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Au Milieu Des Sollicitudes (16 de Fevereiro de 1892) - LEÃO XIII

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04/08/24, 11:41 Au milieu des sollicitudes (16 de fevereiro de 1892) | LEÃO XIII

AU MILIEU DES SOLLICITUDES


CARTA ENCÍCLICA DE
SS LEÃO XIII

Aos Nossos Veneráveis ​I rmãos Arcebispos e Bispos, ao clero e a todos os


católicos da França.
Papa Leão XIII. Veneráveis ​I rmãos, queridos filhos.

Muitas vezes durante o nosso Pontificado, apesar de estarmos envolvidos nos


incessantes compromissos da Igreja universal, tivemos o prazer de expressar o
nosso carinho pela França e pelo seu nobre povo. A este respeito, quisemos
expressar solenemente, com uma nossa Encíclica ainda presente na memória
de todos, os sentimentos mais profundos do nosso coração. É precisamente
este sentimento de afeto que nos levou constantemente a acompanhar e,
portanto, a meditar sobre todos os acontecimentos, às vezes tristes, às vezes
consoladores, que há muitos anos acontecem entre vocês.

Ainda hoje, ao tentarmos compreender o alcance dessa vasta conspiração que


algumas pessoas tramaram para destruir o Cristianismo em França, e a fúria
com que perseguem os seus desígnios, pisoteando as noções mais elementares
de liberdade e justiça, que inspira o maioria da nação e na qual se baseia o
respeito pelos direitos inalienáveis ​da Igreja Católica, como não nos sentirmos
atingidos por uma dor profunda? E quando vemos tomarem forma as
consequências desastrosas destes ataques culposos, um após outro, que visam
arruinar os costumes, a religião e os interesses políticos bem compreendidos,
como podemos expressar a amargura que nos invade e as preocupações que
nos assaltam?

Por outro lado, é grande a nossa consolação ao ver que estes mesmos
franceses duplicam o seu amor e dedicação para com a Santa Sé, cada vez que
a vêem mais negligenciada ou, melhor dizendo, mais combatida na terra. Em
diversas ocasiões, movidos por um profundo sentimento religioso e por um
verdadeiro amor à pátria, representantes de todas as classes sociais afluíram da
França até nós, felizes em ajudar as necessidades incessantes da Igreja,
ansiosos por nos pedir esclarecimentos e conselhos para ter o certeza, em meio
às tribulações atuais, de não nos desviarmos em nada dos ensinamentos do
Líder dos crentes. Respondemos-lhes, tanto por escrito como verbalmente,
deixando claro aos Nossos filhos o que eles poderiam esperar do seu Pai. Por
isso, longe de favorecer o seu desânimo, exortámo-los calorosamente a
redobrar o seu amor e o seu esforço na defesa da fé católica e, ao mesmo

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tempo, da sua pátria: estes são, de facto, dois deveres de primordial


importância, para do qual nenhum homem, nesta vida, pode escapar.

Ancora una volta oggi riteniamo opportuno, anzi necessario, alzare la voce per
esortare insistentemente non solo i cattolici, ma tutti i francesi onesti e di buon
senso, perché respingano lontano tutti i germi del dissenso politico e indirizzino
tutte le loro forze a pacificare la loro patria. Tutti riconoscono l’importanza di
questa pace e sempre più la invocano. E Noi, che l’auspichiamo più di ogni altro,
perché rappresentiamo sulla terra il Dio della pace [1], chiamiamo a raccolta,
con questa Lettera, tutte le anime rette, tutti i cuori generosi, perché Ci aiutino a
renderla stabile e ricca di frutti.

Prendiamo anzitutto come punto di partenza una verità ben nota, accettata da
ogni persona sensata e solennemente proclamata dalla storia di tutti i popoli: la
religione, e solamente essa, è capace di creare il vincolo sociale; solo la religione
può tenere ancorata la pace di una nazione a solide fondamenta. Quando
diverse famiglie, senza rinunciare ai diritti e ai doveri della società domestica, e
seguendo l’ispirazione della natura, si uniscono per diventare parte di una famiglia
più vasta chiamata società civile, non si ripromettono solo di trovarvi i mezzi per
provvedere al proprio benessere materiale, ma di trarne in primo luogo un
beneficio per il loro perfezionamento morale. In caso contrario la società
sopravanzerebbe di poco l’aggregazione di esseri senza ragione, la vita dei quali
è tutta rivolta alla soddisfazione degli istinti sensuali. Ma c’è di più. Senza questo
perfezionamento morale, sarebbe difficile dimostrare che la società civile, lungi
dal costituire un vantaggio, non tornerebbe a danno dell’uomo in quanto tale.

