PROFILI DEI GIORNALISTI IN SALA GONELLA
Una caratteristica accomuna le 19 fotografie appese in sala Gonella all’Ordine Regionale dei
Giornalisti del Veneto. Sono i ritratti dei colleghi che hanno fatto la storia del giornalismo veneto
del XIX e XX secolo, donando ai posteri una fotografia a tutto tondo della nostra regione ma
aggiungendo anche quanto le loro ricche personalità hanno potuto lasciarci, sul piano professionale,
artistico e umano.
I 19 grandi della nostra storia veneta (Ferruccio Macola, Giuseppe Corazzin, Gianpietro Talamini,
Attilio Borgatti, Gino Piva, Alfredo Melli, Renato Simoni, Arnaldo Fraccaroli, Gino Damerini,
Berto Barbarani, Cesco Tomaselli, E. Ferdinando Calmieri, Pino Bellinetti, Giovanni Comisso,
Dino Buzzati, Guido Piovene, Renato Ghiotto, Goffredo Parise, Giorgio Lago) provengono dai 7
capoluoghi di provincia, con una piccola punta di eccellenza per Vicenza con quattro natali.
Dando una generale inquadratura alle vite di coloro che rendono importante il giornalismo veneto,
si nota come l’ecclettismo sia il trade d’union che li unisce, essendo molti di loro affermati scrittori,
romanzieri, poeti e drammaturghi di fama non solo locale. Molti dei paesi della nostra regione che
hanno dato i natali a tali celebri personalità, non si sono dimenticati dei loro conterranei dedicando
loro monumenti, istituzioni e premi.
Ferruccio Macola
Nato a Camposampiero (Padova) il 17 maggio 1861, figlio di un conte, un passato nella marina
militare e un temperamento battagliero con la penna e con la spada. Fondò a Genova “Il Secolo
XIX” nel 1886. Nel 1887 andò a fare l'inviato in Africa, ma tornò presto nel capoluogo ligure,
riprendendo le redini del quotidiano (e le polemiche e i duelli), finché nel settembre dell'anno
successivo vendette a Pietro Mosetig la propria quota di “Secolo XIX” e si trasferì a Venezia. Qui
acquistò, divenendone anche direttore, “La Gazzetta di Venezia”. Successivamente, per alcune
legislature, venne eletto deputato della Destra al Parlamento italiano, finché il destino lo portò,
nel 1898, a scontrarsi a duello alla sciabola con il deputato radicale Felice Cavallotti: lo uccise a
Roma per divergenze politiche. Travolto dalle polemiche per quella morte, nel 1905 si dimise da
deputato e vendette il giornale veneziano. Nel 1910 a Merate si tolse la vita con un colpo di
pistola.
Giuseppe Corazzin
Nato ad Arcade (Treviso) il 4 marzo 1890, si è formato alla scuola dei dirigenti della Diocesi di
Treviso, guidata dal vescovo Andrea Giacinto Longhin e dal direttore della “Vita del Popolo”
monsignor Angelo Brugnoli. Dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale, dove rimase ferito,
andò a Milano, su incarico del Vescovo Ferrari, a dirigere le Unioni cattoliche organizzate dalle
Diocesi. Partecipò come componente della Segreteria nazionale alla neonata Confederazione
Italiana dei Lavoratori (CIL) e mantenne l'incarico fino al 1920. Nel 1918 iniziò a riscostruire il
mondo del lavoro cattolico attorno all'Unione del Lavoro. Alla fine del 1919 la Diocesi di Treviso
poteva contare un centinaio di Leghe e Cooperative bianche. Nel 1920 fu eletto consigliere e
presidente per il neonato Partito Popolare Italiano (1919-1926) nel consiglio della Provincia di
Treviso, carica che mantenne fino al 1923. Nel 1920 organizzò le masse contadine della marca
trevigiana in dure lotte per ottenere l'abolizione della mezzadria fino ad ottenere, dopo scontri ed
arresti in tutta la provincia, significative conquiste quali la lunga durata degli affitti ed il principio di
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una giusta causa nell'eventuale risoluzione dei contratti. Corrazzin fu tra i leader che organizzarono
il 1° Congresso Nazionale della Cooperazione Cristiana che si svolse a Treviso il 2 e 3 aprile 1921.
