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FEBBRAIO 13 Febbraio 2022 VI DTO C

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VI Domenica Tempo Ordinario  Anno C

VI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

LECTIO - ANNO C
Prima lettura: Geremia 17,5-8

Così dice il Signore: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il
suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamarisco nella
steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di
salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il
Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la
corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti».

 Geremia è un profeta perseguitato. Chiamandolo il Signore gli aveva promesso di


renderlo un muro inespugnabile (1,5-10); di fatto è oggetto di ire e di attacchi da parte di
tutti, i familiari (12,6), i concittadini (12,1-5), gli abitanti di Gerusalemme, il re, la corte
(36,21-26) e finisce in una prigione (38,6).
La sua salvezza è la sua fede in un Dio giusto giudice (12,1), che punisce il male e
premia il bene. È l'assioma che si trova alla base della teologia deuteronomistica (cioè
presente nel libro del Deuteronomio) di cui Geremia è un esponente. Tuttavia l'«uomo che
confida nell'uomo» non è chiunque fa ricorso all'aiuto del proprio simile, ma l'israelita che
vuole risolvere i suoi problemi nazionali e militari appoggiandosi agli stranieri invece che
a JHWH.
Le alleanze con i popoli vicini, assiri, babilonesi, egiziani, non sono mai state ben viste
dai profeti, quindi neanche da Geremia, perché sottindendevano una carenza di fede nel
Dio dei padri, colui che li aveva sottratti, con braccio potente, dalla schiavitù egiziana e
aveva messi nelle loro mani i cananei.
Il discorso si fa più ampio nella contrapposizione tra l'agire secondo la carne e l'agire
secondo lo spirito. La «carne» nella tradizione biblica designa la fragilità creaturale
dell'uomo. Vivere o agire secondo la carne significa seguire gli istinti dell'egoismo o
dell'orgoglio più che la voce di Dio e la sua volontà. In altre parole è dare spazio alle scelte
più facili, di comodo, che soddisfano più la passione che la ragione.
Se l'«uomo» non sa lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio, sono le conseguenze del suo
agire carnale che dovrebbero portarlo al ravvedimento, i castighi che l'hanno colpito o
stanno per colpirlo. I buoni suggerimenti, le riflessioni sapienziali non valgono sempre a

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cambiare l'uomo, ma il bene e il male che consegue il suo agire dovrebbero portarlo a
resipiscenza. È quanto il profeta si augura.
Il richiamo alle conseguenze del ricordo e della dimenticanza di Dio può essere
opportuno ma non gli si può dare un peso sicuro, poiché molte volte la «maledizione» non
cade sempre sugl'iniqui, né la «benedizione» raggiunge solo i buoni. La fede non è un
calcolo matematico.

Seconda lettura: 1Corinzi 15,12.16-20

Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi
che non vi è risurrezione dei morti? Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è
risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri
peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto
speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli
uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.

 La risurrezione è una proposta cristiana che non ha avuto sempre facile accoglienza (cf.
At 17,32;26,24). Sono le difficoltà che Paolo incontra tra i convertiti di Corinto.
L'apostolo si è appellato alle prove storiche, ai testimoni cioè della risurrezione di Gesù
(vv. 3-11), ora fa ricorso anche alle ragioni teologiche. La risurrezione è la garanzia unica
ed esclusiva non tanto della credibilità di Gesù Cristo, quanto della validità della sua
missione ovvero della sua azione redentiva. Se egli non fosse risorto non solo non avrebbe
dato la giusta prova di quello che aveva predicato, ma non avrebbe dimostrato e avviato il
processo di rigenerazione e di rinascita di quelli che muoiono. Se ciò fosse vero non c'è
futuro, non c'è speranza di una vita nuova in quelli che hanno chiuso l'esperienza
terrestre.
L'argomentazione di Paolo è tuttavia più complessa poiché concepisce la morte di
Cristo come un sacrificio di espiazione per i peccati dell'umanità. Egli è il capro che porta
su di sé i peccati di tutti (cf. Rm 3,21-28) come Giovanni dice che è l'agnello che toglie i
peccati del mondo (1,29).
La risurrezione prova che Gesù è entrato nel mondo di Dio, quindi ha offerto al Padre il
risarcimento che aspettava dagli uomini e da lì ora attende quelli che hanno creduto in lui.
È evidente che se non fosse risorto, né lui né i suoi seguaci sarebbero mai entrati nel regno
della vita, non sarebbero quindi salvi.
La risurrezione è, si può dire, un termine convenzionale, equivalente a continuità
nell'esistenza. Gesù risorto significa che egli vive, non è nel regno dei morti, ma dei vivi.
Solo che è un trapasso senza prove, senza verifiche; si può accettare affidandosi alla parola
di Dio trasmessa da Gesù Cristo.
Gesù è la primizia dei dormienti (v. 20), il primogenito tra molti fratelli (Rom 8,29), ma
se non si è verificato in lui il trapasso nella nuova vita, non si verificherà in nessuno,

