Volume 1 - Libro Di Cielo
Volume 1 - Libro Di Cielo
DIVINA VOLONTÀ
in mezzo alle creature
- LIBRO di CIELO -
Il richiamo della creatura
nell’ordine, al suo posto
e nello scopo per cui
fu creata da Dio
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“ Io sono il Maestro Divino, il Maestro della Divina Volontà,
e le anime che vivono nel Mio Volere sono il mio sorriso ”
( dedica data da GESÙ stesso a riguardo di questa fotografia straordinaria
scattata il 25 maggio 1998 durante l’elevazione dell’Ostia, alla S.Messa di chiusura
dei tre giorni del ritiro sulla Divina Volontà svoltosi a Leon Guanajuato, in Messico )
Il redattore di questa stampa (pro manuscripto) dei 36 quaderni dal titolo LIBRO di CIELO - diario
che la Serva di Dio Luisa Piccarreta ha dovuto scrivere, in obbedienza ai suoi confessori, a riguardo di
tutto ciò che lei sperimentava nei suoi quasi quotidiani mistici incontri con il Signore Gesù e su tutto
ciò che Lui le comunicava - ritiene utile per il lettore apporre la seguente
Premessa :
Durante i suoi 82 anni di vita terrena - che Luisa chiama esilio - più confessori si sono succeduti
per accogliere le sue sacramentali confessioni. Uno di questi fu Sant’Annibale Maria Di Francia, in
qualità di confessore straordinario e Censore degli scritti, per Volontà dell’Arcivescovo di Trani-
Barletta-Bisceglie, S. Ecc. Mons. Giuseppe M. Leo.
Ecco quanto scrive lo stesso Santo A.M. Di Francia in una delle sue lettere in data 15 ottobre
1926:
J.M.J.A.
15.10.1926
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variante lett. di = soggettive
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Mentre così pensavo, ecco che mi capita il capitolo del 4 Maggio 1906, pag.22 del 7° volumetto, e
leggo queste parole che Gesù vi dice:
"Figlia mia, voglio che sii più precisa, più esatta, che manifesti tutto nello scrivere, poiché molte
cose le sorpassi, sebbene che per te le prendi quantunque non le scrivi; ma molte cose che tu tralasci,
dovrebbero servire per gli altri”.
In vista adunque della Divina Volontà che qui si manifesta e che tante volte si è ugualmente mani-
festata, io, nel Nome Santissimo di Gesù e con l’autorità che mi è stata conferita dal vostro legittimo
Superiore Ecclesiastico, vi dono assoluta e forte obbedienza perché giorno per giorno, notte per not-
te, volta per volta, scriviate precisamente, tutto quanto avviene tra voi e Gesù! siano anche le cose
più intime!....
Voi mi direte: ma è Gesù che alcune volte non Si fa vedere e non mi dice nulla, allora che posso
scrivere? Scriverete il vostro patire giorno per giorno, siano pure poche parole. Ma l’obbedien-za ri-
guarda specialmente quando Gesù vi parla, di non tralasciare nemmeno una virgola.
Vi ho detto il paragone delle perle preziose, e voi soggiungeste che il Signore vi aveva paragona-
to le sue parole a brillanti preziosi, di cui neppure uno deve andare smarrito!
Io credo che una delle ragioni per cui alle volte Gesù Diletto lascia passare notti senza apparirvi
o senza parlarvi sia appunto perché siete un po’ volontariamente trascurata a scrivere tutto, Vi vuole
in questo più fedele.
Ogni parola di Nostro Signore è più che perla, è più che brillante! Noi non sappiamo per quali
anime future che sono nella Mente divina Nostro Signore dice alcune parole, e le vuole scritte pel bene
di quelle anime! Come potete voi defraudarlo? Notate pure che non solo le sue parole dovete trascri-
vere esattamente, ma pure le infusioni della sua luce anche, che vi fa comprendere senza parlare.
Ho ragione di credere che quando voi sarete, come spero che già lo siete, nelle migliori disposi-
zioni per eseguire queste obbedienze esattamente, si moltiplicheranno le divine comunicazioni, e ogni
nuova parola chi sa quante anime dovrà santificare e salvare! Chi sa quanto più presto farà trionfare
il terzo Fiat!
Siate generosa con Gesù anche in questo come lo siete nel patire, e Gesù sarà più generoso con
voi nel consolarvi.
Adunque disponetevi non solo a fare perfettamente questa santa Obbedienza ma a farla con
gioia - almeno da parte della volontà - e non vi mancherà il gaudio dello Spirito Santo nel farla.
Intanto vi do pure obbedienza che quando avrete terminato di scrivere il 20° volume, mi avvisiate
affinché io lo possa rilevare, apporvi il mio Nulla Osta e far mettere l’Imprimatur da Sua Eccellenza
Mons. Leo Arcivescovo di Trani.
Questa mia lettera potete liberamente farla leggere al Rev. Padre Benedetto. Poi la conserverete.
Intanto preghiamo, e pregate voi che Nostro Signore vi faccia sentire tutto il gusto della Santa
Obbedienza fatta per suo amore, o comunque farvela eseguire generosamente.
La risposta della presente potete mandarmela in Messina presso l’Orfanotrofio Antoniano. E non
mancate di mettervi sopra la parola: ‘Personale’.
Vi benedico assieme alla vostra buona sorella Angelina, e nei Cuori Santissimi di Gesù e di Ma-
ria mi dico:
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Giusto stamane, dopo terminata la presente, seguitando a leggere il volumetto 7°, a pag. 80, Ot-
tobre 13, leggo: “Sentendo nominare da Gesù la parola desiderii, Gli o detto: ‘Mio Sommo Bene, il
mio desiderio sarebbe che non vorrei scrivere più; quanto mi pesa! Se non fosse pel timore di uscire
dal tuo Volere e dispiacerti, ma lo farei’. E Lui, troncando il mio dire ha soggiunto: ‘Tu non lo vuoi
ed Io lo voglio; quello che ti dico tu scrivilo per ubbidire; per ora serve di specchio a te e a quelli che
prendono parte alla tua direzione; verrà tempo che servirà di specchio agli altri: sicché tutto ciò che
tu scrivi detto da Me, si può chiamare: specchio divino. E tu vorresti togliere questo specchio divino
alle mie creature? Badaci seriamente figlia mia, e col non scrivere tutto non voler restringere questo
specchio di Grazia!’”
Badateci dunque seriamente!... e non vi dispiacete della svisceratissima Madre!... Ma eseguite
con gaudio i suoi ordini! Lo vuole Gesù!
***
J.M.J.A.
Trani, lì 28.8.926
Suo in G. C.
Canonico A.M. Di Francia
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***
J.M.J.A.
Trani, lì 30.8.926
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Il Regno della mia Divina Volontà
in mezzo alle creature
- LIBRO di CIELO -
Il richiamo della creatura nell’ordine,
al suo posto e nello scopo per cui
fu creata da Dio
***
15 Luglio 1926
Mio Gesù, Amor mio, mia Mamma Celeste e Sovrana Regina, venite in mio aiuto, prende-
te fra le vostre mani il povero mio cuore; non vedete come mi sanguina per il duro combatti-
mento di dover cominciare da capo, per dire la mia povera esistenza, della mia infanzia? A
qualunque costo vorrei sfuggire questo dolorosissimo e duro sacrificio, e tanto più duro perché
inaspettato; ma una novella ubbidienza esce in campo per martoriare la mia povera ed insigni-
ficante esistenza. Gesù, Mamma, venite in mio aiuto, altrimenti mi sento che la mia volontà
vorrebbe uscire in campo di nuovo, per avere vita e poter dire un ‘no’ reciso a chi mi comanda.
Ah, Gesù, permetterai Tu forse che io abbia che ci fare1 col mio volere, dopo tanto tempo che
Tu con tanta gelosia lo tieni legato ai tuoi piedi come dono e trionfo della piccola figlia tua?
Mi hanno imposto di pregare per sapere da Te se debbo o no farla, e Tu invece di essere
con me, mi hai detto: “Ciò servirà a far conoscere la terra che doveva illuminare il Sole della
mia Volontà, per formare il Regno suo”.
Ah, Gesù, che importa a me far conoscere la mia piccola terra! E a Te deve importare che
si conosca il tuo Volere, non è vero o Gesù? Ma Gesù ha fatto silenzio ed è scomparso, ed io
pronunzio con tutta l’intensa amarezza dell’anima: “Fiat! Fiat!”, ed incomincio.
Onde dico in principio ciò che mi hanno detto, la stessa mia famiglia.
Nacqui il 1865, 23 Aprile, la Domenica in Albis, di mattina; la sera stessa mi battezzaro-
no. Diceva mia madre che io nacqui a rovescio, ma lei non soffrì nulla nel parto, tanto che io,
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che ci fare = a che fare
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negli incontri e circostanze della mia povera vita, son solita dire: “Nacqui al rovescio! È
[quindi] giusto che la mia vita sia al rovescio della vita delle altre creature!”
Onde ricordo che nella mia tenera età di tre o quattro anni, fino all’età di circa dieci, ero di
temperamento pauroso, ed era tanta la paura che, né sapevo star sola, né dare un passo da sola;
ma ciò era causato [dal fatto] che fin dall’età di tre anni, nella notte facevo quasi sempre sogni
di paura. Sognavo il demonio, che mi metteva spavento tale da farmi tremare; molte volte lo
sognavo che mi voleva portare con sé e mi tirava forte ed io facevo tutti gli sforzi per fuggire;
nello stesso sogno sudavo freddo, mi nascondevo, fuggivo in braccio alla Mamma mia; quindi
il giorno mi restava la impressione dei sogni, e tale paura come se da tutte le parti il demonio
volesse uscire.
Ora credo che ciò mi fece bene, perché sin da quella tenera età io recitavo molte Ave Ma-
ria e Pater noster a tutti i Santi [di cui] io conoscevo il nome, per avere la grazia di non farmi
sognare il demonio; e se mi veniva nominato un altro Santo che io non conoscevo, subito ag-
giungevo un Pater, se era santo maschio, un’ Ave se era donna, perché dicevo che se non li o-
noravo tutti, mi facevano sognare il demonio. Ricordo che le sette Ave alla Mamma Addolora-
ta fin da quella età le recitavo sempre, sicché tenevo una lungaggine di Pater ed Ave Maria; e
perciò mentre le altre bambine e mie sorelline giocavano, io restavo un po’ discosta da loro,
oppure insieme con loro perché avevo paura, ma non prendevo parte ai loro giuochi innocenti,
per recitare le mie lunghe Ave Maria e Pater noster... Ricordo pure che qualche volta sognavo
la Vergine, che mi cacciava il demonio, ed una volta mi disse: “Figlia mia, piangi, ché è morto
mio Figlio!” Io restai scossa e La compativo; ma ciò mi rendeva infelice. Quando giunsi
all’età più capace in cui potevo fare la meditazione, leggere, non potevo appartarmi per la pau-
ra, e quindi non potevo fare ciò che volevo.
Ora, avendomi fatta, all’età di undici anni, Figlia di Maria, un giorno, mentre volevo pre-
gare e meditare, la paura mi sorprese e stavo per fuggire in mezzo alla famiglia [quando] mi in-
tesi una forza nel mio interno che mi tratteneva e sentii nel fondo dell’anima mia una voce che
mi diceva: “Perché temi? C’è l’Angelo tuo vicino al tuo fianco, c’è Gesù nel tuo cuore, c’è la
Mamma Celeste, perché dunque prendi paura? Chi è più forte: l’Angelo tuo custode, il tuo
Gesù, la tua Mamma Celeste, o il nemico infernale? Perciò non fuggire, ma resta e prega e non
aver paura”.
Questo sentire nel mio interno mi recò tanta forza, coraggio e fermezza, che si allontanò la
paura, ed ogni qual volta mi sentivo sorprendere dalla paura, mi sentivo ripetere la stessa voce
nel mio interno, ed io mi sentivo portare come con mano dal mio Angelo, dalla Sovrana Regina
e dal dolce Gesù; mi sentivo trionfante in mezzo a loro, in modo che acquistai tale coraggio
che si allontanò tutta la paura; molto più che i sogni paurosi cessarono del tutto. Così potetti
restare sola, camminare sola, andare sola in giardino quando si stava alla masseria, mentre pri-
ma, se ci andavo, solo che vedevo muoversi un ramo d’albero fuggivo, perché pensavo che lì
sopra c’era il demonio.
Ricordo che un giorno, ricordando la paura della mia piccola età, i tanti sogni del nemico,
che mi rendevano infelice la mia fanciullezza, dicevo a Gesù: “A che pro, Amor mio, aver pas-
sata la mia infantile età con tanta paura, con tanti sogni cattivi, che mi facevano tremare, sudare
ed amareggiare un’età così tenera? Io non ne capivo nulla, né credo che il nemico avesse nes-
suno scopo, stante un’età così piccola”; e Gesù mi disse: “Figlia mia, il nemico intravedeva
qualche cosa su di te, che Mi potevi servire a qualche cosa per la mia grande Gloria, e che lui
doveva ricevere una grande sconfitta, non mai ricevuta; molto più che vedeva che, per quanto
si sforzava, non poteva far penetrare in te nessun affetto o pensiero meno puro, perché Io gli te-
nevo chiuse le porte e lui non sapeva da dove entrare; vedendo ciò si arrabbiava e cercava di
atterrirti - non potendo altro - con sogni paurosi e di spavento. Molto più che non sapendone la
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cagione dei miei grandi disegni su di te, che dovevano servire alla distruzione del suo regno, si
metteva sull’attenti per indagare la causa, con la speranza di poterti nuocere in tutti i modi”.
Nostro Signore è stato tanto buono con me, dandomi genitori buoni, e[d in] più stavano at-
tenti a non farci sentire neppure una parola di bestemmia o meno onesta. Mi amavano, ma con
amore dignitoso e serio. Ricordo che mai mio padre, essendo bambina, mi pigliò in braccio, né
di avergli dato, né ricevuti baci; neppure mia madre ricordo di averla baciata, e quando fui
grande e mi misi a letto, la mamma, dovendo andare alla masseria e mancare lunghi mesi, nel
licenziarsi da me faceva atto di volermi baciare, ed io, vedendo ciò, prima che lo facesse le ba-
ciavo la mano, ed essa si asteneva dal fare quello sfogo tutto materno.
Il babbo e la mamma erano angeli di purità e di modestia. Sono stati larghi coi loro dipen-
denti: la frode, l’inganno, non tenevano luogo in casa nostra. Era tanta la custodia che mai ci
affidarono a persone estranee, ma sempre con loro. Io mi auguro che il benedetto Gesù abbia
premiato tanta virtù, dando loro per soggiorno la Patria Celeste.
Ricordo pure che io ero di temperamento vergognoso e, se venivano parenti o altri a farci
visita, io me ne fuggivo sopra, per non farmi trovare, oppure mi nascondevo dietro d’un letto e
pregavo, ed allora uscivo, quando mi chiamavano e mi dicevano che se ne erano andati. Quan-
do la mamma mia andava a far visita ai parenti e voleva portarmi insieme, piangevo, perché
non volevo andare; ed io ed un’altra mia sorellina, quasi dello stesso temperamento, ci conten-
tavamo di restare sole, chiuse a chiave, anziché d’uscire. Questa vergogna non mi faceva pren-
dere parte a nulla, né a feste, né a divertimenti, anche innocenti, che si usano nelle famiglie;
ero la sacrificata della vergogna, e se i mie mi costringevano, stavo in croce, perché la vergo-
gna tutte le cose me le rendeva estranee.
Onde ricordando tutto ciò, che in qualche modo rendeva infelice la mia fanciullezza, il
dolce Gesù mi disse: “Figlia mia, anche la vergogna con cui ti circondai nella tua tenera età fu
una delle più grandi gelosie d’amore per te: non volevo che in te entrasse nessuno, né il mon-
do, né le persone; volevo renderti estranea a tutti. A nessuna cosa volevo che tu prendessi par-
te e che ti facesse piacere, perché avendo stabilito fin d’allora che dovevo formare in te il Re-
gno del Fiat Supremo, e dovendo tu prendere parte alle sue feste ed alle gioie che in Esso ci so-
no, era giusto che nessun’altra festa tu godessi, e che dei piaceri e divertimenti che ci sono sulla
terra ne dovessi restare digiuna. Non sei contenta?”
Ma ad onta che ero vergognosa e paurosa, ero di temperamento vivace, allegra; saltavo,
correvo e facevo anche delle impertinenze.
Ora dopo, all’età di dodici anni circa, incominciò un altro periodo della mia vita: inco-
minciai a sentire la voce interna di Gesù, specie nella Comunione. La prima la feci a nove an-
ni, e nel medesimo giorno ricevetti il Sacramento della Santa Cresima.
Quindi non di rado [Gesù] Si faceva sentire nel mio interno quando facevo la Santa Co-
munione. Delle volte rimanevo le ore intere inginocchiata, quasi senza moto, dopo la Comu-
nione, e sentivo la voce interna che diceva; e ora mi rimproverava se non ero stata buona, at-
tenta, e, se nel corso del giorno ero stata qualche volta distrattella, oh, come mi riprendeva, e
finiva col dirmi: “Eppure Mi dici che Mi vuoi bene; e dove è questo tuo bene?” Io mi sentivo
morire nel sentirmi dire ciò, e promettevo di essere più attenta, e Gesù soggiungeva: “Vedrò,
vedrò se sarà vero...!; le parole non Mi bastano, ma voglio i fatti!”
La Comunione diventò la mia passione predominante. In essa accentrai tutti i miei affetti.
Ero certa di sentir parlare Nostro Signore; e quanto mi costava l’esserne priva perché ero co-
stretta dalla famiglia ad andare insieme con loro alla masseria e dovevo stare lunghi mesi senza
Messa e senza Comunione! Quante volte rompevo in pianto nel vedere alberi, fiori, la Crea-
zione tutta...! Dicevo tra me: “Le opere di Gesù sono intorno a me; solo Gesù non è con me...
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Deh, parlami tu, fiore, tu, sole, tu, cielo, tu, acqua cristallina che scorri nel nostro laghetto, par-
latemi di Gesù; siete opere delle sue mani, datemi notizie di Lui...!” E mi sembrava che tutte
di Lui mi parlassero. Ogni cosa creata mi parlava di ciascuna qualità di Gesù, ed io piangendo
ché non potevo ricevere Colui che tutte le cose amavano e che sapevano così bene narrare della
bellezza, dell’amore, della bontà di Gesù, piangevo e giungevo fino ad ammalarmi.
Anche nella meditazione sentivo la voce di Gesù, ma qualche volta mi mancava; invece
nella Comunione, mai. E quante volte meditando restavo le due o le tre ore senza potermi di-
staccare; come leggevo il punto e mi fermavo, così la voce di Gesù sentivo nel mio interno,
che atteggiandosi a Maestro mi spiegava la meditazione.
Fin d’allora mi faceva nel mio interno, l’amabile Gesù, lezioni sulla Croce, sulla mansue-
tudine, sulla sua Vita nascosta... A tal proposito della sua Vita nascosta, ricordo che mi diceva:
“Figlia mia, la tua vita deve essere in mezzo a noi nella casa di Nazareth. Se lavori, se preghi,
se prendi cibo, se cammini, devi avere una mano a Me, l’altra alla Mamma nostra, e lo sguardo
a San Giuseppe, per vedere se i tuoi atti corrispondono ai nostri, in modo da poter dire: ‘Faccio
prima il mio modello sopra a ciò che fa Gesù, la Mamma Celeste e San Giuseppe, e poi lo se-
guo’. A seconda il modello che hai fatto, Io voglio essere ripetuto da te nella mia Vita nasco-
sta; voglio trovare in te le opere della Mamma mia, quelle del mio caro San Giuseppe e le mie
stesse opere”.
Io restavo confusa e Gli dicevo: “Mio amato Gesù, io non so fare”. E Lui: “Figlia mia,
coraggio, non ti abbattere; se non sai fare domandami che Io ti insegni, ed Io subito ti insegne-
rò; ti dirò il modo come facevamo, le mie intenzioni, l’amore continuo di tutti e tre, che Io co-
me mare e loro come fiumicelli eravamo sempre gonfi, in modo che uno straripava nell’altro,
tanto che poco tempo avevamo di parlarci; tanto eravamo assorbiti nell’amore. Vedi quanto
stai dietro? Molto hai da fare per raggiungerci; ti conviene molto silenzio ed attenzione, ed Io
non ti voglio dietro, ma in mezzo a Noi”.
Onde quando non sapevo fare domandavo a Gesù, e Lui mi insegnava nel mio interno.
Cercavo quasi sempre, quanto più potevo, di appartarmi dalla famiglia per starmi sola, per
mantenere il silenzio; prendevo il mio lavoro e chiedevo alla mamma che mi permettesse di
andarmene sopra, e lei me lo concedeva. Sicché la mia mente stava nella casa di Nazareth, ed
ora guardavo l’uno, ora l’altro, e mi confondevo nel vederli così attenti nei loro umili lavori,
così assorbiti nelle fiamme d’amore, che s’innalzavano tanto in alto che i loro lavori restavano
incendiati e trasformati in amore; ed io, meravigliata, pensavo tra me: ‘Loro amano tanto, ed il
mio amore qual è? Posso dire che i miei lavori, le mie preci, il cibo che prendo, i passi che fac-
cio, sono fiamme che s’innalzano al Trono di Dio e formando fiume straripa nel mare di Gesù?’
E vedendo che non lo era, restavo afflitta; e Gesù nel mio interno mi diceva: “Che hai? Non ti
affliggere; a poco a poco giungerai. Io ti starò sopra, e tu seguimi e non temere”.
Se io volessi dire tutto ciò che passai nel mio interno nella mia fanciullezza, andrei troppo
per le lunghe; molto più che nel primo Volume da me scritto, senza precisare l’epoca, prima o
dopo, quando fui più piccola o quando fui più grande, sta dato un accenno del lavorio della
Grazia nel fondo dell’anima mia, perché così mi fu detto: che non faceva nulla che non mettes-
si l’ordine dell’età, né quello che era stato prima, né quello che era stato dopo, ma purché di-
cessi quello che in me era passato; molto più che dopo tanti anni mi riusciva difficile tenere
l’ordine di ciò che era passato nel mio interno. Ed ora, per non fare ripetizione, passo avanti.
Ricordo che, ragazza, avevo quasi una smania di volermi far suora, e siccome andavo dalle
suore a scuola, io sentivo un affetto un po’ spinto per loro, ma però le2 volevo bene perché vo-
levo essere come una di loro; ma nel mio interno sentivo rimproverarmi di questo affetto, e
2
a loro
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mentre promettevo di non amare altro che Gesù, ricadevo di nuovo, e Gesù ritornava a darmi
amari rimproveri. Unico affetto che ricordo, che ho sentito in vita mia in modo speciale, ché
poi non mi son sentita più amore con nessuno. Che tirannia è un affetto naturale e forse anche
innocente, al povero cuore umano! Lo ricordo con terrore; i rimproveri interni mi mettevano
in croce; mi sembrava che il mio affetto teneva in croce Gesù, e Gesù, per ricambio, metteva in
croce me, e perciò non godevo la vera pace, perché è la natura dell’amore umano guerreggiare
un povero cuore. Aver pace ed amare persone con modo speciale, non esiste nel mondo, e se
esiste significa non aver coscienza, ed ancorché fosse con fine santo o indifferente.
Ma il benedetto Gesù la fece subito finire, ed ecco come. Una mattina pregai la mamma
che mi mandasse a far visita alla Superiora, e l’ottenni con stento e sacrificio. Mentre andai
domandai che mi facessero uscire la Superiora, e dopo mi fu risposto che stava occupata e non
poteva uscire; io restai come ferita nel sentir ciò. Andai in chiesa e sfogai la mia pena con Ge-
sù, e Lui prese occasione da ciò per farmela finire. Mi parlò del suo Amore e dell’incostanza
dell’amore delle creature, e come voleva che assolutamente la finissi, dicendomi che: “Quando
un cuore non è vuoto, Io lo rifiuto, né posso incominciare il lavorio che ho disegnato di fare nel
fondo dell’anima...” Ma chi può dire tutto ciò che mi disse nel mio interno? Ricordo che là fi-
nì, ed il mio cuore restò impavido, senza saper amare più nessuno.
Onde pregavo sempre Gesù che mi facesse giungere a farmi suora, e spesso Gli domanda-
vo, quando me Lo sentivo nel mio interno, se doveva giungere a compimento la mia vocazione
religiosa, e Gesù mi assicurava dicendomi: “Sì, ti contenterò; vedrai che sarai suora”. Io re-
stavo tutta contenta nel sentirmi assicurare da Gesù, e cercavo di disporre la famiglia per otte-
nere il consenso, la quale era contraria, specie la mamma; giungeva fino a piangere e mi diceva
che mi avrebbe contentato se avessi voluto farmi suora di clausura, ma delle suore attive, non
me l’avrebbe fatta mai vincere.
Io però, a dire il vero, volevo farmi suora attiva, perché quelle che conoscevo erano state
le mie maestre, ma sopravvenne la mia lunga malattia e mise termine alla mia vocazione; e
molte volte mi lamentavo con Gesù e Gli dicevo: “Eppure mi dicevate la bugia, mi davi la bur-
la, promettendomi che dovevo giungere a farmi suora!” E Gesù molte volte mi ha assicurato
che mi diceva la verità, dicendomi: “Io non so né ingannare né burlare; la chiamata che Io fa-
cevo a te era più speciale: chi mai col farsi suora, anche nelle religioni più strette, non può
camminare, non prendere aria, non godere nulla? E quante volte nelle religioni fanno entrare il
piccolo mondo e si divertono magnificamente? Ed Io resto come da parte. Ah, figlia mia,
quando io chiamo ad uno stato, Io so come realizzare la mia chiamata; il luogo è per Me indif-
ferente, l’abito religioso per Me dice nulla quando nella sostanza dell’anima è quello che do-
vrebbe essere se fosse entrata in religione; e perciò ti dico che: sei e sarai la vera monacella
del Cuore mio!”
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* FIAT ! *
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Il Regno della mia Divina Volontà
in mezzo alle creature
- LIBRO di CIELO -
Il richiamo della creatura nell’ordine,
al suo posto e nello scopo per cui
fu creata da Dio
Volume 1°
(inizia dall’età di 12 anni)
J.M.J.
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ogni intimo nascondiglio del mio interno, acciocché [venga] consumato il mio essere terreno, e
lo trasformate tutto nel vostro Essere Divino.
Vergine Santissima, Madre amabile, vieni in mio soccorro; ottenetemi dal vostro e mio
dolce Gesù grazia e fortezza per fare questa obbedienza. San Giuseppe, protettore mio caro,
assistetemi in questa mia circostanza. Arcangelo San Michele, difendetemi dal nemico inferna-
le che tanti ostacoli mi mette nella mente per farmi mancare a questa obbedienza. Arcangelo
San Raffaele e voi Angelo mio custode venite ad assistermi e ad accompagnarmi, a dirigere la
mia mano affinché possa scrivere la sola verità.
Sia tutto ad onore e gloria di Dio ed a me tutta la confusione. O Sposo Santo, vieni in mio
aiuto! Nel considerare le tante grazie che hai fatto all’anima mia mi sento tutta raccapricciata e
spaventata, tutta piena di confusione e vergogna nel vedermi ancora così cattiva ed incorri-
spondente alle vostre grazie. Ma, mio amabile e dolce Gesù, perdonami, non ritirarti da me, ma
continua a versare in me la tua grazia, acciocché possiate fare di me un trionfo della vostra mi-
sericordia.
Incomincio. Una Novena del Santo Natale, circa l’età di diciassette anni, mi preparai alla
festa del Santo Natale praticando diversi atti di virtù e mortificazione, e specialmente onorando
i nove mesi che [il mio amabile] Gesù stette nel seno materno con nove ore di meditazione al
giorno, appartenente sempre al mistero dell’Incarnazione.
2 - Prima ora.
Come, per esempio, in un’ora mi portavo col pensiero nel Paradiso e mi immaginavo la
Santissima Trinità: il Padre che mandava il Figlio sulla terra, il Figlio che prontamente ubbidi-
va al Volere del Padre, lo Spirito Santo che vi consentiva. La mia mente si confondeva nel mi-
rare un sì grande mistero, un amore sì reciproco, sì uguale, sì forte tra Loro e verso degli uomi-
ni; e poi [consideravo] l’ingratitudine degli uomini e specialmente la mia! In questa conside-
razione mi sarei stata non solo una bella ora, ma ancora tutta l’intera giornata, se non mi avesse
fatto sentire una voce nel mio interno che mi diceva: “Basta così per ora; vieni e vedi altri ec-
cessi più grandi del mio amore”.
3 - Seconda ora.
Quindi la mia mente si portava nel seno materno, e rimaneva stupita nel considerare quel
Dio, sì grande nel Cielo, ora così annichilito, impicciolito, ristretto, che non poteva muoversi, e
quasi neppure respirare. [Al]la voce interna che mi diceva: “Vedi quanto ti ho amato? Deh,
dammi un po’ di largo nel tuo cuore, togli tutto ciò che non è mio ché così Mi darai più agio a
potermi muovere ed a farmi respirare!”, il mio cuore si struggeva, Gli chiedevo perdono, pro-
mettevo d’essere tutta sua, mi sfogavo in pianto, ma però, lo dico a mia confusione, che ritor-
navo ai miei soliti difetti! Oh, Gesù, quanto siete stato buono con questa misera creatura!
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E così passavo la seconda ora del giorno, e poi, via via il resto, che dirle tutte sarebbe sec-
care. E questo lo facevo, quando in ginocchio e, quando ne ero impedita dalla famiglia, anche
lavorando, poiché la voce interna non mi dava né tregua né pace se non facevo quel che voleva,
quindi il lavoro non mi era d’impedimento di fare quel che dovevo fare.