La morale, infatti, per il fatto stesso che deve creare nell’uomo una armonia fra
diritti e doveri diversi, poiché partecipa ad ogni atto umano postula
necessariamente Dio e, con Dio, la religione, questo sacro vincolo che ha il
privilegio di unire a Dio, prima di dar vita a qualsivoglia altro legame. Infatti, il
concetto di moralità comporta anzitutto un rapporto di dipendenza dal vero, che
è luce dello spirito, e dal bene, che indirizza la volontà. In assenza del vero e del
bene non esiste una morale degna di questo nome. Ma qual è la verità prima ed
essenziale da cui ogni altra deriva? È Dio. Qual è ancora la bontà suprema dalla
quale procede ogni altro bene? È Dio. Chi è infine colui che crea e conserva la
nostra intelligenza, la nostra volontà, l’intero nostro essere ed è, nello stesso
tempo, il fine della nostra vita? È sempre Dio. Poiché dunque la religione è
l’espressione, interiore ed esteriore, di questa dipendenza che dobbiamo a Dio a
titolo di giustizia, ne deriva un impegno tassativo. Tutti i cittadini sono tenuti ad
unirsi per conservare nella nazione il vero senso religioso e anche per difenderlo,
qualora una scuola atea, in contrasto con le attestazioni della natura e della
storia, si proponesse di estromettere Dio dalla società, ben sapendo di poter
annientare, in questo modo, lo stesso senso della morale nel più profondo della
coscienza. Su questo punto, fra gli uomini che non hanno perso il concetto
dell’onestà, non può esserci alcun dissenso.

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Nei cattolici francesi il sentimento religioso deve guadagnare in profondità e in


universalità, perché hanno la fortuna di appartenere alla vera religione. Se
dunque le credenze religiose sono state considerate, sempre e in ogni luogo,
come fondamento della moralità degli atti umani e dell’esistenza di ogni società
rettamente costituita, è evidente che la Religione cattolica, per il fatto stesso che
è la vera Chiesa di Gesù Cristo, ha in se stessa, più di ogni altra, l’intrinseca
efficacia per ben disporre la vita nella società come nell’individuo. È necessaria al
riguardo una prova convincente? È la Francia stessa ad offrirla. Nella misura in
cui essa progrediva nella fede cristiana, era possibile vederla ergersi a quella
grandezza morale che raggiunse come potenza politica e militare. Si era dunque
verificato che, alla naturale generosità del suo cuore, la carità cristiana aveva
aggiunto un’abbondante fonte di nuove energie, e che la sua meravigliosa
attività si era incontrata con quella fede cristiana che operando
contemporaneamente come sprone, guida luminosa e indefettibile punto di
riferimento, per mano della Francia, aveva saputo scrivere negli annali del genere
umano pagine di autentica gloria. E in questi nostri tempi, la sua fede non
continua forse ad aggiungere nuova gloria a quella del passato? La si può
vedere, ricolma di inventiva e di risorse, moltiplicare sulla propria terra le opere di
carità; la si può ammirare in partenza per regioni lontane, dove con le sue
ricchezze e con le fatiche dei suoi missionari, che non esitano a dare la loro vita,
diffonde, d’un solo colpo, la rinomanza della Francia e i benefìci della religione
cattolica. Nessun francese, quali che siano le sue convinzioni, potrebbe rinunciare
a questa gloria, perché sarebbe come rinnegare la patria.

