimitero cit., p. 109-110; R. Farioli, Pitture cit.,
p. 13-17; J. Osborne, The Roman cit., p. 300-305; M. Andaloro, Aggiornamento
cit., p. 234; Eadem, Pittura romana cit., p. 589-590; J. G. Deckers, G. Mietke,
A. Weiland, Die Katakombe cit., p. 61-65; M. Minasi, Madonna cit., p. 659-660. In
favore di una datazione del pannello di Turtura e del san Luca al VII secolo :
E. Kitzinger, Römische Malerei vom Beginn des 7. bis zur Mitte des 8 Jahrhun-
derts, Monaco, 1934, p. 21-22; C. Cecchelli, La pittura dei cimiteri cristiani dal V al
VII secolo, in Corsi di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina, IV, 1958, p. 45-56,
spec. p. 48; G. Matthiae, Pittura cit., I, p. 149.

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98 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

portata avanti da quanti, pur constatando le marcate analogie fra i due volti,
vi hanno colto sostanziali differenze formali che riguardano tanto le modali-
tà tecnico-esecutive che il ductus stilistico : più fluida e disinvolta la stesura
pittorica del volto di Felice, più secca e sbrigativa la resa del volto di san Lu-
ca. Da ciò è derivata l’opinione, a nostro avviso convincente, che il pittore in-
caricato di dipingere l’immagine dell’apostolo si sia ispirato al volto anziano
del grande pannello ubicato di fronte 257.

Roma, Catacomba di Felicita

Al secondo miglio della Salaria Nova, in corrispondenza dell’odierna via


Simeto, il portone di uno stabile moderno immette nella catacomba di Feli-
cita, altrimenti nota come cimitero di Massimo. Il nome di quest’ultimo si ri-
ferisce forse a colui che all’epoca della prima fase di sviluppo del complesso
ipogeo era proprietario del terreno soprastante 258. L’intitolazione alla marti-
re cristiana Felicita, invece, si spiega con la presenza, già nel IV secolo, di
una basilica sub divo edificata in corrispondenza del cimitero per accogliere
le sue spoglie 259.
Alla stessa epoca risale la notizia del trafugamento dai cubicoli sotterra-
nei del corpo di Silano, l’unico dei sette figli di Felicita che secondo le fonti
sarebbe stato sepolto in questo luogo dopo aver subito il martirio 260. Il recu-
pero delle sue reliquie, nella seconda metà del IV secolo, portò alla costru-
zione di una piccola basilica sotterranea all’interno del complesso catacom-
bale, presso il luogo della primitiva sepoltura 261.
Dell’edificio ipogeo resta l’invaso principale con due basi di colonna an-
cora in loco, frammenti marmorei pertinenti all’arredo liturgico e la scala
d’accesso 262. Su un’ampia parete di tufo, antistante il muro di fondo della ba-
silichetta, si conservano estesi brani di una pittura altomedievale raffiguran-
te in origine il Cristo al di sopra di Felicita affiancata dai suoi sette figli (tav.
62 a) 263.

257
R. Farioli, Pitture cit., p. 17; J. Osborne, Roman cit., p. 304-305.
258
G. B. De’ Rossi, Scoperta d’una cripta storica nel cimitero di Massimo ad
sanctam Felicitatem sulla via Salaria Nuova, in Bullettino di Archeologia Cristiana,
s. IV, a. III, 1884-1885, p. 149-184; V. Broccoli, a cura di, Corpus della scultura al-
tomedievale. La diocesi di Roma, V. Il suburbio, 1, Spoleto, 1981, p. 101-107; Ph.
Pergola, Le catacombe cit., p. 121-123; V. Fusco, Via Salaria. Catacomba di Felicita
(o di Massimo), in Ph. Pergola, R. Santangeli Valenzani e R. Volpe, a cura di, Su-
burbium. Il suburbio di Roma dalla crisi del sistema delle ville a Gregorio Magno.
Atti delle giornate di studio sul suburbio romano, Roma, École française de Rome,
16-18 marzo 2000, Roma, 2003 (Collection de l’École française de Rome, 311), sche-
da no 21 del cd-Rom.
259
Ph. Pergola, Le catacombe, p. 121.
260
Ibid.; V. Broccoli, Corpus cit., p. 101.
261
Ph. Pergola, Le catacombe cit., p. 121.
262
I frammenti marmorei sono riferibili all’intervento di restauro ad opera di
Bonifacio I (418-422) o al più tardi di papa Simmaco (498-514), V. Broccoli, Cor-
pus cit., p. 104.
263
J. Osborne, The Roman cit., p. 316-317; R. Farioli, Pittura cit., p. 33-35.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 99

Circondata da un fondo bianco, sul quale è stesa qualche pennellata


rossa a simulare le nuvole, l’immagine di Cristo è a mezzo busto, con il pal-
mo della mano destra aperto sul petto e rivolto verso l’esterno, mentre la si-
nistra è coperta dal pallio purpureo che si solleva oltrepassando l’altezza del-
la spalla in un ampio svolazzo.
In basso, ridotti a pochi lacerti, sono i ritratti degli otto martiri a figura
intera, in origine accompagnati dalle iscrizioni onomastiche, delle quali re-
stano alcune tracce : [PHILI]PPVS; MARTIA[LIS] 264. Nella figura centrale,
leggermente più alta delle altre, i lineamenti femminili permettono di rico-
noscere la figura di Felicita. Resti di una corona gemmata sopra l’aureola
del secondo personaggio a partire da destra fanno supporre che in origine
l’attributo del martirio fosse associato a ciascun santo.
Purtroppo, oltre alle estese lacune provocate dalla caduta della pellicola
pittorica, e in alcune zone dell’intonaco stesso, a causa dello sfaldamento del
tufo 265, il pannello ha subito due ampi tagli rettangolari prodotti «in tempo
ignoto e lontano» per aprire le tombe ricavate nella parete 266. Dal profilo del-
la bordura a doppia banda rossa e nera, sopravvissuta per un tratto lungo
l’estremità superiore e in un frammento sulla sinistra, si deduce che in origi-
ne la sezione inferiore con gli otto martiri aveva forma rettangolare, mentre
quella superiore, contenente l’immagine di Cristo, assumeva il profilo di una
lunetta semicircolare 267.
Sia per il tema rappresentato che per la disposizione delle figure, il pan-
nello di Felicita doveva risultare assai simile alla decorazione absidale di un
oratorio scoperto agli inizi del XIX secolo sul colle Oppio, presso le terme di
Tito, datato da De Rossi fra V e VI secolo, perduto ma documentato da
un’incisione 268.
La basilica ipogea del cimitero di Felicita ebbe verosimilmente vita bre-
ve visto che è attestata la traslazione delle reliquie dei martiri nella chiesa di
Santa Susanna da parte di Leone III (795-816) 269. Gli anni del suo pontifica-
to, quindi, costituiscono un probabile terminus ante quem per l’epoca di ese-
cuzione delle pitture, datate da De Rossi tra la fine del VII secolo e gli inizi
dell’VIII, poi anticipate da Raffaella Farioli agli anni a cavallo tra la fine VI e
gli inizi del VII, e infine di nuovo ricondotte ad epoca meno alta da John
Osborne che, con la dovuta cautela per un caso pittorico privo di «any inter-
nal chronological indications», si è espresso a favore di una datazione non

264
G. B. De Rossi, Scoperta cit, p. 169. Già De Rossi notò l’assenza nelle iscri-
zioni onomastiche della qualifica di «sanctus», Ibid., p. 169-170; J. Osborne, The
Roman cit., p. 317.
265
La cattiva qualità del tufo fu probabilmente la causa dell’interruzione del-
l’opera di scavo della catacomba, Ph. Pergola, Le catacombe cit., p. 121. Del resto,
all’indomani della scoperta delle pitture, «prima che si fosse potuto procedere al-
l’estrazione delle terre e macerie, la rovina pregna d’acque piovute a diluvio nella
stagione invernale scoscese e precipitò sulla parete ove era l’affresco, sempre più
ferendolo e sminuzzandolo», G. B. De Rossi, Scoperta cit, p. 153.
266
Ibid., p. 154.
267
Cfr. l’incisione di G. Mariani pubblicata da De Rossi, Ibid., tav. IX-X.
268
Ibid., p. 157-170, tav. XI-XII.
269
Ph. Pergola, Le catacombe cit., p. 122.

.
100 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

anteriore all’VIII secolo 270. D’altra parte, tenendo conto che il Liber pontifica-
lis attribuisce a papa Adriano I (772-795) interventi strutturali all’interno del
cimitero di Felicita, una datazione nell’ultimo quarto dell’VIII secolo sem-
brerebbe la più probabile 271. Meriterebbe comunque un approfondimento,
vista la sorprendente identità del tema, l’ipotesi di De Rossi circa il rapporto
di filiazione tra la decorazione absidale dell’oratorio del colle Oppio, che la
documentazione grafica di cui disponiamo mostra ancorata a un linguaggio
figurativo di sapore paleocristiano, e il più tardo pannello dell’ipogeo di Feli-
cita. La presenza in entrambi i contesti di un dettaglio come lo svolazzo del-
la veste del Cristo a mezzo busto sovrastante la serie di martiri sembrerebbe
costituire un valido indizio a favore dell’idea della ripresa di un’immagine
monumentale all’interno di un santuario del suburbio.

Roma, Catacomba di Generosa

Il cimitero ipogeo di Generosa, al sesto miglio della via Portuense, ven-


ne trovato accidentalmente nel 1867 dall’archeologo Wilhelm Henzen, du-
rante una campagna di scavo condotta su una collina coincidente in epoca
romana con il bosco sacro dei Fratres Arvales 272.
All’indomani della scoperta, venne invitato ad occuparsi dello studio
delle catacombe e delle emergenze paleocristiane del sopraterra Giovan Bat-
tista De Rossi, al quale fu subito chiaro, sulla base della convergenza di indi-
cazioni contenute nelle fonti e in alcune epigrafi, che il cimitero corrispon-
deva al luogo ove erano stati sepolti, forse in età dioclezianea, i martiri Sim-
plicio, Faustino, Viatrice e Rufiniano 273.
Quanto ai resti sub divo, l’indagine archeologica rivelò l’esistenza di una
piccola basilica degli anni di papa Damaso (366-384), composta da tre nava-
te e munita di abside in collegamento diretto, tramite una fenestella confes-
sionis, con il cubicolo venerato della catacomba 274.

270
G. B. De Rossi, Scoperta cit, p. 170; R. Farioli, La pittura cit., p. 33-35;
J. Osborne, The Roman cit., p. 317.
271
Liber pontificalis cit., I, p. 509.
272
G. Henzen, Scavi nel bosco sacro dei fratelli Arvali, Roma, 1868, p. VIII-IX.
273
G. B. De Rossi, Il cristiano sepolcreto scoperto presso il quinto miglio della
via Portuense è il cimitero di Generosa, in Bullettino di Archeologia Cristiana, 7,
1869, p. 1-16, spec. p. 1-2; Id., Roma sotterranea cristiana, 3 voll., Roma, 1864-
1877, III, p. 656-683.
274
G. B. De Rossi, Scoperta d’un cimitero cristiano nel bosco degli Arvali al
quinto miglio fuori porta portuense, in Bullettino di Archeologia Cristiana, 6, 1868,
p. 25-31; Id., Il cristiano sepolcreto cit., p. 1-16; Id., Roma sotterranea cit., III,
p. 647-697, I, tav. LI. Dal 1980 al 1986 i resti murari del sopraterra sono stati og-
getto di indagini archeologiche da parte dell’École française de Rome, svoltesi
sotto la direzione di Philippe Pergola : Ph. Pergola, La Magliana. Basilique cimé-
tériale de Generosa, in MEFRA, 99, 1987, p. 501-505; Id., Sanctuaires locaux et
sanctuaires internationaux à Rome : les cas des basiliques de Domitille et de Gene-
rosa, in Akten des XII. Internationalen Kongress cit., II, p. 1097-1100, spec. p. 1099-
1100; P. M. Barbini, Catalogo ragionato di ipogei e catacombe romane (entro il VI
miglio), in Ph. Pergola, Le catacombe romane, Roma, 1997, p. 107-243, spec.
p. 230-233. Sulle catacombe di Generosa, si veda anche : P. Styger, Die römi-

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 101

All’interno di quest’ultimo, sulla parete ovest, in coincidenza di una


tomba bisoma foderata di marmo, si rinvenne un’ulteriore prova del legame
cultuale fra i quattro santi martiri e il cimitero della Portuense, e cioè un
monumentale pannello raffigurante Cristo con il libro delle sacre scritture
affiancato da Faustino e Rufiniano, sulla destra, Simplicio e Viatrice, sulla
sinistra, ciascuno reggente in mano la corona del martirio (tav. 25 b) 275.
Purtroppo, in un momento imprecisabile che possiamo collocare tra il
1869 e il 1875 276, per ovviare a problemi di umidità ed efflorescenze saline, il
dipinto subì un intervento di «strappo» ad opera di Pellegrino Succi. L’ope-
razione causò danni irrimediabili : la pellicola pittorica fu privata non solo
del suo supporto parietale ma anche di quasi tutto lo spessore dello strato di
intonaco e inoltre il trasporto su tela provocò la perdita di gran parte delle
originarie rifiniture a secco, concentrate in massima parte nei volti, e conse-
guentemente comportò la stesura di nuove campiture, soprattutto in corri-
spondenza del fondo e delle pieghe dei panneggi 277. L’intervento, inoltre, de-
terminò la separazione del riquadro con i personaggi dalla zoccolatura a fin-
ti marmi, rimasta adesa alla parete di tufo.
Per risalire all’aspetto originario del testo pittorico, per fortuna, si può
contare su una preziosa foto del busto del Salvatore, eseguita dal Parker 278, e
l’acquerello di Giuseppe Gnoli pubblicato nella Roma sotterranea di De Ros-
si 279, entrambi antecedenti all’intervento di Succi. Se la prima serve a sma-
scherare il camuffamento messo in atto in occasione del restauro dell’800, sì
da poter constatare la perdita delle pennellate autentiche e l’invasiva presen-
za delle integrazioni (tav. 25 c-d), il secondo è utile per recuperare l’origina-
rio assetto del fondo, che nella parte inferiore era in «ocra gialla e terra bru-

schen Katakomben, Berlino, 1933, p. 303-305; E. Josi, Cimitero di Generosa. Ster-


ro della Basilica cimiteriale dedicata ai martiri Simplicio, Faustino e Viatrice sulla
via Portuense, in RivAC, 16, 1939, p. 323-326; J. Fink, Probleme in der Generosa-
Katakombe, ivi, 60, 1984, p. 235-257; R. Martorelli, Via Portuense. Catacomba di
Generosa, in Ph. Pergola, R. Santangeli Valenzani, R. Volpe, a cura di, Subur-
bium cit., scheda no 352 nel cd-Rom.
275
G. Henzen, Scavi cit., p. IX; G. B. De Rossi, Scoperta cit., p. 29. Per l’ana-
lisi del dipinto, alle considerazioni di De Rossi (Id., Il cristiano sepolcreto cit.,
p. 6-9, Id., Roma cit., p. 656-663), si sono aggiunti i contributi di : J. Wilpert, Le
pitture delle catacombe romane, Roma 1903, I, p. 457-458, II, tavv. 261-264;
R. Van Marle, La peinture romaine au Moyen Âge. Son développement du VIe jusq’à
la fin du XIIIe siècle, Strasburgo, 1921, p. 28; C. Cecchelli, La pittura cit., p. 47;
R. Farioli, Pitture cit., p. 10-13; G. Matthiae, Pittura cit., I, p. 148; M. Santa Ma-
ria, Le vicissitudini dell’affresco di Cristo fra i quattro Santi della catacomba di Ge-
nerosa, in RivAC, 60, 1984, p. 199-205; M. Andaloro, Aggiornamento cit., p. 253;
M. Minasi, Cristo tra i santi Simplicio, Faustiniano, Viatrice e Rufiniano, in A. Do-
nati, a cura di, Romana Pictura. La pittura romana dalle origini all’età bizantina,
Rimini, 28 marzo-30 agosto 1998, catalogo della mostra, Venezia, 1998, p. 298-
299.
276
M. Santa Maria, Le vicissitudini cit., p. 200, nota 5.
277
G. B. De Rossi, Roma cit., III, p. 656; J. Wilpert, Le pitture cit., p. 457;
M. Santa Maria, Le vicissitudini cit., p. 201; M. Minasi, Cristo cit., 299.
278
J. Wilpert, Le pitture cit., p. 458, fig. 47; M. Santa Maria, Le vicissitudini
cit., fig. 1.
279
G. B. De Rossi, Roma cit., III, tav. LI.

.
102 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

ciata» 280 e non rosso, come appare oggi, e simulava una cortina di stoffa
scandita da una serie di rientranze in corrispondenza di ciascun personag-
gio, «a guisa di paravento», mentre ora consiste soltanto in una campitura
omogenea senza soluzione di continuità 281.
Nell’impostazione generale, comunque, il pannello ha mantenuto le
sembianze originarie. Quanto alla foggia dei personaggi, ad esempio, se da
un lato le tonalità cromatiche appaiono di dubbia autenticità, dall’altro, sul-
la base del confronto con l’acquerello di Gnoli, possiamo stabilire che le di-
verse tipologie dell’abbigliamento si sono conservate nella loro integrità : il
Cristo appare vestito di un pallio monocolore, mutato dal porpora all’ocra,
Simplicio e Faustino indossano un pallio ocra su una tunica bianca con cla-
vo rosso che scende sulla spalla destra, Viatrice ha un pallio bordato di gem-
me e pietre preziose, Rufiniano indossa l’abito di corte con la clamide tablia-
ta 282.
Circa la datazione del dipinto, viene in aiuto la notizia riportata dal Li-
ber pontificalis secondo la quale al tempo del pontificato Leone II (682-683)
le reliquie di tre dei martiri sepolti nella catacomba, Simplicio, Faustino e
Viatrice, vennero traslate per essere custodite intra muros presso la chiesa di
Santa Bibiana 283. Il dato, oltre ad avere valore di per sé dal momento che
rappresenta la più antica testimonianza che si conosca relativa alla trasla-
zione di reliquie dai loca sancta del suburbio alle basiliche all’interno della
cinta muraria, può essere considerato un solido terminus ante quem per la
cronologia del dipinto, poiché è assai probabile che a questo evento debba
essere attribuito l’ampio taglio praticato in corrispondenza della metà infe-
riore del pannello per sottrarre le ossa dei martiri 284.
Ad eccezione di Wilpert, che la attribuì a un’epoca non posteriore alla
metà del IV secolo 285, fin dalla sua scoperta la pittura è stata datata quasi
unanimemente alla prima metà del VII secolo 286 e associata da Matthiae,
persuasivamente, alla corrente ellenizzante dell’angelo bello e dei Maccabei
in Santa Maria Antiqua, per via dell’alto livello qualitativo della stesura pit-
torica e della tecnica a macchia impiegata per i volti 287, oggi pienamente go-

280
J. Wilpert, Le pitture cit., p. 458.
281
Ibid., p. 457.
282
G. B. De Rossi, Roma cit., III, p. 656-664.
283
«[...] iuxta sancta Viviana, ubi corpora sanctorum Simplici, Faustini, Bea-
tricis atque aliorum martyrum recondidit», Liber pontificalis cit., I, p. 360. Succes-
sivamente, da Santa Bibiana le reliquie di Simplicio e Faustino vennero traslate
nella basilica di Santa Maria Maggiore, come attesta un’epigrafe ivi rinvenuta :
MARTYRES SIMPLICIVS ET FAVSTINVS / QVI PASSI SVNT IN FLVMEN TIBE-
RE ET POSI/TI SVNT IN CIMITERIVM GENEROSES SVPER / FILIPPI, G. B. De
Rossi, Il cristiano sepolcreto cit., p. 2.
284
G. B. De Rossi, Roma cit., p. 682-683.
285
J. Wilpert, Le pitture cit. 459.
286
G. B. De Rossi, Roma cit., III, p. 9; R. Farioli, Pitture cit., p. 12-13;
G. Matthiae, Pittura cit., I, p. 148; M. Andaloro, Aggiornamento cit., p. 663. Per la
fine del VI secolo propendeva il Van Marle (R. Van Marle, La peinture cit., p. 28),
mentre Cecchelli era orientato verso una datazione ancora più precoce, tra la fine
del V e gli inizi del VI (C. Cecchelli, La pittura cit., p. 47).
287
G. Matthiae, Pittura cit., I, p. 148.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 103

dibile quasi soltanto nel caso della santa Viatrice ma in origine comune a
tutti gli altri, come attesta la citata foto Parker che ha immortalato il volto di
Cristo prima dello stacco ottocentesco.

Roma, Catacomba di Ponziano

Oltre a contenere pitture risalenti al periodo iniziale del suo sviluppo,


collocabile nel corso del III secolo d.C., il cimitero di Ponziano conserva im-
portanti testimonianze figurative altomedievali attestanti la successiva tra-
sformazione della catacomba in santuario martiriale 288. I dipinti che si riferi-
scono a questa seconda fase sono dislocati in due zone del cimitero 289.
Si attribuisce in genere alla presenza delle reliquie dei martiri Pollion,
Milis e Pumenius, l’intervento di occlusione di una delle gallerie principali
tramite un muro a cortina che fa da supporto a un pannello pittorico raffi-
gurante lo stesso Pollion tra i santi Marcellino e Pietro (tav. 26 a) 290. I perso-
naggi sono riconoscibili grazie alle iscrizioni disposte tra le aureole in senso
verticale. Le due figure ai lati reggono il volumen mentre quella centrale so-
stiene la corona del martirio. Al di sotto dell’immagine con i tre santi, che
occupa il settore superiore del muro, la parete è ripartita in altri due registri.
Il mediano inquadra un’apertura interpretabile come fenestella confessio-
nis 291. Ai lati trovano spazio due specchiature a finto marmo di forma dise-
guale. Il registro inferiore è occupato da un grande riquadro anch’esso simu-
lante una decorazione marmorea.
L’intonaco dipinto prosegue senza soluzione di continuità sulla destra
dove si conserva un altro riquadro, con il ritratto del santo Milis e i resti di
Pumenius ai lati di una croce gemmata dalla quale si diparte nel tratto infe-
riore un cespo vegetale (tav. 26 c) 292. Sotto i bracci orizzontali della croce, a
destra e a sinistra, si leggeva un tempo l’iscrizione : INDVLGENTI[A] ABVN-

288
B. Manna, Contributi allo studio del cimitero di Ponziano sulla via Por-
tuense, in Bullettino della Commissione di Archeologia Comunale di Roma, 51
(1923), p. 163-224; P. M. Barbini, Catalogo cit., p. 227-230; V. Fiocchi Nicolai,
Considerazioni sulla funzione del cosiddetto battistero di Ponziano sulla via Por-
tuense, in Z. Mauri, M. T. Petraia, M. Sperandio, a cura di, Lazio fra antichità e
medioevo. Studi in memoria di Jean Coste, Roma, 1999, p. 323-332; M. Ricciardi,
Nuove ricerche sul battistero nella catacomba di Ponziano a Roma, in L’edificio
battesimale in Italia. Aspetti e problemi. Atti dell’VIII Congresso Nazionale di Ar-
cheologia Cristiana, Genova e altrove, 21-26 settembre 1998, Bordighera 2001, II,
p. 957-974; R. Martorelli, Via Portuense, catacomba di Ponziano, in Ph. Pergola,
R. Santangeli Valenzani e R. Volpe, a cura di, Suburbium cit., scheda no 349 del
cd-Rom.
289
Sulle pitture medievali di Ponziano : R. Farioli, Pittura cit., p. 17-29;
J. Osborne, The Roman cit., p. 317-322.
290
V. Fiocchi Nicolai, Considerazioni cit., p. 327; J. Osborne, The Roman cit.,
p. 319.
291
B. Manna, Contributi cit., p. 205-209; V. Fiocchi Nicolai, Considerazioni
cit., p. 327.
292
La fotografia che pubblicava Guglielmo Matthiae riproduceva il pannello
in uno stato di integrità che non corrisponde certo all’attuale (G. Matthiae, Pittu-
ra cit., I, fig. 77).

.
104 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

DA[N]S 293. La banda rossa che incornicia la raffigurazione corre pure nella
zona superiore dove contorna una tomba attualmente aperta e svuotata. Al
di sotto della croce è presente un’apertura voltata a botte, con resti di pittura
d’epoca precedente, comunicante con un cubicolo. Pare certo, in questo ca-
so, che si tratti di una fenestella confessionis 294. Ancora più in basso, il pan-
nello proseguiva con specchiature in finto marmo delle quali resta traccia
sulla sinistra.
Per quanto riguarda l’epoca d’esecuzione, la datazione di queste pitture
oscilla tra VI e VII secolo, con maggiore propensione nei confronti del termi-
ne meno alto, secondo John Osborne, per via delle analogie tra il pannello
con Milis e Pumenius e il mosaico della piccola abside di Santo Stefano Ro-
tondo (642-649) 295.
Un altro gruppo di pitture, più o meno contemporanee, si conserva al-
l’interno di un piccolo vano ubicato a destra della scala d’accesso. Si tratta
del rivestimento di una struttura in muratura a forma di «L» contenente due
tombe a cassone e delimitante il lato meridionale e quello orientale di una
vasca marmorea riempita dall’acqua di una falda, che oggi supera di molto il
livello antico fino a sommergere per buona parte la decorazione pittorica
(tav. 27 a) 296.
Circa la funzione di quest’ambiente sembrerebbe accertato, da quanto
emerge negli studi più recenti, l’utilizzo della vasca come fonte battesima-
le 297. L’ipotesi si basa soprattutto sul soggetto del pannello che riveste la pa-
rete orientale della struttura, un battesimo di Cristo (tav. 26 b). Il nucleo
centrale della scena, con il Battista che bagna Gesù immerso per metà nelle
acque del Giordano e la colomba dello Spirito Santo che sopraggiunge dal-
l’alto, è arricchito di due soggetti secondari, l’angelo che regge le vesti di Cri-
sto e il cervo che si abbevera nel fiume. Del primo sono rintracciabili esempi
contemporanei in area bizantina, del secondo è nota l’ampia diffusione fin
dall’epoca paleocristiana 298. Al di sotto del pannello con il Battesimo è una
nicchia voltata a botte che all’interno ospita l’immagine di una croce gem-

293
B. Manna, Contributi cit., p. 203. A differenza degli altri santi che indos-
sano un semplice pallio, Milis ha l’abito di corte con clamide e tablion.
294
Ibid., p. 207; J. Osborne, The Roman cit., p. 319.
295
J. Osborne, The Roman cit., p. 321. Anche Guglielmo Matthiae ipotizzava
una datazione agli inizi del VII secolo (G. Matthiae, Pittura cit., p. 147).
296
V. Fiocchi Nicolai, Considerazioni cit., p. 327; M. Ricciardi, Nuove ricer-
che cit., p. 967-972.
297
Ibid., p. 957 e bibl. in nota. La vasca del cimitero di Ponziano, tuttavia,
prima che si realizzassero le soprastanti pitture, potrebbe essere stata utilizzata
anche per altri scopi, come «la gestione e manutenzione dei cimiteri» e «lo svol-
gimento dei riti funerari» : Ricciardi, Nuove ricerche cit p. 972. Non è da esclude-
re per l’epoca medievale, quindi, un uso solo saltuario del piccolo ambiente come
battistero : «per il resto l’invaso poteva servire alle normali esigenze legate alla
frequentazione del cimitero», V. Fiocchi Nicolai, Considerazioni cit., p. 328.
298
F. Bisconti, L’iconografia dei battisteri paleocristiani in Italia, in L’edificio
battesimale in Italia. Aspetti e problemi. Atti dell’VIII Congresso Nazionale di Ar-
cheologia Cristiana, Genova e altrove, 21-26 settembre 1998, 2 voll., Bordighera,
2001, I, p. 405-440 (p. 424).

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 105

mata alla base della quale si dipartono fiori e rami erbosi, secondo una tipo-
logia già incontrata nel pannello con Milis e Pumenius. Dai bracci orizzonta-
li pendono le lettere «alfa» e «omega» con accanto un cero acceso.
Più a sinistra, sul lato meridionale della struttura muraria, si conserva
un pannello con un Cristo a mezzo busto, in posizione centrale e sopraeleva-
ta, ritratto nel gesto di porre le corone del martirio sulla testa dei santi Ab-
don e Sennen, sepolti in una vicina basilica sub divo secondo quanto riferito
dagli itinerari altomedievali (tav. 27 a) 299, affiancati dai santi Milix e Bicen-
tius in posa orante. Su una banda rossa soprastante corre l’iscrizione votiva
del committente : DE DONIS DEI ET SANCTORVM ABDON ET SENNEN
GAVDIOSVS FECIT 300. A sinistra del pannello l’intonaco gira sul lato corto
della struttura dove è raffigurata un’altra croce gemmata.
All’insieme delle pitture di questo ambiente, frutto di un unico interven-
to pittorico, è legato il dipinto con l’immagine di Cristo benedicente a mezzo
busto che ricopre la lunetta soprastante la rampa d’accesso alla catacomba
(tav. 27 c) 301. La contemporaneità dell’opera con i dipinti appena descritti è
comprovata, oltre che dalle affinità stilistiche, dall’iscrizione votiva alla base
del pannello che contiene anch’essa il nome del committente Gaudiosus 302.
Un’altra immagine di Cristo a mezzo busto si conserva poco più in bas-
so, sulla volta della stessa galleria di accesso (tav. 62 b). La figura regge un
codice che riporta l’iscrizione : DOMINVS LEGEM DAT 303 ed è caratterizzata
da un’aureola decorata con una doppia fila di perle contornante anche il
profilo della croce gemmata al suo interno. Proprio l’impiego della perlina-
tura ha fatto sì che questo pannello venisse datato ad epoca più tarda, fra XI
e XII secolo, in analogia con il busto di Cristo dell’oratorio di San Gabriele
sull’Appia e di quello dell’ipogeo di Ardea 304.

Roma, Catacomba di San Calepodio


Sorta all’altezza del terzo miglio dell’Aurelia antica tra la fine del II se-
colo e gli inizi del III, la catacomba di San Calepodio fu identificata alla fine
dell’800 da Giovan Battista De Rossi e venne fatta oggetto di un’estesa cam-
pagna di scavi condotta da Aldo Nestori, per conto della Pontificia Commis-
sione di Archeologia Sacra, negli anni 1959-1960 305. Già prima della metà del

299
V. Fiocchi Nicolai, Considerazioni cit., p. 327, 329, P. M. Barbini, Catalo-
go ragionato cit., p. 228; M. Ricciardi, Gli edifici di culto del sopraterra della cata-
comba di Abdon e Sennen sulla via Portuense, in F. Guidobaldi e A. Guiglia Gui-
dobaldi, a cura di, Ecclesiae urbis cit., I, p. 661-676.
300
J. Osborne, The Roman cit., p. 320.
301
Infra, p. 212-213.
302
«DE DONIS D[OMIN]I GAVDIOSVS FECIT» Ibid., p. 326. Cfr. infra,
p. 213.
303
Da Garrucci e Wilpert era stato letto erroneamente «Dominus lucem
dat» : V. Fiocchi Nicolai, Considerazioni cit., p. 328.
304
J. Osborne, The Roman cit., p. 322.
305
A. Nestori, L’area cimiteriale sopra la tomba di S. Callisto sulla via Aurelia,
in RivAC, XLIV, 1968, p. 161-172; Id., La catacomba di Calepodio al III miglio del-
l’Aurelia Vetus e i sepolcri dei Papi Callisto I e Giulio I, ivi 47, 1971, p. 169-278
(I parte), 48, 1972, p. 193-233 (II parte). Sulle catacombe di Calepodio si veda an-

.
106 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

III secolo, quando il cimitero ipogeo aveva ormai raggiunto la sua massima
estensione con uno sviluppo su tre piani, una delle gallerie del primo livello,
ospitante le spoglie di papa Callisto (217-222), venne pavimentata con lastre
di marmo e dotata di una mensa cilindrica in muratura tutt’ora esistente 306.
Un secolo più tardi l’ambiente con la tomba venerata fu ampliato per far po-
sto a una basilichetta rivestita di una decorazione pittorica a fasce rosse 307.
Il processo di sacralizzazione del sepolcro di Callisto proseguì nei primi
secoli dell’altomedioevo come si evince da alcuni dati : la realizzazione, già
nel corso del VI secolo, di un muro absidato e di due scale, descensionis et
ascensionis, per incanalare il flusso dei fedeli 308 ; l’inserimento del cimitero
ipogeo nella Notitia Ecclesiarum Vrbis Romae (VII secolo), fra le tappe obbli-
gate dell’itinerario di pellegrinaggio ai loca sancta del suburbio romano 309 ; il
ritrovamento di porzioni di intonaco dipinto appartenenti a un intervento
decorativo databile, come vedremo, al terzo decennio dell’VIII secolo 310.
Dell’insieme dei frammenti pittorici, rinvenuti in «notevole numero» 311,
se ne conserva circa una ventina, parte ancora in situ e parte esposti lungo la
parete nord all’interno e intorno ai loculi di una tomba (tav. 63 a). Essi raffi-
gurano tracce, e talvolta porzioni consistenti, del ciclo agiografico del marti-
rio di Callisto, santi in posa frontale e l’avanzo di una scena riferibile a un
episodio della vita di Cristo.
Tralasciando i resti della decorazione tardoantica e qualche frammento
di intonaco che conserva iscrizioni graffite 312, riportiamo qui di seguito l’e-

che : N. Verrando, L’attività edilizia di papa Giulio I e la basilica al III miglio della
via Aurelia «ad Callistum», in MEFRA, 97, 2, 1985, p. 1021-1061, spec. p. 1039-
1040, 1050-1061; Id., Analisi topografica degli antichi cimiteri sotterranei ubicati
nei pressi delle due vie Aurelie, in RivAC, LXIII, 1987, p. 293-357, spec. p. 333-357;
Ph. Pergola, Le catacombe romane. Storia e topografia, Roma, 1997, p. 237;
P. Guerrini, Via Aurelia. Cimitero di Calepodio, in Ph. Pergola, R. Santangeli Va-
lenzani, R. Volpe, a cura di, Suburbium cit., scheda no 367 del cd-Rom. Quanto
all’intitolazione del complesso cimiteriale, il nome di Calepodio risponde a un
presbitero romano citato nella passio Callisti come compagno di Callisto : N. Ver-
rando, La ‘Passio Callisti’ e il santuario della via Aurelia, in MEFRA, 96, 1984,
p. 1039-1083, spec. p. 1052-1054.
306
A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 195, 274; N. Verrando, L’attività
cit., p. 1050-1054.
307
A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 192-193.
308
Ibid., p. 277-278. N. Verrando, L’attività cit., p. 1056-1057.
309
Ibid., p. 1040.
310
A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 203-212. Sulle pitture delle cata-
combe di Calepodio : N. Verrando, La Passio cit., p. 1077-1083; J. Osborne, The
Roman Catacombs cit., p. 313-316; L. Jessop, Pictorial cycles of non-biblical
saints : the seventh-and eighth-century mural cycles in Rome and contexts for their
use, ivi, 68, 1999, p. 233-279, part. p. 272-278; M. Andaloro, Aggiornamento cit.,
p. 292-293.
311
A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 203.
312
Oltre ai resti della primitiva decorazione a bande rosse (Ibid., p. 192-193),
e alcuni frammenti di intonaco con graffiti (Ibid., p. 207-209, fig. 5) lungo la pa-
rete nord del cubicolo si conservano due frammenti pittorici con le tracce di un
quadrupede dipinto in nero e grigio su fondo bianco che «provengono sicura-
mente da un altro monumento» e aderiscono a questa parete perché reimpiegati

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 107

lenco dei dipinti frammentati relativi all’intervento altomedievale, citati da


Nestori, nel suo studio, in ordine sparso 313.

Frammenti ancora in situ :


1. donna velata ai piedi di un personaggio maschile : frammento del No-
li me tangere (tavv. 28 b, 63 c) 314
2. tracce dell’estremità inferiore di due figure 315
3. resti di iscrizione con le lettere «[...]NS REDI[...]» 316
4. tracce di un santo in posa frontale con campagi 317

Frammenti erratici :
5. Callisto viene trascinato con una corda al collo verso il pozzo; in alto
a destra si legge «[CALLIX]TVS», in basso a destra «P/VTE[VS]» (tav.
63 d) 318
6. raffigurazione del pozzo con due mani in corrispondenza della vera
(tav. 63 b) 319
7. iscrizione «IN PVTEV[M] / [IACT]ANT SCM / [CA]L[LI]STVM» 320
8. mano raffigurata nel gesto di compiere la benedizione con l’indice e il
medio tesi e le altre tre dita ripiegate 321

come strato di allettamento di un rivestimento in opus sectile (Ibid., p. 199,


fig. 17).
313
Ibid., p. 190-212.
314
Misure : cm 52 × 40; ubicazione : lato sud del cubicolo, a sinistra del-
l’ingresso. Nestori identificava il frammento come parte di una «Lavanda dei pie-
di», Ibid., p. 190. Secondo una diversa linea interpretativa si tratta di un episodio
della passio Callisti : N. Verrando, La Passio cit., p. 1079-1080.
315
Misure : cm 38 × 24; ubicazione : lato sud del cubicolo, a destra del-
l’ingresso. Cfr. A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 191, fig. 13. Anche in que-
sto caso Verrando ha proposto di identificare il frammento con un episodio della
passio Callisti : N. Verrando, La Passio cit., p. 1080.
316
Misure : cm 15 × 13; ubicazione : lato sud del cubicolo, sopra l’arco d’in-
gresso. Cfr. A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 192, fig. 14.
317
Misure : cm 51 × 24; ubicazione : lato nord del cubicolo, a destra dei due
loculi della tomba laterale. Cfr. Ibid., p. 201, fig. 19. Un’identificazione dell’indivi-
duo con l’immagine in versione votiva del martire Asterio di Ostia, personaggio
che nella passio recupera Callisto dal pozzo, è stata proposta da Verrando :
N. Verrando, La Passio cit., p. 1080.
318
Misure : cm 52 × 27. Cfr. A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 203,
fig. 20; N. Verrando, La Passio cit., p. 1081.
319
Misure : cm 18 × 12,5. Cfr. A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 205,
fig. 21. Diversamente, Verrando proponeva di attribuire il frammento a un episo-
dio precedente o successivo al martirio : N. Verrando, La Passio cit., p. 1081.
320
Misure : cm 21,5 × 19. Cfr. A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 206,
fig. 22. Secondo Verrando l’iscrizione proveniva dalla parte superiore della scena
del martirio e la sagoma grigia tondeggiante al centro del frammento poteva
«corrispondere alla testa dello sgherro che spinge verso il pozzo la testa del mar-
tire», N. Verrando, La Passio cit., p. 1081.
321
Misure : cm 8 × 8. Di recente Lesley Jessop ha proposto di identificare
questo frammento con la mano dell’imperatore ritratto al momento di impartire

.
108 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

9. tracce dell’estremità inferiore di una figura con tunica bianca, calze


nere chiuse da stringhe 322
10. trasporto di Callisto al sepolcro 323 o più probabilmente recupero del
corpo di Calepodio dopo che era stato gettato nel Tevere (tav. 28 a) 324
11. frammento con iscrizione «DOM(V)S CALLISTI» 325
12. volto di santo con capigliatura nera e tonsura 326
13. testa di soldato con elmo 327
14. santo vescovo con omophorion crucesignato 328
15. frammento di pallio crucesignato 329
16. parte di una testa maschile con barba e capigliatura grigio-bianca,
forse san Pietro 330
Nel resoconto degli scavi, Aldo Nestori ipotizzava che i frammenti pro-
venissero da due campagne pittoriche cronologicamente distinte, seppure
realizzate in tempi non troppo lontani 331. Lo studioso divideva gli intonaci in
due gruppi tenendo conto della predominante del fondo rosso per alcuni e
del fondo grigio per altri 332. L’ipotesi dell’esistenza di due fasi pittoriche si
basava sul riscontro della presenza del pozzo, alludente all’episodio finale
del martirio di Callisto, in un frammento di entrambi i gruppi (nn. 5 e 6; tav.
63 b, d) 333. L’insieme dei frammenti a fondo rosso, per Nestori distinguibile
dal gruppo dei grigi anche dal punto di vista stilistico, veniva attribuito al-
l’intervento pittorico più antico 334.
La revisione dei dipinti frammentati, tuttavia, mi ha permesso di re-

l’ordine del supplizio (L. Jessop, Pictorial cycles cit., p. 274). Nestori vi riconosce-
va, invece, il gesto «della parola» : A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 206-
207, fig. 23.
322
Misure : cm 7 × 11. Cfr. Ibid., p. 207, fig. 24.
323
Misure : cm 50 × 47. Cfr. Ibid., p. 208, fig. 25.
324
Secondo l’interpretazione di Verrando, mossa dalla lettura del racconto
agiografico e piuttosto persuasiva, dietro i personaggi si distinguerebbe «una
porta ad arco monumentale sorgente all’estremità del ponte» : N. Verrando, La
Passio cit., p. 1082.
325
Misure : cm 17 × 9. Cfr. A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 209.
326
Misure : cm 15 × 18. Cfr. Ibid., p. 209, fig. 26. Come per il volto del fram-
mento no 4, secondo Verrando, si sarebbe trattato di Asterio, un personaggio del-
la Passio Callisti, in questo caso appartenente ad una scena del ciclo : N. Verran-
do, La Passio cit., p. 1080.
327
Misure : cm 11 × 11. Cfr. A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 209,
fig. 27.
328
Misure : cm 13 × 19. Cfr. Ibid., p. 209, fig. 28.
329
Misure : cm 4,5 × 5. Cfr. Ibid., p. 209.
330
Misure : cm 8 × 10. Si tratta di un frammento non rinvenuto all’interno
dell’ambiente sepolcrale bensì nella terra che occupava la scala d’accesso : Ibid.,
p. 181.
331
Ibid., p. 203, 211.
332
Ibid., p. 203-205.
333
Ibid., p. 203-205, figg. 20-21.
334
Ibid., p. 205.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 109

spingere l’ipotesi dell’esistenza di due strati distinti, dopo che già forti dubbi
erano stati sollevati in precedenti studi 335.
Innanzitutto lascia perplessi il fatto che nel frammento no 6, raffiguran-
te il pozzo, sia stato visto un fondo «dipinto in grigio» (tav. 63 b) 336, mentre
esso risulta giallo-ocra ed il pozzo stesso appare rosso. Su questo frammen-
to, quindi, sono stati usati i medesimi colori impiegati per quello che provie-
ne dalla scena di martirio (n. 5, tav. 63 d). In quest’ultimo, inoltre, non ci
sembra di individuare il disegno di un pozzo : osservandolo da vicino, sotto
al volto di Callisto si notano soltanto le corde alle quali, verosimilmente, do-
veva essere legato il macigno utilizzato per provocare l’annegamento 337. Con
ogni probabilità, quindi, i due frammenti appartengono ad episodi della sce-
na del martirio di Callisto disposti in sequenza.
Un altro riscontro, infine, sembra azzerare qualsiasi giustificazione al-
l’ipotesi di due diversi interventi pittorici. Esaminando i due brani ancora in
situ ai lati dell’ingresso (nn. 1-2), che Nestori attribuiva a fasi distinte sulla
base della predominanza del rosso per quello di sinistra e del grigio per quel-
lo di destra (tav. 28 b-c) 338, ci si è convinti dell’identità di esecuzione dal mo-
mento che entrambi terminano, nel tratto inferiore, con una banda nera
profilata di bianco, comune elemento di bordura che non può che dimostra-
re l’appartenenza di ambedue alla stessa stesura pittorica.
Alla luce di queste considerazioni possiamo affermare che le predomi-
nanti rosse e grigie di taluni frammenti sono riferibili alla divisione del fon-
do in due settori : in rosso – e talvolta in giallo – è stato dipinto quello infe-
riore, alla campitura grigia, invece, è stato riservato lo spazio di quello supe-
riore, come è tipico della pittura medievale ogniqualvolta si debba simulare
il cielo e non siano disponibili i più preziosi pigmenti azzurri.
Ricondotti ad un unico intervento pittorico, i frammenti di intonaco of-
frono la possibilità di avere un’idea sommaria del programma figurativo
adottato per l’intera decorazione. Coerentemente con la funzione dell’am-
biente sepolcrale, lungo la parete settentrionale che ospitava la tomba vene-
rata si dispiegava il ciclo agiografico del martirio di Callisto che, ispirato alla
passio del santo, comprendeva probabilmente episodi riguardanti la vita del
pontefice, dai quali sembrerebbero provenire le immagini dei personaggi in
abiti vescovili, e il frammento con l’iscrizione «DOM(V)S CALLISTI»
(nn. 11, 14, 15), nonché alcune scene del martirio, con l’arresto di Callisto,

335
All’ipotesi dei due strati non hanno creduto Dale Kinney (D. Kinney,
S. Maria in Trastevere from its Founding to 1215, Ph.d., New York University 1975,
p. 80) e Giovanni Nino Verrando (N. Verrando, La Passio cit., p. 1077-1078). An-
che John Osborne ha sollevato perplessità in proposito : J. Osborne, The Roman
cit., p. 314.
336
A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 205. Nello stesso errore è incorsa
Lesley Jessop : «A smaller fragment shows a well, full of water, set against a grey
background», L. Jessop, Pictorial cycles cit., p. 275.
337
«Ligatoque ad collum eius saxo» : De S. Callisto seu Callixto Papa martyre,
in AASS, Octobris tomus sextus, Parigi, Roma, 1867, coll. 430, 439, 441.
338
A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 190-191. Cfr. supra, p. 107, fram-
menti nn. 1 e 2.

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110 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

cui appartiene con ogni probabilità la testa del soldato (n. 13), e ovviamente
il trasporto del papa con il cappio al collo verso il pozzo (n. 5, tav. 63 d), il
lancio del martire nel pozzo (nn. 6, 7, tav. 63 b), il trasporto delle spoglie del
santo (n. 10, tav. 28 a), interpretabile come la deposizione al sepolcro 339 op-
pure il rinvenimento del corpo nel fiume Tevere 340. Il frammento che presen-
ta il volto di santo con capigliatura nera e tonsura (n. 12) e il personaggio
con campagi raffigurato su una porzione di intonaco ancora adesa alla pare-
te, a destra della tomba (n. 3), permettono di asserire che la decorazione
ospitava anche una serie di santi a figura intera ritratti nella posa frontale.
Lungo la parete opposta trovava posto, probabilmente, un ciclo cristo-
logico, come lascia pensare il frammento ancora in situ con la donna ingi-
nocchiata ai piedi di un individuo con i sandali (n. 1), che senza validi motivi
è stata associata ad una «Lavanda dei piedi» ed è invece da ricondurre, con
ogni probabilità, all’episodio del Noli me tangere, volendo riconoscere Maria
Maddalena nella figura femminile prostrata a terra e il Cristo nell’uomo raf-
figurato in piedi 341. Potrebbe provenire da una scena della stessa parete il
frammento con la testa canuta con barba (n. 16) che sembrerebbe apparte-
nere all’iconografia petrina.
I contributi successivi all’analisi di Nestori hanno permesso di circoscri-
vere la datazione dell’esecuzione pittorica, che lo studioso aveva assegnato
ai secoli VII e VIII (senza però escludere una cronologia più tarda entro il se-
condo quarto del IX) attribuendo il valore di terminus ante quem alla trasla-
zione intra muros delle spoglie di Callisto voluta da papa Gregorio IV (827-
844) 342. Secondo un’ipotesi che ha incontrato consensi anche di recente, le
pitture dell’ambiente ipogeo sarebbero da associare all’intervento di Grego-
rio III (731-741) visto che nel Liber pontificalis il pontefice risulta promotore
della ricostruzione e della decorazione pittorica di una basilica sancti Cali-
sti 343.
La proposta attributiva, che converge con un orientamento cronologico
ipotizzabile sul piano stilistico, si scontra ovviamente con l’uso del termine
basilica, sulle prime difficilmente conciliabile con uno spazio sotterraneo,
per giunta di limitate proporzioni 344, e tuttavia a suo favore sono state chia-
mate in causa due argomentazioni : la notizia che Gregorio III inaugurò la
prassi di celebrare la messa nei cimiteri suburbani in occasione del dies na-

339
Ibid., p. 207, fig. 24.
340
N. Verrando, La Passio cit., p. 1082.
341
Già Osborne aveva pensato all’ipotesi che nel personaggio femminile si
potesse riconoscere la Maddalena oppure «some unknown episode in the life of
Callixtus», J. Osborne, The Roman cit., p. 314. Secondo Verrando, invece, si trat-
terebbe di un episodio tratto dalla Passio Callisti, N. Verrando, La Passio cit.,
p. 1079-1080.
342
A. Nestori, La catacomba cit., I parte, p. 211 e nota.
343
«Hic etiam basilicam sancti Calisti pontificis et martyris, pene a fundamen-
tis dirutam, novis fabricis cum tecto construxit ac totam depinxit», Liber pontifica-
lis cit., I, p. 419. Cfr. : D. Kinney, S. Maria in Trastevere cit., p. 73-81; N. Verran-
do, L’attività cit., p. 1054-1060; J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 315.
344
Sul riscontro del termine basilica in associazione ad ambienti ipogei, in
un numero limitato di casi : N. Verrando, L’attività cit., p. 1043.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 111

talis dei martiri ivi sepolti, riferita anch’essa dal Liber pontificalis 345, e il fatto
che nel VII secolo la Notitia ecclesiarum urbis Romae menzioni il sepolcro di
Callisto con il termine ecclesia 346.

Roma, Catacomba di San Callisto

La catacomba di San Callisto ospita alcune testimonianze pittoriche


d’età medievale in corrispondenza di due ambienti distinti : la cripta di San-
ta Cecilia, entro il settore chiamato «area prima callistiana» 347, e il sepolcro
di papa Cornelio (251-253), all’interno di un gruppo di gallerie denominate
«cripte di Lucina», facenti parte di un’area cimiteriale più piccola che si
estende a nord-est del complesso maggiore 348.
Per la decorazione che riveste l’ampio lucernario della cripta di Cecilia,
assai più leggibile da quando nel 1989 è stata sottoposta a un accurato re-
stauro, Frabrizio Bisconti ha proposto una datazione tra l’inizio del V secolo
e i primi decenni del successivo, con maggiore probabilità in coincidenza
degli ultimi anni del pontificato di Simmaco (498-514) 349. Mediante un’anali-
si meticolosa, agevolata dalla pulitura della pellicola pittorica, lo studioso ha
potuto riconoscere nelle pitture del lucernario il settore centrale di una rap-
presentazione in tre registri che si dispiegava su tre pareti.
Per quanto riguarda il soggetto del riquadro più in alto, laddove De Ros-
si pensava vi fosse l’immagine della martire Cecilia nell’attitudine dell’oran-
te 350, è stata notata l’insolita versione iconografica di un santo che sostiene
all’altezza della vita un codex aperto con il dorso rivolto verso l’osservatore,
ritratto, quindi, mentre è intento a leggere 351. Alla stessa altezza del perso-
naggio, ma sulla parete adiacente che volge a sinistra, i restauri hanno mes-
so in luce i resti di altre due figure con tunica e pallio, mentre al di sotto, en-
tro una banda rettangolare, si distinguono due agnelli ai lati di una croce 352.
Ancora più in basso, in un ampio riquadro, sono raffigurati tre santi con tu-

345
L. Jessop, Pictorial cycles cit., p. 277-278.
346
J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 316.
347
U. M. Fasola, Scoperta di nuovi dati monumentali per lo studio dell’area
prima callistiana, in RivAC, 59, 1983, p. 257-273; L. Spera, Il paesaggio suburbano
di Roma dall’antichità al Medioevo. Il comprensorio tra le vie Latina e Ardeatina
dalle mura aureliane al III miglio, Roma, 1999, p. 124-127.
348
L. Reekmans, La Tombe du pape Corneille et sa ragion cémétériale, Città
del Vaticano, 1964, p. 107-184; H. Brandenburg, Das Grab des Papstes Cornelius
und die Lucinaregion der Calixtus-Katakombe, in Jahrbuch für Antike und Chri-
stentum, 11-12, 1968-69, p. 41-54; L. Spera, Il paesaggio cit., p. 124.
349
F. Bisconti, Scoperta cit., p. 462-463; Id., Il lucernario di S. Cecilia. Recenti
restauri e nuove acquisizioni nella cripta callistiana di S. Cecilia, in RivAC, 73,
1997, p. 307-339.
350
G. B. De Rossi, La Roma sotterranea cit., II, p. 114.
351
Già Fasola aveva fornito l’esatta identificazione del soggetto : U. M. Faso-
la, Catalogo delle fotografie di antichità cristiana, Città del Vaticano, 1973, p. 143.
Cfr. F. Bisconti, Il lucernario cit., p. 317-321.
352
Ibid., p. 321.

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112 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

niche bianche clavate in nero, che le iscrizioni onomastiche sopra le teste


permettono di identificare con Policamo, Sebastiano e Quirino 353.
Quasi al di sotto del lucernario, il tratto di muro che confina con l’in-
gresso alla Cripta dei Papi fa da supporto, nella zona superiore, ad alcuni
brani di mosaico e ad uno strato di pittura con l’immagine di un’orante, sia i
primi che il secondo riferibili ad età paleocristiana; invece, nella zona infe-
riore si conservano due dipinti d’epoca medievale (tav. 64 a) : un Cristo be-
nedicente che riveste la superficie concava di una nicchia e accanto un pic-
colo riquadro con l’immagine di un sant’Urbano (S VRBANVS), con ogni
probabilità papa Urbano I (223-230) 354. Anche se di scala diversa e collocati
su superfici difformi, è possibile attribuire i due dipinti al medesimo inter-
vento 355, poiché condividono la stessa gamma cromatica e soprattutto identi-
ca risulta l’insolita colorazione ocra-rossastra dell’intonaco che emerge lad-
dove è caduta la pellicola pittorica.
Per quanto riguarda l’epoca d’esecuzione, alcuni elementi iconografici,
come il segno della croce sull’omophorion del santo all’altezza delle spalle e
la decorazione gemmata all’interno del nimbo crucesignato di Cristo, oltre
all’uso della sola lettera «S» come abbreviazione della parola sanctus nell’i-
scrizione onomastica, hanno convinto John Osborne a datare le due pitture
all’XI secolo 356. L’attribuzione dell’intervento pittorico al pieno medioevo sta
a dimostrare che nel santuario ipogeo il culto della martire Cecilia soprav-
visse alla traslazione delle reliquie, prelevate durante il pontificato di Pa-
squale I (817-824) per essere riposte all’interno dell’omonima basilica traste-
verina 357.
Le cripte di Lucina ospitano il secondo nucleo pittorico di epoca tarda.
Si tratta di due pannelli che aderiscono alla muratura di sostegno di un lu-
cernario, ricavato all’interno della cripta di papa Cornelio al tempo di papa
Damaso (366-384) 358. Ai lati della tomba di Cornelio, sono state dipinte quat-

353
Sopra le teste dei tre personaggi distintamente si legge : POLICAMVS; SA-
BASTI/ANVS; CYRINVS. Ibid., p. 321-327.
354
G. B. De Rossi, La Roma cit., II, p. 113-122; J. Wilpert, La cripta dei papi e
la cappella di Santa Cecilia nel cimitero di Callisto, Roma, 1910, p. 45-46; R. Fario-
li, Pitture di epoca tarda nelle catacombe romane, Ravenna, 1963, p. 41-43;
J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 310-312; M. Andaloro, Aggiornamento
cit., p. 282. L’iscrizione onomastica dipinta accanto, sulla sinistra, e l’attributo
vescovile dell’omophorion hanno permesso di identificare il santo con papa Ur-
bano I, personaggio di primo piano nella passio di santa Cecilia (J. Osborne, The
Roman cit., p. 310). Tracce di un’altra iscrizione picta, con le lettere «[...] CORI /
[...] EC / [...] AR /», vennero viste da De Rossi a destra del pontefice, nello spazio
di risulta al di là della tomba, e dallo studioso attribuite ad una formula dedicato-
ria «DECORI SEPVLCRI S(ANCTAE) CAECILIAE MARTYRIS [...] FECIT»,
G. B. De Rossi, La Roma sotterranea cit., II, p. 114-115.
355
J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 310.
356
Ibid., p. 310-312.
357
Ibid.
358
J. Wilpert, Le pitture cit., 459-463; L. Reekmans, La Tombe cit., p. 174-
184; H. Brandenburg, Das Grab des Papstes cit., p. 53; R. Farioli, Pitture cit.,
p. 35-37; J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 305-310; M. Andaloro, Ag-
giornamento cit., p. 282; F. A. Bauer, Das Bild der Stadt Rom im Frühmittelalter.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 113

tro immagini di santi in abiti vescovili suddivisi in due coppie. Sul muro di
nord-est, proprio al di sopra della mensa circolare a destra della tomba, si
trovano i ritratti di Sisto e Optato : S(AN)C(TV)S XVSTVS P(A)P(A)
ROM[ANVS]; S(AN)C(TV)S OPTAT(VS) EPISC(OPVS) (tav. 29 b) 359. Sul mu-
ro di nord-ovest, a sinistra della sepoltura, sono effigiati Cornelio (251-253) e
il vescovo Cipriano SCI COR[N]E[LII] P(A)P(AE) e S(AN)C(T)I [C]YPR[IANI
EPISCOPI]) (tav. 29 a) 360.
I santi sostengono il libro gemmato delle sacre scritture con la mano si-
nistra, mentre con la destra compiono il gesto della benedizione. Il fondo dei
pannelli è di un rosso intenso fin oltre l’altezza dei gomiti e grigio-blu nel re-
stante tratto superiore. L’ocra e il bianco sono stati impiegati rispettivamen-
te per le casule e le dalmatiche. La resa dei volti mostra un’accentuata carat-
terizzazione che, specie nel personaggio di Cornelio, fa pensare alla soprav-
vivenza dell’antica tradizione ritrattistica.
Oltre ai nomi dei personaggi, in caratteri bianchi disposti su file vertica-
li ai lati delle aureole, entrambi i pannelli sono contraddistinti in alto da una
lunga iscrizione che corre in senso orizzontale. Quella che sovrasta Cipriano
e Cornelio, in nero su una banda rossa, riporta il versetto 17 del salmo 58 :
EGO AV[TEM] CANTABO BIRTVTEM TVAM [ET] EXVLTABO [M]ANE
MISERICORDIAM TVAM QV[I]A FACTVS ES SVSCEPTOR MEVS ET
REF[V]G[IVM] MEVM IN D[IE TRIBVLATIONIS MEAE] 361. L’iscrizione al di
sopra di Sisto e Optato, in capitali bianche su fondo rosso, corrisponde al
versetto 12 del salmo 115 : QVID RETRIBVAM D(OMI)N(O) [PRO
OM]NIBVS QVA[E RETRIBVIT MIHI] 362.
Per quanto riguarda la datazione dei due pannelli, le opinioni degli stu-
diosi hanno oscillato fra il VII e il IX secolo. A favore di una cronologia alta
si erano espressi Raffaella Farioli e Louis Reekmans, proponendo entrambi
un confronto stilistico tra le figure dell’ambiente ipogeo e quelle del mosaico
lateranense di San Venanzio, riferibile agli anni di papa Giovanni IV (640-
642) 363, anche se la Farioli finiva per ancorare le pitture al pontificato di Be-
nedetto II (684-685), sulla base della notizia, riportata dal Liber pontificalis,
di un intervanto di restauro promosso da questo pontefice in una chiesa qui
appellantur Lucinae 364, mentre Reeckmans le assegnava a un arco cronologi-
co più ampio, corrispondente agli anni 630-660 365.
Parere diverso espresse in seguito Guglielmo Matthiae, sposando senza

Papststiftungen im Spiegel des Liber Pontificalis von Gregor dem Dritten bis zu Leo
dem Dritten, Stuttgart, 2004, p. 141, figg. 66-67.
359
Si tratta probabilmente di Sisto II (257-258), J. Osborne, The Roman Ca-
tacombs cit., p. 305, e di Optato vescovo della Numidia vissuto nel V secolo :
F. Bisconti, Il lucernario cit., p. 336-339.
360
Vescovo di Cartagine, morto nel 258 : J. Osborne, The Roman Catacombs
cit., p. 305.
361
L. Reekmans, La tombe cit., p. 178.
362
Ibid.
363
R. Farioli, Pitture cit., p. 39; L. Reekmans, La tombe cit., p. 183.
364
Liber pontificalis cit., I, p. 363), R. Farioli, Pitture cit., p. 37-39 e n. 76.
365
L. Reekmans, La tombe cit., p. 184.

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114 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

esitazione la vecchia tesi di De Rossi, il quale aveva attribuito i pannelli del-


l’ipogeo suburbano agli anni del pontificato di Leone III (795-816) in forza
sia della notizia di un suo intervento di rinnovamento del cimitero (Liber
pontificalis, XCVIII, p. 2), sia del contenuto dell’iscrizione del pannello di Si-
sto e Optato, alludente, a suo dire, alle funeste vicende che segnarono la vita
di Leone prima della restaurazione imperiale 366.
Una posizione intermedia fra le due ipotesi di datazione è stata assunta,
successivamente, da John Osborne, che sulla base di un confronto paleogra-
fico con le iscrizioni pittoriche della decorazione della cappella dei Santi
Quirico e Giulitta a Santa Maria Antiqua, risalente agli anni di papa Zacca-
ria (741-752), ha finito per assegnare le pitture catacombali all’VIII secolo 367.
Recentemente, infine, un’ipotesi di datazione agli anni del pontificato di
Gregorio III (731-741), sulla scorta del riscontro di un’accentuata somiglian-
za fra le iscrizioni pictae e quelle marmoree dell’oratorio gregoriano in San
Pietro, è giunta da Franz Alto Bauer 368.
Tenendo conto della resa stilistico-formale, d’altra canto, il confronto
più stringente si rivela essere quello che a suo tempo aveva suggerito Pietro
Toesca, accostando la coppia di pannelli votivi ai santi della navata sinistra
di Santa Maria Antiqua 369. In alcuni di essi, corrispondenti alla serie dei pa-
dri della chiesa latina, si ravvisa infatti una disposizione quasi identica del
pallio e dell’omophorion, ma anche soluzioni assai simili nel modo di dise-
gnare i volti, il libro delle sacre scritture e le mani benedicenti. Volendo cre-
dere alla contemporaneità dei due interventi pittorici, l’epoca d’esecuzione
dei pannelli della cripta di Cornelio non risulta allontanarsi molto dalla cro-
nologia proposta da Osborne e Alto Bauer, dato che la decorazione della pa-
rete sinistra di Santa Maria Antiqua sembrerebbe potersi collocare nel terzo
quarto dell’VIII secolo 370.

Roma, Catacomba di San Valentino


A san Valentino è associato un cimitero ipogeo scavato su tre livelli nel
fianco della collina del quartiere Parioli, lungo la via Flaminia, nonché l’in-
sieme di sepolture e i resti di due basiliche nel sopraterra, l’una attribuita al-
l’iniziativa di Giulio I (336-352) e l’altra a Teodoro I (642-649) 371. L’intitola-

366
G. B. De Rossi, Roma cit., I, p. 298-304; G. Matthiae, Pittura cit., I, p. 219.
367
J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 308-310.
368
F. A. Bauer, Das Bild cit., p. 141. In favore di un’ipotesi di datazione agli
anni di Gregorio III si era già pronunciato Wilpert : J. Wilpert, Die Römischen
Mosaiken cit., II, p. 949-950.
369
P. Toesca, Storia dell’arte cit., I, p. 419 (nota 22).
370
B. A. Vileisis, The Genesis cycle of Santa Maria Antiqua (Ph. D. Diss., Prin-
ceton University), Filadelfia, 1979, p. 141-144; M. Andaloro, Aggiornamento cit.,
p. 285.
371
O. Marucchi, La cripta sepolcrale di S. Valentino sulla via Flaminia, Roma,
1878, p. 24-56; Id., Il cimitero e la basilica di S. Valentino e guida archeologica del-
la Via Flaminia dal Campidoglio al Ponte Milvio, Roma, 1890, spec. p. 43-74;
B. M. Apollonj Ghetti, Nuove indagini sulla Basilica di S. Valentino, in RivAC, 25,
1949, p. 171-189; R. Krautheimer, Corpus Basilicarum Christianarum Romae, 5
voll., IV, Città del Vaticano, 1970, p. 289-312; Ph. Pergola, Le catacombe cit.,

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 115

zione del complesso si riferisce al martire Valentino, il cui culto è attestato


in questo luogo già a partire dalla prima metà del IV secolo 372.
All’interno della catacomba, la decorazione pittorica altomedievale si li-
mita al rivestimento delle quattro pareti del piccolo ambiente che dà accesso
al livello inferiore (tavv. 29 c-d, 30 a-b) 373. L’ampliamento del passaggio al
centro della parete di fronte all’ingresso, realizzato nel XVIII secolo per adi-
bire la catacomba a cantina, ha determinato la perdita di alcune scene cri-
stologiche, fortunatamente in massima parte riprodotte, sul finire del XVI
secolo, nei disegni di Alfonso Ciacconio e in un’incisione di Antonio Bosio 374.
Oltre agli avanzi di un pannello con la Crocifissione, preziosa testimonianza
in un contesto pittorico romano di datazione alta, del ciclo cristologico resta
ben poco.
Dobbiamo riferirci all’antica documentazione grafica per rilevare l’ori-
ginaria presenza di due scene apocrife di matrice bizantina, relative al ba-
gno del Bambino e alla leggenda della levatrice Salomé 375. Le restanti pareti
conservano dieci figure di santi in posa frontale, difficilmente leggibili spe-
cie all’altezza dei volti.

PARETE DI FONDO. A sinistra del passaggio che immette al complesso ci-


miteriale è scavata una nicchia decorata con l’immagine devozionale della

p. 109; S. Dinuzzi, Via Flaminia. Catacombe di S. Valentino, in Ph. Pergola,


R. Santangeli Valenzani, e R. Volpe, a cura di, Suburbium cit., scheda no 17 del
cd-Rom.
372
V. Fiocchi Nicolai, Il culto di San Valentino tra Terni e Roma : una messa a
punto, in L’Umbria meridionale fra tardo-antico ed altomedioevo. Atti del Convegno
di studi, Acquasparta, 6-7 maggio 1989, Assisi s.d., p. 165-178. Secondo un’altra
ipotesi l’associazione del toponimo al santo martire di Terni sarebbe da attribuire
a un antico equivoco per mezzo del quale fu santificato il benefattore Valentino,
titolare della basilica romana cimiteriale, lì costruita dal Papa Giulio I, basilica
quae appellatur Valentini : A. Recio Veganzones, S. Valentino di Terni nell’icono-
grafia antica pittorica e musiva di Roma, in I. Vázquez Janeiro OFM, a cura di,
Noscere sancta. Miscellanea in onore di Agostino Amore OFM († 1982), Roma,
1985, p. 427-445 (p. 427).
373
Sulle pitture di San Valentino, cfr. : J. Wilpert, Die Katakombengemälde
und ihre Alten Copien, Friburgo in Brisgovia, 1891, p. 38-41, tav. XVIII; R. Farioli,
Pittura cit., p. 40-41; J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb of
San Valentino, Rome, in PBSR, 49, 1981, p. 82-90; Id., The Roman Catacombs cit.,
p. 312-316; A. R. Veganzones, S. Valentino cit., p. 436-440; M. Andaloro, Aggior-
namento cit., p. 252, 272.
374
L’incisione di Bosio è stata stampata nella sua opera postuma (A. Bosio,
Roma sotterranea cit., p. 576-583), mentre dei disegni di Ciacconio (Ms. Vat. Lat.
5409, f. 37r-37v) già Wilpert pubblicò quello relativo alla parete col ciclo cristolo-
gico (J. Wilpert, Die Katakombengemälde cit., tav. XVIII; ristampato da Osborne,
J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb cit., p. 82-84,
tav. XV a-b) e Recio Veganzones, recentemente, ha riprodotto il foglio con alcuni
santi in posa frontale (A. R. Veganzones, S. Valentino cit., p. 436, 438-439, fig. 5).
375
J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb cit., p. 85-88.
Sul tema iconografico del Bagno del Bambino, si veda anche : V. Juhel, Le Bain
de l’Enfant-Jésus. Des origines à la fin du douzième siècle, in CahA, 39, 1991, p. 111-
132.

.
116 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Fig. 6 – Catacomba di S. Valentino, incisione (A. Bosio, 1632).

Vergine a mezzo busto che posa le mani sulle spalle del Bambino (tav. 29 c).
Ai lati si conserva parzialmente l’iscrizione : [S](AN)C(T)A [DEI
GEN]ETRIX 376. A sinistra della nicchia è ancor oggi visibile l’episodio della
Visitazione, con l’abbraccio fra Maria ed Elisabetta, che trova preciso ri-
scontro nella tavola del Bosio (tav. 64 b, fig. 6) 377. Il fondo della scena sem-
bra rappresentare un paesaggio naturale riprodotto nei suoi tratti essenzia-
li : una fascia verde scuro di prato in basso e l’azzurro chiaro del cielo nel
tratto superiore che comprende pure la zona al di sopra della nicchia 378.
A destra della Theotokos trovava posto l’immagine delle due levatrici in-
tente a fare il bagno al Bambino, come si evince dall’incisione del Bosio e
pure dal disegno di Ciacconio che però riproduce i soggetti in ordine sparso

376
J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb cit., p. 84.
377
Ibid., tav. XV. La sopravvivenza della scena della Visitazione è sfuggita ad
Osborne (Ibid., p. 84; J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 313), ma non al
Marucchi che alla fine dell’800 commentava : «questa rappresentanza è quasi in-
teramente scomparsa restandone solo qualche languida traccia» (O. Marucchi, Il
cimitero e la basilica cit., p. 63).
378
In corrispondenza dell’estremità inferiore della scena della Visitazione si
scorgono i resti di una campitura omogenea rossa, che fungeva forse da base per
l’iscrizione esplicativa del tema raffigurato, come nel caso del soggetto accanto, il
Bagno del Bambino, dove l’iscrizione «SALOME» è dipinta con caratteri neri su
fondo rosso.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 117

e risulta quindi meno attendibile 379. Il taglio della parete ha risparmiato sol-
tanto l’iscrizione con il nome della levatrice SALOME 380. Solo nella tavola di
Bosio, inoltre, al di sopra della nicchia compare una figurina femminile che
posa le mani sulla culla del Bambino 381. Purtroppo la superficie pittorica
corrispondente è allo stato attuale troppo compromessa per stabilire quanto
la documentazione grafica si sia avvicinata al vero. Si può supporre che la
scena rappresentasse un’altra sequenza dell’episodio del Bagno, e cioè il ri-
sanamento della mano atrofizzata dell’incredula Salomé 382.
Le pitture sopra descritte aderiscono alla parte superiore della parete.
In basso, poco al di sotto della nicchia, si conservano frammenti pittorici ap-
partenenti ad un intervento precedente 383. Si distingue una banda orizzonta-
le, di colore nero, che sovrasta la testa di un quadrupede raffigurato nell’atto
di mangiare le foglie di una pianta. L’animale è riprodotto per intero nel di-
segno del Ciacconio 384.
L’ipotesi che questa figura appartenga a un’esecuzione pittorica più an-
tica si basa su due dati : l’affiorare di una campitura cromatica all’interno di
una lacuna dell’immagine della Theotokos e la coincidenza fra la banda nera
e i resti di un altro tratto di cornice che si conserva, più o meno alla stessa
altezza, sulla parte destra della parete, in corrispondenza di un intonaco che
in questo caso è senza dubbio al di sotto di quello con il ciclo cristologico,
come risulta evidente dalla sovrapposizione degli strati.
Quanto alla Crocifissione, riprodotta sia da Ciacconio che da Bosio, si è
salvata la figura giovanile di Giovanni a destra del passaggio alla catacomba,
incorniciata fra il braccio orizzontale e l’asse verticale della croce (tavv.
29 d, 64 c). Del Cristo restano tracce esigue, sufficienti per attestare che era
ritratto con il colobium 385. Il fondo è rosso, come quello della scena del Ba-
gno. In basso, colline stilizzate alludono al monte Golgotha mentre nella zo-
na superiore è dipinto un cielo azzurro chiaro, sul quale in origine dovevano
stagliarsi le immagini del sole e della luna. Più in basso, dove è caduto l’into-
naco, affiora come si è detto lo strato sottostante.
PARETE DESTRA. Il tratto della parete destra, contiguo alla scena della
Crocifissione, ospita l’immagine di un santo vestito di un semplice pallio con
sandali ai piedi (tav. 30 a). Nel XVI secolo doveva essere meglio conservato,
dato che sia Ciacconio che Bosio lo riproducono con volume e croce astile e

379
J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb cit., p. 82-84,
tav. XV a-b.
380
L’iscrizione è stata erroneamente attribuita ad una «Santa Salome»,
A. R. Veganzones, S. Valentino cit., p. 439.
381
J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb cit., tav. XV a.
382
L’episodio è descritto nell’apocrifo del Protovangelo di Giacomo e nel
vangelo dello Pseudo Matteo : F. Bovon, P. Geoltrain, Écrits apocryphes cit.,
p. 101-102, 133-134.
383
L’affiorare di uno strato più antico, in special modo in corrispondenza
dell’immagine della Thotokos, è stato notato da Maria Andaloro : M. Andaloro,
Pittura romana cit., p. 602, n. 110.
384
J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb cit., tav. XV.
385
Dettaglio già notato da Marucchi : O. Marucchi, Il cimitero e la basilica
cit., 58.