Così passai i giorni della Novena. Mentre giunse la vigilia, mi sentivo più che mai accesa
d’insolito fervore e vi stavo sola nella stanza; ed eccomi che mi si fa d’innanzi il Bambinello
Gesù, tutto bello, sì, ma tremante, in atto di volermi abbracciare; ed io mi alzai e corsi per ab-
bracciarlo, ma nell’atto di stringerlo mi scomparve; e questo si ripetette per ben tre volte. Re-
stai tanto commossa ed accesa che non so spiegarlo. Ma però dopo qualche tempo non ne feci
[più] tanto conto, non feci motto a nessuno, e d’intanto in tanto vi cadevo nelle solite mancan-
ze, sebbene la voce interna non mi lasciò più mai. In ogni cosa mi riprendeva, mi correggeva,
mi animava, in una parola: fece, per me, il Signore, come un buon padre, che il1 figlio cerca di
sviare dal dritto sentiero, e lui che usa tutte le diligenze, le cure per ritenerlo, in modo da for-
marne il suo onore, la sua gloria, la sua corona. Ma, oh Signore, troppo ingrata Vi sono stata!
Onde il Divin Maestro dà principio, posa mano a spogliare il mio cuore da tutte le creatu-
re, e con voce interna mi diceva: “Io sono tutto il bello che merito d’essere amato. Vedi, se tu
non togli questo piccolo mondo che ti circonda d’intorno, cioè, pensieri di creature, immagina-
zione, Io non posso liberamente entrare nel tuo cuore; questo mormorio nella tua mente è
d’impedimento a farti sentire più chiara la mia voce, a versare le mie grazie, ad innamorarti ve-
ramente di Me. Promettimi d’essere tutta mia, ed Io stesso metterò mano all’opera. Tu hai ra-
gione che non puoi niente; non temere, farò Io il tutto, dammi la tua volontà e ciò Mi basta!”
E questo succedeva al più nella Comunione. Quindi Gli promettevo d’essere tutta sua, Gli
chiedevo perdono ché fino a quel punto non [lo] ero stata; Gli dicevo che veramente Lo volevo
amare e, Lo pregavo che non mi lasciasse mai più sola senza di Lui; e la voce che continuava:
“No, no, verrò insieme con te ad osservare tutte le tue azione, i movimenti, i desideri tuoi”.
Quindi tutto il giorno me Lo sentivo sopra, mi riprendeva di tutto, come, per esempio, se
mi lasciavo trasportare nel discorrere un po’ troppo con la famiglia di cose anche indifferente,
non necessarie, la voce interna mi diceva: “Questi discorsi ti riempiono la mente di cose che a
Me non appartengono, ti circondano il cuore d’una polvere in modo da farti sentire debole la
mia grazia, non più viva. Deh, imita Me quando stavo nella casa di Nazareth! La mia mente
non si occupava d’altro che della gloria del Padre e della salvezza delle anime, la mia bocca
non diceva altro che discorsi santi, con le mie parole cercavo di riparare le offese del Padre, di
saettare i cuori e tirarli al mio amore e, primariamente, la mia Madre e S. Giuseppe; in una pa-
rola, tutto chiamava Dio, tutto si operava per Dio e tutto a Lui si riferiva. Perché non potresti
tu [fare] altrettanto?”
Io restavo muta, tutta confusa, cercavo quanto più potevo di starmene sola, Gli confessavo
la mia debolezza, Gli chiedevo aiuto e grazia di poter fare ciò che Lui voleva, ché da me sola
non sapevo fare altro che male. Se fra il giorno la mia mente si occupava di pensare a persone
a cui io volevo bene, subito mi riprendeva dicendomi: “Questo è il bene che mi vuoi? Chi mai
ti ha amato come Me? Vedi, se tu non la finisci, Io ti lascio!” Alle volte mi sentivo dare tali e
tanti rimproveri amari che non facevo altro che piangere.
1
che il = il cui
18
Specialmente una mattina, dopo la Comunione mi diede un lume tanto chiaro sull’amore
grande che Lui mi portava e sulla volubilità ed incostanza delle creature, che il mio cuore ne re-
stò tanto convinto, che d’allora in poi non è stato più capace d’amare persona alcuna.
M’insegnò il modo come amare le creature senza discostarmi da Lui; cioè, col mirare le crea-
ture come immagine di Dio, in modo che se ricevevo il bene dalle creature, dovevo pensare che
solo Iddio era il primo autore di quel bene e che se ne era servito per mezzo della creatura di
mandarmelo; quindi il mio cuore più a Dio si legava. Se poi ricevevo delle mortificazioni, do-
vevo guardarle pure come strumenti nelle mani di Dio per la mia santificazione; onde il mio
cuore non restava ombrato col mio prossimo. Onde da questo modo avveniva che io miravo le
creature tutte in Dio, [tanto che] per qualunque mancanze vedevo in loro, mai non perdevo la
stima; se mi motteggiavano, mi sentivo obbligata, pensando che mi facevano fare nuovi ac-
quisti per l’anima mia; se mi lodavano, ricevevo con disprezzo queste lodi, dicendo: “Oggi
questo, domani possono odiarmi”, pensando alla loro incostanza. Insomma, il mio cuore acqui-
stò tale una libertà, che io stessa non so esprimerlo.
Quando il Divin Maestro mi liberò dal mondo esterno, allora vi pose mano a purificare
l’interno, e con voce interna mi diceva: “Adesso siamo rimasti soli, non c’è più nessuno che ci
disturbi; non sei adesso più contenta che prima che dovevi contentare tanti e tanti? Vedi, uno
solo è più facile contentarlo; devi fare conto che Io e tu siamo soli nel mondo. Promettimi
d’essere fedele ed Io verserò in te tali e tante grazie da restarne tu stessa meravigliata”.
Quindi proseguì a dirmi: “Sopra di te ho fatti dei grandi disegni, sempre se Mi corrispon-
di! Voglio fare di te una mia perfetta immagine, cominciando da che [Io] nacqui finché morii.
Io stesso t’insegnerò un poco per volta il modo come fare”. E succedeva così. Ogni mattina,
dopo la Comunione mi diceva ciò che avrei dovuto fare nel giorno. Dirò tutto brevemente, ché
dopo tanto tempo è impossibile poter dire tutto.
[Di] certo non ricordo, ma mi pare che la prima cosa che mi diceva essere necessario per
purificare l’interno del mio cuore, era l’annichilimento di me stessa, cioè l’umiltà. E prosegui-
va a dirmi:
“Vedi, per fare che nel tuo cuore [Io] versassi le mie grazie, voglio proprio farti capire che
da te niente puoi. Io mi guardo assai bene da quelle anime che attribuiscono a loro stesse ciò
che fanno, volendomi fare tanti furti delle mie grazie. Invece a quelle tali che conoscono se
stesse, Io sono largo di versare a torrenti le grazie mie, sapendo benissimo che niente riferisco-
no a loro stesse, Me ne sono grate, ne fanno quella stima che si conviene, vivono con continuo
timore che se non Mi corrispondono posso togliere ciò che ho dato, sapendo che non è cosa lo-
ro. Tutto all’opposto nei cuori che puzzano di superbia: già neppure posso entrare nel loro
cuore, perché gonfio di loro stessi non c’è luogo dove potermi mettere; le misere non fanno
nessun conto delle mie grazie e vanno di cadute in cadute fino alla rovina. Perciò voglio che in
questo giorno [tu] faccia continui atti d’umiltà, voglio che tu stia come un bambino legato in
fasce che non può muovere né un piede per dare un passo né una mano per operare, ma tutto
[sta] aspettando dalla madre; così tu ti starai vicina a Me come un bambino, pregandomi sem-
pre che ti assista, che ti aiuti, confessa[ndo]mi sempre il tuo nulla, insomma, aspettando tutto
da Me”.
Quindi cercavo di fare quanto più potevo per contentarlo: m’impicciolivo, m’annichilivo,
e delle volte giungevo a tanto da sentire quasi disfatto l’essere mio, in modo che non potevo
operare, né dare un passo, neppure un respiro se Lui non mi reggeva.
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7 - Gesù conduce l’anima alla verità del suo nulla.
Poi mi vedevo tanto cattiva che avevo vergogna di farmi vedere dalle persone, conoscen-
domi la più brutta, come in realtà lo sono ancora. Onde quanto più potevo fuggirle le fuggivo,
e dicevo fra me stessa: “Oh, se sapessero quanto sono cattiva! E se potessero vedere le grazie
che il Signore mi sta facendo (che2 io non dicevo niente a nessuno) e che [nonostante queste] io
sono sempre la stessa, oh come mi avrebbero in orrore!”
Onde, la mattina, quando andavo di nuovo alla Comunione, mi pareva che nel venire in
me faceva festa per il contento che ne sentiva nel vedermi così annientata; mi diceva altre cose
sull’annichilamento di me stessa, ma però in modi sempre diversi dalla prima volta. Io credo
che non una, ma le centinaia di volte mi ha parlato, e se [anche] mi avesse parlato le migliaia,
terrebbe sempre nuovi modi da dire sulla stessa virtù. Oh, mio Divin Maestro, quanto sei sa-
piente! Vi avessi almeno corrisposto!
Mi ricordo che una mattina mentre mi parlava sulla stessa virtù, mi disse che per mancan-
za d’umiltà avevo commessi tanti peccati, e che se io fossi stata umile, mi sarei tenuta più vici-
na a Lui e non avrei fatto tanto male; mi fece capire quanto era brutto il peccato, l’affronto che
questo misero vermicciolo aveva fatto a Gesù Cristo, l’ingratitudine orrenda, l’empietà enorme,
il danno che ne era venuto all’anima mia.
Ne rimasi tanto sbigottita che non sapevo che fare per riparare. Facevo qualche mortifica-
zione, ne chiedevo altre al confessore, ma poche me n’erano date, quindi mi sembravano tutte
ombre e non facevo altro che pensare ai miei peccati, ma sempre più stretta a Lui. Avevo tale
timore d’allontanarmi e di fare peggio che prima, che io stessa non so esprimerlo. Non facevo
altro, quando mi trovavo con Lui, che dirgli la pena che sentivo per averlo offeso, Gli chiedevo
sempre perdono, Lo ringraziavo ch’era stato tanto buono con me, Gli dicevo di cuore: “Vedi, o
Signore, il tempo che ho perduto, mentre potevo amarvi!” Onde non sapevo dire altro [che] il
male grave che avevo fatto. Finalmente, un giorno, riprendendomi, mi disse:
“Non voglio che ci pensi. Quando un’anima si è umiliata convinta d’avere fatto male ed
ha lavato l’anima sua nel Sacramento della Confessione, ed è pronta a morire anziché offen-
dermi, [il continuare a pensare al male commesso] è un affronto alla mia misericordia, è un im-
pedimento a stringerla all’amore mio, perché sempre cerca, la sua mente, d’involgersi nel fango
passato; m’impedisce ancora [di] farle prendere voli verso il Cielo, perché [sta] sempre con
quelle idee racchiuse in se stessa, se cerchi di pensarvi. E poi, vedi, Io non ricordo più niente,
Me ne sono perfettamente dimenticato. Ci vedi tu alcunché [di] rancore od ombra da parte
mia?”
Ed io Gli dicevo: “No Signore, sei tanto buono”. Ma mi sentivo spezzare il cuore per te-
nerezza.
“Ebbene, vorrai portare tu innanzi queste cose?”
Ed io: “No, no, non voglio”.
E Lui: “Pensiamo ad amarci a vicenda ed a contentarci”.
2
delle quali
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9 - Per l’anima le creature devono scomparire; essa deve guardare solo Gesù, ed agire
solo con Gesù e per Gesù.
D’allora in poi non ci pensai [più] tanto; facevo quanto più potevo per contentarlo, e Lo
pregavo che Lui stesso m’insegnasse il modo come dovevo fare per riparare il tempo passato.
E Lui mi diceva: “Sono pronto a fare quel che tu vuoi. Vedi, la prima cosa che ti dissi che vo-
levo da te, era l’imitazione della mia Vita; dunque, vediamo che cosa ti manca”.
“Signore - Gli dicevo - mi manca tutto, non ho niente”. “Ebbene - mi diceva - non temere,
a poco a poco faremo tutto. Conosco Io stesso quanto sei debole, ma è da Me che devi prende-
re forza”. (Non ricordo in filo, ma come posso le dirò). E soggiungeva: “Voglio che sii sem-
pre retta nel tuo operare: [con] un occhio guarda a Me, e [con] l’altro occhio quello che stai fa-
cendo; voglio che le creature ti scompariscano affatto. Se sei comandata non guardare le per-
sone, no, ma devi pensare che Io stesso voglio che tu faccia quel che ti viene comandato; quin-
di, coll’occhio fisso in Me, non giudicherai nessuno, non guarderai se la cosa è penosa o gusto-
sa, se puoi o non puoi farle. Chiudendo gli occhi a tutto questo li aprirai per guardare Me solo,
Mi porterai teco insieme pensando che ti sto fisso guardando; mi dirai: “Signore solo per Te lo
faccio, per Te solo voglio operare, non più schiava delle creature”. Onde se cammini, se operi,
se parli, in qualunque cosa che farai, il solo tuo fine dev’essere di piacere a Me solo. Oh, quan-
ti difetti eviterai se farai così!”
Altre volte mi diceva: “Voglio pure che se le persone ti mortificano, t’ingiuriano, ti con-
traddicono, [tu tenga] lo sguardo ancora fisso in Me, pensando che di propria [mia] bocca ti sto
dicendo: ‘Figlia, sono proprio Io che voglio che soffri questo, non le creature; allontana da lo-
ro lo sguardo, ma Io e tu sempre [solo guarda], tutte le altre [creature] distruggile. Vedi, voglio
renderti bella per mezzo di queste sofferenze, ti voglio arricchire di meriti, lavorare l’anima tua,
renderti simile a Me’. [Di quelle sofferenze] tu Me ne farai un presente, Mi ringrazierai affet-
tuosamente, sarai grata a quelle persone che ti danno occasione di soffrire, ricompensandole
con qualche benefizio. Così facendo camminerai retta innanzi a Me, tutte le cose non ti daran-
no più inquietudine e godrai sempre pace”.
Dopo qualche tempo che cercai d’esercitarmi in queste cose, un po’ facendo e un po’ ca-
dendo - sebbene veggo chiaro che ancora mi manca questo spirito di rettitudine, e ne sono sem-
pre più confusa pensando a tanta mia ingratitudine! - [Gesù] mi parlò e mi fece capire la neces-
sità dello spirito di mortificazione. - Sebbene mi ricordo che in tutte queste cose che mi diceva,
mi soggiungeva sempre che tutto doveva essere fatto per amore suo, e che le virtù più belle, i
sacrifizi più grandi, si rendevano insipidi se non avevano principio dall’amore. “La carità - mi
diceva - è una virtù che dà vita e splendore a tutte le altre, in modo che senza di essa sono tutte
morte; l’occhio mio non riceve nessuna attrattiva e sopra il mio Cuore non hanno nessuna for-
za [tutte le virtù senza la carità]; statti dunque attenta e fa’ che le tue opere, anche le minime,
siano investite dalla carità, cioè: in Me, con Me e per Me” -. Dunque, andiamo da capo [nel
parlare] della mortificazione.
“Voglio - mi diceva - che in tutte le cose tue, anche necessarie, siano fatte per spirito di
sacrifizio. Vedi, le tue opere non possono essere riconosciute da Me come mie se non hanno
l’impronta della mortificazione. Come la moneta non è riconosciuta dai popoli se non contiene
in se stessa l’immagine del loro re, anzi viene disprezzata e non curata, così è delle tue opere:
21
se non hanno l’innesto con la mia croce, non possono avere nessun valore. Vedi, adesso non si
tratta di distruggere le creature, ma te stessa; di farti morire per vivere in Me solamente e della
mia stessa Vita. È vero che ti costerà di più di quello che hai fatto [finora], ma fatti coraggio,
non temere, non tu farai, ma [sarò] Io che opererò in te”.
Quindi ricevevo altri lumi sull’annichilazione di me stessa e mi diceva: “Tu non sei altro
che un’ombra, che mentre vai per prenderla ti sfugge; tu sei niente”.
Mi sentivo tanto annientata, che avrei voluto nascondermi nei più cupi abissi, ma mi vede-
vo impossibilitata a farlo; provavo tale rossore che ne restavo muta. Mentre stavo in questo
disfacimento del mio nulla, Egli mi diceva: “Fatti vicino a Me, appoggiati al mio braccio, Io ti
sosterrò con le mie mani e tu riceverai fortezza. Tu sei cieca, ma la mia luce ti servirà di guida.
Vedi, Mi metterò innanzi, e tu non farai altro che guardarmi per imitarmi”.
Poi mi diceva: “La prima cosa che voglio che mortifichi è la tua volontà, quell’io si deve
distruggere in te; voglio che [la tua volontà] la tieni sacrificata come vittima innanzi a Me, per
fare che [del]la tua volontà e [del]la Mia se [ne] formi una sola. Non ne sei tu contenta?”
“Sì, Signore, ma dammi la grazia, che da me [sola io] vegga che niente posso”. E Lui che
continuava a dirmi: “Sì, Io stesso ti contraddirò in tutto, e quando [anche] per mezzo delle cre-
ature”.
E succedeva così. Per esempio: se la mattina mi svegliavo e subito non mi alzavo, la voce
interna mi diceva: “Tu riposi ed Io non ebbi altro letto che la croce; presto, presto, non tanta
soddisfazione!” Se camminavo e la vista scorreva un po’ lontano, subito mi riprendeva: “Non
voglio [che] la tua vista non la allontani da te che la lunghezza d’un passo all’altro, per fare che
non inciampi”. Se mi trovavo nella campagna e vedevo fiori, alberi, mi diceva: “Io tutto ho
creato per amore tuo, e tu priva alla tua vista questo diletto per amore mio”.
Anche [nel]le cose più innocenti e sante, come per esempio i parati degli altari, le proces-
sioni, mi diceva: “Non altro piacere devi prendere che in Me solo”. Se stavo seduta mentre la-
voravo, mi diceva: “Stai troppo comoda, non ti ricordi che la mia vita fu un continuo penare, e
tu, e tu…” Subito, per contentarlo, mi mettevo sopra la metà della sedia, e l’altra metà la la-
sciavo vuota, e qualche volta per scherzo Gli dicevo: “Vedi, o Signore, la metà della sedia è
vuota: venite a sedervi vicino”. Qualche volta mi pareva che mi contentava e ne provavo tanto
gusto che non so dirlo io stessa. Mentre poi alcune volte stavo lavorando un po’ lenta e svo-
gliata, mi diceva: “Presto, aiutati, che il tempo che guadagnerai coll’aiutarti verrai a stare in-
sieme con Me nell’orazione”.
Alcune volte Lui stesso mi assegnava quanto lavoro dovevo fare. Io poi lo pregavo che
venisse ad aiutarmi. “Sì, sì - mi rispondeva - faremo insieme tutti e due affinché dopo che hai
finito resteremo più liberi”. E succedeva che in un’ora, in due ore facevo quello che dovevo fa-
re tutto il giorno. Dopo poi me ne andavo a fare orazione, e mi dava tanti lumi e mi diceva tan-
te cose che il volerle dire sarebbe troppo lungo. Mi ricordo che mentre stavo sola, lavorando,
vedevo che non bastava il filo per compire quel lavoro ed avrei [avuto] bisogno d’andare alla
famiglia per prenderlo; mi volgevo a Lui e Gli dicevo: “A che pro, Amato mio, d’avermi aiu-
tato? Mentre veggo che ho bisogno d’andarvi alla famiglia posso trovare persone e mi impedi-
ranno di venire un’altra volta, e questa volta la nostra conversazione andrà a vuoto”. “Che?
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Che? - mi diceva - E tu hai fede?” “Sì!” “Ebbene, non temere che ti farò compire tutto”. E co-
sì succedeva, e poi mi mettevo a pregare.
Se poi veniva l’ora del pranzo e mangiavo qualche cosa gustosa, subito internamente mi
riprendeva dicendo: “Ti sei forse dimenticata che Io non ebbi altro gusto che nel patire per
amore tuo? E che tu non devi avere altro gusto che nel mortificarti per amore mio? Lascialo, e
mangia ciò che più non ti aggrada”. Ed io subito lo prendevo e lo portavo alla persona di servi-
zio, oppure dicevo che non ne volevo più, e molte volte me la passavo quasi digiuna, ma però
quando andavo all’orazione ricevevo tanta forza e mi sentivo tanta sazietà, in modo che avevo
nausea d’ogni cosa. Altre volte poi per contraddirmi, se non avevo voglio di mangiare, mi di-
ceva: “Voglio che mangi per amore mio; e mentre il cibo si unisce col corpo, così pregami che
il mio amore si unisca coll’anima tua e resterà santificata ogni cosa”.
In una parola, senza andare più al lungo, anche nelle cose più minime [Gesù] cercava di
far morire la mia volontà, per fare che vivesse solo Lui. Permetteva di farmi contraddire anche
dal confessore, come, per esempio: mi sentivo un gran desiderio di fare la Comunione, tutto il
giorno e la notte non facevo altro che a prepararmi, gli occhi non si potevano chiudere al sonno
per i continui palpiti del cuore, Gli dicevo: “Signore, fate presto che non posso stare senza di
Voi, accelerate le ore, fate presto spuntare il sole ché io più non posso, il cuore mi vien meno!”
Lui stesso mi faceva certi inviti amorosi che mi sentivo crepare il cuore; mi diceva: “Vedi, Io
sto solo, non ti prendere pena che non puoi dormire, si tratta di fare compagnia al tuo Dio, al
tuo Sposo, al tuo Tutto, che è continuamente offeso; deh, non negarmi questo sollievo, ché poi
nelle tue afflizioni Io non lascio te!” Mentre stavo con queste disposizioni, la mattina andavo
al confessore e, senza sapere il perché, la prima cosa che mi diceva: “Non voglio che faccia la
Comunione”. Dico la verità: mi riusciva tanto amaro, che delle volte non facevo altro che
piangere; al confessore non ardivo di dire niente, perché così voleva Lui stesso che facessi, al-
trimenti mi rimproverava; ma però me ne andavo da Lui e Gli dicevo la mia pena: “Ah, mio
Bene!, questa è la veglia che abbiamo fatto questa notte, che dopo tanto aspettare e desiderare,
dovevo restarne priva di Voi? Conosco bene che debbo ubbidire, ma dimmi un po’: posso sta-
re senza di Voi? Chi mi darà la forza? E poi, chi avrà coraggio di partirsi da questa chiesa sen-
za portarvi insieme? Io non so che fare, ma Voi potete rimediare a tutto”. Mentre così mi sfo-
gavo, mi sentivo venire un fuoco vicino, entrare una fiamma nel cuore, e Lo sentivo dentro di
me; e subito mi diceva: “Chetati, chetati, eccoti [che] sono già nel tuo cuore; di che temi a-
desso? Non più affliggerti, Io stesso ti voglio asciugare le lacrime; hai ragione, tu non potevi
stare senza di Me, non è vero?”
Io poi ne restavo tanto annientata in me stessa, gli dicevo che se io fossi buona, non avreb-
be Lui disposto così, e Lo pregavo a non più lasciarmi, ché senza di Lui non ci volevo stare.
Dopo queste cose, un giorno, dopo la Comunione, me lo sentivo in me tutto amore, e che
tanto mi voleva bene che io stessa ne restavo tanto meravigliata ché mi vedevo così cattiva ed
incorrispondente; e dicevo dentro di me: “Fossi buona almeno e corrispondessi! Ho timore
[che] ancora mi lasci (questo timore di lasciarmi lo ho avuto sempre e lo tengo ancora, e delle
volte è tanta la pena che sento, che credo che la pena della morte sarebbe minore, e se Lui stes-
so non viene a quietarmi non so darmi pace) ed invece vuole stringersi più intimamente a me!”
Mentre così me Lo sentivo dentro di me, con voce interna mi disse:
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“Diletta mia, le cose passate non sono state altro che un preparativo, adesso voglio venire
ai fatti; e per disporre il tuo cuore a fare quello che voglio da te, cioè, l’imitazione della mia
Vita, voglio che ti interni nel mare immenso della mia Passione. E tu quando avrai bene capito
l’acerbità delle mie pene, l’amore con cui le soffrii, chi sono Io che tanto soffrii, e chi sei tu vi-
lissima creatura, ahi!, il tuo cuore non ardirà di opporsi ai colpi, alla croce, che Io per solo tuo
bene le tengo preparate; ma anzi, il solo pensare che Io, tuo Maestro, ho sofferto tanto, le tue
pene ti parranno ombre confrontate con le mie, ti sarà dolce il patire e giungerai a non poter sta-
re senza patimenti”.
La natura tremava al solo pensare ai patimenti; Lo pregavo che Lui stesso mi desse la for-
za, ché senza di Lui mi sarei servita dei suoi stessi doni per offendere il Donatore. Onde mi
diedi tutta a meditare la Passione, e mi fece tanto bene all’anima mia che, credo, tutto il bene
mi sia venuto da quella fonte. Mi vedevo la Passione di Gesù Cristo come un mare immenso di
luce, che coi suoi innumerevoli raggi mi ferivano tutta; cioè: raggi di pazienza, d’umiltà,
d’ubbidienza e di tante altre virtù; mi vedevo tutta circondata da questa luce e ne restavo anni-
chilita nel vedermi così diversa da Lui. Quei raggi che m’inondavano, erano tanti rimproveri
per me; mi sentivo dire:
“Un Dio, paziente! E tu? Un Dio, umile e sottomesso anche a suoi stessi nemici! E tu?
Un Dio, che soffre tanto per amore tuo! E le tue sofferenze dove sono, per amore suo?”
Lui stesso delle volte mi faceva la narrazione delle pene da Lui sofferte, che ne restavo
tanto commossa che piangevo amaramente. Un giorno, mentre lavoravo stavo considerando le
pene acerbissime che soffrì il mio buono Gesù; il mio cuore lo sentivo tanto oppresso dalla pe-
na, che mi mancava la respirazione. Temendo di qualche cosa, volli distrarmi coll’uscire fuori
al balcone. Faccio per guardare in mezzo alla strada, ma, che veggo? Veggo la strada tutta
piena di gente e, in mezzo, il mio amante Gesù con la croce sulle spalle; chi Lo tirava da una
parte e chi dall’altra, tutto affannoso, col volto grondante Sangue, che alzò gli occhi verso di
me in atto di chiedermi aiuto. Chi potrà dire il dolore che provai, la impressione che fece
sull’anima mia una vista così compassionevole?! Subito entrai dentro, non sapevo io stessa
dove mi trovavo, il cuore me lo sentivo spezzare per [il] dolore; gridavo, piangendo Gli dice-
vo: “Mio Gesù, Vi potessi almeno aiutare! Vi potessi liberare da quei lupi così arrabbiati! A-
hi, vorrei almeno soffrire quelle pene in vece vostra, per dare un sollievo al mio dolore! Deh,
mio Bene, dammi il patire, ché non è giusto che Voi tanto soffrite, ed io, peccatrice, stia senza
penare!”
D’allora in poi, ricordo [che] si accese in me tanta brama di patire che non si è smorzata
ancora. Ricordo ancora che dopo la Comunione Lo pregavo ardentemente che mi concedesse il
patire, e Lui, delle volte per contentarmi mi pareva che prendesse le spine dalla sua corona, e
mi pungeva il cuore; altre volte mi sentivo prendere il cuore tra le sue mani e me lo stringeva
tanto forte, che per il dolore mi sentivo perdere i sensi. Quando avvertivo che le persone se ne
potevano avvertire qualche cosa, e Lui disposto a darmi queste pene, subito Gli dicevo: “Si-
gnore, che fai? Vi prego a darmi il patire, ma che sia nascosto a tutti”. Fino ad un tempo mi
contentò, ma i miei peccati mi hanno reso indegna di patire nascosta, senza che nessuno se ne
avvedesse.
13 - Gesù vuole che l’anima tocchi con mano il proprio nulla e si disponga alla più
profonda umiltà, e perciò la priva d’ogni consolazione e grazia sensibile, occultandosi a lei.
Ricordo che molte volte dopo la Comunione mi diceva: “Non potrai veramente assomi-
gliarti a Me se non per mezzo dei patimenti. Finora sono stato insieme con te, ora voglio la-
sciarti un po’ sola, senza farmi sentire. Vedi, finora ti ho portata per mano, insegnandoti e cor-
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reggendoti di tutto, e tu non hai fatto altro che seguirmi. Adesso voglio che faccia da te stessa,
ma però, più attenta che prima, pensando che Io ti sto fissamente guardando, solo senza farmi
sentire, e che quando ritornerò a farmi sentire verrò, o per premiarti se Mi sarai fedele, o per
castigarti se Mi sarai ingrata”.
Rimanevo tanto spaventata ed atterrita a tale intimazione [che] Gli dicevo: “Signore, mio
Tutto e mia Vita, come potrò sussistere senza di Te? Chi mi darà la forza? Come? Dopo che
mi hai fatto lasciare tutto, in modo che mi sento come se nessuno esistesse per me, mi vuoi la-
sciare sola ed abbandonata? Che? Vi siete forse dimenticato quanto sono cattiva e che senza di
Voi nulla posso?” E per questo appunto, prendendo un aspetto più serio, mi soggiungeva:
“È che ti voglio far ben capire chi sei tu. Vedi, lo faccio per tuo bene, non ti attristare, vo-
glio preparare il tuo cuore a ricevere le grazie che ho disegnato sopra di te. Fino adesso ti ho
assistita sensibilmente, ora [in modo] meno sensibile, ti farò toccare con mano il tuo nulla, ti
fonderò bene nella profonda umiltà per poter edificare sopra di te altissime mura. Quindi, in-
vece di affliggerti dovresti rallegrarti e ringraziarmi, ché quanto più presto ti farò passare il ma-
re tempestoso, tanto più presto giungerai al porto della sicurezza, a quante più dure prove ti as-
soggetterò, tante grazie più grandi ti darò. Coraggio, adunque, coraggio, e poi verrò presto!”