Ora è la storia di un popolo che rivela, in modo inequivocabile, ciò che genera e
mantiene inalterata la sua grandezza morale. Se dunque viene meno questo
fondamento, non sarà l’abbondanza delle ricchezze né la potenza delle armi a
salvarlo dalla decadenza morale e, forse, dalla dissoluzione. Chi non comprende
oggi che, per tutti i Francesi che professano la Religione cattolica, il maggiore
impegno deve essere quello di assicurarle la sopravvivenza con la massima
dedizione, dal momento che operano al loro interno delle sètte che fanno del
Cristianesimo l’oggetto degli attacchi più virulenti? In questa situazione essi non
possono permettersi né di operare con indolenza, né di dividersi in fazioni. Nel
primo caso si renderebbero colpevoli di una viltà indegna del cristiano e, nel
secondo, sarebbero causa di una debolezza disastrosa.

A questo punto, prima di procedere oltre, è necessario segnalare una calunnia,


diffusa ad arte per dar credito ad odiose imputazioni contro i cattolici e contro la
stessa Santa Sede. Si vuol dare ad intendere che l’accordo e il vigore dell’azione
inculcati nei cattolici per difendere la loro fede hanno come movente segreto,
non la decisa salvaguardia degli interessi religiosi, ma l’ambizione di procurare alla
Chiesa il dominio politico sullo Stato. Si tratta in verità di voler resuscitare una
calunnia assai antica, che è stata ideata dai primi nemici del Cristianesimo. Non
fu già formulata prima di tutto contro l’adorabile persona del Redentore? È
risaputo. Lo accusavano di perseguire mire politiche, quando illuminava gli animi

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con la sua predicazione e recava sollievo alle pene corporali e spirituali degli
sventurati con i tesori della sua bontà divina. “Abbiamo trovato quest’uomo che
sobillava il nostro popolo, impediva di dare i tributi a Cesare e affermava di
essere il Cristo re … Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque, infatti, si
fa re, si mette contro Cesare … Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare”[2] .

Furono queste calunnie minacciose che strapparono a Pilato la sentenza di morte


contro Colui che, a più riprese, aveva dichiarato innocente. Gli autori di queste e
di altre menzogne dello stesso tenore, con l’aiuto dei loro emissari, non
tralasciarono nulla per farle giungere lontano. Di tutto questo, San Giustino
martire incolpava i giudei del suo tempo: “Lungi dal pentirvi, quando siete venuti
a conoscenza della sua resurrezione dai morti, avete spedito da Gerusalemme
degli uomini, scelti con cura, per annunciare che erano nate un’eresia e un’empia
setta ad opera di un certo seduttore, chiamato Gesù di Galilea”[3].

Con questa audace diffamazione del Cristianesimo, i suoi nemici erano ben
consapevoli di quanto facevano. Il loro piano si proponeva di suscitare un
formidabile avversario alla sua propagazione: l’Impero Romano. La calunnia sortì
il suo effetto, e i pagani, vittime della propria credulità, chiamavano a gara i primi
cristiani “esseri inutili, cittadini pericolosi e faziosi, nemici dell’Impero e degli
Imperatori” [4]. A nulla valse che gli Apologisti del Cristianesimo con i loro scritti,
e i cristiani con il loro retto comportamento, s’impegnassero a dimostrare
l’assurdo e malvagio contenuto di queste affermazioni: non si degnavano
nemmeno di ascoltarli. Il solo nome procurava loro una dichiarazione di guerra, e
i cristiani, per il solo fatto di essere tali e per nessun altro motivo, venivano posti
con violenza di fronte a questo dilemma: l’apostasia o il martirio. Le stesse
accuse e lo stesso rigore si rinnovarono, pressoché simili, nei secoli successivi,
ogni qualvolta si incontrarono governi esageratamente gelosi del loro potere e
animati da propositi malevoli contro la Chiesa. Riuscirono sempre a rendere
plausibile, presso il pubblico, una presunta interferenza della Chiesa nello Stato, al
fine di procurare allo Stato una parvenza di diritto per le sue usurpazioni e le sue
prevaricazioni ai danni della Religione cattolica.

Abbiamo voluto richiamare sommariamente il passato, affinché i cattolici non


nutrano motivo di sconcerto per il presente. La lotta è sostanzialmente sempre
la stessa: Gesù Cristo è perennemente fatto segno delle contraddizioni del
mondo. I mezzi impiegati dagli attuali nemici del Cristianesimo sono sempre gli
stessi, assai antichi nella sostanza anche se appena modificati nella forma. Ma
sono parimenti identici i mezzi di difesa, già chiaramente indicati ai cristiani del
nostro tempo dai nostri Apologisti, Dottori e Martiri. Ciò che essi hanno fatto,
spetta pure a noi di farlo. Mettiamo dunque al primo posto la gloria di Dio e della
sua Chiesa; lavoriamo per lei con impegno costante e sincero, e lasciamo il
compito di determinare l’esito a Gesù Cristo, che annuncia: “Nel mondo voi
sarete oppressi, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo”[5] .