Nel 1925 fu eletto nel Consiglio Nazionale dal V Congresso nazionale di Roma del Partito Popolare
Italiano; in quella sede sostenne la necessità delle dimissioni dei deputati aventiniani e sollecitò
nuove forme di opposizione al regime fascista. Morì a Treviso il 18 nvembre 1925.
Nel 1979 è sorta la Fondazione Corazzin, un istituto di ricerca sociale, in particolare sui problemi
del lavoro e della formazione, delle relazioni sindacali e su tematiche politico-istituzionali, con
particolare riferimento alla realtà territoriale del Veneto.
Giornalismo?
Gianpietro Talamini
Nato nel 1845 a Vodo di Cadore è conosciuto soprattutto per aver fondato “Il Gazzettino”, uno dei
più antichi e conosciuti quotidiani regionali italiani, che egli diresse, oltre che esserne il
proprietario, dalla fondazione nel 1887 sino al 1934, quando, nel capoluogo veneto, lo colse la
morte.
Attilio Borgatti
Nato a Attilio Borgatti è definito “giornalista galantuomo e gentiluomo” de “Il Gazzettino”.
Gino Piva
Nato a Milano il 9 aprile 1873, figlio del generale Domenico Piva e di Carolina Cristofori passata
alla storia per essere stata ninfa Egeria di Giosué Carducci. Alla primissima infanzia avevano
corrisposto i continui trasferimenti da una città all'altra, ultime tappe della carriera militare del
padre. Poi, la famiglia approdò a Rovigo, dove Gino Piva frequentò le scuole elementari, il ginnasio
e i primi anni del liceo. Ma, nel 1890, in concomitanza con ulteriore e definitivo trasferimento della
famiglia a Padova, lasciò gli studi per abbracciare la carriera militare. Ma in capo ad un anno venne
interrotta anche questa, in coincidenza con la scoperta della politica e del socialismo. Gino Piva
tornò in Polesine, organizzò scioperi e rivolte contadine. Nel 1898 dopo una manifestazione, venne
arrestato, processato e condannato a dieci mesi di carcere. Riuscì però a raggiungere la Svizzera, da
cui venne presto allontanato perché senza professione. Si recò in Francia e a Parigi visse di
espedienti, finendo per rientrare in Italia e scontare a Rovigo la pena a cui era stato condannato.
Dopo un periodo a Milano, durante il quale fu impiegato delle assicurazioni, si diede al giornalismo
e fu attivo in Romagna, nel modenese, in Piemonte, a Bologna e nella Venezia Giulia. Nel 1899, ad
Adria, insieme con Nicola Badaloni e Dante Coletti, aveva fondato il foglio socialista rodigino “La
Lotta”, organo dei socialisti e delle organizzazioni economiche del Polesine. Durante la prima
guerra mondiale fu corrispondente dal fronte per “Il Resto del Carlino” al quale inviò 380 articoli e
per la cui attività gli fu concessa nel 199 la Croce al Merito di Guerra dal il Capo di Stato Maggiore
Armando Diaz. Ma negli anni successivi comincia un lungo vagabondaggio da un giornale all'altro.
Dal 1923 al 1935 si stabilì a Venezia e scrisse per "il Gazzettino" e il “Nuovo Giornale”; diventò
corrispondente dal Veneto per “il Giornale d’Italia”, “ il Giornale di Roma”, “il Corriere Padano” di
Ferrara e rimase come redattore distaccato del “Resto del Carlino”. In questi anni collaborò
saltuariamente per diverse testate nazionali come la Stampa di Torino, il Mattino di Napoli, il
Giornale di Genova. Nel 1931 fu nominato socio effettivo dell’Ateneo Veneto e socio
corrispondente dell’Accademia dei Concordi di Rovigo.Nel 1931 pubblicò le sue poesie sotto il
titolo “Le cante d'Adese e Po”, cui farà seguito, tre anni più tardi, una nuova raccolta “Bi-ba-ri-bò”.
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A Rovigo ritornò dopo il 25 luglio 1943 per guidare la redazione locale del “Gazzettino”. Ma l'8
settembre, mutato il clima politico, venne licenziato. Non gli rimase che ritirarsi nella casa che
aveva comprato anni prima a Vetrego di Mirano e che chiamerà “La Pivana”. Qui, emarginato e
dimenticato, lavorando ad una Storia proletaria del Polesine (che però andrà smarrita dopo la sua
morte), attese la fine. Morì il 30 agosto 1946.
