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Inizio Capitolo 3 Hannah Arendt

Che cos’è la libertà
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Tl La nozione di una dipendenza teci- proca tra liberta e politica contraddice apertamente le teorie sociali del nostro tempo. Purtroppo, non ne consegue che per noi basti tornare a tradizioni teorie pitt antiche, vigenti in epoche anteriori alla nostra. Nel cercar di com- prendere che cosa sia la liberta, la diffi- colt maggiore é nell’inutilita di un sem- plice ritorno alla tradizione, soprattutto a quella che usiamo chiamare «la gran- de tradizione», Sul terreno dell’espe- tienza politica non servono né idea di liberta elaborata per prima dalla filoso- tardo-classica (in cui la liberta diven- un fenomeno del pensiero in virtu no poteva quasi estranlar- za di ragionare), ne concetto cristiano € moderno del libero atbitrio, Nella nostra tradizione filosofj. ca si sostiene, quasi senza eccezioni, che la liberta cominci nel punto in cui si lascia il regno della vita politica, abitato dai molti, e che non possa sperimentarsi nella vita associata, bensi nel rapporto con il proprio io: nella forma di quel dialogo interiore che, da Socrate in poi, chiamiamo pensare, oppure nel conflit- to all’interno di sé, nella lotta interiore tra «cid che vorrei e cid che faccio», nella dialettica feroce che rivelé prima4 Paolo e poi ad Agostino le ambiguita ¢ Pimpotenza del cuore umano. Per la storia del problema della liberta, la tradizione cristiana ¢ vo™ mente il fattore decisivo. Per noi é quas! automatica lequazione tra liberta ° tio, una facolta virtuale” all’antichita classica. Infat® ‘ cristianesimo ha 8 perto era cosi poco affine alle ben note capacita del «desiderare», «aver l'inten- zione» e «tendere a», da farsi visibile solo dopo essere entrata in conflitto con quelle. Se fosse vero che la liberta é un semplice fenomeno della volonta, do- yremmo concludere che gli antichi non la conoscevano, il che é naturalmente assurdo, anche se potrebbe essere soste- nuto sulla base di una mia precedente affermazione: e cioé che V’idea di liberta non ha avuto parte nella filosofia prima di Agostino. Ragione di questo fatto stu- pefacente @ che nell’antichita, sia greca sia romana, la liberta era un concetto esclusivamente politico, anzi era la quin- tessenza della citta-Stato e della condi- zione di cittadino. Ora, la nostra tradi- zione filosofico-politica, cominciata con Parmenide e Platone, nacque in esplicita opposizione alla polis e alla sua comunita di cittadini, La vita scelta dal filosofo 49 implicava un’opposizione al Blog noduty al vivere politico. Dunque la liberta, cen, tro della politica quale l’intendevano ; greci, come idea non poteva, quasi per definizione, rientrare nel quadro dell filosofia ellenica. Fece il suo ingresso nella storia della filosofia solo quando i primi cristiani, e in special modo Paolo, ebbero scoperto una liberta del tutto estranea alla politica. La liberta divenne un problema capitale della filosofia quando fu scoperta come evento spet- mentabile all’interno del rapporto tra s* € sé, fuori del rapporto tra uomini. Libero atbitrio e liberta divennero sino nig? si sperimentd la presenza de pes nella completa solitudine, dove 2 un Uomo poteva ostacolare la rove evo intrapreso con imo! Non che l’antichita classica ignorasse il fenomeno della solitudine; sapeva benissimo come l’uomo solitario non sia pit uno solo ma «due in uno», e come nel momento stesso in cui s’interrompe (per una qualsiasi tragione) il rapporto tra me e gli altri uomini, s’instauri un rapporto tra me e il mio «io». Da Platone in poi, la filosofia classica ha sottolineato accanto a questo, che é la condizione esistenziale del pensiero, un altro dualismo, fra anima e corpo, in base al quale la facolta motrice era asse- gnata all’anima, che si presumeva dovesse imprimere il moto al corpo € a sé stessa; inoltre il platonismo vedeva in “questa facolta una signoria dell’anima corpo, Tuttavia la solitudine agosti- «rovente tenzone» all’inter- era del tutto sconosciuta: ino non era tra ragione to e Ovpidc,'* ossia tra due diverse facolta umane, beng nella stessa volonta. Il dualismo interno a una medesima € sola facolta era gia noto come il carattere tipico del pensie. 