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nemmeno in quelli che vivono con tale fede in lui. Anzi questi che coltivano tali illusioni,
accanto a privazioni e sacrifici di ogni genere, sono alla fine da compiangere più degli altri.
L'apostolo nemmeno accetta queste supposizioni e chiude ogni possibile riserva
riaffermando categoricamente la sua fede nella risurrezione (v. 20).

Vangelo: Luca 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era
gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da
Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi
discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora
avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi,
quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e
disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi
in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo
stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete
già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli
uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi
profeti».

Esegesi

Il brano di Lc 6,20-26 è parallelo a Mt 5,1-12. Si tratta in entrambi i casi di un grande


discorso programmatico di Gesù, solo che nel primo caso esso è tenuto «in un luogo
pianeggiante», nel secondo «su un monte». In Matteo Gesù apre la sua predicazione, per
Luca invece l'ha aperta nella sinagoga di Nazaret (4,18-22), ma con un annunzio che è
identico a quello del discorso della montagna o in pianura. Anzi è più esplicito e forse più
genuino.
«Lo Spirito di Dio è su di me» per questo mi ha inviato ad evangelizzare i poveri, a
liberare i carcerati, gli oppressi, a guarire i ciechi, a proclamare l’anno di grazia del Signore
(cf. Is 61,1-2; Lc 4,18-22).
La «buona notizia» che i poveri attendono è che la loro infelice condizione abbia a finire,
non in un giorno che nessuno sa quale, ma presto, subito, si può aggiungere. «Oggi si è
adempiuta questa Scrittura che avete udito», dichiara Gesù ai suoi concittadini che
l'ascoltano sbigottiti e offesi (4,20,28).
La povertà non è un bene che Dio ha contemplato nel suo disegno creativo; è addirittura
un male, una carenza, come tale è la malattia e qualsiasi altro ostacolo che intralcia il

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cammino dell'uomo, destinata a scomparire. L'era messianica doveva segnare l'avvio di