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Per raggiungere questo scopo, l’abbiamo già sottolineato, è necessaria una


grande unità e, se si desidera riuscire nell’intento, è indispensabile accantonare
ogni preoccupazione che ne indebolisca la forza e l’efficacia. Intendiamo riferirCi
soprattutto alle diverse opinioni politiche dei Francesi circa il comportamento da
tenere nei confronti della Repubblica attuale. È una questione che vogliamo
affrontare con la chiarezza richiesta dalla gravità del caso, partendo dai princìpi
per giungere alle conseguenze pratiche.

In Francia, nel corso di questo secolo, si sono succeduti Governi politici di tipo
diverso, ciascuno con la sua specifica forma: Imperi, Monarchie, Repubbliche.
Affidandoci a disquisizioni di pura teoria, sarebbe possibile arrivare a definire la
migliore di queste forme, considerate in se stesse, e si potrebbe anche
riconoscere, senz’ombra di dubbio, che ognuna di esse è buona, sempreché
sappia procedere dritto al suo scopo, che è il bene comune, per il quale l’Autorità
sociale è stata istituita. È tuttavia opportuno precisare che, da un punto di vista
relativo, una forma di governo può essere preferibile rispetto ad un’altra, perché
meglio si adatta alle caratteristiche e ai costumi di un certo tipo di nazione. In
teoria quindi, i cattolici, come ogni altro cittadino, sono pienamente liberi di
preferire una forma di governo piuttosto che un’altra, per il semplice fatto che
nessuna compagine sociale si oppone, per se stessa, né ai dettami della retta
ragione, né ai precetti della dottrina cristiana. Queste argomentazioni sono più
che sufficienti per farsi una ragione della sapienza della Chiesa quando, nelle sue
relazioni con i poteri politici, non tiene conto delle forme che li differenziano e
tratta con essi dei grandi interessi religiosi dei popoli, ben sapendo di dover
anteporre la loro tutela ad ogni altro interesse. Le Nostre precedenti Encicliche
hanno già esposto questi princìpi, ma ritenevamo necessario richiamarli per
sviluppare il tema che Ci interessa in questo momento.

Se si scende dai concetti astratti e si entra nel contesto della realtà, occorre ben
guardarsi dal rinnegare i princìpi appena definiti: questi restano inoppugnabili. Solo
incarnandosi nella realtà assumono un aspetto contingente, in forza delle
circostanze che li rendono operativi. In altre parole, se ogni forma politica è
buona in se stessa e può essere applicata per governare i popoli, nella realtà il
potere politico non si presenta nella stessa forma presso tutti i popoli, ma
ciascuno ne possiede una specifica. Questa forma è originata dall’insieme delle
circostanze storiche o nazionali, ma sempre umane, che, in una nazione, danno
vita alle sue leggi tradizionali e anche fondamentali. Sono queste leggi che
determinano una certa specifica forma di governo e un particolare modo di
trasmettere i supremi poteri.

È superfluo ricordare che tutti gli individui sono tenuti ad accettare questi governi
e a non prendere iniziative per rovesciarli o per mutarne la forma. È per questo
che la Chiesa, custode del più vero e più alto concetto della sovranità politica,
perché la fa discendere da Dio, ha sempre riprovato le teorie e ha sempre
condannato gli uomini ribelli all’autorità legittima. E questo anche quando i

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depositari del potere lo usavano indebitamente contro di lei, privandosi così del
più valido sostegno accordato alla loro autorità e del mezzo più efficace per
ottenere dal popolo l’ossequio alle loro leggi. A questo proposito, non si potranno
mai meditare a sufficienza le celebri raccomandazioni che il Principe degli Apostoli,
proprio durante le persecuzioni, rivolgeva ai primi cristiani: “Rispettate tutti,
amate i fratelli, temete Dio e rendete onore al re”[6]; come pure quelle di San
Paolo: “Vi scongiuro anzitutto di adoperarvi perché si facciano suppliche,
preghiere, istanze e azioni di grazia per tutti gli uomini: per i re e per tutti coloro
che sono costituiti in dignità, perché possiamo condurre una vita tranquilla in tutta
pietà e rettitudine: questo infatti è buono e gradito a Dio nostro Salvatore”[7] .