.
118 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

quest’ultimo ne trascrive pure l’iscrizione, oggi completamente perduta, con


il nome S(AN)C(TV)S LAVRE[N]T[IVS] 386. Come tutte le altre figure in posa
frontale dipinte sulle pareti dell’ambiente, la sagoma del santo si staglia su
un fondo rosso omogeneo.
La porzione destra della stessa parete conserva resti di un altro santo,
oggi leggibile a fatica. Il Bosio lo descriveva come martire, recante in mano
una corona, della quale non resta traccia 387. In base alle campiture superstiti
si può ipotizzare che il santo indossasse una dalmatica.
PARETE D’INGRESSO. Sulla parete tagliata dal corridoio d’ingresso si con-
servano i resti di un altro pannello a fondo rosso, riquadrato da un bordo ne-
ro, con una figura della quale resta purtroppo soltanto qualche lacerto.
PARETE SINISTRA. Lungo la parete sinistra si affolla un gran numero di
figure. Sul tratto di sinistra si distinguono tre personaggi con ai piedi i cam-
pagi 388 e in basso una decorazione a finti marmi. A destra del passaggio si
scorgono altri quattro santi, il primo da sinistra indossa scarpe rosse, il se-
condo sandali, i restanti due di nuovo campagi (tav. 30 b). L’ultima figura è
stata identificata da Recio Veganzones con il santo eponimo. Lo studioso è
riuscito a leggere l’iscrizione onomastica dipinta in verticale a sinistra del
volto e le lettere dell’appellativo di santo disposte in senso orizzontale :
BA/(L)EN/TIN/(VS), S(AN)C(TV)S 389.
Dai dettagli delle differenti calzature e dagli avanzi delle vesti, delle
quali si intravede la foggia nella parte terminale, si può tentare di esprimere
qualche considerazione riguardo agli altri tre personaggi di questo tratto di
parete. Il primo, con le scarpe rosse, farebbe pensare a una figura femmini-
le, il secondo, con i sandali, a uno degli apostoli, il terzo, con campagi, a un
vescovo.
Tradizionalmente attribuite all’intervento di papa Teodoro I (642-9) 390,
che dal Liber pontificalis sappiamo essere stato il promotore della ricostru-
zione della basica del sopraterra 391, le pitture sono state assegnate da Osbor-
ne agli anni del pontificato di Giovanni VII (705-707), per via di alcuni nessi,
di carattere iconografico e iconologico, con i mosaici dell’omonimo oratorio
di San Pietro e alcune pitture di Santa Maria Antiqua, di committenza dello
stesso pontefice 392. In anni più recenti, Maria Andaloro le ha convincente-

386
A. R. Veganzones, S. Valentino cit., fig. 5; J. Osborne, Early medieval wall-
paintings in the Catacomb cit., tav. XVI b.
387
«[...] et un’altra immagine, la quale tenendo in mano una corona gemma-
ta, mostra chiaramente essere d’un Santo martire, il cui nome v’era scritto ap-
presso, come nella figura di S. Lorenzo non si può più leggere», A. Bosio, Roma
cit., p. 577.
388
J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb cit., p. 84. I
campagi del personaggio centrale sono curiosamente circondati da una linea ne-
ra che non sembra offrire indizi per alcuna spiegazione. Sui campagi nell’icono-
grafia medievale, cfr. C. Cecchelli, La Vita di Roma cit., I, p. 808 (figg. I-VIII),
p. 811-812.
389
A. R. Veganzones, S. Valentino cit., p. 438.
390
R. Farioli, Pittura cit. p. 40 e bibliografia precedente in nota.
391
Liber pontificalis cit., I, p. 332-333.
392
J. Osborne, Early medieval wall-paintings in the Catacomb cit., p. 88-90;

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 119

mente ricondotte al tempo del pontificato di Teodoro in forza del riscontro


documentario e in ragione della somiglianza intercettata tra le figure dei
santi della catacomba e quelle del mosaico dei Santi Primo e Feliciano nella
chiesa di Santo Stefano Rotondo di sicura committenza teodoriana 393.

Subiaco, Monastero del Sacro Speco

All’interno del monastero del Sacro Speco, le testimonianze pittoriche


più antiche, risalenti all’altomedioevo, si trovano nella cosiddetta Grotta dei
Pastori (tav. 30 c) 394, cavità naturale inglobata nel complesso architettonico
del monastero sublacense che si annida in una scoscesa rupe del monte Ta-
leo 395.
A sinistra della scala moderna si conserva un pannello che a dispetto
delle lacune lascia indovinare il suo originario assetto d’insieme, e poco più
in là, sulla destra, si scorge un lacerto con tracce di due aureole. Sull’intona-
co di maggiore estensione è raffigurata una Vergine nell’inconsueta versione
bizantina della Nicopoios, con il Bambino davanti a sé all’interno di un nim-
bo ovale che ne esalta la natura divina (tav. 65 b) 396. Maria è ritratta in piedi,
ammantata di un pallio porpora con inserti rotondi in bianco sulle spalle. La
tunica sottostante è azzurra, come l’aureola che circonda il Bambino. Que-
st’ultimo, con pallio e tunica ocra a simulare una veste d’oro, benedice con
una mano e con l’altra regge il volumen. Ai lati due personaggi nimbati, in
passato identificati con un san Luca, a sinistra, e un altro personaggio ma-
schile non meglio specificato, sulla destra, rappresentano invece due sante

Id., The Roman Catacombs cit., p. 315-316. Per ragioni stilistiche, anche Matthiae
aveva preferito una datazione «nella prima metà del secolo VIII» : G. Matthiae,
Pittura romana cit., p. 191.
393
M. Andaloro, Pittura romana cit., p. 602, n. 110.
394
Nel XIX secolo, la pittura fu annotata da Cavalcaselle (G. B. Cavalcaselle,
J. A. Crowe, Storia della pittura italiana, Firenze 1875, p. 134-135). Si veda inol-
tre : F. Hermanin, Le pitture dei monasteri sublacensi, in P. Egidi, V. Federici,
G. Giovannoni, F. Hermanin, a cura di, I monasteri di Subiaco, 2 voll., Roma,
1904, I, p. 407-531 (p. 414-415); P. Toesca, Storia dell’arte cit., p. 407; G. Mat-
thiae, Pittura cit., I, p. 237 e n.; M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi del Sacro Speco,
in C. Giumulli, a cura di, I monasteri benedettini di Subiaco, Milano, 1982, p. 95-
102.
395
Soltanto sotto il pontificato di Leone IX, per opera dell’abate Umberto
(1051-1060), la Grotta dei Pastori e la soprastante grotta del Sacro Speco vennero
protette da un edificio in muratura (cfr. infra, p. 189). Sull’architettura e la genesi
dell’edificazione del monastero sublacense : M. Righetti Tosti-Croce, L’architettu-
ra del Sacro Speco, in C. Giumulli, a cura di, I monasteri benedettini di Subiaco,
Milano, 1982, p. 75-94; Eadem, Il Sacro Speco di Subiaco e l’architettura dei Cro-
ciati in Terra Santa, in Il Medio Oriente e l’Occidente nell’arte del XIII secolo. Atti
del XXIV Congresso internazionale di Storia dell’Arte, Bologna, 1982, p. 129-135.
396
Sul tipo della Nicopoios, con la Vergine che tiene il Bambino circondato
da un medaglione : A. Grabar, L’iconoclasme byzantin. Dossier archéologique, Pa-
rigi, 1957, p. 34-35; W. Seibt, Der Bildtypus der Theotokos Nikopoios. Zur Ikone-
graphie des Gottesmutter-Ikone, die 1030/31 in der Blachernenkirche wiederauf-
gefunden wurde, in Byzantina, 13, 1985, p. 551-564.

.
120 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

martiri 397, come inequivocabilmente risulta dai tratti somatici dei volti e dal-
le vesti, ocra e rosse, che conservano nella figura di sinistra l’ornamento per-
linato dello scollo e in quella accanto l’estremità inferiore del loros, pure per-
linato, sporgente sotto la tunica disposta in diagonale. Sul volto di destra si
riescono inoltre a distinguere un orecchino a cerchio e perfino un gioiello a
pendente sulla fronte. Che si tratti di santa Lucia lo si evince dal frammento
d’iscrizione a destra del nimbo della Vergine, con le lettere S(ANCTA)
LV[CIA], meglio leggibili nella documentazione fotografica degli inizi del
’900 398. Nient’altro si può dire, invece, della figura di sinistra, dato che l’iscri-
zione è interamente perduta. Quanto al frammento conservato più a destra
(tav. 31 a), i resti di due aureole equidistanti permettono di pensare alla raf-
figurazione di santi in posa frontale. Sulla base dei resti di un’iscrizione in-
terposta fra di esse (SCS SIL[VESTER]), è assai probabile che vi fosse rap-
presentato papa Silvestro 399, santo che con Benedetto e Scolastica ha avuto
fin da subito un ruolo di primo piano nella sfera cultuale del monastero su-
blacense 400.
In una visione d’insieme, osservando uno accanto all’altro il pannello
con la Vergine e il frammento con le aureole, è possibile esprimere qualche
altra considerazione. Alcuni elementi ci portano innanzi tutto ad ipotizzare
una contemporaneità d’esecuzione. Bisogna tener conto, infatti, della somi-
glianza dei nimbi, dell’eguale fondo bianco e delle corrispondenze paleogra-
fiche delle iscrizioni. Occorre notare, tuttavia, che le aureole presenti nel
frammento sono dipinte circa un metro più in basso di quelle del pannello
con la Vergine e le sante.
Questa differenza di livello ci induce a un’altra riflessione : mentre il ri-
quadro con san Silvestro doveva trovarsi più o meno ad altezza d’uomo, co-
me è tipico delle pitture di carattere votivo, fra il limite inferiore del pannel-
lo con la Vergine e il piano di calpestio rimane uno spazio sufficiente per
supporre l’originaria presenza di un altare.
L’ipotesi è supportata dalle fonti che attestano la consacrazione da par-
te di papa Leone IV (847-855) di due altari, l’uno nella Grotta dei Pastori e
l’altro nel soprastante Sacro Speco, altrimenti detto «Grotta della Preghie-

397
Sull’associazione della figura di destra con san Luca : F. Hermanin, Le
pitture cit., p. 414; M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 109. La figura di sini-
stra è stata riconosciuta come «personaggio aureolato» (Ibid.) o «santo» (F. Her-
manin, Le pitture cit., p. 414).
398
Cfr. la foto dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
n 311, serie E.
o

399
Come già ipotizzato da Hermanin (Ibid.) e Cristiani Testi (M. L. Cristiani
Testi, Gli affreschi cit., p. 109).
400
Nei secoli altomedievali il santo era titolare del Sacro Speco insieme a Be-
nedetto e Scolastica (G. P. Carosi, Badia di Subiaco, Subiaco, 1970, p. 20-21).
Sappiamo dal Chronicon sublacense che Leone IV dedicò al suo predecessore uno
dei due altari della Grotta dei Pastori : Chronicon Sublacense, a cura di R. Mor-
ghen, in RIS2, 25, VI, Bologna, 1927, p. 5 (v. 21). San Silvestro figura nelle fonti
sublacensi anche come titolare di una chiesa e del monastero di Santa Scolastica,
ancora una volta insieme al fondatore dell’ordine e a sua sorella (G. P. Carosi,
Badia cit., p. 118-119; F. Caraffa, Monasticon cit., p. 174-175).

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 121

ra» 401. Per questo motivo inizialmente le pitture erano state datate agli anni
del pontificato di Leone 402. In realtà, la matrice iconografica del pannello
della Vergine e la resa stilistica portano ad avvalorare la proposta, avanzata
successivamente, di datare l’intervento pittorico ad epoca posteriore 403. A no-
stro avviso però, piuttosto che assegnare la pittura al «X secolo inoltrato», è
preferibile ipotizzare un’esecuzione alla metà del successivo, in concomitan-
za con un intervento strutturale segnalato dalle fonti. Stando infatti al Chro-
nicon sublacense e alla testimonianza cinquecentesca del Mirzio, nel 1052
l’abate Umberto, da poco insediatosi al governo del monastero, costruì pres-
so il Sacro Speco una ecclesiam pulcherrimam et firmam, cooperta cripta, che
andava ad inglobare, cioè, le due grotte 404.
Quanto all’insolita iconografia della Nicopoios, pur tenendo conto del
precedente di Santa Maria Antiqua che risale al IX secolo 405, l’enorme fortu-
na di quest’immagine prende il via nei primi decenni dopo il Mille ed ha co-
me centro propulsore la capitale dell’impero bizantino 406. Nel 1046 verrà

401
Chronicon Sublacense cit., p. 5.
402
F. Hermanin, Le pitture cit., p. 415; P. Toesca, Storia dell’arte cit., p. 407.
403
Per Guglielmo Matthiae il pannello poteva essere della «seconda metà
piuttosto inoltrata del sec. IX come pure superare i limiti del secolo stesso»,
G. Matthiae, Pittura cit., I, p. 237; Maria Luisa Cristiani Testi ipotizzava una da-
tazione al X secolo inoltrato (Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 110).
404
Chronicon Sublacense cit., p. 9, v. 15. Perplessità sulla fondatezza storica
della notizia riportata dal Chronicon vennero sollevate da Raffaello Morghen e
più di recente da Marina Righetti (Ibid., p. 9, n. 8; M. Righetti Tosti-Croce, L’ar-
chitettura cit., p. 75), mentre D’Onofrio e Pietrangeli hanno ipotizzato che l’inter-
vento dell’abate Umberto sia consistito nella semplice occlusione delle due grotte
con una cortina muraria per mettere a riparo gli altari che esse contenevano
(C. D’Onofrio, C. Pietrangeli, Abbazie del Lazio, Roma, 1969, p. 82). Nella cronaca
redatta dall’abate Mirzio è scritto : «Anno secundo sui praesulatus, qui erat nativi-
tatis Domenicae quinquagesimus tertius supra millesimum, edificare coepit firmam
ecclesiam, ex vivis quadratisque lapidibus marmoreis, utramque S. P. N. criptam
cooperientem, in proclivi asperrimoque montis Thaleii situ; quod aedificium im-
mensis expensis, arduisque laboribus absolvit, opitulante pontifice Leone [...]»,
Cronaca sublacense del P. D. Cherubino Mirzio da Treviri monaco nella proto-
badia di Subiaco, a cura di L. Allodi, P. Crostarosa, Roma, 1885, p. 160. Il Chroni-
con sublacense riporta anche la notizia di un nuovo altare eretto al Sacro Speco
durante l’abbaziato di Giovanni V (1068-1120), in sostituzione dei due primitivi
altari ormai distrutti dagli effetti nocivi del percolamento dell’acqua nelle grotte :
«Fecit in Specu, in cripta primi introitus, dedicari altare a venerabili Petro Anagnie
episcopo in honore Dei genetricis Marie et Sanctis Silvestri pape, destructis priori-
bus altaribus que ab aqua corrumpebantur et cumlabebantur decorrente per petram
ipsius cripte», Chronicon Sublacense cit., p. 18, 8-11.
405
G. Matthiae, Pittura cit., I, p. 234.
406
A dare impulso alla diffusione della Vergine Nicopoios, nell’XI secolo,
concorre senz’altro la scoperta avvenuta nell’anno 1031 durante i lavori all’inter-
no del monastero costantinopolitano delle Blacherne, promossi dall’imperatore
Romano III, di un’immagine di Maria reggente il nimbo con il Bambino (Michae-
lis Glycae Annales, in PG, vol. 158, 1866, coll. 27-957, spec. col. 584 B). Oltre a
W. Seibt, Der Bildtypus cit., p. 551-552, si veda : C. Mango, The Chalkoprateia An-
nunciation and Pre-Eternal Logos, in Deltion tès Christianikès archaiologhikès etai-
reias, 17, 1993-1994, p. 165-170, spec. p. 168; B. Pitarakis, A propos de l’image de la

.
122 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

scelta come tema absidale nella decorazione pittorica della chiesa macedone
di Santa Sofia di Ochride 407. Particolarmente vicina a quella sublacense è la
Vergine riprodotta nel miliaresìon di Basilio II, moneta datata al 1020 cir-
ca 408.
Sembra legittimo ipotizzare, quindi, che l’esecuzione delle pitture della
Grotta dei Pastori sia contestuale all’opera muraria ricordata dalle fonti, die-
tro alla quale è stato visto il ruolo promotore di papa Leone IX (1049-
1054) 409. Se così fosse, la scelta di un’immagine che si distacca dalla tradizio-
ne occidentale non stupirebbe perché maturata in un contesto culturale con-
dizionato da un pontefice che ebbe frequenti contatti con la chiesa orientale
soprattutto negli ultimi anni del suo pontificato 410.
Se i dipinti della Grotta dei Pastori possono trovare un aggancio crono-
logico nella prima opera muraria innalzata a chiusura delle due cavità roc-
ciose, è pur vero che di questo primo intervento edilizio, non resta traccia al-
cuna. L’analisi della muratura del complesso architettonico del Sacro Speco
ha infatti consentito di attribuire all’iniziativa di Innocenzo III (1198-1216) la
prima fase edilizia del monastero 411. Di essa resta parte della facciata, ancora
visibile dall’esterno sopra la Grotta dei Pastori, orlata in alto da un cornicio-
ne a mensole e percorsa a metà altezza da tre monofore cieche sovrastate da
un grande oculo centrale. Al di sopra di quest’ultimo si è conservata l’imma-
gine di Cristo fra due arcangeli, mentre la monofora di sinistra ospita il ri-
tratto a figura intera di san Benedetto. Entrambi i dipinti si datano al terzo
decennio del XIII secolo 412. Già nell’assetto del primo Duecento, la Grotta dei
Pastori, cui il primitivo ingresso dell’insediamento cenobitico dava accesso
diretto, era collegata alla soprastante Grotta della Preghiera per mezzo della
Scala Santa che costeggiava il profilo roccioso in un percorso non del tutto
coincidente con l’attuale 413.
Strettamente legato all’intervento di Innocenzo III è il pannello (ubicato
all’interno di un ambiente poco più tardi radicalmente trasformato per far
posto all’allestimento della Chiesa Inferiore) che ritrae il pontefice insieme
all’abate Romano con il nimbo quadrato dei viventi, in compagnia di san Be-

Vierge orante avec le Christ-Enfant (XIe-XIIe siècles) : l’émergence d’un culte, in Ca-
hA, 48, 2000, p. 45-58. Cyril Mango ha ipotizzato che si trattasse di una pittura
murale risalente all’epoca di Giustino II (565-578) affiorata accidentalmente sot-
to uno strato pittorico iconoclasta (C. Mango, The Chalkoprateia cit., p. 168).
407
A. Wharton Epstein, The Political Content of the Paintings of Saints Sophia
at Ohrid, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik, 29, 1980, p. 315-329,
spec. p. 318-319, fig. 4; Pitarakis, À propos de l’image cit., p. 49.
408
Ibid., p. 46.
409
G. Clausse, Les origines bénédictines. Subiaco, Mont-Cassin, Monte Olive-
to, Parigi, 1899, p. 52; C. Onofrio, C. Pietrangeli, Abbazie cit., p. 82.
410
M. Parisse, Leone IX, santo, in Enciclopedia dei papi, II, Roma 2000,
p. 157-162. Giova tener presente che il più stretto collaboratore del papa e suo
amico, il cardinale Umberto di Moyenmoutier, viene definito un «ellenista»
(Ibid., p. 161).
411
M. Righetti Tosti-Croce, L’architettura cit., p. 78.
412
Ibid., p. 78. M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 120.
413
M. Righetti Tosti-Croce, L’architettura cit., p. 81.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 123

nedetto e nell’atto di esibire il testo della bolla del 1202 tramite la quale veni-
vano concessi importanti privilegi alla comunità sublacense (tav. 31 b) 414.
Sul finire del terzo decennio del XIII secolo verrà decorata la cappella
di San Gregorio (tav. 31 c), ricavata al di sotto della Grotta della Preghiera 415
e, contestualmente, in corrispondenza della parete d’ingresso a destra della
porta, verrà eseguito il celebre ritratto di san Francesco, «FR[ATER]
FRA[N]CISCV[S]», privo delle stimmate e dell’aureola e quindi riferibile agli
anni immediatamente precedenti il 1228, data della sua canonizzazione 416.
Al maestro di frate Francesco è assegnabile l’intero rivestimento della
cappella, articolato nel modo seguente : sulla parete di fondo, nel settore su-
periore viene dipinta una Crocifissione e più in basso, nella conca absidale,
il busto del Pantocratore con al di sotto le figure affrontate di Paolo e di Pie-
tro, al quale si inginocchia il FR[ATER] ROMANVS. Più a destra, sul tratto
di muro contiguo, è rappresentato l’eremita Onofrio. La parete a destra di
chi entra ospita, a sinistra della finestra, l’immagine del vescovo Ugolino, fu-
turo Gregorio IX, assistito da due diaconi mentre è intento a consacrare un
altare dedicato a Gregorio Magno 417 e sulla destra l’arcangelo Michele che
agita un turibolo nel ruolo di psicopompo 418. Al di sopra dell’apertura della
monofora un angelo appare al monaco Oddone. A coronamento della deco-
razione della cappella, sulla volta a crociera, figurano i quattro simboli degli
evangelisti in alternanza ad altrettanti cherubini.
Nel vestibolo antistante, un riquadro attribuibile allo stesso maestro
rappresenta Gregorio I e Giobbe piagato e afflitto, chiara allusione all’opera
gregoriana Moralia in Job. Entrambi i personaggi esibiscono un cartiglio,
quello del papa riporta l’iscrizione «VIR ERAT IN TERRA CVIVS NOMINE

414
M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 110-111; F. Gandolfo, Aggiorna-
mento cit., p. 277; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 233-239 («Il Sa-
cro Speco e Santa Scolastica a Subiaco», scheda a cura di S. Romano), spec.
p. 233-234.
415
M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 111-120; F. Gandolfo, Aggiorna-
mento cit., p. 284-285; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 235-236.
416
C. Frugoni, Francesco e l’invenzione delle stimmate, Torino, 1993, p. 269-
275.
417
Sul libro aperto si legge : VERE LOCVS ISTE SANCTVS EST IN QVO
ORANT, mentre all’altezza dei piedi dell’officiante è scritto : HIC EST P[A]P[A]
GREGORIVS OLI[M] EP[I]S[COPVS] OSTIENSIS QVI H[ANC] CO[N]SECRAVIT
ECCLESIA[M], ancora più in basso vi è un’iscrizione più estesa dalla quale si ap-
prende che il dipinto fu eseguito nel secondo anno del pontificato di Gregorio
(1228) : PONTIFICI[S] SVM[M]I FVIT AN[N]O PICTA S[E]C[VN]DO H[AE]C
DOM[MVS] H[IC] PRIMO Q[VO] SV[MMO] FVIT HONORE / MA[N]SERAT ET
VITA[M] CELESTE[M] DVXERAT IDE[M] P[ER]QVE DVOS M[EN]SES SA[NC-
TO]S MACERAVERAT ARTV[S] / IVLI[VS] E[ST] VN[VS] AVGVST[VS] FER-
VID[VS] ALTER / Q[VA]L[I] CV[M] PAVLO RATBVS TRANSLATVS AD COELVM /
IAM NON IPSE SED IAM XPS VIVE(BAT IN IPSO) PRO QVO DEVOTA FIET HIC
HORATIO; cfr. M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., n. 56, p. 237; E. Parlato,
S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 236.
418
Accanto all’arcangelo si legge : MICHAEL PREPOSITVS PARADISI ;
ESTOTE MEMORES NOSTRI, Cfr. M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., n. 55,
p. 237.

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124 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

JOB», sul rotolo del profeta è invece scritto «NVDVS EGRESSVS SVM DE
VTERO MATRIS MEE» 419.
Alla seconda metà del XIII secolo, verosimilmente agli anni dell’abba-
ziato di Enrico (1244-1276), va assegnata la realizzazione della cosiddetta
Chiesa Inferiore, articolata in tre ambienti contigui con volte a crociera che
prendono posto nella zona antistante la Grotta della Preghiera 420. Quello so-
praelevato, che provenendo dalla Chiesa Superiore nell’attuale percorso di
visita al monastero incontriamo per primo, conserva la firma del maestro
Conxolus (MAGISTER CONXOLVS PINXIT HOC OPVS) in una nicchia raffi-
gurante la Madonna in trono con Bambino fra due angeli 421.
Sempre all’interno del primo ambiente, in occasione della medesima
campagna pittorica, il citato pannello con la bolla di Innocenzo III viene co-
perto con un’immagine di Benedetto (staccata nel 1936 e conservata in sa-
grestia) sovrastata dal busto con il ritratto dello stesso pontefice (tav.
31 b) 422. Il resto della superficie a disposizione all’interno della Chiesa Infe-
riore viene impiegata da Conxolus e i suoi collaboratori per illustrare gli epi-
sodi salienti della vita del rappresentante dell’ordine, così come sono stati
raccontati da Gregorio Magno nei suoi Dialoghi, incorniciati da elaborati
partiti decorativi ad effetto tridimensionale che scandiscono l’articolazione
architettonica delle murature. Immagini clipeate di Cristo, Benedetto e Sco-
lastica, oltre a una serie di ritratti di sante, occupano gli spazi di risulta
mentre una sequenza continua di specchiature a finti marmi funge da zoc-
colatura lungo tutte le pareti.
Alla mano di Conxolus vengono assegnate le scene del lunettone sinistro
del primo ambiente, con il miracolo del vaglio, il viaggio di Benedetto verso
la chiesa di Affile, la vestizione ad opera di Romano, il ritiro in orazione nel-
la grotta 423. Sono, invece, almeno in parte attribuibili alla collaborazione dei
suoi allievi i restanti episodi agiografici che proseguono lungo il lato sinistro
del secondo e terzo ambiente (con i funerali del santo, il miracolo di Placido
e quello del falcetto), girano sulla parete di fondo di quest’ultimo (con il mi-
racolo del pane) e vanno ad occupare anche parte di una delle due cappelli-
ne annesse alla Chiesa Inferiore, quella che si apre in corrispondenza della
campata mediana (ove è rappresentata la scena del diavolo perseguitante
Benedetto) 424. A un’esecuzione autografa del maestro Conxolus spetta, vero-
similmente, la santa Chelidonia dipinta nel corridoio che conduce alla cap-
pella di San Gregorio (tav. 31 d) 425.
Frutto di un intervento pittorico successivo di qualche decennio è il di-
pinto della lunetta centrale della parete di sinistra con il diacono Stefano e i
vescovi Tommaso Beckett e Nicola di Mira, forse riproducente un pannello

419
Cfr. Ibid., p. 116.
420
M. Righetti Tosti-Croce, L’architettura cit., p. 86.
421
M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 120-132; F. Gandolfo, Aggiorna-
mento cit., p. 331; S. Romano, Eclissi cit., p. 127-133.
422
Ibid., p. 127.
423
M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 120-126; S. Romano, Eclissi cit.,
p. 128.
424
M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 126-132.
425
Ibid., p. 126; S. Romano, Eclissi cit., p. 130.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 125

sottostante con lo stesso soggetto risalente ai primi anni del Duecento 426. Le
tre volte a corciera, invece, la prima con Cristo fra quattro arcangeli alterna-
ti a Pietro, Giovanni, Paolo e Andrea, la seconda con il diacono Lorenzo,
santi pontefici e santi monaci, la terza con i simboli degli evangelisti, sono
state assegnate ora al cantiere di Conxolus 427, ora agli anni del pontificato di
Niccolò III (1277-1280) 428.
Nel corso del secolo XIV il monastero subirà significative trasformazio-
ni che lo porteranno, mediante l’inserimento della Chiesa Superiore, ad as-
sumere l’assetto monumentale sostanzialmente mantenuto fino ad oggi, pur
con numerose modifiche e aggiunte.

Vallepietra, Santuario della Santissima Trinità

Alla base di uno sperone di roccia del monte Autore, che raggiunge
quota 1337 metri, sorge il piccolo santuario della Santissima Trinità, meta
di un incessante flusso di pellegrini che manifestano con preghiere, ceri ac-
cesi e offerte votive la loro devozione all’immagine trinitaria conservata al
suo interno (tav. 32 a, c) 429. Nonostante le ridipinture, è fuori dubbio che la
rappresentazione delle tre Persone appartenga ad un intervento pittorico
d’età romanica, in occasione del quale venne eseguita anche una sequenza
di scene cristologiche oltre a un ciclo con la raffigurazione dei mesi e dello
zodiaco 430, pitture che si conservano soltanto lungo la parete ovest del-
l’oratorio, ma che in origine dovevano probabilmente rivestire l’intero am-
biente.
La lettura delle decorazione pittorica è purtroppo ostacolata da inferria-
te, vetri inamovibili con infissi in alluminio, numerosi ritocchi e integrazioni
che si estendono su un intonaco oggetto, in molte zone, di cadute di colore e
sbiancamenti per la fuoriuscita di sali. Come se non bastasse uno strato cele-
ste riveste le restanti pareti del santuario, ad eccezione del tratto iniziale di
quella orientale, risparmiato per via della presenza di alcune pitture devo-

426
M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 132; F. Gandolfo, Aggiornamento
cit., p. 285.
427
M. L. Cristiani Testi, Gli affreschi cit., p. 130-131.
428
F. Gandolfo, Aggiornamento cit., p. 328.
429
A. Brelich, Un culto preistorico cit., p. 36-59; F. Caraffa, Vallepietra dalle
origini alla fine del secolo XIX. Con una Appendice sul Santuario della Santissima
Trinità sul Monte Autore, Roma, 1969; Id., S. Domenico di Sora e l’origine del san-
tuario della Ss. Trinità sul Monte Autore presso Vallepietra, in Alma Roma, XIX,
nn. 3-4, 1978, p. 31-37. Sulla montagna di Vallepietra in epoca precristiana e la
presenza di culti pagani : M. A. Orlandi, La Valle dell’Aniene cit., p. 25-27.
430
C. D’Onofrio, La SS. Trinità sul Monte Autore, in Rassegna del Lazio, XII,
1965, p. 11-12, p. 63-80; C. Bertelli, Calendari, in Paragone, 245, 1970, p. 53-60,
spec. p. 56 e nota; A. M. D’Achille, Gli affreschi cit., p. 41-63; Eadem, Sull’icono-
grafia trinitaria medievale : la Trinità del Santuario sul Monte Autore presso Valle-
pietra, in Arte Medievale, II s., 5, 1, 1991, p. 49-73; Gandolfo, Aggiornamento cit.,
p. 260-261; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 272 («Vallepietra, San-
tuario della SS. Trinità», scheda a cura di S. Romano).

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126 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

zionali riferibili al XV secolo 431 e un pannello, anch’esso a carattere votivo,


che sembrerebbe risalire ai primi decenni del XIII secolo 432.
Quest’ultimo, mutilo della parte inferiore, conserva l’immagine di due
personaggi, un san Giuliano con la clamide dei martiri orientali, e un santo
monaco, con scapolare e cappuccio, che dall’iscrizione onomastica pos-
siamo identificare senza dubbio con Domenico di Sora († 1031), fondatore
dell’oratorio, come attesta una Vita redatta pochi anni dopo la sua morte
(tav. 33 a) 433.
Anche all’esterno il santuario è ricoperto da un intonaco moderno, co-
sicché l’originario assetto del piccolo edificio non è riconoscibile. È probabi-
le, tuttavia, che nel suo impianto generale la struttura risalga all’epoca me-
dievale e che quindi, almeno a partire dal tempo dell’esecuzione delle pitture
più antiche, l’oratorio si presentasse come un piccolo edificio in muratura
accorpato alla roccia naturale che si erge altissima e maestosa al di sopra di
esso.
La decorazione romanica trova il suo incipit nel riquadro a forma di lu-
netta dove campeggia, monumentale, la Trinità (tav. 32 c). L’immagine di
Cristo, rappresentato seduto, benedicente, con il libro delle sacre scritture
aperto sul ginocchio sinistro è ripetuta tre volte senza alcuna variazione. In
basso corre l’iscrizione : IN TRIBVS HIS DOMINVS P[ER]SONIS CRE-
DIMVS. Un festone di frutta gira ad arco sopra le tre figure.
Il tema trinitario di Vallepietra non incontra sostanziali analogie fra i
casi attestati nell’ambito della pittura murale del Medio Evo, per altro poco
numerosi e quasi mai rispondenti alla tipologia triandrica 434. La diffusione
di questa versione nel XII secolo è però attestata dalla miniatura di una pa-
gina dell’Hortus Deliciarum, codice andato perduto in un incendio nel 1870
ma per fortuna ricopiato fedelmente poco prima della sua distruzione 435.

431
I pannelli quattrocenteschi raffigurano una Madonna con Bambino,
un’altra Madonna, della quale si conserva soltanto la parte superiore del busto e
un sant’Antonio.
432
F. Gandolfo, Aggiornamento cit., p. 298.
433
«Eodem quoque tempore dum B. Dominicus jam satis abundeque ecclesias,
monasteria, oratoria construxisset, villa et praedia monasteriorum curam gerendo
et disponendo circuiret, pervenit ad locum qui Petra imperatoris est appellatus. Ibi-
dem construxit oratorium sanctae Trinitatis, quod cuidam religioso monacho dere-
liquit», S. Dominici Sorani abbatis vita et miracula a coevis conscripta et nunc pri-
mum edita, in Analecta Bollandiana, 1, 1882, p. 279-322 (p. 292). Cfr. F. Caraffa,
San Domenico cit., p. 33-37; S. Boesh Gajano, Santità di vita, sacralità dei luoghi.
Aspetti della tradizione agiografica di Domenico di Sora, in Biblioteca di Latium.
Scritti in onore di Filippo Caraffa, Anagni, 1986, p. 187-204 (p. 195, n. 26). Sulla
datazione della Vita entro la fine dell’XI secolo : F. Dolbeau, Le dossier de saint
Dominique de Sora d’Albéric de Mont-Cassin à Jacques de Voragine, in MEFRM,
102, 1, 1990, p. 7-78, spec. p. 27.
434
A. M. D’Achille, Sull’iconografia trinitaria cit., p. 62-65.
435
C. D’Onofrio, La SS. Trinità cit. p. 72-73; A. M. D’Achille, Sull’iconografia
cit., p. 64-65. Sulla trinità triandrica, con esplicito riferimento ai casi di Vallepie-
tra e dell’Hortus Deliciarum : F. Boespflug, Y. Załuska, Le dogme trinitaire et l’es-
sor de son iconographie en Occident de l’époque carolingienne au IVe Concile du La-
tran (1215), in Cahiers de Civilisation médiévale. Xe-XIIe siècle, XXXVII, 3, 1994,
p. 181-240, spec. p. 188-191.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 127

Lungo la parete ovest del santuario l’intonaco prosegue sulla destra,


senza interruzioni, restringendosi in altezza e assumendo una ripartizione
in tre registri : lungo il bordo superiore corre un fregio a girali d’acanto e
uccelli, al centro si conservano quattro scene del ciclo cristologico, scandite
da colonnine tortili di sapore classico, in basso sono i resti della sequenza
calendariale dei mesi e dello zodiaco che hanno inizio al di sotto della Tri-
nità.
Seguendo l’ordine storico del racconto, il ciclo evangelico inizia con
l’Annunciazione, seguita dalla Natività con l’Annuncio ai pastori, l’Adorazio-
ne dei Magi e la Presentazione al Tempio (tavv. 32 b, 33 b-c). All’interno del-
le singole scene, ad eccezione della Natività, si è fatto uso di architetture che
inquadrano i personaggi o servono da sfondo. Come già rilevato da altri, sia
per l’impostazione dei soggetti che per la resa stilistica, il ciclo del Monte
Autore è molto vicino a una serie di pitture romane e laziali dei primi decen-
ni del XII secolo e quindi a questo arco di tempo viene unanimemente asse-
gnato 436.
Fra le testimonianze pittoriche che si prestano a un confronto stringen-
te ricordiamo la chiesa dell’Immacolata a Ceri, che presenta anch’essa il ci-
clo dei mesi nel registro inferiore 437. Nel santuario della Trinità si è conser-
vata soltanto la raffigurazione di gennaio (IANVARIVS), con la scena della
mattanza di un maiale, presente pure a Ceri, oltre a frammenti del mese di

Fig. 7 – Vallepietra, santuario della SS. Trinità, ricostruzione grafica


delle pitture (da A. M. D’Achille 1980).

436
Ibid.; A. M. D’Achille, Sull’iconografia cit., p. 70; F. Gandolfo, Aggiorna-
mento cit., p. 262; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 272.
437
C. Bertelli, Calendari cit., p. 56; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio
cit., p. 272.

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128 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

febbraio ([FE]BR[ARI]V[S]). Nel personaggio di profilo che sostiene un con-


tenitore è stata riconosciuta la raffigurazione dell’Acquario 438.

4 – PROVINCIA DI FROSINONE

Alatri, «Cripta» di San Michele Arcangelo


Sulla parete di fondo della chiesetta di San Michele in Alatri, una porta
a sinistra dell’altare dà accesso a un esiguo ambiente voltato a botte (4 m ×
1,5 m ca), impropriamente chiamato «cripta» e attualmente adibito a sacre-
stia (tav. 34 a) 439. La struttura, costruita con blocchi di pietra, è impostata
sul rilievo della roccia naturale, che emerge in più punti sopra il livello di
calpestio e lungo la parete settentrionale è stata ritagliata per creare una sor-
ta di sedile. È possibile che in origine il vano avesse una lunghezza maggiore
dato che la parete orientale è frutto di un moderno rifacimento murario.
Il piccolo imbotte ha ricevuto due interventi pittorici riferibili a fasi cro-
nologiche distinte che come avremo modo di spiegare più avanti possono
collocarsi l’una nei primi decenni del XII secolo e l’altra nel secondo quarto
del successivo. Quanto all’originaria funzione dell’invaso, le dimensioni e la
presenza di una canaletta che sbocca nella parte alta della volta, fanno pen-
sare a una cisterna d’età romana, tenendo conto anche dell’ubicazione in
corrispondenza del limite nord-orientale dell’antica acropoli 440.
Lungo la parete settentrionale dello strato pittorico più antico si conser-
va un pannello comprendente due scene agiografiche, una di identificazione
incerta e l’altra raffigurante un Martirio di san Lorenzo, e percorso in basso
da una zoccolatura con un velarium (tavv. 34, 35 a, 66-67). I bordi del pan-
nello, a destra e a sinistra, presentano segni inequivocabili del limite della
stesura pittorica, pertanto è possibile che all’epoca della sua realizzazione
l’intervento abbia risparmiato le pareti est e ovest. D’altra parte, alcune trac-
ce di pittura lungo il muro meridionale e in corrispondenza dell’intradosso
dell’arco a tutto sesto, attualmente tamponato, permettono di affermare che
in origine l’ambiente era decorato pure su questo lato. Anche la volta, che
conserva i resti di una decorazione ornamentale con medaglioni, doveva es-
sere interamente rivestita di intonaco dipinto (tav. 35 a).
Lo strato successivo, raffigurante una Vergine orante tra due santi, si
sovrappone al primo in corrispondenza della zona centrale della scena del
martirio (tav. 67 a). Nonostante abbia perduto i bordi originali, all’infuori di
quello inferiore, è possibile ipotizzare che fin dal principio questo secondo

438
A. M. D’Achille, Gli affreschi cit., p. 44.
439
Desidero ringraziare l’amica e collega Francesca Romana Moretti che, nel
corso di un lavoro di schedatura nel Lazio meridionale per conto della Regione
Lazio, mi ha segnalato questo monumento, assai poco noto. L’unico contributo a
mia conoscenza è quello di A. Donò, Storia dell’affresco in Alatri, Roma, 1990,
p. 7-18, al quale si deve anche la pubblicazione della pianta e dell’alzato della
chiesa di San Michele. Cfr. S. Piazza, Peintures rupestres cit.
440
E. De Minicis, Alatri, in I. B. Barsali, a cura di, Lazio Medievale. Ricerca
topografica su 33 abitati delle antiche diocesi di Alatri, Anagni, Ferentino e Veroli,
Roma, 1980, p. 1-24.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 129

strato comprendesse soltanto le tre figure in posa stante e coprisse unica-


mente la zona centrale della pittura più antica. Lo si deduce dal fatto che le
fitte picchiettature praticate sul dipinto più antico per la stesura pittorica di
questo secondo intervento, si limitano alla zona immediatamente circostan-
te le tre figure iconiche. Né, d’altra parte, si ravvisano tracce di una scialba-
tura che avrebbe potuto nascondere quel che rimaneva visibile dello strato
anteriore.
L’effetto antiestetico che ha provocato la stesura del secondo strato nel
bel mezzo del primo potrebbe non aver avuto gran peso se si tiene conto che
in epoca medievale l’ambiente non era accessibile dall’ingresso laterale, frut-
to di un’apertura recente, ma dall’arco centrale, attualmente murato. L’ipo-
tesi più probabile è che al tempo dell’esecuzione del secondo strato di pittu-
ra esistesse già un vano di fronte al piccolo imbotte 441 : procedendo verso di
esso dall’avancorpo del santuario, il pannello iconico appariva ben incorni-
ciato dall’arco mentre quasi invisibili dovevano risultare i contigui brani del-
lo strato più antico.
Per quanto riguarda l’intitolazione dell’edificio, resta priva di agganci
sicuri l’ipotesi di un’attribuzione a san Michele. Allo stato delle nostre cono-
scenze la dedicazione all’arcangelo, già in epoca medievale, è soltanto ipotiz-
zabile e tuttavia gli elementi dell’acqua e della roccia naturale, l’uno desumi-
bile dall’esistenza della canaletta, l’altro visibile alla base dell’imbotte, costi-
tuiscono due indizi in favore del culto micaelico. Sotto quest’aspetto non
siamo lontani dall’articolazione tipologica presente ad Arpino, sempre nel
frosinate, dove un primitivo nucleo rupestre, legato con ogni probabilità al-
l’insediamento d’epoca romana, è stato inglobato in epoca medievale da un
corpo basilicale intitolato all’arcangelo Michele 442. Non desterebbe stupore,
qualora l’ipotesi risultasse veritiera, l’assenza nei due strati pittorici di
un’immagine che richiami il santo titolare, come accade spesso in luoghi di
culto micaelico 443.
Passiamo all’esame delle testimonianze pittoriche : la rappresentazione
del martirio di Lorenzo, seppur per ampia parte obliterata dalla superficie
del secondo strato, è ricostruibile nel suo assetto generale (tav. 66 b). Dal
punto di vista compositivo la raffigurazione segue lo schema di lunga tradi-
zione iconografica che vede il santo disteso sulla graticola posta in diagonale
nella zona inferiore destra del riquadro e un personaggio che ordina il sup-
plizio sul lato opposto, l’imperatore Decio o il prefetto Valeriano, del quale si
scorge soltanto il copricapo a punta in alto a sinistra e una lancia al suo fian-
co 444. Tutt’intorno al santo si affannano gli aguzzini con gli strumenti di tor-

441
Un terminus ante quem per la cappella di San Michele è dato dai pannelli
iconici che si conservano all’interno della navata, risalenti ai primi anni del Quat-
trocento (A. Donò, Storia cit., p. 19-24).
442
Cfr. infra, p. 131-135.
443
Cfr. infra, p. 199-201.
444
S. Waetzoldt, Die Kopien cit., p. 30-31, 78-79, figg. 22, 587; S. Romano, I
pittori romani e la tradizione, in M. Andaloro, S. Romano, a cura di, Arte e icono-
grafia a Roma da Costantino a Cola di Rienzo, Milano, 2000, p. 133-173, spec.
p. 155-159, figg. 97-103; S. Piazza, La Grotta cit., p. 205.

.
130 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

tura (tav. 67 b, c). Tre di essi si sono conservati per intero e una mano con il
forcone al di sotto del corpo di Lorenzo lascia indovinare l’originaria presen-
za di un quarto. Fa da sfondo alla scena una quinta di edifici merlati con ar-
chitravi, tendaggi e una struttura cupoliforme, ad indicare l’abitato di Roma.
Fra le torri di sinistra è stato possibile decifrare l’iscrizione pittorica che
qualifica i soldati come CAR-NI-FI [CES] 445. Per l’identità del soggetto icono-
grafico e una forte analogia nella resa formale, la raffigurazione di Alatri
può essere accostata al martirio del ciclo laurenziano compreso nella deco-
razione del portico della basilica romana di Santa Cecilia in Trastevere, an-
data perduta, ad eccezione di un pannello con un episodio della vita di santa
Cecilia, ma riprodotta in acquerello da Antonio Eclissi sul finire del ’600 446.
Entrambe le versioni, per l’impianto scenico delle architetture e gli insistiti
richiami al repertorio classico, rivelano evidenti legami con il linguaggio fi-
gurativo proprio della fase matura della stagione della riforma e pertanto
possono essere ricondotti ai primi decenni del XII secolo 447.
Ad Alatri poco ci resta, purtroppo, della scena a sinistra del martirio di
san Lorenzo, dal momento che il secondo strato ne ha occultato una parte
considerevole (tav. 66 a). Il fatto che i due episodi risultino divisi da un’esile
banda verticale, di colore rosso, lascia immaginare che anche questo sogget-
to appartenesse al ciclo laurenziano e che quindi rappresentasse un episodio
precedente il tema del supplizio sulla graticola. Della raffigurazione è ben vi-
sibile il busto di un personaggio tonsurato e nimbato, riccamente vestito con
pallio rosso bordato d’oro e tunica bianca decorata da un reticolo di linee
che si intrecciano diagonalmente, rivolto verso il centro del pannello e ritrat-
to con il braccio destro flesso all’insù in un gesto che sembrerebbe alludere a
una benedizione (tav. 34 b). Nell’iconografia del ciclo agiografico laurenzia-
no una posa simile viene assunta dal diacono romano nella scena della «gua-
rigione della donna col mal di testa» e nella «guarigione di Ciriaca», entram-
be facenti parte della decorazione duecentesca del portico della basilica di
San Lorenzo fuori le mura, distrutta da una bomba del 1943 ma fortunata-
mente fotografata in precedenza nonché riprodotta ad acquerello da Anto-
nio Eclissi 448.
Al di sotto del riquadro corre un velario con motivi gigliati rossi e blu
terminante con un gallone giallo-oro (tav. 34 c). In alto, al di là di una corni-
ce con un motivo ornamentale tipico dell’epoca della riforma 449, la decora-

445
L’iscrizione compare anche nel pannello, con lo stesso soggetto, dipinto
sulla parete sinistra della grotta dei Santi a Calvi, cfr. Ibid., fig. 15.
446
Barb. Lat. 4402, fol. 23, cfr. S. Waetzoldt, Die Kopien cit., p. 30-31, fig. 22.
Sul pannello superstite di Santa Cecilia in Trastevere : F. Gandolfo, Aggiorna-
mento cit., p. 270; V. Pace, Riforma della chiesa e visualizzazione della santità nel-
la pittura romana : i casi di sant’Alessio e santa Cecilia, in Wiener Jahrbuch für
Kunstgeschichte, XLVI-XLVII, 1993-1994, p. 541-548 (rist. in V. Pace, Arte a Roma
nel Medioevo. Committenza, ideologia e cultura figurativa in monumenti e libri,
Napoli, 2000, p. 69-85).
447
Infra, p. 227-231.
448
A. Muñoz, La Basilica di S. Lorenzo f.l.m., Roma, 1944, p. 20, pl. XXIII.
449
H. Toubert, Le renouveau paléochrétien à Rome au début du XIIe siècle, in
CahA, 20, 1970 (rist. in H. Toubert, Un art dirigé cit., 239-310), p. 99-154, spec.
p. 101-112; S. Romano, I pittori cit., p. 141, 147.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 131

zione della volta è sopravvissuta nella zona di destra dove è possibile distin-
guere due medaglioni (tav. 35 a). Quello posizionato al centro dell’imbotte
ha al suo interno quattro racemi d’acanto di colore rosso componenti una
croce i cui bracci si prolungano in volute terminanti nei quattro angoli a for-
mare una sorta di fiore. A pochi centimetri dal clipeo appena descritto, ve ne
è un altro, di dimensioni minori, profilato da un motivo a palline rosse. Al
suo interno, nonostante il forte deterioramento della pellicola pittorica, è
possibile riconoscere la figura di un leone con un libro, corrispondente al
simbolo dell’evangelista Marco. Fra i due cerchi superstiti, su un fondo omo-
geneo color ocra, è visibile un volatile dal piumaggio rosso. Una simile solu-
zione di impianto figurativo verrà adottata nelle più tarde pitture di San Pel-
legrino a Bominaco, dove la volta risulta rivestita da clipei con motivi geo-
metrici ad eccezione di uno soltanto raffigurante il simbolo di san Marco 450.
La frammentarietà dell’intonaco dell’imbotte non permette di appurare se in
origine vi fossero raffigurati tutti e quattro gli evangelisti oppure solamente
il leone, nel qual caso ci troveremmo di fronte a una scelta analoga a quella
della chiesa abruzzese, il cui significato resta del tutto ignoto 451.
Del secondo strato pittorico si conserva l’immagine centrale, acefala,
della Vergine orante e parte di due santi ai suoi lati riccamente vestiti (tav.
67 a). La Theotokos indossa una tunica rossa e un pallio porpora, respinto
indietro dalle braccia sollevate. Del santo di destra resta soltanto un’ampia
zona della veste, caratterizzata da un motivo geometrico a rombi con croci
all’interno. In corrispondenza del santo di sinistra la pellicola pittorica è in
gran parte caduta, tuttavia sono leggibili anche in questo caso i resti della
veste, contraddistinta da un motivo a rosette tangenti. È visibile, inoltre, il li-
bro delle sacre scritture sostenuto con la mano sinistra. Sulla base della tipo-
logia delle figure, e dei motivi decorativi delle vesti che trovano riscontri pre-
cisi nelle pitture della prima bottega operante nella cripta di Anagni, l’epoca
d’esecuzione del secondo strato è assegnabile ai primi decenni del XIII seco-
lo 452.

Arpino, Ipogeo di San Michele Arcangelo


Nel coro della chiesa di San Michele Arcangelo in Arpino una porticina
nascosta dietro l’altare maggiore immette all’interno di una cavità rocciosa
rivestita di una decorazione medievale (tav. 35 b) 453. Il muro absidale della

450
J. Baschet, Lieu sacré cit., p. 143-144, fig. 34.
451
L’unica ipotesi possibile circa la presenza del solo simbolo di san Marco
fra i medaglioni della volta della chiesa di Bominaco, secondo Jerôme Baschet,
risiedeva nella leggenda che l’evangelista sarebbe venuto a pregare in Abruzzo
(Ibid., nota 47), indizio che ovviamente non aiuta a far luce sul caso di Alatri.
452
Si vedano gli abiti dei chierici nella scena della traslazione di san Magno
attribuita al primo cantiere della cripta di Anagni, che la critica assegna, quasi
unanimemente, al secondo quarto del XIII secolo : F. Gandolfo, Aggiornamento
cit., p. 291-299, tav. 12, a colori. Sulle pitture di Anagni, di recente : C. Frugoni,
Alcune considerazioni in margine agli affreschi, in G. Giammaria, a cura di, Un
universo di simboli. Gli affreschi della cripta nella cattedrale di Anagni, Roma,
2001, p. 1-8; A. Tomei, Gli affreschi : una lettura, ivi, p. 39-46, fig. 47.
453
L. Cellucci, Nuovi avanzi di pitture romaniche in Terra di Lavoro, in L’Arte,

.
132 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

chiesa parrocchiale risulta infatti costruito a ridosso della falesia sulla som-
mità della quale è impostata la parte alta del paese laddove in antico si tro-
vava l’acropoli 454. Una tradizione locale, attestata fin dal ’600, identifica l’am-
biente rupestre con un antico tempio dedicato alle nove muse 455. La notizia
non trova alcun riscontro reale, se non nelle nove nicchie che si aprono a
mezz’altezza lungo le tre pareti dell’invaso.
Il numero di esse, cinque sulla parete di fondo e due nelle rispettive pa-
reti laterali, deve aver determinato la diffusione della leggenda. Comunque
sia non è insensato supporre che l’ipogeo appartenga all’evo antico se si tie-
ne conto del fatto che la basilica si affaccia sulla piazza del municipio corri-
spondente al foro dell’Arpinum romana 456 e che lo stesso banco tufaceo è at-
traversato, poco al di sopra, dall’antico acquedotto.
Occluso dalla parete curva dell’abside della basilica, l’ambiente scavato
nel tufo si presenta come un vano a pianta rettangolare e soffitto piano con
le pareti laterali che raggiungono due metri di lunghezza e quella di fondo
che misura circa il doppio. È assai probabile che le attuali dimensioni non
corrispondano a quelle originarie poiché la nicchia più esterna della parete
sinistra risulta tagliata. Ciò autorizza a pensare che in origine l’invaso fosse
chiuso sui quattro lati e che la parte anteriore sia stata sacrificata conte-
stualmente alla costruzione dell’edificio ecclesiastico per creare un passag-
gio diretto fra l’abside e il retrostante santuario. In origine la quota del livel-
lo pavimentale di quest’ultimo era più in basso di quella odierna dato che il
piano di calpestio è costituito da una serie di lastre tombali dei secoli XVI e
XVII. Da una buca profonda circa ottanta centimetri, di recente aperta da
ignoti in corrispondenza dell’angolo nord-est, possiamo risalire al livello pri-
mitivo dell’invaso.
Il fatto che accanto a una chiesa inserita nell’area della Arpino romana
si trovino i resti di un ambiente rupestre di antiche origini non desta parti-
colare sorpresa. Ciò che più interessa è il collegamento venutosi a creare fra
l’edificio ecclesiastico e l’ipogeo tramite la porta della parete absidale. Dal-
l’antico racconto di un erudito sappiamo che nel Seicento questo recondito
spazio veniva identificato come luogo di culto pagano :
Hor dopo che dà nostri Antichi fu con il lume della verità Christiana
consegnato quel tempio al Principe dell’Angelica Hierarchia Michele, fu

XXIII, 1920, p. 200-206; C. Cecchelli, Società dei cultori dell’Archeologia Cristiana


(adunanza del 9.01.1947), in RivAC, XXV, 1949, p. 198; E. M. Beranger, Sulla crip-
ta esistente nella chiesa di san Michele Arcangelo in Arpino, in Bollettino del-
l’Istituto di Storia ed Arte del Lazio Meridionale, 9, 1976-77, p. 161-164; cfr. anche
le schede sulla documentazione delle pitture dell’ipogeo, stilate da Enrico Parlato
in data 10 dicembre 1977 (12/00215647-52), conservate presso l’archivio della So-
printendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma.
454
Per una sintesi topografica dell’antica Arpinum, si veda : P. Sommella, Ar-
pino, in Quaderni dell’Istituto di Topografia Antica, II, 1966, p. 21-34; E. M. Be-
ranger, Contributo per la realizzazione della carta archeologica della media valle del
fiume Liri : i comuni di Arpino, Rocca d’Arce e Santopadre, in Atti dell’Accademia
Nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filosofi-
che, serie VIII, v. XXXII, fasc. 7-12, luglio-dicembre 1977, p. 585-597.
455
B. Clavelli, L’antica Arpino, Napoli, 1626, p. 13-14.
456
E. M. Beranger, Contributo cit., p. 586.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 133

quello stesso vòlto, o nicchio, ch’egli si chiami, adattato per choro, sicco-
me sin al presente dì si vede nella detta principale Chiesa di S. Arcangelo
(...). Onde essendo a dì nostri stato ornato il detto choro co nuova forma
di rivelati stucchi, giuditiosamente han pensato quei Venerandi Canonici
di lasciar quivi comodo spatio, acciocché in ogni tempo possa ciascuno
andarvi per riguardare una tal curiosa antichità di falsi e bugiardi Numi,
al vero Dio hora dedicata 457.

Da una testimonianza risalente al secolo successivo ricaviamo utili indi-


zi sulle origini della parrocchiale : nella Memoria per la Matrice ed insigne
chiesa di S. Michele Arcangelo della città d’Arpino è scritto che sul luogo del-
l’edificio barocco doveva essere esistita una chiesa preesistente risalente al-
meno al secolo IX e a riprova della fondazione in età medievale viene segna-
lata la presenza al suo interno di una campana, salvatasi da un grande in-
cendio con «destrutione» sopraggiunto nel 1251458, sulla quale era inciso il
nome del fonditore e la data del 1100 459. Le tracce di un assetto basilicale
duecentesco, d’altra parte, appaiono evidenti ad un’osservazione diretta :
volgendo lo sguardo in alto nell’intercapedine tra il giro esterno dell’abside e
l’alta parete di roccia si scorgono significativi resti di volte costolonate. È
quindi assai probabile che l’evento distruttivo segnalato nel memoriale sette-
centesco abbia determinato una nuova ricostruzione dell’edificio in forme
gotiche. Anche all’interno, inoltre, la decorazione in stucco sembra nascon-
dere una struttura medievale.
Degno di nota è pure il cenno all’esistenza di un antico cimitero nelle
immediate vicinanze della chiesa 460. Il riferimento farebbe pensare a una de-
stinazione funeraria dell’ambiente rupestre fin dal medioevo, tenendo conto
delle lapidi cinque-seicentesche al suo interno e dell’intitolazione a san Mi-
chele. È nota, infatti, la funzione di protettore delle anime e di angelo psico-
pompo che la devozione popolare ha attribuito all’arcistratega celeste a par-
tire dall’epoca paleocristiana 461. Vero è che il culto micaelico trova un rifles-
so nelle stesse pitture fra le quali prevale la presenza di figure alate. La
chiesa gotica, che forse andò a sostituire un edificio preesistente perduto
nell’incendio del 1251, andrebbe vista, in questo senso, come una struttura
eretta per accrescere e valorizzare un luogo da tempo dedicato all’arcangelo
Michele.
Nelle memorie storiche della chiesa, i dipinti dell’invaso passano pur-
troppo del tutto sotto silenzio forse perché scialbate oppure perché già allo-
ra scarsamente leggibili. Del resto anche oggi, nonostante un intervento di

457
B. Clavelli, L’antica Arpino cit., p. 14.
458
Ibid., p. 10.
459
«CHRISTVS VINCIT, CHRISTVS REGNAT, CHRISTVS IMPERAT, AMEN
/ MAGISTER ANGELIS DE CASERTA ME FECIT ANNO MC», M. A. Cianciulli,
A. Pecorari, C. S. Minervini, Memoria per la Matrice ed insigne chiesa di S. Miche-
le Arcangelo della città d’Arpino sul proposito di doversi essa dichiarare di regal pa-
dronato, Napoli, 1786, p. 10-11, 42 e n. 3.
460
«Presso la chiesa di San Michele Arcangelo d’Arpino esiste l’antichissimo
cimiterio, ove si riponevano i corpi de’ fedeli trapassati», Ibid., p. 42.
461
Infra, p. 202.

.
134 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

restauro sul finire degli anni ’70 del secolo scorso, le pennellate di colore si
vedono a fatica e soltanto alcune figure si distinguono facilmente. È proba-
bile, comunque, che il deterioramento della pellicola pittorica si sia aggrava-
to in questi ultimi anni visto che l’ambiente è vittima di un’incessante e con-
sistente perdita d’acqua che proviene dal soprastante acquedotto.
Veniamo ora alla descrizione dei soggetti raffigurati, che appartengono
ad un unico strato, a parte il frammento di un intonaco più antico di cui di-
remo fra breve. Ovunque si posi lo sguardo le immagini rivelano un’esecu-
zione quasi monocromatica : a prevalere dappertutto è infatti il pigmento
rosso usato anche per le aureole, mentre il bianco si limita alle decorazioni
delle vesti o alle lumeggiature dei volti e l’azzurro è utilizzato con molta par-
simonia. Sulla parete frontale, al di sopra delle nicchie che ospitano labili
tracce di figure a mezzo busto, si distinguono a stento i resti di una rappre-
sentazione simmetrica costituita da una coppia di arcangeli, ai lati, e una di
serafini nel centro. L’identificazione è stata possibile soprattutto grazie alle
tracce, meglio leggibili, delle figure di sinistra, laddove risulta visibile il volto
del serafino caratterizzato da un nimbo bicromo (tav. 70 c), azzurro e rosso,
ed è distinguibile parte della veste e delle ali dell’arcangelo. La lettura divie-
ne assai più faticosa nel settore di destra, invaso dalle efflorescenze saline e
lacunosissimo, ma comunque si è aiutati dall’impostazione speculare della
raffigurazione.
Sulla parete sinistra, in basso, nello spazio che intercorre fra una nic-
chia e l’altra, si discerne la figura di un arcangelo avvolto in un loros ricca-
mente ornato di perle e gemme (tav. 36 b). Tra la nicchia di destra e l’angolo
della parete si conservano i resti di un altro personaggio, forse una santa.
Entrambi i soggetti sono di proporzioni di gran lunga minori rispetto alle fi-
gure della parete frontale. All’interno della nicchia di sinistra è dipinto un
uomo barbuto senza aureola, certamente una delle immagini meglio conser-
vate dell’intero ambiente (tav. 70 b). Nulla si vede sul fondo della nicchia di
destra, mentre sul tratto di parete soprastante si scorgono alcune tracce di
colore, forse relative all’immagine di un altro serafino.
Sulla parete destra, fra le due nicchie, è parzialmente conservata la figu-
ra di una santa riccamente vestita che rivela proporzioni simili a quelle delle
figure dipinte sulla parete di fronte alla stessa altezza. La nicchia di destra
conserva parzialmente il volto di un’altra santa (tav. 70 a) mentre quella di
sinistra ha perduto la sua decorazione. Più in alto si distinguono i resti di un
panneggio appartenente senz’altro a una figura di grandi dimensioni che
sembra sconfinare sulla volta. Su quest’ultima permangono i lacerti di cam-
piture cromatiche rosse e blu oltre a un grande angelo in volo, nella zona di
sinistra, del quale vediamo il volto, l’aureola e parte delle ali spiegate.
Come già accennato, le pitture finora descritte non costituiscono l’unico
intervento esecutivo all’interno del vano rupestre. Una lacuna sulla parete
frontale, infatti, nello spazio di risulta fra la seconda e la terza nicchia co-
minciando il computo da sinistra, ha messo in luce uno strato preesistente
(tav. 36 a). Quel che emerge è un motivo decorativo che denota, in questo
caso, una tecnica esecutiva molto rigorosa : cerchi policromi intrecciati, rea-
lizzati a compasso, formano una banda orizzontale al di sotto della quale so-
no due fasce rosse leggermente curvilinee. L’esiguità della porzione d’into-
naco e il carattere geometrico della decorazione rendono difficile un’ipotesi

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 135

di datazione. Giova ricordare, tuttavia, che un motivo simile si incontra a


Santa Maria Antiqua, nelle pitture dell’epoca di Giovanni VII (705-707) 462 e
quindi un’attribuzione fra VII e VIII secolo sembrerebbe la più probabile.
L’epoca alla quale assegnare con minor margine di errore l’esecuzione
pittorica del secondo strato, coincide, a nostro avviso, con il XII secolo 463. A
questo periodo è stato fatto risalire il pannello con Cristo fra gli arcangeli
conservato nei sotterranei della chiesa romana dei Santi Giovanni e Paolo
che nella tipologia dei volti e nell’uso abbondante della perlinatura delle ve-
sti incontra forti assonanze con le pitture di Arpino 464.

Roccasecca, Chiesa rupestre di Sant’Angelo in Asprano


La piccola chiesa di Sant’Angelo in Asprano sorge non lontano da Ca-
prile, frazione di Roccasecca, alla base di una rupe che dista pochi metri dai
ruderi del castello dei conti d’Aquino (tav. 37 a) 465. L’esistenza dell’edificio e
la sua intitolazione sono documentate a partire dal X secolo : nel 988, infat-
ti, Grimoaldo d’Aquino cedette all’Abbazia di Montecassino una ecclesia
sancti Angeli in monte, qui vocatur Aspranus 466.

462
J. Wilpert, Die Römischen cit., IV, p. 178.
463
Luigi Cellucci si limitava ad attribuire la decorazione pittorica dell’ipogeo
«alla scuola bizantineggiante di Montecassino» (L. Cellucci, Nuovi avanzi cit.,
p. 200) mentre Cecchelli datava le pitture all’VIII-IX secolo (C. Cecchelli, Società
cit., p. 198). Per Beranger gli affreschi «forse eseguiti da artisti greci chiamati a
Monteccasino nel 1053 dall’abate Desiderio, erano da porsi tra la fine dell’XI se-
colo e gli inizi del XII», E. M. Beranger, Sulla cripta cit., p. 162. L’insolito parti-
colare dell’aureola bicroma del serafino si ritrova nella grotta di San Biagio a Ca-
stellammare di Stabia, intorno al volto di un arcangelo che appartiene ad uno
strato attribuito al secondo quarto del XII secolo : H. Belting, Studien zur bene-
ventanischen Malerei, Wiesbaden, 1968, p. 123 e tav. LXVI, no 146 (Gioia Bertelli
ha successivamente proposto un’anticipazione di queste pitture, «alla fine dell’XI
secolo o ai primi decenni del XII» : C. Bertelli, La grotta cit., p. 55-56, 64, 69-71).
464
Il pannello di S. Giovanni e Paolo veniva assegnato da Guglielmo Mat-
thiae a «poco dopo la metà del XII secolo» (G. Matthiae, Pittura cit., II, p. 95),
datazione condivisa da G. Curzi, La decorazione medievale del c. d. oratorio del
SS. Salvatore sotto la basilica dei SS. Giovanni e Paolo a Roma, in A. Cadei,
M. Righetti Tosti-Croce, A. Segagni Malacart, A. Tomei, a cura di, Arte d’Occiden-
te, temi e metodi. Studi in onore di Angiola Maria Romanini, 3 voll., Roma, 1999,
II, p. 607-616, part. p. 613.
465
G. Di Sotto, Le pitture della chiesa rupestre di S. Angelo in Asprano, in Be-
nedictina, 23, 1976, p. 163-172; F. Riccardi, La chiesa rupestre di S. Angelo in
Asprano presso Roccasecca, in Lazio ieri e oggi, XXXIII, 8, 1997, p. 248-249;
L. Speciale, Note per l’arte cassinese del XII secolo, in Monastica, V, Montecassino,
1987, p. 203-240, p. 216; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 320
(«Grotta di S. Michele ad Asprano», scheda a cura di S. Romano); F. Simonelli,
Chiesa di Sant’Angelo (San Michele) in Asprano, La storia, in G. Orofino, a cura di,
Affreschi in Val Comino e nel cassinate, Cassino, 2000, p. 75; P. Mathis, Chiesa di
Sant’Angelo (San Michele) in Asprano, L’edificio, Gli Affreschi, ivi, p. 76-78. Cfr.
anche : G. Orofino, Affreschi in Val Comino e nel cassinate : un’iniziativa per la va-
lorizzazione ed il recupero, ivi, p. 9-12.
466
G. Di Sotto, Le pitture cit., p. 165; F. Simonelli, Chiesa di Sant’Angelo cit.,
p. 75.