Alfredo Melli
Nato nel 1870, Alfredo Melli è stato un giornalista padovano. Sin dal 1905 aveva pensato di
allietare il giorno di Natale, distribuendo cibo e generi di sostentamento a molti cittadini e famiglie
povere. Morì nel 1952.
Renato Simoni
Nato a Verona il 5 settembre 1875, esordì come critico teatrale nella sua città natale sul quotidiano
“L'Adige”. Grazie al prestigio acquisito da alcune commedie da lui scritte, fra cui “La vedova” e
“Congedo”, nel 1914 (1902 o 1903) successe a Giovanni Pozza come critico teatrale del quotidiano
“Corriere della sera”, incarico che manterrà fino alla fine della sua vita. La sua firma fu Turno sulle
pagine del “Corriere dei piccoli” e diresse “La Tradotta”, il giornale settimanale di trincea della
Terza Armata (1918-1919). Le sue recensioni cominciarono a essere raccolte in volumi da Lucio
Ridenti nel 1951 sotto il titolo “Trent'anni di cronaca drammatica” e il quinto volume uscirà
postumo nel 1960. Fu autore di una acclamata rivista “Turlupineide” (1908), nonché regista di
opere goldoniane che mise in scena con un’accuratezza filologica di cui non si avevano molti
esempi sui palcoscenici del tempo, dominati dai mattatori (esemplari furono, in particolare, le
realizzazioni di commedie di carattere corale come Le baruffe chiozzotte nel 1936, Il campiello nel
1939, I rusteghi nel 1947). Morì a Milano il 5 luglio 1952. Gli successe nell'incarico al giornale
Eligio Possenti, da lui stesso designato, mentre lascia in donazione al Museo della Scala la sua ricca
biblioteca teatrale.
Arnaldo Fraccaroli
Nato il 26 aprile 1882 a Villa Bartolomea, paese della Bassa Veronese adagiato sotto l’argine
dell’Adige, vicino a Legnago. Collaboratore del giornale di trincea “La tradotta” (assieme al pittore
e disegnatore Antonio Rubino e al fondatore della rivista Renato Simoni), fu molto popolare tra i
suoi lettori a tutti i livelli sia per le sue corrispondenze in tempo di pace e guerra, sia per i numerosi
romanzi e lavori teatrali. Fraccaroli scrisse inoltre sul “Corriere della sera”, per cui è stato anche
inviato, un memorabile servizio sulla liberazione di Sacile nell'ottobre 1918. Tra le sue commedie
più note vanno ricordate “Ostrega, che sbrego!” (1907) e “Siamo tutti milanesi” (1952). Fu amico di
Giacomo Puccini e autore di quattro volumi dedicati al compositore lucchese, tra cui la monografia
“La vita di Giacomo Puccini” pubblicata da Ricordi nel 1925 e “Giacomo Puccini si confida e
racconta”, pubblicata postuma nel 1957. Morì a Milano al termine di una lunga malattia il 16
giugno 1956. Lasciò morendo notevoli legati.
Giornalista schietto, arguto e colorito, scrisse uno sterminato numero di articoli, che furono da lui
stesso ripubblicati in decine e decine di volumi, tutti intrisi di quel personalissimo umorismo, di
quella sorta di inconfondibile "leggerezza". Al giornalismo si era avvicinato che aveva solo 12 anni.
Dopo la grande rotta dell’Adige, seguita, nel 1886, da un’epidemia di colera che aveva reso ancora
più sottili le già misere risorse di casa, la famiglia si era trasferita a Lonigo, nel Vicentino. Nel 1895
fondò il giornaletto umoristico "La Freccia" e nel 1900 il giornale "Bobò". Nel 1901-02 lavorò nella
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redazione del giornale "La Provincia di Vicenza" e nel 1905 a Padova fu redattore a "La Provincia di
Padova", dove incomincia a firmarsi "Fraka", dove divenne redattore capo l’ano seguente. Nel 1908
fu nominato segretario del teatro "La Fenice" di Venezia. Dal 1925 al 1926 diresse la rivista
"Fantasie d’Italia". Dal 1950 al 1956 tenne sulla "Domenica del Corriere" la rubrica "Confidenze"
con i lettori. Scrisse sedici libri di viaggi, ventitré fra romanzi e raccolte di novelle, dodici biografie,
nove volumi di corrispondenze dai fronti di guerra, ventotto lavori teatrali. Fu collaboratore fisso del
settimanale umoristico “Guerin Meschino”. E fu da qui che il giovanissimo Arnaldo si nominò, e
improvvisò, corrispondente per “L’Arena”. “Articolini”, come ricorderà lui stesso, che il giornale
regolarmente gli pubblicava. Finché, dalla redazione, gli venne l’invito a farsi conoscere di persona.