Occorre anche evidenziare ancora una volta con ogni cura che, qualunque sia la
forma dei poteri civili di una nazione, non è possibile considerarla a tal punto
definitiva da non essere soggetta a mutamenti, anche se questo era il proposito
di chi, in origine, le ha dato vita. La sola Chiesa di Gesù Cristo ha potuto
conservare, e la conserverà sicuramente fino alla fine dei tempi, la sua forma di
governo. Fondata da Colui che era, che è e che sarà nei secoli, ha ricevuto da
Lui, fin dall’inizio, tutto ciò che le è necessario per adempiere la sua missione
divina in mezzo al mutevole oceano delle vicende umane. E come non ha
bisogno di trasformare l’essenza della sua costituzione, sa anche di non avere il
potere di rinunciare alle condizioni di piena libertà e di sovrana indipendenza, che
ha ricevuto in dote dalla Provvidenza nell’interesse generale delle anime. Ma
parlando delle società esclusivamente umane, come emerge infinite volte nella
storia, è il tempo, grande trasformatore della realtà terrena, che opera grandi
mutamenti all’interno delle loro situazioni politiche. Qualche volta esso si limita ad
apportare lievi modifiche alle forme di governo costituito; altre volte arriva a
sostituire le forme primitive con altre totalmente differenti, intaccando addirittura
la stessa trasmissione del potere sovrano.

Ma come si generano questi mutamenti politici di cui stiamo parlando? A volte


sono le conseguenze di crisi violente, troppo spesso cruenti, che travolgono e
annientano i governi preesistenti. Prende allora il sopravvento l’anarchia, e l’ordine
pubblico viene in breve tempo sconvolto fin dalle fondamenta. A questo punto si
impone alla nazione una necessità sociale ineludibile: deve, quanto prima,
provvedere a se stessa. Come potrebbe non avere il diritto, anzi il dovere, di
difendersi da una situazione che la sconvolge così in profondità, e ristabilire la
pace pubblica nella tranquillità dell’ordine? Questo stato di necessità sociale
giustifica la creazione e l’esistenza di nuovi governi, qualunque sia la forma
assunta, proprio perché, nell’ipotesi da Noi formulata, questi nuovi governi sono
postulati da un’esigenza di ordine pubblico, che non potrebbe esistere senza un
governo. Ne consegue che, in una situazione del genere, ogni novità riguarda la
forma politica dei poteri civili o il loro modo di trasmissione, ma non altera
minimamente la natura del potere. Questa continua ad essere immutabile e,
quindi, degna di rispetto, perché, se si presta attenzione ad essa, trova la sua
ragion d’essere e la sua forza nel provvedere al bene comune, fine ultimo ed

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elemento costitutivo della società umana. In altre parole, in qualunque ipotesi, il


potere civile, per sua natura, discende sempre e solo da Dio, “perché non vi è
potere se non da Dio”.

Pertanto, quando questi nuovi governi, espressione dell’immutabile potere, si


costituiscono, non solo è consentito ma è doveroso accettarli e vederli addirittura
imposti dalla necessità del bene sociale, che li ha generati e li mantiene in vita. Si
deve anche considerare che un’insurrezione attizza l’odio fra i cittadini, genera
guerre civili e può far ripiombare la nazione nel caos dell’anarchia. Dunque questo
dovere di rispetto e di sottomissione dovrà durare finché le esigenze del bene
comune lo richiederanno, perché questo, dopo Dio, rappresenta nella società la
legge prima ed ultima.

A questo punto si rivela da sola la sapienza della Chiesa, dal momento che ha
mantenuto le relazioni con i numerosi governi che, in meno di un secolo, si sono
succeduti in Francia non senza aver causato violenti e profondi sconvolgimenti.
Quest’atteggiamento costituisce la più sicura e la più utile linea di condotta per
tutti i Francesi nei rapporti civili con la Repubblica, che è l’attuale governo della
loro Nazione. Debbono perciò eliminare le divergenze politiche che li dividono, e
unire tutti gli sforzi per conservare o per far crescere la grandezza morale della
loro patria.