E nel così dirmi mi pareva che mi benediva e Si partiva. Chi potrà dire la pena che senti-
vo, il vuoto che lasciava nel mio interno, le amare lacrime che versavo? Mi rassegnavo però al-
la sua Santa Volontà; pareva che da lontano Gli baciavo la mano che mi aveva benedetta, di-
cendogli: “Addio, o Sposo Santo, addio!” Mi vedevo che tutto per me era finito, mentre Lui
solo tenevo, e che, mancandomi Lui, non mi restava nessuna altra consolazione, ma tutto si
convertiva in amarissime pene. Anzi le stesse creature mi stuzzicavano la pena, in modo che
tutte le cose che guardavo pareva che mi dicevano: “Vedi, siamo opere del tuo Amato; e Lui,
dov’è?” Se guardavo acqua, fuoco, fiori, anzi le stesse pietre, subito il pensiero diceva: “Ah,
queste sono opere del tuo Sposo! Ah, loro hanno il bene di vederlo e tu non lo vedi! Deh, ope-
re del mio Signore, datemi notizie, ditemi: dove Si trova? Mi disse che presto sarebbe venuto,
ma chissà quando!”
Delle volte giungevo a tanta amara desolazione, che mi sentivo mancare la respirazione,
gelare tutta ed un fremito per tutta la persona. Delle volte [di ciò] se ne avvertiva la famiglia, e
l’attribuivano a male corporale e volevano farmi mettere in cura, chiamare medici; delle volte
tanto insistevano che giungevano [a farmi sottoporre alla visita medica]; ma io però facevo
quanto più potevo di starmene sola, sicché poche volte avvertivano [questo mio stato].
14 - L’anima sperimenta che non è capace di niente senza di Gesù e che a Lui deve tut-
to. Gesù, il vero Direttore spirituale, la istruisce circa il modo da tenere nello stato di oscuri-
tà ed abbandono, nella preghiera, nella Comunione e nelle visite a Gesù Sacramentato.
Mi ricordavo ancora tutte le grazie, le parole, le correzioni, i rimproveri; vedevo con oc-
chio chiaro che tutto l’operato fin qui, tutto, tutto era stato opera della sua grazia, e che di me
non restava altro che il puro niente e l’inclinazione al male; toccavo con mano che senza di Lui
non più sentivo l’amore così sensibile, quei lumi così chiari nella meditazione in modo che re-
stavo le due e tre ore, ma però facevo quanto più potevo di fare quello che facevo quando me lo
sentivo, perché mi sentivo ripetere quelle parole: “Se mi sarai fedele verrò per premiarti, se in-
grata per castigarti”.
Così passavo, quando due giorni, quando quattro, più o meno come a Lui piaceva.
L’unico mio conforto era riceverlo in Sacramento... Ah, sì, certo, lì Lo trovavo, non potevo
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dubitare! E ricordo che poche volte non Si faceva sentire, perché tanto Lo pregavo e ripregavo
ed importunavo che mi contentava; ma però, non amoroso e amabile, ma severo.
Dopo che passavo quei giorni in quello stato detto di sopra, specialmente se Gli ero stata
fedele me Lo sentivo ritornare dentro di me, mi parlava più chiaramente, e siccome nei giorni
passati non avevo potuto concepire dentro di me né una parola, né sentire niente, così ora veni-
vo a conoscere [che] non era la mia fantasia [co]sì come molte volte prima dicevo, tanto che del
detto fin qui non dicevo niente né al confessore né ad altra anima vivente; ma però facevo
quanto più potevo per corrispondergli, ché altrimenti mi faceva tanta guerra che non avevo pa-
ce. Ah, Signore! sei stato tanto buono con me ed io così cattiva ancora!
Seguitando ciò che avevo cominciato, me Lo sentivo dentro di me, L’abbracciavo, me Lo
stringevo, Gli dicevo: “Amato Bene, vedi quanto mi è riuscita amara la nostra separazione”. E
Lui che mi diceva: “È niente ciò che hai passato, preparati a prove più dure. Perciò sono venu-
to: per disporre il tuo cuore e fortificarlo. Adesso Mi dirai tutto ciò che hai passato, i tuoi dub-
bi e timori, tutte le tue difficoltà per poterti insegnare il modo come [com]portarti nella mia as-
senza”.
Quindi gli facevo la narrazione delle mie pene dicendogli: “Signore, vedi, senza di Voi
non ho potuto fare niente bene. La meditazione l’ho fatta tutta distratta, brutta, tanto che non
avevo coraggio di offrirvela. Nella Comunione non ho potuto stare le ore intere come quando
Vi sentivo: mi vedevo sola, non avevo con Chi potevo intendermela; tutta mi sentivo vuota, la
pena della vostra assenza mi faceva provare agonie mortali, la natura voleva sbrigarsi subito
per sfuggire quella pena; tanto più che mi pareva che non facevo altro che perdere tempo! [Mi
sopravveniva però] il timore ancora, [che] Voi, tornando, mi castigavate perché non ero stata
fedele… Quindi, non sapevo che farmi! E poi, la pena che Voi siete continuamente offeso, e
che non sapendo il quando, come prima mi insegnavi di fare quegli atti di riparazione, quelle
visite al Santissimo Sacramento per le diverse offese che Voi ricevete. Dunque, dimmi un po’:
come dovevo fare?”
E Lui, benignamente, ammaestrandomi diceva:
1° - “Tu hai fatto male nello starti così disturbata! Non sai tu che Io sono Spirito di pace
e la prima cosa che ti raccomando è di non funestare la pace del cuore? Quando nell’orazione
non puoi raccoglierti, non voglio che pensi a questo o quell’altro, com’è e come non è; facendo
così tu stessa chiami la distrazione. Ma invece quando ti trovi in quel stato la prima cosa é che
ti umili, confessandoti meritevole di quelle pene, mettendoti come un umile agnellino nelle
braccia del carnefice, che mentre l’uccide gli lambisce la mano; così tu, mentre ti vedrai per-
cossa, abbattuta, sola, ti rassegnerai alle mie sante disposizioni, Mi ringrazierai di tutto cuore,
Mi bacerai quella mano che ti percuote, riconoscendoti indegna di quelle pene; poi Mi offrirai
quelle amarezze, angustie, tedii, pregandomi che li accettassi come un sacrifizio di lode, di
soddisfazione delle tue colpe, di riparazione dell’offese che Mi fanno. Facendo così, la tua ora-
zione salirà innanzi al mio Trono come un incenso odorosissimo, ferirà il mio Cuore, ti attirerai
nuove grazie e nuovi carismi; il demonio vedendoti umile e rassegnata, tutta inabissata nel tuo
nulla, non avrà forza di avvicinarsi. Eccoti che dove tu credevi di perdere, farai grandi acquisti.
2° - In riguardo alla Comunione, non voglio che ti affligga ché non sai stare. Sappi che è
un’ombra delle pene che soffrii nel Getsemani; che sarà quando ti farò partecipe dei flagelli,
delle spine e dei chiodi? Il pensiero delle pene maggiori ti farà soffrire con più coraggio le pe-
ne minore; quindi, quando nella Comunione ti troverai sola, agonizzante, [voglio che] pensi
che ti voglio un poco in compagnia nella agonia dell’Orto. Dunque mettiti vicino a Me e fa’ un
confronto tra le tue e le mie pene. Vedi: tu sola e priva di Me; ed Io anche solo, abbandonato
dai più fedeli amici che addormentati se ne stanno; fin dal mio Divino Padre lasciato solo. Poi
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in mezzo a pene acerbissime, circondato da serpi, da vipere, da cani arrabbiati - quali erano i
peccati degli uomini e dove erano anche i tuoi che facevano la loro parte! - che Mi parevano
che Mi volevano divorare vivo, il mio Cuore fu preso da tali strettezze che Me lo sentivo come
se stesse sotto d’un torchio, tanto che sudai vivo Sangue. Dimmi, quando tu sei giunta a soffri-
re tanto? Dunque, quando ti trovi priva di Me, afflitta, vuota d’ogni consolazione, ripiena di
tristezze, d’affanni, di pene, vieni vicino a Me, asciugami quel Sangue, offrimi quelle pene in
sollievo della mia amarissima agonia. Così facendo troverai il modo come poterti trattenere
con Me dopo la Comunione; non che non soffrirai, perché la pena più amara che possa dare al-
le anime mie care è il privarle di Me, ma tu, pensando che con quel tuo penare darai sollievo a
Me, sarai anche contenta.
3° - Per [quanto riguarda] le visite ed atti di riparazione, tu devi sapere che tutto ciò che
feci nel corso dei trentatré anni, dacché nacqui finché morii, lo sto continuando nel Sacramento
dell’altare; perciò voglio che mi visiti 33 volte al giorno, onorando i miei anni ed insieme u-
nendoti con Me nel Sacramento con le mie stesse intenzioni, cioè di riparazione, di adorazio-
ne... Questo lo farai in tutti i tempi. [Lo farai con] il primo pensiero della mattina: subito vola
innanzi alla custodia3 dove sono per amore tuo e Mi visiti; [lo farai con] l’ultimo pensiero della
sera, mentre dormirai la notte, prima e dopo il pasto, in principio d’ogni tua azione, camminan-
do, lavorando”.
Mentre così mi diceva, mi vedevo tutta confusa, non sapendo se potevo riuscire a farle4;
Gli dissi: “Signore, Vi prego a starmi insieme finché prendo l’abitudine a farle, ché conosco
che con Voi tutto posso, ma senza [di Voi] che posso fare io, miserabile?” E Lui, benignamen-
te soggiungeva: “Sì, sì, ti contenterò! Quando mai ti ho mancato? La tua buona volontà vo-
glio!, ché qualunque aiuto tu vuoi, te lo darò”. E così faceva.
Dopo che ebbi passato qualche tempo, quando con Lui e quando priva, un giorno, dopo la
Comunione, mi sentii più intimamente a Lui unita. [Gesù] mi faceva varie domande, come, per
esempio: se Gli volevo bene, se ero pronta a fare ciò che Lui voleva, anche il sacrifizio della
vita per amore suo. Mi diceva ancora: “E tu dimmi che vuoi; se tu sei pronta a fare ciò che
voglio, anche Io farò ciò che vuoi tu”. Io mi vedevo tutta confusa, non intendevo quel suo mo-
do di operare, ma col tempo ho capito che quel modo di agire [da parte di Gesù] è quando [Lui]
vuole disporre l’anima a nuova e pesante croce, e la sa tirare tanto a Sé, con quei stratagemmi,
che l’anima non [ha] ardire d’opporsi a ciò che Lui vuole. Dunque, Gli dicevo: “Sì che Vi vo-
glio bene!, ma ditemi Voi stesso: posso trovare oggetto più bello, più santo, più amabile di
Voi? E poi, perché domandarmi se sono pronta a fare ciò che Voi volete, mentre [è] da tanto
tempo che [Vi] consegnai la mia volontà e Vi ho pregato che non mi risparmiate, anche a farmi
in pezzi, purché potessi darvi gusto? Io m’abbandono in Voi, o Sposo Santo; operate libera-
mente, fa’ di me ciò che vuoi, [ma] datemi la grazia vostra, ché da me nulla sono e niente pos-
so”.
E mi ripeteva: “Veramente che sei pronta a tutto ciò che voglio?” Io mi vedevo più con-
fusa, annientata, e dicevo: “Sì, sono pronta”; ma quasi tremante. E Lui, compassionandomi,
seguiva a dirmi: “Non temere, sarò tua forza, non tu soffrirai, ma Io che soffrirò e combatterò
in te. Vedi, voglio purificare l’anima tua da ogni minimo neo che potrebbe impedire l’amore
3
tabernacolo
4
fare le giornaliere 33 visite a Gesù Sacramentato
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mio in te; voglio provare la tua fedeltà, ma come posso vedere se ciò è vero, se non col metterti
in mezzo alla battaglia? Sappi dunque che voglio metterti in mezzo ai demoni; darò loro liber-
tà di tormentarti e di tentarti, affinché quando avrai combattute le virtù coi vizi opposti5, già tu
ti trovi in possesso di quelle stesse virtù che crederai di perdere; e dopo, l’anima tua purgata,
abbellita, arricchita, sarà come un re che viene vincitore da una fierissima guerra, che, mentre
credeva di perdere quello che teneva, se ne ritorna invece più glorioso e ripieno di immense
ricchezze. Ed allora verrò Io, formerò in te la mia dimora e staremo sempre insieme. È vero
che sarà doloroso il tuo stato, i demoni non ti daranno più pace, né giorno, né notte, staranno
sempre in atto di muoverti fierissima guerra, ma tu abbi sempre la mira a quello che voglio fare
di te, cioè di farti simile a Me e che a ciò non potrai giungere che per mezzo di molte e grandi
tribolazioni, che così starai con più coraggio a sostenerne le pene”.
Chi può dire come rimasi spaventata a tale annunzio? Mi sentivo gelare il sangue, arric-
ciare i capelli, la mia immaginazione ripiena da neri spettri che pareva che mi volevano divora-
re viva. Mi pareva che il Signore, prima di mettermi in questo stato doloroso, dava libertà a
tutto ciò che dovevo soffrire e mi vedevo da tutto circondata; ed allora a Lui mi rivolsi e gli
dissi: “Signore, abbi pietà di me! Deh, non lasciarmi sola e abbandonata! Veggo che i demoni
è tanta la loro rabbia che non lasceranno di me neppure la polvere, come potrò resistergli? A
Voi è ben noto la mia miseria e quanto sono cattiva, dunque dammi nuova grazia per non of-
fenderti. Mio Signore, la pena, e che strazia più l’anima mia, è il vedere che anche Voi dovete
lasciarmi. Ah!, a chi potrò dire più una parola? Chi mi deve insegnare? Ma però sia fatta
sempre la vostra Volontà, benedico il tuo Santo Volere!
E Lui, benignamente, così riprese a dire: “Non t’affliggere tanto, sappi che mai permette-
rò che ti tentino sopra le tue forze; se ciò permetto è per tuo bene. Non mai metto le anime
nelle battaglie per fare che periscano; prima misuro le loro forze, dono loro la mia grazia, e poi
le introduco; e se qualche anima precipita, è perché non si tengono unite a Me con la preghie-
ra: non provando più la sensibilità del mio amore vanno mendicando amore dalle creature,
mentre Io solo posso saziare il cuore umano; non si lasciano guidare dalla via sicura
dell’obbedienza, credendo più al giudizio proprio, che a chi li guida invece mia. Dunque, qual
meraviglia se precipitano? Quindi, quel che ti raccomando è la preghiera: ancorché dovessi
soffrire pene di morte, mai devi tralasciare quel che sei solito di fare; anzi, quanto più ti vedrai
nel precipizio, tanto più invocherai l’aiuto di Chi può liberarti. Di più, voglio che ti metti cie-
camente nelle mani del confessore, senza esaminare quello che ti viene detto; tu sarai circonda-
ta da tenebre e sarai come uno che non ha occhi e che [ab]bisogna di una mano che la guida:
l’occhio per te sarà la voce del confessore che come luce ti rischiarerà le tenebre, la mano sarà
l’ubbidienza che ti sarà di guida e di sostegno per farti giungere a porto sicuro. L’ultima cosa
che ti raccomando è il coraggio. Voglio che con intrepidezza entri nella battaglia; la cosa che
fa più temere un esercito nemico è il vedere il coraggio, la fortezza, il modo con cui disfidono6 i
più pericolosi combattimenti, senza nulla temere. Così sono i demoni, nulla più temono che
un’anima coraggiosa, tutta appoggiata a Me, [che] con animo forte va in mezzo a loro non per
essere ferita, ma con risoluzione di ferirli e di sterminarli; i demoni restano spaventati, atterriti
e vorrebbero fuggire, ma non possono, perché legati dalla mia Volontà, e sono costretti a starvi
per loro maggior tormento. Dunque, non temere di loro, ché niente possono farti senza il mio
Volere. E poi, quando ti vedrò che non puoi più resistere e starai per venir meno, se tu mi sarai
fedele, subito verrò e metterò tutti in fuga e ti darò grazia e fortezza. Coraggio, dunque, corag-
gio!”
5
combattute le virtù coi vizi opposti = con le virtù combattuto i vizi opposti
6
gli avversari sfidano
28
16 - Luisa supera una terribile prova,
lottando contro i demoni.
Ora, chi può dire il cambiamento che succedette nel mio interno? Tutto era orrore per me,
quell’amore che prima sentivo in me, ora me lo vedevo convertito in odio atroce. Che pena di
non poterlo più amare! Mi straziava l’anima il pensare che quel Signore [era Colui] che era
stato tanto buono con me! [Che pena] ora vedermi costretta ad aborrirlo, a bestemmiarlo come
se fosse il più crudele nemico, il non poterlo guardare neppure nelle sue immagini, ché [al solo]
guardarle, [al] tenere corone fra le mani, baciarle, mi venivano tali impeti di odio e tanta forza,
che farle e mettere tutto in pezzi era lo stesso; e delle volte facevo tanta resistenza, che la natu-
ra tremava da capo a piedi. Oh Dio, che pena amarissima! Io credo che se nell’inferno non ci
stessero più7 pene, la sola pena di non poter amare Dio formerebbe l’inferno più orribile. Molte
volte il demonio mi metteva innanzi le grazie che il Signore mi aveva fatto, ora [facendomele
vedere] come [fossero] un lavorio della mia fantasia, e quindi [m’incitava a] poter menare una
vita più libera, più comoda; ed ora [presentandomele] come vere, e mi rimproveravano col di-
re: “Questo è il bene che ti voleva? Questa è la ricompensa!, che ti ha lasciata nelle nostre
mani! Sei nostra, sei nostra, per te tutto è finito, non c’è più da sperare!” E nell’interno mi
sentivo gettare tali impeti di sdegno contro il Signore, e di disperazione, che parecchie volte,
essendomi trovata qualche immagine fra le mani, era tanta la forza dello sdegno che le ruppi,
ma mentre ciò facevo, piangevo e la baciavo, ma, non so dire come, ero costretta a farlo. Ora,
chi può dire lo strazio dell’anima mia? I demoni facevano festa e se la ridevano; chi faceva
rumore da un punto, chi dall’altro, chi strepitava, chi m’assordava coi gridi dicendo: “Vedi
come sei nostra! Non ci resta altro che portarti all’inferno, anima e corpo, e poi lo vedrai che lo
faremo!” Delle volte mi sentivo tirare, ora le vesti, ora la sedia dove stavo inginocchiata, e tan-
to la movevano e strepitavano che non potevo pregare, e delle volte era tanto il timore che, cre-
dendomi di dovere liberarmi8, me ne andavo a coricarmi nel letto - siccome questi fracassi suc-
cedevano la maggior parte la notte - ma anche là mi seguivano col tirarmi il cuscino, le coperte.
Ora, chi può dire lo spavento, la paura che ne provavo? Io stessa non sapevo dove mi trovavo,
o sopra la terra o nell’inferno; era tanto il timore che davvero mi portassero [con loro
nell’inferno], che gli occhi non si potettero più chiudere al sonno; stavo come uno che tiene un
crudele nemico che ha giurato che a qualunque costo gli deve togliere la vita; e questo lo cre-
devo che mi doveva succedere al primo chiudere degli occhi; quindi mi sentivo come se uno
mi mettesse una cosa dentro, in modo che ero costretta a tenerli spalancati per vedere quando
mi dovevano portare, chi sa potessi farmi forza ed oppormi a ciò che volevano fare! Quindi mi
sentivo sollevarmi i capelli sulla mia testa uno per uno, un sudor freddo per tutta la persona che
mi penetrava fino nelle ossa e mi sentivo disgiungere i nervi e le ossa uno per uno, e dibatteva-
no insieme per la paura.
Altre volte mi sentivo incitare a tale tentazioni di disperazioni e di suicidio, che qualche
volta essendomi trovata vicina al pozzo o pure a qualche coltello, mi sentivo tirare a menarmi
dentro o pure prendere il coltello ed uccidermi; ed era tanta la forza che dovevo farmi per fug-
gire, che mi sentivo pene di morte, e mentre fuggivo, me li sentivo venire appresso e mi sentivo
suggerire che: per me inutile era il vivere, dopo avere commesso tanti peccati, Iddio mi aveva
abbandonata perché non ero stata fedele, anzi mi vedevo che avevo fatto tante scelleratezze che
mai anima al mondo aveva commesso, quindi, per me non ci era più misericordia da sperare…
Nel fondo dell’anima mia mi sentivo ripetere: “Come puoi vivere nemica di Dio? Sai tu qual’è
quel Dio che hai tanto oltraggiato, bestemmiato, odiato? Ah, quel Dio immenso che da per tut-
to ti circondava, e tu sotto i suoi occhi stessi hai ardito d’offenderlo! Ah!, perduto il Dio
7
altre
8
dovere liberarmi = potermene liberare di essi
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dell’anima tua, chi ti darà più pace? Chi ti libererà da tanti nemici?” Era tanta la pena, che non
facevo altro che piangere. Delle volte mi mettevo a pregare, e i demoni per accrescere il mio
tormento me li sentivo venire sopra, e chi mi percuoteva, chi mi pungeva e chi [mi] soffocava
la gola. Una volta ricordo che, mentre pregavo mi sentii tirare i piedi da sotto la terra, aprirsi
ed uscire le fiamme, ed io vi sprofondavo dentro. Fu tale lo spavento ed il dolore, che rimasi
mezza morta, tanto che per riavermi da quello stato vi venne Gesù Cristo e mi rincorò, mi fece
capire che non era vero che avevo messo la volontà ad offenderlo e che io stessa lo potevo co-
noscere dalla pena amarissima che ne sentivo, che il demonio era un bugiardo e che non dove-
vo dargli retta, che per ora dovevo avere pazienza a soffrire quelle molestie e che poi doveva
venire la pace. Così succedeva d’intanto intanto, quando proprio giungevo agli estremi, e delle
volte per mettermi in più aspri tormenti. Nell’atto di quel conforto l’anima si convinceva, per-
ché innanzi a quella luce è impossibile che l’anima non apprenda la verità, ma dopo che mi tro-
vavo nella lotta, mi trovavo allo stesso stato di prima.
[Il demonio] mi tentava ancora a non fare la Comunione, persuadendomi che, dopo che
avevo commesso tanti peccati era una baldanza andarvi, e che, se ardivo, non Gesù Cristo sa-
rebbe venuto ma il demonio, e che tanti tormenti mi avrebbe dato, che mi avrebbe dato la mor-
te. Ma però l’ubbidienza la vinceva. È vero che delle volte soffrivo pene mortali, sicché a
stento potevo riavermi dopo la Comunione, ma siccome il confessore voleva che assolutamente
la facessi, non potevo fare diversamente. Sicché ricordo che [tuttavia] parecchie volte non la
feci.
Ricordo pure che delle volte mentre pregavo la sera, [i demoni] mi smorzavano la lampa-
da; delle volte [e]mettevano ruggiti tali da fare spavento; altre volte voci flebile come se fos-
sero moribondi; ma chi può dire tutto ciò che facevano? È impossibile.
Quindi questo duro cimento, sebbene non ricordo tanto bene, durò tre anni; ma però ave-
vo i giorni, le settimane d’intervallo; non che cessarono del tutto, ma [in seguito]
s’incominciarono a mitigare.
Ricordo che dopo una Comunione, il Signore m’insegnò il modo come dovevo fare per
metterli in fuga, ed era: il disprezzarli e non curarli affatto, e che, dovevo farne quel conto co-
me se fossero tante formiche. Mi sentii infondere tanta forza che non mi sentivo più quel timo-
re di prima. E facevo così: quando facevano strepiti, rumore, dicevo loro: “Si vede che non
avete che fare e che per passare il tempo state facendo tante sciocchezze; fate, fate, che poi
quando vi stancherete lo finite”. Delle volte cessavano, altre volte tanto si arrabbiavano e face-
vano più forti rumori. Me li sentivo vicino facendosi più forti e violenza di dovermi portare
[con loro nell’inferno]; sentivo la puzza orribile, il calore del fuoco. È vero che nel mio inter-
no sentivo un certo brivido, ma mi facevo forza, gli dicevo: “Bugiardi che siete! Se ciò fosse
vero, dal primo giorno l’avreste fatto, ma siccome è falso, e che non avete nessuno potere su di
me se non quello che vi viene dato dall’alto, perciò canti e canti e poi, quando vi stancherai
creperai!” Se poi facevano lamenti e gridi, gli dicevo: “Che? Non avete avuto a conti oggi?”
O sia: “Vi si è stata tolta qualche anima che vi lamentate? Poveretti, non si sentono bene!, ma
però voglio pur’io farvi lamentarvi un altro poco!” E mi mettevo a pregare per [i] peccatori
oppure a fare atti di riparazione. Delle volte me la ridevo quando incominciavano a fare le soli-
te cose e gli dicevo: “Come posso temervi, razze vili? Se foste esseri seri non avreste fatto tan-
te sciocchezze! Voi stessi non vi vergognate, non vi fate prendere a burla?” Se poi mi tentava-
30
no di bestemmie o di odio contro di Dio, Gli offrivo quella pena amarissima, quella forza che
mi facevo, ché mentre vedevo che il Signore meritava tutto l’amore, tutte le lodi ed io ero co-
stretta a fare il contrario, in riparazione di tanti che lo bestemmiano liberamente e che neppure
si ricordano che esiste un Dio, che sono obbligati a riamarlo. Se mi incitavano a disperazione,
nel mio interno dicevo: “Non mi curo né del Paradiso né dell’inferno, quel che mi preme è di
amare il mio Dio! Questo non è tempo di pensare ad altro, anzi è tempo d’amare quanto più
posso il mio buon Dio, il Paradiso e l’inferno lo rimetto nelle sue mani, Lui che è tanto buono
mi darà quel che a me più conviene e mi darà un luogo dove posso più glorificarlo!”
M’insegnò, Gesù Cristo, che il mezzo più efficace per fare che l’anima restasse libera da
ogni vana apprensione, d’ogni dubbio, d’ogni timore: era il protestare innanzi al Cielo, alla ter-
ra ed agli stessi demoni, di non voler offendere Dio, anche a costo della propria vita, di non vo-
ler [ac]consentire a qualunque tentazioni del demonio. E questo appena che l’anima avverte
che viene la tentazione, se può nell’atto [stesso] della battaglia, ed appena che s’incomincia a
sentire libera, ed anche tra il corso del giorno. Facendo così, l’anima non perderà tempo a pen-
sare se abbia o no acconsentito, ché il solo ricordarsi della protesta [fatta], già le restituirà la
calma; e se il demonio cercherà d’inquietarla, potrà rispondergli che: se aveva intenzione
d’offendere Iddio, non si protestava9 il contrario; e così resterà salva d’ogni timore.
Ora, chi può dire la rabbia del demonio, che tutte le sue astuzie riuscivano a sua confusio-
ne, e dove credeva di guadagnare ci perdeva, e che delle sue stesse tentazioni ed artifizi,
l’anima se ne serviva come poter fare atti di riparazione ed amore al suo Dio, facendo in questo
modo?
L’altro modo che [Gesù] m’insegno nello scacciare le tentazioni era il seguente. Se mi
tentavano di suicidio io dovevo rispondere: “Non ne avete nessun permesso da Dio; anzi, a
tuo dispetto voglio vivere per poter più amare il mio Dio”. Se poi mi percuotevano e mi batte-
vano, io mi dovevo umiliare, inginocchiarmi e ringraziare il mio Dio ché ciò succedeva, in pe-
nitenza dei miei peccati, non solo, ma offrire tutto come atti di riparazione a tutte le offese a
Dio che si facevano nel mondo.
Finalmente una brutta tentazione, che mi durò poco, fu che al contatto continuo di circa un
anno e mezzo di così brutti demoni, io dovessi uscire incinta e partorire poi un piccolo demonio
con le corna. La fantasia si allevava così che io mi vedevo innanzi, [con] una confusione orri-
bile, a quel che si sarebbe detto di me per sì brutto avvenimento.
Finalmente finì dopo circa un anno e mezzo di questa lotta; finivano le crudezze dei de-
moni e cominciò una vita tutta nuova. Però non cessarono i demoni di tanto in tanto di mole-
starmi, ma però non erano così frequenti, non così fiera la battaglia, ed io mi avvezzai a di-
sprezzarli.
La vita nuova che cominciò fu alla Masseria detta Torre Disperata. Un giorno mentre più
che mai ero stata tormentata dal demonio, tanto che mi sentivo perdere le forze e venir meno, la
sera mentre così stavo mi sentii venire una cosa mortale e perdetti i sensi. In questo stato vidi
Gesù Cristo circondato da tanti nemici: chi Lo batteva, chi Lo schiaffeggiava, chi Gli confic-
cava le spine nella testa, chi Gli spezzava le gambe, chi le braccia. Dopo che Lo ridussero qua-
si in pezzi, Lo deposero nelle braccia della Madonna; e questo succedeva un [non] poco lonta-
no da me. Dopo che la Vergine Santissima se Lo prese fra le braccia, si avvicinò a me e, pian-
9
non si protestava = non avrebbe protestato
31
gendo, mi disse: “Figlia, vedi come il mio Figlio è trattato dagli uomini, le orribili offese che
commettono che non Gli danno mai tregua; guardalo come soffre!” Ed io cercavo di guardarlo
e Lo vedevo tutto Sangue, tutto piaghe e quasi trinciato, ridotto ad uno stato mortale; sentivo
tali pene che avrei voluto mille volte morire anziché vedere tanto soffrire il mio Signore, mi
vergognavo delle mie piccole sofferenze. La Santissima Vergine soggiunse, ma sempre pian-
gendo: “Avvicinati a baciare le piaghe del mio Figlio; Lui ti sceglie come vittima, e se tanti
l’offendono, tu coll’offrirti a soffrire ciò che Lui soffre Gli darai un ristoro in tanto penare.
Non l’accetti tu?” Io mi sentivo tanto annientata, mi vedevo tanto cattiva - qual sono ancora! -
e indegna, che non ardivo di dire: “Sì”. La natura tremava, mi sentivo tanto debole delle pene
passate, che appena mi lasciava un filo di vita. Poi, non so come, da lontano vedevo i demoni
che strepitavano tanto e che, tutto ciò che avevo veduto fare al Signore lo dovevano fare a me
se accettavo. In me stessa sentivo tali pene, dolori, stiramenti di nervi, che io credevo di dover
lasciare la vita.