una siffatta realizzazione, insieme a un rinnovamento dei rapporti dell'uomo con Dio.
Il giardino delle origini (Gen 2) era per Gesù il regno dei cieli o di Dio di cui era arrivata
la realizzazione.
Il programma di Gesù guarda a tutto l'uomo, al suo corpo come al suo spirito, ai
rapporti con Dio ma anche con i propri simili; abbraccia tutto e tutti senza escludere
nessuno, ma le sue attenzioni, quasi le sue preferenze, vanno agli umili, ai piccoli, agli
indigenti, ai malati, in una parola ai «poveri», perché ne hanno più bisogno.
Anche i messi del Battista gli chiedono di qualificarsi: «Sei tu colui che deve venire o un
altro?». Egli non fa che rispondere appellandosi alle stesse parole del profeta Isaia (61,1-
2;26,19;29,18;35,5) e anche qui la risposta è: «I poveri sono evangelizzati» e accanto ad essi
sono i ciechi, i lebbrosi, gli storpi, i sordi. In questo senso Gesù si proclama il salvatore
degli uomini più che dei propri connazionali. I figli di Abramo attendono prima di tutto
l'affrancamento dal giogo straniero che pesa sulle loro spalle da circa sei secoli (dal 587 a.
C.), ma Gesù guarda alle aspirazioni e aspettative di tutti gli uomini: tutti egualmente figli
dello stesso comune padre.
Egli è un israelita, ma la sua missione supera i confini d'Israele, come materialmente li
sta superando nel corso della sua predicazione. Il suo sogno è arrivare a una convivenza
tra ebrei, samaritani, fenici, greci e romani, in un regno di piena, perfetta giustizia e pace.
Il «primato» d'Israele o di qualsiasi altro popolo, come di un uomo sull'altro, è sempre
satanico perché nasce dal desiderio di sopraffazione non dallo Spirito di Dio di cui egli si
sente ricolmo (Lc 4,18; 1,35:3,22).
Gesù è un profeta non un dottore della legge e meno ancora uno stratega; egli cerca di
aiutare gli uomini a scoprire i disegni di Dio nascosti nelle profondità del loro cuore o che
si esplicano nel corso della storia.
Il messaggio che ha lasciato ai suoi ascoltatori è troppo insolito, ardito per essere subito
capito ed accettato dai suoi stessi seguaci, per questo con il passare del tempo ne tentano
una loro reinterpretazione. I vangeli registrano quella delle chiese di Marco e Matteo, di
Luca e Giovanni.
I «poveri» da evangelizzare per Matteo sono i poveri in spirito». Essi non sono da
beatificare, ma sono già beati. Nella comunità cristiana per vivere in pace, felici, occorre
essere umili, spogliare «lo spirito», ossia il proprio io, da eventuali rivendicazioni, dagli
stessi personali diritti. Bisogna saper tacere, anche subire; è questa la miglior medicina per
risol-vere le conflittualità comunitarie, per convivere con gli altri, soprattutto con i
prepotenti, i facinorosi, gli ottusi: i ricchi di spirito.
Luca invece rilegge il messaggio dell'evangelizzazione dei poveri in chiave, più che
ecclesiale, cristiana. Gesù ha aperto il discorso in pianura davanti a una «gran moltitudine di
gente» (v. 17), ma quando deve cominciare il proclama inaugurale restringe la sua
prospettiva. «Alzati gli occhi verso i suoi discepoli» (v. 20) e «diceva» (ivi). L'imperfetto
(«diceva») non è casuale; vuol sottolineare che si tratta di un discorso ripetuto più di una
volta, con una certa intenzionalità e insistenza. Si trattava di una proposta di Luca più che
di Gesù che ai suoi ascoltatori non appariva troppo evidente.

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Il messaggio originario di Gesù ha subito in Luca due gravi modifiche. I «poveri», senza
distinzione, a cui si riferiva Isaia e di cui si parlava nel programma di Nazaret (4,18-22) e
nella risposta ai messi del Battista, sono diventati i poveri discepoli di Gesù, in una parola
i cristiani che sono oggetto di persecuzioni, confisca di beni, esilio; per questo hanno fame,
soffrono, piangono.
Le promesse di Gesù non solo non si erano attuate, ma avevano provocato ai fedeli
disagi e sofferenze. A questi credenti che sono in crisi per la loro fede Luca offre una
rilettura del messaggio delle beatitudini spostandone la realizzazione.
Gesù nella sinagoga di Nazaret parlava di «oggi»; Luca crede forse ancora a questa
perentorietà, ma preferisce spostare l'obiettivo in un tempo successivo e, alla fine, nel
mondo dell'al di là.
Nella mente di Gesù il «regno dei cieli» era la realizzazione delle promesse messianiche
e, come il progetto originario, prendeva avvio fin da questa terra. L'evangelista sembra
saltare la fase terrestre, come farà Matteo nel discorso escatologico (25,31-46) e si porta
senz'altro a quella del cielo.
Il contrasto non è tra il ieri e l’oggi, il passato e il presente, ma tra l’oggi e il domani, tra
il presente e il futuro, tra il mondo attuale e quello avvenire. «Ora» avete fame, ora
piangete, siete messi al bando, ma un giorno o in quel giorno, in definitiva «nei cieli»,
sarete saziati, riderete, vi rallegrerete, esulterete.
La vita terrestre, anche quella del cristiano, soprattutto quella del cristiano, è segnata,
oltre che dalla povertà, da ingiustizie, persecuzioni, sofferenze, e la risposta che
l'evangelista propone è la pazienza, la rassegnazione, nell'attesa di vedere rivalutati i
diritti conculcati, in un giorno che nessuno sa qual è e nessuno sa quando verrà, ma la fede
assicura che
verrà certamente.
Se poi potesse essere di conforto ai perseguitati, l'evangelista Luca, solo lui, si affretta a
delineare il rovesciamento che subirà la sorte dei persecutori. E riporta quattro «Vae»
(guai) o maledizioni, poste in bocca a Gesù, contro i ricchi, i sazi, quelli che ridono, che
sono beati.
La storia si rovescerà; gli infelici saranno felici e i gaudenti saranno afflitti. È il
mutamento che prevede il Magnificat, anch'esso un brano del Vangelo di Luca (1,46-56). La
stessa cosa avverrà secondo Matteo, nel «giudizio universale»: i «benedetti» finiranno nel
regno del padre, i «maledetti» nel fuoco eterno (25,34,42).
La legge del taglione vale anche nel mondo di Dio e ad applicarla è lo stesso Padre che,
secondo le parole di Gesù, è capace di perdonare somme spropositate (Mt 18,27) ed è sulla
soglia di casa ad aspettare ansioso il ritorno del figlio che si era smarrito (Lc 15,20).
Meditazione

