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Tl
La nozione di una dipendenza teci-
proca tra liberta e politica contraddice
apertamente le teorie sociali del nostro
tempo. Purtroppo, non ne consegue
che per noi basti tornare a tradizioni
teorie pitt antiche, vigenti in epoche
anteriori alla nostra. Nel cercar di com-
prendere che cosa sia la liberta, la diffi-
colt maggiore é nell’inutilita di un sem-
plice ritorno alla tradizione, soprattutto
a quella che usiamo chiamare «la gran-
de tradizione», Sul terreno dell’espe-
tienza politica non servono né idea di
liberta elaborata per prima dalla filoso-
tardo-classica (in cui la liberta diven-
un fenomeno del pensiero in virtu
no poteva quasi estranlar-
za di ragionare), neconcetto cristiano € moderno del libero
atbitrio, Nella nostra tradizione filosofj.
ca si sostiene, quasi senza eccezioni, che
la liberta cominci nel punto in cui si
lascia il regno della vita politica, abitato
dai molti, e che non possa sperimentarsi
nella vita associata, bensi nel rapporto
con il proprio io: nella forma di quel
dialogo interiore che, da Socrate in poi,
chiamiamo pensare, oppure nel conflit-
to all’interno di sé, nella lotta interiore
tra «cid che vorrei e cid che faccio»,
nella dialettica feroce che rivelé prima4
Paolo e poi ad Agostino le ambiguita ¢
Pimpotenza del cuore umano.
Per la storia del problema della
liberta, la tradizione cristiana ¢ vo™
mente il fattore decisivo. Per noi é quas!
automatica lequazione tra liberta °
tio, una facolta virtuale”
all’antichita classica. Infat®
‘ cristianesimo ha 8perto era cosi poco affine alle ben note
capacita del «desiderare», «aver l'inten-
zione» e «tendere a», da farsi visibile
solo dopo essere entrata in conflitto con
quelle. Se fosse vero che la liberta é un
semplice fenomeno della volonta, do-
yremmo concludere che gli antichi non
la conoscevano, il che é naturalmente
assurdo, anche se potrebbe essere soste-
nuto sulla base di una mia precedente
affermazione: e cioé che V’idea di liberta
non ha avuto parte nella filosofia prima
di Agostino. Ragione di questo fatto stu-
pefacente @ che nell’antichita, sia greca
sia romana, la liberta era un concetto
esclusivamente politico, anzi era la quin-
tessenza della citta-Stato e della condi-
zione di cittadino. Ora, la nostra tradi-
zione filosofico-politica, cominciata con
Parmenide e Platone, nacque in esplicita
opposizione alla polis e alla sua comunita
di cittadini, La vita scelta dal filosofo
49implicava un’opposizione al Blog noduty
al vivere politico. Dunque la liberta, cen,
tro della politica quale l’intendevano ;
greci, come idea non poteva, quasi per
definizione, rientrare nel quadro dell
filosofia ellenica. Fece il suo ingresso
nella storia della filosofia solo quando i
primi cristiani, e in special modo Paolo,
ebbero scoperto una liberta del tutto
estranea alla politica. La liberta divenne
un problema capitale della filosofia
quando fu scoperta come evento spet-
mentabile all’interno del rapporto tra s*
€ sé, fuori del rapporto tra uomini.
Libero atbitrio e liberta divennero sino
nig? si sperimentd la presenza de
pes nella completa solitudine, dove
2 un Uomo poteva ostacolare la rove
evo intrapreso con
imo!Non che l’antichita classica ignorasse
il fenomeno della solitudine; sapeva
benissimo come l’uomo solitario non sia
pit uno solo ma «due in uno», e come
nel momento stesso in cui s’interrompe
(per una qualsiasi tragione) il rapporto
tra me e gli altri uomini, s’instauri un
rapporto tra me e il mio «io». Da
Platone in poi, la filosofia classica ha
sottolineato accanto a questo, che é la
condizione esistenziale del pensiero, un
altro dualismo, fra anima e corpo, in
base al quale la facolta motrice era asse-
gnata all’anima, che si presumeva
dovesse imprimere il moto al corpo € a
sé stessa; inoltre il platonismo vedeva in
“questa facolta una signoria dell’anima
corpo, Tuttavia la solitudine agosti-
«rovente tenzone» all’inter-
era del tutto sconosciuta:
ino non era tra ragione
to e Ovpidc,'* ossiatra due diverse facolta umane, beng
nella stessa volonta. Il dualismo interno
a una medesima € sola facolta era gia
noto come il carattere tipico del pensie.