10, il dialogo che V’io sostiene con il sé, In altre parole, il «due in uno» della solitudine, che mette in moto il proces- so del pensiero, ha sulla volonta l’effetto esattamente opposto: la paralizza e la rinserra in sé stessa; nella solitudine volere @ sempre velle e nolle, volere ¢ non volere al tempo stesso. Che la volonta abbia questo poteré autoparalizzante stupisce ancor pill iM quanto @ nella sua propria essenza di comandare ed essere obbedita. Percid si " bbe «mostruosa» la possibilita che m0 comandi sé stesso e non sia obbe a possibilita che si spiega solta™ a simultanea di un «¢ «] ne, ad opera di Agostino, di un fatto sto- ricamente accertabile: l’originaria mani- festazione del fenomeno della volonta @ nell’esperienza «non faccio quel che vor- rei», nello sperimentare l’esistenza di un «voglio e non posso». La cultura classica non ignorava la possibilita del «so ma non voglio»: ignorava che «volere» e «potere» non sono la stessa cosa (non hoc est velle, quod posse),!° mentre, com’é ovvio, era molto familiare il «volere é potere». Basti ricordare in pro- posito l’enfasi con cui Platone sosteneva che solo quanti sapevano dominare sé stessi avevano il diritto di dominare sugli altri e di essere esonerati dal vincolo di obbedienza. Del resto il dominio di sé é imasto una virtii specificamente politi- non ali come eccezionale feno- accordo reciproco tanto i coincidere). Se la filosofia classica avesse cong, sciuto un possibile conflitto tra quel che si pud e quel che si vuole, avrebbe cer. tamente inteso il fenomeno della liber come qualita inerente al «potere»; di sicuro non l’avrebbe pensato come attributo del «volere» e del «vorrei», Tutto questo non é vana speculazione anche il conflitto euripideo tra ragionee Oude, presenti a un tempo nell’anima,¢ un fenomeno relativamente tardo. Pit caratteristica, e pit: rilevante nel conte: sto presente, era la convinzione che seb- bene potesse essere accecato da impuls! passionali, appena la sua razionalita sciva a farsi sentire, |’uomo non trovava altri ostacoli a impedirgli di fare 4 - che sapeva essere giusto. Questo sot” ffetti la dottrina di Socrat® virtt é una sorta di scl” la virtt sia «razion a : e imparata, sus” ta il nostro stupore molto pit a causa della nostra familiarita con una volonta spezzata nel suo interno (che vuole e non vuole a un tempo), che non a causa di qualche superiore intuizione della pretesa impotenza della ragione. In altri termini, per noi la volonta, la forza di volonta e la volonta di potenza sono nozioni pressoché identiche; la sede del potere é per noi, la volonta quale facolta conosciuta e sperimentata dall’uomo nel proprio rapporto con sé medesimo. Ora, a vantaggio della forza di volonta noi abbiamo svirilizzato non solo le nostre facolta conoscitive e di ragionamento, ma anche alcune altre doti pit «pratiche». Eppure, non € forse palese perfino a noi che, per usate le parole di Pindaro, «questa ¢ la pena pill grande; starsene con i piedi al iori del giusto e del bello che si cono- 'i] dalla necessita»?’” Lo stato di necessita, per cui sono impedity di fare quel che so € voglio, pud dipen. dere dal mondo esterno, dal mio pro. prio corpo, oppure da un’insufficienzg di doni, talenti e qualita che l'uomo riceve per nascita e sui quali ha forse ancor meno possibilita d’influenza di quanta ne abbia nelle altre circostanze; tutti questi fattori, non esclusi quelli psicologici, condizionano dall’esterno il «volere» e il «sapere» della persona, cio’ «io» stesso; la forza non impari di fronte a tali pressioni, capace, per cos! dire, di liberare il volere e il sapere 4 vincolo della necessita, é il «potere”. Solo nel punto in cui «volere» e «pot te» coincidono, la liberta viene all’es formulata in term o delle esperie™”

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