Ma si presenta una difficoltà. “Questa Repubblica, sottolinea qualcuno, è animata


da sentimenti così anticristiani che le persone oneste, e ancor più i cattolici, non
potrebbero accettarla senza compromettere la loro coscienza”. Ecco ciò che
soprattutto ha dato origine ai dissensi e li ha accentuati. Sarebbe stato possibile
evitare questi spiacevoli dissensi, se si fosse tenuta nel dovuto conto la
distinzione fondamentale che separa il Potere costituito dalla Legislazione. Vi è
infatti un tale abisso fra la legislazione, i poteri politici e la loro forma che, sotto il
regime caratterizzato dalla forma più perfetta, la legislazione può risultare
inaccettabile, mentre, al contrario, sotto un regime dalla forma più imperfetta, ci
si può imbattere in un’ottima legislazione. Provare, storia alla mano, questa
verità, sarebbe facile, ma perché farlo? Tutti ne sono convinti. E chi può essere
in grado di farlo meglio della Chiesa, dal momento che si è sempre sforzata di
mantenere abituali relazioni con tutti i regimi politici? Di sicuro potrebbe riferire, più
di ogni altra potenza, tutta una serie di consolazioni o di dolori che le hanno
procurato le leggi emanate da molti governi che, a partire dall’Impero Romano
fino ai nostri giorni, hanno retto successivamente i popoli.

Se la distinzione testé definita riveste la più grande importanza, ha pure in sé la


ragione evidente che la giustifica. La legislazione, infatti, è opera degli uomini
investiti del potere e che, di fatto, governano la nazione. Ne deriva, in concreto,
che la qualità delle leggi dipende più dalla qualità di questi uomini investiti del
potere, che dalla forma del potere. Le leggi, quindi, risulteranno buone o cattive

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a seconda che i legislatori saranno imbevuti di buoni o di cattivi princìpi e si


lasceranno guidare o dalla prudenza politica o dalla passione.

Il fatto che in Francia, da parecchi anni a questa parte, molte decisioni importanti
della legislazione siano state formulate con intenti ostili alla Religione, e quindi
contrari agli interessi della Nazione, è ammesso da tutti ed è sfortunatamente
provato dall’evidenza dei fatti. Noi stessi, obbedendo ad un sacro dovere,
rivolgemmo le più vive lagnanze a chi era allora a capo della Repubblica, ma
questa linea di condotta non è venuta meno e il male si è aggravato. Non può
certo destare meraviglia che i membri dell’Episcopato francese, posti dallo Spirito
Santo a reggere le numerose ed illustri Chiese, abbiano sentito, anche in tempi
recenti, come un preciso dovere manifestare pubblicamente il loro dolore,
parlando della situazione creata in Francia ai danni della Religione cattolica. Povera
Francia! Solo Dio può misurare l’abisso dei mali, dove finirebbe per precipitare, se
questa legislazione, invece di migliorare, si ostinasse in quel perverso indirizzo che
porterebbe allo sradicamento dall’anima e dal cuore dei Francesi della Religione,
che li ha resi così grandi.