La Liturgia della parola ci introduce in questa domenica nel capitolo sesto di Luca, dove
incontriamo il cosiddetto Discorso della pianura, che nel terzo evangelo corrisponde, sia
pure in un gioco di somiglianze e differenze, a quello che in Matteo è il Discorso della
montagna. L'ambientazione è infatti diversa. Matteo fa parlare Gesù dall'alto di un monte,

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anzi del monte, perché non è un luogo generico, ma ben determinato, che simbolicamente
evoca il Sinai, il monte su cui Mosè riceve le Dieci parole dell'Alleanza. Luca, invece,
introduce il discorso precisando che Gesù, disceso con i Dodici, «si fermò in un luogo
pianeggiante» (v. 17). I versetti precedenti di questo capitolo sesto, che il lezionario
liturgico omette, narrano infatti che Gesù si era recato sul monte a pregare, e dopo aver
passato tutta la notte in preghiera chiama a sé i discepoli scegliendone dodici, «ai quali
diede anche il nome di apostoli» (v. 13). Il primo frutto della preghiera di Gesù sembra
dunque essere la cosiddetta istituzione dei Dodici. Anche il Discorso della pianura pare,
nella trama narrativa che l'evangelista intesse, affondare le sue radici in questa notte di
preghiera solitaria. Gesù scende dal monte e inizia a parlare, aprendo il suo discorso con la
grande proclamazione delle quattro beatitudini, alle quali rispondono i quattro guai.
Con questo simbolo spaziale della 'discesa', Luca sembra suggerirci che la pagina delle
beatitudini che oggi ascoltiamo sono una parola che discende verso di noi, ci raggiunge e ci
consola nei molti luoghi delle nostre povertà e delle nostre afflizioni, consentendoci di
gustare quella gioia e quella pienezza di vita che provengono dall'alto, da Dio, che in Gesù
è disceso verso di noi. Val la pena sottolinearlo: la proclamazione delle beatitudini germina
e matura nell'intimità della relazione con il Padre che Gesù vive nella sua preghiera.
Rimanendo in questo rapporto con il Padre, Gesù può comprendere più profondamente il
suo modo di agire verso gli uomini, e specialmente verso i poveri, gli affamati, gli afflitti, i
perseguitati.
È bene precisarlo subito: nella visione di Gesù, che tanto Matteo quanto Luca ci
tramandano sia pure con accenti differenti, le beatitudini, prima ancora che essere una
descrizione di come gli uomini debbano agire, verso Dio e verso gli altri, sono una
rivelazione del modo di essere e di agire del Padre che è nei cieli. La struttura stessa delle
beatitudini ce lo ricorda. È nel terzo elemento di ciascuna beatitudine, introdotto dal
'perché', che la gioia trova il suo fondamento e la sua ragion d'essere, e questo 'perché' fa
sempre riferimento a un'azione di Dio, espressa con un verbo coniugato al passivo, che
allude all'agire del Padre senza nominarlo esplicitamente. Ma è lui che dona il suo regno ai
poveri, che sazia chi ha fame, che consente di ridere a chi piange, che offre nella gioia e
nell'esultanza una ricompensa a chi ora è odiato, insultato, disprezzato a motivo della sua
fede nel Figlio dell'uomo.
Quando Dio scende verso di noi, entra nella nostra storia, non rimane neutrale, prende
posizione, e se certo il suo amore è universale, conosce comunque una predilezione, quella
per i poveri e per tutti coloro che non hanno nessuno che si prenda cura della loro vita e
del loro bisogno, che assuma la difesa del loro diritto ingiustamente conculcato, che offra
consolazione alla loro afflizione. Se nessun altro lo fa, ecco Dio che si schiera dalla loro
parte e dona una gioia che altrimenti sarebbe loro negata. Al contrario, coloro che cercano
da soli, in modo autonomo e autosufficiente, una forma compiuta e felice per la propria
vita, confidando nell'opera delle proprie mani, si espongono al rischio di rimanere delusi,
di ritrovarsi a mani vuote. Ora ridono, confidando in se stessi, ma piangeranno, ora sono
sazi, ma patiranno la fame. È questo il senso dei 'guai' che in Luca seguono
immediatamente la proclamazione dei 'beati'. Non vanno intesi alla stregua di una
minaccia, di un giudizio o peggio di un castigo. Sono piuttosto un avvertimento profetico,