Finalmente mi avvicinai [a Gesù] e Gli baciai le piaghe; pareva che, fatto ciò, quelle
membra così lacerate si risanavano, ed il Signore, che prima pareva quasi morto,
S’incominciava a ravvivare a nuova vita. Internamente ricevevo [intanto] tali lumi sulle offese
che si fanno [al Signore], attrazioni di accettare d’essere vittima ancorché dovessi soffrire mille
morti ché il Signore tutto meritava, e che io non potrei oppormi a ciò che Lui voleva. Questo
succedeva mentre si stava in muto silenzio. Ma in quei sguardi che a vicenda ci davamo, erano
tanti inviti, tanti saetti infocati che mi passavano il cuore. La Santissima Vergine specialmente
mi spronava ad accettare. Ma chi può dire tutto ciò che passai? Finalmente il Signore guar-
dandomi benignamente mi disse: “Tu hai visto quanto Mi offendono e quanti camminano le
vie dell’iniquità che, senza avvedersi, precipitano nell’abisso. Vieni ad offrirti innanzi alla Di-
vina Giustizia come vittima di riparazione delle offese che si fanno e per la conversione dei
peccatori, che ad occhi chiusi bevono alla fonte avvelenata del peccato. Un largo campo ti si
apre d’innanzi di sofferenze, sì, ma anche di grazie; Io non più ti lascerò, verrò in te a soffrire
tutto ciò che Mi fanno gli uomini, facendoti parte delle mie pene. Per aiuto e conforto ti do la
mia Madre”. E pareva che a Lei mi consegnava, ed Essa mi accettava. Io pure mi offrii tutta a
Lui e alla Vergine, pronta a fare ciò che voleva; e così finii la prima volta.
Dopo che mi riebbi da quello stato, mi sentivo tali pene, tale annientamento di me stessa,
che mi vedevo come un misero vermicciuolo che non sapevo fare altro che strisciare la terra; e
dicevo al Signore: “Aiuto! La vostra onnipotenza mi atterra! Veggo che se Voi non mi solle-
vate, il mio niente si disfa e va [a] disperdesi. Dammi il patire, ma Vi prego a darmi la forza,
ché mi sento morire”. E così incominciò un alternarsi di visite di Nostro Signore e di tormenti
da parte dei demoni; quanto più mi rassegnavo, tanto più accrescevano la loro rabbia.
Pochi giorni dopo del detto di sopra, mi sentii un’altra [volta] perdere i sensi. - Ricordo
che in principio ogni qual volta che mi sentivo venire un tale stato, credevo di dover lasciare la
vita -. Mentre perdetti i sensi si fece vedere un’altra volta Nostro Signore con la corona di spi-
ne in testa, tutto grondante Sangue, ed a me rivolto disse: “Figlia, vedi un po’ ciò che Mi fanno
gli uomini; in questi tristi tempi è tanta la loro superbia che ne hanno infestato tutta l’aria, ed è
tanta la puzza che da per ogni dove si sparge, che è giunta fino innanzi al mio trono
nell’Empireo. Fanno in modo che loro stessi si chiudono il Cielo, i miseri; non hanno occhi
per conoscere la verità, perché offuscati dal peccato della superbia col seguito degli altri vizi
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che portano con sé. Deh, dammi un sollievo a tanti acerbi spasimi ed una riparazione a tanti
torti che Mi si fanno!” Ed in così dire Si tolse la corona, che non pareva corona ma tutto un
pezzo, in modo che neppure una minima particella della testa restava libera, ma tutta veniva
trapassata da quelle spine. Mentre Si tolse la corona Si avvicinò a me e mi domandò se
l’accettavo. Io mi sentivo tanto annichilita, provavo tali pene delle offese che si fanno che mi
sentivo spezzare il cuore; Gli dissi: “Signore, fa’ di me ciò che vuoi”. E così la prese e me la
conficcò sulla mia testa e disparve.
Ora, chi può dire gli spasimi che provai nel ritornare in me stessa? Ad ogni movimento
del capo credevo di spirare, tanti erano i dolori, le punture che sentivo nella testa, negli occhi,
orecchie, dietro alla nuca; quelle spine me le sentivo penetrare fino nella bocca e [questa] si
stringeva in modo che non potevo aprirla per prendere il cibo, e stavo quando 2 e quando tre
giorni senza poter prendere niente. Quando [i dolori] si mitigavano in qualche modo, mi senti-
vo una mano sensibile che mi premeva il capo e mi rinnovava le pene, e delle volte erano tanti
gli spasimi che per il dolore perdevo i sensi. Da principio questo succedeva certi giorni sì, certi
no; quando si replicavano tre, quattro volte al giorno, quando duravano un quarto, quando
mezza ora, e quando un’ora e poi restavo libera; solo che mi sentivo molto debole e sofferente:
a misura che in quello stato d’assopimento mi erano state comunicate le pene, così restavo più
o meno sofferente.
Ricordo ancora che siccome certe volte per le sofferenze della testa, come ho detto di so-
pra, non potevo aprire la bocca per prender il cibo, e siccome la famiglia sapeva che non ci a-
vevo tanta voglia di stare in campagna, quindi, quando vedevano che non mangiavo, me
l’attribuivano a capriccio, e naturalmente s’irritavano, s’inquietavano e mi motteggiavano. La
natura voleva risentirsi di questo, perché vedevo che non era vero ciò che loro dicevano, ma il
Signore non voleva questo risentimento; ed ecco come successe.
Una sera, mentre si stava a tavola, ed io in questo stato di non poter aprire la bocca, la fa-
miglia s’incominciò ad inquietare. Io lo sentivo tanto che incominciai a piangere, e per non es-
sere vista m’alzai e me ne andai ad un’altra parte seguitando a piangere, e pregavo Gesù Cristo
e la Vergine Santissima che mi dessero aiuto e forza a sopportare questo cimento. Ma mentre
ciò facevo mi sentii incominciare a perdere i sensi. Oh Dio, che pena il solo pensare che mi
doveva vedere la famiglia! [Per]ché fino allora non se ne era avvertita. In questo mentre: “Si-
gnore - Gli dicevo - non permettete che mi veggano”. Ed io avevo tale vergogna d’essere vista
che non so dire il perché, e cercavo quanto più potevo di nascondermi in luoghi dove non pote-
vo essere veduta; quando poi ero sorpresa all’improvviso, in modo che non avevo tempo di na-
scondermi o almeno d’inginocchiarmi - [per]ché come mi trovavo, in quella posizione restavo -
e potevano dire che stavo a pregare, allora poi ero scoperta. Mentre perdetti i sensi si fece ve-
dere Nostro Signore in mezzo a tanti nemici che Gli recavano ogni sorta d’insulti; specialmen-
te Lo pigliavano e Lo calpestavano sotto dei piedi, Lo bestemmiavano, Gli tiravano i capelli.
Mi pareva che il mio buon Gesù voleva fuggire da sotto quelle fetide piante, ed andava guar-
dando, chissà potesse trovare una mano amica che Lo avesse liberato, ma non trovava nessuno.
Mentre ciò vedevo, io non facevo altro che piangere sulle pene del mio Signore; avrei voluto
andare in mezzo a quei nemici, chissà potessi liberarlo!, ma non ardivo. Gli dicevo: “Signore
fatemi parte delle vostre pene. Deh, potessi sollevarvi e liberarvi!” Mentre ciò dicevo, quei
nemici, come se avessero inteso, se ne venivano contro di me, ma tanto arrabbiati, ed incomin-
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ciarono a percuotermi, a tirarmi i capelli, a calpestarmi. Io avevo tale timore, soffrivo, sì, ma
dentro di me ero contenta ché vedevo dare al Signore un po’ di tregua. Dopo, quei nemici
scomparivano e io restai sola col mio Gesù. Io cercai di compatirlo, ma non ardivo di dirgli
niente, e Lui rompendo il silenzio mi disse:
“Tutto ciò che tu hai visto è niente a confronto di quelle offese che continuamente Mi fan-
no; é tanta la cecità loro, l’ingolfamento delle cose terrene, che giungono a divenire non solo
crudeli nemici miei, ma anche di loro stessi; e siccome l’occhio loro é fisso nel fango, perciò
giungono a disprezzare l’Eterno. Chi metterà un riparo a tanta ingratitudine? Chi avrà com-
passione di tanta gente che Mi costano Sangue e che vivono quasi sepolti nel lezzo delle cose
terrene? Deh, vieni con Me e prega e piangi insieme per tanti ciechi che sono tutt’occhi per tut-
to ciò che dà di terra e poi disprezzano e calpestano le mie grazie sotto dei loro immondi piedi
come se fossero fango. Deh, sollevati sopra tutto ciò che é terra, aborrisci e disprezza tutto ciò
che a Me non appartiene! Non ti facciano più impressione gli insulti che ricevi dalla famiglia
dopo che Mi hai visto tanto soffrire; ma ti stia solo a cuore l’onore mio, le offese che conti-
nuamente Mi fanno, la perdita di tante anime. Deh, non lasciarmi solo in mezzo a tante pene
che Mi straziano il Cuore! Tutto ciò che tu soffri adesso è poco in confronto di quelle pene che
soffrirai. Non te l’ho detto sempre, che quello che voglio da te è l’imitazione della mia vita?
Vedi un po’ quanto sei dissimile da Me! Perciò fatti coraggio e non temere”.
Dopo questo ritornai in me stessa ed allora avvertii che ero circondata dalla famiglia che
piangevano e stavano tutti in disturbo ed avevano tale timore che si replicasse quello stato, spe-
cialmente ancora morivo10, che fecero quanto più presto potettero a ricondurmi in Corato, onde
farmi osservare dai medici. Non so dire il perché, sentivo tale pena nel pensare che dovevo es-
sere visitata dai medici, che molte volte piangevo e mi lamentavo col Signore dicendogli:
“Quante volte, o Signore, Vi ho pregato che mi facciate patire nascosta. Era questo il mio solo
ed unico contento, e adesso anche di questo sono priva. Deh, dimmi, come farò? Voi solo po-
tete aiutarmi e sollevarmi nella mia afflizione! Non vedete quante ne dicono? Chi la pensa in
un modo e chi un altro, chi vuole farmi applicare un rimedio e chi un altro; sono tutt’occhi so-
pra di me, in modo che non mi danno più pace. Deh, soccorretemi in tante pene, ché mi sento
mancare la vita!” Ed il Signore benignamente soggiunse:
“Non volerti affliggere per questo; quello che voglio da te è che ti abbandoni come morta
fra le mie braccia. Fino a tanto che tu hai aperti gli occhi per guardare ciò che fo Io, e ciò che
fanno e dicono le creature, Io non posso liberamente operare su di te. Non vuoi fidarti di Me?
Non sai tu il bene che ti voglio e che tutto ciò che permetto, o per mezzo delle creature, o per
parte dei demoni, o direttamente da Me, è per tuo vero bene e non serve ad altro che a condurre
l’anima a quello stato a cui Io l’ho eletta? Perciò voglio che ad occhi chiusi ti stia fra le mie
braccia senza guardare ed investigare questo o quell’altro, fidandoti interamente di Me e la-
sciandomi liberamente operare. Se poi vuoi fare l’opposto, ci perderai tempo e verrai ad oppor-
ti a ciò che voglio fare di te. In riguardo alle creature, usa profondo silenzio, sii benigna e sot-
tomessa con tutti; fa’ che la tua vita, il tuo respiro, i tuoi pensieri ed affetti, siano continui atti
di riparazione che placano la mia Giustizia, offrendomi insieme le molestie delle creature, che
non saranno poche!”
Dopo questo feci quanto più potetti di rassegnarmi alla Volontà di Dio, sebbene molte vol-
te ero messa a tale strettezze da parte delle creature, che delle volte non facevo altro che pian-
gere. Giunse anche il tempo di farmi visitare dal medico, e [questi] giudicò [il mio stato] non
essere altro che un fatto nervoso, onde ordinò medicine, distrazioni, passeggi, bagni freddi, rac-
comandò alla famiglia che mi guardassero bene quando ero sorpresa da quello stato, perché, di-
10
ancora morivo = che stessi per morire
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cevagli: “Se la movete, la potete spezzare ma non aggiustare”, ché io quando ero sorpresa da
quello stato, restavo impietrita.
Onde si suscitò una guerra da parte della famiglia: m’impedivano d’andare alla chiesa,
non [mi] davano più quella libertà di starmene sola, ero guardata da per ogni dove, e più spesso
se ne avvertivano [del mio stato]. Molte volte mi lamentavo col Signore dicendogli: “Mio
buon Gesù, quanto si sono aumentate le mie pene! Anche delle cose a me più care sono priva,
quali sono i Sacramenti! Non ci avevo mai pensato che dovevo giungere a questo. Ma chi sa
dove andrò a finire! Deh, dammi aiuto e fortezza, ché la natura viene meno”. Molte volte si
benignava di dirmi qualche parola. Ora mi diceva:
“Sono Io in tuo aiuto, di che temi? Non ti ricordi che anch’Io soffrii da parte di ogni spe-
cie di gente? Chi la pensava su di Me in un modo e chi in un altro; le cose più sante che Io fa-
cevo erano giudicate da loro difettose, cattive, fino a dirmi che era un indemoniato, tanto che
Mi guardavano con occhi torvi, Mi tenevano in mezzo a loro, ma di malo umore e macchinava-
no tra loro quanto più presto potevano di togliermi la vita, ché la mia presenza s’era resa per lo-
ro intollerabile. Dunque non vuoi tu che ti faccia simile a Me facendoti soffrire da parte delle
creature?”
Così passai parecchi anni soffrendo da parte delle creature, da demoni e direttamente da
Dio. Delle volte giungevo a tanta amarezza da parte delle creature e del modo come la pensa-
vano, che avevo vergogna di farmi vedere da qualunque persona, tanto che il mio più grande
sacrifizio era il comparire in mezzo a persone; tanto era il rossore e la confusione, che mi sen-
tivo istupidire. Ci furono altre visite di altri medici, ma non ci riuscirono a nulla. Delle volte,
versando amare lacrime, Gli dicevo con tutto il cuore: “Signore, come si sono rese pubbliche le
mie sofferenze, non solo alla famiglia, ma anche agli estranei! Mi veggo tutta coperta di confu-
sione, mi pare che tutti mi segnano a dito, come se queste sofferenze fossero le più cattive a-
zioni; io stessa non so dire che cosa m’è successo. Deh, Voi solo potete liberarmi da tale pub-
blicità e farmi patire nascosta! Ve ne prego, Ve ne scongiuro, esauditemi”. Delle volte anche il
Signore faceva mostra di non ascoltarmi, ed aumentavano le mie pene; alle volte, poi, mi com-
pativa dicendomi:
“Povera figlia, vieni a Me che ti voglio consolare. Tu hai ragione che soffri; ma non ti ri-
cordi tu, che anch’Io, oh, quanto più soffrii? Fino a un certo punto furono nascoste le mie pe-
ne, ma quando la Volontà del Padre giunse di patire in pubblico, prontamente uscii ad incontra-
re confusioni, obbrobri, disprezzi, fino ad essere spogliato nudo in mezzo ad un popolo nume-
rosissimo. Potresti tu immaginare confusione più grande di questa? La mia natura la sentiva
molto questa specie di sofferenze, ma avevo l’occhio fisso alla Volontà del Padre ed offrivo
quelle pene in riparazione di tanti che commettono le più nefandi azioni pubblicamente, ad oc-
chi aperti, menandone vanto, senza il minimo rossore; Gli dicevo: “Padre accettate le confu-
sioni e gli obbrobri miei in riparazioni di tanti che hanno la sfacciataggine d’offendervi così li-
beramente senza il minimo dispiacere; perdonate, dategli lume acciò veggano la bruttezza del
peccato e si convertano”. Anche a te voglio farti partecipe di questa specie di sofferenze. Non
sai tu che i più bei regali che posso dare alle anime che amo sono le croci e le pene? Tu sei
bambinella ancora nella via della croce, perciò ti senti troppo debole; quando ti sarai fatta
grande ed avrai conosciuto quanto è prezioso il patire, allora ti sentirai più forte. Perciò appog-
giati a Me, riposati, ché così acquisterai fortezza”.
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22 - Luisa si vede costretta a starsene a letto per
periodi di tempo; si accentua l’impossibilità di mangiare.
Viene chiamato per la prima volta il confessore,
il quale la libera dallo stato d’impietrimento.
Dopo che passai qualche tempo in questo stato detto di sopra, cioè circa sei o sette mesi, le
sofferenze si accrebbero di più, tanto che fui costretta a starmene nel letto. Spesso si moltipli-
cava quello stato di perdere i sensi, che quasi non avevo neppure un’ora libera; mi ridussi ad
uno stato di estrema debolezza, la bocca si strinse in modo che non la potevo aprire affatto, ed
in qualche momento libero che avevo, appena qualche goccia di qualche bevanda potevo pren-
dere, se pure mi riusciva, e poi ero costretta a rimetterla per i continui vomiti - che ho avuto
sempre -. Dopo che stetti circa diciotto giorni in questo stato continuo, si mandò a chiamare il
confessore per confessarmi. Quando venne il confessore mi trovò in quello stato
d’assopimento. Quando mi riebbi, mi domandò che cosa avessi. Gli dissi solamente - tacendo
tutto il resto, e siccome allora continuavano gli strapazzi dei demoni e le visite di Nostro Signo-
re - quindi gli dissi: “Padre, è il demonio”. Lui mi disse: “Non aver paura, che non è il demo-
nio, e se è lui, il padre ti libera”. Così, dandomi l’ubbidienza e segnandomi con la croce ed aiu-
tandomi a sciogliere le braccia, ché mi sentivo tutto il corpo impietrito come se fosse divenuto
tutto un pezzo, gli riuscì di restituirmi il moto alle braccia [e] di farmi aprire la bocca che prima
era divenuta immobile a tutto. Questo io l’attribuii alla santità del mio confessore che vera-
mente era un santo sacerdote; lo tenni quasi per un miracolo, tanto che dicevo fra me stessa:
“Vedi, ero preparata a morire”. Ché in realtà mi sentivo male, e se avessi durato quello stato io
credo che lasciavo la vita. Sebbene ricordo che ero rassegnata e che quando mi vidi libera pro-
vavo un certo rincrescimento che non ero morta.
Quindi, dopo che il confessore se ne andò ed io [ero] rimasta libera, ritornai allo stato di
prima. E così successe che passavo, quando le settimane, i quindici giorni, ed anche i mesi che
ero sorpresa da quello stato d’intanto intanto nella giornata, e da me stessa riuscivo a liberarmi;
quando poi ero sorpresa spesso spesso come ho detto di sopra, allora la famiglia mandava a
chiamare il confessore; tanto più che avevano visto la prima volta che ne ero rimasta libera,
che tutti credevano che non mi dovevo più riavere da quello stato ed invece scesi alla chiesa e
mi rimisi allo stato di prima, così mandavano a chiamare il confessore ed allora restavo libera.
Ma però non mi passò mai per la mente che ad un tale stato ci voleva il sacerdote per liberarmi,
né che il mio male fosse una cosa straordinaria. È vero che quando perdevo i sensi vedevo Ge-
sù Cristo, ma questo l’attribuivo alla bontà di Nostro Signore e dicevo fra me stessa: “Vedi
quanto è buono il Signore verso di me, che in questo stato di sofferenze viene a darmi la forza,
altrimenti come potrei sostenere, chi mi darebbe la forza?” È pur vero che quando doveva suc-
cedermi un tale stato, la mattina, nella Comunione, [Gesù] me lo diceva, ed in quello stesso sta-
to le sofferenze da Lui stesso mi venivano, ma non davo retta a niente, il solo pensare qualche
volta di dirlo al confessore mi credevo che fossi l’anima più superba che fosse nel mondo se
ardivo mettere bocca a parlare di queste cose di vedere Gesù Cristo; e provavo tale rossore che
[mi] fu impossibile di dire niente a quel confessore, per quanto buono e santo fosse.
Tanto [è] vero che non credevo che ci volesse il sacerdote per liberarmi e che ciò succede-
va per la santità del confessore, che quando fu giunto il tempo che lui se ne andò in campagna,
una mattina, dopo la Comunione, il Signore mi fece capire che dovevo essere sorpresa da quel-
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lo stato, m’invitò a tenergli compagnia col partecipare alle sue pene, ed io subito Gli dissi:
“Signore, come farò? Il confessore non ci sta, chi mi deve liberare? Adesso vuoi forse farmi
morire?” Ed il Signore mi disse solamente:
“La tua fiducia dev’essere solo in Me; statti rassegnata, ché la rassegnazione rende
l’anima luminosa, fa stare a posto tutte le altre passioni, in modo che Io, tirato da quei raggi di
luce, ci vado nell’anima e la informo tutta in Me e la faccio vivere della mia stessa Vita”.
Io mi rassegnai alla sua Santa Volontà, offrii quella Comunione come l’ultima della mia
vita, Gli diede l’ultimo addio a Gesù in Sacramento; sebbene [ero] rassegnata, ma11 la natura la
sentivo tanto, che tutto quel giorno non feci altro che piangere e pregare il Signore che mi desse
la forza. In verità mi riuscì troppo amaro il fatto e, senza pensarlo né saperlo, mi trovai con una
nuova e pesante croce, che credo che sia stata la più pesante che ho avuto in mia vita. Mentre
stavo in quello stato di sofferenze, da me non ci pensavo altro che a morire ed a fare la Volontà
di Dio. Da parte della famiglia - che anche soffriva a vedermi in quello stato - cercavano di
mandar a chiamare qualche sacerdote, e chi non voleva venire da una parte, e chi dall’altra;
dopo dieci giorni ci venne il confessore che mi confessava quando ero piccola, e successe che
anche quello mi fece riavere da quello stato, ed allora me ne avvidi [del]la rete che12 il Signore
mi aveva involto.
Da qui mi ebbe13 una guerra da parte dei sacerdoti: chi diceva che era finzione, chi che ci
volevano le bastonate, altri che volevami14 far credere santa, chi soggiungeva che ero indemo-
niata e tante altre cose, che dirle tutte sarebbe troppo lunga la storia. Onde, con queste idee nel-
le loro menti, quando succedevano le sofferenze e la famiglia mandava a chiamare qualche uno,
facevano parti tanto strane, che la povera famiglia ha sofferto molto; specialmente la povera
mamma, quante lacrime ha versato per me! Oh, Signore, ricompensatela Voi! Oh, mio buon
Signore, quanto ho sofferto da questa parte! Tu solo sai tutto!
Onde chi può dire quanto mi riuscì amaro questo fatto, che per liberarmi da quello stato di
sofferenze si volesse il sacerdote? Quante volte ho pregato versando lacrime amarissime ché
mi liberasse! Quante volte ho fatto delle positive resistenze al Signore quando Lui voleva che
mi offrissi come vittima ed accettassi le pene, ed io Gli dicevo: “Signore, promettetemi che mi
libererete Voi, ed allora accetto tutto, altrimenti no, non voglio accettare!” E resistevo il primo
giorno, il secondo, il terzo. Ma chi può resistere a Dio? Me ne diceva tanto che al fin ero co-
stretta a sottopormi alla croce.
Altre volte Gli dicevo di cuore e con confidenza: “Signore, come è stato che hai fatto que-
sto? Come, tra me e Voi, adesso hai voluto mettere un terzo? E questo terzo, che non vuol
prestarsi! Vedi, potevamo stare tanto contenti tutti e due: quando mi volevi al patire, io subito
accettavo perché sapevo che Voi stesso mi dovevi liberare15. Adesso no, ci vuole un’altra ma-
no! Ve ne prego: liberatemi, ché staremo più contenti tutti e due!”
Delle volte fingeva di non ascoltarmi e non mi diceva niente, altre volte poi mi diceva:
“Non temere, Io sono quello che do le tenebre e la luce, verrà il tempo della luce. È mio solito
che le mie opere le manifesto per mezzo dei sacerdoti”.
Così passai tre o quattro anni di queste contraddizioni da parte dei sacerdoti, molte volte
mi assoggettavano a prove durissime, giungevano a farmi stare in quello stato di sofferenze,
cioè impietrita, inabile a qualunque minimo moto, neppure di poter prendere una goccia
11
tuttavia
12
nella quale
13
mi ebbe = me ne venne
14
mi volevo
15
dovevi liberare = avreste liberata
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d’acqua, diciotto giorni più o meno, quando a loro piaceva. Lo sa solo il Signore ciò che io pas-
savo in quello stato, e dopo che venivano non avevo neppure il bene d’essere detta16 almeno:
“Abbi pazienza, fa’ la Volontà di Dio”; ma ero rimproverata come capricciosa e disobbediente.
Oh, Dio, che pena, quante lacrime ho versato; quante volte pensavo che ero disobbedien-
te! Dicevo fra me: “Come? Quella virtù che al Signore è la più gradita, è da me tanto lontana!
Che cosa può far e sperare di bene un’anima disobbediente?” Molte volte mi lamentavo con
Nostro Signore e delle volte giungevo fino a risentirmi, e quando voleva che accettassi le soffe-
renze, resistevo quanto più potevo. Ma il Signore quando vedeva che incominciavo a resistere
faceva vedere che non mi curava17 e non mi diceva più niente, e poi, all’improvviso, veniva a
sorprendermi. Ciò che poi diceva il confessore è perché delle volte non voleva che cadessi in
quello stato, ma ciò non stava in mio potere; è pur vero che sono stata disobbediente e che non
sono stata mai buona a nulla, ma ricordo pure che la pena più straziante per me era il non poter
obbedire.
In questo periodo di tempo, ricordo che ci fu il colera, ed un giorno pregavo il mio buon
Gesù che facesse cessare questo flagello, ed Egli mi disse: “Ti contenterò purché accetti
d’offrirti a soffrire ciò che voglio Io”.
Le dissi: “Signore, no, non posso; Voi sapete come la pensano [i sacerdoti]; nonché18 il
fatto passa tra me e Voi solamente: sarei stata prontissima ad accettare tutto”. Ed Egli mi dis-
se:
“Figlia mia, se Io avessi pensato a quello che pensavano e che dovevano fare di Me gli
uomini, non avrei operato la Redenzione dell’umano genere. Ma Io avevo l’occhio alla loro
salvezza; e l’amore grande che Mi divorava facevami fare [in tal modo] che quando vedevo
persone che di Me mal pensavano e che davano occasione di farmi più soffrire, ero d’offrire19
quelle stesse pene che loro Mi davano per la loro stessa salvezza. Ti sei dimenticata che quello
che voglio da te è l’imitazione della mia Vita, e che di tutto ciò che [Io] offrii ti farò parte di
tutto? Non sai tu che l’atto più bello, più eroico e più a Me gradito e che offrirmi devi, è quello
d’offrirti per quei stessi che ti sono contrari?”
Io restai muta, non seppi che rispondergli, accettai tutto ciò che il Signore voleva, e così
fino alla sera fui sorpresa da quello stato di sofferenze e vi stetti tre giorni continui. E dopo che
mi riebbi non sentii più niente che ci stava20 il colera.
Dopo questo mi ebbi un’altra mortificazione, e fu il dover cambiare confessore, ché essen-
do lui religioso fu chiamato in convento. Io ne ero contenta di lui, e la maggiore parte di quei
16
d’essere detta = che mi venisse detto
17
mi curava = Si curava di me
18
a meno che
19
ero d’offrire = il mio comportamento era d’offrire
20
stesse ancora
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fracassi [di cui] detto di sopra succedevano quando lui stava in campagna; specialmente
l’ultimo anno che fu confessore, per il colera che stava nel paese, vi dimorò sei mesi; onde il
mio confessore non faceva tante parti, mi faceva stare un giorno in quello stato di sofferenze e
poi veniva. Quindi non stette neppure un mese da che si era ritirato in campagna e si intese che
se ne partiva; questo fu doloroso per me, non perché ci avevo attacco, ma per la necessità che
ne avevo. Onde andai dal Signore e Gli dissi la mia pena, ed Egli mi disse:
“Non volerti affliggere per questo, Io ne sono il padrone dei cuori e posso volgerli e rivol-
gerli come a Me pare e piace. Se lui ti ha fatto del bene non è stato altro che un porgitore che
riceveva da Me e lo dava a te. Così farò degli altri; di che temi adunque? Mia cara, fino a tan-
to che tu avrai l’occhio or a destra ora a sinistra e lo lascerai posare or su d’una cosa ed or
sull’altra e non avrai l’occhio fisso in Me, non potrai camminare spedita la via del Cielo, ma
andrai sempre zoppicando e non potrai seguire l’influsso della grazia. Perciò voglio che con
santa indifferenza guardi tutte le cose che intorno a te suc-cedono, stando tutta intenta a Me so-
lamente”.
Onde, dopo queste parole il mio cuore acquistò tanta forza, che poco o niente soffrii una
tanta perdita e che tanto bene aveva fatto all’anima mia.
Così successe che cambiai confessore, e ritornai al confessore21 che mi confessava
quand’ero piccola. Ma sia sempre benedetto il Signore che si serve di quelle stesse vie che
compariscono a noi contrarie e quasi che ci dovrebbero portare danno all’anima nostra, per il
maggiore bene nostro e per la sua gloria.
Così avvenne che incominciai ad aprire l’anima mia. - [Per]ché fino a quel punto non ave-
vo detto niente a nessuno; per quanto sforzo mi facessi non ci riuscivo, anzi, più impotente mi
vedevo a dire le cose del mio interno; era tanto il rossore che sentivo il solo pensar [di] dire
queste cose, che mi vedevo essere più facile dire i più brutti peccati. Donde procedesse [questa
mia incapacità ad aprirmi], non so dirlo; da parte del confessore credo di no, perché egli era
tanto buono, fiducioso, dolce, paziente nel sentire, prendeva una cura esattissima dell’anima,
aveva l’occhio su di tutto affinché si potesse camminare dritto; da parte mia neppure, perché
mi sentivo un intoppo sull’animo ed avevo tutta la volontà di liberarmi e di sentire almeno co-
me la pensava il confessore, ma mi sentivo impossibilitata a farlo. Per me credo che ci fu una
permissione del Signore -.