Lo accolse Renato Simoni, allora redattore e critico teatrale a "L’Arena" e questo fu l’inizio della
grande, solida, profonda amicizia. Sarà Simoni, nel 1909, a segnalarlo al direttore del quotidiano
milanese Luigi Albertini. Nel maggiore giornale italiano Fraccaroli entrò il 16 maggio, per non
allontanarsene più, e trasferendosi con la madre a Milano. La sua prosa semplice, pungente e
spiritosa, non tardò ad aprirsi un varco nelle austere stanze di via Solferino: piacque al direttore,
piacque soprattutto ai lettori. Da semplice cronista a inviato speciale, corrispondente di guerra,
testimone e narratore. Da Milano all’Italia, all’Europa, all’Africa, all’Asia (i soli luoghi che non
toccò furono l’Australia e i Poli). Dal deserto cirenaico al fronte austro-serbo, dalla Galizia alla
Macedonia, dal Carso all’Altipiano dei Sette Comuni, dall’Isonzo al Piave. Dalla Muraglia cinese
alla pampa argentina, alle miniere d’oro del Transwaal. Ed è solo una breve, ridottissima carrellata.
Fu il primo giornalista a sbarcare a Trieste libera, il 3 novembre 1918, dal cacciatorpediniere
"Audace". Fu uno dei primi giornalisti europei a visitare, nel ’27, Hollywood. Non a caso i
giornalisti lombardi lo designarono presidente del loro Circolo della Stampa, quando nel 1952 la
carica rimase vacante per la morte di Renato Simoni. Morì il a . Villa Bartolomea gli ha dedicato la
Biblioteca civica e una lapide.
Gino Damerini
Berto Barbacani
Roberto Tiberio Barbarani è nato a Verona il 3 dicembre 1872 è stato un poeta italiano e un
importante poeta dialettale veronese. Grazie a Renato Simoni, finiti gli studi liceali Berto venne
assunto al quotidiano democratico “L'Adige” di Verona nel 1895 dove conobbe Angelo Dall'Oca
Bianca. Nel 1902 venne assunto al quotidiano “Il Gazzettino” collaborando fin al 1932 e
corrispondendo con giornali e riviste regionali e nazionali. Morì il 27 gennaio 1945. Nel 2004 in
piazza Erbe a Verona è stata posta in suo memoria una statua.
Cesco Tomaselli
Nato a Venezia nel 1893, Cesco Tomaselli è stato uno degli inviati storici del “Corriere della Sera”.
Dopo una prima esperienza a “Il Gazzettino” di Venezia e a “Il Secolo” di Milano, ha lavorato per
quasi quarant’anni presso il quotidiano di via Solferino seguendo da vicino i principali avvenimenti
storici e socio-culturali del Novecento. Rilevante anche la sua produzione editoriale che spazia dai
libri di “reportage”, alle biografie, dai saggi alle traduzioni. Morì a Milano nel 1963. Il Comune di
Borgoricco ha già da qualche anno intrapreso varie iniziative finalizzate alla riscoperta e
valorizzazione della figura e dell’opera di Cesco Tomaselli. Con l’istituzione del Centro Studi “C.
Tomaselli” e l’avvio del Concorso giornalistico nazionale a lui dedicato si sono voluti porre due
importanti punti di riferimento per proseguire su un percorso iniziato con l’inventariazione dei
volumi appartenenti alla biblioteca del giornalista nonché dei documenti del suo archivio personale
(dono della signora Anna Maria Bressanin Tomaselli al Comune di Borgoricco).