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attraverso il quale Gesù mette in guardia coloro ripongono la propria fiducia in se stessi.
Geremia descrive questo loro atteggiamento nella prima lettura:

Maledetto l'uomo che confida nell'uomo,


e pone nella carne il suo sostegno,
allontanando il suo cuore dal Signore (Ger 17,5).

Al contrario,

Benedetto l'uomo che confida nel Signore


e il Signore è la sua fiducia (v. 7).

Come ricorda anche il Salmo 1, cantato quale responsorio, siamo posti di fronte a due vie,
a due modi contrapposti di orientare la nostra esistenza: la possiamo fondare nell'attesa
confidente di ciò che Dio farà per noi, realizzando la sua promessa; oppure possiamo
fondarla su noi stessi e sulle nostre ricchezze. Questa è la differenza fondamentale tra i
poveri, proclamati beati, e i ricchi, ai quali è indirizzato il primo 'guai'. Più che giudicare o
punire il loro atteggiamento, Gesù intende metterli in guardia circa il pericolo della
ricchezza, che nella visione di Luca è sempre iniqua, disonesta. Lo è perché non mantiene
la parola data; ci fa balenare davanti agli occhi una promessa di felicità che non riuscirà a
realizzare. La fame che colpirà chi ora è sazio, o il pianto che affliggerà chi ora ride, non
sono da intendersi alla stregua di una sorta di castigo divino, che piomberebbe su di loro
dall'alto, improvvisamente; sono piuttosto l'esito del venir meno di una promessa
infondata, illusoria, come accade all'uomo che costruisce la sua casa sulla terra, senza
fondamenta, anziché fondarla sulla roccia (cfr. Lc 6,48-49): la casa crolla, e chi aveva
riposto in essa tutta la propria gioia si ritroverà nel pianto, nell'afflizione, senza
ricompensa e senza consolazione. È significativo che tanto in Matteo il Discorso della
montagna, quanto in Luca il Discorso della pianura, si aprano con le beatitudini e si
concludano con la parabola dei due costruttori. La beatitudine appartiene a chi costruisce
la sua vita sulla roccia della confidenza nel Signore; i guai ammoniscono invece circa il
pericolo che si corre costruendo la propria vita
sulla sabbia. Costruisce sulla sabbia di chi ripone in se stesso la propria fiducia e il proprio
sostegno, «allontanando il suo cuore dal Signore» (cfr. Ger 17,5-7).