Onde, trovandomi col nuovo confessore, incominciai, a poco a poco ad aprire il mio inter-
no. Il Signore molte volte mi comandava che manifestassi al confessore ciò che Lui mi diceva,
e quando io non lo facevo, il Signore mi riprendeva, mi rimproverava severamente e delle volte
giungeva a dirmi che se ciò non facessi, Lui non ci sarebbe più venuto - questo che è per me la
pena più amara, che tutte le altre pene confrontate con questa non mi sembrano altro che fili di
paglia! - Perciò, tanto era il timore ancora veramente non ci venisse, che facevo quanto più po-
tevo a manifestare il mio interno. È vero che delle volte mi costava molto, ma il timore di per-
dere il mio caro Gesù mi faceva superare tutto. Da parte del confessore ero pure spinta a dirgli
donde procedesse un tale stato, che cosa mi succedeva quando stavo in quel assopimento, quale
n’era la causa; ora mi comandava a manifestarlo, ora mi costringeva coi precetti d’ubbidienza,
ed ora mi metteva innanzi il timore che potessi vivere nell’illusione e nell’inganno, vivendo a
me stessa, mentre se manifestassi al sacerdote potrei stare più sicura e tranquilla, e che il Signo-
re non permette mai che il sacerdote s’inganni quando l’anima è obbediente. Così, Gesù Cristo
mi spingeva da una parte, il confessore dall’altra; mi pareva delle volte che se l’intendessero
tutti e due insieme, il confessore e Gesù Cristo. Così mi riuscii a manifestare l’animo mio. Ciò
21
Don Michele De Benedictis (confessore di Luisa fanciulla) nominato, nel 1884, suo confessore ufficiale con mandato del vescovo
mons. Giuseppe B. Dottula.
39
non faceva il confessore passato, non mi faceva nessuna domanda, non cercava di sapere che
cosa mi succedeva in quello stato d’assopimento, donde io stessa non sapevo come uscire a
parlare di queste cose. La cura che si prendeva era che stessi rassegnata, uniformata al Voler di
Dio, a sopportare la croce che il Signore mi aveva dato, tanto che se delle volte mi vedeva un
po’ infastidita, ne soffriva grande dispiacere.
Dunque avvenne che passai circa un altro anno con questo confessore nello stesso stato
detto di sopra. Onde siccome il confessore sapeva donde procedesse quello stato di sofferenza,
mi diceva che quando Gesù Cristo voleva che mi venissero le sofferenze, andasse22 da lui a
chiedere l’obbedienza.
40
Io restai tutta confusa, non sapevo che dirgli; la natura faceva la sua parte, si spaventava e
tremava, ma vedevo il mio buon Gesù che attendeva una risposta: se accettavo o no; allora,
vedendomi quasi costretta a parlare, Gli dissi: “O Divinissimo Sposo mio, da parte mia sarei
pronta ad accettare, ma come si rimedierà da parte del confessore? Se non ci vuol venire
d’intanto intanto, come può essere possibile che venga ogni giorno? Liberatemi da questa cro-
ce, che si vuole23 il confessore per liberarmi, ed allora tutto sarà combinato tra me e Voi”. Allo-
ra il Signore mi disse:
“Va’ dal confessore e domandagli l’ubbidienza, se vuole; gli dirai tutto ciò che ti ho detto
e starai a ciò che lui dice. Vedi, non sarà solamente per bene delle creature che voglio queste
sofferenze continue, ma anche per tuo bene; in questo stato di sofferenze purificherò ben bene
l’animo tuo, in modo da disporti a formare con Me un mistico sposalizio; e dopo questo darò
l’ultima trasformazione in modo che diventeremo tutti e due, come due ceri che, messi sul fuo-
co, uno si trasforma nell’altro e se ne forma un solo; così trasformerò Me in te, e tu vi resterai
crocifissa con Me. Ah, non saresti tu contenta se potessi dire: “Lo Sposo crocifisso, ma anche
la sposa crocifissa! Ah, sì, non c’è nessuna cosa che da Lui mi rende dissimile!”?
Onde, quando potetti parlare col confessore gli dissi tutto ciò che il Signore mi aveva det-
to, e [co]sì [pure] come quella parola che il Signore mi disse: “Per un certo dato tempo”, senza
notificarmi il tempo preciso che dovevo stare continuamente a soffrire, fu preso da me per una
quarantina di giorni più o meno - ed ora sono circa dodici anni che continuo a stare24; ma sia
benedetto sempre Iddio, siano adorati sempre i suoi imperscrutabili giudizi! -. Io credo che se
il Signore benedetto m’avesse fatto capire con chiarezza la lunghezza del tempo che dovevo
stare nel letto, la mia natura si sarebbe molto spaventata e difficilmente si sarebbe assoggettata
- sebbene ricordo che sono stata sempre rassegnata, ma non conoscevo allora la preziosità della
croce come il Signore mi ha fatto conoscere nel corso di questi dodici anni - né il confessore si
sarebbe adattato a darmi l’ubbidienza. Onde, così gli dissi al confessore: [che] per una quaran-
tina di giorni il Signore voleva che mi desse l’ubbidienza di stare continuamente a soffrire; di-
cendogli tutto il resto.
Con mia sorpresa, perché io lo credevo impossibile, il confessore mi disse che, se era ve-
ramente Volontà di Dio, lui mi dava l’ubbidienza; [mi disse] che, in realtà non ne è che [lui]
non si può venire, ma piuttosto [che da parte sua deve superare] un po’ di rispetto umano.
L’anima mia molto si rallegrò acciocché potessi contentare il Signore e così risparmiare le crea-
ture, ma la natura molto se ne afflisse nel sentirsi dato quest’obbedienza, tanto che per qualche
giorno fui molto contristata. Anche l’anima la sentivo molto a pensare che dovevo stare tanto
tempo senza poter ricevere Gesù in Sacramento, solo ed unico mio conforto; delle volte mi
sentivo una guerra tanto fierissima in me, che io stessa non sapevo che cosa mi era avvenuto;
molte cose vi aggiungeva pure il demonio, ma il mio buon Gesù rimediò a tutto; ed ecco come
eseguì.
23
si vuole = sia necessario
24
Interessante indicazione che ci dà la possibilità di conoscere certe date importanti della vita di Luisa. Questo primo volume lo scrisse
nel 1899, perciò, restò definitivamente a letto nel 1887. I quaranta giorni e l’indicazione che più avanti fa di un capodanno appena dopo,
ci portano a precisare che Luisa divenne vittima perpetua, a letto, intorno alla metà di novembre del 1887; quindi aveva 22 anni.
41
Passo a dire altro, per ordine del confessore attuale. Io ubbidisco [passando] a manifestare
i vari modi con cui il Signore mi ha parlato:
A me pare che i modi con cui Iddio mi parla siano quattro, ma questi quattro modi di par-
lare di Gesù sono assai diversi dalle ispirazioni.
1) - Il primo modo è quando l’anima esce fuori di sé. Voglio però prima spiegare, come
meglio posso, questo uscire fuori di me stessa. Questo avviene in due modi. Il primo è istanta-
neo, quasi un baleno, ed è così repentino che a me pareva che il corpo si sollevasse un po’ dal
letto per seguire l’anima, ma poi è rimasto lì, ed a me è parso che il corpo è rimasto morto e
l’anima invece ha seguito Gesù camminando [per] tutto l’universo, la terra, l’aria, i mari, i
monti, il Purgatorio ed il Cielo - ove tante volte mi ha fatto vedere il posto ove io starò dopo
morta -.
L’altro modo di uscire l’anima poi è più quieto, pare che il corpo si sopisce insensibilmen-
te e resta come impietrito alla presenza di Gesù Cristo, ma però rimane l’anima col corpo, ed il
corpo non sente più nulla delle cose esterne, anche se riconvolgesse tutto l’universo, anche se
mi bruciassero e mi facessero a pezzi.
Questi due modi di uscire fuori di me stessa, così diversi, io li ho notati sensibilmente per-
ché, nel primo modo, dovendo io obbedire al confessore che veniva a destarmi, l’ho visto dal
luogo ove mi conduceva Gesù; cioè: dai confini della terra, o dell’aria, o dei monti, o dal ma-
re, o dal Purgatorio, o anche dallo stesso Paradiso; anzi mi pareva di non fare in tempo per far
trovare l’anima nel corpo dal confessore e, quindi, non poter obbedire, e pareva che, così di
lontano come io mi trovavo coll’anima, mi pareva, dico, che mi affaccendassi tutta, mi an-
gosciassi e mi affliggessi, se mai non facessi in tempo a farmi trovare dal confessore, e perciò
[mi trovassi] a non ubbidire; ma confesso però che mi sono trovata sempre in tempo, e l’anima
mi pareva che entrasse nel corpo prima che il confessore cominciasse a darmi l’obbedienza di
destarmi. Anzi, dico la verità, che tante volte io vedevo di lontano il confessore che veniva, ma
per non lasciare Gesù, pareva che non pensassi al confessore che veniva, ed allora Gesù, Egli
stesso mi premurava a tornare coll’anima nel corpo per poter obbedire al confessore; ed allora
io mi sentivo una gran ripugnanza di lasciare Gesù, ma l’obbedienza vinceva e, lasciando Gesù,
Egli stesso, o mi baciava o mi abbracciava, o faceva altra cosa per licenziarsi da me. Ed io, la-
sciando il mio caro Gesù, Gli dicevo: “Vado al confessore, ma Voi, mio buon Gesù, tornate
presto, non appena il confessore se ne andrà”.
Questi dunque sono i due modi con cui l’anima pareva che uscisse dal corpo, ed in questi
due modi di uscire [del]l’anima, Iddio mi parla. Questo modo di parlare, Egli stesso lo chiama
parlare intellettuale. Mi ingegnerò di spiegarlo.
L’anima, dunque, uscita dal corpo e trovandosi innanzi a Gesù, non ha bisogno di parole
per intendere ciò che il Signore le vuol dire, né l’anima ha bisogno di parlare per farsi intende-
re, ma [comunica] per mezzo dell’intelletto. Oh, quanto ci intendiamo benissimo quando ci
troviamo insieme! Da una luce che da Gesù mi viene nell’intelletto, mi sento imprimere in me
tutto ciò che il mio Gesù vuol farmi capire. Questo modo è molto alto e sublime, tanto che la
natura difficilmente sa adattarsi a spiegarlo con le parole; appena può dirne qualche idea.
Questo modo di farsi intendere [di] Gesù, è rapidissimo, in un semplice istante si apprendono
molte cose sublimi [più] che leggendo libri interi. Oh, quanto è Maestro ingegnosissimo Gesù,
che in un semplice istante insegna molte cose, che ad un altro ci vorrebbero anni interi, se pure
vi riesce; perché il maestro terreno non ha potenza di poter tirare la volontà del discepolo, né di
poterle infondere nella mente senza sforzo e fatica; ma in Gesù, no, tanta è la sua dolcezza,
l’amabilità del suo tratto, la soavità del suo parlare. E poi, è tanto bello, che l’anima appena Lo
vede si sente tanto tirata, che delle volte è tanta la velocità con cui corre appresso a Gesù, che
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senza quasi avvedersi, si trova trasformata nell’oggetto amato, in modo che l’anima non sa di-
scernere più il suo essere terreno, tanto resta immedesimata coll’Essere Divino. Chi può dire
ciò che l’anima prova in questo stato? Ci vorrebbe Gesù stesso, oppure un’anima separata per-
fettamente dal corpo. Perché l’anima, trovandosi un’altra volta circondata dal muro di questo
corpo e perdendo quella luce che prima la teneva inabissata, molto vi perde e vi resta oscurata,
sicché se si vorrebbe provare a dirne qualche cosa, non può dirle che rozzamente.
Per darne un’idea, dico che m’immagino un cieco nato, che non ha mai avuto il bene di
vedere ciò che si contiene nell’universo intero, e, per pochi minuti avesse il bene d’aprire gli
occhi alla luce e potesse vedere tutto ciò che si contiene nel mondo: il sole, il cielo, il mare, le
tante città, le tante macchine, le varietà dei fiori e le tante altre cose che ci sono nel mondo; e,
dopo quei pochi minuti di luce ritornasse alla cecità di prima. Ora, potrebbe costui dire distin-
tamente tutto ciò che ha visto? Potrebbe far un abbozzo, dire qualche cosa in confuso.
Ora, una similitudine succede quando l’anima si trova separata [dal corpo] e poi [nuova-
mente] nel corpo; non so se dico spropositi! Come a quel povero cieco, non gli resterebbe la
pena della perduta vista? Così l’anima, vive gemente e quasi in un stato violento; perché
l’anima si sente violentata sempre verso il Sommo Bene; è tanta l’attrazione che Gesù resta25
nell’anima di Sé, che l’anima vorrebbe stare sempre attratta nel suo Dio. Ma ciò non può esse-
re, e perciò si vive come se si vivesse in Purgatorio. Aggiungo che l’anima non ha niente del
suo in questo stato, è tutto operazione che fa il Signore.
2) - Ora m’ingegnerò di spiegare il secondo modo che tiene Gesù nel parlare; ed è che
l’anima, trovandosi fuori di se stessa, vede la persona di Gesù Cristo, come, per esempio, da
Bambino, o sia crocifisso, o in qualunque altro atteggiamento, e l’anima vede che il Signore
dalla sua bocca pronunzia le parole e l’anima dalla sua bocca risponde; delle volte succede che
l’anima si mette a conversare con Gesù come farebbero due intimi sposi.
Sebbene il parlare di Gesù è parchissimo, appena quattro o cinque e delle volte anche una
sola parola - rarissime volte si diffonde qualche poco - ma in quel pochissimo parlare, ah, quan-
ta luce vi introduce nell’anima! Mi sembra vedere, a prima vista, un piccolo ruscello, ma,
guardando bene, invece d’un ruscello [l’anima] vi vede un vastissimo mare; così è una sola pa-
rola detta da Gesù: è tanta l’immensità della luce che resta nell’anima, che ruminandola ben
bene vi sorge26 tante cose sublimi e profittevoli all’anima sua, che ne rimane stupita. Io credo
che se si unissero insieme tutti i sapienti, resterebbero tutti confusi e muti [dinanzi] ad una sola
parola di Gesù.
Ora, questo modo [che Gesù tiene nel parlare all’anima] è più confacevole all’umana natu-
ra e facilmente si sa manifestare, perché l’anima entrando in se stessa si porta con sé ciò che ha
sentito dire dalla bocca di Nostro Signore e lo comunica al corpo. Non riesce così facile, quan-
do [il parlare di Gesù] è per mezzo d’intelletto.
Per me, ritengo che Gesù tiene questo modo di parlare per adattarsi all’umana natura, non
che ha bisogno di parola per farsi intendere, ma perché questo modo più facilmente l’anima ca-
pisce e può manifestarlo al confessore. Insomma, Gesù fa come un Maestro dottissimo, sapien-
te, intelligente, che possiede in grado eminentissimo tutte le scienze e che nessuno può egua-
gliarlo, ma siccome si trova tra discepoli che non hanno imparato ancora le prime sillabe
dell’alfabeto, ritenendo tutto in sé gli altri studi, impara ai discepoli: a, b, c, eccetera.
Oh, quanto è buono Gesù! Si adatta coi dotti e parla loro in modo altissimo, in modo che
per capirlo devono studiare ben bene ciò che loro dice; si adatta cogli ignoranti e Si finge Lui
25
lascia
26
forse = scorge ; oppure = sorgono
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anche ignorantello e parla in modo basso, in modo che nessuno può restare digiuno delle lezio-
ni di questo Divin Maestro.
3) - Il terzo modo che27 Gesù mi parla è quando, parlando, partecipa nell’anima la sua
stessa sostanza. A me sembra che, come il Signore quando creò il mondo, ad una sola parola
furono create le cose, così essendo la sua parola creatrice, nell’atto stesso che dice la parola già
crea nell’anima quella stessa cosa che dice, come, per esempio, Gesù dice all’anima: “Vedi
quanto sono belle le cose? [Tuttavia,] per quanto l’occhio tuo può scorrere sulla terra e nel cie-
lo, mai troverai bellezza simile a Me!” In questo dire di Gesù l’anima si sente entrare in sé un
certo che di divino; l’anima resta tanto attirata verso questa bellezza ed insiememente28 perde
l’attrattiva per tutte le altre cose: per quanto belle e preziose fossero non le fanno nessuna im-
pressione sull’animo. Quello che le resta fisso e quasi trasmutato in sé, è la bellezza di Gesù: a
quella pensa, di quella bellezza si sente investita e resta tanto innamorata che, se il Signore non
operasse un altro miracolo, le creperebbe il cuore e, di puro amore di questa bellezza di Gesù,
spirava29 l’anima per volare nel Cielo a bearsi di questa bellezza di Gesù. Io stessa non so se
dico spropositi.
Per spiegarmi meglio di questo parlare sostanziale di Gesù dico un’altra cosa. Gesù dice:
“Vedi quanto son puro, anche in te voglio purità in tutto”. In queste parole l’anima si sente en-
trare in sé una purità divina, questa purità si trasmuta in se stessa e giunge a vivere come se non
avesse più corpo; e così poi delle altre virtù. Oh, quanto è desiderabile questo parlare di Gesù!
Io, per me, darei tutto ciò che sta sulla terra, se potessi essere padrona, per avere una sola di
queste parole di Gesù.
4) - Il quarto modo che30 Gesù mi parla è quando [mi parla] trovandomi [io] in me stessa,
cioè nello stato naturale. E questo è pure di due modi: il primo è quando trovandomi in me
stessa, raccolta nell’interno del cuore, senza articolazione di voce o di suono all’orecchio del
corpo, Gesù internamente parla. Il secondo è come si fa da noi; e questo succede delle volte
stando anche distratta o pure parlando con altre persone, ma una sola di queste parole basta a
raccogliermi se distratta, o a darmi la pace se son turbata, a consolarmi se son afflitta.
27
col quale
28
contemporaneamente
29
spirerebbe
30
col quale
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uomini dei meritati flagelli; ed Io ti do in pegno la mia parola di non lasciarti neppure un sol
giorno senza venirti a trovare. Finora tu sei venuta a Me, d’ora in poi verrò Io a te, non ne sei
tu contenta?”
Così mi rassegnai alla santa Volontà di Dio, e fui sorpresa da questo stato di sofferenze.
Ora, chi può dire le grazie che il Signore incominciò a farmi? È impossibile poter dire tutto di-
stintamente, potrò dire qualche cosa in confuso, ma per quanto posso e per fare la santa ubbi-
dienza che così vuole m’ingegnerò di dire per quanto mi è possibile.
Ricordo che fin dal principio di questo stare continuamente nel letto, il mio Amante Gesù
spesso spesso Si faceva vedere, ciò che non aveva fatto per lo passato. Fin dal principio mi
disse che voleva che prendessi un nuovo sistema di vita per dispormi a quel mistico sposalizio
promesso a me. Mi diceva: “Diletta del mio Cuore, ti ho messa in questo stato, acciò [Io] po-
tessi più liberamente venire e conversare con te. Vedi, ti ho liberata da tutte le occupazioni e-
sterne acciocché non solo l’anima, ma anche il corpo stesse a mia disposizione, e così [tu] po-
tessi stare in continuo olocausto innanzi a Me. Vedi, se non ti avessi tirata in questo letto, do-
vendo tu disimpegnare i doveri di famiglia e [as]soggettarti ad altri sacrifizi, non potevo Io ve-
nire così spesso e farti partecipe delle offese conforme le ricevo, al più dovrei31 aspettare quan-
do tu compivi i tuoi doveri. Ma adesso no, siamo rimasti liberi, non ce più nessuno che ci mo-
lesti e che rompa la nostra conversazione; d’ora innanzi le mie afflizioni saranno tue, e mie le
tue; i miei patimenti tuoi, e miei i tuoi; le mie consolazioni tue, e mie le tue; uniremo tutte le
cose insieme e tu prenderai interesse delle cose mie come se fossero tue, e così farò Io delle tue.
Non più tra noi due ci starà: ‘questo è mio’ e ‘questo è tuo’, ma tutto sarà comune d’ambo le
parti.
Sai come ho fatto con te? Come un re quando vuole parlare con la sua regina sposa e que-
sta si trova con le altre dame in altri affari. Il re, che fa? Se la prende e se la porta dentro la sua
stanza, si chiudono la porta, acciò nessuno possa andare a rompere la loro conversazione e sen-
tire i loro segreti; così, stando soli, si comunicano a vicenda le loro consolazioni e loro affli-
zioni. Ora, se qualcheduno imprudente andasse a bussare, strillare dietro la porta e non li la-
sciasse in pace godere la loro conversazione, il re non lo avrebbe a male? Così ho fatto Io per
te, e così pure Mi dispiacerebbe se qualcuno ti volesse distogliere da questo stato”.
Proseguì a dirmi: “Voglio da te conformità perfetta alla mia Volontà, in modo da disfarsi
la tua volontà nella Mia. [Voglio] distacco assoluto d’ogni cosa, tanto che tutto ciò che è terra
voglio che sia tenuto da te come sterco e marciume, che si ha orrore anche a guardarlo; e ciò
perché le cose terrene, ancorché non si avesse attacco, solo a tenerle intorno e guardarle, adom-
brano le cose celesti ed impediscono a fare quel mistico sposalizio promesso a te. Di più, vo-
glio che [co]sì come Io fui povero, anche M’imiti nella povertà. Devi considerarti, in questo
letto, come una poverella; i poveri si contentano di tutto ciò che hanno, e ringraziano prima Me
e poi i loro benefattori; così tu, statti a tutto ciò che ti viene dato senza domandare né questo,
né quell’altro, ché potrebbe essere un impiccio nella tua mente, ma con santa indifferenza senza
pen-sare se ciò facesse bene o male, rimettiti alla volontà altrui”.
31
avrei dovuto
45
29 - Una nuova croce di Luisa: il rimettere sempre
assolutamente il cibo, ed insieme il patimento della fame.
Il confessore le proibisce di continuare nello stato di vittima.
Ciò mi costò molto in principio, specialmente per le obbedienze che mi dava il confessore.
Non so come, voleva che prendessi il chinino, e tenevo data l’ubbidienza che, quante volte ro-
vesciavo, altrettante volte dovevo ritornare a prendere il cibo. Ora, il chinino mi stuzzicava
l’appetito e delle volte sentivo ben bene la fame, prendevo il cibo ed appena preso, e delle volte
nell’atto stesso di prenderlo, dai continui urti di vomiti ero costretta a rimetterlo e rimanevo con
la stessa fame di prima. La parola povera che Gesù mi aveva detto non mi faceva ardire di
chiedere niente, ed io stessa avevo vergogna di chiedere; pensavo tra me: “Che dirà la fami-
glia: ‘Ma ha vomitato ed ora vuole mangiare?’ Se me la danno qualche cosa, la prendo, se no,
il Signore ci penserà”. Così me la passavo contenta di poter offrire qualche cosa al mio caro
Gesù.
Però questo non durò molto tempo, ma circa quattro mesi. Un giorno il Signore mi disse:
“Ripeti [al confessore] la domanda che ti dia l’ubbidienza di non prendere il chinino e di non
farti prendere il cibo tante volte, ché Io gli darò lume”. Così, venne il confessore e glielo dissi;
e lui mi disse: “Per non mostrare singolarità, d’ora in poi voglio che prendi il cibo una sol vol-
ta al giorno”; e sospese anche il chinino. Così restai più quieta e mi passò la fame, ma però
non cessò il vomito, quella sol volta che prendevo il cibo ero costretta a rimetterlo. Il Signore
delle volte mi diceva di chiedere l’ubbidienza di non mangiare, ma il confessore non mi ha dato
mai questa ubbidienza; mi diceva: “Fa niente che vomiti, è un’altra mortificazione”.
Io però lo dicevo al Signore, e Lui mi diceva: “Voglio che fai la domanda, ma con santa
indifferenza voglio che stia a ciò che ti dice l’ubbidienza”. E così continuai a fare.
Quando furono passati circa quaranta giorni, da me presi32 da quella parola che disse il Si-
gnore: “… per un certo dato tempo” e che io così avevo detto al confessore, le sofferenze con-
tinuavano a sorprendermi ogni giorno e lui era costretto a venire tutti i giorni. Il confessore in-
cominciò a darmi l’ubbidienza di non dovere più stare in quello stato, e mi soggiungeva che se
cadessi nelle sofferenze, lui non ci sarebbe più venuto.
Da parte mia mi sentivo prontissima a fare l’ubbidienza; specialmente la natura voleva li-
berarsi da quello stare continuamente nel letto, che, per quanto bello fosse, era sempre letto;
quel dovere [as]soggettarsi a tutti, anche nelle cose più ripugnanti e necessarie alla natura, ed
essere costretta a dirle agli altri, è un vero sacrifizio. Quindi la natura fece il suo uffizio: tutta
si consolò nel sentirsi data quest’ubbidienza. [D’altra parte] l’anima mia [era] pronta a fare
l’ubbidienza e pronta a stare nel letto, se il Signore così volesse - perché avevo incominciato a
sperimentare quanto era stato buono con me e che la vera rassegnazione sa cambiare la natura
alle cose e l’amaro lo converte in dolce -.
Quando [il confessore] mi diede l’ubbidienza di non dover più stare nel letto, io incomin-
ciai a resistere e dicevo al Signore: “Che vuoi da me? Non posso più, ché l’ubbidienza non
vuole. Se Voi volete, date lume al confessore ed allora io sono pronta a fare ciò che vuoi”. E
32
interpretati
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stetti tutta una notte a contrastare col Signore. Quando veniva, Gli dicevo: “Mio caro Gesù,
abbi pazienza non ci venire, ché l’ubbidienza non permette che mi fate partecipe delle sofferen-
ze”.
Fino alla mattina io vincevo, mi sentivo in me stessa e libera di sofferenze, quando, in un
istante venne il Signore e mi [at]tirò talmente a Sé, che non potetti resistergli; ci perdetti io i
sensi e mi trovai insieme con Lui, ma tanto stretta, che per quanta opposizione facessi, non po-
tetti distaccarmi da Gesù. Stando con Gesù io mi sentivo tutta annichilita ed avevo un certo
rossore per le tante parti che Gli avevo fatto [durante] la notte; Gli dissi: “Sposo Santo, perdo-
nami, è il confessore che così vuole”. E Lui mi disse: “Non temere, quando è l’ubbidienza, Io
non Mi offendo”. Proseguì: “Vieni, vieni a Me; oggi è capodanno, voglio darti la strenna”.
(Giusto quella mattina era il primo giorno dell’anno). Così avvicinò le sue purissime labbra al-
le mie e versò un latte dolcissimo, mi baciò, e prese un anello da dentro il costato, e mi disse:
“Oggi voglio farti vedere l’anello che ti ho preparato [per] quando ti sposerò”. Poi mi disse:
“Digli al confessore che è Volontà mia che continui a stare nel letto; e, per segno che sono Io,
digli: ‘C’è la guerra tra l’Italia e l’Africa’ e, se lui ti dà l’ubbidienza di farti continuare a soffri-
re, non farò far niente d’ambo le parti: si rappacificheranno insieme”.
Nell’atto stesso di dire queste parole, mi sentii come da una veste circondata da sofferenze
e da me stessa non potetti liberarmi; pensavo tra me stessa: “Che dirà il confessore?” Ma non
stava più in mio potere. Quel latte che Gesù versò in me mi produceva tale amore verso di Lui,
che mi sentivo languire; e mi sentivo tanta sazietà e dolcezza, che dopo che venne il confessore
e mi riebbi da quello stato e la famiglia mi portò il cibo, tanto mi sentivo piena che il cibo non
andava a basso, ma per fare l’ubbidienza, che così voleva, [ne] presi qualche poco, e subito fui
costretta a rimetterlo, ma misto con quel dolce latte che mi aveva dato Gesù. E Gesù, quasi
scherzando, mi disse: “Non ti bastò quel che ti ho dato? Non ne sei contenta ancora?” Io mi
arrossii tutta, ma subito Gli dissi: “Che vuoi da me? È l’ubbidienza”.
Quando venne il confessore s’incominciò ad inquietare ed a dirmi ch’ero disobbediente, o
pure mi diceva: “È una malattia. Se fosse cosa di Dio t’avrebbe fatto ubbidire! Perciò, invece
di chiamare il confessore devi chiamare i medici!” Quando lui finì di dire, io gli dissi tutto ciò
che mi aveva detto il Signore - come ho detto di sopra - e lui mi disse che era vero che ci era la
guerra tra l’Africa e l’Italia; staremo a vedere se non si farà niente. E così restò persuaso di
farmi continuare a soffrire.
Dopo circa quattro mesi, un giorno venne il confessore e mi disse che erano venute le no-
tizie che la guerra che stava tra l’Africa e l’Italia, senza farsi nessun danno d’ambo le parti, si
erano rappacificate insieme. Così il confessore restò più persuaso e mi lasciò restare in pace.
Onde il mio dolce Gesù non faceva altro che dispormi a quel mistico sposalizio promesso
a me. Si faceva vedere, stando [io] in quello stato [di sofferenza], quando tre, quattro volte al
giorno, secondo che a Lui piaceva, e delle volte era un continuo andare e ritornare; mi pareva
un innamorato che non sa stare senza della sua sposa, così faceva Gesù con me, e delle volte
giungeva a dirmelo: “Vedi, t’amo tanto che non so stare se non ci vengo! Mi sento quasi irre-
quieto pensando che tu stai a soffrire per Me e stai sola; perciò son venuto per vedere se hai bi-
sogno di qualche cosa”. E mentre così diceva, Lui stesso mi sollevava la testa, metteva il brac-
cio da dietro il collo e m’abbracciava, e mentre così mi teneva, mi baciava e, se era tempo
d’estate che faceva caldo, dalla sua bocca mandava un alito rinfrescante o pure prendeva qual-
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che cosa in mano e mi menava il vento, e poi mi domandava: “Come ti senti? Non ti senti me-
glio?” Io Gli dicevo: “In qualunque modo si sta con Voi, si sta sempre bene”.