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Eugenio Ferdinando Calmieri
Nato a Vicenza nel 1903, Eugenio Ferdinando Palmieri fu autore teatrale, critico drammatico e
poeta; figura di primissimo piano nella cultura veneta del XX secolo, per la sua statura culturale, la
sua indipendenza di pensiero, sia sul piano estetico che ideologico, l’attualità linguistica della sua
opera. In genere fu figura di grande indipendenza e rigore morale, che per le sue posizioni pagò
sempre di persona: durante il fascismo, si inimicò D’Amico e la critica di regime proprio per il suo
sostegno al dialetto; dopo la guerra ebbe contro l’entourage di Grassi e del Piccolo Teatro di Milano
per i propri trascorsi “fascisti” e per avere difeso figure perseguitate come Guareschi (questa
inimicizia gli costò il posto più ambito, quello di successore del veronese Simoni alla critica
drammatica del Corriere della Sera); attaccato da destra e da sinistra, non arretrò mai nella difesa
delle culture e delle esperienze minoritarie. Come critico drammatico (soprattutto per Il Resto del
Carlino, e per Sipario, La Notte, Il Tempo, L’Illustrazione Italiana e molti altri) fu il teorico e il
primo storico del Grande Teatro Veneto, cioè di quella concezione allargata e antropologica del
teatro veneto che estendeva l’idea dal teatro in dialetto, a tutta la letteratura precedente, da Ruzante
a Goldoni, da Giustinian alla Commedia dell’Arte; fu studioso e sostenitore di tutto il teatro in
dialetto, in chiave interregionale (famose le sue battaglie a sostegno del teatro bolognese e di quello
napoletano). Come autore teatrale, compose sedici commedie, quasi tutte in dialetto, rappresentate
dalle compagnie venete più importanti, da Baseggio a Micheluzzi. Come poeta ottenne il premio
Viareggio ed è riconosciuto come uno dei poeti dialettali più innovatori dal punto di vista
linguistico (fra i pochi, ad esempio, apprezzati da Pasolini e inclusi nella sua antologia). Morì a
Bologna nel 1968.
Pino Bellinetti
Giovanni Comisso
Nato a Treviso il 3 ottobre 1895, dopo aver completato gli studi classici e laureatosi in legge
all'università di Siena, partecipò volontario alla prima guerra mondiale in quanto interventista
convinto. Concluso il conflitto, ritenendo come la maggior parte dei volontari che i nuovi assetti
geopolitici siano stati formulati con accordi di vertice, senza consenso popolare, partecipò il 12
settembre 1919 all'impresa di Fiume a fianco di Gabriele D'Annunzio e dei suoi legionari. Alla
fine anche di questa esperienza riprende la sua attività di avvocato, ma attratto da esperienze sempre
diverse. Abbandonò dunque la carriera legale per dedicarsi a svariati mestieri: è libraio a Milano,
commerciante d'arte a Parigi. Ebbe nella sua lunga vita avventurosa un lungo sodalizio con il
pittore De Pisis e con lo scultore Arturo Martini. Comisso collaborò alle riviste “Solaria”,
“L'Italiano”, al settimanale “Il Mondo”. Persona dotata di grande vitalità e curiosità, grazie alla sua
memoria visiva e ad una buona propensione di sintesi descrittiva nello scrivere romanzi, diventa
corrispondente e inviato speciale della “Gazzetta del Popolo” e poi del “Corriere della Sera”.
Viaggiò molto in Europa e in Oriente, scrivendo interessanti resoconti: Cina-Giappone, (1932)
“L'italiano errante per l'Italia”, (1937) che poi nella stesura finale diventa “La favorita”, (1945).
Comisso come autore di romanzi ha raggiunto i suoi risultati più perfetti nelle prose di memoria Le
mie stagioni (1951), Giorni di guerra (1930) , La mia casa di campagna (1958), Mio sodalizio con
De Pisis (1954), La virtù leggendaria (1957). Con alcuni di essi ha vinto anche prestigiosi premi,
come nel caso di Gente dì mare (1928) Premio Bagutta, ,tradotto in francese da Valery Larbaud,
che rimane a tutt'oggi l'opera più fortunata di Comisso, e Capricci italiani (1952) a cui va il Premio
Viareggio la saggistica, e infine Un gatto attraversa la strada (1955), vincitore del Premio Strega.
Dopo il felice esordio de Il porto dell'amore (1924), fino ad arrivare a Cribol (1964), romanzo non
troppo gradito sia al pubblico sia alla critica , Comisso conclude la sua attività letteraria con una
stesura riveduta del libro La mia casa di campagna, databile ad appena un anno prima della
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scomparsa. Comisso, dopo una vita vissuta con vitalità e senso di meraviglia visiva, il 21 gennaio
1969 morì nella sua resta il suo intenso e inquieto scenario.