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L’immagine della domenica

MATERA (BASILICATA) - 2022

«Risuoni in voi
la causa dell’umano
come causa di Dio».
(Papa Francesco)
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Preghiere e Racconti

Beatitudini dell'oggi
BEATI quelli che sanno ridere di se stessi:
non finiranno mai di divertirsi.
BEATI quelli che sanno distinguere
un ciottolo da una montagna:
eviteranno tanti fastidi.
BEATI quelli che sanno ascoltare e tacere:
impareranno molte cose nuove.
BEATI quelli che sono attenti
alle richieste degli altri:
saranno dispensatori di gioia.
BEATI sarete voi se saprete
guardare con attenzione le cose piccole
e serenamente quelle importanti:
andrete lontano nella vita.
BEATI voi se saprete apprezzare un sorriso
e dimenticare uno sgarbo:
il vostro cammino sarà sempre pieno di sole.
BEATI voi se saprete interpretare
con benevolenza gli atteggiamenti degli altri
anche contro le apparenze:
sarete giudicati ingenui,
ma questo è il prezzo dell'amore.
BEATI quelli che pensano prima di agire
e che pregano prima di pensare:
eviteranno certe stupidaggini.
BEATI soprattutto voi che sapete riconoscere
il Signore in tutti coloro che incontrate:
avete trovato la vera luce e la vera pace.

Beati i miti
Il nostro campo è invaso dall’ingiustizia. Tutte le risposte del mondo all’ingiustizia sono
violenza attiva o consentita. Opporvi la dolcezza del Cristo è scandalo.
Chi può misurare il coraggio richiesto a coloro che accettassero questo scandalo della
mitezza? Ma c’è scandalo più grande – ed autentico, questo – dello scandalo dei cristiani
che hanno lasciato a un Gandhi la responsabilità di levare nel mondo una massa di uomini
che si affidavano alla forza incoercibile di quella mitezza?

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E tuttavia, ancora una volta, non c’è scelta. Il Cristo “mite ed umile di cuore” è un fatto.
Non possiamo né rettificarlo né adattarlo.
(Madeleine DELBRỆL, Noi delle strade, Milano, Gribaudi, 2008, 123).

Gli infelici
Non si deve contrarre la misericordia secondo la moda del giorno. Bisogna che la presa
di coscienza della infelicità economica delle masse non ci trascini a sprezzare altre forme
di infelicità, a disinteressarci di queste.
La misericordia del Cristo per i poveri si inserisce in una misericordia tanto vasta
quanto tutte le infelicità umane. È misericordia verso i peccatori, misericordia verso gli
ammalati, misericordia verso tutti coloro che piangono i loro morti, misericordia verso i
prigionieri, misericordia verso tutto ciò che è piccolo.
A motivo di una nozione materializzata della povertà si rischia assai spesso di
dimenticare che vi sono altri poveri che non gli economicamente poveri, altri piccoli che
non il proletariato. Vi sono ammalati morali o psicologici. Poveri di doni, di attrattive, di
amore. Accanto alle classi oppresse vi sono gli “inclassificabili”.
I poveri e i piccoli non sono soltanto nel proletariato. Ed il proletariato stesso non è
composto esclusivamente di militanti, quei militanti ricchi già di una speranza, di una
ricchezza di cuore, di una formazione spirituale.
Il cuore del Cristo, neppure lui può essere rettificato: è di tutti, ed è a tutti che
dobbiamo darlo.
Questo amore personale del Cristo “chiama ciascuno con il suo nome”, non chiama una
categoria. Conosce ciascuno “come il Padre conosce il Figlio”.
Dobbiamo ritrovare quest’amore personale di qualcuno verso qualcuno. Quest’amore è
mutilato dalle definizioni “sociali” che attacchiamo sui nostri fratelli ed in base a quella
che diamo di noi stessi. Noi non sappiamo più incontrarci come un uomo incontra un
uomo nella sua semplicità individuale. Non sappiamo più chiamarci per nome.
(Madeleine DELBRỆL, Noi delle strade, Milano, Gribaudi, 2008, 125-126).

L'insegnamento di un Maestro ebreo?


«Il Mahatma Gandhi, padre dell'India moderna e apostolo della non-violenza,
ricordando il suo primo incontro con il "discorso della montagna", diceva che gli era
andato dritto al cuore: "The Sermon on the Mount went straight to my heart...". E
aggiungeva: "È stato grazie a questo discorso che ho imparato ad amare Gesù". Questa
testimonianza mostra in maniera eloquente come la lettura dei capitoli 5-7del Vangelo di
Matteo possa essere decisiva per l'incontro col Profeta galileo e il suo messaggio. Si può
perfino dire che la storia delle interpretazioni del discorso della montagna è la storia delle
diverse auto-comprensioni del cristianesimo».
(Mons. Bruno FORTE, Il discorso della montagna e il dialogo ebraico-cristiano, dialogo
pubblico con il biblista ebreo americano Jacob Neusner, 18 GENNAIO 2010).