10, il dialogo che V’io sostiene con il sé,
In altre parole, il «due in uno» della
solitudine, che mette in moto il proces-
so del pensiero, ha sulla volonta l’effetto
esattamente opposto: la paralizza e la
rinserra in sé stessa; nella solitudine
volere @ sempre velle e nolle, volere ¢
non volere al tempo stesso.
Che la volonta abbia questo poteré
autoparalizzante stupisce ancor pill iM
quanto @ nella sua propria essenza di
comandare ed essere obbedita. Percid si
" bbe «mostruosa» la possibilita che
m0 comandi sé stesso e non sia obbe
a possibilita che si spiega solta™
a simultanea di un «¢
«]ne, ad opera di Agostino, di un fatto sto-
ricamente accertabile: l’originaria mani-
festazione del fenomeno della volonta @
nell’esperienza «non faccio quel che vor-
rei», nello sperimentare l’esistenza di un
«voglio e non posso». La cultura classica
non ignorava la possibilita del «so ma
non voglio»: ignorava che «volere» e
«potere» non sono la stessa cosa (non
hoc est velle, quod posse),!° mentre,
com’é ovvio, era molto familiare il
«volere é potere». Basti ricordare in pro-
posito l’enfasi con cui Platone sosteneva
che solo quanti sapevano dominare sé
stessi avevano il diritto di dominare sugli
altri e di essere esonerati dal vincolo di
obbedienza. Del resto il dominio di sé é
imasto una virtii specificamente politi-
non ali come eccezionale feno-
accordo reciproco tanto
i coincidere).Se la filosofia classica avesse cong,
sciuto un possibile conflitto tra quel che
si pud e quel che si vuole, avrebbe cer.
tamente inteso il fenomeno della liber
come qualita inerente al «potere»; di
sicuro non l’avrebbe pensato come
attributo del «volere» e del «vorrei»,
Tutto questo non é vana speculazione
anche il conflitto euripideo tra ragionee
Oude, presenti a un tempo nell’anima,¢
un fenomeno relativamente tardo. Pit
caratteristica, e pit: rilevante nel conte:
sto presente, era la convinzione che seb-
bene potesse essere accecato da impuls!
passionali, appena la sua razionalita
sciva a farsi sentire, |’uomo non trovava
altri ostacoli a impedirgli di fare 4
- che sapeva essere giusto. Questo sot”
ffetti la dottrina di Socrat®
virtt é una sorta di scl”
la virtt sia «razion a
: e imparata, sus”ta il nostro stupore molto pit a causa
della nostra familiarita con una volonta
spezzata nel suo interno (che vuole e
non vuole a un tempo), che non a causa
di qualche superiore intuizione della
pretesa impotenza della ragione.
In altri termini, per noi la volonta, la
forza di volonta e la volonta di potenza
sono nozioni pressoché identiche; la
sede del potere é per noi, la volonta
quale facolta conosciuta e sperimentata
dall’uomo nel proprio rapporto con sé
medesimo. Ora, a vantaggio della forza
di volonta noi abbiamo svirilizzato non
solo le nostre facolta conoscitive e di
ragionamento, ma anche alcune altre
doti pit «pratiche». Eppure, non €
forse palese perfino a noi che, per usate
le parole di Pindaro, «questa ¢ la pena
pill grande; starsene con i piedi al
iori del giusto e del bello che si cono-
'i] dalla necessita»?’” Lostato di necessita, per cui sono impedity
di fare quel che so € voglio, pud dipen.
dere dal mondo esterno, dal mio pro.
prio corpo, oppure da un’insufficienzg
di doni, talenti e qualita che l'uomo
riceve per nascita e sui quali ha forse
ancor meno possibilita d’influenza di
quanta ne abbia nelle altre circostanze;
tutti questi fattori, non esclusi quelli
psicologici, condizionano dall’esterno il
«volere» e il «sapere» della persona,
cio’ «io» stesso; la forza non impari di
fronte a tali pressioni, capace, per cos!
dire, di liberare il volere e il sapere 4
vincolo della necessita, é il «potere”.
Solo nel punto in cui «volere» e «pot
te» coincidono, la liberta viene all’es
formulata in term
o delle esperie™”
(Biblioteca Medievale 114) Luciano Di Samosata, Massimo Stella (Editor) - Vite Dei Filosofi All'Asta-La Morte Di Peregrino. Testo Greco A Fronte-Carocci (2007)