.
136 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

La struttura, costruita con malta e pietre di vario taglio, si erge quasi al-
l’interno di un costone roccioso tanto che, non essendoci un tetto, il sovra-
stante calcare della rupe funge da copertura (tav. 37 b). Attualmente l’edifi-
cio consta di un vano d’accesso quadrangolare, dal perimetro leggermente
trapezoidale, che tramite un passaggio centrale comunica con una sorta di
lungo transetto con piccola abside al centro. Aldilà del muro destro del vano
principale c’è uno spazio chiuso, confinante con la roccia della montagna,
adibito ad ossario nell’800 467. L’unica copertura dell’edificio consiste in una
piccola volta a botte posta a protezione della conca absidale.
È fuori dubbio che la struttura abbia subito nel tempo sostanziali modi-
fiche, apportate anche di recente visto che nel XVIII secolo la chiesa è consi-
derata «diruta» nei registri parrocchiali 468. Osservando la facciata dell’edifi-
cio la discontinuità della tessitura muraria permette di distinguere una fase
antecedente forse corrispondente alla primitiva : una cortina a blocchi cal-
carei di taglio più grosso, evidente nella zona centrale, termina in alto a dop-
pio spiovente e prosegue a destra fino ad incontrare la roccia naturale. Que-
st’ala della chiesa era in comunicazione con l’esterno mediante una piccola
porta sovrastata da un arco ribassato, attualmente tamponata. La forma a
spiovente giustifica l’ipotesi di una primitiva copertura a tegole.
Più ardua è l’interpretazione dell’originario assetto della zona presbite-
riale. È chiaro che l’abside risale alla fase più antica, visto che il primo strato
pittorico che vi aderisce è di età altomedievale. Lo stesso può dirsi per la pa-
rete di fondo del piccolo transetto destro dal quale proviene un pannello con
una Crocifissione verosimilmente contemporaneo al primo strato della ca-
lotta absidale. Un approfondimento della questione permetterebbe forse di
ricostruire l’assetto architettonico originario. Allo stato attuale della ricerca,
si può solo avanzare l’ipotesi di un primitivo edificio a navata unica mo-
noabsidato con copertura a due spioventi.
La chiesa di Sant’Angelo in Asprano conserva significative testimonian-
ze pittoriche di X e XII secolo, oltre a pannelli votivi assai più tardi. Il secon-
do strato dell’abside raffigura un’Ascensione, soggetto molto diffuso nelle
decorazioni absidali di XII secolo fra Lazio e Campania (tav. 68 a) 469. La
composizione di Sant’Angelo denota un’acquisita esperienza e una certa di-
sinvoltura nell’articolare gli spazi e nel disporre le figure. L’effetto generale è
di movimento ma al tempo stesso di rigore geometrico. Al centro campeggia
il Cristo benedicente circondato da una mandorla di luce sollevata da due
angeli in volo, mentre un’altra coppia di angeli, al di sopra, saluta l’evento
sollevando le braccia. In asse con il Cristo e interamente frontale è la sotto-
stante figura della Vergine orante, elemento di congiunzione tra la teofania e
la schiera di apostoli (tav. 68 b). In corrispondenza del limite della conca ab-
sidale l’intonaco dipinto gira sulla parete limitrofa terminando con un moti-
vo che funge da bordura. Si tratta di due colonne con capitelli a cespo di

467
Ibid., p. 75.
468
Ibid.
469
A. Carotti, Gli affreschi della Grotta delle Fornelle a Calvi Vecchia, Roma,
1974, p. 13-15, 51-54; W. Angelelli, Affreschi medievali dalla perduta chiesa di San
Basilio ai Pantani nel foro di Augusto, in Bollettino d’Arte, 105-106, 1998, p. 9-32,
part. p. 15-16 e nota 56.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 137

acanto e un decoro ad arco con girali pure d’acanto terminante, sulla som-
mità, con un clipeo. Quest’ultimo, nonostante si sia conservato solo parzial-
mente, permette di distinguere al suo interno le tracce dell’agnello mistico.
Oltre alle numerose lacune, la maggiore delle quali taglia quasi intera-
mente il gruppo degli apostoli di sinistra, è da notare la ridipintura verde-
scuro del fondo, realizzata probabilmente a seguito della caduta del blu ori-
ginario, forse dato a secco 470. L’intervento pittorico integrativo ha coperto un
nastro rosso rifilato di bianco che correva sopra le aureole degli apostoli, e
ora emerge qua e là sotto lo strato verde. Ad un’attenta osservazione della
pellicola pittorica è stato possibile leggere alcune lettere campite su questa
fascia e restituire il senso dell’originaria iscrizione. Lungo il fianco del-
l’angelo di destra si legge, infatti, [I]ACOBV[S]. È chiaro, quindi, che vi fos-
sero riportati i nomi degli apostoli, secondo un uso attestato altrove 471.
Quanto all’epoca di esecuzione della decorazione absidale, di recente è stata
condivisa la proposta, avanzata da Lucinia Speciale, di datarla intorno alla
metà del XII secolo 472. La studiosa aveva notato somiglianze formali tra l’A-
scensione della chiesetta di Sant’Angelo e i disegni del codice dei Dialogi di
Desiderio (Vat. lat. 1203, fol. 76v) considerati il prodotto di uno scriptorium
cassinese operante fra il primo e il secondo decennio del XII secolo. Proprio
in favore di questo convincente accostamento preferiamo assegnare la deco-
razione rupestre al primo quarto del XII secolo piuttosto che alla metà dello
stesso sulla base di un ritardo che ci pare ingiustificato 473.
La caduta dell’intonaco nella zona sinistra dell’abside ha riportato alla
luce parte di un’anteriore decorazione (tav. 69 a). A sinistra, sul fondo ocra
di un orizzonte che sale verso il centro della curva absidale, è ritratto un san-
to con lunga barba, verosimilmente un martire, visto l’attributo della croce
che impugna con la destra. L’identità del personaggio non è riconoscibile
poiché non vi è traccia dell’iscrizione onomastica. Accanto, ma più in alto, è
la parte inferiore di un santo che sembra avere la stessa veste.
Nonostante la ridotta visibilità dell’originaria composizione si può ten-
tare di decifrare l’assetto generale del tema raffigurato : una schiera di santi
in posa stante che con ogni probabilità fiancheggiava la figura centrale di
Cristo. In corrispondenza dell’asse mediano, infatti, l’intonaco con l’Ascen-
sione lascia trasparire, al di sotto, l’estremità di un piede con sandalo, posto
ancora più in alto della seconda figura di santo.
Le proporzioni del piede lasciano immaginare che il personaggio occu-
passe l’intero campo centrale e fosse di maggiori dimensioni rispetto alle fi-
gure laterali. È chiaro che il particolare del sandalo esclude che vi fosse raf-

470
Sembrerebbe trattarsi di azzurrite (M. Matteini, A. Moles, La chimica nel
restauro. I materiali dell’arte pittorica, Firenze, 1989, p. 28).
471
Ad esempio nell’Ascensione, più o meno coeva, dell’abside di Santa Maria
in Caldana a Mondragone, cfr. V. Pace, La pittura medievale in Campania, in
C. Bertelli, a cura di, La Pittura in Italia. L’Altomedioevo, Milano, 1994, p. 243-269
(p. 251 e fig. 318).
472
L. Speciale, Note per l’arte cit., p. 216; P. Mathis, Chiesa di Sant’Angelo
cit., p. 78.
473
L. Speciale, Note per l’arte cit., p. 216.

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138 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

figurata la Vergine o altri soggetti che possono trovarsi al centro delle com-
posizioni absidali, come ad esempio l’arcangelo Michele, di solito
rappresentato con calzari. Fra i due angeli di destra dell’Ascensione, in corri-
spondenza di una piccola lacuna, traspare inoltre una mano, probabilmente
riferibile a uno dei personaggi che dovevano figurare su questo lato per con-
trapporsi simmetricamente a quelli di sinistra.
Al primo intervento pittorico appartiene con ogni probabilità anche il
pannello con la Crocifissione, staccato dalla parete di fondo del piccolo vano
di destra e attualmente custodito su un supporto mobile all’interno della
chiesa di Santa Maria delle Grazie nel vicino centro di Caprile (tav. 69 b) 474.
Si è conservata parte della croce, che è profilata da una cornice perlinata e
ha un suppedaneum. Del Cristo resta soltanto la mano destra e il tratto infe-
riore della figura con un perizoma purpureo decorato da puntini bianchi e le
gambe che scendono unite fino al tratto terminale della croce. A sinistra è
sopravvissuta integralmente la figurina di un soldato con copricapo a punta
e fasciae che avvolgono le gambe, il tradizionale Longino 475. In alto a sinistra
resta un frammento dell’imago clipeata del sole antropomorfo del quale si
vede distintamente il braccio piegato con la mano rivolta verso il Cristo.
A parte l’ovvia presenza, in origine, della simmetrica immagine della lu-
na sulla destra e quella del soldato portaspugna che doveva fare pendant con
il personaggio conservato, si è autorizzati a credere all’esistenza di un’altra
figura 476. Congiunta al bordo inferiore destro della croce, è infatti distingui-
bile una campitura rossa ad andamento irregolare, purtroppo lacunosa. No-
nostante il cattivo stato di conservazione della pellicola pittorica la macchia
di colore è degna di attenzione, tanto più che gli ampi brani superstiti relati-
vi al paesaggio del fondo sono resi con un giallo-ocra omogeneo. In questo
punto del pannello è verosimile pensare che vi fosse raffigurato il ritratto di
un donatore, come accade, del resto, anche in altre versioni iconografiche
altomedievali 477.

474
Dopo la scoperta, avvenuta nel corso di un restauro, il pannello con la
Crocifissione è stato pubblicato da Fernando Riccardi (F. Riccardi, La chiesa ru-
pestre cit., p. 249) e successivamente esaminato da Paola Mathis : P. Mathis,
Chiesa di Sant’Angelo cit., p. 77.
475
Sull’uso delle fasciae, cfr. C. Cecchelli, La Vita di Roma cit., II, p. 806-
807). Longino ha un copricapo simile nella Crocifissione della chiesa di Saint-
Pierre-les-Églises presso Chauvigny (Vienne), attribuita all’XI secolo, cfr. H.-
C. Sepière, L’image d’un Dieu souffrant. Aux origines du Crucifix, Parigi, 1994,
p. 225-226, tav. XXV a.
476
Per la presenza del sole, e dell’immagine simmetrica della luna, all’interno
della Crocifissione : W. Deonna, Les Crucifix de la vallée de Saas-Valais : Sol et Lu-
na, histoire d’un theme iconographique, in Révue de l’histoire des religions, 132,
1947, p. 5-47; 133, 1948, p. 49-102, spec. p. 61-92; M.-Ch. Sepière, L’image d’un
Dieu cit., p. 99. Sulla presenza della coppia di soldati, il portalancia Longino e il
portaspugna Stephaton : Ibid., p. 96-97.
477
Sull’iconografia del donatore in proskynesis nella scena della Crocifissio-
ne, in esempi occidentali dell’altomedioevo : R. Deshman, The exalted servant :
the ruler Theology of the prayerbook of Charles the Bald, in Viator, 11, 1980, p. 385-
417.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 139

La ristretta gamma cromatica che la Crocifissione condivide con il pri-


mo strato dell’abside, composta dall’ocra, dal blu, dal rosso e dal bianco in-
sieme all’essenzialità delle forme delle figure e della rappresentazione del
fondo autorizzano a credere alla contemporaneità di questi due interventi
pittorici. La proposta di datazione delle pitture della prima fase è di difficile
formulazione per via della povertà della resa pittorica di entrambe e del-
l’infelice stato di conservazione. Il volto del santo martire nell’abside, che
potrebbe apportare il maggior contributo in questo senso, appare purtroppo
compromesso dalle cadute di colore. Quello integro del soldato, viceversa, è
tratteggiato in modo talmente schematico, seppur aggraziato, da non pre-
starsi a facili confronti.
La versione che più si avvicina alla Crocifissione di Roccasecca ci sem-
bra quella del ciclo della Chiesa dell’Angelo presso Olevano sul Tusciano, in
passato attribuita con validi argomenti alla seconda metà inoltrata del X se-
colo 478. Anche se ad Olevano siamo in presenza di un’iconografia più com-
plessa, che comprende le pie donne, gli angeli e il san Giovanni, nei due con-
testi pittorici sorprende la somiglianza delle due figurine antropomorfiche
del sole, con la mano nella stessa posizione, la tipologia e le proporzioni del
perizoma, la posizione rigidamente simmetrica e verticale delle gambe del
crocifisso. Per questa ragione si può pensare a una datazione al X secolo 479,
con buona probabilità in epoca precedente il 988, allorquando, come abbia-
mo detto, la chiesa già esisteva perché risultante fra i beni annessi all’abba-
zia di Montecassino 480.

5 – PROVINCIA DI LATINA

Monte Mirteto (Ninfa), Grotta di Sant’Angelo


A metà altezza del monte Mirteto, sul lato che domina la pianura ponti-
na, si apre la grotta di Sant’Angelo 481. L’ampio antro naturale è costituito da

478
R. Zuccaro, Gli affreschi cit., p. 110.
479
La croce di Asprano, profilata da una perlinatura, somiglia a quella del
rotolo della Benedictio fontis (Roma, Biblioteca Casanatense, Cas. 724), ascrivibi-
le alla seconda metà del X secolo : B. Brenk, Bischöfliche und monastische «com-
mittenza» in Süditalien am Beispiel der Exultetrollen, in Committenze e produzione
artistico-letteraria nell’alto medievo occidentale, Spoleto, 4-10 aprile 1991, 2 voll.,
Spoleto, 1992 (Sett.CISAM, XXXVI), I, p. 275-300, spec. p. 285-286. Non lontana
dalla nostra è l’ipotesi di datazione avanzata di recente da Paola Mathis («al X se-
colo, o, al più tardi, agli inizi del successivo», P. Mathis, Chiesa di Sant’Angelo
cit., p. 78). La studiosa, tuttavia, non prende in considerazione la possibilità che
il pannello con la Crocifissione sia frutto dello stesso intervento pittorico che pro-
dusse il primo rivestimento dell’abside.
480
Ibid., p. 75.
481
M. Barosso, Ecclesiae Sancti Michaelis Archangeli supra Nynpham, in Atti
della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, XIV, 1939, p. 67-80; L. Ha-
dermann Misguisch, Images de Ninfa. Peintures médiévales dans une ville ruinée
du Latium, Roma, 1986, p. 93-102, 123-128. Il santuario è citato nell’opera di Mo-
roni (G. Moroni, Norma o Norba, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica,
103 voll., 48, Venezia, 1848, p. 105-106).

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140 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

un ambiente principale che raggiunge la lunghezza massima di 45 metri e


una profondità di circa 24 (tav. 71 a). Ad esso è collegata una cavità più in-
terna di minori dimensioni (10 m × 7 m) situata nella zona di sinistra rispet-
to all’ingresso e caratterizzata da un tronco calcareo che unisce il suolo alla
volta 482. All’interno della grotta si individuano facilmente alcuni interventi
strutturali d’epoca medievale attestanti la trasformazione della cavità natu-
rale in luogo di culto. Al centro dell’ambiente principale un piano pavimen-
tale rialzato, collegato al suolo di calpestio mediante cinque gradini, delimi-
ta la zona destinata alle funzioni liturgiche. Nel mezzo si conserva l’altare
con una nicchia rettangolare sul fronte che probabilmente all’origine conte-
neva le reliquie 483. Tutt’intorno una cortina muraria funge da recinzione pre-
sbiteriale. È probabile che al medesimo intervento sia da ricondurre l’eleva-
zione del muro che separa la grotta dall’esterno, nonostante gli evidenti rifa-
cimenti in tempi recenti, fra i quali la porta d’accesso. All’interno della cavità
minore sorge un altro altare, di dimensioni più piccole, anch’esso provvisto
di una nicchia per le reliquie.
Le strutture murarie della grotta trovano un solido aggancio cronologi-
co nei documenti relativi alla ecclesia sancti angeli supra Nynfam conservati
nell’archivio del monastero di Santa Scolastica presso Subiaco 484. In partico-
lare, in un foglio di pergamena si legge :
In nomine domini nostri Jesu Christi. Anno ejusdem MCLXXXIII anno
secundo pontificatus Lucii tertii pape [...] dedicata est ecclesia et altare
sancti angeli supra nynfam per manu p. signini episcopi ex mandato supra-
diciti domini Pape 485.

Dopo aver riportato la data del 1183 come anno dell’istituzione del san-
tuario micaelico, il documento stila l’elenco delle reliquie che durante la ce-
rimonia di consacrazione vennero riposte al suo interno, assai probabilmen-
te nei due altari che si conservano tutt’ora : si tratta delle ossa dell’apostolo
Bartolomeo, dei martiri Savino, Sebastiano, Antonino e Isidoro, di Bruno il

M. Barosso, Ecclesiae cit., p. 71. Il lento stillicidio della volta in questo


482

punto ha prodotto una stalattite e una stalagmite che col tempo si sono saldate
insieme.
483
Interessante quanto rilevato in proposito dalla Barosso : «L’altare della
chiesa di S. Angelo sopra Ninfa ha il sepulcrum a m. 0,17 alto m. 0,46 largo
m. 0,30, profondo m. 0,45. Anche questa parte è accuratamente intonacata come
tutto l’altare. Ogni traccia di colore è scomparsa all’esterno : nell’interno della ca-
vità si conserva una traccia di colorazione ocra gialla, lustrata, ben visibile nella
parte superiore, con un graffito a forma di croce (crux decussata) come quella
che si tracciava e si traccia tuttora per la cerimonia della consacrazione», Ibid.,
p. 74.
484
M. Cassoni, La Badia ninfana di S. Angelo o del Monte Mirteto nei Volsci
fondata da Gregorio IX, in Rivista storica benedettina, 59-60, 1923, p. 170-189, 252-
263, 61, 1924, p. 51-77 (spec. p. 170-174); R. Grégoire, Presenze religiose e monasti-
che a Ninfa nel Medioevo, in Ninfa. Una città, un giardino. Atti del colloquio della
Fondazione Camillo Caetani, Roma, Sermoneta, Ninfa 7-9 ottobre 1988, Roma,
1990, p. 153-181; M. L. De Sanctis, Insediamenti monastici nella regione di Ninfa,
ivi, p. 259-279, part. p. 262-264.
485
M. Cassoni, La Badia cit., p. 172.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 141

confessore e di Elena, madre di Costantino 486. Altre pergamene del fondo su-
blacense offrono dati sul vicino monastero di Santa Maria di monte Mirteto,
a partire dalla sua fondazione, fra il 1206 e il 1212, fino alla sua annessione a
Santa Scolastica, avvenuta nel 1432, e ancora oltre 487. Già dalla fine del XII
secolo la grotta di San Michele diviene meta di fedeli che accorrono per otte-
nere le indulgenze elargite dai vescovi delle diocesi circonvicine 488.
Nonostante il pessimo stato di conservazione, dovuto alla proliferazio-
ne di muschi e licheni, alcuni brani pittorici si conservano lungo la parete
retrostante l’altare e sul lato esterno del muro di sud-ovest, a sinistra dei gra-
dini 489. Negli anni ’30 del secolo scorso, quando ancora i soggetti raffigurati
dovevano risultare discretamente visibili, Maria Barosso documentò le pit-
ture con disegni e acquerelli (tav. 37 c) 490. L’apparato grafico, pubblicato in
un articolo del 1939, risulta oggi quanto mai prezioso dato che nel corso del
nostro sopralluogo un’analisi accurata degli intonaci ha rilevato l’integrità
della superficie pittorica soltanto in zone assai limitate.
Quel poco che resta della materia pittorica, tuttavia, è indispensabile
per avanzare un’ipotesi di datazione visto che non disponiamo di fotografie
risalenti all’epoca durante la quale le pitture erano ancora ben visibili, e dai
vecchi disegni non è facile farsi un’idea della resa stilistica delle raffigura-
zioni.
La parete dietro l’altare ospitava due ampi temi figurativi. Come si evin-
ce dalla vecchia documentazione grafica, il soggetto di sinistra, oggi ridotto
a una coltre di muschio che non ha risparmiato la minima superficie, rap-
presentava una Psicostasia (fig. 8) 491. L’arcangelo sosteneva con la mano si-
nistra la bilancia per la pesa delle opere buone e di quelle cattive, mentre
con la destra impugnava l’asta per trafiggere il demonio 492.
Un certo grado di visibilità ha mantenuto il pannello contiguo che si
estende sulla destra, con l’immagine centrale del Cristo benedicente tra quel-
le, in scala minore, degli apostoli Pietro e Paolo che esibiscono ciascuno un
cartiglio (fig. 8) 493. Proprio al di sotto del filatterio di Paolo è una piccola nic-
chia quadrangolare che probabilmente ospitava la suppellettile liturgica 494.
Sebbene all’attacco dei microrganismi e alla sedimentazione dei carbonati si
sia aggiunta, in tempi recenti, la caduta dell’intonaco in corrispondenza del
volto di Cristo e l’asportazione vandalica del volto di Pietro, delle pitture si
colgono ancora alcuni dettagli, come le linee del panneggio di Gesù, la sua

486
Ibid.
487
Ibid., p. 61-77; R. Grégoire, Presenze cit., p. 155-163.
488
M. Cassoni, La Badia cit., p. 172.
489
Maria Barosso proponeva una datazione al XIV secolo (M. Barosso, Ec-
clesiae cit., p. 74, 80), accettata in seguito da L. Hadermann Misguisch, Images
cit., p. 126.
490
M. Barosso, Ecclesiae cit., figg. 1, 5, tav. a p. 72, 9, 10.
491
Ibid., p. 76-77.
492
Quest’ultimo non era più visibile già all’epoca dello studio di Maria Baros-
so (Ibid., fig. 9).
493
M. Cassoni, La Badia cit., p. 171; M. Barosso, Ecclesiae cit., p. 74-76.
494
La nicchia misura 27 cm per lato ed è profonda 30 cm (Ibid., p. 76).

.
142 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Fig. 8 – Monte Mirteto (Ninfa), grotta di S. Angelo, Cristo fra Pietro e Paolo,
Psicostasia, disegno (da M. Barosso 1939).

mano sinistra che regge un volumen con dita affusolate, la campitura rossa
del fondo nella zona circostante, il volto di Paolo (tav. 37 d), parte dei carti-
gli e infine le tracce di un capitello, raffigurato lungo l’estremità destra,
appartenente a una delle due colonne che delimitavano il soggetto lateral-
mente.
Di particolare interesse sono le iscrizioni dipinte sui cartigli dei due
apostoli, decifrate già all’inizio del secolo scorso, quando dovevano risultare
più leggibili 495. L’iscrizione associata a Paolo riportava la frase : MIHI VIVE-
RE CR[IST]VS EST ET MORI LVCRVM; quella relativa a Pietro : ET RE-
SPONDIT PETRVS TV ES CR[IST]VS FILI DEI VIVI 496. Le iscrizioni, tra-
scritte in passato senza tuttavia individuarne la fonte, riprendono due testi
neotestamentari : nel primo caso si tratta di un passo di una delle lettere di
san Paolo ai Filippesi (I, 21), nel secondo di un versetto del vangelo di Mat-
teo (XVI, 16). Maria Barosso aveva osservato come le frasi coincidessero con
quelle riportate sui cartigli dei due apostoli rappresentati nel perduto mosai-
co absidale della basilica di San Pietro, trascritte in alcune copie tardo-

M. Cassoni, La Badia cit., p. 171.


495

Le lettere delle iscrizioni sono state documentate graficamente dalla Ba-


496

rosso con particolare precisione, lo si evince dal confronto con i resti ancora oggi
visibili : M. Barosso, Ecclesiae cit., p. 75, fig. 10.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 143

cinquecentesche 497. Le iscrizioni di Ninfa, tuttavia, disposte all’origine su


una decina di righe ciascuna, comprendevano altri versi, illeggibili già all’i-
nizio del ’900.
Ad avvalorare l’ipotesi di un’esecuzione delle pitture di Ninfa in coinci-
denza con la consacrazione del santuario rupestre del 1183 viene in aiuto,
appunto, l’opera musiva dell’abside di San Pietro. La decorazione medievale
è infatti databile agli anni del pontificato di Innocenzo III, tra il 1179 e il
1180, e quindi a un epoca che precede soltanto di tre o quattro anni la dedi-
cazione dell’altare della grotta 498. L’espressione Tu es Christus Dei vivi viene
ripresa nell’abside della basilica di San Paolo fuori le mura, all’inizio del
XIII secolo e in quella lateranense, alla fine dello stesso, ma in entrambi i ca-
si l’iscrizione associata alla figura di Paolo non contiene il passo contenuto
nel rispettivo cartiglio di Ninfa e della basilica petrina 499.
Di ciò che era raffigurato sul lato frontale della recinzione prebiteriale,
in corrispondenza del muro in alto a sinistra, serba memoria un altro esem-
plare della vecchia serie di acquerelli dove si scorge una Vergine in trono al-
lattante affiancata, sulla sinistra, da un altro arcangelo Michele, questa volta
con gli attributi imperiali del globo e dell’asta gemmata, e sulla destra dalla
martire Lucia che porge la corona (tav. 37 c) 500. Del riquadro sopravvivono
soltanto la zona inferiore della raffigurazione oltre a qualche lacerto della
parte centrale e superiore. Si sono conservate, infatti, tracce della veste della
santa e dell’arcangelo, del trono, delle aureole della Vergine e del Figlio. I
brani superstiti sono sufficienti per rilevare che in questo caso la copia grafi-
ca non è fedele, nel dettaglio, all’originale. Particolari come gli orbicoli di-
pinti ad ornamento della parte inferiore della veste della santa, così come le
decorazioni verticali ocra del trono, costituiti da un’alternanza di motivi
ovoidi e cubici, non sono riportati nella documentazione ad acquerello. Pos-
siamo credere, tuttavia, nell’esattezza dell’interpretazione d’insieme del sog-
getto fornita dall’interpretazione grafica, dato che in uno schizzo pubblicato
nello stesso articolo, vengono riportati con precisione i dettagli dell’iscrizio-
ne, S(ANCTA) LVCIA, oltre che il volto e il globo dell’arcangelo 501.
Un altro pannello (fig. 9), ancora parzialmente visibile, si conserva sul
lato frontale della transenna di destra. Si scorge distintamente la figura di

497
Ibid., p. 76.
498
Sulle riproduzioni del tema absidale di san Pietro, cfr. A. Margiotta, L’an-
tica decorazione absidale della basilica di san Pietro in alcuni frammenti al museo
di Roma, in Bollettino dei Musei Comunali di Roma, n. s., II, 1988, p. 21-33 (21);
A. Iacobini, Il mosaico absidale di San Pietro in Vaticano, in Fragmenta Picta. Af-
freschi e mosaici staccati del Medioevo romano, Roma, 15 dicembre 1989-18 feb-
braio 1990, catalogo della mostra, Roma, 1989, p. 119-130.
499
Sui mosaici di San Paolo f.l.m. e San Giovanni in Laterano : F. Gandolfo,
Aggiornamento cit., p. 286, 288-289, 340-341, 343; M. Andaloro e S. Romano,
L’immagine nell’abside, in Eaedem, a cura di, Arte e iconografia cit., p. 93-132,
part. p. 114-119, fig. 66 (paragrafo 5, a cura di S. Romano).
500
M. Barosso, Ecclesiae cit., fig. a p. 72. All’inizio del ’900 padre Cassoni vi
aveva visto «una Madonna che dà il latte al Bambino Gesù, con due angeli ai la-
ti», M. Cassoni, La Badia cit., p. 171.
501
M. Barosso, Ecclesiae cit., p. 77.

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144 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Fig. 9 – Monte Mirteto (Ninfa), grotta di S. Angelo, pastore con gregge, disegno
(da M. Barosso 1939).

un pastore vestito di una corta tunica ocra su pantaloni aderenti 502. Il perso-
naggio è affiancato a sinistra da un gregge o forse da una mandria (tav.
70 d) e regge sulla spalla un bastone al quale sembra essere appesa una bi-
saccia. Data l’esiguità della porzione d’intonaco superstite, l’identificazione
della scena risulta assai ardua. Tenendo conto dell’importanza che riveste in
questo luogo l’arcangelo Michele, si potrebbe pensare all’episodio di Garga-
no e del toro smarrito dalla mandria, sennonché il pastore raffigurato a Nin-
fa non è ritratto nell’atto di scagliare la freccia verso il toro nascosto nella
grotta, come avviene nell’iconografia del ciclo della Apparitio 503.

502
Sull’uso delle fasciae, cfr. C. Cecchelli, La Vita di Roma cit., II, p. 806-
807).
503
Supra, p. 59-60.

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 145

6 – PROVINCIA DI CASERTA

Calvi, Grotta dei Santi


La Grotta dei Santi è un grande invaso a pianta rettangolare e sezione
trapezoidale ricavato nel tufo di una falesia in prossimità dell’abitato del-
l’antica Cales (tav. 38 a). In età medievale le pareti al suo interno sono state
ricoperte da una serie di interventi pittorici 504. La tipologia dell’ambiente ru-
pestre, di origine artificiale, con i lati fortemente inclinati per meglio soste-
nere il carico della volta, trova una corrispondenza nella vicina Grotta delle
Fornelle e nel santuario di Santa Maria in Grotta a Rongolise, distante solo
qualche chilometro 505.
L’ubicazione all’interno di un’area densamente abitata in epoca romana
e il tipo di escavazione, che non suggerisce alcun rapporto spaziale con edi-
fici religiosi monumentali, permettono di attribuire la Grotta dei Santi all’e-
vo antico e di associare la sua primitiva funzione all’uso agricolo.
La vista delle pitture è in gran parte impedita da uno strato di intonaco
disteso da un individuo che, vent’anni orsono, aveva scelto la grotta come
abusiva abitazione. A questo intervento potenzialmente reversibile si è pur-
troppo aggiunto il furto di cinque porzioni di pittura corrispondenti ad al-
trettanti busti di santi (successivamente recuperati, tranne uno), facenti par-
te dei due pannelli della parete destra, prossimi all’altare della zona di fon-
do 506.
La prima campagna pittorica ha segnato il passaggio dallo stato di ab-
bandono dell’insediamento all’adibizione a luogo di culto. Contestualmente
è stato aperto un vano absidale in corrispondenza della metà superiore della
parete di fondo, con il risparmio di un altare e di un bancale. La superficie
concava è stata rivestita con un ampio pannello raffigurante il Pantocratore
al centro, due arcangeli ai suoi lati (tav. 72 a), seguiti dai rappresentanti de-
gli apostoli, Pietro a sinistra e Paolo a destra, infine, accanto a quest’ultimo,
i santi Tommaso apostolo, Martino vescovo di Tours e Giuliano martire

504
D. Salazaro, Studi sui monumenti cit., p. 57-59; É. Bertaux, L’art dans l’I-
talie cit., p. 243-247; G. Kalby, Le grotte dei Santi e delle Formelle a Calvi, in Il con-
tributo dell’archidiocesi di Capua alla vita religiosa e culturale del Meridione. Atti
del Convegno Nazionale di Studi Storici promosso dalla Società di Terra di Lavoro,
Capua e altrove, 26-31 ottobre 1966, Roma, 1967, p. 337-342, spec. p. 338-341;
H. Belting, Studien cit., p. 102-111; A. Thiery, La peinture cit., p. 471-472; V. Pace,
La pittura rupestre cit., p. 403-404, 408; A. M. Romano, La Grotta dei Santi, in Ca-
serta e la sua Reggia. Museo dell’Opera e del Territorio, Napoli, 1995, p. 222;
S. Piazza, La Grotta dei Santi cit., p. 169-208. Sull’antica Cales : W. Johannowfs-
ky, Relazione preliminare sugli scavi di Cales, in Bollettino d’Arte, XLVI, 1961,
p. 258-268; G. E. Carcaiso, Storia dell’antica Cales, Acerra (Napoli), 1980 (Qua-
derni di storia ed arte campana, 7), spec. p. 109-146.
505
Infra, p. 148-152, 160-164.
506
V. Pace, La pittura rupestre cit., p. 403; Dei cinque pezzi trafugati uno sol-
tanto non è stato recuperato (il busto della Vergine orante : S. Piazza, La Grotta
dei Santi cit., p. 169, 176, 183 e nota 31, figg. 2, 6, tav. II, no 20) mentre gli altri
quattro, Simone apostolo, Barbara martire, Cosma anargiro e Giovanni Battista
a seguito del vandalico stacco hanno subito un notevole ridimensionamento (cfr.
A. M. Romano, La Grotta cit., p. 222).

.
146 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

(tavv. 71 b, 72 b-d) 507. Più in basso, sulla parete di fronte all’altare moderno,
sono state dipinte le immagini di santa Margherita con la corona del marti-
rio, di un santo vescovo con omophorion e di un santo medico con gli stru-
menti della medicina 508. Fra questi ultimi, tuttavia, doveva esserci verosimil-
mente un’altra figura di santo, sparita in occasione della seconda campagna
pittorica al di sotto di un pannello con una Theotokos. A coronamento della
serie di personaggi, campeggiava una sequenza di medaglioni con busti di
santi, almeno cinque a giudicare dallo spazio a disposizione, dei quali so-
pravvivono parzialmente i primi due sulla destra. Sul fronte dell’antico alta-
re, a destra della parete curvilinea, sopravvive un’altra imago clipeata ospi-
tante, in questo caso, la mano divina. Un’immagine isolata della Vergine
orante, infine, era visibile lungo la parete destra dell’invaso fino a quando
non è stata scialbata insieme ai dipinti di un secondo strato collocati a fian-
co e in seguito staccata dalla parete e trafugata 509.
Sulla base di confronti formali è possibile attribuire le prime pitture
della Grotta dei Santi alla temperie artistica della Langobardia Minor del pie-
no X secolo che trova nella vicina Capua, allora sede di un principato, un at-
tivo centro propulsore.
La tipologia dei volti delle figure della Grotta dei Santi, con i grandi oc-
chi sferici circondati da sopracciglia unite in un solo tratto alla canna nasale
e la bocca costituita da un segmento orizzontale con il labbro inferiore mol-
to pronunciato, rivela, infatti, un apparentamento con l’immagine clipeata
della cripta capuana di San Michele a Corte, ascritta al X secolo, e con le mi-
niature del rotolo della Benedictio fontis, opera assegnata agli anni intorno al
969, attribuita a un atelier beneventano o cassinese 510.
Il secondo intervento pittorico è assai più esteso e si distingue per il ca-
rattere votivo delle immagini (tavv. 38 b-c, 39 a, 84 b). Ai lati dell’intonaco
del vano absidale e lungo le pareti, su due file, trova posto una moltitudine
di pannelli raffiguranti perlopiù santi in posa frontale accompagnati, alla
base, da iscrizioni con i nomi dei donatori nell’usuale formula votiva : EGO
«X» CVM VXORE MEA «Y» PINGERE FECI 511. Durante questa seconda
campagna, a destra e a sinistra del pannello con il Pantocratore è stato ag-
giunto rispettivamente un Nicola di Mira e un altro vescovo, non meglio
identificabile data la perdita dell’iscrizione onomastica. Al di sopra del-
l’intonaco di primo strato che aderisce alla parete sottostante, una Theotokos

507
S. Piazza, La Grotta dei Santi cit., p. 172, 178-183, figg. 4, 8-11, tav. III,
nn. 35-43, 51.
508
Ibid., p. 172, fig. 5, tav. III, nn. 45-48.
509
Cfr. supra, nota 506 e ibid., p. 169, 176, 183 e nota 31, figg. 2, 6, tav. II,
no 20.
510
B. Brenk, Roma, Biblioteca Casanatense. Benedizionale, in G. Cavallo, a
cura di, Exultet. Rotoli liturgici del Medioevo meridionale, Roma, 1994, p. 87-90.
Già Belting, a suo tempo, aveva acutamente proposto un raffronto fra le miniatu-
re del Benedizionale e le prime pitture di Calvi, suggerendo però per queste ulti-
me una datazione al secondo terzo dell’XI secolo (H. Belting, Studien cit., p. 109-
110; cfr. infra, p. 217-221).
511
Infra, p. 238-239.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 147

in trono con Bambino, come accennato poc’anzi, è stata realizzata in corri-


spondenza del terzo riquadro da sinistra. Sempre in occasione della seconda
campagna pittorica, una replica dell’immagine mariana, del tutto simile a
quella della parete di fondo e tuttavia visibile a malapena per via del preca-
rio stato di conservazione, ha trovato posto, accanto a un santo vescovo ap-
partenente alla medesima campagna pittorica, sulla parete sinistra del vano
minore che si apre a destra dell’entrata. Le due figure della Vergine sono le
uniche a non avere avuto fin dall’origine, un’iscrizione votiva alla base 512.
Tornando alla zona di fondo del grande invaso, in occasione di questa secon-
da fase, lo spazio di risulta in alto a sinistra, risparmiato dallo scavo della
conca absidale viene ricoperto con un’immagine dell’arcangelo Michele nel-
la foggia imperiale, con labaro, globo e loros bizantino.
Lungo la parete destra, la serie di pannelli votivi aveva inizio ad altezza
d’uomo, con le figure di Simone apostolo, Barbara martire, Cosma medico, i
cui busti, come si è detto, sono stati oggetto del furto. Appresso, superata
l’immagine di Maria orante appartenente al primo strato, anch’essa mutila a
seguito dell’atto criminoso, trovano spazio a una distanza maggiore da terra,
un san Giovanni evangelista, una Crocifissione (tav. 38 b), i santi Stefano
diacono, Pietro apostolo, Massimo il confessore, i pontefici Silvestro I, con il
leggendario drago accanto (tav. 38 c), Clemente I, i ritratti frammentari di
una santa martire e un santo vescovo 513. Ad un livello superiore, dove non è
arrivata la mano di scialbo, in corrispondenza dell’ultimo personaggio citato
si distingue il sacerdote Simeone, poi di nuovo san Pietro e infine un’altra
martire non meglio identificabile. Non è detto che al suo fianco, sulla destra,
non ci fossero altri santi, dal momento che lo strato di intonaco sul quale è
dipinta va a sparire sotto la cortina muraria innalzata nel secolo scorso per
incardinare il cancello di ingresso.
Lungo la parete sinistra, cominciando sempre dal fondo e risalendo ver-
so l’entrata, la semitrasparenza della scialbatura lascia scorgere qua e là i
tratti figurativi di un ampio riquadro con la leggenda di San Silvestro e il
drago, per altro documentato nella sua integrità anche da vecchie fotografie
(tav. 39 a), seguita dai santi vescovi Maurizio, Bonifacio e Castrense 514, l’ar-
cangelo Michele sempre con le insegne imperiali, un san Quirico e infine la
scena agiografica del martirio di san Lorenzo con accanto l’arcangelo Mi-
chele questa volta nel ruolo di psicopompo. Una sola immagine, quella di un
altro san Silvestro con il drago capitolino, prende posto in un registro supe-
riore all’estremità destra della parete 515.
L’esecuzione di questa seconda campagna pittorica, che il caso di so-
vrapposizione sullo strato precedente in corrispondenza della parete di fon-

512
S. Piazza, La Grotta dei Santi cit., p. 188, fig. 5, tav. III, nn. 47, 52.
513
Ibid., p. 176, tav. II, nn. 21-32.
514
Sulla diffusione e il culto di Bonifacio e Castrense in Italia meridionale
durante il Medio Evo, di recente : S. Brodbeck, Messages et fonctions du program-
me hagiographique de la cathédrale de Monreale (Sicile, fin XIIe siècle), tesi di dot-
torato, 4 voll., Parigi (Università di Paris-Sorbonne, 18 giugno 2005), II-a, schede
nn. 14 e 18.
515
Ibid., p. 176, tav. I, nn. 1-9, 15.

.
148 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

do farebbe pensare appartenente a una fase cronologica non troppo a ridos-


so della prima, si colloca con buona probabilità intorno alla metà dell’XI se-
colo, piuttosto che nel pieno XII come supposto in precedenza 516. Lo si
deduce dall’inveterato repertorio formale delle figure rivolto a modelli che
risalgono alla pittura romana dei secoli centrali dell’alto Medioevo e dall’as-
senza di qualsiasi traccia degli esiti formali maturati nell’ambito della pro-
duzione artistica della Riforma 517.
Anche sul piano iconografico, schemi come quelli adottati per la rap-
presentazione della Crocifissione rinviano ad esempi di X secolo, come il ca-
so della chiesa dell’Angelo ad Olevano sul Tusciano, più che alle versioni di
fine XI come quella di Sant’Angelo in Formis 518. È un genere di pittura che
trova riscontro in altri due contesti campani, entrambi anch’essi rupestri :
l’insediamento di San Michele a Fasani presso Sessa Aurunca e la grotta di
San Michele ad Avella (tavv. 41 c, 73 c-75, 84 a) 519.
A differenti interventi pittorici si devono riferire altri tre pannelli votivi.
Uno, assai lacunoso, riproducente una Vergine orante e un santo vescovo, si
conserva sulla parete di fondo dell’ambiente laterale e, nonostante il grave
stato di alterazione della pellicola pittorica, può essere assegnato al X-XI se-
colo. Nel riquadro con quattro santi sulla parete sinistra dell’ambiente prin-
cipale, raffigurante un eremita, verosimilmente Onofrio, un profeta, una
martire e un sant’Eustachio, si colgono invece alcune analogie con esempi
pittorici campani dell’inoltrato XII secolo, come il san Tommaso di Rongoli-
se (tav. 39 b, 77 b) 520.
Poco più in là, forse agli inizi del secolo successivo, a giudicare dalla so-
miglianza con un pannello della Grotta delle Fornelle, databile a cavallo fra
XII e XIII secolo, ha trovato posto la figura isolata di un san Paolo apostolo
(tav. 72 c) 521.

Calvi, Grotta delle Fornelle

La Grotta delle Fornelle, nota per una serie di pitture realizzate al suo
interno tra l’XI e il XIII secolo, si apre lungo un costone tufaceo in corri-
spondenza della zona sud-orientale dell’antica Cales, oggi attraversata dalla
via Casilina e dall’autostrada Roma-Napoli (tav. 40 b) 522. Allo scempio pae-

516
H. Belting, Studien cit., p. 108.
517
I gioielli che esibisce santa Barbara, come pure il panneggio di san Simo-
ne dipinto accanto, rimandano a un linguaggio formale in circolazione al tempo
dell’esecuzione dei mosaici di Pasquale I (817-824) : G. Matthiae, Mosaici cit., I,
p. 239-242, II, fig. 201. Del resto anche l’iconografia delle scene del Martirio di
San Lorenzo e del Miracolo di San Silvestro e il drago tradiscono una radice ro-
mana (S. Waetzoldt, Die Kopien cit., p. 30-31, 78-79, figg. 22, 86).
518
R. Zuccaro, Gli affreschi cit., p. 31-33, tav. IV a.
519
Infra, p. 153-155, 170-175.
520
L. Speciale, La Chiesa Rupestre di Santa Maria in Grotta (Notizie storiche/
Le pitture), in Civiltà Aurunca, 26, 1994, p. 33-38, 63-80 (p. 78-79).
521
Supra, p. 152.
522
H. Belting, Studien cit., p. 111-112; G. Kalby, Le grotte cit., p. 341-342;
A. Carotti, Gli affreschi cit.; A. Thiery, La peinture murale in L’art dans l’Italie Mé-

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 149

saggistico causato dalle moderne infrastrutture si è aggiunto il devastante


intervento di ignoti ladri che, una ventina d’anni fa, hanno praticato profon-
di tagli alle pareti della cavità rupestre riuscendo a portar via ampie porzioni
di pittura con uno spesso strato di tufo (tav. 40 a) 523. Qualche anno dopo il
furto, alcuni pezzi sono stati recuperati ed esposti al Museo dell’Opera e del
Territorio presso la Reggia di Caserta, dove tuttora si trovano (tavv. 40 b,
73 a-b) 524. Allo stato dei fatti, l’analisi dell’originaria decorazione pittorica è
possibile soltanto sulla base della documentazione preesistente 525.
La Grotta delle Fornelle è costituita da un grande ambiente a pianta più
o meno rettangolare comunicante, in corrispondenza della parete di fondo,
con un piccolo vano quadrato al quale si accede tramite una piccola porta
scavata al centro. Subito a destra dell’ingresso all’invaso principale si apre
un altro spazio quadrangolare. L’insediamento rupestre è il risultato di un
intervento di scavo eseguito dalla mano dell’uomo e non è, come supposto in
precedenza, di origine naturale 526. La sezione dell’ambiente principale, di
pronunciata forma trapezoidale, appartiene a una tipologia che troviamo
anche nella vicina Grotta dei Santi e a Santa Maria in Grotta di Rongolise 527.
L’inclinazione delle pareti può essere imputabile alla necessità di sopperire a
problemi di statica 528. Riguardo all’epoca di escavazione, la particolare volu-
metria di questo grande spazio, che nei sei metri di altezza e oltre quattordi-
ci di lunghezza non ha rapporto alcuno con l’architettura religiosa del sopra-
terra, e l’ubicazione dello stesso all’interno di un’area caratterizzata da un
marcato sfruttamento del substrato roccioso in epoca romana 529, permetto-
no di scartare l’ipotesi di un intervento medievale 530 e di proporre una data-
zione all’evo antico.
Quanto alle pitture, esse contribuiscono a sottolineare la distanza fra il
senso dell’intervento di scavo e la successiva adibizione a luogo di culto cri-
stiano : sulla superficie fortemente inclinata delle pareti laterali trovano po-

ridionale. Aggiornamento dell’opera di Émile Bertaux sotto la direzione di Adriano


Prandi, t. IV, Roma, 1978, p. 467-489 (p. 471); M. D’Onofrio e V. Pace, Italia ro-
manica. La Campania, Milano, 1981, p. 315-316; V. Pace, La pittura medievale cit.,
p. 251, 253; Id., La pittura rupestre cit., p. 403-404, 408. Sull’antica Cales, cfr. :
W. Johannowfsky, Relazione cit, p. 258-268; G. E. Carcaiso, Storia dell’antica cit.,
p. 109-146.
523
V. Pace, La pittura rupestre cit., p. 403.
524
C. Celentano, Frammenti di affresco raffiguranti un angelo (191). Fram-
mento d’affresco raffigurante due santi (192), schede del catalogo a cura della So-
printendenza per i BB. AA. AA. e SS. per le province di Caserta e Benevento : in
Caserta e la sua Reggia. Il Museo dell’Opera e del Territorio, Napoli, 1995, p. 225-
227.
525
A. Carotti, Gli affreschi cit., p. 7-28.
526
É. Bertaux, L’art dans l’Italie cit., p. 246; G. Kalby, Le grotte cit., p. 338.
527
Infra, p. 160-161.
528
A. Venditti, Architettura cit., p. 367, 370.
529
Sullo sfruttamento del tufo per la rete idrica di Cales : R. S. Femiano, Li-
nee di storia, topografia ed urbanistica dell’antica Cales, Maddaloni, 1986, p. 105-
126.
530
A. Carotti, Gli affreschi cit., p. 5-6, 38-39.

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150 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

sto, in un modo che appare del tutto casuale, soltanto due pannelli votivi.
Sul fondo, una grande Ascensione, tema ricorrente nelle absidi campane fra
la seconda metà dell’XI secolo e il XII, è stata adattata alla forma trapezoida-
le della parete verticale (tav. 40 a, 73 a) 531.
Diversa è la situazione dei due piccoli ambienti, l’uno in prossimità del-
l’entrata, sulla destra, l’altro al di là della parete di fondo. Il primo, in origine
interamente dipinto come a voler imitare una cappella, potrebbe essere con-
temporaneo al progetto di decorazione e realizzato per un intento devozio-
nale (tav. 41 a). Anche il secondo, che non conserva però alcuna traccia di
pittura, potrebbe essere il frutto di un intervento medievale, forse realizzato,
come già supposto in passato 532, per accogliere le spoglie di due personaggi
di alto rango, il conte Pandolfus e sua moglie Gualferada i cui nomi prima
del furto comparivano nella lunga iscrizione del bordo inferiore dell’anti-
stante pannello con l’Ascensione 533. L’ipotesi di una funzione funeraria del-
l’ambiente è sostenuta sulla base dell’assoluta mancanza di luce ed aerazio-
ne e dall’esistenza di una necropoli medievale nelle immediate vicinanze 534.
Nel passare in rassegna la serie di pitture della grotta, cominciando
dalla parete sinistra dell’invaso principale, dobbiamo purtroppo constatare
che i ladri hanno completamente asportato la metà superiore del lungo pan-
nello presso l’entrata. Ad una scena a carattere narrativo, della quale già in
passato non risultava possibile fornire una chiave interpretativa, seguiva
una Theotokos e ancora oltre l’episodio evangelico della danza di Salomé
con la decapitazione del Battista (tav. 40 c) 535. Nel mezzo della parete oppo-
sta, prima del furto si potevano scorgere le figure di sant’Elena, S[AN]C[T]A
ELE(NA), madre di Costantino, e san Giovanni evangelista, S[AN]C[T]VS
(IO)HANNES EV, facenti parte dello stesso riquadro (tav. 73 b) 536. Sulla pa-
rete di fondo, al di sotto della zona dove era raffigurata l’Ascensione, obbe-
diente allo schema iconografico tradizionale con l’immagine del Cristo in
una mandorla trasportata da quattro angeli sopra la Vergine orante affian-
cata dalla schiera degli apostoli, sono i resti di una serie di undici santi in
posa frontale, interrotti al centro dall’apertura che immette nel piccolo am-
biente retrostante 537.
Le pareti della cappellina a destra dell’ingresso principale erano rivesti-
te da una decorazione a due registri. Quello superiore ospitava una serie di

531
Sull’Ascensione in area campana fra XI e XII secolo, cfr. infra, p. 226.
532
Ibid., p. 40.
533
+ OC OPVS QVOD ASSPICITIS EGO PALDOLFVS COM(ES) (C)VM
CVALFERADA COMETIXA VXORE [MEA] [...]. Appena al di sopra, un’altra iscri-
zione alludeva al passo neotestamentario relativo all’episodio dell’Ascensione (At-
ti degli Apostoli, I, 11), Ibid., p. 13.
534
Ibid., p. 33-43.
535
Ibid., p. 8-28, 45-56.
536
Ibid., p. 18-19, fig. 9, 60. Il busto dell’Evangelista, staccato e rubato insie-
me alla stragrande maggioranza dei dipinti della Grotta delle Fornelle, è stato ri-
trovato ed è ora esposto al Museo della Reggia di Caserta : C. Celentano, Fram-
menti cit. p. 225-227, fig. 192 a.
537
Già prima che i busti dei santi venissero asportati dalla parete non era

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CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 151

figure in posa stante oltre alla scena della Natività con l’Annuncio ai pastori
e il Bagno del Bambino sulla parete di fondo. Di tutti i soggetti la depreda-
zione non ha risparmiato che le parti meno rappresentative, come i bordi e
la zona inferiore delle figure. Il registro sottostante, invece, si è conservato
quasi integro ad eccezione, purtroppo, dell’interessante scena della «Dedica-
zione di un altare», inserita fra una serie di riquadri con specchiature a finto
marmo, in parte già alterata prima dell’intervento di asportazione (tav.
41 a) 538.
Sulla volta sono gli avanzi di un Cristo in gloria con i quattro simboli
degli evangelisti. La sottostante schiera di santi in posa stante comprende-
va : Nicola di Mira, Michele arcangelo, Pietro apostolo (tav. 41 b), con le
chiavi formanti il suo monogramma, e un altro santo, forse Donato, all’inter-
no del registro della parete sinistra; Caterina, S[AN]C[T]A CATERINA, e un
monaco con scapolare in corrispondenza della parete di fondo; tracce di cin-
que figure non identificabili sulla parete destra 539. A mezza altezza, lungo la

possibile (come si evince dalle fotografie precedenti al furto e dall’analisi di Anna


Carotti) riconoscere l’identità dei personaggi (ad eccezione di san Michele arcan-
gelo), per via dello scarso livello di leggibilità delle pitture o della perdita delle
iscrizioni onomastiche. Ciononostante, dalla foggia degli abiti e dai tratti somati-
ci è possibile ricavare alcuni dati riguardo a ciascuno di essi : cominciando la let-
tura da sinistra, il primo pannello ospitava un santo martire, barbuto con clami-
de e l’attributo della corona, una santa con orecchini a cerchio, croce astile e co-
rona, una santa con maphorion che le copre il capo e mani aperte sul petto nel
gesto dell’orante, san Michele arcangelo con loros e globo, un santo barbuto simi-
le al primo anche per la clamide e l’attributo della corona; nel secondo pannello,
a destra della porticina che immette nel vano retrostante, si potevano scorgere
due santi vescovi d’età senile con barba bianca, un santo martire d’età giovanile,
imberbe, con clamide e corona, due santi barbuti d’età senile con il libro delle sa-
cre scritture in mano e infine un santo martire giovane, con barba nera lunga e
appuntita, clamide e corona, cfr. : A. Carotti, Gli affreschi cit., p. 13-18, p. 51-54.
538
Prima del furto era sopravvissuta la parte superiore della scena, con il bu-
sto di Cristo, sulla sinistra, nel ruolo di sacerdote officiante la messa e tre perso-
naggi che sopraggiungevano da destra, un uomo in prima fila rivolto verso l’alta-
re e due donne al seguito velate e recanti ceri accesi. Accanto all’aureola di Cristo,
sopra la testa dei devoti, si poteva leggere quasi integralmente l’iscrizione votiva :
ICMVNDI ET IOHS FILIO M(EO) ET MA[RIA] (E)T LANDELGRI[MA] Q OF(FE)
RVN(T) ALTARE DNO [...] AB(E)T [...]S[...] ISE[...] MAVRIC [...], Ibid., p. 25-
26, figg. 68, 76-77. L’immagine di Cristo-sacerdote, assai comune in ambito bi-
zantino per via della fortuna iconografica della Comunione degli apostoli, in Oc-
cidente è rara e tuttavia si possono segnalare le versioni del reliquiario del Sancta
Sanctorum (IX secolo) e del dipinto di Quindici (XI-XII secolo), dove Gesù è raf-
figurato nell’atto di celebrare la messa, avulso da qualsiasi contesto narrativo, e i
casi della Grotta del Salvatore a Vallerano (X secolo) e quello, scoperto di recen-
te, di Cimitile (XI-XII secolo), il primo riferibile all’episodio della Comunione de-
gli apostoli, il secondo frutto di una fusione tra quest’ultima e una trinità in for-
ma triandrica. Sul reliquiario lateranense, la pittura di Quindici e la scena di Val-
lerano si rinvia a : S. Piazza, Une Communion cit., p. 140-146, figg. 4, 10-11. Per
l’immagine di Cimitile (attribuita al X secolo, ma a nostro avviso più tarda per le
ragioni esposte a p. 67, n. 119) si veda : M. Falla Castelfranchi, La teologia trinita-
ria cit., p. 302-305, figg. 6-7.
539
A. Carotti, Gli affreschi. cit., p. 20-28.

.
152 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

parete di sinistra e quella di fondo, correva un’iscrizione in capitali nere su


fondo bianco alludente alla consacrazione dell’altare 540.
Per quanto riguarda la cronologia delle fasi pittoriche succedutesi all’in-
terno del santuario, gli interventi più antichi sono da individuare nella pare-
te di fondo dell’invaso principale e nella decorazione dell’ambiente di destra.
Nel primo caso, fra i confronti mossi a suo tempo da Anna Carotti, risulta
condivisibile soprattutto quello fra l’Ascensione di Calvi e l’Exultet di Monte-
cassino conservato al Vaticano (Vat. lat. 3784), databile agli anni ’60 dell’XI
secolo 541. Proprio per questa ragione non trova giustificazione la proposta,
che veniva avanzata dalla stessa studiosa, di posticipare l’epoca d’esecuzione
della pittura rupestre alla fine dell’XI secolo o agli inizi del successivo per via
di un presunto «impoverimento della cultura del periodo di Desiderio» 542.
Tenendo presente le affinità con l’Exultet, che emergono specialmente dal
confronto dei volti dei vari personaggi, il trentennio dell’abbaziato di Desi-
derio (1058-1087) sembrerebbe indicare l’arco cronologico entro il quale
ascrivere, con minore margine di errore, le prime pitture della Grotta delle
Fornelle.
Analogamente, le somiglianze ravvisate fra i soggetti della navata cen-
trale di Sant’Angelo in Formis e la decorazione della cappella laterale del-
l’oratorio rupestre farebbero pensare, per questo secondo nucleo di pitture,
a una datazione più o meno nell’ultimo quarto dell’XI secolo e non «alla pri-
ma metà o, forse, al primo quarto del XII» 543.
Ai primi decenni del XII secolo, per via delle strette affinità con il ciclo
della cripta di Santa Maria del Piano presso Ausonia, si può attribuire, inve-
ce, l’ampio pannello della parete sinistra dell’ambiente principale 544, come
del resto già rilevato in passato, non solo per la simile impaginazione della
stessa scena agiografica, la decapitazione del Battista, ma anche per l’assetto
delle singole figure e il disegno dei relativi volti 545. Sullo scorcio del XII seco-
lo se non ai primi anni del XIII, infine, è possibile assegnare il riquadro della
parete destra con il san Giovanni e sant’Elena. L’accentuato linearismo del
panneggio dell’evangelista, infatti, incontra una rimarchevole somiglianza
nell’apostolo Paolo della vicina Grotta dei Santi (tavv. 72 c, 73 b) 546.

540
+ KALENDAS NOVEMB[E]R (E)R[I]T (D)E(D)[IC]ATIO ISSTIVS ALTA-
RE [IN] ONORE DI ET SCE MARI[AE] (V)IR(GI)[NIS] ET SC(I) MICHAELIS ET
SCI PETRI APOSTVLI ET SCI NI(C)[OLA](I) ET SC [...] OMNIV SANCTORV,
Ibid., p. 20.
541
A. Carotti, Gli affreschi cit., p. 64; B. Brenk, Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3784, Exultet, in G. Cavallo, a cura di, Exultet. Rotoli
liturgici del Medioevo meridionale, Montecassino, 1994, p 211-213 e tavv. fuori te-
sto.
542
A. Carotti, Gli affreschi cit., p. 65.
543
Ibid., p. 66.
544
Sulle pitture di Ausonia : G. C. Macchiarella, Il ciclo di affreschi della crip-
ta del santuario di S. Maria del Piano presso Ausonia, Roma, 1981, p. 45-143;
P. Mathis, Chiesa di Santa Maria del Piano (Cripta), in G. Orofino, Affreschi in Val
Comino cit., p. 45-49; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 318 («San-
tuario di Santa Maria del Piano», scheda a cura di S. Romano).
545
A. Carotti, Gli affreschi cit., 66.
546
Supra, p. 148.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 153

Fasani (Sessa Aurunca), Grotta di San Michele

In un terreno agricolo della campagna di Fasani, piccola frazione di


Sessa Aurunca, si conservano tre pannelli pittorici di età medievale aderenti,
uno accanto all’altro, a un costone di tufo seminascosto da un fossato 547. Il
primo da sinistra è di forma rettangolare e rappresenta un’unica figura in
posa stante (tav. 41 c), mentre gli altri due, più ampi, ospitano tre personag-
gi ciascuno e rivestono due superfici concave (tavv. 73 c, 74-75). In origine,
verosimilmente, queste ultime fungevano da absidiole di una cappella inte-
ramente scavata nella roccia, distrutta dal deprecabile sbancamento della
collina per l’uso agricolo del terreno. Cosicché allo stato attuale le pitture ri-
sultano esposte alle intemperie e le dimensioni dell’ambiente originario non
sono individuabili. Né aiuta a formulare ipotesi interpretative, ovviamente,
l’interramento dell’originario livello di calpestio.
Nonostante alcune lacune, probabilmente dovute ad atti vandalici, e lo
stato di totale abbandono, i tre pannelli versano in discrete condizioni, tanto
che ciascun personaggio appare ancora riconoscibile. Cominciando la lettu-
ra da sinistra, incontriamo dapprima un santo in abiti ecclesiastici con la
mano destra impegnata nel gesto della benedizione e il libro delle sacre
scritture nell’altra. L’iscrizione onomastica permette di riconoscere san Mas-
simo : S(ANCTVS) MAXIM[VS] (tav. 41 c). Giova notare come la banda che
indossa sopra la casula scenda lungo il busto soltanto dalla spalla sinistra,
alla maniera dell’orarion diaconale e diversamente, quindi, dall’omophorion
vescovile 548. Il dettaglio assume valore se si considera che il san Massimo più
venerato in questa regione, in particolare a Capua e Gaeta, è il martire di
Apamea, celebrato appunto come diacono in un calendario dell’XI secolo
conservato a Grottaferrata 549.
A poco più di un metro di distanza, sulla destra, si trova un pannello
con l’immagine di Cristo al centro, l’arcangelo Michele (MIHAEL) a sinistra
e san Pietro a destra : [PE]TRVS (tav. 73 c, 74 c, 75 a, d). La rappresentazio-
ne ben si presta alla spazialità di un vano absidale. I personaggi, in posa ie-
ratica, si stagliano su un fondo a bande sovrapposte alludenti ai cieli del-
l’empireo. Sopra la banda rossa dell’ultimo cielo si conserva parte di un mo-
tivo geometrico a ventaglio che produce un rimarchevole effetto volumetrico
(tav. 74 b).
Un’originale scelta iconografica è degna d’attenzione : accanto al Cristo
non è stata rappresentata la tradizionale coppia di apostoli, Pietro e Paolo, o
quella altrettanto consueta degli arcangeli Gabriele e Michele, piuttosto si è
preferito selezionare i personaggi che nei rispettivi abbinamenti primeggia-
no per popolarità e devozione, appunto Pietro e Michele. La stessa soluzione

547
A. M. Villucci, Gli affreschi di S. Michele di Gualana a Fasani di Sessa Au-
runca, in Testimonianze della pittura medievale in territorio aurunco, Marina di
Minturno, 1999, p. 9-16 (1a ed. Scauri 1986). Vedi anche Pace (V. Pace, La pittura
rupestre cit., p. 404, 407-408).
548
Sull’omophorion : C. Cecchelli, La Vita di Roma cit. II, p. 933-1032.
549
D. Ambrasi, Massimo, santo, martire di Apamea, in Bibl.SS, IX, Roma,
1967, coll. 37-39.

.
154 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

è stata adottata per la decorazione di un’absidiola della vicina Santa Maria


in Foroclaudio 550.
L’altra parete concava, poco più a destra, ospita una Vergine orante af-
fiancata da Tommaso apostolo a sinistra (THOMAS), e Nicola di Mira sulla
destra (NYCOLAVS) (tav. 74 a, 75 b-c) 551. Il fondo, compreso il decoro a ven-
taglio sulla sommità, è simile al precedente e meglio conservato. Ai lati del
nimbo della Vergine ci sono le abbreviazioni in greco «MR UY», del tutto
usuali anche in area latina. Alla base del pannello corre un’iscrizione votiva
con l’abituale formula Ego... cum... pingere fecimus 552.
Le figure dei pannelli di Fasani divergono l’una dall’altra per alcune pe-
culiarità. Le differenze fra i personaggi rappresentati sono date non soltanto
dalle vesti e dagli attributi, l’orarion, le chiavi monogrammate di Pietro, il lo-
ros dell’arcangelo, ma anche dalla caratterizzazione somatica dei volti. Così
quello di Nicola, canuto con barba e baffi pure bianchi, o quello di Pietro
con la tipica sequenza di ricci bianco-grigi passanti sopra la fronte, obbedi-
scono a modelli di lunga tradizione.
Dal punto di vista formale le pitture di Fasani ricordano gli affreschi del
secondo strato della Grotta dei Santi, databili alla metà circa dell’XI seco-
lo 553. Le assonanze, che non sono però rivelabili al punto da sostenere un’i-
potesi di esecuzione da parte dello stesso cantiere, vanno dalla stilizzazione
dei panneggi, all’uso dello stesso campionario cromatico, alla rappresenta-
zione del fondo a bande sovrapposte con i cieli dell’empireo realizzati trami-
te una sequenza di linee rosse ondulate, oltre all’impiego della medesima
formula nelle iscrizioni votive in corrispondenza del margine inferiore del
pannello.
In ragione di tali affinità si può ipotizzare anche per il nucleo di Fasani
una datazione intorno alla metà dell’XI secolo. Poco si può dire riguardo
all’originaria funzione dell’insediamento rupestre, se non che il termine
«sacerdote» presente nell’iscrizione porterebbe ad escludere l’esistenza in

550
M. D’Onofrio, V. Pace, Italia romanica cit., p. 109-112, bibl. a p. 113.
551
In passato veniva attribuita particolare rilevanza alla data del trasferi-
mento delle reliquie di san Nicola da Mira a Bari, avvenuta nel 1087, assegnando
a quest’avvenimento il valore di terminus post quem per la datazione delle imma-
gini di Nicola in Italia meridionale : H. Belting, Studien cit., p. 105, 110. Alcuni
studiosi, tuttavia, hanno avanzato perplessità in proposito, dato che l’intervento
di traslazione delle spoglie del vescovo di Mira può essere interpretato come un
esplicito segno di un culto nicolaiano già radicato nella penisola : G. P. Bognetti,
I «Loca Sanctorum» e la storia della chiesa nel regno dei Longobardi in S. Boesch
Gajano, a cura di, Agiografia altomedievale, Bologna, 1976, p. 105-143 (p. 107). Si
veda il caso pugliese di un’immagine di san Nicola probabilmente anteriore alla
traslazione delle reliquie : M. Falla Castelfranchi, Pittura monumentale bizantina
in Puglia, Milano, 1991, p. 105.
552
† EGO SASS[...] CV(M) BI[...]I[...]O SACERDOTE [...] PING(ERE) FE-
CI(MVS). Quando Villucci vide le pitture l’iscrizione era meno lacunosa : [...] SA-
CERDOTE [...]PTIONE PING(ERE) FECIMVS, A. M. Villucci, Gli affreschi cit.,
p. 13. Sulle iscrizioni votive con la formula Ego... cum... pingere feci, cfr. infra,
p. 238.
553
Supra, p. 146-148.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 155

questo luogo di una comunità monastica. Piuttosto, data la presenza delle


due absidiole, è preferibile pensare a una piccola cappella per una comunità
rurale.

Monte Massico, Grotta di San Martino

L’eremo di San Martino sulla cima del monte Massico, non lontano dal
golfo di Gaeta, presenta al suo interno una struttura muraria voltata a botte
con estesi brani di pittura altomedievale e pannelli devozionali di epoca suc-
cessiva (tav. 42 a) 554. L’antro naturale si apre proprio al di sotto di un piano-
ro ove sorgono i resti di un cenobio benedettino 555. Per quanto riguarda il
santo titolare, sappiamo da Gregorio Magno che non si tratta del noto vesco-
vo di Tours, bensì di quel venerabilis Martinus che si separò da san Benedet-
to per ritirarsi a vita eremitica 556. Le pitture all’interno dell’eremo rupestre
attestano la frequentazione del luogo dal VI al XVII secolo.
A breve distanza dall’ingresso della grotta, la superficie irregolare della
roccia calcarea è stata foderata con una struttura muraria voltata a botte in
laterizi alternati a blocchi di tufo 557. L’ambiente misura più o meno 4 metri e
mezzo di lunghezza, mentre la larghezza, di circa 3 metri all’entrata, va pro-
gressivamente diminuendo verso il fondo, dove raggiunge appena un metro.
La parete sinistra è costituita da una muratura continua, diversamente da
quella di destra contraddistinta da due piccole arcate che lasciano a vista il
calcare naturale. La funzione di queste ultime, apparentemente incompren-
sibile, è legata con ogni probabilità alla presenza di una sorgente d’acqua, vi-
sto che la prima arcata mette in evidenza lo stillicidio della roccia. In corri-
spondenza del secondo arco, l’ambiente è occupato da un altare moderno in
muratura, ortogonale all’asse longitudinale della struttura voltata, al di so-
pra del quale si erge un muro provvisto al centro di un’apertura quadrango-
lare. Nella zona d’ingresso alla grotta, tracce di muratura farebbero pensare
ad un’originaria cortina muraria posta a protezione del piccolo edificio.
L’imbotte presenta due decorazioni sovrapposte, in ampi tratti difficil-
mente distinguibili a causa della grave alterazione degli intonaci, tanto da

554
N. Borrelli, La grotta di S. Martino del Massico e gli affreschi dell’XI sec.
scoperti da S. E. Fedele, in Latina Gens, 10, ottobre 1935, p. 262-267; A. M. Villuc-
ci, I monumenti di Sessa Aurunca, Scauri, 1980, p. 34; U. Zannini, San Martino :
vita e culto di un santo attraverso le falsificazioni medievali, in U. Zannini, G. Gua-
dagno, S. Martino e S. Bernardo, Marina di Minturno, 1997, p. 13-45, tavv. I-XIV;
G. Guadagno, Bernardo, Carinola e Foro Claudio tra falsificazioni e verità storiche,
ivi, p. 65-98, tavv. XV-XVII.
555
U. Zannini, San Martino cit., p. 28-33, 38-43.
556
Gregorio Magno ne parla nel terzo libro dei Dialoghi (Gregorio Magno,
Dialogi cit., II, p. 326-336), cfr. D. Ambrasi, Martino (Marco) di Monte Massico, il
solitario, in Bibl.SS., VIII, Roma, 1966, coll. 1237-1240; U. Zannini, San Martino
cit., 16-21. Cfr. infra, p. 185-186.
557
U. Zannini, San Martino cit., p. 41. Sull’impiego di questa tecnica muraria
in Campania : G. Ausiello, Architettura medievale. Tecniche costruttive in Campa-
nia, Napoli, 1999, p. 192-198 (part. le tabelle B3, B4 e B5, p. 195-196).

.
156 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

imporre un’attenta lettura delle superfici a vista, che verrà condotta a co-
minciare dalla decorazione più recente, della quale è possibile ricostruire
l’intero programma iconografico, almeno nel suo assetto generale.
La superficie pittorica del secondo strato, seppur lacunosa e assai dete-
riorata, permette di affermare che all’origine essa copriva l’intera fronte del-
l’arco d’ingresso e la prima metà dell’ambiente voltato. Nella volta campeg-
gia, su un fondo blu scuro stellato, l’immagine clipeata del Cristo benedicen-
te sostenuta da quattro angeli-cariatidi che poggiano i piedi su una fascia di
prato fiorito contraddistinto da pianticelle a ciuffo rosse e bianche (tav. 42 c,
76 d). Sulla parete destra l’intonaco dipinto si arresta a quest’altezza, dato
che lo spazio sottostante è occupato dalle due arcate. Il muro di sinistra, in-
vece, conserva parzialmente la rappresentazione di una schiera di personag-
gi, separata dal tema della volta mediante un’iscrizione, anch’essa lacunosa,
che corre orizzontalmente fra bande ocra e nere.
Il soggetto sulla fronte dell’arco d’ingresso è di ardua identificazione
(tav. 43 a). Resta soltanto, sulla destra, una porzione d’intonaco completa-
mente invaso da efflorescenze saline sul quale si scorgono le tracce di un cli-
peo centrale con una figura a mezzo busto e accanto un personaggio nimba-
to che esibisce un libro. L’ipotesi più probabile è che si tratti di un’altra ima-
go clipeata di Cristo accompagnata, in questo caso, dagli evangelisti.
L’iscrizione lungo la parete sinistra dell’imbotte è di estremo interesse
poiché attesta l’intitolazione dell’opera all’eremita Martino (tav. 43 b). Le
lettere capitali, dipinte in bianco su fondo rosso, permettono ancora di leg-
gere : [VIR]GINIS ET BEATI MARTINI CON[FESSORIS] 558. Per la descrizio-
ne dei personaggi raffigurati nel registro inferiore, viene in aiuto una foto-
grafia pubblicata negli anni ’30 del secolo scorso (tav. 43 c) 559. Nella vecchia
documentazione in bianco e nero si distinguono, assai meglio che allo stato
attuale (tavv. 43 b, 77 a) sei figure nimbate, anche se su questa parete, in ori-
gine, doveva essercene un numero maggiore, data la frammentarietà della
superficie pittorica e lo spazio a disposizione.
Diversamente dalla frequente tipologia iconica delle teorie di santi equi-
distanti a figura intera, questi personaggi sono disposti a gruppi di tre, alli-
neati su due piani. Tutti maschili, con lunga barba o imberbi, compiono il
gesto della benedizione con la mano destra. L’elemento che li accomuna è la
veste, un semplice pallio bianco. Privi come sono degli usuali elementi ico-
nografici che permettono la distinzione fra santi martiri, vescovi o monaci,
l’ipotesi più probabile è che essi rappresentino una schiera di apostoli.
La parziale caduta di questo secondo strato di pittura permette di rico-
noscere le tracce di un intonaco precedente che aderisce alla superficie mu-
raria dell’ambiente voltato (tav. 43 b) 560. Nonostante il grave stato di altera-
zione e l’esiguità della superficie attualmente visibile, è quindi possibile for-

558
Di recente Zannini ha rinunciato a una lettura dell’iscrizione («la fascia
centrale, dipinta in rosso, presenta scritte da decifrare», U. Zannini, San Martino
cit., p. 43), che invece venne trascritta correttamente, a suo tempo, da Borrelli
(N. Borrelli, La grotta cit., p. 267).
559
La fotografia era stata ceduta a Borrelli da Lydia de Ferraris, Ibid., p. 266.
560
L’esistenza di uno strato più antico è stata segnalata solo di recente : «[...]
le sovrapposizioni delle varie fasi pittoriche ci rivelano che al di sotto degli affre-

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 157

nire alcuni dati ed esprimere qualche considerazione anche in merito alla


prima campagna pittorica.
Essa rivestiva l’intera superficie dell’imbotte, dal momento che pure
nella zona di fondo, non raggiunta dalla pittura del secondo strato, si scor-
gono numerose tracce di colore di una decorazione primitiva. Laddove, sulla
parete sinistra, è caduto l’intonaco con la raffigurazione della schiera di per-
sonaggi nimbati, si vedono i resti di una pittura costituita da una base omo-
genea di bianco sulla quale sono state stese ampie e fluide pennellate in ros-
so e in ocra ora ad andamento libero, prive di un ordine geometrico, ora ret-
tilinee disposte diagonalmente (tav. 76 c). Più in basso, verso l’ingresso, su
una porzione d’intonaco appartenente allo stesso strato si intrecciano alcune
pennellate sempre in ocra, che in basso, sulla sinistra, sembrano raffigurare
un volatile (tav. 76 b).
In corrispondenza dell’iscrizione dedicatoria del secondo strato, l’into-
naco sottostante è percorso da una linea nera orizzontale, segno che autoriz-
za a credere che anche la prima decorazione prevedesse una divisione in due
registri. L’ipotesi è avvalorata dal fatto che si è conservato alla stessa altezza,
sulla destra, un tratto di iscrizione pittorica a lettere capitali latine, di di-
mensioni maggiori rispetto all’iscrizione dell’intonaco soprastante, dipinte
in rosso su una banda bianca contornata da una fascia doppia, nera e rossa
(tav. 42 b) 561. La traccia è sufficiente per stabilire che le lettere erano dispo-
ste almeno su due righe.
Un altro dato, di grande interesse, è venuto alla luce nella perlustrazio-
ne, assai poco agevole, dell’angusto spazio di risulta fra il muro con la fine-
strella e quello di fondo. In quest’ultimo tratto la volta si riduce e arriva a
raggiungere appena un metro di larghezza. Dopo un’attenta osservazione è
stato possibile individuare i resti di una grande croce gemmata (tav. 76 a,
fig. 10).
Un sottile strato di scialbo che ricopre le campiture cromatiche non im-
pedisce di distinguere il braccio orizzontale destro, a terminazione patente,
e parte di quello verticale, in linea con l’asse longitudinale dell’imbotte, color
giallo-ocra e profilati da una bordura rossa perlinata di bianco. Si nota, inol-
tre, la presenza in tracce di un cerchio rosso oltrepassante i quattro bracci a
circa metà lunghezza. Intorno alla croce, soprattutto a sinistra, sono visibili
resti di motivi ornamentali : cerchietti grigio-azzurri su fondo giallo e seg-
menti rossi su una banda bianca.
Il braccio superiore della croce è occultato dal muro con la finestrella
costruito agli inizi del XVII secolo, epoca alla quale si riferisce la Crocifissio-
ne dipinta sul lato frontale. La piccola apertura lascia scorgere i resti di una
pittura più antica aderente al fondo dell’imbotte, databile al XIV secolo, raf-
figurante anche in questo caso una Crocifissione. Di essa sono ancora visibi-
li la parte superiore del Cristo e il san Giovanni 562.

schi laterali (processione di donne e santi?) vi è una fase più antica successiva-
mente coperta da quest’ultimi», U. Zannini, San Martino cit., p. 41.
561
Si leggono soltanto, dopo un segno di interpunzione, le lettere «PR».
562
La prima segnalazione dell’esistenza del pannello trecentesco, visibile sol-
tanto dalla finestrella del muro di fondo, si deve a Antonio Marcello Villucci
(A. M. Villucci, I monumenti cit., p. 34).