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Le Beatitudini
Fra i dieci gruppi in cui si possono distribuire e raccogliere le diverse beatitudini
bibliche, uno solo riguarda il possesso dei beni materiali. È la beatitudine di un padre che,
per merito della fecondità della moglie, si trova provvisto di un certo numero di figli, sani
e robusti, e che, perciò, passa onorato e riverito tra la gente della sua città. Ma altre
beatitudini di ordine materiale non esistono. Né i ricchi, né i potenti, dominatori, eroi, né,
molto meno, i gaudenti, fecero parte, direttamente, per le beatitudini bibliche, del numero
dei beati. Anche la ricchezza, certamente, rientrò nella visione biblica antico-testamentaria,
tra i beni desiderabili per la vita di ogni uomo. La povertà e l'indigenza non ebbero mai
buona accoglienza. A differenza, però, delle beatitudini sia egiziane che greche, le
beatitudini bibliche non credettero mai che la ricchezza, da sola, bastasse a dare felicità. E
neppure, quindi, la gloria, la potenza, il prestigio.
Anche questi, certamente, apparvero e furono stimati beni altamente desiderabili. Ma
non vennero ritenuti affatto costitutivi della felicità umana. Furono cioè dei beni
integrativi, ma non costitutivi.
Servendoci, quindi, di questa distinzione fra beni costitutivi e beni integrativi, l'unico
grande bene costitutivo non fu, in realtà, secondo nove dei dieci gruppi di beatitudini, che
Dio; ovvero, meglio, il possesso, da parte dell'uomo, di tutti gli atteggiamenti più genuini e
autentici verso la realtà divina: la fede in un unico Dio (gruppo I); piena confidenza e
speranza nella sua azione salvifica (II); rispetto profondo, timore e amore (III); umile
confessione delle proprie colpe e desiderio di perdono (IV); stima e attiva partecipazione
all'incremento del culto e la liturgia del tempio (V); attento sguardo sapienziale e attento
ascolto alla presenza di Dio nel mondo e nella storia (VI); stima della Legge come riflesso e
testimonianza della manifestazione dell'azione salvifica di Dio (VII); rispettoso
comportamento verso l'ordine della giustizia (VIII); e, infine, umile accettazione anche di
una qualche menomazione fisica, di uno stato di sofferenza (X).
Siamo, quindi, come si vede, di fronte a un complesso di atteggiamenti religiosi, per i
quali l'uomo, consapevole delle sue incapacità, limitatezze, non si chiude orgogliosamente
in se stesso, ma riconosce che solo in Dio trova la sua completezza.
(A. MATTIOLI, Beatitudini e felicità nella Bibbia d'Israele, Prato 1992,542s.).

Beati voi!
«Cari amici, la Chiesa oggi guarda a voi con fiducia e attende che diventiate il popolo
delle beatitudini”. “Beati voi, afferma il papa, se sarete come Gesù poveri in spirito, buoni
e misericordiosi; se saprete cercare ciò che è giusto e retto; se sarete puri di cuore,
operatori di pace, amanti e servitori dei poveri. Beati voi!”. E’ questo il cammino
percorrendo il quale, dice il papa vecchio ma ancora giovane, si può conquistare la gioia,
“quella vera!”, e trovare la felicità. Un cammino da percorrere ora, subito, con tutto
l’entusiasmo che è tipico degli anni giovanili: “Non aspettate di avere più anni per
avventurarvi sulla via della santità! La santità è sempre giovane, così come eterna è la
giovinezza di Dio. Comunicate a tutti la bellezza dell'incontro con Dio che dà senso alla