Altre volte poi, veniva e, se mi vedeva molto debole per il continuo stare in quelle soffe-
renze - specialmente se il confessore veniva la sera - il mio amante Gesù veniva e, vedendomi
in quello stato di estrema debolezza, tanto che delle volte mi sentivo morire, si avvicinava a me
e dalla sua bocca versava nella mia il latte, oppure mi faceva mettere [la mia bocca] al [suo] co-
stato e là succhiavo torrenti di dolcezze, di delizie e di fortezza; e Lui mi diceva: “Voglio es-
sere Io proprio il tuo tutto, ed anche il tuo nutrimento dell’anima e del corpo”. Chi può dire ciò
che io esperimentavo, tanto nell’anima quanto nel corpo, da queste grazie che Gesù mi faceva?
Se io le volessi dire, andrei troppo per le lunghe. Ricordo che delle volte quando non ci veniva
presto, io mi lamentavo con Lui dicendogli: “Deh, oh, Sposo Santo, come mi hai fatto tanto
aspettare! Io non potevo più resistere, mi sentivo morire senza di Voi!” E mentre così dicevo,
era tanta la pena che sentivo che piangevo, e Lui tutta mi compativa, m’asciugava le lacrime,
mi baciava, mi abbracciava e diceva: “Non voglio che piangi. Vedi, adesso sto con te; dimmi,
che vuoi?” Io gli dicevo: “Non voglio altro che Voi; ed allora cesserò dal piangere quando mi
promettete di non farmi tanto aspettare”. E Lui mi diceva: “Sì, sì, ti contenterò”.
Un giorno mentre stavamo in questo contrasto, ed io, era tanta la pena che non potevo ces-
sare dal piangere, il mio buon Gesù mi disse: “Voglio contentarti in tutto; Mi sento tanto tirato
verso di te che non posso farne a meno di far quel che tu vuoi. Se finora ti ho tolto la vita este-
riore e Mi sono a te manifestato, ora voglio [at]tirare l’anima tua presso di Me, acciocché do-
vunque Io vado possa tu venire insieme; così potrai tu più godermi e stringerti più intimamente
a Me, [più] che non hai fatto per l’addietro”.
32 - Ritratto che Luisa fa della divina bellezza dell’Umanità santissima di Gesù, come
le appare.
Una mattina, non ricordo tanto bene, credo che erano passati circa tre mesi che continuavo
a star sempre nel letto, mentre stavo nel solito mio stato, viene il mio dolce Gesù con un aspetto
tutto amabile, da giovine, circa l’età di diciotto anni. Oh, quanto era bello! Con la sua chioma
dorata e tutta inanellata, pareva che incatenava i pensieri, gli affetti, il cuore! La sua fronte se-
rena e spaziosa, cui33 si rimirava, come da dentro un cristallo, l’interno della sua mente e si sco-
priva la sua infinita sapienza, la sua pace imperturbabile! Oh, come mi sentivo rasserenare la
mia mente, il mio cuore! Anzi, le stesse mie passioni innanzi a Gesù si atterrano e non ardi-
scono darmi la minima molestia. Io credo - non so se sbaglio - che non si può vedere questo
Gesù sì bello se non si sta nella calma più profonda, tanto che il minimo alito di sturbo impedi-
sce di ricevere una sì bella vista. Ah, sì, al solo vedere la serenità della sua fronte adorabile è
tanta l’infusione della pace che si riceve nell’interno, che credo che non ci sia disastro, guerra
più fiera che innanzi a Gesù non s’acquieta! O mio Tutto e bello Gesù, se per pochi momenti
che Vi manifestate in questa vita, comunicate tanta pace, in modo che si possono soffrire i più
dolorosi martiri, le pene più umilianti con la più perfetta tranquillità - mi sembra un misto di
pace e di dolore - che sarà in Paradiso? Oh, come sono belli i suoi occhi purissimi, scintillanti
di luce! Non è come la luce del sole che, volendo guardarla, offende la nostra vista; no. In
Gesù, mentre è luce, si può fissare benissimo lo sguardo; e solo il guardare l’interno della sua
pupilla, d’un colore celeste scuro, o quante cose mi dicevano! È tanta la bellezza dei suoi oc-
chi, che un sol suo sguardo basta [per] farmi uscire fuori di me stessa e farmi correre dietro di
Lui, per vie e per monti, per la terra e per il cielo; basta una sola [sua] occhiata per trasfor-
marmi in Lui e sentirmi scendere in me un resto che di divino.
33
nella quale
48
Chi può dire poi la bellezza del suo Volto adorabile? La sua bianca carnagione pare34 a la
neve tinta d’un colore di rose, le più belle; nelle sue guance purpuree si scovre la grandezza
della sua persona, con un aspetto maestosissimo all’in tutto divino, che incute timore e riveren-
za, ed insieme vi dà tanta confidenza che, in quanto a me non ho trovato mai persona alcuna
che mi desse almeno un’ombra di confidenza che dà il mio caro Gesù: né nei genitori né nei
confessori né le sorelle. Ah, sì! Quel Volto Santo, mentre è così maestoso, poi è così amabile;
e quella amabilità vi attira tanto, in modo che l’anima non ha minimo dubbio d’essere accolta
da Gesù, per quanto brutta e peccatrice si vedesse. Bello pure è il suo naso che scende in punta
finissima, proporzionato al suo sacratissimo Volto. Graziosa è la sua bocca: piccola, ma e-
stremamente bella; le sue labbra: finissime d’un colore di scarlatto; mentre parla contiene tan-
ta graziosità che è impossibile poterlo dire. È dolce la voce del mio Gesù, è soave, è armonio-
sa; mentre parla esce tale un profumo dalla sua bocca, che pare non se ne trova sulla terra; è
penetrante in modo [che] vi penetra tutto, si sente scendere dall’udito al cuore, ed oh, quanti af-
fetti produce! Ma chi può dire tutto? Poi è tanto piacevole che credo che non si possono trova-
re altri piacere, quanto se ne possono trovare in una sola parola di Gesù. La voce del mio Gesù
è potentissima, è operante, e, già nello stesso atto che parla, opera ciò che dice. Ah, sì, è bella
la sua bocca!, ma dimostra più la sua bella grazia nell’atto del suo parlare, mentre si vedono
quei denti così nitidi e così ben aggiustati, ed esce il suo alito d’amore che incendia, saetta,
consuma il cuore. Belle sono le sue mani, soffici, bianche, delicatissime, con quei diti così arti-
ficiosamente fatti, e li muove con una maestria tale, che è un incanto. Oh, quanto sei bello, tut-
to bello, o mio dolce Gesù! Ciò che ho detto è niente della vostra bellezza, anzi mi pare che ho
detto tanti spropositi, ma, che vuoi da me? Perdonami, è l’ubbidienza che così vuole; da me
non avrei ardito di farne parola, conoscendo la mia insufficienza.
Ora, mentre vedevo Gesù nell’aspetto già detto, dalla sua bocca mi mandò un alito che
m’investiva tutta l’anima, e mi pareva che Gesù mi tirava con quell’alito dietro di Sé; e m’in-
cominciai a sentirmi uscire l’anima dal corpo: proprio me la sentivo uscire da tutte le parti, dal-
la testa, dalle mani e fin dai piedi. Essendo la prima volta che mi succedeva, dentro di me in-
cominciai a dire: “Adesso muoio, il Signore mi è venuto a prendere”. Quando mi vidi uscita
dal corpo, l’anima teneva la stessa sensazione del corpo, con questa differenza, che il corpo
contiene carne, nervi ed ossa, l’anima no, è un corpo di luce; quindi io mi sentivo un timore,
ma Gesù continuava a mandarmi quell’alito e mi disse: “Se tanto ti dà pena l’essere priva di
Me, adesso vieni insieme con Me, ché voglio consolarti”. E così Gesù prese il suo volo, ed io
presi il mio appresso a Lui; girammo per tutta la volta del cielo. Oh, quanto era bello passeg-
giare insieme con Gesù! Ora appoggiavo la testa sopra la sua spalla e con un braccio da dietro
le spalle e l’altro mano in mano, ora s’appoggiava Gesù a me. Quando si giungeva in certi luo-
ghi dove l’iniquità più inondava, oh, quanto soffriva il mio buon Gesù! Io vedevo con più chia-
rezza le sofferenze del suo Cuore adorabile, Lo vedevo venire quasi svenuto; Gli dicevo:
“Appoggiatevi a me, e fatemi parte delle vostre pene, ché non mi regge l’anima vedervi solo
soffrire35”. E Gesù mi diceva: “Diletta mia, aiutami, ché più non posso”. E mentre così diceva,
avvicinava le sue labbra alle mie e versava un’amarezza tale, da sentirmi pene mortali quando
sentivo entrare in me quel liquore così amarissimo; mi sentivo entrare come tanti coltelli, pun-
ture, saette che mi penetravano a parte a parte; insomma, in tutte le mie membra si formava
34
somiglia
35
solo soffrire = soffrire solo
49
uno strazio atroce e, tornando l’anima al corpo, gli partecipava queste sofferenze al corpo; chi
può dirne le pene? Gesù stesso, che ne era testimone. Perché gli altri non potevano mitigare le
mie pene, stando [io] in quello stato di perdimento dei sensi, e s’aspettava quando stava presen-
te il confessore, ché anche all’ubbidienza si mitigavano. Quindi, solo Gesù mi poteva aiutare
quando vedeva che la natura non [ne] poteva più e che giungeva proprio agli estremi che non
mi lasciava36 che dare l’ultimo respiro - oh, quante volte la morte si è burlata di me!, ma verrà
un giorno che io mi burlerò di lei! - allora veniva Gesù, mi prendeva fra le sue braccia,
m’avvicinava al suo Cuore ed, oh, come mi sentivo ritornare la vita! Poi, dalle sue labbra ver-
sava un liquore dolcissimo, e così si mitigavano le pene.
Altre volte, mentre mi portava insieme con Lui girando, s’erano peccati di bestemmie,
contro la carità ed altri, versava quell’amaro velenoso; se poi erano peccati di disonestà, versa-
va una cosa di marciume puzzolente e, quando ritornavo in me stessa, la sentivo tanto bene
quella puzza ed era tanto il fetore, che mi toccava lo stomaco e mi sentivo venire meno; e delle
volte prendendo il cibo e dopo, quando lo rovesciavo, mi sentivo uscire dalla bocca quel mar-
ciume misto col cibo.
Qualche volta, poi, mi portava nelle chiese, ed anche là il mio buon Gesù era offeso. Oh,
come giungevano male al suo Cuore quelle opere sante, sì, ma strapazzatamente fatte, quelle
orazioni vuote di spirito interno, quella pietà finta, apparente, solamente pareva che faceva più
insulto a Gesù che onore. Ah, sì, quel Cuore santo, puro, retto, non poteva ricevere quelle ope-
re così mal fatte! Oh, quante volte Si è lamentato dicendo: “Figlia, anche dalla gente che si di-
ce devota, vedi, quante offese Mi fanno, anche nei luoghi più santi, nel ricevere gli stessi Sa-
cramenti? Invece d’uscirne purificati, ne escono più imbrattate”. Ah, sì, quanta pena faceva a
Gesù vedere gente che si comunicavano sacrilegamente, sacerdoti che celebravano il Santo Sa-
crifizio della Messa in peccato mortale, per abitudine, e cert’uno, orrore a dirlo, per fin
d’interesse! Oh, quante volte il mio Gesù mi ha fatto vedere queste scene sì dolorose! Quante
volte mentre il sacerdote celebrava il Sacrosanto Mistero è Gesù costretto ad andarvi - perché
chiamato dalla potestà sacerdotale - nelle loro mani, [e] si vedevano quelle mani che stillavano
marciume, sangue, oppure imbrattate di fango! Oh, come era compassionevole allora lo stato
di Gesù, sì santo, sì puro, in quelle mani che facevano orrore solo a mirarle! Pareva che voleva
fuggire da mezzo a quelle mani, ma era costretto a starvi finché si consumavano le specie del
Pane e del Vino. Delle volte, mentre rimaneva là, col sacerdote, se ne veniva frettoloso alla
volta mia, e tutto si lamentava, e prima che io lo dicessi, Lui stesso me lo diceva: “Figlia,
fammi versare in te, ché più non posso; abbi compassione del mio stato che è troppo doloroso,
abbi pazienza, soffriamo insieme”, e mentre ciò diceva versava dalla sua bocca nella mia; ma
chi può dire ciò che versava? Pareva un veleno amaro, un marciume fetente, misto con un cibo
tanto duro e stomachevole e nauseante, che delle volte non andava a basso. Chi può dire poi, le
sofferenze che produceva questo versare di Gesù? Se Lui stesso non mi avesse sostenuta, certo
sarei lasciata37 vittima; eppure a me non versava che la minima parte, che sarà di Gesù che ne
conteneva tanto e tanto? Oh, quanto è brutto il peccato! Ah, Signore, fatelo conoscere a tutti,
affinché tutti fuggano da questo mostro sì orribile!
36
restava
37
rimasta
50
35 - Partecipazione che Gesù fa a Luisa
delle sue ineffabili dolcezze, facendola assistere a scene
consolantissime dei sacrosanti misteri della nostra religione.
Ma mentre vedevo queste scene sì dolorose, mi faceva vedere pure, altre volte, scene sì
consolanti e belle che rapivano; e questo era il vedere buoni e santi sacerdoti che celebravano i
Sacrosanti Misteri. Oh Dio, quanto è alto, grande, sublime il loro ministero! Quanto era bello
vedere il sacerdote che celebrava la Messa e Gesù trasformato in esso, pareva che non il sacer-
dote ma che Gesù stesso celebrava il Divin Sacrifizio; e delle volte faceva scomparire affatto il
sacerdote, e Gesù solo celebrava la Messa, ed io l’ascoltavo. Oh, quanto era commovente ve-
dere Gesù recitare quelle preci, fare tutte quelle cerimonie e movimenti che fa lo stesso sacer-
dote! Chi può dire quanto mi riusciva consolante vedere queste Messe insieme con Gesù?
Quante grazie ricevevo, quanti lumi, quante cose comprendevo! Ma siccome sono cose passate
e non le ricordo tanto chiaro, perciò le passo in silenzio. Ma mentre così dico, Gesù, nel mio
interno, Si è mosso e mi ha chiamata e non vuole che ciò facessi38. Ah, Signore, quanta pazien-
za ci vuole con Voi! Ebbene Vi contenterò. O dolce Amore, dirò qualche piccola cosa, ma da-
temi la grazia vostra per poter manifestarlo, ché da me non ardirei mettere parola in misteri sì
profondi e sublimi.
Ora, mentre vedevo Gesù o il sacerdote che celebrava il Divino Sacrifizio, Gesù mi faceva
capire che nella Messa c’è tutto il fondo della nostra sacrosanta religione. Ah, sì, la Messa ci
dice tutto e ci parla di tutto. La Messa ci ricorda la nostra Redenzione, ci parla a parte a parte
delle pene che Gesù patì per noi, ci manifesta ancora l’amor immenso [di Gesù] ché non fu
contento di morire sulla croce, ma volle continuare lo stato di vittima nella Santissima Eucari-
stia. La Messa ci dice pure che i nostri corpi disfatti, inceneriti dalla morte, risorgeranno nel
giorno del giudizio insieme con Cristo a vita immortale e gloriosa. Gesù mi faceva comprende-
re che la cosa più consolante per un cristiano ed i misteri più alti e sublimi della nostra santa re-
ligione sono: Gesù in Sacramento e la resurrezione dei nostri corpi alla gloria. Sono misteri
profondi che li comprenderemo solo al di là delle stelle, ma Gesù in Sacramento ce lo fa quasi
con mano toccare in più modi. In primo, la sua Resurrezione; in secondo il suo stato di an-
nientamento sotto di quelle specie, ma pure è certo che Gesù ci sta vivo e vero. Poi, consumate
quelle specie, la sua reale presenza non più esiste. Di poi consacrate quelle specie, di nuovo
viene ad acquistare il suo stato sacramentato. Così, Gesù in Sacramento ci ricorda la resurre-
zione dei nostri corpi alla gloria: come Gesù, cessando il suo stato sacramentato risiede nel Se-
no di Dio, suo Padre, così noi, cessando la nostra vita, le anime nostre vanno a fare la loro di-
mora nel Cielo, nel seno di Dio, ed i nostri corpi restano consumati, sicché si può dire che non
più esisteranno, ma poi con un prodigio dell’onnipotenza di Dio, i nostri corpi acquisteranno
nuova vita ed unendosi coll’anima andranno insieme a godere la beatitudine eterna. Si può da-
re cosa più consolante per un cuore umano, che, non solo l’anima ma anche il corpo deve bearsi
negli eterni contenti? A me sembra che in quel gran giorno succederà come quando il cielo è
stellato ed esce il sole; che avviene? Il sole, con la sua immensa luce assorbe le stelle e le fa
scomparire, ma le stelle esistono. Il sole è [immagine di] Dio, e tutte le anime beate sono stel-
le; Iddio con la sua immensa luce ci assorbirà tutti in Sé, in modo che esisteremo in Dio e nuo-
teremo nel mare immenso di Dio. Oh, quante cose ci dice Gesù in Sacramento! Ma chi può
38
cioè : Gesù non vuole che Luisa passi in silenzio le cose che non ricorda bene riguardanti il sacerdote trasformato in Gesù che cele-
bra la S. Messa
51
dirle tutte? Davvero che andrei troppo per le lunghe, se il Signore permetterà riserberò in altra
occasione di dire qualche altra cosa.
Ora, in queste uscite che il Signore mi faceva fare, delle volte mi rinnovava la promessa
dello sposalizio già detto; chi può dire le accese brame che il Signore infondeva in me di effet-
tuarsi questo mistico sposalizio? Molte volte Lo sollecitavo dicendogli: “Sposo dolcissimo,
fate presto, non più dilungare la mia intima unione con Voi. Deh, stringiamoci con più forti
vincoli d’amore, in modo che più nessuno ci possa separare anche per semplici istanti”. E Ge-
sù, ora mi correggeva d’una cosa, or d’un’altra. Ricordo che un giorno mi disse: “Tutto ciò
che è terreno, tutto, tutto devi togliere, non solo dal tuo cuore, ma anche dal tuo corpo; tu non
puoi capire quanto è nocevole e di quanto impedimento all’amore mio le minime ombre terre-
ne”. Io Gli dissi subito: “Se ho qualche altra cosa da togliere, ditemelo, che sono pronta a far-
lo”. Ma mentre ciò dicevo, io stessa avvertii che ci avevo un anello d’oro al dito, rappresentan-
te l’immagine del Crocifisso; subito Gli dissi: “Sposo Santo, volete che lo tolga?” E Lui mi
disse: “Doven-doti dare Io un anello più prezioso, più bello, e che al vivo sarà impressa la mia
immagine, che ogni volta che lo guarderai nuove frecce d’amore riceverà il tuo cuore, perciò
questo non è necessario”. Ed io prontamente me lo tolsi.
Giunse finalmente il sospirato giorno, dopo non poco patire. Ricordo che poco mancava a
compire l’anno che continuamente stavo nel letto, giorno della purità di Maria Santissima. La
notte precedente a tal giorno, il mio amante Gesù si fece vedere tutto festoso, si avvicinò a me e
prese il mio cuore fra le sue mani, e lo guardò e riguardò, lo spolverò e poi di nuovo me lo re-
stituì. Poi prese una veste d’immensa bellezza - mi pareva che il fondo fosse un masso di oro
screziato di vari colori - e con quella mi vestì; indi prese due gemme come se fossero orecchini
e ingemmò le orecchie; dopo mi ornò il collo e le braccia e mi cinse la fronte d’una corona
d’immenso valore, tutta arricchita di pietre e di gemme preziose, tutta risplendente di luce, e mi
pareva che quelle luci erano tante voci che fra loro risuonavano ed a chiare note parlavano della
bellezza, potenza, fortezza e di tutte le altre virtù del mio Sposo Gesù. Chi può dire ciò che
compresi ed in qual mare di consolazione nuotava l’anima mia? È impossibile poterlo dire.
Ora mentre Gesù mi cinse la fronte, mi disse: “Sposa dolcissima, questa corona te la met-
to acciò niente manchi per farti degna d’essere mia sposa, ma poi dopo che sarà fatto il nostro
sposalizio, me la porterò nel Cielo per riserbartela al punto della morte. Finalmente prese un
velo e con quello tutta mi coprì, dalla testa fino ai piedi, e così mi lasciò. Ah, mi pareva che in
quel velo ci stesse un grande significato, perché i demoni al vedermi ricoperta con quel velo,
restavano tanto spaventati, ed avevano tale paura di me, che sfuggivano atter-riti. Gli stessi
Angioli stavano intorno con tal venerazione, che io stessa ne restavo confusa e tutta piena di
rossore.
38 - Lo sposalizio mistico.
La mattina del suddetto giorno, Gesù si fece vedere di nuovo tutto affabile, dolce e mae-
stoso, insieme con la sua Madre Santissima e santa Caterina. [Per] primo si cantò un inno, da-
gli Angeli; santa Caterina m’assisteva, la Mamma mi prese la mano e Gesù mi pose al dito
l’anello. Poi ci abbracciammo e mi baciò, e così fece anche la Mamma. Dopo si tenne un col-
loquio tutto d’amore: Gesù diceva a me l’amor grande che mi voleva, ed io dicevo a Lui pure
l’amore che Gli volevo. La Santissima Vergine mi fece comprendere la grazia grande che ave-
vo ricevuto e la corrispondenza con cui dovevo corrispondere all’amore di Gesù.
52
Il mio Sposo Gesù mi diede nuove regole per vivere più perfettamente, ma siccome è da
molto tempo, non tanto le ricordo bene, perciò le passo. E così finì per quel giorno.
Chi può dire, poi, le finezze d’amore che Gesù faceva all’anima mia? Erano tali e tante
ch’è impossibile descriverle, ma quel poco che ricordo cercherò di dirlo.
Delle volte trasportandomi con Lui, mi portava nel Paradiso, ed ivi ascoltavo i cantici dei
Beati, vedevo la Divinità, i diversi cori degli Angioli, gli ordini dei Santi, tutti immersi nella
Divinità di Dio, assorbiti, immedesimati. Mi pareva che intorno al Trono ci fossero tante luci,
come se fossero più del sole risplendente, che a chiare note queste luci denotavano tutte le virtù
e gli Attributi di Dio. I Beati specchiandosi in una di queste luci restavano rapiti in modo che
non giungevano a penetrare tutta l’immensità di quella luce, di modo che passavano ad una se-
conda luce senza capirne tutta a fondo la prima. Sicché i Beati in Cielo non possono compren-
dere perfettamente Dio, perché è tanta l’immensità, la grandezza, la santità di Dio, che mente
creata non può comprendere un Essere increato. Ora, i Beati specchiandosi in queste luci mi
pareva che venivano a partecipare alle virtù di queste luci. Sicché l’anima in Cielo rassomi-
gliasi a Dio, con questa differenza: che Dio è quel Sole grandissimo, e l’anima è un piccolo so-
le. Ma chi può dire tutto ciò che in quel Beato Soggiorno si apprende? Mentre l’anima si trova
in questo carcere del corpo è impossibile: mentre nella mente si sente qualche cosa, le labbra
non trovano vocaboli come potersi esprimere; mi sembra come un bambino che incomincia a
balbettare, che vorrebbe dire tante e tante cose, ma alla fin resta che non sa dire neppure una
parola chiara. Perciò faccio punto senza passare più oltre. Solo dirò che, delle volte mentre mi
trovavo in quella Patria Beata, passeggiavamo insieme con Gesù in mezzo ai Cori degli Angeli
e dei Santi, e siccome io ero novella sposa, tutti i Beati si univano insieme per partecipare alle
gioie del nostro sposalizio; mi pareva che dimenticavano i loro contenti per occuparsi dei no-
stri. E Gesù, ora mi mostrava ai Santi dicendogli: “Vedete quest’anima? È un trionfo del mio
amore, il mio amore tutto ha superato in lei”.
Altre volte poi mi faceva mettere al posto che a me toccava e mi diceva: “Ecco qui il tuo
posto, nessuno te lo può togliere”; e delle volte giungevo a credere che non dovevo tornare più
alla terra, ma in un semplice istante mi trovavo rinchiusa nel muro di questo corpo.
Chi può dire quanto mi riusciva amarissimo questo ritornare? A me pareva [che il ritorna-
re] dalle cose del Cielo alle cose di questa terra, [queste della terra] tutto era marciume, insipi-
do, fastidioso; le cose che agli altri tanto dilettano, per me riuscivano amare; le persone più ca-
re, più ragguardevoli, che altri chi sa quanto avrebbero fatto per trattenersi con loro, a me riu-
scivano indifferenti ed anche fastidiose, [ed] al solo riguardarli come immagine di Dio mi pare-
va che potevo sopportarli, ma l’anima aveva perduta qualsiasi soddisfazione, nessuna cosa le
recava la minima ombra di contento, ed era tanta la pena che sentivo, che non facevo che pian-
gere e lamentare col mio amato Gesù. Ah, il mio cuore viveva irrequieto tra continue ansie e
desideri, me lo sentivo più nel Cielo che sulla terra, sentivo nell’interno una cosa che mi rodeva
continuamente, tanto mi riusciva amaro e doloroso il dover continuare a vivere. Ma
l’ubbidienza mise quasi un freno a queste mie pene, comandandomi assolutamente di non desi-
53
derare di morire, e che, allora dovevo morire, quando il confessore mi dava l’ub-bidienza.
Quindi, per fare la santa ubbidienza, facevo quanto più potevo a non pensarci, [per]ché nel mio
interno era una giaculatoria continua di desideri di volermene andare. Onde in gran parte il mio
cuore si quietò, ma non del tutto. Confesso la verità, molto difettai in questo, ma che potevo
fare? Non sapevo frenarmi, per me era un vero martirio. Il mio benigno Gesù mi diceva:
“Quietati; quale è la cosa che tanto ti fa desiderare il Cielo?” Io Gli dicevo: “Che voglio stare
sempre unita con Voi! Non mi regge più l’anima di stare separata da Voi, non solo per un
giorno, ma neppure per un momento, quindi a qualunque costo voglio venirmene!” “Ebbene -
mi diceva - se è per Me, ti voglio pure contentare: verrò a starmene con te”. Io, poi, Gli dice-
vo: “Neh, poi mi lasciate, ed io Vi perdo di vista; ma nel Cielo non è così, là non Vi potrò mai
perdere di vista”.
Delle volte, anche Gesù voleva scherzare ed ecco come: mentre stavo in queste ansie, ve-
niva tutto in fretta e mi diceva: “Vuoi tu venire?” Ed io Gli dicevo: “Dove?” E Lui: “Al Cie-
lo”. Ed io: “D’avvero me lo dite?” E Lui: “Ma fa presto, vieni, non indugiare”. Ed io: “Eb-
bene, andiamo, ma temo che vogliate burlarmi”. E Gesù: “No, no, davvero ti voglio portare
insieme [a Me]”. E mentre così diceva mi sentivo uscire l’anima dal corpo ed insieme con Ge-
sù prendevo la volta del Cielo. Oh, come ero contenta allora, credendo di dover lasciare la ter-
ra! La vita mi pareva un sonno, il patire pochissimo. Mentre si giungeva ad un punto alto del
Cielo, sentivo il canto che facevano i Beati. Io sollecitavo Gesù [affinché] m’introducesse su-
bito in quel Beato Soggiorno, ma Gesù l’incominciava a prendere lentamente. Nel mio interno
incominciavo a sospettare che non fosse vero. “Chissà - dicevo - che non è uno scherzo che ha
fatto?” D’intanto intanto Gli dicevo: “Gesù mio, caro, fate presto”. E Lui mi diceva: “Aspet-
ta un altro poco, scendiamo un’altra volta alla terra. Vedi, lì sta un peccatore per perdersi, an-
diamo, chissà [che] si converta. Preghiamo insieme l’Eterno Padre che gli usi misericordia.
Non vuoi tu che si salvi? Non sei pronta a soffrire qualunque pena per la salvezza d’un’anima
sola?” Ed io: “Sì, qualunque cosa Voi volete che soffra, sono pronta, purché la salvate”. Così
si andava da quel peccatore, si cercava di convincerlo, si mettevano innanzi alla sua mente le
più possenti ragioni per farlo arrendere, ma invano. Allora Gesù, tutto afflitto, mi diceva:
“Sposa mia, ritorna un’altra volta al tuo corpo, prendi su di te le pene a lui dovute; così la Di-
vina Giustizia, placata, potrà usargli misericordia. Tu hai visto: le parole non l’hanno scosso,
le ragioni neppure; non restano altro che le pene, che sono i mezzi più potenti per soddisfare la
Giustizia e per fare arrendere il peccatore”. Così mi portavo di nuovo al corpo. Chi può dire le
sofferenze che mi venivano? Lo sa solo il Signore che n’era testimone. Dopo qualche giorni
poi, mi faceva vedere quell’anima convertita e salva; oh, come era contento Gesù ed io pure!
Chi può dire quante volte Gesù ha fatto questi scherzi? Quando si giungeva al punto
d’entrare [in Paradiso], ed alle volte anche dopo entrato, ora diceva che non mi avevo fatto ave-
re l’ubbidienza dal confessore, e quindi convenivo ritornare alla terra. Io Gli dicevo: “Fino che
sono stata col confessore era obbligata d’ubbidire a lui, ma ora che sono con Voi, sono dovuta
d’ubbidire a Voi, perché Voi siete il primo di tutti”. E Gesù mi diceva: “No, no; voglio che
ubbidisci al confessore”. Onde, per non andare troppo per la lunghe, ora per un pretesto, ora
per un altro, mi faceva ritornare alla terra.
Molti mi riuscivano dolorosi questi scherzi; basta dire che mi resi impertinente, tanto che,
il Signore per castigare le mie impertinenze non permetteva più così spesso questi scherzi.
54
42 - Gesù prepara Luisa alla rinnovazione dello sposalizio mistico,
in Cielo, alla presenza di tutta la Corte Celeste;
le parla, quindi, delle virtù teologali. La Fede.
In questo stato [di cui ho] già detto passai circa tre anni, continuando a stare nel letto.