.
158 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Fig. 10 – Grotta di S. Martino, imbotte, ipotesi di ricostruzione


della croce gemmata.

Recuperato l’assetto generale del secondo intervento pittorico e non po-


co di quello originario, è possibile fornire un’interpretazione sull’ambiente
rupestre così come è stato concepito in origine e individuare gli interventi di
trasformazione che ha subito fino all’esecuzione del pannello seicentesco.
La convergenza di più elementi, infatti, porta a credere che la grotta abbia
perduto ben presto la funzione di eremo per divenire sede di culto e meta di
pellegrinaggio 563.
Per quanto riguarda il primo intervento pittorico, l’importanza del rin-
venimento della croce è dovuta alla sua non casuale ubicazione. Proprio al
di sotto di essa, infatti, nonostante l’accumulo di pietrisco prodotto dal par-
ziale sventramento della finestrella e della parete di fondo, si nota un incas-
so rettangolare, interpretabile come una tomba. Siccome dalle fonti sappia-
mo che all’interno della grotta furono custoditi i resti del beato Martino, è
ragionevole pensare che questo spazio accogliesse le sue reliquie 564. Il senso
dell’immagine della croce sembra potersi ricondurre, dunque, alla sfera fu-
neraria. Inoltre, la sua presenza autorizza a pensare che la cella sancta crucis
in monte Marsico, ricordata nel Chronicon vulturnense fra i possedimenti

563
Vedi infra, p. 185-188.
564
U. Zannini, San Martino cit., p. 43. Sulle fonti che attestano la presenza
delle spoglie di Martino : Ibid., p. 33-38.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 159

dell’abbazia di Monteccasino, possa identificarsi proprio con l’eremo del


beato Martino 565.
Anche la funzione stessa del piccolo edificio voltato, con ogni probabili-
tà contemporaneo al primo intervento pittorico, che rivestiva interamente
l’ambiente a differenza del secondo strato, è meglio comprensibile se messa
in rapporto alla presenza delle spoglie del santo. Tenendo presente che Mar-
tino visse verosimilmente nel VI secolo, la datazione più probabile per la co-
struzione di questo ambiente e la realizzazione della sua decorazione po-
trebbe collocarsi in un arco di tempo che va dalla seconda metà del VI seco-
lo e la prima metà del VII. Il genere aniconico delle pitture, il carattere
paleografico dell’iscrizione e anche le modalità tecnico-esecutive delle stesse
danno consistenza a quest’ipotesi 566.
Il secondo intervento pittorico si riferisce ad un arco cronologico che va
dal IX secolo inoltrato ai primi decenni del successivo. La datazione si evin-
ce in questo caso sulla base dell’esame stilistico, come si avrà modo di ap-
profondire in seguito, data l’entità dei brani superstiti che conservano volti e
panneggi di diversi personaggi 567.
In occasione della stesura del secondo strato si verifica un cambiamen-
to di programma (figg. 11-12). Non viene, infatti, decorato l’intero imbotte,
ma soltanto la metà anteriore. Sulle pareti laterali, in corrispondenza del
punto d’incontro delle arcate e sul muro di fronte, si nota la presenza di due
buche che probabilmente sono servite ad ancorare una struttura divisoria,
lignea o lapidea, posta a protezione del sepolcro. Essa doveva essere contem-

Fig. 11 – Grotta di S. Martino, imbotte, ipotesi di ricostruzione


della prima fase decorativa.

565
Chronicon Vulturnense, a cura di V. Federici, 3 voll., Roma, 1925-1940,
p. 284.
566
Si veda infra, p. 215-216.
567
Si veda infra, p. 217-219.

.
160 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Fig. 12 – Grotta di S. Martino, imbotte, ipotesi di ricostruzione


della seconda fase decorativa.

poranea o anteriore al secondo strato di pittura, certamente non posteriore,


tenuto conto che l’intervento pittorico si arresta proprio in coincidenza delle
due cavità. L’imago clipeata del Cristo con angeli cariatidi, che va a coprire
l’imbotte, segue un modello iconografico attestato nell’ambito della produ-
zione artistica della Langobardia Minor 568. Le nuove pitture e il mutamento
nell’assetto della struttura vanno interpretate, a nostro avviso, come il segno
della trasformazione dell’ambiente da sepolcro a cappella-santuario.
Nel corso del Trecento, come abbiamo visto, la parete di fondo viene de-
corata con una Crocifissione, probabile intervento mosso da un intento de-
vozionale, attestante il prosieguo della frequentazione del luogo da parte di
devoti e pellegrini, che durerà almeno fino al Seicento, allorquando nella zo-
na di fondo, probabilmente in occasione della traslazione a Carinola delle
reliquie di Martino, verrà eretto il muro con un nuovo pannello votivo e l’an-
tistante altare 569. L’apertura quadrangolare al centro sembrerebbe aver avu-
to, verosimilmente, la funzione di fenestella confessionis a garanzia di un
contatto diretto con la tomba dell’eremita.

Rongolise, Santuario di Santa Maria in Grotta

Poco lontano dall’abitato di Rongolise, accanto a un importante e anti-


co tracciato viario che collega Sessa Aurunca alla Valle del Garigliano, sorge
la chiesa di Santa Maria in Grotta, scavata nel tufo della collina (tav. 44 a) 570.
Il monumento, noto agli storici dell’arte soprattutto per l’immagine di una
Dormitio Virginis dipinta al suo interno (tav. 77 c), è stato oggetto di un re-

H. Belting, Die Basilica cit., p. 48-51.


568

G. Guadagno, Bernardo cit., p. 96-98.


569

570
G. Torriero, La Chiesa Rupestre cit., p. 19-27, 39-62; A. M. Villucci, Le pit-
ture di Santa Maria in Grotta a Rongolise, in Campania Felix, II, 16, 1997, p. 315
(rist. in : Id., Testimonianze della pittura medievale in territorio aurunco, Marina
di Minturno, 1999, p. 33-36).

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 161

cente restauro che ha interessato oltre all’invaso principale e il folto gruppo


di testimonianze pittoriche ivi conservate, gli ambienti laterali, scavati an-
ch’essi nel tufo, che erano rimasti fino ad allora inesplorati perché nascosti
da materiale di riporto e tamponature 571.
Inaspettatamente, quindi, è avvenuto il recupero di un articolato inse-
diamento rupestre a più livelli, che in origine si sviluppava ancora più all’in-
terno della collina, nel punto dove oggi è la strada interpoderale che sale
proprio sul retro della chiesa 572. La facciata in muratura, che maschera la
parete tufacea forse erosa nel tempo, sembrerebbe risalire al XVII secolo.
È possibile che già in età romana si fosse sviluppato in questo luogo un
primo nucleo di ambienti rupestri, visto che è stato datato ad epoca antica il
collettore di un acquedotto scavato proprio accanto a un vano laterale della
chiesa 573. Lo stesso ambiente principale, del resto, all’interno del quale in età
medievale e moderna sono stati via via eseguiti i pannelli votivi, ha forme e
proporzioni che fanno pensare a una sua realizzazione in un periodo prece-
dente l’uso religioso, probabilmente legata ad attività agricole 574. Le alte pa-
reti longitudinali che quasi si toccano all’altezza della volta sono state scava-
te in tal modo per ovviare a problemi di statica 575. La spazialità dell’invaso,
oltre tutto, non richiama nessun elemento dell’architettura religiosa sub di-
vo, neppure in forma assai rozza come spesso accade negli edifici di culto
rupestri.
È comunque più che probabile che in età medievale, accanto alla fun-
zione religiosa assolta dall’ambiente principale, altri ambienti dovessero ser-
vire per uso agricolo. Uno di essi, infatti, con una vasca quasi circolare sca-
vata in un angolo, è stato interpretato come spazio funzionale alla spremitu-
ra dell’uva 576. Per quanto riguarda la natura dell’insediamento religioso,
all’ipotesi di un piccolo cenobio si è preferita quella di una chiesa rurale dal
momento che, già all’origine, il complesso rupestre non si trovava in un luo-
go isolato ma in prossimità di una strada assai frequentata 577. Giova ricorda-

571
G. Torriero, La Chiesa Rupestre cit., p. 39-46. Sulle pitture di Rongolise,
oltre a A. M. Villucci, Le pitture cit., p. 315, cfr. : A. O. Quintavalle, Rongolise e
Santa Maria della Piana : tesori dell’XI e del XII secolo, Santa Maria Capua Vetere,
1934; M. Bonicatti, Considerazioni su alcuni affreschi medioevali della Campania,
in Bollettino d’arte, 43, 1958, p. 12-25. G. Lorenzoni, Le pitture di S. M. in Grotta a
Rongolise e il problema della loro datazione, in Napoli Nobilissima, V, Napoli,
1966, p. 45-52; A. Thiery, La peinture murale cit., p. 486-487; V. Pace, La pittura
medievale cit., p. 255, 260; Id., La pittura rupestre cit., p. 408, 413, e soprattutto
L. Speciale, La Chiesa Rupestre cit., p. 33-38, 63-80.
572
G. Torriero, La Chiesa Rupestre cit., p. 40-41.
573
Ibid., p. 43, 45; A. M. Villucci, Le pitture cit., p. 315.
574
Giuseppina Terriero non esclude «che la frequentazione della grotta risal-
ga ad un’epoca anteriore a quella attestata dalla decorazione pittorica», anche se
per la studiosa nel caso di Rongolise come di altri insediamenti rupestri dello
stesso territorio si tratterebbe di «un uso generalizzato di cavità naturali riorga-
nizzate dall’uomo» (G. Torriero, La Chiesa Rupestre cit., p. 23, 40) e non di am-
bienti di origine artificiale come invece crediamo che siano.
575
A. Venditti, Architettura bizantina cit., p. 367.
576
A. M. Villucci, Le pitture cit., p. 315.
577
L. Speciale, La Chiesa Rupestre cit., p. 37.

.
162 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

re, a tal proposito, che nell’iscrizione votiva alla base della Theotokos dipinta
sulla parete destra dell’ambiente principale (tav. 78 b), risalente con ogni
probabilità alla metà del XIII secolo 578, ha lasciato il nome un Martinus pre-
sbyter, qualifica che dimostra la sua appartenenza al clero e non ad una co-
munità monastica.
Il recente restauro ha messo in luce il più antico intervento pittorico del
santuario 579. Si tratta di una pittura raffigurante una Vergine fra due arcan-
geli dipinta nella zona superiore della parete di fondo dell’invaso centrale
(tav. 44 b). Il pannello, che ha forma trapezoidale a causa dell’inclinazione
delle pareti laterali, è stato sacrificato di quasi tutta la parte inferiore quan-
do, sul finire del XVII secolo, è stata realizzata una nuova decorazione più
consona all’allestimento dell’altare barocco. Nonostante la menomazione e il
cattivo stato conservativo dovuto al deterioramento diffuso della pellicola
pittorica, il dipinto è ben leggibile nel suo assetto generale e sufficientemen-
te integro per poter documentare il buon livello qualitativo dell’esecuzione.
Al centro di un paesaggio paradisiaco caratterizzato da un fondo verde
scuro sovrastato da una sottile banda azzurra e da una fascia di terreno ocra
sulla quale si stagliano fiori rossi, è collocata una Vergine con Bambino se-
duta su un trono con un dossale decorato in alto da due insoliti riccioli rivol-
ti verso l’esterno. Ai lati i due eleganti arcangeli con maniche verdi su tunica
e pallio bianchi ornati da clavi porpora, benedicono e porgono il palmo della
mano destra aperto verso la Theotokos in segno di deferenza. Per alcuni
aspetti le figure degli arcangeli rimandano a quelli dello strato più antico
della Grotta dei Santi a Calvi (tav. 72 a) 580. Simile è il modo di dipingere le
ali rosse e bianche, l’ovale dei volti leggermente di trequarti, la rotondità e la
grandezza degli occhi, il gesto e il tratto della mano aperta. Per altri versi le
due esecuzioni pittoriche si distanziano notevolmente : a Rongolise manca il
rigore della simmetria imposta alle figure del primo strato di Calvi. Si rivela,
di contro, una maggiore fluidità nei panneggi percorsi da pieghe e svolazzi
che rimandano a un repertorio di forme convenzionali di lunga tradizione 581.
Da notare l’uso parsimonioso del pigmento blu, utilizzato nell’inserto supe-
riore del fondo in corrispondenza delle due figure angeliche e in leggere pen-
nellate sulle vesti e perfino sui volti. La datazione di questa prima fase ese-
cutiva, anche grazie ai confronti col primo strato di Calvi, si colloca agevol-
mente nel pieno X secolo 582.
Il secondo intervento pittorico nel santuario rupestre consiste nel
pannello con la Dormitio Virginis, dipinto al centro della parete destra, noto
per l’alto livello qualitativo e la stretta parentela con la produzione greca,
alla quale rimanda perfino l’iscrizione esplicativa : KOIMHSHS TH[S] U[EO-
TO]KOY (tav. 77 c).

578
Infra, p. 164.
579
L. Speciale, La Chiesa Rupestre cit., p. 37.
580
Cfr. supra, p. 145-146.
581
Sulle cosiddette «pieghe ad omega», cfr. F. De’ Maffei, Roma, Benevento,
San Vincenzo al Volturno e l’Italia settentrionale, in Commentari, 24, 1973, p. 255-
282, part. p. 255-257.
582
Non lontana la datazione proposta da Lucinia Speciale, «tra la fine del X
e i primi decenni dell’XI», L. Speciale, La Chiesa Rupestre cit., p. 67.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 163

La conformità all’iconografia e al ductus formale di stampo comneno


non autorizza a pensare a un’origine greca degli esecutori del dipinto, quan-
to piuttosto alla conoscenza di modelli di matrice bizantina rielaborati dagli
ateliers cassinesi d’età desideriana e aggiornati mediante la ricezione delle
proposte provenienti dai grandi cantieri musivi della Sicilia normanna 583.
Con questi presupposti il pannello di Rongolise, che tradizionalmente veniva
datato all’XI secolo 584, è stato giustamente posticipato alla seconda metà del
XII secolo, tenendo conto fra l’altro delle analogie che si incontrano nella
Koimesis di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo, realizzata intorno alla
metà del XII secolo 585.
L’estremità sinistra del riquadro della Dormitio è coperta dal bordo di
un pannello raffigurante san Tommaso e l’arcangelo Michele, attribuibile,
per via della sovrapposizione e della sua peculiare resa formale, a un inter-
vento pittorico successivo (tavv. 77 b, 78 a). Le due figure, separate da una
bordura rossa, sono accomunate dall’iscrizione votiva con il nome dei dona-
tori : EGO MAINARDO CVM VXOR MEA OLIBA PING(ERE) FECI.
L’adiacente immagine di san Michele riprende il tema della Psicostasia
cioè la pesa delle anime 586. Nonostante la lacunosità del riquadro nella zona
inferiore destra, è possibile distinguere la figurina di un demonio che ser-
vendosi di un bastone uncinato abbassa il piatto destro della bilancia con al-
l’interno l’anima del defunto. Tracce scure che sconfinano nella cornice infe-
riore permettono di ipotizzare l’originaria esistenza di più figure infernali,
alla stregua della Psicostasia rappresentata nel mosaico della controfacciata
della cattedrale di Torcello, piuttosto che ad un solo essere demoniaco, co-
me nella versione della vicina Grotta dei Santi 587.
Proprio sopra la figura di Tommaso la cornice rossa del riquadro è co-
perta da un altro pannello con l’immagine di san Pietro e, sulla sinistra, i re-
sti della figura di un santo con ricca tunica e clamide purpurea. È probabile
che questo strato di intonaco sia stato dipinto a pochi anni di distanza da
quello sottostante. Sulla base di confronti stilistici è stata proposta per en-
trambi la datazione, a nostro avviso condivisibile, alla seconda metà del XII
secolo 588.
Supera probabilmente la soglia del XIII secolo il riquadro con il profeta
Esdra, santa Margherita e Onofrio eseguito sulla parete opposta in posizione
elevata (tav. 78 c) 589. La datazione avanzata si coglie nel manierismo dei
panneggi e nei caratteri quasi gotici delle iscrizioni onomastiche. Specie nel
volto del profeta, tuttavia, a distanza di più di un secolo, si nota l’antica le-

583
Ibid., p. 69.
584
A. Thiery, La peinture murale cit., p. 486-487.
585
L. Speciale, La Chiesa Rupestre cit., p. 67-69.
586
M. P. Perry, On the Psychostasis in Christian Art, in Burlington Magazine,
22, 1912, p. 94-105, 23, 1913, p. 208-219.
587
Sul mosaico di Torcello, cfr. R. Polacco, La Cattedrale di Torcello, Vene-
zia-Treviso, 1984, p. 57-58.
588
Cfr. L. Speciale, La Chiesa Rupestre cit., p. 70, che considera il pannello
con la Psicostasia e quello con Pietro frutto dello stesso intervento pittorico.
589
Ibid., p. 72-74, 79.

.
164 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

zione del cantiere desideriano operante a Sant’Angelo in Formis durante


l’ultimo quarto dell’XI secolo.
Alla metà del XIII secolo, infine, è da attribuire la realizzazione di una
Theotokos dipinta accanto alla figura di Tommaso, sulla parete destra. L’im-
magine di questa Madonna Regina tradisce, nel suo nucleo figurativo, un de-
bito con la produzione pittorica su tavola (tav. 78 b) e quindi alle icone coe-
ve dell’Italia meridionale bisognerebbe rivolgersi per i più proficui confron-
ti 590. Alla base corre l’iscrizione con il nome del committente e forse anche
del suo esecutore : EGO P(RES)B(YTER) MARTINVS FIERI IVSSI, BER-
NARDVS P(ER)[F]ICI 591.
Nei secoli successivi la chiesa di Santa Maria in Grotta verrà arricchita
di altri pannelli votivi dipinti negli spazi ancora a disposizione sulle due pa-
reti laterali, sulla parete di fondo e in parte anche lungo la parete orientale
di un vano diagonale comunicante con l’ambiente principale, scavato certa-
mente in epoca successiva alla realizzazione di quest’ultimo 592.

7 – PROVINCIA DI BENEVENTO

Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele

Sul versante meridionale del monte Monaco di Gioia, presso Faicchio,


alla base di un costone di roccia calcarea, si apre la grotta di San Michele 593.
Fino ad alcuni anni fa il sito era quasi inaccessibile, tanto che solo gli esperti
abitanti del luogo vi giungevano percorrendo un lungo e impervio sentiero
in occasione della festività micaelica dell’8 maggio 594. Oggi una strada aperta
dalle ruspe fra le asperità della roccia facilita l’arrivo al santuario, che si rag-
giunge in poco più di mezz’ora di cammino. Di fronte alla grotta, al limite
del piccolo spiazzo che la circonda, sorge una torre d’avvistamento verosi-
milmente di origine medievale 595.
L’antro roccioso è in comunicazione con l’esterno mediante una grande
apertura ad arco alta più di sei metri. Quest’ultima è chiusa fino a tre quarti
d’altezza da una cortina muraria che divide la grotta in due piani. Al livello
inferiore vi sono cinque vani in muratura fra loro comunicanti, tre dei quali
angusti e privi di finestre. I restanti due, più ampi e voltati a botte, sono con-
nessi ad una scala scavata nella roccia che raggiunge il livello superiore. Qui

Cfr. infra, p. 232.


590

L. Speciale, La Chiesa Rupestre cit., p. 71-72, 79-80.


591

592
G. Torriero, La Chiesa Rupestre cit., p. 42.
593
L. Festa, Gli affreschi della grotta di S. Michele nel Telesino, Napoli, 1973;
Id., Arte e archeologia in grotte campane, in Annuario Speleologico del C. A. I.-
Napoli 1974-1975, Napoli, 1976, p. 3-34, spec. p. 29-33. Si vedano inoltre : G. Kal-
by, Insediamenti cit., p. 156-158; M. D’Onofrio, V. Pace, Italia romanica cit.,
p. 325.
594
Significativo il racconto di Festa : «Vi giungemmo attraverso un sentiero
che spesso scompare, lottando con gli arbusti, a volte fittissimi, e le asperità della
roccia e dei ciottoli insidiosi», L. Festa, Gli affreschi cit., p. 5.
595
Ibid., p. 6. All’epoca del sopralluogo erano in corso lavori di ripristino che
ne hanno impedito la visita all’interno.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 165

si è conservato l’aspetto naturale della grotta, contraddistinta da un grande


ambiente, largo circa una decina di metri, profondo poco meno, con un’al-
tezza variabile dai cinque ai quattro metri. Sul fondo, addossato alla parete
rocciosa, in posizione dominante, è un altare che presenta tracce recenti del
culto a San Michele arcangelo, titolare del santuario. A sinistra dell’altare la
cavità si riduce a un passaggio stretto e profondo dove la luce esterna non
riesce a penetrare. Compiuti pochi passi in questa direzione ci si trova d’in-
nanzi a un piccolo edificio interamente rivestito di pitture (tav. 79 a).
La struttura è costituita da un imbotte in muratura impostato sulla roc-
cia. In corrispondenza dei lati corti si aprono due archi a tutto sesto che ne
permettono l’attraversamento sì da inoltrarsi in un corridoio naturale il qua-
le va sempre più restringendosi fino a inclinarsi verso l’alto nel fondo, cosic-
ché non se ne vede la fine 596. A destra dell’arco d’ingresso, sul fronte esterno,
un pozzo in muratura raccoglie il flusso dell’acqua che scaturisce dal peren-
ne stillicidio del calcare . Il fenomeno è presente in molti punti della grotta,
tanto che la roccia qua e là appare bagnata e le pitture dell’imbotte risultano
rivestite da un velo più o meno coprente di carbonati.
Nonostante questo inconveniente, la decorazione pittorica si presta a
una lettura pressoché completa dei soggetti raffigurati : una Crocifissione,
un’Annunciazione, l’intera serie di apostoli, una Vergine in trono, un Cristo
benedicente, un angelo, un serafino, santi vescovi, diaconi e martiri. Non
vanno tralasciati, poi, i partiti decorativi, a intreccio, a zig-zag, a «S», impie-
gati con disinvoltura nei sottarchi e a delimitare i registri. Per quanto riguar-
da i pigmenti utilizzati, la gamma cromatica è povera ma efficace nel confe-
rire risalto alle figure nascoste nella penombra : predomina il rosso, l’ocra, il
marrone e il verde chiaro, oltre che il bianco del fondo e il nero impiegato
per tracciare le linee di contorno e i tratti somatici.
Il discreto stato di conservazione ha permesso di stabilire l’esistenza di
un solo intervento d’esecuzione che è contestuale, con ogni probabilità, alla
costruzione del piccolo edificio voltato. Il ductus formale delle figure e talu-
ne scelte iconografiche permettono di ascrivere i dipinti, come avremo mo-
do di spiegare più avanti, tra la fine dell’XI secolo e i primi anni del successi-
vo 597.
Ancor prima di entrare all’interno dell’ambiente, l’immagine che ci ap-
pare di fronte dirigendoci verso l’arco d’ingresso è quella del Cristo a mezzo
busto campita nell’esiguo spazio della parete di fondo tra la volta e l’arco
(tav. 79 a). A destra è l’angelo del Signore, ANG[ELVS] D[OMI]NI, a sinistra
un apostolo, ultimo della serie, che si sviluppa orizzontalmente lungo le pa-
reti dell’intero ambiente. Al di sotto delle due figure, lungo gli esigui tratti di
muro sui quali è impostato l’arco, sono raffigurati due santi. Del santo di si-
nistra resta soltanto un frammento relativo alla zona inferiore. Il personag-
gio di destra, invece, nonostante le lacune che interessano soprattutto il vol-
to, è identificabile con santa Margherita grazie all’iscrizione onomastica
(SA[ANCTA] [MA]RGA[RI]T[A]) (tav. 45 c) 598. Al di sopra di essa è raffigura-

596
La cappella è «lunga poco più di due metri, larga meno di due, con l’altez-
za che è di poco inferiore alla lunghezza», Ibid., p. 7.
597
Infra, p. 224-226.
598
Sull’iconografia di santa Margherita, cfr. G. Kaftal, Iconography cit.,

.
166 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

to lo Spirito Santo nelle forme di una colomba con nimbo (tav. 45 d). A que-
st’ultima, l’immagine della santa è collegata mediante un’asta di colore rosso
che la stessa impugna con la mano sinistra e sostiene verticalmente. La rap-
presentazione della colomba trova riscontro in un episodio agiografico del
martirio di Margherita riportato dal «Menologio di Basilio II continuato»
(fine XI secolo), secondo il quale essa si presenta al cospetto della santa per
assisterla nel supplizio dell’acqua gelata 599.
Lungo la parete destra ha inizio la serie degli apostoli, quasi tutti rico-
noscibili o per via delle iscrizioni, che in parte ancora si leggono, o per i trat-
ti somatici dei volti che rimandano alla tradizionale identità di ciascun per-
sonaggio (tav. 80 b). In due gruppi ai lati della figura centrale della Vergine
in trono sono rappresentati i primi sei. All’estrema sinistra è Pietro (tav.
81 b), con le chiavi, accanto a lui è PAVLVS e poi ANDREAS. Segue Giacomo
Maggiore e infine IOH(ANNE)S 600.
La Theotokos, MH(TH)R U(EO)Y, seduta su un trono gemmato con alto
dossale e cuscino, sostiene il Bambino che benedice e regge il volumen. Nel-
lo spazio che confina con la parte inferiore destra del trono si trova un per-
sonaggio di ridotte dimensioni con le braccia levate in adorazione della Ver-
gine, nella tipica posa del donatore (tav. 80 b, 81 d). Esigue tracce di un’i-
scrizione, che correva all’altezza del volto su entrambi i lati, sono
insufficienti per risalire alla sua identità. Contrariamente alle aspettative,
comunque, è inverosimile che si tratti del committente, visto che la testa è
circondata da un’aureola. Pare certo, invece, che il personaggio, dalle sem-
bianze giovanili e barba corta, sia da identificare con un monaco o un abate,
dato che indossa lo scapolare. Il dettaglio non è trascurabile : potrebbe darsi
che il donatore, con ogni probabilità esponente di una comunità monastica,
piuttosto che il proprio ritratto abbia voluto inserire l’immagine di san Be-
nedetto per un atto di umiltà e devozione nei confronti del fondatore del-
l’ordine. Le fonti, del resto, ci trasmettono la notizia dell’annessione della
grotta ai possessi del monastero benedettino di Montecassino, al tempo del-
l’abate Balduino, cioè tra il 943 e il 947 601.
A sinistra della Vergine è una nicchia funzionale allo svolgimento del ri-
to liturgico, una sorta di prothesis. Sul fondo di essa è raffigurato un serafi-
no che brandisce la spada 602, mentre nello spazio di risulta sottostante è rap-

coll. 729-736 e di recente : S. Brodbeck, Messages et fonctions cit., II b, scheda


no 75.
599
«Postea in lacum aquae projecta est; apparensque columba aquam benedi-
xit ipsamque baptizavit», De Menologio Basilii imperatoris, in PG, 117, 1894,
coll. 9-613, spec. col. 548; cfr. J.-M. Sauget, Margherita, santa, martire di Antio-
chia di Pisidia, in Bibl.SS, VIII, Roma, 1967, coll. 1150-1160.
600
Cfr. L. Festa, Gli affreschi cit., p. 9.
601
Chronica monasterii Casinensis, in MGH, Scriptores, 7, 1846, a cura di
W. Wattenbach, p. 551-844 (p. 769); cfr. infra, p. 197-198, 224.
602
Un serafino con la spada sguainata figura nelle miniature della Bibbia del
Pantheon, Vat. Lat. 12958, e della Bibbia di Santa Maria del Fiore, Laur. Edili
125-126, ascrivibili ai primi decenni del XII secolo : L. Speciale, Città del Vatica-
no, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 12958 (Bibbia del Pantheon), in
M. Maniaci e G. Orofino, a cura di, Le Bibbie Atlantiche. Il libro delle Scritture tra
monumentalità e rappresentazione, catalogo della mostra (Montecassino-Firenze,

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 167

presentato il monte Golgotha con la tipica croce a doppia traversa (tav.


45 b) 603.
Nella parete a semiluna soprastante l’arco d’ingresso è l’immagine di un
santo vescovo affiancato da due diaconi 604 (tav. 80 c). L’appartenenza al ran-
go vescovile e diaconale si deduce dai rispettivi attributi dell’omophorion e
dell’orarion sulle casule rosse. Il vescovo e il diacono di destra sono identifi-
cabili dalle iscrizioni : S(ANCTVS) MARCVS e S(ANCTVS) LVCAS.
Lungo la parete sinistra continua la serie degli apostoli, con sette per-
sonaggi (tav. 80 a). Il primo da sinistra non è riconoscibile, il secondo è
probabilmente Giacomo Minore, seguito da Filippo, Bartolomeo, un altro
non identificabile, poi Simone e infine Tommaso. Le figure si accorciano
progressivamente verso il centro della parete per via della sottostante nic-
chia a semicerchio, forse un arcosolium. Al suo interno è raffigurata l’An-
nunciazione con l’arcangelo Gabriele che sopraggiunge da sinistra, la Ver-
gine in trono al centro e l’ancella che assiste alla scena sulla destra (tav.
81 a, fig. 16, p. 235) 605.
Domina l’impianto decorativo della cappella una Crocifissione, che oc-
cupa l’intera superficie della volta con un Cristo triumphans, rappresentato
cioè con gli occhi aperti (tavv. 79 b, 81 c). Secondo un’insolita versione ico-
nografica, dalla base della croce si dipartono elementi fitomorfi a spirale
che si espandono fra i bracci della croce all’interno delle quattro campitu-
re 606. Le due in alto sono occupate dal sole e dalla luna, quelle in basso dal
porta-spugna e dalla Vergine orante con le mani levate nel gesto della pre-
ghiera.

Monte Taburno, Grotta di San Mauro


Sul versante occidentale del monte Taburno si trova la grotta di San
Mauro, ampia cavità di origine naturale attualmente adibita a ricovero di
bestiame (tav. 46 a) 607. I resti di muratura all’esterno, in blocchi calcarei di
medio taglio, sono ciò che rimane, insieme ai lacerti d’affresco e gli avanzi di
strutture all’interno, di un santuario che risale ad età altomedievale. Le pare-
ti interne della grotta sono contraddistinte da concrezioni carbonatiche e
micro-stalattiti che fanno pensare alla probabile presenza di acqua all’epoca

2000-2001), Carugate, 2000, p. 262-271; L. Alidori, Firenze, Biblioteca Medicea


Laurenziana, Laur. Edili 125-126 (Bibbia di S. Maria del Fiore), ivi, p. 271-278. Lo
stesso soggetto compare nel ciclo pittorico della chiesa romana di S. Giovanni a
Porta Latina, risalente anch’esso al XII secolo, ma verosimilmente agli ultimi de-
cenni : E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 87-96 («San Giovanni a
Porta Latina», scheda a cura di S. Romano).
603
Per la raffigurazione della croce in corrispondenza dello spazio liturgico
della prothesis, cfr. supra, p. 55 e nota 67.
604
Infra, p. 225.
605
Infra, p. 234-236.
606
Infra, p. 224-225.
607
F. Colonna di Stigliano, Le grotte sul monte Taburno. Descrizione, ricerche
storiche e congetture, Napoli, 1889, p. 34-38; G. Kalby, Insediamenti cit., p. 156;
A. Venditti, Architettura bizantina cit., p. 364 n. 373, 446, 452. Solamente citata
da É. Bertaux, L’art dans l’Italie cit., I, p. 244.

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168 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

dell’utilizzo dell’ambiente come luogo di culto. Nel fondo della grotta, infat-
ti, sporge verticalmente dalla volta un masso roccioso con al di sotto una
struttura muraria provvista di una vasca foderata di malta idraulica che
sembrerebbe concepita per raccogliere lo stillicidio della roccia 608. Sulla sini-
stra, a breve distanza, è quel che rimane di un altare che in origine doveva
essere rivestito di intonaco poichè su uno dei lati corti si vedono le tracce di
campiture rosse e verdi 609.
Brani assai alterati di un pannello seicentesco raffigurante una Vergine
con Bambino in braccio si conservano su un costone roccioso a destra del-
l’entrata (tav. 46 b). Alla fine dell’800, Ferdinando Colonna di Stigliano pote-
va vedere accanto all’immagine della Vergine «S. Menna col baculo d’eremi-
ta e la data 1606» 610. Sulla parete di sinistra della grotta sopravvive parte di
un pannello medievale con una Theotokos. La lettura della superficie pittori-
ca superstite è resa ardua dal velo di carbonati e la proliferazione di micror-
ganismi. Fortunatamente si conserva un’ampia porzione del settore centrale
grazie alla quale si intuisce che la Vergine era ritratta in piedi, nell’atto di so-
stenere il Bambino con entrambe le mani posate sui fianchi di quest’ultimo,
secondo una tipologia attestata anche altrove 611. Maria ha la veste rossa,
mentre Gesù ha pallio ocra su una tunica bianca e regge il volumen. Quanto
al fondo, sulla sinistra restano tracce di una campitura omogenea in verde
che doveva occupare la metà inferiore del pannello. Una fascia rossa percor-
sa da linee ondulate orizzontali trovava posto, invece, nella metà superiore.
In basso a destra è un lacerto di un’iscrizione pittorica in bianco su fondo
porpora con due lettere superstiti («RE») 612.
La perdita totale dei volti, l’esiguità dei brani conservati e il loro cattivo
stato di conservazione rendono particolarmente difficile la proposta di data-
zione. In base alla tipologia del fondo del pannello, all’impostazione assiale
delle figure della Vergine e del Bambino, al gesto di sostenere quest’ultimo
con le braccia che scendono rigide e simmetriche in diagonale, come nel se-
condo strato della Grotta dei Santi di Calvi, si può optare per l’XI secolo 613.

608
F. Colonna di Stigliano, Le grotte cit., p. 35.
609
Interessante quanto riportato da Colonna di Stigliano : «A metri 9, dalla
soglia di entrata, e di fronte a questa trovasi un altarino in tufo, con rustico into-
naco attintato a bianco calce. In cima al muro al quale appoggia vi sono le iniziali
S. M. che accennano alla dedica dell’altare e della grotta, e nel davanti della pre-
della leggesi A. D. 1881, anno in cui fu restaurato l’altare con l’aggiunzione di un
lastrico battuto costruito per complanare il pavimento della grotta dalla entrata
all’anzidetta predella. Un tavolone di castagno, sul quale è la figura di Santo
Mauro, è attaccato al muro elevato all’altare; ma la pittura è quasi completamen-
te sparita, né può con dati certi fissarsi l’epoca a cui si appartiene», Ibid.
610
Ibid., p. 36.
611
Si veda, ad esempio, la Theotokos della Grotta dei Santi a Calvi, supra,
p. 146-147 (S. Piazza, La Grotta dei Santi cit., fig. 17).
612
Nell’800 Colonna di Stigliano poteva leggere, «in una linea continuata al
disotto del dipinto», le lettere [...]A ANCILL[...] ER[...], F. Colonna di Stigliano,
Le grotte cit., p. 36.
613
Supra, p. 147-148.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 169

Monte Taburno, Grotta di San Simeone

Alle pendici del Monte Taburno, a nord est dell’abitato di Bucciano, si


trova una grotta intitolata a San Simeone 614. Di origine naturale, essa è ca-
ratterizzata da un unico invaso che, sebbene sia poco profondo, raggiunge
un’altezza considerevole, pari a circa 15 metri. Il centro della parete di fondo
è dominato da un’ampia decorazione pittorica del principio del XVII secolo
che un tempo sovrastava un altare oggi scomparso (tav. 46 c) 615. La pittura
fornisce un dato importante riguardo al santo titolare. Il pannello, infatti,
rappresenta un vescovo che incede sullo sfondo di un paesaggio naturale
con una mano alzata ad indicare il sole. Dalla lettura dell’iscrizione pittorica
sulla cornice superiore del dipinto è possibile individuare il soggetto che
evoca un antico credo popolare, la preghiera dei fedeli rivolta a san Simeone
affinché interceda nell’allontanare le piogge e far tornare il sereno per il
buon esito del raccolto 616. Sulla destra, sempre appartenente all’intervento
pittorico seicentesco, è l’arcangelo Michele che pesa le anime.
Delle pitture d’età medievale, descritte da Ferdinando Colonna di Sti-
gliano nel 1889, resta soltanto, sulla parete destra antistante la cavità roccio-
sa, a circa due metri d’altezza dal livello di calpestio, un riquadro assai dete-
riorato che raffigura un Cristo fiancheggiato da due santi e assiso in trono
(tav. 82 a) 617. Singolare è il profilo di quest’ultimo, segnato da una banda ros-
sa che dal suppedaneum si allarga verso l’alto incurvandosi per poi restrin-
gersi lungo il dossale e infine inarcarsi di nuovo all’altezza dell’aureola cru-
cesignata. Ai suoi lati si trovano due alberelli stilizzati con fiori rossi. I due
santi che fiancheggiano il Cristo, indossano un semplice pallio con tunica
clavata alla maniera degli apostoli. Entrambi di aspetto senile, quello di sini-
stra appare stempiato, quello di destra canuto con barba lunga. I volti sono
resi con tonalità cromatiche dai forti contrasti e pennellate obbedienti ad un
convenzionalismo che fa pensare agli esiti formali raggiunti in opere pittori-
che del principio del XIII secolo, come il san Paolo della Grotta dei Santi a
Calvi 618. L’incarnato dei personaggi è reso con una stridente alternanza di li-
nee rosse e verdi, con lumeggiature bianche e sottolineature nere per il pro-
filo dei tratti somatici. In basso, fra i due santi e il suppedaneum, alla fine

614
F. Colonna di Stigliano, Le grotte cit., p. 20-33; G. Kalby, Insediamenti ru-
pestri cit., p. 155-156; A. Venditti, Architettura bizantina cit., p. 364-365, 446, 452.
Solamente citata da É. Bertaux, L’art dans l’Italie cit., p. 244.
615
Alla fine dell’800 l’altare appariva «diruto (...) in pietra tufacea rozzamen-
te intonacato, ed attintato a bianco calce», F. Colonna di Stigliano, Le grotte cit.,
p. 28.
616
Fra i contadini del Taburno si tramanda l’abitudine di invocare san Si-
meone per ottenere il sereno e san Mauro per la pioggia, A. Venditti, Architettura
bizantina cit., p. 366. L’iscrizione è la seguente : ALMA DEI MATER ET/ CONSO-
LATIONIS TVO / BEATI SIMEON NOS AERIS / SERENITATE CŌSOLARE (cfr.
F. Colonna di Stigliano, Le grotte cit., p. 28).
617
Misure : 1,30 m × 1,76 m. Nel XIX secolo il pannello versava in migliori
condizioni : Ibid., p. 21-22.
618
Supra, p. 148.

.
170 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

dell’800 si potevano leggere alcune lettere dipinte in bianco, oggi quasi del
tutto scomparse, relative alle iscrizioni votive dei committenti 619.
Di un altro pannello dipinto sulla parete di fronte a quasi tre metri d’al-
tezza non resta altro che il commento del principe Colonna di Stigliano :
«sopra altra irregolare superficie d’intonaco bianco, senza essere terminato
da linee, e della misura di metri 0,51 alla base e 1,35 altezza, vedesi dipinta
una figura in piedi di prospetto, mancante della testa staccatasi con l’intona-
co. Ha lunga tunica in bianco, con croce greca sul petto e avente a’ suoi
estremi disposti a losanga, quattro globuli al di sopra, e quattro al di sotto,
calza sandali con allacciatura in croce. Poggia la figura ad un suppedaneo
terminato da doppio giro di linee continuate, ed una terza interna globulata,
nel cui lungo intermezzo capricciosamente disposti vedonsi cerchietti, lo-
sanghe, rettangoli, quadrati, alternati con punti. Al di sotto in due righi pre-
ceduti da croce ansata, senza interruzione ed interpunzione v’è scritto :
+ VRSVS FIERI IVSSIT. I contorni, le decorazioni, i fregi, le lettere, i punti
ecc., sono tutti color paonazzo, sicché il dipinto si compone soltanto di colo-
ri paonazzo e bianco. Questa figura, nella rimanente parte, dal petto ingiù, è
in meglio condizione di quella del dipinto di rincontro innanzi descritto».

8 – PROVINCIA DI AVELLINO

Avella, Grotta di San Michele

Nonostante la Grotta di San Michele ad Avella possa essere annoverata


fra i santuari rupestri micaelici dell’Italia centro-meridionale più significati-
vi per le dimensioni e l’entità degli interventi pittorici presenti al suo inter-
no, essa resta ancor’oggi poco nota 620. Estesa in senso longitudinale per oltre
cinquanta metri, a seguire il fianco del monte Ciesco Alto, si articola in una
serie di concavità scavate grossolanamente lungo la parete interna di un an-
tro naturale. Tre di queste vengono chiamate tradizionalmente «cappelle»
dell’Immacolata Concezione, del Salvatore e di San Michele, segno della
compresenza di diversi poli cultuali all’interno dello stesso ambiente rupe-
stre 621.

619
A sinistra : [...] RANDO E(T) INCO[...]E FECIT; a destra : R. D. A.
IVS. FE(CI).
620
A. Borzelli, Pitture nella Grotta di S. Michele in Avella, Napoli s.d. (1892);
R. Pescione, La grotta di S. Michele ad Avella, in Napoli Nobilissima, n. s., I, 1920,
p. 148-150, p. 172-174; A. Venditti, Architettura bizantina cit., p. 364-65, 371, 451;
A. Roatti, Documentazioni medievali nell’Avellinese, in Rivista di studi salernitani,
7, 1971, p. 297-307 (alla quale si rinvia per le citazioni della grotta micaelica con-
tenute in una serie di opere del XVIII-XIX secolo); G. Kalby, Insediamenti cit.,
p. 165-166; L. Festa, Arte e archeologia cit., p. 6-9; C. Ebanista, Testimonianze di
culto cristiano ad Avella tra tarda antichità e medioevo, in V. Nazzaro, a cura di,
Giuliano d’Eclano e l’Hirpinia christiana. Atti del convegno, 4-6 giugno 2003, Na-
poli, 2004, p. 287-363, spec. p. 329-351.
621
G. Remondini, Della nolana ecclesiastica storia, Napoli, 1747, I, p. 276-
277.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 171

Cominciamo l’analisi delle testimonianze pittoriche dal nucleo più anti-


co. Nella Cappella del Salvatore, che si apre al centro del santuario, in posi-
zione mediana rispetto alle altre due, si conservano due ampi pannelli d’età
altomedievale ospitanti in totale quindici personaggi (tav. 47 a-c). Ciascuna
figura è nimbata, ritratta in posa frontale su un fondo ripartito in tre zone
che evoca, in modo essenziale, il paesaggio dell’empireo : l’ampia campitura
centrale blu-cerulea è interrotta in alto da una banda rossa con linee ondula-
te alludenti alle nuvole e in basso da una fascia ocra.
Purtroppo la leggibilità dei soggetti è compromessa non solo dal dete-
rioramento della pellicola pittorica, che in alcuni punti è assai pronunciato,
ma anche dall’esistenza di maldestre ridipinture. Con pennellate scure, sono
state ripassate sui volti le linee di demarcazione degli occhi, delle sopracci-
glia, del naso e della bocca, i contorni delle guance e del mento. Con il mar-
rone sono stati ridipinti i capelli e le barbe. Ciononostante, si sono salvate al-
meno in gran parte le originarie campiture, come il rosa e il rosso con i quali
sono stati tratteggiati i profili delle vesti, i panneggi, le mani estremamente
allungate e la parte superiore del fondo.
I due interventi pittorici, che sono senza dubbio contemporanei vista l’i-
dentità dei caratteri formali, sono stati realizzati al centro e nella zona de-
stra del vano concavo. Quest’ultimo è stato scavato a un livello più alto ri-
spetto al piano di calpestio dell’ambiente principale e ad esso collegato tra-
mite una scala a sei gradini. Entrambe le pitture presentano una curvatura
più pronunciata rispetto al giro della parete concava quasi a voler suggerire
la spazialità di un’abside.
Il pannello posizionato nella zona centrale, dipinto a più di un metro
d’altezza, ospita dieci personaggi (fig. 13).
Fulcro della raffigurazione è l’arcangelo Michele, con ali spiegate e loros
gemmato, purtroppo assai poco leggibile. La prima figura, da sinistra, è
quella di un vescovo, da identificare in san Nicola di Mira, visto che sono
leggibili le prime lettere dell’iscrizione onomastica conservatesi in alto a si-
nistra : S[ANCTVS] NI[ICOLAVS] (tav. 84 a). Accanto, l’integrità dell’iscri-

Fig. 13 – Avella, Grotta di S. Michele, restituzione grafica del pannello


con arcangelo e santi.

.
172 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

zione permette di riconoscere san Martino di Tours. Seguono due santi ve-
scovi non meglio identificabili. La figura che affianca l’arcangelo a sinistra
potrebbe corrispondere a un santo diacono. Il personaggio a destra del san
Michele è troppo compromesso dal cattivo stato di conservazione per tenta-
re un’interpretazione. Il successivo è certamente un vescovo, dato che si fre-
gia anch’esso dell’omophorion. Chiudono la serie gli imperatori Elena e Co-
stantino fra i quali sono visibili i resti di una grande croce gemmata che ha
al centro un medaglione con la mano divina (tav. 48 a). La coppia di perso-
naggi, riccamente vestita, si rivolge verso il centro ad adorare il simbolo del
legno della Vera Croce portato a Roma da Elena, secondo un’antica tradizio-
ne, in occasione del pellegrinaggio in Terrasanta 622.
Nonostante lo stato di cattiva conservazione, che ha cancellato del tutto
i volti di entrambe le figure, si riconosce Elena nel personaggio di sinistra,
grazie all’ornamento circolare d’oro che orna la veste all’altezza delle spalle,
mentre Costantino, sulla destra, è raffigurato con una tunica decorata di
gemme che scende uniforme fino ai piedi. Il tema iconografico è di matrice
bizantina 623 e si incontra in esempi monumentali come la decorazione musi-
va della chiesa di Osios Loukás, risalente al 1020 circa 624. L’inserzione della
dextera Domini, però, è un fatto del tutto originale anche se, autonomamen-
te, ricorre in più casi della pittura campana fra X e XII secolo 625.
Il secondo pannello ritrae al centro un Cristo seduto sul trono gemmato
che con la sinistra sostiene il vangelo mentre con la destra compie il gesto
della benedizione (tav. 47 c). La figura è circondata da fasce concentriche di
diverso colore che quasi si confondono con il trono, tanto che sulle prime
potrebbero far pensare a una sorta di dossale, ma che invece, a ben guarda-
re, alludono ai cerchi dell’universo. Ai lati del Cristo, rispettivamente a sini-
stra e a destra, sono rappresentati Pietro e Paolo. Chiude la serie, accanto al-
l’apostolo Pietro, l’immagine della Theotokos (tav. 48 b, fig. 14). La Vergine è
seduta su un trono con cuscino e dossale rettangolare munito di una bordu-
ra perlinata che termina in alto con due pomelli anch’essi profilati da un gi-

622
K. Wessel, Konstantin und Helèna, in Reallexikon zur byzantinischen
Kunst, IV, 1990, coll. 357-366.
623
Ibid. Cfr. infra, p. 222; N. Teteriatnikov, The True Cross Flanked by Con-
stantine and Helena. A Study in the Light of the Post-Iconoclastic Re-evaluation of
the Cross, in Deltion tès Christianikès Etaireias, IV, 1995, p. 169-188. La mano di
Dio, inquadrata al centro di una grande croce, si trova sulla volta della Kokar Ki-
lise in Cappadocia, senza però alcuna allusione, in questo caso, ad Elena e Co-
stantino : M. e N. Thierry, Nouvelles églises cit., p. 131-132, fig. 63 a. Per la data-
zione controversa delle pitture della chiesa cappadoce : C. Jolivet Lévy, Les égli-
ses byzantines de Cappadoce. Le programme iconographique de l’abside et de ses
abords, Parigi, 1991, p. 303.
624
E. Diez, O. Demus, Byzantine Mosaics in Greece : Daphni and Hosios Lu-
cas, Cambridge, 1931, fig. 47; M. Chatzidakis, Hosios Loukas. Byzantine Art in
Greece, Atene, 1997, p. 22-23, 51.
625
La dextera Domini compare nella basilica dei Santi Rufo e Carponio a Ca-
pua, nella Grotta dei Santi di Calvi (primo strato), nella chiesa rupestre di Santa
Maria de Olearia di Maiori, nella grotta di S. Biagio di Castellammare di Stabia
(H. Belting, Studien cit., p. 70, 105, 115, 122).

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 173

Fig. 14 – Avella, Grotta di S. Michele, restituzione grafica del pannello


con Pantocratore e santi.

ro di perline 626. In asse con la testa di Maria è il Bambino benedicente. L’ulti-


mo personaggio di destra, affianco a Paolo, è un santo vescovo raffigurato
nell’atto di benedire con la destra e reggere il libro delle sacre scritture con
la sinistra. La caduta di gran parte della pellicola pittorica, in corrisponden-
za del fondo intorno alla parte superiore della figura, ha provocato la perdita
dell’iscrizione onomastica e pertanto il personaggio non è identificabile.
Precisare l’epoca dell’intervento pittorico che ha prodotto le due se-
quenze di personaggi non è facile, tenendo conto che al processo naturale di
deterioramento degli intonaci è subentrata l’alterazione dovuta alle goffe ri-
dipinture. Tuttavia, per una serie di elementi che accomunano i soggetti a
quelli del secondo strato della Grotta dei Santi a Calvi, propendo per una da-
tazione delle pitture intorno alla metà dell’XI secolo 627.
A diversi interventi successivi, protrattisi fino oltre la soglia del XIV se-
colo, appartengono numerosi altri pannelli dislocati in varie parti del san-
tuario. Nella cappella detta dell’Immacolata, a ovest rispetto a quella del Sal-
vatore, ce n’è una prima serie. A sinistra dell’ingresso si conservano due raf-
figurazioni disposte verticalmente una sopra l’altra, frutto, verosimilmente,
di un unico intervento pittorico 628. L’immagine inferiore rappresenta san

626
La parte destra del trono risulta ridipinta.
627
Infra, p. 221-223.
628
Di diversa opinione è Carlo Ebanista, che attribuisce il san Cristoforo a

.
174 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Cristoforo nella tipica posa che compare a partire dai primi decenni del XIII
secolo, vale a dire con Gesù Bambino appoggiato alla spalla destra e soste-
nuto con la mano sinistra (tav. 48 d) 629. Sopra è un pannello a forma di man-
dorla con un Cristo in trono che benedice e ostenta il libro con l’iscrizione
EGO SV(M) LVX M(V)NDI terminante con le lettere A e W (tav. 48 c).
A destra di questi due dipinti la parete gira verso l’interno a formare
quasi una angolo retto e ed è interrotta dopo circa un metro da una portici-
na che immette in un vano sepolcrale scavato nel tufo 630. Fra l’apertura e
l’angolo si conserva un’altra pittura di non chiara interpretazione, per via del
cattivo stato di conservazione : su un fondo che sembrerebbe imitare un ten-
daggio, con una decorazione geometrica a cerchi giustapposti che raffigura-
no in alternanza aquile e leoni rampanti, sulla sinistra è dipinta una colonna
tortile con ampio capitello a cespo d’acanto, mentre sul lato opposto, in alto,
è un piccolo oggetto non facilmente identificabile, una sorta di parallelepi-
pedo a terminazione cuspidata, forse il modellino di un edificio. Il soggetto
potrebbe alludere alle insegne della famiglia cui appartenevano gli individui
sepolti all’interno del vano al di là della parete.
Prorio i simboli araldici del dipinto suggeriscono una datazione più tar-
da rispetto a quella dei pannelli di san Cristoforo e di Cristo nella mandorla,
che possiamo far coincidere con gli ultimi decenni del XIII secolo. Alla stes-
sa epoca sembra riconducibile l’immagine di Maria Regina allattante ubica-
ta dall’altra parte della Cappella dell’Immacolata, al di là dell’altare 631. A un
pittore cavalliniano degli anni ’20 del ’300 è stata assegnata, invece, l’Annun-
ciazione che si conserva in stato lacunoso poco più a destra 632.
Lasciata la Cappella dell’Immacolata e tornati a quella del Salvatore, a
sinistra del vano concavo con l’arcangelo Michele fra santi, si conservano re-
sti poco leggibili di quattro figure aureolate all’interno di un unico pannello
di forma quadrata, riferibile ad un’epoca certamente più tarda rispetto alla
cronologia della vicina coppia di pannelli con la teoria di personaggi in posa
stante – che abbiamo assegnato alla metà circa dell’XI secolo – e tuttavia
non oltrepassante, verosimilmente, la soglia del XIII secolo 633.
Ad est della Cappella del Salvatore, un vano di dimensioni minori, mu-
nito anch’esso di altare, ospita un altro riquadro con Giovanni Battista che

un intervento del «XII-XIII secolo» e il Cristo nella mandorla «alla fine del Due-
cento», Ebanista, Testimonianze cit., p. 332.
629
G. Kaftal, Iconography cit., coll. 282-284.
630
«[...] Da questa apertura si accede ad una angusta celletta di forma roton-
da che lascia vedere, oltre un muretto basso di antica costruzione un loculo mol-
to vasto che poteva forse anche costituire un ossario, come lascia supporre la
gran quantità di ossa ritrovate», R. Pescione, La grotta cit., p. 149. Cfr. anche
Ebanista, Testimonianze cit., p. 337.
631
Ibid., p. 333, fig. 10.
632
P. Leone De Castris, Arte di corte nella Napoli angioina, Firenze, 1986,
p. 290, fig. 30.
633
Sui resti di questo pannello, cfr. C. Ebanista, Testimonianze cit., p. 338-
339, fig. 13, che giustamente data l’intervento al XII secolo e tuttavia, senza che si
possano ravvisare valide ragioni, attribuisce i personaggi all’episodio della Trasfi-
gurazione, spingendosi a riconoscere un’Anastasis nel brano pittorico individua-
to nella zona soprastante.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 175

appare cronologicamente non distante dal san Cristoforo della Cappella del-
l’Immacolata (tav. 49 a). Il santo, con indosso la tradizionale pelliccia, mo-
stra lungo il fianco sinistro il cartiglio con l’iscrizione «EC[CE] AGNVS DEI
QVI TOLLIT PEC(C)ATA M[VNDI]», mentre con la mano destra indica l’an-
golo superiore del riquadro dov’è dipinto l’agnello con il nimbo crucesigna-
to. Sul bordo superiore del pannello è l’iscrizione onomastica (JOANNES
BATISTA).
La Cappella di San Michele presenta, infine, un altro nucleo di pitture
medievali. Dietro al grande altare ottocentesco, ve ne è uno più antico con i
resti di un dipinto con san Michele che uccide il drago, non anteriore al se-
colo XV. Accanto, in direzione est, è un pannello raffigurante un altro san
Michele, in questo caso nella rigida posa frontale che assume nella tipologia
iconografica di matrice bizantina, con le insegne imperiali del labaro e del
globo. Sempre a pochi passi dall’altare, questa volta verso ovest, si conserva-
no i resti di un altro pannello votivo riproducente, ancora una volta, un san
Michele. Questa coppia di ritratti dell’arcangelo è riferibile ai primi decenni
del XIII secolo.
Lungo la parete meridionale della Cappella di San Michele, in prossimi-
tà di una vasca in muratura costruita per raccogliere lo stillicidio che provie-
ne dalla roccia soprastante, si trovano i resti di due pannelli trecenteschi,
uno di fianco all’altro. Di quello a sinistra, oltre ad alcuni lacerti corrispon-
denti ai bordi, resta soltanto un’esigua porzione della parte superiore, che la-
scia intravedere la testa coronata di una Vergine e del Bambino in braccio. Il
pannello accanto, in cattivo stato di conservazione, raffigura una Crocifis-
sione 634.

Montoro Inferiore, Grotta di San Michele

Alle pendici del monte Bufoni presso Preturo, frazione di Montoro Infe-
riore, si trova un santuario dedicato all’arcangelo Michele (tav. 49 b) 635. A ri-
dosso di un costone di roccia calcarea, in corrispondenza di una grotta natu-
rale, sorgono due piccoli edifici in muratura. Secondo alcune testimonianze
locali, negli anni ’20 del secolo scorso il luogo era abitato da un eremita 636 ed
è assai probabile che l’edificio di destra, provvisto di un campaniletto, di un
forno e più ambienti su due livelli, abbia svolto la funzione di cella eremitica
fin dalla sua origine, che non sembra però poter risalire ad epoca anteriore
al XV secolo.

634
Di questa Crocifissione venne riprodotto un disegno pubblicato, a suo
tempo, da Raffaele Pescione, R. Pescione, La Grotta cit., p. 174.
635
A. Galiani, Montoro nella storia e nel folklore, Montoro Inferiore, 1947,
p. 55-56; A. Roatti, Documentazioni cit., p. 297-307; G. Kalby, Insediamenti cit.,
p. 165-166; F. Guacci, Affreschi medioevali nella «Grotta di San Michele», in Mon-
do archeologico, 18-19, agosto-settembre 1977, p. 8-11; V. D’Alessio, Montoro. Ri-
cerche storiche e archeologiche, Salerno, 1978, p. 50-59; Id., Il culto di San Michele
Arcangelo. Santuari tra Salerno e Avellino, Solofra, 1993, p. 27-37.
636
A. Galiani, Montoro cit., p. 55; V. D’Alessio, Il culto cit., p. 28, 35.

.
176 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Al Quattrocento, del resto, possono essere attribuiti i due pannelli votivi


presenti nella grotta. Uno di essi rappresenta l’arcangelo Michele nell’atto di
trafiggere il drago e di pesare le anime dei defunti, mentre un monaco ingi-
nocchiato regge un libro aperto assistendo alla scena. La presenza del reli-
gioso nel riquadro dà ulteriore peso all’ipotesi di un insediamento eremitico
in questo luogo, almeno a partire dal XV secolo. L’altro pannello, con una
Vergine e Bambino fra i santi Rocco e Sebastiano, si trova all’interno di
un’edicola.
La grotta consta di due vani entrambi direttamente accessibili dall’e-
sterno e intercomunicanti nella zona più interna mediante un angusto pas-
saggio. Soltanto la cavità di maggiori dimensioni, sulla sinistra, è adibita a
santuario : al suo interno una moderna statua dell’arcangelo Michele è stata
posta sopra l’altare in sostituzione di un’antica scultura «in scisto», perduta,
ma ancora in loco circa sessant’anni fa 637. Ad attestare l’originaria presenza
di un culto idrico in questo ambiente restano numerose formazione stalatti-
tiche e stalagmitiche. Proprio alla raccolta dello stillicidio dell’acqua, oggi
scomparso, doveva servire, presumibilmente, la vasca in muratura foderata
d’intonaco che si conserva accanto all’ingresso. È assai probabile che la de-
vozione nei confronti di San Michele risalga ad età altomedievale, dal mo-
mento che una bolla di Alessandro II, datata 1067, cita una ecclesiam S. Mi-
chaelis Arcangeli in Crypta Montis qui dicitur Auricum 638. In un brano d’into-
naco che aderisce alla parete soprastante la vasca si scorgono i labili resti di
una figura nimbata in posa frontale, dai grandi occhi e naso molto allunga-
to, che conserva intorno all’aureola una decorazione a fasce rosse secondo
una tipologia nota in area campana fra X e XI secolo (tav. 82 b) 639. Accanto,
sulla sinistra, si intravede appena il segno di un altro nimbo che sottintende
l’originaria presenza di almeno una seconda figura.
Un’altra testimonianza d’età altomedievale è offerta da due lastre mar-
moree reimpiegate a mo’ di gradino all’ingresso dell’edificio in muratura an-
tistante la grotta. Si tratta di due blocchi con decorazione a intreccio, proba-
bilmente risalenti al IX secolo 640, che dovevano far parte in origine di un uni-
co pezzo, forse utilizzato per una recinzione presbiteriale o piuttosto per
una porta, come stipite o architrave.
Fino a pochi anni fa, all’interno della grotta si conservava anche una la-
stra marmorea con iscrizione latina frammentaria, oggi purtroppo introva-
bile 641.

637
V. D’Alessio, Montoro cit., p. 35, 59.
638
V. D’Alessio, Il culto cit., p. 27-31. Alla grotta del monte Bufoni sembre-
rebbe riferirsi anche il Chronicon Cavense, allorquando viene evocata la vittoria
di Radelchi di Salerno dell’841 e la conseguente fuga di Landolfo di Capua («per-
secutus est usque ad Angelus in Montauro») : A. Roatti, Documentazioni medioe-
vali cit., p. 301.
639
Infra, p. 222.
640
Cfr. un pezzo simile in : M. (Mario) Rotili, a cura di, Corpus della scultura
altomedievale, Spoleto, 1966 (La diocesi di Benevento, V), p. 104-105, tav. XLVI b.
641
V. D’Alessio, Montoro cit., p. 54.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 177

Prata, Basilica dell’Annunziata

Ad una distanza di circa un chilometro dall’abitato di Prata Principato


Ultra, in direzione nord, si trova la basilica della Santissima Annunziata, no-
to santuario di culto mariano dell’Irpinia e ad un tempo monumento di
grande interesse storico-artistico 642. L’edificio, a navata unica, è in parte co-
struito in muratura e in parte scavato all’interno di una collina tufacea, che
ospita a poche decine di metri anche una catacomba e un ambiente rupestre
denominato Grotta dell’Angelo 643.
Varcato l’ingresso e oltrepassato un avancorpo settecentesco rivestito di
intonaci e stucchi, si entra nell’aula primitiva, voltata a botte, foderata da
una cortina muraria e scandita da quattro arcate a tutto sesto. Superata la
quarta arcata si accede al presbiterio, leggermente rialzato, delimitato da un
triphorion (tav. 49 c) 644. Il grande arco mediano, sorretto da due colonne di
reimpiego, incornicia l’abside che a sua volta ingloba al centro un’absidiola
scavata nella roccia (tav. 83 a). I due archi laterali immettono nello spazio
retrostante interamente scavato nel tufo, interrotto da tombe a camera e ar-
cosolia. Il deambulatorio è in comunicazione con l’abside mediante due se-
rie di tre arcatelle disposte a fianco dell’absidiola e sostenute da colonnine in
terracotta.
L’individuazione dei segni del taglio di un arcosolio, sacrificato apposi-
tamente per creare il passaggio di destra del triphorion, dimostra che prima
della basilica c’era un cimitero ipogeo, del quale restano le tombe sulla pare-
te di tufo dell’ambulacro 645. Il suo aspetto non doveva divergere molto da
quello della vicina catacomba che viene fatta risalire II-III secolo d.C. 646.
Il ritrovamento in fase di restauro di una moneta longobarda inserita
nella muratura del triphorion, porta a datare tra la fine del VII secolo e la
prima metà dell’VIII l’intervento di trasformazione del cimitero in basilica e
la contestuale realizzazione dell’assetto presbiteriale, che s’è conservato fino
ad oggi 647.

642
G. Taglialatela, Dell’antica Basilica e della catacomba di Prata in Principato
Ulteriore e di alcuni monumenti avellinesi in Archivio storico delle province meri-
dionali d’Italia, III, fasc. I, 1878, p. 129-145; E. Romano, La basilica di Prata, in
Napoli Nobilissima, I, n. s., 1920, p. 165-167; M. (Mario) Rotili, La basilica del-
l’Annunziata di Prata, monumento di età longobarda, in Atti del II congresso nazio-
nale di archeologia cristiana, 25-31 maggio, 1969, Roma, 1971, p. 401-412, al quale
si rimanda per una disamina sui contributi degli studiosi che lo hanno precedu-
to; M. (Marcello) Rotili, Il territorio beneventano fra Goti e Longobardi, in Corso di
cultura sull’arte ravennate e bizantina, XXXVII, 1990, p. 417-451. I recenti restau-
ri, che hanno interessato la zona presbiteriale della basilica e le pitture ivi conser-
vate, sono stati l’occasione, da parte di chi li ha diretti, per uno studio volto all’a-
nalisi del taglio delle pareti in tufo, alle murature, agli intonaci e alla cronologia
degli interventi pittorici : G. Muollo, La Basilica di Prata Principato Ultra, Viter-
bo, 2001, spec. p. 23-66. Cfr. anche : F. Gandolfo, Prefazione, ivi, p. XII-XIII.
643
G. Muollo, La Basilica cit., p. 6-11.
644
Rotili (Mario), La basilica cit., p. 402, 405-406.
645
G. Muollo, La Basilica cit., p. 39.
646
Ibid., p. 27, nota 22.
647
Ibid., p. 47-48.

.
178 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Se l’individuazione di una catacomba primitiva, in uso nei primi secoli


del Cristianesimo, e la realizzazione del triphorion fra VII e VIII secolo ap-
paiono come dati pressoché sicuri, è anche possibile, a nostro avviso, che tra
la fase primitiva e l’escavazione della basilica con l’assetto presbiteriale a tre
archi sia esistito un edificio basilicale di dimensioni minori rispetto all’at-
tuale e però insistente sulla stessa area e con il medesimo orientamento. Del
resto, una campagna di scavo, svolta nel piazzale antistante la basilica nei
primi anni ’50 del secolo scorso, ha messo in luce i resti di due chiese cimite-
riali ascrivibili entrambe ad «età longobarda anteriore all’VIII secolo» 648. Il
rinvenimento contribuisce a delineare il quadro di un complesso cimiteriale
ampio e stratificato che ha subito numerose trasformazioni nel corso del
tempo.
Testimonianza della prima evidenza monumentale all’interno del nu-
cleo catacombale risulta essere l’absidiola, che finora è stata considerata
contestuale alla fase costruttiva della parete semiellittica del triphorion e
funzionale all’alloggiamento di una cattedra presbiteriale 649, ma che sembra
piuttosto costituire il residuo di un’aula più antica scavata nel tufo (tavv.
49 c, 83 a).
Il mantenimento del primitivo vano absidale al centro della nuova ab-
side longobarda può forse spiegarsi per ragioni legate al culto dell’immagine
dipinta al suo interno, con ogni probabilità oggetto di devozione da parte dei
fedeli e quindi volutamente risparmiata dai lavori di ampliamento della ba-
silica. D’altro canto, l’ultimo restauro da poco portato a termine ha reso me-
glio leggibile il palinsesto di pitture dell’absidiola, presentando una strati-
grafia che ci sembra possa avvalorare l’ipotesi dell’anteriorità del piccolo
spazio concavo rispetto alla struttura circostante.
Sotto allo strato più esterno, con la Vergine orante tra due sante, si con-
servano almeno tre livelli di intonaco dipinto 650. Del più antico emerge
un’ampia porzione nella zona inferiore. Su un fondo bianco si scorgono flui-
de pennellate ocra, che a ben guardare corrispondono ai resti di una decora-
zione a carattere figurativo, per quanto ne sappiamo fino ad oggi inedita : al
centro della curva della parete si affrontano specularmente due animali fan-
tastici con testa e zampe anteriori equine e il resto del corpo, che si avviluppa
in un ampio nodo nel tratto terminale, serpentiforme (tav. 83 b). Sembrereb-
be trattarsi di due cavalli marini, diffusi nel repertorio iconografico animali-
stico dell’arte romana tardo imperiale, in voga fino al III-IV secolo d.C. 651.
Sopra questo strato ve ne è un altro che si individua nella zona compre-
sa tra la Vergine orante e la santa di sinistra dell’ultima fase pittorica, oltre

648
Rotili (Mario), La Basilica cit., p. 404-405.
649
Ibid., p. 406.
650
La lettura della stratigrafia degli intonaci si discosta in parte da quella
proposta da Giuseppe Muollo (G. Muollo, La Basilica cit., p. 49-66).
651
Si presta a uno stringente confronto con gli animali dell’absidiola di Prata
il cavallo marino dipinto sulla volta dell’ipogeo della catacomba di San Gennaro,
risalente al III secolo : P. Testini, Il simbolismo degli animali, in L’uomo di fronte
al mondo animale nell’Alto Medioevo, Spoleto 7-13 aprile 1983, 2 voll., Spoleto,
1985 (Sett.CISAM, XXXI), II, p. 1107-1168, part. fig. 49.