Ecco delineato l’ambito dove, accantonato ogni dissenso politico, le persone rette
debbono ritrovarsi unite come un sol uomo, per combattere, con tutti gli
strumenti legali e onesti, gli abusi legislativi sempre più pesanti. Il rispetto dovuto
ai poteri costituiti non ha ragioni per impedirlo, né l’ossequio, né ancor meno
l’obbedienza incondizionata a qualsivoglia misura legislativa, emanata da questi
stessi poteri, possono essere vincolanti. Non si deve mai dimenticare che la
legge è una disposizione formulata nel rispetto della ragione, e promulgata per il
bene della società da parte di chi ha ricevuto in affidamento il potere di attuarlo.
Ne deriva dunque, che non si potranno mai approvare interventi legislativi avversi
alla Religione e a Dio, e che anzi è un dovere disapprovarli. È quanto il grande
Vescovo di Ippona Sant’Agostino ha saputo illustrare con chiarezza in un
ragionamento pieno di eloquenza: “Qualche volta le potenze terrene sono buone
e temono Dio, altre volte non lo temono. Giuliano era un Imperatore che aveva
rinnegato Dio, un apostata, un perverso e un idolatra. I soldati cristiani servirono
questo Imperatore senza fede. Ma quando si trattava della causa di Gesù
Cristo, non riconoscevano che Colui che è nei cieli. Giuliano ingiungeva loro di
rendere culto agli idoli e di incensarli; essi mettevano Dio al di sopra del principe.
Se invece intimava loro di mettersi in assetto di guerra per marciare contro una
nazione nemica, erano pronti all’obbedienza. Sapevano dunque fare una scelta
fra il Signore eterno e quello temporale, e per riguardo al Signore eterno, si
sottomettevano anche all’indegno signore temporale” [8]. Noi sappiamo che
l’ateo, per un deplorevole uso della ragione, e ancor più della volontà, nega
questi princìpi. Ma l’ateismo è in definitiva un errore a tal punto mostruoso da
non potere in alcun modo cancellare (e ciò sia detto a vanto dell’umanità) la
coscienza dei diritti di Dio per sostituirvi l’idolatria dello Stato.

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Essendo stati così definiti i princìpi che debbono regolare la nostra condotta nei
confronti di Dio e dei governi umani, nessun uomo imparziale potrà accusare i
cattolici francesi se, accollandosi fatiche e sacrifici, lavorano per conservare alla
loro patria ciò che rappresenta un elemento basilare di salvezza, ciò che
riassume una lunga teoria di gloriose tradizioni, registrate dalla storia, e che tutti i
Francesi hanno l’obbligo di non dimenticare.

Prima di terminare la Nostra Lettera, vogliamo accennare ad altri due punti


connessi fra loro e che, riguardando più da vicino gl’interessi religiosi, possono
aver causato disaccordo fra i cattolici. Uno di essi è il Concordato che, nel corso
di tanti anni, ha facilitato, in Francia, l’armonia fra il Governo della Chiesa e quello
dello Stato. Circa il mantenimento di questo Patto solenne e bilaterale, sempre
scrupolosamente osservato dalla Santa Sede, non vi è accordo fra gli stessi
avversari della Religione cattolica. I più violenti ne pretendono l’abolizione, per
consentire allo Stato la piena libertà di angariare la Chiesa di Gesù Cristo. Altri, al
contrario, più astuti, sono del parere, o danno ad intendere, di volere mantenerlo
in vita, non perché attribuiscano allo Stato l’obbligo di adempiere agl’impegni
sottoscritti con la Chiesa, ma unicamente per permettergli di approfittare delle
concessioni accordate dalla Chiesa. Come se fosse possibile separare, a
piacimento, gl’impegni presi dalle concessioni ottenute, quando le due cose sono
elementi costitutivi del tutto. Per questi ultimi, il Concordato rimarrebbe solo
un’ottima catena per intralciare la libertà della Chiesa, questa santa libertà che le
è dovuta per un diritto divino ed inalienabile. Quale di questi due intendimenti
avrà il sopravvento? Non lo sappiamo. Abbiamo voluto farne menzione,
unicamente per raccomandare ai cattolici di non provocare movimentki di
opinione divergenti su un argomento che è di esclusiva competenza della Santa
Sede.

Non useremo lo stesso linguaggio sul secondo punto, relativo al principio della
separazione dello Stato dalla Chiesa, che altro non significa se non separare la
legislazione umana da quella cristiana e divina. Non intendiamo soffermarCi, in
questa sede, per dimostrare quanto di assurdo racchiuda la teoria di tale
separazione. Ognuno potrà rendersene conto personalmente. Da quando lo
Stato rifiuta di dare a Dio ciò che è di Dio, è necessariamente costretto a non
dare ai cittadini ciò a cui hanno diritto come uomini, perché lo si voglia o no, i veri
diritti dell’uomo nascono proprio dai suoi doveri verso Dio. Ne consegue che lo
Stato, venendo meno in questo campo al primo scopo della sua istituzione,
finisce col rinnegare se stesso e con lo smentire la ragione della sua esistenza.
Queste supreme verità sono proclamate con tanta chiarezza dalla stessa voce
della ragione naturale, da imporsi ad ogni uomo che non sia accecato dalla
violenza della passione. I cattolici, quindi, si guardino con somma cura dal
sostenere questa separazione. Volere che lo Stato si separi dalla Chiesa, altro
non sarebbe, per logica conseguenza, che costringere la Chiesa ad accettare
una libertà di vita regolata secondo il diritto comune a tutti i cittadini. Questo
stato di cose, occorre riconoscerlo, è un dato di fatto in certi paesi. Un’esistenza