Quando, una mattina, Gesù mi fece intendere che voleva rinnovare lo sposalizio, ma non già
sulla terra come la prima volta, ma nel Cielo alla presenza di tutta la Corte Celeste, quindi che
stessi preparata ad una grazia sì grande. Io feci quanto più potetti per dispormi; macché, es-
sendo io tanto miserabile ed insufficiente a fare nessun’ombra di bene, ci voleva la mano
dell’Artefice Divino per dispormi, ché da me mai sarei riuscita a purificare l’anima mia.
Una mattina, era la vigilia della natività di Maria Santissima, il mio sempre benigno Gesù
venne Lui stesso a dispormi. Non faceva che andare e venire continuamente. Ed, ora mi parla-
va della fede e mi lasciava, ed io mi sentivo infondere nell’anima una vita di fede; l’anima mia,
grossolana qual me la sentivo prima, ora, dietro il parlare di Gesù me la sentivo leggerissima, in
modo da penetrare in Dio, ed or miravo la Potenza, ora la Santità, ora la Bontà ed altro e
l’anima mia restava stupefatta; in un mare di stupore, dicevo: “Potente Iddio, qual potenza in-
nanzi a Te non resta disfatta? Santità immensa di Dio, quale altra santità per quanto sublime el-
la sia, ardirà comparire al tuo cospetto?”
Poi mi sentivo scendere in me stessa e vedevo il mio nulla, la nullità delle cose terrene,
come tutto è niente innanzi a Dio. Io mi vedevo come un piccolo verme tutto pieno di polvere,
che mi arrampicavo per dare qualche passo e che, per distruggermi non ci voleva altro che uno
mi mettesse il piede sopra e già ero disfatta. Quindi, vedendomi così brutta, quasi non ardivo
d’andare a Dio; ma si faceva innanzi alla mia mente la [sua] Bontà, e mi sentivo tirare come da
una calamita d’andare a Lui; e dicevo tra me: “Se è Santo, è pure misericordioso; se è Poten-
te, contiene anche in Sé piena e somma Bontà”. Mi pareva che la bontà Lo circondava da fuori,
L’inondava da dentro. Quando miravo la Bontà di Dio mi pareva che sorpassava tutti gli altri
Attributi, ma poi, mirando gli altri, li vedevo tutti eguali in se stessi, immensi, immensurabili
ed incomprensibili all’umana natura. Mentre l’anima mia stava in questo stato, Gesù ritornava
e parlava della Speranza.
Ricordo qualche cosa in confuso, perché dopo tanto tempo è impossibile ricordare chiaro,
ma per fare l’ubbidienza che così vuole, dirò per quanto posso.
Quindi, diceva Gesù - ritornando alla Fede -: “Per ottenere bisogna credere. Come al ca-
po, senza la vista degli occhi tutto è tenebre, tutto è confusione, tanto che se volesse cammina-
re, or cadrebbe ad un punto, ora ad un altro e finirebbe col precipitare del tutto, così all’anima,
senza Fede non fa altro che andare di precipizio in precipizio; ma la Fede serve di vista
all’anima e come luce che la guida alla vita eterna. Or, da che viene alimentata questa luce del-
la fede? Dalla Speranza. Or, di quale sostanza è questa luce della Fede e questo alimento della
Speranza? La Carità. Tutte e tre queste virtù sono innestate tra loro, in modo che una non può
stare senza dell’altra.
Difatti, che giova all’uomo credere le immense ricchezze della Fede se non le spera per
sé? Le guarderà, sì, ma con occhio indifferente, perché sa che non sono sue; ma la Speranza
somministra le ali alla luce della Fede e, sperando nei meriti di Gesù Cristo, le guarda come sue
e viene ad amarle”.
55
“La Speranza - diceva Gesù - somministra all’anima una veste di fortezza, quasi di ferro,
in modo che tutti i nemici coi loro strali non possono ferirla, non solo, ma neppure apportare il
minimo disturbo. Tutto è tranquillità in lei, tutto è pace. Oh, è bello vedere quest’anima inve-
stita della bella Speranza, tutta appoggiata al suo Diletto, tutta diffidente di sé e tutta confidente
in Dio! Disfida i nemici più fieri, è regina delle sue passioni, regola tutto il suo interno, le sue
inclinazioni, i desideri, i palpiti, i pensieri con una maestria tale, che Gesù stesso ne resta inna-
morato perché vede che quest’anima opera con tale coraggio e fortezza; ma questa l’attinge e
lo spera tutto da Lui, tanto che Gesù vedendo questa ferma Speranza niente sa negare a
quest’anima.
Ora, mentre Gesù parlava della Speranza, si ritirava un poco, lasciandomi una luce
nell’intelletto. Chi può dire ciò che comprendevo sulla Speranza? Se le altre virtù, tutte servo-
no ad abbellire l’anima, ma [tuttavia] ci possono far vacillare e renderci incostanti; invece la
Speranza rende l’anima ferma e stabile, come quei monti alti che non si possono muovere un
tantino. A me sembra che [al]l’anima investita dalla Speranza, succede come a certi monti al-
tissimi, che tutte le intemperie dell’aria non li possono recare nessun nocumento sopra di questi
monti; non penetra né neve, né venti, né caldo, qualunque cosa vi si potrebbe mettere sopra, si
può star sicuro, ancorché passassero cent’anni, che là dove si mette, là si trova. Tale è appunto
l’anima vestita dalla Speranza, nessuna cosa le può nuocere: né la tribolazione né la povertà né
tutti i vari accidenti della vita, la sgomentano un istante. Dice fra sé: “Io tutto posso operare,
tutto posso sopportare, tutto soffrire sperando in Gesù che forma l’oggetto di tutte le mie spe-
ranze”.
La Speranza rende l’anima quasi onnipotente, invincibile e somministra all’anima la per-
severanza finale, tanto che, allora cessa di sperare e di perseverare, quando ha preso possesso
del Regno del Cielo; allora depone la Speranza e tutta si tuffa nell’oceano immenso
dell’Amore divino.
Mentre l’anima mia si perdeva nel mare immenso della Speranza, il mio diletto Gesù ri-
tornava e parlava della Carità, dicendomi:
“Alla Fede ed alla Speranza sottentra la Carità, e questa congiunge tutto il resto insieme
delle altre due, in modo da formarne una sola, mentre sono tre. Eccoti, o sposa mia, adombrata
nelle tre virtù teologali la Trinità delle Divine Persone”.
Poi proseguì: “Se la Fede fa credere, la Speranza fa sperare, la Carità fa amare. Se la Fe-
de è luce e serve di vista all’anima, la Speranza, che è l’alimento della Fede, somministra
all’anima il coraggio, la pace, la perseveranza e tutto il resto. La Carità, che è la sostanza di
questa luce e di questo alimento, è come quell’unguento dolcissimo e odorosissimo che pene-
trando dappertutto, lenisce, raddolcisce le pene della vita. La Carità rende dolce il patire e fa
giungere anche a desiderarlo. L’anima che possiede la Carità spande odore dappertutto, le sue
opere, fatte tutte per amore, danno un odore graditissimo; e qual’è questo odore? È l’odore di
Dio stesso. Le altre virtù rendono l’anima solitaria e quasi rustica con le creature; la Carità in-
vece, essendo sostanza che unisce, unisce i cuori, ma dove? In Dio. La Carità essendo unguen-
to odorosissimo si spande dappertutto e con tutti. La Carità fa soffrire con gioia i più spietati
tormenti, e giunge a non saper stare senza il patire, e quando se ne vede priva dice al suo Sposo
Gesù: “Sostenetemi coi frutti, qual’è il patire, perché languisco d’amore, e dove altro posso
mostrarti il mio amore [se non] che nel patire per Te?” La Carità brucia, consuma tutte le altre
cose, ed anche le stesse virtù, e converte tutte in sé. Insomma, è qual regina che vuol regnare
dappertutto, e che non vuol cederla a nessuno”.
56
45 - Ultimo preparativo allo sposalizio nel Cielo:
l’annientamento di sé e la brama di sempre più patire.
Chi può dire quello che rimase dietro questo parlare di Gesù? Dico solo che si accese in
me tale brama di patire, non solo brama, ma mi sento in me come un’infusione, come una cosa
naturale, tanto che per me ritengo che la più grande disgrazia è il non patire.
Dopo ciò, quella mattina, Gesù per disporre il mio cuore maggiormente, parlò
sull’annientamento di me stessa; disse pure sul desiderio grandissimo che dovevo eccitarmi per
dispormi a ricevere la grazia. Mi diceva che il desiderio supplisce ai mancamenti ed imperfe-
zioni che ci possono essere nell’anima, è come un ammanto che covre tutto. Ma questo [parla-
re di Gesù] non era un parlare semplicemente, era un infondere in me ciò che diceva.
Mentre l’anima mia stava eccitandosi in accese brame di ricevere la grazia che Gesù stesso
mi voleva fare, Gesù ritornò e mi trasportò fuori di me stessa, fin nel Paradiso, ed ivi, alla pre-
senza della Santissima Trinità e di tutta la Corte Celeste rinnovò lo sposalizio. Gesù mise fuori
l’anello fregiato con tre pietre preziose, bianca, rossa e verde e lo consegnò al Padre, che lo be-
nedisse e di nuovo lo restituì al Figlio; lo Spirito Santo mi prese la destra e Gesù mi mise al di-
to anulare l’anello. Poi fui ammessa al bacio di tutte e Tre [le] Divine Persone e d’ambo le par-
ti mi benedissero.
Chi può dire la mia confusione quando mi trovai innanzi alla Santissima Trinità? Dico so-
lo che appena che mi trovai alla loro presenza, caddi boccone a terra e lì sarei rimasta se non
fosse stato per Gesù che m’incoraggiò d’andare alla loro presenza, tant’era la luce, la santità di
Dio. Questo solo dico, le altre cose le lascio perché le ricordo in confuso.
Dopo questo, ricordo che passarono pochi giorni, e feci la Comunione [e] perdetti i sensi,
e vidi la Santissima Trinità vista nel Cielo, innanzi a me presente. Subito mi prostrai alla Loro
presenza, L’adorai, confessai il mio nulla. Ricordo che mi sentivo tanto sprofondata in me
stessa che non ardivo di dire una sola parola. Quando, una voce uscì da mezzo Loro, e disse:
“Non temere, fatti coraggio, siamo venuti per confermarti per nostra, e prendere possesso del
tuo cuore”. Mentre così diceva questa voce, vidi che la Santissima Trinità scese nel mio cuore
e se ne impossessarono e lì formarono la loro sede. Chi può dire il cambiamento che successe
in me? Mi sentivo divinizzata; non più io vivevo, ma Loro vivevano in me. A me pareva che
il mio corpo fosse come una abitazione e che dentro abitasse il Dio vivente, perché io mi senti-
vo la presenza reale sensibilmente nel mio interno; sentivo la Loro voce chiara, che usciva da
dentro il mio interno e risuonava alle orecchie del corpo. Succedeva precisamente come quan-
do vi sono gente dentro d’una stanza che parlano e le loro voci si sentono chiare e distinte an-
che di fuori.
D’allora in poi, non ebbi più bisogno di andare in cerca altrove per trovarlo, ma dentro il
mio cuore, là Lo trovavo. E quando qualche volta Si è nascosto e io sono andata in cerca di
Gesù, girando e per il Cielo e per la terra cercando il mio Sommo ed unico Bene, mentre mi
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trovavo nella foga delle lacrime, nella intensità delle brame, nelle pene inenarrabili d’averlo
perduto, Gesù usciva da dentro il mio interno e mi diceva: “Sto qui con te, non Mi cercare al-
trove”. Io, tra la meraviglia ed il contento d’averlo trovato Gli dicevo: “Mio Gesù, come?
Tutta questa mane39 mi avete fatto tanto girare e rigirare per trovarvi, e Voi state qui? Me lo
potevi dire almeno, ché non mi sarei tanto affannata! Dolce mio Bene, cara mia Vita, vedete un
po’ come sono stanca, non mi sento più forze, mi sento venir meno, deh, sostenetemi fra le vo-
stre braccia che mi sento morire”. E così Gesù mi prendeva fra le sue braccia e mi faceva ripo-
sare, e mentre riposavo mi sentivo restituire le forze perdute.
Altre volte, in questo nascondimento che Gesù faceva ed io che andavo in cerca di Lui,
quando Si faceva sentire dentro di me e che poi usciva da dentro non solo Gesù, ma tutte e Tre
le Divine Persone, trovavo, ora in forma di tre Bambini graziosi e sommamente belli, ora un sol
Corpo e tre Teste distinte, ma d’una stessa similitudine, tutte e tre attraenti.
Chi può dire il mio contento? Specialmente quando vedevo i tre Bambini e che io Li con-
tenevo tutti e Tre fra le mie braccia! Or baciavo Uno, or l’Altro, ed io da Loro [venivo bacia-
ta]; or Uno S’appoggiava ad una spalla e l’Altro all’altra spalla ed Uno mi rimaneva di fronte;
e mentre mi beavo in Loro, tra la meraviglia, facevo per guardare e, da Tre trovavo Un solo.
L’altra mia meraviglia quando mi trovavo questi tre Bambini, [è] che tanto pesava uno e
tanto tutti e Tre. Tanto amore mi sentivo per Uno di questi Bambini, quanto verso di tutti e
Tre, tutti e Tre mi attiravano ad uno stesso modo.
Per finire di parlare di questi sposalizi, ho dovuto passare qualche cosa per sopra che an-
davo in filo, ed ora m’accingo a dirlo.
Ritornando al principio, Gesù quando si benignava di venire, spesso spesso mi parlava del-
la sua passione e curava di disporre l’anima mia all’imitazione della sua vita e delle sue pene,
dicendomi che oltre allo sposalizio suddetto ci rimaneva un altro da fare, e quest’era lo sposali-
zio della croce.
Ricordo che diceva:
“Sposa mia, le virtù si rendono deboli se non sono corroborate, fortificate dall’innesto
della croce. Prima della mia venuta in terra, le pene, le confusioni, gli obbrobri, le calunnie, i
dolori, la povertà, le malattie, la croce specialmente, erano tenuti tutti in conto d’obbrobri, ma
da che furono portati da Me, restarono tutti santificati e divinizzati dal mio contatto, sicché tutti
hanno cambiato aspetto e si son resi dolci, graditi, e l’anima che ha il bene d’averne qualchedu-
no, ne resta onorata, e questo perché ha ricevuto la divisa di Me, Figliolo di Dio. E solo espe-
rimentano il contrario, chi guarda e si ferma nella corteccia della croce: trovando l’amaro se ne
disgustano, ne menano lamento e pare che le sia venuto un torto. Ma chi vi penetra dentro, tro-
vandolo gustoso, ivi formano la loro felicità. Figlia mia diletta, non altro bramo che il crocifig-
gerti nell’anima e nel corpo”.
E mentre ciò diceva mi sentivo infondere in tali brame d’essere crocifissa con Gesù Cristo,
che andavo spesso ripetendo: “Gesù mio, Amor mio, fate presto, crocifiggetemi con Voi”. E
quando ritornava, le prime domande che Gli facevo e che a me parevano più importanti, erano
queste: il dolore dei miei peccati e la grazia che mi crocifiggesse con Lui. Mi pareva che se [i-
o] ottenessi questo, avrei ottenuto tutto.
39
mattina
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Quando, una mattina, il mio amantissimo Gesù si presenta a me dinanzi in forma di Croci-
fisso e mi disse che voleva crocifiggermi con Lui, e mentre ciò diceva vidi che dalle sue santis-
sime piaghe uscirono raggi di luce e dentro a questi raggi i chiodi che venivano alla volta mia.
In questo mentre, non so il perché, mentre desideravo tanto che mi crocifiggesse, [tanto] che mi
sentivo consumare, fui sorpresa da un grande timore che mi faceva tremare da capo a piedi;
sentivo tale annientamento di me stessa, mi vedevo tanto indegna di ricevere la grazia, che non
osavo dire: “Signore, crocifiggetemi con Voi”. Gesù pareva che stava sospeso aspettando il
mio volere. Chi può dire [ciò che passava] nell’intimo dell’anima mia? Lo desideravo arden-
temente, ma insiememente40 mi vedevo indegna. La natura si spaventava e tremava.
Mentre mi trovavo in ciò, il mio diletto Gesù intellettualmente mi sollecitava ad accettare.
Allora, con tutto il cuore Gli dissi: “Sposo Santo, crocifisso per me, Vi prego di concedermi la
grazia di crocifiggermi, ed insiememente di non fare comparire nessun segno esterno. Sì,
dammi il dolore, dammi le piaghe, ma fa’ che tutto sia nascosto tra me e Te”.
E così quei raggi di luce insieme coi chiodi mi passarono le mani ed i piedi, ed il cuore fu
passato con un raggio di luce insieme con una lancia. Chi può dire il dolore ed il contento? Per
quanto prima fui sorpresa dal timore, altrettanto dopo l’anima mia nuotava nel mare della pace,
del contento e del dolore. Era tanto il dolore che sentivo nelle mani, nei piedi e nel cuore, che
mi sentivo morire, mi sentivo le ossa delle mani e dei piedi fare in minutissimi pezzi, sentivo
come se stessi con [un] chiodo dentro, ma insiememente mi cagionavano tale un contento che
non so esprimere, e mi somministravano tale una forza, che mentre mi sentivo morire per il do-
lore, i dolori stessi mi sostenevano a fare che non morissi. Ma però alle parti esterne del corpo
niente compariva, ma vi sentivo i dolori corporalmente, tanto vero, che quando veniva il con-
fessore per chiamarmi all’ubbidienza e mi scioglieva le braccia e le mani attratte, ogni qual vol-
ta che mi toccò ed a quel punto delle mani, cioè, dove era passato quel raggio di luce insieme
col chiodo, sentivo pene mortali. Ma però quando il confessore comandava, per ubbidienza,
che cessassero quei dolori, molto si mitigavano - perché quei dolori erano tanto forti che mi fa-
cevano perdere i sensi, e se alla ubbidienza non si mitigavano, difficilmente mi sarei prestata ad
ubbidire -. O prodigio della santa ubbidienza, tu sei stata tutto per me! Quante volte mi son
trovata in contrasto con la morte, tanto era la forza dei dolori, e l’ubbidienza mi ha quasi resti-
tuito la vita! Sia sempre benedetto il Signore, sia tutto a gloria sua!
Ora, mentre mi sentivo in me stessa, niente vedevo, ma quando perdevo i sensi, vedevo le
parti segnate dalle piaghe di Gesù, mi pareva che le piaghe di Gesù stesso si erano trasmutate
nelle mie mani e del resto41; e questa fu la prima volta che Gesù mi crocifisse. Perché di queste
crocifissioni ce ne sono tante, che è impossibile numerarle tutte; dirò solo le cose principali
appartenenti a questo.
Ora, ritornando Gesù, Gli dicevo: “Caro, mio Diletto, dammi il dolore dei miei peccati,
così i miei peccati consumati dal dolore, dal pentimento d’averti offeso, possono essere cancel-
lati dall’anima mia ed anche dalla vostra memoria; sì, tanto dolore datemi per quanto ho ardito
d’offendervi. Anzi fate che il dolore superi questo, così potrò stringermi più intimamente con
Voi”.
Ricordo che una volta mentre stavo ciò dicendo, il mio sempre benigno Gesù mi disse:
“Giacché tanto ti dispiace d’avermi offeso, voglio Io stesso disporti a farti sentire il dolore dei
40
contemporaneamente ; opp.: unitamente
41
del resto = nei miei piedi e nel mio cuore
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tuoi peccati, così vedi quanto è brutto il peccato, e che acerbo dolore soffrì il mio Cuore. Per-
ciò, di’ insieme con Me: “Se passo il mare: nel mare Tu sei, eppure non Ti vedo; calpesto la
terra: stai sotto dei miei piedi. Peccai!” E poi, Gesù sotto voce soggiunse, quasi piangendo:
“Eppur ti amai, e nello stesso tempo ti conservai!” Mentre ciò Gesù diceva ed io insieme con
Lui, fui sorpresa da tale dolore dell’offese fatte, che caddi boccone a terra; e Gesù mi scom-
parve.
Poche sono le parole, ma io capii tante cose che è impossibile dire tutto ciò che io compre-
si. Nelle prime parole compresi l’immensità, la grandezza, la presenza di Dio in ogni cosa pre-
sente, senza che può sfuggire da Lui neppure l’ombra del nostro pensiero; compresi pure il mio
nulla a confronto d’una Maestà sì grande e Santa. Nella parola ‘peccai’, comprendevo la brut-
tezza del peccato, la malizia, l’ardire che io avevo avuto nell’offenderlo. Ora, mentre l’anima
stava considerando questo, nel sentire dire da Gesù Cristo: “Eppur ti amai, e nello stesso tem-
po ti conservai!”, fu preso da tal dolore il mio cuore, che mi sentivo morire, perché comprende-
vo l’amore immenso che il Signore mi portava nell’atto stesso che io cercavo d’offenderlo ed
anche d’ucciderlo. Ah, Signore quanto sei stato buono con me, ed io sempre ingrata e così cat-
tiva ancora!
50 - Luisa ottiene col suo patire che un uomo ucciso non si danni,
e non solo, ma che resti in vita.
Ricordo ch’era un’alternazione, ora Gli chiedevo il dolore dei miei peccati ed ora la croci-
fissione, ogni qual volta Si benignava di venire, ed anche altre cose. Come una mattina mentre
mi trovavo nelle solite mie sofferenze, il mio caro Gesù mi trasportò fuori di me stessa e mi fe-
ce vedere un uomo che era ucciso a colpi di rivoltella, e che allora spirava ed andava
all’inferno. Oh quanta pena faceva a Gesù la perdita di quell’anima! Se tutto il mondo sapesse
quanto soffre Gesù la perdita delle anime, non dico per loro, ma almeno per risparmiare quella
pena a Nostro Signore, userebbero tutti i mezzi possibili per non andare perduti eternamente!
Ora, mentre insieme con Gesù mi trovavo in mezzo alle palle, Gesù avvicinò le sue labbra alle
mie orecchie e mi disse: “Figlia mia, vuoi tu offrirti vittima per la salvezza di quest’anima, e
prendere sopra di te le pene che lui merita per i suoi gravissimi peccati?” Ed io risposi: “Si-
gnore, sono pronta, a patto però che lo salvate, e gli restituite la vita”. Chi può dire le sofferen-
ze che venivano? Furono tali e tante, che io stessa non so come mi lasciò42 la vita.
Ora, mentre mi trovavo in questo stato di sofferenze da più d’un’ora, venne il mio confes-
sore per chiamarmi all’ubbidienza, e, trovandomi molto sofferente stentatamente potevo ubbi-
dire; perciò mi domandò la ragione d’un tale stato. Io gli dissi il fatto come l’ho descritto di
sopra dicendogli il punto del paese dove mi pareva che fosse successo. Il confessore mi disse
che era vero il fatto, ma che lo portavano per morto; ma poi si seppe che stava malissimo, ma a
poco a poco si ristabilì e vive ancora. Sia sempre benedetto il Signore!
42
restò
60
chi ha il bene di possedere le sofferenze! Basta dirti solamente che venendo sulla terra non
scelsi le ricchezze, i piaceri, ma mi ebbi a care ed intime sorelle la croce, la povertà, le soffe-
renze, ignominie”. Mentre così diceva, mostrava tale un gusto, una gioia del patire, che quelle
parole mi passavano il cuore come tanti dardi infocati, a parte a parte, tanto che mi sentivo ve-
nir meno la vita se il Signore non mi concedeva il patire, e con quanta voce e forza tenevo, non
facevo altro che dirle: “Sposo Santo, dammi il patire, dammi le croci; da questo solo conosce-
rò che mi amate, se mi contentate con le croci e coi patimenti”. E così prendevo una di quelle
croci più grandi che vedevo, mi mettevo sopra e pregavo Gesù che mi venisse a crocifiggermi,
e Lui si compiaceva di prendere la mia mano ed incominciava a trapassarla col chiodo,
d’intanto intanto il benedetto Gesù mi domandava: “Che? Ti duole assai? Vuoi che non con-
tinuo?” Ed io: “No, no Diletto mio, continuate; mi duole, sì, ma sono contenta”. Ed avevo ta-
le timore che non compisse di crocifiggermi, che non facevo altro che dirgli: “Fate presto, o
Gesù! Fate presto, non la prendete per le lunghe!” Macché! Quando si giungeva a inchiodar-
mi l’altra mano, le braccia della croce si trovavano corte, mentre prima mi parevano bastanti
per poter ciò fare. Chi può dire quanto lasciavo43 mortificata? Questo si ripeteva molte volte, e
delle volte se si trovavano [adatte] le braccia, non si trovava [esatta] la lunghezza della croce
per poter distendere i piedi; in una parola, ci doveva mancare una cosa per non potersi compie-
re la crocifissione. Chi può dire l’amarezza dell’anima mia ed i lamenti che mi facevo con No-
stro Signore ché non mi concedeva il vero patire? Gli dicevo: “Diletto mio, tutto finisce in
burla: mi dicevi di dovermi portare nel Cielo, e poi di nuovo mi facevi ritornare alla terra; mi
dici di dovermi crocifiggere, e mai veniamo alla completa crocifissione!” E Gesù di nuovo mi
prometteva di dovermi crocifiggere.
14 Settembre 1899
43
rimanevo
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tuo amore a tutta la Corte Celeste, e un’altra più grande dal Cielo ne farò scendere per poter
soddisfare le mie ardenti brame che ho sopra di te”.
Mentre ciò Gesù diceva, si presentò quella croce vista da me le altre volte; io la presi e mi
distesi sopra. Mentre stavo così, si aprì il Cielo e vi scese l’evangelista San Giovanni [ch]e
portava la croce che Gesù mi aveva indicato, [scesero pure] la Regina Madre e molti Angeli;
quando giunsero a me vicino, mi tolsero da sopra quella croce e mi misero sopra di quella che
mi avevano portato, molto più grande. Un Angelo poi, prese quella croce di prima e se la portò
nel Cielo. Dopo ciò, Gesù, di propria mano, incominciò ad inchiodarmi sopra di quella croce,
Mamma Regina mi assisteva, gli Angeli e San Giovanni porgevano i chiodi. Il mio dolce Gesù
mostrava tale un contento, una gioia nel crocifiggermi, che solo per poter dare quel contento a
Gesù, non solo avrei sofferto la croce ma altre pene ancora. Ah,! mi pareva che il Cielo faceva
nuova festa per me nel vedere il contento di Gesù. Molte anime dal Purgatorio furono liberate
prendendo il volo per il Cielo e parecchi peccatori furono convertiti, perché il mio Divin Sposo
a tutti fece partecipe il bene delle mie sofferenze. Chi può dire poi i dolori intensi che provai
nell’essere bene bene distesa sulla croce ed esser[mi] trapassate le mani ed i piedi con i chiodi?
Ma specialmente i piedi, era tanta l’atrocità delle pene, che non possono descriversi. Quando
mi compirono di crocifiggermi ed io mi sentivo che nuotavo sul mare delle pene e dei dolori,
Mamma Regina disse a Gesù: “Figlio mio, oggi è giorno di grazia, voglio che di tutto le parte-
cipiate le vostre pene; non ci resta altro che [le] passate il cuore con la lancia e le rinnovate la
corona di spine”. Allora, Gesù stesso prese la lancia e mi passò il cuore da parte a parte, gli
Angeli presero una corona di spine ben folta e la diedero in mano alla Santissima Vergine e Lei
stessa me la conficcò in testa.
Che giorno memorando fu per me, di dolori, sì, e[ppure di] contenti; di pene indicibili, ma
di gioia ancora! Basta sol dire che era tanta la forza dei dolori, che Gesù per tutto quel giorno
non Si mosse da me vicino, per sorreggere la mia natura che veniva meno alla vivacità delle
pene. Quelle anime del Purgatorio che erano volate al Cielo scendevano unite con gli Angeli e
circondavano il mio letto, ricreandomi coi loro cantici e ringraziando affettuosamente che per le
mie sofferenze le avevo liberate da quelle pene.
Succedeva poi che passando cinque, sei giorni di quelle pene intense, con mio grande
rammarico quelle pene si incominciavano a diminuirsi ed allora sollecitavo il mio diletto Gesù
che di nuovo mi rinnovasse la crocifissione. E Lui, quando presto e quando un po’ tardi, Si
compiaceva di trasportarmi nei luoghi santi e mi partecipava le pene della sua dolorosa Passio-
ne: or la corona di spine, or la flagellazione, or portavo la croce al Calvario ed or la crocifis-
sione; quando un mistero al giorno e quando tutto in un giorno, secondo che a Lui piaceva; e
questo mi riusciva con sommo dolore e contento dell’anima mia. Ma, allora mi riusciva ama-
rissimo, quando si cambiava la scena ed invece di soffrire io, ero io spettatrice di veder soffrire
l’amantissimo Gesù le pene della dolorosa Passione. Ah, quante volte mi trovavo in mezzo ai
Giudei, insieme con Mamma Regina, a veder soffrire il mio diletto Gesù! Ah, sì, è pur vero
che riesce più facile soffrire la persona stessa che veder soffrire la persona amata!
Altre volte, rinnovando[mi] queste crocifissioni il mio dolce Gesù, ricordo che mi disse:
“Diletta mia, la croce fa distinguere i reprobi dai predestinati. Come nel giorno del giudizio i
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buoni si rallegreranno al vedere la croce, così fin d’ora si può vedere se uno dev’essere salvo o
perduto. Se al presentarsi della croce l’anima l’abbraccia, se la porta con rassegnazione, con
pazienza e bacia e ringrazia quella mano che l’invia: eccoti il segno che è salvo. Se, al contra-
rio, al presentarsi della croce s’irritano, la disprezzano e giungono fino ad offendermi, puoi dire
[che questo è] un segno che è anima che s’in-cammina per la via dell’inferno; tale faranno i re-
probi nel giorno del giudizio, che al veder della croce si affliggeranno e bestemmieranno. Tut-
to dice la croce; la croce è un libro che senza inganno ed a chiare note ti dice e fa distinguere il
santo dal peccatore, il perfetto dall’imperfetto, il fervoroso dal tiepido. La croce comunica tale
una luce all’anima, che fin d’ora non solo fa distinguere il buono dal reo, ma si può conoscere
ancora chi dev’essere più o meno glorioso nel Cielo, chi deve occupare un posto più superiore e
un posto minore. Tutte le altre virtù stanno umili e riverenti innanzi alla virtù della croce, ed
innestandosi con essa ne ricevono maggior lustro e splendore”.