.
CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 179

che in corrispondenza della parte inferiore della santa di destra della stessa
decorazione (tav. 83 a). Il brano di sinistra lascia intravedere i resti di un
trono con suppedaneum e cuscino purpureo verosimilmente pertinenti a una
più antica immagine della Theotokos 652. Nella porzione di destra si vedono
due piedi con calzari orientati verso la figura centrale, appartenuti con ogni
probabilità a uno dei personaggi, apostoli, martiri o angeli, che doveva far
parte di una schiera disposta a fianco del trono.
A un posteriore intervento pittorico appartiene la testa aureolata che si
conserva all’altezza delle ginocchia della santa di sinistra dell’ultimo strato
(tav. 50 a) 653. Anche in questo caso si tratta di una figura femminile della
quale, in un brano più in basso, è leggibile parte della veste, costituita da
una tunica bianca con pennellate rosa che segnano le pieghe, decorata all’al-
tezza delle spalle da un gallone grigio scuro perlinato. Sopra la veste bianca,
ai lati del corpo, scende un pallio grigio-azzurro. Una porzione più piccola
dello stesso intonaco, con i resti di un simile panneggio, si conserva ad egua-
le altezza sulla destra dell’invaso, segno che anche in questo caso in origine
era dipinta una serie di figure che affiancava un’immagine centrale.
L’ultimo intervento pittorico, infine, è il noto pannello con Maria regina
fra due figure femminili (tav. 82 c-d). In un paesaggio paradisiaco depurato
di ogni elemento superfluo, scandito soltanto dalla bassa linea dell’orizzonte
e dalla divisione in alto fra il cielo dell’empireo e quello del fuoco, i tre perso-
naggi vestiti di rosso assumono la posa dell’orante secondo uno schema ge-
rarchico. Al centro la Vergine leva in alto le braccia ad intercedere fra Dio e
gli uomini, ai lati le sante dirigono entrambe le mani verso di essa obbeden-
do al ruolo di mediatrici, in un gesto che è proprio anche della Deesis.
Forse quest’ultimo strato è frutto dello stesso intervento pittorico che
produsse l’immagine campita sulla soprastante calotta del triphorion, un
Cristo benedicente fra due angeli, noto al Bertaux 654, integralmente ridipinto
nel 1912 e successivamente scialbato 655.
Per quanto riguarda la cronologia delle fasi pittoriche, per ragioni stili-
stiche l’intervento più recente si colloca agevolmente nel XII secolo, ma for-
se ad una data non troppo in avanti, piuttosto entro i primi decenni, a giudi-
care dalle affinità fra i volti delle due sante e quelli di alcune figure della
cripta di Santa Maria del Piano presso Ausonia, generalmente assegnata agli
anni intorno al 1100 656. Alla stessa campagna pittorica può essere attribuita

652
G. Muollo, La Basilica cit., p. 49-50.
653
H. Belting, Studien cit., p. 64-65, fig. 72; M. (Mario) Rotili, La Basilica
cit., p. 408.
654
É. Bertaux, L’art dans l’Italie cit., p. 85-86.
655
G. Muollo, La Basilica cit., p. 81.
656
Per la datazione al XII secolo propende Muollo (Ibid., p. 55-62). Hans Bel-
ting pensava ad un’epoca più tarda fra XII e XIII secolo (H. Belting, Studien cit.,
p. 65). Al secolo precedente si riferiva Mario Rotili, M. Rotili, La Basilica cit.,
p. 408. Quanto alle affinità con Ausonia (C. Macchiarella, Il ciclo di affreschi cit.,
p. 45-143; V. Pace, La pittura medievale cit., p. 250, 265; P. Mathis, Chiesa di San-
ta Maria cit., p. 45-49; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 318), si sug-
gerisce un confronto tra il volto della santa di sinistra dell’abside di Prata e quello
della Vergine nella scena dell’Apparizione di Remingarda della cripta (fotografia
a colori in : V. Pace, La pittura medievale cit., fig. 316).

.
180 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

anche la contigua decorazione dell’intradosso dell’arco dell’absidiola, con un


motivo a racemi, e il brano sul fronte del medesimo arco, dove sono conser-
vati i resti di un clipeo centrale che con ogni probabilità conteneva l’agnello
mistico, come fanno supporre le superstiti pennellate bianche che risaltano
sul fondo rosso (tav. 83 a). La santa del terzo strato è stata giustamente ac-
costata, in passato, alle figure della cripta di Epifanio in San Vincenzo al
Volturno, e la proposta di una sua attribuzione alla prima metà del IX seco-
lo, quindi, non sembra incontrare ostacoli 657.
Quanto all’intonaco sottostante, corrispondente al secondo rivestimen-
to dell’absidiola, i pochi resti del trono e il lacerto con i due piedi non auto-
rizzano, a nostro avviso, a proporre una datazione circoscritta. È possibile,
come del resto recentemente ipotizzato, che si tratti della decorazione rea-
lizzata in occasione della creazione del triphorion, fra VII e VIII secolo 658, an-
che se i pochi elementi sopravvissuti, i piedi con i sandali, appunto, e il pro-
filo del trono con cuscino, potrebbero far pensare anche a un’opera più anti-
ca, di VI-VII secolo. Quest’ultima datazione, d’altra parte, non incontra
ostacoli se si accetta l’ipotesi sulla precedenza cronologica dell’absidiola ri-
spetto al resto della struttura presbiteriale.
Arrivando al primo strato, infine, la raffigurazione degli animali fanta-
stici di sapore tardo-antico, consente, s’è detto, di considerare l’absidiola co-
me il residuo di un edificio in uso durante la fase primitiva dell’area cimite-
riale e l’intonaco in questione quindi come la zoccolatura superstite del-
l’originaria decorazione.
Altri resti di pittura si conservano sulle pareti del triphorion e sui muri
perimetrali del deambulatorio. Distanti dalla sovrapposizione del palinsesto
dell’absidiola e corrispondenti per lo più a meri motivi decorativi, non offro-
no facili agganci cronologici. I brani più consistenti si conservano sulla fac-
cia esterna del fianco sinistro del triphorion dove, in corrispondenza delle
prime due colonnine fittili, è ben visibile una decorazione a finti marmi.
Lungo il perimetro esterno del deambulatorio, invece, accanto all’arcata
di sinistra, si scorgono i resti di una fascia con doppio motivo a greca, al di
sotto della quale emergono alcune linee nere a zig-zag, mentre in corrispon-
denza dell’arco di destra si conservano altri pannelli a finti marmi nella zona
inferiore e, in alto, lacerti di una decorazione con frutta rossa, ornamenti
ocra e neri su fondo bianco.
Per tutti questi brani, recentemente è stata proposta una datazione alla
prima metà del IX secolo 659. A nostro avviso è possibile un’anticipazione : i
riquadri a finto marmo del giro dell’abside potrebbero essere contestuali al-
l’epoca di edificazione della nuova struttura presbiteriale e quindi collocarsi
fra VII e VIII secolo. Alla stessa fase potrebbero appartenere i resti pittorici
del deambulatorio.

657
H. Belting, Studien cit., p. 64-65.
658
G. Muollo, La Basilica cit., p. 50-55.
659
Ibid., p. 60-62.

.
CAPITOLO III

FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE


DELLA PITTURA RUPESTRE

1 – L’EREMITISMO

Il portico della basilica di Sant’Angelo in Formis conserva un


breve ciclo pittorico del XII secolo che narra la vita dell’eremita Pao-
lo di Tebe, nato all’inizio del III secolo (tav. 51 a)1. Nelle quattro lu-
nette ai lati della porta d’ingresso è raccontato l’incontro che, all’età
di centotredici anni, secondo quanto tramandato da san Girolamo,
il venerando Paolo avrebbe avuto con il monaco novantenne Anto-
nio venuto in visita presso la sua dimora, una grotta nel deserto del-
la Tebaide 2. Gli esecutori delle pitture non hanno trascurato gli ele-
menti che caratterizzano l’ambientazione dell’episodio agiografico.
In linea con la narrazione geronimiana, infatti, nelle prime tre scene
troviamo la grande spelunca, la palma che vi cresce all’interno e fuo-
riesce da un’apertura sulla sommità, la riviera d’acqua che scorre ac-
canto 3. Stando al racconto, Paolo di Tebe aveva scelto il deserto per
sfuggire alle persecuzioni dell’imperatore Decio 4 e scovata una grot-
ta nascosta su una montagna, constatato che era sufficientemente
spaziosa, ricca d’acqua e di datteri succosi, aveva vissuto in quel luo-
go non più per necessità ma per atto volontario, necessitatem in vo-
luntatem vertit 5. Da quel momento in poi un corvo inviato dal Signo-

1
Sulla figura di Paolo di Tebe, cfr. G. Calió e A. Cardinali, Paolo di Tebe, in
Bibl.SS, X, Roma, 1968, coll. 269-280. Sul ciclo agiografico del portico di Sant’An-
gelo in Formis : P. Anker, K. Berg, The Narthex of Sant’Angelo in Formis, in Acta
archeologica, XXIX, 1958, p. 95-110.
2
Vita Sancti Pauli primi eremitae, in PL, vol. 23, 1845, coll. 17-28. Sul luogo
ove si crede abbia vissuto san Paolo eremita, nell’entroterra desertico del Mar
Rosso, sorge un monastero tuttora in funzione, sviluppatosi in età medievale su
un nucleo insediativo scavato nella roccia : P. Van Moorsel, Le monastère de
Saint-Paul près de la mer Rouge, Cairo, 2002, p. 3-15.
3
«[...] tamdem reperit saxeum montem, ad cujus radices haud grandis spelun-
ca, lapide claudebatur. Quo remoto [...], avidius explorans, animadvertit intus
grande vestibulum, quod aperto desuper coelo, patulis diffusa ramis vetus palma
contexerat, fontem lucidissimum ostendens [...]» Vita Sancti Pauli cit., col. 21.
4
G. Calió, A. Cardinali, Paolo di Tebe cit., col. 272.
5
Vita Sancti Pauli cit., coll. 20-21.

.
182 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

re sarebbe venuto ogni giorno con una razione di cibo necessario al-
la sua sussistenza 6.

Dalla Tebaide all’Occidente


Paolo di Tebe e il monaco Antonio sono ricordati come i primi
eremiti dell’era cristiana. Pur avendo scelto il deserto come luogo
per vivere in solitudine la propria esperienza contemplativa, il loro
habitat è costituito da un antro roccioso e una sorgente d’acqua. So-
no elementi, questi, che troveremo costantemente nel paesaggio ere-
mitico dell’agiografia medievale, anche se il campo d’azione si spo-
sterà ben presto dal deserto dell’Asia Minore e del nord Africa alle
verdi alture dell’Occidente 7. Il trasferimento geografico del paesag-
gio eremitico non provoca un cambiamento sul piano simbolico tan-
t’é che nell’immaginario cristiano medievale la foresta viene a coin-
cidere con il deserto. Come ha scritto, appunto, Jacques Le Goff, a
proposito dell’eremitismo occidentale : «In questo mondo tempera-
to senza grandi distese aride, il deserto – cioè a dire la solitudine –
assumerà un aspetto del tutto diverso, il contrario, quasi, del deserto
sotto il profilo della geografia fisica : sarà la foresta» 8.
Seguendo la storia dell’eremitismo dai primi secoli del Cristia-
nesimo all’alto Medioevo il paesaggio fisico, dunque, muta radical-
mente e tuttavia la grotta continua ad essere scelta spesso come di-
mora ideale per praticare la vita ascetica. Se l’iconografia e l’agio-
grafia non mancano di esempi eloquenti, ottenere un riscontro
effettivo di questo fenomeno non è altrettanto facile. Mentre nel ver-
sante orientale sono stati individuati svariati casi di insediamenti
anacoretici ricavati nella roccia 9, per quanto riguarda l’Occidente, e

Ibid., col. 25.


6

Sui loca sanctorum associati all’eremitismo medievale in Occidente :


7

G. P. Bognetti, I «Loca Sanctorum» cit., p. 110; S. Boesch Gajano, Agiografia cit.,


p. 217-220; Eadem, Paesaggio cit., p. 9-22. Sul Meridione d’Italia come «nuova
Tebaide», cfr. : J.-M. Martin, L’érémitisme grec cit., p. 180-181.
8
J. Le Goff, Il deserto-foresta nell’occidente medievale, in Id., Il meraviglioso e
il quotidiano nell’occidente medievale, traduzione di G. Arnaldi, Roma, Bari, 1983,
p. 27-44 (p. 27). Sul recupero dell’altura da parte di monaci ed eremiti, nell’occi-
dente medievale : L. Pani Ermini, Il recupero dell’altura nell’altomedioevo, in Ideo-
logie e pratiche del reimpiego nell’alto medioevo, 2 voll., Spoleto, 1999 (Sett.CISAM,
XLVI), II, p. 613-664, spec. 642-648.
9
Riguardo ai monasteri rupestri della Cappadocia : S. Kostof, Caves of God.
The Monastic Environment of Byzantine Cappadocia, Cambridge (Massachusetts),
1972, spec. p. 41-64; in riferimento al versante medioerientale : J. Patrich, Sabas
Leader of Palestinian Monasticism. A Comparative Study in Eastern Monasticism,
Fourth to Seventh Centuries, Washington D. C., 1995, p. 60-164; P. Van Moorsel,
Le monastère de Saint-Paul cit., p. 3-15; per le aree dell’Italia meridionale di in-
fluenza greca : P. Dalena, I monasteri benedettini in rupe : un problema storico-
archeologico, in C. D. Fonseca, a cura di, L’esperienza monastica benedettina e la

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 183

in particolare il territorio oggetto della nostra ricerca, il dubbio se


siano esistite o meno forme di eremitismo rupestre sembra legittimo
data la difficoltà di rintracciare un fondamento storico nelle fonti di
cui si dispone e la scarsità delle evidenze archeologiche10.
Cosicché, per esempio, a ragione è stata respinta la tesi di Émile
Bertaux, salutata con favore fino a tempi recenti, che consisteva nel
credere che le due grotte di Calvi e quella di San Biagio a Castellam-
mare di Stabia, fossero in origine insediamenti monastici sulla scor-
ta del fatto che al loro interno vi si trovano pitture della cosiddetta
«scuola benedettina», espressione tanto generica quanto impro-
pria11. Paradossalmente, tuttavia, a distanza di un secolo dalle pio-
nieristiche ricerche dello studioso francese, proprio grazie all’analisi
della pittura rupestre, oggi ancor più deteriorata dal trascorrere del
tempo e il perpetuarsi dello stato d’abbandono, sembra possibile
gettare un po’ di luce su questo argomento.

L’ipogeo del monte Acuziano e la Grotta del Salvatore a Vallerano


Assai rara, ovviamente, è l’eventualità che l’intervento pittorico
possa rappresentare una testimonianza diretta e sicura della perma-
nenza di un eremita o di una piccola comunità monastica in un sito
rupestre. Il fenomeno, fra Lazio e Campania settentrionale, s’è ri-
scontrato soltanto in due contesti : l’ipogeo sotto l’eremo di San
Martino del Monte Acuziano e la Grotta del Salvatore presso Valle-
rano. Nel primo caso, proprio dallo studio delle pitture della struttu-
ra ad archi ciechi che all’origine doveva foderare verosimilmente
l’intero ambiente rupestre (tav. 18 a), è stato possibile dare un valore
storico alla tradizione e alle notizie fornite dal cronachista farfense
Gregorio di Catino (1062-1134), circa la presenza nell’antro roccioso

Puglia. Atti del Convegno di Studio organizzato in occasione del XV centenario della
morte di san Benedetto, Bari e altrove, 16-10 ottobre 1980, 2 voll, Galatina, 1983-
1984, II, p. 313-332, spec. p. 313-319, 324, 326.
10
Un sostanziale scetticismo nei confronti dell’esistenza di insediamenti be-
nedettini in grotta, in Italia meridionale e soprattutto in Puglia, è stato espresso
da Pietro Dalena : Ibid., p. 319-332; Id., Organizzazione e funzione culturale del
monachesimo nella Puglia rupestre medioevale (sec. X-XIII), in G. Andenna,
H. Houben, B. Vetere, Tra nord e sud cit., p. 123-153 (p. 149).
11
P. Dalena, I monasteri cit., p. 321-322. Per quanto riguarda la grotta dei
Santi a Calvi, prendendo le dovute distanze dalla genericità del giudizio di Émile
Bertaux (É. Bertaux, L’art dans l’Italie cit., p. 243-250), l’ipotesi di un’occupazio-
ne del sito da parte di monaci benedettini si può a nostro avviso sostenere, ma
soltanto se ci si riferisce al periodo coincidente con la prima fase della produzio-
ne pittorica (X secolo), che risulta priva dei caratteri di laicità che caratterizzano
gli interventi pittorici successivi e si colloca in un contesto geografico-culturale
dove è attestato, a partire dalla fine del IX secolo, l’arrivo dei monaci di Monte-
cassino scampati alle insurrezioni dei saraceni, cfr. S. Piazza, Le pitture cit. Sul
mito storiografico di un’arte benedettina, v. infra, p. 220.

.
184 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

di un eremita di nome Lorenzo giunto nel VI secolo dalla Siria con


al seguito alcuni suoi discepoli12. Fugando i dubbi avanzati anche di
recente nei riguardi della testimonianza di Gregorio, che per altro
trova riscontro nel precedente privilegio di Giovanni VII (705-707)13,
l’analisi dei dipinti ha permesso di rintracciare sorprendenti legami
con la pittura greco-orientale del VI secolo, non solo per quanto ri-
guarda i singoli soggetti, ma anche circa l’orchestrazione d’insieme,
di forte predominanza aniconica e quindi estranea al linguaggio fi-
gurativo occidentale. La convergenza tra i dati documentari e quelli
desunti dallo studio delle pitture permette, inoltre, di far luce sulla
«preistoria» di un insediamento monastico di eccezionale importan-
za, quale è l’abbazia di Farfa.
Ad un piccolo cenobio benedettino del X secolo vanno assegna-
te, invece, le pitture della Grotta del Salvatore presso Vallerano
(tav. 12 a)14. In questo caso il distacco di un costone di roccia della
falesia sul finire dell’800 ha, se non altro, restituito uno spaccato
dell’intera articolazione degli ambienti : al piano superiore una serie
di piccole celle intercomunicanti, in quello inferiore due ambienti
opportunamente decorati, una cappellina con altare e prothesis e ac-
canto uno spazio destinato alla vita in comune. Nella prima sono an-
cora distinguibili, fra i soggetti superstiti, le immagini di Benedetto
con i suoi discepoli Mauro e Placido e l’iscrizione del committente
Andreas humilis abbas, a riprova dell’appartenenza dell’unità ceno-
bitica all’ordine benedettino (tav. 13 d).
Più frequenti sono gli ambienti rupestri che la tradizione orale e
le fonti agiografiche, o anche semplicemente un antico toponimo,

12
Nel Chornicon farfense Gregorio di Catino cita espressamente la prove-
nienza di Lorenzo dalla Siria (Gregorio di Catino, Chronicon farfense, a cura di
U. Balzani, 2 voll., Roma, 1903, I, p. 128), mentre dal suo Regesto, apprendiamo
che lo stesso giunse in Sabina temporibus gothorum, quindi nella prima metà del
VI secolo (493-526), in compagnia della sorella Susanna e dei discepoli Isacco e
Giovanni (Id., Il regesto di Farfa, a cura di I. Giorgi e U. Balzani, 4 voll., Roma,
1879, II, p. 4). Sulle notizie relative a Lorenzo Siro riportate da Gregorio di Cati-
no, cfr. U. Longo, Agiografia e identità monastica a Farfa tra XI e XII secolo, in Cri-
stianesimo nella storia, 21, 2000, 2, p. 311-341, spec. p. 321 e n. 28.
13
Nel privilegio concesso nel 705 da Giovanni VII all’abate di Farfa, Tomma-
so di Morienna, in riferimento alle origini dell’abbazia, viene detto che il vescovo
Lorenzo de peregrinis veniens in feudo, qui dicitur Acutianus (Gregorio di Catino,
Regesto di Farfa cit., II, p. 23). Il manoscritto di Cerchiara, attribuito all’XI secolo
ma noto soltanto da una trascrizione settecentesca e quindi considerato di non
certa autenticità, precisa l’anno nel quale il monaco orientale sarebbe stato eletto
vescovo della Sabina, e cioè il 554 (cfr. T. Leggio, L’abbazia di Farfa tra «Longo-
bardia» e «Romania ». Alcune congetture sulle origini, in Rapporti tra le comunità
monastiche benedettine italiane tra alto e pieno Medioevo, Atti del III convegno del
«Centro di Studi Farfensi», Santa Vittoria in Matenano, 11-13 settembre 1992, Vero-
na, 1994, p. 157-178, spec. p. 168-169).
14
Supra, p. 65-68.

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 185

associano a un santo dedito alla vita solitaria e che, tuttavia, ospita-


no all’interno pitture posteriori alla sua ipotetica presenza. Per
quanto concerne questi casi, la testimonianza pittorica costituisce il
segno del fiorire del culto nei confronti di un eremita che si ritiene
abbia abitato il luogo in passato sì da renderlo sacro attraverso l’e-
sercizio della vita ascetica.

L’eremo del monte Massico


Estremamente significativo, a tal riguardo, è l’eremo di san
Martino sul monte Massico, in provincia di Caserta (tav. 42 a). Il
santo titolare non è il celebre vescovo di Tours, ma un Martino se-
guace di Benedetto. Numerose sono le fonti che parlano di questo
personaggio, a cominciare da Gregorio Magno, che nei Dialogi ri-
porta la testimonianza trasmessagli direttamente dal suo predeces-
sore Pelagio II (579-590) e altri religiosissimi viri, i quali sarebbero
venuti a sapere della lunga permanenza di un loro contemporaneo
in una grotta del monte Massico e della sua mirabile condotta15. A
quanto pare Martino giungeva da Montecassino dove aveva vissuto
con Benedetto e i suoi compagni e proprio il fondatore dell’ordine
monastico avrebbe spedito nell’eremo campano un suo discepolo
per convincerlo a liberarsi dalle catene mediante le quali voleva fug-
gire alle tentazioni : si servus es Dei, non te teneat catena ferri, sed ca-
tena Christi16.
Al di là della sequenza di prodigi che ravvivano la narrazione
gregoriana, tipici della tradizione agiografica, come l’apparizione
del demonio sotto forma di serpente, l’allontanamento della donna
tentatrice e il salvataggio del fanciullo caduto da una rupe17, colpi-
scono alcuni elementi relativi all’ambientazione del racconto che
trovano una corrispondenza nella reale fisionomia del sito : la grotta
stretta di origine naturale costituita da un ambiente unico, la pre-
senza al suo interno di acqua che trasuda dalla roccia, incorniciata
dagli archi della struttura muraria, il precipizio di fronte all’ingresso
e l’esistenza di una cisterna nelle immediate vicinanze18.
Sappiamo inoltre, sempre da Gregorio Magno, che dopo un cer-
to tempo trascorso in completa solitudine, l’eremita fu raggiunto da
alcuni discepoli, i quali abitarono però all’esterno della grotta19. Il
dato fa pensare all’esistenza di un insediamento cenobitico sul Mas-
sico già all’epoca di Martino. Sul pianoro soprastante la grotta, per

15
Gregorio Magno, Dialogi cit., II, p. 326-336.
16
Ibid., II, p. 334.
17
S. Boesch Gajano, Agiografia cit., p. 209-220.
18
U. Zannini, San Martino cit., p. 18-21
19
Gregorio Magno, Dialogi cit., II, p. 334.

.
186 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

l’appunto, si conservano lunghi tratti di muro in opus incertum rife-


ribili con ogni probabilità ad un insediamento monastico. La scarsi-
tà delle informazioni in proposito non consente di attribuire con
certezza le strutture esistenti alla prima fase di vita cenobitica 20. È
sicuro, comunque, che già al principio dell’VIII secolo il monastero
aveva raggiunto una notevole importanza, visto che è attestata l’an-
nessione ad esso di alcuni terreni del Massico, su concessione di Ro-
mualdo II duca di Benevento (703-729) 21. Un secolo dopo il monaste-
rium sancti Martini rientra fra i beni che Pasquale I conferma essere
di appartenenza dell’abbazia di San Vincenzo al Volturno 22.
Le fonti ci informano su altri eventi, come l’attacco al monaste-
ro da parte dei saraceni, tra l’883 e il 915, e diversi tentativi di appro-
priazione delle reliquie dell’eremita fino alla definitiva traslazione
delle spoglie del santo nella cattedrale di Carinola agli inizi del XVII
secolo 23.
Queste le evidenze archeologiche, geomorfologiche e i riscontri
documentari ma in favore dell’esistenza e della fortuna dell’eremita
in questo luogo, ai dati esposti vanno aggiunti i risultati desunti dal-
l’osservazione delle pitture all’interno della grotta 24. L’imbotte in
muratura che fodera lo stretto antro naturale venne decorato una
prima volta, probabilmente in occasione della sua stessa edificazio-
ne, con uno strato di intonaco del quale rimangono tracce sufficienti
per ipotizzare che vi fosse dipinto un programma aniconico con uc-
celli, motivi fitomorfici e geometrici su fondo bianco (tav. 76 a-c).
Elemento chiave della decorazione era una grande croce gemmata
dipinta sulla volta in corrispondenza della zona di fondo della grotta
(tav. 76 a, figg. 10-11, p. 158-159). Il soggetto raffigurato e il piccolo
vano rettangolare, che si nota proprio al di sotto, autorizzano a cre-
dere che l’intervento murario e la relativa decorazione siano stati
realizzati per accogliere degnamente le spoglie del beato Martino.
Quanto all’epoca d’esecuzione di questa campagna pittorica, per ra-
gioni di carattere stilistico, paleografico e tecnico-esecutivo, che ver-
ranno esposte nel prossimo capitolo, la datazione più probabile si
colloca tra la fine del VI e la prima metà del VII secolo 25.
Già nella prima decorazione, e nell’innalzamento della struttura
che la ospita, possiamo quindi cogliere la prima tappa di un cambia-

20
U. Zannini, San Martino cit., p. 38-43.
21
Chronicon vulturnense cit., III, p. 127.
22
Bulla Paschalis I. Romani Pontificis, in RIS1, I, 2, p. 384-386 (p. 384).
23
Chronicon vulturnense cit., I, p. 302, 374-375; G. Guadagno, Bernardo cit.,
p. 97-98.
24
Infra, p. 215-217.
25
Infra, p. 216.

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 187

mento della funzione dell’ambiente, da eremo a sepolcro monumen-


tale. Il passo successivo consisterà in un’ulteriore trasformazione,
da sepolcro a santuario, luogo di culto e meta di pellegrinaggio, alla
stregua di quanto avviene nelle tombe martiriali dei cimiteri ipo-
gei 26. A tale proposito è assai eloquente il racconto, riportato da fonti
risalenti all’XI e al XII secolo, della lunga processione compiuta dal
principe longobardo Arechi II (758-787) e sua moglie, a piedi scalzi,
cinere capita aspersi, fin sul luogo della grotta, per prelevare le reli-
quie di Martino e custodirle all’interno delle mura beneventane 27. Al
di là della storicità dell’avvenimento, la narrazione è indice del fatto
che la fama della santità aveva raggiunto anche i vertici della società
civile del tempo.
Un secondo strato pittorico, che va a coprire il precedente, viene
eseguito fra IX e X secolo (tavv. 42 c, 43, 76 d, 77 a, fig. 12, p. 160).
Esso ci offre due dati significativi : un cambiamento nell’ordine spa-
ziale dell’ambiente e un riferimento diretto nei confronti del titolare
della grotta. L’intonaco, in questo caso, non riveste tutta l’area del-
l’imbotte ma più o meno i tre quarti di essa a partire dall’arco d’in-
gresso. La stesura parziale della pittura sulla volta sta ad indicare
che all’epoca dell’intervento, o già in un tempo precedente, la zona
di fondo ospitante le spoglie dell’eremita era stata chiusa da una
struttura, forse lignea, che serviva a isolare l’area del sepolcro dal re-
sto della grotta.
La nuova decorazione pittorica, che segue un programma fedele
al linguaggio iconografico della produzione artistica di area bene-
ventano-cassinese, con l’immagine dominante del grande busto cli-
peato di Cristo sorretto da quattro angeli cariatidi, era contrassegna-
ta da una lunga iscrizione, sempre a mezz’altezza della parete sini-
stra, come quella dello strato precedente. Ancora oggi vi si legge il
tratto [VIR]GINIS ET BEATI MARTINI CON[FESSORIS], a riprova
del fatto che l’intervento era volto a onorare il luogo che custodiva il
corpo dell’eremita. Il perpetuarsi del culto martiniano è attestato,
poi, da un pannello trecentesco con una Crocifissione che si conser-
va sulla parete di fondo dell’imbotte, dal muro di epoca posteriore
con la fenestella confessionis che vi viene costruito davanti, a proteg-
gere la tomba, e infine dall’altare, con una nuova Crocifissione di-
pinta al di sopra, eseguita durante il XVII secolo probabilmente in
occasione della traslazione delle reliquie nella vicina cattedrale di
Carinola.
Sul monte Massico assistiamo, quindi, a un lungo processo di

26
Infra, p. 203-208.
27
Chronicon vulturnense cit., I, p. 302-303; U. Zannini, San Martino cit.,
p. 23.

.
188 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

sacralizzazione che vede la grotta eremitica di origine naturale tra-


sformarsi in sepolcro, essere inglobata nel soprastante insediamento
monastico, in seguito divenire meta di pellegrinaggio, oggetto di for-
te contesa per le reliquie che si custodiscono all’interno, e infine, in
epoca moderna, piccola cappella con l’altare dedicato al beato Mar-
tino.

Il Sacro Speco di Subiaco


I Dialogi di Gregorio costituiscono una fonte preziosa per far
luce sulle origini rupestri di un altro insediamento monastico, che
avrà un futuro ben più noto e grandioso di quello del Massico per-
ché ad abitarvi fu Benedetto da Norcia. Nel celebre lezionario cassi-
nese della Biblioteca Apostolica Vaticana, di committenza dell’abate
Desiderio (1066-1071), tra le numerose miniature che riproducono il
ciclo agiografico benedettino, ce ne sono due nelle quali il rappre-
sentante dell’ordine è raffigurato all’interno dell’antro roccioso, la
prima volta nell’atto di ricevere dal monaco Romano il pane calato-
gli con un cesto annodato a una corda (Vat. lat. 1202, f. 17 B;
tav. 51 b) 28, la seconda mentre è intento a consumare il pranzo pa-
squale offertogli da un sacerdote spinto a compiere l’atto di carità a
seguito di un’apparizione divina in sogno (Vat. lat. 1202, f. 18 A;
tav. 51 c) 29. In entrambi i casi l’immagine della grotta evoca l’espe-
rienza eremitica del fondatore dell’ordine e la presenza dei due visi-
tatori non offusca, anzi esalta, il suo fulgido esempio di vita contem-
plativa.
L’immagine della grotta è presente anche in un’altra scena mi-
niata del codice, questa volta però senza la figura di Benedetto (Vat.
lat. 1202, f. 80 A; tav. 51 d). Anche in questo caso si tratta di un epi-
sodio agiografico raccontato da Gregorio Magno : vi si vede l’antro
roccioso con all’interno una figura femminile che leva le mani al cie-
lo nel gesto dell’orante. La donna è un’insana di mente che rinsavi-
sce miracolosamente dopo aver trascorso una notte all’interno della
grotta 30. L’episodio mette in luce l’avvenuto passaggio dall’eremo al
santuario : terminata l’esistenza dell’eremita la cavità rupestre rima-
ne spazio del sacro dove si custodisce la memoria di un’esperienza
mirabile di santità.

28
Gregorio Magno, Dialogi cit., II, p. 132.
29
Ibid., p. 134. Per le miniature del Vat. Lat. 1202, cfr. B. Brenk, Das Lek-
tionar des Desiderius von Montecassino Cod. Vat. Lat. 1202. Ein Meisterwerk Italie-
nischer Buchmalerei des 11. Jahrhunderts, Zurigo, 1987, p. 44-45; L. Speciale, Il ci-
clo benedettino del Lezionario Vat. Lat. 1202 e i suoi modelli, in C. A. Quintavalle, a
cura di, Medioevo : i modelli, Atti del convegno internazionale di studi, Parma 27
settembre-1o ottobre 1999, Milano, 2002, p. 673-681.
30
Gregorio Magno, Dialogi cit., II, p. 246; B. Brenk, Das Lektionar cit., p. 57.

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 189

Alle notizie offerte dalle fonti e alle miniature del codice corri-
spondono le evidenze architettoniche : arroccato sul monte Taleo, il
monastero del Sacro Speco di Subiaco, dal nome chiaramente evo-
cativo, conserva le tracce della primitiva vita eremitica in un alveo
roccioso della montagna. Dentro al complesso monastico, la monu-
mentale «Scala Santa» collega le due cavità naturali, e cioè il Sacro
Speco, che la tradizione identifica nel luogo dove Benedetto avrebbe
vissuto, e la Grotta dei Pastori, dove il santo era solito incontrare gli
abitanti del luogo 31. All’interno di quest’ultima sopravvive un pannel-
lo con una Vergine fra sante nella rara versione della Nicopoios, con
il Bambino circondato da un nimbo sorretto con entrambe le mani
(tav. 65 b) 32. Accanto si scorgono i lacerti di un’immagine di san Sil-
vestro, titolare del monastero insieme al fondatore dell’ordine e sua
sorella Scolastica 33. Venendo a mancare agganci sicuri per la data-
zione dei due dipinti, che sembrano essere stati realizzati in occasio-
ne del medesimo intervento, si è proposto di assegnare le pitture alla
metà circa dell’XI secolo, dato che nell’anno 1052 le fonti cronachi-
stiche riportano la notizia dell’intervento di edificazione di una chie-
sa inglobante le due grotte e proprio in quel periodo ha la sua massi-
ma diffusione l’iconografia della Nicopoios 34. Lasciando aperta la
questione cronologica, le pitture della Grotta dei Pastori rappresen-
tano senza dubbio l’unica manifestazione artistica in situ apparte-
nente al periodo che precedette la costruzione del monastero, la
quale avverrà solo a partire dal XII secolo.
È facile pensare, comunque, che nei secoli trascorsi fra l’espe-
rienza contemplativa di Benedetto e l’edificazione del monastero la
memoria della santità del luogo non venne mai meno. Gregorio Ma-
gno riferisce che lo Speco, subito dopo la morte di Benedetto, diven-
ne luogo di devozione da parte della popolazione locale 35. Un’altra
notizia significativa è quella dell’allestimento di due altari nelle grot-
te sublacensi da parte di Leone IV (847-855), l’uno dedicato al fon-
datore dell’ordine e alla sorella Scolastica, l’altro a papa Silvestro 36.
Sappiamo anche che il secondo eremita ad occupare stabilmente lo
Speco fu il monaco Palombo, vissuto nell’XI secolo 37. Dopo la per-
manenza del religioso assistiamo all’insediamento di una comunità

31
Sulla genesi dell’architettura del Sacro Speco : M. Righetti Tosti-Croce, Il
Sacro Speco cit., p. 129-135; Eadem, L’architettura del Sacro Speco cit., p. 75-94.
32
Supra, p. 119.
33
Supra, p. 120.
34
Supra, p. 122.
35
«Qui et in eo specu, in quo prius Sublacu habitavit, si potentium fides exi-
gat, miraculis coruscat», Gregorio Magno, Dialogi cit., II, p. 246.
36
Supra, p. 120.
37
B. Cignitti, Palombo, eremita a Subiaco, santo, in Bibl.SS, X, 1968, coll. 68-
69.

.
190 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

monastica per la quale verranno costruite, a più riprese, le strutture


in muratura.
Il destino delle grotte del monte Taleo è quindi diverso da quello
dell’antro del monte Massico. Il grande e articolato edificio in mura-
tura è un vero prodigio dell’architettura medievale. L’ardita costru-
zione, che si sviluppa a più livelli ancorandosi ai ripidi costoni della
montagna, nella quale è stata vista la ricezione di un modello prove-
niente dalla Terrasanta importato tramite le crociate 38, rappresenta
la ferma volontà di esaltare quanto più possibile la superficie della
roccia (tav. 65 a). Quest’ultima emerge ostentatamente e intenzio-
nalmente all’interno dell’edificio perché in essa è riconosciuta la
componente naturale del luogo, imprescindibile fonte di santità.

San Leonardo e la valle Suppentonia


Fra i loca sancta evocati da Gregorio Magno, anche la valle Sup-
pentonia 39, che si estende lungo il versante meridionale dell’abitato
di Castel Sant’Elia, conserva una testimonianza di pittura rupestre
medievale (tav. 4 c) 40. Il suggestivo paesaggio di questa forra, ri-
spondente a una tipologia assai diffusa nel territorio della Tuscia, si
è preservato incontaminato fino a noi. Lo scorrimento di un fiume
ha provocato, in tempi geologici, l’erosione del banco di tufo e il co-
stituirsi di due alte pareti rocciose che si fronteggiano l’un l’altra se-
guendo un percorso parallelo. Qua e là lungo le falesie si aprono am-
bienti rupestri frutto di escavazioni artificiali riferibili ad epoca
etrusca, romana e medievale.
Se è vero che in questo caso manca in Gregorio qualsiasi riferi-
mento diretto alla vita eremitica in grotta è parimenti evidente che
l’emergere della roccia nel verde della vegetazione assume un valore
centrale nella descrizione del paesaggio che fa da cornice all’episo-
dio agiografico del suo racconto. Il testo gregoriano ci parla del-
l’esperienza cenobitica condotta pochi anni prima dal venerabile
Anastasio venuto ad abitare nel monastero ubicato al centro della
valle, nel luogo ove si conserva oggi la basilica romanica a lui dedi-
cata 41.
Dell’esistenza di quest’insediamento monastico in epoca ante-

M. Righetti Tosti-Croce, Il Sacro Speco cit., p. 129-135.


38

Gregorio Magno, Dialogi cit., II, p. 70. Sulla valle Suppentonia, luogo del
39

monachesimo medievale, cfr. : M. P. Penteriani Iacoangeli, U. Penteriani, Nepi e


il suo territorio nell’Alto Medioevo. Il Monachesimo nella Valle Suppentonia (476-
1131), Roma, 1999.
40
Supra, p. 47-51.
41
Ibid., p. 15-19. Sulla basilica di Sant’Anastasio a Castel Sant’Elia, v. supra,
p. 47. La tradizione orale associa a Anastasio anche una grotta presso il settecen-
tesco santuario di Santa Maria ad Rupes : V. Girolami, Stimoli cit., p. 42-43.

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 191

riore alla metà del VI secolo dà prova un papiro conservato nell’ar-


chivio arcivescovile di Ravenna, nel quale, fra i beni rivendicati dal
goto Gundila, compare un monastero Sancti Aeliae che è stato iden-
tificato con quello della valle Suppentonia 42. Anche se risulta assai
probabile, non abbiamo dati documentari che attestino in un’epoca
così alta l’utilizzo di spazi scavati nel tufo da parte dei monaci di
questo cenobio.
Le testimonianze pittoriche che abbiamo avuto modo di analiz-
zare, a tutt’oggi inedite, si conservano all’interno della cosiddetta
Grotta di San Leonardo scavata nel banco di tufo proprio al di sotto
dell’abitato di Castel Sant’Elia e risalgono in massima parte all’XI
secolo, epoca durante la quale è attestato un rinnovato interesse nei
confronti dell’eremitismo 43. È sicuro, tuttavia che l’adibizione del-
l’ambiente a luogo di culto risalga ad una fase anteriore, visto che in
prossimità dell’angolo sud-ovest del vano principale emerge uno
strato più antico, la cui cronologia è imprecisabile ma ragionevol-
mente non troppo a ridosso dell’intervento di XI secolo, dal momen-
to che l’intonaco di quest’ultimo lo ricopre interamente lasciandone
trasparire soltanto un lacerto in corrispondenza di una lacuna. Un
dato ulteriore offre il brano pittorico successivo alla seconda fase,
databile al XIV secolo, che conserva le tracce di un personaggio
identificabile certamente con Leonardo da Nobiliacum, titolare del
luogo (tav. 5 b). Secondo una biografia del santo, riferibile al 1030,
Leonardo sarebbe vissuto nella regione di Limoges intorno alla pri-
ma metà del VI secolo 44. Discepolo di san Remigio, avrebbe condot-
to vita eremitica, operato molti miracoli e fondato un monastero 45.
Tra l’XI e il XII secolo il suo culto incontra grande diffusione in tutta
Europa e in Italia centrale non sono pochi gli eremi a lui dedicati 46.
È probabile, perciò, che il santuario di Castel Sant’Elia sia stato de-
dicato a Leonardo per via della sua fama di asceta. La scoperta del
trecentesco ritratto del santo all’interno dell’ambiente rupestre, pur

42
L. Cimarra, «Splendori di Bisanzio» : testimonianze della presenza bizanti-
na nel territorio della Tuscia Romana, in Biblioteca e Società, XI, giugno 1992,
p. 21-26.
43
É. Delaruelle, Les ermites et la spiritualité populaire, in L’eremitismo in Oc-
cidente nei secoli XI e XII, Atti della seconda settimana internazionale di studio,
Mendola, 30 agosto-6 settembre 1962, Milano, 1965, p. 212-247 (rist. in : Id., La
piété populaire au Moyen Âge, Torino, 1975, 125-154); G. Lobrichon, Erémitisme et
solitude, in Monteluco e i monti sacri : atti dell’incontro di Studio, Spoleto, 30 set-
tembre-2 ottobre 1993, Spoleto, 1994, p. 125-148, spec. p. 131-136.
44
B. Cignitti, C. Colafranceschi, San Leonardo di Nobiliacum, in Bibl.SS, VII,
Roma, 1966, coll. 1198-1208.
45
Ibid., coll. 1199-1200.
46
P.-E. Robinne, L’iconographie cit., p. 17-28.

.
192 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

nella sua irrimediabile lacunosità, acquista un valore che va al di là


del dato materico poiché estende all’intero arco del medioevo l’eco
dell’eremitismo nella valle Suppentonia.

2 – IL CULTO MICAELICO

Tra i fenomeni all’origine della pittura rupestre, un peso deter-


minante dev’essere attribuito al culto micaelico, almeno per quanto
riguarda il territorio preso in esame. La devozione per l’arcangelo
Michele, ovviamente, va ben al di là dell’universo delle grotte, basti
pensare all’altissima percentuale di chiese sub divo edificate in suo
onore 47. Già nei primi secoli dell’altomedioevo, tuttavia, le compo-
nenti naturali dell’antro vengono a legarsi in modo indissolubile al-
l’arcistratega celeste. Le superfici irregolari e accidentate della roc-
cia, l’acqua sorgiva che trasuda dalle pareti, la bellezza del paesaggio
circostante e l’alta quota sono tutti elementi che concorrono a fare
di ciascuna cavità rupestre in cima a una montagna un possibile
santuario dedicato a san Michele.

Da Chonae al Gargano
Uno dei più antichi luoghi di culto micaelico, certamente fra i
più celebri in tutta l’Asia Minore, si trova in Frigia, presso l’antica
città di Colosse, poi divenuta Chonae 48. Ad esso è collegata una leg-
genda, nota forse già a partire dal V secolo, relativa a una sorgente
che gli apostoli Giovanni e Filippo avrebbero fatto sgorgare nei pres-

Al computo dei luoghi di culto micaelico in Italia aveva rinunciato Arman-


47

do Petrucci, che contava «centoventi comuni o frazioni intitolati all’angelo, all’ar-


cangelo, a san Michele; e nel conto mancano, ovviamente, i toponimi minori. Da
un tale rapido conteggio risulta un panorama imponente, che, unito alla statisti-
ca delle chiese, dei monasteri, dei santuari, delle cappelle, degli oratori dedicati
ovunque al celeste archistratego, potrebbe essere assunto come primo, sommario
bilancio della diffusione del culto di san Michele in Italia», cfr. A. Petrucci, Origi-
ne e diffusione del culto di San Michele nell’Italia medievale, in Millénaire monasti-
que du Mont-Saint-Michel, 5 voll., Parigi, 1966-1983, III (a cura di M. Baudot),
1971, p. 339-354. Sull’inapplicabilità di un censimento dei santuari micaelici per
via dell’onnipresenza dei luoghi di culto dedicati all’arcangelo, di recente :
G. Sangermano, Poteri vescovili e signorie politiche nella Campania medievale,
Martina Franca, 2000, p. 96.
48
K. Belke, N. Mersich, a cura di, Phrygien und Pysidien, Vienna, 1990 (Ta-
bula Imperii Byzantini, 7), p. 125 e p. 222-225 (s.v. Chōnai); V. Saxer, Jalons pour
servir à l’histoire du culte de l’archange Saint Michel en Orient jusqu’à l’iconocla-
sme, in I. Vázquez Janeiro OFM, a cura di, Noscere sancta. Miscellanea in onore
di Agostino Amore OFM († 1982), Roma 1985, p. 367-426, spec. 382-402. L’anti-
chità del culto degli angeli a Colosse è attestata da una lettera di san Paolo (Col.,
2, 18) : Ibid., p. 382.

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 193

si di Colosse, passando di là durante la loro missione evangelizzatri-


ce. Successivamente, a causa delle proprietà miracolose dell’acqua,
attribuite alla presenza di san Michele, fu edificata accanto alla fon-
te una cappella, divenuta in breve tempo meta di un flusso di pelle-
grini sempre crescente. La fama del luogo di culto finì per suscitare
l’invidia dei pagani della vicina Laodicea, i quali eressero una diga
in un fiume a monte del santuario pensando così di poterlo spazzar
via con un’inondazione. Provvidenzialmente, alla minaccia di di-
struzione pose fine l’intervento dell’arcangelo, che consentì il deflus-
so delle acque fluviali aprendo un’enorme voragine nel terreno 49. Il
racconto agiografico rivela un mito eziologico che trova effettivo ri-
scontro nella presenza di numerose sorgenti presso il sito di Chonae
alle quali la fede popolare ha da sempre attribuito proprietà miraco-
lose 50.
È probabile che, già nel V secolo, il culto micaelico, associato al-
le virtù curative dell’acqua sorgiva, abbia trovato il suo primo polo
di irradiamento occidentale in una grotta sul monte Sant’Angelo del
Gargano. Fra VI e VII secolo la fama del santuario pugliese acquistò
dimensioni tali da trasformare la cavità rocciosa in una delle mete
di pellegrinaggio più frequentate dell’Europa medievale 51. L’Appari-
tio sancti Michaelis in monte Gargano, leggenda redatta in lingua la-
tina nell’VIII secolo ma derivante da una versione greca più antica 52,

49
Narratio de miraculo a Michaele arcangelo Chonis patrato, a cura di
M. Bonnet, in Analecta Bollandiana, VIII, 1889, p. 287-328.
50
V. Saxer, Jalons cit., p. 387-390; G. Otranto, La montagna garganica e il
culto micaelico : un modello esportato nell’Europa altomedievale, in Monteluco e i
monti sacri : atti dell’incontro di studio, Spoleto, 30 settembre-2 ottobre 1993, Spo-
leto 1994, p. 85-124, spec. p. 87-90; G. Peers, Subtle Bodies. Representing Angels in
Byzantium, Londra, 2001, p. 157-193. Sulla fortuna iconografica del miracolo di
Chonae : S. Gabielić, The iconography of the Miracle at Chonae. An inusual exam-
ple from Cyprus, in Zograf, 20, 1989, p. 95-103.
51
G. Otranto, La montagna cit., p. 85-86. Per uno sguardo sui molti contri-
buti rivolti al santuario del Gargano si rimanda a C. Carletti e G. Otranto, Il san-
tuario di S. Michele arcangelo sul Gargano dalle origini al X secolo, Bari 1990;
G. Otranto, Quindici secoli di storia per il santuario garganico : bilancio e prospet-
tive degli studi, in C. Carletti, G. Otranto, a cura di, Culto e insediamenti cit., p. 3-
12. Più di recente : Id., Genesi, caratteri e diffusione del culto micaelico del Garga-
no, in P. Bouet G. Otranto, A. Vauchez, Culte et pèlerinage cit., p. 43-64 (p. 51);
M. Trotta, I Longobardi di Benevento e il santuario di S. Michele al Gargano : edili-
zia sacra e nuovi spazi cultuali tra VII e VIII secolo, in I Longobardi dei ducati di
Spoleto e Benevento. Atti del XVI Congresso internazionale di studi sull’alto medioe-
vo, Spoleto, Benevento 20-27 ottobre 2002, Spoleto 2003, 2 voll., II, p. 1649-1668;
Id., Il Liber de apparitione sancti Michaelis in monte Gargano : l’individuazione
dei luoghi e dei resti monumentali del V e del VI secolo, in 1983-1993 : dieci anni di
archeologia cristiana in Italia. Atti del VII Congresso nazionale di archeologia cri-
stiana, Cassino 20-24 settembre 1993, a cura di E. Russo, 3 voll., Piedimonte Ma-
tese, 2003, II, p. 761-770.
52
Per la versione latina della leggenda si rinvia all’ultima edizione : Apparitio

.
194 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

evoca l’origine mitica del luogo rupestre indicando proprio nell’ac-


qua che affiora dalla roccia il fulcro della sacralità :
ex ipso autem saxo, quo sacra contegitur aedis, ad aquilonem alta-
ris dulcis et nimium lucida guttatim aqua delabitur, quam incolae stil-
lam vocant 53.
Le stille venivano raccolte in vasi di vetro sostenuti da catene
d’argento ancorate al calcare della volta in modo da permettere ai fe-
deli di abbeverarsi o di bagnare alcune parti del corpo traendo così
sollievo da afflizioni e malattie, secondo una prassi che s’è perpetua-
ta fino ai giorni nostri 54. La descrizione della grotta garganica occu-
pa uno spazio considerevole nel testo dell’Apparitio :
Erat autem ipsa domus angulosa, non in morem operis humani
parietibus erectis, sed instar speluncae preruptis et sepius eminentibus
asperata scopulis, culmine quoque petroso diversae altitudinis, quod
hic vertice tangi, alibi manu vix adtingi; credo docente archangelo Do-
mini, non ornatus lapidum, sed cordis quarere et dirigere puritatem 55.
Il santuario del Gargano non è, dunque, opera dell’uomo ma an-
tro di origine naturale eletto a luogo di culto per la compresenza di
elementi che definiscono lo spazio sacro 56. Nel racconto dell’Appari-
tio, secondo un topos che ricorre di frequente nelle fonti agiografi-
che in riferimento all’istituzione del luogo di culto, l’arcangelo ac-
quista sembianze animali per indicare ai fedeli l’esistenza del san-
tuario micaelico in cima al Gargano 57. Nel caso specifico si tratta di
un toro, carico di un valore simbolico aggiunto, dal momento che in

sancti Michaelis in monte Gargano cit., p. 1-4. Sull’Apparitio e i suoi stadi redazio-
nali in lingua greca e latina si vedano i contributi di Giorgio Otranto : G. Otranto,
Il «Liber de apparitione» cit., p. 423-442; Id., La montagna cit., p. 85-86; Id., Gene-
si cit., p. 43-44; e inoltre : M. Trotta, I luoghi del «Liber de Apparitione». Il santua-
rio di S. Michele dal V all’VIII secolo, in C. Carletti, G. Otranto, Culto e insedia-
menti cit., p. 125-165.
53
Apparitio sancti Michaelis in monte Gargano cit., p. 4.
54
Ibid. Sul ruolo dell’arcangelo taumaturgo che guarisce mediante l’acqua :
A. Dupront, Antropologia del sacro e culti popolari : il pellegrinaggio, in C. Russo, a
cura di, Società, Chiesa e vita religiosa nell’Ancien Régime, Napoli, 1976, p. 156-
157; G. Otranto, La montagna cit., p. 90; G. Otranto, Genesi cit., p. 46, 49-50.
55
Apparitio sancti Michaelis in monte Gargano cit., p. 3-4.
56
G. Otranto, La montagna cit., p. 90-93; I. Aulisa, La Chronica monasterii
sancti Michaelis Clusini a confronto con altre tradizioni micaeliche, in Vetera Chri-
stianorum, 33, 1996, p. 29-56 (p. 39-40); G. Otranto, Genesi cit., p. 49-56. In par-
ticolare, sul culto micaelico in corrispondenza dei luoghi elevati, cfr. : M. Baylé,
L’architecture liée au culte de l’Archange, in P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez, Cul-
te et pèlerinage cit., p. 449-465, spec. p. 449-451. Sulla scelta dell’ubicazione del
santuario da parte dello stesso arcangelo Michele : I. Aulisa, La Chronica cit.,
p. 43-48.
57
Apparitio sancti Michaelis in monte Gargano cit., p. 5. Cfr. I. Aulisa, La
Chronica cit., p. 43; G. Otranto, Genesi cit., p. 48-49.

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 195

esso è stata vista un’allusione alla persistenza dei culti pagani 58. Il
bovino che prende possesso della grotta in cima alla montagna in-
carnerebbe l’antagonista del toro idolo del dio Mitra, se è vero che
dietro alla leggenda garganica si nasconde l’intervento evangelizza-
tore della Chiesa teso a distogliere l’attenzione dei fedeli dal mitrai-
smo per indirizzarla alla creatura angelica venuta dal cielo 59. Il tran-
sfert cultuale trova una corrispondenza a Sutri, nell’alto Lazio, dove
la chiesa rupestre di Santa Maria del Parto, assai prima di divenire
luogo di culto micaelico, attestato dall’immagine dell’arcangelo che
incombe sulla volta e da un pannello con la leggenda garganica di-
pinto all’entrata, era stata adibita a santuario mitraico, come dimo-
stra la sicura provenienza dalla parete di fondo di un rilievo con la
tauromachia conservato nelle vicinanze 60.

Transfert di sacralità
Ad imitazione del centro garganico, qualsiasi spazio rupestre di
origine naturale diviene potenziale luogo di culto tributato all’arcan-
gelo 61. Si sviluppano in tal modo, nel corso del Medioevo, i santuari
del monte Tancia, del monte Monaco di Gioia, di Avella, Asprano,
Arpino, Montoro e Ninfa per non citare che i casi incontrati nel ter-
ritorio oggetto del nostro studio. La consapevolezza della funzione
di prototipo che la grotta del Gargano esercita nei confronti delle ca-
vità rocciose disseminate sulle alture si riscontra nel Chronicon Ca-
sinense, redatto tra l’VIII e il IX secolo :
Inter Capuam, Teanum, nec non Aliphem auditur esse mons qui-
dam, in quo dicitur adesse angelica virtus, ad instar beati Michaelis ar-

58
D. Lassandro, Culti precristiani nella regione garganica, in M. Sordi, a cura
di, Santuari e politica nel mondo antico, Milano, 1983 (Contributi dell’Istituto di
storia antica, IX), p. 199-209; G. Otranto, Genesi cit., p. 44-45; 48-49.
59
P. P. Fischetti, Mercurio, Mithra, Michael : magia, mito e misteri nella grotta
dell’arcangelo. Prima pubblicazione di iscrizioni e affreschi paleocristiani e longo-
bardi, Monte Sant’Angelo, 1973, p. 43-149.
60
Supra, p. 63-65.
61
Come ha scritto Giorgio Otranto «la grotta naturale, che si addentra per
ventiquattro metri nelle viscere della terra; il percorso in roccia che inizialmente
i pellegrini dovevano fare per raggiungere il punto più interno della cripta; l’inse-
diamento in altura; lo scenario aspro e selvaggio della montagna garganica, ricca
di dirupi, anfratti e caverne, sono i motivi che, insieme alla sorgente di acqua mi-
racolosa, caratterizzarono da subito il culto micaelico sul Gargano e si tipizzaro-
no fissandosi in diversi contesti storico-ambientali per tutto il medioevo» :
G. Otranto, La montagna cit., p. 90-91; Id., Genesi cit., p. 53. Cfr. anche M. Sensi,
I grandi santuari micaelici d’Occidente, in M. Bussagli e M. D’Onofrio, a cura di,
Le ali di Dio cit., p. 126-133, spec. p. 131-132; Id., Alle radici della committenza cit.,
p. 219-230.

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196 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

cangeli in monte Gargano, ita stillari aquam, et iugiter effondi criptam,


et potere basilicam, atque ibidem divina crebro fieri prodigia 62.
Talvolta il processo di imitazione si trasforma in ostile rivalità,
come nel caso del vescovo della diocesi salernitana intenzionato a
valorizzare il culto micaelico all’interno del santuario di Olevano sul
Tusciano per contrapporlo a quello del Gargano in modo da deviare
verso Salerno il flusso dei pellegrini diretti in Puglia 63. In alcuni casi
la grotta viene addirittura creata artificialmente nell’intenzione di
stabilire un «transfert di sacralità» con il santuario del monte Gar-
gano 64. È ciò che accade all’oratorio fatto costruire a Roma da papa
Bonifacio V (619-625) sulla sommità della mole adriana non ancora
divenuta Castel Sant’Angelo :
Sed non multo post, Romae, venerabilis etiam Bonifacius pontifex
ecclesiam, Sancti Michaelis nomine constructam dedicavit, in summi-
tate Circi, criptatim miro opere altissime porrectam. Unde et isdem lo-
cus in summitate sui continens ecclesiam, inter nubes situs vocatur 65.
Con il termine criptatim non c’è dubbio che si è voluto alludere
all’emulazione della grotta garganica 66. Un esempio analogo si rica-
va dalla Revelatio ecclesiae sancti Michaelis archangeli in Monte Tum-
ba (IX secolo), a proposito del celebre santuario francese di Mont-
Saint-Michel 67. Stando a quanto riportato dalla fonte, agli inizi del-
l’VIII secolo il vescovo Oberto fece costruire sul promontorio della
Normandia una cripta in monte Gargano volens exaequare formam 68.
Del resto è attestato che lo stesso vescovo riportò dal Gargano un
frammento della roccia della grotta, segno che il calcare del santua-
rio pugliese aveva assunto il valore di sacra reliquia 69.

62
Chronicon Casinense, in MGH, Scriptores rerum Langobardicarum et Itali-
carum, 3, 1839, p. 222-230 (p. 229). Cfr. G. Otranto, Il santuario tra Oriente e Oc-
cidente, in C. Carletti, G. Otranto, Il santuario cit., p. 3-76 (p. 61); Sensi, I grandi
santuari cit., p. 131.
63
G. Sangermano, Poteri vescovili cit., p. 105.
64
M. Sensi, Alle radici della committenza cit., p. 219-230.
65
Martyrologium Adonis, III Kl. Oct., a cura di J. Dubois, G. Renaud, Parigi,
1984, p. 332-336 (p. 336); G. Otranto, La montagna cit., p. 101; M. Sensi, Santuari
micaelici e primordi del francescanesimo, in Collectanea Franciscana, 72, 2002,
p. 5-104 (p. 16-17).
66
G. Otranto, La montagna cit., p. 85-124 (p. 101).
67
Revelatio ecclesiae Sancti Michaelis, in P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez, a
cura di, Culte et pèlerinage cit., p. 10-15; P. Bouet, La Revelatio et les origines du
culte à saint Michel sur le Mont Tombe, ivi, p. 65-90.
68
Revelatio ecclesiae cit., p. 14; G. Otranto, Genesi cit., p. 55; M. Trotta,
A. Renzulli, La grotta garganica : rapporti con Mont-Saint-Michel e interventi lon-
gobardi, in P. Bouet G. Otranto, A. Vauchez, Culte et pèlerinage cit., p. 426-448.
69
M. Rouche, Le combat des saints anges et des démons : la victoire de Saint
Michel, in Santi e demoni nell’alto medioevo occidentale, 2 voll., Spoleto, 1989
(Sett.CISAM, XXXVI), II, p. 533-571 (p. 546); I. Aulisa, Pellegrini al Monte Garga-

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FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 197

L’arcangelo e l’eremita
Non di rado in un santuario rupestre il culto micaelico convive
con la devozione nei confronti di un eremita 70. Quest’ultimo di solito
subentra in un secondo momento, quando già da tempo la cavità
rocciosa è intitolata all’arcangelo, e tuttavia non entra in conflitto
con la creatura celeste anzi la invoca a protezione dalle insidie del
demonio. L’aura sacrale che avvolge una grotta dedicata all’arcange-
lo è di per sé diversa da quella che caratterizza una cavità rocciosa
frequentata da un monaco dedito alla vita solitaria. Nelle grotte mi-
caeliche la santità del luogo è imperniata sulla forza ctonia del-
l’arcangelo guardiano del monte. Animato dallo spirito divino, san
Michele ha la facoltà di scatenare tempeste manifestandosi nei tem-
porali, nel soffio del vento, nello sgorgare di una sorgente d’acqua 71.
All’interno dell’eremo, invece, la dimensione del sacro è raggiunta
tramite la penitenza e la pratica della solitudine di un essere umano
che lo abita a causa della sua inospitalità, pur riconoscendo il più
delle volte l’amenità del luogo 72. Il caso di san Nilo di Rossano dimo-
stra la possibilità di convivenza dei due aspetti del sacro all’interno
stessa grotta. Stando al racconto del bios l’anacoreta si rifugia in
una cavità rocciosa presso un piccolo santuario di San Michele di-
ventando «un angelo corporale» 73.
Nel raggio territoriale della nostra indagine casi simili non man-
cano, come ad esempio il santuario di San Michele sul monte Mona-
co di Gioia 74. All’interno della cappella costruita e decorata sul finire
dell’XI secolo o agli inizi del successivo in un recesso dell’antro, il
piccolo personaggio dipinto ai piedi dell’immagine della Vergine in
trono, con aureola e scapolare, fa pensare, più che al committente, a

no. Le testimonianze letterarie, in M. Bussagli e M. D’Onofrio, a cura di, Le ali di


Dio cit., p. 42-49, spec. p. 44; di recente anche G. Peers, Subtle Bodies cit., p. 170-
171. Interessante è il caso della circolazione dei frammenti di roccia della Terra
Santa, come la «polvere di pietra calcarea ritenuta galattifera dalla grotta ‘del lat-
te’ presso la basilica della Natività a Betlemme» : F. Cardini, Jerusalem traslata
cit., p. 289; e i frammenti nel reliquiario palestinese del Sancta Sanctorum : su-
pra, p. 14.
70
M. Sensi, I Grandi santuari cit., p. 132-133.
71
Sull’associazione vento-arcangelo Michele, cfr. : Bussagli M., Dal vento
all’angelo, in M. Bussagli, M. D’Onofrio, a cura di, Le ali di Dio cit., p. 33-35.
72
I santuari eremitici alimentano la loro fama grazie alle virtù umane del
santo al quale il luogo è intitolato, «véritables forces émanées de ses reliques ou de
sa personne, qui produisent les miracles», mentre quelli micaelici dalle virtù divi-
ne che sono «immanentes au monde», M. Rouche, Le combat cit., p. 533.
73
J.-M. Martin, L’érémitisme grec cit., p. 180. La grotta di san Nilo venne
identificata da Orazio Campagna con una cavità rocciosa nei pressi dell’abitato
lucano di Grisolia : O. Campagna, La grotta di S. Michele alla Serra di Grisolia, in
Bollettino della badia greca di Grottaferrata, XL, 1986, p. 57-65.
74
Supra, p. 164-167.

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198 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

un santo benedettino, forse lo stesso Benedetto (tav. 81 d). La sua ef-


figie, insieme all’esistenza di una serie di ambienti ricavati al livello
inferiore della grotta, portano a credere che all’epoca dell’intervento
pittorico il santuario fosse abitato da uno o più monaci rivolti alla
vita ascetica. Il fatto che il luogo fosse da tempo dedicato all’arcan-
gelo Michele non sembra aver ostacolato l’insediamento di un ceno-
bio, anzi, appare evidente che da parte dei monaci la coabitazione
sia stata intenzionale.
Un altro caso esplicativo dell’intimo legame che può instaurarsi
tra un monaco e l’arcangelo all’interno di un paesaggio rupestre è
evocato da Gregorio Magno nei suoi Dialoghi. A conclusione del rac-
conto di esempi di vita ascetica nella valle Suppentonia, Gregorio
racconta che una notte, dalla rupe più alta, laddove oggi troviamo
una cappella medievale dedicata a san Michele 75, una voce annunziò
al venerando monaco Anastasio che di lì a poco sarebbe passato a
miglior vita 76. Poco dopo, la medesima voce chiamò pure i suoi otto
confratelli, pronunciando i loro nomi. Qualche giorno più tardi Ana-
stasio morì e così uno dopo l’altro, nell’ordine in cui erano stati chia-
mati dall’alto della falesia, salirono al cielo anche gli altri membri
del cenobio.
L’episodio trova posto nel ciclo di pitture eseguite, agli inizi
del XII secolo, all’interno del transetto della basilica romanica di
Sant’Anastasio che si erge nel fondovalle a breve distanza 77 : accanto
a un grazioso individuo che suona le campane a lutto, incorniciati
dal profilo arcuato di un antro naturale, giacciono i monaci della
piccola comunità mentre, poco più in là, una figura alata benedicen-
te, che incarna la voce divina del racconto gregoriano, sembra poter-
si identificare con san Michele nelle vesti dell’angelo psicopompo.

San Michele e la schiera angelica


L’ubiquità di san Michele, la sua presenza aleggiante in ogni re-
condito anfratto roccioso, si riflette nel rivelarsi spesso come creatu-
ra indistinta che può confondersi con una moltitudine di presenze
angeliche, anziché apparire nelle sue specifiche sembianze. Nei pan-
nelli bronzei della porta bizantina del santuario garganico, all’esal-
tazione dell’arcistratega celeste concorrono le immagini di altri
esponenti delle schiere alate, come il suo parigrado Gabriele e molti
indistinti «angeli del Signore» 78. Nella Chronica monasterii sancti

75
L. Miglio, Castel Sant’Elia cit., p. 15. Sulla valle Suppentonia : supra,
p. 190-192.
76
Gregorio Magno, Dialogi cit., II, p. 70, 72.
77
E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 167-178, fig. 148.
78
G. Bertelli, La porta di bronzo, in L’Angelo, la montagna, il pellegrino. Mon-

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 199

Michaelis Clusini, fonte dell’XI secolo, è ricordata la battaglia che


l’arcangelo compie cum suis angelis contro il dragone dell’Apocalisse
di Giovanni (12, 7) 79. Nella coeva leggenda dell’Apparitio Sancti Mi-
chaelis in monte Tancia, la grotta viene sì dedicata all’arcangelo Mi-
chele, ma per il possesso dell’antro si scatena la lotta inter angelos et
bestiam 80. Anche nel caso dell’ipogeo di Arpino, le ripetute immagini
di angeli, arcangeli e serafini dipinte sulle pareti rocciose fanno pen-
sare al culto collettivo delle potenze angeliche, probabilmente in
connessione con una fonte d’acqua, più che alla devozione nei con-
fronti del solo Michele, titolare del sacro luogo 81.

Un’immagine assente
Immanente alle componenti naturali che costituiscono il pae-
saggio rupestre, l’arcangelo non ha un ruolo di primo piano fra le
pitture che si trovano all’interno dei santuari micaelici. Accade per-
fino che san Michele sia del tutto assente dai temi iconografici pre-
scelti e ciò non può essere attribuito soltanto all’eventuale scompar-
sa di una parte dell’originaria superficie pittorica a causa del tra-
scorrere dei secoli e delle devastazioni 82.
Nel santuario del monte Tancia (tav. 59 c), uno fra i più frequen-
tati dai pellegrini devoti a san Michele, la decorazione si concentra
esclusivamente su un altare-ciborio addossato alla parete, che segue
un repertorio figurativo di antica tradizione e trascura completa-
mente la rappresentazione dell’arcangelo. Che sia quest’ultimo il ti-
tolare della grotta, fin dall’origine, è però fuori dubbio, dal momento

te Sant’Angelo e il santuario di San Michele del Gargano, Monte Sant’Angelo, 25 set-


tembre-5 novembre; Roma, 16 novembre-15 dicembre, 1999, catalogo della mostra,
Foggia-Roma, 1999, p. 70-74 e tavv. fuori testo.
79
Chronica monasterii sancti Michaelis Clusini, in P. Bouet, G. Otranto,
A. Vauchez, a cura di, Culte et pèlerinage cit., p. 26-41, spec. p. 27; I. Aulisa, La
Chronica, cit., p. 37. Sulla lotta fra le creature angeliche e quelle demoniache al-
l’interno delle grotte : C. D. Fonseca, La vita in grotta cit., p. 36-39.
80
Apparitio Sancti Michaelis in monte Tancia, in : A. Poncelet, S. Michele cit.,
p. 545-547 (p. 546). Per una nuova lettura della fonte e un’ipotesi di datazione
all’XI secolo : I. Aulisa, Le fonti cit., p. 328-331. Vedi anche supra, p. 23-24.
81
Supra, p. 131-135.
82
Recentemente Cosimo Damiano Fonseca ha preso in esame la pittura su
roccia dell’Italia meridionale «per verificare fino a che punto nelle grotte di mag-
giore dignità architettonica e pittorica – le chiese rupestri appunto – Angeli e De-
moni entrino a pieno titolo nei corredi iconografici, tenuto conto dell’incompara-
bile valore pedagogico e didattico che essi assumono nei confronti dei fedeli»
(C. D. Fonseca, La vita in grotta cit., p. 37), e tuttavia, a nostro avviso, dalla rasse-
gna delle testimonianze pittoriche raccolte dallo studioso non si evince che negli
spazi rupestri l’iconografia micaelica, e più in generale le figure angeliche, trovi-
no un terreno fertile : i pannelli votivi con le immagini dei santi, di Cristo e della
Vergine riscuotono un successo pari se non superiore.