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vostra vita. Nella ricerca della giustizia, nella promozione della pace, nell'impegno di
fratellanza e di solidarietà non siate secondi a nessuno!”.
“Quello che voi erediterete”, continua il papa in quelle che sono parole sempre attuali,
“è un mondo che ha un disperato bisogno di un rinnovato senso di fratellanza e di
solidarietà umana. È un mondo che necessita di essere toccato e guarito dalla bellezza e
dalla ricchezza dell'amore di Dio. Il mondo odierno ha bisogno di testimoni di
quell'amore. Ha bisogno che voi siate il sale della terra e la luce del mondo. (…) Nei
momenti difficili della storia della Chiesa il dovere della santità diviene ancor più urgente.
E la santità non è questione di età. La santità è vivere nello Spirito Santo”.
Una scelta di vita, una scelta che dà senso, una scelta per vivere e testimoniare ciò che
ogni cristiano sa: “Solo Cristo è la ‘pietra angolare’ su cui è possibile costruire saldamente
l'edificio della propria esistenza. Solo Cristo, conosciuto, contemplato e amato, è l'amico
fedele che non delude”.
(Giovanni Paolo II, a Toronto, nella GMG 2002).

Le beatitudini e la felicità
Le beatitudini indicano il cammino della felicità. E, tuttavia, il loro messaggio suscita
spesso perplessità. Gli Atti degli apostoli (20,35) riferiscono una frase di Gesù che non si
trova nei vangeli. Agli anziani di Efeso Paolo raccomanda di «ricordarsi delle parole del
Signore Gesù, il quale disse: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”». Da ciò si deve
concludere che l'abnegazione sarebbe il segreto della felicità? Quando Gesù evoca ‘la
felicità del dare’, parla in base a ciò che lui stesso fa. È proprio questa gioia - questa felicità
sentita con esultanza - che Cristo offre di sperimentare a quelli che lo seguono. Il segreto
della felicità dell'uomo sta dunque nel prender parte alla gioia di Dio. È associandosi alla
sua ‘misericordia’, dando senza nulla aspettarsi in cambio, dimenticando se stessi, fino a
perdersi, che si viene associali alla ‘gioia del cielo’. L'uomo non ‘trova se stesso’ se non
perdendosi ‘per causa di Cristo’. Questo dono senza ritorno è la chiave di tutte le
beatitudini. Cristo le vive in pienezza per consentirci di viverle a nostra volta e di ricevere
da esse la felicità.
Resta tuttavia il fatto, per chi ascolta queste beatitudini, che deve fare i conti con una
esitazione: quale felicità reale, concreta, tangibile viene offerta? Già gli apostoli chiedevano
a Gesù: « E noi che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che ricompensa avremo?»
(Mt 19,27). Il regno dei cieli, la terra promessa, la consolazione, la pienezza della giustizia,
la misericordia, vedere Dio, essere figli di Dio. In tutti questi doni promessi, e che
costituiscono la nostra felicità, brilla una luce abbagliante, quella di Cristo risorto, nel
quale risusciteremo. Se già fin d'ora, infatti, siamo figli di Dio, ciò che saremo non è stato
ancora manifestato. Sappiamo che quando questa manifestazione avverrà, noi saremo
simili a lui «perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2).
(J.-M. LUSTIGER, Siate felici, Genova, 1998, 111-117 passim).

Preghiera
Signore Gesù Cristo,

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custodisci questi giovani nel tuo amore.


Fa' che odano la tua voce
e credano a ciò che tu dici,
poiché tu solo hai parole di vita eterna.
Insegna loro come professare la propria fede,
come donare il proprio amore,
come comunicare la propria speranza agli altri.
Rendili testimoni convincenti del tuo Vangelo,
in un mondo che ha tanto bisogno
della tua grazia che salva.
Fa' di loro il nuovo popolo delle Beatitudini,
perché siano sale della terra e luce del mondo
all'inizio del terzo millennio cristiano.
Maria, Madre della Chiesa, proteggi e guida
questi giovani uomini e giovani donne
del ventunesimo secolo.
Tienili tutti stretti al tuo materno cuore. Amen.
(Preghiera del Papa, al termine della Giornata della Gioventù di Toronto).

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
- Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
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- COMUNITÀ DI S. EGIDIO, La Parola e la storia, Milano, Vita e Pensiero, 2012.
- COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, Milano, Vita e
Pensiero, 2008-2009.
- M. FERRARI, «Oggi di è adempiuta questa scrittura». Avvento, Tempo di Natale e Tempo ordinario (prima parte) ,
Milano, Vita e Pensiero, 2012.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice
Vaticana, 2012.
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- Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

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