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04/08/24, 11:41 Au milieu des sollicitudes (16 de fevereiro de 1892) | LEÃO XIII

di questo tipo presenta, accanto a numerosi e gravi inconvenienti, anche alcuni


vantaggi, soprattutto quando il legislatore, per una fortunata incongruenza, non
tralascia di ispirarsi ai princìpi cristiani. Questi vantaggi, anche se non possono
giustificare la separazione né consentire di difenderla, rendono tuttavia tollerabile
una situazione che non è, in concreto, la peggiore di tutte.

Ma in Francia, nazione cattolica per le sue tradizioni e per la fede presente nella
grande maggioranza dei suoi figli, la Chiesa non può essere messa nella
condizione precaria che ha dovuto accettare presso altri popoli. I cattolici sono
tenuti ancor più a disapprovare la separazione, dal momento che conoscono a
fondo le intenzioni dei nemici che la desiderano. Per quest’ultimi (lo affermano
con sufficiente chiarezza), questa separazione consiste nella piena indipendenza
della legislazione politica da quella religiosa. C’è di più. Si ripromettono l’assoluta
indifferenza del Potere verso gli interessi della società cristiana, cioè della Chiesa,
e la negazione stessa della sua esistenza. Avanzano inoltre un diritto di rivalsa,
che può essere espresso in questo modo: quando la Chiesa, avvalendosi delle
opportunità che il diritto comune concede anche ai Francesi del ceto più basso,
sarà riuscita, raddoppiando gli sforzi della sua innata operosità, a far prosperare
la sua opera, subito l’intervento dello Stato potrà, e dovrà,estromettere i cattolici
francesi dallo stesso diritto comune. In una parola, l’ideale di questi uomini
sarebbe il ritorno al paganesimo, dove lo Stato non riconosce la Chiesa se non
quando trova conveniente perseguitarla.

Explicamos, Veneráveis ​I rmãos, de forma sucinta mas precisa, se não todos,


pelo menos os principais pontos sobre os quais os católicos franceses, e todas
as pessoas sensatas, devem construir a união e a harmonia, para remediar,
quando ainda for possível, os males que afligem a França, e também para
reavivar a sua grandeza moral. Estes pontos são a Religião e a Pátria, os
poderes políticos e a legislação, o comportamento a seguir perante estes
poderes e esta legislação, a Concordata, a separação entre o Estado e a Igreja.
Temos a esperança e a confiança de que o esclarecimento destes pontos
dissipará os preconceitos de muitas pessoas de boa fé; facilitará a pacificação
dos espíritos e, através dela, a plena união de todos os católicos para apoiar a
grande causa de Cristo, que ama os francos.

Que consolação para o Nosso coração encorajá-los neste caminho e ver todos
vocês responderem mansamente ao Nosso apelo! Vós, Veneráveis ​I rmãos,
com a vossa autoridade e com a evidente dedicação à Igreja e à Pátria que vos
distingue, dareis uma grande contribuição a esta obra de pacificação. Estamos
também animados pela esperança de que aqueles que estão no poder apreciem
as nossas palavras, que visam a prosperidade e o bem-estar da França.

Entretanto, como penhor do nosso carinho paterno, concedemos a vós,


Veneráveis ​I rmãos, ao vosso Clero e a todos os católicos da França, a Bênção
Apostólica.

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Dado em Roma, em 16 de fevereiro de 1892, décimo quarto ano do Nosso


Pontificado.

LEÃO PP. XIII

[1] 1Cor 14,20.

[2] Lucas 23.2; João 19,12-15.

[3] Diálogo. porra Tryphone.

[4] Tertull.Em Apologética; Minúcio Félix, In Otávio.

[5] João 16.33.

[6] 1Pd 2,17.

[7] 1Tm 2,1ss.

[8] Enarrat., no Salmo. CXXIV, n. 7, fin.

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