.
200 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

che il Chronicon farfense, in una donazione dell’anno 774, menziona


una grotta Sancti Angeli in un gualdum qui cognominatur Tancia 83.
Similmente, nella grotta del monte Monaco di Gioia, s’è conservato
nella sua integrità il programma pittorico originario che ha escluso
dal folto numero di soggetti l’immagine di Michele 84. Anche nel caso
della chiesa rupestre di Sant’Angelo in Asprano la figura dell’arcan-
gelo è del tutto assente : lo strato di XII secolo si limita alla decora-
zione dell’abside dove è rappresentata un’Ascensione secondo un
modello assai diffuso fra Lazio e Campania (tav. 68 a) 85 ; non solo,
abbiamo ragione di credere che pure la pittura dello strato inferiore,
verosimilmente di X secolo, escludesse l’immagine dell’arcangelo,
visto che in corrispondenza del personaggio centrale si scorge un
piede con sandalo che fa pensare all’originaria presenza di una raffi-
gurazione di Cristo, non certo al san Michele, nelle versioni monu-
mentali tradizionalmente rappresentato con le vesti imperiali che
impongono i calzari 86.
Il fatto che le pitture all’interno di un santuario rupestre intito-
lato a san Michele possano escludere l’immagine dell’arcangelo tro-
va una spiegazione nella sfera cultuale. Quest’ultima, come abbiamo
visto, trae nutrimento dalle componenti naturali del luogo che con-
corrono a rivestire la cavità rocciosa di un’aura di sacralità, tanto
che gli elementi aggiunti dalla mano dell’uomo, al confronto, hanno
scarso valore. Nell’Apparitio garganica, come pure nella Revelatio in
monte Tumba, che della leggenda del santuario pugliese riprende
numerosi riferimenti testuali 87, è spiegato come la chiesa non si di-
stingua per il rifulgere dei metalli, ma per il privilegio dei miracoli 88.
È altresì ricordato che l’arcangelo costruì il santuario del Gargano
propria manu 89, secondo un concetto che affonda le radici nella spi-
ritualità bizantina, come ci ricorda la chiesa cipriota della Panaghia
Angheloktistos, appunto «fondata dagli angeli» 90. A san Michele,

83
Gregorio di Catino, Chronicon farfense cit., p. 158.
84
Supra, p. 164-167.
85
Supra, p. 135-139. Per la scelta dell’Ascensione come tema absidale : infra,
p. 226.
86
Supra, p. 137-138.
87
I. Aulisa, La Chronica cit., p. 32.
88
«Quae non metallorum fulgore, sed privilegio commendata signorum, vili
facta scemate sed celesti predita virtute [...]», Apparitio sancti Michaelis in monte
Gargano cit., p. 1. «[...] non tam metallorum fulgore et humano opificio rutila seu
polita quam crebra signorum experienti evidentia cospicua», Chronica monasterii
sancti Michaelis Clusini cit., p. 28. Cfr. I. Aulisa, La Chronica cit., p. 41.
89
Apparitio sancti Michaelis in monte Gargano cit., p. 1.
90
S. Ćurčić, Byzantine Architecture on Cyprus : an Introduction to the
Problem of the Genesis of a Regional Style, in N. Patterson Ševčenko, Ch. Moss, a
cura di, Medieval Cyprus. Studies in Art, Architecture, and History in Memory of
Doula Mouriki, Princeton (NJ), 1999, p. 71-80 (p. 75).

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 201

d’altronde, non si deve soltanto la fondazione del santuario gargani-


co ma anche la successiva consacrazione 91. Lo stesso pensiero è riba-
dito nella Cronica monasterii Clusini dove non si tralascia di precisa-
re che l’altare all’interno della chiesa, scavato nella roccia stessa del
monte dall’eremita Giovanni secondo le indicazioni fornitegli
dall’arcangelo 92, è da considerarsi senza dubbio opera prodotta ma-
nibus angelicis 93. A purificarlo con olii e balsamo per poi consacrar-
lo, prima che il vescovo celebri la messa, sono sempre le creature an-
geliche presenti all’officio della divina liturgia 94, come è dato vedere
nell’iconografia della Comunione degli apostoli a partire dall’XI se-
colo 95 e secondo quanto riferito in un passo di Isaia (6, 1-3) 96. All’o-
pera forgiata dalla mano dell’uomo, insomma, è preferito lo splen-
dore di quella divina, e la presenza dell’arcangelo, insita in ogni ele-
mento della natura, non necessita di essere rappresentata in pittura.

Iconografia micaelica
Ciò non vuol dire, ovviamente, che l’iconografia dell’arcangelo
non abbia incontrato una sua ampia diffusione, com’è noto, nell’am-
bito della produzione artistica medievale, a prescindere dall’habitat
rupestre. La raffigurazione dell’arcangelo si ramifica precocemente
in tre tipologie : la versione più comune, che attraversa immutata
l’intero arco del Medioevo, è quella che lo vede vestito degli abiti di
corte, con loros gemmato, labaro e globo, nella foggia che corrispon-
de alla veste dell’imperatore di Bisanzio, come appare nelle grotte di
Calvi o nell’insediamento di Fasani (tav. 73 c) 97. Attestata soprattut-
to in epoca longobarda, ma assente nei casi pittorici esaminati, ri-
sulta pure la versione del santo guerriero, rappresentato nell’atto di
trafiggere con la lancia il drago simbolo della potenza demoniaca 98.

91
«[...] Michael [...] per visione apparens : Non est vobis, inquit, opus hanc
quam ego edificavi dedicare basylicam. Ipse enim qui condidi etiam dedicavi»,
Apparitio sancti Michaelis in monte Gargano cit., p. 3.
92
«Altare quoque de eadem rupe nativa in honore angelorum principis Michae-
lis miro opere, sed humanae artis industria non satis polito incidit», Chronica mo-
nasterii sancti Michaelis Clusini cit., 9, p. 30.
93
Ibid., 11, p. 31.
94
Ibid., 11, p. 31; I. Aulisa, La Chronica cit., p. 37, 48-53.
95
Ch. Walter, Art and Ritual cit., p. 215, 232; S. Piazza, Une communion cit.,
p. 141-146.
96
I. Aulisa, La Chronica, cit., p. 37.
97
C. Jolivet Lévy, Culte et iconographie de l’archange Michel dans l’Orient by-
zantin : le témoignage de quelques monuments de Cappadoce, in Les Cahiers de
Saint Michel de Cuxa, 28, 1997, p. 187-198; Eadem, Note sur la représentation des
archanges en costume impérial dans l’iconographie byzantine, in Cahiers Archéo-
logiques, 46, 1998, p. 121-128.
98
Il san Michele guerriero è rappresentato su due lastre di VIII-IX secolo del
santuario del Monte Sant’Angelo sul Gargano : M. (Mario) Rotili, Corpus cit.,

.
202 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Di antica tradizione e lunga durata è, infine, l’immagine dell’arcan-


gelo psicopompo che pesa le opere buone e malvagie dei defunti nel
ruolo di arbitro del destino umano 99. La si incontra nel casertano, a
Rongolise e nella Grotta dei Santi a Calvi, oltre che nel Lazio meri-
dionale, all’interno della grotta di Ninfa (tav. 78 a)100.
Esiste poi un vero e proprio ciclo agiografico micaelico estrapo-
lato dall’Apparitio garganica. Se si eccettua il perduto brano con la
figura di un toro che si conservava all’interno del santuario del mon-
te Sant’Angelo, assegnabile a un’epoca piuttosto alta, fra il IX e il X
secolo, in passato riferito con certezza alla leggenda del Gargano101,
le versioni pittoriche medievali di questo tema iconografico sono as-
sai rare, tant’è che la presenza di tre testimonianze all’interno del
territorio della Tuscia, due delle quali in contesti rupestri, non può
che destare vivo interesse102. Casi altolaziali stanno ad indicare l’im-
portanza del santuario del Gargano in un’area geografica assai di-
stante ma al tempo stesso indissolubilmente legata al luogo di culto
pugliese grazie alla via Francigena percorsa da un flusso incessante
di pellegrini provenienti da diverse parti d’Europa103.
Nel santuario di San Vivenzio a Norchia, entro il primo quarto
del XII secolo, vengono eseguiti tre riquadri corrispondenti alla suc-
cessione delle apparizioni dell’arcangelo sulla montagna, in sogno al

p. 101-103 (schede nn. 103-104). Sull’alterna fortuna dell’immagine micaelica, con


gli abiti di corte e nella foggia di soldato, in epoca altomedievale, cfr. A. Petrucci,
Origine e diffusione cit., p. 345-352.
99
Sull’iconografia della Psicostasia è ancora utile il contributo di M. P. Per-
ry, On the Psychostasis cit., 1912, p. 94-105,1913, p. 208-219.
100
Supra, p. 141, 147, 163.
101
I resti della decorazione pittorica con tracce di un toro e un angelo, prove-
nienti dalla cripta B del santuario garganico, sono documentati da un’unica vec-
chia fotografia in bianco e nero : P. Belli D’Elia, Il Toro cit., p. 577-578. L’attribu-
zione del brano all’episodio della leggenda del Gargano è stata considerata niente
affatto sicura (Ibid., p. 578); Eadem, L’iconographie de saint Michel au Mont Gar-
gan, in P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez, Culte et pèlerinage cit., p. 523-530, spec.
p. 526-527. Sul frammento di pittura, di recente anche S. Bettocchi e I. Aulisia, Il
Santuario fra IX e XI secolo. Restauri e affreschi, in L’Angelo, la montagna, il pelle-
grino. Monte Sant’Angelo e il santuario di San Michele del Gargano (Monte San-
t’Angelo, 25 settembre-5 novembre; Roma 16 novembre-15 dicembre, 1999), catalo-
go della mostra, Foggia-Roma, 1999, p. 50-51.
102
Alle due versioni del santuario di San Vivenzio e di Santa Maria del Parto
si deve aggiungere un affresco trecentesco attestato in una chiesa di Viterbo e og-
gi perduto : F. Gandolfo, Alla ricerca cit., p. 54-55 e bibliografia in nota. Per vari
esempi in tutta Europa, su antependi, affreschi e tavole dipinte, per lo più del
’400, cfr. P. Belli D’Elia, Il Toro cit., p. 580-602. Va segnalato, inoltre, dato che
rientra fra i casi monumentali più antichi, l’esempio romanico della chiesa di
San Michele di Barluenga : W. W. Cook Spencer, J. Gudiol Ricart, Pintura e ima-
ginería románicas, in Ars Hispaniae, t. VI, 1950, p. 117, fig. 86.
103
Cfr. G. Otranto, Riflessi del culto cit., p. 33-35; S. Gatta, Gargano, Galga-
no, Galvano ed altri, Roma, 1997 (Storie di una città. Sutri, 6).

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 203

vescovo di Siponto e nella grotta del Gargano al momento della con-


sacrazione dell’altare (tav. 55 c)104. Il ciclo di Norchia, scoperto for-
tuitamente poco più di un decennio fa, rappresenta una delle versio-
ni più antiche di questo tema iconografico giunte fino a noi. A pochi
chilometri di distanza, all’inizio del XIV secolo la chiesa rupestre su-
trina di Santa Maria del Parto ospiterà lo stesso racconto, sulla pare-
te d’ingresso, stipato però in un unico riquadro.

3–I LOCA SANCTA NELLE CATACOMBE

Il cimitero di Ponziano

Nella Notitia ecclesiarum urbis Romae, guida ai loca sancta delle


catacombe del suburbio romano composta da un anonimo del VII
secolo, quando si passa a descrivere il cimitero di Ponziano, presso
la via Portuense, viene annotato che omnis illa spelunca inpleta est
ossibus martyrum105. Per il visitatore dell’epoca, quindi, il complesso
ipogeo, scavato a più piani nel terreno argilloso della collina di Mon-
teverde, altro non è che una spelunca, una grotta che si insinua nelle
profondità del terreno. Del resto, la funzione cimiteriale del com-
plesso di Ponziano, come per quasi tutte le catacombe del suburbio
romano, si era già esaurita almeno da un secolo. Le cause del-
l’irreversibile abbandono dei cimiteri ipogei, fra V e VI secolo, sono
state individuate nelle violente incursioni dei goti, nei cedimenti
strutturali delle gallerie scavate nel tufo spesso troppo friabile, nella
traslazione intra muros delle spoglie dei martiri ivi sepolti106.
La persistenza della fortuna del cimitero di Ponziano in età alto-
medievale risiede nella presenza in questo luogo dei sepolcri di nu-
merosi martiri, alcuni dei quali, come Abdon, Sennen, Pollion, Pu-
menio, vengono ritratti, più o meno al tempo della Notitia ecclesia-
rum, su pannelli votivi all’interno di una delle gallerie sotterranee
(tav. 26 a)107. Quest’ultime erano state in parte sbarrate con cortine

104
Supra, p. 59-60.
105
Notitia ecclesiarum urbis Romae, in R. Valentini e G. Zucchetti, a cura di,
Codice Topografico della Città di Roma, 4 voll., Roma, 1940-1953, II, p. 67-99
(p. 92). Nella Notitia il termine spelunca è riportato nove volte (Ibid., p. 75-78, 82-
83, 85, 90, 92), mentre in tre casi viene impiegato il sinonimo antrum (Ibid.,
p. 83, 88, 93). Cfr. G. B. De Rossi, La Roma sotterranea cit., I, p. 148.
106
Sull’abbandono della funzione cimiteriale delle catacombe del suburbio
romano, fra V e VI secolo : J. Osborne The Roman Catacombs cit., 279-284; Ph.
Pergola, Le catacombe cit., p. 103-105; V. Fiocchi Nicolai, Origine e sviluppo delle
catacombe romane cit., in V. Fiocchi Nicolai, F. Bisconti, D. Mazzoleni, a cura di,
Le catacombe cristiane di Roma. Origini, sviluppo, apparati decorativi, documenta-
zione epigrafica, Ratisbona, 1998, p. 59-69.
107
Supra, p. 103-105.

.
204 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

murarie al fine di creare un percorso obbligato che i fedeli dovevano


seguire per non smarrire la strada all’interno del labirinto ipogeo108.
Ai pellegrini dell’altomedioevo, insomma, i loca sancta in corri-
pondenza dei cimiteri sotterranei del suburbio romano dovevano
apparire assai simili a un qualsiasi santuario rupestre e quindi non
ci sorprende riscontrare che molti secoli dopo, Francesco Petrarca,
tracciando l’itinerario di una visita nell’urbe per l’anno giubilare
1350, nella lettera ad un amico, segnali il cimitero ipogeo di Callisto
presso le catacombe di san Sebastiano come Calixti specus109.
Visto che nella Notitia ecclesiarum il termine spelunca viene im-
piegato per molte altre catacombe del suburbio romano110, c’è da do-
mandarsi se in epoca medievale l’aspetto «rupestre» possa aver con-
tribuito ad accrescere la sacralità dei sepolcri sotterranei. Il loro ap-
parire come antri naturali, infatti, li avvicinava ai loca sancta della
Palestina, come la grotta della Natività, del Getsèmani, del Golgotha
e dell’Ascensione, luoghi ove erano proprio le cavità o le asperità
della roccia naturale a conservare la memoria tangibile dei sacri
eventi111.

Albano, Bolsena e Prata

Tornando al versante latino, la nostra indagine su scala regiona-


le ci ha permesso di rilevare come il fenomeno dei santuari origina-
tisi all’interno dei complessi catacombali abbia interessato altre aree
oltre l’anello suburbano della città di Roma. Nella cosiddetta «cripta
venerata» delle catacombe di Senatore ad Albano, che la tradizione
identifica con il luogo ove furono deposte le spoglie del santo eponi-
mo, una serie di interventi pittorici databili fra VII e XIII secolo atte-
sta la trasformazione dell’ambiente in santuario martiriale durante
il Medioevo (tavv. 21, 61 a)112. Analogamente, a Bolsena, le pitture

108
Sugli itinera sotterranei delle catacombe romane : V. Fiocchi Nicolai, Iti-
nera ad sanctos cit., p. 769-775.
109
M. Ghilardi, Le catacombe di Roma dal medioevo alla Roma sotterranea di
Antonio Bosio, in Studi Romani, 49, 2001, p. 27-56 (p. 28, n. 6).
110
Supra, nota 105.
111
Nel VI secolo i santuari martiriali di Roma raggiungono per importanza i
loca sancta della Palestina : J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 284. Sui
santuari cristiani della Palestina e l’importanza della roccia sulla quale furono
edificati, cfr. supra, p. 15-17. Sull’attenzione che ebbero i costruttori del santuario
costantiniano dell’Ascensione nel «respecter les irrégularités naturelles de la grotte
tout en l’ornant avec élégance», cfr. P. Maraval, Lieux saints cit., p. 195 e bibl. in
nota. Sull’emulazione in Occidente dei santuari della Palestina nei primi secoli
dell’alto Medioevo : F. Cardini, Jerusalem traslata cit., p. 281-296.
112
Supra, p. 86-90.

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 205

rinvenute di recente nell’ambiente antistante le catacombe di santa


Cristina, riferibili agli ultimi decenni dell’XI secolo, costituiscono la
prova della devozione mai sopita nei confronti della martire cristia-
na, ivi sepolta, si pensa, nel IV secolo (tavv. 2, 54 a). In età medieva-
le, infatti, il santuario altolaziale era divenuto una tappa fondamen-
tale dell’itinerario della via Francigena percorso dai pellegrini diretti
a Roma dal nord Europa113. Nel XVI secolo Alessandro Donzellini
fornisce una descrizione delle catacombe e del sepolcro di Cristina
al suo interno con ripetuti accenni alla natura rupestre degli am-
bienti :

[...] in speluncam protenditur, circumque varis prae cingitur cuni-


culis, ubi adhuc mirae magnitudinis cernuntur ossa mortuorum, situm
est in cavo Montis Tufacei [...]114.

Anche il caso della basilica dell’Annunziata di Prata desta inte-


resse a questo riguardo. La piccola abside scavata nel tufo, inglobata
dalla muratura del triphorion presbiteriale in età longobarda, rap-
presenta, assai verosimilmente, ciò che rimane di una basilichetta
scavata all’interno di un grande cimitero ipogeo d’epoca paleocri-
stiana115. Lo si desume, oltre che dalle evidenze archeologiche, dall’a-
nalisi del palinsesto di intonaci dipinti che la piccola superficie con-
cava tutt’ora conserva (tav. 83 a).
Il primo strato, emergente soltanto in corrispondenza della zona
inferiore, presenta figurazioni di animali fantastici che rimandano
al repertorio iconografico e formale appartenente al tardo-antico. Il
secondo, di VI-VII secolo, lascia scorgere la sagoma di un trono ubi-
cato nella zona centrale riferibile, verosimilmente, all’immagine del-
la Vergine. Del terzo strato, risalente all’VIII-IX secolo, resta parte di
un personaggio laterale, una santa martire che affiancava il soggetto
centrale, ancora una volta, presumiamo, identificabile con la Theo-
tokos. Il quarto, infine, frutto di una decorazione pittorica databile
sullo scorcio del XII secolo conservatasi quasi nella sua interezza,
raffigura la Vergine con le braccia sollevate affiancata da due sante
anch’esse ritratte nel gesto dell’orante. Il mantenimento dell’abside
primitiva all’interno del complesso basilicale medievale si deve pro-
babilmente alla volontà di conservare un’unità spaziale che era stata
il fulcro cultuale del nucleo cimiteriale originario.

113
S. Piazza, Peintures rupestres cit.
114
A. Donzellini, Ad Historiam Institutionis festi Corporis Christi Appendix, in
Id., Historia et origine della solennità et festa del Corpus Domini, Roma, 1585,
p. 69.
115
Supra, 177-180.

.
206 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

La dimensione rupestre e l’universo ipogeo


Se prendiamo in considerazione le catacombe cristiane in rap-
porto al loro uso primitivo, esse risultano senza dubbio appartenere
a una tipologia di insediamento con caratteri suoi propri. La funzio-
ne funeraria, la caratteristica articolazione e distribuzione degli spa-
zi, l’originalità del linguaggio figurativo elaborato nei programmi
pittorici, sono tutti elementi che contribuiscono a conferire all’uni-
verso catacombale uno statuto di autonomia. Se però volgiamo lo
sguardo a quel numero ristretto ma significativo di complessi cimi-
teriali che in età medievale risulta ancora aperto al pubblico dei fe-
deli, come attestano le pitture di quest’epoca in essi conservate, ci
rendiamo conto di come le analogie con i contemporanei luoghi di
culto in grotta vadano al di là della suggestione di un viaggiatore del
VII secolo.
Eppure, fino ad oggi, la storiografia relativa alle catacombe cri-
stiane non sembra aver colto punti di contatto fra i cimiteri ipogei e
i luoghi di culto rupestri, sebbene siano riconducibili entrambi al fe-
nomeno dello sfruttamento della roccia naturale per uso religioso116.
Il discrimine tra le due forme d’insediamento consisterebbe, essen-
zialmente, nel fatto che le catacombe si sviluppano nel sotterraneo,
mentre gli ambienti rupestri all’interno di rilievi rocciosi. Nel caso
delle catacombe di San Valentino sulla Flaminia, tuttavia, per citare
un esempio fra quelli presi in esame, le gallerie sono scavate a più
piani nel banco tufaceo della collina e quindi la distinzione diviene
assai labile117.
Alle similitudini riguardanti il contesto geomorfologico si som-
mano, inoltre, specifiche assonanze di altro genere. Per quanto ri-
guarda la distribuzione dei due fenomeni insediativi sul territorio,
incide ovviamente il fattore comune del condizionamento ambienta-
le. Come abbiamo visto per gli insediamenti rupestri, anche le cata-
combe insistono su quelle aree geografiche nelle quali è possibile
l’escavazione118. La loro diffusione è piuttosto limitata : all’anello del
suburbio romano, vanno aggiunti i cimiteri ipogei che s’incontrano
sporadicamente nel Lazio e in alcune zone della Campania119. Al di
fuori dell’area oggetto della nostra ricerca, catacombe di rilevante

V. Pace, La pittura rupestre cit., p. 404.


116

Supra, p. 114-119.
117

118
A tale proposito si rivela ancora utile lo studio di G. De Angelis D’Ossat,
La geologia delle catacombe romane, Città del Vaticano, 1938.
119
Per uno sguardo d’insieme sulle catacombe romane : Fiocchi Nicolai, Ori-
gine e sviluppo cit., p. 9-69. Sul fenomeno nel Lazio : V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri
paleocristiani cit.; e in Campania : U. Fasola, Le catacombe cit.

.
FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTURA RUPESTRE 207

estensione si trovano in Sicilia, a Malta e in altre zone circoscritte


del Mediterraneo120.

Elementi di identità
Altri aspetti che accomunano i santuari rupestri a quelli ricavati
in contesti catacombali in epoca medievale sono individuabili nel-
l’ambito stesso della produzione pittorica121. Oltre alle similitudini
riguardanti la tecnica d’esecuzione dei dipinti, che il più delle volte
viene a coincidere, dal momento che il supporto parietale è costitui-
to in entrambi i casi dalla roccia naturale, non va tralasciato il carat-
tere iconico dei soggetti raffigurati : pannelli isolati con santi in po-
sa frontale, correlati da iscrizioni votive costituiscono la norma in
ambedue i casi.
Un altro fattore che riduce la distanza fra i due fenomeni va ri-
cercato nella sfera cultuale. Nel caso del cimitero di Ponziano, come
abbiamo visto la presenza delle tombe dei martiri si è rivelata un
elemento destinato a contrastare il generale e inesorabile processo
di abbandono122. L’adibizione dell’ambiente sepolcrale ad oratorio o
piccola cappella ipogea, con la sua conseguente trasformazione in
luogo di culto e meta di pellegrinaggio, avvicina infatti questi am-
bienti alla tipologia degli spazi rupestri intitolati all’arcangelo Mi-
chele o a un santo eremita123. Anche nei santuari micaelici e negli
eremi, del resto, può accadere che le spoglie dei santi custoditi all’in-
terno della grotta possano diventare l’elemento trainante del culto
locale nonché uno strategico strumento di controllo sociale per le
autorità civili o religiose. Si pensi al principe Arechi II che nell’VIII

120
Un quadro generale sulla diffusione del fenomeno delle catacombe si rica-
va dalla recente analisi di V. Fiocchi Nicolai, E. Enß, H. von Hesberg, S. Ristow,
Katakombe (Hypogaeum), in Reallexikon für Antike und Christentum, XX, Stoc-
carda, 2004, p. 342-422. Per la Sicilia, un quadro d’insieme è offerto dallo studio
tuttora significativo di : J. Führer e V. Schultze, Die altchristlichen Grabstätten
Siziliens, Berlino, 1907.
121
Un utile contributo all’analisi della tecnica pittorica nelle catacombe del
suburbio romano, con una schedatura delle pitture stese direttamente sulla roc-
cia naturale, è fornita da C. Bordignon, Caratteri e dinamica della tecnica pittorica
nelle catacombe di Roma, Roma, 2000, part. p. 89-90, 337. Per quanto riguarda la
pittura medievale nelle catacombe romane, al primo contributo monografico di
Raffaella Farioli (R. Farioli, Pittura cit.) hanno fatto seguito i fondamentali saggi
di John Osborne : J. Osborne, Early medieval wall-painting in the roman cata-
combs : patronage and function, in RACAR, 12, 2, 1985, p. 197-200, e soprattutto :
Id., The Roman Catacombs cit., p. 298-328.
122
Ibid., p. 279-286; V. Fiocchi Nicolai, Origine e sviluppo cit., p. 59.
123
Per un confronto tra il pellegrinaggio rivolto ai santuari relativi ai martiri,
agli eremiti e a san Michele arcangelo, cfr. M. Simon, Les pèlerinages dans l’anti-
quité chrétienne, in Les pèlerinages de l’antiquité biblique et classique à l’occident
médiéval, Parigi, 1973, p. 95-115.

.
208 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

secolo tentò di sottrarre all’eremo del monte Massico le reliquie del


beato Martino124, oppure all’abate Berardo e al vescovo Giovanni che
intorno al 1050, contendendosi il santuario di san Michele sul monte
Tancia, concentrarono sul piccolo altare addossato alla roccia e sul-
le reliquie in esso contenute il valore simbolico del dominio del luo-
go125.
Il trasferimento delle reliquie dalle catacombe alle basiliche in-
tra moenia tuttavia, non ha necessariamente determinato il comple-
to abbandono dei complessi cimiteriali126 : quando viene dipinto il
busto di Cristo sulla volta soprastante la rampa d’accesso al cimitero
di Ponziano, e cioè, verosimilmente, durante l’XI secolo, le reliquie
dei santi orientali erano state già da molto tempo trasferite nell’area
monumentale del sopraterra127. Un esempio analogo è quello del Cri-
sto e del sant’Urbano nella cripta di santa Cecilia all’interno delle ca-
tacombe di San Callisto (tav. 64 a)128. Anche in questo caso le pitture
sono databili all’XI secolo mentre la traslazione delle spoglie della
martire Cecilia dal piccolo ambiente ipogeo all’omonima basilica di
Trastevere è attestata nel primo quarto del IX secolo129.
Per assistere al definitivo esaurimento del processo di produzio-
ne pittorica all’interno delle catacombe, manifestatasi in casi spora-
dici ma assai significativi durante l’intero arco dell’età medievale, si
dovrà quindi attendere l’alba dell’età moderna.

124
Supra, p. 187.
125
Supra, p. 83.
126
J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 295-296.
127
Supra, p. 105.
128
Supra, p. 112.
129
J. Osborne, The Roman Catacombs cit., p. 310.

.
CAPITOLO IV

LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA


PRODUZIONE ARTISTICA CAMPANO-LAZIALE

1 – CRONOLOGIA E CONTESTI

L’arco cronologico entro il quale si collocano i contesti pittorici


del territorio preso in esame si estende dalla fine del VI secolo al pie-
no XIII. Relativamente all’età cristiana che precede il termine alto
non abbiamo rilevato testimonianze di pittura né in grotte naturali
né in ambienti rupestri artificiali, ad eccezione degli insediamenti
catacombali che, com’è noto, raggiungono il grado massimo di svi-
luppo e vitalità fra II e IV secolo d.C. A partire dal XIV secolo la pro-
duzione pittorica in contesti rocciosi diminuisce sensibilmente fin
quasi a scomparire. I rari casi tardi, comunque, si trovano il più del-
le volte all’interno di spazi già frequentati in epoche precedenti e
non introducono temi originali. Rappresentano, quindi, un segno di
continuità col passato più che di novità1.
Se consideriamo le pitture studiate nell’ordine della successione
cronologica, laddove è possibile, escludendo quelle nei cimiteri ipo-
gei che si giustificano per ragioni a se stanti, notiamo un progressi-
vo aumento di produzione man mano che ci avviciniamo ai secoli
centrali del Medioevo (fig. 15). Per certi versi il dato non ci sorpren-
de : è fin troppo ovvio che gli intonaci più antichi siano stati mag-
giormente soggetti a un processo di deterioramento. In ambienti
quasi sempre esposti agli agenti atmosferici, infatti, quest’ultimo
può arrivare a cancellare del tutto le tracce della materia pittorica.
Anche la sovrapposizione degli strati gioca un ruolo importante
fra le ragioni della scarsità delle testimonianze di datazione più alta,
dato che la stesura del secondo intonaco può arrivare a ricoprire del

1
Nell’ambito del territorio della presente ricerca si possono citare, a titolo
d’esempio, i pannelli quattrocenteschi, con Madonna e Bambino, di Santa Maria
in Grotta a Rongolise e del santuario della Santissima Trinità sul Monte Autore,
oltre a quelli seicenteschi dell’eremo del monte Massico, ove è raffigurata una
Crocifissione, della grotta di San Simeone sul monte Taburno, con un ritratto del
santo titolare e una Psicostasia, e del santuario del monte Tancia, con un arcan-
gelo Michele.

.
.
TESTIMONIANZE PITTORICHE VI-VII s. VII s. VII-VIII s. VIII s. VIII-IX s. IX s. IX-X s. X s. X-XI s. XI s. XI-XII s. XII s. XII-XIII s. XIII s. 210
Alatri, «cripta» di S. Michele • •
Albano, catacombe di S. Senatore • • (?) • •
Arpino, ipogeo di S. Michele • (?) •
Avella, Grotta di S. Michele • •
Barbarano, Grotta di S. Simeone •
Bassano Romano, S. Giovanni a Pollo •
Bolsena, catacombe di S. Cristina •
Calvi, Grotta dei Santi • • • •
Calvi, Grotta delle Fornelle • • •
Capradosso, Grotta di S. Nicola • •
Castel Sant’Elia, Grotta di S. Leonardo • (?) •
Civita Castellana, Grotte di S. Cesareo •
Civita Castellana, Grotte di S. Selmo •
Cottanello, eremo di S. Cataldo •
Fasani, Grotta di S. Michele •
Ischia di Castro, Poggio del Conte •
Magliano Romano, Grotta degli Angeli •
Monte Acuziano, eremo di S. Martino •
Monte Massico, eremo di S. Martino • •
Monte Monaco, Grotta di S. Michele •
Monte Taburno, Grotta di S. Mauro •
Monte Taburno, Grotta di S. Simeone •
Monte Tancia, Grotta di S. Michele • • (?)
PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Montoro I., Grotta di S. Michele •


Ninfa, Grotta di S. Michele •
Norchia, Grotta di S. Vivenzio •
Prata, Basilica dell’Annunziata • • •
Roccasecca, Sant’Angelo in Asprano • •
Roma, catacomba di Commodilla •
Roma, catacomba di Felicita •
Roma, catacomba di Generosa •
Roma, cimitero di Ponziano • •
Roma, catacomba di S. Calepodio •
Roma, catacomba di S. Callisto • •
Roma, catacomba di S. Valentino • (?) •
Rongolise, S. Maria in Grotta • • • •
Subiaco, Sacro Speco • •
Sutri, S. Fortunata •
Sutri, S. Maria del Parto •
Vallepietra, santuario della SS. Trinità •
Vallerano, Grotta del Salvatore •
Vignanello, grotta di S. Lorenzo •

Fig. 15 – Cronologia delle pitture rupestri nel Lazio e nella Campania settentrionale (secoli VI-XIII).
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 211

tutto un pannello sottostante 2, come accade nella grotta di Castel


Sant’Elia, ad Arpino, a Prata, a Sant’Angelo in Asprano 3, tutti conte-
sti all’interno dei quali solo le lacune della pittura più recente hanno
permesso di individuare la decorazione primitiva.
Se tenessimo conto soltanto di questi fattori, però, ci troverem-
mo di fronte a un aumento della produzione pittorica direttamente
proporzionale al progressivo avvicinarsi all’epoca moderna. Invece,
come abbiamo visto, la fortuna della pittura rupestre si ridimensio-
na sensibilmente già nel corso del XIII secolo, riducendosi sempre
più, con il passare del tempo, alla stesura di isolati pannelli votivi,
espressione di un’arte devozionale tenuta in vita dal perpetuarsi del
culto all’interno dei santuari.
Per risalire alle cause dell’aumento consistente degli interventi
decorativi fra XI e XII secolo occorre tener conto di ragioni di altro
tipo, di natura culturale e religiosa. Nel clima della Riforma, gene-
ralmente ricondotta all’epoca e all’operato di Gregorio VII (1073-
1085) e per questo chiamata «gregoriana», ma in realtà estendibile a
un arco cronologico che copre almeno gli ultimi decenni dell’XI se-
colo e i primi del XII, accade che a Roma nuovi cantieri di pittori,
marmorari e costruttori diano vita a una stagione artistica che con-
tagerà il territorio circostante, le chiese extraurbane e pure i santua-
ri rupestri, soprattutto quelli in coincidenza dei circuiti di pellegri-
naggio, come l’oratorio della Santissima Trinità di Vallepietra e
quello all’ingresso delle catacombe di Santa Cristina a Bolsena, lun-
go la via Francigena, o la grotta di San Vivenzio a Norchia, sul trac-
ciato della via Clodia 4.
A partire dall’XI secolo, inoltre, si assiste a un intensificarsi del-
l’interesse religioso nei confronti dell’eremitismo, che dà origine a
nuove esperienze ascetiche ma anche a un’esaltazione della memo-
ria dei santi eremiti vissuti nei secoli precedenti e ad una sacralizza-
zione delle grotte ad essi associate, con il conseguente diffondersi di
decorazioni pittoriche o pannelli votivi al loro interno 5. È il caso del-
la Grotta dei Pastori al Sacro Speco di Subiaco, di San Leonardo a
Castel Sant’Elia, entrambe con pitture assegnabili alla metà dell’XI
secolo, della grotta di San Michele sul monte Monaco di Gioia, che
tra l’XI e il XII secolo viene dotata di una struttura a imbotte intera-

2
Spunti interessanti per quanto concerne la sovrapposizione di intonaci in
ambienti rupestri sono in : E. Marcato, Pittura rupestre in Basilicata : il problema
della sovrapposizione e della ridipintura in alcune immagini ad affresco, in OC-
NUS. Quaderni della Scuola di Specializzazione in Archeologia, 5, 1997, p. 137-150.
3
Supra, p. 50, 134, 137, 178-179.
4
Infra, p. 227-231. Cfr. S. Piazza, Peintures rupestres cit.
5
Supra, p. 191.

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212 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

mente decorata, ma anche degli eremi di San Cataldo a Cottanello e


di Poggio del Conte a Ischia di Castro, ciascuno dei quali ha ricevuto
un intervento pittorico verosimilmente nei primi anni del XIII seco-
lo 6.
Per quanto riguarda le pitture anteriori al Mille, dobbiamo ac-
contentarci di testimonianze sporadiche spesso assai frammentarie.
Nel complesso, però, nonostante le forme incerte e approssimative
degli spazi ricavati nella roccia non offrano appigli cronologici, ad
un attento esame dei testi pittorici sopravvissuti ci è sembrato possi-
bile risalire quasi sempre al contesto artistico di appartenenza, recu-
perando in tal modo un ventaglio di casi il cui interesse, talvolta per
la rarità dei temi raffigurati, talaltra per il rigore e la disinvoltura
nell’applicazione delle tecniche esecutive, smentisce un giudizio an-
tico e persistente che vorrebbe relegare la pittura rupestre a una for-
ma di espressione figurativa incolta e ritardataria. Qui di seguito, fra
le testimonianze raccolte nel catalogo presentiamo quelle che me-
glio rappresentano alcune fasi della produzione pittorica in area
campano-laziale fra VI e XIII secolo.

Iconismo e aniconismo (VI-VII secolo)

Il pannello con il Cristo benedicente conservato nel cimitero


ipogeo di Ponziano rappresenta il segno tangibile dell’irradiamento
del culto delle immagini da Bisanzio a l’Occidente fra VI e VII secolo
(tav. 27 c) 7. La derivazione dell’immagine del suburbio romano da
un prototipo bizantino appare, infatti, incontrovertibile allorquando
la si accosta alla celeberrima tavola del monastero del Sinai
(tav. 27 b) 8. L’eccellente leggibilità che i recenti restauri hanno resti-
tuito alla pellicola pittorica del dipinto di Ponziano permette di tor-
nare nuovamente sul confronto tra la pittura romana e l’icona sinai-
tica 9. Quel che unisce le due opere, a nostro avviso, non è soltanto la
matrice iconografica, quasi sovrapponibile, quanto la condivisione
del lessico formale, comune anche nei minimi dettagli nonostante
una certa distanza nel ductus stilistico, a determinare il quale hanno

6
Supra, p. 47, 56, 74, 119, 164.
7
H. Belting, Bild und Kult cit., p. 79, 153.
8
K. Weitzmann, From the Sixth to the Tenth Century, in The Monastery of
Saint Catherine at Mount Sinai : the Icons, I, Princeton N. J., 1976, p. 13-15, tavv.
I-II.
9
Sul confronto tra l’immagine di Ponziano e il Cristo del Sinai : R. Warland,
Das Brustbild Christi. Studien zur spätantiken und frühbyzantinischen Bildge-
schichte, Roma, Friburgo, Vienna, 1986 (Römische Quartalschrift für Christliche
Altertumskunde und Kirchengeschichte. Supplementheft, 41), p. 200-205; H. Bel-
ting, Bild und Kult cit., p. 152-153.

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LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 213

certamente avuto peso la differente tecnica d’esecuzione e la diversa


mano dell’artista.
Chi ha eseguito l’immagine della catacomba romana sembra
aver compiuto un lavoro di sintesi nella stesura pittorica, che riassu-
me con estro e disinvoltura la vasta gamma di sfumature dell’icona
del Sinai. I finissimi passaggi di colore e le calibrate gradazioni chia-
roscurali della tavola orientale sono tradotte nel dipinto romano con
pennellate dal tratto ampio e corsivo. Colpisce l’uniformità nell’arti-
colazione dei volti, della capigliatura, della barba, dei baffi, del ta-
glio dello scollo della veste. I tratti somatici arrivano a combaciare
nelle sottili irregolarità e asimmetrie di luci e ombre. Cosicché la
canna nasale è in entrambi i casi lunga e sottile ma leggermente si-
nusoidale. L’effetto di sfericità viene conferito ai globi oculari dal
medesimo gioco di contrasti chiaroscurali che in entrambi i ritratti,
volutamente, non trova una corrispondenza speculare fra occhio de-
stro e sinistro.
La sovrapponibilità dell’immagine romana all’icona greca dà
credito all’ipotesi dell’originaria esistenza di un prototipo costanti-
nopolitano, venuto forse alla luce già nel V secolo10. Quale che sia il
rapporto di filiazione tra la tavola del Sinai e la replica del cimitero
di Ponziano11, sorprende, a nostro parere, l’alto livello qualitativo
raggiunto anche da quest’ultima che, va ricordato, è stata realizzata
all’interno di un ipogeo extra moenia, ad occupare la parete di risulta
di un corridoio di passaggio, sulla roccia della collina lasciata com-
pletamente a vista.
L’iscrizione pittorica nel bordo inferiore ci dice che l’immagine
fu voluta da un certo Gaudiosus, il cui nome compare anche nella
scritta alla base del riquadro con i santi Abdon e Sennen nell’am-
biente adiacente, ad attestare la contemporaneità fra i due interven-
ti. La presenza del nome del donatore riflette la natura votiva del-
l’opera, prodotta all’interno di un complesso catacombale che, esau-
rita da tempo la funzione cimiteriale, assolveva ormai soltanto
quella di santuario martiriale, meta di pellegrini che affluivano in
massa per venerare le reliquie dei santi orientali.
Se nell’immagine di Ponziano è riconoscibile un riflesso della

10
Ibid.
11
Il caso dell’immagine di Ponziano ben corrisponde alla definizione di «re-
plica» fornita di recente da Fabrizio Crivello : «La replica [...] è la ripetizione di
un’immagine nelle stesse condizioni storiche in cui è stata prodotta, il che equi-
vale, nella maggior parte dei casi, allo stesso periodo e allo stesso ambito artisti-
co», F. Crivello, L’immagine ripetuta : filiazione e creazione nell’arte del Medioevo,
in E. Castelnuovo e G. Sergi, a cura di, Arti e storia nel Medioevo. III, Del vedere :
pubblici, forme e funzioni, Torino, 2004, p. 567-592 (p. 580).

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214 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

popolarità di un’immagine di matrice bizantina all’interno del cir-


cuito dei loca sancta del suburbio romano, l’eremo sabino di San
Martino sul monte Acuziano e l’omonima grotta campana del monte
Massico conservano tracce di un linguaggio figurativo di matrice
aniconica la cui radice è anch’essa da ricercare nell’ambito della
produzione artistica greco-orientale di epoca preiconoclasta.
La decorazione dell’ipogeo dell’eremo dell’Acuziano, della quale
restano pochi ma significativi frammenti, riconduce al contesto della
Siria di VI secolo (fig. 5, p. 79)12. Il dato, di certo sorprendente e tut-
tavia in sintonia con quanto riportato dalle fonti, attribuisce a questi
lacerti di pittura un valore eccezionale, che aumenta ulteriormente
se si tiene conto del fatto che essi rappresentano, insieme ai resti dei
partiti murari che li ospitano, un segno tangibile delle remote origini
dell’abbazia di Farfa, avvolte nelle nebbie della leggenda.
Di assoluta rarità è il riquadro imitante uno sciamito a rotae al-
l’interno della nicchia maggiore che per la complessità del disegno,
la colorazione purpurea e l’ubicazione, nella parte superiore della
parete, si distingue nettamente dai comuni vela delle chiese altome-
dievali (tavv. 18 b, 19 a, fig. 5, p. 79)13. Quanto alla provenienza del
tessuto utilizzato come modello, abbiamo ragione di credere, sulla
base dell’analisi dei dettagli figurativi ancora leggibili, a una sua ori-
gine dai rinomati laboratori tessili operanti nell’area compresa tra
l’Egitto e la Siria, piuttosto che da Costantinopoli, città alla quale
viene ricondotta la maggior parte degli esemplari noti14.
Anche il soggetto che occupava la parte alta della nicchia mino-
re, il clipeo con all’interno un motivo a squadre bipartite che dà ori-
gine a una stella ad otto punte (tav. 59 b), trova i legami più prossi-
mi nella regione geografica comprendente l’antica Siria e l’area cop-
ta, dato che lo si ritrova nel riquadro centrale del mosaico
pavimentale della chiesa libanese di San Cristoforo a Qabr Hiram
(seconda metà del VI secolo) e nella decorazione di una nicchia di

12
Supra, p. 77-83, 183-184.
13
J. Osborne, Textiles and their painted imitations in early Medieval Rome, in
PBSR, 60, 1992, p. 309-351.
14
Nella varietà dei temi figurativi all’interno di ciascun orbicolo, il modello
di sciamito della nicchia dell’eremo farfense, più che agli esemplari attribuiti ai
laboratori di Costantinopoli, contraddistinti da un unico soggetto replicato se-
rialmente (M. Martiniani Reber, Tissus cit., p. 192 e schede a p. 194-197), si av-
vicina al tessuto a rotae che orna l’orlo di una tunica copta del Victoria and Albert
Museum di Londra attribuita genericamente al VI-VIII secolo (A. F. Kendrick,
Catalogue of textiles from burying-grounds in Egypt, 3 voll., Londra, 1920-1922, III,
Coptic period, 1922, p. 10, tav. VI, fig. 626). Le foglie cuoriformi e i motivi a can-
delabra del pannello dell’Acuziano si ritrovano nei clavi provenienti dagli scavi
della città egiziana di Achmim, assegnati genericamente ai secoli VI-VII o VII-
VIII (Ibid., p. 77, tav. XXI, fig. 799; M. Martiniani Reber, Lyon cit., p. 86-87, 93-
94).

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LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 215

uno dei cenobi del complesso monastico copto di Kellia (VII secolo)
dove il medesimo soggetto viene riprodotto in una variante che di-
sattende il preciso ordine geometrico ma non l’impostazione genera-
le del disegno15.
Si impone all’attenzione, infine, il ritratto del diacono Evagrio
del Ponto, nell’intradosso dell’arco maggiore, da considerarsi un
unicum nel repertorio agiografico dell’iconografia cristiana e parti-
colarmente interessante in un contesto come quello del monte Acu-
ziano, di natura eremitica, dal momento che nel personaggio è da ri-
conoscersi uno dei padri del monachesimo orientale più popolari in
Siria (tav. 19 b)16. All’immagine di Evagrio, oggi perduta, non veniva
concessa la visibilità della quale godevano il pannello con il finto
tessuto o il cerchio con la stella. Essa faceva parte di un motivo a
tortiglioni, ospitante almeno un altro santo nella circonferenza di
fronte e una croce equilatera in corrispondenza della chiave di volta,
seminascosto nello spazio di risulta tra la fronte dell’arco e la sotto-
stante lunetta della nicchia.
La più antica decorazione dell’eremo di San Martino, insomma,
che forse in origine circondava l’intera cavità rocciosa, adottava un
programma prevalentemente aniconico, centrato sulla rappresenta-
zione di finti tessuti e disegni geometrici, includente anche figure
umane ma soltanto all’interno di superfici poco visibili e senza le
immagini della Vergine o del Cristo, quasi d’obbligo nel programma
decorativo di un coevo edificio sacro occidentale soprattutto nella
zona intorno all’altare. Le pitture dell’Acuziano obbediscono, dun-
que, a un genere figurativo estraneo alla cultura dell’occidente e in-
vece in voga nell’oriente greco dal V secolo fino allo scoppio della
crisi iconoclasta, conforme al pensiero monofisita, ma non di suo
esclusivo dominio17.
Stando ai brani superstiti, totalmente priva di raffigurazioni an-
tropomorfe doveva essere la decorazione dell’imbotte della grotta di
San Martino sul monte Massico, riferibile ad un arco cronologico
che va dalla fine del VI secolo al VII inoltrato (fig. 11, p. 159). La da-

15
Supra, p. 81-82.
16
Supra, p. 81.
17
M. Andaloro, Il secondo concilio di Nicea e l’età dell’Immagine, in L. Russo,
a cura di, Vedere l’invisibile. Nicea e lo statuto dell’immagine, Palermo, 1997,
p. 185-194; Eadem, La linea parallela dell’aniconismo, in Nicea e la civiltà del-
l’immagine, Palermo, 1998, p. 43-56; Eadem, Percorsi iconici e aniconici dal VI se-
colo all’iconoclastia. Le pitture della chiesa di Küçük Tavşan Adası in Asia Minore,
in A. C. Quintavalle, a cura di, Le vie del medioevo, Atti del Convegno internaziona-
le di studi, Parma, 28 settembre-1 ottobre 1998, Venezia, 2000, p. 73-86. In partico-
lare, sull’aniconismo della Siria paleobizantina : M. Mundell, Monophysite
Church Decoration, in A. Bryer e J. Herrin, a cura di, Iconoclasm. Papers given at
the Ninth Spring Symposium of Byzantine Studies, Birmingham 1977, p. 59-74.

.
216 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

tazione ad epoca così alta si ipotizza, come già detto, sulla base di
una serie di argomentazioni.
Riassumendo, dalla testimonianza di Gregorio Magno possiamo
presumere che un monaco chiamato Martino sia vissuto sul Massico
nel corso del VI secolo, non oltre la soglia del VII18. Il piccolo edificio
in muratura all’interno della grotta deve essere servito per raccoglie-
re le spoglie del beato, come fa pensare l’esistenza della fossa rettan-
golare, foderata di intonaco, posta sul fondo dell’ambiente. È assai
probabile, quindi, che la struttura a volta sia stata costruita e deco-
rata all’indomani della morte dell’eremita. All’ipotesi di un’attribu-
zione fra VI e VII secolo, del resto, vanno incontro la tecnica costrut-
tiva dell’imbotte, in opus mixtum, attestata in area campana proprio
in questo periodo19 e il terminus ante quem dello strato pittorico so-
prastante, assegnabile con agio al pieno X secolo (tav. 43 b-c).
Più di ogni altro elemento, tuttavia, sono le tracce dell’originaria
decorazione a giustificare una proposta di datazione agli albori del-
l’età medievale : su uno strato di intonaco spesso, che raggiunge il
centimetro e mezzo, è stato disteso un velo di bianco omogeneo, sul
quale sono state tracciate con disinvoltura fluide pennellate di rosso,
ocra e rosa. Alcune linee di colore sono rettilinee, forse a costituire
originariamente un disegno geometrico, altre si dispongono libera-
mente con andamento curvilineo o zigzagante ad imitare probabil-
mente motivi vegetali stilizzati. In un punto esse suggeriscono la for-
ma di un volatile (tav. 76 a-c).
La parete sinistra, che a differenza di quella destra è continua e
non intervallata dagli archi, conserva in prossimità del muro di fon-
do i resti di un’iscrizione latina in capitali rosse su fondo bianco, di-
sposte su due righe a metà altezza del muro (tav. 42 b). È probabile
che l’iscrizione dividesse la decorazione in due registri, dal momen-
to che nella zona sinistra della parete, appena più in basso del livello
delle lettere dipinte, si scorge una riga nera orizzontale.
Al di là dei dati desumibili dalle tracce superstiti nell’ambiente
principale, si sarebbe dovuto rinunciare alla comprensione pur som-
maria dell’impianto figurativo originario, se non avessimo scoperto,
oltrepassando il muretto con la fenestella confessionis, laddove l’im-
botte si restringe fino a raggiungere una larghezza di circa un me-
tro, l’esistenza dei resti di una grande croce gemmata (tav. 76 a,
fig. 10, p. 158). Appare verosimile ritenere quest’ultima, a bracci pa-
tenti con un cerchio rosso passante per il centro, il fulcro del pro-
gramma decorativo, poiché sovrasta il sepolcro dell’eremita e non
può quindi che essere interpretata in rapporto con esso.

18
Supra, p. 155, 185-187.
19
G. Ausiello, Architettura medievale cit., p. 195-196 (tabelle B3, B4 e B5).

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 217

Se per l’ipogeo dell’Acuziano l’adozione di un registro aniconico


di matrice greco-orientale si spiega grazie alle testimonianze docu-
mentarie che attestano la presenza nell’eremo farfense di uno o più
eremiti giunti dalla Siria durante il VI secolo, sul monte Massico la
scelta di escludere soggetti antropomorfi all’interno di un program-
ma decorativo potrebbe non essere un caso isolato, bensì rappresen-
tare l’adeguamento a un linguaggio figurativo di matrice greco-
orientale in un territorio geograficamente assai prossimo alle aree di
dominazione bizantina 20.

Langobardia Minor e arte «benedettina» (IX-X secolo)


Nel campionario delle pitture rupestri prese in esame, alcuni
esempi campani rinviano all’epoca e al clima culturale del regno
longobardo dell’Italia centro-meridionale. Due di essi, in passato,
non sono sfuggiti all’attenzione di Hans Belting, che li ha inclusi nel
saggio sulla beneventanischen Malerei : si tratta del frammento di fi-
gura femminile appartenente alla terza fase pittorica dell’abside del-
l’Annunziata di Prata, riferibile al IX secolo (tav. 50 a) 21, e del primo
intervento decorativo all’interno della Grotta dei Santi (tavv. 71 b,
72 a-b, d), assegnato dallo studioso tedesco al secondo terzo dell’XI
secolo 22 ma a nostro avviso riconducibile più agevolmente alla se-
conda metà del X secolo. A questa coppia di testimonianze possia-
mo aggiungere la più antica fase pittorica della chiesa di Santa Ma-
ria in Grotta a Rongolise (tav. 44 b), emersa nel corso di recenti re-
stauri all’interno della lunetta sopra l’altare, e il secondo strato della
struttura voltata dell’eremo del monte Massico (tav. 43 b-c), entram-
bi riferibili al pieno X secolo.
Se l’attribuzione di queste testimonianze pittoriche al contesto
della Langobardia Minor si rivela di una qualche utilità nella misura
in cui permette di collocare ciascuna di esse all’interno di coordinate
geografiche e temporali ben definite, la teoria di un’arte «beneventa-
na», in passato concepita nella convinzione che, dall’VIII secolo fin
oltre l’età desideriana, Benevento abbia avuto un ruolo di esclusiva
leadership nella produzione delle opere d’arte campane 23, è stata
messa in crisi dal progressivo emergere, nel filone degli studi più re-
centi, dell’importanza di altri centri di non minore rilievo, come Ca-
pua, San Vincenzo al Volturno, Napoli e Montecassino 24. Almeno

20
Sulla Campania bizantina fra VI-VII secolo, cfr. V. von Falkenhausen, La
Campania fra Goti e Bizantini, in G. Pugliese Carratelli, a cura di, Storia e civiltà
della Campania. Il Medioevo, Napoli, 1992, p. 7-35, spec. p. 12-16.
21
H. Belting, Studien cit., p. 65.
22
Ibid., p. 109-110.
23
H. Belting, Studien cit., spec. p. IX-XI.
24
G. Orofino, Considerazioni sulla produzione miniaturistica altomedievale a

.
218 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

per quanto riguarda le pitture della Grotta dei Santi, poi, la notizia
che i monaci cassinesi, a seguito dell’invasione saracena dell’841 si
stabilirono per quasi un secolo presso Capua, distante da Calvi solo
qualche chilometro 25, fa propendere per l’ipotesi di un cantiere for-
matosi all’interno di questa città piuttosto che pensare a un atelier
proveniente da Benevento.
Nonostante le ampie lacune e l’avanzato stato di deperimento
della pellicola pittorica, il secondo strato dell’imbotte del Massico,
sovrapposto a quello di VI-VII secolo, è ancor oggi apprezzabile nel
suo assetto d’insieme. Il tema della volta, con quattro angeli cariatidi
che sorreggono un clipeo centrale, ha radici antiche 26. L’esempio più
vicino è rappresentato dalla strato di pittura che si conserva sulla
volta della cappella dei Santi Martiri nel complesso basilicale di Ci-
mitile, appartenente alla campagna pittorica assegnata tra la fine del
IX e la prima metà del X secolo, con maggiore propensione per il
secondo quarto di quest’ultimo (tav. 52 c) 27. L’analogia, in questo
caso, non si limita allo schema iconografico, ma riguarda anche le
proporzioni delle figure e la stesura delle pennellate scure, larghe
e fluide, che disegnano il panneggio delle tuniche bianche degli
angeli.
Sempre alla seconda campagna pittorica, nella grotta del Massi-
co, appartengono i resti della fronte dell’arco d’ingresso. Al centro si
scorge un clipeo che ha al suo interno tracce di una figura a mezzo

Montecassino attraverso alcuni manoscritti conservati all’archivio della Badia, in


Miscellanea Cassinese, 47, 1983, p. 131-185 (p. 132); F. Bologna, Momenti della
cultura figurativa nella Campania Medievale in G. Pugliese Carratelli, a cura di,
Storia e civiltà della Campania. Il Medioevo, Napoli, 1992, p. 171-275, spec. p. 206-
209; F. Aceto, Beneventano-cassinese arte, in EAM, III, Roma, 1992, p. 366-370;
G. Orofino, La miniatura a Benevento, in I Longobardi dei ducati di Spoleto e Be-
nevento. Atti del XVI Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo, Spoleto,
Benevento, 20-27 ottobre 2002, 2 voll., Spoleto, 2003, I, p. 545-565, spec. p. 545,
548-549.
25
N. Cilento, Italia meridionale longobarda, Napoli, 1966, p. 183.
26
K. Lehmann, The Dome of Heaven, in Art Bulletin, XXVII, 1, 1945, p. 1-27,
part. p. 14-19. A Ravenna sovrasta la decorazione musiva della cappella del-
l’arcivescovo Pietro II (494-519) : F. W. Deichmann, Ravenna, Hauptstadt des
spätantiken Abendlandes, Wiesbaden, 1969-1974, I, p. 201-202, III, fig. 220; a Ro-
ma lo stesso soggetto occupa il mosaico della volta della cappellina di San Zeno-
ne in Santa Prassede, del tempo di Pasquale I (817-824) : G. Mackie, De Zeno
Chapel a prier for Salvation, in PBSR, 57, 1989, p. 172-199, part. p. 172-175.
27
H. Belting, Die Basilica cit., p. 48-51, fig. 24. La propensione dello studioso
per la data meno alta è maturata nello studio successivo : Id., Studien cit., p. 98.
Cfr. anche Id., Cimitile : le pitture medievali e la pittura meridionale nell’Alto me-
dioevo, in L’art dans l’Italie Méridionale. Aggiornamento dell’opera di Émile Ber-
taux sotto la direzione di Adriano Prandi, 4 voll., IV, Roma, 1978, p. 183-188
(p. 186).

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 219

busto con pallio rosso, forse un’altra immagine di Cristo, mentre


sulla destra si distingue appena la sagoma di un personaggio, con il
capo circondato da un nimbo e un fluente panneggio, il quale auto-
rizza a credere all’originaria esistenza di un soggetto simmetrico sul
lato opposto. L’assetto d’insieme suggerisce un confronto con i due
angeli ai lati del clipeo con la dextera Domini sulla volta di una delle
nicchie laterali della chiesa dei Santi Rufo e Carponio a Capua 28. Dal
punto di vista formale, poi, il viso dell’angelo capuano mostra strin-
genti affinità con i volti del secondo strato dell’eremo di San Marti-
no (tav. 42 c, 52 b), soprattutto con uno di quelli della parete sini-
stra dell’imbotte, che conserva i particolari della bocca, del mento e
dell’ombreggiatura al di sotto del naso. Sia l’uno che l’altro sono ca-
ratterizzati dal simile tratto che disegna i grandissimi occhi tangenti
alla canna nasale costituita da due linee parallele che si uniscono al-
le sopracciglia.
Altrettanto evidenti sono le affinità che si ravvisano tra le pitture
del secondo strato del Massico e quelle della prima campagna della
Grotta dei Santi. Le mani molto allungate, i grandi occhi sferici, la
tipologia della bocca, resa con il labbro inferiore e un tratto nero
orizzontale, si ritrovano in entrambi i contesti (tavv. 72 a, d, 77 a).
Sennonché, le figure di Calvi appaiono appiattite, obbedienti anche
nel dettaglio a un ordine compositivo rigoroso, dettato da un’esigen-
za di equidistanza e fissità. Sul Massico, invece, siamo di fronte a
un’espressione di dinamismo e a una maggiore libertà tanto nella
modulazione delle forme che nella disposizione dei personaggi
(tav. 71 b). Ne consegue non un effetto di trascuratezza e spropor-
zione, piuttosto una maggiore disinvoltura e movimento. Degna di
nota, a tal riguardo, è la scelta di presentare la schiera degli apostoli
della parete di sinistra a gruppi di tre in file sovrapposte, anziché in
ordine paratattico, quasi a dare l’idea di una processione che avanza
da lontano (tav. 43 c).
Nella Grotta dei Santi, del resto, l’uniformità delle figure tradi-
sce l’impiego di espedienti tecnici per il trasporto di linee e profili da
un soggetto all’altro. Nel caso dei due arcangeli che affiancano il
Pantocratore al centro del vano absidale, è evidente l’uso di un’unica
sagoma appoggiata sull’intonaco ancora fresco, prima in un verso e
poi nell’altro, per tracciare il contorno dei personaggi, l’ovale dei vol-
ti, i bordi delle clamidi 29. L’effetto ottenuto è la rappresentazione di
due figure rigidamente simmetriche (tav. 72 a). In altri casi l’uso
della stessa sagoma è stato opportunamente dissimulato attraverso

28
Id., Studien cit., p. 68-70, tavv. XXXVII-XXXVIII, figg. 73-75.
29
S. Piazza, La Grotta dei Santi cit., p. 182.

.
220 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

alcune modifiche apportate in una fase successiva della stesura pit-


torica, allorquando gli esecutori del dipinto si sono apprestati a trac-
ciare i tratti anatomici. La base comune è ravvisabile nei volti, che
obbediscono soltanto a due tipologie, di tre quarti (arcangeli, Pietro,
Paolo, apostolo) o in posa frontale (Cristo, Tommaso, Martino, Giu-
liano, Margherita, santo vescovo, santo medico, Vergine orante), ma
anche nelle vesti : basti osservare la figura del santo medico dietro
all’altare che dall’altezza del collo fino ai calzari risulta sovrapponi-
bile all’arcangelo di destra.
Qualche assonanza il primo strato del santuario di Calvi mostra
avere anche con le pitture di Rongolise. Confrontando l’assetto delle
figure di Santa Maria in Grotta con l’impostazione di quelle che
compongono il nucleo centrale del pannello del vano concavo della
Grotta dei Santi, colpiscono le affinità formali nelle rispettive coppie
di arcangeli, caratterizzati dalle stesse ali bianche con la parte alta
in rosso come fosse una bordura, ma anche l’ovale dei volti, la posa
di trequarti e il gesto di tendere la mano in segno di deferenza verso
il personaggio centrale assiso sul trono (tav. 44 b).
Se negli ultimi decenni di studi l’ipotesi dell’esistenza di un’arte
beneventana ha subito un deciso ridimensionamento, poco si è sal-
vato dell’ancor più totalizzante, sfuggente eppure molto dibattuta
«questione benedettina», almeno da quando è stato espresso l’invito
a ricondurla nell’ambito di «fenomeni ‘storicizzati’, ossia innestati
nella cultura del loro tempo e del loro luogo» 30. La presa di posizio-
ne della critica recente di fronte a un concetto che in passato aveva
assunto i contorni del mito storiografico mette in guardia da ulterio-
ri generalizzazioni, ma al contempo apre la strada all’individuazione
di esempi concreti. Fra di essi si possono agevolmente inserire le pit-
ture della Grotta del Salvatore a Vallerano, prodotte nel corso del X
secolo all’interno di un raro caso di cenobio rupestre di sicura origi-
ne benedettina, come attestano l’iscrizione dipinta dell’Andreas hu-
milis abbas e la presenza dei ritratti di Benedetto con i suoi compa-
gni Mauro e Placido (tavv. 13 a, d).
Oltre alla ricchezza del campionario dei temi raffigurati, fra i
quali una Comunione degli apostoli di chiara matrice bizantina e as-
sai singolare in Occidente (tav. 56 c) 31, è possibile apprezzare la
gamma cromatica delle pitture nonostante la frammentarietà e le
condizioni di degrado in cui versano. Seppur composta esclusiva-
mente da semplici terre, la tavolozza dei colori si impone all’atten-
zione per la forte predominanza del rosso, di tono acceso, impiegato

30
G. Orofino, Benedettini, Pittura, miniatura e arti suntuarie, in EAM, III,
Roma, 1992, p. 346-355 (p. 350). Sulla «questione benedettina» si veda anche Ea-
dem, Considerazioni cit., p. 132; F. Aceto, Beneventano-cassinese cit., p. 366-367.
31
S. Piazza, Une Communion cit., p. 140-146.

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 221

in abbondanza per il fondo dei pannelli delle pareti e parte delle ve-
sti dei personaggi, tratto distintivo che si ritrova nel caso coevo della
decorazione del tempietto della Tosse a Tivoli. Colpiscono inoltre le
somiglianze nel ductus formale 32. Le affinità più lampanti, a tal ri-
guardo, si individuano tra la testa di Placido sulla parete nord del-
l’oratorio rupestre e quella di Cristo nella scena dell’Ascensione al-
l’interno del monumento tiburtino : il contorno ovale del volto, il
tratto continuo che all’interno disegna gli occhi, la canna nasale e le
sopracciglia, tracciate senza soluzione di continuità, ma anche la
bocca, marcata da un segmento orizzontale e con il labbro inferiore
fortemente pronunciato, sono quasi sovrapponibili. A giusto titolo
John Osborne accostava la testa di Placido a quella di uno dei santi
dell’atrio di Santa Maria Antiqua, costituenti l’esempio pittorico più
tardo della chiesa forense, che proprio in ragione di tali affinità ve-
niva assegnato al pieno X secolo 33.

Pittura campana fra tradizione e innovazione (metà circa dell’XI


secolo)
I grandi pannelli che rivestono le due nicchie della grotta di San
Michele ad Avella, ospitanti in totale ben quindici personaggi in posa
frontale, restano a tutt’oggi poco noti (tavv. 47, 48 a-b) probabilmen-
te anche a causa del loro scarso livello di leggibilità 34. Ai carbonati e
alle efflorescenze saline che coprono i dipinti di una spessa coltre
biancastra si sono aggiunte, in epoca imprecisabile, maldestre inte-
grazioni a tempera. Ciononostante, una volta individuate le incaute
ridipinture, limitate ai tratti somatici dei volti e alle capigliature, è
possibile apprezzare l’autenticità di numerosi dettagli formali e ico-
nografici, oltre, naturalmente, all’impostazione generale. Cosicché,
per esempio, l’immagine dell’apostolo Pietro, nonostante sia stata al-
terata da un tratto nero che rimarca gli occhi e dalla campitura mar-
rone in corrispondenza dei capelli, tradizionalmente bianco-grigi,
conserva la linea originaria nel resto della figura, con il palmo della
mano destra aperto e rivolto verso l’esterno nel tipico gesto di parte-
cipazione all’evento teofanico del Cristo, raffigurato accanto assiso
sul trono, e con la sinistra stretta nel pugno a sostenere le grosse
chiavi. A dispetto dell’alterazione della pellicola pittorica, nel com-
plesso, i tratti distintivi dei pannelli di Avella emergono con chiarez-
za : dalla disposizione dei santi in successione senza l’obbedienza ad

32
Già notate da Beat Brenk : B. Brenk, Die Wandmalereien cit., p. 77.
33
J. Osborne, The Atrium cit., p. 209.
34
Al tempo della mia visita, il 3 luglio del 2000, il santuario era chiuso al
pubblico a causa del distacco di un grosso conglomerato di roccia caduto nel-
l’ambiente maggiore.

.
222 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

un ordine preciso nelle proporzioni e nelle distanze fra l’una e l’altra


figura, alla divisione del fondo in tre zone, rossa quella superiore,
grigio-cerulea la centrale e ocra quella inferiore, al largo uso, infine,
del colore rosso per le vesti dei personaggi, per i libri sorretti dai san-
ti e molteplici dettagli (tav. 84 a, figg. 13-14, p. 171, 173).
Si tratta di un linguaggio figurativo che trova riscontro nella
lunga serie dei pannelli votivi all’interno della Grotta dei Santi ap-
partenenti ad una fase esecutiva, la seconda in ordine cronologico,
databile intorno alla metà dell’XI secolo (tav. 38 c) 35. Il confronto fra
i due contesti ci sembra autorizzare una proposta di datazione delle
pitture di Avella alla stessa epoca. Anche tra la moltitudine di santi
in posa stante della grotta di Calvi, infatti, incontriamo dietro alle
aureole la fascia a linee rosse ondulate che allude al cielo dell’empi-
reo. Simili sono pure le vesti, nella terminazione orizzontale delle
tuniche, nella tipologia dell’omophorion e del libro gemmato delle
sacre scritture. Analogo è il modo approssimativo di tracciare le fi-
gure, che non rispondono ad un canone di uniformità e si dispongo-
no raggiungendo dimensioni quasi mai coincidenti.
Degne di nota, inoltre, sono le mani, che colpiscono per le dita
affusolate di una lunghezza smisurata. Sia ad Avella che a Calvi,
quasi a voler spezzare la reiterazione monotona delle figure in posa
frontale, vengono raffigurate ora nell’atto di benedire alla latina, ora
alla greca, o semplicemente nel gesto di esibire il palmo aperto all’al-
tezza del petto. È un tratto che, seppure in modo meno accentuato,
trova un’eco nell’Exultet 1 di Gaeta 36.
Dal punto di vista iconografico le pitture di Avella non introdu-
cono novità, piuttosto sembrano attingere, come i pannelli del se-
condo strato di Calvi, a inveterati modelli da secoli in circolazione in
area campana, radicati sia nella tradizione altomedievale romana
che nell’arte bizantina. A quest’ultima rimanda la raffigurazione del-
l’imperatore Costantino e la madre Elena, con la croce gemmata al-
ludente alla reliquia della Terrasanta, che chiude a destra il pannello
centrale (tav. 48 a) 37.
Qualche assonanza unisce le pitture di Avella e di Calvi ai pan-
nelli di San Michele a Fasani, altro caso campano che possiamo as-
segnare, proprio per le tangenze con i due contesti citati, alla metà

35
Supra, p. 146-148.
36
Per le miniature dell’Exultet di Gaeta : V. Pace, Gaeta, Museo Diocesano,
Exultet 1, in G. Cavallo, a cura di, Exultet. Rotoli liturgici del medioevo meridiona-
le, Roma, 1994, p. 341-343, tavv. fuori testo. Per le pitture della Grotta dei Santi,
cfr. S. Piazza, La Grotta dei Santi cit., p. 187-197.
37
Si veda, per un confronto, la miniatura sul codice Sachau 22 di Berlino
(f 43 v.), assegnata al IX-X secolo : K. Wessel, Konstantin und Helèna cit., col.
o

363. Cfr. anche supra, p. 172.

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 223

circa dell’XI secolo. La provenienza da un comune vocabolario for-


male si evince dalla simile stilizzazione dei panneggi, dall’uso della
stessa gamma cromatica, dalla rappresentazione del fondo a bande
sovrapposte, con la sequenza di linee ondulate che rimarcano quella
superiore di colore rosso, e dalla presenza, a Fasani come a Calvi,
della stessa formula votiva nelle iscrizioni che corrono nel margine
inferiore del pannello (tavv. 41 c, 74-75).
Eppure, nonostante l’attaccamento ad un linguaggio formale di
vecchia tradizione, il secondo strato di Calvi mostra di essere al pas-
so con i tempi in fatto di tecnica pittorica. Lo rivela il confronto con
il modo di dipingere adottato all’interno di un importante cantiere
romano di età verosimilmente coeva : fra le pitture della zona supe-
riore della parete sinistra della Grotta dei Santi, risparmiate dalla
scialbatura, si conserva un volto di san Silvestro che mostra evidenti
affinità con quelli del ciclo benedettino della basilica inferiore di
San Crisogono in Trastevere (tav. 84 b-c) 38. La somiglianza non ri-
guarda tanto il ductus formale quanto piuttosto le modalità esecuti-
ve e la tavolozza dei colori. In entrambi i casi la campitura di base è
verde e i colori che le si sovrappongono sono, in sequenza, un rosso
vivo, con il quale vengono realizzati i pomelli sulle guance e le lab-
bra (a San Crisogono anche le ombre lungo la canna nasale e la
fronte), il nero, che serve a profilare i tratti somatici, e infine il bian-
co utilizzato per le lumeggiature. Questo modo singolare di procede-
re nell’esecuzione dei volti, che rinuncia alle cromie calde e tenui
dell’incarnato adottando i colori contrastanti del verde e del rosso
dai toni squillanti, non è patrimonio esclusivo dell’area fra Roma e
la Campania settentrionale. Senza significative variazioni s’incontra
in territorio lombardo, nella figura dell’angelo appartenente al pri-
mo strato della decorazione dell’abside di San Michele a Gornate
Superiore, in provincia di Varese, assegnato al XII secolo 39 o, più ve-
rosimilmente, vista la stringente affinità con le pitture di Calvi e San
Crisogono, all’XI secolo (tav. 84 d) 40. Il fatto che un’insolita maniera
di dipingere i volti si ritrovi senza significative varianti in tre luoghi
geograficamente tanto distanti non può che pesare a favore del-
l’ipotesi di una mobilità dei cantieri pittorici altomedievali tra l’area
lombarda, Roma e la Campania 41.