Chi può dire quali fiamme di desiderio ardente gettava nel mio cuore questo parlare di Ge-
sù? Mi sentivo divorare dalla fame del patire, e Lui, per soddisfare le mie brame, oppure, per
dire meglio, ciò che Lui stesso m’infondeva, mi rinnovava la crocifissione.
Ricordo che delle volte, dopo rinnovate queste crocifissioni mi diceva: “Diletta del Cuor
mio, bramo ardentemente non solo crocifiggerti l’anima e comunicarti i dolori della croce al
corpo, ma desidero di suggellarti anche il corpo col suggello delle mie piaghe, e voglio inse-
gnarti la preghiera come ottenere questa grazia; la preghiera è questa:
“Io mi presento innanzi al Trono Supremo di Dio, bagnata nel Sangue di Gesù Cristo, pre-
gandolo che per il merito delle sue preclarissime virtù e della sua Divinità, di concedermi la
grazia di crocifiggermi”.
Io però, siccome ho avuto sempre avversione a tutto ciò che può comparire esterno - come
la tengo ancora - ma [tuttavia] nell’atto che Gesù diceva, mi sentivo infondere tali brame di
soddisfare al desiderio che Lui stesso diceva, che pure ardivo di dire a Gesù che mi crocifigges-
se nell’anima e nel corpo, e qualche volta Gli dicevo: “Sposo Santo, cose esterne non ne vor-
rei, e se qualche volta ardisco dirlo, è perché Voi stesso me lo dite; ed anche per dare un segno
al confessore che siete Voi che operate in me. Ma del resto, non vorrei altro che quei dolori
che mi fate soffrire quando mi rinnovate la crocifissione fossero permanenti; non vorrei quella
diminuzione dopo qualche tempo; e questo solo mi basta, ché dall’apparenza esterna, quanto
più mi potete tenere nascosta, tanto più mi contenterete”.
Ricordo in confuso che, siccome domandavo spesso, quando mi trovavo insieme con No-
stro Signore, il dolore dei miei peccati e la grazia che Mi perdonasse tutto ciò che di male ave-
vo fatto, e delle volte giungevo a dirgli che, allora sarei contenta, quando dalla sua propria boc-
ca mi dicesse che: “Ti rimetto tutti i tuoi peccati”, e Gesù benedetto, che niente sa negare
quando è per nostro bene, una mattina vi Si fece vedere e mi disse: “Questa volta voglio fare Io
stesso l’uffizio di confessore, e tu confesserai a Me tutte le tue colpe e nell’atto che ciò farai, ti
farò comprendere uno per uno i dolori che hai dato al Cuor mio nell’offendermi, acciocché
comprendendo tu, per quanto può una creatura, che cosa è il peccato, prendi risoluzione che44
piuttosto morire che offendermi. Tu intanto entra nel tuo nulla e recita il Confiteor”.
Io, entrando in me stessa, vi scorgevo tutta la mia miseria e le mie scellerataggini ed in-
nanzi alla sua presenza tremavo a verga a verga, e mi mancava la forza di pronunziare le parole
del Confiteor e, se il Signore non avesse infuso in me nuova forza col dirmi: “Non temere: se
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di voler
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sono Giudice, sono ancora tuo Padre! Coraggio, andiamo avanti”, lì sarei rimasta senza dire
neppure una parola. Onde dissi il Confiteor tutta piena di confusione e d’umiliazione; e sic-
come mi vedevo tutta coperta dalle mie colpe, dando una occhiata [alla mia vita], la più che vi
scorsi che aveva fatto affronto a Nostro Signore era la superbia, perciò dissi: “Signore, mi ac-
cuso innanzi alla vostra presenza che ho peccato di superbia”. E Lui: “Avvicinati al mio Cuore
e metti l’orecchio e sentirai lo strazio crudele che hai fatto al mio Cuore con questo peccato”.
Tutta tremando vi misi l’orecchio sopra del suo Cuore adorabile; ma chi può dire ciò che sentii
e compresi in quell’istante? specialmente dopo tanto tempo? Dirò solo qualche cosa in confu-
so. Ricordo che il suo Cuore batteva tanto forte che pareva che si volesse rompere il petto, poi
mi parve che si facesse a brani a brani, e per il dolore restava quasi distrutto. Ah, se avessi po-
tuto, giungerei a distruggere l’Essere Divino con la superbia45! Vi do una similitudine per farmi
capire, altrimenti non ho parole come manifestarmi. Immaginate un re e ai piedi di detto re un
verme, che sollevandosi e gonfiandosi s’incomincia a credere qualche cosa e che giunge a tale
audacia che, sollevandosi a poco a poco giunge alla testa del re e gli vuol togliere la corona per
mettersela sopra della sua testa, poi lo spoglia delle sue vestimenta regali, dopo lo caccia dal
trono ed infine cerca d’ucciderlo. Ma quello che è più di questo verme, [è] che lui stesso non
conosce il suo essere, [per]tanto s’illude, e [non sa] che per disfare lui non ci vuole altro che il
re se lo metta sotto dei piedi e lo schiacci, e così finisce i suoi giorni. Cosa in vero che muove
a sdegno ed a compassione, ed insieme a ridicolaggine l’orgoglio di questo verme, se ciò si po-
tesse fare. Tale mi vedevo io innanzi a Dio, cosa che mi riempì di tale confusione e dolore che
mi sentivo rinnovare nel mio cuore lo strazio che soffriva il benedetto Gesù.
Dopo ciò mi lasciò, ed io mi sentivo tal pena e comprendevo tanto brutto questo peccato di
superbia, ch’è impossibile descriverlo. Quando ebbi ruminato ben ben tutto ciò in me stessa, il
mio buon Gesù ritornò e mi disse che seguitassi la confessione delle mie colpe, ed io tutta tre-
mando seguitai a fare l’accusa dei pensieri, parole, opere, cause ed omissioni; e quando [Gesù]
mi vedeva che non potevo seguitare a fare la confessione per la pena che sentivo d’averlo tanto
offeso - perché avevo una chiarezza sì viva innanzi a quel Sol Divino, specialmente [per]ché vi
scorgevo la piccolezza, la nullità dell’essere mio e restavo stupita come avevo avuto tanto ardi-
re, da dove avevo preso quel coraggio d’offendere un Dio sì buono che, nell’atto stesso che
l’offendevo Lui mi assisteva, mi conservava, mi alimentava e, se ci aveva qualche rancore con
me, era al peccato che facevo, che odiava sommamente, [per]ché a me mi amava immensamen-
te, mi scusava innanzi alla Divina Giustizia e tutto s’occupava per togliere quel muro di divi-
sione che aveva prodotto il peccato tra l’anima e Dio. Oh, se tutti potessero vedere chi è Dio e
chi è l’anima nell’atto che si pecca, tutti morrebbero di dolore e credo che il peccato verrebbe
ad essere esiliato dalla terra! - quindi, quando Gesù benedetto vedeva che per la pena non ne
potevo più, Si ritirava e mi lasciava ben ben farmi comprendere il male che avevo fatto, e dopo
ritornava di nuovo e continuavo l’accusa delle mie colpe.
Ma chi può dire tutto ciò che compresi e spiegare uno per uno i diversi affronti ed i specia-
li dolori che con le mie colpe avevo recato a Nostro Signore? Mi sento quasi impossibilitata a
spiegarmi e pure perché non tanto ricordo bene.
Onde quando ebbi finito l’accusa che durò circa sette ore, l’amabile Gesù prese l’aspetto
di Padre amorosissimo; e siccome io mi trovavo sfinita di forze per il dolore e molto più
[per]ché vedevo che non era dolore bastante per dolermi come si conveniva delle mie colpe,
Lui per rincorarmi mi disse: “Voglio supplire Io per te, ed applico all’anima tua il merito del
dolore che ebbi nell’Orto del Getsemani. Questo solo può soddisfare alla Divina Giustizia”.
45
se avessi potuto, giungerei a distruggere l’Essere Divino con la superbia = la superbia umana se avesse potere giungerebbe a distrug-
gere lo stesso Essere Divino
64
Dopo che applicò all’anima mia il suo dolore, allora mi parve d’essere disposta per ricevere
l’assoluzione.
Tutta umiliata e confusa com’ero e prostrata ai piedi del buon Padre Gesù, coi raggi che
tramandava nella mia mente, cercavo d’eccitarmi maggiormente al dolore col dire - sebbene
non ricordo tutto -: “Grande, sommo è stato il male che ho fatto verso di Voi. Queste potenze
mie e questi sensi del corpo dovevano essere tante lingue come lodarvi, ah! invece sono state
come tante vipere velenose che Vi mordevano e cercavano anche d’uccidervi! Ma, Padre San-
to, perdonami, non vogliate discacciarmi per il gran torto che Ti ho fatto peccando!”
E Gesù: “E tu, prometti di non più peccare, di sbandire dal tuo cuore ogni ombra di male
che potrebbe offendere il tuo Creatore?”
Ed io: “Ah, sì, con tutto il cuore, Ve lo prometto! Voglio piuttosto mille volte morire che
mai più peccare; mai più, mai più!”
E Gesù: “Ed Io ti perdono ed applico all’anima tua i meriti della mia Passione e voglio la-
varla46 nel mio Sangue”.
E mentre così diceva, alzò la benedetta destra e pronunziò le parole dell’assoluzione, pre-
cise alle parole che dice il sacerdote quando dà l’assoluzione, e, nell’atto che ciò faceva, dalla
sua mano scorreva un fiume di Sangue e l’anima mia ne restava tutta inondata.
56 - Effetti della Grazia della Confessione fatta a Gesù, rinnovata più volte.
Dopo ciò mi disse: “Vieni, o figlia, vieni a fare penitenza dei tuoi peccati col baciarmi le
mie piaghe”.
Tutta tremando mi alzai e Gli baciai le sue sacratissime piaghe e poi mi disse: “Figlia mia,
sii più vigilante ed attenta, ché oggi ti do la grazia di non cadere più nel peccato veniale volon-
tario”.
Poi mi fece altre esortazione che non tanto ricordo bene e disparve.
Chi può dire gli effetti di questa Confessione fatta a Nostro Signore? Mi sentivo tutta in-
zuppata nella Grazia e mi lasciò47 tanto impressa che non posso dimenticarmene, ed ogni qual
volta me ne ricordo, mi sento correre un brivido nelle ossa ed insieme prendere da raccapriccio
nel pensare qual’è la mia corrispondenza a tante grazie che il Signore mi ha fatto.
Altre volte il Signore si è benignato di darmi Lui stesso l’assoluzione: ora prendendo la
forma di sacerdote, ed io mi confessavo come se fosse sacerdote, sebbene vi sentivo diversi ef-
fetti e, dopo terminata, si faceva conoscere che era Gesù; ed or svelatamente ci veniva facen-
dosi conoscere anche da principio che era Gesù; qualche volta pure prendeva la forma del con-
fessore, tanto che io mi credevo di parlare con lui e vi dicevo tutti i miei timori, i miei dubbi,
ma dal [modo di] rispondermi che mi faceva, dalla soavità della voce intramezzata or come
quella del confessore, or come quella di Gesù, dal suo amabile tratto ed dagli effetti interni lo
scovrivo per quel che era. Ah, se io volessi dire tutto su di queste cose, andrei troppo per le
lunghe, perciò finisco e faccio punto!...
57 - Finisce la narrazione.
La nuova guerra tra l’Italia e l’Africa.
46
lavare l’anima tua
47
rimase
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Ricordo che ci fu la seconda guerra tra l’Africa e l’Italia ed il benedetto Gesù, un giorno -
circa nove mesi prima - mi trasportò fuori di me stessa e mi fece vedere una via lunghissima,
ripiena di carne umana immersa nel sangue, che a fiumi inondava quella via. Faceva orrore a
vedere quei cadaveri esposti all’aria aperta, senza avere neppure chi li seppellisce!
Io tutta spaventata dissi a Nostro Signore: “Che cosa è questo?”
E Lui: “Nell’anno seguente ci sarà la guerra. Se ne servono della carne per offendermi,
ed Io sulla loro carne voglio fare le mie giuste vendette”.
Disse altre cose, ma la lunghezza del tempo [trascorso] non me le fa ricordare.
Ora avvenne che, passato quel periodo di tempo, s’incominciò a sentire che tra l’Africa e
l’Italia si faceva guerra. Io pregavo il buon Gesù che risparmiasse tante vittime e che avesse
pietà di tante anime che andavano all’inferno.
Una mattina, secondo il solito, mi trasportò fuori di me stessa e vedevo che quasi tutta la
gente erano convinti che doveva vincere l’Italia. Mi parve di trovarmi a Roma e vedevo i depu-
tati che tenevano consiglio tra loro del modo come dovevano menare innanzi la guerra per esse-
re sicuri di far vincere l’Italia. Erano tanto gonfi di loro stessi che facevano pietà, ma quel che
più mi fece impressione era il vedere che questi tali quasi tutti erano settari, anime vendute al
demonio. Che tristi tempi! pareva proprio che regnava il regno satanico, e la loro fiducia anzi-
ché metterla in Dio, la mettevano nel demonio. Ora, mentre si stavano consigliando, il mio be-
nedetto Gesù disse a me: “Andiamo a sentire che si dicono”. Mi parve d’entrare nel loro circo-
lo insieme con Lui. Gesù passeggiava in mezzo a loro e versava lacrime sul misero loro stato.
Quando ebbero finito di consigliarsi del modo come dovevano fare, menando vanto d’essere si-
curi della vittoria, allora Gesù si voltò loro e disse minacciandoli: “Fidate di voi stessi e perciò
vi umilierò: questa volta perderà l’Italia!...”
J.M.J.
Fiat
Ora, per obbedire riprendo a dire ciò che lasciai a pagina 648 di questo 1º volume, cioè del-
la Novena del Santo Natale, che dalla seconda meditazione passavo alla terza.
Terza ora.
Una voce interna mi diceva: “Figlia mia, poggia la tua testa sul seno della mia Mamma,
guarda fin dentro di esso la mia piccola Umanità: il mio amore Mi divorava, gli incendi, gli
oceani, i mari immensi dell’amore della mia Divinità M’inondavano, M’incenerivano, alzavano
tanto le sue vampe che si alzavano e si estendevano ovunque, a tutte le generazioni, dal primo
all’ultimo uomo e la mia piccola Umanità era divorata in mezzo a tante fiamme. Ma sai tu il
mio Eterno Amore che cosa Mi vuol far divorare? Ah, le anime! Ed allora fui contento quando
le divorai tutte, restando con Me concepite; ero Dio, dovevo operare come Dio, dovevo pren-
dere tutte, il mio amore non Mi avrebbe dato pace se escludessi qualcuna. Ah, figlia mia, guar-
48
cfr. pag. 30 - capitolo 4
66
da bene nel seno della mia Mamma, fissa bene gli occhi nella mia Umanità concepita e vi tro-
verai l’anima tua concepita con Me, le fiamme del mio amore che ti divorarono. Oh, quanto ti
ho amato e ti amo!”
Io mi sperdevo in mezzo a tanto amore, né sapevo uscirmene; ma una voce mi chiamava
forte dicendomi: “Figlia mia, ciò è nulla ancora; stringiti più a Me, dà le tue mani alla mia ca-
ra Mamma affinché ti tenga stretta sul suo seno materno, e tu dà un altro sguardo alla mia pic-
cola Umanità concepita e guarda il quarto eccesso del mio amore”.
59 - Quarta ora.
“Figlia mia, dall’amore divorante passa a guardare il mio amore operante. Ogni anima
concepita Mi portò il fardello dei suoi peccati, delle sue debolezze e passioni, ed il mio amore
Mi comandò di prendere il fardello di ciascuno e, non solo le anime concepii, ma le pene di cia-
scuna, le soddisfazioni che ogn’una di esse doveva dare al mio Celeste Padre. Sicché la mia
Passione fu concepita insieme con Me. Guardami bene nel seno della mia Celeste Mamma.
Oh, come la mia piccola Umanità era straziata! Guarda bene come la mia piccola testolina è
circondata da un serto di spine, che cingendomi forte le tempia Mi fanno mandare fiumi di la-
crime dagli occhi; né potevo muovermi per asciugarle. Deh, muoviti a compassione di Me:
asciugami gli occhi dal tanto piangere, tu che hai le braccia libere per potermelo fare! Queste
spine sono il serto dei tanti pensieri cattivi che si affollano nelle menti umane; oh come Mi
pungono più delle spine che germoglia la terra!
Ma guarda ancora che lunga crocifissione di nove mesi! Non potevo muovere né un dito
né una mano né un piede, ero qui sempre immobile, non c’era posto per potermi muovere un
tantino. Che lunga e dura crocifissione! Coll’aggiunta che tutte le opere cattive, prendendo
forma di chiodi, Mi trafiggevano mani e piedi ripetutamente”. E così continuava a narrarmi,
pene per pene, tutti i martìri della sua piccola Umanità, che volerle dire tutte sarei troppo lunga.
Ond’io mi abbandonavo al pianto. Mi sentivo dire nel mio interno: “Figlia mia, vorrei abbrac-
ciarti ma non lo posso, non c’è lo spazio, sono immobile, non lo posso fare; vorrei venire a te,
ma non posso camminare. Per ora abbracciami e vieni tu a Me, poi quando uscirò dal seno ma-
terno verrò Io a te”. Ma mentre con la mia fantasia me L’abbracciavo, me Lo stringevo forte al
mio cuore, una voce interna mi diceva: “Basta per ora, figlia mia, e passa a considerare il quin-
to eccesso del mio amore”.
60 - Quinta ora.
Onde la voce interna seguiva: “Figlia mia, non ti scostare da Me, non Mi lasciare solo, il
mio amore vuole la compagnia. Un altro eccesso del mio amore: [è] che non vuole essere solo.
Ma sai tu con chi vuol essere in compagnia? Della creatura. Vedi, nel seno della mia Mamma,
insieme con Me ci sono tutte le creature, concepite insieme con Me. Io sto con loro tutto amo-
re, voglio dirle quanto le ami, voglio parlare con loro per dirle le mie gioie ed i miei dolori;
[voglio dir loro] che sono venuto in mezzo a loro per renderle felici, per consolarle, che starò in
mezzo a loro come un loro fratellino dando a ciascuna tutti i miei beni, il mio Regno a costo
della mia morte. Voglio darle i miei baci, le mie carezze; voglio trastullarmi con loro, ma, ahi,
quanti dolori Mi danno! Chi Mi fugge, chi fa il sordo e Mi riduce al silenzio, chi disprezza i
miei beni e non si curano del mio Regno e ricambiano i miei baci e carezze con la non curanza
e dimenticanza di Me, ed il mio trastullo lo convertono in amaro pianto. Oh come son solo,
eppure in mezzo a tanti! Oh come Mi pesa la mia solitudine! Non ho a chi dire una parola, con
chi fare uno sfogo, neppure d’amore; sono sempre mesto e taciturno, perché, se parlo non sono
67
ascoltato. Ah, figlia mia, ti prego, ti supplico non Mi lasciare solo in tanta solitudine! Dammi
il bene di farmi parlare coll’ascoltarmi; presta orecchio a miei insegnamenti: Io sono il Mae-
stro dei maestri! Quante cose voglio insegnarti! Se tu Mi darai ascolto, Mi farai cessare da[l]
piangere e Mi trastullerò con te. Non vuoi tu trastullarti con Me? E mentre mi abbandonavo in
Lui compatendolo nella sua solitudine, la voce interna seguiva: “Basta, basta, e passa a consi-
derare il 6º eccesso del mio amore”.
61 - Sesta ora.
“Figlia mia, vieni, prega la mia cara Mamma che ti faccia un po’ di posticino nel suo seno
materno, affinché tu stessa vedi lo stato doloroso in cui Mi trovo”. Onde mi pareva col pensie-
ro che la nostra Regina Mamma, per contentare a Gesù, mi faceva un po’ di posto e mi metteva
dentro. Ma era tale e tanta l’oscurità che non Lo vedevo, solo sentivo il suo respiro; e Lui nel
mio interno seguiva a dirmi: “Figlia mia, guarda un altro eccesso del mio amore. Io sono la
Luce eterna, il sole è un’ombra della mia luce, ma, vedi dove Mi ha condotto il mio amore, in
che oscura prigione Io sono? Non c’è uno spiraglio di luce, è sempre notte per Me, ma notte
senza stelle, senza riposo, sempre desto. Che pena! La strettezza della prigione senza potermi
menomamente muovere, le fitte tenebre; anche il respiro - respiro per mezzo del respiro della
mia Mamma - oh, come è stentato! E poi, aggiungi le tenebre delle colpe delle creature: ogni
colpa era una notte per Me, che unendosi insieme formavano un abisso d’oscurità senza spon-
de. Che pena! Oh eccesso del mio amore, farmi passare d’una immensità di luce, di larghezza,
in una profondità di fitte tenebre e di tale strettezze fino a mancarmi la libertà del respiro, e ciò
tutto per amore delle creature!” E mentre ciò diceva gemeva, quasi con gemiti soffocati per
mancanza di spazio, e piangeva. Io mi struggevo in pianto, Lo ringraziavo, Lo compativo, vo-
levo fargli un po’ di luce col mio amore come Lui mi diceva; ma chi può dire tutto? La stessa
voce interna soggiungeva: “Basta per ora, e passa al settimo eccesso del mio amore”.
62 - Settima ora.
La voce interna seguiva: “Figlia mia, non Mi lasciare solo in tanta solitudine ed in tanta
oscurità, non uscire dal seno della mia Mamma per guardare il settimo eccesso del mio amore.
Ascoltami. Nel Seno del mio Celeste Padre Io ero pienamente felice, non c’era bene che non
possedevo, gioia, felicità, tutto era a mia disposizione; gli Angeli riverenti Mi adoravano e sta-
vano ai miei cenni. Ah, l’eccesso del mio amore - potrei dire - Mi fece cambiare fortuna! Mi
restrinse in questa tetra prigione, Mi spogliò di tutte le mie gioie, felicità e beni per vestirmi di
tutte le infelicità delle creature; e tutto ciò per fare il cambio, per dare la mia fortuna, le mie
gioie e la mia felicità eterna a loro. Ma ciò sarebbe stato nulla se non avessi trovato in loro una
somma ingratitudine ed ostinata perfidia. Oh, come il mio Eterno Amore restò sorpreso innan-
zi [a] tanta ingratitudine e pianse l’ostinatezza e perfidia dell’uomo! L’ingratitudine fu la spina
più pungente che Mi trafisse il Cuore, fin dal mio concepimento fino all’ultimo del mio morire.
Guarda il mio Cuoricino: è ferito e sgorga Sangue. Che pena, che spasimo che sento! Figlia
mia, non essermi ingrata; l’in-gratitudine è la pena più dura per il tuo Gesù, è il chiudermi in
faccia le porte per farmi restare intirizzito di freddo. Ma a tanta ingratitudine il mio amore non
si arrestò e si atteggiò ad amore supplicante, pregante, gemente e mendicante; questo è l’ottavo
eccesso del mio amore”.
63 - Ottava ora.
68
“Figlia mia, non Mi lasciare solo, poggia la tua testa sul seno della mia cara Mamma, ché
anche al di fuori sentirai i miei gemiti, le mie suppliche, e vedendo che né [i] miei gemiti, né le
mie suppliche muovono a compassione la creatura del mio amore, Mi atteggio in atto del più
povero dei mendichi e stendendo la mia piccola manina chiedo per pietà almeno a titolo di ele-
mosina le loro anime, i loro affetti ed i loro cuori. Il mio amore voleva vincere a qualunque co-
sto il cuore dell’uomo e, vedendo che dopo setti eccessi del mio amore era restio, faceva il sor-
do, non si curava di Me e né si voleva dare a Me, il mio amore si volle spingere di più; avrebbe
dovuto arrestarsi, ma no, volle uscire di più dai suoi limiti, e fin dal seno della mia Mamma fa-
ceva giungere la mia voce ad ogni cuore e coi modi più insinuanti, con le preghiere più ferven-
ti, con le parole più penetranti. Ma sai che gli dicevo? ‘Figlio mio, dammi il tuo cuore; tutto
ciò che tu vuoi Io ti darò purché mi dai in cambio il cuore tuo; sono sceso dal Cielo per farne
preda, deh, non Me lo negare! Non rendere deluse le mie speranze!’ E vedendolo restio - anzi,
molti Mi voltavano le spalle - passavo ai gemiti; giungevo le mie piccole manine e, piangendo,
con voce soffocata da singhiozzi, gli soggiungevo: ‘Ahi, ahi! Sono il Piccolo Mendico, neppu-
re in elemosina vuoi darmi il cuor tuo?’ Non è questo un eccesso più grande del mio amore:
che il Creatore per avvicinarsi alla creatura prenda la forma di Piccolo Bambino per non incu-
terle timore, e chieda, almeno per elemosina, il cuore della creatura e, vedendolo che [la creatu-
ra] non [glie]lo vuol dare, prega, geme e piange?!”
E poi mi sentivo dire: “E tu, non vuoi darmi il tuo cuore? Forse anche tu vuoi che gema,
preghi e pianga per darmi il tuo cuore? Vuoi negarmi la elemosina che ti chiedo?” E mentre
ciò diceva sentivo come se singhiozzasse, ed io: “Mio Gesù, non piangere, Vi dono il mio cuo-
re e tutta me stessa”. Onde la voce interna seguiva: “Passa più oltre, e passa al nono eccesso
del mio amore”.
64 - Nona ora.
“Figlia mia, il mio stato e sempre più doloroso; se Mi ami, il tuo sguardo abbilo fisso in
Me, per vedere se al tuo piccolo Gesù puoi apprestargli qualche sollievo; una parolina
d’amore, una carezza, un bacio, metterà tregua al mio pianto ed alle mie afflizioni. Senti, figlia
mia: dopo avere dato otto eccessi del mio amore e [dopo che] l’uomo Mi contraccambiò così
malamente, il mio amore non si diede per vinto, ed all’ottavo eccesso volle aggiungere il nono;
e questo furono le ansie, i sospiri di fuoco, le fiamme dei desideri che volevo uscire49 dal seno
materno per abbracciare l’uomo; e questo riduceva la mia piccola Umanità, non ancor nata, ad
una agonia tale da giungere a dare l’ultimo anelito. E mentre stavo per dare l’ultimo respiro, la
mia Divinità - ch’era inseparabile con Me - Mi dava dei sorsi di vita, e così riprendevo la vita
per continuare la mia agonia e, ritornare di nuovo a morire. Fu questo il nono eccesso del mio
amore: agonizzare e morire d’amore [in modo] continuo per la creatura. Oh, che lunga agonia
di nove mesi! Oh, come l’amore Mi soffocava e Mi faceva morire e, se non avessi tenuto la
Divinità con Me che Mi ridonava la vita ogni qual volta stavo per finire, l’amore Mi avrebbe
consumato prima d’uscire alla luce del giorno”. Poi soggiungeva: “Guardami, ascoltami come
agonizzo, come il mio piccolo Cuore batte, affanna, brucia; guardami, adesso muoio”. E face-
va profondo silenzio. Io mi sentivo morire, mi [si] gelava il sangue nelle vene e, tremante, Gli
dicevo: “Amor mio, Vita mia, non morire, non mi lasciare sola. Tu vuoi amore, ed io
T’amerò, non Ti lascerò più; dammi le tue fiamme per poterti più amare e consumarmi tutta
per Te”.
49
mettere fuori
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* FIAT ! *
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* FIAT ! *
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70
ELENCO dei VOLUMI sulla DIVINA VOLONTÀ
della Serva di Dio LUISA PICCARRETA
VOLUME DATA
1° ** 1877 (dall’età di 12 anni in poi)
2° ** 28 Feb. 1899 - 30 Ott. 1899
3° ** 1 Nov. 1899 - 4 Set. 1900
4° ** 5 Set. 1900 - 18 Mar. 1903
5° ** 19 Mar. 1903 - 30 Ott. 1903
6° ** 1 Nov. 1903 - 16 Gen. 1906
7° ** 30 Gen. 1906 - 30 Mag. 1907
8° ** 23 Giu. 1907 - 30 Gen. 1909
9° ** 10 Mar. 1909 - 3 Nov. 1910
10° ** 9 Nov. 1910 - 10 Feb. 1912
11° ** 14 Feb. 1912 - 24 Feb. 1917
12° ** 16 Mar. 1917 - 26 Apr. 1921
13° ** 1 Mag. 1921 - 4 Feb. 1922
14° ** 4 Feb. 1922 - 24 Nov. 1922
15° ** 28 Nov. 1922 - 14 Lug. 1923
16° ** 23 Lug. 1923 - 6 Giu. 1924
17° ** 10 Giu. 1924 - 4 Ago. 1925
18° ** 9 Ago. 1925 - 21 Feb. 1926
19° ** 23 Feb. 1926 - 15 Set. 1926
20° ** 17 Set. 1926 - 21 Feb. 1927
21° ** 23 Feb. 1927 - 26 Mag. 1927
22° ** 1 Giu. 1927 - 14 Set. 1927
23° ** 17 Set. 1927 - 11 Mar. 1928
24° ** 19 Mar. 1928 - 3 Ott. 1928
25° ** 7 Ott. 1928 - 4 Apr. 1929
26° ** 7 Apr. 1929 - 20 Set. 1929
27° ** 23 Set. 1929 - 17 Feb. 1930
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28° ** 22 Feb. 1930 - 8 Feb. 1931
29° ** 13 Feb. 1931 - 26 Ott. 1931
30° ** 4 Nov. 1931 - 14 Lug. 1932
31° ** 24 Lug. 1932 - 5 Mar. 1933
32° ** 12 Mar. 1933 - 10 Nov. 1933
33° ** 19 Nov. 1933 - 24 Nov. 1935
34° ** 2 Dic. 1935 - 2 Ago. 1937
35° ** 9 Ago. 1937 - 10 Apr. 1938
36° ** 12 Apr. 1938 - 28 Dic. 1938
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