38
B. Brenk, Die Benedicktzenen in S. Crisogono und Montecassino, in Arte
Medievale, 2, 1984, p. 57-75, spec. p. 57-66.
39
C. Bertelli, Gornate Superiore, San Michele, in M. Gregori, a cura di, Pittu-
ra tra Ticino e Olona. Varese e la Lombardia nord-occidentale, Milano, 1992,
p. 223-224, tav. 11.
40
S. Lomartire, La pittura medievale in Lombardia, in C. Bertelli, a cura di,
La pittura in Italia. L’altomedioevo, Milano, 1994, p. 47-89, spec. p. 67.
41
Bertelli C., Miniatura e pittura : dal monaco al professionista, in G. Pugliese
Carratelli, a cura di, Dall’eremo al cenobio. La civiltà monastica dalle origini all’età

.
224 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Montecassino, Roma e la Riforma (fine XI secolo-inizi XII)

La decorazione pittorica dell’imbotte inserito all’interno della


grotta di San Michele sul monte Monaco di Gioia suscita notevole
interesse non solo perché si è conservata integralmente, ma anche
per l’originalità di alcune raffigurazioni (tav. 79 a). Due dati acquisi-
ti, uno di carattere documentario e l’altro di natura iconografica,
permettono di ipotizzare un legame fra queste pitture e la temperie
artistica cassinese al tempo della Riforma. Il primo consiste nella
notizia dell’annessione della grotta fra i possessi di Montecassino tra
il 943 e il 947. Il secondo è costituito dall’individuazione, ai piedi
della figura della Vergine in trono con Bambino dipinta sulla parete
destra, di un personaggio vestito con scapolare e cappuccio, certa-
mente un monaco, forse non il vero committente, ma piuttosto,
giacché l’individuo appare munito di aureola, il rappresentante del-
l’ordine, san Benedetto (tav. 81 d).
È possibile che il piccolo edificio sia stato realizzato per assolve-
re la funzione di cappella funeraria, dal momento che sulla parete
sinistra si apre una grossa nicchia a semicerchio che farebbe pensa-
re a un arcosolium (tav. 81 a). Comunque sia, è chiara la provenien-
za di quest’opera da un ambiente monastico, che si rivela colto per
l’originalità delle soluzioni iconografiche adottate non aderenti ai
programmi figurativi di tipo tradizionale. Davvero insolita, infatti, è
la raffigurazione della grande Crocifissione a copertura dell’intero
spazio della volta, presentata nella versione della croce vivifica con i
girali d’acanto che si avviluppano fra i due bracci. Sembrerebbe una
rarità anche la selezione compiuta mediante la scelta di rappresen-
tare soltanto la Vergine e Longino sacrificando le abituali immagini
corrispettive di san Giovanni e del soldato porta spugna (tav. 79 b).
Il tema stesso della croce alla base della quale germogliano i vir-
gulti è piuttosto singolare anche se trova un celebre paragone nel
mosaico absidale romano di San Clemente, dei primi decenni del
XII secolo 42. A differenza della sontuosa versione monumentale, tut-

di Dante, Milano, 1987, p. 579-699, spec. p. 646-648; F. Bologna, Momenti cit.,


p. 218-220.
42
H. Toubert, Le renouveau cit. (rist. in H. Toubert, Un art dirigé cit., 239-
310), p. 99-154, spec. p. 122-154; A. Dietl, Die Reliquienrekondierung im Apsismo-
saik von S. Clemente im Rom, in R. L. Coltella, a cura di, Pratum romanum : Ri-
chard Krautheimer zum 100 Geburtstag, Wiesbaden, 1997, p. 97-111; H. G. Thüm-
mel, Das Apsismosaik von San Clemente in Rom, in F. Guidobaldi e A. Guiglia
Guidobaldi, a cura di, Ecclesiae Urbis. Atti del congresso internazionale di studi
sulle chiese di Roma, IV-X secolo, Roma, 4-10 settembre 2000, 3 voll., Città del Va-
ticano, 2002, III, p. 1725-1738; M. Andaloro, S. Romano, L’immagine nell’abside
cit., p. 108-110 (paragrafo 4, a cura di S. Romano).

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 225

tavia, al di là della grande ricchezza di dettagli iconografici inseriti


all’interno dell’acanto della decorazione musiva, va tenuto presente
che il volto di Gesù del monte Monaco ha gli occhi aperti e l’espres-
sione serena, mentre nel mosaico clementino viene esibita la soffe-
renza del martirio 43.
La variante iconografica del Cristo vivens, o triumphans, si in-
contra anche in altri esempi dell’arte campana di XI secolo, come la
Crocifissione miniata sull’Exultet della British Library di Londra
(Add. 30337) e la versione monumentale di Sant’Angelo in Formis 44.
Entrambe le opere vengono ascritte al tempo dell’abbaziato di Desi-
derio (1058-1087) e mostrano assonanze con la pittura del santuario
micaelico anche per la foggia del perizoma con il nodo centrale e la
definizione anatomica del crocifisso. A differenza dei due casi citati,
però, il Cristo del monte Monaco non ha il volto inclinato verso la
spalla destra, ma ben diritto e frontale, in asse con il busto e le gam-
be. Per questo sembra adeguarsi a modelli precedenti, come la Cro-
cifissione nelle miniature del rotolo della Benedictio fontis, miniato
intorno al 970, forse all’interno di un atelier cassinese 45. Il modo di
rappresentare il corpo del crocifisso, tuttavia, dà la misura della di-
stanza fra le due opere. Mentre nella versione del benedizionale, il
busto è diviso da un tratto marcato verticale che scende dallo sterno
fino all’ombelico, nel caso della grotta di San Michele una sottile li-
nea nera disegna l’addome a forma di trifoglio 46.
Nella decorazione del santuario campano suscita interesse an-
che la valenza liturgica che rivestono due dei temi rappresentati. La
lunetta sopra l’arco d’ingresso accoglie l’immagine di un vescovo
fiancheggiato da due diaconi (tav. 80 c) 47. Al di là della possibile in-
dividuazione dei tre personaggi con santi locali, ciò che ci preme
sottolineare è l’attitudine dei gesti e la disposizione gerarchica dia-
coni-vescovo. Ambedue le circostanze alludono allo svolgimento del

43
Sulle alterne fortune delle due tipologie, patiens e triumphans fra XI e XII
secolo : G. Jászai, Crocifisso, in EAM, V, Roma, 1994, p. 577-586 (p. 579). La cro-
cifissione miniata sul sacramentario di Metz (Paris, Bibl. nat., ms. lat. 1141) atte-
sta la diffusione già nel IX secolo del genere iconografico con la croce vivifica
dalla quale scaturiscono virgulti : M.-Ch. Sepière, L’image cit., p. 177-180,
tav. XX.
44
Il confronto fra la Crocifissione dell’Exultet di Londra, di Sant’Angelo in
Formis e del ciclo coevo di San Pietro ad Montes a Caserta Vecchia, è stato pro-
posto da Lucinia Speciale (L. Speciale, London, British Library, Exultet, in G. Ca-
vallo, a cura di, Exultet. Rotoli liturgici del Medioevo meridionale, Roma, 1994,
p. 249-252, spec. p. 251 e illustrazione fra le tavv. fuori testo).
45
B. Brenk., Città del Vaticano, Vat. lat. 3784, Exultet, in G. Cavallo, a cura
di, Exultet. Rotoli liturgici del Medioevo meridionale, Roma, 1994, p. 211-213; Id.,
Bischöfliche cit, p. 285-286.
46
S. Piazza, La Grotta dei Santi cit., p. 203.
47
Supra, p. 167.

.
226 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

rito : i tre personaggi sono raffigurati con entrambe le braccia solle-


vate verso l’alto, una mano libera e l’altra all’altezza delle spalle nel-
l’atto di esibire il libro delle sacre scritture 48.
Altra unità spaziale e figurativa legata allo svolgimento del rito
della messa è la nicchia che si apre sulla parete destra, destinata ve-
rosimilmente ad ospitare il calice e la patena. Al suo interno, nel ri-
chiamare il martirio di Cristo sul Golgotha, la croce che si staglia sul
profilo di un monte evoca il sacrificio eucaristico. Al di sopra è l’im-
magine del serafino che brandendo la spada sembra voler allontana-
re qualsiasi tentativo di manomissione degli strumenti della liturgia
tramite l’autorità che gli deriva dall’appartenenza al più alto rango
delle creature alate (tav. 45 b). Quanto all’epoca di esecuzione del
programma decorativo, le analogie con le opere desideriane, il moti-
vo della croce con girali d’acanto, la presenza del serafino con la
spada, ci spingono a proporre una datazione intorno al 1100.
Gli esiti formali del secondo intervento pittorico della chiesetta
di Sant’Angelo in Asprano presso Roccasecca rientrano anch’essi al-
l’interno del medesimo raggio di produzione cassinese, sebbene sia-
no da assegnare verosimilmente ad un’epoca di poco più tarda, cir-
coscrivibile al primo quarto del XII secolo (tav. 68 a). Il tema stesso
della raffigurazione, una monumentale Ascensione, associa la pittu-
ra di Roccasecca a una lunga catena di esempi attestati nel Lazio
meridionale e in Campania, quasi tutti appartenenti al XII secolo,
che sembrerebbero derivare da un unico prototipo, forse il perduto
mosaico absidale della basilica desideriana di Montecassino 49.
La concentrazione nel territorio di numerose testimonianze del-
lo stesso soggetto iconografico induce a ritenere che a partire dalla
seconda metà dell’XI secolo, e durante l’intero arco del XII, l’impie-
go dell’Ascensione come tema absidale fosse d’uso corrente nei mo-
numenti di orbita cassinese, in alternativa al tema absidale romano
che riproponeva il modello delle basiliche paleocristiane 50. Nella ver-
sione della chiesa di Sant’Angelo ciò che colpisce è la disinvoltura
con la quale i numerosi personaggi trovano posto all’interno di una
superficie con una curvatura fortemente pronunciata. Nonostante
l’affollarsi delle figure, la composizione obbedisce a uno schema già
ampiamente sperimentato. Il soggetto è articolato in due registri oc-
cupanti ciascuno più o meno metà dello spazio a disposizione : in

48
Sulla liturgia della messa nell’iconografia medievale, con numerosi richia-
mi all’immagine del vescovo e al suo rapporto gerarchico con i diaconi, cfr. É. Pa-
lazzo, L’évêque et son image. L’illustration du Pontifical au Moyen Âge, Turnhout,
1999, part. p. 84-101, 212, figg. 23, 45.
49
W. Angelelli, Affreschi cit., p. 15-16 e nn. 56-57.
50
Ibid., p. 16.

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 227

basso sono le due schiere di apostoli con la Vergine orante, in alto il


Cristo benedicente nella mandorla sorretta da quattro angeli in volo,
anziché due come in taluni casi. Un cielo blu omogeneo che parte
dal livello corrispondente alle ginocchia dei personaggi del primo re-
gistro non fa che esaltare il semplice schema sul quale sono impo-
staste le figure. È ben visibile, infatti, oltre alla divisione in due pia-
ni, l’esaltazione dell’asse centrale, perfettamente verticale, costituito
dal Cristo e dalla Vergine. L’ordine compositivo si ravvisa soprattut-
to nei volti dei personaggi che nonostante la presenza in un folto nu-
mero risultano obbedire soltanto a due tipologie. Una è rigidamente
frontale ed è utilizzata, significativamente, soltanto per Maria e per
il Cristo. L’altra, di trequarti, è ripetuta in senso alternato in tutte le
restanti figure, compresi i quattro angeli. Ne deriva un effetto di en-
fatizzazione dell’evento, con un continuo gioco di sguardi tra i per-
sonaggi, ad eccezione delle figure dell’asse centrale che assumono
un’espressione ieratica. La reiterazione della stessa tipologia del vol-
to di tre quarti, con il mento rivolto all’insù, tradisce il probabile uso
di una stessa sagoma impiegata alternativamente in un senso e
nell’altro 51. L’uniformità, d’altra parte, è dissimulata dalla diversa ca-
ratterizzazione dei tratti somatici, cosicché il primo apostolo è raffi-
gurato canuto, il secondo imberbe nelle sembianze di un giovane, il
terzo barbuto e così via.

La produzione artistica romana del tempo della Riforma incon-


tra alcune significative testimonianze in un gruppo di pitture rupe-
stri del territorio laziale 52. L’esempio più precoce, che con buona
probabilità può essere attribuito all’epoca del pontificato di Grego-
rio VII, e forse addirittura al suo coinvolgimento diretto nel ruolo di
promotore, è quello rappresentato dai brani pittorici della sala del-
l’altare del Miracolo antistante il cimitero ipogeo di Santa Cristina a
Bolsena. La scoperta del dipinto absidale, avvenuta nel corso dei re-
centi restauri, acquista ulteriore importanza se si considera la sua
probabile appartenenza allo stesso intervento che ha prodotto il
Giudizio universale del primo strato sulla parete soprastante l’arco
d’ingresso alle catacombe e la scena di martirio di santa Cristina, sul
muro di fronte opposto all’abside (tavv. 2, 3 b-c, 54 a). L’ipotesi
prende le mosse dall’uniformità della linea nera che disegna i volti, i

51
Sull’impiego di sagome per la stesura del disegno preparatorio, cfr.
M. Nimmo, C. Olivetti, Sulle tecniche di trasposizione dell’immagine in epoca me-
dioevale, RINASA, s. III, VIII-IX, 1985, p. 399-411; M. Andaloro, I mosaici del
Sancta Sanctorum, in Sancta Sanctorum, Milano, 1995, p. 126-191, part. p. 156-
191.
52
Cfr. S. Piazza, Peintures rupestres cit.

.
228 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

panneggi e i profili delle figure, dalla simile ripartizione del fondo,


con la fascia inferiore di un intenso giallo-ocra e il settore scuro so-
prastante, che nell’abside e nella scena di Cristina corrisponde alla
stessa tonalità di verde.
Si può quindi immaginare che sullo scorcio dell’XI secolo l’ora-
torio di Bolsena sia stato rivestito da una grande decorazione che si
snodava lungo le pareti con la sequenza delle scene agiografiche del
martirio di Cristina, aveva il suo fulcro iconico nell’immagine del
Cristo della piccola conca absidale, perfettamente incorniciata dal
ciborio, e forse comprendeva anche una serie di episodi neo e vete-
ro-testamentari, data l’ampia superficie a disposizione e la presenza
del tema apocalittico sulla parete contigua, scelto come rappresenta-
zione conclusiva di un ciclo evangelico a partire almeno dalla secon-
da metà dell’XI secolo.
Nell’abside l’impaginazione dei tre personaggi si dispiega in un
fondo ridotto all’essenzialità delle due campiture cromatiche ocra e
verde. Il Cristo giganteggia al centro superando di gran lunga le pro-
porzioni delle frammentarie figure laterali. In queste ultime sono da
riconoscere un apostolo, probabilmente il loro più autorevole rap-
presentante, Pietro, e la martire Cristina. Lo si intuisce, nonostante
l’esiguità dei brani superstiti, grazie alla differenziazione delle vesti,
l’una caratterizzata dal tradizionale abbinamento della tunica bian-
ca e del pallio rosa, tipico dell’iconografia apostolica, l’altra ricca-
mente decorata, come si confà ai santi martiri.
La figura del Cristo trova un’assonanza nell’immagine absidale
della basilica di Sant’Anastasio a Castel Sant’Elia (tav. 52 a) 53. Oltre
alla gestualità e alla postura, che appaiono assai simili, si ravvisa lo
stesso andamento delle pieghe del panneggio. Eppure le analogie
non sembrano andare al di là dell’impostazione di base. A Castel
Sant’Elia la veste del Cristo è contraddistinta da un accurato lineari-
smo che vuole esaltare la distinzione fra tunica e pallio. La prima è
percorsa da sottili linee rosse, interrotte soltanto dal clavio blu,
mentre il secondo è mosso da righe scure, curve e diritte, che si ade-
guano sapientemente all’anatomia della figura. A Bolsena, invece,
una linea nera riduce le pieghe della veste all’essenziale. La leggibili-
tà dell’immagine absidale, aderente a una superficie fortemente con-
cava e seminascosta dalle colonne del ciborio, è garantita dall’assen-
za di gradazione e velature nelle campiture di colore, che l’interven-
to di restauro ha riportato al vigore cromatico originario. Le linee
nere, larghe e corpose, che seguono i profili e tracciano le pieghe dei

P. Hoegger, Die Fresken cit., p. 26-36; F. Gandolfo, Aggiornamento cit.,


53

p. 257-260; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 167-178, fig. 144;


L. Miglio, Castel Sant’Elia cit., p. 19-32.

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 229

panneggi, servono a rimarcare le figure, stagliandole dal fondo. Ciò


che sembra unire il Cristo di Bolsena a quello di Castel Sant’Elia si
esaurisce nella mera imitazione di un modello comune, ripreso dal
tardo-antico. A tal proposito viene in mente il Cristo del mosaico ro-
mano dei Santi Cosma e Damiano, dell’epoca di Felice IV (526-
530) 54. Da un esempio del genere sembrano aver attinto gli artisti
medievali, sia per l’articolazione della figura che per la distribuzione
del panneggio 55. L’unico dettaglio che in Bolsena non collima con
l’immagine romana è l’assenza del codice, sostituito con il palmo
della mano aperto verso l’esterno. La variante potrebbe comunque
trovare una sua giustificazione, qualora venisse intesa come gesto ri-
volto ad esaltare la figura della martire Cristina con la quale, come
s’è detto, si può identificare il personaggio sulla destra.
Anche la presenza delle palme e dei pavoni tra i personaggi del-
l’abside attesta la ripresa di modelli paleocristiani. L’inserimento dei
due volatili potrebbe esser stato suggerito agli esecutori della pittura
da modelli conservati sotto i loro occhi. Nell’attigua cappella di San
Michele, infatti, si conservano due lastre con pavoni affrontati ad
una croce, provenienti, assai probabilmente, dalla recinzione mar-
morea che nel VI secolo venne a costituire l’apparato decorativo del
sepolcro della martire 56. Al di là della coincidenza iconografica, sor-
prende la somiglianza nelle proporzioni e nel taglio di profilo.
Agli ideali del cristianesimo delle origini s’ispira pure il pannello
votivo di San Giovanni a Pollo presso Bassano Romano (tav. 1 b,
fig. 4, p. 41), con le due coppie di santi affianco alla figura centrale
del Cristo. Giovanni e Paolo martiri e Pietro e Paolo apostoli si rivol-
gono rispettivamente l’uno verso l’altro, associati nel gesto di esibire
il lungo filatterio. Il convergere delle figure e il frammento d’iscrizio-
ne del cartiglio di sinistra, dove in passato fu possibile leggere FVE-
RINT SOCII, riecheggiano il tema della concordia apostolorum, tra-
dotto fin dall’epoca tardoantica nell’immagine dell’abbraccio dei
due apostoli 57, raffigurazione tornata in voga proprio nel periodo

54
G. Matthiae, Mosaici cit, I, p. 135-142; M. Andaloro, S. Romano, L’imma-
gine cit., paragrafo 2, a cura di M. Andaloro, p. 98-99. Contrariamente alle aspet-
tative, le decorazioni absidali di Roma, realizzate al tempo della Riforma grego-
riana, ignorano il modello dei SS. Cosma e Damiano : «Negletti i modelli paleo-
cristiani delle grandi basiliche, anche le tematiche teofaniche spariscono, e si
interrompe la catena delle riprese del modello dei Ss. Cosma e Damiano», Ibid.,
paragrafo 4, a cura di S. Romano, p. 108.
55
P. Hoegger, Die Fresken cit., p. 41-44.
56
L. De Maria, Testimonianze scultoree dal santuario di S. Cristina a Bolsena,
in Il Paleocristiano nella Tuscia, Roma, 1984, p. 141-165, spec. 145-150, figg. 2, 4-6;
D. Scortecci, La diocesi di Orvieto (Corpus della scultura altomedievale, XVI), Spo-
leto, 2003, p. 11-13, 51-68.
57
H. Kessler, The meeting of Peter and Paul in Rome : an emblematic narrati-

.
230 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

della Riforma 58. I versi esibiti dai santi Giovanni e Paolo, invece, al-
ludono all’antica tradizione che attribuiva loro la facoltà di portare
il sereno e la pioggia a seconda delle esigenze del raccolto e possono
quindi essere interpretati, sempre in linea con gli ideali riformistici,
come richiamo alla funzione nobilitante del lavoro dei campi 59.
Se i brani di Bolsena e il pannello di San Giovanni a Pollo danno
consistenza alla tesi di un renouveau paléochrétien come aspetto fon-
dante del repertorio figurativo prodotto nel solco della riforma gre-
goriana 60, l’altro fenomeno cardine di questa stagione artistica, che
consiste nel recupero di forme ed elementi ornamentali dalla tradi-
zione classica 61, s’incontra in un gruppo di testimonianze riferibili
ad un arco cronologico che oltrepassa la fine del pontificato grego-
riano fino a coprire almeno il primo quarto del XII secolo : si tratta
delle pitture di Norchia, Alatri, Magliano Romano e Vallepietra. Fin
troppo evidente è il loro apparentamento con la catena di esempi
pittorici d’arte riformata attestati a Roma e nel Lazio, il primo anel-
lo della quale viene in genere riconosciuto nella decorazione della
basilica inferiore di San Clemente 62 mentre i casi dell’Immacolata a

ve of spiritual brotherhood, in DOP, 41, 1987, 265-275; M. Guj, La concordia apo-


stolorum nell’antica decorazione di San Paolo fuori le mura, in F. Guidobaldi e
A. Guiglia Guidobaldi, a cura di, Ecclesiae Urbis, Atti del congresso internazionale
di studi sulle chiese di Roma, IV-X secolo, Roma, 4-10 settembre 2000, 3 voll., Città
del Vaticano, 2002, II, 1873-1892.
58
M. Viscontini, La figura di Pietro negli atti degli apostoli. Un caso particola-
re : la Cappella Palatina di Palermo, in L. Lazzari e A. M. Valente Bacci, a cura di,
La figura di San Pietro nelle fonti del Medioevo, Atti del primo convegno tenutosi in
occasione dello Studiorum universitatum docentium congressus, Viterbo-Roma 5-8
settembre 2000, Lovanio, 2001, p. 457-483.
59
Supra, p. 21. Sul valore positivo che il pensiero riformistico attribuisce al
lavoro dei campi : F. Sinatti D’Amico, Povertà e ricchezza nell’epoca gregoriana :
principî e istituzioni, in La preparazione della Riforma gregoriana e del pontificato
di Gregorio VII. Atti del convegno del Centro di Studi avellaniti, Fonte Avellana, 22-
24 agosto 1985, Urbino, 1986, p. 121-159, spec. p. 149. Una chiara allusione a Gio-
vanni e Paolo guardiani del cielo è presente nel dipinto della lunetta proveniente
dalla cripta della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo di Spoleto (oggi conservato
presso la Pinacoteca Comunale) e databile ai primi decenni del XIII secolo, che
raffigura i due santi mentre afferrano le ante di una porta spalancata al di sotto
di un clipeo con un Cristo benedicente e ai lati di due episodi agiografici :
U. Liebl, Nuovi contributi sugli affreschi più antichi della chiesa dei SS. Giovanni e
Paolo di Spoleto, in Spoletium. Rivista di arte storia e cultura, 36-37, 1992, p. 42-
61, spec. p. 49-51.
60
H. Toubert, Le renouveau cit.
61
Ibid., p. 101-112.
62
Eadem, Rome et le Mont-Cassin : nouvelles remarques sur les fresques de l’é-
glise inférieure de Saint Clement de Rome, in DOP, 30, 1976 (rist. in : H. Toubert,
Un art dirigé cit., p. 193-238), p. 1-33; F. Gandolfo, Aggiornamento cit., p. 262-
267; S. Romano, I pittori romani e la tradizione, in M. Andaloro, S. Romano, Arte
e iconografia cit., p. 133-173, spec. p. 145-148; C. Filippini, La leggenda di Sant’A-
lessio in San Clemente a Roma : genesi e funzione di una narrazione pittorica al

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 231

Ceri 63, San Pietro a Tuscania 64 e Sant’Anastasio a Castel Sant’Elia 65


rappresentano gli episodi extraurbani più spesso citati.
In San Vivenzio a Norchia il tema dell’Annunciazione è incorni-
ciato, sulla sinistra, da una colonna scanalata con capitello a foglie
d’acanto e sulla destra da una tortile sulla quale è stato dipinto un
mascherone che imita un decoro antico (tav. 9 b). L’edificio sullo
sfondo presenta un’alta abside e un fregio ad ovuli alludente a un ar-
chitrave classico. Elementi architettonici con lesene, mensole e ar-
cate contraddistinguono anche i fondali di alcune scene della grotta
degli Angeli a Magliano, del santuario della Trinità e del piccolo am-
biente voltato della chiesa di San Michele ad Alatri (tavv. 34, 35 a,
66, 67 b-c).
All’interno di quest’ultimo la scena del martirio di san Lorenzo
incontra stringenti analogie con il riquadro raffigurante il medesi-
mo episodio facente parte del ciclo dell’atrio di Santa Cecilia in Tra-
stevere, purtroppo perduto insieme a tutte le altre scene ad eccezio-
ne di una sola, ma noto grazie ad una copia seicentesca ad acquerel-
lo 66.
Dai cantieri romani al circostante territorio laziale si diffondono
anche i motivi dei fregi che incorniciano i cicli narrativi. Il partito
decorativo con girali d’acanto e piccoli fiori che corre lungo l’asse
centrale della volta della grotta di Magliano Romano si ritrova im-
mutato fra i riquadri degli affreschi di San Pietro a Tuscania 67. Quel-
li più geometrici ed elaborati del santuario della Trinità, invece, so-
migliano alle fasce ornamentali interposte agli episodi veterotesta-
mentari dell’Immacolata di Ceri 68.

Pannelli votivi e ridipinture (fine XII-XIII secolo)


Varcata la soglia del XIII secolo, all’interno degli ambienti rupe-
stri dell’area presa in esame la produzione pittorica diviene sporadi-
ca e spesso costituisce soltanto un’aggiunta a un intervento prece-
dente. Fatti salvi, infatti, i casi degli eremi di San Cataldo a Cottanel-
lo e Poggio del Conte a Ischia di Castro, sorti e decorati ex novo nei

momento della Riforma Gregoriana, in J. Enckell e S. Romano, a cura di, Rome et


la réforme grégorienne, Atti del Convegno, Lausanne 10-11 dicembre 2004, Roma, in
corso di stampa.
63
N. M. Zchomelidse, Santa Maria Immacolata in Ceri. Pittura sacra al tem-
po della Riforma Gregoriana, Roma, 1996; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio
cit., p. 159-165.
64
F. Gandolfo, Aggiornamento cit., p. 256-258; E. Parlato, S. Romano, Roma
e il Lazio cit., p. 179-194 («San Pietro a Tuscania», scheda a cura di E. Parlato).
65
Supra, nota 228.
66
Supra, p. 130.
67
Cfr. G. Matthiae, Pittura cit., II, fig. 35.
68
N. Zchomelidse, Santa Maria cit., p. 47-48, figg. 18, 25-26.

.
232 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

primi decenni del secolo, assistiamo generalmente all’inserimento di


uno o più riquadri di carattere devozionale.
Nella grotta di San Nicola a Capradosso, alla serie di santi dipin-
ta nell’avanzato XII secolo, ne viene aggiunta un’altra che può collo-
carsi senza indugio nella prima metà del successivo (tavv. 57 d,
58 a). Nel piccolo ambiente retrostante la chiesa di San Michele ad
Alatri, probabilmente nel corso del secondo quarto del XIII secolo,
un pannello con la Vergine orante fra santi si sovrappone, soltanto
in corrispondenza della zona centrale, a una scena con il martirio di
san Lorenzo dipinta circa mezzo secolo prima (tav. 67 a). Tra la fine
del XII secolo e i primi anni del XIII, i due santuari di Calvi e la chie-
sa rupestre di Santa Maria in Grotta a Rongolise, a pochi chilometri
l’una dalle altre, ricevono una serie di pannelli votivi con immagini
di santi in posa stante, alcuni dei quali tradiscono riflessi monrealesi
nel modo di tratteggiare i volti e nell’andamento dei panneggi. In
qualche caso è perfino individuabile un prestito dalla pittura su ta-
vola : sempre a Rongolise la Theotokos sulla parete destra, incorni-
ciata da una sontuosa struttura architettonica a cupola, fa pensare,
nel suo nucleo figurativo, alla replica di un’icona prodotta in un ate-
lier meridionale della prima metà del XIII secolo (tav. 78 b) 69. Lo
stesso si può dire per il pannello con il Cristo tra san Smaragdo e la
Vergine nella catacomba di San Senatore ad Albano che rivela alcu-
ne assonanze stilistiche con il trittico di Trevignano, databile al se-
condo quarto del XIII secolo, e rappresenta una «Deesis locale», va-
riante iconografica dove la figura del Battista viene sostituita da un
santo particolarmente venerato nel luogo, come accade, appunto, in
altre opere su tavola più o meno contemporanee (tav. 61 a) 70.
Non mancano casi di sovrapposizione di intonaco consistenti
nella stesura di un nuovo strato con il medesimo soggetto del prece-
dente, non si sa se concepita per ottemperare ai guasti della pittura
originaria o soltanto per presentare il tema in una versione aggior-
nata 71. Così, nella sala dell’altare del miracolo in Santa Cristina a
Bolsena, il Giudizio universale d’epoca gregoriana viene ricoperto
sul finire del ’200 con una raffigurazione che ne replica l’iconografia
(tav. 3 a). Analogamente, il ciborio della grotta di San Michele sul
monte Tancia, dipinto per la prima volta intorno alla metà dell’XI

69
Analogie fra la Theotokos di Rongolise e quella dell’abside della non lonta-
na Santa Maria in Foroclaudio sono state giustamente rilevate da Lucinia Specia-
le, L. Speciale, La Chiesa cit., p. 72. Una certa somiglianza si ravvisa pure fra il
pannello di S. Maria in Grotta e la tavola campana del museo dell’abbazia di
Montevergine : M. P. Di Dario Guida, Icone di Calabria e altre icone meridionali,
Messina, 1992, p. 106-107, figg. 60-61.
70
M. Andaloro, Note cit., p. 109-110.
71
Analoghi casi individuati in Puglia da E. Marcato, Pittura rupestre cit.,
p. 140-143.

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 233

secolo, viene rivestito da un nuovo strato, con la ripetizione puntua-


le di tutti i soggetti, nel corso di un intervento che abbiamo collocato
nel XIII secolo, anche se in questo caso l’esecuzione è così maldestra
che risulta difficile definirne la cronologia precisa (tav. 20 b).
Il caso della volta di Santa Maria del Parto presso Sutri è invece
emblematico della sopravvivenza ancora in epoca tardoduecentesca
di immagini iconograficamente radicate nella tradizione altomedie-
vale. Nonostante le lacune, in corrispondenza della zona presbiteria-
le si scorge un busto di Cristo benedicente fra i quattro simboli degli
evangelisti. Il volto dell’angelo-Matteo, meglio conservato, rivela la
mano di un artista che ha assimilato la lezione giottesca, eppure la
rappresentazione teofanica obbedisce a uno schema compositivo
che ritroviamo nel santuario di San Vivenzio a Norchia, nell’ambito
di un intervento decorativo dei primi decenni del XII secolo, e in un
episodio ancora più antico, la volta della Grotta del Salvatore a Val-
lerano, riferibile al X secolo (perduta ma documentata da vecchie
fotografie), soltanto che in quest’ultimo contesto il medaglione del
Cristo si trovava al centro di una croce gemmata mentre gli evange-
listi alle estremità dei quattro bracci (tavv. 9 c, 11 b, 14).
Sul soffitto piano della chiesa sutrina, accanto al Pantocratore
con il tetramorfo, ma solidale allo stesso strato pittorico, troviamo
un monumentale arcangelo Michele nella foggia dell’arcistratega ce-
leste, con la corazza e l’asta del labaro, fedele in tutto e per tutto al-
l’inveterata matrice iconografica bizantina (tav. 57 a) 72.

2 – SPECIFICITÀ DELLA PITTURA RUPESTRE

Se talvolta la pittura rupestre può sembrare del tutto accomuna-


bile alle decorazioni degli edifici sub divo per identità di funzione,
soggetto iconografico, resa stilistica e tecnica esecutiva, in determi-
nate circostanze la superficie rocciosa che delimita l’ambiente in cui
si trova contribuisce a farne un genere singolare 73.

72
C. Jolivet Lévy, Notes sur la répresentation des archanges cit., p. 121-128.
Per questo motivo, si crede, Francesco Gandolfo ha datato la pittura alla prima
metà del IX secolo : F. Gandolfo, Alla ricerca cit., p. 53-54.
73
Alcune riflessioni riguardo ai caratteri specifici della pittura rupestre in
Italia meridionale vennero espresse nel corso di un dibattito che fece seguito al-
l’intervento di Giuseppe Valentini nell’ambito del primo convegno curato da Co-
simo Damiano Fonseca : G. Valentini, L’iconografia rupestre e i suoi riflessi teolo-
gici e dottrinali, in C. D. Fonseca, La civiltà rupestre cit., p. 61-72, part. la Discus-
sione di G. Lodolo e C. D. Fonseca, p. 72-75. Al carattere aspecifico della pittura
rupestre in Italia meridionale, per quanto riguarda i temi iconografici e gli esiti
stilistici, ha fatto cenno Valentino Pace : V. Pace, Pitture rupestre cit., p. 404.

.
234 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Nell’ambito territoriale contemplato dalla presente ricerca si ri-


scontra sia l’uno che l’altro caso. A delucidazione del primo prendia-
mo l’esempio di San Michele a Fasani, dove i pannelli che aderisco-
no alle due concavità, scavate nel banco di tufo, potrebbero trovarsi
senza alcuna variazione di sorta all’interno di una struttura in mura-
tura 74. Entrambi, infatti, l’uno con l’immagine della Vergine orante
fra i santi Tommaso e Nicola, l’altro con il Cristo benedicente fra
l’arcangelo Michele e san Pietro, sembrano essere stati realizzati in
funzione di una conca absidale, nonostante la curvatura della parete
sia appena accennata (tavv. 73 c, 74 a). Anche il decoro geometrico a
semiluna, dipinto nella parte superiore delle due rappresentazioni,
non può prescindere dall’impaginazione iconografica di un’abside
(tav. 74 b). L’ambiente rupestre, nella fattispecie, non ha imposto
modifiche o varianti all’immagine che viene a trovarsi al suo inter-
no.

Interferenza della roccia


Il peso decisivo che la roccia può assumere nelle dinamiche del-
l’esecuzione pittorica emerge, invece, nell’ambito delle grotte natu-
rali, come quella di San Michele sul monte Monaco di Gioia 75.
Prendiamo in esame il tema dell’Annunciazione raffigurato al-
l’interno della grande nicchia che si apre sulla parete sinistra del-
l’imbotte (tav. 81 a, fig. 16, p. 235).
Nonostante la coltre di calcare che ricopre la superficie, a ben
guardare si discernono i tre personaggi che compongono la rappre-
sentazione. Occupa l’intero asse centrale la figura di Maria, raffigu-
rata in posa frontale dinnanzi al trono gemmato del quale si scorgo-
no l’alto dossale e il voluminoso cuscino lungo il fianco sinistro.
Ai lati sono ritratti, rispettivamente, l’ancella testimone dell’e-
vento e l’arcangelo Gabriele che incede verso la Vergine con il brac-
cio destro alzato a dare solennità all’annuncio. La scena, fin qui, non
ha nulla di insolito : la presenza dell’assistente, seppure non molto
frequente, ha precedenti anche nell’iconografia dei primi secoli del
Medioevo 76. L’originalità dell’opera sta tutta nella resa del fondo, do-
ve la roccia naturale della grotta viene a sostituire gli elementi che di
solito si impiegano per creare un paesaggio di ambientazione, vege-
tale o architettonico che sia.
Le proporzioni dell’annunciante sono ridotte in funzione del-
l’esiguo spazio che la superficie pittorica deve spartire con la roccia
sottostante a forma di collina. Il rilievo calcareo di destra, invece,

74
Supra, p. 153-155.
75
Supra, p. 164-167.
76
Supra, p. 59.

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 235

Fig. 16 – Monte Monaco di Gioia, Grotta di S. Michele,


restituzione grafica dell’Annunciazione
(le aree a tratteggio corrispondono alla roccia naturale lasciata a vista).

appare come una quinta scenica che ben si presta a rendere più rac-
colto il gruppo di personaggi.
Nell’insieme pare sia stata raggiunta, da parte degli esecutori del
dipinto, una soluzione di compromesso. Se da un lato, infatti, l’e-
mergere della roccia è andato a detrimento della superficie pittorica
e, quindi, ha obbligato a rimpicciolire le dimensioni della figura di
Gabriele, dall’altro ha offerto l’opportunità di sfruttare il rilievo na-
turale per conferire alla scena un effetto di profondità e realismo. Al
di là del livello qualitativo raggiunto non è facile stabilire se il rispar-
mio delle due sporgenze rocciose sia stato compiuto a vantaggio del-
l’immagine, nell’intenzione di impiegare entrambe come espedienti
naturali del paesaggio, oppure sia da attribuire all’inadempienza de-
gli artisti sprovvisti degli strumenti necessari per regolarizzare la su-
perficie sulla quale stendere l’intonaco.
Uno sguardo d’insieme alla piccola cappella, però, ci fa propen-
dere per la prima ipotesi. Sul lato opposto alla nicchia con l’Annun-
ciazione la superficie naturale della grotta crea una serie di balze e
increspature lungo le quali scivola l’acqua sorgiva. L’edificazione
della struttura muraria non ha nascosto il fenomeno carsico, anzi, si
può dire che l’abbia esaltato, come sta ad indicare la presenza di un
pozzo tuttora in funzione alla base dell’arco d’ingresso. Oltrepassato

.
236 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

l’accesso, un’ampia zona della parete destra dell’imbotte segue, sen-


za nemmeno scalfirlo, l’andamento curvilineo della roccia che viene
prepotentemente all’infuori.
La preservazione delle forme spontanee e irregolari della cavità
rocciosa è interpretabile, quindi, come atto volontario e la ragione di
quest’intenzionale incolumità non può che risiedere nel desiderio di
esaltare l’autenticità naturale della grotta. Proprio perché non fatta
da mano umana, quest’ultima è riconosciuta come opera divina e
perciò rivestita di una valenza sacrale 77.
In sostanza, quindi, dentro questo genere di spazi la pittura deve
fare i conti con una superficie che non è mero supporto 78. In un luo-
go di culto ricavato all’interno di una cavità rupestre la roccia perlo-
più è lasciata a vista perché memoria di una presenza legata al tra-
scendente : l’arcangelo Michele, un santo eremita, un episodio bibli-
co o un evento miracoloso. In ragione della sua valenza simbolica
essa acquista dignità estetica al pari della pittura che si trova al suo
interno. Se quest’ultima è sacra in quanto riproduce l’immagine del-
la santità, la roccia lo è perché rivela la sua origine divina nell’inte-
grità della forma e della materia.
Un caso assai più noto, eppure non adeguatamente osservato da
questo punto di vista, è il monastero del Sacro Speco di Subiaco 79.
Le cavità rocciose del monte Taleo, che già nell’altomedioevo aveva-
no assunto un carattere di sacralità grazie alla memoria dell’espe-
rienza eremitica di Benedetto che le aveva scelte come proprio rifu-
gio, vengono inglobate nell’edificio murario progettato e realizzato a
più riprese a partire dall’XI secolo. Anche in questo caso l’architettu-
ra non sacrifica la roccia naturale, anzi, enfatizza le asperità della
facies rupestre che emerge in più punti all’interno degli ambienti in-
terrompendo prepotentemente l’ardita ma razionale volumetria del

77
Supra, p. 20, 34-37, 194, 200.
78
Le riflessioni sul rapporto fra immagine e spazio sacro nel Medioevo sono
al centro di alcuni studi di Jean-Claude Bonne : «[...] la représentation médiévale
affiche de divers manières les liens qui l’attachent à son support : elle en épouse
le cadre, en évoque figurativement les fonctions, en exalte décorativement la va-
leur, en respecte la planéité, etc. Référence qu’on peut très globalement interpré-
ter comme une manière de révérence à l’égard des lieux sacrés où ces représenta-
tions prennent place» : J.-C. Bonne, Représentation médiévale et lieu sacré, in
S. Boesch Gajano, L. Scaraffia, a cura di, Luoghi sacri e spazi della santità, Tori-
no, 1990, p. 565-571 (p. 565); cfr. anche : Id., Entre l’image et la matière : la choséi-
té du sacré en Occident, in J.-M. Sansterre et J.-C. Schmitt, a cura di, Les images
dans les sociétés médiévales : pour une histoire comparée. Actes du colloque inter-
national organisé par l’Institut Historique Belge de Rome en collaboration avec
l’École française de Rome et l’Université Libre de Bruxelles, Rome, 19-20 juin 1998,
Roma, 1999 (Bulletin de l’Institut Historique Belge de Rome, LXIX), p. 77-112.
79
Supra, p. 119-125.

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 237

costruito 80 : non è certo a causa dell’imperizia che nelle cappella di


San Gregorio la decorazione pittorica si arresta bruscamente al
prorompere della roccia lungo la parete a destra dell’ingresso
(tav. 31 c), o che all’interno della Chiesa Superiore un grande arco
incornicia la superficie ruvida e frastagliata della montagna
(tav. 65 a). Riconosciutole il valore sacro, di materia aspra e selvag-
gia simbolicamente associata all’esperienza esicastica del fondatore
dell’ordine monastico, la roccia del monte Taleo è esibita nella sua
nudità.
Similmente, all’interno della grotta del monte Tancia le modifi-
che apportate dalla mano dell’uomo consistono quasi esclusivamen-
te nell’innalzamento del piccolo ciborio e nel taglio di un rudimenta-
le sedile per creare le condizioni necessarie e sufficienti all’officio
del rito liturgico (tav. 59 c). La pittura riveste soltanto le esigue su-
perfici murarie al di sopra dell’altare sulle quali converge l’occhio
del fedele dopo essersi abituato alla suggestiva penombra dell’an-
tro 81. Non lontana da quella del santuario del Tancia doveva essere
la soluzione adottata negli eremi sabini di Santa Romana sul Sorat-
te, di San Leonardo a Roccantica 82, e nella grotta di San Michele
presso Ninfa, dove la superficie pittorica, oggi purtroppo assai com-
promessa, si limita a rivestire i setti murari che recingono la zona
presbiteriale (tav. 71 a).

Tenuto conto del significato simbolico, della valenza spirituale e


della funzione estetica che la roccia dimostra di possedere in taluni
santuari rupestri, non va perso di vista il ruolo centrale della pittura.
Rischiarata dalla luce delle lampade che la sottraggono al repulsivo
buio delle tenebre, l’immagine sacra diventa il fulcro del santuario.
È un fenomeno che dal medioevo si protrae fino all’epoca moderna
come acutamente ha evidenziato Alphonse Dupront a proposito del-
la grotta di Lourdes : «Ici intervient l’imago, une représentation de
l’objet sacral ou de la figure sacrale. Que celle-ci soit indispensable à

80
M. Righetti-Tosti-Croce, Il Sacro Speco cit., p. 129-135; Eadem, L’architet-
tura cit., p. 75-76.
81
Supra, p. 83-86.
82
I due eremi sono stati visitati da chi scrive nel corso della ricognizione sul
territorio per il presente studio e tuttavia non inseriti nel catalogo per la perdita
pressoché totale delle testimonianze pittoriche : a Santa Romana, dove l’arredo
liturgico è stato distrutto, i resti di pittura sono ravvisabili in una fotografia di
Roberto Sigismondi (A. Pasquetti, La chiesa rupestre di Santa Romana, in Geoar-
cheologia. Periodico dell’Associazione geo-archeologica italiana, 2, 1995, p. 30-39),
a Roccantica, invece, la struttura d’altare è ancora in loco, ma sotto una coltre di
nerofumo le tracce di pigmento si scorgono appena (breve scheda e pianta della
grotta in : A. Felici, G. Cappa, Grotte cit., 8, p. 14-15).

.
238 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

fixer, nourrir, concentrer l’élan pèlerin, l’exemple de Lourdes encore


en témoigne; dans la Grotte des apparitions, la statue s’est très vite
imposée, nécessaire et comme naturelle; sans elle, devant les anfrac-
tuosités de la grotte que les yeux ouverts de la foule découvraient vi-
des, la prière eut été rapidement insupportable [...]» 83.
La statuetta della Vergine a Lourdes, la Theotokos con Bambino
fra sante, un tempo visibile sopra l’altare del santuario del Tancia o
il Cristo fra Pietro e Paolo nella grotta di Ninfa, incarnano la funzio-
ne di raffigurare il sacro all’interno di un luogo che per la sue oscure
anfrattuosità non può che incutere timore e provocare disorienta-
mento.

Persistenza del genere iconico


Preso atto delle interrelazioni che possono instaurarsi tra l’im-
magine dipinta e la roccia all’interno della grotta, occorre interro-
garsi sull’effettiva esistenza di un aspetto che in passato, specie in ri-
ferimento agli insediamenti rocciosi della Puglia, è stato più volte
evocato come tratto specifico e caratterizzante della pittura rupe-
stre, quello di una forte predominanza del genere iconico di contro
alla scarsa frequenza delle immagini di tipo narrativo 84. La casistica
offerta dalla serie di testimonianze pittoriche del nostro versante di
ricerca non smentisce questa circostanza : le scene figurate sono
senza dubbio una minoranza rispetto al numero di pannelli, prodot-
ti durante l’intero corso dell’età medievale, con santi in rigida posa
frontale. I personaggi sono perlopiù raffigurati nell’atto di compiere
con una mano il gesto della benedizione e con l’altra di sostenere sia
il libro, o il rotolo delle sacre scritture, sia la croce astile, una corona
o un attributo specifico del martirio. Quasi costanti sono l’ubicazio-
ne del pannello ad altezza d’uomo e l’esemplificazione del fondo ri-
dotto alla mera ripartizione in bande di colore evocanti uno spazio
paradisiaco. Accade spesso, inoltre, che alla base del riquadro venga
inserita una scritta con il nome del donatore nella formula ego...
pingere feci. Si tratta quindi di un’opera dovuta all’iniziativa di un
singolo devoto, al quale vediamo associarsi, in alcuni casi, una con-
sorte o un figlio (cum uxore mea; cum filio...) 85.

A. Dupront, Du sacré. Croisades et pèlerinages. Images et langages, Parigi,


83

1987, p. 391.
84
A. Prandi, Aspetti archeologici cit., p. 438-439; G. Valentini, L’iconografia
rupestre cit., p. 61-72; M. Falla Castelfranchi, La persistenza della tradizione iconi-
ca nella pittura rupestre di Puglia e della Basilicata, in La legittimità del culto delle
icone : Oriente ed Occidente riaffermano insieme la fede cristiana, Atti del 3o Conve-
gno storico interecclesiale, Bari, 11-13 maggio 1987, Bari, 1987, p. 297-314; V. Pace,
La pittura rupestre cit., p. 403-404.
85
La formula «ego... pingere feci» è stata riscontrata negli insediamenti rupe-

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 239

All’interno della Grotta dei Santi a Calvi, per citare uno degli
esempi più rappresentativi di questo fenomeno, il secondo strato
pittorico che intorno alla metà dell’XI secolo si è andato ad aggiun-
gere al precedente, sottintende l’accordo preso da un gruppo di fede-
li, i cui nomi sono riportati nelle iscrizioni collocate lungo il bordo
inferiore, per finanziare la riproduzione di una copiosa quantità di
santi in posa stante disposti uno accanto all’altro, affastellati, laddo-
ve non s’è trovato spazio, anche su due file sovrapposte. La produ-
zione seriale dei pannelli mostra chiaramente che in questo caso è
stata necessaria la partecipazione di più persone per promuovere un
intervento pittorico e probabilmente l’offerta di un unico fedele non
sarebbe bastata per metterlo in atto (tavv. 38 b-c, 39 a) 86.
Nonostante la tradizione iconica sia ben evidente in ambienti
rupestri, occorre ricordare che la produzione di pannelli votivi non è
mera prerogativa di questo genere di contesti e che il fenomeno è
nato altrove. La sua origine va infatti ricondotta al culto delle imma-
gini sacre che fra VI e VII secolo, specie in area greco-orientale, tro-
va la sua massima espressione nella produzione di icone su tavola
contenenti il ritratto di santi, della Vergine o del Cristo. Ad esse la
devozione popolare attribuiva il potere di compiere miracoli e guari-
gioni e la loro fortuna acquistò ben presto una tale risonanza da tra-
valicare il medium del supporto ligneo e affermarsi come genere di
pittura murale un po’ ovunque. Ne sono un celebre esempio i pan-
nelli musivi ubicati sui pilastri della basilica di San Demetrio a Salo-
nicco 87 : figure di santi in posa frontale, estranei ad un intervento
decorativo programmato, offerti in ex voto dal singolo fedele, in que-
sto caso di rango elevato.
Il fatto che i luoghi di culto rupestri continuino a prediligere il
genere delle immagini votive durante l’intero corso del medioevo, è
dovuto essenzialmente alla loro frequente funzione di santuari, luo-
ghi naturalmente predisposti ad ospitare forme di religiosità sponta-
nea, all’interno dei quali, venendo il più delle volte a mancare un ri-

stri di San Giovanni a Pollo, San Michele di Fasani, Santa Maria in Grotta a Ron-
golise, la grotta delle Fornelle e quella dei Santi a Calvi (cfr. supra, p. 40, 145, 148,
153, 160). Sull’argomento, anche in relazione al caso specifico della grotta dei
Santi di Calvi : P. Delogu, Patroni, donatori, committenti nell’Italia meridionale
longobarda, in Committenze e produzione artistico-letteraria nell’alto medioevo oc-
cidentale, 2 voll., Spoleto, 1992 (Sett.CISAM, XXXVI), I, p. 301-339, spec. p. 325-
326 e la Discussione sulla lezione di Delogu, p. 335-339; S. Piazza, La Grotta dei
Santi cit., p. 187-188.
86
Sulla produzione pittorica di tipo seriale, si veda : F. Crivello, L’immagine
ripetuta cit., p. 583-584.
87
E. Kitzinger, The Cult of Images in the Age before Iconoclasm, in DOP, 8,
1954, p. 83-150; H. Belting, Bild cit., p. 131-133.

.
240 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

gido controllo, il pannello iconico diventa l’unica immagine della


quale il fedele ha bisogno per rivolgere preghiere al santo protettore.

Eccentricità territoriale e scelte originali


Le stesse caratteristiche morfologiche delle cavità rocciose, per
altri versi, possono contribuire a rendere la pittura rupestre un ge-
nere con peculiarità sue proprie. L’irregolarità delle superfici che ac-
colgono gli interventi pittorici e le modeste proporzioni degli am-
bienti possono determinare una certa approssimazione nella dispo-
sizione delle immagini, con la conseguenza di un effetto d’insieme
poco armonico e della necessaria rinuncia alla completezza di un ci-
clo narrativo per insufficienza di spazio. Eppure, se da un lato i casi
presi in esame non arrivano al rigore compositivo, all’estensione e
alla complessità scenotecnica raggiunti all’interno di un edificio mo-
numentale – basti pensare ai tre riquadri del ciclo cristologico della
Grotta degli Angeli di Magliano Romano rispetto al dispiegarsi della
coeva narrazione biblica nella basilica dell’Immacolata di Ceri 88 –,
dall’altro non sono rari, fra le testimonianze, gli esempi rupestri che
presentano raffigurazioni assai singolari.
L’originalità che possiamo riscontrare nelle soluzioni adottate è
dovuta fondamentalmente all’eccentricità geografica che spesso ca-
ratterizza il santuario in rupe. Lo svincolamento dall’assidua vigi-
lanza da parte dell’autorità religiosa facilita, come abbiamo già det-
to, l’autarchica produzione di pannelli votivi, tuttavia al tempo stes-
so può contribuire al compimento di scelte insolite e ardite. Nel
santuario della Santissima Trinità di Vallepietra, ad esempio, ad
apertura della consueta sequenza di scene cristologiche accompa-
gnata nel registro sottostante dalla serie dei mesi dell’anno alternati
allo zodiaco, la decorazione pittorica ha previsto una grande imma-
gine triandrica che sarebbe arduo immaginare nell’abside di una
chiesa sub divo. Lo stesso vale per la Comunione degli apostoli della
Grotta del Salvatore a Vallerano, tema di matrice orientale del tutto
estraneo alla tradizione occidentale, e per la Crocifissione del san-
tuario micaelico del monte Monaco di Gioia, che l’ubicazione sulla
volta autorizza a definire un unicum (tavv. 56 c, 79 b) 89.
Sarebbe quindi un errore tacciare la pittura rupestre di imbar-
barimento per via della distanza geografica che la separa dalle aree
di inurbamento. Certo, in alcuni casi, come le pitture di Fasani e i
pannelli del secondo strato della Grotta dei Santi, entrambi dell’XI
secolo, siamo di fronte a un genere pittorico che non introduce novi-

88
N. Zchomelidse, Santa Maria cit., p. 53-78; E. Parlato, S. Romano, Roma e
il Lazio cit., p. 159-165 («L’Immacolata a Ceri», scheda a cura di S. Romano).
89
Supra, p. 167, 224-225.

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LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 241

tà ma pesca in un repertorio di forme convenzionali prodotto dalla


lenta assimilazione di stilemi bizantini e di motivi che rimandano
alla pittura romana di alcuni secoli addietro.
Vi sono tuttavia numerosi esempi che ci sorprendono per il livel-
lo evoluto del linguaggio figurativo adottato. Il pannello del presbi-
tero Gregorio in San Giovanni a Pollo con l’iscrizione che riecheggia
un inno liturgico, la Dormitio Virginis di Rongolise, la Vergine Nico-
poios del Sacro Speco di Subiaco, non possono che provenire da am-
bienti dotati di una cultura rivolta a tematiche religiose di un certo
spessore dottrinario (tavv. 65 b, 77 c, fig. 4, p. 41) 90.

L’infondatezza della teoria del ritardo


Non crediamo possibile sostenere, come invece è avvenuto spes-
so in passato, che la datazione della pittura rupestre vada posticipa-
ta di qualche decennio, rispetto alla cronologia desunta dal confron-
to con esempi monumentali, perché si tratta di opere lontane dai
centri urbani situate all’interno di ambienti poveri e disarmonici 91.
Fra i meriti degli studi promossi da Cosimo Damiano Fonseca vi è
quello di aver contrastato duramente il pregiudizio di un trogloditi-
smo degli insediamenti rupestri, che sono da intendere come forma
di civiltà alternativa al vivere in spazi costruiti 92.
Per questo motivo, non può essere condivisa, ad esempio, la
scelta di datare al secondo terzo dell’XI secolo il primo strato delle
pitture della Grotta dei Santi (tav. 71 b) e non al secolo precedente,
al quale appartengono le miniature del rotolo della Benedictio fontis
che con le figure del santuario rupestre campano mostrano evidenti
analogie 93. A supporto dell’ipotesi di postdatazione si alludeva allo
stile fluido e disinvolto dei soggetti del benedizionale, di contro alla
rigida reiterazione dei moduli formali e alla mancanza di sfumature
nelle campiture di colore della grotta di Calvi, argomentata sulla ba-
se di un invecchiamento dei saperi artistici tramandati da una gene-
razione all’altra 94. A nostro avviso si tratta di divergenze nella resa
formale che non intaccano significativamente il comune livello stili-
stico e che possiamo attribuire principalmente alla diversa natura
dei contesti. Se nel codice pergamenaceo l’esito formale è affidato al

90
Supra, p. 40, 119, 162.
91
Sul pregiudizio storiografico del «ritardo artistico» della «periferia» ri-
spetto al «centro», cfr. : E. Castelnuovo, C. Ginzburg, Centro e periferia, in Storia
dell’arte italiana, I (a cura di G. Previtali), Torino, 1979, p. 285-352.
92
Supra, p. 4-7.
93
H. Belting, Studien cit., p. 109-110. Successivamente lo studioso tedesco ha
ribadito la datazione all’XI per il primo strato delle pitture della Grotta dei Santi :
Id., Cimitile cit., p. 188.
94
Ibid., p. 109.

.
242 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

tratto corsivo della mano del miniatore, nel caso della Grotta dei
Santi l’intervento pittorico si misura con le difficoltà di una superfi-
cie di ampie dimensioni e forti irregolarità, alle quali si è cercato di
sopperire mediante l’impiego di sagome che permettono di evitare il
rischio di sproporzioni e asimmetrie, ma al tempo stesso, verosimil-
mente, concorrono a determinare l’effetto di fissità e ripetitività del-
le figure.
Anche dal punto di vista dei contenuti la pittura rupestre dimo-
stra spesso di essere al passo con quella degli edifici del sopraterra.
Prendiamo ad esempio il grande riquadro all’interno dell’eremo di
San Cataldo a Cottanello, databile al primo quarto del XIII secolo 95.
La presenza del tau, dipinto sulla veste del Cristo in trono, sorpren-
de per il suo carico di significati teologici (tav. 17 d). Ultima lettera
dell’alfabeto ebraico, simbolo della fine dei tempi, esso concorre a
un’interpretazione del tema raffigurato in chiave apocalittica 96 insie-
me ai segni della passione sul costato e sul palmo delle mani di Gesù
e agli attributi del martirio degli apostoli. Non ancora divenuto l’em-
blema dell’ordine francescano e raramente rappresentato in opere
medievali, il tau di Cottanello sta ad indicare l’immediato riflesso
degli stimoli culturali del tempo all’interno di un piccolo insedia-
mento eremitico della Sabina.
Perfino quando la resa è approssimativa e meno controllata, co-
me nel caso del pannello di XII secolo della grotta di San Nicola a
Capradosso, si individua comunque il tentativo di rifarsi a modelli
iconografici in circolazione nei cantieri pittorici dei contesti monu-
mentali 97. Nei tre santi più prossimi all’immagine della Vergine in
trono si intuisce la tipica postura che gli apostoli assumono nel tema
absidale dell’Ascensione 98. Le enigmatiche figure in corrispondenza
dei vela fanno pensare alle scene di genere del ciclo dei mesi alla ba-
se della decorazione parietale delle navate romaniche (tav. 16) 99. La
raffigurazione dell’Ecclesia è il sintomo della ricezione, in un luogo
lontano dal mondo civilizzato, di un tema che nel XII secolo cono-
sce una sua rinnovata fortuna100.

95
Supra, p. 76.
96
D. Vorreux, Tau cit., p. 15-40.
97
Supra, p. 70-73.
98
Si confrontino, ad esempio, i santi a sinistra della Theotokos del pannello
di Capradosso con quelli dell’abside di Sant’Angelo in Asprano, tavv. 57 d, 68 a).
99
Si vedano le scene superstiti nella fascia inferiore della navata di Ceri
(N. Zchomelidse, Santa Maria cit., p. 131-136) e del santuario di Monte Autore
(A. M. D’Achille, Gli affreschi cit., p. 41-63, part. p. 51-52).
100
H. Toubert, La représentation cit., p. 69-101 (rist. in : H. Toubert, Un art
dirigé cit., p. 37-63).

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LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 243

3 – DEGRADO E ISTANZE CONSERVATIVE

Trovandosi quasi sempre in ambienti privi di idonei sistemi di


chiusura e lontani dai centri abitati, la pittura rupestre è di frequen-
te esposta a un irreversibile processo di degrado, che negli ultimi de-
cenni ha purtroppo subito una forte accelerazione. Ai danni causati
da fenomeni naturali, come l’esposizione agli agenti atmosferici e
l’erosione della roccia, sono infatti subentrati sempre in maggior nu-
mero casi di furto e atti di vandalismo. Dei quarantadue siti oggetto
della presente ricerca, circa la metà versano in cattivo stato di con-
servazione a causa di eventi recenti.

Furti e commercio clandestino


Superfici pittoriche di diversa ampiezza sono state asportate
dalla grotta dei Santi e dalla Grotta delle Fornelle a Calvi, dall’eremo
di Poggio del Conte presso Ischia di Castro, dalla Grotta di San Sel-
mo a Civita Castellana, dal santuario di San Michele del monte Tan-
cia e dalla Grotta del Salvatore a Vallerano. Nei casi di Calvi e di
Poggio del Conte insieme alle porzioni di pittura i ladri hanno
asportato uno spesso strato di supporto roccioso recando così un
grave danno anche all’integrità della morfologia dell’ambiente101.
Nella Grotta dei Santi è stata portata via la parte superiore della Ver-
gine orante e dei ritratti di Simone, Cosma, Barbara e Giovanni Bat-
tista dipinti sulla parete destra dell’invaso centrale, presso l’altare
della zona di fondo. All’interno della Grotta delle Fornelle i furti
hanno interessato il grande riquadro con la Vergine in trono e la sce-
na della decapitazione del Battista, numerosi personaggi facenti
parte del pannello con l’Ascensione in corrispondenza della parete
di fondo e alcuni brani della cappellina laterale (tav. 40 b). Nell’ere-
mo di Poggio del Conte i ladri hanno staccato dalla volta tredici la-
stroni di tufo con i ritratti di Cristo e degli apostoli (tav. 8 c).
Meno estese sono le porzioni d’intonaco rubate sul Tancia, a Ci-
vita Castellana e a Vallerano. In quest’ultimo caso si tratta di un in-
tervento limitato a un’area circoscritta della scena della Comunione
degli Apostoli, corrispondente alla raffigurazione del libro gemmato
delle sacre scritture (tav. 56 c)102. Nel santuario micaelico è sparito
uno dei brani più integri del primo strato pittorico che riveste il ci-
borio, quello dell’evangelista Matteo nelle sembianze dell’angelo

101
Il caso della Grotta delle Fornelle venne segnalato da Valentino Pace
(V. Pace, La pittura rupestre cit., p. 403). Per il furto di Poggio del Conte : E. Pife-
ri, Affreschi cit., p. 79.
102
Si confronti la situazione attuale (fig. 95) con la fotografia pubblicata da
Achille Bertini Calosso agli inizi del ’900 (A. Bertini Calosso, Gli affreschi cit.,
tav. 5).

.
244 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

(tav. 60 b)103. Nella Grotta di San Selmo, invece, è stato asportato il


volto di Cristo sulla faccia esterna del pilastro centrale (tav. 7 a-b)104.
Sia per quanto riguarda le grotte campane che per l’eremo di
Poggio del Conte, alcune porzioni rubate sono state in seguito recu-
perate e ora si trovano esposte, rispettivamente, nel museo del-
l’Opera e del Territorio della Reggia di Caserta105 e in quello civico di
Ischia di Castro (tav. 7 d). Dei pezzi asportati negli altri siti laziali,
invece, resta soltanto la documentazione fotografica delle campagne
precedenti al furto.

Abbandono e incuria
Ai casi di depredazione si aggiunge, poi, un diffuso quanto scon-
solante fenomeno di abbandono e incuria. Le pitture dell’ipogeo di
Arpino, che erano state oggetto di un attento intervento di restauro
circa un trentennio fa106, sono investite da un flusso perenne d’acqua
che proviene dal soprastante acquedotto e produce estesi depositi di
carbonati sulle pareti dipinte ridotte ormai a uno strato biancastro
quasi indecifrabile (tav. 35 b). Lo stato conservativo della superficie
pittorica all’interno della Grotta di San Michele presso Ninfa, del
quale si interessò uno specialista come Paul Philippot, è addirittura
peggiore, dato che una coltre di muschi ha completamente deterio-
rato gran parte della decorazione presbiteriale (tav. 71 a)107. Lo stes-
so destino ha colpito la chiesa rupestre di Santa Fortunata a Sutri.
Ancor più grave è la condizione della Grotta di San Leonardo a
Castel Sant’Elia e di quella citata di San Salvatore a Vallerano, a
causa del pericolo di imminenti crolli del banco tufaceo nel quale
sono scavate (tav. 12 a). La prima, raggiungibile soltanto facendosi

Il furto dell’angelo del santuario del monte Tancia non è anteriore al 1985,
103

dato che la figura risulta integra nella fotografia a colori, a firma di Corrado Fan-
ti, del corredo illustrativo al saggio introduttivo di Marina Righetti Tosti-Croce
del volume «La Sabina medievale» : M. Righetti Tosti-Croce, Linee artistiche cit.,
fig. 17.
104
Il volto del Salvatore della Grotta di San Selmo è stata asportato alla metà
degli anni ’70 del secolo scorso : J. Raspi Serra, Insediamenti rupestri cit. p. 59,
n. 1.
105
Cfr. A. M. Romano, La Grotta cit., p. 222; C. Celentano, Frammenti di af-
fresco cit., p. 225-227.
106
Si veda la scheda a cura di Enrico Parlato presso l’archivio della Soprin-
tendenza per i Beni Artistici e Storici del Lazio, cfr. supra, p. 131, nota 453.
107
Paul Philippot visitò la grotta di Monte Mirteto nell’ambito di una campa-
gna di restauri che coinvolse il vicino complesso monumentale dell’oasi di Ninfa
(P. Philippot, Préface a M. L. Hadermann, Images de Ninfa. Peintures médiévales
dans une ville ruinée du Latium, Roma 1986, p. 13-15; Id., La conservazione degli
affreschi di Ninfa, in Ninfa. Una città, un giardino. Atti del colloquio della Fonda-
zione Camillo Caetani, Roma, Sermoneta, Ninfa, 7-9 ottobre 1988, a cura di L. Fio-
rani, Roma, 1990).

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 245

largo fra i massi già caduti dalla falesia e la fitta vegetazione sponta-
nea, presenta ampi distacchi della roccia e profonde fessurazioni
che attraversano la volta dell’ambiente principale. La seconda, già
vittima di una frana alla fine dell’800, che ha trascinato a valle la
parte anteriore dell’insediamento, rischia di andare completamente
perduta visto il progredire del fenomeno di erosione e la totale espo-
sizione agli agenti atmosferici108.

Usi impropri e decontestualizzazione delle pitture


Vi sono, poi, situazioni di utilizzo improprio degli ambienti ru-
pestri che ospitano le pitture. A san Giovanni a Pollo, il pannello con
il Cristo fra le due coppie di apostoli e martiri, coabita insieme agli
strumenti agricoli e i frutti del raccolto del proprietario del terreno
(tav. 1 b). Il muro con i resti di pittura dell’insediamento di Sant’Ip-
polito a Civita Castellana funge da recinzione ad un pollaio chiuso
da una cancellata109. La grotta di San Mauro sul Monte Taburno è
utilizzata dai pastori come ricovero di bovini (tav. 46 a).
Fra le misure adottate dagli organi competenti per la salvaguar-
dia delle pitture è stata talvolta usata la più drastica, vale a dire lo
stacco delle superfici dipinte, l’allettamento su altro supporto e l’ubi-
cazione in un museo o in un deposito. Se l’intervento di distacco po-
ne fine, il più delle volte, al processo di deterioramento dei brani pit-
torici, esso non fa che accelerare il degrado dell’ambiente d’origine
che, privato della testimonianza figurativa, diviene luogo anonimo
abbandonato a se stesso.
L’esempio forse più significativo, sul quale solo di recente è sta-
ta posta la debita attenzione nonostante la notorietà delle pitture, è
la Grotta degli Angeli a Magliano Romano. Scoperto da Federico
Hermanin all’inizio del ’900, il santuario di Magliano, rarissimo caso
laziale di chiesa rupestre con pregevoli elementi architettonici sca-
vati nel tufo, si presentava allora nel suo assetto originario, con l’an-
tico altare di marmo, la coppia di colonne con capitelli in stile ioni-
co, la volta a botte e la parete sopra i tre archi interamente decorate
(tav. 22 a)110. Nel 1939 le pitture vennero staccate, portate a Roma e
collocate prima presso la galleria di palazzo Corsini e poi in una sala
del museo di Palazzo Venezia111. Soltanto nel 1990 sono state rispedi-

108
Il 23 aprile del 2002, a Vallerano, la cooperativa «Valorart» di Viterbo, ha
organizzato un sopralluogo alla Grotta del Salvatore e una tavola rotonda con
storici dell’arte, tecnici, amministratori civici e provinciali, funzionari della So-
printendenza, per discutere sul tema : Gli Affreschi della Grotta del Salvatore a
Vallerano : prospettive e proposte di restauro, conservazione e valorizzazione.
109
Supra, nota 51, p. 52.
110
F. Hermanin, La Grotta cit., p. 1-11.
111
E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio cit., p. 322-323.

.
246 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

te a Magliano Romano, ma non ricollocate nella chiesa rupestre,


bensì ancorate senza alcun criterio espositivo alle pareti della chiesa
parrocchiale di San Giovanni Battista112. Private del loro contesto e
staccate in cinque pannelli, hanno perso l’ordine dispositivo origina-
rio, cosicché, per ricostruire mentalmente l’assetto primitivo ci si
deve basare su una fotografia d’archivio113. Nel suo totale abbando-
no, la chiesa rupestre, conosciuta soltanto da pochi locali e immersa
nella vegetazione infestante, ha subito un grave processo di degrado
(tav. 22 b). L’altare marmoreo è stato portato altrove, l’ambiente
principale risulta interrato di molto e una delle due colonne è anda-
ta perduta quasi del tutto a causa dell’erosione. L’altra, insieme al-
l’intradosso dell’arco centrale, conserva gli unici resti della decora-
zione pittorica ancora in situ, un motivo fitomorfico in nero su fon-
do bianco con volatili stilizzati in rosso.
Il caso di Magliano Romano non è purtroppo isolato. Una situa-
zione analoga si è incontrata a Capradosso, dove gli inediti dipinti
della grotta di San Nicola sono stati staccati negli anni ’70 del secolo
scorso e collocati nel museo del convento della Beata Filippa Mareri
in Borgo San Pietro, distante dal sito rupestre una decina di chilo-
metri (tavv. 57 d, 58 a)114. Nel nuovo allestimento museale i due
grandi pannelli con figure di santi in posa frontale, appartenenti l’u-
no al XII e l’altro al XIII secolo, sono stati infelicemente collocati in
uno spazio così angusto che non è possibile averne una visione d’in-
sieme frontale. L’esposizione, che a differenza di quella di Magliano
Romano sembra tutt’altro che provvisoria, non è accompagnata da
alcuna didascalia di riferimento, né tanto meno da un pannello che
ne indichi la provenienza e l’ubicazione nell’ambiente d’origine.
Quanto a quest’ultimo, che fino all’800 sappiamo essere stato meta
di fedeli devoti al santo titolare provenienti dai paesi limitrofi, ora è
tornato ad essere una nuda cavità nella roccia con i segni evidenti
dello stacco delle pitture che ha risparmiato alcuni elementi decora-
tivi dei bordi e ha messo in evidenza lo strato di supporto costituito
da un allettamento di malta e pietrisco.
Un intervento di distacco parziale della superficie pittorica, li-
mitato cioè soltanto ad un’area circoscritta della decorazione di un
ambiente, ha interessato gli insediamenti di Santa Fortunata a Sutri

112
Ibid.
113
La fotografia riprodotta nella tavola 22 proviene dalla fototeca dell’Istituto
Centrale per il Catalogo e la Documentazione (no 23252). Sulle vicende conserva-
tive delle pitture di Magliano : P. Rotondi, Gli affreschi di Magliano cit., p. 288-
292 (rist. in P. Chiricozzi, Magliano cit., p. 71-79; S. Moretti, Alle porte di Roma
cit., p. 110).
114
Lo stacco delle pitture di Capradosso, il loro restauro e musealizzazione,
sono segnalati nella Guida d’Italia del Touring Club Italiano (Lazio, Milano 1981,
rist. 1999, p. 464).

.
LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 247

e Sant’Angelo in Asprano a Roccasecca115. Nel primo caso si tratta


dell’immagine di un santo con mitria papale e la figurina di un com-
mittente inginocchiato ai suoi piedi (tav. 10 b)116. Proveniente dal pi-
lastro destro della zona presbiteriale, il pannello è stato collocato nel
museo civico della città. Anche se decontestualizzato, esso costitui-
sce ormai la testimonianza pittorica più rappresentativa della chiesa
sutrina, dato che i brani pittorici ancora in situ si leggono solo in
aree limitate a causa della coltre di muschio che, come s’è detto, ha
infestato le pareti dell’edificio.
Diversa è la situazione della chiesetta semirupestre di Sant’An-
gelo in Asprano, provvista di un cancello di protezione e in buono
stato di conservazione. Al suo interno la conca absidale ospita due
strati pittorici sovrapposti. Sotto l’intonaco di XII secolo, che raffi-
gura un’Ascensione, si scorge un’ampia porzione della decorazione
originaria, con immagini di santi che affiancavano, probabilmente,
la figura del Cristo. È assai verosimile, data l’identità di alcune cam-
piture cromatiche, che a questo primo intervento decorativo appar-
tenesse anche il pannello un tempo sulla parete di fondo del transet-
to destro, raffigurante una Crocifissione, oggi custodito nella chiesa
di Santa Maria delle Grazie della vicina Caprile (tav. 69 b). La pittu-
ra, che nonostante le lacune è possibile attribuire a un intervento
anteriore al Mille, probabilmente all’avanzato X secolo, è stata sot-
tratta per decenni all’attenzione degli studiosi che hanno visitato il
santuario, tanto da rimanere praticamente inedita fino a tempi re-
centissimi117.
Il panorama che abbiamo tracciato ci spinge a un’amara consi-
derazione : nelle attuali condizioni di diffuso degrado e stato di ab-
bandono dei contesti studiati, l’intervento dello stacco della superfi-
cie pittorica, che è comunque da considerarsi un metodo distruttivo
e dovrebbe essere adottato solo nella totale impossibilità di trovare
misure alternative meno traumatiche, è risultato talvolta l’unico
mezzo efficace per assicurare la salvaguardia del patrimonio della
pittura rupestre. È evidente che le pitture di San Nicola presso Ca-
pradosso e di Santa Fortunata a Sutri, se non fossero state alienate
dal loro ambiente d’origine e portate in un luogo protetto sarebbero
state esposte al rischio continuo di furto, atti vandalici e deteriora-
mento naturale.
Purtroppo, gli interventi di valorizzazione dei monumenti rupe-
stri, sia attraverso i mezzi stampa sia mediante la creazione di itine-

115
Supra, p. 63, 138-139.
116
S. Maddalo, Suggestioni da un frammento cit., p. 623-632.
117
Il pannello staccato è stato segnalato da F. Riccardi, La chiesa rupestre
cit., p. 248-249 e solo di recente ha ricevuto la dovuta attenzione (P. Mathis,
Chiesa di Sant’Angelo cit., p. 76-78).

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248 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

rari turistici, mettono ancor di più a repentaglio l’incolumità delle


pitture, perché le rendono maggiormente visibili e facile preda del
mercato antiquario che può agire indisturbato nei luoghi più isolati
e ha un raggio d’azione internazionale, tant’è che le pitture di Calvi
sono state recuperate negli USA e quelle di Ischia di Castro nelle ma-
ni di «un collezionista svizzero»118. Va da sé che sistemi di chiusura
con inferriate, impianti di allarme e sorveglianza, in luoghi spesso
isolati e montani, sono improponibili o inefficaci.

Il recupero del valore d’uso

Guardiamo, allora, a un raro esempio positivo quale è quello


dell’insediamento di Santa Maria in Grotta a Rongolise (tav. 44 a). Il
santuario campano, pur distante qualche chilometro dal centro abi-
tato e ubicato in un territorio dove vige ancora, purtroppo, un alto
livello di degrado119, dopo il delicato e complesso intervento di re-
stauro di circa un decennio fa, è stato affidato alla cura dei locali e
del parroco del paese120. Il recupero dell’antica funzione cultuale di
questo ambiente rupestre ha permesso di portare a termine un inter-
vento di rivitalizzazione del monumento permettendo in tal modo di
conservarne il pregio storico-artistico. Per santuari come quelli della
Grotta dei Santi a Calvi, di Capradosso, di Avella, del monte Monaco
di Gioia, di Castel Sant’Elia, dove il ricordo di processioni e pratiche
devozionali non è ancora tramontato del tutto121, il caso di Rongolise
potrebbe rappresentare un esempio da imitare.
Non sempre, d’altra parte, la devozione dei fedeli garantisce la
tutela e la valorizzazione delle testimonianze pittoriche dei luoghi di
culto in grotta. Emblematico è il caso del santuario della Santissima
Trinità del Monte Autore, meta di incessanti pellegrinaggi, ma an-
che oggetto di studio da parte degli storici dell’arte per le pitture me-

E. Piferi, Affreschi cit., p. 79.


118

D. Ceglie, La Provincia di Caserta : un esempio unico di distruzione e stra-


119

volgimento dell’ambiente e del territorio, in M. Rosi, a cura di La fascia costiera del-


la Campania (Ricerca sulle coste del Tirreno meridionale), Napoli, 1999, p. 233-
238.
120
All’indomani dell’intervento conservativo che nei primi anni ’90 del secolo
scorso ha interessato il complesso degli ambienti rupestri e le pitture di Santa
Maria in Grotta, un’analisi del monumento, includente gli esiti del restauro, è sta-
ta presentata da Giuseppina Torriero, relativamente agli spazi architettonici, e da
Lucinia Speciale, per quanto riguarda le pitture : G. Torriero, Santa Maria in
Grotta cit., p. 39-46; L. Speciale, Le pitture cit., p. 63-80.
121
Nella Grotta dei Santi a Calvi e nei santuari micaelici del Monte Monaco
di Gioia e di Avella, si conservano ancora oggi tracce di un culto risalente a qual-
che decennio fa. A Castel Sant’Elia, l’eremo di San Leonardo venne riconsacrato
nel 1894 e di processioni alla grotta di Capradosso sappiamo da una testimonian-
za lasciata da un erudito locale (cfr. supra, nota 137, p. 70).

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LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRODUZIONE ARTISTICA 249

dievali che vi si conservano (tav. 32 c)122. Al suo interno la nota im-


magine trinitaria e le scene cristologiche sono seminascoste da infis-
si inamovibili in alluminio anodizzato e soffocate da uno strato di
intonaco moderno ricoperto da ex voto. Anche se in quest’ultimo
contesto occorrerebbe intervenire sulla gestione del santuario per
assicurare il rispetto delle istanze storico-artistiche e assicurare una
corretta fruizione, proprio la sopravvivenza del «valore d’uso», teo-
rizzato un secolo fa da un pioniere della storia dell’arte come Alois
Riegl, sembrerebbe garantire la conservazione di questo genere di
monumenti123.
Per quanto urgentissimi risultino gli interventi di restauro sulle
pitture rupestri e i loro contesti, necessari a far fronte ai danni dovu-
ti all’erosione della roccia e ai dissesti geologici, agli effetti dannosi
degli agenti atmosferici e ai furti e agli atti vandalici, un programma
di tutela sulla lunga durata non sembra poter rinunciare a un’azione
di sensibilizzazione della popolazione locale tesa alla salvaguardia
del monumento inteso come bene culturale della collettività124.

122
Supra, p. 125-128.
123
A. Riegl, Progetto di un’organizzazione legislativa della conservazione in Au-
stria, in S. Scarrocchia, a cura di, Alois Riegl : teoria e prassi della conservazione
dei monumenti. Antologia di scritti, discorsi, rapporti (1898-1905), Bologna, 1995,
p. 173-236, spec. p. 193-196.
124
Sui problemi relativi al biodeterioramento degli ambienti rupestri, anche
in riferimento a contesti che presentano pitture medievali al proprio interno, si
rinvia al recente contributo di G. Caneva, M. P. Nugari, O. Salvadori, a cura di,
La biologia vegetale per i beni culturali, 2 voll., I (Biodeterioramento e Conservazio-
ne), Firenze, 2005, spec. i paragrafi «Tombe, catacombe e altri ipogei», a cura di
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284 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

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.
INDICE DEI LUOGHI

Acuziano, monte, 77, 82-83, 183, 214- Borgo San Pietro


215 Convento della Beata Filippa Mare-
San Martino, eremo e ipogeo, 77, ri, museo, 71, 73, 246
78 n., 82, 214 Bucciano, 169
Alatri Bufoni, monte, 175
«Cripta» di San Michele Arcangelo,
7, 128, 130, 131 n., 230-231 Cajazzo, 7 n.
Albania, 2 Calvi (Cales), 7 n., 148
Albano Grotta dei Santi, 22, 145-146, 154,
Catacomba di San Senatore, 86, 162-163, 169, 172 n., 173, 183 n.,
87 n., 92, 204, 232 201-202, 217-220, 222-223, 232,
Alife (Aliphem), 195 239-243, 248
Altamira, 1 Grotta delle Fornelle, 145, 148,
Ardea, ipogeo, 105 150 n., 152, 183, 201, 232, 243
Armenia, 3 Cappadocia, 1, 3, 25, 27, 30 n., 33
Arpino (Arpinum) Bahattın kilise, 59 n.
Ipogeo di San Michele Arcangelo, Göreme, 3
19, 129, 131-132, 135, 195, 199, 211, Ürgüp, 3
244 Capradosso
Asprano, v. Roccasecca Grotta di San Nicola, 70, 73, 232,
Ausonia 246-248
Cripta di Santa Maria del Piano, Capranica, 51
152, 179 Caprile
Autore, monte, v. Vallepietra Santa Maria delle Grazie, 135, 138,
Avella 247
Grotta di San Michele, 148, 170, Capua, 7 n., 146, 195, 217
195, 221-222, 248 San Michele a Corte, 146
Santi Rufo e Carponio, 172 n., 219
Barbarano Romano Carinola, 7 n., 160, 186-187
Grotta di San Simone, 39 Carneas, 15
San Giuliano, necropoli, 39 Caserta, 7 n., 185
Bassano Romano Reggia, Museo dell’Opera e del Ter-
San Giovanni a Pollo, 5-6, 21, 40, ritorio, 149, 244
43, 229-230, 241, 245 Caserta Vecchia
Bawit, 96 San Pietro ad Montes, 225 n.
Benevento, 8 n. Castel Campagnano, 8 n.
Betlemme, 14 Castellammare di Stabia
Blera, 58 Grotta di San Biagio, 135 n., 172 n.,
Bolsena 183
Catacombe, sala del Miracolo, v. Castel Sant’Elia, 190
Grotta di Santa Cristina Ceri
Grotta di Santa Cristina, 43-47, Chiesa dell’Immacolata, 127, 231,
204-205, 211, 227-230, 232 240
Bominaco Chonae, 192-193
Chiesa di San Pellegrino, 72-73, Ciesco Alto, monte, 170
131 n. Cimitile, 67 n., 151 n.

.
288 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Oratorio dei SS. Martiri, 218 Hebron, 15


Cipro
Chiesa della Panaghia Anghelokti- Irpinia, 177
stos, 200 Ischia di Castro
Civita Castellana, 52, 243 Eremo di Poggio del Conte, 56, 212,
Colle del Vignale, 52 231, 243-244, 248
Duomo, 52 n. Museo civico, 57, 244
Grotta di San Cesareo, 52, 54
Grotta di Sant’Ippolito, 52 n., 245 Kellia, complesso monastico, 82, 215
Grotte di San Selmo, 54, 55 n., 243
Città del Vaticano Laodicea, 193
Basilica di San Pietro, 143 Lascaux, 1
Oratorio di Giovanni VII, 118 Lentini
Colli Albani, 30 Grotta del Crocifisso, 51
Colosse, 193 Libano, v. Qabr Hiram
Costantinopoli, 214 Limoges, 191
Monastero delle Blacherne, 121 Londra
Cottanello British Museum, 89
Eremo di San Cataldo, 74-76, 212, Lourdes, 237-238
231, 242
Creta, 19 n. Magliano Romano
Chiesa di San Giovanni Battista,
Eleona, monte, 15 90, 246
Grotta degli Angeli, 32, 37, 60, 90,
92, 93 n., 230-231, 240, 245-246
Faicchio, 164 Chiesa di S. Arcangelo de Malliano,
Falerii Veteres, 53 93
Farfa, 77, 83, 214 Maiori
Fasani Santa Maria de Olearia, 172 n.
Grotta di San Michele, 148, 153-154, Malta, 207
201, 222-223, 234, 240 Massico, monte, 186
Foglianise Cella sancta crucis, 158
Grotta di San Michele, 35 Eremo di San Martino, v. Grotta di
Foroclaudio, v. Ventaroli San Martino
Francigena, via, 205, 211 Grotta di San Martino, 35, 155, 185-
187, 190, 208, 209 n., 215-217
Gaeta, 155, 222 Mirteto, monte, v. Ninfa
Gargano, monte, 25, 35, 193-196, 202 Monaco di Gioia, monte
Santuario di San Michele arcange- Grotta di San Michele, 34-35, 164,
lo, 35, 193, 202 195, 197, 200, 211, 224, 234, 240,
Garigliano, 160 248
Georgia, 2 Montecassino, monastero, 135, 159,
Gerusalemme, 16, 18 166, 183 n., 185, 217, 224, 226
Cappella dell’Invenzione della San- Monteleone Sabino, 24
ta Croce, 15 n. Montoro inferiore
Golgotha, 14-16, 204 Grotta di San Michele, 175, 195
Grotta del Getsèmani, 15, 204 Mont-Saint-Michel, 196
Grotta della Natività, 15, 204 Monza
Grotta dell’Ascensione, 204 Tesoro del Duomo, 13-14
Rotonda dell’Anastasis, 16 Motilla, monte : v. Acuziano
Santo Sepolcro, 15
Gioia Sannitica, 8 n. Napoli, 217
Gornate Superiore Catacomba di San Gennaro, 96
Chiesa di S. Michele, 223 Nazareth, 15
Grisolia, 197 n. Nebo, monte, 16

.
INDICE DEI LUOGHI 289

Nepi, 52 – di Santa Cecilia in Trastevere,


Chiesa di San Biagio, 93 130, 231
Ninfa – di Santa Maria in Trastevere,
Grotta di Sant’Angelo, 7, 19, 35, 40
139, 141, 195, 202, 237-238, 244 – di Santa Maria Maggiore, 40
Monastero di Santa Maria, 141 Campidoglio, 23
Norchia, 60 Cappella dei Santi Primo e Felicia-
Grotta di San Vivenzio, 21, 25, 38, no (Santo Stefano Rotondo), 104,
57-58, 60, 64, 202, 211, 230-231, 233 119
Cattedrale di San Pietro, 60 n. – dei Santi Quirico e Giulitta (Santa
Maria Antiqua), 114
Ochride – di San Venanzio (Battistero Late-
Santa Sofia, 122 ranense), 113
Olevano sul Tusciano, santuario mi- Castel Sant’Angelo, 196
caelico, 37, 196 Catacomba di Commodilla, 93
Chiesa dell’Angelo, 139, 148 – di Felicita, 98-100
Osios Loukas, monastero, 172 – di Generosa, 100
– di Lucina, 93
Palermo – di Ponziano, 31 n., 103, 203, 207,
Cappella Palatina, 51 n. 212
Santa Maria dell’Ammiraglio, 163 – di San Calepodio, 105
Palestina, v. Terrasanta – di San Callisto, 18, 111, 208
Pantalica, 30 n. – di San Sebastiano, 204
Parenzo – di San Valentino, 114, 206
Basilica Eufrasiana, 96 Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo,
Poggio del Conte, v. Ischia di Castro 135
Prata Principato Ultra – di San Crisogono, 223
Basilica dell’Annunziata, 9 n., 177, – di San Gabriele sull’Appia, 105
204-205, 211, 217 – di San Giovanni a Porta Latina,
Grotta dell’Angelo, 177 167 n.
Preturo, 175 – di San Gregorio al Celio, 61
Puglia, 2 n., 3, 25, 31 n., 33, 196, 238 – di San Martino ai Monti, 22
– di Santa Bibiana, 102 n.
Qabr Hiram – di Santa Maria Antiqua, 68, 102,
Chiesa di san Cristoforo, 81-82, 214 114, 118, 121, 221
Quindici, 151 n. – di Santa Susanna, 99
– di Sant’Urbano alla Caffarella, 50,
Ravenna 68 n.
Sant’Apollinare Nuovo, 96 Cimitero di Ermete, 50
Reun, 57 – di Massimo, v. Catacomba di Feli-
Roccantica cita
Eremo di San Leonardo, 237 Cripta di Santa Cecilia, v. catacom-
Roccasecca ba di San Callisto
Grotta dello Spirito Santo, 35 – di Lucina, v. catacomba di San
Sant’Angelo in Asprano, 36, 135- Callisto
137, 195, 200, 211, 226, 247 Foro Romano, 23
Roma, 18, 23, 130, 204, 223-224, Mole Adriana, v. Castel Sant’Angelo
229 n., 230 Museo di Palazzo Venezia, 245
Basilica dei Santi Cosma e Damia- Sancta Sanctorum, 13, 197 n.
no, 229 Sepolcro di papa Cornelio, v. cata-
– di San Clemente, 224, 230 comba di San Callisto
– di San Giovanni in Laterano, 143 Rongolise
– di San Lorenzo fuori le mura, 130 Santa Maria in Grotta, 10, 145, 160-
– di San Paolo fuori le mura, 93, 164, 202, 209, 217, 220, 232, 241,
143 248

.
290 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Sabina, 24, 83, 242 Sutri, 19, 51-52


Salonicco, 239 Cella Sanctae Fortunatae, 61-62
San Martino, eremo, v. Acuziano Chiesa di Santa Fortunata, 37, 61,
San Marzano 244, 246-247
Chiesa di Santa Maria delle Grazie, Museo civico, 247
v. Taranto Santuario di Santa Maria del Parto,
Santa Maria in Foroclaudio, v. Venta- 9 n., 19, 63, 195, 202 n., 233
roli
Sant’Angelo, monte, v. Gargano Taburno, monte
Sant’Angelo in Formis, 148, 152, 164, Grotta di San Mauro, 21, 35, 167,
181, 225 245
San Vincenzo al Volturno, abbazia, Grotta di San Simeone, 21, 169,
186, 217 209 n.
Cripta di Epifanio, 180 Taleo, monte, 119, 189-190, 236
Saqqara, 96 Tancia, monte, 86 n.
Serbia, 2, 25 Ecclesia sancti Angeli, 86
Sessa Aurunca, 7 n., 148, 160 Grotta di San Michele, 19, 23, 83,
Sinai, 16, 212 195, 199, 208, 209 n., 232, 237, 243
Siponto, 25, 60 Taranto, 75 n.
Siracusa San Marzano, chiesa di Santa Ma-
Catacombe di San Giovanni, 18 ria delle Grazie, 33 n.
Siria, 81, 83, 184, 214-215, 217 Cattedrale, 75
Soratte, monte, 24, 86 n. Teano (Teanum), 7 n., 195
Eremo di Santa Romana, 237 Tebaide, 81-82, 181-182
Spoleto Terra di Lavoro, 7
Santi Giovanni e Paolo, 230 n. Terrasanta, 13-14, 17-18, 75 n., 122 n.,
Staffoli, 70 n. 172, 190, 222
Subiaco Tivoli
Grotta di Chelidonia, 21 Tempio della Tosse, 68, 221
Sacro Speco, monastero, 119-120, Torcello
122, 188-189, 236 Duomo, 163
– cappella di San Gregorio, 123-124, Trebula Mutuesca, 24
237 Tuscania
– Chiesa Inferiore, 122, 124 San Pietro, 231
– Chiesa Superiore, 124-125, 237 Tuscia, 5, 56, 190
– Grotta dei Pastori, 119-120, 122,
189, 211 Vallepietra
– Grotta della Preghiera, 120, 122- Santuario della Santissima Trinità,
124 19, 21, 60, 125-126, 209 n., 211,
– Sacro Speco (grotta), 119 n., 120- 230, 240, 248
121, 189, 241 Vallerano
– Scala Santa, 122, 189 Grotta del Salvatore, 5-6, 65, 67,
Santa Scolastica, monastero, 140- 183-184, 220, 233, 240, 244, 245 n.
141 Varese, v. Gornate Superiore
Suppentonia, valle, 38, 190-191, 198 Ventaroli
Basilica di Sant’Anastasio, 43, 47, Santa Maria in Foroclaudio, 154
50, 190 n., 198, 228, 231 Verona
Chiesa di San Michele, 198 Biblioteca capitolare, 94
Grotta di San Leonardo, 37, 47, 51, Vienna
191, 211, 244 Nationalbibliothek, 57
Monastero sancti Aeliae, 191 Vignanello
Santuario di Santa Maria ad Rupes, Grotta di San Lorenzo, 68
190 n.

.
INDICE DEI NOMI 291

INDICE DEI NOMI*

Abdon, martire, 203 CAROTTI A., 151 n., 152


Adautto, martire, 94 CASSONI M., 143 n.
Adriano I, papa, 100 Cataldo, santo, 74-75
Adriano IV, papa, 60 CAVALCASELLE G. B., 119 n.
Alessandro II, papa, 176 CECCHELLI C., 102 n., 135 n.
ALTO BAUER F., 114 Cecilia, martire, 112 n.
Anastasio, monaco, 190, 198 CELLUCCI L., 135 n.
ANDALORO M., 117 n., 118 Ciacconio, Alfonso, 115-116
Andreas, abate, 66, 184 COLONNA DI STIGLIANO F., 168-170
Anselmo, santo, 54 n. Conxolus, magister, 124-125
Antonino di Piacenza, 16, 18 Cornelio, papa, 18, 112
Antonino, martire, 140 Costantino I, imperatore, 14-15, 141
Antonio, monaco, 181 Costantino Pogonato, imperatore, 97
APOLLONJ GHETTI B. M., 61 n., 64 n. Cristina, martire, 205
Arechi II, duca longobardo, 187, 207 CRIVELLO F., 213 n.
CRUCIANELLI A., 75
BAGATTI B., 94
Balduino, abate, 166 D’ACHILLE A. M., 88-89
BAROSSO M., 141-142 d’Aquino, conti, 135
Bartolomeo, apostolo, 75 d’Aquino Grimoaldo, 135
BELTING H., 146 n., 179 n., 217 Damaso, papa, 100, 112
Benedetto da Norcia, 120, 155, 185, DANIÉLOU J., 12
188-189, 198, 236 Dea Vacuna, 19
Benedetto II, papa, 113 Decio, imperatore, 129, 181
BERANGER E. M., 135 n. DE FERRARIS L., 156 n.
Berardo, abate, 83, 208 DE GRÜNEISEN W., 66
BERTAUX É., 4, 179, 183 n. DE JERPHANION G., 3
BERTELLI G., 135 n. DE MINICIS E., 33 n.
B ERTINI C ALOSSO A., 66, 69-70, DE ROSSI G. B., 89, 99-101, 105, 111,
243 n. 112 n., 114
BISCONTI F., 89, 111 Desiderio, abate, 137, 152
BOLDETTI M., 94, 97 DIHEL CH., 3-4
Bonifacio I, papa, 98 n. D’ONOFRIO C., 121 n.
Bonifacio V, papa, 196 Donzellini, Alessandro, 205
BORRELLI N., 156 n. DUNCAN G., 41
BORSELLINO E., 64 n. DUPRONT A., 237
Bosio, Antonio, 93, 115-118
BRANCIANI L., 78 n. EBANISTA C., 173 n.
BRELICH A., 21 Eclissi, Antonio, 130
Bruno, confessore, 140-141 Egeria, 16
Elena, santa, 141, 172
Callisto, papa, 106 Elia lo Speleota, 20
CAMPAGNA O., 197 n. Elia, monaco, 38
CAPRIOLI G., 70 n., 71-72 Elia, profeta, 20
CARDINI F., 17 Evagrio del Ponto, 81-82

* I nomi degli autori contemporanei sono evidenziati in maiuscoletto. Sono


stati omessi dal presente elenco i nomi di persona che appartengono soltanto al
repertorio iconografico.

.
292 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

FALLA CASTEFRANCHI M., 8 n., 67 n. Iohannes, donatore, 92-93


FANTI C., 244. Isacco, eremita, 184 n.
FARIOLI R., 99, 113, 207 Isidoro, martire, 140
FAURE P., 36
Felice IV, papa, 229 JACOVELLI G., 4
Felicita, martire, 98 JESSOP L., 107 n., 109 n.
FESTA L., 164 n.
Filippo, apostolo, 192 KINNEY D., 109 n.
FIOCCHI NICOLAI V., 46 n., 87 n., 88 n.
Firmico Materno, 11 LE GOFF J., 182
Floro da Lione, 42 LENORMANT F., 4
FLUSIN B., 17 n. Leonardo da Nobiliacum, 51, 191
FONSECA C. D., 4, 5 n., 11 n., 241 Leone II, papa, 102
FRUGONI CH., 7 n. Leone III, papa, 80 n., 99, 114
Leone IV, papa, 23, 120 n., 121, 189
GANDOLFO F., 64 n., 233 n. Leone IX, papa, 119 n., 122
GARGANA A., 39 n. Lorenzo Siro, eremita, 83, 184
Gargano, arciere, 59, 144 Lotario dei conti di Segni, v. Innocen-
Gaudiosus, 105, 213 zo III
GERVERS M., 13 n.
Giobbe, 15 MADDALO S., 63
Giovanni, apostolo, 192 MANGIA BONELLA G. M., 87 n.
Giovanni, eremita (compagno di Lo- MANGO C., 122 n.
renzo Siro), 184 n. MARA M. G., 19 n., 85 n.
Giovanni, eremita (del monastero della Marciano, vescovo, 18
Chiusa), 201 MARIANI G., 99 n.
Giovanni, vescovo della Sabina, 83, MARINI G., 66
208 Marini, Saverio, 70 n.
Giovanni I, papa, 97 MARINONE M., 88 n., 89
Giovanni IV, papa, 113 MARSILIA M. T., 43 n.
Giovanni V, papa, 121 n. Martino di Tours, 155, 185
Giovanni VII, papa, 118 Martino, monaco, 155-156, 158-160,
Giove Ottimo Massimo, 23 185-187, 208, 216
Girolamo, santo, 181 Martinus presbyter, 162
Giulio I, papa, 114 MARUCCHI O., 94, 116 n., 117 n.
Giunone Curite, 54 MATHIS P., 138 n.
Giustino, padre della Chiesa, 13 Matilde di Canossa, 46-47
Giustino II, imperatore, 122 n. MATTEI G., 48 n.
GNOLI G., 101-102 MATTHIAE G., 76 n., 102, 104 n., 113,
Gregorio Magno, papa, 38, 123-124, 119 n., 121 n., 135 n.
155, 190, 198, 216 Mauro, santo, 21
Gregorio III, papa, 110, 114 MEDEA A., 4
Gregorio IV, papa, 110 Melchisedech, 15 n.
Gregorio VII, papa, 46-47, 211, 227 MENESTÒ E., 11
Gregorio di Catino, 83-84, 183-184 MESSINA A., 18
Gregorio di Nissa, 12-13 Michele, arcangelo, 19, 86 n., 93, 133,
Gregorius presbyter, 6, 241 144, 165, 176, 192-203, 236
Gualferada, 150 MIGLIO L., 47 n.
Gundila, 191 Mitra, 11, 20
MORETTI F. R., 128 n.
HENZEN W., 100 MORETTI S., 91 n., 93 n.
HERMANIN F., 245 MORGHEN R., 121 n.
MORONI G., 139 n.
Innocenzo III, papa, 52, 63 n., 122, Milis, martire, 103
124, 143 Mirzio, Cherubino, 121 n.

.
INDICE DEI NOMI 293

MUOLLO G., 178 n. Savino, martire, 140


SCHUSTER I., 78 n., 80-81
NESTORI A., 105, 108-110 Scolastica, santa, 120, 189
Niccolò III, papa, 125 Sebastiano, martire, 140
Nicola di Mira, 70, 154 n. Sennen, martire, 203
Nonnoso, eremita, 38 SENSI M., 8
SERRA R., 48, 49 n.
Origene, 13 SIGISMONDI R., 237
OSBORNE J., 87 n., 89, 99, 104, 109 n., Silano, martire, 98
110 n, 112, 114, 115 n., 116 n., 118, 221 Silvestro, papa, 22, 24, 86, 189
PACE V., 153 n., 243 n. Simeone, santo, 21, 169
Palombo, monaco, 189 Simmaco, papa, 98 n., 111
Pan, 20 Simplicio, martire, 102
Pandolfus, conte, 150 Sisto IV, papa, 77
Paolo di Tebe, 181-182 SPECIALE L., 137, 162 n., 232 n., 248 n.
PARKER J. H., 101, 103 SUCCI P., 101
PARLATO E., 132 n., 244 n. Susanna, eremita, 184 n.
Pasquale I, papa, 112, 148 n., 186
Pelagio II, papa, 185 Teodoro I, papa, 114, 118
PESCIONE R., 175 n. Teodosio, vescovo, 25
Petrarca, Francesco, 204 Tertulliano, 11
PETRUCCI A., 192 n. TOESCA P., 114
PHILIPPOT P., 244 n. Tommaso di Morienna, 184 n.
PICCHETTO F., 64 n. TORRIERO G., 31 n., 248 n.
PIETRANGELI C., 121 N. Turtura, 96
PIFERI E., 44 n.
Pollion, martire, 103, 203 Ughelli, Ferdinando, 52, 54
PRANDI A., 4 Umberto, abate, 121, 121 n.
PULCINI G., 54 n. Umberto di Moyenmoutier, 122 n.
Pumenio (Pumenius), martire, 103, Urbano I, papa, 112
203 Urbano IV, papa, 45

RASPI SERRA J., 5, 47 n., 52 n., 54 n., Valentino, martire, 115


55 n., 61 n., 69 Valeriano, 129
REEKMANS L., 113 VERRANDO N., 109 n.
Remigio, santo, 191 VILLUCCI A. M., 157 n.
RICCY A., 87 Vittoria, martire, 24
Rigetto, 92 Vivenzio, vescovo, 57-58
RIGHETTI TOSTI-CROCE M., 121 n.
Romano abate, 122 WETTSTEIN J., 4
Romano, monaco, 188 WILPERT J., 94, 96-97, 102
Romano III, imperatore, 121 n.
Romualdo II, duca di Benevento, 186 Zaccaria, papa, 114

.
294 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

INDICE ICONOGRAFICO

AGNUS DEI, 46, 47 n., 137, 180 stante, 6, 41, 44, 46, 55-56, 87, 101-
tra Giovanni Evangelista e il Batti- 103, 122, 136, 141, 153, 234, 243-
sta, 48, 84 244
ALBERI, 82, 186 CROCE
ALTARE del Golgotha, 167, 172, 226
NELLA COMUNIONE DEGLI APOSTOLI, gemmata, 55, 64, 68, 81, 103-105,
67 157-158, 172, 186, 216, 233
NELLA SCENA DELLA «D EDICAZIO - CROCIFISSIONE, v. SCENE CRISTOLOGI-
NE », 151 CHE
NEL SANTUARIO DEL GARGANO, 25,
60 DEDICAZIONE DELL’ALTARE, v. ALTARE
ANCELLA, 58 n., 59, 167, 234 DEESIS, 89, 232
ANGELO, 45, 49-50, 65, 123-124, 134, DEXTERA DOMINI, v. MANO DIVINA
136-137, 150, 165, 179, 199, 219 DONATORE, 63, 138, 166, 197, 224
cariatide, 156, 160, 218 Rigetto, 92
con il pane eucaristico, 67 DONATRICE
reggente le vesti di Cristo, 104 D(omi)na Fabias, 73
ANIMALI Turtura, 95-97
aquila, 174 DORMITIO VIRGINIS, 160, 162-163, 241
cavallo, 72-73 DRAGO, v. ANIMALI FANTASTICI
cervo, 104
colomba, 59, 104, 166 ECCLESIA, 45, 72, 242
felino, 76
gregge, mandria, 59, 144 FINTI MARMI, v. MOTIVI DECORATIVI
leone, 174
pavone, 44, 64, 91 GARGANO, arciere, 59-60
pesce, 64 GIUDIZIO UNIVERSALE, v. SCENE CRI-
quadrupede, 117 STOLOGICHE
toro, 60 GIUSEPPE D’ARIMATEA, 88
uccelli, 82, 91-92, 131, 157, 216, 246 GOLGOTHA, 167, 226
ANIMALI FANTASTICI GROTTA, 14, 22, 25, 60, 88, 181
cavalli marini, 178, 205
drago, 22-23, 72 n., 148 n., 147, 175- LONGINO, 68, 138, 224
176 LUNA, 68, 117, 167
ANNA, profetessa, 40
ARCANGELO, 91-93, 134, 145, 162, 220 MANO DIVINA, 146, 172
MARIA
CALPURNIO, 68 con Bambino, a mezzo busto, 67,
CAVALLI MARINI, v. ANIMALI FANTASTICI 116, 124
COMMITTENTE, v. DONATORE con Bambino, in trono (Theoto-
CRISTO (v. anche SCENE CRISTOLOGI- kos), 69-73, 76-77, 83 n., 85 n., 95-
CHE) 96, 126 n., 146-147, 150, 162, 164-
a mezzo busto, 49-50, 84, 89, 91, 166, 168, 172-173, 197, 205, 209 n.,
105, 112, 124, 156, 165, 208, 212, 224, 232, 243
233 Lactans, 143, 174
bambino, 67, 69, 72, 116-117, 119, Nicopoios, 119-122, 189, 241
147, 168, 173-174 Orante, 89, 128, 131, 136, 145 n.,
pantocratore, 53, 58, 60, 63, 65, 68, 146, 148, 154, 167, 178, 220, 232,
73, 75-76, 84, 123, 145, 151, 169, 234, 243
172, 174, 221 MOTIVI DECORATIVI, 49, 72, 81, 165, 180,
sacerdote, 151 n. 214, 216
seduto sul globo, 95 finti marmi, 103, 118, 130, 151, 180

.
INDICE ICONOGRAFICO 295

vela, 71, 73, 78-80, 102, 128, 130, Giovanni Battista, 48, 84, 150, 175,
174, 214 243
MOTIVI FITOMORFI, 55, 91, 156, 169, 181 Giovanni Evangelista, apostolo 45,
NICODEMO, 88 48, 68, 72, 84, 125, 147, 150, 157,
166, 224
PASTORE, 144 Giovanni, martire, 6, 42, 229-230
PSICOSTASIA, 141, 147, 163, 169, 202, 209 Giuda Taddeo, 45
Giuliano, martire, 126, 145-146, 220
SALOMÉ, figlia di Erode, 150 Giuseppe, 40, 51
SALOMÉ, levatrice, 115 Gregorio Magno, 123
SANTI Leonardo da Nobiliacum, 51, 55,
Abdon, martire, 105, 203 191
Adautto, martire, 94-95 Lorenzo, martire, 87, 118, 125, 128-
Agnese, martire, 67 130
Andrea, apostolo, 57, 125, 166 Luca, diacono, 167
Antonino (?), 72 Luca, evangelista, 95, 97-98
Antonio, abate, 85-86, 126 n., 181 Lucia, martire, 67, 120, 143
Augusto, abate, 72 Maddalena, 110
Barbara, martire, 145 n., 147, 243 Marcellino, martire, 103
Bartolomeo, apostolo, 75, 167 Marco, vescovo, 167
Benedetto da Norcia, 66, 68, 122- Margherita, martire, 73, 146, 163,
124, 166, 184, 198, 220, 224 165-166, 220
Bicentius, martire, 105 Martino di Tours, 145, 172, 220
Bonifacio, vescovo, 147 Marziale, martire, 99
Callisto, papa e martire, 106-110 Massimo, confessore, 147
Castrense, martire, 147 Massimo, diacono, 153
Caterina, martire, 55, 151 Maurizio, vescovo, 147
Chelidonia, eremita 21, 124 Mauro, monaco, 66, 68, 184, 220
Cipriano, vescovo, 113 Menna, eremita, 168
Clemente, papa, 147 Merita, 95, 97
Cornelio, papa, 113 Michele, arcangelo
Cosma, anargiro, 145 n., 147, 243 in posa frontale, 65, 73, 143, 147,
Costantino, imperatore, 172, 222 151, 153, 171-172, 174-175, 200-
Cristina, martire, 44, 227 203, 209, 234
Cristoforo, martire, 174 insieme a Gabriele, 69, 91, 145,
Domenico di Sora, 126 162, 220
Donato (?), 151 nel ciclo garganico, 59-60, 202-203
Egidio, monaco, 91, 93 nell’atto di uccidere il drago, 175-
Elena, imperatrice, 150, 152, 172, 176
222 nelle sembianze del toro, 60
Esdra, profeta, 163 psicopompo, v. PSICOSTASIA
Eustachio, martire, 148 Milis (o Milix), martire, 103-104
Evagrio del Ponto, 81, 215 Nicola di Mira, 71-72, 91, 93, 124,
Faustino, martire, 101 146, 151, 154 n., 171, 234
Felice, martire, 94-98 Onofrio, eremita, 123, 148, 163
Felicita, martire, 98 Optato, vescovo, 113
Filippo, apostolo, 75, 167 Paolo, apostolo, 6, 53, 57, 72, 75,
Filippo, martire, 99 85-87, 95, 123, 125, 141, 145, 148,
Fortunata (?), martire, 62 166, 169, 172, 220, 229
Francesco d’Assisi, 123 Paolo di Tebe, monaco, 181
Gabriele, arcangelo, 59, 91, 93, 235 Paolo, martire, 6, 42, 229-230
Giacomo, apostolo, 137; il Maggio- Pietro, apostolo 6, 44, 53, 67, 72,
re, 75, 166; il Minore, 165, 167 75, 85, 87, 91, 93, 95-96, 103, 110,
Giobbe, 123 123, 125, 145, 147, 151, 153, 163,
Giorgio, soldato (?), 72 166, 172, 220-221, 229, 234

.
296 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Placido, monaco, 66, 68, 124, 184, Annunciazione, 14, 58-59, 127, 165,
220 167, 174, 231, 234-236
Policamo, martire, 112 Annuncio ai pastori, 91, 127, 151
Pollion, martire, 103, 203 Ascensione, 14, 136-138, 150, 226,
Pumemius, martire, 103-104 242-243
Quirico, martire, 147 Bagno del Bambino, 116-117
Quirino, martire, 112 Battesimo, 13, 104
Rocco, 176 Comunione degli apostoli, 5, 67,
Romano, abate, 122-124 201, 220, 243
Rufiniano, martire, 100-101 Crocifissione, 14, 15 n., 55, 68, 73,
Scolastica, monaca, 124 78, 115, 117, 123, 136, 138-139, 147,
Sebastiano, martire, 91, 112, 176 157, 160, 165, 167, 175, 187, 209 n.,
Sennen, martire, 105, 203 224, 247
Silvestro, papa, 22-24, 86, 120, 147, Deposizione al Sepolcro, 88
189, 223 Giudizio universale, 45, 227, 232
Simeone, sacerdote, 39-40, 147 Incredulità di san Tommaso, 68
Simone, apostolo, 145 n., 147, 167, Natività, 13-15, 18, 64, 68, 91, 151
243 Noli me tangere, 107, 110
Simplicio, martire, 101-102 Presentazione al tempio, 39-40, 91,
Sisto II, papa, 113 127
Smaragdo, martire, 87, 89, 232 Traditio clavium, 95
Sofia, martire, 67 Visitazione, 59, 116
Stefano, diacono, 95, 124, 147 SERAFINO, 134, 165-166, 226
Tadeus v. Giuda Taddeo SOGGETTI PROFANI
Tommaso, apostolo 57, 75, 145, Scene di battaglia e di vita quoti-
148, 154, 163, 164, 167, 220, 234 diana, 72-73
Tommaso Beckett, 124 Ciclo dei mesi, 125, 127-128
Urbano, vescovo, 112, 208 Zodiaco, 125, 127-128
Valentino, martire, 118 SOLE (nella Crocifissione), 68, 117, 138,
Viatrice, martire, 100-101 167
SCENE AGIOGRAFICHE SPIRITO SANTO, 59, 104, 166
ciclo di Gargano, 59-60, 64, 202 STELLE, 60, 63, 68, 156
ciclo di san Benedetto, 124, 188
Danza di Salomé, v. Decapitazione TAU, 76, 242
del Battista TETRAMORFO, 65, 68, 84-85, 131, 151,
Decapitazione del Battista, 150, 243 233, 243
leggenda di san Silvestro e il drago, TORO, V. ANIMALI
22-24, 147 TRADITIO CLAVIUM, v. SCENE CRISTOLO-
martirio di san Callisto, 106-111 GICHE
martirio di san Lorenzo, 128-130, TRINITÀ, 125-126
147, 231-232
martirio di santa Cristina, 44-45 UCCELLI, V. ANIMALI
vita di Paolo eremita, 181-182 UGOLINO (Gregorio IX), 123
SCENE CRISTOLOGICHE
Adorazione dei Magi, 46, 68, 91, 127 VELA, v. MOTIVI DECORATIVI
Anastasis, 23

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ELENCO DELLE FIGURE

Pag.
1 – Distribuzione delle testimonianze di pittura rupestre nel Lazio e
nella Campania settentrionale (secoli VI-XIII) . . . . . . . . . . . . . . . . 26
2 – Differenti tipologie di insediamento rupestre nel Lazio e in Cam-
pania settentrionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
3 – Caratteri cultuali dei siti rupestri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
4 – Bassano Romano, San Giovanni a Pollo, grafico del pannello pit-
torico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
5 – Monte Acuziano, ipogeo dell’eremo di San Martino, ipotesi di ri-
costruzione di una parte della prima fase decorativa . . . . . . . . . . 79
6 – Roma, Catacomba di San Valentino, parete di fondo del vestibo-
lo d’ingresso, incisione (A. Bosio 1632) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
7 – Vallepietra, santuario della Santissima Trinità, ricostruzione
grafica delle pitture (da A. M. D’Achille 1980) . . . . . . . . . . . . . . . . 127
8 – Monte Mirteto (Ninfa), grotta di Sant’Angelo, Cristo fra Pietro e
Paolo, Psicostasia, disegno (da M. Barosso 1939) . . . . . . . . . . . . . 142
9 – Monte Mirteto (Ninfa), grotta di Sant’Angelo, pastore con greg-
ge, disegno (da M. Barosso 1939) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144
10 – Monte Massico, Grotta di San Martino, imbotte, ipotesi di rico-
struzione della croce gemmata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158
11 – Monte Massico, Grotta di San Martino, imbotte, ipotesi di rico-
struzione della prima fase decorativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159
12 – Monte Massico, Grotta di San Martino, imbotte, ipotesi di rico-
struzione della seconda fase decorativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160
13 – Avella, Grotta di San Michele, restituzione grafica del pannello
con arcangelo e santi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171
14 – Avella, Grotta di San Michele, restituzione grafica del pannello
con Pantocratore e santi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173
15 – Cronologia delle pitture rupestri nel Lazio e nella Campania set-
tentrionale (secoli VI-XIII) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210
16 – Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, restituzione gra-
fica dell’Annunciazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235

.
ELENCO DELLE TAVOLE

1 – a) Barbarano Romano, Grotta di San Simone; b) Bassano Romano,


San Giovanni a Pollo, ambiente rupestre con pannello pittorico;
c) Bassano Romano, San Giovanni a Pollo, iscrizione picta; d) Bassano
Romano, San Giovanni a Pollo, esterno.
2 – a) Bolsena, Grotta di Santa Cristina, «altare del miracolo»; b) Bolsena,
Grotta di Santa Cristina, abside, Cristo; c) Bolsena, Grotta di Santa
Cristina, abside, zona sinistra; d) Bolsena, Grotta di Santa Cristina, ab-
side, zona destra.
3 – a) Bolsena, Grotta di Santa Cristina, brani pittorici sopra l’arco d’in-
gresso alle catacombe; b) Bolsena, Grotta di Santa Cristina, Martirio di
santa Cristina; c) Bolsena, Grotta di Santa Cristina, primo strato, parti-
colare del Giudizio sopra l’arco d’ingresso.
4 – a) Bolsena, Grotta di Santa Cristina, secondo strato pittorico; b) Bolse-
na, Grotta di Santa Cristina, navata sinistra, architrave del cosiddetto
portale della Contessa Matilde; c) Castel Sant’Elia, Grotta di San Leo-
nardo.
5 – a) Castel Sant’Elia, Grotta di San Leonardo, lato sud; b) Castel Sant’E-
lia, Grotta di San Leonardo, Leonardo da Nobiliacum; c) Civita Castel-
lana, Grotta di San Cesareo; d) Civita Castellana, Grotta di San Cesa-
reo, resti di un volto.
6 – a) Civita Castellana, Grotte di San Selmo; b) Civita Castellana, Grotte
di San Selmo, pannello con tre santi.
7 – a) Civita Castellana, Grotte di San Selmo, pannello con il volto di Cri-
sto prima del furto; b) Civita Castellana, Grotte di San Selmo, pannello
con il volto di Cristo dopo il furto; c) Ischia di Castro, Eremo di Poggio
del Conte; d) Ischia di Castro, museo civico, esposizione dei frammenti
provenienti dall’eremo.
8 – a) Eremo di Poggio del Conte, decoro al centro della volta; b) Vienna,
Nationalbibliothek, Öst. Nat. Bibl., 507, cc. 11 v, dettaglio di alcuni
motivi decorativi; c) Ischia di Castro, museo civico, frammento stacca-
to dall’Eremo di Poggio del Conte, apostolo; d) Norchia, Grotta di San
Vivenzio, interno.
9 – a) Norchia, Grotta di San Vivenzio, Annunciazione; b) Norchia, Grotta
di San Vivenzio, particolare di un mascherone a decoro di una colon-
nina; c) Norchia, Grotta di San Vivenzio, volta, Pantocratore; d) Nor-
chia, Grotta di San Vivenzio, Rito di consacrazione dell’altare, partico-
lare dell’arcangelo Michele.
10 – a) Sutri, Santa Fortunata, ambiente rupestre dell’area presbiteriale;

.
ELENCO DELLE TAVOLE 299

b) Sutri, Museo civico, frammento staccato da Santa Fortunata, Santo


con mitra; c) Sutri, Santa Fortunata, zona presbiteriale, resti di pittura
sulla volta.
11 – a) Sutri, Santa Maria del Parto, interno; b) Sutri, Santa Maria del Par-
to, resti di pittura sulla volta.
12 – a) Vallerano, Grotta del Salvatore; b) Vallerano, Grotta del Salvatore,
resti (perduti) della Crocifissione.
13 – a) Vallerano, Grotta del Salvatore, san Placido; b) Vallerano, Grotta
del Salvatore, Vergine con Bambino; c) Vallerano, Grotta del Salvato-
re, Comunione degli apostoli, Pietro, particolare; d) Vallerano, Grotta
del Salvatore, particolare dell’iscrizione «ANDREAS HUMILIS
ABBAS».
14 – Vallerano, Grotta del Salvatore, disegno ricostruttivo della volta.
15 – a) Vignanello, Grotta di San Lorenzo, pannello con Vergine e Bam-
bino (ante 1907); b) Vignanello, Grotta di San Lorenzo, pannello
con Vergine e Bambino (nel 2001); c) Capradosso, Grotta di San Ni-
cola.
16 – Borgo San Pietro, convento della beata Filippa Mareri (già Caprados-
so), zoccolatura del pannello di XII secolo.
17 – a) Cottanello, Eremo di San Cataldo; b) Cottanello, Eremo di San Ca-
taldo, santo vescovo; c) Cottanello, Eremo di San Cataldo, particolare
del Cristo con i segni della passione; d) Cottanello, Eremo di San Ca-
taldo, particolare del tau sul ginocchio del Cristo.
18 – a) Monte Acuziano, Eremo di San Martino, ipogeo; b) Monte Acu-
ziano, Eremo di San Martino, ipogeo, imitazione di uno sciamito a
rotae.
19 – a) Monte Acuziano, Eremo di San Martino, ipogeo, imitazione di uno
sciamito, particolare di una rota; b) Monte Acuziano, Eremo di San
Martino, ipogeo, ritratto di Evagrio del Ponto; c) Monte Acuziano, Ere-
mo di San Martino, particolare di un volatile.
20 – a) Monte Tancia, Grotta di San Michele, ciborio; b) Monte Tancia,
Grotta di San Michele, ciborio, lato destro; c) Monte Tancia, Grotta di
San Michele, ciborio, volta e parete di fondo.
21 – a) Albano, Catacomba di San Senatore; b) Albano, Catacomba di San
Senatore, resti di un pannello duecentesco; c) Albano, Catacomba di
San Senatore, Deposizione.
22 – a) Magliano Romano, Grotta degli Angeli, interno (ante 1939); b) Ma-
gliano Romano, Grotta degli Angeli, interno.
23 – a) Magliano Romano Grotta degli Angeli, Nicola di Mira con Rigetto e
i santi Sebastiano, Egidio, Pietro; b) Magliano Romano, Chiesa di San
Giovanni (già Grotta degli Angeli), Cristo fra gli arcangeli; c) Magliano
Romano, Grotta degli Angeli, Adorazione dei Magi.
24 – a) Magliano Romano, Grotta degli Angeli, Presentazione al tempio;
b) Roma, Catacomba di Commodilla, pannello con Turtura; c) Roma,
Catacomba di Commodilla, san Luca.
25 – a) Roma, Catacomba di Commodilla, Traditio clavium; b) Roma, Cata-
comba di Generosa, pannello con Cristo e santi; c) Roma, Catacomba
di Generosa, volto di Cristo; d) Roma, Catacomba di Generosa, volto di
Cristo negli anni precedenti allo stacco di Succi.

.
300 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

26 – a) Roma, Catacomba di Ponziano, pannello con i santi Marcellino, Pol-


lione e Pietro; b) Roma, Catacomba di Ponziano, Battesimo di Cristo;
c) Roma, Catacomba di Ponziano, pannello con Milis e tracce della fi-
gura di Pumenio.
27 – a) Roma, Catacomba di Ponziano, pannello di Gaudiosus e Battesimo
di Cristo; b) Sinai, Monastero di Santa Caterina, icona di Cristo; c) Ro-
ma, Catacomba di Ponziano, volta della rampa d’accesso, busto di Cri-
sto.
28 – a) Roma, Catacomba di San Calepodio, trasporto delle spoglie di Calli-
sto (frammento no 10); b) Roma, Catacomba di San Calepodio, brano a
sinistra dell’ingresso, resti del Noli me tangere; c) Roma, Catacomba di
San Calepodio, brano a destra dell’ingresso.
29 – a) Roma, Catacombe di San Callisto, Cripta di Cornelio, pannello con i
santi Sisto e Optato; b) Roma, Catacombe di San Callisto, Cripta di
Cornelio, pannello con i santi Cornelio e Cipriano; c) Roma, Catacom-
ba di San Valentino, cubicolo, tratto sinistro della parete di fondo;
d) Roma, Catacomba di San Valentino, cubicolo, tratto destro della
parete di fondo.
30 – a) Roma, Catacomba di San Valentino, cubicolo, parete destra, santo;
b) Roma, Catacomba di San Valentino, cubicolo, parete sinistra, santi;
c) Subiaco, Sacro Speco, Grotta dei Pastori.
31 – a) Subiaco, Sacro Speco, Grotta dei Pastori, intonaco con tracce di au-
reole; b) Subiaco, Sacro Speco, chiesa inferiore, pannello della bolla di
Innocenzo III; c) Subiaco, Sacro Speco, cappella di San Gregorio;
d) Subiaco, Sacro Speco, Santa Chelidonia.
32 – a) Vallepietra, Santuario della Santissima Trinità; b) Vallepietra, San-
tuario della Santissima Trinità, la Natività; c) Vallepietra, Santuario
della Santissima Trinità, pannello della Trinità.
33 – a) Vallepietra, Santuario della Santissima Trinità, san Giuliano e san
Domenico di Sora; b) Vallepietra, Santuario della Santissima Trinità,
Arrivo dei Magi; c) Vallepietra, Santuario della Santissima Trinità, Pre-
sentazione al tempio.
34 – a) Alatri, «Cripta» di San Michele; b) Alatri, «Cripta» di San Michele,
primo strato, scena agiografica, particolare; c) Alatri, «Cripta» di San
Michele, primo strato, vela .
35 – a) Alatri, «Cripta» di San Michele, particolare delle pitture della volta;
b) Arpino, ipogeo di San Michele.
36 – a) Arpino, ipogeo di San Michele, particolare del primo strato pittori-
co; b) Arpino, ipogeo di San Michele, parete sinistra, arcangelo.
37 – a) Roccasecca, pressi, santuario di Sant’Angelo in Asprano, esterno;
b) Roccasecca, pressi, santuario di Sant’Angelo in Asprano, interno;
c) Ninfa, Grotta di San Michele, Vergine tra sante (da M. Barosso
1939); d) Ninfa, Grotta di San Michele, volto di san Paolo.
38 – a) Calvi, Grotta dei Santi, interno; b) Calvi, Grotta dei Santi, parete de-
stra, Crocifissione; c) Calvi, Grotta dei Santi, parete destra : Stefano,
Pietro, Massimo, Silvestro.
39 – a) Calvi, Grotta dei Santi, parete sinistra, san Silvestro e il drago;
b) Calvi, Grotta dei Santi, quarto strato.
40 – a) Calvi, Grotta delle Fornelle, ante 1974; b) Calvi, Grotta delle Fornel-

.
ELENCO DELLE TAVOLE 301

le, stato attuale; c) Calvi, Grotta delle Fornelle, parete sinistra, Danza
di Salomé.
41 – a) Calvi, Grotta delle Fornelle, cappella laterale, Dedicazione dell’altare;
b) Calvi, Grotta delle Fornelle, cappella laterale, san Pietro; c) Fasani,
Grotta di San Michele, pannello con san Massimo.
42 – a) Monte Massico, Eremo di San Martino; b) Monte Massico, Eremo
di San Martino, tracce dell’iscrizione del primo strato; c) Monte Massi-
co, Eremo di San Martino, volta dell’imbotte, particolare di un angelo.
43 – a) Eremo di San Martino, estradosso dell’imbotte, tracce di pittura;
b) Eremo di San Martino, parete sinistra, sovrapposizione di intonaci;
c) Eremo di San Martino, parete sinistra, apostoli (da N. Borrelli
1935).
44 – a) Rongolise, Santa Maria in Grotta; b) Rongolise, Santa Maria in
Grotta, Vergine fra arcangeli.
45 – a) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, sorgente; b) Monte
Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, serafino; c) Monte Monaco di
Gioia, Grotta di San Michele, santa Margherita; d) Monte Monaco di
Gioia, Grotta di San Michele, santa Margherita, particolare della co-
lomba.
46 – a) Monte Taburno, Grotta di San Mauro, interno; b) Monte Taburno,
Grotta di San Mauro, resti di un pannello con la Theotokos; c) Monte
Taburno, Grotta di San Simeone, pannello votivo del XVII secolo.
47 – a) Avella, Grotta di San Michele, cappella del Salvatore, nicchia di sini-
stra; b) Avella, Grotta di San Michele, cappella del Salvatore, interno;
c) Avella, Grotta di San Michele, cappella del Salvatore, nicchia di de-
stra.
48 – a) Avella, Grotta di San Michele, resti delle figure di Elena e Costanti-
no; b) Avella, Grotta di San Michele, Theotokos; c) Avella, Grotta di
San Michele, cappella dell’Immacolata, Cristo; d) Avella, Grotta di San
Michele, cappella dell’Immacolata, san Cristoforo.
49 – a) Avella, Grotta di San Michele, Giovanni Battista; b) Montoro Infe-
riore, Grotta di San Michele, interno; c) Prata Principato Ultra, basili-
ca dell’Annunziata, triphorion.
50 – a) Prata Principato Ultra, basilica dell’Annunziata, absidiola, terzo
strato; b) Monza, tesoro del Duomo, ampolla no 2, particolare della
Natività; c) Musei Vaticani, reliquiario del Sancta Sanctorum, detta-
glio del coperchio : la Natività.
51 – a) Sant’Angelo in Formis, portico della basilica, Paolo di Tebe riceve la
visita di Antonio; b) Città del Vaticano, Vat. lat. 1202, f. 17 B, partico-
lare : Benedetto e il monaco Romano; c) Città del Vaticano, Vat. lat.
1202, f. 18 A, particolare : Benedetto riceve la visita di un sacerdote;
d) Città del Vaticano, Vat. lat. 1202, f. 80 A, particolare : la guarigione
dell’insana di mente.
52 – a) Castel Sant’Elia, basilica di Sant’Anastasio, il Cristo dell’abside;
b) Capua, chiesa dei Santi Rufo e Carponio, angelo; c) Cimitile, basili-
ca dei Santi Martiri, volta, particolare di un angelo.
53 – a) Barbarano Romano, Grotta di San Simone, Presentazione al tempio;
b) Bassano Romano, San Giovanni a Pollo, Cristo fra Pietro e Paolo
apostoli e Giovanni e Paolo martiri.

.
302 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

54 – a) Bolsena, Grotta di Santa Cristina, abside, volto di Cristo; b) Castel


Sant’Elia, Grotta di San Leonardo, resti della decorazione dell’abside;
c) Castel Sant’Elia, Grotta di San Leonardo, Cristo benedicente;
d) Ischia di Castro, Eremo di Poggio del Conte, apostolo.
55 – a) Norchia, Grotta di San Vivenzio, ciclo di Gargano, Inseguimento del
toro; b) Norchia, Grotta di San Vivenzio, ciclo di Gargano, Sogno del
vescovo; c) Norchia, Grotta di San Vivenzio, ciclo di Gargano, Rito di
consacrazione dell’altare.
56 – a) Norchia, Grotta di San Vivenzio, Inseguimento del toro, particolare;
b) Vallerano, Grotta del Salvatore, santa SVFIA; c) Vallerano, Grotta
del Salvatore, Comunione degli apostoli.
57 – a) Sutri, Santa Maria del Parto, volta, arcangelo Michele; b) Sutri, San-
ta Fortunata, pannello votivo; c) Borgo San Pietro, convento della bea-
ta Filippa Mareri (già Capradosso), Ecclesia e due santi; d) Borgo San
Pietro, convento della beata Filippa Mareri (già Capradosso), pannello
di XII secolo.
58 – a) Borgo San Pietro, convento della beata Filippa Mareri (già Capra-
dosso), pannello di XIII secolo; b) Cottanello, Eremo di San Cataldo,
parete sinistra della cappella, scena teofanica.
59 – a) Cottanello, Eremo di San Cataldo, scena teofanica, apostolo;
b) Monte Acuziano, Eremo di San Martino, ipogeo, resti di una stella a
otto punte; c) Monte Tancia, Grotta di San Michele, interno.
60 – a) Monte Tancia, Grotta di San Michele, resti del Cristo (primo strato);
b) Monte Tancia, Grotta di San Michele, particolare della volta del ci-
borio, angelo-Matteo; c) Monte Tancia, Grotta di San Michele, ciborio,
lato destro, santo vescovo e santo monaco.
61 – a) Albano, Catacomba di San Senatore, Deesis; b) Magliano Romano,
Grotta degli Angeli, Natività; c) Magliano Romano, Grotta degli Angeli,
motivi decorativi.
62 – a) Roma, Catacomba di Felicita, resti del pannello con Cristo e santi;
b) Roma, Catacomba di Ponziano, volta della rampa d’accesso, busto
di Cristo.
63 – a) Roma, Catacomba di San Calepodio, frammenti pittorici; b) Roma,
Catacomba di San Calepodio, frammento con il pozzo del martirio
(no 6); c) Roma, Catacomba di San Calepodio, particolare del Noli me
tangere; d) Roma, Catacomba di San Calepodio, frammenti del Marti-
rio di Callisto (no 5).
64 – a) Roma, Catacombe di Callisto, Cripta di Lucina, pannello con Cristo
e sant’Urbano; b) Roma, Catacomba di San Valentino, Visitazione;
c) Roma, Catacomba di San Valentino, Crocifissione, san Giovanni.
65 – a) Subiaco, Sacro Speco, Chiesa Superiore; b) Subiaco, Sacro Speco,
Grotta dei Pastori, Theotokos fra sante.
66 – a) Alatri, «Cripta» di San Michele, scena agiografica del primo strato
(a colori); b) Alatri, «Cripta» di San Michele, primo strato (a colori),
Martirio di san Lorenzo.
67 – a) Alatri, «Cripta» di San Michele, secondo strato (a colori), Vergine
fra sante; b) Alatri, «Cripta» di San Michele, Martirio di san Lorenzo,
aguzzino; c) Alatri, «Cripta» di San Michele, Martirio di san Lorenzo,
aguzzino.

.
ELENCO DELLE TAVOLE 303

68 – a) Roccasecca, Sant’Angelo in Asprano, Ascensione; b) Roccasecca,


Sant’Angelo in Asprano, Ascensione, particolare degli apostoli.
69 – a) Roccasecca, Sant’Angelo in Asprano, primo strato dell’abside (a co-
lori); b) Caprile, Santa Maria delle Grazie, pannello con la Crocifissio-
ne.
70 – a) Arpino, ipogeo di San Michele, santa in una nicchia; b) Arpino, ipo-
geo, particolare del volto in una delle nicchie; c) Arpino, ipogeo, parti-
colare di un serafino; d) Ninfa, Grotta di San Michele, resti di pittura.
71 – a) Ninfa, Grotta di San Michele sul Monte Mirteto, interno; b) Calvi,
Grotta dei Santi, primo strato, Tommaso, Martino e Giuliano.
72 – a) Calvi, Grotta dei Santi, parete concava, Cristo fra i due arcangeli;
b) Calvi, Grotta dei Santi, parete concava, Pietro; c) Calvi, Grotta dei
Santi, san Paolo; d) Calvi, Grotta dei Santi, parete concava, Giuliano.
73 – a) Caserta, Museo dell’Opera e del Territorio, frammento dell’Ascen-
sione (già Grotta delle Fornelle; b) Caserta, Museo dell’Opera e del
Territorio, San Giovanni (già Grotta delle Fornelle); c) Fasani, Grotta
di San Michele, absidiola di sinistra, Cristo fra Michele e Pietro.
74 – a) Fasani, Grotta di San Michele, absidiola di destra, san Tommaso,
Vergine orante, san Nicola; b) Fasani, Grotta di San Michele, absidiola
di destra, particolare del decoro geometrico; c) Fasani, Grotta di San
Michele, absidiola di sinistra, Cristo fra Michele e Pietro.
75 – a) Fasani, Grotta di San Michele, absidiola di sinistra, Cristo; b) Fasa-
ni, Grotta di San Michele, absidiola di destra, Nicola di Mira; c) Fasa-
ni, Grotta di San Michele, absidiola di destra, Tommaso; d) Fasani,
Grotta di San Michele, absidiola di sinistra, Pietro.
76 – a) Monte Massico, Eremo di San Martino, volta dell’imbotte, tracce di
una croce gemmata; b) Monte Massico, Eremo di San Martino sul
Monte Massico, primo strato pittorico, volatile; c) Monte Massico,
Eremo di San Martino, tracce del primo strato pittorico; d) Monte
Massico, Eremo di San Martino, volta dell’imbotte, imago clipeata di
Cristo e angeli.
77 – a) Monte Massico, Eremo di San Martino secondo strato pittorico,
apostoli; b) Rongolise, Santa Maria in Grotta, san Tommaso; c) Ron-
golise, Santa Maria in Grotta, parete destra, Dormitio Virginis.
78 – a) Rongolise, Santa Maria in Grotta, parete destra, Psicostasia; b) Ron-
golise, Santa Maria in Grotta, parete destra, Theotokos; c) Rongolise,
Santa Maria in Grotta, parete sinistra, Esdra, Margherita e Onofrio.
79 – a) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, interno dell’imbot-
te; b) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, volta dell’imbot-
te, Crocifissione.
80 – a) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, imbotte, parete sini-
stra; b) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, imbotte, pare-
te destra; c) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, imbotte,
lunetta sopra l’ingresso.
81 – a) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, imbotte, Annuncia-
zione; b) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, san Pietro;
c) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele, Crocifissione, parti-
colare del volto di Cristo; d) Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Mi-
chele, santo monaco ai piedi della Vergine.

.
304 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

82 – a) Monte Taburno, Grotta di San Simeone, pannello con Cristo fra


santi; b) Montoro Inferiore, Grotta di San Michele, tracce di un santo;
c) Prata Principato Ultra, basilica dell’Annunziata, absidiola, quarto
strato, Vergine; d) Prata Principato Ultra, basilica dell’Annunziata, ab-
sidiola, quarto strato, santa.
83 – a) Prata Principato Ultra, basilica dell’Annunziata, absidiola; b) Prata
Principato Ultra, basilica dell’Annunziata, absidiola, primo strato, ca-
vallo marino.
84 – a) Avella, Grotta di San Michele, san Nicola di Mira; b) Calvi, Grotta
dei Santi, san Silvestro; c) Roma, San Crisogono, chiesa inferiore, san
Benedetto; d) Gornate Superiore (Varese), chiesa di San Michele, de-
corazione absidale, angelo.

.
SOMMARIO

Pag.
ABBREVIAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII
INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

Capitolo I – LA CAVITÀ RUPESTRE COME LUOGO DI CULTO :


IMMAGINARIO E REALTÀ ............................... 11

1. L’eredità simbolica della grotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11


Gregorio di Nissa, p. 12; il reliquiario del Sancta Sanctorum e
l’ampolla di Monza, p. 13; grotte e loca sancta della Palestina,
p. 15; dalla Terrasanta all’Occidente, p. 17; l’eredità del paga-
nesimo, p. 19; san Silvestro e il drago, p. 22; il ruolo del vesco-
vo, p. 24.

2. Escavazioni artificiali e grotte naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . 25


Escavazioni nel tufo, p. 32; grotte carsiche, p. 34; tipologie
semirupestri, p. 36; sacralità e funzionalità, p. 37.

Capitolo II – CATALOGO DELLE TESTIMONIANZE PITTORICHE 39

1. Provincia di Viterbo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
Barbarano Romano, Grotta di San Simone . . . . . . . . . . . . . . . . 39
Bassano Romano, San Giovanni a Pollo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
Bolsena, «Grotta» di Santa Cristina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
Castel Sant’Elia, Grotta di San Leonardo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
Civita Castellana, Grotte di San Cesareo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
Civita Castellana, Grotte di San Selmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
Ischia di Castro, Eremo di Poggio del Conte . . . . . . . . . . . . . . . 56
Norchia, Grotta di San Vivenzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
Sutri, Chiesa rupestre di Santa Fortunata . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
Sutri, Santuario di Santa Maria del Parto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
Vallerano, Grotta del Salvatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
Vignanello, Grotta di San Lorenzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68

.
306 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Pag.
2. Provincia di Rieti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
Capradosso, Grotta di San Nicola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
Cottanello, Eremo di San Cataldo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
Monte Acuziano, Ipogeo dell’eremo di San Martino . . . . . . . . . 77
Monte Tancia, Grotta di San Michele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

3. Provincia di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
Albano, Catacombe di San Senatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
Magliano Romano, Grotta degli Angeli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
Roma, Catacomba di Commodilla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
Roma, Catacomba di Felicita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
Roma, Catacomba di Generosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
Roma, Catacomba di Ponziano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
Roma, Catacomba di San Calepodio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105
Roma, Catacomba di San Callisto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
Roma, Catacomba di San Valentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114
Subiaco, Monastero del Sacro Speco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
Vallepietra, Santuario della Santissima Trinità . . . . . . . . . . . . . 125

4. Provincia di Frosinone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128


Alatri, «Cripta» di San Michele Arcangelo . . . . . . . . . . . . . . . . . 128
Arpino, Ipogeo di San Michele Arcangelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
Roccasecca, Chiesa rupestre di Sant’Angelo in Asprano . . . . . 135

5. Provincia di Latina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139


Monte Mirteto (Ninfa), Grotta di Sant’Angelo . . . . . . . . . . . . . . 139

6. Provincia di Caserta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145


Calvi, Grotta dei Santi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145
Calvi, Grotta delle Fornelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148
Fasani (Sessa Aurunca), Grotta di San Michele . . . . . . . . . . . . . 153
Monte Massico, Grotte di San Martino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
Rongolise, Santuario di Santa Maria in Grotta . . . . . . . . . . . . . 160

7. Provincia di Benevento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164


Monte Monaco di Gioia, Grotta di San Michele . . . . . . . . . . . . 164
Monte Taburno, Grotta di San Mauro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167
Monte Taburno, Grotta di San Simeone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169

8. Provincia di Avellino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170


Avella, Grotta di San Michele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170

.
SOMMARIO 307

Pag.
Montoro Inferiore, Grotta di San Michele . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
Prata, Basilica dell’Annunziata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177

Capitolo III – FENOMENI RELIGIOSI ALL’ORIGINE DELLA PITTU-


RA RUPESTRE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181

1. L’eremitismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
Dalla Tebaide all’Occidente, p. 182; l’ipogeo del monte Acuzia-
no e la Grotta del Salvatore a Vallerano, p. 183; l’eremo del
Monte Massico, p. 185; il Sacro Speco di Subiaco, p. 188; San
Leonardo e la valle Suppentonia, p. 190.

2. Il culto micaelico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192


Da Chonae al Gargano, p. 192; transfert di sacralità, p. 195;
l’arcangelo e l’eremita, p. 197; San Michele e la schiera angeli-
ca, p. 198; un’immagine assente, p. 199; iconografia micaeli-
ca, p. 201.

3. I loca sancta nelle catacombe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203


Il cimitero di Ponziano, p. 203; Albano, Bolsena e Prata,
p. 204; la dimensione rupestre e l’universo ipogeo, p. 206; ele-
menti di identità, p. 207.

Capitolo IV – LA PITTURA RUPESTRE NELL’AMBITO DELLA PRO-


DUZIONE ARTISTICA CAMPANO-LAZIALE .................. 209

1. Cronologia e contesti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209


Iconismo e aniconismo (VI-VII secolo), p. 212; Langobardia
Minor e arte «benedettina» (IX-X secolo), p. 217; pittura cam-
pana fra tradizione e innovazione (metà circa dell’XI secolo),
p. 221; Montecassino, Roma e la Riforma (fine XI secolo – ini-
zi XII), p. 224; pannelli votivi e ridipinture (fine XII-XIII seco-
lo), p. 231.

2. Specificità della pittura rupestre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233


Interferenza della roccia, p. 234; persistenza del genere iconi-
co, p. 238; eccentricità territoriale e scelte originali, p. 240;
l’infondatezza della teoria del ritardo, p. 241.

.
308 PITTURA RUPESTRE MEDIEVALE

Pag.
3. Degrado e istanze conservative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243
Furti e commercio clandestino, p. 243; abbandono e incuria,
p. 244; usi impropri e decontestualizzazione delle pitture,
p. 245; il recupero del valore d’uso, p. 248.

FONTI EDITE ............................................. 251

BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253

INDICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 287
Indice dei luoghi, p. 287; Indice dei nomi, p. 291; Indice icono-
grafico, p. 294.

ELENCO DELLE FIGURE ................................... 297


ELENCO DELLE TAVOLE ................................... 298

SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 305

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